Critica del giudizio
 9788858776872

Table of contents :
Copertina......Page 1
Occhiello......Page 2
Frontespizio......Page 3
Colophon......Page 4
Sommario......Page 5
Introduzione......Page 7
Aggiunta alla seconda edizione della Critica del giudizio......Page 17
Cronologia della vita e delle opere di Kant......Page 19
Nota editoriale......Page 25
CRITICA DELLA FORZA DI GIUDIZIO......Page 29
Prefazione alla prima edizione, 1790......Page 31
I. Della divisione della filosofia......Page 39
II. Del dominio della filosofia in generale......Page 45
III. Della critica della forza di giudizio come un mezzo per collegare le due parti della filosofia in un tutto......Page 51
IV. Della forza di giudizio come facoltà legislativa a priori......Page 57
V. Il principio della conformità formale della natura al fine è un principio trascendentale della forza di giudizio......Page 61
VI. Del collegamento del sentimento del piacere con il concetto della conformità della natura al fine......Page 71
VII. Della rappresentazione estetica della conformità della natura al fine......Page 77
VIII. Della rappresentazione logica della conformità della natura al fine......Page 85
IX. Della connessione delle legislazioni dell’intelletto e della ragione mediante la forza di giudizio......Page 91
Divisione dell’intera opera......Page 99
PARTE PRIMA: CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO......Page 101
Libro primo: Analitica del bello......Page 103
Libro secondo: Analitica del sublime......Page 195
La dialettica della forza estetica di giudizio......Page 399
PARTE SECONDA: CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO......Page 443
Capitolo primo. Analitica della forza teleologica di giudizio......Page 449
Capitolo secondo. Dialettica della forza teleologica di giudizio......Page 501
Appendice. dottrina del metodo della forza teleologica di giudizio......Page 571
PRIMA INTRODUZIONE......Page 725
Prima introduzione alla “Critica della forza di giudizio”......Page 727
Introduzione (sommario)......Page 729
I. Della filosofia come un sistema......Page 731
Nota......Page 735
II. Del sistema delle facoltà superiori del conoscere che sta a fondamento della filosofia......Page 741
III. Del sistema di tutte le facoltà dell’animo umano......Page 749
IV. Dell’esperienza come un sistema per la forza di giudizio......Page 753
V. Della forza riflettente di giudizio......Page 757
VI. Della conformità delle forme della natura al fine considerate come altrettanti sistemi particolari......Page 769
VII. Della tecnica della forza di giudizio come fondamento dell’idea di una tecnica della natura......Page 773
VIII. Dell’estetica della facoltà di valutare......Page 777
Nota......Page 787
IX. Della valutazione teleologica......Page 799
X. Della ricerca di un principio della forza tecnica di giudizio......Page 809
XI. Introduzione enciclopedica alla critica della forza di giudizio nel sistema della critica della ragione pura......Page 819
XII. Divisione della critica della forza di giudizio......Page 831
Apparati......Page 843
Note al testo tedesco......Page 845
Note al testo italiano della "Critica"......Page 875
Note al testo italiano della "Prima introduzione"......Page 890
Indice dei nomi citati da Kant......Page 895
Glossario tedesco-italiano......Page 897
Parole chiave......Page 911
Bibliografia......Page 921
Indice generale......Page 1047

Citation preview

TMMANUEL KANT CRTTTCA

DEL GTUDTZTO

CO L'AGGTU"\!TA DELLA PRT\IA I\lTRODUZIO\lE ALLA CRITICA DEL GIUDIZIO A cura di Massimo Marassi

rfia"J BOMPTANT � TL PENSTERO OCCTDENTALE

Testo tedesco a fronte

BOMPIANI il pensiero occidentale Direttore

GIOVANNI REALE

immanuel kant critica del giudizio

con l’aggiunta della Prima introduzione alla critica del giudizio

Testo tedesco a fronte

Introduzione, traduzione, note e apparati di Massimo Marassi 2a edizione riveduta

BOMPIANI Il Pensiero occidentale

Direttore editoriale Bompiani Elisabetta Sgarbi Direttore letterario Mario Andreose Editor Bompiani Eugenio Lio

© 2004/2014 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Realizzazione editoriale: Vincenzo Cicero – Rometta Marea (ME) II edizione Il Pensiero Occidentale dicembre 2014 © 2017 Giunti Editore S.p.A. / Bompiani Via Bolognese 165 - 50139 Firenze - Italia Piazza Virgilio 4 - 20123 Milano - Italia ISBN 9788858776872 Prima edizione digitale Giunti Editore S.p.A.: ottobre 2017

Sommario Introduzione Aggiunta alla seconda edizione della Critica del giudizio Cronologia della vita e delle opere di Kant Nota editoriale Critica della forza di giudizio

vii xvii xix xxv

1

Prima introduzione

697

Apparati

815

Indice generale

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INTRODUZIONE “Wir haben Fähigkeiten, Vermögen und Kräfte” “Noi abbiamo capacità, facoltà e forze” (AA XXV, II, 1, p. 15).

Dopo aver fondato, con le prime due Critiche, la scienza e la morale, Kant aveva intenzione di stabilire quale fosse il «fondamento della critica del gusto». In una lettera del 25 giugno del 1787 a Christian Gottfried Schütz, Kant lamenta la mancanza di tempo e comunica l’intenzione di dedicarsi alla scrittura del Fondamento della critica del gusto, opera peraltro già annunciata nel catalogo della Fiera di Pasqua del 1787 dall’editore Hartknoch; ripete a Ludwig Heinrich Jakob, nel settembre del 1787, che si dedicherà all’elaborazione della Critica del gusto con cui porrà fine alla sua impresa critica e che intende pubblicarla prima della Pasqua del 1788, data di pubblicazione confermata a Carl Leonhard Reinhold il 28 e 31 dicembre del 1787. La stessa dichiarazione si trova replicata l’anno successivo in una lettera del 7 marzo 1788 a Reinhold. Scrive Kant: «Questo semestre estivo sono gravato di un lavoro straordinario: il Rettorato dell’Università (che, insieme al Decanato della Facoltà di Filosofia, mi è toccato per 2 volte consecutive in tre anni). Ciò nonostante, spero proprio di consegnare la mia Critica del gusto per la Fiera di San Michele e di poter così completare la mia impresa critica»1. Dopo un altro anno, e sempre a Reinhold, Kant annuncia però (12 maggio 1789) che la Critica del gusto costituisce solo una parte della Critica del Giudizio. Dunque l’intento iniziale di Kant consisteva nello scrivere una Critica del gusto. È unicamente nel corso del lavoro che il progetto assume dimensioni e propositi ben più consistenti, tanto che la critica del gusto diventerà soltanto una parte, corrispondente al giudizio estetico, della definitiva Kritik der 1 I. Kant, Epistolario filosofico 1761-1800, a cura di O. Meo, il melangolo, Genova 1990, p. 167.

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Urteilskraft, comprendente anche una parte dedicata all’analisi del giudizio teleologico. La formazione del testo fu estremamente laboriosa: dalla fine del 1787 alla metà del 1788 Kant scrisse l’analitica del bello, la deduzione dei giudizi estetici puri, la dialettica della forza estetica di giudizio (senza il § 58) e la metodologia del gusto; dall’estate del 1788 all’inizio di gennaio del 1790 elaborò la Prima introduzione (in cui viene presentata la fondamentale distinzione tra giudizi determinanti e riflettenti)2, il § 58 dedicato alla finalità nella natura e nell’arte, i §§ 23 e 30, l’analitica del sublime, tutta la critica della forza teleologica di giudizio; infine, tra gennaio e marzo del 1790, l’introduzione definitiva e la prefazione3. Kant spedisce le parti concluse all’editore Lagarde in varie fasi: il 21 gennaio, poi il 9 febbraio, il 9 marzo, e prefazione e introduzione il 22 marzo. L’opera poté uscire in tempi molto rapidi, e purtroppo con numerosi errori, alla fine di aprile del 1790. Il progetto complessivo di Kant non fu ritardato solo dai suoi numerosi impegni accademici e dalla quantità di materiale che andava via via raccogliendo. In una lettera del 26 maggio del 1789 a Marcus Herz Kant scriveva: «sono ancora impegnato in un lavoro di ampio respiro per completare il mio progetto (sia a licenziare l’ultima parte della Critica, ossia quella del Giudizio, che apparirà fra breve [in Lieferung des letzten Theils der Critik, nämlich dem der Urtheilskraft, welcher bald herauskommen soll], sia ad elaborare un sistema di metafisica, tanto della natura quanto dei costumi, conforme a quelle istanze critiche)»4. 2 La Prima introduzione, qui pubblicata alla fine della terza Critica, non venne inclusa nel testo definitivo, ufficialmente per la sua eccessiva lunghezza, e affidata però a Jakob Sigismund Beck che parzialmente la pubblicò nel 1794; sulle forme dei giudizi cfr. già KrV A 646-647; B 674-675. 3 Cfr. i lavori di G. Tonelli, La formazione del testo della Kritik der Urteilskraft, «Revue internationale de philosophie», VIII (1954), pp. 423448; J.H. Zammito, The Genesis of Kant’s Critique of Judgment, The University of Chicago Press, Chicago & London 1992; D. Dumouchel, Genèse de la Troisième Critique: le rôle de l’esthétique dans l’achèvement du système critique, in Kants Ästhetik-Kant’s Aesthetics-L’esthétique de Kant, a cura di H. Parret, W. de Gruyter, Berlin-New York 1998, pp. 18-40. 4 I. Kant, Epistolario filosofico 1761-1800, cit., p. 205.

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Da notare in questo passaggio che Kant parla dell’opera in cantiere non come della terza Critica, bensì come dell’«ultima parte» della Critica, a sottolineare che le tre opere, nel suo intento, non sono separabili, e che il suo «sistema del sapere» comprende certamente delle parti, ma è un unico sistema. In merito all’unità dell’ultima parte della Critica e all’unità del sistema occorre considerare almeno alcuni elementi. In quest’opera vengono in primo piano questioni relative al bello, al sublime e alla finalità, e si trovano raccolti insieme problemi riguardanti l’estetica e la teleologia. Questi temi sono presenti diffusamente anche in precedenti opere di Kant, basta pensare, almeno, alla Storia generale della natura e teoria del cielo del 1755, o alle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime del 1764, sebbene sia solo nel 1790 che i temi indicati vengono ricondotti al rigore del metodo critico. Per quanto riguarda invece l’unità del sistema, il problema è un po’ diverso e più complicato: nel piano iniziale del progetto critico quest’ultima parte non era prevista, anzi Kant era ben convinto che le Critiche dovessero essere due, perché basate sulla distinzione tra ragione teoretica e ragione pratica, ma concepite come risposta coerente alla stessa domanda, quella con cui si chiedeva come mai fosse possibile che le due forme della medesima ragione, quale si presenta nella scienza e nella morale, costituiscano una «sola» ragione. Rispetto al progetto critico riguardante un’unica ragione nelle sue due forme, l’ultima parte della Critica non soltanto è estranea al piano iniziale, ma quella stessa Critica del gusto, di cui Kant parlava nelle lettere citate, era indicata come un ambito circoscritto e meramente applicativo delle acquisizioni precedentemente ottenute. Nulla dunque lasciava presagire che addirittura l’intero sistema delle facoltà stesse per venire sottoposto a critica, condotto innanzi al tribunale della ragione, perché il suo autore, molto tardi, a cose fatte, era giunto a individuare una lacuna nel suo sistema del sapere e molto faticosamente era poi riuscito a rinvenire la soluzione al problema posto: sono solo due gli ambiti della filosofia (teoretica e pratica) ma ora la Critica si articola in una tricotomia, in cui c’è sempre una condizione, un condizionato e il concetto della loro unione5. 5 Cfr. Introduzione, § IX. Il sistema delle facoltà sottoposto a critica ricorda inevitabilmente il problema del consenso, della comunicazione,

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Il fatto perciò che in quest’opera la ragione si occupi finalmente di se stessa portava Scaravelli a dire, e senza mezzi termini – benché sia trascorso un po’ di tempo conviene sempre ricordarlo –, che «la Critica del Giudizio va, così, dall’estremo della sua perfetta inutilità all’estremo dell’unica opera veramente critica: ché mentre le prime due si occupano della natura e della volontà – e sono “eteronome”, – in quest’ultima, finalmente, e in questa sola, “la ragione non si occupa d’altro che di se stessa”, e raggiunge così il più alto fastigio cui possa arrivare»6. Lo schema con cui termina l’introduzione all’opera7 è dunque il segno che l’ultima parte della Critica individua finalmente quale fosse l’ambito (il sentimento del piacere e dispiacere), la facoltà (la forza di giudizio), il principio a priori (la finalità), e l’ambito di applicazione (l’arte), che potevano mantenere in unità conoscenza e desiderio, intelletto e ragione, legalità e fine definitivo, natura e libertà. È dunque molto tardi, presumibilmente durante l’estate del 1788, cioè dopo la pubblicazione delle prime due Critiche, che sorge l’esigenza d’individuare, come sarà detto nel § II dell’Introduzione, il fondamento dell’unità tra il soprasensibile che fonda la natura e il soprasensibile contenuto a livello pratico nella libertà. La terza parte della Critica esamina perciò il «fondamento dell’unità» dei «fondamenti» – il gioco di parole è inevitabile perché tale «fondamento», dirà Kant, è un «libero gioco» – delle due opere precedenti, e quindi pur non avendo un dominio proprio rende possibile «il passaggio dal modo di pensare secondo i principi della natura al modo di pensare secondo i principi della libertà», assicura il «passaggio» dall’interesse speculativo dell’intelletto all’interesse pratico della ragione e la subordinazione del primo al secondo. Ma il «passaggio» è possibile, e giunge così a compimento il sistema critico, non soltanto perché Kant completa con il bello, il sublime, il fine ravvisato nella natura e nell’arte, ciò della funzione politica del giudizio o, come amava dire Eric Weil, il complesso quadro teorico della Critique de la Judiciaire; cfr. Problèmes kantiens, Vrin, Paris 19902, già p. 8. 6 L. Scaravelli, Scritti kantiani, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 344. 7 Cfr. p. B LVIII.

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che in precedenza restava escluso dalle analisi sulla natura e sulla libertà. La terza parte della Critica certo completa il sistema critico: questo però è solo un aspetto derivato. La novità è invero ben più radicale, perché in prima istanza viene individuata la provenienza dei concetti dominanti nella ragione teoretica e pratica. La potenza, divenuta forza di giudizio, si rivolge a qualcosa che non è né natura né libertà, che è nel soggetto e fuori di esso, grazie a un principio a priori del tutto nuovo e in conclusione individuato nella sua purezza trascendentale: la finalità o conformità al fine. L’unità così colta nel punto di più alta concentrazione del soprasensibile non è condizione di possibilità, ma genesi, diceva apertamente Deleuze, di ogni condizione di possibilità, dell’esercizio e dell’accordo delle facoltà8. È proprio per questo motivo che l’Urteilskraft, poiché diviene il termine che pone in relazione le altre facoltà conoscitive (intelletto e ragione), non è più la «facoltà di giudizio», o «la facoltà di sussumere sotto regole», intrinsecamente legata all’intelletto, di cui parlava la prima Critica, ammesso che Urteilskraft sia usata nella prima Critica con solo sei diversi significati, come ottimisticamente si è sostenuto9, ma diviene una «forza di giudizio», vale a dire null’altro (solo questo?) se non il rapporto, la funzione, la potenza operativa, che permette a intelletto e ragione di risultare coerentemente connesse. La facoltà di giudizio, che si collocava tra le altre facoltà, assume ora il compito specifico di svolgere un’operazione del tutto peculiare, con un ruolo trascendentale autonomo, tanto che rimane soggettiva e singolare con una portata però universale10. Che il passaggio del giudizio da «facoltà» tra le altre a «rapporto» fondamentale, e funzione operativamente originaria, tra tutte le facoltà conoscitive fosse complicato lo atte8 G. Deleuze, La filosofia critica di Kant, a cura di M. Cavazza e A. Moscati, Cronopio, Napoli 1997 e L’idea di genesi nell’estetica di Kant, a cura di L. Feroldi e T. Villani, Mimesis, Milano 2000. 9 T. Roelcke, Die Terminologie der Erkenntnisvermögen: Wörterbuch und lexikosemantische Untersuchung zu Kants “Kritik der reinen Vernunft”, Niemeyer, Tübingen 1989, p. 23. 10 S. Marcucci, Aspetti epistemologici della finalità in Kant, Le Monnier, Firenze 1972, p. 267.

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sta non solo il difficile itinerario di Kant documentato all’inizio dallo scambio epistolare intorno al titolo Critica del gusto, ma anche l’obiezione mirata e inaggirabile di Schopenhauer: Riguardo alla forma del suo libro si deve notare che essa è sorta dall’idea di trovare nel concetto della finalità la chiave del problema del bello. L’idea viene dedotta: il che in generale non è difficile, come abbiamo imparato dai seguaci di Kant. Così ora sorge l’unione barocca della conoscenza del bello con quella della finalità dei corpi naturali in un’unica facoltà conoscitiva, detta giudizio [Urteilskraft] e la trattazione dei due oggetti eterogenei in un solo libro. Con queste tre facoltà conoscitive, ragione, giudizio, intelletto si escogitano poi diverse piacevolezze simmetrico-architettoniche, l’amore per le quali in generale in questo libro appare moltiplicato, già nell’adattamento violento al tutto del taglio generale della Critica della ragion pura, in modo particolare poi nell’antinomia del giudizio estetico, veramente tirata per i capelli. Si potrebbe anche avanzare un rimprovero di grande incoerenza per il fatto che, dopo che nella Critica della ragion pura è continuamente ripetuto che l’intelletto è la facoltà di giudicare e dopo che le forme dei giudizi sono elevate a pietra fondamentale dell’intera filosofia, ora si presenta una facoltà del giudizio del tutto particolare, che è completamente diversa da quella. Quel che del resto io chiamo giudizio, cioè la facoltà di tradurre la conoscenza intuitiva in quella astratta e di applicare questa di nuovo giustamente a quella, è svolto nella parte positiva del mio libro11.

Schopenhauer – per ricordare una celebrità, ma la differenza di funzione non era affatto passata inosservata tra il pubblico colto più vicino alle proposte speculative del maestro di Königsberg – si era accorto che ora la «facoltà del giudizio» è proprio «del tutto particolare», «completamente diversa» da quella della prima Critica. Ma che cosa c’è di particolare in questa facoltà? Che essa svolge l’operazione che il termine che la esprime, di fatto e di diritto, implica: è una vis, una forza che si dà come «rapporto». Nell’animo esistono diverse forze fondamentali e la forza non è un principio particolare, bensì un «rapporto», nello 11 A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di A. Vigliani, Mondadori, Milano 19974, pp. 727-728.

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stesso modo in cui il noumeno non è un’altra cosa rispetto al fenomeno, bensì la stessa cosa considerata sotto un altro respectus. Ora, non c’è dubbio che l’Urteilskraft sia un Vermögen, Kant lo ripete infinite volte: ma ogni facoltà è tale in quanto è determinata a partire da ed è destinata verso una forza che è il suo universale «principio di determinazione». Già per Wolff la forza era distinta dalla facoltà, «poiché la facoltà è soltanto una possibilità di fare qualcosa e invece la forza è una fonte di modificazioni»12, e Baumgarten, che Kant insegnava quasi quotidianamente, aveva educato intere generazioni a distinguere tra una facoltà (facultas, Vermögen) e una capacità o ricettività (capacitas, receptivitas, Fähigkeit, Empfänglichkeit), ma anche a sentire che la forza (vis, Kraft) era ben altro, perché rappresentava non una possibilità, ma «efficacia», «energia», «attività»13. Forse anche per questo, nel commentare la Metafisica di Baumgarten, Kant era lapidario: Vermögen und Kraft, potentia – actus Die Kraft handelt, das Vermögen nicht14. Si potrebbe obiettare che una distinzione così netta, operata sul piano dell’analisi metafisica, non consente di trarre identiche conclusioni in ambito critico. E tuttavia occorre osservare che non è affatto necessario individuare una sostanza in cui la coppia concettuale potenza-atto giunga a configurarsi per concludere alla necessaria interazione dei due concetti. Basta accordare a Kant il «diritto» di poter sostenere che il giudizio riflettente è diverso da quello determinante. A maggior ragione, infatti, a livello critico e per analogia, è sufficiente considerare che il libero gioco delle facoltà, per cogliere l’esercizio della loro attualità, avviene con le proprie forme a priori, a prescindere dagli oggetti dell’esperienza. Poi nel caso dell’Urteilskraft operante in questa Critica, e la differenza è essenziale, la facoltà non sussume oggetti sensibili 12 Ch. Wolff, Metafisica tedesca, a cura di R. Ciafardone, Rusconi, Milano 1999, § 117. 13 A.G. Baumgarten, Metaphysica (Editio VII), [Halle 1779], Georg Olms Verlag, Hildesheim-New York 1982, §§ 216 e 197. 14 AA XVII, Refl. 3584: «Facoltà e forza, potenza-atto, la forza agisce, la facoltà no». Cfr. anche AA XXVIII, 1, 434.

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sotto concetti secondo le forme logiche, bensì opera «secondo un principio universale e indeterminato di un ordinamento finalistico della natura in un sistema», come verrà detto nella Prima introduzione15. Proprio quando l’universale non è dato, a differenza delle categorie dell’intelletto nel giudizio determinante di conoscenza, esso va ricercato con la riflessione in riferimento a un concetto che precede e contiene il principio della stessa forma dell’oggetto. La «forza di giudizio» avverte che questo principio totalmente soggettivo della riflessione è un «presupposto trascendentale» che coglie il concetto come pura forma dell’oggetto, sia questo inteso come un prodotto dell’arte o della natura16. Quindi proprio a livello critico, e ancor più a fondo di ogni considerazione metafisica, si deve concludere: affinché una sintesi sia possibile occorre una forza e ogni facoltà per attualizzarsi necessita di una vis; solo questa è in grado, perciò compie l’operazione di orientare, di mettere in atto le potenzialità delle facoltà17. La distinzione tra Vermögen e Kraft non è allora solo metafisica o linguistica, ma riguarda la struttura e il funzionamento del sistema critico. Separare i due termini, o identificarli totalmente, conduce all’inevitabile risultato di un «sistema del sapere» impossibile, se non altro fragile e dall’equilibrio instabile, pronto a scivolare da una parte nella fichtiana «dottrina della scienza» e dall’altra nella «volontà» in cui Schopenhauer riteneva celata l’essenza del mondo. Questa esigenza di distinzione, tra una «facoltà» che determina e una «forza» che riflette, è diversamente testimoniata: i traduttori francesi di Kant rendono Urteilskraft con faculté de juger, perché poi traducono Vermögen con pouvoir e non con 15

Cfr. infra, Erste Einleitung, p. 18. H. Arendt, Teoria del giudizio politico. Lezioni sulla filosofia politica di Kant, a cura di P.P. Portinaro, il melangolo, Genova 1990, p. 99. 17 B. Longuenesse, Kant et le pouvoir de juger. Sensibilité et discursivité dans l’Analytique transcendantale de la Critique de la raison pure, Presses Universitaires de France, Paris 1993, pp. XIV-XV; G. Gigliotti, «Vermögen» e «Kraft». Una rilettura del concetto di «sintesi» nella Critica della ragion pura di Kant, «Rivista di storia della filosofia», 50 (1995), pp. 255-275; B. Centi, Coscienza, etica e architettonica in Kant. Uno studio attraverso le Critiche, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 2002, pp. 24-25, 43, 84-85, 103, 226, 238, 261. 16

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faculté; anche Paul Guyer e Eric Matthews traducono con power of judgment l’Urteilskraft, sulla base dell’identificazione di Kraft e Macht in power, e riservano faculty per Vermögen18. A mio avviso occorre distinguere tra Kraft e Vermögen – comunque si decida di intenderli – non solo per evitare una sovrapposizione terminologica (che non capita qualche volta, ma 268 nel caso di Urteilskraft e 199 volte nel caso di Vermögen, senza contare le parole composte), ma proprio per esprimere ciò che Schopenhauer aveva ben inteso: la «forza di giudizio» della terza parte della Critica non è più la «facoltà di giudizio» della prima. Per documentare questo cambiamento di prospettiva sarebbe necessario uno spazio, con documentazioni testuali, che qui non è conveniente ricoprire, ma la bibliografia finale rende conto, almeno in alcuni suoi titoli, di questo mutamento di paradigma interpretativo. Sarà dunque quella «forza» che attesta ancora oggi il «dizionario italiano dell’uso», o forse, per ragioni di affettività culturale, che risveglia l’eco di tante pagine vichiane in cui la «forza del vero», «d’un’accesa fantasia» e «di riflessione» risultava predicata «delle menti umane», o che prima ancora ispirava l’opera di Muratori, Della forza della fantasia; forse questa memoria più di ogni altro aspetto mi spinge a individuare la Kraft di cui parla Kant in una vis activa che deve essere «singolare» e «speciale», ma così tanto da mettere in esercizio l’intero sistema delle facoltà e congiungerle in un accordo definitivo, tanto da riuscire a orientare l’animo fino a trovare una via d’uscita dal «labirinto della molteplicità di possibili leggi particolari», in cui l’intelletto, che tutto giudica, proprio in questo caso «non dice nulla»19.

18 Critique of the Power of Judgment, edited by Paul Guyer, Cambridge 2000, che fa parte della Cambridge Edition of the Works of Immanuel Kant. 19 Cfr. infra, Erste Einleitung, p. 19.

AGGIUNTA ALLA SECONDA EDIZIONE DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO La traduzione della Critica del giudizio era apparsa nel 2004 in occasione del bicentenario kantiano. Quando l’editore ha prospettato una riedizione dell’opera, ho pensato che questa sarebbe stata l’occasione anche per aggiungere al testo della Critica la Prima introduzione, che Kant lasciò non pubblicata e che sostituì con quella che oggi leggiamo come introduzione definitiva al testo. Anche questa Prima introduzione era già pronta per la stampa nel 2004, ma non fu pubblicata per ragioni meramente editoriali: si preferì offrire in cofanetto le tre Critiche come la tradizione le ha consegnate in eredità alla storia della ricezione. A dieci anni di distanza ho deciso di lasciare immutato l’impianto terminologico che avevo scelto, tranne alcune nozioni specifiche come Zweckmäßigkeit e Gesetzmäßigkeit. Ho corretto gli errori di stampa, aggiornati la bibliografia e il glossario; qualche mutamento stilistico si è inoltre reso necessario per rendere più agevole la lettura, nei limiti consentiti dal periodo kantiano che non ama molto punti e capoversi e quindi costringe il lettore a inseguirlo in argomentazioni spesso lunghe e impervie. Su questo aspetto Kant non concede pause o interruzioni. Le sue enunciazioni passano direttamente sulla pagina che, se interrotta per ragioni di comprensione facilitata, in realtà perde totalmente ciò che è il risultato di un lungo ragionamento espresso in veri e propri polisillogismi. Devo esprimere la mia gratitudine agli amici che hanno dedicato alla mia debilitas parte del loro tempo prezioso: Vincenzo Cicero, Miriam Collura, Marina Olwen Fogarty, Lorenzo Fossati, Emilio Hidalgo-Serna, Federica Missaglia, Silvia Mazzini, Silvia Pogliano, Mattia Luigi Pozzi. Milano, maggio 2014

CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE DI KANT 1724 Immanuel Kant nasce a Königsberg, capitale della Prussia orientale (attualmente Kaliningrad), il 22 aprile, da Johann Georg Kant (1683-1747), sellaio, e da Anna Regina Reuter: quarto di undici figli, di cui sei morti in giovane età. Col fratello rimasto, divenuto pastore protestante, e soprattutto con le tre sorelle, conserverà scarsi rapporti. 1732 Entra nel Collegium Fredericianum, diretto dal pastore Franz Albert Schultz, d’indirizzo pietistico, ma aperto all’illuminismo wolffiano. Oggetto particolare di studio: i classici latini. 1740 S’iscrive all’Università, dove Martin Knutzen gli trasmette l’interesse per la filosofia newtoniana e per la matematica. Sei anni dopo conclude i suoi studi preparando i Pensieri sulla vera valutazione delle forze vive (Königsberg 1747), in cui prende posizione nella disputa tra cartesiani e leibniziani sulla questione. 1746 Comincia l’attività di precettore privato presso famiglie nobili della Prussia orientale (dalla quale non s’allontanerà mai, per tutta la vita). 1754 Risponde alla questione messa a concorso dall’Accademia di Berlino: «Se la Terra abbia subìto modificazioni nel suo movimento di rotazione»; e successivamente a un’altra: «Se la Terra invecchi». 1755 Lasciato l’insegnamento privato, inizia la carriera universitaria, ottenendo il dottorato con la dissertazione De igne e la «venia legendi» con la Principiorum primorum cognitionis metaphysicae nova dilucidatio. Insegnerà un po’ di tutto: matematica, logica, fisica, geografia; più tardi filosofia, pedagogia, antropologia, psicologia. I suoi prevalenti interessi di geografia generale sono attestati dall’uscita della Storia universale della natura e teoria del cielo (Königsberg e Leipzig 1755), in cui anticipa la teoria di Laplace sulla formazione del sistema solare (senza, peraltro, attirare l’attenzione degli studiosi); nonché dai programmi d’insegnamento che, tra il 1756 e il 1757, annunziano corsi su «La teoria dei venti». 1756 Il terremoto di Lisbona gli dà occasione per la pubblicazione di tre scritti in argomento, a cui si aggiunge la Monadologia physica, ispirata a un dinamismo alla Boscovich più che al monadologismo di Leibniz.

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1758 Pubblica una Nuova teoria del moto e della quiete. 1762 Esce un saggio Sulla falsa sottigliezza delle quattro figure sillogistiche. 1763 Escono due tra i più importanti scritti precritici: l’Unico argomento possibile per dimostrare l’esistenza di Dio e la Ricerca per introdurre il concetto di quantità negative in filosofia. Nel primo si prospetta la teoria dell’esistenza come posizione, e si afferma che, mentre la possibilità logica si riduce alla non contraddizione, la possibilità reale presuppone una qualche esistenza: essendo dunque impossibile un’assoluta non esistenza, si desume l’esistenza di un essere necessario, di cui si dimostrano poi l’unicità, l’onnipotenza, ecc. L’argomento (che non può esser confuso con l’«argomento ontologico») non sarà più né ripreso né confutato da Kant. Nel saggio sulle grandezze negative si distingue poi tra la contraddizione logica e l’opposizione reale (+a –a), analoga a quella per cui due forze si annullano a vicenda. 1764 Pubblica la Ricerca sull’evidenza dei principi della teologia naturale e della morale, in cui mette in rilievo la differenza di metodo tra matematica e filosofia, e le Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, in cui a fondamento della morale è posto «il sentimento della bellezza e della dignità della natura umana». 1766 Dopo aver tentato invano (nel 1756 e nel 1758) di ottenere un insegnamento universitario di ruolo, è nominato sottobibliotecario alla Biblioteca reale, per essersi «reso celebre con i suoi scritti». Pubblica i Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica, l’opera in cui più si avvicina al punto di vista dell’empirismo inglese. Il visionario è il mistico svedese Swedenborg, che, tra l’altro, con la sua concezione di un paradiso non statico ma progressivo, influirà sull’idea kantiana di un perfezionamento indefinito della moralità, a cui corrisponde un incremento indefinito della felicità. 1768 Pubblica un saggio Sul fondamento primo della distinzione delle regioni dello spazio, in cui accetta sostanzialmente la teoria newtoniana dello spazio assoluto, soprattutto in considerazione delle figure simmetriche incongruenti nello spazio. 1769 «L’anno 1769 mi portò una grande luce»: Kant ha scoperto il principio fondamentale del suo trascendentalismo, la funzione dello spazio e del tempo come forme che condizionano la ricezione, da parte nostra, di tutte le impressioni sensibili, e che, perciò, danno agli oggetti d’esperienza la loro struttura formale. Ciò permette di conoscere certe verità, concernenti gli oggetti, «a priori», cioè senza fare ricorso all’esperienza.

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Tali sono, ad esempio, le verità geometriche, che dipendono dalla forma dello spazio. Oltre che una grande luce, l’anno 1769 portò a Kant una cattedra universitaria di Logica e Metafisica, ottenuta trasformando la cattedra di Matematica del defunto pastore Langhansen. 1770 Kant inaugura il suo insegnamento con la dissertazione De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, in cui espone la fondazione trascendentale delle scienze matematiche, ma lascia aperta la questione delle scienze fisiche, che si ripromette di risolvere in uno scritto successivo. L’attesa si prolungherà per oltre dieci anni, perché la questione era ardua: spazio e tempo condizionano la forma dei fenomeni perché sono forme recettive della sensibilità; ma come possono le forme dell’intelletto – che è la facoltà della spontaneità del pensare – condizionare un oggetto che non è prodotto dal nostro pensiero, bensì ci è «dato»? 1781 La Critica della ragion pura, scritta in pochi mesi – dopo che la teoria dello «schematismo trascendentale» aveva permesso a Kant di risolvere il problema di cui s’è detto, e dopo aver scoperto nei giudizi il filo conduttore da cui trarre le categorie dell’intelletto – presenta al pubblico il trascendentalismo kantiano in tutta la sua ampiezza. Le forme universali e necessarie del nostro conoscere (spazio e tempo per l’intuizione sensibile, categorie per il pensiero intellettuale) condizionano la forma dell’oggetto per noi, cioè del fenomeno, che, per entrare nella nostra esperienza, deve adattarsi al nostro modo di conoscerlo. Impregiudicata e sconosciuta rimane, per contro, la struttura delle «cose in sé», cioè considerate a parte dal modo in cui le conosciamo; che tuttavia, non potendo entrare nella nostra esperienza, non sono, per definizione, oggetto di conoscenza, ma solo di un pensiero vuoto. Ciò restringe l’ambito di tutto il nostro sapere all’esperienza possibile, al di fuori della quale possono bensì esserci idee «regolative», ma non oggetti conosciuti. In particolare vengono a cadere i tentativi di dimostrare l’esistenza di Dio (nella quale Kant non cessò mai di credere), nonché di risolvere questioni che trascendono l’esperienza possibile, come quella della libertà. 1783 Con i Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza riespone la fondazione trascendentale della Critica in senso rovesciato: dall’esistenza di una matematica e di una fisica come scienze, si risale alle condizioni che rendono queste scienze possibili. L’esistenza della metafisica non può, per contro, esser data per scontata. Ma l’intenzione di Kant è di mostrare impossibile solo la metafisica dogmatica, non precedu-

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ta dall’esame dei limiti del nostro conoscere intrapreso dalla Critica. Compiuto questo esame, una metafisica come scienza sarà possibile muovendo da quelle strutture a priori che non dipendono dall’esperienza, perché (al contrario) la condizionano. Nella «Berlinische Monatsschrift» escono le Idee di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico e la Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? Kant professa una fede nel progresso, basata non sui dati dell’esperienza, ma sul fatto che cercare il progresso è un dovere e una fede nella libertà di pensiero che non contrasta con l’obbedienza alle direttive dell’autorità, le quali possono essere discusse liberamente dai dotti, ma non eluse. La Fondazione della metafisica dei costumi ha come obiettivo quello di esporre i principi per una morale pura. Tale fondazione viene proposta da Kant attraverso tre momenti: il passaggio dalla conoscenza comune a quella filosofica della moralità (grazie all’idea di una volontà buona per se stessa, e quindi coincidente con il dovere); il passaggio dalla filosofia morale popolare alla metafisica dei costumi (basantesi sull’imperativo categorico, in base al quale si deve agire unicamente secondo quella massima che al tempo stesso si può volere che divenga legge universale); e infine il passaggio dalla metafisica dei costumi alla critica della ragion pratica (nel quale la volontà libera, il dovere morale e la possibilità dell’imperativo categorico vengono fondati sulla libertà, intesa come idea pratica della ragione, e quindi sulla piena autonomia di quest’ultima). — Oltre alla Fondazione escono scritti Sui vulcani della luna, Sull’illegalità della contraffazione di libri, Sulla determinazione del concetto di razza umana e due recensioni, abbastanza aspre, alle Idee sulla filosofia della storia dell’umanità di Herder. I Principi metafisici della scienza della natura espongono una delle accezioni in cui secondo Kant si può parlare di una «metafisica come scienza», cioè la dottrina a priori delle strutture intellettuali su cui si fonda la fisica (in base al principio della Critica, secondo cui l’«intelletto è il legislatore della natura»). Gli scritti brevi, che escono via via, continuano a interessare soprattutto la filosofia morale: Che cosa significa «orientarsi nel pensare»?; Congetture sull’origine della storia; una recensione al Saggio sul principio del diritto naturale di G. Hufeland. La fama di Kant comincia a espandersi, e ne è un segno anche la nomina a rettore, per un biennio. Esce la seconda edizione della Critica della ragion pura: interamente rifatta la parte riguardante la «Deduzione trascenden-

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tale» delle categorie, e del tutto rielaborato il capitolo sui «Paralogismi della ragion pura». La Critica della ragion pratica riprende e sistematizza (secondo termini già impostati nella Fondazione del 1785) il nesso tra il principio della moralità (la legge morale) e la libertà, intesa come un tipo specifico e originario di causalità della ragione: in questa prospettiva, la libertà è vista come la ratio essendi della legge morale, mentre la legge morale è intesa come la ratio cognoscendi della libertà. E difatti, nell’«Analitica della ragion pura pratica», si mostra che la volontà è pienamente razionale (cioè libera e autonoma) solo se non segue massime soggettive eterodirette da un principio materiale (per esempio il raggiungimento della felicità), ma il puro dovere oggettivo che la ragione impone a se stessa, e se in questo modo diviene virtuosa di per sé avendo come unico movente il sentimento di rispetto per la legge morale. Di un’antinomia della ragion pratica, riguardante il nesso tra la virtù e la felicità, parla invece la «Dialettica», nella quale emerge che la legge morale è il bene più alto, ma non il bene sommo: quest’ultimo consiste nell’unione di virtù e felicità, e il suo compimento rende inevitabile postulare l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio come condizioni immanenti per l’auto-realizzazione della stessa ragion pratica. La Critica della forza di giudizio prende in esame i principi a priori del giudizio estetico (fondato sul «libero gioco» delle nostre facoltà conoscitive, per cui un oggetto sensibile prodotto dall’immaginazione si presenta «come se» fosse stato costruito in modo da soddisfare alle esigenze dell’intelletto) e del giudizio «teleologico», riguardante, cioè, la finalità nella natura. Quest’ultimo concetto, a differenza dei «concetti puri dell’intelletto» o categorie, non condiziona il costituirsi stesso dell’oggetto per noi, quindi la natura: ma la natura non può essere da noi pensata se non «come se» fosse costruita in vista di fini: altrimenti non riusciremmo a concepire interamente la sua unità. Importante lo scritto polemico contro il leibniziano Eberhard: Su una scoperta per cui ogni nuova critica della ragion pura sarebbe resa inutile da una critica anteriore. Pubblica un articolo Sul male radicale, il cui tema sarà ripreso nel libro sulla religione dell’anno successivo. La religione nei limiti della semplice ragione descrive la lotta del principio buono della moralità con il principio cattivo delle inclinazioni (laicizzazione del concetto di peccato originale). La religione, che si pretende rivelata, è un semplice mezzo per educare gli uomini alla moralità, la cui vittoria sarà

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il vero avvento del «regno di Dio». Il libro, dapprima vietato, poi permesso a Jena e giunto presto alla seconda edizione, procurò a Kant l’ingiunzione del governo di «usare meglio il suo ingegno» e di astenersi dallo scrivere di religione. Kant si professò obbediente; ma, dopo la morte di Federico Guglielmo II, tornerà sull’argomento nel Conflitto delle Facoltà (1798). Importante lo scritto contro C. Garve: Sul detto comune: «questo può esser giusto in teoria ma non vale per la pratica». «Alla pace perpetua» è un titolo che Kant trae da una insegna di osteria, che rappresentava un cimitero: lo scetticismo su questo ideale è, però, corretto dalla fede pratica nel miglioramento morale dell’umanità, che compare anche nello scritto (postumo) Se l’umanità sia in costante progresso verso il meglio. Esce in due volumi («Principi metafisici della dottrina del diritto» e «Principi metafisici della dottrina della virtù») la Metafisica dei costumi, controparte etica della metafisica della natura esposta nel 1786. Essa traccia il quadro di tutti quei fini che sono, al tempo stesso, doveri: cioè che la forma stessa della legge morale m’impone di volere. Essi sono, in breve, tutti quei fini che contribuiscono alla mia perfezione e all’altrui felicità. Particolarmente importante la parte sul diritto, cioè sulla legislazione esterna, che limita la libertà di ciascuno in modo da renderla compatibile con la libertà di tutti gli altri. In risposta a un articolo di Benjamin Constant, scrive Sul presunto diritto di mentire per umanità. Esce l’Antropologia dal punto di vista prammatico e Il conflitto delle Facoltà. Contro F. Nicolai (esponente della «filosofia popolare») scrive Sulla fabbricazione di libri. Escono, ad opera di uno scolaro (Jaesche), le lezioni di Logica, a cui seguiranno nel 1802-1803 le lezioni di Geografia fisica e di Pedagogia (ad opera di Rink). La salute di Kant peggiora rapidamente: egli lamenta una forma di «coma vigil» o insonnia continua, e le sue capacità di coordinazione diminuiscono. Interrompe, praticamente, la stesura di un’opera (cominciata nel 1796) «Sul passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica», che doveva rappresentare una revisione e il culmine di tutta la sua filosofia trascendentale, e si dimette dal Senato accademico. Muore il 12 febbraio, mormorando: «Es ist gut» (Sta bene). Sulla sua tomba saranno iscritte le parole della Critica della ragion pratica: «Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me».

NOTA EDITORIALE Della Critik der Urtheilskraft, mentre Kant era in vita, sono uscite tre edizioni (Berlin und Libau, bey Lagarde und Friederich, 1790, pp. LVIII, 476; Zweyte Auflage, Berlin, bey F.T. Lagarde, 1793, pp. LX, 482; Dritte Auflage, Berlin, bey F. T. Lagarde, 1799, pp. LX, 482). La traduzione è stata condotta in base al testo stabilito da Wilhelm Weischedel, Werke in zehn Bänden, Darmstadt 1983, vol. 8, pp. 233-620 (le indicazioni complete sono riportate in bibliografia), che utilizza, come edizione di riferimento la seconda del 1793, i cui numeri di pagina sono riportati a margine, in tondo, anche della presente edizione. Sono inoltre indicati a margine, in corsivo, i numeri di pagina dell’edizione dell’Accademia curata da Wilhelm Windelband, in Kants gesammelte Schriften. Herausgegeben von der Königlich Preußischen Akademie der Wissenschaften, Berlin 1908/13, Band V, pp. 165-485. Della terza edizione non ci sono documenti sufficienti per poter stabilire se sia stata effettivamente rivista da Kant; è però certo che il correttore era uno studioso esperto, presumibilmente Friedrich von Gentz, che già aveva aiutato Johann Gottfried Carl Christian Kiesewetter nella correzione delle bozze delle precedenti edizioni, che alcuni interventi risultano più che giustificati e che c’è più di un segnale che fossero stati approvati dallo stesso Kant. Ho confrontato il testo di Weischedel con quello stabilito dai curatori di altre edizioni e ho segnalato nelle note le principali varianti del testo, indicando le edizioni da cui venivano tratte. Quando ho accolto una variante del testo diversa da quella stabilita da Weischedel l’ho evidenziata in corsivo e in nota ho indicato l’edizione da cui veniva assunta. Tutte le edizioni citate nelle note sono riportate per esteso nella bibliografia finale. Ho tenuto conto delle edizioni italiane dell’opera (Critica del Giudizio, traduzione di Alfredo Gargiulo 1906, riveduta da Valerio Verra 19604, glossario e indice dei nomi a cura di Valerio Verra 1970, introduzione di Paolo D’Angelo, Roma-Bari 1997; Critica del Giudizio e «Prima introduzione» alla Critica del Giudizio, a cura di Alberto Bosi, Torino 1993 e Milano 1995; Critica della capacità di giudizio, a cura di Leonardo Amoroso, con testo tedesco a fronte, 2 voll., Milano 1995, 19982; Critica della facoltà di giudizio, a cura di Emilio Garroni e Hansmichael Hohenegger, Torino 1999, 20112) e in particolare ho cercato di seguire due principi, introdotti nei lavori

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MASSIMO MARASSI

esemplari di Amoroso e di Garroni-Hohenegger, che mi sono sembrati imprescindibili: Leonardo Amoroso ha evidenziato l’importanza di rendere le sfumature del lessico kantiano, soprattutto in riferimento all’estetica e ai rapporti tra le facoltà, con altrettante distinzioni della lingua italiana, senza livellare il discorso traducendo univocamente il concetto di riferimento con un solo termine (esemplarmente si noti la dozzina di vocaboli che esprime l’idea di «accordo»). Da Garroni-Hohenegger ho ripreso esplicitamente la proposta di seguire il “modo di pensare” di Kant, di rincorrere i suoi ragionamenti senza interrompere la sequenza, spesso impressionante, della coordinazione reiterata del discorso. Ho consultato anche l’edizione latina dell’opera, Critice facultatis iudicandi, in Opera ad philosophiam criticam, latine vertit Fredericus Gottlob Born, Lipsiae 1797; le traduzioni inglesi di Meredith (The Critique of Judgement, trans. by James Creed Meredith, Chicago 198729) e di Paul Guyer e Eric Matthews (Critique of the Power of Judgment, edited by Paul Guyer, Cambridge 2000); quelle francesi di Jean-René Ladmiral, Marc B. de Launay, Jean-Marie Vaysse (Critique de la faculté de juger, in Oeuvres philosophiques, édition publiée sous la direction de Ferdinand Alquié, vol. II, Paris 1985) e in particolare la traduzione di Alain Renaut (Critique de la faculté de juger, traduction, présentation, bibliographie et chronologie par Alain Renaut, Paris 1995). La traduzione della Prima introduzione segue il testo tedesco trascritto da Hinske, Müller-Lauter e Theunissen1. Questa Prima introduzione non fu inserita all’interno della Critica del giudizio e sostituita da una versione più breve. Il confronto fra le due stesure rivela che in realtà non si trattava solo di un problema di ampiezza ma anche di complessità e di riferimento a temi che andavano ben oltre la trattazione della terza Critica. Si tratta di due Introduzioni (questa Prima e quella effettivamente pubblicata insieme alla Critica) molto diverse dal punto di vista stilistico e dell’architettonica compositiva, non sempre coincidenti con le tematiche effettivamente trattate nella Critica, concettualmente anche divergenti. Il problema della formazione del testo della Critica è molto articolato e ha ricevuto da parte degli studiosi numerose interpretazioni spesso contraddittorie. Di certo il testo ha avuto, a livello redazionale, una pluralità di fasi, che appunto sono state diversamente considerate e datate. Per una storia della composizione del testo occorre 1 Immanuel Kant, Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft. Faksimile und Transkription, herausgegeben von Norbert Hinske, Wolfgang MüllerLauter, Michael Theunissen, Stuttgart-Bad Cannstatt 1965.

NOTA EDITORIALE

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risalire agli studi fondamentali di Giorgio Tonelli, proseguiti da Zammito, Drivet e da molti editori della Erste Einleitung2. Secondo Norbert Hinske ci troviamo di fronte a un testo redatto tra l’ottobre 1789 e il gennaio del 1790. Il 4 dicembre 1792 Kant scrive a J.S. Beck di inserire questa Erste Fassung der Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, redatta in bella copia da Kiesewetter, in una raccolta di scritti che di fatto apparve due anni dopo, nelle Anmerkungen zur Einleitung in die Critik der Urtheilskraft, in Erläuternder Auszug aus den critischen Schriften des Herrn Prof. Kant auf Anrathen desselben von M. Jacob Sigismund Beck, Johann Friedrich Hartknoch, Riga 1794, Bd. II, pp. 541-590 (riedizione in Aetas Kantiana, «Culture et Civilisation», 20/II, Bruxelles 1968 e poi anche in Jacob Sigismund Beck, Erläuternder Auszug aus den critischen Schriften des Herrn Prof. Kant von Jacob Sigismund Beck, Bd. II, Bad Feilnbach 2007). Di questo manoscritto inviato a Beck nel 1793 non si seppe più nulla finché non fu ritrovato da Wilhelm Dilthey nella Biblioteca di Rostock nel 1889. La prima edizione della Prima introduzione nelle opere complete di Kant avvenne a cura di Otto Buek in Immanuel Kants Werke, hrsg. von Ernst Cassirer, Berlin 1914, vol. V, pp. 177321. Per avere un quadro generale delle successive e numerose edizioni si veda la bibliografia finale. Come per la Critica del giudizio, anche per la Prima Introduzione sono riportati a margine sia la paginazione del manoscritto (numeri in tondo) sia quella della edizione della Accademia, vol. XX, pp. 193-251 (numeri in corsivo).

2 M. Sgarbi, Kant e l’irrazionale, Milano 20132, in particolare le pagine 19-23, 27-49; Immanuel Kant, Schriften zur Ästhetik und Naturphilosophie, hrsg. von Manfred Frank und Véronique Zanetti. Frankfurt am Main 1996, pp. 1158-1205; Kritik der Urteilskraft. Beilage: erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, mit Einleitungen und Bibliographie hrsg. von Heiner F. Klemme, mit Sachanmerkungen von Piero Giordanetti, Hamburg 2006, pp. 473-483.

Critik der

Urtheilskraft von

Immanuel Kant.

Berlin und Libau, bey Lagarde und Friederich 1 7 9 0 1.

Critica della

forza di giudizio di

Immanuel Kant

Berlino e Libau, presso Lagarde e Friederich 1790

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Vorrede zur ersten Auflage, 17901

Man kann das Vermögen der Erkenntnis aus Prinzipien a priori d i e r e i n e Ve r n u n f t , und die Untersuchung der Möglichkeit und Grenzen derselben überhaupt die Kritik der reinen Vernunft nennen: ob man gleich unter diesem Vermögen nur die Vernunft in ihrem theoretischen Gebrauche versteht, wie es auch in dem ersten Werke unter jener Benennung geschehen ist, ohne noch ihr Vermögen, als praktische Vernunft, nach ihren besonderen Prinzipien in Untersuchung ziehen zu wollen. Jene geht alsdann bloß auf unser Vermögen, Dinge a priori zu erkennen; und beschäftigt sich also nur mit dem2 E r k e n n t n i s v e r m ö g e n , mit Ausschließung des Gefühls der Lust und Unlust und des Begehrungsvermögens; und unter den Erkenntnisvermögen mit dem Ve r s t a n d e nach seinen PrinIV zipien a priori, mit Ausschließung der U r t e i l s k r a f t | und der Ve r n u n f t (als zum theoretischen Erkenntnis gleichfalls gehöriger Vermögen), weil es sich in dem Fortgange findet, daß kein anderes Erkenntnisvermögen, als der Verstand, konstitutive Erkenntnisprinzipien a priori an die Hand geben kann. Die Kritik also, welche sie insgesamt, nach dem Anteile, den jedes der anderen an dem baren Besitz der Erkenntnis aus eigener Wurzel zu haben vorgeben möchte, sichtet, läßt nichts übrig, als was der Ve r s t a n d a priori als Gesetz für die Natur, als den Inbegriff von Erscheinungen (deren Form eben sowohl a priori gegeben ist), vorschreibt; verweiset aber alle andere reine Begriffe unter die Ideen, die3 für unser theoretisches Erkenntnisvermögen überschwenglich, dabei aber doch nicht etwa unnütz oder entbehrlich sind, sondern als regulative Prinzipien dienen4: teils die besorglichen Anmaßungen des Verstandes, als ob er (indem er a priori die Bedingungen der Möglichkeit aller 168 Dinge, die er erkennen kann, anzu||geben vermag) dadurch auch die Möglichkeit aller Dinge überhaupt in diesen Grenzen beschlossen habe, zurück zu halten, teils um ihn selbst in der Betrachtung der Natur nach einem Prinzip der Vollständigkeit,

PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE,

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Si può chiamare r a g i o n e p u r a la facoltà della conoscenza a partire da principi a priori, e critica della ragione pura la ricerca della sua possibilità e dei suoi limiti in generale, benché con questa facoltà s’intenda solo la ragione nel suo uso teoretico, come appunto è accaduto nella prima opera intitolata in quel modo, senza ancora volere includere nella ricerca quella stessa facoltà in quanto ragione pratica, secondo i suoi principi speciali. Quella critica, dunque, si rivolge unicamente alla nostra facoltà di conoscere cose a priori e perciò si occupa solo della f a c o l t à d i c o n o s c e r e , escludendo il sentimento del piacere e dispiacere e la facoltà di desiderare, e, tra le facoltà conoscitive, si occupa dell’ i n t e l l e t t o secondo i suoi principi a priori, escludendo la f o r z a d i g i u d i z i o e la r a g i o n e (come facoltà ugualmente apparte- IV nenti alla conoscenza teoretica); poiché, procedendo nella ricerca, si trova che nessun’altra facoltà conoscitiva, se non l’intelletto, può fornire principi a priori costitutivi di conoscenza. Quindi la critica che vaglia le facoltà nel loro complesso, secondo la parte che ciascuna pretenderebbe di avere, rispetto alle altre, nel possesso effettivo della conoscenza a partire dalle proprie radici, non conserva se non ciò che l’ i n t e l l e t t o prescrive a priori come legge per la natura in quanto insieme di fenomeni (la cui forma è altrettanto data a priori); essa rimanda però tutti gli altri concetti puri tra le idee, le quali eccedono la nostra facoltà teoretica di conoscere e tuttavia non sono affatto inutili o superflue, anzi servono come principi regolativi1: in parte per porre un freno alle preoccupanti pretese dell’intelletto, come se esso (essendo in grado di fornire a priori le condizioni della possibilità di tutte le cose che può conoscere) in tal modo abbia racchiuso entro questi 168 limiti anche la possibilità di tutte le cose in generale, in parte per guidare lo stesso intelletto nella considerazione della natura secondo un principio di completezza, sebbene esso

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PREFAZIONE

wiewohl er sie nie | erreichen kann, zu leiten, und dadurch die Endabsicht alles Erkenntnisses zu befördern. Es war also eigentlich der Ve r s t a n d , der sein eigenes Gebiet und zwar im E r k e n n t n i s v e r m ö g e n hat, sofern er konstitutive Erkenntnisprinzipien a priori enthält, welcher durch die im allgemeinen so benannte Kritik der reinen Vernunft gegen alle übrige Kompetenten in sicheren alleinigen5 Besitz gesetzt werden sollte. Eben so ist d e r Ve r n u n f t , welche nirgend als lediglich in Ansehung des B e g e h r u n g s v e r m ö g e n s konstitutive Prinzipien a priori enthält, in der Kritik der praktischen Vernunft ihr Besitz angewiesen worden. Ob nun die U r t e i l s k r a f t , die in der Ordnung unserer Erkenntnisvermögen zwischen dem Verstande und der Vernunft ein Mittelglied ausmacht, auch für sich Prinzipien a priori habe; ob diese konstitutiv oder bloß regulativ sind (und also kein eigenes Gebiet beweisen), und ob sie dem Gefühle der Lust und Unlust, als dem Mittelgliede zwischen dem Erkenntnisvermögen und Begehrungsvermögen (eben so, wie der Verstand dem ersteren, die Vernunft aber dem letzteren a priori Gesetze vor|schreiben6), a priori die Regel gebe: das ist es, womit sich gegenwärtige Kritik der Urteilskraft beschäftigt. Eine Kritik der reinen Vernunft, d. i. unseres Vermögens, nach Prinzipien a priori zu urteilen, würde unvollständig sein, wenn die der Urteilskraft, welche für sich als Erkenntnisvermögen darauf auch Anspruch macht, nicht als ein besonderer Teil derselben abgehandelt würde; obgleich ihre Prinzipien in einem System der reinen Philosophie keinen besonderen Teil zwischen der theoretischen und praktischen ausmachen dürfen, sondern im Notfalle jedem von beiden gelegentlich angeschlossen werden können. Denn, wenn ein solches System unter dem allgemeinen Namen der Metaphysik einmal zu Stande kommen soll (welches ganz vollständig zu bewerkstelligen möglich und für den Gebrauch der Vernunft in aller Beziehung höchst wichtig ist): so muß die Kritik den Boden zu diesem Gebäude vorher so tief, als die erste Grundlage des Vermögens von der Erfahrung unabhängiger Prinzipien liegt, erforscht haben, damit es nicht an irgend einem Teile

PRIMA EDIZIONE, 1790

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non possa mai raggiungerla, e a promuovere così l’intento finale di ogni conoscenza. Era dunque propriamente l’ i n t e l l e t t o , il quale ha un proprio dominio e precisamente nella f a c o l t à d i c o n o s c e r e , in quanto esso2 contiene principi a priori costitutivi di conoscenza, che la critica, designata in generale con il nome di critica della ragione pura, doveva porre in un sicuro, esclusivo possesso3 contro tutti i restanti contendenti. Allo stesso modo a l l a r a g i o n e , che non contiene principi a priori costitutivi se non quelli relativi esclusivamente alla f a c o l t à d i d e s i d e r a r e , è stato assegnato il suo possesso nella critica della ragione pratica. Ora, sapere se anche la f o r z a d i g i u d i z i o , che nell’ordine delle nostre facoltà conoscitive costituisce un termine medio tra l’intelletto e la ragione, abbia per sé principi a priori; se tali principi siano costitutivi o semplicemente regolativi (e quindi non attestino un proprio dominio); e se essa dia a priori la regola al sentimento del piacere e dispiacere, in quanto termine medio tra la facoltà di conoscere e quella di desiderare (esattamente come l’intelletto prescrive a priori leggi4 alla prima, e la ragione invece le prescrive alla seconda): ecco ciò di cui si occupa la presente critica della forza di giudizio. Una critica della ragione pura, cioè della nostra facoltà di giudicare secondo principi a priori, sarebbe incompleta, se la critica della forza di giudizio – che per sé, in quanto facoltà conoscitiva, pretende anch’essa di giudicare in tal senso – non venisse trattata come una parte speciale di tale critica; e ciò accade sebbene i principi della forza di giudizio non possano costituire, in un sistema della filosofia pura, una parte speciale tra la filosofia teoretica e quella pratica, ma in caso di necessità possano all’occasione essere inclusi in entrambe. Se infatti un giorno si dovrà mai realizzare un tale sistema, designandolo con il nome generale di metafisica (sistema che è possibile attuare interamente e che è della massima importanza sotto ogni riguardo per l’uso della ragione), occorre allora che la critica abbia prima sondato il terreno destinato a questo edificio, fino a raggiungere la profondità in cui si trova il primo fondamento della facoltà dei principi indipendenti dall’esperienza, affinché esso non sprofondi da una parte piutto-

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PREFAZIONE

sinke, welches den Einsturz des Ganzen unvermeidlich nach sich ziehen würde. | || VII Man kann aber aus der Natur der Urteilskraft (deren richti169 ger Gebrauch so notwendig und allgemein erforderlich ist, daß daher unter dem Namen des gesunden Verstandes kein anderes, als eben dieses Vermögen gemeinet wird) leicht abnehmen, daß es mit großen Schwierigkeiten begleitet sein müsse, ein eigentümliches Prinzip derselben auszufinden (denn irgend eins muß sie7 a priori in sich enthalten, weil sie8 sonst nicht, als ein besonderes Erkenntnisvermögen, selbst der gemeinsten Kritik ausgesetzt sein würde), welches gleichwohl nicht aus Begriffen a priori abgeleitet sein muß; denn die gehören dem Verstande an, und die Urteilskraft geht nur auf die Anwendung derselben. Sie soll also selbst einen Begriff angeben, durch den eigentlich kein Ding erkannt wird, sondern der nur ihr selbst zur Regel dient, aber nicht zu einer objektiven, der sie ihr Urteil anpassen kann, weil dazu wiederum eine andere Urteilskraft erforderlich sein würde, um unterscheiden zu können, ob es der Fall der Regel sei oder nicht. Diese Verlegenheit wegen eines Prinzips (es sei nun ein subjektives oder objektives) findet sich hauptsächlich in denjenigen VIII Beurteilungen, die man | ästhetisch nennt, die das Schöne und Erhabne9, der Natur oder der Kunst, betreffen. Und gleichwohl ist die kritische Untersuchung eines Prinzips der Urteilskraft in denselben das wichtigste Stück einer Kritik dieses Vermögens. Denn, ob sie gleich für sich allein zum Erkenntnis der Dinge gar nichts beitragen, so gehören sie doch dem Erkenntnisvermögen allein an, und beweisen eine unmittelbare Beziehung dieses Vermögens auf das Gefühl der Lust oder Unlust nach irgend einem Prinzip a priori, ohne es mit dem, was Bestimmungsgrund des Begehrungsvermögens sein kann, zu vermengen, weil dieses seine Prinzipien a priori in Begriffen der Vernunft hat. — Was aber die logische10 Beurteilung der Natur anbelangt, da, wo die Erfahrung eine Gesetzmäßigkeit an Dingen aufstellt, welche zu verstehen oder zu erklären der allgemeine Verstandesbegriff vom Sinnlichen nicht mehr zulangt, und die Urteilskraft aus sich selbst ein Prinzip der Beziehung des Naturdinges auf das unerkennbare Übersinnliche nehmen kann, es auch nur in Absicht auf sich selbst zum Erkenntnis der Natur

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sto che dall’altra, il che comporterebbe inevitabilmente il crollo del tutto5. Dalla natura della forza di giudizio (il cui uso corretto è così VII 169 necessariamente e universalmente richiesto che perciò con il nome di sano intelletto non s’intende altro se non proprio tale facoltà) si può però facilmente desumere che grandi difficoltà accompagneranno inevitabilmente il reperire un suo peculiare principio (infatti essa deve pur contenere in sé qualche principio a priori, poiché altrimenti, in quanto particolare facoltà conoscitiva, non sarebbe esposta nemmeno alla critica più comune); principio che non deve tuttavia essere derivato da concetti a priori: infatti questi appartengono all’intelletto, mentre la forza di giudizio procede solo alla loro applicazione. Essa deve quindi fornire da sé un concetto mediante il quale propriamente non viene conosciuta alcuna cosa, ma che serve da regola solo ad essa stessa, e tuttavia non come una regola oggettiva alla quale essa possa adattare il suo giudizio, poiché per questo sarebbe di nuovo richiesta un’altra forza di giudizio per poter distinguere se sia o meno il caso in cui applicare la regola. Questa perplessità suscitata da un principio (sia esso soggettivo o oggettivo) si riscontra principalmente in quelle valutazioni che si dicono estetiche6 e che riguardano il bello e il VIII sublime della natura o dell’arte. E tuttavia la ricerca critica di un principio della forza di giudizio presente in tali valutazioni è la parte più importante di una critica di tale facoltà. Poiché, sebbene queste per sé sole non contribuiscano affatto alla conoscenza delle cose, esse comunque competono unicamente alla facoltà di conoscere e dimostrano un riferimento immediato di questa facoltà al sentimento del piacere o dispiacere secondo qualche principio a priori, senza confonderlo con ciò che può essere principio di determinazione della facoltà di desiderare, dato che questa ha i suoi principi a priori in concetti della ragione. — Ma per quanto riguarda la valutazione logica della natura, là dove l’esperienza presenta nelle cose una conformità alla legge7, per intendere o spiegare la quale non è più sufficiente il concetto universale dell’intelletto che procede dal sensibile, e dove la forza di giudizio può ricavare da se stessa un principio del riferimento della cosa naturale al soprasensibile inconoscibile, anche solo dovendosene servire per la conoscenza della natura in vista di se stes-

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PREFAZIONE

brauchen muß, da kann und muß ein solches Prinzip a priori zwar zum E r k e n n t n i s der Weltwesen angewandt | werden, und eröffnet zugleich Aussichten, die für die praktische Vernunft vorteilhaft sind: aber es hat keine unmittelbare Beziehung auf das Gefühl der Lust und Unlust, die gerade das Rätselhafte in dem Prinzip der Urteilskraft ist, welches eine besondere Abteilung in der Kritik für dieses Vermögen notwendig || 170 macht, da die logische Beurteilung nach Begriffen (aus welchen niemals eine unmittelbare Folgerung auf das Gefühl der Lust und Unlust gezogen werden kann) allenfalls dem theoretischen Teile der Philosophie, samt einer kritischen Einschränkung derselben, hätte angehängt werden können. Da die Untersuchung des Geschmacksvermögens, als ästhetischer Urteilskraft, hier nicht zur Bildung und Kultur des Geschmacks (denn diese wird auch ohne alle solche Nachforschungen, wie bisher, so fernerhin, ihren Gang nehmen), sondern bloß in transzendentaler Absicht angestellt wird: so wird sie, wie ich mir schmeichle, in Ansehung der Mangelhaftigkeit jenes Zwecks auch mit Nachsicht beurteilt werden. Was aber die letztere Absicht betrifft, so muß sie sich auf die strengste Prüfung gefaßt machen. Aber auch da kann die große Schwierigkeit, ein Problem, welches die Natur so verwickelt hat, aufX zulösen, einiger nicht | ganz zu vermeidenden Dunkelheit in der Auflösung desselben, wie ich hoffe, zur Entschuldigung dienen, wenn nur, daß das Prinzip richtig angegeben worden, klar genug dargetan ist; gesetzt, die Art, das Phänomen der Urteilskraft davon abzuleiten, habe nicht alle Deutlichkeit, die man anderwärts, nämlich von einem Erkenntnis nach Begriffen, mit Recht fordern kann, die ich auch im zweiten Teile dieses Werks erreicht zu haben glaube. Hiemit endige ich also mein ganzes kritisches Geschäft. Ich werde ungesäumt zum Doktrinalen schreiten, um, wo möglich, meinem zunehmenden Alter die dazu noch einigermaßen günstige Zeit noch abzugewinnen. Es versteht sich von selbst, daß für die Urteilskraft darin kein besonderer Teil sei, weil in Ansehung derselben die Kritik statt der Theorie dient; sondern daß, nach der Einteilung der Philosophie in die theoretische und praktische, und der reinen in eben solche Teile, die Metaphysik der Natur und die der Sitten jenes Geschäft ausmachen werden. | || IX

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sa, in tal caso si può e si deve di certo applicare tale principio a priori per la c o n o s c e n z a degli esseri del mondo, ed esso IX dischiude prospettive vantaggiose per la ragione pratica, ma non ha alcun riferimento immediato al sentimento del piacere e dispiacere; questo riferimento rappresenta proprio l’aspetto enigmatico nel principio della forza di giudizio, aspetto che rende necessaria nella critica una sezione particolare dedicata a questa facoltà: poiché la valutazione logica secon- 170 do concetti (dai quali non si può mai trarre una conseguenza immediata riguardante il sentimento del piacere e dispiacere) si sarebbe comunque potuta aggiungere alla parte teoretica della filosofia, unitamente a una delimitazione critica di tali concetti8. Poiché la ricerca della facoltà del gusto come forza estetica di giudizio viene qui compiuta non per la formazione e la cultura del gusto (tale cultura infatti continuerà il suo corso, come ha fatto finora, anche senza tutte queste indagini), ma solo con un intento trascendentale, allora mi auguro che la si valuterà anche con indulgenza in considerazione della sua insufficienza rispetto a quello scopo. Quanto invece all’ultimo intento, essa deve prepararsi all’esame più rigoroso. Anche qui, però, la grande difficoltà di risolvere un problema che la natura ha tanto complicato può servire, spero, a scusa- X re una certa oscurità, non interamente evitabile nel risolverlo, purché risulti con sufficiente chiarezza che il principio è stato addotto correttamente; posto che il modo di derivare da tale principio il fenomeno9 della forza di giudizio non possieda tutta la distinzione che si può a buon diritto esigere altrove, cioè da una conoscenza secondo concetti, e che pure credo di aver raggiunta nella seconda parte di quest’opera. Con ciò concludo dunque tutto il mio compito critico. Passerò senza indugio al compito dottrinale, per strappare, se possibile, all’avanzare della mia vecchiaia il tempo che può essere ancora in qualche modo propizio a questo lavoro. È chiaro che per la forza di giudizio non ci sarà una parte speciale, perché a tale riguardo è la critica che funge da teoria; ma è altrettanto evidente che, conformemente alla divisione della filosofia in teoretica e pratica, e della filosofia pura proprio nelle stesse parti, saranno la metafisica della natura e quella dei costumi ad assolvere quel compito10.

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Einleitung I. Von der Einteilung der Philosophie

Wenn man die Philosophie, sofern sie Prinzipien der Vernunfterkenntnis der Dinge (nicht bloß, wie die Logik, Prinzipien der Form1 des Denkens überhaupt, ohne Unterschied der Objekte) durch Begriffe enthält, wie gewöhnlich, in die t h e o r e t i s c h e und p r a k t i s c h e einteilt: so verfährt man ganz recht. Aber alsdann müssen auch die Begriffe, welche den Prinzipien dieser Vernunfterkenntnis ihr Objekt anweisen, spezifisch verschieden sein, weil sie sonst zu keiner Einteilung berechtigen würden, welche jederzeit eine Entgegensetzung der Prinzipien, der zu den verschiedenen Teilen einer Wissenschaft gehörigen Vernunfterkenntnis, voraussetzt. Es sind aber nur zweierlei Begriffe, welche eben so viel verschiedene Prinzipien der Möglichkeit ihrer Gegenstände zulassen: nämlich die N a t u r b e g r i f f e , und der F r e i h e i t s b e XII g r i f f . Da nun die ersteren ein t h e o | r e t i s c h e s Erkenntnis nach Prinzipien a priori möglich machen, der zweite aber in Ansehung derselben nur ein negatives Prinzip (der bloßen Entgegensetzung) schon in seinem Begriffe bei sich führt, dagegen für die Willensbestimmung erweiternde Grundsätze, welche darum praktisch heißen, errichtet: so wird die Philosophie in zwei, den Prinzipien nach ganz verschiedene, Teile2, in die theoretische als N a t u r p h i l o s o p h i e , und die praktische als M o r a l p h i l o s o p h i e (denn so wird die praktische Gesetzgebung der Vernunft nach dem Freiheitsbegriffe genannt) mit Recht eingeteilt. Es hat aber bisher ein großer Mißbrauch mit diesen Ausdrücken zur Einteilung der verschiedenen Prinzipien, und mit ihnen auch der Philosophie, geherrscht: indem man das Praktische nach Naturbegriffen mit dem Praktischen 172 nach dem Freiheitsbegriffe für einerlei nahm, und so, || unter denselben Benennungen einer theoretischen und praktischen Philosophie, eine Einteilung machte, durch welche (da beide

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I. DELLA DIVISIONE DELLA FILOSOFIA Si procede in modo del tutto corretto quando, come si fa abitualmente, si divide la filosofia, in quanto contiene principi della conoscenza razionale delle cose mediante concetti (e non semplicemente, come la logica, principi della forma del pensiero in generale, senza distinzione di oggetti), in filosofia t e o r e t i c a e filosofia p r a t i c a . In tal caso, però, anche i concetti, che assegnano ai principi di questa conoscenza razionale il loro oggetto, devono essere specificamente diversi, perché altrimenti non autorizzerebbero alcuna divisione, la quale presuppone sempre un’opposizione dei principi della conoscenza razionale inerente alle diverse parti di una scienza. Tuttavia ci sono soltanto due tipi di concetti che ammettono principi altrettanto diversi della possibilità dei loro oggetti: cioè i c o n c e t t i d e l l a n a t u r a e il c o n c e t t o d e l l a l i b e r t à . Ora, poiché i primi rendono possibile una conoscenza t e o r e t i c a secondo principi a priori, il secondo XII invece, riguardo alla conoscenza, comporta già nel suo concetto solo un principio negativo (della semplice opposizione) e stabilisce invece per la determinazione della volontà dei principi estensivi che perciò si dicono pratici11 – per questo motivo la filosofia è giustamente divisa in due parti, del tutto diverse a seconda dei principi: quella teoretica in quanto f i l o s o f i a d e l l a n a t u r a e quella pratica in quanto f i l o s o f i a m o r a l e (così è infatti chiamata la legislazione pratica della ragione secondo il concetto della libertà). Finora ha però imperato un grande abuso di queste espressioni per la divisione dei diversi principi e con questi anche della filosofia12: si è infatti identificato il pratico secondo concetti della natura con il pratico secondo il concetto della libertà13 e si è così operata, sotto le medesime denominazioni di filosofia 172 teoretica e pratica, una divisione con la quale di fatto non si

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Teile einerlei Prinzipien haben konnten) in der Tat nichts eingeteilt war. Der Wille, als Begehrungsvermögen, ist nämlich eine von den mancherlei Naturursachen in der Welt, nämlich diejenige, welche nach Begriffen wirkt; und alles, was als durch einen Willen möglich (oder notwendig) vorgestellt wird, heißt praktischmöglich (oder notwendig): zum Unterschiede von der physischen Möglichkeit oder Notwendigkeit einer Wirkung, wozu die | Ursache nicht durch Begriffe (sondern, wie bei der leblosen Materie, durch Mechanism, und, bei Tieren, durch Instinkt) zur Kausalität bestimmt wird. — Hier wird nun in Ansehung des Praktischen unbestimmt gelassen: ob der Begriff, der der Kausalität des Willens die Regel gibt, ein Naturbegriff, oder ein Freiheitsbegriff sei. Der letztere Unterschied aber ist wesentlich. Denn, ist der die Kausalität bestimmende Begriff ein Naturbegriff, so sind die Prinzipien t e c h n i s c h - p r a k t i s c h ; ist er aber ein Freiheitsbegriff, so sind diese m o r a l i s c h - p r a k t i s c h : und weil es in der Einteilung einer Vernunftwissenschaft gänzlich auf diejenige Verschiedenheit der Gegenstände ankommt, deren Erkenntnis verschiedener Prinzipien bedarf, so werden die ersteren zur theoretischen Philosophie (als Naturlehre) gehören, die andern3 aber ganz allein den zweiten Teil, nämlich (als Sittenlehre) die praktische Philosophie, ausmachen. Alle technisch-praktische Regeln (d. i. die der Kunst und Geschicklichkeit überhaupt, oder auch der Klugheit, als einer Geschicklichkeit, auf Menschen und ihren Willen Einfluß zu haben), so fern ihre Prinzipien auf Begriffen beruhen, müssen nur als Korollarien zur theoretischen Philosophie gezählt werden. Denn sie betreffen nur die Möglichkeit der Dinge nach Naturbegriffen, wozu nicht allein die Mittel, die in der Natur dazu anzutreffen sind, sondern selbst der Wille (als Begehrungs-, mithin als Naturvermögen) gehört, sofern er durch Triebfe|dern der Natur jenen Regeln gemäß bestimmt werden kann. Doch heißen dergleichen praktische Regeln nicht Gesetze (etwa so wie physische), sondern nur Vorschriften: und zwar darum, weil der Wille nicht bloß unter dem Naturbegriffe, sondern auch unter dem Freiheitsbegriffe steht, in Beziehung auf welchen die Prinzipien desselben Gesetze heißen, und, mit ih-

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divideva nulla (dato che entrambe le parti potevano avere gli stessi principi). La volontà, in quanto facoltà di desiderare, è infatti una delle varie cause naturali presenti nel mondo, cioè quella che produce effetti secondo concetti; e tutto ciò che viene rappresentato come possibile (o necessario) mediante una volontà si dice possibile (o necessario) praticamente; a differenza della possibilità o necessità fisica di un effetto, rispetto al quale la causa è determinata a esercitare la propria causalità non da concetti (ma, come accade nella materia inanimata, dal meccanismo e, negli animali, dall’istinto). — Ora qui, riguardo al pratico, si lascia indeterminato se il concetto che assegna la regola alla causalità della volontà sia un concetto della natura oppure un concetto della libertà. Quest’ultima differenza è però essenziale. Infatti, se il concetto che determina la causalità è un concetto della natura, i principi sono p r a t i c o - t e c n i c i ; se è invece un concetto della libertà, essi sono p r a t i c o - m o r a l i 14: e poiché nella divisione di una scienza razionale tutto dipende da quella diversità degli oggetti, la cui conoscenza richiede principi diversi, allora i primi rientreranno nella filosofia teoretica (come dottrina della natura), mentre gli altri, ed essi soltanto, costituiranno la seconda parte, cioè la filosofia pratica (come dottrina dei costumi). Tutte le regole pratico-tecniche (cioè quelle dell’arte e dell’abilità in generale, o anche della prudenza, in quanto è un’abilità nell’avere influenza sugli uomini e sulla loro volontà) devono essere annoverate, nella misura in cui i loro principi si basano su concetti, solo come corollari nella filosofia teoretica. Infatti esse riguardano unicamente la possibilità delle cose secondo concetti della natura, di cui fanno parte, non soltanto i mezzi che a tal fine devono essere reperiti nella natura, ma perfino la volontà (come facoltà di desiderare, e quindi come facoltà naturale), nella misura in cui questa può essere determinata da moventi naturali in conformità a quelle regole. Tuttavia tali regole pratiche non sono chiamate leggi (cioè come le leggi fisiche), bensì soltanto prescrizioni: e ciò avviene precisamente per il fatto che la volontà sta non solo sotto il concetto della natura, ma anche sotto il concetto della libertà, ed è in riferimento a quest’ultimo che i principi della

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ren Folgerungen, den zweiten Teil der Philosophie, nämlich den praktischen, allein ausmachen. So wenig also die Auflösung der Probleme der reinen Geo173 metrie zu || einem besonderen Teile derselben gehört, oder die Feldmeßkunst den Namen einer praktischen Geometrie, zum Unterschiede von der reinen, als ein zweiter Teil der Geometrie überhaupt verdient: so, und noch weniger, darf die mechanische oder chemische Kunst der Experimente, oder der Beobachtungen, für einen praktischen Teil der Naturlehre gehalten4, endlich die Haus-, Land-, Staatswirtschaft, die Kunst des Umganges, die Vorschriften5 der Diätetik, selbst nicht die allgemeine Glückseligkeitslehre, sogar nicht einmal die Bezähmung der Neigungen und Bändigung der Affekten zum Behuf der letzteren, zur praktischen Philosophie gezählt werden, oder die letzteren wohl gar den zweiten Teil der Philosophie überhaupt ausmachen; weil sie insgesamt nur Regeln der Geschicklichkeit, die mithin nur technisch-praktisch sind, enthalten, um eine Wirkung hervorzubringen, die nach Naturbegriffen der Ursachen XV und Wirkungen mög|lich ist, welche, da sie zur theoretischen Philosophie gehören, jenen Vorschriften als bloßen Korollarien aus derselben (der Naturwissenschaft) unterworfen sind, und also6 keine Stelle in einer besonderen Philosophie, die praktische genannt, verlangen können. Dagegen machen die moralisch-praktischen Vorschriften, die sich gänzlich auf dem Freiheitsbegriffe, mit völliger Ausschließung der Bestimmungsgründe des Willens aus der Natur, gründen, eine ganz besondere Art von Vorschriften aus: welche auch, gleich denen Regeln, welchen7 die Natur gehorcht, schlechthin Gesetze heißen, aber nicht, wie diese, auf sinnlichen Bedingungen, sondern auf einem übersinnlichen Prinzip beruhen, und, neben dem theoretischen Teile der Philosophie, für sich ganz allein, einen anderen Teil, unter dem Namen der praktischen Philosophie, fordern. Man siehet hieraus, daß ein Inbegriff praktischer Vorschriften, welche die Philosophie gibt, nicht einen besonderen, dem theoretischen zur Seite gesetzten, Teil derselben darum ausmache, weil sie praktisch sind; denn das könnten sie sein, wenn ihre Prinzipien gleich gänzlich aus der theoretischen Erkenntnis der Natur hergenommen wären (als technisch-praktische Regeln); sondern, weil und wenn ihr Prinzip gar nicht vom

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volontà si chiamano leggi, costituendo, con le loro conseguenze, la seconda parte della filosofia, cioè quella pratica. Così come la soluzione dei problemi della geometria pura rientra ben poco in una parte speciale di questa scienza, o co- 173 me l’agrimensura merita ben poco il nome di geometria pratica, distinta da quella pura, quale seconda parte della geometria in generale, così, e in misura ancora minore, è lecito che l’arte meccanica o chimica degli esperimenti e delle osservazioni sia considerata come una parte pratica della dottrina della natura, e che infine l’economia domestica, rurale, politica, l’arte dei rapporti sociali, le prescrizioni della dietetica, la stessa dottrina generale della felicità, e perfino il saper frenare le inclinazioni e domare gli affetti a vantaggio della felicità, vengano fatte rientrare nella filosofia pratica o che queste ultime costituiscano addirittura la seconda parte della filosofia in generale; infatti, complessivamente, queste discipline contengono solo regole dell’abilità, che sono quindi unicamente pratico-tecniche, per produrre un effetto che è possibile secondo concetti della natura relativi alle cause e agli effetti; regole che15, appartenendo alla filosofia teoretica, XV sono sottoposte a quelle prescrizioni come semplici corollari tratti da questa (dalla scienza della natura), e non possono perciò pretendere di occupare alcun posto in una filosofia particolare, detta pratica. Al contrario, le prescrizioni praticomorali, che si fondano interamente sul concetto della libertà, escludendo completamente principi di determinazione della volontà tratti dalla natura, costituiscono una specie del tutto particolare di prescrizioni: anche queste, come le regole alle quali obbedisce la natura, si chiamano senz’altro leggi, ma non si basano, come quelle, su condizioni sensibili, bensì su un principio soprasensibile, ed esigono esclusivamente per sé sole, accanto alla parte teoretica della filosofia, un’altra parte che va sotto il nome di filosofia pratica. Si vede da qui che un insieme di prescrizioni pratiche, fornite dalla filosofia, non costituisce una sua parte speciale, posta a fianco di quella teoretica, per il fatto che tali prescrizioni sono pratiche, perché potrebbero esserlo anche se i loro principi (come regole pratico-tecniche) fossero interamente tratti dalla conoscenza teoretica della natura; e invece la costituisce perché e se il loro principio non è affatto ricavato dal

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Naturbegriffe, der jederzeit sinnlich bedingt ist, entlehnt ist, mithin auf dem Übersinnlichen, welches der Freiheitsbegriff allein durch formale Gesetze kennbar macht, be|ruht, und sie also moralisch-praktisch, d. i. nicht bloß Vorschriften und Regeln in dieser oder jener Absicht, sondern, ohne vorhergehende8 Bezugnehmung auf Zwecke und Absichten, Gesetze sind. || II. Vom Gebiete der Philosophie überhaupt So weit Begriffe a priori ihre Anwendung haben, so weit reicht der Gebrauch unseres Erkenntnisvermögens nach Prinzipien, und mit ihm die Philosophie. Der Inbegriff aller Gegenstände aber, worauf jene Begriffe bezogen werden, um, wo möglich, ein Erkenntnis derselben zu Stande zu bringen, kann, nach der verschiedenen Zulänglichkeit oder Unzulänglichkeit unserer Vermögen zu dieser Absicht, eingeteilt werden. Begriffe, sofern sie auf Gegenstände bezogen werden, unangesehen, ob ein Erkenntnis derselben möglich sei oder nicht, haben ihr Feld, welches bloß nach dem Verhältnisse, das ihr Objekt zu unserem Erkenntnisvermögen überhaupt hat, bestimmt wird. — Der Teil dieses Feldes, worin für uns Erkenntnis möglich ist, ist ein Boden (territorium) für diese Begriffe und das dazu erforderliche Erkenntnisvermögen. Der Teil des Bodens, worauf diese gesetzgebend sind, ist das Gebiet (ditio) dieser Begriffe, und der ihnen zustehenden Erkenntnisvermögen. Erfahrungsbegriffe haben also | zwar ihren Boden in der Natur, als dem Inbegriffe aller Gegenstände der Sinne, aber kein Gebiet (sondern nur ihren Aufenthalt, domicilium); weil sie zwar gesetzlich erzeugt werden, aber nicht gesetzgebend sind, sondern die auf sie gegründeten Regeln empirisch, mithin zufällig, sind. Unser gesamtes Erkenntnisvermögen hat zwei Gebiete, das der Naturbegriffe, und das des Freiheitsbegriffs; denn durch beide ist es a priori gesetzgebend. Die Philosophie teilt sich nun auch, diesem gemäß, in die theoretische und die1 praktische. Aber der Boden, auf welchem ihr Gebiet errichtet, und ihre2

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concetto della natura, che è sempre condizionato sensibilmente, e dunque si basa sul soprasensibile, reso conoscibile soltanto dal concetto della libertà mediante leggi formali; e di conseguenza perché e se tali prescrizioni sono pratico-morali, cioè non semplicemente prescrizioni e regole per questo o quell’intento, ma invece leggi, senza un riferimento preliminare a fini e intenti.

II. DEL DOMINIO DELLA FILOSOFIA IN GENERALE Fin dove i concetti a priori hanno la loro applicazione, fin là si estende l’uso della nostra facoltà di conoscere secondo principi, e con esso la filosofia. Ma l’insieme di tutti gli oggetti ai quali sono riferiti quei concetti per conseguirne, dove è possibile, una conoscenza, si può dividere a seconda della diversa sufficienza o insufficienza delle nostre facoltà rispetto a questo intento. I concetti, in quanto vengono riferiti a oggetti senza considerare se una loro conoscenza sia o no possibile, hanno un loro campo, che è determinato semplicemente secondo il rapporto che il loro oggetto ha con la nostra facoltà di conoscere in generale. — La parte di questo campo nella quale la conoscenza è per noi possibile è un territorio (territorium) per questi concetti e per la facoltà conoscitiva richiesta a tale scopo. La parte del territorio sulla quale questi concetti sono legislativi è il dominio (ditio) di tali concetti e delle facoltà conoscitive loro corrispondenti. Dunque i concetti dell’esperienza hanno certamente il loro territorio nella natura, come l’insieme di tutti gli oggetti dei sensi, ma non un dominio (bensì vi hanno solo il domicilio, domicilium): essi sono sì prodotti secondo leggi, ma senza essere legislativi; anzi le regole fondate su di essi sono empiriche e quindi contingenti. La nostra facoltà di conoscere nel suo complesso possiede due domini: quello dei concetti della natura e quello del concetto della libertà, poiché mediante entrambi essa è legislativa a priori. Ora, conformemente alla facoltà, anche la filosofia si divide in teoretica e pratica. Ma il territorio sul quale viene

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Gesetzgebung a u s g e ü b t wird, ist immer doch nur der Inbegriff der Gegenstände aller möglichen Erfahrung, sofern sie für nichts mehr als bloße Erscheinungen genommen werden; denn ohnedas würde keine Gesetzgebung des Verstandes in Ansehung derselben gedacht werden können. Die Gesetzgebung durch Naturbegriffe geschieht durch den Verstand, und ist theoretisch. Die Gesetzgebung durch den Freiheitsbegriff geschieht von der Vernunft, und ist bloß praktisch. Nur allein im Praktischen kann die Vernunft gesetzgebend sein; in Ansehung des theoretischen Erkenntnisses (der Natur) kann sie nur (als gesetzkundig, vermittelst des Ver175 stan||des) aus gegebenen Gesetzen durch Schlüsse Folgerungen ziehen, die doch immer nur bei der Natur stehen bleiben. Umgekehrt aber, wo Regeln praktisch sind, ist die Vernunft | 3 XVIII nicht darum sofort g e s e t z g e b e n d , weil jene auch technisch-praktisch sein können. Verstand und Vernunft haben also zwei verschiedene Gesetzgebungen auf einem und demselben Boden der Erfahrung, ohne daß eine der anderen Eintrag tun darf. Denn so wenig der Naturbegriff auf die Gesetzgebung durch den Freiheitsbegriff Einfluß hat, eben so wenig stört dieser die Gesetzgebung der Natur. — Die Möglichkeit, das Zusammenbestehen beider Gesetzgebungen und der dazu gehörigen Vermögen in demselben Subjekt sich wenigstens ohne Widerspruch zu denken, bewies die Kritik der r. V., indem sie die Einwürfe dawider durch Aufdeckung des dialektischen Scheins in denselben vernichtete. Aber, daß diese zwei verschiedenen Gebiete, die sich zwar nicht in ihrer Gesetzgebung, aber doch in ihren Wirkungen in der Sinnenwelt unaufhörlich einschränken4, nicht e i n e s ausmachen, kommt daher: daß der Naturbegriff zwar seine Gegenstände in der Anschauung, aber nicht als Dinge an sich selbst, sondern als bloße Erscheinungen, der Freiheitsbegriff dagegen in seinem Objekte zwar ein Ding an sich selbst, aber nicht in der Anschauung vorstellig machen, mithin keiner von beiden ein theoretisches Erkenntnis von seinem Objekte (und selbst dem denkenden Subjekte) als Dinge an sich verschaffen kann, welches das Übersinnliche sein würde, wovon man die XIX Idee zwar der Möglichkeit aller jener | Gegenstände der Erfahrung unterlegen muß, sie selbst aber niemals zu einem Erkenntnisse erheben und erweitern kann.

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istituito il suo dominio ed e s e r c i t a t a la sua legislazione è pur sempre solo l’insieme degli oggetti di ogni esperienza possibile, in quanto presi per niente di più che semplici fenomeni; infatti, altrimenti, non si potrebbe pensare alcuna legislazione dell’intelletto in riferimento a tali oggetti. La legislazione mediante concetti della natura avviene da parte dell’intelletto ed è teoretica. La legislazione mediante il concetto della libertà avviene da parte della ragione ed è semplicemente pratica. Solo ed esclusivamente nel pratico la ragione può essere legislativa; riguardo la conoscenza teoretica (della natura), essa può soltanto (in quanto è al corrente di leggi mediante l’intelletto) trarre da leggi date, mediante infe- 175 renze, conclusioni che però rimangono pur sempre solo nell’ambito della natura. Viceversa però, quando le regole sono pratiche, non per questo la ragione è senz’altro l e g i s l a t i - XVIII v a , perché quelle possono anche essere pratico-tecniche. Intelletto e ragione hanno dunque due legislazioni diverse su un unico e medesimo territorio dell’esperienza, senza che l’una possa intromettersi nell’altra. Infatti, tanto poco il concetto della natura influenza la legislazione mediante il concetto della libertà quanto poco quest’ultimo disturba la legislazione della natura. — La Critica della ragione pura ha dimostrato la possibilità di pensare, almeno senza contraddizione, la coesistenza nello stesso soggetto di entrambe le legislazioni e delle rispettive facoltà, in quanto essa ha confutato le obiezioni in contrario svelandone la parvenza dialettica. Tuttavia che questi due diversi domini, che si limitano continuamente non certo nella loro legislazione, ma proprio nei loro effetti nel mondo sensibile, non ne costituiscano u n o s o l o dipende dal fatto che il concetto della natura può sì rendere rappresentabili i suoi oggetti nell’intuizione, non però come cose in se stesse, bensì come semplici fenomeni, mentre il concetto della libertà può sì rendere rappresentabile nel suo oggetto una cosa in se stessa, ma non nell’intuizione; e dunque nessuno dei due può fornire una conoscenza teoretica del proprio oggetto (e perfino del soggetto pensante) come cosa in sé, che sarebbe il soprasensibile, la cui idea si deve sì porre alla base della possibilità di tutti quegli oggetti dell’esperienza, senza che però possa mai essere elevata ed XIX estesa fino a farne una conoscenza.

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Es gibt also ein unbegrenztes, aber auch unzugängliches Feld für unser gesamtes Erkenntnisvermögen, nämlich das Feld des Übersinnlichen, worin wir keinen Boden für uns finden, also auf demselben weder für die Verstandes- noch Vernunftbegriffe ein Gebiet zum theoretischen Erkenntnis haben können; ein Feld, welches wir zwar zum Behuf des theoretischen sowohl als praktischen Gebrauchs der Vernunft mit Ideen besetzen müssen, denen wir aber5, in Beziehung auf die Gesetze aus dem Freiheitsbegriffe, keine andere als praktische Realität verschaffen können, wodurch demnach unser theoretisches Erkenntnis nicht im mindesten zu dem Übersinnlichen erweitert wird. Ob nun zwar eine unübersehbare Kluft zwischen dem Gebiete des Naturbegriffs, als6 dem Sinnlichen, und dem Gebiete 176 des Freiheits||begriffs, als dem Übersinnlichen, befestigt ist, so daß von dem ersteren zum anderen (also vermittelst des theoretischen Gebrauchs der Vernunft) kein Übergang möglich ist, gleich als ob es so viel verschiedene Welten wären, deren erste7 auf die zweite keinen Einfluß haben kann: so s o l l doch diese auf jene einen Einfluß haben, nämlich der Freiheitsbegriff soll8 den durch seine Gesetze aufgegebenen Zweck in der SinnenXX welt wirklich machen; und die Natur muß folg|lich auch so gedacht werden können, daß die Gesetzmäßigkeit ihrer Form wenigstens zur Möglichkeit der in ihr zu bewirkenden Zwecke nach Freiheitsgesetzen zusammenstimme. — Also muß es doch einen Grund der E i n h e i t des Übersinnlichen, welches9 der Natur zum Grunde liegt, mit dem, was der Freiheitsbegriff praktisch enthält, geben, wovon10 der Begriff, wenn er gleich weder theoretisch noch praktisch zu einem Erkenntnisse desselben gelangt, mithin kein eigentümliches Gebiet hat, dennoch den Übergang von der Denkungsart nach den Prinzipien der einen, zu der nach Prinzipien der anderen, möglich macht.

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C’è dunque un campo illimitato, ma anche inaccessibile, per la nostra facoltà di conoscere nel suo complesso: è appunto il campo del soprasensibile, in cui non troviamo per noi un territorio e sul quale non possiamo quindi avere, né per i concetti dell’intelletto né per quelli della ragione, un dominio destinato alla conoscenza teoretica; un campo che noi dobbiamo sì occupare con idee a beneficio dell’uso sia teoretico sia pratico della ragione, senza però poter procurare a queste idee, in riferimento alle leggi derivanti dal concetto della libertà, altra realtà se non quella pratica, mediante la quale pertanto la nostra conoscenza teoretica non viene minimamente estesa al soprasensibile. Ora, sebbene si sia proprio appurato che esiste un abisso incolmabile tra il dominio del concetto della natura, il sensibile, e il dominio del concetto della libertà, il soprasensibile, 176 tale che non è possibile alcun passaggio dall’uno all’altro (quindi mediante l’uso teoretico della ragione) proprio come se fossero mondi tanto diversi, di cui il primo non può avere alcun influsso sul secondo, mentre questo d e v e pur avere un influsso su quello: il concetto della libertà deve cioè conferire realtà effettiva nel mondo sensibile al fine assegnato dalle sue leggi e di conseguenza la natura deve poter essere pensata XX anche in modo che la conformità della sua forma alla legge si accordi per lo meno con la possibilità dei fini da realizzare in essa secondo leggi della libertà. — Ma allora deve pur esserci un fondamento dell’ u n i t à di quel soprasensibile che sta a fondamento della natura, con quello che il concetto della libertà contiene praticamente; un fondamento il cui concetto, sebbene non pervenga né teoricamente né praticamente a una sua conoscenza, e quindi non possieda alcun dominio peculiare, rende tuttavia possibile il passaggio dal modo di pensare secondo i principi della natura al modo di pensare secondo i principi della libertà.

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III. Von der Kritik der Urteilskraft, als einem Verbindungsmittel der zwei Teile der Philosophie zu einem Ganzen Die Kritik der Erkenntnisvermögen in Ansehung dessen, was sie a priori leisten können, hat eigentlich kein Gebiet in Ansehung der Objekte; weil sie keine Doktrin ist, sondern nur, ob und wie, nach der Bewandtnis, die es mit unseren Vermögen hat, eine Doktrin durch sie möglich sei, zu untersuchen hat. Ihr Feld erstreckt sich auf alle Anmaßungen derselben, um sie in die Grenzen ihrer Rechtmäßigkeit zu setzen. Was aber nicht in die EinteiXXI lung der Philosophie kommen kann, | das kann doch, als ein Hauptteil, in die Kritik des reinen Erkenntnisvermögens überhaupt kommen, wenn es nämlich Prinzipien enthält, die für sich weder zum theoretischen noch praktischen Gebrauche tauglich sind. Die Naturbegriffe, welche den Grund zu allem theoretischen Erkenntnis a priori enthalten, beruheten auf der Gesetzgebung des Verstandes. — Der Freiheitsbegriff, der den Grund zu allen sinnlich-unbedingten praktischen Vorschriften a priori enthielt, beruhete auf der Gesetzgebung der Vernunft. Beide Vermögen also haben, außer dem, daß sie der logischen Form nach auf Prinzipien, welchen Ursprungs sie auch sein mögen, angewandt werden können, überdem noch jedes seine eigene 177 Gesetzgebung || dem Inhalte nach, über die es keine andere (a priori) gibt, und die daher die Einteilung der Philosophie in die theoretische und praktische rechtfertigt. Allein in der Familie der oberen Erkenntnisvermögen gibt es doch noch ein Mittelglied zwischen dem Verstande und der Vernunft. Dieses ist die U r t e i l s k r a f t , von welcher man Ursache hat, nach der Analogie zu vermuten, daß sie eben sowohl, wenn gleich nicht eine eigene Gesetzgebung, doch ein ihr eigenes Prinzip, nach Gesetzen zu suchen, allenfalls ein bloß subjektives a priori, in sich enthalten dürfte: welches, wenn ihm gleich kein Feld der Gegenstände als sein Gebiet zustände, doch irgend XXII einen Boden haben kann, und eine gewisse | Beschaffenheit desselben, wofür gerade nur dieses Prinzip geltend sein möchte. Hierzu kommt aber noch (nach der Analogie zu urteilen) ein neuer Grund, die Urteilskraft mit einer anderen Ordnung unserer Vorstellungskräfte in Verknüpfung zu bringen, welche

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III. DELLA CRITICA DELLA FORZA DI GIUDIZIO COME UN MEZZO PER COLLEGARE LE DUE PARTI DELLA FILOSOFIA IN UN TUTTO

La critica delle facoltà conoscitive, riguardo a ciò che esse possono fare a priori, non ha propriamente alcun dominio riguardo agli oggetti, perché non è una dottrina, ma deve solo ricercare se e in qual modo, secondo la costituzione delle nostre facoltà, mediante esse sia possibile una dottrina. Il suo campo si estende a tutte le pretese delle facoltà per ricondurle nei limiti della loro legittimità. Ma ciò che non può rientrare nella divisione della filosofia può però rientrare, come XXI parte principale, nella critica della pura facoltà di conoscere in generale, qualora questa contenga principi che di per sé non sono adatti né all’uso teoretico né a quello pratico. I concetti della natura, che contengono il fondamento per ogni conoscenza teoretica a priori, si basavano sulla legislazione dell’intelletto. — Il concetto della libertà, che conteneva il fondamento per tutte le prescrizioni pratiche a priori, sensibilmente incondizionate, si basava sulla legislazione della ragione. Così entrambe le facoltà, oltre al fatto di poter essere applicate, secondo la forma logica, a principi di qualsiasi origine possano anche essere, hanno poi ancora ciascuna la propria legislazione secondo il loro contenuto, al di sopra della 177 quale non ne esiste alcun’altra (a priori), e che perciò giustifica la divisione della filosofia in teoretica e pratica. Eppure nella famiglia delle facoltà conoscitive superiori c’è però ancora un termine medio tra l’intelletto e la ragione. È la f o r z a d i g i u d i z i o , della quale si ha motivo di presumere, per analogia, che potrebbe anch’essa contenere in sé, se non una sua propria legislazione, almeno un suo proprio principio per ricercare leggi, in ogni caso un principio a priori semplicemente soggettivo; sebbene a tale principio non competa alcun campo degli oggetti come suo dominio, questo può tuttavia avere un qualche territorio con una costituzione tale per XXII cui potrebbe essere valido appunto soltanto questo principio. Ma a ciò si aggiunge (a giudicare per analogia) anche un ulteriore fondamento per mettere la forza di giudizio in connessione con un altro ordine delle nostre forze rappresentati-

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von noch größerer Wichtigkeit zu sein scheint, als die der Verwandtschaft mit der Familie der Erkenntnisvermögen. Denn alle Seelenvermögen, oder Fähigkeiten, können auf die drei zurück geführt werden, welche sich nicht ferner aus einem gemeinschaftlichen1 Grunde ableiten lassen: das E r k e n n t n i s v e r m ö g e n , das G e f ü h l d e r L u s t u n d U n l u s t , und XXIII das B e g e h r u n g s v e r m ö g e n *. Für das Erkenntnisvermö|| | 178 * Es ist von Nutzen: zu Begriffen, welche man als empirische Prinzipien braucht, wenn man Ursache hat zu vermuten, daß sie mit dem reinen Erkenntnisvermögen a priori in Verwandtschaft stehen, dieser Beziehung wegen, eine transzendentale Definition zu versuchen: nämlich durch reine Kategorien, sofern diese allein schon den Unterschied des vorliegenden Begriffs von anderen hinreichend angeben. Man folgt hierin dem Beispiel des Mathematikers, der die empirischen Data seiner Aufgabe unbestimmt läßt, und nur ihr Verhältnis in der reinen Synthesis derselben unter die Begriffe der reinen Arithmetik bringt, und sich dadurch die Auflösung derselben verallgemeinert. — Man hat mir aus einem ähnlichen Verfahren (Krit. der prakt. V., S. 16 der Vorrede) einen Vorwurf gemacht, und die Definition des Begehrungsvermögens, als Ve r m ö g e n s , d u r c h s e i n e Vo r s t e l l u n g e n U r s a c h e v o n d e r Wi r k l i c h k e i t d e r G e XXIII g e n s t ä n d e d i e s e r Vo r s t e l l u n g e n z u s e i n , getadelt: weil | bloße Wünsche doch auch Begehrungen wären, von denen sich doch jeder bescheidet, daß er durch dieselben allein ihr Objekt nicht hervorbringen könne. — Dieses aber beweiset nichts weiter, als daß es auch Begehrungen im Menschen gebe, wodurch derselbe mit sich selbst im Widerspruche steht: indem er durch seine Vorstellung a l l e i n zur Hervorbringung des Objekts hinwirkt, von der er doch keinen Erfolg erwarten kann, weil er sich bewußt ist, daß seine mechanischen Kräfte (wenn ich die nicht psycho178 logischen so nennen soll), die durch jene Vorstellung || bestimmt werden müßten, um das Objekt (mithin mittelbar) zu bewirken, entweder nicht zulänglich sind, oder gar auf etwas Unmögliches gehen, z. B. das Geschehene ungeschehen zu machen (O mihi praeteritos, etc.), oder im ungeduldigen Harren die Zwischenzeit, bis zum herbeigewünschten Augenblick, vernichten zu können. — Ob wir uns gleich in solchen phantastischen Begehrungen der Unzulänglichkeit unserer Vorstellungen (oder gar ihrer Untauglichheit), U r s a c h e ihrer Gegenstände zu sein, bewußt sind: so ist doch die Beziehung derselben, als Ursache, mithin die Vorstellung ihrer K a u s a l i t ä t , in jedem Wu n s c h e enthalten, und vornehmlich alsdann sichtbar, wenn dieser ein Affekt, nämlich S e h n s u c h t , ist. Denn diese beweisen dadurch, daß sie das Herz ausdehnen und welk machen und so die Kräfte erschöpfen, daß die Kräfte durch Vorstellungen wiederholentlich angespannt werden, aber das Gemüt bei der Rücksicht auf die Unmöglichheit unaufhörlich wiederum in Ermattung zurück sinken lassen. Selbst die Gebete um Abwendung großer und, soviel man einsieht, unvermeidli-

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ve, connessione che sembra essere d’importanza ancora maggiore di quella della parentela con la famiglia delle facoltà conoscitive. Infatti tutte le facoltà o capacità dell’anima sono riconducibili a queste tre, che non si possono derivare ulteriormente da un fondamento comune16: la f a c o l t à d i c o n o s c e r e , il s e n t i m e n t o d e l p i a c e r e e d i s p i a c e r e e la f a c o l t à d i d e s i d e r a r e *. Per la facoltà di conoscere XXIII 178 * Qualora si abbia motivo di supporre che concetti impiegati come principi empirici abbiano un’affinità a priori con la pura facoltà di conoscere, è utile, per via di questo riferimento, tentarne una definizione trascendentale, cioè mediante categorie pure, in quanto queste già bastano da sole ad indicare la differenza del concetto in questione rispetto ad altri concetti. In ciò si segue l’esempio del matematico, che lascia indeterminati i dati empirici del suo problema e riporta sotto i concetti dell’aritmetica pura solo il loro rapporto nella loro sintesi pura, generalizzandone in tal modo la soluzione. — Mi si è rimproverato un procedimento simile (Critica della ragione pratica, p. 16 della prefazione17) e si è biasimata la definizione della facoltà di desiderare come f a c o l t à d i essere causa, mediante le proprie rappresentazioni, della realtà effettiva degli oggetti di queste rappresentaz i o n i : dato che anche i semplici auspici sarebbero pur sempre desideri XXIII dei quali tuttavia ciascuno ammette di non poter produrre il loro oggetto solo desiderando. — Ma ciò non prova nient’altro che nell’uomo ci sono anche desideri per cui egli si trova in contraddizione con se stesso, dal momento che mira alla produzione dell’oggetto s o l t a n t o mediante la sua rappresentazione, dalla quale però non può aspettarsi alcun successo, consapevole del fatto che le sue forze meccaniche (se devo chiamare così quelle che non sono psicologiche), le quali dovrebbero essere determinate da quella rappresentazione (quindi mediatamente) a pro- 178 durre l’oggetto, o non sono sufficienti oppure tendono a qualcosa di impossibile, per esempio a far sì che ciò che è avvenuto non sia avvenuto (O mihi praeteritos, ecc.18), oppure a poter annullare, nell’attesa impaziente, il tempo che ci separa dal momento agognato. — Sebbene siamo consapevoli, in questi desideri fantastici, dell’insufficienza delle nostre rappresentazioni (o addirittura della loro inidoneità) a essere c a u s a dei loro oggetti, tuttavia il riferimento di queste rappresentazioni, in quanto cause, e quindi la rappresentazione della loro c a u s a l i t à , è contenuta in ogni a u s p i c i o , il che è visibile soprattutto quando tale auspicio è un affetto, vale a dire un a n e l i t o s t r u g g e n t e . Dilatando il cuore e illanguidendolo, ed esaurendone così le forze, questi desideri fantastici dimostrano che tali forze sono ripetutamente tese da rappresentazioni, ma poi, di fronte all’impossibilità, fanno ripiombare sempre di nuovo l’animo nella estenuazione. Le stesse preghiere per scongiurare mali grandi e, per quanto si possa scorgere, inevitabili, e certi mezzi superstiziosi per

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gen ist allein der Verstand gesetzgebend, wenn jenes (wie es auch geschehen muß, wenn es | für sich, ohne Vermischung mit dem Begehrungsvermögen, betrachtet wird) als Vermögen eines t h e o r e t i s c h e n E r k e n n t n i s s e s auf die Natur bezogen wird, in Ansehung deren allein (als Erscheinung) es uns möglich ist, durch Naturbegriffe a priori, welche eigentlich reine Verstandesbegriffe sind, Gesetze zu geben. — Für das Begehrungsvermögen, als ein oberes Vermögen nach dem Freiheitsbegriffe, ist allein die Vernunft (in der allein dieser Begriff Statt hat) a priori gesetzgebend. — Nun ist zwischen dem Erkenntnis- und dem3 Begehrungsvermögen das Gefühl der Lust, so wie zwischen dem Verstande und der Vernunft die Urteilskraft, enthalten. Es ist also wenigstens vorläufig zu vermuten, daß die Urteilskraft eben so wohl für sich ein Prinzip a priori enthalte, und, da mit dem Begehrungsvermögen notwendig Lust oder XXV Unlust verbunden ist (es sei, daß sie, | wie beim unteren, vor 179 dem Prinzip desselben vorhergehe, oder, wie beim || oberen, nur aus der Bestimmung desselben durch das moralische Gesetz folge), eben so wohl einen Übergang vom4 reinen Erkenntnisvermögen, d. i. vom Gebiete der Naturbegriffe zum Gebiete des Freiheitsbegriffs, bewirken werde, als sie im logischen Gebrauche den Übergang vom Verstande zur Vernunft möglich macht. Wenn also gleich die Philosophie nur in zwei Hauptteile, die theoretische und praktische, eingeteilt werden kann; wenn gleich alles, was wir von den eignen Prinzipien der Urteilskraft zu sagen haben möchten, in ihr zum theoretischen Teile, d. i. dem Vernunfterkenntnis nach Naturbegriffen, gezählt werden müßte: so besteht doch die Kritik der reinen Vernunft, die alles

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cher Übel, und manche abergläubische Mittel zur Erreichung natürlicherweise unmöglicher Zwecke, beweisen die Kausalbeziehung der Vorstellungen auf ihre | Objekte, die sogar durch das Bewußtsein ihrer Unzulänglichkeit zum Effekt von der Bestrebung dazu nicht abgehalten werden kann. — Warum aber in unsere Natur der Hang zu mit Bewußtsein leeren Begehrungen gelegt worden, das ist eine anthropologisch-teleologische Frage. Es scheint: daß, sollten wir nicht eher, als bis wir uns von der Zulänglichheit unseres Vermögens zu Hervorbringung eines Objekts versichert hätten, zur Kraftanwendung bestimmt werden, diese großenteils unbenutzt bleiben würde. Denn gemeiniglich lernen wir unsere Kräfte nur dadurch allererst kennen, daß wir sie versuchen. Diese Täuschung in leeren Wünschen ist also nur die Folge von einer wohltätigen Anordnung in unserer Natur2.

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è legislativo solo l’intelletto, se essa viene riferita (come pur deve accadere se è considerata per sé, senza commistione con XXIV la facoltà di desiderare), quale facoltà di una c o n o s c e n z a t e o r e t i c a , alla natura, riguardo alla quale soltanto (in quanto fenomeno) ci è possibile dare leggi mediante concetti a priori della natura che propriamente sono concetti puri dell’intelletto. — Per la facoltà di desiderare, quale facoltà superiore secondo il concetto della libertà, è solo la ragione (in cui soltanto ha sede tale concetto) a essere legislativa a priori. — Ora, il sentimento del piacere è compreso tra la facoltà di conoscere e quella di desiderare, così come la forza di giudizio è compresa tra l’intelletto e la ragione. È dunque presumibile, almeno in via provvisoria, che anche la forza di giudizio contenga per sé un principio a priori e che, essendo il piacere o dispiacere necessariamente connesso con la facoltà di desiderare (sia che preceda il principio di questa facoltà, XXV come nel caso della facoltà di desiderare inferiore, sia che 179 segua solo dalla sua determinazione mediante la legge morale, come nel caso della facoltà di desiderare superiore), la forza di giudizio possa effettuare anche un passaggio dalla pura facoltà di conoscere, cioè dal dominio dei concetti della natura, al dominio del concetto della libertà allo stesso modo in cui essa, nell’uso logico, rende possibile il passaggio dall’intelletto alla ragione. Sebbene dunque la filosofia possa essere divisa solo in due parti principali, teoretica e pratica, e sebbene tutto ciò che potremmo avere da dire dei principi propri della forza di giudizio debba essere ascritto alla parte teoretica della filosofia, cioè alla conoscenza razionale secondo concetti della naconseguire fini impossibili in modi naturali dimostrano il riferimento causale delle rappresentazioni ai loro oggetti, riferimento che non può essere trattenuto nell’aspirazione a raggiungere l’effetto neppure dalla consapevolezza della loro insufficienza a produrlo. — Ma perché ci sia nella nostra natura la propensione verso desideri, pur essendo consapevoli della loro vuotezza, è un problema teleologico-antropologico. Sembra che se non dovessimo essere determinati ad applicare la forza prima di esserci assicurati della sufficienza della nostra facoltà a produrre un oggetto, questa forza resterebbe in gran parte inutilizzata. Solitamente, infatti, noi impariamo a conoscere le nostre forze solo ed esclusivamente mettendole alla prova. Questa illusione riposta in vuoti auspici è quindi solo la conseguenza di un benefico ordinamento della nostra natura19.

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dieses vor der Unternehmung jenes Systems, zum Behuf der Möglichkeit desselben, ausmachen muß, aus drei Teilen: der Kritik des reinen Verstandes, der reinen Urteilskraft, und der reinen Vernunft, welche Vermögen darum rein genannt werden, weil sie a priori gesetzgebend sind.

IV. Von der Urteilskraft, als einem a priori gesetzgebenden Vermögen Urteilskraft überhaupt ist das Vermögen, das Besondere als enthalten unter dem Allgemeinen zu denken. | Ist das Allgemeine (die Regel, das Prinzip, das Gesetz) gegeben, so ist die Urteilskraft, welche das Besondere darunter subsumiert, (auch, wenn sie, als transzendentale Urteilskraft, a priori die Bedingungen angibt, welchen1 gemäß allein unter jenem Allgemeinen subsumiert werden kann) b e s t i m m e n d . Ist aber nur das Besondere gegeben, wozu sie das Allgemeine finden soll, so ist die Urteilskraft bloß r e f l e k t i e r e n d . Die bestimmende Urteilskraft unter allgemeinen transzendentalen Gesetzen, die der Verstand gibt, ist nur subsumierend; das Gesetz ist ihr a priori vorgezeichnet, und sie hat also nicht nötig, für sich selbst auf ein Gesetz zu denken, um das Besondere in der Natur dem Allgemeinen unterordnen zu können. — Allein es sind so mannigfaltige Formen der Natur, gleichsam so viele Modifikationen der allgemeinen transzendentalen Naturbegriffe, die durch jene Gesetze, welche der reine Verstand a priori gibt, weil dieselben nur auf die Möglichkeit einer Natur (als Gegenstandes der Sinne) überhaupt gehen, unbestimmt 180 gelassen werden, daß dafür doch || auch Gesetze sein müssen, die zwar, als empirische, nach unserer Verstandeseinsicht zufällig sein mögen, die aber doch, wenn sie Gesetze heißen sollen (wie es auch der Begriff einer Natur erfordert), aus einem, wenn gleich uns unbekannten, Prinzip der Einheit des Mannigfaltigen, als notwendig angesehen werden müssen. — Die reflekXXVII tierende Urteilskraft, die von dem Besondern in der | Natur zum Allgemeinen aufzusteigen die Obliegenheit hat, bedarf also eines Prinzips, welches sie nicht von der Erfahrung entlehnen kann, weil es eben die Einheit aller empirischen Prinzipien XXVI

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tura, tuttavia la critica della ragione pura, che deve stabilire tutto ciò in vista della possibilità di quel sistema, consiste di tre parti: la critica dell’intelletto puro, della forza di giudizio pura e della ragione pura, le quali facoltà sono dette pure proprio perché sono legislative a priori.

IV. DELLA FORZA DI GIUDIZIO COME FACOLTÀ LEGISLATIVA A PRIORI La forza di giudizio in generale è la facoltà di pensare il particolare in quanto compreso sotto l’universale. Se è dato XXVI l’universale (la regola, il principio, la legge), allora la forza di giudizio, che sussume sotto di esso il particolare, è d e t e r m i n a n t e (anche quando, come forza trascendentale di giudizio, stabilisce a priori le condizioni secondo le quali soltanto il particolare può essere sussunto sotto quell’universale). Ma se è dato solo il particolare, per il quale essa deve trovare l’universale, allora la forza di giudizio è semplicemente r i flettente. La forza determinante di giudizio sotto leggi trascendentali universali, date dall’intelletto, è solo sussuntiva; la legge le è prescritta a priori e quindi essa non ha bisogno di pensare per se stessa a una legge per poter subordinare il particolare nella natura all’universale. — Solo che ci sono così molteplici forme della natura e, direi quasi, parimenti tante modificazioni dei concetti trascendentali universali della natura, le quali vengono lasciate indeterminate da quelle leggi che l’intelletto puro dà a priori – dato che tali leggi riguardano solo la possibilità di una natura (quale oggetto dei sensi) in generale –, che devono esserci perciò anche leggi che, in quanto empiri- 180 che, possono certo essere considerate contingenti secondo il modo di intendere del n o s t r o intelletto, e che tuttavia, se le si debbono chiamare leggi (come pure richiede il concetto di una natura), devono venire considerate necessarie a partire da un principio, sebbene a noi sconosciuto, dell’unità del molteplice. — La forza riflettente di giudizio, che ha il compito di risalire dal particolare nella natura all’universale, ha XXVII bisogno dunque di un principio che non può ricavare dall’esperienza, perché esso deve appunto fondare l’unità di tutti i

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unter gleichfalls empirischen aber höheren Prinzipien, und also die Möglichkeit der systematischen Unterordnung derselben unter einander, begründen soll. Ein solches transzendentales Prinzip kann also die reflektierende Urteilskraft sich nur selbst als Gesetz geben, nicht anderwärts hernehmen (weil sie sonst bestimmende Urteilskraft sein würde), noch der Natur vorschreiben; weil die Reflexion über die Gesetze der Natur sich nach der Natur, und diese sich nicht2 nach den Bedingungen richtet, nach welchen wir einen in Ansehung dieser ganz zufälligen Begriff von ihr zu erwerben trachten. Nun kann dieses Prinzip kein anderes sein, als: daß3, da allgemeine Naturgesetze ihren Grund in unserem Verstande haben, der sie der Natur (ob zwar nur nach dem allgemeinen Begriffe von ihr als Natur) vorschreibt, die besondern empirischen Gesetze in Ansehung dessen, was in ihnen durch jene unbestimmt gelassen ist, nach einer solchen Einheit betrachtet werden müssen, als ob gleichfalls ein Verstand (wenn gleich nicht der unsrige) sie zum Behuf unserer Erkenntnisvermögen, um ein System der Erfahrung nach besonderen Naturgesetzen möglich zu machen, gegeben hätte. Nicht, als wenn auf diese Art wirklich ein solcher Verstand angenommen werden müßte (denn es ist nur die reflekXXVIII tierende Urteilskraft, der diese | Idee zum Prinzip dient, zum Reflektieren, nicht zum Bestimmen); sondern dieses Vermögen gibt sich dadurch nur selbst, und nicht der Natur, ein Gesetz. Weil nun der Begriff von einem Objekt, sofern er zugleich den Grund der Wirklichkeit dieses Objekts enthält, der Z w e c k , und die Übereinstimmung eines Dinges mit derjenigen Beschaffenheit der Dinge, die nur nach Zwecken möglich ist, die Z w e c k m ä ß i g k e i t der Form derselben4 heißt: so ist das Prinzip der Urteilskraft, in Ansehung der Form der Dinge der Natur unter empirischen Gesetzen überhaupt, die Z w e c k m ä ß i g k e i t d e r N a t u r in ihrer Mannigfaltigkeit. D. i. die Na181 tur wird durch diesen Be||griff so vorgestellt, als ob ein Verstand den Grund der Einheit des Mannigfaltigen ihrer empirischen Gesetze enthalte. Die Zweckmäßigkeit der Natur ist also ein besonderer Begriff a priori, der lediglich in der reflektierenden Urteilskraft seinen Ursprung hat. Denn den Naturprodukten kann man so etwas, als Beziehung der Natur an ihnen auf Zwecke, nicht beilegen, sondern diesen Begriff nur brauchen, um über sie in

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principi empirici sotto principi altrettanto empirici, ma superiori, e quindi deve fondare la possibilità della subordinazione sistematica di tali principi tra loro. La forza riflettente di giudizio può quindi darsi soltanto da se stessa un tale principio trascendentale come legge, senza né ricavarlo altrove (perché altrimenti sarebbe forza determinante di giudizio) né prescriverlo alla natura, poiché la riflessione sulle leggi della natura si regola sulla natura, mentre questa non si regola sulle condizioni secondo le quali noi cerchiamo di ottenerne un concetto che è del tutto contingente rispetto a esse. Ebbene, tale principio non può essere altro che questo: siccome le leggi universali della natura hanno il loro fondamento nel nostro intelletto che le prescrive alla natura (benché solo secondo il concetto universale di essa in quanto natura), le leggi empiriche particolari, rispetto a ciò che vi è lasciato indeterminato da quelle universali, devono essere considerate secondo una unità siffatta, come se un intelletto (sebbene non il nostro) anche in questo caso l’avesse data a vantaggio della nostra facoltà conoscitiva per rendere possibile un sistema dell’esperienza secondo leggi particolari della natura. Non come se in questo modo un tale intelletto dovesse essere ammesso effettivamente (infatti è solo alla forza riflettente di giudizio che questa idea serve come principio per il XXVIII riflettere, non per il determinare); ma così questa facoltà dà una legge soltanto a se stessa, e non alla natura. Ora, poiché il concetto di un oggetto, in quanto contiene ad un tempo il fondamento della realtà effettiva di questo oggetto, si chiama fine, e l’accordo di una cosa con quella costituzione delle cose che è possibile solo secondo fini si chiama conformità della loro forma al fine, così il principio della forza di giudizio, rispetto alla forma delle cose della natura sotto leggi empiriche in generale, è la conformità della natura al fine nella sua molteplicità. In altri termini, la natura viene rappresentata da questo concetto come se un intelletto contenesse il 181 fondamento dell’unità del molteplice delle sue leggi empiriche. La conformità della natura al fine è dunque uno speciale concetto a priori che ha la propria origine esclusivamente nella forza riflettente di giudizio. Infatti non si può attribuire ai prodotti della natura qualcosa come un riferimento della natura, in quei prodotti, a fini; si può usare invece questo concetto sol-

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Ansehung der Verknüpfung der Erscheinungen in ihr, die nach empirischen Gesetzen gegeben ist, zu reflektieren. Auch ist dieser Begriff von der praktischen Zweckmäßigkeit (der menschlichen Kunst oder auch der Sitten) ganz unterschieden, ob er zwar nach einer Analogie mit derselben gedacht wird. | XXIX

V. Das Prinzip der formalen Zweckmässigkeit der Natur ist ein transzendentales Prinzip der Urteilskraft

Ein transzendentales Prinzip ist dasjenige, durch welches die allgemeine Bedingung a priori vorgestellt wird, unter der allein Dinge Objekte unserer Erkenntnis überhaupt werden können. Dagegen heißt ein Prinzip metaphysisch, wenn es die Bedingung a priori vorstellt, unter der allein Objekte, deren Begriff empirisch gegeben sein muß, a priori weiter bestimmet werden können. So ist das Prinzip der Erkenntnis der Körper, als Substanzen und als veränderlicher Substanzen, transzendental, wenn dadurch gesagt wird, daß ihre Veränderung eine Ursache haben müsse; es ist aber metaphysisch, wenn dadurch gesagt wird, ihre Veränderung müsse eine ä u ß e r e Ursache haben: weil im ersteren Falle der Körper nur durch ontologische Prädikate (reine Verstandesbegriffe), z. B. als Substanz, gedacht werden darf, um den Satz a priori zu erkennen; im zweiten aber der empirische Begriff eines Körpers (als eines beweglichen Dinges im Raum) diesem Satze zum Grunde gelegt werden muß, alsdann aber, daß dem Körper das letztere Prädikat (der Bewegung nur durch äußere Ursache) zukomme, völlig a priori eingesehen werden kann. — So ist, wie ich soXXX gleich zeigen werde, das Prinzip der | Zweckmäßigkeit der Natur (in der Mannigfaltigkeit ihrer empirischen Gesetze) ein transzendentales Prinzip. Denn der Begriff von den Objekten, sofern sie als unter diesem Prinzip stehend gedacht werden, ist nur der reine Begriff von Gegenständen des möglichen Erfah182 rungserkennt||nisses überhaupt, und enthält nichts Empirisches. Dagegen wäre das Prinzip der praktischen Zweckmäßigkeit, die in der Idee der B e s t i m m u n g eines freien W i l l e n s gedacht werden muß, ein metaphysisches Prinzip; weil der Begriff eines Begehrungsvermögens als eines Willens doch empirisch gege-

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tanto per riflettere sulla natura riguardo alla connessione dei fenomeni in essa, connessione che è data secondo leggi empiriche. Questo concetto è inoltre del tutto diverso dalla conformità pratica al fine (dell’arte umana o anche dei costumi), sebbene sia di certo pensato in analogia con questa.

V. IL PRINCIPIO DELLA CONFORMITÀ FORMALE DELLA NATURA AL FINE

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È UN PRINCIPIO TRASCENDENTALE DELLA FORZA DI GIUDIZIO

Principio trascendentale è quello con il quale viene rappresentata la condizione universale a priori sotto la quale soltanto le cose possono diventare oggetti della nostra conoscenza in generale. Un principio si chiama invece metafisico se rappresenta la condizione a priori sotto la quale soltanto possono venire ulteriormente determinati a priori oggetti il cui concetto deve essere dato empiricamente. Così il principio della conoscenza dei corpi, come sostanze e come sostanze che mutano, è trascendentale, se con ciò si dice che il loro mutamento deve avere una causa; ma è metafisico, se con ciò si dice che il loro mutamento deve avere una causa e s t e r n a : perché nel primo caso, affinché la proposizione sia conosciuta a priori, il corpo può essere pensato solo mediante predicati ontologici (concetti puri dell’intelletto), per esempio come sostanza; mentre nel secondo caso deve essere posto a fondamento di questa proposizione il concetto empirico di un corpo (come di una cosa mobile nello spazio), ma allora si può poi scorgere interamente a priori che al corpo spetta quest’ultimo predicato (quello del movimento prodotto solo da una causa esterna). — Così, come mostrerò subito, il principio della conformità della natura al fine (nella molteplicità delle sue leggi XXX empiriche) è un principio trascendentale. Infatti il concetto degli oggetti, in quanto sono pensati come sottoposti a questo principio, è solo il concetto puro di oggetti della possibile conoscenza di esperienza in generale, e non contiene nulla di empiri- 182 co. Al contrario, il principio della conformità pratica al fine, che deve essere pensata nell’idea della d e t e r m i n a z i o n e di una v o l o n t à libera, sarebbe un principio metafisico, perché il concetto di una facoltà di desiderare, in quanto volontà, deve

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ben werden muß (nicht zu den transzendentalen Prädikaten gehört). Beide Prinzipien aber sind dennoch nicht empirisch, sondern Prinzipien a priori: weil es zur Verbindung des Prädikats mit dem empirischen Begriffe des Subjekts ihrer Urteile keiner weiteren Erfahrung bedarf, sondern jene völlig a priori eingesehen werden kann. Daß der Begriff einer Zweckmäßigkeit der Natur zu den transzendentalen Prinzipien gehöre, kann man aus den Maximen der Urteilskraft, die der Nachforschung der Natur a priori zum Grunde gelegt werden, und die dennoch auf nichts, als die Möglichkeit der Erfahrung, mithin der Erkenntnis der Natur, aber nicht bloß als Natur überhaupt, sondern als durch eine Mannigfaltigkeit besonderer Gesetze bestimmten Natur, gehen, hinreichend ersehen. — Sie kommen, als Sentenzen der metaXXXI physischen Weisheit, bei Gelegenheit mancher Re|geln, deren Notwendigkeit man nicht aus Begriffen dartun kann, im Laufe dieser Wissenschaft oft genug, aber nur zerstreut, vor. »Die Natur nimmt den kürzesten Weg (lex parsimoniae); sie tut gleichwohl keinen Sprung, weder in der Folge ihrer Veränderungen, noch der Zusammenstellung spezifisch verschiedener Formen (lex continui in natura); ihre große Mannigfaltigkeit in empirischen Gesetzen ist gleichwohl Einheit unter wenigen Prinzipien (principia praeter necessitatem non sunt multiplicanda)«; u. d. g. m. Wenn man aber von diesen Grundsätzen den Ursprung anzugeben denkt, und es auf dem psychologischen Wege versucht, so ist dies dem Sinne derselben gänzlich zuwider. Denn sie sagen nicht was geschieht, d. i. nach welcher Regel unsere Erkenntniskräfte ihr Spiel wirklich treiben, und wie geurteilt wird, sondern wie geurteilt werden soll; und da kommt diese logische objektive Notwendigkeit nicht heraus, wenn die Prinzipien bloß empirisch sind. Also ist die Zweckmäßigkeit der Natur für unsere Erkenntnisvermögen und ihren Gebrauch, welche offenbar aus ihnen hervorleuchtet, ein transzendentales Prinzip der Urteile, und bedarf also auch einer transzendentalen Deduktion, vermittelst deren der Grund, so zu urteilen, in den Erkenntnisquellen a priori aufgesucht werden muß. Wir finden nämlich in den Gründen der Möglichkeit einer XXXII Erfahrung zuerst freilich etwas Notwendiges, | || nämlich die all183 gemeinen Gesetze, ohne welche Natur überhaupt (als Gegen-

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pur essere dato empiricamente (non appartiene ai predicati trascendentali). Eppure entrambi i principi non sono tuttavia empirici, bensì sono principi a priori, perché non c’è bisogno di alcuna ulteriore esperienza per collegare il predicato con il concetto empirico del soggetto dei loro giudizi, ma quel collegamento può essere scorto interamente a priori. Che il concetto di una conformità della natura al fine appartenga ai principi trascendentali lo si può desumere a sufficienza dalle massime della forza di giudizio, le quali sono poste a priori a fondamento dell’investigazione della natura e tuttavia non riguardano altro che la possibilità dell’esperienza, e di conseguenza la possibilità della conoscenza della natura, ma non semplicemente in quanto natura in generale, bensì in quanto natura determinata da una molteplicità di leggi particolari. — Quali sentenze della sapienza metafisica20, queste mas- XXXI sime ricorrono abbastanza spesso nel corso di questa scienza, ma soltanto disseminate qua e là in occasione di alcune regole, la cui necessità non si può mostrare a partire da concetti. «La natura prende la via più breve» (lex parsimoniae); «nondimeno la natura non fa salti, né nella serie dei suoi mutamenti né nella composizione di forme specificamente diverse» (lex continui in natura); «la sua grande molteplicità nelle leggi empiriche è nondimeno una unità sotto pochi principi» (principia praeter necessitatem non sunt multiplicanda)21, e altre simili. Ma pensare di indicare l’origine di questi principi e tentare di farlo percorrendo la via psicologica è del tutto in contrasto con il loro senso. Essi infatti non dicono né ciò che accade, cioè secondo quale regola le nostre forze conoscitive conducono effettivamente il loro gioco, né come si giudica, bensì in che modo si deve giudicare; e quindi questa necessità logica oggettiva non emerge se i principi sono semplicemente empirici. Dunque la conformità della natura al fine, la quale traspare chiaramente da tali principi, è per le nostre facoltà conoscitive e per il loro uso un principio trascendentale dei giudizi e quindi ha bisogno anche di una deduzione trascendentale, per mezzo della quale deve essere ricercato a priori nelle fonti della conoscenza il fondamento di un tal modo di giudicare. Infatti noi troviamo innanzitutto nei fondamenti della possibilità di un’esperienza qualcosa di necessario, cioè le leg- XXXII 183 gi universali senza le quali non può essere pensata la natura in

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stand der Sinne) nicht gedacht werden kann; und diese beruhen auf den Kategorien, angewandt auf die formalen Bedingungen aller uns möglichen Anschauung, sofern sie gleichfalls a priori gegeben ist. Unter1 diesen Gesetzen nun2 ist die Urteilskraft bestimmend; denn sie hat nichts zu tun, als unter gegebnen Gesetzen zu subsumieren. Z. B. der Verstand sagt: Alle Veränderung hat ihre Ursache (allgemeines Naturgesetz); die transzendentale Urteilskraft hat nun nichts weiter zu tun, als die Bedingung der Subsumtion unter dem vorgelegten Verstandesbegriff a priori anzugeben: und das ist die Sukzession der Bestimmungen eines und desselben Dinges. Für die Natur nun überhaupt (als Gegenstand möglicher Erfahrung) wird jenes Gesetz als schlechterdings notwendig erkannt. — Nun sind aber die Gegenstände der empirischen Erkenntnis, außer jener formalen Zeitbedingung, noch auf mancherlei Art bestimmt, oder, so viel man a priori urteilen kann, bestimmbar, sodaß spezifisch-verschiedene Naturen, außerdem3, was sie, als zur Natur überhäupt gehörig, gemein haben, noch auf unendlich mannigfaltige Weise Ursachen sein können; und eine jede dieser Arten muß (nach dem Begriffe einer Ursache überhaupt) ihre Regel haben, die Gesetz ist, mithin Notwendigkeit bei sich führt: ob wir gleich, nach der Beschaffenheit und den Schranken unserer Erkenntnisvermögen, diese Notwendigkeit gar | nicht einsehen. Also müssen wir in der Natur, in Ansehung ihrer bloß empirischen Gesetze, eine Möglichkeit unendlich mannigfaltiger empirischer Gesetze denken, die für unsere Einsicht dennoch zufällig sind (a priori nicht erkannt werden können); und in deren Ansehung4 beurteilen wir die Natureinheit nach empirischen Gesetzen, und die Möglichkeit der Einheit der Erfahrung (als Systems nach empirischen Gesetzen), als zufällig. Weil aber doch eine solche Einheit notwendig vorausgesetzt und angenommen werden muß, da5 sonst kein durchgängiger Zusammenhang empirischer Erkenntnisse zu einem Ganzen der Erfahrung Statt finden würde, indem die allgemeinen Naturgesetze zwar einen solchen Zusammenhang unter den Dingen ihrer Gattung nach, als Naturdinge überhaupt, aber nicht spezifisch, als solche besondere Naturwesen, an die Hand geben: so muß die Urteilskraft für ihren eigenen Gebrauch es als Prinzip a priori annehmen, daß das für die menschliche Einsicht Zufällige in den besonderen (empiri-

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generale (in quanto oggetto dei sensi); e queste leggi si basano sulle categorie, applicate alle condizioni formali di ogni intuizione a noi possibile in quanto questa è ugualmente data a priori. Ebbene, sotto queste leggi, la forza di giudizio è determinante: infatti non deve fare altro che sussumere sotto leggi date. Per esempio, l’intelletto dice: ogni mutamento ha la sua causa (legge universale della natura); la forza trascendentale di giudizio non deve allora far altro che indicare a priori la condizione della sussunzione sotto il preposto concetto dell’intelletto, cioè la successione delle determinazioni di un’unica e medesima cosa. Ora, quella legge è riconosciuta come assolutamente necessaria per la natura in generale (in quanto oggetto di esperienza possibile). — Ma gli oggetti della conoscenza empirica, oltre quella condizione formale del tempo, sono ancora determinati o, per quanto se ne possa giudicare a priori, determinabili in varie maniere, cosicché nature specificamente diverse, oltre a ciò che hanno in comune in quanto appartenenti alla natura in generale, possono ancora essere cause in modi infinitamente molteplici; e ognuno di questi modi deve avere (secondo il concetto di una causa in generale) la sua regola, che è legge e quindi comporta necessità, sebbene noi, per la costituzione e i confini delle nostre facoltà conoscitive, non scorgiamo affatto tale necessità. Dobbiamo quindi pensare nella natura, riguardo alle sue leggi semplicemente empiriche, una possibilità di leggi empiriche infinitamente molteplici, che tuttavia per il nostro discernimento sono contingenti (non possono essere conosciute a priori), e riguardo alle quali valutiamo come contingenti l’unità della natura secondo leggi empiriche e la possibilità dell’unità dell’esperienza (come sistema secondo leggi empiriche). Ma siccome una tale unità deve essere necessariamente presupposta e ammessa, perché altrimenti non avrebbe luogo una connessione coerentemente completa delle conoscenze empiriche per un tutto dell’esperienza, dato che le leggi universali della natura forniscono certo una tale connessione tra le cose secondo il loro genere, in quanto cose della natura in generale, però non in modo specifico, come quegli enti particolari della natura, la forza di giudizio deve allora ammettere per il proprio uso, come principio a priori, che ciò che per il discernimento umano è contingente nelle leggi particolari (empiri-

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schen) Naturgesetzen dennoch eine, für uns zwar nicht zu || denkbare, gesetzliche Einheit, in der Verbindung ihres Mannigfaltigen zu einer an sich möglichen Erfahrung, enthalte6. Folglich, weil die gesetzliche Einheit in einer Verbindung, die wir zwar einer notwendigen Absicht (einem Bedürfnis) des Verstandes gemäß, aber zugleich doch als an sich zufällig erkennen, als Zweckmäßigkeit der Objekte (hier der | Natur) vorgestellt wird: so muß die Urteilskraft, die, in Ansehung der Dinge unter möglichen (noch zu entdeckenden) empirischen Gesetzen, bloß reflektierend ist, die Natur in Ansehung der letzteren nach einem P r i n z i p d e r Z w e c k m ä ß i g k e i t für unser Erkenntnisvermögen denken, welches dann in obigen Maximen der Urteilskraft ausgedrückt wird. Dieser transzendentale Begriff einer Zweckmäßigkeit der Natur ist nun weder ein Naturbegriff, noch ein Freiheitsbegriff, weil er gar nichts dem Objekte (der Natur) beilegt, sondern nur die einzige Art, wie wir in der Reflexion über die Gegenstände der Natur in Absicht auf eine durchgängig zusammenhängende Erfahrung verfahren müssen, vorstellt, folglich ein subjektives Prinzip (Maxime) der Urteilskraft; daher wir auch, gleich als ob es ein glücklicher unsre Absicht begünstigender Zufall wäre, erfreuet (eigentlich eines Bedürfnisses entledigt) werden, wenn wir eine solche systematische Einheit unter bloß empirischen Gesetzen antreffen7: ob wir gleich notwendig annehmen mußten, es sei eine solche Einheit, ohne daß wir sie doch einzusehen und zu beweisen vermochten. Um sich von der Richtigkeit dieser Deduktion des vorliegenden Begriffs, und der Notwendigkeit, ihn als transzendentales Erkenntnisprinzip anzunehmen, zu überzeugen, bedenke man nur die Größe der Aufgabe: aus gegebenen Wahrnehmungen einer allenfalls unendliche Mannigfaltigkeit empirischer Gesetze enthaltenden | Natur eine zusammenhängende Erfahrung zu machen, welche Aufgabe a priori in unserm Verstande liegt. Der Verstand ist zwar a priori im Besitze allgemeiner Gesetze der Natur, ohne welche sie gar kein Gegenstand einer Erfahrung sein könnte: aber er bedarf doch auch überdem noch einer gewissen Ordnung der Natur, in den besonderen Regeln derselben, die ihm nur empirisch bekannt werden können, und die in Ansehung seiner zufällig sind. Diese Regeln, ohne welche kein Fortgang von der allgemeinen Analogie einer möglichen Erfah-

184 ergründende aber doch

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che) della natura invece contenga una unità legale, per noi certo insondabile, eppure comunque pensabile, per il collega- 184 mento del suo molteplice in un’esperienza in sé possibile. Di conseguenza, poiché l’unità legale in un collegamento – che noi riconosciamo sì conforme a un intento necessario (a un bisogno) dell’intelletto, ma nello stesso tempo come in sé contingente – viene rappresentata come conformità degli oggetti (in questo caso della natura) al fine, la forza di giudizio, che XXXIV riguardo alle cose sottomesse a leggi empiriche possibili (ancora da scoprire) è semplicemente riflettente, deve pensare la natura riguardo a queste ultime secondo un principio della conformità al fine per la nostra facoltà conoscitiva, che viene poi espresso nelle massime della forza di giudizio precedentemente enunciate. Ora, questo concetto trascendentale di una conformità della natura al fine non è né un concetto della natura né un concetto della libertà, perché non conferisce assolutamente nulla all’oggetto (della natura), ma rappresenta soltanto l’unico modo in cui dobbiamo procedere nella riflessione sugli oggetti della natura con l’intento di avere un’esperienza che sia coerentemente connessa in modo completo, di conseguenza è un principio soggettivo (massima) della forza di giudizio; perciò, come se fosse un caso felice che favorisce il nostro intento, siamo anche rallegrati (più precisamente siamo sollevati da un bisogno) quando incontriamo una simile unità sistematica tra leggi semplicemente empiriche, benché dovevamo anche necessariamente ammettere che una tale unità ci fosse, senza tuttavia poterla scorgere né dimostrare. Per convincersi della esattezza di questa deduzione del concetto in questione e della necessità di assumerlo come principio trascendentale di conoscenza, si rifletta solo sull’enormità di tale compito: a partire da percezioni date di una natura che contiene una forse infinita molteplicità di leggi empiriche, XXXV fare un’esperienza coerente, compito, questo, presente a priori nel nostro intelletto. L’intelletto è sì a priori in possesso di leggi universali della natura, senza le quali essa non potrebbe affatto essere oggetto di un’esperienza; ma l’intelletto, inoltre, ha però anche bisogno di un certo ordine della natura nelle sue regole particolari, che possono diventargli note solo empiricamente e che riguardo a esso sono contingenti. Queste regole, senza le quali non avrebbe luogo alcun avanzamento dall’a-

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rung überhaupt zur besonderen Statt finden würde, muß er sich als Gesetze (d. i. als notwendig) denken: weil sie sonst keine Naturordnung ausmachen würden, ob er gleich ihre Notwendigkeit nicht erkennt, oder jemals einsehen könnte. Ob er also 185 gleich in Ansehung der||selben (Objekte) a priori nichts bestimmen kann, so muß er doch, um diesen empirischen sogenannten Gesetzen nachzugehen, ein Prinzip a priori, daß nämlich nach ihnen eine erkennbare Ordnung der Natur möglich sei, aller Reflexion über dieselbe zum Grunde legen, dergleichen Prinzip nachfolgende Sätze ausdrücken: daß es in ihr eine für uns faßliche Unterordnung von Gattungen und Arten gebe; daß jene sich einander wiederum nach einem8 gemeinschaftlichen Prinzip nähern, damit ein Übergang von einer zu der anderen, und dadurch zu einer höheren Gattung möglich sei; daß, da für die spezifische Verschiedenheit der Naturwirkungen eben so viel verXXXVI schiedene Arten der | Kausalität annehmen zu müssen unserem Verstande anfänglich unvermeidlich scheint, sie dennoch unter einer geringen Zahl von Prinzipien stehen mögen, mit deren Aufsuchung wir uns zu beschäftigen haben, u.s.w. Diese Zusammenstimmung der Natur zu unserem Erkenntnisvermögen wird von der Urteilskraft, zum Behuf ihrer Reflexion über dieselbe, nach ihren empirischen Gesetzen, a priori vorausgesetzt; indem sie der Verstand zugleich objektiv als zufällig anerkennt, und bloß die Urteilskraft sie der Natur als transzendentale Zweckmäßigkeit (in Beziehung auf das Erkenntnisvermögen des Subjekts) beilegt: weil wir, ohne diese vorauszusetzen, keine Ordnung der Natur nach empirischen Gesetzen, mithin keinen Leitfaden für eine mit diesen nach aller ihrer Mannigfaltigkeit anzustellende Erfahrung und Nachforschung derselben haben würden. Denn es läßt sich wohl denken: daß, ungeachtet aller der Gleichförmigkeit der Naturdinge nach den allgemeinen Gesetzen, ohne welche die Form eines Erfahrungserkenntnisses überhaupt gar nicht Statt finden würde, die spezifische Verschiedenheit der empirischen Gesetze der Natur, samt ihren Wirkungen, dennoch so groß sein könnte, daß es für unseren Verstand unmöglich wäre, in ihr eine faßliche Ordnung zu entdecken, ihre Produkte in Gattungen und Arten einzuteilen, um die Prinzipien der Erklärung und des Verständnisses des einen auch zur 9 XXXVII Erklärung und Begreifung des an|deren zu gebrauchen, und aus einem für uns so verworrenen (eigentlich nur unendlich

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nalogia universale di un’esperienza possibile in generale all’analogia particolare, l’intelletto deve pensarle come leggi (cioè come necessarie); perché altrimenti esse non costituirebbero alcun ordine della natura, benché l’intelletto non conosca la loro necessità né possa mai scorgerla. Sebbene l’intelletto non possa dunque determinare nulla a priori riguardo a questi (og- 185 getti), esso deve tuttavia, per ricercare queste cosiddette leggi empiriche, porre a fondamento di ogni riflessione su di esse un principio a priori secondo cui sia possibile, proprio secondo queste leggi, un ordine conoscibile della natura; e tale principio è espresso dalle seguenti proposizioni: nella natura c’è una subordinazione di generi e specie, che possiamo cogliere; i generi a loro volta si avvicinano l’un l’altro secondo un principio comune, affinché sia possibile un passaggio dall’uno all’altro e perciò a un genere superiore; poiché pare inizialmente inevitabile al nostro intelletto dover ammettere per la diversità specifica degli effetti della natura altrettante diverse specie di causa- XXXVI lità, esse tuttavia possono sottostare a un numero ridotto di principi della cui acquisizione dobbiamo occuparci, ecc. Questo accordo della natura con la nostra facoltà conoscitiva viene presupposto a priori dalla forza di giudizio in funzione della propria riflessione sulla natura secondo le sue leggi empiriche, mentre al tempo stesso l’intelletto riconosce oggettivamente questo accordo come contingente, e solo la forza di giudizio lo attribuisce alla natura come conformità trascendentale al fine (in riferimento alla facoltà conoscitiva del soggetto): perché noi, senza presupporre tale accordo, non avremmo alcun ordine della natura secondo leggi empiriche né di conseguenza alcun filo conduttore per un’esperienza da farsi con queste leggi in tutta la loro molteplicità e per una loro ricerca. Infatti si può ben pensare che, malgrado tutta l’uniformità delle cose della natura secondo le leggi universali senza le quali la forma di una conoscenza d’esperienza in generale non avrebbe affatto luogo, la diversità specifica delle leggi empiriche della natura, insieme ai loro effetti, potrebbe essere pur sempre talmente grande che per il nostro intelletto sarebbe impossibile scoprirvi un ordine coglibile, dividere i suoi prodotti in generi e specie allo scopo di usare i principi per spiegare e intendere l’uno e anche per spiegare e comprende- XXXVII re l’altro, e di fare un’esperienza coerente a partire da un ma-

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mannigfaltigen, unserer Fassungskraft nicht angemessenen) Stoffe eine zusammenhängende Erfahrung zu machen. Die Urteilskraft hat also auch ein Prinzip a priori für die Möglichkeit der Natur, aber nur in subjektiver Rücksicht, in sich, wodurch sie, nicht der Natur (als Autonomie), sondern ihr 186 selbst (als Heautonomie) || für die Reflexion über jene, ein Gesetz vorschreibt, welches man das Gesetz der Spezifika tion der Natur in Ansehung ihrer empirischen Gesetze nennen könnte, das sie a priori an ihr nicht erkennt, sondern zum Behuf einer für unseren Verstand erkennbaren Ordnung derselben in der Einteilung, die sie von ihren allgemeinen Gesetzen macht, annimmt, wenn sie diesen eine Mannigfaltigkeit der besondern unterordnen will. Wenn man also sagt: die Natur spezifiziert ihre allgemeinen Gesetze nach dem Prinzip der Zweckmäßigkeit für unser Erkenntnisvermögen, d. i. zur Angemessenheit mit dem menschlichen Verstande in seinem notwendigen Geschäfte: zum Besonderen, welches ihm die Wahrnehmung darbietet, das Allgemeine, und zum Verschiedenen (für jede Spezies zwar Allgemeinen) wiederum Verknüpfung in der Einheit des Prinzips zu finden: so schreibt man dadurch weder der Natur ein Gesetz vor, noch lernt man eines von ihr durch Beobachtung (ob zwar jenes Prinzip durch diese bestätigt werXXXVIII den kann). Denn es ist nicht ein Prinzip der | bestimmenden, sondern bloß der reflektierenden Urteilskraft; man will nur, daß man, die Natur mag ihren allgemeinen Gesetzen nach eingerichtet sein wie sie wolle, durchaus nach jenem Prinzip und den sich darauf gründenden Maximen ihren empirischen Gesetzen nachspüren müsse, weil wir, nur so weit als jenes Statt findet, mit dem Gebrauche unseres Verstandes in der Erfahrung fortkommen und Erkenntnis erwerben können.

VI. Von der Verbindung des Gefühls der Lust mit dem Begriffe der Zweckmässigkeit der Natur Die gedachte Übereinstimmung der Natur in der Mannigfaltigkeit ihrer besonderen Gesetze zu unserem Bedürfnisse, Allgemeinheit der Prinzipien für sie aufzufinden, muß, nach

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teriale per noi così confuso (propriamente solo infinitamente molteplice, non adeguato alla nostra capacità di coglierlo). La forza di giudizio ha dunque anch’essa in sé, ma solo da un punto di vista soggettivo, un principio a priori per la possibilità della natura con il quale essa prescrive non alla natura (in quanto autonomia), ma a se stessa (in quanto eautonomia)22 una legge per la riflessione sulla natura che si potrebbe 186 chiamare la l e g g e d e l l a s p e c i f i c a z i o n e d e l l a n a t u r a riguardo alle sue leggi empiriche; una legge che la forza di giudizio non conosce a priori nella natura, ma che ammette, in funzione di un ordine della natura conoscibile per il nostro intelletto, nella divisione che essa opera delle leggi universali della natura, quando vuole subordinare a queste una molteplicità di leggi particolari. Quando dunque si dice che la natura specifica le sue leggi universali secondo il principio della conformità al fine per la nostra facoltà conoscitiva, vale a dire in vista dell’adeguazione all’intelletto umano nel suo necessario ufficio, che è quello di trovare l’universale per il particolare offertogli dalla percezione, e inoltre una connessione nell’unità del principio per il diverso (che è di certo universale per ogni specie), con questo né si prescrive una legge alla natura né se ne apprende una da essa con l’osservazione (benché quel principio possa venire confermato da questa). Infatti è un principio non della forza determinante di XXXVIII giudizio, ma solo di quella riflettente; si vuole soltanto che, comunque sia strutturata la natura secondo le sue leggi universali, le leggi empiriche della natura siano senz’altro rinvenute solo secondo quel principio e le massime che si fondano su di esso, perché solo nella misura in cui interviene tale principio possiamo, con l’uso del nostro intelletto, progredire nell’esperienza e acquisire conoscenza.

VI. DEL COLLEGAMENTO DEL SENTIMENTO DEL PIACERE CON IL CONCETTO DELLA CONFORMITÀ DELLA NATURA AL FINE

Il suddetto accordo della natura nella molteplicità delle sue leggi particolari con il nostro bisogno di trovare per essa una universalità di principi deve venire giudicato, stando a tutto il

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aller unserer Einsicht, als zufällig beurteilt werden, gleichwohl aber doch, für unser Verstandesbedürfnis, als1 unentbehrlich, mithin als Zweckmäßigkeit, wodurch2 die Natur mit unserer, aber nur auf Erkenntnis gerichteten, Absicht übereinstimmt. — Die allgemeinen Gesetze des Verstandes, welche zugleich Gesetze der Natur sind, sind derselben eben so notwendig (obgleich aus Spontaneität entsprungen), als die Bewegungsgesetze der Materie; und ihre Erzeugung setzt keine Absicht mit unseren Erkenntnisvermögen voraus, weil wir nur durch dieselben XXXIX von dem, was Erkenntnis der | Dinge (der Natur) sei, zu||erst 187 einen Begriff erhalten, und sie der Natur, als Objekt unserer Erkenntnis überhaupt, notwendig zukommen. Allein, daß die Ordnung der Natur nach ihren besonderen Gesetzen, bei aller unsere Fassungskraft übersteigenden wenigstens möglichen Mannigfaltigkeit und Ungleichartigkeit, doch dieser wirklich angemessen sei, ist, so viel wir einsehen können, zufällig; und die Auffindung derselben ist ein Geschäft des Verstandes, welches mit Absicht zu einem notwendigen Zwecke desselben, nämlich Einheit der Prinzipien in sie hineinzubringen, geführt wird: welchen Zweck dann die Urteilskraft der Natur beilegen muß, weil der Verstand ihr hierüber kein Gesetz vorschreiben kann. Die Erreichung jeder3 Absicht ist mit dem Gefühle der Lust verbunden; und, ist die Bedingung der erstern eine Vorstellung a priori, wie hier ein Prinzip für die reflektierende Urteilskraft überhaupt, so ist das Gefühl der Lust auch durch einen Grund a priori und für jedermann gültig bestimmt; und zwar bloß durch die Beziehung des Objekts auf das Erkenntnisvermögen, ohne daß der Begriff der Zweckmäßigkeit hier im mindesten auf das Begehrungsvermögen Rücksicht nimmt, und sich also von aller praktischen Zweckmäßigkeit der Natur gänzlich unterscheidet. In der Tat, da wir von dem Zusammentreffen der Wahrnehmungen mit den Gesetzen nach allgemeinen Naturbegriffen XL (den Kategorien) nicht die mindeste | Wirkung auf das Gefühl der Lust in uns antreffen, auch nicht antreffen können, weil der Verstand damit unabsichtlich nach seiner Natur notwendig verfährt: so ist andrerseits die entdeckte Vereinbarkeit zweier oder mehrerer empirischen heterogenen Naturgesetze unter einem

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nostro discernimento, come contingente, ma nondimeno come indispensabile per il bisogno del nostro intelletto, e quindi come conformità al fine per cui la natura si accorda con il nostro intento, però solo in quanto rivolto alla conoscenza. — Le leggi universali dell’intelletto, che sono al tempo stesso leggi della natura, sono per quest’ultima altrettanto necessarie (sebbene siano originate dalla spontaneità) quanto le leggi del movimento della materia; e la loro generazione non presuppone alcun intento nelle nostre facoltà conoscitive, perché solo mediante tali leggi cominciamo a ottenere un concetto di che cosa sia la conoscenza delle cose (della natura) ed esse compe- XXXIX tono necessariamente alla natura in quanto oggetto della nostra 187 conoscenza in generale. Ma che l’ordine della natura secondo le sue leggi particolari, le quali, in tutta la loro molteplicità ed eterogeneità almeno possibili, superano ogni nostra forza di comprensione, sia tuttavia effettivamente adeguato a essa è, per quel che possiamo discernere, contingente; e il rinvenimento di tale ordine è un compito dell’intelletto, che viene eseguito con l’intento di raggiungere un suo fine necessario, cioè quello di introdurre nella natura un’unità dei principi; un fine, questo, che la forza di giudizio deve poi attribuire alla natura, perché l’intelletto non le può prescrivere alcuna legge al riguardo. Il raggiungimento di ogni intento è collegato al sentimento del piacere e, se la condizione del primo è una rappresentazione a priori, come qui un principio per la forza riflettente di giudizio in generale, allora anche il sentimento del piacere è determinato da un fondamento a priori e in modo valido per ciascuno; e precisamente è determinato solo dal riferimento dell’oggetto alla facoltà di conoscere, senza che qui il concetto della conformità al fine riguardi minimamente la facoltà di desiderare, distinguendosi quindi interamente da ogni conformità pratica della natura al fine. Di fatto, mentre in noi non riscontriamo, e neppure possiamo riscontrare, il minimo effetto sul sentimento del piacere a partire dalla concordanza delle percezioni con le leggi secondo concetti universali della natura (le categorie), poiché XL in ciò l’intelletto procede necessariamente in modo inintenzionale, secondo la propria natura, al contrario la scoperta unificabilità di due o più leggi empiriche eterogenee della natura sotto un solo principio che le comprende entrambe è

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sie beide befassenden Prinzip der Grund einer sehr merklichen Lust, oft sogar einer Bewunderung, selbst einer solchen, die nicht aufhört, ob man schon mit dem Gegenstande derselben genug bekannt ist. Zwar spüren wir an der Faßlichkeit der Natur, und ihrer Einheit der Abteilung4 in Gattungen und Arten, wodurch allein empirische Begriffe möglich sind, durch welche wir sie nach ihren besonderen Gesetzen erkennen, keine merkliche Lust mehr: aber sie ist gewiß zu ihrer Zeit gewesen, und nur weil die gemeinste Erfahrung ohne sie nicht möglich sein würde, ist sie allmählich mit dem bloßen Erkenntnisse vermischt, und nicht mehr besonders bemerkt worden. — Es gehört also etwas, das5 in der Beurteilung der Natur auf die Zweckmäßigkeit derselben für unsern Verstand aufmerksam macht, ein Studium: ungleichartige Gesetze derselben, wo möglich, unter höhere, obwohl immer noch empirische, zu bringen, dazu, || 188 um, wenn es gelingt, an dieser Einstimmung derselben für unser Erkenntnisvermögen, die wir als bloß zufällig ansehen, Lust zu empfinden. Dagegen würde uns eine Vorstellung der Natur durchaus mißfallen, durch welche man uns voraus sagte6, daß, XLI bei der min|desten Nachforschung über die gemeinste Erfahrung hinaus, wir auf eine Heterogeneität7 ihrer Gesetze stoßen würden, welche8 die Vereinigung ihrer besonderen Gesetze unter allgemeinen empirischen für unseren Verstand unmöglich machte; weil dies9 dem Prinzip der subjektiv-zweckmäßigen Spezifikation der Natur in ihren Gattungen, und unserer reflektierenden Urteilskraft in der Absicht der letzteren, widerstreitet. Diese Voraussetzung der Urteilskraft ist gleichwohl darüber so unbestimmt: wie weit jene idealische Zweckmäßigkeit der Natur für unser Erkenntnisvermögen ausgedehnt werden solle, daß, wenn man uns sagt, eine tiefere oder ausgebreitetere Kenntnis der Natur durch Beobachtung müsse zuletzt auf eine Mannigfaltigkeit von Gesetzen stoßen, die kein menschlicher Verstand auf ein Prinzip zurückführen kann, wir es auch zufrieden sind, ob wir es gleich lieber hören, wenn andere uns Hoffnung geben: daß, je mehr wir die Natur im Inneren kennen würden, oder mit äußeren uns für jetzt unbekannten Gliedern vergleichen könnten, wir sie in ihren Prinzipien um desto einfacher, und, bei der scheinbaren Heterogeneität ihrer empirischen

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il fondamento di un piacere assai rilevante, spesso perfino di un’ammirazione, addirittura di un’ammirazione tale che non cessa anche quando il suo oggetto ci è abbastanza noto. Certamente noi non proviamo più un piacere avvertibile nell’afferrabilità della natura e nella sua unità dell’articolazione in generi e specie per cui soltanto sono possibili concetti empirici mediante i quali noi la conosciamo secondo le sue leggi particolari; ma senz’altro questo piacere c’è stato a suo tempo, e solo perché senza di esso non sarebbe possibile la più comune esperienza è andato gradualmente confondendosi con la semplice conoscenza e non è più stato particolarmente notato. — Occorre dunque qualcosa che, nella valutazione della natura, renda attenti alla sua conformità al fine nei confronti del nostro intelletto; occorre cioè uno studio che consiste nel ricondurre, quando è possibile, leggi eterogenee della natura sotto leggi superiori, per quanto pur sempre empiriche, così da provare piacere, se ciò riesce, in questo accordo della 188 natura con la nostra facoltà di conoscere, accordo che noi consideriamo come semplicemente contingente. Al contrario, ci dispiacerebbe senz’altro una rappresentazione della natura con la quale ci si predicesse che, con la minima indagine che XLI andasse al di là della più comune esperienza, ci imbatteremmo in un’eterogeneità delle leggi della natura che renderebbe impossibile al nostro intelletto l’unificazione delle sue leggi particolari sotto leggi empiriche universali; questo perché ciò contrasta con il principio, soggettivamente conforme al fine, della specificazione della natura nei suoi generi e con la nostra forza riflettente di giudizio nel suo intento riguardante questi ultimi. Tuttavia questa presupposizione della forza di giudizio è talmente indeterminata su quanto debba estendersi quella conformità ideale della natura al fine per la nostra facoltà di conoscere, che, se ci viene detto che una più profonda o più vasta cognizione della natura mediante l’osservazione deve alla fine imbattersi in una molteplicità di leggi che nessun intelletto umano può ricondurre a un principio, noi siamo comunque contenti; anche se ascoltiamo più volentieri chi ci dà speranza che, quanto più conoscessimo la natura nel suo intimo o la potessimo confrontare con membri esterni finora a noi sconosciuti, la trovereremmo tanto più semplice nei suoi principi e unitaria nell’apparente eterogeneità delle sue

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Gesetze, einhelliger finden würden, je weiter unsere Erfahrung fortschritte. Denn es ist ein Geheiß unserer Urteilskraft, nach dem Prinzip der Angemessenheit der Natur zu unserem Erkenntnisvermögen zu verfahren, so weit es reicht, ohne (weil es keine bestimmende Urteilskraft ist, die uns diese Regel gibt) | auszumachen, ob es irgendwo seine Grenzen habe, oder nicht; weil wir zwar in Ansehung des rationalen Gebrauchs unserer Erkenntnisvermögen Grenzen bestimmen können, im empirischen Felde aber keine Grenzbestimmung möglich ist.

VII. Von der ästhetischen Vorstellung der Zweckmässigkeit der Natur Was an der Vorstellung eines Objekts bloß subjektiv ist, d. i. ihre Beziehung auf das Subjekt, nicht auf den Gegenstand ausmacht, ist die ästhetische Beschaffenheit derselben; was aber an 189 ihr zur Bestimmung || des Gegenstandes (zum Erkenntnisse) dient, oder gebraucht werden kann, ist ihre logische Gültigkeit. In dem Erkenntnisse eines Gegenstandes der Sinne kommen beide Beziehungen zusammen vor. In der Sinnenvorstellung der Dinge außer mir ist die Qualität des Raums, worin1 wir sie anschauen, das bloß Subjektive meiner Vorstellung derselben (wodurch2, was sie als Objekte an sich sein mögen3, unausgemacht bleibt), um welcher Beziehung willen der Gegenstand auch dadurch bloß als Erscheinung gedacht wird; der Raum ist aber, seiner bloß subjektiven Qualität ungeachtet, gleichwohl doch ein Erkenntnisstück der Dinge als Erscheinungen. E m p f i n d u n g (hier die äußere) drückt eben sowohl das bloß SubXLIII jektive unserer Vorstellun|gen der Dinge außer uns aus, aber eigentlich das Materielle (Reale) derselben (wodurch etwas Existierendes gegeben wird), so wie der Raum die bloße Form a priori der Möglichkeit ihrer Anschauung; und gleichwohl wird jene auch zum Erkenntnis der Objekte außer uns gebraucht. Dasjenige Subjektive aber an einer Vorstellung, w a s g a r k e i n E r k e n n t n i s s t ü c k w e r d e n k a n n , ist die mit ihr verbundene L u s t oder U n l u s t ; denn durch sie erkenne ich

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leggi empiriche e tanto più concorde quanto più procedesse la nostra esperienza. È infatti un’ingiunzione della nostra forza di giudizio che si proceda secondo il principio dell’adeguatezza della natura alla nostra facoltà di conoscere, fin dove essa arriva, senza che si stabilisca (dato che non è una forza determinante di giudizio quella che ci dà questa regola) se da qualche parte tale principio abbia o no dei limiti; perché noi possiamo sì determinare dei limiti riguardo all’uso razionale delle nostre facoltà conoscitive, ma nel campo empirico non è possibile alcuna determinazione di limiti.

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VII. DELLA RAPPRESENTAZIONE ESTETICA DELLA CONFORMITÀ DELLA NATURA AL FINE

Ciò che nella rappresentazione di un oggetto è meramente soggettivo, vale a dire ciò che costituisce il suo riferimento al soggetto, non all’oggetto, è la sua proprietà estetica; ciò invece che in essa serve o può essere usato per la determinazione dell’oggetto (per la conoscenza) è la sua validità logica. Nella 189 conoscenza di un oggetto dei sensi si presentano insieme entrambi i riferimenti. Nella rappresentazione sensibile delle cose fuori di me, la qualità dello spazio nel quale le intuiamo è ciò che è semplicemente soggettivo della mia rappresentazione delle cose (per cui resta indeciso ciò che esse possano essere come oggetti in sé), ed è appunto a causa di tale riferimento che l’oggetto è pensato semplicemente come fenomeno; ma lo spazio, malgrado la sua qualità semplicemente soggettiva, è pur sempre un elemento della conoscenza delle cose in quanto fenomeni. La s e n s a z i o n e (in questo caso quella esterna) esprime allo stesso modo ciò che è semplicemente soggettivo delle nostre rappresentazioni delle cose XLIII fuori di noi, ma più propriamente ciò che è materiale (reale) di queste cose (con cui è dato qualcosa di esistente), così come lo spazio esprime la semplice forma a priori della possibilità della loro intuizione; e tuttavia la sensazione viene usata anche per la conoscenza degli oggetti fuori di noi. Ma quel che c’è di soggettivo in una rappresentazione e che non può affatto diventare un elemento di c o n o s c e n z a con essa collegato è il p i a c e r e o d i s p i a -

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nichts an dem Gegenstande der Vorstellung, obgleich sie wohl die Wirkung irgend einer Erkenntnis sein kann. Nun ist die Zweckmäßigkeit eines Dinges, sofern sie in der Wahrnehmung vorgestellt wird, auch keine Beschaffenheit des Objekts selbst (denn eine solche kann nicht wahrgenommen werden), ob sie gleich aus einem Erkenntnisse der Dinge gefolgert werden kann. Die Zweckmäßigkeit also, die vor dem Erkenntnisse eines Objekts vorhergeht, ja sogar, ohne4 die Vorstellung desselben zu einem Erkenntnis brauchen zu wollen, gleichwohl mit ihr unmittelbar verbunden wird, ist das Subjektive derselben, was gar kein Erkenntnisstück werden kann. Also wird der Gegenstand alsdann nur darum zweckmäßig genannt, weil seine Vorstellung unmittelbar mit dem Gefühle der Lust verbunden ist; und diese Vorstellung selbst ist eine ästhetische Vorstellung der Zweck-| XLIV mäßigkeit. — Es fragt sich nur, ob es überhaupt eine solche Vorstellung der Zweckmäßigkeit gebe. Wenn mit der bloßen Auffassung (apprehensio) der Form eines Gegenstandes der Anschauung, ohne Beziehung derselben auf einen Begriff zu einem bestimmten Erkenntnis, Lust verbunden ist: so wird die Vorstellung dadurch nicht auf das Objekt, sondern lediglich auf das Subjekt bezogen; und die Lust kann nichts anders als die Angemessenheit desselben zu den 190 Erkenntnisvermögen, die in der reflektierenden Urteils||kraft im Spiel sind, und sofern sie darin sind, also bloß eine subjektive formale Zweckmäßigkeit des Objekts ausdrücken. Denn jene Auffassung der Formen in die Einbildungskraft kann niemals geschehen, ohne daß die reflektierende Urteilskraft, auch unabsichtlich, sie wenigstens mit ihrem Vermögen, Anschauungen auf Begriffe zu beziehen, vergliche. Wenn nun in dieser Vergleichung die Einbildungskraft (als Vermögen der Anschauungen a priori) zum Verstande, als Vermögen der Begriffe, durch eine gegebene Vorstellung unabsichtlich in Einstimmung versetzt und dadurch ein Gefühl der Lust erweckt wird, so muß der Gegenstand alsdann als zweckmäßig für die reflektierende Urteilskraft angesehen werden. Ein solches Urteil ist ein ästhetisches Urteil über die Zweckmäßigkeit des Objekts, welches sich auf keinem vorhandenen Begriffe vom Gegenstande gründet, und keinen von ihm verschafft. Wessen Gegenstandes Form5 XLV (nicht das | Materielle seiner Vorstellung, als Empfindung) in

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c e r e ; questo perché mediante il piacere io non conosco nulla nell’oggetto della rappresentazione, benché esso possa certamente essere l’effetto di una qualche conoscenza. Ora, neanche la conformità di una cosa al fine, in quanto tale conformità al fine è rappresentata nella percezione, è una proprietà dell’oggetto stesso (dato che una tale proprietà non può essere percepita), sebbene possa essere derivata da una conoscenza delle cose. Dunque la conformità al fine che precede la conoscenza di un oggetto, e che pur senza voler usare la rappresentazione di tale oggetto in vista di una conoscenza, è tuttavia collegata immediatamente con essa, è ciò che è soggettivo della rappresentazione e che non può affatto diventare un elemento della conoscenza. In tal caso l’oggetto viene pertanto chiamato conforme al fine solo perché la sua rappresentazione è collegata immediatamente con il sentimento del piacere; e questa rappresentazione stessa è una rappresentazione estetica della conformità al fine. — Ci si chiede soltanto se ci sia XLIV in generale una tale rappresentazione della conformità al fine. Quando con la semplice apprensione (apprehensio) della forma di un oggetto dell’intuizione, senza che questa si riferisca a un concetto in vista di una conoscenza determinata, è collegato un piacere, allora la rappresentazione viene così riferita non all’oggetto, ma esclusivamente al soggetto; e il piacere non può esprimere nient’altro che l’adeguatezza dell’oggetto alle facoltà conoscitive che sono in gioco nella forza 190 riflettente di giudizio, e, in quanto esse vi sono in gioco, può esprimere quindi semplicemente una conformità formale soggettiva dell’oggetto al fine. Infatti quell’apprensione delle forme nella forza di immaginazione non può mai accadere senza che la forza riflettente di giudizio almeno la confronti, pur inintenzionalmente, con la sua facoltà di riferire intuizioni a concetti. Se ora, in questo confronto, la forza di immaginazione (come facoltà delle intuizioni a priori) viene messa inintenzionalmente in accordo, mediante una rappresentazione data, con l’intelletto, come facoltà dei concetti, e con ciò viene suscitato un sentimento di piacere, allora l’oggetto deve essere considerato come conforme al fine per la forza riflettente di giudizio. Un tale giudizio è un giudizio estetico sulla conformità dell’oggetto al fine, giudizio che non si fonda su alcun concetto già dato dell’oggetto né ne procura alcuno. Quando viene valutata la forma di tale oggetto (non ciò che è materiale XLV

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der bloßen Reflexion über dieselbe (ohne Absicht auf einen von ihm zu erwerbenden Begriff) als der Grund einer Lust an der Vorstellung eines solchen Objekts beurteilt wird: mit dessen Vorstellung wird diese Lust auch als notwendig verbunden geurteilt, folglich als nicht bloß für das Subjekt, welches diese Form auffaßt, sondern für jeden Urteilenden überhaupt. Der Gegenstand heißt alsdann schön; und das Vermögen, durch eine solche Lust (folglich auch allgemeingültig) zu urteilen, der Geschmack. Denn da der Grund der Lust bloß in der Form des Gegenstandes für die Reflexion überhaupt, mithin in keiner Empfindung des Gegenstandes, und auch ohne Beziehung auf einen Begriff, der irgend eine Absicht enthielte, gesetzt wird: so ist es allein die Gesetzmäßigkeit im empirischen Gebrauche der Urteilskraft überhaupt (Einheit der Einbildungskraft mit dem Verstande) in dem Subjekte, mit der die Vorstellung des Objekts in der Reflexion, deren Bedingungen a priori allgemein gelten, zusammen stimmt; und da diese Zusammenstimmung des Gegenstandes mit den Vermögen des Subjekts zufällig ist, so bewirkt sie die Vorstellung einer Zweckmäßigkeit desselben in Ansehung der Erkenntnisvermögen des Subjekts. Hier ist nun eine Lust, die, wie alle Lust oder Unlust, welche nicht durch den Freiheitsbegriff (d. i. durch die vorhergeXLVI hende Bestimmung des oberen Begehrungsver|mögens durch reine Vernunft) gewirkt wird, niemals aus Begriffen, als mit der Vorstellung eines Gegenstandes notwendig verbunden, eingese191 hen werden kann, sondern jederzeit nur durch || reflektierte Wahrnehmung als mit dieser verknüpft erkannt werden muß, folglich, wie alle empirische Urteile, keine objektive Notwendigkeit ankündigen und auf Gültigkeit a priori Anspruch machen kann. Aber, das Geschmacksurteil macht auch nur Anspruch, wie jedes andere empirische Urteil, für jedermann zu gelten, welches, ungeachtet der inneren Zufälligkeit desselben, immer möglich ist. Das Befremdende und Abweichende liegt nur darin: daß es nicht ein empirischer Begriff, sondern ein Gefühl der Lust (folglich gar kein Begriff) ist, welches doch durch das Geschmacksurteil, gleich als ob es ein mit dem Erkenntnisse des Objekts verbundenes Prädikat wäre, jedermann zugemutet und mit der Vorstellung desselben verknüpft werden soll.

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della sua rappresentazione, in quanto sensazione), nella semplice riflessione sulla forma (senza l’intento di acquisire un concetto dell’oggetto) come il fondamento di un piacere per la rappresentazione di un tale oggetto, allora questo piacere viene giudicato anche come collegato necessariamente con la sua rappresentazione, di conseguenza non solo per il soggetto che apprende questa forma, ma in generale per chiunque giudichi. L’oggetto si chiama allora bello e la facoltà di giudicare mediante un tale piacere (quindi anche in modo universalmente valido) si chiama gusto. Poiché infatti il fondamento del piacere è posto semplicemente nella forma dell’oggetto per la riflessione in generale, quindi non in una sensazione dell’oggetto e senza alcun riferimento a un concetto che contenga un qualche intento: così allora ciò che si accorda con la rappresentazione dell’oggetto nella riflessione, le cui condizioni valgono universalmente a priori, è solo la conformità, nel soggetto, alla legge nell’uso empirico della forza di giudizio in generale (unità della forza di immaginazione con l’intelletto) nel soggetto; e poiché questo concordare dell’oggetto con le facoltà del soggetto è contingente, essa produce la rappresentazione di una conformità dell’oggetto stesso al fine riguardo alle facoltà conoscitive del soggetto. Ecco qui allora un piacere che, come ogni piacere o dispiacere che non sia prodotto dal concetto della libertà (vale a dire, mediante la previa determinazione della facoltà di de- XLVI siderare superiore per mezzo della ragione pura), non si può mai discernere, muovendo da concetti, come necessariamente collegato con la rappresentazione di un oggetto, ma deve essere sempre riconosciuto come connesso con tale rappresenta- 191 zione solo mediante la percezione riflessa; di conseguenza, come tutti i giudizi empirici, il piacere non può proclamare alcuna necessità oggettiva né avanzare la pretesa a una validità a priori. Ma il giudizio di gusto, come ogni altro giudizio empirico, avanza soltanto la pretesa di valere per ciascuno, la qual cosa, malgrado la sua intrinseca contingenza, è sempre possibile. L’aspetto strano e anomalo consiste solo nel fatto che non è un concetto empirico, ma un sentimento di piacere (quindi assolutamente nessun concetto), che, mediante il giudizio di gusto, deve essere attribuito a ciascuno, come se fosse un predicato collegato alla conoscenza dell’oggetto, e deve essere connesso con la rappresentazione dell’oggetto stesso.

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Ein einzelnes Erfahrungsurteil, z. B. von dem, der in einem Bergkristall einen beweglichen Tropfen Wasser wahrnimmt, verlangt mit Recht, daß ein jeder andere es eben so finden müsse, weil er dieses Urteil, nach den allgemeinen Bedingungen der bestimmenden Urteilskraft, unter den Gesetzen einer möglichen Erfahrung überhaupt gefället hat. Eben so macht derjenige, welcher in der bloßen Reflexion über die Form eines Gegenstandes, ohne Rücksicht auf einen Begriff, Lust empfin6 XLVII det, ob zwar | dieses Urteil empirisch und einzelnes Urteil ist, mit Recht Anspruch auf jedermanns Beistimmung; weil der Grund zu dieser Lust in der allgemeinen obzwar subjektiven Bedingung der reflektierenden Urteile, nämlich der zweckmäßigen Übereinstimmung eines Gegenstandes (er sei Produkt der Natur oder der Kunst) mit dem Verhältnis der Erkenntnisvermögen unter sich, die zu jedem empirischen Erkenntnis erfordert werden7 (der Einbildungskraft und des Verstandes), angetroffen wird. Die Lust ist also im Geschmacksurteile zwar von einer empirischen Vorstellung abhängig, und kann a priori mit keinem Begriffe verbunden werden (man kann a priori nicht bestimmen, welcher Gegenstand dem Geschmacke gemäß sein werde, oder nicht, man muß ihn versuchen); aber sie ist doch der Bestimmungsgrund dieses Urteils nur dadurch, daß man sich bewußt ist, sie beruhe bloß auf der Reflexion und den allgemeinen, obwohl nur subjektiven, Bedingungen der Übereinstimmung derselben zum Erkenntnis der Objekte überhaupt, für welche die Form des Objekts zweckmäßig ist. Das ist die Ursache, warum die Urteile des Geschmacks ihrer Möglichkeit nach, weil diese ein Prinzip a priori voraussetzt, auch einer Kritik unterworfen sind, obgleich dieses Prin192 zip weder ein Erkenntnisprinzip || für den Verstand, noch ein praktisches für den Willen, und also a priori gar nicht bestimmend ist. | XLVIII Die Empfänglichkeit einer Lust aus der Reflexion über die Formen der Sachen (der Natur sowohl als der Kunst) bezeichnet aber nicht allein eine Zweckmäßigkeit der Objekte in Verhältnis auf die reflektierende Urteilskraft, gemäß dem Naturbegriffe, am Subjekt, sondern auch umgekehrt des Subjekts in Ansehung der Gegenstände ihrer Form, ja selbst ihrer Unform nach, zufolge dem Freiheitsbegriffe; und dadurch geschieht es: daß das ästhetische Urteil, nicht bloß, als Geschmacksurteil, auf

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Un giudizio singolare di esperienza, per esempio quello di chi in un cristallo di rocca percepisce una goccia d’acqua mobile, esige a buon diritto che ogni altro debba riscontrare la stessa cosa, perché egli ha formulato tale giudizio secondo le condizioni universali della forza determinante di giudizio, sotto le leggi di una esperienza possibile in generale. Allo stesso modo avanza legittimamente la pretesa al consenso da parte di ciascuno colui che sente piacere nella semplice riflessione sulla forma di un oggetto, senza riguardo a un concetto, sebbene questo giudizio sia un giudizio empirico e singolare; XLVII perché il fondamento per questo piacere viene ritrovato nella condizione universale, benché soggettiva, dei giudizi riflettenti, cioè nell’accordo conforme al fine di un oggetto (si tratti di un prodotto della natura o dell’arte) con il rapporto delle facoltà conoscitive tra loro (della forza di immaginazione e dell’intelletto), che sono richieste per ogni conoscenza empirica. Pertanto il piacere nel giudizio di gusto è sì dipendente da una rappresentazione empirica e non può essere collegato a priori con alcun concetto (non si può determinare a priori quale oggetto sarà conforme al gusto oppure no: bisogna sperimentarlo), ma il piacere è tuttavia il principio di determinazione di questo giudizio solo perché si è consapevoli che esso riposa semplicemente sulla riflessione e sulle condizioni universali, benché solamente soggettive, dell’accordo – per il quale la forma dell’oggetto è conforme al fine – della riflessione con una conoscenza degli oggetti in generale. Questa è la causa per cui i giudizi di gusto sono sottoposti anche a una critica per quanto riguarda la loro possibilità, poiché questa presuppone un principio a priori, benché questo principio non sia né un principio conoscitivo per l’intel- 192 letto, né un principio pratico per la volontà, e quindi assolutamente non sia determinante a priori. La ricettività di un piacere proveniente dalla riflessione sulle XLVIII forme delle cose (della natura come pure dell’arte) non designa però soltanto una conformità degli oggetti al fine in rapporto alla forza riflettente di giudizio, conformemente al concetto della natura, nel soggetto, bensì viceversa anche una conformità del soggetto al fine riguardo agli oggetti, secondo la loro forma, anzi persino secondo la loro assenza di forma, in virtù del concetto della libertà; e perciò accade che il giudizio estetico23 venga rife-

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das Schöne, sondern auch, als aus einem Geistesgefühl entsprungenes8, auf das E r h a b e n e bezogen wird 9, und so jene Kritik der ästhetischen Urteilskraft in zwei diesen gemäße Hauptteile zerfallen muß.

VIII. Von der logischen Vorstellung der Zweckmässigkeit der Natur An einem in der Erfahrung gegebenen Gegenstande kann Zweckmäßigkeit vorgestellt werden: entweder aus einem bloß subjektiven Grunde, als Übereinstimmung seiner Form, in der A u f f a s s u n g (apprehensio) desselben vor allem Begriffe, mit den Erkenntnisvermögen, um die Anschauung mit Begriffen zu einem Erkenntnis überhaupt zu vereinigen; oder aus einem objektiven, als Übereinstimmung seiner Form mit der Möglichkeit des Dinges selbst, nach einem Begriffe von ihm, der | XLIX vorhergeht und den Grund dieser Form enthält. Wir haben gesehen: daß die Vorstellung der Zweckmäßigkeit der ersteren Art auf der unmittelbaren Lust an der Form des Gegenstandes in der bloßen Reflexion über sie beruhe; die also von der Zweckmäßigkeit der zweiten Art, da sie die Form des Objekts nicht auf die Erkenntnisvermögen des Subjekts in der Auffassung derselben, sondern auf ein bestimmtes Erkenntnis des Gegenstandes unter einem gegebenen Begriffe bezieht, hat nichts mit einem Gefühle der Lust an den Dingen, sondern mit dem Verstande in Beurteilung derselben zu tun. Wenn der Begriff von einem Gegenstande gegeben ist, so besteht das Geschäft der Urteilskraft im Gebrauche desselben zum Erkenntnis in der D a r s t e l l u n g (exhibitio), d. i. darin, dem Begriffe eine korrespondierende Anschauung zur Seite zu stellen: es sei, daß dieses durch unsere eigene Einbildungskraft geschehe, wie in der 193 Kunst, || wenn wir einen vorhergefaßten Begriff von einem Gegenstande, der für uns Zweck ist, realisieren, oder durch die Natur, in der Technik derselben (wie bei organisierten Körpern), wenn wir ihr unseren Begriff vom Zweck zur Beurteilung ihres Produkts unterlegen; in welchem Falle nicht bloß Z w e c k m ä ß i g k e i t der Natur in der Form des Dinges, sondern dieses ihr Produkt als N a t u r z w e c k vorgestellt wird. —

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rito non solo, come giudizio di gusto, al bello, ma anche, in quanto scaturito da un sentimento dello spirito, al s u b l i m e , e che quindi la critica della forza estetica di giudizio debba articolarsi in due parti principali corrispondenti a questi due giudizi. VIII. DELLA RAPPRESENTAZIONE LOGICA DELLA CONFORMITÀ DELLA NATURA AL FINE

In un oggetto dato nell’esperienza la conformità al fine può essere rappresentata o a partire da un fondamento semplicemente soggettivo, come accordo della sua forma, nell’apprensione (apprehensio) di esso prima di ogni concetto, con le facoltà conoscitive, in modo da unificare intuizione e concetti per una conoscenza in generale; oppure a partire da un fondamento oggettivo, come accordo della sua forma con la possibilità della cosa stessa, secondo un concetto di questa che pre- XLIX cede e contiene il fondamento di tale forma. Abbiamo visto che la rappresentazione della conformità al fine della prima specie si basa sul piacere immediato per la forma dell’oggetto nella semplice riflessione sulla forma stessa; dunque la rappresentazione della conformità al fine della seconda specie, poiché essa riferisce la forma dell’oggetto non alle facoltà conoscitive del soggetto nell’apprensione di questa forma, ma a una conoscenza determinata dell’oggetto sotto un concetto dato, non ha nulla a che fare con un sentimento del piacere per le cose, ma ha a che fare con l’intelletto nella valutazione delle stesse. Se il concetto di un oggetto è dato, il compito della forza di giudizio, nell’uso di questo concetto per la conoscenza, consiste allora nella esi bi zio ne (exhibitio), cioè nel porre a fianco del concetto un’intuizione corrispondente: sia che ciò accada mediante la nostra forza di immaginazione, come nell’arte, quan- 193 do realizziamo un concetto concepito precedentemente di un oggetto, che per noi è un fine, o che avvenga mediante la natura nella sua tecnica (come nei corpi organizzati), quando noi, per valutare il suo prodotto, le attribuiamo un nostro concetto di fine; nel qual caso non viene rappresentata una conformità della natura al fine nella forma della cosa, ma il suo stesso prodotto è rappresentato come fine naturale. —

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Obzwar unser Begriff von einer subjektiven Zweckmäßigkeit der Natur in ihren Formen, nach empirischen Gesetzen, gar L kein Begriff vom Objekt | ist, sondern nur ein Prinzip der Urteilskraft, sich in dieser ihrer übergroßen Mannigfaltigkeit Begriffe zu verschaffen (in ihr orientieren zu können): so legen wir ihr doch hiedurch gleichsam eine Rücksicht auf unser Erkenntnisvermögen nach der Analogie eines Zwecks bei; und so können wir die N a t u r s c h ö n h e i t als D a r s t e l l u n g des Begriffs der formalen (bloß subjektiven), und die N a t u r z w e c k e als Darstellung des Begriffs einer realen (objektiven) Zweckmäßigkeit ansehen, deren eine wir durch Geschmack (ästhetisch, vermittelst des Gefühls der Lust), die andere durch Verstand und Vernunft (logisch, nach Begriffen) beurteilen. Hierauf gründet sich die Einteilung der Kritik der Urteilskraft in die der ä s t h e t i s c h e n und t e l e o l o g i s c h e n 1; indem unter der ersteren das Vermögen, die formale Zweckmäßigkeit (sonst auch subjektive genannt) durch das Gefühl der Lust oder Unlust, unter der zweiten das Vermögen, die reale Zweckmäßigkeit (objektive) der Natur durch Verstand und Vernunft zu beurteilen, verstanden wird. In einer Kritik der Urteilskraft ist der Teil, welcher die ästhetische Urteilskraft enthält, ihr wesentlich angehörig, weil diese allein ein Prinzip enthält, welches die Urteilskraft völlig a priori ihrer Reflexion über die Natur zum Grunde legt, nämlich das einer formalen Zweckmäßigkeit der Natur nach ihren besonderen (empirischen) Gesetzen für unser ErkenntnisverLI mögen, ohne | welche sich der Verstand in sie nicht finden könnte: anstatt daß gar kein Grund a priori angegeben werden kann, ja nicht einmal die Möglichkeit davon aus dem Begriffe einer Natur, als Gegenstande2 der Erfahrung im allgemeinen sowohl, als im besonderen, erhellet, daß es objektive Zwecke der Natur, d. i. Dinge, die nur als Naturzwecke möglich sind, geben müsse; sondern nur die Urteilskraft, ohne ein Prinzip dazu a priori in sich zu enthalten, in vorkommenden Fällen (gewisser Produkte), um zum Behuf der Vernunft von dem Begriffe der Zwecke Gebrauch zu machen, die Regel enthalte3, 194 nachdem jenes transzendentale || Prinzip schon den Begriff eines Zwecks (wenigstens der Form nach) auf die Natur anzuwenden den Verstand vorbereitet hat.

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Sebbene il nostro concetto di una conformità soggettiva della natura al fine, nelle forme che essa assume secondo leggi empiriche, non sia affatto un concetto dell’oggetto, ma solo un prin- L cipio che la forza di giudizio usa per procurarsi concetti in questa troppo grande molteplicità della natura (per potervisi orientare), tuttavia in tal modo attribuiamo alla natura, per così dire, una considerazione per la nostra facoltà conoscitiva secondo l’analogia di un fine; possiamo così ritenere la bellezza naturale come la esibizione del concetto della conformità formale al fine (semplicemente soggettiva), e i fini naturali come esibizione del concetto di una conformità reale (oggettiva) al fine, e valutiamo la prima mediante il gusto (esteticamente, per mezzo del sentimento del piacere) e la seconda mediante intelletto e ragione (logicamente, secondo concetti). Su ciò si fonda la divisione della critica della forza di giudizio in critica di quella e s t e t i c a e di quella t e l e o l o g i c a , intendendo con la prima la facoltà di valutare la conformità formale al fine (detta altrimenti anche soggettiva) mediante il sentimento del piacere o dispiacere, e con la seconda la facoltà di valutare la conformità reale (oggettiva) della natura al fine mediante l’intelletto e la ragione. In una critica della forza di giudizio, la parte che contiene la forza estetica di giudizio le appartiene in modo essenziale, perché essa sola contiene un principio che la forza di giudizio pone interamente a priori a fondamento della propria riflessione sulla natura, cioè il principio, per la nostra facoltà conoscitiva, di una conformità formale della natura al fine secondo le sue leggi particolari (empiriche) senza la quale l’intelletto non si LI ritroverebbe nella natura; al contrario è evidente che non può essere addotto in alcun modo un fondamento a priori (anzi neppure la sua possibilità a partire dal concetto di una natura come oggetto dell’esperienza, né in generale né in particolare) del fatto che debbano esserci fini oggettivi della natura, cioè cose che sono possibili solo come fini naturali; ma è invece evidente che solo la forza di giudizio, pur non contenendo in sé a priori un principio per questo scopo, contiene in casi specifici (di certi prodotti) la regola per fare uso del concetto di fine a vantaggio della ragione, dopo che quel principio trascendentale ha già preparato l’intelletto ad applicare alla natura il concetto 194 di un fine (almeno secondo la forma).

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Der transzendentale Grundsatz aber, sich eine Zweckmäßigkeit der Natur in subjektiver Beziehung auf unser Erkenntnisvermögen an der Form eines Dinges als ein Prinzip der Beurteilung derselben vorzustellen, läßt es gänzlich unbestimmt, wo und in welchen Fällen ich die Beurteilung, als die eines Produkts nach einem Prinzip der Zweckmäßigkeit, und nicht vielmehr bloß nach allgemeinen Naturgesetzen anzustellen habe, und überläßt es der ä s t h e t i s c h e n Urteilskraft, im Geschmacke die Angemessenheit desselben (seiner Form) zu unseren Erkenntnisvermögen (sofern diese nicht durch Übereinstimmung mit Begriffen, sondern durch das Gefühl entscheidet) auszumachen. Dagegen gibt die teleologisch-gebrauchte | Urteilskraft die Bedingungen bestimmt an, unter denen etwas (z. B. ein organisierter Körper) nach der Idee eines Zwecks der Natur zu beurteilen sei; kann aber keinen Grundsatz aus dem Begriffe der Natur, als Gegenstandes der Erfahrung, für die Befugnis anführen, ihr eine Beziehung auf Zwecke a priori beizulegen, und auch nur unbestimmt dergleichen von der wirklichen Erfahrung an solchen Produkten anzunehmen: wovon4 der Grund ist, daß viele besondere Erfahrungen angestellt und unter der Einheit ihres Prinzips betrachtet werden müssen, um eine objektive Zweckmäßigkeit an einem gewissen Gegenstande nur empirisch erkennen zu können. — Die ästhetische Urteilskraft ist also ein besonderes Vermögen, Dinge nach einer Regel, aber nicht nach Begriffen, zu beurteilen. Die teleologische ist kein besonderes Vermögen, sondern nur die reflektierende Urteilskraft überhaupt, sofern sie, wie überall im theoretischen Erkenntnisse, nach Begriffen, aber in Ansehung gewisser Gegenstände der Natur nach besonderen Prinzipien, nämlich einer bloß reflektierenden nicht Objekte bestimmenden Urteilskraft, verfährt, also ihrer Anwendung nach zum theoretischen Teile der Philosophie gehöret, und der besonderen Prinzipien wegen, die nicht, wie es in einer Doktrin sein muß, bestimmend sind, auch einen besonderen Teil der Kritik ausmachen muß; anstatt daß die ästhetische Urteilskraft zum Erkenntnis ihrer Gegenstände nichts beiträgt, und also n u r zur Kritik des urteilenden Subjekts und der | Erkenntnisvermögen desselben, sofern sie

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Ma il principio trascendentale, che consiste nel rappresentarsi una conformità della natura al fine, in un riferimento soggettivo alla nostra facoltà conoscitiva nella forma di una cosa, come un principio di valutazione di tale forma, lascia del tutto indeterminato se e in quali casi io debba eseguire la valutazione, come valutazione di un prodotto secondo un principio di conformità al fine e non piuttosto semplicemente secondo leggi universali della natura, e lascia alla forza e s t e t i c a di giudizio il compito di accertare, nel gusto, l’adeguatezza di tale prodotto (della sua forma) alle nostre facoltà conoscitive (in quanto la forza estetica di giudizio decide non mediante accordo con concetti, ma mediante il sentimento). Invece la forza di giudizio usata teleologicamente stabilisce in modo determinato le condizioni sotto le quali qualcosa (per esempio un corpo organizzato) debba essere valutato secondo l’idea di un fine della natura; ma essa non può addurre alcun principio ricavato dal concetto della natura, in quanto oggetto dell’esperienza, che autorizzi ad attribuire a priori alla natura un riferimento a fini e ad ammettere un riferimento del genere anche solo in modo indeterminato basandosi sull’esperienza effettiva con tali prodotti; e il motivo è che molte esperienze particolari devono essere fatte e considerate sotto l’unità del loro principio per poter riconoscere solo empiricamente una conformità oggettiva al fine in un certo oggetto. — La forza estetica di giudizio è, dunque, una particolare facoltà per valutare le cose secondo una regola, ma non secondo concetti. La forza teleologica di giudizio non è una facoltà particolare, bensì è solo la forza riflettente di giudizio in generale in quanto procede, come dovunque nella conoscenza teoretica, secondo concetti; riguardo però a certi oggetti della natura essa procede secondo principi particolari, quelli cioè di una forza di giudizio semplicemente riflettente e non determinante oggetti; dunque, considerata nella sua applicazione, essa appartiene alla parte teoretica della filosofia e, a causa dei suoi principi particolari che non sono determinanti, come invece deve essere in una dottrina, deve anche costituire una parte speciale della critica; al contrario, la forza estetica di giudizio non dà alcun contributo alla conoscenza dei suoi oggetti e deve quindi venire fatta rientrare s o l o nella critica del soggetto giudicante e delle sue facoltà conoscitive, in quanto esse

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der Prinzipien a priori fähig sind, von welchem Gebrauche (dem theoretischen oder praktischen) diese übrigens auch sein mögen, gezählt werden muß, welche die Propädeutik aller Philosophie ist. || 195

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IX. Von der Verknüpfung der Gesetzgebungen des Verstandes und der Vernunft durch die Urteilskraft Der Verstand ist a priori gesetzgebend für die Natur als Objekt der Sinne, zu einem theoretischen Erkenntnis derselben in einer möglichen Erfahrung. Die Vernunft ist a priori gesetzgebend für die Freiheit und ihre eigene Kausalität, als das Übersinnliche in dem Subjekte, zu einem unbedingt-praktischen Erkenntnis. Das Gebiet des Naturbegriffs, unter der einen, und das des Freiheitsbegriffs, unter der anderen Gesetzgebung, sind gegen allen wechselseitigen Einfluß, den sie für sich (ein jedes nach seinen Grundgesetzen) auf einander haben könnten1, durch die große Kluft, welche das Übersinnliche von den Erscheinungen trennt, gänzlich abgesondert. Der Freiheitsbegriff bestimmt nichts in Ansehung der theoretischen Erkenntnis der Natur; der Naturbegriff eben sowohl nichts in Ansehung der praktischen Gesetze der Freiheit: und es ist in sofern nicht | möglich, eine Brücke von einem Gebiete zu dem andern hinüberzuschlagen. — Allein, wenn die Bestimmungsgründe der Kausalität nach dem Freiheitsbegriffe (und der praktischen Regel die2 er enthält) gleich nicht in der Natur belegen sind, und das Sinnliche das Übersinnliche im Subjekte nicht bestimmen kann: so ist dieses doch umgekehrt (zwar nicht in Ansehung des Erkenntnisses der Natur, aber doch der Folgen aus dem ersteren auf die letztere) möglich, und schon in dem Begriffe einer Kausalität durch Freiheit enthalten, deren W i r k u n g diesen ihren formalen Gesetzen gemäß in der Welt geschehen soll, obzwar das Wort U r s a c h e , von dem Übersinnlichen gebraucht, nur den G r u n d bedeutet, die Kausalität der Naturdinge zu einer Wirkung, gemäß ihren3 eigenen Naturgesetzen, zugleich aber doch auch mit dem formalen Prinzip der Vernunftgesetze einhellig, zu bestimmen, wovon die Möglichkeit zwar nicht eingesehen, aber der Einwurf von einem vorgeblichen Widerspruch,

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sono capaci di principi a priori, qualunque possa poi essere il loro uso (teoretico o pratico), e questa critica è la propedeutica di ogni filosofia.

IX. DELLA CONNESSIONE DELLE LEGISLAZIONI DELL’INTELLETTO E

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DELLA RAGIONE MEDIANTE LA FORZA DI GIUDIZIO

L’intelletto è legislativo a priori per la natura come oggetto dei sensi, in vista di una sua conoscenza teoretica in un’esperienza possibile. La ragione è legislativa a priori per la libertà e per la sua propria causalità, in quanto soprasensibile nel soggetto, in vista di una conoscenza pratica incondizionata. Il dominio del concetto della natura sotto la prima legislazione, e quello del concetto della libertà sotto la seconda sono del tutto separati, a dispetto di ogni influsso reciproco che essi di per sé potrebbero avere l’uno sull’altro (ciascuno secondo le proprie leggi fondamentali), dal grande abisso che divide il soprasensibile dai fenomeni. Il concetto della libertà non determina nulla riguardo alla conoscenza teoretica della natura; allo stesso modo il concetto della natura non determina nulla riguardo alle leggi pratiche della libertà: e in questo senso non è possibile gettare un ponte da un dominio all’altro. — Tuttavia, sebbene i principi di determinazione della causalità secondo il concetto della libertà (e della regola pratica che esso contiene) non siano attestati nella natura, e il sensibile non possa determinare il soprasensibile nel soggetto, ciò è però possibile in senso inverso (non certo riguardo alla conoscenza della natura, bensì rispetto alle conseguenze che il concetto della libertà può avere sulla natura); e questo è già contenuto nel concetto di una causalità mediante libertà, il cui e f f e t t o deve accadere nel mondo conformemente a queste sue leggi formali, sebbene la parola c a u s a , usata a proposito del soprasensibile, significhi solo il f o n d a m e n t o che determina la causalità delle cose naturali a produrre un effetto in conformità alle loro proprie leggi della natura ma, al tempo stesso, anche in accordo con il principio formale delle leggi della ragione: di ciò non si può certo scorgere la possibilità, ma può essere sufficientemente confutata l’obie-

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der sich darin fände, hinreichend widerlegt werden kann*. — 196 Die Wirkung nach dem | Freiheitsbegriffe ist der || Endzweck, der (oder dessen Erscheinung in der Sinnenwelt) existieren soll, wozu die Bedingung der Möglichkeit desselben in der Natur (des Subjekts als Sinnenwesens, nämlich als Mensch) vorausgesetzt wird. Das, was diese a priori und ohne Rücksicht auf das Praktische voraussetzt, die Urteilskraft, gibt den vermittelnden Begriff zwischen den Naturbegriffen und dem Freiheitsbegriffe, der den Übergang von der reinen theoretischen zur reinen praktischen4, von der Gesetzmäßigkeit nach der ersten zum Endzwecke nach dem letzten möglich macht, in dem Begriffe einer Z w e c k m ä ß i g k e i t der Natur an die Hand; denn dadurch wird die Möglichkeit des Endzwecks, der allein in der Natur und mit Einstimmung ihrer Gesetze wirklich werden kann, erkannt. Der Verstand gibt, durch die Möglichkeit seiner Gesetze a LVI priori für die Natur, einen Beweis davon, | daß diese von uns nur als Erscheinung erkannt werde, mithin zugleich Anzeige auf ein übersinnliches Substrat derselben; aber läßt dieses gänzlich u n b e s t i m m t . Die Urteilskraft verschafft durch ihr Prinzip a priori der Beurteilung der Natur, nach möglichen besonderen Gesetzen derselben, ihrem übersinnlichen Substrat (in uns sowohl als außer uns) B e s t i m m b a r k e i t d u r c h d a s i n t e l l e k t u e l l e Ve r m ö g e n . Die Vernunft aber gibt eben demselben durch ihr praktisches Gesetz a priori die B e LV

* Einer von den verschiedenen vermeinten Widersprüchen in dieser gänzlichen Unterscheidung der Naturkausalität von der durch Freiheit ist der, da man ihr den Vorwurf macht: daß, wenn ich von H i n d e r n i s s e n , die die Natur der Kausalität nach Freiheitsgesetzen (den moralischen) legt, oder ihrer B e f ö r d e r u n g durch dieselbe rede, ich doch der ersteren auf 196 die letztere einen E i n f l u ß einräume. Aber, wenn || man das Gesagte nur LV verstehen will, so ist die Mißdeutung | sehr leicht zu verhüten. Der Widerstand, oder die Beförderung, ist nicht zwischen der Natur und der5 Freiheit, sondern der ersteren als Erscheinung und den Wi r k u n g e n der letztern als Erscheinungen in der Sinnenwelt; und selbst die K a u s a l i t a t der Freiheit (der reinen und6 praktischen Vernunft) ist die K a u s a l i t ä t einer jener untergeordneten Naturursache (des Subjekts, als Mensch, folglich als Erscheinung betrachtet), von deren B e s t i m m u n g das Intelligible, welches unter der Freiheit gedacht wird, auf eine übrigens (eben so wie eben dasselbe, was das übersinnliche Substrat der Natur ausmacht) unerklärliche Art, den Grund enthält.

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zione di una presunta contraddizione che vi si troverebbe*. — L’effetto secondo il concetto della libertà è il fine definiti- LV 196 vo24, il quale (o il suo fenomeno nel mondo sensibile) deve esistere e per cui viene presupposta la sua condizione di possibilità nella natura (del soggetto come essere sensibile, cioè come uomo). La forza di giudizio, che presuppone questa condizione a priori senza considerare il pratico, mette a disposizione, nel concetto di conformità della natura al fine, il concetto che media tra i concetti della natura e quello della libertà, e che rende possibile il passaggio dalla ragione pura teoretica alla ragione pura pratica, dalla conformità alla legge secondo i concetti della natura al fine ultimo secondo il concetto della libertà; infatti è così che viene riconosciuta la possibilità del fine definitivo, che può diventare effettivo solo nella natura e in accordo con le sue leggi. L’intelletto, con la possibilità delle sue leggi a priori per la natura, dà una prova del fatto che essa è da noi conosciuta LVI solo come fenomeno, e quindi rinvia al tempo stesso a un suo sostrato soprasensibile, lasciandolo però completamente i n d e t e r m i n a t o . La forza di giudizio, con il suo principio a priori per valutare la natura secondo le sue possibili leggi particolari, procura a quel sostrato soprasensibile (in noi come pure fuori di noi) una d e t e r m i n a b i l i t à m e d i a n t e l a f a c o l t à i n t e l l e t t u a l e . Ma la d e t e r m i n a z i o n e viene data a quel sostrato dalla ragione con la sua legge pratica a * Una delle svariate contraddizioni che si pretende di trovare in questa totale distinzione tra causalità della natura e causalità mediante libertà è quella per cui le si obietta: che io, quando parlo degli o s t a c o l i che la natura oppone alla causalità secondo leggi della libertà (leggi morali) o della p r o m o z i o n e di quella causalità da parte della natura, concedo comunque che ci sia un i n f l u s s o della prima sulla seconda. Ma, solo che si voglia comprendere ciò che si è detto, è assai facile evita- LV 196 re il fraintendimento. La resistenza, o la promozione, non è tra la natura e la libertà, bensì tra la natura in quanto fenomeno e gli e f f e t t i della libertà in quanto fenomeni nel mondo sensibile; e la stessa c a u s a l i t à della libertà (della ragione pura e pratica) è la c a u s a l i t à di una causa della natura subordinata alla libertà (quella del soggetto considerato in quanto uomo, quindi come fenomeno), di una causa della cui d e t e r m i n a z i o n e l’intelligibile pensato sotto la libertà contiene il fondamento, in un modo peraltro inspiegabile (proprio come succede per l’intelligibile che costituisce il sostrato soprasensibile della natura).

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INTRODUZIONE

s t i m m u n g ; und so macht die Urteilskraft den Übergang vom Gebiete des Naturbegriffs zu dem des Freiheitsbegriffs möglich. In Ansehung der Seelenvermögen überhaupt, sofern sie als obere, d. i. als solche, die eine Autonomie enthalten, betrachtet werden, ist für das E r k e n n t n i s v e r m ö g e n (das theoretische der Natur) der Verstand dasjenige, welches die k o n s t i t u t i v e n Prinzipien a priori enthält; für das G e f ü h l d e r L u s t u n d U n l u s t ist es die Urteilskraft, unabhängig von Begriffen und Empfindungen, die sich auf Bestimmung des Be197 geh||rungsvermögens beziehen und dadurch unmittelbar praktisch sein könnten; für das B e g e h r u n g s v e r m ö g e n die Vernunft, welche ohne Vermittelung irgend einer Lust, woher sie auch komme, praktisch ist, und demselben, als oberes Vermögen, den Endzweck bestimmt, der zugleich das reine intellektuelle Wohlgefallen am Objekte mit sich führt. — Der Begriff der LVII Urteilskraft von | einer Zweckmäßigkeit der Natur ist noch zu den Naturbegriffen gehörig, aber nur als regulatives Prinzip des Erkenntnisvermögens; obzwar das ästhetische Urteil über gewisse Gegenstände (der Natur oder der Kunst), welches ihn veranlasset, in Ansehung des Gefühls der Lust oder Unlust ein konstitutives Prinzip ist. Die Spontaneität im Spiele der Erkenntnisvermögen, deren Zusammenstimmung den Grund dieser Lust enthält, macht den gedachten Begriff zur Vermittelung der Verknüpfung der Gebiete des Naturbegriffs mit dem Freiheitsbegriffe in ihren Folgen tauglich, indem diese zugleich die Empfänglichkeit des Gemüts für das moralische Gefühl befördert. — Folgende Tafel kann die Übersicht aller oberen Vermögen ihrer systematischen Einheit nach erleichtern*. | ||

* Man hat es bedenklich gefunden, daß meine Einteilungen in der reinen Philosophie fast immer dreiteilig ausfallen. Das liegt aber in der Natur der Sache. Soll eine Einteilung a priori geschehen, so wird sie entweder a n a l y t i s c h sein, nach dem Satze des Widerspruchs; und da ist sie jederzeit zweiteilig (quodlibet ens est aut A aut non A). Oder sie ist s y n t h e t i s c h ; und, wenn sie in diesem Falle aus B e g r i f f e n a priori (nicht, wie in der Mathematik, aus der a priori dem Begriffe korrespondierenden Anschauung) soll geführt werden, so muß, nach demjenigen, was zu der synthetischen Einheit überhaupt erforderlich ist, nämlich 1) Bedingung, 2) ein Bedingtes, 3) der Begriff, der aus der Vereinigung des Bedingten mit seiner Bedingung entspringt, die Einteilung notwendig Trichotomie sein.

SEZIONE IX

67

priori; ed è così che la forza di giudizio rende possibile il passaggio dal dominio del concetto della natura a quello del concetto della libertà. Riguardo alle facoltà dell’anima in generale, in quanto sono considerate facoltà superiori, cioè tali da contenere un’autonomia, per la f a c o l t à d i c o n o s c e r e (per la conoscenza teoretica della natura) è l’intelletto la facoltà che contiene i principi c o s t i t u t i v i a priori; per il s e n t i m e n t o d e l p i a c e r e e d i s p i a c e r e è la forza di giudizio, indipendentemente da concetti e sensazioni che potrebbero riferirsi alla determinazione della facoltà di desiderare ed es- 197 sere così immediatamente pratici; per la f a c o l t à d i d e s i d e r a r e è la ragione che è pratica senza la mediazione di un qualsiasi piacere, da qualunque parte venga, e che determina per quella facoltà in quanto facoltà superiore il fine definitivo che comporta al contempo il compiacimento intellettuale puro per l’oggetto. — Il concetto che la forza di giudizio ha di una conformità della natura al fine rientra anche nei con- LVII cetti della natura, ma solo come principio regolativo della facoltà conoscitiva, sebbene il giudizio estetico su certi oggetti (della natura o dell’arte), che procura tale concetto, sia un principio costitutivo riguardo al sentimento del piacere o dispiacere. La spontaneità nel gioco delle facoltà conoscitive, la cui concordanza contiene il fondamento di questo piacere, rende il concetto menzionato idoneo a mediare la connessione tra i domini del concetto della natura e del concetto della libertà nelle sue conseguenze, promuovendo al tempo stesso la ricettività dell’animo per il sentimento morale. — La seguente tavola può facilitare una visione d’insieme di tutte le facoltà superiori, secondo la loro unità sistematica*. * Si è trovato sospetto il fatto che le mie divisioni nella filosofia pura risultino quasi sempre tripartite. Questo però è nella natura della cosa. Se una divisione deve avvenire a priori, essa sarà o a n a l i t i c a secondo il principio di contraddizione, e in tal caso è sempre bipartita (quodlibet ens est aut A aut non A)25; oppure sarà s i n t e t i c a e se in questo caso deve essere eseguita a partire da c o n c e t t i a priori (non, come nella matematica, a partire dall’intuizione corrispondente a priori al concetto), la divisione dovrà – secondo ciò che si richiede per l’unità sintetica in generale, cioè: 1. condizione, 2. un condizionato, 3. il concetto risultante dall’unione del condizionato con la sua condizione – essere quindi necessariamente una tricotomia.

Verstand Urteilskraft Vernunft

Erkenntnisvermögen

Gefühl der Lust und Unlust

Begehrungsvermögen

Endzweck

Zweckmäßigkeit

Gesetzmäßigkeit

Prinzipien a priori

Freiheit

Kunst

Natur

Anwendung auf

198

Erkenntnisvermögen

LVIII

G e s a m t e Ve r m ö g e n des Gemüts

68 TAVOLA DELLE FACOLTÀ SUPERIORI

Intelletto Forza di giudizio Ragione

Sentimento del piacere e dispiacere

Facoltà di desiderare

Facoltà conoscitive

Facoltà di conoscere

Facoltà dell’animo complessive

Fine definitivo

Conformità al fine

Conformità alla legge

Principi a priori

Libertà | ||

Arte

Natura

Applicazione alla

TAVOLA DELLE FACOLTÀ SUPERIORI

69 LVIII

198

LIX

199

Einteilung des ganzen Werks

E r s t e r Te i l Kritik der ästhetischen Urteilskraft Seite Erster Abschnitt Analytik der ästhetischen Urteilskraft Erstes Buch Analytik des Schönen

31

Zweites Buch Analytik des Erhabenen

74

Zweiter Abschnitt Dialektik der ästhetischen Urteilskraft

LX

Z w e i t e r Te i l Kritik der teleologischen Urteilskraft

231 |

265

Erste Abteilung Analytik der teleologischen Urteilskraft

271

Zweite Abteilung Dialektik der teleologischen Urteilskraft

311

Anhang Methodenlehre der teleologischen Urteilskraft

364 | ||

DIVISIONE DELL’INTERA OPERA

LIX

199

Parte prima Critica della forza estetica di giudizio Sezione prima Analitica della forza estetica di giudizio Libro primo Analitica del bello Libro secondo Analitica del sublime Sezione seconda Dialettica della forza estetica di giudizio

Parte seconda Critica della forza teleologica di giudizio Capitolo primo Analitica della forza teleologica di giudizio Capitolo secondo Dialettica della forza teleologica di giudizio Appendice Metodologia della forza teleologica di giudizio

LX

Der

Kritik der Urteilskraft erster Teil

Kritik der

ästhetischen Urteilskraft | ||

PRIMA PARTE DELLA

CRITICA DELLA FORZA DI GIUDIZIO

CRITICA DELLA

FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

3 203

Erster Abschnitt

Analytik der ästhetischen Urteilskraft Erstes Buch

Analytik des Schönen Erstes Moment des Geschmacksurteils,* der Qualität nach §1 Das Geschmacksurteil ist ästhetisch Um zu unterscheiden, ob etwas schön sei oder nicht, beziehen wir die Vorstellung nicht durch den Verstand auf das Ob4 jekt zum Erkenntnisse, sondern durch die Einbil|dungskraft (vielleicht mit dem Verstande verbunden) auf das Subjekt und das Gefühl der Lust oder Unlust desselben. Das Geschmacksurteil ist also kein Erkenntnisurteil, mithin nicht logisch, sondern ästhetisch, worunter man dasjenige versteht, dessen Bestimmungsgrund n i c h t a n d e r s als s u b j e k t i v sein kann. Alle Beziehung der Vorstellungen, selbst die der Empfindungen, aber kann objektiv sein (und da bedeutet sie das Reale 204 einer empirischen Vorstellung); nur nicht die auf || das Gefühl der Lust und Unlust, wodurch gar nichts im Objekte bezeichnet wird, sondern in der das Subjekt, wie es durch die Vorstellung affiziert wird, sich selbst fühlt. Ein regelmäßiges, zweckmäßiges Gebäude mit seinem Erkenntnisvermögen (es sei in deutlicher oder verworrener Vor* Die Definition des Geschmacks, welche hier zum Grunde gelegt wird, ist: daß er das Vermögen der Beurteilung des Schönen sei. Was aber dazu erfordert wird, um einen Gegenstand schön zu nennen, das muß die Analyse der Urteile des Geschmacks entdecken. Die Momente, worauf diese Urteilskraft in ihrer Reflexion Acht hat, habe ich, nach | Anleitung der logischen Funktionen zu urteilen, aufgesucht (denn im Geschmacksurteile ist immer noch eine Beziehung auf den Verstand enthalten). Die der Qualität habe ich zuerst in Betrachtung gezogen, weil das ästhetische Urteil über das Schöne auf diese zuerst Rücksicht nimmt.

SEZIONE PRIMA

ANALITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

3 203

LIBRO PRIMO

ANALITICA DEL BELLO PRIMO MOMENTO DEL GIUDIZIO DI GUSTO*, SECONDO LA QUALITÀ

§1 IL GIUDIZIO DI GUSTO È ESTETICO Per distinguere se qualcosa è bello o no non riferiamo, mediante l’intelletto, la rappresentazione all’oggetto per la conoscenza, ma la riferiamo, mediante la forza di immagina- 4 zione (forse collegata con l’intelletto), al soggetto e al suo sentimento del piacere o dispiacere. Il giudizio di gusto non è pertanto un giudizio di conoscenza; non è quindi un giudizio logico, ma estetico, intendendo con questo che il suo principio di determinazione n o n può essere a l t r o che s o g g e t t i v o . Eppure ogni riferimento delle rappresentazioni, anche quello delle sensazioni, può essere oggettivo (e allora significa ciò che è reale di una rappresentazione empirica); questo non vale però per il riferimento al sentimento del piacere e dispia- 204 cere, con cui non viene designato proprio nulla nell’oggetto, ma nel quale il soggetto sente se stesso, nel modo in cui è affetto dalla rappresentazione. Il cogliere con la propria facoltà conoscitiva (in una specie rappresentativa distinta o confusa che sia) un edificio regola* La definizione del gusto sulla quale qui ci si basa è la seguente: esso è la facoltà di valutare il bello. Che cosa però è richiesto, per chiamare bello un oggetto, questo deve scoprirlo l’analisi dei giudizi di gusto. Ho ricercato i momenti di cui si cura questa facoltà nella sua riflessione sulla traccia delle funzioni logiche per giudicare (nel giudizio di gusto infatti è pur sempre contenuto un riferimento all’intelletto). Ho preso in considerazione innanzitutto il momento della qualità, perché il giudizio estetico sul bello riguarda anzitutto questo.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

stellungsart) zu befassen, ist ganz etwas anders, als sich dieser Vorstellung mit der Empfindung des Wohlgefallens bewußt zu sein. Hier wird die Vorstellung gänzlich auf das Subjekt, und zwar auf das Lebensgefühl desselben, unter dem Namen des Gefühls der Lust oder Unlust, bezogen: welches ein ganz besonderes Unterscheidungs- und Beurteilungsvermögen gründet, 5 das zum Erkenntnis nichts beiträgt, sondern nur | die gegebene Vorstellung im Subjekte gegen das ganze Vermögen der Vorstellungen hält, dessen sich das Gemüt im Gefühl seines Zustandes bewußt wird. Gegebene Vorstellungen in einem Urteile können empirisch (mithin ästhetisch) sein; das Urteil aber, das durch sie gefällt wird, ist logisch, wenn jene nur im Urteile auf das Objekt bezogen werden. Umgekehrt aber, wenn die gegebenen Vorstellungen gar rational wären, würden aber in einem Urteile lediglich auf das Subjekt (sein Gefühl) bezogen, so sind sie sofern jederzeit ästhetisch.

§2 Das Wohlgefallen, welches das Geschmacksurteil bestimmt, ist ohne alles Interesse Interesse wird das Wohlgefallen genannt, was1 wir mit der Vorstellung der Existenz eines Gegenstandes verbinden. Ein solches hat daher immer zugleich Beziehung auf das Begehrungsvermögen, entweder als Bestimmungsgrund desselben, oder doch als mit dem Bestimmungsgrunde desselben notwendig zusammenhängend. Nun will man aber, wenn die Frage ist, ob etwas schön sei, nicht wissen, ob uns, oder irgend jemand, an der Existenz der Sache irgend etwas gelegen sei, oder auch nur gelegen sein könne; sondern, wie wir sie in der bloßen Betrachtung (Anschauung oder Reflexion) beurteilen. Wenn 6 mich jemand fragt, ob ich den Palast, den ich | vor mir sehe, schön finde: so mag ich zwar sagen: ich liebe dergleichen Dinge nicht, die bloß für das Angaffen gemacht sind, oder, wie jener irokesische S a c h e m , ihm gefalle in Paris nichts besser als die Garküchen; ich kann noch überdem auf die Eitelkeit der Großen auf gut R o u s s e a u i s c h schmälen2, welche den Schweiß 205 des Volks auf so entbehrliche Dinge verwenden; ich kann || mich

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 2

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re e dotato di un fine è del tutto diverso dall’essere coscienti di questa rappresentazione con la sensazione del compiacimento. Qui la rappresentazione viene riferita interamente al soggetto e precisamente al suo sentimento vitale, chiamato sentimento del piacere o dispiacere, il quale fonda una facoltà del tutto particolare di distinguere e di valutare, che non contribuisce in nulla alla conoscenza ma soltanto mantiene la 5 rappresentazione data nel soggetto di fronte all’intera facoltà delle rappresentazioni, e di ciò l’animo diventa cosciente nel sentimento del proprio stato. Rappresentazioni date in un giudizio possono essere empiriche (e pertanto estetiche); tuttavia il giudizio che viene formulato mediante esse è logico soltanto qualora le rappresentazioni siano riferite nel giudizio all’oggetto. Ma, viceversa, anche se le rappresentazioni date fossero addirittura razionali, eppure venissero tuttavia riferite in un giudizio esclusivamente al soggetto (al suo sentimento), allora resterebbero in tal caso pur sempre estetiche.

§2 IL COMPIACIMENTO CHE DETERMINA IL GIUDIZIO DI GUSTO È SENZA ALCUN INTERESSE

Viene detto interesse il compiacimento che colleghiamo con la rappresentazione dell’esistenza di un oggetto. Perciò tale interesse ha sempre ad un tempo un riferimento alla facoltà di desiderare, o in quanto suo principio di determinazione o comunque in quanto necessariamente connesso al suo principio di determinazione. Ora, però, quando ci si chiede se qualcosa sia bello, si vuole sapere non se a noi o a chiunque altro importi o anche solo possa importare qualcosa dell’esistenza della cosa; piuttosto si vuole invece sapere come la valutiamo quando semplicemente la consideriamo (intuizione o riflessione). Se qualcuno mi domanda se trovo bello il palazzo che vedo davanti a me, potrei ben dire che non amo simili 6 cose, fatte solo per stare a guardarle a bocca aperta, oppure potrei rispondere come quel s a c h e m irochese26, che a Parigi niente gli piaceva di più delle rosticcerie; inoltre posso ancora deprecare, in buono stile r o u s s e a u i a n o , la vanità dei grandi che impiegano il sudore del popolo per cose tanto

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

endlich gar leicht überzeugen, daß, wenn ich mich auf einem unbewohnten Eilande, ohne Hoffnung, jemals wieder zu Menschen zu kommen, befände, und ich durch meinen bloßen Wunsch ein solches Prachtgebäude hinzaubern könnte, ich mir auch nicht einmal diese Mühe darum geben würde, wenn ich schon eine Hütte hätte, die mir bequem genug wäre3. Man kann mir alles dieses einräumen und gutheißen; nur davon ist jetzt nicht die Rede. Man will nur wissen, ob die bloße Vorstellung des Gegenstandes in mir mit Wohlgefallen begleitet sei, so gleichgültig ich auch immer in Ansehung der Existenz des Gegenstandes dieser Vorstellung sein mag. Man sieht leicht, daß es auf dem, was ich aus dieser Vorstellung in mir selbst mache, nicht auf dem, worin ich von der Existenz des Gegenstandes abhänge, ankomme, um zu sagen, er sei s c h ö n , und zu beweisen, ich habe Geschmack. Ein jeder muß eingestehen, daß dasjenige Urteil über Schönheit, worin sich das mindeste Interesse mengt, sehr parteilich und kein reines Geschmacksurteil sei. Man muß nicht im mindesten für die Existenz der Sache 7 eingenommen, | sondern in diesem Betracht ganz gleichgültig sein, um in Sachen des Geschmacks den Richter zu spielen. Wir können aber diesen Satz, der von vorzüglicher Erheblichkeit ist, nicht besser erläutern, als wenn wir dem reinen uninteressierten* Wohlgefallen im Geschmacksurteile dasjenige, was mit Interesse verbunden ist, entgegensetzen: vornehmlich wenn wir zugleich gewiß sein können, daß es nicht mehr Arten des Interesse gebe, als die eben4 jetzt namhaft gemacht werden sollen. §3 Das Wohlgefallen am Angenehmen ist mit Interesse verbunden Angenehm ist das, was den Sinnen in der E m p f i n d u n g g e f ä l l t . Hier zeigt sich nun sofort die Gelegenheit, eine ganz gewöhnliche Verwechselung der doppelten * Ein Urteil über einen Gegenstand des Wohlgefallens kann ganz u n i n t e r e s s i e r t , aber doch sehr i n t e r e s s a n t sein, d. i. es gründet sich auf keinem Interesse, aber es bringt ein Interesse hervor; dergleichen sind alle reine moralische Urteile. Aber die Geschmacksurteile begründen an sich auch gar kein Interesse. Nur in der Gesellschaft wird es i n t e r e s s a n t , Geschmack zu haben, wovon der Grund in der Folge angezeigt werden wird.

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 3

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superflue; posso infine convincermi assai facilmente che se mi 205 trovassi su un’isola disabitata, senza speranza di ritornare mai tra gli uomini, e potessi con il mio semplice desiderio far apparire come per incanto un edificio così sfarzoso, non mi prenderei neppure questa briga se avessi già una capanna per me abbastanza comoda. Mi si può concedere e approvare tutto ciò; solo che ora non si tratta di questo. Si vuole sapere soltanto se la semplice rappresentazione dell’oggetto sia in me accompagnata da compiacimento, per quanto indifferente io possa essere riguardo all’esistenza dell’oggetto di questa rappresentazione. Si vede facilmente che, per dire che un oggetto è b e l l o e per dimostrare che ho gusto, importa ciò che faccio in me stesso di questa rappresentazione e non ciò per cui dipendo dall’esistenza dell’oggetto. Chiunque deve ammettere che quel giudizio sulla bellezza, in cui si mescoli il minimo interesse, è molto parziale e non è un puro giudizio di gusto. Per fare da giudici in questioni di gusto non bisogna essere minimamente presi dall’esistenza della cosa, ma essere 7 invece del tutto indifferenti al proposito. Tuttavia non possiamo chiarire meglio questa proposizione, che è della massima rilevanza, se non contrapponendo al puro compiacimento disinteressato*, che avviene nel giudizio di gusto, quello collegato con un interesse; soprattutto se possiamo al contempo essere certi che non si diano altre specie di interesse oltre a quelle che ora devono essere indicate.

§3 IL COMPIACIMENTO PER IL GRADEVOLE È COLLEGATO CON UN INTERESSE

Gradevole è ciò che piace ai sensi nella sens a z i o n e 27. Ora qui si presenta subito l’occasione di biasimare, richiamando l’attenzione su questo punto, una confu* Un giudizio su un oggetto del compiacimento può essere del tutto d i s i n t e r e s s a t o e tuttavia essere molto interessante, cioè non si fonda su alcun interesse, ma produce un interesse: tali sono tutti i giudizi morali puri. Ma i giudizi di gusto non fondano, per se stessi, proprio alcun interesse. Solo nella società diventa i n t e r e s s a n t e avere gusto, cosa di cui sarà indicato in seguito il fondamento.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Bedeutung, die das Wort Empfindung haben kann, zu rügen und darauf aufmerksam zu machen. Alles Wohlgefallen (sagt 206 oder denkt man) ist selbst Empfindung (einer Lust). Mithin || ist 8 alles, was | gefällt, eben hierin, daß es gefällt, angenehm (und nach den verschiedenen Graden oder auch Verhältnissen zu andern angenehmen Empfindungen a n m u t i g , l i e b l i c h , e r g ö t z e n d , e r f r e u l i c h u.s.w.). Wird aber das eingeräumt, so sind die Eindrücke der Sinne, welche die Neigung, oder Grundsätze der Vernunft, welche den1 Willen, oder bloße reflektierte Formen der Anschauung, welche die2 Urteilskraft bestimmen, was die Wirkung auf das Gefühl der Lust betrifft, gänzlich einerlei. Denn diese wäre die Annehmlichkeit in der Empfindung seines Zustandes, und, da doch endlich alle Bearbeitung unserer Vermögen aufs Praktische ausgehen und sich darin als in ihrem Ziele vereinigen muß, so könnte man ihnen keine andere Schätzung der Dinge und ihres Werts zumuten, als die in dem Vergnügen besteht, welches sie versprechen. Auf die Art, wie sie dazu gelangen, kömmt es am Ende gar nicht an; und da die3 Wahl der Mittel hierin allein einen Unterschied machen kann, so könnten Menschen einander wohl der Torheit und des Unverstandes, niemals aber der Niederträchtigkeit und Bosheit beschuldigen: weil sie doch alle, ein jeder nach seiner Art, die Sachen zu sehen, nach einem Ziele laufen, welches für4 jedermann das Vergnügen ist. Wenn eine Bestimmung des Gefühls der Lust oder Unlust Empfindung genannt wird, so bedeutet dieser Ausdruck etwas ganz anderes, als wenn ich die5 Vorstellung einer Sache (durch 9 Sinne, als eine6 zum Erkennt|nisvermögen7 gehörige Rezeptivität) Empfindung nenne. Denn im letztern Falle wird die Vorstellung auf das Objekt, im erstern aber lediglich auf das Subjekt bezogen, und dient zu gar keinem Erkenntnisse, auch nicht zu demjenigen, wodurch8 sich das Subjekt selbst e r k e n n t . Wir verstehen aber in der obigen Erklärung unter dem Worte Empfindung eine objektive Vorstellung der Sinne; und, um nicht immer Gefahr zu laufen, mißgedeutet zu werden, wollen wir das, was jederzeit bloß subjektiv bleiben muß und schlechterdings keine Vorstellung eines Gegenstandes ausma-

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 3

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sione comunissima tra i due significati che può avere la parola sensazione. Ogni compiacimento (si dice o si pensa) è anche sensazione (di un piacere). Di conseguenza tutto ciò 206 che piace, proprio perché piace, è gradevole (e, secondo i di- 8 versi gradi o anche secondo i rapporti con altre sensazioni gradevoli, è g r a z i o s o , a m a b i l e , d i l e t t e v o l e , d e l i z i o s o , ecc.). Ma, se si concede questo, le impressioni dei sensi che determinano l’inclinazione, o i principi della ragione che determinano la volontà, o le semplici forme riflesse dell’intuizione che determinano la forza di giudizio vengono a identificarsi del tutto in ciò che concerne l’effetto sul sentimento del piacere. Infatti questo effetto sarebbe la gradevolezza che si prova nella sensazione del proprio stato e, siccome poi ogni elaborazione delle nostre facoltà deve comunque sfociare nel pratico e unificarsi in esso come nella sua meta, non si potrebbe attribuire loro alcun’altra stima delle cose e del loro valore se non quella che consiste nel soddisfacimento che esse promettono. In quale modo queste facoltà vi giungano è in definitiva senza importanza; e poiché in tal caso soltanto la scelta dei mezzi può fare qualche differenza, gli uomini potrebbero sì accusarsi a vicenda di follia e dissennatezza, non mai però di bassezza e di malvagità, dato che, comunque sia, tutti, ciascuno secondo il proprio modo di vedere le cose, corrono verso un’unica meta che è per ognuno il soddisfacimento. Quando una determinazione del sentimento del piacere o dispiacere è chiamata sensazione, questa espressione significa qualcosa del tutto diverso rispetto a quando chiamo sensazione la rappresentazione di una cosa (mediante i sensi, in quanto ricettività che compete alla facoltà conoscitiva). Infatti, in 9 quest’ultimo caso, la rappresentazione è riferita all’oggetto, mentre, nel primo caso, è riferita esclusivamente al soggetto e non serve assolutamente ad alcuna conoscenza, neppure a quella mediante la quale il soggetto stesso si c o n o s c e . Tuttavia, nella spiegazione sopra riportata, intendiamo con la parola sensazione una rappresentazione oggettiva dei sensi, e per non correre sempre il rischio di essere fraintesi, vogliamo chiamare con il nome, del resto abituale, di sentimento ciò che deve restare sempre semplicemente soggettivo e che non può in alcun modo costituire una rappresentazione

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

chen kann, mit dem sonst üblichen Namen des Gefühls benennen. Die grüne Farbe der Wiesen gehört zur o b j e k t i v e n Empfindung, als Wahrnehmung eines Gegenstandes des Sinnes; die Annehmlichkeit derselben aber zur s u b j e k t i v e n Empfindung, wodurch kein Gegenstand vorgestellt wird: d. i. zum Gefühl, wodurch9 der Gegenstand als Objekt des Wohlgefallens (welches kein Erkenntnis desselben ist) betrachtet wird. Daß nun mein Urteil über einen Gegenstand, wodurch10 ich 207 ihn für || angenehm erkläre, ein Interesse an demselben ausdrücke, ist daraus schon klar, daß es durch Empfindung eine Begierde nach dergleichen Gegenständen11 rege macht, mithin das Wohlgefallen nicht das bloße Urteil über ihn, sondern die Beziehung seiner Existenz auf meinen Zustand, sofern er durch ein solches Objekt affiziert wird, voraussetzt. Daher man von dem Ange-| 10 nehmen nicht bloß sagt, es g e f ä l l t , sondern es v e r g n ü g t . Es ist nicht ein bloßer Beifall, den ich ihm widme, sondern Neigung wird dadurch erzeugt; und zu dem, was auf die lebhafteste Art angenehm ist, gehört so gar kein Urteil über die Beschaffenheit des Objekts, daß diejenigen, welche immer12 nur auf das Genießen ausgehen (denn das ist das Wort, womit man das Innige des Vergnügens bezeichnet), sich gerne alles Urteilens13 überheben.

§4 Das Wohlgefallen am Guten ist mit Interesse verbunden G u t ist das, was vermittelst der Vernunft, durch den bloßen Begriff, gefällt. Wir nennen einiges w o z u g u t (das Nützliche), was nur als Mittel gefällt; ein anderes aber a n s i c h g u t , was für sich selbst gefällt. In beiden ist immer der Begriff eines Zwecks, mithin das Verhältnis der Vernunft zum (wenigstens möglichen) Wollen, folglich ein Wohlgefallen am D a s e i n eines Objekts oder einer Handlung, d. i. irgend ein Interesse, enthalten. Um etwas gut zu finden, muß ich jederzeit wissen, was der Gegenstand für ein Ding sein solle, d. i. einen Begriff von demselben haben. Um Schönheit woran zu finden, habe ich das nicht nötig. Blumen, freie Zeichnungen, ohne Absicht in einan11 der geschlungene Züge, | unter dem Namen des Laubwerks, bedeuten nichts, hängen von keinem bestimmten Begriffe ab, und gefallen doch. Das Wohlgefallen am Schönen muß von der

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 4

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di un oggetto. Il colore verde dei prati compete alla sensazione o g g e t t i v a in quanto percezione di un oggetto del senso; ma la sua gradevolezza compete alla sensazione s o g g e t t i v a , con la quale non viene rappresentato alcun oggetto, e cioè nel sentimento con cui l’oggetto è considerato come oggetto del compiacimento (che non è una sua conoscenza). Ora, che il mio giudizio su un oggetto, con il quale lo dichiaro gradevole, esprima un interesse nei suoi confronti 207 risulta già chiaro per il fatto che attraverso la sensazione tale giudizio suscita la voglia di oggetti simili: di conseguenza il compiacimento presuppone non il semplice giudizio sull’oggetto, ma il riferimento della sua esistenza al mio stato, nella misura in cui quest’ultimo è affetto da un tale oggetto. È per questo che del gradevole non si dice soltanto che p i a c e , 10 bensì che s o d d i s f a . Non è una semplice approvazione quella che gli dedico, ma con questo si genera un’inclinazione; e a ciò che è gradevole nel modo più vivo compete così poco un giudizio sulla costituzione dell’oggetto che coloro che mirano sempre solo al godimento (infatti questa è la parola con cui si designa ciò che c’è di intimo nel soddisfacimento) si dispensano volentieri da ogni giudicare.

§4 IL COMPIACIMENTO PER IL BUONO È COLLEGATO CON UN INTERESSE B u o n o è ciò che, per mezzo della ragione, piace per il semplice concetto. Chiamiamo b u o n o a (l’utile) qualcosa che piace solo come mezzo; ma chiamiamo b u o n o i n s é qualcos’altro che piace per se stesso. In entrambi i casi è sempre contenuto il concetto di un fine, quindi il rapporto della ragione con il volere (quanto meno possibile), di conseguenza un compiacimento per l’ e s i s t e n z a di un oggetto o di un’azione, cioè un qualche interesse. Per trovare buono qualcosa devo sempre sapere che cosa deve essere l’oggetto, cioè averne un concetto. Per trovarvi la bellezza non ne ho bisogno. Fiori, disegni liberi, tratti intrecciati tra loro senza intenzione che vanno sotto il nome di fo- 11 gliame, non significano niente, non dipendono da alcun concetto determinato e tuttavia piacciono. Il compiacimento per

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Reflexion über einen Gegenstand, die zu irgend einem Begriffe (unbestimmt welchem) führt, abhängen, und unterscheidet sich dadurch auch vom Angenehmen, welches1 ganz auf der Empfindung beruht. Zwar scheint das Angenehme mit dem Guten in vielen Fällen einerlei zu sein. So wird man gemeiniglich sagen: alles (vornehmlich dauerhafte) Vergnügen ist an sich selbst gut; welches ungefähr so viel heißt, als: dauerhaft-angenehm oder gut sein ist einerlei. Allein man kann bald bemerken, daß dieses bloß eine fehlerhafte Wortvertauschung sei, da die Begriffe, welche diesen Ausdrücken eigentümlich anhängen, keinesweges || 208 gegen einander ausgetauscht werden können. Das Angenehme, das, als ein solches, den Gegenstand lediglich in Beziehung auf den Sinn vorstellt, muß allererst durch den Begriff eines Zwecks unter Prinzipien der Vernunft gebracht werden, um es, als Gegenstand des Willens, gut zu nennen. Daß dieses aber alsdann eine ganz andere Beziehung auf das Wohlgefallen sei, wenn ich das, was vergnügt, zugleich g u t nenne, ist daraus zu ersehen, daß beim Guten immer die Frage ist, ob es bloß mittelbar-gut oder unmittelbar-gut (ob nützlich oder an sich gut) sei; da hingegen beim Angenehmen hierüber gar nicht die Frage 12 sein kann, indem das Wort jederzeit | etwas bedeutet, was unmittelbar gefällt. (Eben so ist es auch mit dem, was ich schön nenne, bewandt). Selbst in den gemeinsten Reden unterscheidet man das Angenehme vom Guten. Von einem durch Gewürze und andre Zusätze den Geschmack erhebenden Gerichte sagt man ohne Bedenken, es sei angenehm, und gesteht zugleich, daß es nicht gut sei: weil es zwar unmittelbar den Sinnen b e h a g t , mittelbar aber, d. i. durch die Vernunft, die auf die Folgen hinaus sieht, betrachtet, mißfällt. Selbst in der Beurteilung der Gesundheit kann man noch diesen Unterschied bemerken. Sie ist jedem, der sie besitzt, unmittelbar angenehm (wenigstens negativ, d. i. als Entfernung aller körperlichen Schmerzen). Aber, um zu sagen, daß sie gut sei, muß man sie noch durch die Vernunft auf Zwecke richten, nämlich daß sie ein Zustand ist, der uns zu allen unsern Geschäften aufgelegt macht. In Absicht der Glückseligkeit2 glaubt endlich doch jedermann, die größte Summe (der Menge sowohl als Dauer nach) der Annehmlichkeiten des

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 4

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il bello deve dipendere dalla riflessione su un oggetto, la quale conduce a un qualche concetto (resta indeterminato a quale), e perciò si distingue anche dal gradevole, che si basa interamente sulla sensazione. È vero che in molti casi il gradevole sembra fare tutt’uno con il buono. Così si dice comunemente: ogni soddisfacimento (soprattutto se duraturo) è in se stesso buono; ciò vuol dire pressappoco che ciò che è gradevole in modo duraturo o ciò che è buono sono la medesima cosa. Solo che si può subito notare che questo è semplicemente un erroneo scambio di parole, poiché i concetti propriamente connessi a queste espressioni non possono in alcun modo venire scambiati l’uno 208 con l’altro. Il gradevole che, come tale, rappresenta l’oggetto esclusivamente in riferimento al senso deve innanzitutto essere riportato, mediante il concetto di un fine, sotto principi della ragione perché lo si possa chiamare, come oggetto del volere, buono. Ma che sia un riferimento del tutto diverso dal compiacimento, quando nel contempo chiamo b u o n o ciò che soddisfa, lo si vede facilmente per il fatto che, a proposito del buono, si pone sempre la domanda se esso sia buono solo mediatamente o immediatamente buono (se sia utile o buono in sé); mentre a proposito del gradevole tale domanda non può affatto essere posta, in quanto la parola significa sempre qualcosa che piace immediatamente. (Lo stesso accade anche 12 con ciò che chiamo bello). Anche nei discorsi più comuni si distingue il gradevole dal buono. Di una pietanza che stimola il gusto con spezie e altri condimenti si dice senza esitare che è gradevole, ammettendo ad un tempo che non è buona: infatti certo essa a g g r a d a immediatamente ai sensi, ma poi dispiace se considerata mediatamente, cioè dalla ragione che ne prevede le conseguenze. Inoltre questa differenza si può notare anche nella valutazione della salute. Per chiunque la possieda, la salute è immediatamente gradevole (almeno negativamente, cioè come un tener lontano ogni dolore corporeo). Ma per dire che è buona occorre inoltre che sia orientata a fini mediante la ragione, e cioè che sia uno stato che ci rende ben disposti nei confronti di tutte le nostre occupazioni. In vista della felicità ognuno crede senz’altro di poter chiamare vero bene, anzi addirittura il sommo bene, la somma più grande (per la quan-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Lebens ein wahres, ja sogar das höchste Gut nennen zu können. Allein auch dawider sträubt sich die Vernunft. Annehmlichkeit ist Genuß. Ist es aber auf diesen allein angelegt, so wäre es töricht, skrupulös in Ansehung der Mittel zu sein, die ihn uns verschaffen, ob er leidend, von der Freigebigkeit der Natur, oder durch Selbsttätigkeit und unser eignes Wirken erlangt wäre. Daß aber eines Menschen Existenz an sich3 einen Wert | 13 habe, welcher bloß4 lebt (und in dieser Absicht noch so sehr geschäftig ist), um z u g e n i e ß e n , sogar wenn er dabei andern, die alle eben so wohl nur aufs Genießen ausgehen, als Mittel dazu aufs beste beförderlich wäre, und zwar darum, weil er durch Sympathie alles Vergnügen mit genösse: das wird sich die Vernunft nie überreden lassen. Nur durch das, was er tut, ohne Rücksicht auf Genuß, in voller Freiheit und unabhängig von dem, was ihm die Natur auch leidend verschaffen könnte, 209 gibt er seinem Dasein als der Existenz einer Per||son einen absoluten5 Wert; und die Glückseligkeit ist, mit der ganzen Fülle ihrer Annehmlichkeit, bei weitem nicht ein unbedingtes Gut*. Aber, ungeachtet aller dieser Verschiedenheit zwischen dem Angenehmen und Guten, kommen beide doch darin überein: daß sie jederzeit mit einem Interesse an ihrem Gegenstande verbunden sind, nicht allein das Angenehme (§ 3), und das mittelbar Gute (das Nützliche), welches als Mittel zu irgend einer Annehmlichkeit gefällt, sondern auch das schlechterdings und in aller Absicht Gute, nämlich das moralische, welches das höchste Interesse bei sich führt. Denn das Gute ist das Objekt | 14 des Willens (d. i. eines durch Vernunft bestimmten Begehrungsvermögens). Etwas aber wollen, und an dem Dasein desselben ein Wohlgefallen haben, d. i. daran ein Interesse nehmen, ist identisch.

* Eine Verbindlichkeit zum Genießen ist eine offenbare Ungereimtheit. Eben das muß also auch eine vorgegebene Verbindlichkeit zu allen Handlungen sein, die zu ihrem Ziele bloß das Genießen haben: dieses mag nun so geistig ausgedacht (oder verbrämt) sein, wie es wolle, und wenn es auch ein mystischer sogenannter himmlischer Genuß wäre.

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 4

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tità come pure per la durata) delle cose gradevoli della vita. Ma anche in questo caso la ragione si ribella. Gradevolezza è godimento. Tuttavia se si puntasse soltanto su questo, sarebbe da stolti farsi scrupoli riguardo ai mezzi che ce lo procurano, chiedendosi se sia ottenuto passivamente, grazie alla liberalità della natura, oppure mediante la spontaneità e il nostro proprio agire. Ma la ragione non si lascerà mai convincere che possieda un valore l’esistenza in sé di un uomo che vive semplicemente p e r g o d e r e (e con questo intento si dia an- 13 che un gran daffare), perfino qualora fosse, come mezzo per questo, di grande aiuto agli altri che perseguono essi stessi soltanto il godimento, e lo fosse proprio per il fatto di godere con loro per simpatia di ogni soddisfacimento. Soltanto per ciò che fa senza badare al godimento, in piena libertà e indipendentemente da ciò che la natura gli potrebbe procurare pur restando egli passivo, egli dà un valore assoluto al suo esserci, in quanto esistenza di una persona; e la felicità, con 209 tutta l’abbondanza della sua gradevolezza, è ben lungi dall’essere un bene incondizionato*. Tuttavia, malgrado tutta questa diversità tra il gradevole e il buono, questi due convengono però in ciò: che essi sono sempre collegati con un interesse per il loro oggetto, non soltanto il gradevole (§ 3) e ciò che è buono mediatamente (l’utile), il quale piace come mezzo in vista di qualche gradevolezza, bensì anche ciò che è buono assolutamente e in ogni intenzione, cioè il buono morale, che comporta l’interesse supremo. Infatti il buono è l’oggetto del volere (ossia di una fa- 14 coltà di desiderare determinata dalla ragione). Ma volere qualcosa e provare un compiacimento per la sua esistenza, cioè prendervi un interesse, è la stessa cosa.

* Un obbligo al godere è una palese assurdità. Ugualmente deve quindi esserlo anche un preteso obbligo a tutte quelle azioni che abbiano come meta semplicemente il godimento, per quanto esso possa anche essere concepito (o abbellito) in modo spirituale, e perfino qualora fosse un godimento mistico, cosiddetto celestiale.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§5 Vergleichung der drei spezifisch verschiedenen Arten des Wohlgefallens Das Angenehme und Gute haben beide eine Beziehung auf das Begehrungsvermögen, und führen sofern, jenes ein pathologisch-bedingtes (durch Anreize, stimulos), dieses ein reines praktisches Wohlgefallen bei sich, welches nicht bloß durch die Vorstellung des Gegenstandes, sondern zugleich durch die vorgestellte Verknüpfung des Subjekts mit der Existenz desselben bestimmt wird. Nicht bloß der Gegenstand, sondern auch die Existenz desselben gefällt1. Dagegen2 ist das Geschmacksurteil bloß k o n t e m p l a t i v, d. i. ein Urteil, welches, indifferent in Ansehung des Daseins eines Gegenstandes, nur seine Beschaffenheit mit dem3 Gefühl der Lust und Unlust zusammenhält. Aber diese Kontemplation selbst ist auch nicht auf Begriffe gerichtet; denn das Geschmacksurteil ist kein Erkenntnisurteil (weder4 ein theoretisches noch praktisches5), und daher auch nicht auf Begriffe g e g r ü n d e t , oder auch auf solche a b g e zweckt. Das Angenehme, das Schöne, das Gute bezeichnen also drei 15 verschiedene Verhältnisse der Vorstellungen | zum Gefühl der 210 Lust und Unlust, in || Beziehung auf welches wir Gegenstände, oder Vorstellungsarten, von einander unterscheiden. Auch sind die jedem angemessenen Ausdrücke, womit man die Komplazenz in denselben bezeichnet, nicht einerlei. A n g e n e h m heißt jemandem das, was ihn v e r g n ü g t ; s c h ö n , was ihm bloß g e f ä l l t ; g u t , was g e s c h ä t z t , g e b i l l i g t 6, d. i. worin von ihm ein objektiver Wert gesetzt wird. Annehmlichkeit gilt auch für vernunftlose Tiere; Schönheit nur für Menschen, d. i. tierische, aber doch vernünftige Wesen, aber auch nicht bloß als solche (z. B. Geister) sondern zugleich als tierische7; das Gute aber für jedes vernünftige Wesen überhaupt. Ein Satz, der nur in der Folge seine vollständige Rechtfertigung und Erklärung bekommen kann. Man kann sagen: daß, unter allen diesen drei Arten des Wohlgefallens, das des Geschmacks am Schönen einzig und allein ein uninteressiertes und f r e i e s Wohlgefallen sei;

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 5

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§5 CONFRONTO DELLE TRE SPECIE SPECIFICAMENTE DIVERSE DEL COMPIACIMENTO

Il gradevole e il buono possiedono entrambi un riferimento alla facoltà di desiderare e comportano pertanto il primo un compiacimento patologicamente condizionato (da stimoli, stimuli), il secondo un puro compiacimento pratico, che è determinato non soltanto dalla rappresentazione dell’oggetto, bensì nel contempo dalla rappresentata connessione del soggetto con l’esistenza dell’oggetto. Non piace semplicemente l’oggetto, ma anche la sua esistenza. Al contrario, il giudizio di gusto è semplicemente c o n t e m p l a t i v o , cioè si tratta di un giudizio che, indifferente all’esistenza di un oggetto, connette soltanto la costituzione dell’oggetto con il sentimento del piacere e dispiacere. Ma questa stessa contemplazione non è indirizzata a concetti; infatti il giudizio di gusto non è un giudizio di conoscenza (né teoretico né pratico), e perciò non è nemmeno f o n d a t o su concetti e neppure è t e s o a tali concetti. Il gradevole, il bello, il buono designano dunque tre diversi rapporti delle rappresentazioni con il sentimento del 15 piacere e dispiacere, in riferimento al quale noi distinguia- 210 mo tra di loro oggetti o specie di rappresentazione. Anche le espressioni adeguate a ciascuno di essi, mediante le quali si designa la rispettiva compiacenza, non sono identiche. Si chiama g r a d e v o l e a qualcuno ciò che lo s o d d i s f a ; b e l l o ciò che semplicemente gli p i a c e ; b u o n o ciò che s t i m a , che a p p r o v a , ossia ciò in cui pone un valore oggettivo. La gradevolezza vale anche per gli animali privi di ragione; la bellezza soltanto per gli uomini, cioè per esseri che sono animali e tuttavia razionali, non però in quanto semplicemente razionali (per esempio gli spiriti), ma nello stesso tempo in quanto sono animali; il buono invece vale per ogni essere razionale in generale. È una proposizione che potrà ottenere soltanto in seguito la sua completa giustificazione e spiegazione. Si può dire che tra queste tre specie di compiacimento solo ed esclusivamente quello del gusto per il bello sia un compiacimento disinteressato e l i b e r o ; infatti nessun

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

denn kein Interesse, weder das der Sinne, noch das8 der Vernunft, zwingt den Beifall ab. Daher könnte man von dem Wohlgefallen sagen: es beziehe sich in den drei genannten Fällen auf N e i g u n g , oder G u n s t , oder A c h t u n g . Denn G u n s t ist das einzige9 freie Wohlgefallen. Ein Gegenstand der Neigung, und einer, welcher durch10 ein Vernunftgesetz uns zum Begehren auferlegt wird, lassen uns keine Freiheit, uns selbst irgend woraus einen Gegenstand der Lust zu machen. Alles In16 teresse setzt Bedürfnis vor | aus, oder bringt eines hervor; und, als Bestimmungsgrund des Beifalls, läßt es das Urteil über den Gegenstand nicht mehr frei sein. Was das Interesse der Neigung beim Angenehmen betrifft, so sagt jedermann: Hunger ist der beste Koch, und Leuten von gesundem Appetit schmeckt alles, was nur eßbar ist; mithin beweiset ein solches Wohlgefallen keine Wahl nach Geschmack. Nur wenn das Bedürfnis befriedigt ist, kann man unterscheiden, wer unter vielen Geschmack habe, oder nicht. Eben so gibt es Sitten (Konduite) ohne Tugend, Höflichkeit ohne Wohlwollen, Anständigkeit ohne Ehrbarkeit u.s.w. Denn wo das sittliche Gesetz spricht, da gibt es, obiektiv, weiter11 keine freie Wahl in Ansehung dessen, was zu tun sei; und Geschmack in seiner Aufführung (oder in12 Beurteilung anderer ihrer) zeigen ist etwas ganz anderes, als seine moralische Denkungsart äußern: denn diese enthält ein Gebot und bringt ein Bedürfnis hervor, da hingegen der sittliche Geschmack mit den Gegenständen des Wohlgefallens nur spielt, ohne sich an einen13 zu hängen. || 211

Aus dem ersten Momente gefolgerte Erklärung des Schönen G e s c h m a c k ist das Beurteilungsvermögen eines Gegenstandes oder einer Vorstellungsart durch ein Wohlgefallen, oder Mißfallen, o h n e a l l e s I n t e r e s s e . Der Gegenstand eines solchen Wohlgefallens heißt s c h ö n . |

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 5

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interesse, né quello dei sensi né quello della ragione, costringe all’approvazione. Pertanto del compiacimento si potrebbe dire che esso si riferisce, nei tre casi menzionati, o all’ i n c l i n a z i o n e o al f a v o r e o al r i s p e t t o . Infatti il f a v o r e è l’unico compiacimento libero. Un oggetto dell’inclinazione e un oggetto che una legge della ragione ci imponga di desiderare non ci lasciano alcuna libertà di fare noi stessi di qualche cosa un oggetto del piacere. Ogni interesse presuppone un bisogno o ne produce uno e, in quanto principio di determi- 16 nazione dell’approvazione, non lascia più essere libero il giudizio sull’oggetto. Per quel che concerne l’interesse dell’inclinazione nel gradevole, tutti dicono che la fame è il miglior cuoco e che alla gente di sano appetito piace tutto, basta che sia commestibile; un tale compiacimento non dimostra di conseguenza alcuna scelta dovuta al gusto. È soltanto quando il bisogno è soddisfatto che si può distinguere, tra molti, chi ha gusto oppure no. Ugualmente, ci sono costumi (condotte) senza virtù, cortesia senza benevolenza, decoro senza onorabilità, ecc. Infatti, dove parla la legge morale, là non c’è più oggettivamente alcun’altra libera scelta riguardo a ciò che si deve fare; e mostrare gusto nel proprio comportamento (o nella valutazione di quello degli altri) è qualcosa del tutto diverso dal manifestare il proprio modo morale di pensare: questo contiene infatti un comando e produce un bisogno, laddove, al contrario, il gusto morale gioca soltanto con gli oggetti del compiacimento, senza aderire a nessuno di essi.

Definizione del bello derivata dal primo momento G u s t o è la facoltà di valutare un oggetto o una specie di rappresentazione mediante un compiacimento, o dispiacimento, s e n z a a l c u n i n t e r e s s e . L’oggetto di un tale compiacimento si chiama b e l l o .

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Zweites Moment des Geschmacksurteils, nämlich seiner Quantität nach §6 Das Schöne ist das, was ohne Begriffe, als Objekt eines allgemeinen Wohlgefallens vorgestellt wird

Diese Erklärung des Schönen kann aus der vorigen Erklärung desselben, als eines Gegenstandes des Wohlgefallens ohne alles Interesse, gefolgert werden. Denn das, wovon jemand sich bewußt ist, daß das Wohlgefallen an demselben bei ihm selbst ohne alles Interesse sei, das kann derselbe nicht anders als so beurteilen, daß es einen Grund des Wohlgefallens für jedermann enthalten müsse. Denn da es sich nicht auf irgend eine Neigung des Subjekts (noch auf irgend ein anderes überlegtes Interesse) gründet, sondern da1 der Urteilende sich in Ansehung des Wohlgefallens, welches er dem Gegenstande widmet, völlig f r e i fühlt: so kann er keine Privatbedingungen als Gründe des Wohlgefallens auffinden, an die sich sein Subjekt allein hinge2, und muß es daher als in demjenigen begründet ansehen, was er auch bei jedem andern voraussetzen kann; folglich muß er glauben Grund zu haben, jedermann ein ähnliches 18 Wohlgefallen zuzumuten. Er wird daher vom Schö|nen so sprechen, als ob Schönheit eine Beschaffenheit des Gegenstandes und das Urteil logisch (durch Begriffe vom Objekte eine Erkenntnis desselben ausmache3) wäre; ob es gleich nur ästhetisch ist und bloß eine Beziehung der Vorstellung des Gegenstandes auf das Subjekt enthält: darum, weil es doch mit dem logischen die Ähnlichkeit hat, daß man die Gültigkeit desselben für jedermann daran voraussetzen kann. Aber aus Begriffen kann diese Allgemeinheit auch nicht entspringen. Denn von Begriffen gibt es keinen Übergang zum Gefühle der Lust oder4 Unlust (ausgenommen in reinen praktischen Gesetzen, die aber ein Interesse 212 bei sich führen, dergleichen mit dem reinen Ge||schmacksurteile nicht verbunden ist). Folglich muß dem Geschmacksurteile, mit dem Bewußtsein der Absonderung in demselben von allem Interesse, ein Anspruch auf Gültigkeit für jedermann, ohne auf

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 6

SECONDO MOMENTO DEL GIUDIZIO DI GUSTO,

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CIOÈ SECONDO LA SUA QUANTITÀ

§6 IL BELLO È CIÒ CHE VIENE RAPPRESENTATO SENZA CONCETTI COME OGGETTO DI UN COMPIACIMENTO UNIVERSALE

Questa definizione può essere derivata dalla precedente definizione del bello, quale oggetto di compiacimento senza alcun interesse. Infatti, ciò di cui qualcuno è consapevole che il compiacimento per esso è in lui stesso senza alcun interesse, egli non può valutarlo altrimenti se non come se esso debba contenere un fondamento del compiacimento per ognuno. In effetti, poiché il compiacimento non si fonda su una qualche inclinazione del soggetto (né su qualche altro interesse derivante dalla riflessione), ma poiché colui che giudica si sente completamente l i b e r o riguardo al compiacimento che dedica all’oggetto, egli non può proprio ritrovare condizioni private alle quali aderisca il suo solo soggetto come fondamenti del compiacimento, e perciò deve considerarlo come fondato in ciò che egli può presupporre anche in ciascun altro; di conseguenza egli deve credere di avere un motivo per aspettarsi da ciascuno un simile compiacimento. Egli parlerà dunque del bello come se la bellezza fosse una costituzio- 18 ne dell’oggetto e come se il giudizio fosse logico (tale da costituire mediante concetti dell’oggetto una conoscenza del medesimo), benché questo giudizio sia soltanto estetico e contenga semplicemente un riferimento della rappresentazione dell’oggetto al soggetto; il motivo si trova nel fatto che il giudizio estetico possiede tuttavia questa somiglianza con il giudizio logico, ossia che se ne può presupporre la validità per ciascuno. Ma questa universalità non può provenire da concetti. Infatti non c’è alcun passaggio dai concetti al sentimento del piacere o dispiacere (tranne che nelle pure leggi pratiche, le quali tuttavia comportano un interesse, mentre nulla di simile è collegato con il puro giudizio di gusto). Di 212 conseguenza occorre che al giudizio di gusto, con la coscienza dell’astrazione in esso da ogni interesse, aderisca una pre-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Objekte gestellte Allgemeinheit anhängen5, d. i. es muß damit ein Anspruch auf subjektive Allgemeinheit verbunden sein.

§7 Vergleichung des Schönen mit dem Angenehmen und Guten durch obiges Merkmal In Ansehung des A n g e n e h m e n bescheidet sich ein jeder: daß sein Urteil, welches er auf ein Privatgefühl gründet, und wodurch er von einem Gegenstande sagt, daß er ihm gefalle, 19 sich auch bloß auf seine Person ein|schränke. Daher ist er es gern zufrieden, daß, wenn er sagt: der Kanariensekt ist angenehm, ihm ein anderer den Ausdruck verbessere und ihn erinnere, er solle sagen: er ist m i r angenehm; und so nicht allein im Geschmack der Zunge, des Gaumens und des Schlundes, sondern auch in1 dem, was für Augen und Ohren jedem angenehm sein mag. Dem einen ist die violette Farbe sanft und lieblich, dem andern tot und erstorben. Einer liebt den Ton der Blasinstrumente, der andre den von den Saiteninstrumenten. Darüber in der Absicht zu streiten, um das Urteil anderer, welches von dem unsrigen verschieden ist, gleich als ob es diesem logisch entgegen gesetzt wäre, für unrichtig zu schelten, wäre Torheit; in2 Ansehung des Angenehmen gilt also3 der Grundsatz: e i n j e d e r h a t s e i n e n e i g e n e n 4 G e s c h m a c k (der Sinne). Mit dem Schönen ist es ganz anders bewandt. Es wäre (gerade umgekehrt) lächerlich, wenn jemand, der sich auf seinen Geschmack etwas einbildete, sich damit zu rechtfertigen gedächte: dieser Gegenstand (das Gebäude, was wir sehen, das Kleid, was jener trägt, das Konzert, was wir hören, das Gedicht, welches zur Beurteilung aufgestellt ist) ist f ü r m i c h schön. Denn er muß es nicht s c h ö n nennen, wenn es bloß ihm gefällt. Reiz5 und Annehmlichkeit mag für ihn vieles haben, darum bekümmert sich niemand; wenn er aber etwas für schön ausgibt, so mutet er andern eben dasselbe Wohlgefallen zu: er 20 urteilt nicht bloß für sich, | sondern für jedermann, und spricht alsdann von der Schönheit, als wäre sie eine Eigenschaft der Dinge. Er sagt daher, die S a c h e ist schön; und rechnet nicht etwa darum auf anderer6 Einstimmung in sein Urteil des Wohl-

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 7

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tesa di validità per ciascuno, senza una universalità riposta negli oggetti: in altri termini occorre che al giudizio di gusto sia collegata una pretesa all’universalità soggettiva.

§7 CONFRONTO DEL BELLO CON IL GRADEVOLE E CON IL BUONO MEDIANTE LA CARATTERISTICA INDICATA

Riguardo al g r a d e v o l e , ognuno si accontenta del fatto che il proprio giudizio, che egli fonda su un sentimento privato e con il quale dice di un oggetto che gli piace, si limiti anche semplicemente alla sua persona. Perciò se dice che «il 19 vino frizzante delle Canarie è gradevole», accetta volentieri che un altro gli corregga l’espressione e gli ricordi che dovrebbe dire «è gradevole p e r m e »; e così accade non solo nel gusto della lingua, del palato e della gola, ma anche in ciò che può essere gradevole agli occhi e agli orecchi di ognuno. Per uno il colore violetto è delicato e amabile; per un altro è smorto e spento. Uno ama il suono degli strumenti a fiato, un altro quello degli strumenti a corda. In merito sarebbe insensato discutere con l’intento di biasimare come non giusto il giudizio degli altri, che è diverso dal nostro, come se gli fosse logicamente contrapposto; riguardo al gradevole vale dunque il principio: c i a s c u n o h a i l s u o p r o p r i o g u s t o (dei sensi). Con il bello le cose stanno in modo del tutto diverso. Sarebbe (proprio al contrario) ridicolo se qualcuno che si vantasse di avere gusto pensasse di giustificarsi dicendo: «questo oggetto (l’edificio che vediamo, il vestito che quello indossa, il concerto che ascoltiamo, la poesia sottoposta a valutazione) è bello p e r m e ». Infatti non deve chiamarlo b e l l o , se piace solo a lui. Molte cose possono avere per lui attrattiva e gradevolezza, ma questo non importa a nessuno; al contrario quando dice che qualcosa è bello, egli si aspetta dagli altri proprio lo stesso compiacimento: egli giudica non semplicemente per sé, ma per ciascuno, e parla allora della bellezza 20 come se fosse una proprietà delle cose. Egli dice perciò che la c o s a è bella; e nel proprio giudizio di compiacimento non fa conto sulla concordanza degli altri, per esempio perché li ha 213

PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

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|| weil er sie7 mehrmalen mit dem seinigen einstimmig befunden hat, sondern f o r d e r t es von ihnen. Er tadelt sie, wenn sie anders urteilen, und spricht ihnen den Geschmack ab, von dem er doch verlangt, daß sie ihn haben sollen; und sofern kann man nicht sagen: ein jeder hat seinen besondern Geschmack. Dieses würde so viel heißen8, als: es gibt gar keinen Geschmack, d. i. kein ästhetisches Urteil, welches auf jedermanns Beistimmung rechtmäßigen Anspruch machen könnte. Gleichwohl findet man auch in Ansehung des Angenehmen, daß in der Beurteilung desselben sich Einhelligkeit unter Menschen antreffen lasse, in Absicht auf welche man doch einigen den Geschmack abspricht, andern ihn zugesteht, und zwar nicht in der Bedeutung als Organsinn, sondern als Beurteilungsvermögen in Ansehung des Angenehmen überhaupt. So sagt man von jemanden, der seine Gäste mit Annehmlichkeiten (des Genusses durch alle Sinne) so zu unterhalten weiß, daß es ihnen insgesamt gefällt: er habe Geschmack. Aber hier wird die Allgemeinheit nur komparativ genommen; und da gibt es nur g e n e r a l e (wie die empirischen alle sind)9, nicht u n i v e r s a l e Regeln, welche letzteren das Geschmacksurteil über das Schöne 21 sich unternimmt oder | darauf Anspruch macht. Es ist ein Urteil in Beziehung auf die Geselligkeit, sofern sie auf empirischen Regeln beruht. In Ansehung des Guten machen die Urteile zwar auch mit Recht auf Gültigkeit für jedermann Anspruch; allein das Gute wird nur d u r c h e i n e n B e g r i f f als Objekt eines allgemeinen Wohlgefallens vorgestellt, welches weder beim Angenehmen noch beim10 Schönen der Fall ist.

213 gefallens,

§8 Die Allgemeinheit des Wohlgefallens wird in einem Geschmacksurteile nur als subjektiv vorgestellt Diese besondere Bestimmung der Allgemeinheit eines ästhetischen Urteils, die sich in einem Geschmacksurteile antreffen läßt, ist eine Merkwürdigkeit, zwar nicht für den Logiker, aber wohl für den Transzendental-Philosophen, welche seine1 nicht geringe Bemühung auffordert, um den Ursprung derselben zu entdecken, dafür aber auch eine Eigenschaft unseres Erkenntnisvermögens aufdeckt, welche, ohne diese Zergliederung, unbekannt geblieben wäre.

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 8

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trovati più volte concordanti con il suo giudizio, ma egli la e s i g e da loro. Egli li biasima se giudicano in modo diverso e nega loro il gusto, pretendendo tuttavia che essi debbano averlo; e così non si può dire che ciascuno possiede un proprio gusto particolare. Ciò equivarrebbe a dire che non c’è alcun gusto, ossia che non c’è alcun giudizio estetico che possa avanzare una legittima pretesa di consenso da parte di ciascuno. Tuttavia si constata anche, riguardo al gradevole, che si può trovare tra gli uomini una concordia in considerazione della quale si nega il gusto ad alcuni, lo si attribuisce ad altri; e certo il gusto inteso non come senso organico, ma come facoltà di valutare il gradevole in generale. Così, di qualcuno che sa intrattenere i propri ospiti con cose gradevoli (che suscitano il godimento attraverso tutti i sensi) in modo tale che ciò piaccia a tutti quanti loro, si dice appunto che ha gusto. Ma qui l’universalità viene presa soltanto in modo comparativo; e in tal caso ci sono soltanto regole g e n e r a l i (come lo sono tutte le regole empiriche) e non u n i v e r s a l i , quali sono quelle alle quali il giudizio di gusto sul bello si sottopone o delle quali manifesta l’esigenza. È un giudizio che si 21 riferisce alla socievolezza nella misura in cui questa si basa su regole empiriche. Anche riguardo al buono, i giudizi avanzano certo con diritto la pretesa alla validità per ciascuno; soltanto che il buono viene rappresentato come oggetto di un compiacimento universale unicamente m e d i a n t e u n c o n c e t t o , e questo non è il caso né del gradevole né del bello.

§8 L’UNIVERSALITÀ DEL COMPIACIMENTO È RAPPRESENTATA IN UN GIUDIZIO DI GUSTO SOLO COME SOGGETTIVA

Questa particolare determinazione dell’universalità di un giudizio estetico, come la si può riscontrare in un giudizio di gusto, è un fatto notevole; e ciò non per il logico, ma certamente per il filosofo trascendentale, al quale richiede non poca fatica affinché ne scopra l’origine; tuttavia in compenso rivela anche una proprietà della nostra facoltà di conoscere, che, senza questa analisi, sarebbe rimasta ignota.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Zuerst muß man sich davon völlig überzeugen: daß man || Geschmacksurteil (über das Schöne) das Wohlgefallen an einem Gegenstande j e d e r m a n n ansinne, ohne sich doch auf einem Begriffe zu gründen (denn da wäre es das 22 Gute); und daß dieser Anspruch | auf Allgemeingültigkeit so wesentlich zu einem Urteil gehöre, wodurch2 wir etwas für s c h ö n erklären, daß, ohne dieselbe dabei zu denken, es niemand in die Gedanken kommen würde, diesen Ausdruck zu gebrauchen, sondern alles, was ohne Begriff gefällt, zum Angenehmen gezählt werden würde, in Ansehung dessen man jeglichem3 seinen Kopf für sich haben läßt, und keiner dem andern Einstimmung zu seinem Geschmacksurteile zumutet, welches doch im Geschmacksurteile über Schönheit jederzeit geschieht. Ich kann den ersten den Sinnen-Geschmack, den zweiten den Reflexions-Geschmack nennen: sofern der erstere bloß Privaturteile, der zweite aber vorgebliche gemeingültige (publike), beiderseits aber ästhetische (nicht praktische) Urteile über einen Gegenstand, bloß4 in Ansehung des Verhältnisses seiner Vorstellung zum Gefühl der Lust und Unlust, fället. Nun ist es doch befremdlich, daß, da von dem Sinnengeschmack nicht allein die Erfahrung zeigt, daß sein Urteil (der Lust oder Unlust an irgend etwas) nicht allgemein gelte, sondern jedermann auch von selbst so bescheiden ist, diese Einstimmung andern nicht eben anzusinnen (ob sich gleich wirklich öfter eine sehr ausgebreitete Einhelligkeit auch in diesen Urteilen vorfindet), der Reflexions-Geschmack, der doch auch oft genug, mit seinem Anspruche auf die allgemeine Gültigkeit seines Urteils (über das Schöne) für jedermann, abgewiesen wird, wie die Erfahrung 23 lehrt, gleichwohl es möglich finden | könne (welches er auch wirklich tut), sich Urteile vorzustellen, die diese Einstimmung allgemein fordern könnten, und sie in der Tat für jedes seiner Geschmacksurteile jedermann zumutet, ohne daß die Urteilenden wegen der Möglichkeit eines solchen Anspruchs in Streite sind, sondern sich nur in besondern Fällen wegen der richtigen Anwendung dieses Vermögens nicht einigen können. Hier ist nun allererst zu merken, daß eine Allgemeinheit, die nicht auf Begriffen vom Objekte (wenn gleich nur empirischen) beruht, gar nicht logisch, sondern ästhetisch sei, d. i. keine objektive Quantität des Urteils, sondern nur eine subjektive ent-

214 durch das

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 8

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Innanzitutto occorre convincersi pienamente del fatto che mediante il giudizio di gusto (sul bello) si esige d a c i a s c u - 214 n o il compiacimento per un oggetto, senza fondarsi tuttavia su un concetto (perché allora si tratterebbe del buono); e del fatto che questa pretesa alla validità universale compete così 22 essenzialmente a un giudizio con cui diciamo b e l l o qualcosa, che, se non vi si pensasse quella universalità, a nessuno verrebbe in mente di usare questa espressione, bensì tutto ciò che piace senza concetto sarebbe stato annoverato nel gradevole a riguardo del quale si permette a chiunque di pensarla a suo modo e nessuno si aspetta dall’altro la concordanza con il proprio giudizio di gusto, cosa che invece accade sempre nel giudizio di gusto sulla bellezza. Posso chiamare il primo gusto dei sensi e il secondo gusto della riflessione, in quanto il primo formula soltanto giudizi privati e il secondo invece giudizi che pretendono di avere validità comune (pubblici), benché si tratti in entrambi i casi di giudizi estetici (non pratici) su un oggetto, semplicemente riguardo al rapporto della rappresentazione dell’oggetto con il sentimento del piacere e dispiacere. Ora, però, è strano che, mentre a proposito del gusto dei sensi l’esperienza mostra non soltanto che il suo giudizio (di piacere o dispiacere per qualcosa) non vale universalmente ma ciascuno è già di per sé così modesto da non richiedere appunto una tale concordanza dagli altri (benché effettivamente si riscontri spesso una assai diffusa unanimità anche in questi giudizi), invece il gusto della riflessione, che pure, come insegna l’esperienza, è anche frequentemente respinto insieme alla sua pretesa alla validità universale del suo giudizio (sul bello) per ciascuno, possa tuttavia trovare possi- 23 bile (cosa che peraltro effettivamente fa) rappresentarsi giudizi che potrebbero esigere universalmente questa concordanza, aspettandosela di fatto da ciascuno per ognuno dei suoi giudizi di gusto, senza che i giudicanti siano in conflitto a causa della possibilità di una tale pretesa, e possono invece non convenire soltanto in casi particolari per la corretta applicazione di questa facoltà. Qui bisogna notare prima di tutto che una universalità che non si basa su concetti dell’oggetto (sia pure soltanto empirici) non è affatto logica, ma estetica, cioè essa contiene non una quantità oggettiva del giudizio, bensì soltanto una quan-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

halte, für welche ich auch den Ausdruck G e m e i n g ü l t i g k e i t , welcher die Gültigkeit nicht von der Beziehung einer Vorstellung auf das Erkenntnisvermögen, sondern auf das Gefühl der Lust und Unlust für jedes Subjekt bezeichnet5, gebrauche. (Man kann sich aber auch desselben Ausdrucks für die 215 logische Quantität des Urteils be||dienen, wenn man nur dazusetzt o b j e k t i v e Allgemeingültigkeit, zum Unterschiede von der bloß subjektiven, welche allemal ästhetisch ist). Nun ist ein o b j e k t i v a l l g e m e i n g ü l t i g e s Urteil auch jederzeit subjektiv, d. i. wenn das Urteil für alles, was unter einem gegebenen Begriffe enthalten ist, gilt, so gilt es auch für jedermann, der sich einen Gegenstand durch diesen Begriff vorstellt. Aber von einer s u b j e k t i v e n A l l g e m e i n g ü l t i g 24 k e i t , d. i. der ästhetischen, die | auf keinem Begriffe beruht, läßt sich nicht auf die logische schließen; weil jene Art Urteile gar nicht auf das Objekt geht. Eben darum aber muß auch die ästhetische Allgemeinheit, die einem Urteile beigelegt wird, von besonderer Art sein, weil sie6 das Prädikat der Schönheit nicht mit dem Begriffe des O b j e k t s , in seiner ganzen logischen7 Sphäre betrachtet, verknüpft, und doch eben dasselbe über die ganze Sphäre d e r U r t e i l e n d e n ausdehnt. In Ansehung der logischen Quantität sind alle Geschmacksurteile e i n z e l n e Urteile. Denn weil ich den Gegenstand unmittelbar an mein Gefühl der Lust und Unlust halten muß, und doch nicht durch Begriffe, so kann es8 nicht die Quantität eines objektiv-gemeingültigen Urteils haben9; obgleich, wenn die einzelne Vorstellung des Objekts des Geschmacksurteils nach den Bedingungen, die das letztere bestimmen, durch Vergleichung in einen Begriff verwandelt wird, ein logisch allgemeines Urteil daraus werden kann: z. B. die Rose, die ich anblicke, erkläre ich durch ein Geschmacksurteil für schön. Dagegen ist das Urteil, welches durch Vergleichung vieler einzelnen entspringt: die Rosen überhaupt sind schön, nunmehr nicht bloß als ästhetisches, sondern als ein auf einem ästhetischen gegründetes logisches Urteil ausgesagt. Nun ist das Urteil: die Rose ist (im Geruche10) angenehm, zwar auch ein ästhetisches und einzelnes, aber kein Geschmacks-, sondern ein11 Sinnenurteil. Es un25 terscheidet sich nämlich vom ersteren | darin: daß das Geschmacksurteil eine ä s t h e t i s c h e Q u a n t i t ä t der Allgemein-

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tità soggettiva, per la quale utilizzo anche l’espressione v a l i d i t à c o m u n e : questa designa la validità per ogni soggetto del riferimento di una rappresentazione non alla facoltà di conoscere, ma al sentimento del piacere e dispiacere. (Però ci si può servire della stessa espressione anche per la quantità logica del giudizio, purché si aggiunga: validità universale 215 o g g e t t i v a , a differenza di quella solo soggettiva, che è sempre estetica). Ora, un giudizio u n i v e r s a l m e n t e v a l i d o o g g e t t i v a m e n t e lo è sempre anche soggettivamente, se cioè il giudizio vale per tutto ciò che è contenuto sotto un dato concetto, vale anche per chiunque si rappresenti un oggetto mediante questo concetto. Ma, da una v a l i d i t à u n i v e r s a l e s o g g e t t i v a , cioè da quella estetica, che non si basa su al- 24 cun concetto, non si può inferire quella logica: infatti quella specie di giudizi non si rivolge affatto all’oggetto. Tuttavia proprio per questo l’universalità estetica, che è attribuita a un giudizio, deve anche essere di una specie particolare, perché essa non connette il predicato della bellezza con il concetto dell’ o g g e t t o , considerato nella sua intera sfera logica, ma lo estende tuttavia all’intera sfera dei g i u d i c a n t i . Riguardo alla quantità logica, tutti i giudizi di gusto sono giudizi s i n g o l a r i . Infatti, siccome devo tenere l’oggetto immediatamente in rapporto con il mio sentimento del piacere e dispiacere e tuttavia non posso farlo mediante concetti, il giudizio di gusto non può avere la quantità di un giudizio che abbia una validità comune oggettiva; questo benché, se la rappresentazione singolare dell’oggetto del giudizio di gusto è trasformata per comparazione, secondo le condizioni che determinano questo giudizio, in un concetto, possa risultarne un giudizio logicamente universale: per esempio, la rosa che sto guardando la dichiaro bella con un giudizio di gusto. Invece il giudizio che sorge dalla comparazione di molti giudizi singolari, «le rose in generale sono belle», è enunciato non più come un giudizio semplicemente estetico, bensì come un giudizio logico fondato su uno estetico. Quanto al giudizio «la rosa è (all’odorato28) gradevole», è certo anche un giudizio estetico e singolare, ma non è un giudizio di gusto, bensì un giudizio dei sensi. Questo si distingue infatti dal primo per il fatto che il giudizio di gusto comporta una q u a n t i t à e s t e - 25

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

heit, d. i. der Gültigkeit für jedermann bei sich führt, welche im Urteile über das Angenehme nicht angetroffen werden kann. Nur allein die Urteile über das Gute, ob sie gleich auch das Wohlgefallen an einem Gegenstande bestimmen, haben logische, nicht bloß ästhetischeAllgemeinheit; denn sie gelten vom Objekt, als Erkenntnisse desselben, und darum für jedermann. Wenn man Objekte bloß nach Begriffen beurteilt, so geht alle Vorstellung der Schönheit verloren. Also kann es auch keine Regel geben, nach der jemand genötigt werden sollte, etwas 216 für schön anzuerkennen. Ob || ein Kleid, ein Haus, eine Blume schön sei: dazu läßt man sich sein Urteil durch keine Gründe oder Grundsätze beschwatzen12. Man will das Objekt seinen eignen Augen unterwerfen, gleich als ob sein Wohlgefallen von der Empfindung abhinge; und dennoch, wenn man den Gegenstand alsdann schön nennt, glaubt13 man eine allgemeine Stimme für sich zu haben, und macht Anspruch auf den Beitritt von jedermann, da hingegen jede Privatempfindung nur für ihn allein14 und sein Wohlgefallen entscheiden würde. Hier ist nun zu sehen, daß in dem Urteile des Geschmacks nichts postuliert wird, als eine solche a l l g e m e i n e S t i m m e , in Ansehung des Wohlgefallens ohne Vermittelung der Begriffe; 26 mithin die M ö g l i c h k e i t | eines ästhetischen Urteils, welches zugleich15 als für jedermann gültig betrachtet16 werden könne. Das Geschmacksurteil selber p o s t u l i e r t nicht jedermanns Einstimmung (denn das kann nur ein logisch allgemeines, weil es Gründe anführen kann, tun); es s i n n e t nur jedermann diese Einstimmung an, als einen Fall der Regel, in Ansehung dessen er die17 Bestätigung nicht von Begriffen, sondern von anderer Beitritt erwartet. Die allgemeine Stimme ist also nur eine Idee (worauf sie beruhe, wird hier noch nicht untersucht). Daß der, welcher ein Geschmacksurteil zu fällen glaubt, in der Tat dieser Idee gemäß urteile, kann ungewiß sein; aber daß er es doch darauf beziehe, mithin daß es ein Geschmacksurteil sein solle, kündigt er durch den Ausdruck der Schönheit an. Für sich selbst aber kann er durch das bloße Bewußtsein der Absonderung alles dessen, was zum Angenehmen und Guten gehört, von dem Wohlgefallen, was ihm noch übrig bleibt, davon gewiß werden; und das ist alles, wozu er sich die Beistim-

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t i c a dell’universalità, cioè della validità per ciascuno, che non può invece essere riscontrata nel giudizio sul gradevole. Soltanto ed esclusivamente i giudizi sul buono, pur determinando anch’essi il compiacimento per un oggetto, hanno una universalità logica e non semplicemente estetica; infatti essi valgono nei confronti dell’oggetto in quanto conoscenze di questo oggetto, e dunque valgono per ognuno. Se si valutano degli oggetti semplicemente secondo concetti, allora ogni rappresentazione della bellezza va perduta. Dunque non può nemmeno esserci alcuna regola secondo la quale qualcuno dovrebbe essere costretto a riconoscere qualcosa come bello. Quando ci si chiede se è bello un vestito, 216 una casa, un fiore non ci si lascia possedere nel proprio giudizio da ragioni o da principi. Uno vuole sottoporre l’oggetto ai suoi propri occhi, proprio come se il suo compiacimento dipendesse dalla sensazione; e tuttavia, quando poi dichiara bello l’oggetto, crede di avere per sé una voce universale e avanza la pretesa di ottenere l’adesione di ciascuno, mentre invece ogni sensazione privata deciderebbe per lui solo e per il suo compiacimento. Ora si tratta di vedere che nel giudizio del gusto, riguardo al compiacimento senza mediazione dei concetti, non è postulato nient’altro che una tale v o c e u n i v e r s a l e , e dunque la p o s s i b i l i t à di un giudizio estetico che possa essere 26 nello stesso tempo considerato come valido per ciascuno. Lo stesso giudizio di gusto non p o s t u l a la concordanza di ciascuno (questo lo può fare soltanto un giudizio logicamente universale perché può addurre ragioni); solo che esso r i c h i e d e da ciascuno questa concordanza, come un caso della regola riguardo al quale attende la conferma non da concetti, bensì dall’adesione degli altri. La voce universale è dunque soltanto un’idea (su che cosa essa si basi, non viene qui ancora esaminato). Può essere incerto che colui che crede di enunciare un giudizio di gusto giudichi di fatto in conformità a quest’idea; tuttavia che comunque vi si riferisca, e dunque che il suo debba essere un giudizio di gusto, egli lo evidenzia usando il termine «bellezza». Ma per se stesso egli può diventarne certo mediante la semplice coscienza della separazione di tutto ciò che appartiene al gradevole e al buono dal compiacimento che ancora gli resta; e questo è

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

mung von jedermann verspricht: ein Anspruch, wozu18 unter diesen Bedingungen er auch berechtigt sein würde, wenn er nur wider sie nicht öfter fehlte und darum ein irriges Geschmacksurteil fällete19. | 27

§9 Untersuchung der Frage: ob im Geschmacksurteile das Gefühl der Lust vor der Beurteilung des Gegenstandes, oder diese vor jener vorhergehe

Die Auflösung dieser Aufgabe ist der Schlüssel zur Kritik des Geschmacks, und daher aller Aufmerksamkeit würdig. Ginge die Lust an dem gegebenen Gegenstande vorher, und 217 nur die || allgemeine Mitteilbarkeit derselben sollte im Geschmacksurteile der Vorstellung des Gegenstandes zuerkannt werden, so würde ein solches Verfahren mit sich selbst im Widerspruche stehen. Denn dergleichen Lust würde keine andere, als die bloße Annehmlichkeit in der Sinnenempfindung sein, und daher ihrer Natur nach nur Privatgültigkeit haben können, weil sie von der Vorstellung, wodurch1 der Gegenstand g e g e b e n w i r d , unmittelbar abhinge. Also ist es die allgemeine Mitteilungsfähigkeit des Gemütszustandes in der gegebenen Vorstellung, welche, als subjektive Bedingung des Geschmacksurteils, demselben zum Grunde liegen, und die Lust an dem Gegenstande zur Folge haben muß. Es kann aber nichts allgemein mitgeteilt werden, als Erkenntnis, und Vorstellung, sofern sie zum Erkenntnis gehört. Denn sofern 28 ist die letztere nur allein objektiv, und hat nur dadurch | einen allgemeinen Beziehungspunkt, womit die Vorstellungskraft aller zusammenzustimmen genötiget wird. Soll nun der Bestimmungsgrund des Urteils über diese allgemeine Mitteilbarkeit der Vorstellung bloß subjektiv, nämlich ohne einen Begriff vom Gegenstande gedacht werden, so kann er kein anderer als der Gemütszustand sein, der im Verhältnisse der Vorstellungskräfte zu einander angetroffen wird, sofern sie eine gegebene Vorstellung auf E r k e n n t n i s ü b e r h a u p t beziehen.

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tutto ciò su cui egli si ripromette il consenso di ciascuno: una pretesa che egli sarebbe anche, a queste condizioni, legittimato ad avanzare se solamente non contravvenisse assai spesso a queste condizioni e non pronunciasse pertanto un giudizio di gusto sbagliato.

§9 ESAME DELLA QUESTIONE SE NEL GIUDIZIO DI GUSTO

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IL SENTIMENTO DEL PIACERE PRECEDA LA VALUTAZIONE DELL’OGGETTO O SE QUESTA PRECEDA QUELLO

La soluzione di questo problema è la chiave della critica del gusto e perciò merita tutta l’attenzione. Se precedesse il piacere per l’oggetto dato e se nel giudizio di gusto dovesse essere riconosciuta alla rappresentazione 217 dell’oggetto soltanto la comunicabilità universale del piacere stesso, un tale procedimento sarebbe in contraddizione con se stesso. Infatti un tale piacere non sarebbe nient’altro che la semplice gradevolezza nella sensazione dei sensi e perciò potrebbe per sua natura avere soltanto una validità privata perché dipenderebbe immediatamente dalla rappresentazione con cui l’oggetto è d a t o . È dunque l’universale capacità di comunicazione dello stato d’animo nella rappresentazione data che, come condizione soggettiva del giudizio di gusto, deve stare a suo fondamento e avere per conseguenza il piacere per l’oggetto. Ma niente può essere universalmente comunicato se non una conoscenza, e una rappresentazione nella misura in cui questa appartiene alla conoscenza. Infatti è solo ed esclusivamente in questa misura che la rappresentazione è oggettiva e che solo per que- 28 sto ottiene un punto di riferimento universale con il quale la forza rappresentativa di tutti è obbligata ad accordarsi. Se dunque il principio di determinazione del giudizio su questa comunicabilità universale della rappresentazione deve essere pensato come semplicemente soggettivo, cioè senza un concetto dell’oggetto, questo principio non può essere nient’altro che lo stato d’animo che si riscontra nel rapporto reciproco delle forze rappresentative, in quanto esse riferiscono una rappresentazione data alla c o n o s c e n z a i n g e n e r a l e .

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Die Erkenntniskräfte, die durch diese Vorstellung ins Spiel gesetzt werden, sind hiebei in einem freien Spiele, weil kein bestimmter Begriff sie auf eine besondere2 Erkenntnisregel einschränkt. Also muß der Gemütszustand in dieser Vorstellung der eines Gefühls des freien Spiels der Vorstellungskräfte an3 einer gegebenen Vorstellung zu einem Erkenntnisse überhaupt sein. Nun gehören zu einer Vorstellung, wodurch4 ein Gegenstand gegeben wird, damit überhaupt daraus Erkenntnis werde, E i n b i l d u n g s k r a f t für die Zusammensetzung des Mannigfaltigen der Anschauung, und Ve r s t a n d für die Einheit des Begriffs, der die Vorstellungen vereinigt. Dieser5 Zustand eines f r e i e n S p i e l s der Erkenntnisvermögen, bei einer Vorstellung, wodurch6 ein Gegenstand gegeben wird, muß sich allgemein mitteilen lassen: weil Erkenntnis, als Bestimmung des Objekts, womit gegebene Vorstellungen (in welchem Subjekte es | 29 auch sei) zusammen stimmen sollen, die einzige Vorstellungsart ist, die für jedermann gilt. Die subjektive allgemeine Mitteilbarkeit der Vorstellungsart in einem Geschmacksurteile, da sie, ohne einen bestimmten Begriff vorauszusetzen, Statt finden soll, kann nichts anders als 218 der Gemütszustand in dem || freien Spiele der Einbildungskraft und des Verstandes (sofern sie unter einander, wie es zu einem E r k e n n t n i s s e ü b e r h a u p t erforderlich ist, zusammen stimmen) sein, indem wir uns bewußt sind, daß dieses zum Erkenntnis überhaupt schickliche subjektive Verhältnis eben so wohl für jedermann gelten und folglich allgemein mitteilbar sein müsse, als es eine jede bestimmte Erkenntnis ist, die doch immer auf jenem Verhältnis als subjektiver Bedingung beruht. Diese bloß subjektive (ästhetische) Beurteilung des Gegenstandes, oder der Vorstellung, wodurch7 er gegeben wird, geht nun vor der Lust an demselben vorher, und ist der Grund dieser Lust an der Harmonie der Erkenntnisvermögen; auf jener Allgemeinheit aber der subjektiven Bedingungen der Beurteilung der Gegenstände gründet sich allein diese allgemeine subjektive Gültigkeit des Wohlgefallens, welches wir mit der Vorstellung des Gegenstandes, den wir schön nennen, verbinden. Daß, seinen Gemütszustand, selbst auch nur in Ansehung der Erkenntnisvermögen, mitteilen zu können, eine Lust bei

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Le forze conoscitive che sono messe in gioco da questa rappresentazione sono qui in un libero gioco poiché nessun concetto determinato le confina in una particolare regola conoscitiva. Così, in questa rappresentazione, lo stato d’animo deve essere quello di un sentimento del libero gioco delle forze rappresentative in una rappresentazione data per una conoscenza in generale. Ora, a una rappresentazione con cui un oggetto è dato, affinché ne proceda in generale una conoscenza, competono la f o r z a d i i m m a g i n a z i o n e , per la composizione del molteplice dell’intuizione, e l’ i n t e l l e t t o , per l’unità del concetto che unifica le rappresentazioni. Questo stato di un l i b e r o g i o c o delle facoltà conoscitive per una rappresentazione mediante la quale un oggetto viene dato deve poter essere comunicato universalmente, poiché la conoscenza, come determinazione dell’oggetto, con cui rappresentazioni date (in qualsiasi soggetto sia) devono armonizzarsi è 29 l’unica specie di rappresentazione che valga per ciascuno. La comunicabilità universale soggettiva della specie rappresentativa in un giudizio di gusto, poiché una tale comunicabilità deve aver luogo senza presupporre un concetto determinato, non può essere altro se non lo stato d’animo che si instaura nel libero gioco della forza di immaginazione e del- 218 l’intelletto (in quanto questi si armonizzano tra loro, come è richiesto per una c o n o s c e n z a i n g e n e r a l e ), poiché noi siamo coscienti che questo rapporto soggettivo, appropriato a una conoscenza in generale, dovrebbe ben valere per ciascuno e di conseguenza essere universalmente comunicabile tanto quanto lo è ogni conoscenza determinata, che comunque si basa sempre su quel rapporto quale sua condizione soggettiva. Ora, questa valutazione semplicemente soggettiva (estetica) dell’oggetto, o della rappresentazione con cui l’oggetto è dato, precede il piacere per l’oggetto ed è il fondamento di questo piacere per l’armonia delle facoltà conoscitive; ma è unicamente su quella universalità delle condizioni soggettive della valutazione degli oggetti che si fonda questa universale validità soggettiva del compiacimento che noi colleghiamo con la rappresentazione dell’oggetto che diciamo bello. Il fatto che poter comunicare il proprio stato d’animo, sia pure anche solo riguardo alle facoltà conoscitive, comporti

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30 sich führe: könnte man aus dem natür lichen Hange des Men-

schen zur Geselligkeit (empirisch und psychologisch) leichtlich dartun. Das ist aber zu unserer Absicht nicht genug. Die Lust, die wir fühlen, muten wir jedem andern im Geschmacksurteile als notwendig zu, gleich als ob es für eine Beschaffenheit des Gegenstandes, die an ihm nach Begriffen bestimmt ist, anzusehen wäre, wenn wir etwas schön nennen; da doch Schönheit ohne Beziehung auf das Gefühl des Subjekts für sich nichts ist. Die Erörterung dieser Frage aber müssen wir uns bis zur Beantwortung derjenigen: ob und wie ästhetische Urteile a priori möglich sind, vorbehalten. Jetzt beschäftigen wir uns noch mit der mindern Frage: auf welche Art wir uns einer wechselseitigen subjektiven Übereinstimmung der Erkenntniskräfte unter einander8 im Geschmacksurteile bewußt werden, ob ästhetisch durch den bloßen innern Sinn und Empfindung, oder intellektuell durch das Bewußtsein unserer absichtlichen Tätigkeit, womit wir jene ins Spiel setzen. Wäre die gegebene Vorstellung, welche das Geschmacksurteil veranlaßt, ein Begriff, welcher Verstand und Einbildungskraft in der Beurteilung des Gegenstandes zu einem Erkenntnisse des Objekts vereinigte, so wäre das Bewußtsein dieses Verhältnisses intellektuell (wie im objektiven Schematism der Urteilskraft, wovon die Kritik handelt). Aber das Urteil wäre auch 9 31 219 alsdenn nicht in Beziehung auf Lust und Unlust gefället , | || mithin kein Geschmacksurteil. Nun bestimmt aber das Geschmacksurteil, unabhängig von Begriffen, das Objekt in Ansehung des Wohlgefallens und des Prädikats der Schönheit. Also kann jene subjektive Einheit des Verhältnisses sich nur durch Empfindung kenntlich machen. Die Belebung beider Vermögen (der Einbildungskraft und des Verstandes) zu unbestimmter10, aber doch, vermittelst des Anlasses der gegebenen Vorstellung, einhelliger Tätigkeit, derjenigen nämlich, die zu einem Erkenntnis überhaupt gehört, ist die Empfindung, deren allgemeine Mitteilbarkeit das Geschmacksurteil postuliert. Ein objektives Verhältnis kann zwar nur gedacht, aber, so fern11 es seinen Bedingungen nach subjektiv ist, doch in der Wirkung auf das Gemüt empfunden werden; und bei einem Verhältnisse, welches keinen Begriff

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un piacere si potrebbe facilmente mostrare (empiricamente e 30 psicologicamente) a partire dalla naturale tendenza dell’uomo alla socievolezza. Tuttavia ciò non basta per il nostro intento. Il piacere che sentiamo quando diciamo che qualcosa è bello lo esigiamo da ogni altro nel giudizio di gusto come necessario, come se si dovesse considerare una proprietà costitutiva dell’oggetto che è determinata in esso secondo concetti, mentre la bellezza, senza il riferimento al sentimento del soggetto, di per sé non è niente. Ma dobbiamo sospendere la discussione di tale questione fino a quando non avremo risposto a quella che chiede se e come siano possibili giudizi estetici a priori. Per ora occupiamoci ancora della questione minore: in che modo diveniamo coscienti nel giudizio di gusto di un reciproco accordo soggettivo delle forze conoscitive tra loro? Avviene esteticamente, mediante il semplice senso interno e la sensazione, oppure intellettualmente, mediante la coscienza della nostra attività intenzionale con cui le mettiamo in gioco? Se la rappresentazione data, che suscita il giudizio di gusto, fosse un concetto che unificasse intelletto e forza di immaginazione nella valutazione dell’oggetto in vista di una conoscenza dell’oggetto, la coscienza di questo rapporto sarebbe intellettuale (come avviene nello schematismo oggettivo della forza di giudizio di cui tratta la Critica)29. Ma in tal caso il giudizio non sarebbe più formulato in riferimento al piacere e dispiacere e di conseguenza non sarebbe un giudizio di 31 219 gusto. Ora, però, è indipendentemente da concetti che il giudizio di gusto determina l’oggetto riguardo al compiacimento e al predicato della bellezza. Così quella unità soggettiva del rapporto30 può essere resa nota soltanto mediante la sensazione. Il ravvivamento di entrambe le facoltà (la forza di immaginazione e l’intelletto) in vista di una attività indeterminata e pur tuttavia concorde, occasionata dalla rappresentazione data, ossia in vista di quell’attività che compete a una conoscenza in generale, è la sensazione di cui il giudizio di gusto postula l’universale comunicabilità. Un rapporto oggettivo può certo essere soltanto pensato, ma, in quanto è soggettivo secondo le sue condizioni, può essere sentito nell’effetto che produce sull’animo; e quando si tratta di un rapporto che

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zum Grunde legt (wie das der Vorstellungskräfte zu einem Erkenntnisvermögen überhaupt), ist auch kein anderes Bewußtsein desselben, als durch Empfindung der Wirkung, die im erleichterten Spiele beider durch wechselseitige Zusammenstimmung belebten Gemütskräfte (der Einbildungskraft und des Verstandes) besteht, möglich. Eine Vorstellung, die, als einzeln und ohne Vergleichung mit andern, dennoch eine Zusammenstimmung zu den Bedingungen der Allgemeinheit hat, welche das Geschäft des Verstandes überhaupt ausmacht, bringt die Erkenntnisvermögen in die proportionierte Stimmung, die 32 wir zu allem Erkenntnisse fordern, und daher auch | für12 jedermann, der durch Verstand und Sinne in Verbindung zu urteilen bestimmt ist (für13 jeden Menschen), gültig halten. Aus dem zweiten Moment gefolgerte Erklärung des Schönen S c h ö n ist das, was ohne Begriff allgemein gefällt.

Drittes Moment der Geschmacksurteile, nach der Relation der Zwecke, welche in ihnen in Betrachtung gezogen wird § 10 Von der Zweckmässigkeit überhaupt Wenn man, was ein Zweck sei, nach seinen transzendentalen Bestimmungen (ohne etwas Empirisches, dergleichen das Ge1 220 fühl der Lust ist, || vorauszusetzen) erklären will: so ist Zweck der Gegenstand eines Begriffs, sofern dieser als die Ursache von jenem (der reale Grund seiner Möglichkeit) angesehen wird; und die Kausalität eines B e g r i f f s in Ansehung seines O b j e k t s ist die Zweckmäßigkeit (forma finalis). Wo also nicht etwa bloß die Erkenntnis von einem Gegenstande, sondern der Gegenstand selbst (die Form oder Existenz desselben) als Wirkung, nur als durch einen Begriff von der letztern möglich ge33 dacht wird, da denkt man sich einen Zweck. | Die Vorstellung der Wirkung ist hier der Bestimmungsgrund ihrer Ursache, und geht vor der letztern vorher. Das Bewußtsein der Kausalität

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non pone a fondamento alcun concetto (come quello delle forze rappresentative in vista di una facoltà di conoscere in generale), di esso non è possibile alcun’altra coscienza se non attraverso la sensazione dell’effetto che consiste nel gioco reso agevole di entrambe le forze dell’animo (la forza di immaginazione e l’intelletto) ravvivate dalla loro armonia reciproca. Una rappresentazione che, essendo singola e non confrontata con altre, si trova tuttavia in armonia con le condizioni dell’universalità, ciò che costituisce il compito dell’intelletto in generale, conduce le facoltà conoscitive nella disposizione proporzionata che noi esigiamo per ogni conoscenza e che perciò riteniamo valida anche per chiunque sia 32 destinato a giudicare mediante intelletto e sensi in collegamento tra loro (per ogni uomo). Definizione del bello derivata dal secondo momento B e l l o è ciò che piace universalmente senza concetto.

TERZO MOMENTO DEI GIUDIZI DI GUSTO, SECONDO LA RELAZIONE DEI FINI CHE VI VIENE PRESA IN CONSIDERAZIONE

§ 10 DELLA CONFORMITÀ AL FINE IN GENERALE Se si vuole spiegare che cosa sia un fine secondo le sue determinazioni trascendentali (senza presupporre qualcosa di empirico, come lo è il sentimento del piacere), bisogna dire 220 che un fine è l’oggetto di un concetto, in quanto questo concetto è considerato come la causa di quell’oggetto (come fondamento reale della sua possibilità); e la causalità di un concetto riguardo al suo oggetto è la conformità al fine (forma finalis). Dunque laddove non è semplicemente la conoscenza di un oggetto, ma l’oggetto stesso (la forma o l’esistenza del medesimo), in quanto effetto, che viene pensato come possibile soltanto mediante un concetto di questo effetto, allora si pensa un fine. La rappresentazione dell’effetto è qui il princi- 33 pio di determinazione della sua causa e precede quest’ultima.

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einer Vorstellung in Absicht auf den Zustand des Subjekts, es in demselben z u e r h a l t e n , kann hier im allgemeinen das bezeichnen, was man Lust nennt; wogegen2 Unlust diejenige Vorstellung ist, die den Zustand der Vorstellungen zu ihrem eigenen Gegenteile zu bestimmen (sie abzuhalten oder wegzuschaffen)3 den Grund enthält. Das Begehrungsvermögen, sofern es nur durch Begriffe, d. i. der Vorstellung eines Zwecks gemäß zu handeln, bestimmbar ist, würde der Wille sein. Zweckmäßig aber heißt ein Objekt, oder Gemütszustand, oder eine Handlung auch, wenn gleich ihre Möglichkeit die Vorstellung eines Zwecks nicht notwendig voraussetzt, bloß darum, weil ihre Möglichkeit von uns nur erklärt und begriffen werden kann, sofern wir eine Kausalität nach Zwecken, d. i. einen Willen, der sie nach der Vorstellung einer gewissen Regel so angeordnet hätte, zum Grunde derselben annehmen. Die Zweckmäßigkeit kann also ohne Zweck sein, sofern wir die Ursachen4 dieser Form nicht in einem Willen setzen, aber doch die Erklärung ihrer Möglichkeit, nur indem wir sie von einem Willen ableiten, uns begreiflich machen können. Nun haben wir das, was wir beobachten, nicht immer nötig durch Vernunft (seiner Möglichkeit nach) einzusehen. Also können wir eine Zweckmäßigkeit der Form nach, auch | 34 ohne daß wir ihr einen Zweck (als die Materie des nexus finalis) zum Grunde legen, wenigstens beobachten, und an Gegenständen, wiewohl nicht anders als durch Reflexion, bemerken. || 221

§ 11 Das Geschmacksurteil hat nichts als die Form der Zweckmässigkeit eines Gegenstandes (oder der1 Vorstellungsart desselben) zum Grunde Aller Zweck, wenn er als Grund des Wohlgefallens angesehen wird, führt immer ein Interesse, als Bestimmungsgrund des Urteils über den Gegenstand der Lust, bei sich. Also kann dem Geschmacksurteil kein subjektiver Zweck zum Grunde liegen. Aber auch keine Vorstellung eines objektiven Zwecks, d. i. der Möglichkeit des Gegenstandes selbst nach Prinzipien der Zweck-

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La coscienza della causalità di una rappresentazione riguardo allo stato del soggetto, p e r m a n t e n e r l o in tale stato, può qui designare in generale ciò che si chiama piacere; invece dispiacere è quella rappresentazione che contiene il principio per determinare lo stato delle rappresentazioni (per respingerle o eliminarle) proprio nel loro opposto. La facoltà di desiderare, in quanto è determinabile soltanto da concetti, cioè ad agire conformemente alla rappresentazione di un fine, sarebbe la volontà. Ma si dice conforme al fine un oggetto o uno stato d’animo o anche un’azione, sebbene la loro possibilità non presupponga necessariamente la rappresentazione di un fine, per il semplice fatto che la loro possibilità può essere spiegata e compresa da noi soltanto ammettendo come loro fondamento una causalità secondo fini, cioè una volontà che li avrebbe disposti così, secondo la rappresentazione di una certa regola. La conformità al fine può dunque essere senza un fine, in quanto non possiamo porre le cause di questa forma in una volontà, e tuttavia possiamo renderci comprensibile la spiegazione della sua possibilità soltanto derivandola da una volontà. Ora, ciò che osserviamo non dobbiamo intenderlo necessariamente sempre mediante la ragione (secondo la sua possibilità). Dunque possiamo almeno osservare una conformità al fine secondo la forma anche senza porre a 34 suo fondamento un fine (come costituente la materia del nexus finalis), e possiamo rilevare questa conformità al fine negli oggetti, benché ciò avvenga soltanto mediante la riflessione.

221 § 11 IL GIUDIZIO DI GUSTO NON HA A FONDAMENTO NIENT’ALTRO CHE LA FORMA DELLA CONFORMITÀ DI UN OGGETTO

(O DELLA SUA SPECIE RAPPRESENTATIVA) AL FINE Ogni fine, quando viene considerato come fondamento del compiacimento, comporta sempre un interesse quale principio di determinazione del giudizio sull’oggetto del piacere. Dunque il giudizio di gusto non può avere a fondamento alcun fine soggettivo. Ma non è nemmeno una rappresentazione di un fine oggettivo, cioè una rappresentazione della possibilità dell’oggetto stesso secondo principi del nesso fina-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

verbindung, mithin kein Begriff des Guten kann das Geschmacksurteil bestimmen; weil es ein ästhetisches und kein Erkenntnisurteil ist, welches also keinen B e g r i f f von der Beschaffenheit und innern oder äußern Möglichkeit des Gegenstandes, durch diese oder jene Ursache, sondern bloß das Verhältnis der Vorstellungskräfte zu einander, sofern sie durch eine Vorstellung bestimmt werden, betrifft. | 35 Nun ist dieses Verhältnis in der Bestimmung eines Gegenstandes, als eines schönen, mit dem Gefühle einer Lust verbunden, die durch das Geschmacksurteil zugleich als für jedermann gültig erklärt wird; folglich kann eben so wenig eine die Vorstellung begleitende Annehmlichkeit, als die Vorstellung von2 der Vollkommenheit des Gegenstandes und der Begriff des Guten den Bestimmungsgrund enthalten. Also kann nichts anders als die subjektive Zweckmäßigkeit in der Vorstellung eines Gegenstandes, ohne allen (weder objektiven noch subjektiven) Zweck, folglich die bloße Form der Zweckmäßigkeit in der Vorstellung, wodurch3 uns ein Gegenstand g e g e b e n wird, sofern wir uns ihrer bewußt sind, das Wohlgefallen, welches wir, ohne Begriff, als allgemein mitteilbar beurteilen, mithin den Bestimmungsgrund des Geschmacksurteils, ausmachen.

§ 12 Das Geschmacksurteil beruht auf Gründen a priori Die Verknüpfung des Gefühls einer Lust oder Unlust, als einer Wirkung, mit irgend einer Vorstellung (Empfindung oder Begriff), als ihrer Ursache, a priori auszumachen, ist schlechterdings unmöglich; denn das wäre ein Kausalverhältnis1, welches 222 (unter Gegenständen der Erfahrung) nur || jederzeit2 a posterio36 ri und ver|mittelst der Erfahrung selbst erkannt werden kann. Zwar haben wir in der Kritik der praktischen Vernunft wirklich das Gefühl der Achtung (als eine besondere und eigentümliche Modifikation dieses Gefühls, welches weder mit der Lust noch Unlust, die wir von empirischen Gegenständen bekommen, recht übereintreffen will) von allgemeinen sittlichen Begriffen a priori abgeleitet. Aber wir konnten dort auch die Grenzen der

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le, di conseguenza nessun concetto del buono, che può determinare il giudizio di gusto: si tratta infatti di un giudizio estetico e non di un giudizio conoscitivo, che non concerne alcun c o n c e t t o della costituzione e della possibilità interna o esterna dell’oggetto, mediante questa o quella causa, ma semplicemente il rapporto reciproco delle forze rappresentative, nella misura in cui esse sono determinate da una rappresentazione. Ora, questo rapporto, nella determinazione di un oggetto 35 come oggetto bello, è collegato con il sentimento di un piacere che viene dichiarato dal giudizio di gusto nel contempo come valido per ciascuno; di conseguenza una gradevolezza che accompagna la rappresentazione può contenere il principio di determinazione tanto poco quanto lo possano fare la rappresentazione della perfezione dell’oggetto e il concetto del buono. Così non può essere altro che la conformità soggettiva al fine nella rappresentazione di un oggetto, senza alcun fine (né oggettivo né soggettivo), di conseguenza la semplice forma della conformità al fine nella rappresentazione mediante la quale un oggetto ci è d a t o , in quanto ne siamo coscienti, a costituire il compiacimento che, senza concetto, noi valutiamo come universalmente comunicabile e perciò come principio di determinazione del giudizio di gusto.

§ 12 IL GIUDIZIO DI GUSTO SI BASA SU FONDAMENTI A PRIORI È assolutamente impossibile stabilire a priori la connessione del sentimento di un piacere o dispiacere, come effetto, con una qualunque rappresentazione (sensazione o concetto), in quanto sua causa; sarebbe infatti un rapporto causale, quale (tra oggetti dell’esperienza) può essere conosciuto sem- 222 pre soltanto a posteriori e per mezzo dell’esperienza stessa. È 36 vero che, nella Critica della ragione pratica, abbiamo effettivamente derivato a priori, da concetti morali universali, il sentimento del rispetto (come una modificazione particolare e peculiare di questo sentimento che resta ben distinto sia dal piacere sia dal dispiacere che ricaviamo da oggetti empirici). Ma in quell’ambito potevamo anche oltrepassare i limiti del-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Erfahrung überschreiten, und eine Kausalität, die auf einer übersinnlichen Beschaffenheit des Subjekts beruhete, nämlich die der Freiheit, herbei rufen. Allein selbst da leiteten wir eigentlich nicht dieses G e f ü h l von der Idee des Sittlichen als Ursache her, sondern bloß die Willensbestimmung wurde davon abgeleitet. Der Gemütszustand aber eines irgend wodurch bestimmten Willens ist an sich schon ein Gefühl der Lust und mit ihm identisch, folgt also nicht als Wirkung daraus: welches letztere nur angenommen3 werden müßte, wenn der Begriff des Sittlichen als eines Guts vor der Willensbestimmung durch das Gesetz vorherginge; da alsdann die Lust, die mit dem Begriffe verbunden wäre, aus diesem als einer bloßen Erkenntnis vergeblich würde abgeleitet werden. Nun ist es auf ähnliche Weise mit der Lust im ästhetischen Urteile bewandt: nur daß sie hier bloß kontemplativ, und ohne ein Interesse am Objekt zu bewirken, im moralischen Urteil hingegen praktisch4 ist. Das Bewußtsein der bloß formalen 37 Zweckmäßigkeit im Spiele der Erkennt|niskräfte des Subjekts, bei einer Vorstellung, wodurch5 ein Gegenstand gegeben wird, ist die Lust selbst, weil es einen6 Bestimmungsgrund der Tätigkeit des Subjekts in Ansehung der Belebung der Erkenntniskräfte desselben, also eine innere Kausalität (welche zweckmäßig ist) in Ansehung der Erkenntnis überhaupt, aber ohne auf eine bestimmte Erkenntnis eingeschränkt zu sein, mithin eine bloße Form der subjektiven Zweckmäßigkeit einer Vorstellung in einem ästhetischen Urteile enthält. Diese Lust ist auch auf keinerlei Weise praktisch, weder, wie die aus dem pathologischen Grunde der Annehmlichkeit, noch die aus dem intellektuellen des vorgestellten Guten. Sie hat aber doch Kausalität in sich, nämlich den Zustand der Vorstellung selbst und die Beschäftigung der Erkenntniskräfte ohne weitere Absicht zu e r h a l t e n . Wir w e i l e n bei der Betrachtung des Schönen, weil diese Betrachtung sich selbst stärkt und reproduziert: welches derjenigen Verweilung analogisch (aber doch mit ihr nicht einerlei) ist, da ein Reiz in der Vorstellung des Gegenstandes die Aufmerksamkeit wiederholentlich erweckt, wobei das Gemüt passiv ist. ||

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l’esperienza e appellarci a una causalità che si basava su una costituzione soprasensibile del soggetto, cioè la causalità della libertà. Solo che nemmeno in quel caso derivavamo, propriamente parlando, questo s e n t i m e n t o dall’idea di ciò che è morale come causa, ma era semplicemente la determinazione della volontà che ne veniva derivata. Ma lo stato d’animo di una volontà comunque determinata è già di per sé un sentimento del piacere ed è a esso identico, non ne consegue dunque come effetto: quest’ultimo caso dovrebbe essere ammesso soltanto se il concetto di ciò che è morale, inteso come concetto di un bene, precedesse la determinazione della volontà mediante la legge; infatti, se questo fosse il caso, sarebbe vano derivare il piacere, che sarebbe collegato al concetto, a partire da quest’ultimo come da una semplice conoscenza. Ora, con il piacere nel giudizio estetico le cose vanno in modo simile: solo che qui il piacere è semplicemente contemplativo, non procurando un interesse per l’oggetto, mentre invece nel giudizio morale il piacere è pratico. La coscienza della conformità semplicemente formale al fine, nel gioco 37 delle forze conoscitive del soggetto, in occasione di una rappresentazione mediante la quale un oggetto è dato, è il piacere stesso: essa contiene infatti un principio di determinazione dell’attività del soggetto in vista del ravvivamento delle sue forze conoscitive, dunque una causalità interna (che è conforme al fine) in vista della conoscenza in generale, ma senza che sia confinata in una conoscenza determinata, e di conseguenza contiene una semplice forma della conformità soggettiva al fine di una rappresentazione in un giudizio estetico. Questo piacere non è nemmeno in alcun modo pratico né come quello derivante dal fondamento patologico della gradevolezza né come quello derivato dal fondamento intellettuale del buono come viene rappresentato. Ma tale piacere ha pur sempre in sé una causalità, cioè quella che permette di m a n t e n e r e lo stato della rappresentazione stessa e l’impegnarsi delle forze conoscitive senza alcun altro intento. Noi i n d u g i a m o a considerare il bello perché questa considerazione si rafforza e riproduce se stessa: il che è analogo (senza tuttavia essere identico) al modo in cui indugiamo quando un’attrattiva nella rappresentazione dell’oggetto risveglia ripetutamente l’attenzione, nel qual caso però l’animo è passivo.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 13 Das reine Geschmacksurteil ist von Reiz und Rührung unabhängig Alles Interesse verdirbt das Geschmacksurteil und nimmt

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38 ihm seine Unparteilichkeit, vornehmlich, wenn es nicht, so wie

das Interesse der Vernunft, die Zweckmäßigkeit vor dem Gefühle der Lust voranschickt, sondern sie auf dieses1 gründet; welches letztere allemal im ästhetischen Urteile über etwas, sofern es vergnügt oder schmerzt, geschieht. Daher Urteile, die so affiziert sind, auf allgemeingültiges Wohlgefallen entweder gar keinen, oder so viel weniger Anspruch machen können, als sich von der gedachten Art Empfindungen unter den Bestimmungsgründen des Geschmacks befinden. Der Geschmack ist jederzeit noch barbarisch, wo er die Beimischung der R e i z e und R ü h r u n g e n zum Wohlgefallen bedarf, ja wohl gar diese zum Maßstabe seines Beifalls macht. Indessen2 werden Reize doch öfter nicht allein zur Schönheit (die doch eigentlich bloß die Form betreffen sollte) als Beitrag zum ästhetischen allgemeinen Wohlgefallen gezählt, sondern sie werden wohl gar an3 sich selbst für Schönheiten, mithin die Materie des Wohlgefallens für die Form ausgegeben: ein Mißverstand, der sich, so wie mancher andere, welcher doch noch immer etwas Wahres zum Grunde hat, durch sorgfältige Bestimmung dieser Begriffe heben läßt. Ein Geschmacksurteil, auf welches Reiz und Rührung keinen Einfluß haben (ob sie sich gleich mit dem Wohlgefallen am Schönen verbinden lassen), welches also bloß die Zweckmäßigkeit der Form zum Bestimmungsgrunde hat, ist ein r e i n e s Geschmacksurteil. | 39

§ 14 Erläuterung durch Beispiele Ästhetische Urteile können, eben sowohl als theoretische (logische), in empirische und reine eingeteilt werden. Die erstern sind die, welche Annehmlichkeit oder Unannehmlichkeit,

I,I. ANALITICA DEL BELLO, §§ 13-14

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§ 13 IL GIUDIZIO PURO DI GUSTO È INDIPENDENTE DALL’ATTRATTIVA E DALL’EMOZIONE

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Ogni interesse altera il giudizio di gusto e gli toglie la sua imparzialità specialmente quando esso non fa precedere la 38 conformità al fine al sentimento del piacere, come fa l’interesse della ragione, ma invece la fonda su questo; caso, quest’ultimo, che accade sempre nel giudizio estetico su qualcosa che soddisfa o addolora. Perciò giudizi che sono affetti in questo modo o non possono proprio avanzare la pretesa di un compiacimento valido universalmente o tantomeno possono farlo quanto più sensazioni della specie considerata si trovano tra i principi di determinazione del gusto. Il gusto è sempre ancora barbarico quando ha bisogno della mescolanza di a t t r a t t i v e ed e m o z i o n i per il compiacimento, e lo è ancor di più quando fa di queste ultime il criterio della sua approvazione31. Eppure le attrattive sono assai spesso non solo incluse nella bellezza (che comunque dovrebbe riguardare propriamente soltanto la forma), come contributo al compiacimento universale estetico, ma vengono perfino fatte passare di per sé per bellezze, facendo così passare la materia del compiacimento per la forma: è questo un fraintendimento che, come tanti altri, ha comunque sempre a fondamento qualcosa di vero, e si può rimuovere mediante una determinazione accurata di questi concetti. Un giudizio di gusto sul quale attrattiva ed emozione non hanno alcun influsso (benché esse si possano anche collegare con il compiacimento per il bello) e che, dunque, ha come principio di determinazione semplicemente la conformità della forma al fine, è un g i u d i z i o p u r o d i g u s t o .

§ 14 ESEMPI ILLUSTRATIVI I giudizi estetici, proprio come i giudizi teoretici (logici), possono essere divisi in giudizi empirici e puri. I primi sono quelli che predicano quale gradevolezza o non gradevolezza,

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

die zweiten die1, welche Schönheit von einem Gegenstande, oder von der2 Vorstellungsart desselben, aussagen; jene sind Sinnenurteile (materiale ästhetische Urteile), diese (als formale)3 allein eigentliche Geschmacksurteile. || 224 Ein Geschmacksurteil ist also nur sofern rein, als kein bloß empirisches Wohlgefallen dem Bestimmungsgrunde desselben beigemischt wird. Dieses aber geschieht allemal, wenn Reiz oder Rührung einen Anteil an dem Urteile haben, wodurch4 etwas für schön erklärt werden soll. Nun tun sich wieder manche Einwürfe hervor, die zuletzt den Reiz nicht bloß zum notwendigen Ingrediens der Schönheit, sondern wohl gar als für sich allein hinreichend, um schön genannt zu werden, vorspiegeln. Eine bloße Farbe, z. B. die grüne eines Rasenplatzes, ein bloßer Ton (zum Unterschiede vom Schalle und Geräusch), wie etwa der einer Violine, wird von den meisten an sich für schön erklärt; ob zwar beide bloß die Materie der Vorstellungen, nämlich lediglich Empfindung, 40 zum Grunde zu haben scheinen, und darum nur ange|nehm genannt zu werden verdienten5. Allein man wird doch zugleich bemerken, daß die Empfindungen der Farbe sowohl als des Tons sich nur sofern für schön zu gelten berechtigt6 halten, als beide r e i n sind; welches eine Bestimmung ist, die schon die Form betrifft, und auch das einzige, was sich von diesen Vorstellungen mit Gewißheit allgemein mitteilen läßt: weil die Qualität der Empfindungen selbst nicht in allen Subjekten als einstimmig, und die Annehmlichkeit einer Farbe vorzüglich vor der andern, oder des Tons eines musikalischen Instruments vor dem eines andern sich schwerlich bei jedermann als auf gleiche7 Art beurteilt annehmen läßt. Nimmt man, mit E u l e r n , an, daß die Farben gleichzeitig auf einander folgende Schläge (pulsus) des Äthers, so wie Töne der im Schalle erschütterten Luft sind, und, was das Vornehmste ist, das Gemüt nicht bloß, durch den Sinn, die Wirkung davon auf die Belebung des Organs, sondern auch, durch die Reflexion, das regelmäßige Spiel der Eindrücke (mithin die Form in der Verbindung verschiedener Vorstellungen) wahr-

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e i secondi quale bellezza competa a un oggetto o alla sua specie rappresentativa; quelli sono giudizi dei sensi (giudizi estetici materiali), e soltanto questi (in quanto formali) sono veri e propri giudizi di gusto. Un giudizio di gusto è dunque puro solamente in quanto 224 nessun compiacimento semplicemente empirico viene a mischiarsi al suo principio di determinazione. Ma questo avviene ogniqualvolta attrattiva o emozione hanno una parte nel giudizio mediante il quale qualcosa deve essere dichiarato bello. Ora riaffiorano alcune obiezioni che vogliono far credere che ultimamente l’attrattiva non è semplicemente l’ingrediente necessario della bellezza, ma che addirittura sarebbe per sé sola sufficiente a essere detta bella. Un semplice colore, per esempio il verde di un prato, un semplice suono (a differenza della vibrazione acustica e del rumore), come per esempio quello di un violino, vengono dichiarati dai più belli in sé, benché entrambi sembrino avere a fondamento semplicemente la materia delle rappresentazioni, cioè esclusivamente una sensazione, e meriterebbero pertanto di essere chiamati sol- 40 tanto gradevoli. Solo che nel contempo si osserverà tuttavia che le sensazioni del colore come pure quelle del suono si ritiene a buon diritto che valgano come belle soltanto in quanto sono entrambe p u r e ; la qual cosa è una determinazione concernente già la forma ed è anche l’unica cosa che di queste rappresentazioni si possa con certezza comunicare universalmente; infatti non si può ammettere che la qualità delle sensazioni stesse sia concordante in tutti i soggetti e si ammetterà difficilmente che la gradevolezza di un colore piuttosto che un altro, o del suono di uno strumento musicale piuttosto che quello di un altro, sia valutata nello stesso modo da parte di ciascuno. Se si ammette con E u l e r o che i colori siano vibrazioni (pulsus) dell’etere che si susseguono a intervalli uguali, così come i suoni lo sono dell’aria che vibra perché smossa, e se si ammette, che è la cosa più importante, che l’animo ne percepisca non semplicemente mediante il senso il suo effetto di ravvivamento dell’organo, ma anche mediante la riflessione (cosa di cui non dubito affatto) il gioco regolare delle impressioni (di conseguenza la forma nel collegamento di diverse

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

nehme (woran ich doch gar nicht8 zweifle): so würde9 Farbe und Ton nicht bloße Empfindungen, sondern schon formale Bestimmung der Einheit eines Mannigfaltigen derselben sein, und alsdann auch für sich zu Schönheiten gezählt werden können. Das Reine aber einer einfachen Empfindungsart bedeutet: 41 daß die Gleichförmigkeit derselben durch keine | fremdartige Empfindung gestört und unterbrochen wird, und gehört bloß zur Form; weil man dabei von der Qualität jener Empfindungsart (ob, und welche Farbe, oder ob, und welchen10 Ton sie vorstelle) abstrahieren kann. Daher werden alle einfache Farben, sofern sie rein sind, für schön gehalten; die gemischten haben 225 diesen || Vorzug nicht: eben darum, weil, da sie nicht einfach sind, man keinen Maßstab der Beurteilung hat, ob man sie rein oder unrein nennen solle. Was aber die dem Gegenstande seiner Form wegen beigelegte Schönheit, sofern sie, wie man meint, durch Reiz wohl gar könne11 erhöht werden, anlangt, so ist dies ein gemeiner und dem echten unbestochenen gründlichen Geschmacke sehr nachteiliger Irrtum; ob sich zwar allerdings neben der Schönheit auch noch Reize hinzufügen lassen, um das Gemüt durch die Vorstellung des Gegenstandes, außer dem trockenen Wohlgefallen, noch zu interessieren, und so dem Geschmacke und dessen Kultur zur Anpreisung zu dienen, vornehmlich wenn er noch roh und ungeübt ist. Aber sie tun wirklich dem Geschmacksurteile Abbruch, wenn sie die Aufmerksamkeit als Beurteilungsgründe der Schönheit auf sich ziehen. Denn es ist so weit gefehlt, daß sie dazu beitrügen, daß sie vielmehr, als Fremdlinge, nur sofern sie jene schöne Form nicht stören, wenn der12 Geschmack noch schwach und ungeübt ist, mit Nachsicht müssen aufgenommen werden. | 42 In der Malerei, Bildhauerkunst, ja allen13 bildenden Künsten, in14 der Baukunst, Gartenkunst, sofern sie schöne Künste sind, ist die Z e i c h n u n g das Wesentliche, in welcher nicht, was in der Empfindung vergnügt, sondern bloß, was15 durch seine Form gefällt, den Grund aller Anlage für den Geschmack ausmacht. Die Farben, welche den Abriß illuminieren, gehören zum Reiz; den Gegenstand an sich können sie zwar für die Empfindung belebt16, aber nicht anschauungswürdig und schön machen: vielmehr werden sie durch das, was die schöne Form erfordert, mehrenteils gar sehr eingeschränkt, und selbst da, wo

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rappresentazioni), allora colore e suono non sarebbero semplici sensazioni, ma costituirebbero già una determinazione formale dell’unità di un molteplice delle sensazioni e potrebbero allora essere annoverati anche di per sé come bellezze32. Ma la purezza in una specie semplice di sensazione significa che la sua uniformità non è disturbata né interrotta da alcuna sensazione estranea e che essa compete dunque soltan- 41 to alla forma, dato che qui si può astrarre dalla qualità di quella specie di sensazione (dal sapere se e quale colore o suono rappresenti). Perciò tutti i colori semplici sono ritenuti belli in quanto sono puri; i colori misti non possiedono questo privilegio proprio perché, siccome non sono semplici, 225 non si ha a disposizione alcun criterio di valutazione per cui si debba chiamarli puri oppure impuri. Ma per quanto riguarda la bellezza attribuita all’oggetto per la sua forma, in quanto, come si ritiene, essa possa essere addirittura accresciuta dall’attrattiva, è un errore comune che pregiudica notevolmente il gusto autentico, integro, profondo; tuttavia è certo che accanto alla bellezza si possono aggiungere anche delle attrattive per interessare ulteriormente l’animo con la rappresentazione dell’oggetto, oltre al sobrio compiacimento, e per far così valere il gusto e la sua cultura, specialmente se è ancora grossolano e inesperto. Però in realtà queste attrattive pregiudicano il giudizio di gusto se attirano l’attenzione su di sé come fondamenti di valutazione della bellezza. Infatti le attrattive sono tanto lontane dal contribuire alla bellezza che devono essere piuttosto accolte con indulgenza quando il gusto è ancora debole e inesperto, solo in quanto non disturbano, come elementi estranei, quella bella forma. Nella pittura, nella scultura, anzi in tutte le arti figurative, 42 nell’architettura, nell’arte dei giardini, in quanto sono arti belle, l’elemento essenziale è il d i s e g n o , in cui non ciò che soddisfa nella sensazione, ma semplicemente ciò che piace per la sua forma costituisce il fondamento di ogni attitudine al gusto33. I colori che illuminano l’abbozzo rientrano nell’attrattiva; sicuramente possono ravvivare l’oggetto in sé per la sensazione, ma non renderlo degno di essere intuito e bello: piuttosto i colori sono nella maggior parte dei casi estremamente limitati da ciò che richiede la bella forma e, anche là

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

der Reiz zugelassen wird, durch die erstere17 allein veredelt. Alle Form der Gegenstände der Sinne (der äußern sowohl als mittelbar auch des innern) ist entweder G e s t a l t , oder S p i e l : im letztern Falle entweder Spiel der Gestalten (im Raume, die Mimik und der Tanz); oder bloßes18 Spiel der Empfindungen (in der Zeit). Der R e i z der Farben, oder angenehmer Töne des Instruments, kann hinzukommen, aber die Z e i c h n u n g in der ersten und die Komposition in dem letzten machen den eigentlichen Gegenstand des reinen Geschmacksurteils aus; und daß die Reinigkeit der Farben sowohl als der19 Töne, oder auch die Mannigfaltigkeit derselben und ihre Abstechung zur Schönheit beizutragen scheint, will nicht so viel sagen, daß sie darum, weil sie für sich angenehm sind, gleichsam 43 einen gleichartigen Zusatz zu dem Wohl|gefallen an der Form abgeben, sondern weil sie diese letztere nur genauer, bestimmter 226 und vollständiger || anschaulich machen, und überdem durch ihren Reiz die Vorstellung beleben, indem sie20 die Aufmerksamkeit auf den Gegenstand selbst erwecken und erhalten21. Selbst was man Z i e r a t e n (parerga)22 nennt, d. i. dasjenige, was nicht in die ganze Vorstellung des Gegenstandes als Bestandstück innerlich, sondern nur äußerlich als Zutat gehört und das Wohlgefallen des Geschmacks vergrößert, tut dieses doch auch nur durch seine Form: wie Einfassungen der Gemälde, oder23 Gewänder an Statuen, oder Säulengänge um Prachtgebäude. Besteht aber der Zierat nicht selbst in der schönen Form, ist er, wie der goldene Rahmen, bloß um durch seinen Reiz das Gemälde dem Beifall zu empfehlen angebracht: so heißt er alsdann S c h m u c k , und tut der echten Schönheit Abbruch. R ü h r u n g , eine Empfindung, wo24 Annehmlichkeit nur vermittelst augenblicklicher Hemmung und darauf erfolgender stärkerer Ergießung der Lebenskraft gewirkt wird, gehört gar nicht zur Schönheit. Erhabenheit (mit welcher das Gefühl der Rührung verbunden ist)25 aber erfordert einen andern Maßstab der Beurteilung, als der Geschmack sich zum Grunde legt; und so hat ein reines Geschmacksurteil weder Reiz noch Rührung, mit einem Worte keine Empfindung, als Materie des ästhetischen Urteils, zum Bestimmungsgrunde. |

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dove viene ammessa l’attrattiva, è per la sola forma che i colori vengono nobilitati. Ogni forma degli oggetti dei sensi (dei sensi esterni come pure, mediatamente, del senso interno) è o f i g u r a o g i o c o : nell’ultimo caso la forma è o gioco delle figure (nello spazio si tratta della mimica e della danza), oppure semplice gioco delle sensazioni (nel tempo). L’ a t t r a t t i v a dei colori o dei suoni gradevoli dello strumento può aggiungervisi, ma il d i s e g n o , nel primo caso, e la composizione, nel secondo, costituiscono l’oggetto proprio del puro giudizio di gusto34; e che la purezza dei colori, come pure quella dei suoni o ancora la loro varietà e il loro contrasto, sembri contribuire alla bellezza non equivale a dire che questi elementi forniscano per così dire un’aggiunta omogenea al compiacimento per la 43 forma in quanto sono gradevoli per se stessi, ma piuttosto perché rendono la forma intuibile solo in modo più preciso, 226 più determinato e più completo, e inoltre ravvivano la rappresentazione mediante la loro attrattiva, suscitando e mantenendo l’attenzione sull’oggetto stesso. Anche ciò che chiamiamo o r n a m e n t i (parerga), cioè ciò che appartiene non intrinsecamente come suo elemento costitutivo all’intera rappresentazione dell’oggetto ma solo estrinsecamente al modo di un’aggiunta e che aumenta il compiacimento del gusto, svolge questa funzione solo grazie alla sua forma: per esempio le cornici dei quadri, i panneggi delle statue o i colonnati intorno a edifici sontuosi. Ma se l’ornamento non consiste esso stesso nella bella forma e se, come la cornice dorata, è aggiunto semplicemente per raccomandare, con la sua attrattiva, il quadro all’approvazione, allora si chiama d e c o r a z i o n e e pregiudica la bellezza autentica. L’ e m o z i o n e , una sensazione in cui la gradevolezza è prodotta solamente per mezzo di un momentaneo impedimento e poi mediante una successiva e più forte effusione della forza vitale, non appartiene affatto alla bellezza. Ma la sublimità (con la quale il sentimento dell’emozione è collegato) richiede un criterio di valutazione diverso da quello che il gusto si pone a fondamento; e così un puro giudizio di gusto non ha come proprio principio di determinazione né attrattiva né emozione, in una parola non ha alcuna sensazione, in quanto materia del giudizio estetico.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 15 Das Geschmacksurteil ist von dem Begriffe der Vollkommenheit gänzlich unabhängig

Die o b j e k t i v e Zweckmäßigkeit kann nur vermittelst der Beziehung des Mannigfaltigen auf einen bestimmten Zweck, also nur durch einen Begriff erkannt werden. Hieraus allein schon erhellet: daß das Schöne, dessen Beurteilung eine bloß formale Zweckmäßigkeit, d. i. eine Zweckmäßigkeit ohne Zweck, zum Grunde hat, von der Vorstellung des Guten ganz unabhängig sei, weil das letztere eine objektive Zweckmäßigkeit, d. i. die Beziehung des Gegenstandes auf einen bestimmten Zweck, voraussetzt. Die objektive Zweckmäßigkeit ist entweder die äußere, d. i. die N ü t z l i c h k e i t , oder die innere, d. i. die Vo l l k o m m e n h e i t des Gegenstandes. Daß das Wohlgefallen an einem Gegenstande, weshalb wir ihn schön nennen, nicht auf der Vorstellung seiner Nützlichkeit beruhen könne, ist aus beiden vorigen Haupt227 stücken hinreichend zu ersehen: weil es alsdann nicht || ein unmittelbares Wohlgefallen an dem Gegenstande sein würde, welches letztere die wesentliche Bedingung des Urteils über Schönheit ist. Aber eine objektive innere Zweckmäßigkeit, d. i. Vollkommenheit, kommt dem Prädikate der Schönheit schon näher, und ist daher auch von namhaften Philosophen, doch mit dem Beisatze, w e n n 45 s i e v e r w o r | r e n g e d a c h t w i r d , für einerlei mit der Schönheit gehalten worden. Es ist von der größten Wichtigkeit, in einer Kritik des Geschmacks zu entscheiden, ob sich auch die Schönheit wirklich in den Begriff der Vollkommenheit auflösen lasse. Die objektive Zweckmäßigkeit zu beurteilen, bedürfen wir jederzeit den Begriff eines Zwecks, und (wenn jene Zweckmäßigkeit nicht eine äußere (Nützlichkeit), sondern eine innere sein soll) den Begriff eines innern Zwecks, der den Grund der innern Möglichkeit des Gegenstandes enthalte. So wie nun Zweck überhaupt dasjenige ist, dessen B e g r i f f als der Grund der Möglichkeit des Gegenstandes selbst angesehen werden kann: so wird, um sich eine objektive Zweckmäßigkeit an einem Dinge vorzustellen, der Begriff von diesem, w a s e s f ü r e i n D i n g s e i n s o l l e , voran gehen; und die Zusammenstimmung des Mannigfaltigen in demselben zu diesem Begriffe (welcher die Regel der Verbindung desselben an ihm gibt) ist die q u a l i t a t i v e Vo l l k o m m e n h e i t eines Dinges. Hiervon ist die q u a n -

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 15

§ 15 IL GIUDIZIO DI GUSTO È TOTALMENTE INDIPENDENTE

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DAL CONCETTO DELLA PERFEZIONE

La conformità oggettiva al fine può essere conosciuta soltanto mediante il riferimento del molteplice a un fine determinato, dunque solo mediante un concetto. Perciò già solo da questo è chiaro che il bello, la cui valutazione ha per fondamento una conformità al fine semplicemente formale, cioè una conformità al fine senza un fine, è totalmente indipendente dalla rappresentazione del buono perché quest’ultimo presuppone una conformità oggettiva al fine, cioè il riferimento dell’oggetto a un fine determinato. La conformità oggettiva al fine è o quella esterna, cioè l’utilità, oppure quella interna, cioè la perf ezione dell’oggetto. Che il compiacimento per un oggetto, che per questo chiamiamo bello, non possa basarsi sulla rappresentazione della sua utilità si può a sufficienza desumere a partire da entrambi i precedenti momenti: il motivo è che altrimenti non sarebbe un compiacimento immediato per l’oggetto, cosa che 227 invece è la condizione essenziale del giudizio sulla bellezza. Ma una conformità oggettiva interna al fine, cioè la perfezione, si avvicina già di più al predicato della bellezza, ed è stata perciò ritenuta identica alla bellezza anche da parte di filosofi rinomati35, precisando però: qualora la perfezione sia 45 pensata confusamente. È della più grande importanza, in una critica del gusto36, decidere se la bellezza possa anche risolversi effettivamente nel concetto della perfezione. Per valutare la conformità oggettiva al fine abbiamo sempre bisogno del concetto di un fine e (se quella conformità al fine deve essere non esterna, utilità, ma interna) del concetto di un fine interno, che contenga il fondamento della possibilità interna dell’oggetto. Ora, dato che un fine in generale è ciò il cui concetto può essere considerato come il fondamento della possibilità dell’oggetto stesso, allora, per rappresentarsi in una cosa una conformità oggettiva al fine, il suo concetto, cioè che sorta di cosa essa debba essere, verrà prima; e l’armonizzarsi del molteplice nella cosa con questo concetto (il quale fornisce la regola del collegamento di questo molteplice in essa) è la perfezione qualitativa di una cosa. Da questa è

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

t i t a t i v e , als die Vollständigkeit eines jeden Dinges in seiner Art, gänzlich unterschieden, und ein bloßer Größenbegriff (der Allheit)1; bei welchem2, w a s d a s D i n g s e i n s o l l e , schon zum voraus als bestimmt gedacht, und nur, ob a l l e s dazu Erforderliche an ihm sei, gefragt wird. Das Formale in der Vorstellung eines Dinges, d. i. die Zusammenstimmung des Mannigfal46 tigen zu Einem (unbestimmt was | es sein solle) gibt, für sich, ganz und gar keine objektive Zweckmäßigkeit zu erkennen; weil, da von diesem Einen3, a l s Z w e c k (was das Ding sein solle) abstrahiert wird, nichts als die subjektive Zweckmäßigkeit der Vorstellungen im Gemüte des Anschauenden übrig bleibt, welche wohl eine gewisse Zweckmäßigkeit des Vorstellungszustandes im Subjekt, und in diesem eine Behaglichkeit desselben, eine gegebene Form in die Einbildungskraft aufzufassen, aber keine Vollkommenheit irgend eines Objekts, das hier durch keinen Begriff eines Zwecks gedacht wird, angibt. Wie z. B., wenn ich im Walde einen Rasenplatz antreffe, um welchen die Bäume im Zirkel stehen, und ich mir dabei nicht einen Zweck, nämlich daß er etwa zum ländlichen Tanze dienen solle, vorstelle, nicht 228 der mindeste Begriff von || Vollkommenheit durch die bloße Form gegeben wird. Eine formale o b j e k t i v e Zweckmäßigkeit aber ohne Zweck, d. i. die bloße Form einer Vo l l k o m m e n h e i t (ohne alle Materie und B e g r i f f von dem wozu4 zusammengestimmt wird, wenn es auch bloß die Idee einer Gesetzmäßigkeit überhaupt wäre5), sich vorzustellen, ist ein wahrer Widerspruch. Nun ist das Geschmacksurteil ein ästhetisches Urteil, d. i. ein solches, was auf subjektiven Gründen beruht, und dessen Bestimmungsgrund kein Begriff, mithin auch nicht der eines bestimmten Zwecks sein kann. Also wird durch die Schönheit, als eine formale subiektive6 Zweckmäßigkeit, keinesweges eine 47 Vollkommen|heit des Gegenstandes, als vorgeblich-formale, gleichwohl aber doch objektive Zweckmäßigkeit gedacht; und der Unterschied zwischen7 den Begriffen des Schönen und Guten, als ob beide nur der logischen Form nach unterschieden, der8 erste bloß ein verworrener, der9 zweite ein deutlicher Begriff der Vollkommenheit, sonst aber dem Inhalte und Ursprunge nach einerlei wären, ist nichtig: weil alsdann zwischen ihnen kein s p e z i f i s c h e r Unterschied, sondern ein Ge-

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del tutto diversa la perfezione q u a n t i t a t i v a , in quanto completezza di una cosa qualsiasi nella sua specie, e questo è un semplice concetto di grandezza (quello della totalità), in cui ciò che la cosa deve essere è già preliminarmente pensato come determinato e ci si chiede solo se in esso ci sia t u t t o ciò che è richiesto a tale riguardo. Ciò che c’è di formale nella rappresentazione di una cosa, cioè l’armonizzarsi del molteplice in un’unità (in cui resta indeterminato ciò che questa debba essere), di per sé non ci fa conoscere assoluta- 46 mente alcuna conformità oggettiva al fine; perché, siccome si astrae da questa unità c o m e f i n e (ciò che la cosa deve essere), non resta nient’altro che la conformità soggettiva delle rappresentazioni al fine nell’animo di chi intuisce: questa indica senza alcun dubbio una certa conformità al fine dello stato rappresentativo nel soggetto e, in questo stato, una facilità del soggetto ad apprendere nella forza di immaginazione una forma data, ma non una perfezione di un qualche oggetto che qui non è pensato mediante alcun concetto di un fine. Così quando, per esempio, nella foresta capito in un prato intorno al quale gli alberi sono disposti in cerchio e mi rappresento un fine, ritenendo che debba servire per la danza campestre, la semplice forma non mi fornirà il minimo concetto di perfezio- 228 ne. Rappresentarsi una conformità oggettiva formale al fine, ma senza un fine, cioè la semplice forma di una p e r f e z i o n e (senza alcuna materia né c o n c e t t o di ciò con cui viene armonizzata, si trattasse anche semplicemente dell’idea di una conformità alla legge in generale), è una vera contraddizione. Ora, il giudizio di gusto è un giudizio estetico, cioè tale che si basa su fondamenti soggettivi e il cui principio di determinazione non può essere un concetto e neppure, di conseguenza, il concetto di un fine determinato. Dunque, con la bellezza, in quanto conformità soggettiva formale al fine, non è pensata in alcun modo una perfezione dell’oggetto, come conformità pre- 47 sumibilmente formale al fine, ma comunque oggettiva; e sarebbe nulla la differenza che si stabilisce tra i concetti del bello e del buono se si distinguessero solamente per la forma logica, essendo il primo semplicemente un concetto confuso e il secondo un concetto distinto della perfezione, ma fossero per il resto identici quanto al loro contenuto e alla loro origine: perché allora tra loro non ci sarebbe alcuna differenza s p e c i -

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

schmacksurteil eben so wohl ein Erkenntnisurteil wäre, als das Urteil, wodurch etwas für gut erklärt wird; so wie etwa der gemeine Mann, wenn er sagt: daß der Betrug unrecht sei, sein Urteil auf verworrene, der Philosoph auf deutliche, im Grunde aber beide auf einerlei Vernunft-Prinzipien gründen10. Ich habe aber schon angeführt, daß ein ästhetisches Urteil einzig11 in seiner Art sei, und schlechterdings kein Erkenntnis (auch nicht ein verworrenes) vom Objekt gebe: welches letztere nur durch ein logisches Urteil geschieht; da jenes hingegen die Vorstellung, wodurch12 ein Objekt gegeben wird, lediglich auf das Subjekt bezieht, und keine Beschaffenheit des Gegenstandes, sondern nur die zweckmäßige Form in der Bestimmung13 der Vorstellungskräfte, die sich mit jenem beschäftigen, zu bemerken gibt. Das Urteil heißt auch eben darum ästhetisch, weil der Bestimmungsgrund desselben kein Begriff, sondern das Gefühl (des innern Sinnes) jener Einhelligkeit im Spiele der Gemütskräfte 48 ist, sofern sie nur14 empfunden werden | kann. Dagegen, wenn man verworrene Begriffe und das objektive Urteil, das sie zum Grunde hat, wollte ästhetisch nennen15, man einen Verstand haben würde, der sinnlich urteilt, oder einen Sinn, der durch Begriffe seine Objekte vorstellte16, welches beides sich widerspricht17. Das Vermögen der Begriffe, sie mögen verworren oder deutlich sein, ist der Verstand; und, obgleich zum Geschmacksurteil, als ästhetischem Urteile, auch (wie zu allen Ur229 teilen) Verstand gehört, so gehört er zu demselben || doch nicht als Vermögen der Erkenntnis eines Gegenstandes, sondern der Bestimmung desselben und18 seiner Vorstellung (ohne Begriff) nach dem Verhältnis derselben auf das Subjekt und dessen inneres Gefühl, und zwar sofern dieses Urteil nach einer allgemeinen Regel möglich ist.

§ 16 Das Geschmacksurteil, wodurch ein Gegenstand unter der Bedingung eines bestimmten Begriffs für schön erklärt wird, ist nicht rein Es gibt zweierlei Arten von Schönheit: freie Schönheit (pulchritudo vaga), oder die bloß anhängende Schönheit (pulchritudo adhaerens). Die erstere setzt keinen Begriff von dem

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 16

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f i c a , ma un giudizio di gusto sarebbe anche un giudizio conoscitivo come lo è il giudizio per cui qualcosa è dichiarato buono; così, per esempio, quando l’uomo comune dice che l’inganno è ingiusto, fonda il suo giudizio su principi confusi, mentre il filosofo lo fonda su principi distinti, ma in definitiva entrambi basano i loro giudizi sui medesimi principi della ragione. Ma io ho già mostrato che un giudizio estetico è unico nella sua specie e che non dà assolutamente alcuna conoscenza (nemmeno confusa) dell’oggetto: la qual cosa accade soltanto con un giudizio logico; perché invece il giudizio estetico riferisce la rappresentazione con cui un oggetto è dato esclusivamente al soggetto e non permette di osservare alcuna proprietà costitutiva dell’oggetto, ma unicamente la forma conforme al fine presente nella determinazione delle forze rappresentative che si occupano di questo oggetto. Il giudizio si chiama estetico proprio anche perché il suo principio di determinazione non è un concetto, bensì è il sentimento (del senso interno) di quella concordia nel gioco delle forze dell’animo, in quanto essa può essere solo sentita. Al contrario, se si 48 volessero chiamare estetici i concetti confusi e il giudizio oggettivo che li ha a fondamento, si avrebbe un intelletto che giudica in modo sensibile o un senso che rappresenta i propri oggetti mediante concetti: ciò che in entrambi i casi è contraddittorio. La facoltà dei concetti, siano questi confusi o distinti, è l’intelletto; e, benché al giudizio di gusto in quanto giudizio estetico (come pure a tutti i giudizi) competa anche l’intelletto, esso non gli compete tuttavia come facoltà della conoscen- 229 za di un oggetto, ma come facoltà della determinazione dell’oggetto e della sua rappresentazione (senza concetto), secondo il rapporto di questa rappresentazione con il soggetto e con il suo sentimento interno, e precisamente in quanto questo giudizio è possibile secondo una regola universale. § 16 IL GIUDIZIO DI GUSTO, CON CUI UN OGGETTO È DICHIARATO BELLO SOTTO LA CONDIZIONE DI UN CONCETTO DETERMINATO, NON È PURO Ci sono due specie di bellezza: la bellezza libera (pulchritudo vaga) o la bellezza semplicemente aderente (pulchritudo adhaerens). La prima non presuppone alcun concetto di ciò

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

voraus, was der Gegenstand sein soll; die zweite setzt einen solchen und die Vollkommenheit des Gegenstandes nach demselben voraus. Die erstern1 heißen (für sich bestehende) Schön49 heiten dieses | oder jenes Dinges; die andere wird, als einem Begriffe anhängend (bedingte Schönheit), Objekten, die unter dem Begriffe eines besondern Zwecks stehen, beigelegt. Blumen sind freie Naturschönheiten. Was eine Blume für ein Ding sein soll, weiß, außer dem Botaniker, schwerlich sonst jemand2; und selbst dieser, der daran3 das Befruchtungsorgan der Pflanze erkennt, nimmt, wenn er darüber durch Geschmack urteilt, auf diesen Naturzweck keine Rücksicht. Es wird also keine Vollkommenheit von irgend einer Art, keine innere Zweckmäßigkeit, auf welche sich die Zusammensetzung des Mannigfaltigen beziehe, diesem Urteile zum Grunde gelegt. Viele Vögel (der Papagei, der Kolibrit, der Paradiesvogel4), eine Menge Schaltiere des Meeres sind für sich Schönheiten, die gar keinem nach Begriffen in Ansehung seines Zwecks bestimmten Gegenstande zukommen, sondern frei und für sich gefallen. So bedeuten die Zeichnungen à la grecque, das Laubwerk zu Einfassungen, oder auf Papiertapeten u.s.w. für sich nichts: sie stellen nichts vor, kein Objekt unter einem bestimmten Begriffe, und sind freie Schönheiten. Man kann auch das, was man in der Musik Phantasien5 (ohne Thema) nennt, ja die ganze Musik ohne Text, zu derselben Art zählen. In der Beurteilung einer freien Schönheit (der bloßen Form nach) ist das Geschmacksurteil rein. Es ist kein Begriff von irgend einem Zwecke, wozu das Mannigfaltige dem gegebenen 50 Objekte dienen, und was dieses also vorstellen solle, voraus|| | 230 gesetzt; wodurch6 die Freiheit der Einbildungskraft, die in Beobachtung der Gestalt gleichsam spielt, nur eingeschränkt werden würde. Allein die Schönheit eines Menschen (und unter dieser Art die eines Mannes, oder Weibes, oder Kindes), die Schönheit7 eines Pferdes, eines Gebäudes (als Kirche, Palast, Arsenal, oder Gartenhaus) setzt einen Begriff vom Zwecke voraus, welcher8 bestimmt, was das Ding sein soll, mithin einen Begriff seiner Vollkommenheit9; und ist also bloß adhärierende Schönheit. So wie nun die Verbindung des Angenehmen (der Empfindung) mit der Schönheit, die eigentlich nur die Form betrifft, die Reinigkeit des Geschmacksurteils verhinderte: so tut die Verbin-

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che deve essere l’oggetto; la seconda presuppone un tale concetto e la perfezione dell’oggetto secondo tale concetto. Le prime si chiamano bellezze (sussistenti di per sé) di questa o quella cosa; l’altra, aderente a un concetto (bellezza condizio- 49 nata), è attribuita a oggetti che rientrano nel concetto di un fine particolare. I fiori sono bellezze naturali libere. Che sorta di cosa debba essere un fiore è difficile che uno lo sappia, se non il botanico e anche questo, che nel fiore riconosce l’organo di fecondazione della pianta, non tiene in alcun conto questo fine naturale quando ne giudica con il gusto. A fondamento di questo giudizio non è dunque posta alcuna perfezione di una qualche specie, alcuna conformità interna al fine alla quale si riferisca la composizione del molteplice. Molti uccelli (il pappagallo, il colibrì, l’uccello del paradiso), una quantità di crostacei sono di per sé delle bellezze che non spettano affatto ad alcun oggetto determinato secondo concetti riguardo al suo fine, ma che piacciono liberamente di per sé. Così i disegni à la grecque, il fogliame per le cornici o sulle carte da parati, ecc. per se stessi non significano niente: non rappresentano niente, alcun oggetto sotto un concetto determinato, e sono bellezze libere. Si può annoverare nella stessa specie di bellezza anche ciò che in musica si chiamano fantasie (senza tema), anzi tutta la musica senza testo. Nella valutazione di una bellezza libera (secondo la semplice forma) il giudizio di gusto è puro. Non è presupposto alcun concetto di un qualche fine per il quale il molteplice debba servire all’oggetto dato e che esso dunque debba rap- 50 230 presentare; con questo sarebbe soltanto limitata la libertà della forza di immaginazione, che per così dire gioca nella osservazione della figura. Ma la bellezza di un essere umano (e in questa specie quella di un uomo o di una donna o di un bambino), la bellezza di un cavallo, di un edificio (come una chiesa, un palazzo, un arsenale o un padiglione di giardino) presuppone un concetto del fine che determina ciò che la cosa deve essere, di conseguenza presuppone un concetto della sua perfezione, e quindi è una bellezza semplicemente aderente. Ora, come il collegamento del gradevole (della sensazione) con la bellezza, che concerne propriamente solo la forma, ostacolava la

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

dung des Guten (wozu nämlich das Mannigfaltige dem Dinge selbst, nach seinem Zwecke, gut ist) mit der Schönheit der Reinigkeit desselben Abbruch. Man würde vieles unmittelbar in der Anschauung Gefallende an einem Gebäude anbringen können, wenn es nur nicht eine Kirche sein sollte; eine Gestalt mit allerlei Schnörkeln und leichten doch regelmäßigen Zügen, wie die Neuseeländer mit ihrem Tätowieren tun, verschönern können, wenn es nur nicht ein Mensch wäre; und dieser könnte viel feinere Züge und einen gefälligeren sanftern Umriß der Gesichtsbildung haben, wenn er nur nicht einen Mann, oder gar einen kriegerischen vorstellen sollte. | 51 Nun ist das Wohlgefallen an dem Mannigfaltigen in einem Dinge in Beziehung auf den innern Zweck, der seine Möglichkeit bestimmt, auf einem Begriffe gegründetes Wohlgefallen10; das an der Schönheit aber ist ein solches, welches keinen Begriff voraussetzt, sondern mit der Vorstellung, wodurch11 der Gegenstand gegeben (nicht wodurch er gedacht) wird, unmittelbar verbunden ist. Wenn nun das Geschmacksurteil, in Ansehung des letzteren, vom Zwecke in dem ersteren, als Vernunfturteile, abhängig gemacht und dadurch eingeschränkt wird, so ist jenes nicht mehr ein freies und reines Geschmacksurteil. Zwar gewinnt der Geschmack durch diese Verbindung des ästhetischen Wohlgefallens mit dem intellektuellen darin, daß er fixiert wird, und zwar nicht allgemein ist, ihm aber doch in Ansehung gewisser zweckmäßig bestimmten Objekte Regeln vorgeschrieben werden können12. Diese sind aber alsdann auch keine Regeln des Geschmacks, sondern bloß der Vereinbarung des Geschmacks mit der Vernunft, d. i. des Schönen mit dem Guten, durch welche jenes13 zum Instrument der Absicht in Ansehung des letztern brauchbar wird, um diejenige Gemüts231 stimmung, die sich selbst erhält und von || subjektiver allgemeiner Gültigkeit ist, derjenigen Denkungsart unterzulegen, die nur durch mühsamen Vorsatz erhalten werden kann, aber objektiv allgemein gültig ist. Eigentlich aber gewinnt weder die Vollkom52 menheit durch die Schönheit, | noch die Schönheit durch die Vollkommenheit; sondern, weil es nicht vermieden werden kann, wenn wir die Vorstellung, wodurch14 uns ein Gegenstand

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purezza del giudizio di gusto, così il collegamento del buono (ossia ciò per cui il molteplice è buono per la cosa stessa, secondo il suo fine) con la bellezza compromette la purezza di un tale giudizio. Si potrebbero aggiungere a un edificio molti elementi che piacciono immediatamente nell’intuizione, se solo questo edificio non dovesse essere una chiesa; si potrebbe abbellire una figura con ghirigori di ogni tipo e tratti leggeri ma regolari, come fanno i neozelandesi con i loro tatuaggi, se solo non fosse un essere umano; e questo potrebbe avere lineamenti ben più fini e un profilo del viso ancora più piacevole e delicato, se solo egli non dovesse rappresentare un uomo o addirittura un guerriero. Ora, il compiacimento per il molteplice presente in una 51 cosa, in riferimento al fine interno che ne determina la possibilità, è un compiacimento fondato su un concetto; il compiacimento nella bellezza, invece, è tale da non presupporre alcun concetto, bensì da essere immediatamente collegato con la rappresentazione con la quale l’oggetto è dato (e non a quella con la quale è pensato). Se ora il giudizio di gusto viene fatto dipendere, riguardo al secondo tipo di compiacimento, dal fine presente nel primo, in quanto giudizio di ragione, e se con ciò viene limitato, allora quello non è più un giudizio di gusto libero e puro. Certamente, attraverso questo collegamento del compiacimento estetico con quello intellettuale il gusto guadagna nel fatto che viene fissato e, benché non sia universale, gli possono però essere prescritte delle regole riguardo a certi oggetti determinati in maniera conforme al fine. Tuttavia queste non sono allora nemmeno regole del gusto, ma sono semplicemente regole della compatibilità del gusto con la ragione, cioè del bello con il buono: grazie a tali regole il bello diviene utilizzabile come strumento dell’intenzione che mira al buono, per sostenere con quella disposizione dell’animo, che mantiene se stessa ed è di validità universale soggettiva, quel modo di pen- 231 sare che può essere ottenuto soltanto con un faticoso proponimento, ma la cui validità universale è oggettiva. Ma, propriamente parlando, né la perfezione guadagna qualcosa con la bellezza né la bellezza con la perfezione; invece, poiché non si 52 può evitare, quando confrontiamo mediante un concetto la

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gegeben wird, mit dem Objekte (in Ansehung dessen was es sein soll) durch einen Begriff vergleichen, sie zugleich mit der Empfindung im Subjekte zusammen zu halten, so gewinnt das g e s a m t e Ve r m ö g e n der Vorstellungskraft, wenn beide Gemütszustände zusammen stimmen. Ein Geschmacksurteil würde in Ansehung eines Gegenstandes von bestimmtem innern Zwecke nur alsdann rein sein, wenn der Urteilende entweder von diesem Zwecke keinen Begriff hätte, oder in seinem Urteile davon abstrahierte. Aber alsdann würde dieser, ob er gleich ein richtiges Geschmacksurteil fällete, indem er den Gegenstand als freie Schönheit beurteilete, dennoch von dem andern, welcher15 die Schönheit an ihm nur als anhängende Beschaffenheit betrachtet (auf16 den Zweck des Gegenstandes sieht), getadelt und eines falschen Geschmacks beschuldigt werden, obgleich beide in ihrer Art richtig urteilen: der eine nach dem, was er vor den Sinnen, der andere nach dem, was er in Gedanken hat. Durch diese Unterscheidung kann man manchen Zwist der Geschmacksrichter über Schönheit beilegen, indem man ihnen zeigt, daß der eine sich an die freie, der andere an die anhängende Schönheit halte17, der erstere ein reines, der zweite ein angewandtes Geschmacksurteil fälle. | 53

§ 17 Vom Ideale der Schönheit

Es kann keine objektive Geschmacksregel, welche1 durch Begriffe bestimmte, was schön sei, geben. Denn alles Urteil aus dieser Quelle ist ästhetisch; d. i. das Gefühl des Subjekts, und kein Begriff eines Objekts, ist sein Bestimmungsgrund. Ein Prinzip des Geschmacks, welches das allgemeine Kriterium des Schönen durch bestimmte Begriffe angäbe, zu suchen; ist eine fruchtlose Bemühung, weil, was gesucht wird, unmöglich und an sich selbst widersprechend ist. Die allgemeine Mitteilbarkeit der Empfindung (des Wohlgefallens oder Mißfallens), und zwar eine solche, die ohne Begriff Statt findet; die Einhelligkeit, so 232 viel möglich, aller Zeiten und || Völker in Ansehung dieses Gefühls in der Vorstellung gewisser Gegenstände: ist das empirische, wiewohl schwache und kaum zur Vermutung zureichende

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rappresentazione con cui un oggetto ci è dato, con l’oggetto (riguardo a ciò che esso deve essere) di congiungere nello stesso tempo questa rappresentazione con la sensazione presente nel soggetto, allora, quando si armonizzano entrambi gli stati d’animo, è n e l s u o c o m p l e s s o l a f a c o l t à della forza rappresentativa a trarne vantaggio. Un giudizio di gusto, riguardante un oggetto, che possiede un fine interno determinato sarebbe puro solo qualora chi giudica o non disponesse di alcun concetto di questo fine oppure ne facesse astrazione nel suo giudizio. Ma allora egli, benché pronunci un giusto giudizio di gusto nel valutare l’oggetto come bellezza libera, sarebbe tuttavia biasimato da un altro che consideri la bellezza nell’oggetto solo come una proprietà costitutiva aderente (che guarda al fine dell’oggetto), e accusato di gusto falso, pur giudicando entrambi ciascuno a suo modo giustamente: l’uno secondo ciò che ha davanti ai sensi, l’altro secondo ciò che ha nel pensiero. Grazie a questa distinzione si possono comporre molti dissidi che sorgono a proposito della bellezza tra i giudici del gusto, mostrando loro che l’uno si attiene alla bellezza libera, l’altro alla bellezza aderente, che il primo pronuncia un giudizio di gusto puro, il secondo un giudizio di gusto applicato.

§ 17 DELL’IDEALE DELLA BELLEZZA

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Non può esserci alcuna regola oggettiva del gusto che determini mediante concetti ciò che è bello. Infatti ogni giudizio derivante da questa fonte è estetico; ossia il suo principio di determinazione è il sentimento del soggetto, e non un concetto di un oggetto. Cercare un principio del gusto che fornisca il criterio universale del bello mediante concetti determinati è una fatica infruttuosa, perché ciò che viene cercato è impossibile e in se stesso contraddittorio. L’universale comunicabilità della sensazione (del compiacimento o del dispiacimento), ovvero quella che può aver luogo senza concetto, vale a dire la concordia, per quanto possibile, di tutti i tempi e di tutti i popoli riguardo a questo sentimento nella 232 rappresentazione di certi oggetti: questo è il criterio empirico,

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Kriterium2 der Abstammung eines so durch Beispiele bewährten Geschmacks von dem tief verborgenen allen Menschen gemeinschaftlichen Grunde der Einhelligkeit in Beurteilung der Formen, unter denen ihnen Gegenstände gegeben werden. Daher sieht man einige Produkte des Geschmacks als e x e m p l a r i s c h an: nicht als ob Geschmack könne erworben werden, indem er anderen3 nachahmt. Denn der Geschmack 54 muß ein selbst eigenes Vermögen sein; wer aber | ein4 Muster nachahmt, zeigt, sofern als er es trifft, zwar Geschicklichkeit, aber nur Geschmack, sofern er dieses Muster selbst beurteilen kann*. Hieraus folgt aber, daß das höchste Muster, das Urbild des Geschmacks, eine bloße Idee sei, die jeder in sich selbst hervorbringen muß, und wonach8 er alles was Objekt des Geschmacks, was Beispiel der Beurteilung durch Geschmack sei, und selbst den Geschmack von jedermann, beurteilen muß. I d e e bedeutet eigentlich einen Vernunftbegriff, und I d e a l die Vorstellung eines einzelnen als einer Idee adäquaten Wesens. Daher kann jenes Urbild des Geschmacks, welches freilich auf der unbestimmten Idee der Vernunft von einem Maximum beruht, aber doch nicht durch Begriffe, sondern nur in einzelner Darstellung kann vorgestellt werden, besser das Ideal des Schönen genannt werden, dergleichen wir, wenn wir gleich nicht im Besitze desselben sind, doch in uns hervorzubringen streben. Es wird aber bloß ein Ideal der Einbildungskraft sein, 55 eben darum, weil es nicht auf Begriffen, sondern auf | der Darstellung beruht; das Vermögen der Darstellung aber ist die Einbildungskraft. — Wie gelangen wir nun zu einem solchen Ideale der Schönheit? A priori oder empirisch? Imgleichen: welche Gattung des Schönen ist eines Ideals fähig? Zuerst ist wohl zu bemerken, daß die Schönheit, zu welcher9 ein Ideal gesucht werden soll, keine v a g e , sondern durch einen Begriff von objektiver Zweckmäßigkeit f i x i e r t e Schön* Muster des Geschmacks in Ansehung der redenden Künste müssen in einer toten und gelehrten Sprache abgefaßt sein: das erste, um nicht die Veränderung5 erdulden zu müssen, welche die lebenden6 unvermeidlicher Weise trifft, daß edle Ausdrücke platt, gewöhnliche veraltet, und neugeschaffene in einen nur kurz daurenden Umlauf gebracht werden; das zweite, damit sie eine Grammatik habe, welche keinem mutwilligen Wechsel der Mode unterworfen sei, sondern ihre unveränderliche Regel hat7.

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pur debole e appena sufficiente, per congetturare che un gusto, cosí confermato da esempi, discenda da quel fondamento, profondamente nascosto e comune a tutti gli uomini, della concordia nella valutazione delle forme sotto le quali gli oggetti vengono loro dati. È per questo che alcuni prodotti del gusto vengono considerati e s e m p l a r i : non però come se il gusto possa venire acquisito imitando altri. Il gusto infatti deve essere una facoltà che si ha in proprio; invece chi imita un modello rivela 54 sì abilità nella misura in cui vi riesce, ma rivela gusto solo in quanto può valutare da sé questo modello*. Ma da ciò segue che il modello supremo, l’archetipo del gusto, è una semplice idea che ciascuno deve produrre in se stesso, e secondo la quale egli deve valutare tutto ciò che è oggetto del gusto, che è esempio della valutazione mediante il gusto, e addirittura il gusto di ciascuno. I d e a significa propriamente un concetto della ragione, e i d e a l e la rappresentazione di un singolo essere in quanto adeguato a un’idea. Perciò quell’archetipo del gusto, che si basa sicuramente sull’idea indeterminata che la ragione possiede di un massimo, che però può essere rappresentato non mediante concetti ma solo in una singola esibizione, può essere meglio denominato ideale del bello, tale che, se non ne siamo in possesso, ci sforziamo comunque di produrlo in noi. Ma esso sarà semplicemente un ideale della forza di immaginazione, appunto perché si basa non su concetti, bensì sulla esibizione; e la facoltà dell’esibizione non è 55 però che la forza di immaginazione. — Ora, come perveniamo a un simile ideale della bellezza? A priori o empiricamente ? E ancora: quale genere di bello è capace di un ideale? Certamente occorre innanzitutto sottolineare che la bellezza per la quale deve essere cercato un ideale dovrebbe essere non una bellezza v a g a , bensì una bellezza f i s s a t a * Modelli del gusto37 riguardo alle arti della parola devono essere composti in una lingua morta e dotta: una lingua morta, per non dover subire il m u t a m e n t o che tocca inevitabilmente le lingue vive, per cui espressioni nobili diventano correnti, quelle comuni divengono antiquate e quelle nuove hanno una circolazione solo di breve durata; una lingua dotta, affinché questa abbia una grammatica che non sia sottoposta ad alcun cambiamento capriccioso della moda, e abbia invece la sua regola immutabile.

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heit sein, folglich keinem Objekte eines ganz reinen, sondern || angehören müsse. D. i. in welcher Art von Gründen der Beurteilung ein Ideal Statt finden soll, da muß irgend eine Idee der Vernunft nach bestimmten Begriffen zum Grunde liegen, die a priori den Zweck bestimmet, worauf die innere Möglichkeit des Gegenstandes beruhet. Ein Ideal schöner Blumen, eines schönen Ameublements, einer schönen Aussicht läßt sich nicht denken. Aber auch von einer bestimmten Zwecken anhängenden Schönheit, z. B. einem schönen Wohnhause, einem schönen Baume, schönen Garten u.s.w. läßt sich kein Ideal vorstellen; vermutlich weil die10 Zwecke durch ihren Begriff nicht genug bestimmt und fixiert sind, folglich die Zweckmäßigkeit beinahe so frei ist, als bei der v a g e n Schönheit. Nur das, was den Zweck seiner Existenz in sich selbst hat, der M e n s c h , der sich durch Vernunft seine Zwecke selbst bestimmen, oder, wo er sie von der äußern Wahrnehmung hernehmen muß, doch mit wesentlichen und all56 gemeinen | Zwecken zusammenhalten, und die Zusammenstimmung mit jenen alsdann auch ästhetisch beurteilen kann: dieser M e n s c h ist also eines Ideals der S c h ö n h e i t , so wie die Menschheit in seiner Person, als Intelligenz, des Ideals der Vo l l k o m m e n h e i t , unter allen Gegenständen in der Welt allein fähig. Hiezu gehören aber zwei Stücke: e r s t l i c h die ästhetische N o r m a l i d e e , welche eine einzelne Anschauung (der Einbildungskraft) ist, die das Richtmaß seiner Beurteilung, als eines11 zu einer besonderen Tierspezies gehörigen Dinges, vorstellt; z w e i t e n s die Vernunftidee, welche die Zwecke der Menschheit, sofern sie nicht sinnlich vorgestellt werden können, zum Prinzip der Beurteilung seiner12 Gestalt macht, durch welche13, als ihre Wirkung in der Erscheinung, sich jene offenbaren. Die Normalidee muß ihre Elemente zur Gestalt eines Tiers von besonderer Gattung aus der Erfahrung nehmen; aber die größte Zweckmäßigkeit in der Konstruktion der Gestalt, die zum allgemeinen Richtmaß der ästhetischen Beurteilung jedes einzelnen dieser Spezies tauglich wäre, das Bild, was gleichsam absichtlich der Technik der Natur zum Grunde gelegen hat, dem nur die

233 zum Teil intellektuierten Geschmacksurteils

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da un concetto di conformità oggettiva al fine e di conseguenza dovrebbe appartenere non a un oggetto di un giudizio di gusto interamente puro, ma a quello di un giudizio di 233 gusto in parte intellettualizzato. Vale a dire che qualunque sia la specie di fondamenti della valutazione in cui un ideale debba aver luogo, occorre che lì ci sia a fondamento una qualche idea della ragione secondo concetti determinati, che determini a priori il fine sul quale si basa la possibilità interna dell’oggetto. Un ideale di bei fiori, di un bell’arredamento, di una bella veduta è impensabile. Ma non ci si può nemmeno rappresentare un ideale di una bellezza aderente a fini determinati, per esempio a una bella dimora, a un bell’albero, a un bel giardino ecc.; presumibilmente perché i fini non sono abbastanza determinati e fissati mediante il loro concetto e di conseguenza la conformità al fine è quasi altrettanto libera come nel caso della bellezza v a g a . È soltanto ciò che possiede in se stesso il fine della propria esistenza, l’ u o m o , che può determinarsi da sé i propri fini con la ragione o che, quando debba trarli dalla percezione esterna, può comunque congiun- 56 gerli con fini essenziali e universali, e può poi anche valutare esteticamente l’armonia con essi38: questo u o m o , tra tutti gli oggetti nel mondo, è dunque il solo che sia capace di un ideale della b e l l e z z a , così come l’umanità nella sua persona, in quanto intelligenza, lo è dell’ideale della p e r f e z i o n e . Ma per questo sono richiesti due elementi: i n p r i m o l u o g o , l’ i d e a n o r m a l e estetica, la quale è una singola intuizione (della forza di immaginazione) che rappresenta il criterio per valutare l’uomo come una cosa appartenente a una particolare specie animale; in secondo luogo, l’idea della ragione, la quale fa dei fini dell’umanità, in quanto essi non possono essere rappresentati sensibilmente, il principio della valutazione della sua figura39, mediante la quale quei fini si rivelano come il suo effetto nel fenomeno. L’idea normale deve prendere dall’esperienza i suoi elementi per formare la figura di un animale di un genere particolare; ma la più alta conformità al fine nella costruzione della figura, che sarebbe adatta come criterio universale per la valutazione estetica di ogni singolo individuo di questa specie, l’immagine, che la conformità al fine ha posto per così dire intenzionalmente a fondamento della tecnica della natura e alla quale è

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Gattung im ganzen, aber kein einzelnes abgesondert adäquat ist, liegt doch bloß in der Idee des14 Beurteilenden, welche aber, mit ihren Proportionen, als ästhetische Idee, in einem Musterbilde völlig in concreto dargestellt werden kann. Um, wie dieses 57 zugehe, einiger|maßen begreiflich zu machen (denn wer kann der Natur ihr Geheimnis gänzlich ablocken?), wollen wir eine psychologische Erklärung versuchen. Es ist anzumerken: daß, auf eine uns gänzlich unbegreifliche 234 Art, die || Einbildungskraft nicht allein die Zeichen für Begriffe gelegentlich, selbst von langer Zeit her, zurückzurufen; sondern auch das Bild und die Gestalt des Gegenstandes aus einer15 unaussprechlichen Zahl von Gegenständen verschiedener Arten, oder auch einer und derselben Art, zu reproduzieren; ja auch, wenn das Gemüt es auf Vergleichungen anlegt, allem Vermuten nach wirklich, wenn gleich nicht hinreichend zum Bewußtsein, ein Bild16 gleichsam auf das andere fallen zu lassen, und, durch die Kongruenz der mehrern von derselben Art, ein Mittleres herauszubekommen wisse, welches allen zum gemeinschaftlichen Maße dient. Jemand hat tausend erwachsene Mannspersonen gesehen. Will er nun über die vergleichungsweise zu schätzende Normalgröße urteilen, so läßt (meiner Meinung nach) die Einbildungskraft eine große Zahl der Bilder (vielleicht alle jene tausend) auf einander fallen; und, wenn es mir erlaubt ist, hiebei die Analogie der optischen Darstellung anzuwenden, in dem Raum17, wo die meisten sich vereinigen, und innerhalb dem Umrisse, wo der Platz mit der am stärksten aufgetragenen Farbe illuminiert ist, da wird die m i t t l e r e G r ö ß e kenntlich, die sowohl der Höhe als Breite nach von den äußersten Grenzen 58 der | größten und kleinsten Staturen gleich weit entfernt ist; und dies ist die Statur für einen schönen Mann. (Man könnte ebendasselbe mechanisch heraus bekommen, wenn man alle tausend mäße, ihre Höhen unter sich und18 Breiten (und Dicken) für sich zusammen addierte, und die Summe durch tausend dividierte. Allein die Einbildungskraft tut eben dieses durch einen dynamischen Effekt, der aus der vielfältigen Auffassung solcher Gestalten auf das Organ des innern Sinnes entspringt). Wenn nun auf ähnliche Art für diesen mittlern Mann der mittlere Kopf, für diesen die mittlere Nase u.s.w. gesucht wird, so liegt diese Gestalt der Normalidee des schönen Mannes, in dem Lande, wo diese Vergleichung angestellt wird, zum Grunde; daher19

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adeguato soltanto il genere nel suo complesso, ma non un singolo separatamente, sta tuttavia semplicemente nell’idea di chi valuta, che però, con le sue proporzioni, in quanto idea estetica, può essere esibita pienamente in concreto, in una immagine modello. Per rendere in qualche modo comprensibile come 57 ciò accada (infatti, chi può strappare del tutto alla natura il suo segreto?), vogliamo tentare una spiegazione psicologica. Occorre notare come la forza di immaginazione, in un modo per noi del tutto incomprensibile, sappia non solo ri- 234 chiamare all’occasione anche dopo molto tempo i segni per i concetti, ma anche riprodurre l’immagine e la figura dell’oggetto a partire da un indicibile numero di oggetti di diverse specie o anche di una sola e medesima specie; anzi, quando l’animo intraprende dei confronti, è degno di nota come essa sappia addirittura, con ogni probabilità in modo effettivo, benché non sufficiente per averne coscienza, lasciare per così dire cadere un’immagine sull’altra e ottenere dalla congruenza di più immagini della stessa specie un termine medio che serva a tutte come misura comune. Qualcuno ha visto mille uomini adulti. Ora, se egli vuole giudicare della grandezza normale da stimare comparativamente, allora (a mio avviso) la forza di immaginazione lascia cadere un gran numero di immagini (forse tutte quelle mille una sull’altra); e se mi è permesso di applicare qui l’analogia con la presentazione ottica, è nello spazio in cui si assomma la maggior parte di esse e all’interno del contorno dove la superficie è rischiarata con il colore più intenso che diviene riconoscibile la g r a n d e z z a m e d i a , la quale è ugualmente lontana sia in altezza sia in larghezza dai limiti estremi delle stature massime e minime; 58 ed è questa la statura per un uomo bello. (Si potrebbe ottenere meccanicamente il medesimo risultato se si misurassero tutti e mille gli uomini, si addizionassero tra loro le altezze, e poi a parte le larghezze [e gli spessori], e si dividesse ogni somma per mille. Solo che la forza di immaginazione fa proprio questo, ma mediante un effetto dinamico che scaturisce dall’apprensione multipla di tali figure sull’organo del senso interno). Se ora, nello stesso modo, si cerca per questo uomo medio la testa media, per quest’ultima il naso medio, ecc., allora questa figura sta a fondamento dell’idea normale dell’uomo bello nel paese in cui viene eseguito questo confronto;

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ein Neger notwendig unter diesen empirischen Bedingungen eine andere Normalidee der20 Schönheit der Gestalt haben muß, als ein Weißer, der Chinese eine andere21, als der Europäer. Mit dem M u s t e r eines schönen Pferdes oder Hundes (von gewisser Rasse) würde es eben so gehen. — Diese N o r m a l i d e e ist nicht aus von der Erfahrung hergenommenen Proportionen, a l s b e s t i m m t e n R e g e l n , abgeleitet; sondern nach ihr werden allererst Regeln der Beurteilung möglich. Sie ist das zwischen allen einzelnen, auf mancherlei Weise verschiedenen, Anschauungen der Individuen schwebende Bild für die ganze Gattung, welches die Natur zum Urbilde ihren22 Er235 zeugungen in derselben Spezies unterlegte, || aber in keinem 59 einzelnen völlig erreicht | zu haben scheint. Sie ist keinesweges das ganze23 U r b i l d d e r S c h ö n h e i t in dieser Gattung, sondern nur die Form, welche die unnachlaßliche Bedingung aller Schönheit ausmacht, mithin bloß die R i c h t i g k e i t in Darstellung der Gattung. Sie ist, wie man P o l y k l e t s berühmten D o r y p h o r u s nannte, die R e g e l (eben dazu konnte auch M y r o n s Kuh in ihrer Gattung gebraucht werden). Sie kann eben darum auch nichts Spezifisch-Charakteristisches enthalten; denn sonst wäre sie nicht N o r m a l i d e e für die Gattung. Ihre Darstellung gefällt auch nicht durch Schönheit, sondern bloß, weil sie keiner Bedingung, unter welcher24 allein ein Ding dieser Gattung schön sein kann, widerspricht. Die Darstellung ist bloß schulgerecht*. Von der N o r m a l i d e e des Schönen ist doch noch das I d e a l desselben unterschieden, welches man lediglich an der * Man wird finden, daß ein vollkommen regelmäßiges Gesicht, welches der Maler ihm zum25 Modell zu sitzen bitten möchte, gemeiniglich nichts sagt, weil es nichts Charakteristisches enthält, also mehr die Idee der Gattung, als das Spezifische einer Person ausdrückt. Das Charakteristische von dieser Art, was übertrieben ist, d. i. welches der Normalidee (der Zweckmäßigkeit der Gattung) selbst Abbruch tut, heißt K a r i k a t u r. Auch zeigt die Erfahrung: daß jene ganz regelmäßigen Gesichter im Innern gemeinig60 lich auch nur einen | mittelmäßigen26 Menschen verraten; vermutlich (wenn angenommen werden darf, daß die Natur im Äußeren die Proportionen27 des Inneren ausdrücke) deswegen: weil, wenn keine von den Gemütsanlagen über diejenige Proportion hervorstechend ist, die erfordert wird, bloß einen fehlerfreien Menschen auszumachen, nichts von dem, was man Ge nie nennt, erwartet werden darf, in welchem die Natur von ihren gewöhnlichen Verhältnissen der Gemütskräfte zum Vorteil einer einzigen abzugehen scheint.

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pertanto un negro deve necessariamente possedere, sotto queste condizioni empiriche, un’altra idea normale della bellezza della figura rispetto al bianco, il cinese un’altra rispetto all’europeo. Accadrebbe lo stesso con il m o d e l l o di un bel cavallo o di un bel cane (di una certa razza). — Questa i d e a n o r m a l e non è derivata dalle proporzioni tratte dall’esperienza q u a l i r e g o l e d e t e r m i n a t e ; al contrario, è secondo quella idea che diventano primariamente possibili le regole della valutazione. Essa è per l’intero genere l’immagine fluttuante tra tutte le singole intuizioni degli individui per più aspetti, un’immagine che la natura pone come archetipo per le sue generazioni nella medesima specie, ma che essa non 235 sembra aver raggiunto pienamente in alcun singolo indivi- 59 duo40. Essa non è affatto l’intero a r c h e t i p o d e l l a b e l l e z z a in questo genere, ma è soltanto la forma che costituisce la condizione indispensabile di ogni bellezza e di conseguenza semplicemente la c o r r e t t e z z a nella esibizione del genere. Essa è, come si chiamava il famoso D o r i f o r o di Po licleto , il c a n o n e (e allo stesso scopo poteva anche essere usata, nel suo genere, la vacca di M i r o n e )41. Proprio per questo non può nemmeno contenere nulla di caratteristico nello specifico; infatti, altrimenti, essa non sarebbe i d e a n o r m a l e per il genere. La sua esibizione non piace neppure per la bellezza, ma semplicemente perché non contraddice alcuna condizione sotto la quale solamente può essere bella una cosa di questo genere. L’esibizione è solo scolasticamente corretta*. Dall’ i d e a n o r m a l e del bello è però poi distinto l’ i d e a l e del bello, che per i motivi già indicati è lecito aspet* Si troverà che un viso perfettamente regolare, che il pittore desidererebbe invitare a posare come modello, di solito non dice nulla; il motivo è che non contiene niente di caratteristico, e dunque esprime più l’idea del genere che il tratto specifico di una persona42. Il caratteristico di questa specie, ciò che è esagerato, ossia che va a detrimento della stessa idea normale (della conformità del genere al fine) si chiama c a r i c a t u r a . Inoltre l’esperienza mostra che quei visi del tutto regolari di solito rivelano solo un uomo inte- 60 riormente mediocre; presumibilmente (se è lecito ammettere che la natura esprima all’esterno le proporzioni dell’interno) per questo motivo: se nessuna delle attitudini dell’animo risalta oltre quella proporzione richiesta per costituire semplicemente un uomo senza difetti, non ci si può attendere niente di ciò che si chiama genio, in cui la natura sembra discostarsi dai suoi abituali rapporti di proporzione delle forze dell’animo a beneficio di una sola.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

m e n s c h l i c h e n G e s t a l t aus schon angeführten Gründen erwarten darf. An dieser nun besteht das Ideal in dem Aus60 drucke des S i t t l i c h e n , ohne welches | der Gegenstand nicht allgemein, und dazu positiv (nicht bloß negativ in einer schulgerechten Darstellung), gefallen würde. Der sichtbare Ausdruck sittlicher Ideen, die den Menschen innerlich beherrschen, kann zwar nur aus der Erfahrung genommen werden; aber ihre Verbindung mit allem dem, was unsere Vernunft mit dem SittlichGuten in der Idee der höchsten Zweckmäßigkeit verknüpft, die Seelengüte, oder Reinigkeit, oder Stärke, oder Ruhe u.s.w. in körperlicher Äußerung (als Wirkung des Innern) gleichsam sichtbar zu machen: dazu gehören reine Ideen der Vernunft und große Macht der Einbildungskraft in demjenigen vereinigt, welcher28 sie nur beurteilen, vielmehr noch, wer29 sie darstellen 236 will. Die Richtigkeit eines solchen Ideals || der Schönheit beweiset sich darin30: daß es keinem Sinnenreiz sich in das Wohlgefallen an seinem Objekte zu mischen erlaubt, und dennoch ein großes Interesse daran nehmen läßt; welches dann beweiset, daß die Beurteilung nach einem solchen Maßstabe niemals rein ästhe61 tisch sein könne, und die Beur|teilung nach einem Ideale der Schönheit kein bloßes Urteil des Geschmacks sei. Aus diesem dritten Momente geschlossene Erklärung des Schönen S c h ö n h e i t ist Form der Z w e c k m ä ß i g k e i t eines Gegenstandes, sofern sie, o h n e Vo r s t e l l u n g e i n e s Z w e c k s , an ihm wahrgenommen wird*. | * Man könnte wider diese Erklärung als Instanz anführen: daß es Dinge gibt, an denen man eine zweckmäßige Form sieht, ohne an31 ihnen einen Zweck zu erkennen; z. B. die öfter aus alten Grabhügeln gezogenen, mit einem Loche, als zu einem Hefte, versehenen steinernen Geräte, die, ob sie zwar in ihrer Gestalt eine Zweckmäßigkeit deutlich verraten32, für die man den Zweck nicht kennt, darum gleichwohl nicht für schön erklärt werden. Allein, daß man sie für ein Kunstwerk ansieht, ist schon genug, um gestehen zu müssen, daß man ihre Figur auf irgend eine Absicht und einen bestimmten Zweck bezieht. Daher auch gar kein Unmittelbares Wohlgefallen an ihrer Anschauung. Eine Blume hingegen33, z. B. eine Tulpe, wird für schön gehalten, weil eine gewisse Zweckmaßigkeit, die so, wie wir sie beurteilen, auf gar keinen Zweck bezogen wird, in ihrer Wahrnehmung angetroffen wird.

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 17

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tarsi esclusivamente dalla f i g u r a u m a n a . In questa l’ideale consiste nell’espressione della m o r a l i t à , in mancanza della quale l’oggetto non piacerebbe universalmente e nem- 60 meno positivamente (in modo non semplicemente negativo, come in una esibizione scolasticamente corretta). L’espressione visibile di idee morali che dominano internamente l’uomo può certamente essere tratta soltanto dall’esperienza; ma per rendere in qualche modo visibile, in una manifestazione corporea (come effetto dell’interno), il collegamento di queste idee con tutto ciò che connette la nostra ragione con il buono morale nell’idea della conformità suprema al fine, come la bontà dell’anima o la purezza o la forza o la calma, ecc., occorre che idee pure della ragione e grande potenza della forza di immaginazione si congiungano in colui che voglia anche solo valutarle e ancora di più in chi intenda esibirle. La giustezza di un tale ideale della bellezza è provata dal fatto che esso non 236 permette ad alcuna attrattiva dei sensi di mescolarsi nel compiacimento per il suo oggetto e tuttavia fa sì che vi si prenda un grande interesse per esso; il che prova allora che la valutazione secondo una tale unità di misura non possa mai essere puramente estetica e che la valutazione secondo un ideale 61 della bellezza non sia un semplice giudizio del gusto. Definizione del bello tratta da questo terzo momento La b e l l e z z a è la forma della c o n f o r m i t à di un oggetto a l f i n e , in quanto essa vi viene percepita s e n z a r a p p r e s e n t a z i o n e d i u n f i n e *. * Contro questa definizione si potrebbe addurre l’obiezione che ci sono cose nelle quali si vede una forma conforme al fine senza che vi si riconosca un fine; per esempio quegli utensili di pietra, spesso tratti da antichi tumuli funerari, forniti di un foro come se fosse destinato a un manico: tali oggetti, benché mostrino chiaramente nella loro figura una conformità al fine di cui non si conosce il fine, non per questo sono tuttavia chiamati belli. Solo che è già sufficiente che li si consideri come opere dell’arte per dover ammettere che si riferisce la loro configurazione a un qualche intento e a un fine determinato. Perciò neppure alcun immediato compiacimento nella loro intuizione. Un fiore, invece, per esempio un tulipano, viene ritenuto bello perché nella sua percezione viene sì riscontrata una certa finalità che, per come la valutiamo, non è assolutamente riferita ad alcun fine.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Vi e r t e s M o m e n t des Geschmacksurteils, nach der Modalität des Wohlgefallens an dem Gegenstande1 § 18 Was die Modalität eines Geschmacksurteils sei

Von einer jeden Vorstellung kann ich sagen: wenigstens es sei m ö g l i c h , daß sie (als Erkenntnis) mit einer Lust verbunden sei. Von dem, was ich a n g e n e h m nenne, sage ich, daß es in mir w i r k l i c h Lust bewirke. Vom S c h ö n e n aber denkt man sich, daß es eine n o t w e n d i g e Beziehung auf das Wohlgefallen habe. Diese Notwendigkeit nun ist2 von besonderer Art: nicht eine theoretische objektive Notwendigkeit, wo3 a pri237 ori || erkannt werden kann, daß jedermann dieses Wohlgefallen an dem von mir schön genannten Gegenstande f ü h l e n w e r d e ; auch nicht eine praktische, wo4 durch Begriffe eines reinen Vernunftwillens, welcher5 freihandelnden Wesen zur Regel dient, dieses Wohlgefallen die notwendige Folge eines objektiven Gesetzes ist, und nichts anders bedeutet, als daß man schlechterdings (ohne weitere Absicht) auf gewisse Art handeln solle. Sondern sie kann als Notwendigkeit, die in einem ästhetischen Urteile gedacht wird, nur e x e m p l a r i s c h genannt werden, d. i. eine6 Notwendigkeit der Beistimmung a l l e r zu ei63 nem | Urteil, was wie Beispiel einer allgemeinen Regel, die man nicht angeben kann, angesehen wird. Da ein ästhetisches Urteil kein objektives und Erkenntnisurteil ist, so kann diese Notwendigkeit nicht aus bestimmten Begriffen abgeleitet werden, und ist also nicht apodiktisch. Viel weniger kann sie aus der Allgemeinheit der Erfahrung (von einer durchgängigen Einhelligkeit der Urteile über die Schönheit eines gewissen Gegenstandes) geschlossen werden. Denn nicht allein, daß die Erfahrung hiezu schwerlich hinreichend viele Belege schaffen würde, so läßt sich auf empirische Urteile kein Begriff der Notwendigkeit dieser Urteile gründen.

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 18

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QUARTO MOMENTO DEL GIUDIZIO DI GUSTO,

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SECONDO LA MODALITÀ DEL COMPIACIMENTO PER L’OGGETTO

§ 18 CHE COSA SIA LA MODALITÀ DI UN GIUDIZIO DI GUSTO Di una qualsiasi rappresentazione posso dire che è per lo meno p o s s i b i l e che essa (in quanto conoscenza) sia collegata con un piacere. Di ciò che chiamo g r a d e v o l e dico che produce r e a l m e n t e piacere in me. Ma del b e l l o si pensa che abbia un riferimento n e c e s s a r i o al compiacimento. Ora, questa necessità è di una specie particolare: non si tratta di una necessità oggettiva teoretica in cui possa essere riconosciuto a priori che ciascuno s e n t i r à questo compiaci- 237 mento per l’oggetto da me detto bello; questa non è nemmeno una necessità pratica in cui mediante concetti di una pura volontà razionale, che serve da regola a esseri che agiscono liberamente, tale compiacimento sia la conseguenza necessaria di una legge oggettiva e non significhi altro se non che si deve agire assolutamente (senza altro intento) in un certo modo. Invece, come necessità che viene pensata in un giudizio estetico, essa può essere detta solo e s e m p l a r e , cioè si tratta di una necessità del consenso di t u t t i su un giudizio 63 che viene considerato come esempio di una regola universale che non si può addurre. Poiché un giudizio estetico non è un giudizio oggettivo e neppure conoscitivo, questa necessità non può venire derivata da concetti determinati e dunque non è apodittica. Ancora meno essa può essere inferita dall’universalità dell’esperienza (da una completa concordia dei giudizi pronunciati sulla bellezza di un certo oggetto). Infatti, non solo l’esperienza produrrebbe difficilmente esempi sufficienti al riguardo, ma nessun concetto della necessità di questi giudizi può essere fondato su giudizi empirici.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 19 Die subjektive Notwendigkeit, die wir dem Geschmacksurteile beilegen, ist bedingt Das Geschmacksurteil sinnet jedermann Beistimmung an; und, wer etwas für schön erklärt, will, daß jedermann dem vorliegenden Gegenstande Beifall geben und ihn gleichfalls für schön erklären s o l l e . Das S o l l e n im ästhetischen Urteile wird also selbst nach allen Datis, die zur Beurteilung erfordert werden, doch nur bedingt ausgesprochen. Man wirbt um jedes andern Beistimmung, weil man dazu einen Grund hat, der allen gemein ist; auf welche Beistimmung1 man auch rechnen könnte, 64 wenn man nur immer sicher wäre, daß | der Fall unter jenem Grunde als Regel des Beifalls richtig subsumiert wäre.

§ 20 Die Bedingung der Notwendigkeit, die ein Geschmacksurteil vorgibt, ist die Idee eines Gemeinsinnes Wenn Geschmacksurteile (gleich den Erkenntnisurteilen) ein bestimmtes objektives Prinzip hätten, so würde der, welcher 238 sie1 nach dem || letztern fället, auf unbedingte Notwendigkeit seines Urteils Anspruch machen. Wären sie ohne alles Prinzip, wie die des bloßen Sinnengeschmacks, so würde man sich gar keine Notwendigkeit derselben2 in die Gedanken kommen lassen. Also müssen sie ein subjektives Prinzip haben, welches nur durch Gefühl und nicht durch Begriffe, doch aber allgemeingültig bestimme, was gefalle oder mißfalle. Ein solches Prinzip aber könnte nur als ein G e m e i n s i n n angesehen werden; welcher3 vom gemeinen Verstande, den man bisweilen auch Gemeinsinn (sensus communis) nennt, wesentlich unterschieden ist: indem letzterer nicht nach Gefühl, sondern jederzeit nach Begriffen, wiewohl gemeiniglich nur als nach dunkel4 vorgestellten Prinzipien, urteilt. Also nur unter der Voraussetzung, daß es einen Gemeinsinn gebe (wodurch wir aber keinen äußern Sinn, sondern die

I,I. ANALITICA DEL BELLO, §§ 19-20

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§ 19 LA NECESSITÀ SOGGETTIVA, CHE ATTRIBUIAMO AL GIUDIZIO DI GUSTO, È CONDIZIONATA Il giudizio di gusto esige il consenso di ciascuno; e chi dichiara che qualcosa è bello intende che ciascuno d e b b a dare la sua approvazione all’oggetto considerato e allo stesso modo dichiararlo bello. Così nel giudizio estetico, anche avendo tutti i dati che sono richiesti per valutare, il d o v e r e viene espresso tuttavia condizionatamente. Si persegue il consenso di ogni altro perché si possiede per questo un fondamento che è comune a tutti; e si potrebbe anche contare su tale assenso se soltanto si fosse sempre sicuri che il caso considerato sia stato correttamente sussunto sotto quel principio 64 come regola dell’approvazione.

§ 20 LA CONDIZIONE DELLA NECESSITÀ, RIVENDICATA DA UN GIUDIZIO DI GUSTO, È L’IDEA DI UN SENSO COMUNE Se i giudizi di gusto (come i giudizi conoscitivi) avessero un principio oggettivo determinato, colui che li formulasse secondo questo principio avanzerebbe la pretesa a una neces- 238 sità incondizionata del proprio giudizio. Se essi fossero sprovvisti di ogni principio, come i giudizi del semplice gusto dei sensi, allora non potrebbe mai venire in mente che possano avere una necessità. Dunque devono avere un principio soggettivo che determini solo mediante il sentimento e non mediante concetti, e tuttavia in un modo universalmente valido, ciò che piace o dispiace. Ma un tale principio potrebbe venire considerato soltanto come un s e n s o c o m u n e , il quale è essenzialmente distinto dall’intelletto comune che talvolta si chiama anche senso comune (sensus communis)43: infatti quest’ultimo giudica non secondo sentimento, ma sempre secondo concetti, benché di solito solo in quanto sono principi rappresentati oscuramente. È dunque soltanto presupponendo che ci sia un senso comune (con cui tuttavia noi intendiamo non un senso ester-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

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65 Wirkung aus dem freien Spiel unsrer Er kenntniskräfte, verste-

hen), nur unter Voraussetzung, sage ich, eines solchen Gemeinsinns kann das Geschmacksurteil gefällt werden.

§ 21 Ob man mit Grunde einen Gemeinsinn voraussetzen könne Erkenntnisse und Urteile müssen sich, samt der Überzeugung, die sie begleitet, allgemein mitteilen lassen; denn sonst käme ihnen keine Übereinstimmung mit dem Objekt zu: sie wären insgesamt ein bloß subjektives Spiel der Vorstellungskräfte, gerade so wie es der Skeptizism verlangt. Sollen sich aber Erkenntnisse mitteilen lassen, so muß sich auch der Gemütszustand, d. i. die Stimmung der Erkenntniskräfte zu einer Erkenntnis überhaupt, und zwar diejenige Proportion, welche sich für eine Vorstellung (wodurch1 uns ein Gegenstand gegeben wird) gebührt, um daraus Erkenntnis zu machen, allgemein mitteilen lassen: weil ohne diese, als subjektive Bedingung des Erkennens, das Erkenntnis, als Wirkung, nicht entspringen könnte. Dieses geschieht auch wirklich jederzeit, wenn ein gegebener Gegenstand vermittelst der Sinne die Einbildungskraft zur Zusammensetzung des Mannigfaltigen, diese aber den Verstand zur Einheit derselben2 in Begriffen, in Tätigkeit bringt. Aber diese Stimmung der Erkenntniskräfte hat, nach Verschiedenheit 66 der Objekte, die gegeben werden, eine | verschiedene Proportion. Gleichwohl aber muß es eine geben, in welcher dieses innere Verhältnis zur Belebung (einer durch die andere) die zuträglichste für beide Gemütskräfte in Absicht auf Erkenntnis 239 (ge||gebener Gegenstände) überhaupt ist; und diese Stimmung kann nicht anders als durch das Gefühl (nicht nach Begriffen) bestimmt werden. Da sich nun diese Stimmung selbst muß allgemein mitteilen lassen, mithin auch das Gefühl derselben (bei einer gegebenen Vorstellung); die allgemeine Mitteilbarkeit eines Gefühls aber einen Gemeinsinn voraussetzt: so wird dieser mit Grunde angenommen werden können, und zwar ohne sich desfalls auf psychologische Beobachtungen zu fußen, sondern als die notwendige Bedingung der allgemeinen Mitteilbar-

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 21

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no, ma l’effetto risultante dal libero gioco delle nostre forze 65 conoscitive), è solo presupponendo, dico io, un tale senso comune che può essere pronunciato il giudizio di gusto.

§ 21 SE SI POSSA PRESUPPORRE FONDATAMENTE UN SENSO COMUNE Conoscenze e giudizi, unitamente alla convinzione che li accompagna, si devono poter comunicare universalmente; infatti, altrimenti, non spetterebbe loro alcun accordo con l’oggetto: sarebbero nel complesso un gioco semplicemente soggettivo delle forze rappresentative, esattamente come pretende lo scetticismo. Invece, se le conoscenze si devono poter comunicare, allora si deve poter comunicare universalmente anche lo stato d’animo, cioè la disposizione delle forze conoscitive in vista di una conoscenza in generale, e precisamente quella proporzione che si addice a una rappresentazione (con cui un oggetto ci è dato) per farne una conoscenza: infatti, senza questa proporzione, in quanto condizione soggettiva del conoscere, non potrebbe scaturire come effetto la conoscenza. E proprio questo avviene effettivamente ogni volta che un oggetto dato per mezzo dei sensi attiva la forza di immaginazione alla composizione del molteplice, mentre questa, a sua volta, attiva l’intelletto all’unità della composizione in concetti. Ma questa disposizione delle forze conoscitive ha, secondo la diversità degli oggetti che sono dati, una propor- 66 zione diversa. Nondimeno bisogna pur che ce ne sia una in cui questo rapporto interno per il ravvivamento (dell’una con l’altra) sia il più favorevole per entrambe le forze dell’animo in vista di una conoscenza (di oggetti dati) in generale; e questa 239 disposizione non può essere determinata altrimenti se non mediante il sentimento (non secondo concetti). Ora, poiché questa disposizione stessa deve potersi comunicare universalmente e di conseguenza anche il sentimento della medesima (in presenza di una rappresentazione) deve ugualmente potersi comunicare, e tuttavia la comunicabilità universale di un sentimento presuppone un senso comune, allora quest’ultimo potrà venire ammesso fondatamente e in questo caso senza basarsi su osservazioni psicologiche, ma in quanto è la condi-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

keit unserer Erkenntnis, welche in jeder Logik und jedem Prinzip der Erkenntnisse, das nicht skeptisch ist, vorausgesetzt werden muß3.

§ 22 Die Notwendigkeit der allgemeinen Beistimmung, die in einem Geschmacksurteil gedacht wird, ist eine subjektive Notwendigkeit, die unter der Voraussetzung eines Gemeinsinns als objektiv vorgestellt wird In allen Urteilen, wodurch wir etwas für schön erklären, ver-

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67 statten wir keinem, anderer Meinung zu sein; ohne gleichwohl

unser Urteil auf Begriffe, sondern nur auf unser Gefühl zu gründen: welches wir also nicht als Privatgefühl, sondern als ein gemeinschaftliches zum Grunde legen. Nun kann dieser Gemeinsinn zu diesem Behuf nicht auf der Erfahrung gegründet werden; denn er will zu Urteilen berechtigen, die ein Sollen enthalten: er sagt nicht, daß jedermann mit unserm Urteile übereinstimmen w e r d e , sondern damit zusammenstimmen s o l l e . Also ist der Gemeinsinn, von dessen Urteil ich mein Geschmacksurteil hier1 als ein Beispiel angebe und weswegen ich ihm e x e m p l a r i s c h e Gültigkeit beilege, eine bloße idealische Norm, unter deren Voraussetzung man ein Urteil, welches mit ihr zusammenstimmte, und das in demselben ausgedrückte Wohlgefallen an einem Objekt, für jedermann mit Recht zur Regel machen könnte: weil zwar das Prinzip nur subjektiv, dennoch aber, für subjektiv-allgemein (eine jedermann notwendige Idee) angenommen, was die Einhelligkeit verschiedener Urteilenden betrifft, gleich einem objektiven, allgemeine Beistimmung fordern könnte; wenn man nur sicher wäre, darunter richtig subsumiert zu haben. Diese unbestimmte Norm eines Gemeinsinns wird von uns wirklich vorausgesetzt: das beweiset unsere Anmaßung, Ge240 schmacksurteile zu fällen. || Ob es in der Tat einen solchen Gemeinsinn, als konstitutives Prinzip der Möglichkeit der Erfahrung gebe, oder ein noch höheres Prinzip der Vernunft es uns 68 nur zum regula|tiven Prinzip mache, allererst einen Gemeinsinn zu höhern Zwecken in uns hervorzubringen; ob also Geschmack ein ursprüngliches und natürliches, oder nur die Idee

I,I. ANALITICA DEL BELLO, § 22

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zione necessaria della comunicabilità universale della nostra conoscenza, la quale deve essere presupposta in ogni logica e in ogni principio delle conoscenze che non sia scettico.

§ 22 LA NECESSITÀ DEL CONSENSO UNIVERSALE, CHE È PENSATO IN UN GIUDIZIO DI GUSTO, È UNA NECESSITÀ SOGGETTIVA CHE, SE PRESUPPOSTO UN SENSO COMUNE, VIENE RAPPRESENTATA COME OGGETTIVA In tutti i giudizi con cui dichiariamo qualcosa bello, non permettiamo a nessuno di essere di un’altra opinione, allo 67 stesso tempo senza però fondare il nostro giudizio su concetti, ma soltanto sul nostro sentimento, che dunque poniamo a fondamento non come sentimento privato, ma come un sentimento che abbiamo in comune. Ora, questo senso comune non può a tal fine essere fondato sull’esperienza perché intende autorizzare a dare giudizi che contengono un dovere: esso non dice che ciascuno si a c c o r d e r à con il nostro giudizio, ma che ciascuno d e v e armonizzarsi con questo giudizio. Così il senso comune, del cui giudizio qui fornisco come esempio il mio giudizio di gusto, conferendogli pertanto una validità e s e m p l a r e , è una semplice norma ideale che, se presupposta, potrebbe fare a buon diritto per ciascuno da regola un giudizio che si armonizzasse con essa e il compiacimento che vi si esprime per un oggetto: perché il principio, certo preso soltanto soggettivamente ma come soggettivamente universale (come un’idea necessaria per ciascuno), potrebbe tuttavia esigere, per quel che concerne la concordia dei diversi giudicanti, un consenso universale, come se fosse un principio oggettivo, se solo si fosse sicuri di aver sussunto correttamente sotto quel principio. Questa norma indeterminata di un senso comune è da noi effettivamente presupposta: lo dimostra la nostra presunzione di pronunciare giudizi di gusto. Se ci sia di fatto un tale senso 240 comune, in quanto principio costitutivo della possibilità dell’esperienza, o se un principio della ragione ancora più elevato ne faccia per noi un principio solo regolativo tale da pro- 68 durre in noi prima di tutto un senso comune in vista di fini più elevati; se dunque il gusto sia una facoltà originaria e

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

von einem noch zu erwerbenden und künstlichen Vermögen sei, so daß ein Geschmacksurteil, mit seiner Zumutung einer allgemeinen Beistimmung, in der Tat nur eine Vernunftforderung sei, eine solche Einhelligkeit der Sinnesart hervorzubringen, und das Sollen, d. i. die objektive Notwendigkeit des Zusammenfließens des Gefühls von jedermann mit jedes seinem besondern, nur die Möglichkeit, hierin einträchtig zu werden, bedeute, und das Geschmacksurteil nur von Anwendung dieses Prinzips ein Beispiel aufstelle: das wollen und können wir hier noch nicht untersuchen, sondern haben für jetzt2 nur das Geschmacksvermögen in seine Elemente aufzulösen, und3 sie zuletzt in der Idee eines Gemeinsinns zu vereinigen. Aus dem vierten Moment gefolgerte Erklärung vom4 Schönen S c h ö n ist, was ohne Begriff als Gegenstand eines n o t w e n d i g e n Wohlgefallens erkannt wird.

* * *

Allgemeine Anmerkung zum ersten Abschnitte der Analytik Wenn man das Resultat aus den obigen Zergliederungen zieht, so findet sich, daß alles auf den Begriff des Geschmacks 69 herauslaufe1: daß er ein Beurteilungsvermögen | eines Gegenstandes in Beziehung auf die f r e i e G e s e t z m ä ß i g k e i t der Einbildungskraft sei. Wenn nun im Geschmacksurteile die Einbildungskraft in ihrer Freiheit betrachtet werden muß, so wird sie erstlich nicht reproduktiv, wie sie den Assoziationsgesetzen unterworfen ist, sondern als produktiv und selbsttätig (als Urheberin willkürlicher Formen möglicher Anschauungen) angenommen; und, ob sie zwar bei der Auffassung eines gegebenen Gegenstandes der Sinne an eine bestimmte Form dieses Objekts gebunden ist und sofern kein freies Spiel (wie im Dichten) hat, so läßt sich doch noch wohl begreifen: daß der Gegenstand ihr gerade eine solche Form an die Hand geben könne, die eine || 241 Zusammensetzung des Mannigfaltigen enthält, wie sie die Ein-

NOTA GENERALE ALLA PRIMA SEZIONE DELL’ANALITICA

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naturale oppure soltanto l’idea di una facoltà che è ancora da acquisire e artificiale, in modo tale che un giudizio di gusto, con la sua pretesa a un consenso universale, di fatto sia soltanto una esigenza della ragione di produrre una tale concordia del modo di sentire e il dovere, cioè la necessità oggettiva del confluire del sentimento di ciascuno con il sentimento particolare proprio di ognuno, significhi unicamente la possibilità di divenire in ciò concordi e il giudizio di gusto offra un esempio solo dell’applicazione di questo principio: tutto ciò qui non vogliamo né possiamo ancora esaminare, ma dobbiamo per il momento soltanto scomporre la facoltà del gusto nei suoi elementi e poi finalmente unificarli nell’idea di un senso comune. Definizione del bello derivata dal quarto momento B e l l o è ciò che viene riconosciuto senza concetto come oggetto di un compiacimento n e c e s s a r i o .

* * *

NOTA GENERALE ALLA PRIMA SEZIONE DELL’ANALITICA Se si tirano le somme delle precedenti analisi, si trova che tutto sfocia nel concetto del gusto, secondo cui esso è una facoltà di valutare un oggetto in riferimento alla libera 69 conformità alla legge della forza di immaginazione. Se ora nel giudizio di gusto la forza di immaginazione deve venire considerata nella sua libertà, viene assunta prima di tutto non come riproduttiva, come quando è sottoposta alle leggi dell’associazione, ma come produttiva e spontanea (in quanto autrice di forme arbitrarie di intuizioni possibili); e sebbene, nell’apprensione di un oggetto dato dei sensi, essa sia legata a una forma determinata di questo oggetto e pertanto non abbia affatto libero gioco (come nel fantasticare), tuttavia si può ancora comprendere molto bene che l’oggetto possa offrirle per l’appunto una forma tale che contenga una composizione 241 del molteplice quale la progetterebbe la forza di immaginazio-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

bildungskraft, wenn sie sich selbst frei überlassen wäre, in Einstimmung mit der Ve r s t a n d e s g e s e t z m ä ß i g k e i t überhaupt entwerfen würde. Allein daß die E i n b i l d u n g s k r a f t f r e i und doch v o n s e l b s t g e s e t z m ä ß i g sei, d. i. daß sie eine Autonomie bei sich führe, ist ein Widerspruch. Der Verstand allein gibt das Gesetz. Wenn aber die Einbildungskraft nach einem bestimmten Gesetze zu verfahren genötigt wird, so wird ihr Produkt, der Form nach, durch Begriffe bestimmt, wie es sein soll; aber alsdenn ist das Wohlgefallen, wie oben gezeigt, nicht das am Schönen, sondern am Guten (der Vollkommenheit, allenfalls bloß der formalen), und das Urteil ist kein Urteil durch Geschmack. Es wird also eine Gesetzmäßigkeit ohne Gesetz, und eine subjektive Übereinstimmung der Einbildungskraft zum Verstande, ohne eine objektive, da die Vorstellung auf einen bestimmten Begriff von einem Gegenstande bezogen wird, mit der freien Gesetzmäßigkeit des Verstandes (welche auch Zweckmäßigkeit ohne Zweck genannt worden) und mit der Eigentümlichkeit eines Geschmacksurteils allein zusammen bestehen können. | 70 Nun werden geometrisch-regelmäßige Gestalten, eine Zirkelfigur, ein Quadrat, ein Würfel u.s.w. von Kritikern des Geschmacks gemeiniglich als die einfachsten und unzweifelhaftesten Beispiele der Schönheit angeführt; und dennoch werden sie eben darum regelmäßig genannt, weil man sie nicht anders vorstellen kann als so, daß sie für bloße Darstellungen eines bestimmten Begriffs, der jener Gestalt die Regel vorschreibt (nach der sie allein möglich ist), angesehen werden. Eines von beiden muß also irrig sein: entweder jenes Urteil der Kritiker, gedachten Gestalten Schönheit beizulegen; oder das unsrige, welches Zweckmäßigkeit ohne Begriff zur Schönheit nötig findet. Niemand wird leichtlich einen Menschen von Geschmack dazu nötig finden, um an einer Zirkelgestalt mehr Wohlgefallen, als an einem kritzligen Umrisse, an einem gleichseitigen und gleicheckigen Viereck mehr, als an einem schiefen ungleichseitigen, gleichsam verkrüppelten, zu finden; denn dazu gehört nur gemeiner Verstand und gar kein Geschmack. Wo eine Absicht2, z. B. die Größe eines Platzes zu beurteilen, oder das Verhältnis der Teile zu einander und zum Ganzen in einer Einteilung faßlich zu machen, wahrgenommen wird3: da sind regelmäßige Gestalten, und zwar die von der einfachsten Art, nötig; und das Wohlgefallen ruht nicht unmittelbar auf dem Anblicke der

NOTA GENERALE ALLA PRIMA SEZIONE DELL’ANALITICA

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ne, se fosse lasciata libera a se stessa, in concordanza con la conformità alla legge dell’intelletto in generale. Ma che la forza di immaginazione sia libera e che tuttavia sia da sé conforme alla legge, cioè che comporti un’autonomia, è una contraddizione. L’intelletto solo dà la legge. Ma se la forza di immaginazione è costretta a procedere secondo una legge determinata, il suo prodotto, secondo la forma, viene determinato mediante concetti, come deve essere; ma allora il compiacimento, come si è mostrato in precedenza, non è quello per il bello, bensì quello per il buono (per la perfezione, in ogni caso semplicemente di quella formale), e il giudizio non è un giudizio mediante il gusto. Dunque solo una conformità alla legge senza legge e un accordo soggettivo della forza di immaginazione con l’intelletto senza un accordo oggettivo, dove la rappresentazione viene riferita a un concetto determinato di un oggetto, possono sussistere insieme con la libera conformità dell’intelletto alla legge (la quale è stata anche chiamata conformità al fine senza un fine) e con la peculiarità di un giudizio di gusto. Ora, le figure geometriche regolari, un cerchio, un qua- 70 drato, un cubo, ecc., sono indicate comunemente dai critici del gusto44 come i più semplici e indubitabili esempi della bellezza; e tuttavia sono chiamate regolari proprio perché non si possono rappresentare in alcun altro modo se non considerandole semplici esibizioni di un concetto determinato che prescrive a quella figura la regola (secondo la quale soltanto la figura è possibile). Pertanto uno dei due deve essere sbagliato: o quel giudizio dei critici, che attribuisce la bellezza alle figure menzionate, oppure il nostro giudizio, che trova necessaria per la bellezza una conformità al fine senza concetto. Nessuno concederà facilmente che sia necessario un uomo di gusto per trovare più compiacimento nella figura di un cerchio che in un contorno scarabocchiato, più in un quadrilatero equilatero ed equiangolo che in uno sghembo con lati disuguali, per così dire deforme; infatti per questo è richiesto soltanto un intelletto comune e non il gusto. Ma dove si percepisce un intento, per esempio quello di valutare la grandezza di un luogo o di far cogliere in una divisione il rapporto delle parti tra loro e con il tutto, lì allora sono necessarie figure regolari e anzi quelle della specie più semplice; e il compiacimento si basa non immediatamente sulla visione della figu-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

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242 Gestalt, sondern der Brauchbarkeit der selben zu allerlei mögli-

cher Absicht. Ein Zimmer, dessen Wände schiefe Winkel machen, ein Gartenplatz von solcher Art, selbst alle Verletzung der Symmetrie, sowohl in der Gestalt der Tiere (z. B. einäugig zu sein), als der Gebäude, oder der Blumenstücke, mißfällt, weil es zweckwidrig ist, nicht allein praktisch in Ansehung eines bestimmten Gebrauchs dieser Dinge, sondern auch für die Be71 urteilung in allerlei möglicher Absicht; welches der | Fall im Geschmacksurteile nicht ist, welches, wenn es rein ist, Wohlgefallen oder Mißfallen, ohne Rücksicht auf den Gebrauch oder einen Zweck, mit der bloßen B e t r a c h t u n g des Gegenstandes unmittelbar verbindet. Die Regelmäßigkeit, die zum Begriffe von einem Gegenstande führt, ist zwar die unentbehrliche Bedingung (conditio sine qua non), den Gegenstand in eine einzige Vorstellung zu fassen und das Mannigfaltige in der Form desselben zu bestimmen. Diese Bestimmung ist ein Zweck in Ansehung der Erkenntnis; und in Beziehung auf diese ist sie auch jederzeit mit Wohlgefallen (welches die Bewirkung einer jeden auch bloß problematischen Absicht begleitet) verbunden. Es ist aber alsdann4 bloß die Billigung der Auflösung, die einer Aufgabe Gnüge tut, und nicht eine freie und unbestimmt-zweckmäßige Unterhaltung der Gemütskräfte, mit dem, was wir schön nennen, und wobei5 der Verstand der Einbildungskraft und nicht diese jenem zu Diensten ist. An einem Dinge, das6 nur durch eine Absicht möglich ist, einem Gebäude, selbst einem Tier, muß die Regelmäßigkeit, die in der Symmetrie besteht, die Einheit der Anschauung ausdrücken, welche den Begriff des Zwecks begleitet, und gehört mit zum Erkenntnisse. Aber wo nur ein freies Spiel der Vorstellungskräfte (doch unter der Bedingung, daß der Verstand dabei keinen Anstoß leide) unterhalten werden soll, in Lustgärten, Stubenverzierung, allerlei geschmackvollem Geräte u. d. gl. wird die Regelmäßigkeit, die sich als Zwang ankündigt, so viel möglich vermieden; daher der englische Geschmack in Gärten, der Barockgeschmack an Möbeln7 die Freiheit der Einbildungskraft wohl eher bis zur Annäherung zum Grotesken treibt, und in dieser Absonderung von allem Zwange der Regel eben den | 72 Fall setzt, wo der Geschmack in Entwürfen der Einbildungskraft seine größte Vollkommenheit zeigen kann.

NOTA GENERALE ALLA PRIMA SEZIONE DELL’ANALITICA

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ra, ma sulla sua utilizzabilità per ogni sorta di intento possibi- 242 le. Una stanza le cui pareti formino angoli sghembi, un pezzo di giardino dello stesso tipo, perfino ogni violazione di simmetria, sia nella figura degli animali (per esempio avere un occhio solo) sia in quella degli edifici o delle composizioni floreali, dispiacciono perché ciò è contrario al fine, non solo praticamente, riguardo a un uso determinato di queste cose, ma anche per la loro valutazione in ogni sorta di intenti possibili; non è questo il caso del giudizio di gusto, il quale, se è 71 puro, collega immediatamente compiacimento o dispiacimento con la semplice c o n s i d e r a z i o n e dell’oggetto senza alcun riguardo per l’uso o per il fine. La regolarità che conduce al concetto di un oggetto è certamente la condizione indispensabile (conditio sine qua non) per cogliere l’oggetto in un’unica rappresentazione e per determinare il molteplice nella sua forma. Questa determinazione è un fine riguardo alla conoscenza; e in riferimento a questa, essa è anche sempre collegata con il compiacimento (che accompagna la realizzazione di qualsiasi intento, anche soltanto problematico). Ma allora è semplicemente l’approvazione accordata alla soluzione soddisfacente di un problema, e non di un intrattenimento libero, e indeterminatamente conforme al fine delle forze dell’animo con ciò che noi chiamiamo bello, e in cui l’intelletto è al servizio della forza di immaginazione e non questa al servizio di quello. In una cosa, che è possibile soltanto con un intento, in un edificio, perfino in un animale, la regolarità che consiste nella simmetria deve esprimere l’unità dell’intuizione che accompagna il concetto del fine e rientra anch’essa nella conoscenza. Ma dove si deve intrattenere soltanto un libero gioco delle forze rappresentative (ma alla condizione che l’intelletto non patisca alcun urto), nei parchi, nella decorazione di interni, in qualunque arredamento di buon gusto, ecc., la regolarità, che si presenti come costrizione, viene per quanto possibile evitata; perciò il gusto inglese nei giardini45, il gusto barocco nei mobili spingono piuttosto la libertà della forza di immaginazione fino ad avvicinarsi al grottesco e, in questo prescindere da ogni costrizione dalla regola, costituiscono appunto il caso in cui il gusto può mostrare nei progetti della forza di imma- 72 ginazione la sua massima perfezione.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Alles Steif-Regelmäßige (was der mathematischen Regelmäßigkeit nahe kommt) hat das Geschmackswidrige an sich: daß es keine lange Unterhaltung mit der Betrachtung desselben 243 gewährt, sondern, sofern es nicht || ausdrücklich das Erkenntnis, oder einen bestimmten praktischen Zweck zur Absicht hat, lange Weile macht. Dagegen ist das, womit Einbildungskraft ungesucht und zweckmäßig spielen kann, uns jederzeit neu, und man wird seines Anblicks nicht überdrüssig. M a r s d e n in seiner Beschreibung von Sumatra macht die Anmerkung, daß die freien Schönheiten der Natur den Zuschauer daselbst überall umgeben und daher wenig Anziehendes mehr für ihn haben: dagegen ein Pfeffergarten, wo die Stangen, an denen sich dieses Gewächs rankt, in Parallellinien Alleen zwischen sich bilden, wenn er ihn mitten in einem Walde antraf, für ihn viel Reiz hatte; und schließt daraus, daß wilde, dem Anscheine nach regellose Schönheit nur dem zur Abwechselung gefalle, der sich an der regelmäßigen satt gesehen hat. Allein er durfte nur den Versuch machen, sich einen Tag bei seinem Pfeffergarten aufzuhalten, um inne zu werden, daß, wenn der Verstand durch die Regelmäßigkeit sich in die Stimmung zur Ordnung, die er allerwärts bedarf, versetzt hat, ihn der Gegenstand nicht länger unterhalte, vielmehr der Einbildungskraft einen lästigen Zwang antue: wogegen die dort an8 Mannigfaltigkeiten bis zur Üppigkeit verschwenderische Natur, die keinem Zwange künstlicher Regeln unterworfen ist, seinem Geschmacke für beständig Nahrung geben könne. — Selbst der Gesang der Vögel, den wir unter keine musikalische Regel bringen können, scheint mehr Freiheit und darum mehr für den Geschmack zu enthalten, als 73 selbst ein menschlicher Gesang, der | nach allen Regeln der Tonkunst geführt wird: weil man des letztern, wenn er oft und lange Zeit wiederholt wird, weit eher überdrüssig wird. Allein hier vertauschen wir vermutlich9 unsere Teilnehmung an der Lustigkeit eines kleinen beliebten Tierchens mit der Schönheit seines Gesanges, der, wenn er vom Menschen (wie dies10 mit dem Schlagen der Nachtigall bisweilen geschieht) ganz genau nachgeahmet wird, unserm Ohre ganz geschmacklos zu sein dünkt. Noch sind schöne Gegenstände von schönen Aussichten auf Gegenstände (die öfter der Entfernung wegen nicht mehr deutlich erkannt werden können) zu unterscheiden. In den letztern scheint der Geschmack nicht sowohl an dem, was die Einbil-

NOTA GENERALE ALLA PRIMA SEZIONE DELL’ANALITICA

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Tutto ciò che ha una rigida regolarità (che si avvicina alla regolarità matematica) ha in sé qualcosa di contrario al gusto: il fatto che esso non permette di intrattenersi a lungo nella sua considerazione, bensì in quanto non ha espressamente co- 243 me intento la conoscenza o un fine pratico determinato, provoca noia. Al contrario ciò con cui la forza di immaginazione può giocare, in modo spontaneo e conforme al fine, è per noi sempre nuovo e non ci si stanca mai della sua vista. M a r s d e n , nella sua descrizione di Sumatra46, nota che le bellezze libere della natura circondano dappertutto lo spettatore e quindi per lui hanno ormai poca attrattiva; al contrario, un campo di pepe, dove le pertiche lungo le quali questa pianta si arrampica formano tra loro dei viali paralleli, ebbe per lui molta attrattiva quando in mezzo alla foresta ne incontrò uno; ed egli ne conclude che la bellezza selvaggia, apparentemente sprovvista di regole, piace soltanto come diversivo a chi ne ha vista a sazietà tanta regolare. Ma avrebbe solamente dovuto provare a restare tutto un giorno alla presenza del suo campo di pepe per accorgersi che quando l’intelletto, grazie alla regolarità, si sia messo in una disposizione all’ordine, di cui ha sempre bisogno, l’oggetto non lo intrattiene più e piuttosto infligge alla forza di immaginazione una pesante costrizione: proprio là dove invece la natura prodiga di varietà fino al rigoglio, che non è sottomesso ad alcuna costrizione da regole artificiali, potrebbe offrire al suo gusto un nutrimento costante. — Anche il canto degli uccelli che non possiamo ricondurre sotto alcuna regola musicale sembra contenere più libertà e perciò qualcosa in più per il gusto perfino di un canto umano, seppure eseguito secondo tutte le regole dell’arte 73 musicale: infatti di quest’ultimo, quando è ripetuto spesso e a lungo, ci si stanca molto prima. Ma qui scambiamo probabilmente la nostra partecipazione alla gaiezza di una piccola, cara bestiola, con la bellezza del suo canto che, quando viene imitato dall’uomo in modo assolutamente preciso (come accade talvolta con il verso dell’usignolo), al nostro orecchio appare totalmente privo di gusto. Si devono poi distinguere gli oggetti belli dalle belle vedute di oggetti (i quali assai spesso, a causa della distanza, non possono più essere riconosciuti distintamente). In queste ultime, il gusto sembra restare attaccato non tanto a ciò che la

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

dungskraft in diesem Felde a u f f a ß t , als vielmehr an dem, was sie hiebei zu d i c h t e n Anlaß bekommt, d. i. an den eigentlichen Phantasien, womit sich das Gemüt unterhält, indessen daß es11 durch die Mannigfaltigkeit, auf die das Auge stößt, kontinuierlich erweckt wird, zu haften; so wie etwa bei dem Anblick der veränderlichen Gestalten eines Kaminfeuers, oder eines rie244 selnden Baches, welche beide keine || Schönheiten sind, aber doch für die Einbildungskraft einen Reiz bei sich führen, weil sie ihr freies Spiel unterhalten. |

NOTA GENERALE ALLA PRIMA SEZIONE DELL’ANALITICA

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forza di immaginazione a p p r e n d e in questo campo, quanto piuttosto a ciò che qui le dà occasione di f i g u r a r s i , cioè alle vere e proprie fantasie con cui l’animo si intrattiene, venendo nel contempo continuamente tenuto desto dalla varietà su cui cade l’occhio; più o meno come avviene alla vista delle mutevoli figure di un fuoco nel camino o dello scorrere sommesso di un ruscello, cose che, né l’una né l’altra, non sono bellezze, e però comportano un’attrattiva per la 244 forza di immaginazione per il fatto che ne alimentano il libero gioco.

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Zweites Buch

Analytik des Erhabenen § 23 Übergang von dem Beurteilungsvermögen des Schönen zu dem des Erhabenen Das Schöne kommt darin mit dem Erhabenen überein, daß beides für sich selbst gefällt. Ferner darin, daß beides kein Sinnes- noch ein logisch-bestimmendes, sondern ein Reflexionsurteil voraussetzt: folglich das Wohlgefallen nicht an einer Empfindung, wie die des Angenehmen, noch an einem bestimmten Begriffe, wie das Wohlgefallen am Guten, hängt; gleichwohl aber doch auf Begriffe, obzwar unbestimmt welche, bezogen wird, mithin das Wohlgefallen an der bloßen Darstellung oder dem Vermögen derselben geknüpft ist, wodurch das Vermögen der Darstellung, oder die Einbildungskraft, bei einer gegebenen Anschauung mit dem Ve r m ö g e n d e r B e g r i f f e des Verstandes oder der Vernunft, als Beförderung der letztern, in Einstimmung betrachtet wird. Daher sind auch beiderlei Urteile e i n z e l n e , und doch sich für allgemeingültig in Ansehung jedes Subjekts ankündigende Urteile, ob sie zwar bloß auf das Gefühl der Lust und auf1 kein Erkenntnis des Gegenstandes Anspruch machen. | 75 Allein es sind auch namhafte Unterschiede zwischen beiden in die Augen fallend. Das Schöne der Natur betrifft die Form des Gegenstandes, die in der Begrenzung besteht; das Erhabene ist dagegen auch an einem formlosen Gegenstande zu finden, sofern U n b e g r e n z t h e i t an ihm, oder durch dessen Veranlassung, vorgestellt und doch Totalität derselben hinzugedacht wird: so daß das Schöne für die Darstellung eines unbestimmten Verstandesbegriffs, das Erhabene aber eines dergleichen Vernunftbegriffs genommen zu werden scheint. Also ist das Wohlgefallen dort mit der Vorstellung der Q u a l i t ä t , hier

LIBRO SECONDO

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ANALITICA DEL SUBLIME § 23 PASSAGGIO DALLA FACOLTÀ DI VALUTARE IL BELLO A QUELLA DI VALUTARE IL SUBLIME

Il bello conviene con il sublime nel fatto che entrambi piacciono per se stessi. Inoltre, nel fatto che entrambi presuppongono non un giudizio dei sensi né un giudizio logicodeterminante, ma un giudizio di riflessione: di conseguenza il compiacimento non dipende da una sensazione, come quella del gradevole, né da un concetto determinato, come nel caso del compiacimento per il buono; il compiacimento viene tuttavia riferito a concetti, sebbene resti indeterminato a quali, e perciò esso è connesso alla semplice esibizione o alla sua facoltà, per cui la facoltà della esibizione, ovvero la forza di immaginazione, viene considerata in una intuizione data in concordanza con la f a c o l t à d e i c o n c e t t i dell’intelletto o della ragione, in quanto promuove questi ultimi. Perciò entrambi i giudizi sono anche s i n g o l a r i , e però si annunciano come validi universalmente riguardo a ogni soggetto, benché essi avanzino tale pretesa semplicemente riguardo al sentimento del piacere e non a una conoscenza dell’oggetto. Soltanto che tra i due ci sono anche differenze considere- 75 voli che saltano agli occhi. Il bello della natura concerne la forma dell’oggetto, la quale consiste nella limitazione; invece il sublime è da trovare anche in un oggetto privo di forma, purché in esso, oppure occasionata da esso, sia rappresentata una i l l i m i t a t e z z a e però nel pensiero vi sia aggiunta la totalità: in tal modo il bello sembra che sia considerato come l’esibizione di un concetto indeterminato dell’intelletto e il sublime invece come l’esibizione di un concetto pure indeterminato, ma della ragione. Così il compiacimento lì è collegato con la rappresentazione della q u a l i t à , e qui invece con

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

aber der Q u a n t i t ä t verbunden. Auch ist das letztere der Art nach von dem ersteren Wohlgefallen gar sehr unterschieden: indem dieses (das Schöne)2 directe ein Gefühl der Beförderung 245 des Lebens bei sich führt, und daher mit Reizen und einer || spielenden Einbildungskraft vereinbar ist; jenes aber (das Gefühl des Erhabenen)3 eine Lust ist, welche nur indirecte entspringt, nämlich so, daß sie durch das Gefühl einer augenblicklichen Hemmung der Lebenskräfte und darauf sogleich folgenden desto stärkern Ergießung derselben erzeugt wird, mithin als Rührung kein Spiel, sondern Ernst in der Beschäftigung der Einbildungskraft zu sein scheint. Daher es auch mit Reizen unvereinbar ist; und, indem das Gemüt von dem Gegenstande nicht bloß angezogen, sondern wechselsweise auch immer wieder abgestoßen wird, das Wohlgefallen am Erhabenen nicht 76 sowohl positive | Lust als vielmehr Bewunderung oder Achtung enthält4, d. i. negative Lust genannt zu werden verdient. Der wichtigste und innere Unterschied aber des Erhabenen vom Schönen ist wohl dieser: daß, wenn wir, wie billig, hier zuvörderst nur das Erhabene an Naturobjekten in Betrachtung ziehen (das der Kunst wird nämlich immer auf die Bedingungen der Übereinstimmung mit der Natur eingeschränkt), die Naturschönheit (die selbständige) eine Zweckmäßigkeit in ihrer Form, wodurch der Gegenstand für unsere Urteilskraft gleichsam vorherbestimmt zu sein scheint, bei sich führe5, und so an sich einen Gegenstand des Wohlgefallens ausmacht; statt dessen6 das, was in uns, ohne zu vernünfteln, bloß in der Auffassung, das Gefühl des Erhabenen erregt, der Form nach zwar zweckwidrig7 für unsere Urteilskraft, unangemessen unserm Darstellungsvermögen, und gleichsam gewalttätig für die Einbildungskraft erscheinen mag, aber8 dennoch nur um desto erhabener zu sein geurteilt wird. Man sieht aber hieraus sofort, daß wir uns überhaupt unrichtig ausdrücken, wenn wir irgend einen G e g e n s t a n d d e r N a t u r erhaben nennen, ob wir zwar ganz richtig sehr viele derselben schön nennen können; denn wie kann das mit einem Ausdrucke des Beifalls bezeichnet werden, was an sich als zweckwidrig aufgefaßt wird? Wir können nicht mehr sagen, als daß der Gegenstand zur Darstellung einer Erhabenheit tauglich 77 sei, die im Gemüte angetroffen werden kann; denn | das eigent-

I,II. ANALITICA DEL SUBLIME, § 23

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quella della q u a n t i t à . Inoltre il secondo compiacimento è di una specie molto diversa dal primo: perché questo (il bello) comporta direttamente un sentimento di promozione della vita e per questo è compatibile con attrattive e con una forza di immaginazione che gioca; quello invece (il sentimen- 245 to del sublime) è un piacere che sorge solo indirettamente, cioè in modo tale che è prodotto dal sentimento di un impedimento momentaneo delle forze vitali e dell’effusione che segue immediatamente tanto più forte di queste e di conseguenza, in quanto emozione, sembra essere non un gioco, ma qualcosa di serio nella attività della forza di immaginazione. Perciò è anche incompatibile con le attrattive; e siccome l’animo non è semplicemente attratto dall’oggetto, ma in modo alterno si trova anche sempre di nuovo respinto, il compiacimento per il sublime contiene non tanto un piacere positivo 76 quanto piuttosto ammirazione o rispetto, cioè merita di essere chiamato un piacere negativo. Tuttavia la più importante e intrinseca differenza del sublime dal bello è senz’altro questa: se innanzitutto, come conviene, noi qui prendiamo in considerazione solo il sublime negli oggetti della natura (quello dell’arte è infatti sempre circoscritto alle condizioni dell’accordo con la natura), la bellezza della natura (quella autonoma) comporta nella sua forma una conformità al fine per la quale l’oggetto sembra essere come predeterminato per la nostra forza di giudizio, ed è così che costituisce in sé un oggetto del compiacimento; al contrario ciò che in noi suscita il sentimento del sublime, senza perderci in ragionamenti, nella semplice apprensione, può certo sembrare secondo la sua forma contrario a un fine per la nostra forza di giudizio, inadeguato alla nostra facoltà di esibizione e quasi violento per la forza di immaginazione, eppure proprio per questo viene giudicato tanto più sublime. Ma da qui si vede immediatamente che ci esprimiamo in modo del tutto scorretto quando chiamiamo sublime un qualsiasi o g g e t t o d e l l a n a t u r a , mentre possiamo in modo del tutto corretto chiamare belli moltissimi di questi oggetti; infatti come si può designare con un’espressione di approvazione ciò che è appreso in sé come contrario a un fine? Non possiamo dire altro se non che l’oggetto è idoneo alla esibizione di una sublimità che può essere trovata nell’a-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

liche Erhabene kann in keiner sinnlichen Form enthalten sein, sondern trifft nur Ideen der Vernunft: welche, obgleich keine ihnen angemessene Darstellung möglich ist, eben durch diese Unangemessenheit, welche sich sinnlich darstellen läßt, rege gemacht und ins Gemüt gerufen werden. So kann der weite, durch Stürme empörte Ozean nicht erhaben genannt werden. Sein Anblick ist gräßlich; und man muß das Gemüt schon mit 246 mancherlei Ideen || angefüllt haben, wenn es durch eine solche Anschauung zu einem Gefühl gestimmt werden soll, welches9 selbst erhaben ist, indem das Gemüt die Sinnlichkeit zu verlassen und sich mit Ideen, die höhere Zweckmäßigkeit enthalten, zu beschäftigen angereizt wird. Die selbständige Naturschönheit entdeckt uns eine Technik der Natur, welche sie als ein System nach Gesetzen, deren Prinzip wir in unserm ganzen Verstandesvermögen nicht antreffen, vorstellig macht, nämlich dem einer Zweckmäßigkeit, respektiv auf den Gebrauch der Urteilskraft in Ansehung der Erscheinungen, so daß diese nicht bloß als zur Natur in ihrem zwecklosen Mechanism, sondern auch als zur Analogie mit der10 Kunst gehörig, beurteilt werden müssen. Sie erweitert also wirklich zwar nicht unsere Erkenntnis der Naturobjekte, aber doch unsern Begriff von der Natur, nämlich als bloßem Mechanism, zu dem Begriff11 von eben derselben als Kunst: welches zu tiefen Untersuchungen über die Möglichkeit einer solchen Form ein78 ladet. Aber in dem, was | wir an ihr erhaben zu nennen pflegen, ist sogar12 nichts, was auf besondere objektive Prinzipien und diesen gemäße Formen der Natur führte, daß diese vielmehr in ihrem Chaos oder in ihrer wildesten regellosesten Unordnung und Verwüstung, wenn sich13 nur Größe und Macht blicken läßt, die Ideen des Erhabenen am meisten erregt. Daraus sehen wir, daß der Begriff des Erhabenen der Natur bei weitem nicht so wichtig und an Folgerungen reichhaltig sei, als der des Schönen in derselben; und daß er überhaupt nichts Zweckmäßiges in der Natur selbst, sondern nur in dem möglichen G e b r a u c h e ihrer Anschauungen, um eine von der Natur ganz unabhängige Zweckmäßigkeit in uns selbst fühlbar zu machen, anzeige. Zum Schönen der Natur müssen wir einen Grund außer uns suchen, zum Erhabenen aber bloß in uns und der Denkungsart, die in die Vorstellung der ersteren Erhabenheit hineinbringt; eine sehr nötige vorläufige Bemerkung, welche die

I,II. ANALITICA DEL SUBLIME, § 23

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nimo; infatti il sublime propriamente detto non può essere 77 contenuto in alcuna forma sensibile, ma concerne soltanto le idee della ragione: le quali, benché nessuna esibizione possa essere loro adeguata, sono ravvivate ed evocate nell’animo precisamente da questa inadeguatezza che può essere esibita sensibilmente. Così il vasto oceano, agitato dalle tempeste, non può essere detto sublime. La sua vista è orribile; e si deve già avere colmato l’animo di varie idee se si deve essere di- 246 sposti da una tale intuizione a un sentimento che è esso stesso sublime, dal momento che l’animo viene stimolato ad abbandonare la sensibilità e a occuparsi di idee che contengono una superiore conformità al fine. La bellezza autonoma della natura ci svela una tecnica della natura che la rende rappresentabile come un sistema strutturato secondo leggi il cui principio non troviamo in tutta la nostra facoltà intellettiva, cioè quello di una conformità al fine che si riferisce all’uso della forza di giudizio riguardo ai fenomeni, in modo che questi devono essere valutati non solo in quanto appartenenti alla natura nel suo meccanismo privo di un fine, ma anche all’analogia con l’arte. Una tale conformità al fine estende dunque certamente non la nostra conoscenza degli oggetti della natura, ma di sicuro il nostro concetto della natura, cioè come semplice meccanismo, al concetto della natura in quanto arte: il che invita a profonde ricerche sulla possibilità di una tale forma. Ma in ciò che nella natura abbiamo l’abitu- 78 dine di chiamare sublime non c’è proprio nulla che conduca a principi oggettivi particolari e a forme della natura conformi a tali principi, tanto che piuttosto la natura suscita maggiormente le idee del sublime nel suo caos o nel suo disordine e nella devastazione più selvaggi e sregolati, quando si può scorgere solo grandezza e potenza. E da ciò vediamo che il concetto del sublime della natura non è così importante e ricco di conseguenze quanto quello del bello della natura, e non indica assolutamente nulla di conforme al fine nella natura stessa, ma solamente nell’uso possibile delle sue intuizioni tale da poter sentire in noi stessi una conformità al fine del tutto indipendente dalla natura. Per il bello della natura è fuori di noi che dobbiamo cercare un fondamento, invece per il sublime è soltanto in noi e nel modo di pensare che introduce la sublimità nella rappresentazione della natura; c’è qui una osservazione

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Ideen des Erhabenen von der einer Zweckmäßigkeit der N a t u r ganz abtrennt, und aus der Theorie desselben einen bloßen Anhang zur ästhetischen Beurteilung der Zweckmäßigkeit der Natur macht, weil dadurch keine besondere Form in dieser vorgestellt, sondern nur ein zweckmäßiger Gebrauch, den die Einbildungskraft von ihrer Vorstellung macht, entwickelt wird. | || 79 247

§ 24 Von der Einteilung einer Untersuchung des Gefühls des Erhabenen

Was die Einteilung der Momente der ästhetischen Beurteilung der Gegenstände, in Beziehung auf das Gefühl des Erhabenen, betrifft, so wird die Analytik nach demselben Prinzip fortlaufen können, wie in der Zergliederung der Geschmacksurteile geschehen ist. Denn, als Urteil1 der ästhetischen reflektierenden Urteilskraft, muß das Wohlgefallen am Erhabenen eben sowohl, als am Schönen, der Q u a n t i t ä t nach allgemeingültig, der Q u a l i t ä t nach ohne Interesse sein, der2 R e l a t i o n nach subjektive Zweckmäßigkeit, und der M o d a l i t ä t nach die letztere als notwendig, vorstellig machen. Hierin wird also die Methode von der im vorigen Abschnitte nicht abweichen: man müßte denn das für etwas rechnen, daß wir dort, wo das ästhetische Urteil die Form des Objekts betraf, von der Untersuchung der Qualität anfingen, hier aber, bei der Formlosigkeit, welche dem, was wir erhaben nennen, zukommen kann, von der Quantität, als dem ersten Moment des ästhetischen Urteils über das Erhabene, anfangen werden: wozu aber der Grund aus dem vorhergehenden § zu ersehen ist. Aber eine Einteilung hat die Analysis des Erhabenen nötig, welche die des Schönen nicht bedarf, nämlich die in das m a t h e m a t i s c h - und in das d y n a m i s c h - E r h a b e n e . | 80 Denn da das Gefühl des Erhabenen eine mit der Beurteilung des Gegenstandes verbundene B e w e g u n g des Gemüts, als seinen Charakter bei sich führt, anstatt daß der Geschmack am Schönen das Gemüt in r u h i g e r Kontemplation voraussetzt und erhält; diese Bewegung aber als subjektiv zweckmäßig beurteilt werden soll (weil das Erhabene gefällt): so wird sie durch die Einbildungskraft entweder auf das E r k e n n t n i s -

I,II. ANALITICA DEL SUBLIME, § 24

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preliminare davvero necessaria che separa totalmente le idee del sublime da quella di una conformità della na t ura al fine e che fa della teoria del sublime una semplice appendice alla valutazione estetica della conformità della natura al fine, poiché, con questo, non è rappresentata alcuna forma particolare nella natura, ma viene sviluppato soltanto un uso conforme al fine che la forza di immaginazione fa della sua rappresentazione.

§ 24 DELLA DIVISIONE DI UNA RICERCA SUL SENTIMENTO DEL SUBLIME

79 247

Per quel che riguarda la divisione dei momenti della valutazione estetica degli oggetti in riferimento al sentimento del sublime, l’analitica potrà procedere secondo il medesimo principio, come è accaduto nell’analisi dei giudizi di gusto. Infatti, in quanto giudizio della forza estetica riflettente di giudizio, il compiacimento per il sublime, proprio come quello per il bello, deve essere universalmente valido secondo la q u a n t i t à , senza interesse secondo la q u a l i t à ; deve far rappresentare una conformità soggettiva al fine secondo la r e l a z i o n e e tale conformità al fine come necessaria secondo la m o d a l i t à . Così qui il metodo non si discosterà da quello che era stato utilizzato nella sezione precedente47; ma si dovrebbe tener conto del fatto che lì, dove il giudizio estetico riguardava la forma dell’oggetto, noi partivamo dalla ricerca sulla qualità mentre ora, per l’assenza di forma che può caratterizzare ciò che noi chiamiamo sublime, noi partiremo dalla quantità, come primo momento del giudizio estetico sul sublime: il motivo di ciò si può ricavare dal paragrafo precedente. L’analisi del sublime necessita però di una divisione della quale quella del bello non aveva bisogno, cioè la divisione in sublime matematico e sublime dinamico. Il sentimento del sublime comporta infatti come carattere 80 proprio un m o t o dell’animo collegato con la valutazione dell’oggetto, mentre il gusto per il bello presuppone e mantiene l’animo in c a l m a contemplazione; siccome però questo movimento deve essere valutato come soggettivamente conforme al fine (perché il sublime piace), allora tale movimento sarà riferito dalla forza di immaginazione o alla f a c o l t à d i

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

oder auf das B e g e h r u n g s v e r m ö g e n bezogen; in beiderlei Beziehung aber die Zweckmäßigkeit der gegebenen Vorstellung nur in Ansehung dieser Ve r m ö g e n (ohne Zweck oder Interesse) beurteilt werden: da dann die erste, als eine m a t h e m a t i s c h e , die zweite als d y n a m i s c h e Stimmung der Einbildungskraft dem Objekte beigelegt, und daher dieses auf gedachte zwiefache Art als erhaben vorgestellt wird. || 248

A. Vom Mathematisch-Erhabenen § 25 Namenerklärung des Erhabenen

E r h a b e n nennen wir das, was s c h l e c h t h i n g r o ß ist. Groß-sein aber, und eine Größe sein, sind ganz verschiedene Begriffe (magnitudo und quantitas). Imgleichen s c h l e c h t w e g (simpliciter) s a g e n , daß etwas groß sei, ist auch ganz was 81 anderes als zu sagen1, | daß es s c h l e c h t h i n g r o ß (absolute non comparative magnum) sei. Das letztere ist das, w a s ü b e r a l l e Ve r g l e i c h u n g g r o ß i s t . — Was will nun aber der Ausdruck, daß etwas groß, oder klein, oder mittelmäßig sei, sagen? Ein reiner Verstandesbegriff ist es2 nicht, was dadurch bezeichnet wird3; noch weniger eine Sinnenanschauung; und eben so wenig ein Vernunftbegriff, weil er4 gar kein Prinzip der Erkenntnis bei sich führt. Es5 muß also ein Begriff der Urteilskraft sein, oder von einem solchen abstammen, und eine subjektive Zweckmäßigkeit der Vorstellung in Beziehung auf die Urteilskraft zum Grunde legen. Daß etwas eine Größe (quantum) sei, läßt sich aus dem Dinge selbst, ohne alle Vergleichung mit andern, erkennen; wenn nämlich Vielheit des Gleichartigen zusammen Eines ausmacht. W i e g r o ß es aber sei, erfordert jederzeit etwas anderes, welches6 auch Größe ist, zu seinem Maße. Weil7 es aber in der Beurteilung der Größe nicht bloß auf die Vielheit (Zahl), sondern auch auf die Größe der Einheit (des Maßes) ankommt, und die Größe dieser letztern immer8 wiederum etwas anderes als Maß bedarf, womit sie9

I,II. ANALITICA DEL SUBLIME, A § 25

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c o n o s c e r e o alla facoltà di desiderare; ma in entrambi i riferimenti la conformità della rappresentazione data al fine deve essere valutata soltanto riguardo a queste f acoltà (senza un fine o un interesse): e allora la prima disposizione della forza di immaginazione viene attribuita all’oggetto come una disposizione matematica e la seconda come una disposizione dinamica, e perciò l’oggetto è rappresentato come sublime secondo questo duplice modo di pensare.

A. DEL SUBLIME MATEMATICO

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§ 25 DEFINIZIONE NOMINALE DEL SUBLIME Chiamiamo s u b l i m e c i ò c h e è a s s o l u t a m e n t e g r a n d e . Ma essere grande ed essere una grandezza sono concetti del tutto diversi (magnitudo e quantitas). Allo stesso modo d i r e s e m p l i c e m e n t e (simpliciter) che qualcosa è grande è anche una cosa del tutto diversa dal dire che è a s s o - 81 l u t a m e n t e g r a n d e (absolute, non comparative magnum). Quest’ultimo è c i ò c h e è g r a n d e o l t r e o g n i c o m p a r a z i o n e . — Ma ora, che cosa significa l’espressione che qualcosa è grande o piccolo o medio? Non è un concetto puro dell’intelletto che è così designato, ancor meno un’intuizione dei sensi, e altrettanto poco un concetto della ragione, perché quella espressione non implica alcun principio della conoscenza. Perciò deve essere un concetto della forza di giudizio, o derivare da un suo concetto e deve porre a fondamento una conformità soggettiva della rappresentazione al fine in riferimento alla forza di giudizio. Che qualcosa sia una grandezza (quantum), lo si può conoscere dalla cosa stessa senza alcuna comparazione con altre cose: infatti lo è quando la pluralità dell’omogeneo costituisce insieme una unità. Invece sapere q u a n t o una cosa sia g r a n d e richiede sempre qualcosa d’altro, che è pure una grandezza, come misura. Ma poiché nella valutazione della grandezza non si tratta semplicemente della pluralità (numero), ma anche della grandezza dell’unità (della misura) e la grandezza di quest’ultima richiede sempre di nuovo come misura qualcosa d’altro, con

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

verglichen werden könne: so sehen wir: daß alle Größenbestimmung der Erscheinungen schlechterdings keinen absoluten Begriff von einer Größe, sondern allemal nur einen Vergleichungsbegriff liefern könne. Wenn ich nun schlechtweg sage, daß etwas groß sei, so 82 scheint es, daß ich gar keine Vergleichung im Sinne | habe, wenigstens mit keinem objektiven Maße, weil dadurch gar nicht bestimmt wird, wie groß der Gegenstand sei. Ob aber gleich der Maßstab der Vergleichung bloß subjektiv ist, so macht das Urteil nichts desto weniger auf allgemeine Beistimmung10 Anspruch; die Urteile: der Mann ist schön und er ist groß, schränken sich nicht bloß auf das urteilende Subjekt ein, sondern verlangen, gleich theoretischen Urteilen, jedermanns Beistimmung. || 249 Weil aber in einem Urteile, wodurch11 etwas schlechtweg als groß bezeichnet wird, nicht bloß gesagt werden will, daß der Gegenstand eine Größe habe, sondern diese ihm zugleich vorzugsweise vor vielen andern gleicher Art beigelegt wird, ohne doch diesen Vorzug bestimmt anzugeben: so wird demselben allerdings ein Maßstab zum Grunde gelegt, den man für jedermann, als eben denselben, annehmen zu können voraussetzt, der aber zu keiner logischen (mathematisch-bestimmten), sondern nur ästhetischen Beurteilung der Größe brauchbar ist, weil er ein bloß subjektiv dem über Größe reflektierenden Urteile zum12 Grunde liegender Maßstab ist. Er mag übrigens empirisch13 sein, wie etwa die mittlere Größe der uns bekannten Menschen, Tiere von gewisser Art, Bäume, Häuser, Berge, u. d. gl.; oder ein a priori gegebener Maßstab, der durch die Mängel des beurteilenden14 Subjekts auf subjektive Bedingungen der Darstellung in concreto eingeschränkt ist, als im Praktischen: die Größe einer gewissen Tugend, oder der öffentlichen Frei83 heit und | Gerechtigkeit in einem Lande; oder im Theoretischen: die Größe der Richtigkeit oder Unrichtigkeit einer gemachten Observation oder Messung u. d. gl. Hier ist nun merkwürdig: daß, wenn wir gleich am Objekte gar kein Interesse haben, d. i. die Existenz desselben uns gleichgültig ist, doch die bloße Größe desselben, selbst wenn es als formlos betrachtet wird, ein Wohlgefallen bei sich führen könne, das allgemein mitteilbar ist, mithin Bewußtsein einer subjek-

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il quale essa possa essere confrontata, vediamo che ogni determinazione di grandezza dei fenomeni non può affatto fornire alcun concetto assoluto di una grandezza, ma sempre solo un concetto comparativo. Ora, se dico semplicemente che qualcosa è grande, sembra che io non abbia in mente alcuna comparazione, almeno 82 non con una misura oggettiva, poiché in tal modo non viene affatto determinato quanto grande sia l’oggetto. Ma benché il criterio della comparazione sia solo soggettivo, non per questo il giudizio fa a meno di pretendere un consenso universale; i giudizi: «quest’uomo è bello» ed «è grande» non restano circoscritti semplicemente al soggetto che giudica, ma esigono, come i giudizi teoretici, il consenso di ciascuno. Ma poiché in un giudizio con cui qualcosa è designato 249 semplicemente come grande non soltanto si intende dire che l’oggetto ha una grandezza, bensì nello stesso tempo gliela si attribuisce in modo preminente rispetto a molti altri oggetti della stessa specie, pur senza indicare in maniera determinata questa preminenza, ecco allora che a fondamento di questo giudizio viene comunque posta un’unità di misura che si presuppone di poter assumere come la medesima per ciascuno, e che però non è utilizzabile per alcuna valutazione logica (determinata matematicamente), ma solo per la valutazione estetica della grandezza, poiché è un’unità di misura che sta in modo semplicemente soggettivo a fondamento del giudizio riflettente sulla grandezza. Inoltre può essere un’unità di misura empirica, come per esempio la grandezza media degli uomini che conosciamo, degli animali di una certa specie, alberi, case, montagne ecc.; oppure può essere un’unità di misura data a priori che, per le carenze del soggetto che giudica, è circoscritta alle condizioni soggettive della esibizione in concreto, come in ambito pratico la grandezza di una certa virtù o della libertà e della giustizia pubbliche in un paese, oppure in ambi- 83 to teoretico per la grandezza dell’esattezza o inesattezza di una osservazione o di una misurazione effettuata ecc. Ora, qui è degno di nota che, benché non abbiamo alcun interesse per l’oggetto, cioè la sua esistenza ci è indifferente, la semplice grandezza dell’oggetto, anche se considerato privo di forma, possa tuttavia comportare un compiacimento che è universalmente comunicabile e che di conseguenza con-

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tiven Zweckmäßigkeit im Gebrauche unsrer Erkenntnisvermögen enthalte15; aber nicht etwa ein Wohlgefallen am Objekte, wie beim Schönen (weil es formlos sein kann), wo die reflektierende Urteilskraft sich in Beziehung auf das Erkenntnis überhaupt zweckmäßig gestimmt findet: sondern an der Erweiterung der Einbildungskraft an sich selbst. Wenn wir (unter der obgenannten Einschränkung) von einem Gegenstande schlechtweg sagen, er sei groß: so ist dies kein mathematisch-bestimmendes, sondern ein bloßes Reflexionsurteil über die Vorstellung desselben, die für einen gewissen Gebrauch unserer Erkenntniskräfte in der Größenschätzung subjektiv zweckmäßig ist; und wir verbinden alsdenn mit der Vorstellung jederzeit eine Art von Achtung, so wie mit dem, was wir schlechtweg klein nennen, eine Verachtung. Übrigens geht die Beurteilung der Dinge als groß oder klein auf alles, selbst auf alle Beschaffenheiten derselben; daher wir selbst die Schön84 heit groß oder klein nennen: wovon der Grund darin zu su|| | 250 chen ist, daß, was wir nach Vorschrift der Urteilskraft in der Anschauung nur immer darstellen (mithin ästhetisch vorstellen) mögen, insgesamt Erscheinung, mithin auch ein Quantum ist. Wenn wir aber etwas nicht allein groß, sondern schlechthin-, absolut-, in aller Absicht- (über alle Vergleichung) groß, d. i. erhaben, nennen, so sieht man bald ein: daß wir für dasselbe keinen ihm angemessenen Maßstab außer ihm, sondern bloß in ihm zu suchen verstatten. Es ist eine Größe, die bloß sich selber gleich ist. Daß das Erhabene also nicht in den Dingen der Natur, sondern allein in unsern Ideen zu suchen sei, folgt hieraus; in welchen es aber liege, muß für die Deduktion aufbehalten werden. Die obige Erklärung kann auch so ausgedrückt werden: E r h a b e n i s t d a s , m i t w e l c h e m i n Ve r g l e i c h u n g a l l e s a n d e r e k l e i n i s t . Hier sieht man leicht: daß nichts in der Natur gegeben werden könne, so groß als es auch von uns beurteilt werde16, was nicht in einem andern Verhältnisse betrachtet bis zum Unendlichkleinen abgewürdigt werden könnte; und umgekehrt, nichts so klein, was sich nicht in Vergleichung mit noch kleinern Maßstäben für unsere Einbildungskraft bis zu einer Weltgröße erweitern ließe. Die Teleskope17 haben uns

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tiene la coscienza di una conformità soggettiva al fine nell’uso delle nostre facoltà conoscitive; ma non è un compiacimento per l’oggetto come nel bello (perché può essere privo di forma), in cui la forza riflettente di giudizio si trova, in riferimento alla conoscenza in generale, disposta in maniera conforme al fine, trattandosi piuttosto di un compiacimento per l’estensione della forza di immaginazione in se stessa. Quando noi (con la limitazione ricordata in precedenza) diciamo di un oggetto semplicemente che è grande, questo non è un giudizio determinante matematico, ma è un semplice giudizio di riflessione sulla sua rappresentazione, la quale è soggettivamente conforme al fine, per un certo uso delle nostre forze conoscitive nella stima di grandezza; e allora noi colleghiamo sempre alla rappresentazione una specie di rispetto così come un disprezzo per ciò che chiamiamo senz’altro piccolo. Del resto la valutazione delle cose come grandi o piccole si estende a tutto, anche a tutte le loro proprietà; perciò noi diciamo grande o piccola la stessa bellezza: il motivo di questo 250 si deve cercare nel fatto che qualunque cosa possiamo esibire 84 nell’intuizione e quindi rappresentare esteticamente secondo la prescrizione della forza di giudizio è complessivamente un fenomeno e di conseguenza è anche un quantum. Ma quando chiamiamo una cosa non solo grande, bensì grande senz’altro, assolutamente, da tutti i punti di vista (oltre ogni comparazione), cioè sublime, si vede subito che non permettiamo che per quella cosa venga ricercato un criterio che le sia adeguato all’esterno, ma solo in essa. È una grandezza che è uguale solo a se stessa. Ne deriva che il sublime non va dunque cercato nelle cose della natura, ma solo nelle nostre idee; ma in quali idee esso risieda è una questione che deve essere riservata per la deduzione. La definizione precedente può anche essere espressa così: sublime è ciò al cui confronto tutto il resto è p i c c o l o . Qui si vede facilmente che nella natura non può esserci nulla che, per quanto grande venga da noi valutato, non possa, considerato in un altro rapporto, essere ridotto all’infinitamente piccolo; e inversamente non c’è nulla di così piccolo che, in confronto con altre unità di misura ancora più piccole, non possa essere esteso per la nostra forza di immaginazione fino a diventare una grandezza cosmica. I tele-

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die erstere, die Mikroskope18 die letztere Bemerkung zu machen reichlichen Stoff an die Hand gegeben. Nichts also, was 85 Gegenstand der Sinnen sein kann, | ist, auf diesen Fuß betrachtet, erhaben zu nennen. Aber eben darum, daß in unserer Einbildungskraft ein Bestreben zum Fortschritte ins Unendliche, in unserer Vernunft aber ein Anspruch auf absolute Totalität, als auf eine reelle Idee19 liegt: ist selbst jene Unangemessenheit unseres Vermögens der Größenschätzung der Dinge der Sinnenwelt für diese Idee die Erweckung des Gefühls eines übersinnlichen Vermögens in uns; und der Gebrauch, den die Urteilskraft von gewissen Gegenständen zum Behuf des letzteren (Gefühls) natürlicher Weise macht, nicht aber20 der Gegenstand der Sinne, ist schlechthin groß, gegen ihn aber jeder andere Gebrauch klein. Mithin ist die Geistesstimmung durch eine gewisse die reflektierende Urteilskraft beschäftigende Vorstellung, nicht aber das Objekt erhaben zu nennen21. Wir können also zu den vorigen Formeln der Erklärung des Erhabenen noch diese hinzutun: E r h a b e n i s t , w a s a u c h n u r d e n k e n z u k ö n n e n e i n Ve r m ö g e n d e s G e müts beweiset, das jeden Maßstab der Sinne ü b e r t r i f f t . || 251

§ 26 Von der Grössenschätzung der Naturdinge, die zur Idee des Erhabenen erforderlich ist

Die Größenschätzung durch Zahlbegriffe (oder deren Zeichen in der Algebra) ist mathematisch, die aber in der bloßen 86 Anschauung (nach dem Augenmaße) ist ästhe|tisch. Nun können wir zwar bestimmte Begriffe davon, w i e g r o ß etwas sei, nur durch Zahlen1 (allenfalls Annäherungen durch ins Unendliche fortgehende Zahlreihen) bekommen, deren Einheit das Maß ist; und sofern ist alle logische Größenschätzung mathematisch. Allein da die Größe des Maßes doch als bekannt angenommen werden muß, so würden, wenn diese nun wiederum nur durch Zahlen, deren Einheit ein anderes Maß sein müßte, mithin mathematisch geschätzt werden sollte, wir niemals ein

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scopi ci hanno dato un ricco materiale per fare la prima osservazione e i microscopi per fare la seconda. Quindi, considerato con questo metro, niente che può essere oggetto dei 85 sensi va chiamato sublime. Ma proprio perché nella nostra forza di immaginazione c’è un’aspirazione a progredire all’infinito, mentre c’è nella nostra ragione una pretesa alla totalità assoluta come a una idea reale, ecco che quella stessa inadeguatezza, rispetto a tale idea, della nostra facoltà della stima di grandezza delle cose del mondo sensibile risveglia il sentimento di una facoltà soprasensibile in noi; ed è l’uso che la forza di giudizio fa in modo naturale di certi oggetti in funzione di quest’ultimo (il sentimento), e non l’oggetto dei sensi, che è assolutamente grande, come ogni altro uso è al confronto piccolo. Di conseguenza a doversi chiamare sublime è la disposizione dello spirito prodotta da una certa rappresentazione che impegna la forza riflettente di giudizio, e non l’oggetto. Possiamo così aggiungere alle precedenti formule della definizione del sublime anche questa: s u b l i m e è c i ò c h e , anche solo a poterlo pensare, dimostra una facoltà dell’animo che oltrepassa ogni unità di misura dei sensi.

§ 26 DELLA STIMA DI GRANDEZZA DELLE COSE DELLA NATURA CHE È RICHIESTA PER L’IDEA DEL SUBLIME

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La stima di grandezza mediante concetti numerici (o dei loro segni nell’algebra) è matematica, quella invece nella semplice intuizione (secondo una misura a occhio) è estetica. 86 Ora, di q u a n t o qualcosa sia g r a n d e possiamo certo ottenerne concetti determinati soltanto mediante numeri (in ogni caso per approssimazioni mediante serie numeriche che vanno all’infinito), la cui unità è la misura; e in tal senso ogni stima logica di grandezza è matematica. Ma siccome la grandezza della misura deve pur essere assunta come nota, se questa dovesse essere stimata a sua volta solo mediante numeri, quindi matematicamente, la cui unità dovrebbe essere un’altra misura, noi allora non potremmo mai avere una misura

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erstes oder Grundmaß, mithin auch keinen bestimmten Begriff von einer gegebenen Größe haben können. Also muß die Schätzung der Größe des Grundmaßes bloß darin bestehen, daß man sie in einer Anschauung unmittelbar fassen und durch Einbildungskraft zur Darstellung der Zahlbegriffe brauchen kann: d. i. alle Größenschätzung der Gegenstände der Natur ist zuletzt ästhetisch (d. i. subjektiv und nicht objektiv bestimmt). Nun gibt es zwar für die mathematische Größenschätzung kein Größtes (denn die Macht der Zahlen geht ins Unendliche); aber für die ästhetische Größenschätzung gibt es allerdings ein Größtes; und von diesem sage ich: daß, wenn es als absolutes Maß, über das kein größeres subjektiv (dem beurteilenden Subjekt) möglich sei, beurteilt wird, es die Idee des Erhabenen bei sich führe, und diejenige Rührung, welche keine mathemati87 sche Schätzung der Größen durch Zahlen (es sei denn, | so weit jenes ästhetische Grundmaß dabei in der Einbildungskraft lebendig erhalten wird) bewirken kann, hervorbringe: weil die letztere immer nur die relative Größe durch Vergleichung mit andern gleicher Art, die erstere aber die Größe schlechthin, so weit das Gemüt sie in einer Anschauung fassen kann, darstellt. Anschaulich ein Quantum in die Einbildungskraft aufzunehmen, um es zum Maße, oder, als Einheit, zur Größenschätzung durch Zahlen brauchen zu können, dazu gehören zwei Handlungen dieses Vermögens: A u f f a s s u n g (apprehensio) und Z u s a m m e n f a s s u n g (comprehensio aesthetica). Mit der 252 Auffassung hat es keine Not: denn damit kann es ins || Unendliche gehen; aber die Zusammenfassung wird immer schwerer, je weiter die Auffassung fortrückt, und gelangt bald zu ihrem Maximum, nämlich dem ästhetisch-größten Grundmaße der Größenschätzung. Denn, wenn die Auffassung so weit gelanget ist, daß die zuerst aufgefaßten Teilvorstellungen der Sinnenanschauung in der Einbildungskraft schon zu erlöschen anheben, indes daß diese zu Auffassung mehrerer fortrückt: so verliert sie auf einer Seite eben so viel, als sie auf der andern gewinnt, und in der Zusammenfassung ist ein Größtes, über welches sie nicht hinauskommen kann. Daraus läßt sich erklären, was S a v a r y in seinen Nachrichten von Ägypten anmerkt: daß man den Pyramiden nicht sehr

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prima o di base e neppure, di conseguenza, alcun concetto determinato di una grandezza data. Così la stima di grandezza della misura di base deve consistere semplicemente nel fatto che la si può cogliere immediatamente in una intuizione e usare mediante la forza di immaginazione per la esibizione dei concetti numerici: in altri termini ogni stima di grandezza degli oggetti della natura è in definitiva estetica (cioè determinata soggettivamente e non oggettivamente). Ora, per la stima matematica di grandezza non c’è un massimo (perché la potenza dei numeri va all’infinito); ma per la stima estetica di grandezza c’è sicuramente un massimo e di questo io dico che, se viene valutato come misura assoluta al di là della quale non è possibile soggettivamente (per il soggetto che valuta) una misura maggiore, esso comporta l’idea del sublime e produce quell’emozione che nessuna stima matematica di grandezza mediante numeri può provocare (salvo nel caso in cui e finché quella misura estetica di base 87 sia mantenuta viva nella forza di immaginazione): infatti l’ultima stima esibisce sempre soltanto la grandezza relativa mediante il confronto con altre della stessa specie, mentre la prima esibisce la grandezza in assoluto, per quanto l’animo può coglierla in una intuizione. Per registrare intuitivamente un quantum nella forza di immaginazione, per poterlo usare come misura o come unità per la stima di grandezza mediante numeri, si richiedono due operazioni di questa facoltà: a p p r e n s i o n e (apprehensio) e c o m p r e n s i o n e (comprehensio aesthetica). Per l’apprensione non ci sono difficoltà: perché con essa si può andare 252 all’infinito; ma la comprensione diviene sempre più difficile quanto più avanza l’apprensione e giunge ben presto al suo massimo, cioè alla misura di base, esteticamente massima, della stima di grandezza. Infatti quando l’apprensione è giunta fino al punto in cui le rappresentazioni parziali dell’intuizione sensibile, apprese per prime, cominciano già a svanire nella forza di immaginazione, mentre questa procede nell’apprensione di ulteriori rappresentazioni, allora essa perde da una parte tanto quanto guadagna dall’altra e la comprensione raggiunge un massimo oltre il quale essa non può andare. Così si può spiegare ciò che S a v a r y nota nei suoi resoconti dall’Egitto48: che non ci si debba avvicinare molto alle

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| weit davon entfernt sein müsse, um die ganze Rührung von ihrer Größe zu bekommen. Denn ist das letztere, so sind die Teile, die aufgefaßt werden (die Steine derselben übereinander), nur dunkel vorgestellt, und ihre Vorstellung tut keine Wirkung auf das ästhetische Urteil des Subjekts. Ist aber das erstere, so bedarf das Auge einige Zeit, um die Auffassung von der Grundfläche bis zur Spitze zu vollenden; in dieser aber erlöschen immer zum Teil die ersteren, ehe die Einbildungskraft die letzteren aufgenommen hat, und die Zusammenfassung ist nie vollständig. — Eben dasselbe kann auch hinreichen, die Bestürzung, oder Art von Verlegenheit, die, wie man erzählt, den Zuschauer in der St. Peterskirche in Rom beim ersten Eintritt anwandelt, zu erklären. Denn es ist hier ein Gefühl der Unangemessenheit seiner Einbildungskraft für die Idee2 eines Ganzen, um sie darzustellen, worin die Einbildungskraft ihr Maximum erreicht, und, bei der Bestrebung, es zu erweitern, in sich selbst zurück sinkt, dadurch aber in ein rührendes Wohlgefallen versetzt wird. Ich will jetzt noch nichts von dem Grunde dieses Wohlgefallens anführen, welches mit einer Vorstellung, wovon3 man es am wenigsten erwarten sollte, die nämlich uns die Unangemessenheit, folglich auch subjektive Unzweckmäßigkeit der Vorstellung für die Urteilskraft in der Größenschätzung merken läßt, verbunden ist; sondern bemerke nur, daß, wenn das ästhetische 89 Urteil | r e i n ( m i t k e i n e m t e l e o l o g i s c h e n als Vernunfturteile v e r m i s c h t ) und4 daran ein der Kritik der ä s t h e t i s c h e n Urteilskraft völlig anpassendes Beispiel gegeben werden soll, man nicht das Erhabene an Kunstprodukten (z. B. Gebäuden, Säulen u.s.w.), wo ein menschlicher Zweck die Form sowohl als die Größe bestimmt, noch an Naturdingen, deren Begriff schon einen bestimmten Zweck 253 b e i s i c h || f ü h r t (z. B. Tieren von bekannter Naturbestimmung), sondern an der rohen Natur (und an dieser sogar nur, sofern sie für sich keinen Reiz, oder Rührung aus wirklicher Gefahr, bei sich führt), bloß sofern sie Größe enthält, aufzeigen müsse. Denn in dieser Art der Vorstellung enthält die Natur nichts, was ungeheuer (noch was prächtig oder gräßlich) wäre; die Größe, die aufgefaßt wird, mag so weit angewachsen sein als man will, wenn sie nur durch Einbildungskraft in ein Ganzes 88 nahe kommen, eben so wenig als zu

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piramidi e nemmeno si debba restarne troppo lontani per 88 provare tutta l’emozione della loro grandezza. Infatti, nel secondo caso, le parti che sono apprese (le loro pietre sovrapposte) sono rappresentate solo oscuramente e la loro rappresentazione non produce alcun effetto sul giudizio estetico del soggetto. Ma, nel primo caso, l’occhio ha invece bisogno di un certo tempo per completare l’apprensione dalla base fino al vertice; intanto però svaniscono sempre in parte i primi dati, prima che la forza di immaginazione abbia registrato gli ultimi, e la comprensione non è mai completa. — La stessa cosa può anche bastare per spiegare lo sgomento o quella specie di imbarazzo che, come si racconta, coglie lo spettatore quando entra per la prima volta nella chiesa di San Pietro a Roma. Infatti vi è qui un sentimento dell’inadeguatezza della sua forza di immaginazione riguardo all’idea di un tutto in cui la forza di immaginazione, per esibire tale idea, raggiunge il suo massimo e, sforzandosi di estenderlo, ricade in se stessa, anche se in tal modo si ritrova in un compiacimento emozionante. Per il momento non voglio dire ancora nulla del fondamento di questo compiacimento che è collegato con una rappresentazione da cui meno che mai si dovrebbe aspettarselo, cioè quella che ci faccia notare nella stima di grandezza l’inadeguatezza, di conseguenza anche la non conformità soggettiva della rappresentazione al fine per la forza di giudizio; osservo però soltanto che, se il giudizio estetico deve essere dato come p u r o (non m i s c h i a t o a d a l c u n g i u d i z i o 89 t e l e o l o g i c o come giudizio della ragione) e deve così dare un esempio del tutto adatto alla critica della forza e s t e t i c a di giudizio, non dovrebbe mostrare il sublime in prodotti dell’arte (per esempio edifici, colonne ecc.), in cui un fine umano determina sia la forma sia la grandezza, né in cose della natura, i l c u i c o n c e t t o c o m p o r t i g i à u n f i n e d e t e r m i n a t o (per esempio animali di cui è nota la destina- 253 zione naturale), bensì nella natura bruta (e anzi in quest’ultima solo in quanto essa non comporta di per sé alcuna attrattiva, né emozione derivata da un pericolo reale), semplicemente in quanto contiene una grandezza. Infatti in questa specie di rappresentazione la natura non contiene niente che sia mostruoso (né che sia magnifico o orribile); la grandezza che è appresa può essere accresciuta quanto si vuole, purché possa

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zusammengefaßt werden kann. U n g e h e u e r ist ein Gegenstand, wenn er durch seine Größe den Zweck, der den Begriff desselben ausmacht, vernichtet. K o l o s s a l i s c h aber wird die bloße Darstellung eines Begriffs genannt, der5 für alle Darstellung beinahe zu groß ist (an das relativ Ungeheure grenzt); weil der Zweck der Darstellung eines Begriffs dadurch, daß die Anschauung des Gegenstandes für unser Auffassungsvermögen beinahe zu groß ist, erschwert wird. — Ein reines Urteil über das Erhabene aber muß gar keinen Zweck des Objekts zum 90 Be|stimmungsgrunde haben, wenn es ästhetisch und nicht mit irgend einem Verstandes- oder Vernunfturteile vermengt sein soll. * * * Weil alles, was der bloß reflektierenden Urteilskraft ohne Interesse gefallen soll, in seiner Vorstellung subjektive, und, als solche, allgemein-gültige Zweckmäßigkeit bei sich führen muß, gleichwohl aber hier keine Zweckmäßigkeit der F o r m des Gegenstandes (wie beim Schönen) der Beurteilung zum Grunde liegt: so fragt sich: welches ist diese6 subjektive Zweckmäßigkeit? und wodurch wird sie als Norm vorgeschrieben, um in der bloßen Größenschätzung, und zwar der, welche gar bis zur Unangemessenheit unseres Vermögens der Einbildungskraft in Darstellung des Begriffs von einer Größe getrieben worden, einen Grund zum allgemeingültigen Wohlgefallen abzugeben? Die Einbildungskraft schreitet in der Zusammensetzung7, die zur Größenvorstellung erforderlich ist, von selbst, ohne daß ihr etwas hinderlich wäre, ins Unendliche fort; der Verstand aber leitet sie durch Zahlbegriffe, wozu jene das Schema hergeben muß: und in diesem Verfahren, als zur logischen Größenschätzung gehörig, ist zwar etwas objektiv Zweckmäßiges, nach8 dem Begriffe von einem Zwecke (dergleichen jede Ausmessung ist), aber nichts für die ästhetische Urteilskraft Zweckmäßiges 91 und Gefallendes. Es ist auch in dieser absicht|lichen Zweckmä254 ßigkeit nichts, was || die Größe des Maßes, mithin der Z u s a m m e n f a s s u n g des Vielen in eine Anschauung, bis zur Grenze des Vermögens der Einbildungskraft, und so weit, wie diese in Darstellungen nur immer reichen mag, zu treiben nötigte. Denn in der Verstandesschätzung der Größen (der Arithmetik)

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essere compresa in un tutto mediante la forza di immaginazione. M o s t r u o s o è un oggetto se, per la sua grandezza, annienta il fine che ne costituisce il concetto. C o l o s s a l e è invece chiamata la semplice esibizione di un concetto che è quasi troppo grande per ogni esibizione (confina con ciò che è relativamente mostruoso); infatti il fine della esibizione di un concetto è reso più difficile per il fatto che l’intuizione dell’oggetto è quasi troppo grande per la nostra facoltà di apprensione. — Ma un puro giudizio sul sublime non deve avere come principio di determinazione alcun fine dell’ogget- 90 to, se deve essere estetico e non essere confuso con un qualsiasi giudizio dell’intelletto o della ragione. * * * Poiché tutto ciò che deve piacere senza interesse alla forza di giudizio semplicemente riflettente deve comportare nella sua rappresentazione una conformità soggettiva al fine e in quanto tale valida universalmente, e poiché qui a fondamento della valutazione non c’è alcuna conformità della f o r m a dell’oggetto al fine (come nel bello), ci si chiede: qual è questa conformità soggettiva al fine? In che modo viene prescritta come norma per dare un fondamento al compiacimento valido universalmente nella semplice stima di grandezza, e precisamente in quella che è spinta fino all’inadeguatezza della nostra facoltà della forza di immaginazione nell’esibizione del concetto di una grandezza? La forza di immaginazione procede da sé fino all’infinito nella composizione che è richiesta per la rappresentazione di grandezza senza che niente le sia di ostacolo, ma l’intelletto la guida mediante concetti numerici ai quali essa deve fornire lo schema: e in questo procedimento, appartenente alla stima logica di grandezza, c’è sì qualcosa di oggettivamente conforme al fine secondo il concetto di un fine (e tale è ogni misurazione), ma niente di conforme al fine e piacevole per la forza estetica di giudizio. Non c’è neppure nulla, in questa conformità 91 intenzionale al fine, che costringa a spingere la grandezza della 254 misura, e dunque della c o m p r e n s i o n e dei molti in un’intuizione, fino al limite della facoltà della forza di immaginazione e fino al punto dove essa può mai arrivare nelle sue esibizioni. Infatti, nella stima intellettuale delle grandezze (quella del-

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kommt man eben so weit, ob man die Zusammenfassung der Einheiten bis zur Zahl 10 (in der Dekadik), oder nur bis 4 (in der Tetraktik) treibt, die weitere Größenerzeugung aber im Zusammensetzen9, oder, wenn das Quantum in der Anschauung gegeben ist, im Auffassen, bloß progressiv (nicht komprehensiv) nach einem angenommenen Progressionsprinzip verrichtet. Der Verstand wird in dieser mathematischen Größenschätzung eben so gut bedient und befriedigt, ob die10 Einbildungskraft zur Einheit eine Größe, die man in einem Blick fassen kann, z. B. einen Fuß oder Rute, oder ob sie eine deutsche Meile, oder gar einen Erddurchmesser, deren Auffassung zwar, aber nicht die Zusammenfassung in eine Anschauung der Einbildungskraft (nicht durch die comprehensio aesthetica, obzwar gar wohl durch comprehensio logica in einen Zahlbegriff) möglich ist, wähle. In beiden Fällen geht die logische Größenschätzung ungehindert ins Unendliche. Nun aber hört das Gemüt in sich auf die Stimme der Vernunft, welche zu allen gegebenen Größen, selbst denen, die 92 zwar niemals ganz aufgefaßt werden können, | gleichwohl aber (in der sinnlichen Vorstellung) als ganz gegeben beurteilt werden, Totalität fordert, mithin Zusammenfassung in e i n e Anschauung, und für alle jene Glieder einer fortschreitend-wachsenden Zahlreihe D a r s t e l l u n g verlangt, und selbst das Unendliche (Raum und verflossene Zeit) von dieser Forderung nicht ausnimmt, vielmehr es unvermeidlich macht, sich dasselbe11 (in dem Urteile der gemeinen Vernunft) als g a n z (seiner Totalität nach) g e g e b e n zu denken. Das Unendliche aber ist schlechthin (nicht bloß komparativ) groß. Mit diesem verglichen ist alles andere (von derselben Art Größen) klein. Aber, was das Vornehmste ist, es als e i n G a n z e s auch nur denken zu können, zeigt ein Vermögen des Gemüts an, welches allen Maßstab der Sinne übertrifft. Denn dazu würde eine Zusammenfassung erfordert werden, welche einen Maßstab als Einheit lieferte, der zum Unendlichen ein bestimmtes, in Zahlen angebliches Verhältnis hätte: welches unmöglich ist. Das gegebene12 Unendliche aber dennoch ohne Widerspruch a u c h n u r d e n k e n z u k ö n n e n , dazu wird ein Vermögen, das selbst übersinnlich ist, im menschlichen Gemüte erfordert. 255 Denn nur durch dieses und || dessen Idee eines Noumenons,

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l’aritmetica) si va altrettanto lontano sia che si spinga la comprensione delle unità fino al numero 10 (nel sistema decimale), sia solo fino al 4 (in quello tetradico); ma l’ulteriore produzione di grandezze nella composizione o, se il quantum è dato nell’intuizione, nell’apprensione, viene effettuata in modo semplicemente progressivo (e non comprensivo), secondo un principio di progressione assunto49. L’intelletto, in questa stima matematica di grandezza, è altrettanto ben servito e soddisfatto sia che la forza di immaginazione scelga come unità una grandezza che si può cogliere a colpo d’occhio, per esempio un piede o una pertica, sia che essa scelga un miglio tedesco o addirittura un diametro terrestre la cui apprensione è certo possibile, ma non la comprensione in una intuizione della forza di immaginazione (non mediante la comprehensio aesthetica, sebbene lo sia certamente mediante la comprehensio logica in un concetto numerico). In entrambi i casi la stima logica di grandezza prosegue all’infinito senza incontrare ostacoli. Ma ecco che l’animo presta ascolto in se stesso alla voce della ragione, la quale, per tutte le grandezze date, anche per quelle che, pur non potendo mai essere interamente apprese, 92 possono tuttavia essere valutate come interamente date (nella rappresentazione sensibile), esige la totalità, di conseguenza la comprensione in u n a intuizione, e richiede una e s i b i z i o n e per tutti quei membri di una serie numerica progressivamente crescente, e non esclude da questa esigenza nemmeno l’infinito (spazio e tempo trascorso), anzi rende inevitabile pensarselo (nel giudizio della ragione comune) come d a t o i n t e r a m e n t e (secondo la sua totalità). L’infinito è però grande in senso assoluto (e non meramente comparativo). Al suo confronto ogni altra cosa (della stessa specie di grandezze) è piccola. Ma, ciò che conta principalmente, poterlo anche solo pensare come u n t u t t o , indica una facoltà dell’animo che oltrepassa ogni unità di misura dei sensi. Infatti a tale scopo sarebbe richiesta una comprensione che fornisse, quale unità, un’unità di misura che avesse con l’infinito un rapporto determinato, esprimibile in numeri: il che è impossibile. E tuttavia, per p o t e r a n c h e s o l o p e n s a r e senza contraddizione l’infinito dato, è richiesta una facoltà nell’animo umano che sia essa stessa soprasensibile. Infatti è unicamente mediante questa

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welches selbst keine Anschauung verstattet, aber doch der Weltanschauung, als bloßer Erscheinung, zum Substrat untergelegt wird, wird das Unendliche der Sinnenwelt, in der reinen intel93 lektuellen Größenschätzung, u n t e r | einem Begriffe g a n z zusammengefaßt, obzwar es in der mathematischen d u r c h Z a h l e n b e g r i f f e nie ganz gedacht werden kann. Selbst ein Vermögen, sich das Unendliche der übersinnlichen Anschauung, als (in seinem intelligibelen Substrat) gegeben, denken zu können, übertrifft allen Maßstab der Sinnlichkeit, und ist über alle Vergleichung selbst mit dem Vermögen der mathematischen Schätzung groß; freilich wohl nicht in theoretischer Absicht zum Behuf des Erkenntnisvermögens, aber doch als Erweiterung des Gemüts, welches die Schranken der Sinnlichkeit in anderer (der praktischen) Absicht zu überschreiten sich vermögend fühlt. Erhaben ist also die Natur in derjenigen ihrer Erscheinungen, deren Anschauung die Idee ihrer Unendlichkeit bei sich führt. Dieses letztere kann nun nicht anders geschehen als durch die Unangemessenheit selbst der größten Bestrebung unserer Einbildungskraft in der Größenschätzung eines Gegenstandes. Nun ist aber für die mathematische Größenschätzung die Einbildungskraft jedem Gegenstande gewachsen, um für dieselbe ein hinlängliches Maß zu geben, weil die Zahlbegriffe des Verstandes, durch Progression, jedes Maß einer jeden gegebenen13 Größe angemessen machen können. Also muß es die ä s t h e t i s c h e Größenschätzung sein, in welcher die Bestrebung zur Zusammenfassung, die das14 Vermögen der Einbildungskraft überschreitet, die progressive Auffassung in ein Ganzes der Anschauung 94 zu begreifen gefühlt, | und dabei zugleich die Unangemessenheit dieses im Fortschreiten unbegrenzten Vermögens wahrgenommen15 wird, ein mit dem mindesten Aufwande des Verstandes zur Größenschätzung taugliches Grundmaß zu fassen und zur Größenschätzung zu gebrauchen. Nun ist das eigentliche unveränderliche Grundmaß der Natur das absolute Ganze derselben, welches, bei ihr als Erscheinung, zusammengefaßte Unendlichkeit ist. Da aber dieses Grundmaß ein sich selbst widersprechender Begriff ist (wegen der Unmöglichkeit der absoluten Totalität eines Progressus ohne Ende): so muß diejenige Größe eines Naturobjekts, an welcher die Einbildungskraft ihr ganzes Vermögen der Zusammenfassung fruchtlos verwendet, den Begriff der Natur auf ein übersinnliches Substrat (welches16

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facoltà e la sua idea di un noumeno, che pure non permette 255 alcuna intuizione, ma che però è posto alla base, come sostrato, dell’intuizione del mondo in quanto semplice fenomeno, che l’infinito del mondo sensibile viene compreso i n t e r a - 93 m e n t e s o t t o un concetto nella stima intellettuale pura di grandezza, benché non possa mai essere interamente pensato, nella stima matematica, m e d i a n t e c o n c e t t i n u m e r i c i . La stessa facoltà di poter pensare l’infinito dell’intuizione soprasensibile come dato (nel suo sostrato intelligibile) oltrepassa ogni unità di misura della sensibilità ed è grande al di là di ogni confronto, perfino rispetto alla facoltà della stima matematica; certamente non da un punto di vista teoretico, a vantaggio della facoltà conoscitiva, ma proprio come estensione dell’animo che si sente capace di superare i confini della sensibilità da un altro punto di vista (quello pratico). Sublime è dunque la natura in quei suoi fenomeni la cui intuizione comporta l’idea della sua infinità. Eppure questo non può accadere se non attraverso l’inadeguatezza anche del massimo sforzo della nostra forza di immaginazione nella stima di grandezza di un oggetto. Ora però, per la stima matematica di grandezza, la forza di immaginazione è all’altezza di ogni oggetto, al fine di darne una misura sufficiente perché i concetti numerici dell’intelletto possano rendere per progressione adeguata ogni misura a qualsiasi grandezza data. Dunque deve essere la stima e s t e t i c a di grandezza, in cui si sente la tensione alla comprensione, che supera la facoltà che la forza di immaginazione ha di comprendere in un tutto dell’intuizione l’apprensione progressiva; e con ciò si percepisce 94 nello stesso tempo l’inadeguatezza di questa facoltà, illimitata nella progressione, a cogliere una misura di base idonea, con pochissima fatica dell’intelletto, nella stima di grandezza e a utilizzarla in questa stima. Ora, la peculiare e invariabile misura base della natura è il suo tutto assoluto, il quale, nella natura come fenomeno, è infinità comprensiva. Ma poiché questa misura di base è un concetto autocontraddittorio (per l’impossibilità della totalità assoluta di un progresso senza fine), allora quella grandezza di un oggetto della natura, al quale la forza di immaginazione applica invano tutta la sua capacità di comprensione, deve condurre il concetto della natura a un sostrato soprasensibile (che sta a fondamento di

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

ihr und zugleich unserm Vermögen zu denken zum Grunde liegt) führen, welches über allen Maßstab der Sinne groß ist, 256 und daher nicht so||wohl den Gegenstand, als vielmehr die Gemütsstimmung in Schätzung desselben, als e r h a b e n beurteilen läßt. Also, gleichwie die ästhetische Urteilskraft in Beurteilung des Schönen die Einbildungskraft in ihrem freien Spiele auf den Ve r s t a n d bezieht, um mit dessen B e g r i f f e n überhaupt (ohne Bestimmung derselben) zusammenzustimmen: so bezieht sie17 dasselbe Vermögen in Beurteilung eines Dinges als erhabenen18 auf die Ve r n u n f t , um zu deren I d e e n (unbestimmt welchen) subjektiv übereinzustimmen, d. i. eine Gemütsstim95 mung | hervorzubringen, welche derjenigen gemäß und mit ihr verträglich ist, die der Einfluß bestimmter Ideen (praktischer) auf das Gefühl bewirken würde. Man sieht hieraus auch, daß die wahre Erhabenheit nur im Gemüte des Urteilenden, nicht in dem Naturobjekte, dessen Beurteilung diese Stimmung desselben veranlaßt, müsse gesucht werden. Wer wollte auch ungestalte Gebirgsmassen, in wilder Unordnung über einander getürmt, mit ihren Eispyramiden, oder die düstere tobende See, u.s.w. erhaben nennen? Aber das Gemüt fühlt sich in seiner eigenen Beurteilung gehoben, wenn, indem19 es sich20 in der Betrachtung derselben, ohne Rücksicht auf ihre Form, der Einbildungskraft, und einer, obschon ganz ohne bestimmten Zweck damit in Verbindung gesetzten, jene bloß erweiternden Vernunft, überläßt, die ganze Macht der Einbildungskraft dennoch ihren Ideen unangemessen21 findet22. Beispiele vom Mathematisch-Erhabenen der Natur in der bloßen Anschauung liefern uns alle die Fälle, wo uns nicht sowohl ein größerer Zahlbegriff, als vielmehr große Einheit als Maß (zu Verkürzung der Zahlreihen) für die Einbildungskraft gegeben wird. Ein Baum, den wir nach Mannshöhe schätzen, gibt allenfalls einen Maßstab für einen Berg; und, wenn dieser etwa eine Meile hoch wäre, kann er zur Einheit für die Zahl, welche den Erddurchmesser ausdrückt, dienen, um den letzte96 ren anschaulich zu machen; der Erddurchmesser für | das uns bekannte Planetensystem, dieses für das der Milchstraße; und

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questa e nello stesso tempo della nostra facoltà di pensare), il quale è grande al di là di ogni unità di misura dei sensi e di conseguenza fa valutare s u b l i m e non tanto l’oggetto quan- 256 to piuttosto la disposizione dell’animo nel farne la stima. Dunque, come la forza estetica di giudizio, nella valutazione del bello, riferisce la forza di immaginazione nel suo libero gioco all’ i n t e l l e t t o per armonizzarla con i suoi c o n c e t t i in generale (senza che siano determinati), così pure, nella valutazione di una cosa come sublime, essa riferisce la medesima facoltà alla r a g i o n e per accordarla soggettivamente con le sue i d e e (resta indeterminato quali), cioè per produrre una disposizione d’animo che sia conforme a 95 quella disposizione, e conciliabile con essa, quale la provocherebbe l’influsso di idee determinate (pratiche) sul sentimento. Da ciò si vede anche che la vera sublimità deve essere cercata solo nell’animo di chi giudica, non nell’oggetto della natura la cui valutazione occasiona questa sua disposizione. Chi vorrebbe mai chiamare sublimi delle masse montuose informi, ammucchiate le une sulle altre in un disordine selvaggio, con le loro piramidi di ghiaccio, oppure il cupo mare in tempesta ecc.? Ma l’animo si sente elevato nella sua propria valutazione quando, mentre contempla questi oggetti, nel considerarli senza riguardo alla loro forma, abbandonandosi alla forza di immaginazione e a una ragione che è posta in collegamento con la forza di immaginazione, benché ciò avvenga semplicemente estendendola, senza un fine determinato, esso trova tutta la potenza della forza di immaginazione comunque inadeguata alle idee della ragione. Esempi del sublime matematico della natura nella semplice intuizione ci sono forniti da tutti i casi in cui ci è dato non tanto un più grande concetto numerico, ma piuttosto una grande unità in quanto misura (per abbreviare le serie numeriche) per la forza di immaginazione. Un albero di cui diamo una stima secondo l’altezza di un uomo offre in ogni caso un’unità di misura per una montagna; e questa, se fosse alta circa un miglio, potrebbe servire come unità per il numero che esprime il diametro terrestre, per renderlo così intuibile; poi il diametro terrestre potrebbe servire di misura per il sistema planetario a noi noto, questo per il sistema della via 96

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

die unermeßliche23 Menge solcher Milchstraßensysteme unter dem Namen der Nebelsterne, welche vermutlich wiederum ein dergleichen System unter sich ausmachen, lassen24 uns hier keine Grenzen erwarten. Nun liegt das Erhabene, bei der ästhetischen Beurteilung eines so unermeßlichen Ganzen, nicht sowohl in der Größe der Zahl, als darin, daß wir im Fortschritte immer auf desto größere Einheiten gelangen; wozu die systemati257 sche Abteilung des Weltge||bäudes beiträgt, die uns alles Große in der Natur immer wiederum als klein, eigentlich aber unsere Einbildungskraft in ihrer ganzen Grenzlosigkeit, und mit ihr die Natur als gegen die Ideen25 der Vernunft, wenn sie eine ihnen26 angemessene Darstellung verschaffen soll, verschwindend vorstellt.

§ 27 Von der Qualität des Wohlgefallens in der Beurteilung des Erhabenen Das Gefühl der Unangemessenheit unseres Vermögens zur Erreichung einer Idee, d i e f ü r u n s G e s e t z i s t , ist A c h t u n g . Nun ist die Idee der Zusammenfassung einer jeden Erscheinung, die uns gegeben werden mag, in die Anschauung eines Ganzen, eine solche, welche uns durch ein Gesetz der Vernunft auferlegt ist, die kein anderes bestimmtes für jeder97 mann gültiges und | unveränderliches1 Maß erkennt, als das Absolut-Ganze2. Unsere Einbildungskraft aber beweiset, selbst in ihrer größten Anstrengung, in Ansehung der von ihr verlangten Zusammenfassung eines gegebenen Gegenstandes in ein Ganzes3 der Anschauung (mithin zur Darstellung der Idee der Vernunft) ihre Schranken und Unangemessenheit, doch aber zugleich ihre Bestimmung zur Bewirkung der Angemessenheit mit derselben als einem Gesetze. Also ist das Gefühl des Erhabenen in der Natur Achtung für unsere eigene Bestimmung, die wir einem Objekte der Natur durch eine gewisse Subreption (Verwechselung einer Achtung für das Objekt statt der für die Idee der Menschheit in unserm Subjekte) beweisen, welches uns die Überlegenheit der Vernunftbestimmung unserer Erkenntnisvermögen über das größte Vermögen der Sinnlichkeit gleichsam anschaulich macht.

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lattea; e l’immensa quantità di tali sistemi galattici chiamati nebulose50, che presumibilmente costituiscono a loro volta tra loro un sistema dello stesso tipo, fa sì che non dobbiamo attenderci qui alcun limite. Ora, nella valutazione estetica di un tutto così immenso, il sublime non sta tanto nella grandezza del numero quanto nel fatto che nel progresso giungiamo sempre a unità tanto più grandi; cosa a cui contribuisce la divisione sistematica dell’universo che ci rappresenta ogni 257 realtà grande nella natura sempre a sua volta come piccola, ma più propriamente ci rappresenta la nostra forza di immaginazione in tutta la sua illimitatezza, e con essa la natura come qualcosa che svanisce al cospetto delle idee della ragione quando essa deve procurare una esibizione a loro adeguata.

§ 27 DELLA QUALITÀ DEL COMPIACIMENTO NELLA VALUTAZIONE DEL SUBLIME

Il sentimento dell’inadeguatezza della nostra facoltà a raggiungere un’idea, c h e p e r n o i è l e g g e , è il r i s p e t t o . Ora, l’idea della comprensione di un qualsiasi fenomeno che possa esserci dato nell’intuizione di un tutto è un’idea che ci è imposta da una legge della ragione, la quale non riconosce alcun’altra misura determinata valida per ciascuno e immutabile se non il tutto assoluto. Ma la nostra forza di immagina- 97 zione, anche nel suo più massimo sforzo in vista della comprensione che si esige da essa di un oggetto dato in un tutto dell’intuizione (di conseguenza per la esibizione dell’idea della ragione), mostra i suoi confini e la sua inadeguatezza, eppure nel contempo la sua destinazione a eseguire, come una legge, l’adeguatezza a quell’idea. Così il sentimento del sublime nella natura è un rispetto per la nostra propria destinazione, un rispetto che, con una certa surrezione (sostituzione di un rispetto per l’oggetto con un rispetto per l’idea dell’umanità nel nostro soggetto), mostriamo per un oggetto della natura che ci permette in qualche modo di intuire la superiorità della destinazione razionale delle nostre facoltà conoscitive rispetto alla capacità massima della sensibilità.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Das Gefühl des Erhabenen ist also ein Gefühl der Unlust, aus der Unangemessenheit der Einbildungskraft in der ästhetischen Größenschätzung, zu der Schätzung durch4 die Vernunft, und eine dabei zugleich erweckte Lust, aus der Übereinstimmung eben dieses Urteils der Unangemessenheit des größten sinnlichen Vermögens mit5 Vernunftideen, sofern die Bestrebung zu denselben doch für uns Gesetz ist. Es ist nämlich für uns Gesetz (der Vernunft) und gehört zu unserer Bestimmung, alles, was die Natur als Gegenstand der Sinne für uns Großes 98 enthält, in Vergleichung mit Ideen der Ver|nunft für klein zu schätzen; und, was das Gefühl dieser übersinnlichen Bestimmung in uns rege macht, stimmt zu jenem Gesetze zusammen. || 258 Nun ist die größte Bestrebung der Einbildungskraft in Darstellung der Einheit für die Größenschätzung eine Beziehung auf etwas A b s o l u t - G r o ß e s 6, folglich auch eine Beziehung auf das Gesetz der Vernunft, dieses allein zum obersten Maße der Größen anzunehmen. Also ist die innere Wahrnehmung der Unangemessenheit alles sinnlichen Maßstabes zur Größenschätzung der Vernunft eine Übereinstimmung mit Gesetzen derselben, und eine Unlust, welche das Gefühl unserer übersinnlichen Bestimmung in uns rege macht, nach welcher es zweckmäßig, mithin Lust ist, jeden Maßstab der Sinnlichkeit den Ideen der Vernunft7 unangemessen8 zu finden. Das Gemüt fühlt sich in der Vorstellung des Erhabenen in der Natur b e w e g t : da es in dem ästhetischen Urteile über das Schöne derselben in r u h i g e r Kontemplation ist. Diese Bewegung kann (vornehmlich in ihrem Anfange) mit einer Erschütterung verglichen werden, d. i. mit einem schnellwechselnden Abstoßen und Anziehen eben desselben Objekts. Das Überschwengliche für die Einbildungskraft (bis zu welchem sie in der Auffassung der Anschauung getrieben wird) ist gleichsam ein Abgrund, worin sie sich selbst zu verlieren fürchtet; aber doch auch für die Idee der Vernunft vom Übersinnlichen nicht 99 überschwenglich, sondern gesetz|mäßig, eine solche Bestrebung der Einbildungskraft hervorzubringen: mithin in eben dem Maße wiederum anziehend, als es für die9 bloße Sinnlichkeit abstoßend war. Das Urteil selber bleibt aber hiebei immer nur ästhetisch, weil es, ohne einen bestimmten Begriff vom Objekte

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Il sentimento del sublime è dunque un sentimento del dispiacere derivante dall’inadeguatezza della forza di immaginazione nella stima estetica di grandezza rispetto alla stima mediante la ragione, ed è nello stesso tempo un piacere che viene così risvegliato dall’accordo proprio di questo giudizio dell’inadeguatezza della capacità massima sensibile con le idee della ragione, in quanto la tensione verso di esse è comunque per noi una legge. Infatti è per noi legge (della ragione) e appartiene alla nostra destinazione stimare come piccolo, in confronto con le idee della ragione, tutto ciò che la na- 98 tura come oggetto dei sensi contiene per noi di grande; e ciò che suscita in noi il sentimento di questa destinazione soprasensibile si armonizza con quella legge. Ora, la massima ten- 258 sione della forza di immaginazione nella esibizione dell’unità per la stima di grandezza è un riferimento a qualcosa di a s s o l u t a m e n t e g r a n d e , di conseguenza è anche un riferimento alla legge della ragione ammettere solo questo come misura suprema delle grandezze. Così la percezione interna dell’inadeguatezza di ogni unità di misura sensibile per la stima di grandezza da parte della ragione è un accordo con le leggi di questa e un dispiacere che suscita in noi il sentimento della nostra destinazione soprasensibile, secondo la quale è conforme al fine, dunque è un piacere, trovare che ogni unità di misura della sensibilità è inadeguata alle idee della ragione. L’animo si sente m o s s o nella rappresentazione del sublime nella natura, mentre nel giudizio estetico sul bello della natura l’animo è in q u i e t a contemplazione. Questo moto può essere paragonato (particolarmente nel suo inizio) a uno scuotimento, cioè a una rapida alternanza di repulsione e attrazione dello stesso oggetto. Ciò che è trascendente per la forza di immaginazione (fino al quale essa è spinta nell’apprensione dell’intuizione) è per così dire un abisso in cui essa ha paura di perdersi; e tuttavia produrre una tale tensione della forza di immaginazione non è trascendente anche per l’idea che la ragione si fa del soprasensibile, bensì è conforme 99 alla legge: di conseguenza è in quest’altro senso attraente proprio nella stessa misura in cui per la semplice sensibilità era respingente. Ma in tal caso il giudizio stesso rimane sempre soltanto estetico poiché rappresenta come armonico, senza avere a fondamento un concetto determinato dell’oggetto,

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zum Grunde zu haben, bloß das subjektive Spiel der Gemütskräfte (Einbildungskraft und Vernunft) selbst durch ihren Kontrast als harmonisch vorstellt. Denn, so wie Einbildungskraft und Ve r s t a n d in der Beurteilung des Schönen durch ihre Einhelligkeit, so bringen Einbildungskraft und Ve r n u n f t hier10, durch ihren Widerstreit, subjektive Zweckmäßigkeit der Gemütskräfte hervor: nämlich ein Gefühl, daß wir reine selbständige Vernunft haben, oder11 ein Vermögen der Größenschätzung, dessen Vorzüglichkeit durch nichts anschaulich gemacht werden kann, als durch die Unzulänglichkeit desjenigen Vermögens, welches in Darstellung der Größen (sinnlicher Gegenstände) selbst unbegrenzt ist. Messung eines Raums (als Auffassung) ist zugleich Beschreibung desselben, mithin objektive Bewegung in der Einbildung und ein Progressus; die Zusammenfassung der Vielheit in die Einheit, nicht des Gedankens, sondern der Anschauung, mithin des Sukzessiv-aufgefaßten in einen12 Augenblick, ist dagegen ein 259 Regressus, der die Zeitbedingung im || Progressus der Einbildungskraft wieder aufhebt, und das Z u g l e i c h s e i n anschau100 lich macht. Sie ist also (da die Zeitfolge eine Bedingung | des innern Sinnes und einer jeden13 Anschauung ist) eine subjektive Bewegung der Einbildungskraft, wodurch14 sie dem innern Sinne Gewalt antut, die desto merklicher sein muß, je größer das Quantum ist, welches die Einbildungskraft in eine Anschauung zusammenfaßt. Die Bestrebung also, ein Maß für Größen in eine einzelne Anschauung aufzunehmen, welches aufzufassen merkliche Zeit erfordert, ist eine Vorstellungsart, welche, subjektiv betrachtet, zweckwidrig, objektiv aber zur15 Größenschätzung erforderlich, mithin zweckmäßig ist: wobei aber doch eben dieselbe Gewalt, die dem Subjekte durch die Einbildungskraft widerfährt, f ü r d i e g a n z e B e s t i m m u n g des Gemüts als zweckmäßig beurteilt wird. Die Q u a l i t ä t des Gefühls des Erhabenen ist: daß sie ein16 Gefühl der Unlust über das ästhetische Beurteilungsvermögen an einem Gegenstande ist, die darin doch zugleich als zweckmäßig vorgestellt wird; welches dadurch möglich ist, daß das eigne Unvermögen das Bewußtsein eines unbeschränkten Vermögens

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semplicemente il gioco soggettivo delle forze dell’animo (forza di immaginazione e ragione) perfino mediante il loro contrasto. Infatti, come forza di immaginazione e i n t e l l e t t o nella valutazione del bello, mediante la loro concordia, producono una conformità soggettiva delle forze dell’animo al fine, così qui forza di immaginazione e r a g i o n e producono mediante il loro contrasto una tale conformità al fine, cioè un sentimento secondo il quale noi abbiamo una ragione pura, indipendente, o una facoltà della stima di grandezza la cui superiorità non può essere resa intuibile da nient’altro se non dall’insufficienza di quella facoltà che è essa stessa illimitata nella esibizione delle grandezze (di oggetti sensibili). La misurazione di uno spazio (come apprensione) è nel contempo la sua descrizione, di conseguenza movimento oggettivo nell’immaginare e un progresso; invece la comprensione della pluralità nell’unità, non del pensiero bensì dell’intuizione, di conseguenza la comprensione in un istante di ciò che è stato appreso in modo successivo, è un regresso che toglie a sua volta la condizione temporale nel progresso della 259 forza di immaginazione e rende intuibile la s i m u l t a n e i t à . Essa è dunque (dato che la successione temporale è una condizione del senso interno e di ogni intuizione) un movimento 100 soggettivo della forza di immaginazione con cui essa fa al senso interno una violenza che deve essere tanto più notevole quanto più grande è il quantum che la forza di immaginazione comprende in una intuizione. La tensione per accogliere in una singola intuizione una misura per le grandezze, che richiede per essere appresa un tempo notevole, costituisce dunque una specie rappresentativa che, considerata soggettivamente, è contraria a un fine, ma che, oggettivamente, è indispensabile per la stima di grandezza ed è di conseguenza conforme al fine: per cui tuttavia proprio questa stessa violenza, che è imposta al soggetto dalla forza di immaginazione, è valutata come conforme al fine p e r l ’ i n t e r a d e s t i n a z i o n e dell’animo. La q u a l i t à del sentimento del sublime consiste dunque nell’essere un sentimento del dispiacere riguardante la facoltà estetica di valutare un oggetto, un dispiacere che tuttavia nello stesso tempo vi è rappresentato come conforme al fine; cosa che è possibile per il fatto che la propria incapacità rivela la coscienza di una facoltà illimitata dello stesso soggetto, e

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

desselben Subjekts entdeckt, und das Gemüt das letztere nur durch das erstere ästhetisch beurteilen kann. In der logischen Größenschätzung ward17 die Unmöglichkeit, durch den Progressus der Messung der Dinge der Sinnenwelt in Zeit und Raum jemals zur absoluten Totalität zu gelangen, für objektiv, d. i. eine Unmöglichkeit, das Unendliche als 101 gegeben18 zu d e n k e n , | und nicht als bloß subjektiv, d. i. als Unvermögen, es zu f a s s e n , erkannt: weil da auf den Grad der Zusammenfassung in eine Anschauung, als Maß, gar nicht19 gesehen wird, sondern alles auf einen Zahlbegriff ankommt. Allein in einer ästhetischen Größenschätzung muß der Zahlbegriff wegfallen oder verändert werden, und die Komprehension der Einbildungskraft zur Einheit des Maßes (mithin mit Vermeidung der Begriffe von einem Gesetze der sukzessiven Erzeugung der Größenbegriffe) ist allein für sie zweckmäßig. — Wenn nun eine Größe beinahe das Äußerste20 unseres Vermögens der Zusammenfassung in eine Anschauung erreicht, und die Einbildungskraft doch durch Zahlgrößen (für die wir uns unseres Vermögens als unbegrenzt bewußt sind) zur ästhetischen Zusammenfassung in eine größere Einheit aufgefordert wird, so fühlen wir uns im Gemüt als ästhetisch in Grenzen eingeschlossen; aber die Unlust wird doch, in Hinsicht auf die notwendige Erweiterung der Einbildungskraft zur Angemessenheit mit dem, was in unserm Vermögen der Vernunft unbegrenzt ist, 260 nämlich der || Idee des absoluten Ganzen, mithin die Unzweckmäßigkeit des Vermögens der Einbildungskraft doch für Vernunftideen und deren Erweckung als21 zweckmäßig vorgestellt. Eben dadurch wird aber22 das ästhetische Urteil selbst subjektiv-zweckmäßig für die Vernunft, als Quell der Ideen, d. i. einer solchen intellektuellen Zusammenfassung, für die alle ästheti102 sche klein ist; und | der Gegenstand wird als erhaben mit einer Lust aufgenommen, die nur vermittelst einer Unlust möglich ist.

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l’animo può valutare esteticamente l’ultima soltanto mediante la prima. Nella stima logica di grandezza l’impossibilità di giungere mai alla totalità assoluta attraverso il progresso della misurazione delle cose del mondo sensibile nel tempo e nello spazio era riconosciuta come oggettiva, cioè come una impossibilità di p e n s a r e l’infinito in quanto dato e non come una impos- 101 sibilità semplicemente soggettiva, cioè una incapacità di c o g l i e r l o ; il motivo è che lì non si guarda affatto come misura al grado della comprensione in una intuizione, bensì tutto dipende da un concetto numerico. Ma in una stima estetica di grandezza il concetto numerico deve cadere o essere mutato, e conforme al fine rispetto a essa è solo la comprensione della forza di immaginazione in funzione dell’unità della misura (di conseguenza evitando i concetti di una legge della successiva generazione dei concetti di grandezza). — Se ora, quando una grandezza raggiunge quasi l’estremo della nostra facoltà della comprensione in un’intuizione, e la forza di immaginazione è tuttavia sollecitata dalle grandezze numeriche (per le quali abbiamo coscienza che la nostra capacità è illimitata) a una comprensione estetica in una unità più grande, allora ci sentiamo nell’animo come rinchiusi esteticamente entro limiti; mentre il dispiacere riguardo alla necessaria estensione della forza di immaginazione per adeguarsi a ciò che è illimitato nella nostra facoltà della ragione, cioè all’idea 260 del tutto assoluto, e quindi anche la non conformità della facoltà della forza di immaginazione al fine, viene tuttavia rappresentato come conforme al fine per le idee della ragione e per il loro risveglio. Ma proprio per questo lo stesso giudizio estetico diviene soggettivamente conforme al fine per la ragione come fonte delle idee, cioè di una comprensione intellettuale rispetto alla quale ogni comprensione estetica è 102 piccola; e l’oggetto è appreso come sublime con un piacere che è possibile soltanto per mezzo di un dispiacere.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

B. Vom Dynamisch-Erhabenen der Natur § 28 Von der Natur als einer Macht M a c h t ist ein Vermögen, welches großen Hindernissen überlegen ist. Eben dieselbe heißt eine G e w a l t , wenn sie auch dem Widerstande dessen, was selbst Macht besitzt, überlegen ist. Die Natur, im ästhetischen Urteile als Macht, die über uns keine Gewalt hat, betrachtet, ist d y n a m i s c h - e r h a b e n . Wenn von uns die Natur dynamisch als erhaben beurteilt werden soll, so muß sie als Furcht erregend vorgestellt werden (obgleich nicht, umgekehrt, jeder Furcht erregende Gegenstand in unserm ästhetischen Urteile erhaben gefunden wird). Denn in der ästhetischen Beurteilung (ohne Begriff) kann die Überlegenheit über Hindernisse nur nach der Größe des Widerstandes beurteilt werden. Nun ist aber das, dem1 wir zu widerstehen bestrebt sind, ein Übel, und, wenn wir unser Vermögen demselben nicht gewachsen finden, ein Gegenstand der Furcht. Also kann für die ästhetische Urteilskraft die Natur nur sofern als 103 Macht, mithin dynamisch-|erhaben, gelten, sofern sie als Gegenstand der Furcht betrachtet wird. Man kann aber einen Gegenstand als f u r c h t b a r betrachten, ohne sich v o r ihm zu fürchten, wenn wir ihn nämlich so beurteilen, daß wir uns bloß den Fall d e n k e n , da wir ihm etwa Widerstand tun wollten, und daß alsdann aller Widerstand bei weitem vergeblich sein würde. So fürchtet der Tugendhafte Gott, ohne sich vor ihm zu fürchten, weil er ihm und seinen Geboten widerstehen zu wollen sich als keinen von i h m 261 besorg||lichen Fall denkt. Aber auf jeden solchen Fall, den er als an sich nicht unmöglich denkt, erkennt er ihn2 als furchtbar. Wer3 sich fürchtet, kann über das Erhabene der Natur gar nicht urteilen, so wenig als der, welcher durch Neigung und Appetit eingenommen ist, über das Schöne. Jener4 fliehet den Anblick eines Gegenstandes, der ihm Scheu5 einjagt; und es ist unmöglich, an einem Schrecken, der ernstlich gemeint wäre,

I,II. ANALITICA DEL SUBLIME, B § 28

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B. DEL SUBLIME DINAMICO DELLA NATURA § 28 DELLA NATURA COME DI UNA POTENZA La p o t e n z a è un potere che è superiore a grandi ostacoli. Questa potenza si chiama p o t e s t à quando è superiore anche alla resistenza emessa da ciò che pure ha una potenza. La natura, considerata nel giudizio estetico come una potenza che non ha su di noi alcuna potestà, è d i n a m i c a m e n t e sublime. Se la natura deve essere da noi valutata dinamicamente come sublime, essa deve essere rappresentata come qualcosa che suscita timore (sebbene, viceversa, non ogni oggetto che suscita timore venga trovato sublime nel nostro giudizio estetico)51. Infatti nella valutazione estetica (senza concetto), la superiorità rispetto agli ostacoli può essere valutata soltanto secondo la grandezza della resistenza. Ora, ciò a cui ci sforziamo di resistere è un male e quando troviamo che il nostro potere non è in grado di farvi fronte, è un oggetto di timore. Così la natura, per la forza estetica di giudizio, può valere come potenza, di conseguenza può essere dinamicamente su- 103 blime, solo in quanto è considerata come oggetto di timore. Ma si può considerare t e m i b i l e un oggetto senza provare timore d a v a n t i a esso, quando cioè lo valutiamo in modo tale che p e n s i a m o semplicemente il caso in cui volessimo opporgli una qualche resistenza, e che allora ogni resistenza sarebbe oltremodo vana. Così il virtuoso teme Dio senza provare timore davanti a lui, perché egli pensa che voler resistere a lui e ai suoi comandamenti non costituisca un caso di cui e g l i abbia a preoccuparsi. Ma in tutti i casi in cui 261 volessi opporsi a lui, che egli pensa come in sé non impossibili, lo riconosce come temibile. Chi prova timore non può affatto giudicare del sublime della natura così come non può giudicare del bello chi è preso da inclinazione e appetito. Il primo fugge la vista di un oggetto che gli incute soggezione; ed è impossibile trovare compiacimento in un terrore preso realmente sul serio come tale.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Wohlgefallen zu finden. Daher ist die Annehmlichkeit aus dem Aufhören einer Beschwerde das F r o h s e i n . Dieses aber, wegen der Befreiung von einer Gefahr, ist ein Frohsein mit dem Vorsatze, sich derselben nie mehr auszusetzen; ja man mag an jene Empfindung nicht einmal gerne zurückdenken, weit gefehlt, daß man die Gelegenheit dazu selbst aufsuchen sollte. | 104 Kühne überhangende gleichsam drohende Felsen, am Himmel sich auftürmende Donnerwolken, mit Blitzen und Krachen einherziehend, Vulkane in ihrer ganzen zerstörenden Gewalt, Orkane mit ihrer zurückgelassenen Verwüstung, der grenzenlose Ozean, in Empörung gesetzt, ein hoher Wasserfall eines mächtigen Flusses u. d. gl. machen unser Vermögen zu widerstehen, in Vergleichung mit ihrer Macht, zur unbedeutenden Kleinigkeit. Aber ihr Anblick wird nur um desto anziehender, je furchtbarer er ist, wenn wir uns nur in Sicherheit befinden; und wir nennen diese Gegenstände gern erhaben, weil sie die Seelenstärke über ihr gewöhnliches Mittelmaß erhöhen, und ein Vermögen zu widerstehen von ganz anderer Art in uns entdecken lassen, welches uns Mut macht, uns mit der scheinbaren Allgewalt der Natur messen zu können. Denn, so wie wir zwar an der Unermeßlichkeit der Natur, und der Unzulänglichkeit unseres Vermögens, einen der ästhetischen Größenschätzung ihres G e b i e t s proportionierten Maßstab zu nehmen, unsere eigene Einschränkung, gleichwohl aber doch auch an unserm Vernunftvermögen zugleich einen andern nicht-sinnlichen Maßstab, welcher jene Unendlichkeit selbst als Einheit unter sich hat, gegen den alles in der Natur klein ist, mithin in unserm Gemüte eine Überlegenheit über die Natur selbst in ihrer Unermeßlichkeit fanden: so gibt auch die 105 Unwiderstehlichkeit ihrer Macht uns, als Natur|wesen betrachtet, zwar unsere physische6 Ohnmacht zu erkennen, aber entdeckt zugleich ein Vermögen, uns als von ihr unabhängig zu beurteilen, und eine Überlegenheit über die Natur, worauf sich eine Selbsterhaltung von ganz andrer Art gründet, als diejenige ist, die von der Natur außer uns angefochten und in Gefahr 262 gebracht werden || kann, wobei7 die Menschheit in unserer Person unerniedrigt bleibt, obgleich der Mensch jener Gewalt unterliegen müßte. Auf solche Weise wird die Natur in unserm ästhetischen Urteile nicht, sofern sie furchterregend ist, als erhaben beurteilt, sondern weil sie unsere Kraft (die nicht Natur ist) in uns aufruft, um das, wofür wir besorgt sind (Güter,

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Perciò la gradevolezza che nasce dalla cessazione di un disagio è la l e t i z i a . Ma questa letizia, causata dalla liberazione da un pericolo, è però unita al proposito di non esporvisi mai più; anzi, non si ripensa mai volentieri a quella sensazione e tantomeno si va a cercarne l’occasione. Ardite rocce a strapiombo, quasi minacciose, nubi di tem- 104 pesta che si accumulano nel cielo, avanzando con lampi e tuoni, vulcani in tutta la loro violenza distruttiva, uragani che si lasciano dietro devastazione, l’immenso oceano mosso dalla furia, un’alta cascata di un fiume poderoso, ecc., riducono il nostro potere di resistere a una piccolezza insignificante, se confrontata con la loro potenza. Ma, se ci troviamo al sicuro, la loro vista diventa tanto più attraente quanto più è temibile52; e chiamiamo volentieri sublimi questi oggetti, perché elevano la forza dell’anima al di sopra della sua abituale mediocrità e fanno scoprire in noi un potere di resistere di tutt’altra specie, che ci incoraggia a poterci misurare con l’apparente onnipotenza della natura. Infatti come nella incommensurabilità della natura e nell’insufficienza del nostro potere ad assumere una unità di misura proporzionata alla stima estetica di grandezza del suo d o m i n i o noi trovammo sì la nostra propria limitatezza, ma ciò nonostante nello stesso tempo trovammo anche nella nostra facoltà di ragione un’altra unità di misura non sensibile, che ha sotto di sé come unità quella stessa infinità, nei confronti della quale tutto nella natura è piccolo, trovammo insomma nel nostro animo anche una superiorità sulla natura perfino nella sua incommensurabilità; così, allo stesso modo, anche l’irresistibilità della sua potenza ci fa certo conoscere, in quanto esseri della natura, la nostra impotenza fisica, ma 105 nel contempo ci svela un potere di valutarci come indipendenti da essa e una superiorità nei confronti della natura, su cui si fonda una autoconservazione di tutt’altra specie rispetto a quella che può essere minacciata e messa in pericolo dalla natura fuori di noi, per cui l’umanità nella nostra persona 262 rimane non umiliata, sebbene l’uomo debba sottostare davanti a quella potestà. In tal modo la natura è valutata come sublime nel nostro giudizio estetico non in quanto essa suscita timore, ma perché evoca in noi la nostra forza (che non è natura), così da farci considerare ciò di cui ci preoccupiamo

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Gesundheit und Leben), als klein, und daher ihre Macht (der wir in Ansehung dieser Stücke allerdings unterworfen sind) für uns und unsere Persönlichkeit demungeachtet doch für keine solche8 Gewalt anzusehen9, unter die wir uns zu beugen hätten, wenn es auf unsre höchste Grundsätze und deren Behauptung oder Verlassung ankäme. Also heißt die Natur hier erhaben, bloß weil sie die Einbildungskraft zu Darstellung derjenigen Fälle erhebt, in welchen das Gemüt die eigene Erhabenheit seiner Bestimmung, selbst über die Natur, sich fühlbar machen kann. Diese Selbstschätzung verliert dadurch nichts, daß wir uns sicher sehen müssen, um dieses begeisternde Wohlgefallen zu empfinden; mithin, weil es mit der Gefahr nicht Ernst ist, es 106 auch (wie es scheinen möchte) mit der | Erhabenheit unseres Geistesvermögens eben so wenig Ernst sein möchte. Denn das Wohlgefallen betrifft hier nur die sich in solchem Falle entdeckende B e s t i m m u n g unseres Vermögens, so wie die Anlage zu demselben in unserer Natur ist; indessen daß die Entwickelung und Übung desselben uns überlassen und obliegend bleibt10. Und hierin ist Wahrheit; so sehr sich auch der Mensch, wenn er seine Reflexion bis dahin erstreckt, seiner gegenwärtigen wirklichen Ohnmacht bewußt sein mag. Dieses Prinzip scheint zwar zu weit hergeholt und vernünftelt, mithin für ein ästhetisches Urteil überschwenglich zu sein: allein die Beobachtung des Menschen beweiset das Gegenteil, und daß es den gemeinsten Beurteilungen zum Gründe liegen kann, ob man sich gleich desselben nicht immer bewußt ist. Denn was ist das, was selbst dem11 Wilden ein Gegenstand der größten Bewunderung ist? Ein Mensch der nicht erschrickt, der sich nicht fürchtet, also der Gefahr nicht weicht, zugleich aber mit völliger Überlegung rüstig zu Werke geht. Auch im allergesittetsten Zustande bleibt diese vorzügliche Hochachtung für den Krieger; nur daß man noch dazu verlangt, daß er zugleich alle Tugenden des Friedens, Sanftmut, Mitleid, und selbst geziemende Sorgfalt für seine eigne Person beweise: eben darum, weil daran die Unbezwinglichkeit seines Gemüts durch Gefahr erkannt wird. Daher mag man noch so viel in der Vergleichung 107 des Staatsmanns mit dem Feldherrn über die Vorzüg|lichkeit 263 der || Achtung, die einer vor dem andern verdient, streiten: das

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(beni, salute e vita) come piccole cose e dunque, malgrado ciò, non considerare per noi e per la nostra personalità la sua potenza (alla quale riguardo a quelle cose siamo senz’altro sottomessi) come una potestà tale che dovremmo piegarci a essa anche nel caso in cui si trattasse dei nostri principi supremi, della loro affermazione o del loro abbandono. Pertanto la natura è detta qui sublime semplicemente perché essa eleva la forza di immaginazione alla esibizione di quei casi in cui l’animo può far sentire a se stesso la sublimità propria della sua destinazione, perfino al di sopra della natura. Questa stima di sé non perde nulla per il fatto che dobbiamo vederci al sicuro per sentire questo compiacimento entusiasmante; di conseguenza, non è che, non essendoci nulla di serio nel pericolo, non ci sarebbe comunque nulla di serio (come potrebbe sembrare) neppure nella sublimità della 106 nostra facoltà spirituale. Infatti il compiacimento concerne qui soltanto la d e s t i n a z i o n e che si rivela in questo caso, della nostra facoltà, così come la disposizione a questa facoltà è nella nostra natura, mentre il suo sviluppo ed esercizio sono affidati e rimessi a noi come un compito. E ciò è vero per quanto l’uomo, quando spinge fin là la sua riflessione, possa essere cosciente della sua effettiva impotenza attuale. Questo principio sembra certo essere preso troppo alla lontana e con un ragionamento troppo sottile e quindi trascendente per un giudizio estetico: soltanto che l’osservazione dell’uomo prova il contrario, cioè che questo principio può stare a fondamento delle valutazioni più comuni, benché non si sia sempre coscienti di questo. Infatti che cos’è che, anche per il selvaggio, è oggetto della più grande ammirazione? Un uomo che non si spaventa, che non prova timore, che dunque non rifugge il pericolo, ma che nello stesso tempo, avendoci ben riflettuto, si mette energicamente all’opera. Anche nella condizione più civilizzata resiste questo privilegio di grande rispetto per il guerriero; solo che oltre a ciò si pretende anche che egli dimostri al contempo tutte le virtù della pace, mitezza, compassione e anche una conveniente cura della propria persona, proprio perché in ciò si riconosce che il suo animo è invincibile dal pericolo. Perciò, nonostante si possa continuare a discutere quanto si vuole, confrontando lo statista con il condottiero, sul primato nel rispetto che l’uno 107 263

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ästhetische Urteil entscheidet für den letztern. Selbst der Krieg, wenn er mit Ordnung und Heiligachtung der bürgerlichen Rechte geführt wird, hat etwas Erhabenes an sich, und macht zugleich die Denkungsart des Volks, welches ihn auf diese Art führt, nur um desto erhabener, je mehreren Gefahren es ausgesetzt war, und sich mutig darunter hat behaupten können: da hingegen ein langer Frieden den bloßen Handlungsgeist12, mit ihm aber den niedrigen Eigennutz, Feigheit und Weichlichkeit herrschend zu machen, und die Denkungsart des Volks zu erniedrigen pflegt. Wider diese Auflösung des Begriffs des Erhabenen, sofern dieses der Macht beigelegt wird, scheint zu streiten: daß wir Gott im Ungewitter, im Sturm, im Erdbeben u. d. gl. als im Zorn, zugleich aber auch in seiner Erhabenheit sich darstellend vorstellig zu machen pflegen, wobei doch die Einbildung einer Überlegenheit unseres Gemüts über die Wirkungen, und, wie es scheint, gar über13 die Absichten einer solchen Macht, Torheit und Frevel zugleich sein würde. Hier scheint kein Gefühl der Erhabenheit unserer eigenen Natur, sondern vielmehr Unterwerfung, Niedergeschlagenheit und Gefühl der14 gänzlichen Ohnmacht die Gemütsstimmung zu sein, die sich für die Erscheinung eines solchen Gegenstandes schickt, und auch gewöhnlichermaßen mit der Idee desselben bei dergleichen Na108 turbegebenheit verbunden zu sein | pflegt. In der Religion überhaupt scheint Niederwerfen, Anbetung mit niederhängendem Haupte, mit zerknirschten angstvollen Gebärden und Stimmen, das einzigschickliche Benehmen in Gegenwart der Gottheit zu sein, welches daher auch die meisten Völker angenommen haben und noch beobachten. Allein diese Gemütsstimmung ist auch bei weitem nicht mit der Idee der E r h a b e n h e i t einer Religion und ihres Gegenstandes an sich und notwendig verbunden. Der Mensch, der sich wirklich fürchtet, weil er dazu in sich Ursache findet, indem er sich bewußt ist, mit seiner verwerflichen Gesinnung wider eine Macht zu verstoßen, deren Wille unwiderstehlich und zugleich gerecht ist, befindet sich gar nicht in der Gemütsfassung15, um die göttliche Größe zu bewundern, wozu eine Stimmung zur ruhigen Kontemplation und ganz freies16 Urteil erforderlich ist. Nur alsdann, wenn er sich seiner aufrichtigen gottgefälligen Gesinnung bewußt ist, dienen jene Wirkungen der17 Macht, in ihm die Idee der Erhabenheit

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merita nei confronti dell’altro, il giudizio estetico decide a favore del secondo. Perfino la guerra, quando è condotta con ordine e sacro rispetto dei diritti civili, ha in sé qualcosa di sublime e nello stesso tempo rende il modo di pensare del popolo che la conduce in questo modo tanto più sublime quanto a più pericoli esso è stato esposto e in cui ha saputo affermarsi coraggiosamente; al contrario una lunga pace rende di solito dominante il semplice spirito mercantile, e con esso il meschino interesse egoistico, la viltà e la mollezza, degradando il modo di pensare del popolo. Contro questa analisi del concetto del sublime, in quanto questo viene attribuito alla potenza, sembra deporre il fatto che siamo soliti rappresentarci Dio come se nel temporale, nella tempesta, nel terremoto, ecc., si esibisse nella collera, ma nello stesso tempo anche nella sua sublimità, per cui sarebbe comunque insieme stoltezza ed empietà immaginarci la superiorità del nostro animo sugli effetti e, come sembra, perfino sulle intenzioni di una tale potenza. Qui la disposizione d’animo appropriata all’apparire di un tale oggetto e che di solito, in occasione di simili eventi della natura, si trova collegata con l’idea di questo oggetto, sembra essere non un sentimento della sublimità della nostra propria natura, ma piuttosto la sottomissione, la prostrazione, e il sentimento della totale impotenza. Nella religione, in generale, l’unico compor- 108 tamento appropriato in presenza della divinità, comportamento che di conseguenza la maggior parte dei popoli ha adottato e osserva ancora, sembra essere il prosternarsi in adorazione con il capo chino, con gesti e accenti contriti e paurosi. Solo che questa disposizione d’animo è ben lungi dall’essere in sé e necessariamente collegata con l’idea della s u b l i m i t à di una religione e del suo oggetto. L’uomo che prova realmente timore perché ne trova in sé la causa in quanto è cosciente di recare offesa, con la sua intenzione riprovevole, a una potenza la cui volontà è nello stesso tempo irresistibile e giusta, non si trova affatto nello stato d’animo adatto per ammirare la grandezza divina, per la quale è richiesta una disposizione di calma contemplazione e un giudizio totalmente libero. Solo nel momento in cui ha coscienza che la propria intenzione è retta e gradita a Dio quegli effetti della potenza servono a risvegliare in lui l’idea della sublimità di

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dieses Wesens zu erwecken, sofern er eine dessen Willen gemäße Erhabenheit der Gesinnung bei sich selbst erkennt, und18 dadurch über die Furcht vor solchen Wirkungen der Natur, 264 die er nicht als Aus||brüche seines Zorns ansieht, erhoben wird. Selbst die Demut, als unnachsichtliche Beurteilung seiner Mängel, die sonst, beim Bewußtsein guter Gesinnungen, leicht mit der Gebrechlichkeit der menschlichen Natur bemäntelt 109 werden könnten, ist eine erhabene Ge|mütsstimmung, sich willkürlich dem Schmerze der Selbstverweise zu unterwerfen, um die Ursache dazu nach und nach zu vertilgen. Auf solche Weise allein unterscheidet sich innerlich Religion von Superstition; welche letztere nicht Ehrfurcht für das Erhabene, sondern Furcht und Angst vor dem übermächtigen Wesen19, dessen Willen der erschreckte Mensch sich unterworfen sieht, ohne ihn doch hochzuschätzen, im Gemüte gründet: woraus denn freilich nichts als Gunstbewerbung und Einschmeichelung, statt einer Religion des guten Lebenswandels, entspringen kann. Also ist die Erhabenheit in keinem Dinge der Natur, sondern nur in unserm Gemüte enthalten, sofern wir der Natur in uns, und dadurch auch der Natur (sofern sie auf uns einfließt) außer uns, überlegen zu sein uns bewußt werden können. Alles, was dieses Gefühl in uns erregt, wozu die M a c h t der Natur gehört, welche unsere Kräfte auffordert, heißt alsdenn (obzwar uneigentlich) erhaben; und nur unter der Voraussetzung dieser Idee in uns, und in Beziehung auf sie, sind wir fähig, zur Idee der Erhabenheit desjenigen Wesens zu gelangen, welches nicht bloß durch seine Macht, die es in der Natur beweiset, innige Achtung in uns wirkt, sondern noch mehr durch das Vermögen, welches in uns gelegt ist, jene ohne Furcht zu beurteilen, und unsere Bestimmung als über dieselbe20 erhaben zu denken. | 110

§ 29 Von der Modalität des Urteils über das Erhabene der Natur Es gibt unzählige Dinge der schönen Natur, worüber1 wir Einstimmigkeit des Urteils mit dem unsrigen jedermann geradezu ansinnen, und auch, ohne sonderlich zu fehlen, erwarten können; aber mit unserm Urteile über das Erhabene in der

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questo essere, in quanto riconosce in se stesso una sublimità dell’intenzione conforme alla sua volontà e perciò viene elevato al di sopra del timore per tali effetti della natura che egli non considera più come sfoghi della sua collera. L’umiltà stes- 264 sa, in quanto valutazione non compiacente dei propri difetti, i quali altrimenti, con la coscienza delle buone intenzioni, potrebbero facilmente essere celati con la scusa della fragilità della natura umana, è una disposizione d’animo sublime che 109 consiste nel sottoporsi volontariamente al dolore dei rimproveri che si rivolgono a se stessi per eliminarne a poco a poco la causa. È soltanto in tal modo che la religione si distingue intrinsecamente dalla superstizione, la quale fonda nell’animo non il timore reverenziale per il sublime, ma il timore e l’angoscia davanti all’essere troppo potente alla cui volontà l’uomo spaventato si vede sottomesso senza tuttavia onorarlo: da ciò può sorgere soltanto la richiesta di favori e l’incensazione al posto di una religione della buona condotta di vita. Così la sublimità non è contenuta in alcuna cosa della natura, ma solamente nel nostro animo, in quanto noi possiamo divenire coscienti di essere superiori alla natura in noi e, per questo, anche alla natura fuori di noi (in quanto essa influisce su di noi). Tutto ciò che suscita in noi questo sentimento a cui appartiene la p o t e n z a della natura, la quale sollecita le nostre forze, si chiama allora (benché in modo improprio) sublime; ed è unicamente presupponendo quest’idea in noi e in riferimento a essa che noi siamo capaci di pervenire all’idea della sublimità di questo essere che provoca in noi un profondo rispetto, non semplicemente per la sua potenza che dimostra nella natura, bensì ancor più per la facoltà riposta in noi di valutare quella potenza senza timore e di pensare la nostra destinazione come sublime, al di sopra della natura.

§ 29 DELLA MODALITÀ DEL GIUDIZIO SUL SUBLIME DELLA NATURA Ci sono innumerevoli cose della bella natura a proposito delle quali possiamo richiedere senz’altro a ciascuno la consonanza del suo giudizio con il nostro, e anzi possiamo anche aspettarcelo senza sbagliare di molto; invece per quel che

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Natur können wir uns nicht so leicht Eingang bei andern versprechen. Denn es scheint eine bei weitem größere Kultur, nicht bloß der ästhetischen Urteilskraft, sondern auch der Erkenntnisvermögen, die ihr zum Grunde liegen, erforderlich zu sein, um über diese Vorzüglichkeit der Naturgegenstände ein Urteil fällen zu können. || 265 Die Stimmung des Gemüts zum Gefühl des Erhabenen erfordert eine Empfänglichkeit desselben für Ideen; denn eben in der Unangemessenheit der Natur zu den2 letztern, mithin nur unter der Voraussetzung derselben, und3 der Anspannung der Einbildungskraft, die Natur als ein Schema für die letztern zu behandeln, besteht das Abschreckende für die Sinnlichkeit, welches doch zugleich anziehend ist: weil es eine Gewalt ist, welche die Vernunft auf jene ausübt, nur um sie ihrem eigentlichen Gebiete (dem praktischen) angemessen zu erweitern, und sie auf das Unendliche hinaussehen zu lassen, welches für jene 111 ein Abgrund ist. In der Tat wird ohne Ent|wickelung sittlicher Ideen das, was wir, durch Kultur vorbereitet, erhaben nennen, dem rohen Menschen bloß abschreckend vorkommen. Er wird an den Beweistümern der Gewalt der Natur in ihrer Zerstörung und dem großen Maßstabe ihrer Macht, wogegen die seinige in nichts verschwindet, lauter Mühseligkeit, Gefahr und Not sehen, die den Menschen umgeben würden, der dahin gebannt wäre. So nannte der gute, übrigens verständige savoyische Bauer (wie Hr. v. Saussure erzählt) alle Liebhaber der Eisgebirge ohne Bedenken Narren. Wer weiß auch, ob er so ganz Unrecht gehabt hätte, wenn jener Beobachter die Gefahren, denen er sich hier aussetzte, bloß, wie die meisten Reisende pflegen, aus Liebhaberei, oder um dereinst pathetische Beschreibungen davon geben zu können, übernommen hätte? So aber war seine Absicht Belehrung der4 Menschen5; und die seelenerhebende Empfindung hatte und gab der vortreffliche Mann den Lesern seiner Reisen in ihren Kauf oben ein. Darum aber, weil das Urteil über das Erhabene der Natur Kultur bedarf (mehr als das über das Schöne), ist es doch dadurch nicht eben von der Kultur zuerst erzeugt, und etwa bloß konventionsmäßig in der Gesellschaft eingeführt; sondern es hat seine6 Grundlage in der menschlichen Natur, und zwar demjenigen, was man mit dem gesunden Verstande zugleich

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riguarda il nostro giudizio sul sublime nella natura non possiamo riprometterci una così facile accoglienza presso gli altri. Infatti, sembra essere richiesta una cultura di gran lunga più grande non soltanto della forza estetica di giudizio, ma anche delle facoltà conoscitive che stanno a suo fondamento per poter formulare un giudizio su questa preminenza degli oggetti della natura. La disposizione dell’animo per il sentimento del sublime 265 richiede una sua ricettività per le idee; infatti, precisamente nell’inadeguatezza della natura nei confronti di queste ultime, di conseguenza solo nella loro presupposizione e nella tensione della forza di immaginazione a trattare la natura come uno schema per esse, consiste ciò che respinge la sensibilità e che tuttavia è nello stesso tempo attraente: perché è una potestà che la ragione esercita sulla sensibilità solo per estenderla adeguatamente al dominio che le è proprio (quello pratico) e per farle gettare lo sguardo sull’infinito che per essa è un abisso. Di fatto, senza lo sviluppo di idee morali, ciò che, prepara- 111 ti dalla cultura, chiamiamo sublime apparirebbe semplicemente terrificante all’uomo incolto. Nelle testimonianze della violenza della natura nella sua distruttività e nella grandiosa unità di misura della sua potenza in confronto alla quale la propria scompare nel nulla, egli non vedrà altro che la pena, il pericolo e l’indigenza che circonderebbero l’uomo che vi fosse relegato. Così il buon contadino savoiardo, peraltro dotato di buon senso, chiamava (come racconta il signor di Saussure53) senza esitazione pazzi tutti gli amanti dei ghiacciai. Chissà del resto se avrebbe avuto del tutto torto qualora quell’osservatore avesse affrontato i pericoli ai quali si esponeva, come fa di solito la maggior parte dei viaggiatori, per pura passione o per poterne poi dare un giorno delle descrizioni patetiche? Ma il suo intento era l’istruzione degli uomini; e la sensazione di elevazione dell’anima quell’uomo eccellente l’aveva, e la proponeva per giunta ai lettori dei suoi viaggi. Ma poiché il giudizio sul sublime della natura richiede cultura (più del giudizio sul bello), per questo non è tuttavia prodotto in prima istanza dalla cultura stessa e introdotto nella società come qualcosa di semplicemente convenzionale; al contrario il giudizio ha il suo fondamento nella natura umana e precisamente in ciò che si può attendere ed esigere

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112 jedermann ansinnen und von ihm fordern kann, nämlich in der

Anlage zum Gefühl für (praktische) Ideen, d. i. zu dem moralischen7. Hierauf gründet sich nun die Notwendigkeit der Beistimmung des Urteils anderer vom Erhabenen zu dem unsrigen, welche wir in diesem zugleich mit einschließen. Denn, so wie wir dem, der in der Beurteilung eines Gegenstandes der Natur, welchen wir schön finden, gleichgültig ist, Mangel des G e s c h m a c k s vorwerfen: so sagen wir von dem, der bei dem, was wir erhaben zu sein urteilen, unbewegt bleibt, er habe kein G e f ü h l . Beides aber fordern wir von jedem Menschen, und 266 setzen es auch, wenn || er einige Kultur hat, an ihm voraus: nur mit dem Unterschiede, daß wir das erstere, weil die Urteilskraft darin die Einbildung bloß auf den Verstand, als Vermögen der Begriffe, bezieht, geradezu von jedermann, das zweite aber, weil sie darin die Einbildungskraft auf Vernunft, als Vermögen der Ideen, bezieht, nur unter einer subjektiven Voraussetzung (die wir aber jedermann ansinnen zu dürfen uns berechtigt glauben) fordern, nämlich der des moralischen Gefühls im Menschen8, und hiemit auch diesem9 ästhetischen Urteile Notwendigkeit beilegen. In dieser Modalität der ästhetischen Urteile, nämlich der angemaßten Notwendigkeit derselben, liegt ein Hauptmoment für die Kritik der Urteilskraft. Denn die10 macht eben an ihnen ein Prinzip a priori kenntlich, und hebt sie aus der empirischen 113 Psychologie, in | welcher11 sie sonst unter den Gefühlen des Vergnügens und Schmerzens (nur mit dem nichtssagenden Beiwort eines f e i n e r n Gefühls) begraben bleiben würden12, um sie, und vermittelst ihrer die Urteilskraft, in die Klasse derer zu stellen, welche Prinzipien a priori zum Grunde haben, als solche aber sie in die Transzendentalphilosophie hinüberzuziehen13.

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da ciascuno insieme al sano intelletto, vale a dire nella pro- 112 pensione al sentimento per le idee (pratiche), cioè al sentimento morale. Ora, è su questo che si fonda la necessità che il giudizio altrui sul sublime consenta con il nostro, una necessità che noi includiamo nello stesso tempo nel nostro stesso giudizio. Infatti, così come noi rimproveriamo mancanza di g u s t o a chi è indifferente nella valutazione di un oggetto della natura che noi troviamo bello, così noi diciamo di chi, di fronte a ciò che noi giudichiamo essere sublime, resta impassibile, non ha alcun s e n t i m e n t o . Ma gusto e sentimento li esigiamo entrambi da ogni uomo, anzi li presupponiamo se costui ha 266 una qualche cultura, con questa sola differenza: che il gusto noi lo esigiamo senz’altro da ciascuno poiché qui la forza di giudizio riferisce l’immaginazione semplicemente all’intelletto come facoltà dei concetti, mentre il sentimento, poiché riferisce la forza di immaginazione alla ragione come facoltà delle idee, noi lo esigiamo soltanto con una presupposizione soggettiva (che ci crediamo tuttavia legittimati a poter richiedere a ciascuno), cioè quella del sentimento morale nell’uomo: ed è così che noi attribuiamo necessità anche a questo giudizio estetico. In questa modalità dei giudizi estetici, cioè nella loro pretesa necessità, risiede il momento capitale per la critica della forza di giudizio. Infatti proprio in quelli essa rende riconoscibile un principio a priori e li affranca dalla psicologia empirica, in cui altrimenti sarebbero rimasti sepolti tra i 113 sentimenti del soddisfacimento e del dolore (soltanto con l’attributo, che non vuol dire niente, di un sentimento p i ù r a f f i n a t o ), per porli, e per mezzo loro la forza di giudizio, nella classe dei giudizi che hanno a loro fondamento principi a priori e, in quanto tali, trasferirli nella filosofia trascendentale.

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Allgemeine Anmerkung zur Exposition der ästhetischen reflektierenden Urteile In Beziehung auf das Gefühl der Lust ist ein Gegenstand entweder zum A n g e n e h m e n , oder S c h ö n e n , oder E r h a b e n e n , oder G u t e n (schlechthin) zu zählen (iucundum, pulchrum, sublime, honestum). Das A n g e n e h m e ist, als Triebfeder der Begierden, durchgängig von einerlei Art, woher es auch kommen, und wie spezifisch-verschieden auch die Vorstellung (des Sinnes und der Empfindung, objektiv betrachtet) sein mag. Daher kommt es bei der Beurteilung des Einflusses desselben auf das Gemüt nur auf die Menge der Reize (zugleich und nach einander), und gleichsam nur auf die Masse der angenehmen Empfindung an; und diese läßt sich also durch nichts als die Q u a n t i t ä t verständlich machen. Es kultiviert auch nicht, sondern gehört zum bloßen Genusse. — Das S c h ö n e erfordert dagegen die Vorstellung einer gewissen Q u a l i t ä t des Objekts, die sich auch verständlich machen, und auf Begriffe bringen läßt (wiewohl es im ästhetischen Urteile darauf nicht gebracht wird); und kultiviert, indem es zugleich auf Zweckmäßigkeit im Gefühle der 114 Lust Acht zu haben lehrt. — Das E r | h a b e n e besteht bloß in 267 der R e l a t i o n , worin1 || das Sinnliche in der Vorstellung der Natur für einen möglichen übersinnlichen Gebrauch desselben als tauglich beurteilt wird. — Das S c h l e c h t h i n - G u t e , subjektiv nach dem Gefühle, welches es einflößt, beurteilt, (das Objekt des moralischen Gefühls) als die Bestimmbarkeit der Kräfte des Subjekts durch die Vorstellung eines s c h l e c h t h i n - n ö t i g e n d e n Gesetzes, unterscheidet sich vornehmlich durch die M o d a l i t ä t einer auf Begriffen a priori beruhenden Notwendigkeit, die nicht bloß A n s p r u c h , sondern auch G e b o t des Beifalls für jedermann in sich enthält, und gehört an sich zwar nicht für die ästhetische, sondern die2 reine intellektuelle Urteilskraft; wird auch nicht in einem bloß reflektierenden, sondern bestimmenden Urteile, nicht der Natur, sondern der Freiheit beigelegt. Aber die B e s t i m m b a r k e i t d e s S u b j e k t s durch diese Idee, und zwar eines Subjekts, welches

NOTA GENERALE ALL’ESPOSIZIONE DEI GIUDIZI RIFLETTENTI ESTETICI

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NOTA GENERALE ALL’ESPOSIZIONE DEI GIUDIZI RIFLETTENTI ESTETICI

In riferimento al sentimento del piacere, un oggetto è da ascrivere o al g r a d e v o l e , o al b e l l o , o al s u b l i m e , o al b u o n o (assolutamente) (iucundum, pulchrum, sublime, honestum). Il g r a d e v o l e , in quanto movente delle voglie, è sempre di una sola specie, qualunque possa essere la sua provenienza e per quanto possa essere specificamente diversa anche la rappresentazione (del senso e della sensazione, considerata oggettivamente). Perciò, nel valutare la sua influenza sull’animo, conta solo la moltitudine degli stimoli (simultanei e successivi) e per così dire solo la massa della sensazione gradevole, che può dunque essere resa comprensibile da null’altro se non dalla q u a n t i t à . Ma il gradevole non affina la cultura, bensì rientra nel semplice godimento. — Il b e l l o esige invece la rappresentazione di una certa q u a l i t à dell’oggetto, che può anche essere resa comprensibile e ricondotta a concetti (benché ricondotta non lo sia nel giudizio estetico); e il bello affina la cultura, insegnando, nel contempo, a prestare attenzione alla conformità al fine nel sentimento del piacere. 114 — Il s u b l i m e consiste semplicemente nella r e l a z i o n e nella quale il sensibile, nella rappresentazione della natura, 267 viene valutato come adatto per un suo possibile uso soprasensibile. — L’ a s s o l u t a m e n t e b u o n o , valutato soggettivamente secondo il sentimento che inspira (l’oggetto del sentimento morale) come determinabilità delle forze del soggetto mediante la rappresentazione di una legge a s s o l u t a m e n t e n e c e s s i t a n t e , si distingue principalmente per la m o d a l i t à di una necessità che si basa su concetti a priori, la quale contiene in sé non semplicemente la p r e t e s a , ma anche per ciascuno un c o m a n d o dell’approvazione, e per se stesso conviene alla pura forza intellettuale di giudizio, non certo a quella estetica; inoltre non viene attribuito a un giudizio semplicemente riflettente, ma a un giudizio determinante, non alla natura, bensì alla libertà. Ma la d e t e r m i n a b i l i t à d e l s o g g e t t o da parte di quest’idea, e più precisamente di un

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

in sich an der Sinnlichkeit H i n d e r n i s s e , zugleich aber Überlegenheit über dieselbe durch die Überwindung derselben als M o d i f i k a t i o n s e i n e s Z u s t a n d e s empfinden kann, d. i. das moralische Gefühl, ist doch mit der ästhetischen Urteilskraft und deren f o r m a l e n B e d i n g u n g e n sofern verwandt, daß es dazu dienen kann, die Gesetzmäßigkeit der Handlung aus Pflicht zugleich als ästhetisch, d. i. als erhaben, oder auch als schön vorstellig zu machen, ohne an seiner Reinigkeit einzubüßen: welches nicht Statt findet, wenn man es mit dem Gefühl des Angenehmen in natürliche Verbindung setzen wollte. Wenn man das Resultat aus der bisherigen Exposition beiderlei Arten ästhetischer Urteile zieht, so würden sich daraus folgende kurze Erklärungen ergeben: S c h ö n ist das, was in der bloßen Beurteilung (also nicht 115 vermittelst der Empfindung des Sinnes nach einem | Begriffe des Verstandes) gefällt. Hieraus folgt von selbst, daß es ohne alles Interesse gefallen müsse. E r h a b e n ist das, was durch seinen Widerstand gegen das Interesse der Sinne unmittelbar gefällt. Beide, als Erklärungen ästhetischer allgemeingültiger Beurteilung, beziehen sich auf subjektive Gründe, nämlich einerseits der Sinnlichkeit, so wie sie zugunsten des kontemplativen Verstandes, andererseits, wie sie w i d e r dieselbe, dagegen für3 die Zwecke der praktischen Vernunft, und doch beide in demselben Subjekte vereinigt, in Beziehung auf das moralische Gefühl zweckmäßig sind. Das Schöne bereitet uns vor, etwas, selbst die Natur, ohne Interesse zu lieben; das Erhabene, es, selbst wider unser (sinnliches) Interesse, hochzuschätzen. || 268 Man kann das Erhabene so beschreiben: es ist ein Gegenstand (der Natur), d e s s e n Vo r s t e l l u n g d a s G e m ü t bestimmt, sich die Unerreichbarkeit der Natur als Darstellung von Ideen zu denken. Buchstäblich genommen, und logisch betrachtet, können Ideen nicht dargestellt werden. Aber, wenn wir unser empirisches Vorstellungsvermögen (mathematisch, oder dynamisch) für die Anschauung der Natur erweitern: so tritt unausbleiblich die Vernunft hinzu, als Vermögen der Independenz der absoluten Totalität, und bringt die, obzwar vergebliche, Bestrebung des Gemüts hervor, die Vorstellung der Sinne diesen4 angemes-

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soggetto che può sentire o s t a c o l i dentro di sé nella sensibilità, nello stesso tempo tuttavia anche prova la propria superiorità su questi stessi ostacoli oltrepassandoli quale m o d i f i c a z i o n e d e l s u o s t a t o ; in altri termini: il sentimento morale è in tanto affine alla forza estetica di giudizio e alle sue c o n d i z i o n i f o r m a l i in quanto può servire per rendere rappresentabile nello stesso tempo come estetica, cioè come sublime o anche come bella, la conformità alla legge dell’azione compiuta per dovere, senza rimetterci la sua purezza: ciò non avrebbe luogo se si volesse porlo in un collegamento naturale con il sentimento del gradevole. Tirando le somme dalla precedente esposizione delle due specie di giudizi estetici, si potrebbero ottenere le brevi definizioni che seguono: B e l l o è ciò che piace nella semplice valutazione (dunque non per mezzo della sensazione del senso né secondo un con- 115 cetto dell’intelletto)54. Va da sé che deve piacere senza alcun interesse. S u b l i m e è ciò che piace immediatamente per la sua resistenza opposta all’interesse dei sensi. Entrambi, in quanto definizioni di una valutazione estetica valida universalmente, si riferiscono a fondamenti soggettivi: cioè, nel primo caso, della sensibilità, in quanto favoriscono l’intelletto contemplativo, nel secondo caso, c o n t r o la sensibilità stessa, sono invece a favore dei fini della ragione pratica; entrambi sono però uniti nel medesimo soggetto, sono conformi al fine in riferimento al sentimento morale. Il bello ci prepara ad amare qualcosa, anche la natura, senza interesse; il sublime a stimarlo, perfino contro il nostro interesse (sensibile). Si può descrivere il sublime così: è un oggetto (della natu- 268 ra) l a c u i r a p p r e s e n t a z i o n e d e t e r m i n a l ’ a n i m o a pensare all’irraggiungibilità della natura come esibizione di idee. Letteralmente, e da un punto di vista logico, le idee non possono essere esibite. Ma quando estendiamo (matematicamente o dinamicamente) la nostra facoltà di rappresentazione empirica per l’intuizione della natura, allora la ragione, come facoltà dell’indipendenza della totalità assoluta, viene immancabilmente ad aggiungersi e produce lo sforzo dell’animo, benché vano, di rendere la rappresentazione dei sensi ade-

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sen zu machen. Diese Bestrebung, und das Gefühl der Unerreichbarkeit der Idee durch die Einbildungskraft, ist selbst eine Darstellung der subjektiven Zweckmäßigkeit unseres Gemüts im Gebrauche der Einbildungskraft für dessen übersinnliche Bestimmung, und nötigt uns, subjektiv die Natur selbst in ihrer 116 Totalität, als Darstellung von etwas Übersinn|lichem, zu d e n k e n , ohne diese Darstellung o b j e k t i v zu Stande bringen zu können. Denn das werden wir bald inne, daß der Natur im Raume und der5 Zeit das Unbedingte, mithin auch die absolute Größe, ganz abgehe, die doch von der gemeinsten Vernunft verlangt wird. Eben dadurch werden wir auch erinnert, daß wir es nur mit einer Natur als Erscheinung zu tun haben, und diese selbst noch als bloße Darstellung einer Natur an sich (welche die Vernunft in der Idee hat) müsse angesehen werden. Diese Idee des Übersinnlichen aber6, die wir zwar nicht weiter bestimmen, mithin die Natur als Darstellung derselben nicht e r k e n n e n , sondern nur d e n k e n können, wird in uns durch einen Gegenstand erweckt, dessen ästhetische Beurteilung die Einbildungskraft bis zu ihrer Grenze, es sei der Erweiterung (mathematisch), oder ihrer Macht über das Gemüt (dynamisch), anspannt, indem sie sich auf dem Gefühle einer Bestimmung desselben gründet, welche das Gebiet der ersteren gänzlich überschreitet (dem moralischen Gefühl7), in Ansehung dessen die Vorstellung des Gegenstandes als subjektiv-zweckmäßig beurteilt wird. In der Tat läßt sich ein Gefühl für das Erhabene der Natur nicht wohl denken, ohne eine Stimmung des Gemüts, die der zum Moralischen ähnlich ist, damit zu verbinden; und, obgleich die unmittelbare Lust am Schönen der Natur gleichfalls eine gewisse L i b e r a l i t ä t der Denkungsart, d. i. Unabhängigkeit des Wohlgefallens vom bloßen Sinnengenusse, voraussetzt und kultiviert, so wird dadurch doch mehr die Freiheit im S p i e l e , als unter einem gesetzlichen G e s c h ä f t e vorgestellt: welches 269 die || echte Beschaffenheit der Sittlichkeit des Menschen ist, wo die Vernunft der Sinnlichkeit Gewalt antun muß, nur daß im 117 ästhetischen Urteile | über das Erhabene diese Gewalt durch die Einbildungskraft selbst, als durch ein Werkzeug8 der Vernunft, ausgeübt vorgestellt wird.

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guata alle idee. Questo sforzo, e il sentimento della irraggiungibilità delle idee mediante la forza di immaginazione, è essa stessa, nell’uso della forza di immaginazione, una esibizione della conformità soggettiva al fine del nostro animo per la sua destinazione soprasensibile, e ci costringe così a p e n s a r e soggettivamente la natura stessa nella sua totalità come esibizione di qualcosa di soprasensibile senza che si possa realizza- 116 re o g g e t t i v a m e n t e questa esibizione. Infatti ci accorgiamo ben presto del fatto che alla natura nello spazio e nel tempo manca del tutto l’incondizionato, e dunque anche la grandezza assoluta che pure è richiesta dalla ragione più comune. Proprio per questo ci viene anche ricordato che abbiamo a che fare solo con una natura come fenomeno e che essa stessa deve essere considerata poi come semplice esibizione di una natura in sé (che la ragione possiede nell’idea). Ma questa idea del soprasensibile, che in verità non possiamo determinare ulteriormente, e di conseguenza non possiamo c o n o s c e r n e la natura come sua esibizione, ma semplicemente p e n s a r l a , viene risvegliata in noi da un oggetto la cui valutazione estetica tende la forza di immaginazione fino ai suoi limiti, sia della estensione (matematicamente) sia della sua potenza sull’animo (dinamicamente), dato che questa valutazione si fonda sul sentimento di una destinazione dell’animo (cioè sul sentimento morale) che supera completamente il dominio della forza di immaginazione, un sentimento nei confronti del quale la rappresentazione dell’oggetto è valutata come soggettivamente conforme al fine. Di fatto non si può certamente pensare un sentimento per il sublime della natura senza collegarvi una disposizione dell’animo che è simile a quella per ciò che è morale; e benché il piacere immediato per il bello della natura presupponga e coltivi pure una certa l i b e r a l i t à nel modo di pensare, cioè l’indipendenza del compiacimento nei confronti del semplice godimento dei sensi, la libertà viene con ciò rappresentata più nel g i o c o che in un i m p e g n o imposto dalla legge: impegno che è l’autentica proprietà costitutiva della moralità 269 dell’uomo, in cui la ragione deve far violenza alla sensibilità, solo che nel giudizio estetico sul sublime questa violenza è 117 rappresentata come esercitata dalla forza di immaginazione stessa in quanto strumento della ragione.

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Das Wohlgefallen am Erhabenen der Natur ist daher auch nur n e g a t i v (statt dessen das am Schönen p o s i t i v ist), nämlich ein Gefühl der Beraubung der Freiheit der Einbildungskraft durch sie selbst, indem sie nach einem andern Gesetze, als dem des empirischen Gebrauchs, zweckmäßig bestimmt wird. Dadurch bekommt sie eine Erweiterung und Macht, welche größer ist, als die, welche sie9 aufopfert, deren Grund aber ihr selbst verborgen ist, statt dessen sie die Aufopferung oder die Beraubung, und zugleich die Ursache f ü h l t , der sie unterworfen wird. Die Ve r w u n d e r u n g , die an Schreck grenzt, das Grausen und der heilige Schauer, welcher den Zuschauer bei dem Anblicke himmelansteigender Gebirgsmassen, tiefer Schlünde und darin tobender Gewässer, tiefbeschatteter, zum schwermütigen Nachdenken einladender Einöden u.s.w. ergreift, ist, bei der Sicherheit, worin10 er sich weiß, nicht wirkliche Furcht, sondern nur ein Versuch, uns mit der Einbildungskraft darauf einzulassen, um die Macht ebendesselben Vermögens zu fühlen, die dadurch erregte Bewegung des Gemüts mit dem Ruhestande desselben zu verbinden, und so der Natur in uns selbst, mithin auch der außer uns, sofern sie auf das Gefühl unseres Wohlbefindens Einfluß haben kann, überlegen zu sein. Denn die Einbildungskraft nach dem Assoziationsgesetze macht unseren Zustand der Zufriedenheit physisch abhängig; aber eben dieselbe nach Prinzipien des Schematisms der Urteilskraft (folglich sofern der Freiheit untergeordnet) ist Werkzeug der Vernunft und ihrer Ideen, als solches aber eine Macht, unsere Unabhängigkeit gegen die Natureinflüsse zu behaupten, das, was 118 nach der11 | ersteren12 groß ist, als klein abzuwürdigen, und so das Schlechthin-Große nur in seiner (des Subjekts) eigenen Bestimmung zu setzen. Diese Reflexion der ästhetischen Urteilskraft, sich zur13 Angemessenheit mit der Vernunft (doch ohne14 einen bestimmten Begriff derselben) zu erheben, stellt den Gegenstand, selbst durch die objektive Unangemessenheit der Einbildungskraft, in ihrer größten Erweiterung für die Vernunft (als Vermögen der Ideen), doch15 als subjektiv-zweckmäßig vor. Man muß hier überhaupt darauf Acht haben, was oben schon erinnert worden ist16, daß in der transzendentalen Ästhe-

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Il compiacimento per il sublime della natura è perciò soltanto n e g a t i v o (mentre quello per il bello è p o s i t i v o ): infatti è un sentimento secondo il quale la forza di immaginazione si priva essa stessa della libertà, in quanto essa è determinata in maniera conforme al fine secondo un’altra legge, diversa da quella dell’uso empirico. In tal modo essa acquisisce una estensione e una potenza più grandi di quelle che essa sacrifica, ma il cui fondamento è nascosto a lei stessa, mentre essa s e n t e il sacrificio o la privazione e nello stesso tempo la causa a cui è sottoposta. La m e r a v i g l i a , che confina con lo spavento, l’orrore e il sacro brivido che colgono lo spettatore alla vista di masse montuose che si elevano fino al cielo, di gole profonde dove le acque si scatenano furiose, di eremi avvolti nell’ombra che invitano a meditazioni malinconiche, ecc., non suscitano un reale timore per chi sa di essere al sicuro, ma sono solo un mettersi alla prova abbandonandosi alla forza di immaginazione per sentire la potenza di questa facoltà nel collegare il moto dell’animo così suscitato con il suo stato di riposo ed essere in tal modo superiori alla natura in noi stessi, e di conseguenza anche a quella fuori di noi, in quanto essa può influire sul sentimento del nostro benessere. Infatti la forza di immaginazione, secondo la legge dell’associazione, rende il nostro stato di soddisfazione dipendente da fattori fisici; ma la stessa facoltà, secondo i principi dello schematismo della forza di giudizio (conseguentemente in quanto subordinata alla libertà), è strumento della ragione e delle sue idee e allora è come tale una potenza in grado di affermare la nostra indipendenza nei confronti degli influssi della natura, di disdegnare come piccolo ciò che appare gran- 118 de secondo il primo senso di immaginazione e così di situare l’assolutamente grande solo nella sua propria destinazione (quella del soggetto). Questa riflessione della forza estetica di giudizio per elevarsi fino all’adeguatezza con la ragione (senza possedere tuttavia un concetto determinato di questa) rappresenta però l’oggetto come soggettivamente conforme al fine, pur mediante l’oggettiva inadeguatezza della forza di immaginazione nella sua massima estensione nei riguardi della ragione (come facoltà delle idee). Qui occorre in generale prestare attenzione soprattutto al fatto che, come si è già ricordato in precedenza, nell’estetica

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|| lediglich von reinen ästhetischen Urteilen die Rede sein müsse, folglich die Beispiele nicht von solchen schönen oder erhabenen Gegenständen der Natur hergenommen werden dürfen, die den Begriff von einem Zwecke voraussetzen; denn alsdann würde es entweder teleologische, oder sich auf bloßen Empfindungen eines Gegenstandes (Vergnügen oder Schmerz) gründende, mithin im ersteren Falle nicht ästhetische, im zweiten nicht bloße formale Zweckmäßigkeit sein. Wenn man also den Anblick des bestirnten Himmels e r h a b e n nennt, so muß man der Beurteilung desselben nicht Begriffe von Welten, von vernünftigen17 Wesen bewohnt, und nun die hellen Punkte, womit wir den Raum über uns erfüllt sehen, als ihre Sonnen, in sehr zweckmäßig für sie gestellten Kreisen bewegt, zum Grunde legen, sondern bloß, wie man ihn sieht, als ein weites Gewölbe, was18 alles befaßt; und bloß unter diese19 Vorstellung müssen wir die Erhabenheit setzen, die ein reines ästhetisches Urteil diesem Gegenstande beilegt. Eben so den Anblick des Ozeans nicht so, wie wir, mit allerlei Kenntnissen (die aber nicht in der unmittelbaren Anschauung enthalten sind) bereichert ihn d e n k e n ; etwa als ein weites Reich von 119 Wassergeschö|pfen, als den20 großen Wasserschatz für die Ausdünstungen, welche die Luft mit Wolken zum Behuf der Länder beschwängern, oder auch als ein Element, das zwar Weltteile von einander trennt, gleichwohl aber die größte Gemeinschaft unter ihnen möglich macht: denn21 das gibt lauter teleologische Urteile; sondern man muß den Ozean bloß, wie die Dichter es tun, nach dem, was der Augenschein zeigt, etwa, wenn er in Ruhe betrachtet wird, als einen klaren Wasserspiegel, der bloß vom Himmel begrenzt ist, aber ist er unruhig, wie einen alles zu verschlingen drohenden Abgrund, dennoch erhaben finden können. Eben das ist von dem Erhabenen und Schönen in der Menschengestalt zu sagen, wo wir nicht auf Begriffe der Zwecke, w o z u alle seine Gliedmaßen da sind, als Bestimmungsgründe des Urteils zurücksehen, und die Zusammenstimmung mit ihnen auf unser (alsdann nicht mehr reines) ästhetisches Urteil nicht e i n f l i e ß e n lassen müssen, obgleich, daß sie jenen nicht widerstreiten, freilich eine notwendige Bedingung auch des ästhetischen Wohlgefallens ist. Die ästheti270 tik der Urteilskraft

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trascendentale della forza di giudizio si deve trattare esclusi- 270 vamente di giudizi estetici puri e di conseguenza gli esempi possono essere improntati non da quegli oggetti belli o sublimi della natura che presuppongono il concetto di un fine; infatti si tratterebbe allora o di una conformità teleologica al fine o di una conformità al fine che si fonda sulle semplici sensazioni di un oggetto (soddisfacimento o dolore), e di conseguenza di una conformità al fine non estetica nel primo caso, non semplicemente formale nel secondo. In tal senso, quando si dice s u b l i m e la vista del cielo stellato, si deve porre a fondamento della sua valutazione non concetti di mondi abitati da esseri razionali e quindi quei punti luminosi di cui vediamo riempito lo spazio sopra di noi come i loro soli, mondi che si muovono in orbite stabilite dotate per essi di un fine ben chiaro, ma guardarlo semplicemente come lo si vede, come una vasta volta che comprende tutto; e soltanto in base a questa rappresentazione dobbiamo porre la sublimità che un puro giudizio estetico attribuisce a questo oggetto. Allo stesso modo dobbiamo rappresentarci la vista dell’oceano non nel modo in cui noi lo p e n s i a m o , arricchendolo di conoscenze di ogni sorta (che però non sono contenute nell’intuizione immediata), per esempio come un vasto regno di crea- 119 ture acquatiche, come la grande risorsa d’acqua per i vapori che impregnano l’aria di nubi a vantaggio delle terre o anche come un elemento che pur dividendo l’una dall’altra le parti del mondo rende tuttavia possibile la più grande comunanza tra di esse: tutto ciò dà adito soltanto a giudizi teleologici; invece si deve poter trovare sublime l’oceano semplicemente come fanno i poeti, secondo ciò che si mostra alla vista, scorgendone per esempio, quando lo si vede calmo, un chiaro specchio d’acqua che è limitato solo dal cielo ma, se è agitato, un abisso che minaccia di inghiottire tutto. Lo stesso si deve dire del sublime e del bello presenti nella figura umana, in cui non dobbiamo rivolgerci ai concetti dei fini i n v i s t a d e i q u a l i esistono tutte le sue membra, come se essi fossero principi di determinazione del giudizio, e non dobbiamo far sì che l’armonia con quelli i n f l u i s c a sul nostro giudizio estetico (perché allora esso non sarebbe più puro), benché sia una condizione necessaria anche del compiacimento estetico il fatto che queste membra non contrastino con tali fini. La conformità estetica

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sche Zweckmäßigkeit ist die Gesetzmäßigkeit der Urteilskraft in ihrer F r e i h e i t . Das Wohlgefallen an dem Gegenstande hängt von der Beziehung ab, in welcher wir die Einbildungskraft setzen wollen: nur daß sie für sich selbst das Gemüt in freier Beschäftigung unterhalte. Wenn dagegen etwas anderes, es sei Sin271 nenempfindung, oder Verstandesbegriff, || das Urteil bestimmt: so ist es zwar gesetzmäßig, aber nicht das Urteil einer f r e i e n Urteilskraft. Wenn man also von intellektueller Schönheit oder Erhabenheit spricht, so sind e r s t l i c h diese Ausdrücke nicht ganz richtig, weil es ästhetische Vorstellungsarten sind, die, wenn wir bloße reine Intelligenzen wären (oder uns auch in Gedanken in 120 diese Qualität versetzen), in uns gar nicht anzu|treffen sein würden; z w e i t e n s , obgleich beide, als Gegenstände eines intellektuellen (moralischen) Wohlgefallens, zwar sofern mit dem ästhetischen vereinbar sind, als sie auf keinem Interesse b e r u h e n : so sind sie doch darin wiederum mit diesem schwer zu vereinigen, weil sie ein Interesse b e w i r k e n sollen, welches, wenn die Darstellung zum Wohlgefallen in der ästhetischen Beurteilung zusammenstimmen soll, in dieser niemals anders als durch ein Sinneninteresse, welches man damit in der Darstellung verbindet, geschehen würde, wodurch aber der intellektuellen Zweckmäßigkeit Abbruch geschieht, und sie verunreinigt wird. Der Gegenstand eines reinen und unbedingten intellektuellen Wohlgefallens ist das moralische Gesetz in seiner Macht, die es in uns über alle und jede v o r i h m v o r h e r g e h e n d e Triebfedern des Gemüts ausübt; und, da diese Macht sich eigentlich nur durch Aufopferungen ästhetisch-kenntlich macht (welches eine Beraubung, obgleich zum Behuf der innern Freiheit, ist, dagegen eine unergründliche Tiefe dieses übersinnlichen Vermögens, mit ihren ins Unabsehliche sich erstreckenden Folgen, in uns aufdeckt): so ist das Wohlgefallen von der ästhetischen Seite (in Beziehung auf Sinnlichkeit) negativ, d. i. wider dieses Interesse, von der intellektuellen aber betrachtet positiv, und mit einem Interesse verbunden. Hieraus folgt: daß das intellektuelle, an sich selbst zweckmäßige (das Moralisch-) Gute, ästhetisch beurteilt, nicht sowohl schön, als vielmehr erhaben vorgestellt werden müsse, so daß es mehr das Gefühl der Achtung (welches den Reiz verschmäht), als der Liebe und ver-

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al fine è la conformità della forza di giudizio, nella sua l i b e r t à , alla legge. Il compiacimento per l’oggetto dipende dal riferimento in cui noi vogliamo porre la forza di immaginazione: essa di per se stessa deve solo intrattenere l’animo in una libera attività. Se invece qualche cosa d’altro, che si tratti di una sensazione dei sensi o di un concetto dell’intelletto, determina il giudizio, allora esso ha sì una certa conformità alla 271 legge, ma non è il giudizio di una l i b e r a forza di giudizio. Quando dunque si parla di bellezza o sublimità intellettuali, p r i m a r i a m e n t e queste espressioni non sono del tutto esatte, perché bello e sublime sono specie rappresentative estetiche che non si riscontrerebbero affatto in noi se fossimo semplicemente pure intelligenze (o se anche solo con il pensiero ci immedesimassimo in questa qualità); e s e c o n - 120 d a r i a m e n t e , benché entrambi, come oggetti di un compiacimento intellettuale (morale), siano sì compatibili con il compiacimento estetico in quanto non si b a s a n o su alcun interesse, invece sono tuttavia difficilmente conciliabili con esso poiché essi devono p r o d u r r e un interesse: cosa che, se la esibizione deve armonizzarsi con il compiacimento nella valutazione estetica, non potrebbe mai avvenire in questa valutazione se non attraverso un interesse dei sensi che gli sia collegato nella esibizione, ma ciò nuocerebbe alla conformità intellettuale al fine, la quale perderebbe la sua purezza. L’oggetto di un compiacimento intellettuale puro e incondizionato è la legge morale nella sua potenza, che essa esercita in noi su tutti e su ciascuno dei moventi dell’animo c h e l a p r e c e d o n o ; e siccome questa potenza si rende esteticamente nota propriamente solo mediante sacrifici (il che è una privazione, benché a beneficio della libertà interiore, ma per contro rivela invece in noi l’insondabile profondità di questa facoltà soprasensibile con le sue conseguenze che si estendono fino all’incalcolabile), allora il compiacimento è negativo dal lato estetico (in riferimento alla sensibilità), cioè in contrasto con questo interesse; mentre, se considerato dal lato intellettuale, esso è positivo ed è collegato con un interesse. Ne risulta che il bene intellettuale (morale), in se stesso conforme al fine, deve essere rappresentato, se lo si valuta esteticamente, non tanto come bello quanto piuttosto come sublime, cosicché esso risveglia più il sentimento del rispetto (che

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traulichen Zuneigung erwecke; weil die menschliche Natur nicht so von selbst, sondern nur durch Gewalt, welche die22 Vernunft der Sinnlichkeit antut, zu jenem Guten zusammenstimmt. Umgekehrt wird auch das, was wir in der Natur außer 121 uns, oder auch | in uns (z. B. gewisse Affekten), erhaben nennen, nur als eine Macht des Gemüts, sich über g e w i s s e Hindernisse23 der Sinnlichkeit durch moralische Grundsätze24 zu schwingen, vorgestellt, und dadurch interessant werden. Ich will bei dem letztern etwas verweilen. Die Idee des Gu272 ten mit || Affekt heißt der E n t h u s i a s m . Dieser Gemütszustand scheint erhaben zu sein, dermaßen, daß man gemeiniglich vorgibt: ohne ihn könne nichts Großes ausgerichtet werden. Nun ist aber jeder Affekt* blind, entweder in der Wahl seines Zwecks, oder, wenn dieser auch durch Vernunft gegeben worden, in der Ausführung desselben; denn er ist diejenige Bewegung des Gemüts, welche es unvermögend macht, freie Überlegung der Grundsätze anzustellen, um sich darnach zu bestimmen25. Also kann er auf keinerlei Weise ein Wohlgefallen der Vernunft verdienen. Ästhetisch gleichwohl ist der Enthusiasm erhaben, weil er eine Anspannung der Kräfte durch Ideen ist, welche dem Gemüte einen Schwung geben, der weit mächtiger und dauerhafter wirkt, als der Antrieb durch Sinnenvorstellungen. Aber (welches befremdlich scheint) selbst A f f e k t l o s i g k e i t (apatheia, phlegma in significatu bono) eines seinen un-| 122 wandelbaren Grundsätzen nachdrücklich nachgehenden Gemüts ist, und zwar auf weit vorzüglichere Art, erhaben, weil sie zugleich das Wohlgefallen der reinen Vernunft auf ihrer Seite hat. Eine dergleichen Gemütsart heißt allein e d e l : welcher Ausdruck nachher auch auf Sachen, z. B. Gebäude, ein Kleid, Schreibart, körperlichen Anstand u. d. gl. angewandt wird,

* A f f e k t e n sind von L e i d e n s c h a f t e n spezifisch unterschieden. Jene beziehen sich bloß auf das Gefühl, diese gehören dem Begehrungsvermögen an, und sind Neigungen, welche alle Bestimmbarkeit der Willkür durch Grundsätze erschweren oder unmöglich machen. Jene sind stürmisch und unvorsätzlich, diese anhaltend und überlegt: so ist der Unwille, als Zorn, ein Affekt; aber als Haß (Rachgier) eine Leidenschaft. Die letztere kann niemals und in keinem Verhältnis erhaben genannt werden; weil im Affekt die Freiheit des Gemüts zwar g e h e m m t , in der Leidenschaft aber aufgehoben wird.

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disdegna l’attrattiva) che quello dell’amore e propensione affettuosa; infatti la natura umana si armonizza con quel bene non da se stessa, ma solo mediante la violenza che la ragione esercita sulla sensibilità. Viceversa, ciò che noi chiamiamo sublime nella natura fuori di noi, o anche in noi (per esempio 121 certi affetti), viene rappresentato solo come una potenza dell’animo di protendersi oltre c e r t i ostacoli della sensibilità in forza di principi morali, e per questo diventerà interessante. Desidero soffermarmi un po’ su quest’ultimo punto. L’idea del bene, quando è unita all’affetto, si chiama e n t u s i a - 272 s m o . Questo stato d’animo sembra essere a tal punto sublime che si presume comunemente che senza di esso non possa essere compiuto niente di grande55. Ora, ogni affetto* è cieco o nella scelta del suo fine oppure, qualora questo fine sia stato dato dalla ragione, nella sua messa in opera: infatti esso è quel moto dell’animo che rende incapaci di intraprendere una libera riflessione sui principi per determinarsi secondo essi. In tal senso l’entusiasmo non può in alcun modo meritare un compiacimento della ragione. Tuttavia, esteticamente, l’entusiasmo è sublime perché è una tensione delle forze mediante idee che danno all’animo uno slancio che produce un impulso di gran lunga più potente e durevole di quello ottenuto mediante rappresentazioni sensibili. Ma (e ciò sembra strano) anche l’ a s s e n z a d i a f f e t t o (apatheia, phlegma in significatu bono)57 di un animo che persegua con co- 122 stanza i suoi principi immutabili è sublime e lo è anche in un modo ben più eminente perché ha dalla sua nel contempo il compiacimento della ragione pura. Soltanto una tale indole d’animo si chiama n o b i l e : tale espressione si applica poi anche alle cose, per esempio edifici, un vestito, uno stile di scrittura, un portamento ecc., se queste cose suscitano non * Gli affetti sono specificamente distinti56 dalle passioni. Quelli si riferiscono semplicemente al sentimento, queste appartengono alla facoltà di desiderare e sono inclinazioni che rendono più difficile o impossibile ogni determinabilità dell’arbitrio mediante principi. Quelli sono impetuosi e involontari, queste costanti e meditate: così il risentimento, in quanto collera, è un affetto; ma in quanto odio (brama di vendetta) è una passione. Quest’ultima non può mai e sotto alcun rapporto essere chiamata sublime: infatti nell’affetto la libertà dell’animo è sì i m p e d i t a , ma nella passione è soppressa.

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wenn diese nicht sowohl Ve r w u n d e r u n g (Affekt in der Vorstellung der Neuigkeit, welche die26 Erwartung übersteigt), als B e w u n d e r u n g (eine Verwunderung, die beim Verlust der Neuigkeit nicht aufhört) erregt, welches geschieht, wenn Ideen in ihrer Darstellung unabsichtlich und ohne Kunst zum ästhetischen Wohlgefallen zusammenstimmen. Ein jeder Affekt von der w a c k e r n Art (der nämlich das Bewußtsein unserer Kräfte, jeden Widerstand zu überwinden, (animi strenui) rege macht) ist ä s t h e t i s c h - e r h a b e n , z. B. der Zorn, sogar die Verzweiflung (nämlich die e n t r ü s t e t e , nicht aber die v e r z a g t e ). Der Affekt von der s c h m e l z e n d e n Art aber (welcher die Bestrebung zu widerstehen selbst zum Gegenstande der Unlust (animum languidum) macht) hat 273 nichts E d e l e s || an sich, kann aber zum Schönen der Sinnesart gezählt werden. Daher sind die R ü h r u n g e n , welche bis zum Affekt stark werden können, auch sehr verschieden. Man hat m u t i g e , man hat z ä r t l i c h e Rührungen. Die letztern, wenn sie bis zum Affekt steigen, taugen gar nichts; der Hang dazu heißt die E m p f i n d e l e i . Ein teilnehmender Schmerz, der sich nicht will trösten lassen, oder auf den wir uns, wenn er erdichtete Übel betrifft, bis zur Täuschung durch die Phantasie, als ob es wirkliche wären, vorsätzlich einlassen, beweiset und macht eine weiche aber zugleich schwache Seele, die eine schöne Seite zeigt, und zwar phantastisch, aber nicht einmal enthu123 siastisch | genannt werden kann. Romane, weinerliche Schauspiele, schale Sittenvorschriften, die mit (obzwar fälschlich) sogenannten edlen Gesinnungen tändeln, in der Tat aber das Herz welk, und für die strenge Vorschrift der Pflicht unempfindlich, aller Achtung für die Würde der Menschheit in unserer Person und das Recht der Menschen (welches ganz etwas anderes als ihre Glückseligkeit ist), und überhaupt aller festen Grundsätze unfähig machen; selbst ein Religionsvortrag, welcher kriechende, niedrige Gunstbewerbung und Einschmeichelung empfiehlt, die alles Vertrauen auf eigenes Vermögen zum Widerstande gegen das Böse in uns aufgibt, statt der rüstigen Entschlossenheit, die Kräfte, die uns bei aller unserer Gebrechlichkeit doch noch übrig bleiben, zu Überwindung der Neigungen zu versuchen; die falsche Demut, welche in der Selbstverachtung,

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tanto m e r a v i g l i a (affetto presente nella rappresentazione della novità che supera l’aspettativa) quanto a m m i r a z i o n e (una meraviglia che non termina con il venir meno della novità), il che accade quando le idee si armonizzano, nella loro esibizione inintenzionale e senza arte, con il compiacimento estetico. Ogni affetto attinente alla specie c o r a g g i o s a (quello che suscita in noi la coscienza delle nostre forze di superare ogni resistenza: animi strenui) è e s t e t i c a m e n t e s u b l i m e , per esempio la collera, perfino la disperazione (cioè la disperazione i n d i g n a t a , non certo quella a v v i l i t a ). Invece l’affetto attinente alla specie l a n g u i d a (che trasforma lo sforzo stesso di resistere in oggetto del dispiacere: animum languidum) non ha però nulla di n o b i l e in sé, ma può esse- 273 re ricondotto al bello della specie sensibile. Per questo motivo le e m o z i o n i che possono rafforzarsi fino a diventare affetti sono anche molto diverse. Si hanno emozioni a r d i t e ed emozioni t e n e r e . Queste ultime, quando crescono fino a diventare affetto, non hanno alcuna utilità; la propensione ad esse si chiama s e n t i m e n t a l i s m o . Un dolore colmo di compassione, che non vuol lasciarsi consolare o al quale noi ci abbandoniamo deliberatamente al punto, quando esso riguarda mali immaginari, da ingannarci con la fantasia come se fossero reali, dimostra e forma un’anima dolce, ma nello stesso tempo debole: essa mostra un suo lato bello e può essere detta fantasticante, comunque mai entusiastica. Romanzi, 123 drammi lacrimevoli58, prescrizioni morali insulse che si trastullano con le cosiddette (benché erroneamente) nobili intenzioni, ma che di fatto avvizziscono il cuore e lo rendono insensibile alla prescrizione rigorosa del dovere e incapace di ogni rispetto per la dignità dell’umanità nella nostra persona e per il diritto degli uomini (che è qualcosa di completamente diverso dalla loro felicità), e incapace in generale di ogni saldo principio; persino un sermone religioso che raccomandi la strisciante e bassa ricerca del favore e l’adulazione che rinuncia a ogni fiducia nel nostro potere di resistere al male inscritto in noi, invece della ferma risolutezza di saggiare, per vincere le inclinazioni, le forze che ci restano comunque ancora disponibili malgrado la nostra fragilità; la falsa umiltà che nel disprezzo di sé, nel pentimento piagnucoloso e ipocri-

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in der winselnden erheuchelten Reue, und einer bloß leidenden Gemütsfassung die Art setzt, wie man allein dem höchsten Wesen gefällig werden könne: vertragen sich nicht einmal mit dem, was zur Schönheit, weit weniger aber noch mit dem, was zur Erhabenheit der Gemütsart gezählt werden könnte. Aber auch stürmische Gemütsbewegungen, sie mögen nun, unter dem Namen der Erbauung, mit Ideen der Religion, oder, als bloß zur Kultur gehörig, mit Ideen, die ein gesellschaftliches Interesse enthalten, verbunden werden, können, so sehr sie auch die Einbildungskraft spannen, keinesweges auf die Ehre einer e r h a b e n e n Darstellung Anspruch machen, wenn sie nicht eine Gemütsstimmung zurücklassen, die, wenn gleich nur indirekt, auf das Bewußtsein seiner Stärke und Entschlossenheit zu dem, was reine intellektuelle Zweckmäßigkeit bei sich führt (dem Übersinnlichen), Einfluß hat. Denn sonst gehören alle diese Rührungen nur zur M o t i o n , welche man der Gesund124 heit wegen | gerne hat. Die angenehme Mattigkeit, welche auf eine solche Rüttelung durch das Spiel der Affekten folgt, ist ein 274 Ge||nuß des Wohlbefindens aus dem hergestellten Gleichgewichte der mancherlei Lebenskräfte in uns: welcher am Ende auf dasselbe hinausläuft, als derjenige, den die Wollüstlinge des Orients so behaglich finden, wenn sie ihren Körper gleichsam durchkneten, und alle ihre Muskeln und Gelenke sanft drücken und biegen lassen; nur daß dort das bewegende Prinzip größtenteils in uns, hier hingegen gänzlich außer uns ist. Da glaubt sich nun mancher durch eine Predigt erbaut, indem27 doch nichts aufgebauet (kein System guter Maximen) ist; oder durch ein Trauerspiel gebessert, der bloß über glücklich vertriebne Langeweile froh ist. Also muß das Erhabene jederzeit Beziehung auf die D e n k u n g s a r t haben, d. i. auf Maximen, dem Intellektuellen und den Vernunftideen über die Sinnlichkeit Obermacht zu verschaffen. Man darf nicht besorgen, daß das Gefühl des Erhabenen durch eine dergleichen abgezogene Darstellungsart, die in Ansehung des Sinnlichen gänzlich negativ wird, verlieren werde; denn die Einbildungskraft, ob sie zwar über das Sinnliche hinaus nichts findet, woran sie sich halten kann, fühlt sich doch auch eben durch diese Wegschaffung der Schranken derselben unbegrenzt: und jene Absonderung ist also eine Darstellung des

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ta e in una condizione d’animo puramente passiva, ripone l’unico modo di poter riuscire graditi all’essere supremo: tutto questo non è compatibile con ciò che potrebbe essere ascritto alla bellezza, ma ancor meno poi alla sublimità dell’indole propria dell’animo. Ma anche i moti tumultuosi dell’animo, sia che vengano collegati, sotto il nome di edificazione, con idee della religione o, in quanto riguardanti solo la cultura, con idee che contengono un interesse sociale, non possono affatto pretendere all’onore di una esibizione s u b l i m e , per quanto fortemente pongano in tensione la forza di immaginazione, se essi non lasciano dietro di sé una disposizione d’animo che, seppure soltanto indirettamente, abbia influenza sulla coscienza delle sue forze e della sua risolutezza rispetto a ciò che comporta una pura conformità intellettuale al fine (per il soprasensibile). Infatti, altrimenti, tutte queste emozioni convengono solo al m o t o che si apprezza volentieri per motivi di salute. La 124 gradevole spossatezza che segue a un tale sconquasso provocato dal gioco degli affetti è un godimento del benessere che 274 deriva dall’equilibrio così ristabilito tra le varie forze vitali in noi: tale godimento alla fin fine si identifica con quello ritenuto così piacevole dai voluttuosi orientali quando si fanno, per così dire, impastare ben bene il corpo, premere e flettere con dolcezza tutti i muscoli e le articolazioni; solo che nel primo caso il principio motore è soprattutto in noi, mentre nel secondo caso è del tutto fuori di noi. Così qualcuno si crede edificato da una predica, mentre nulla è stato costruito (nessun sistema di buone massime); o si crede migliorato da una tragedia chi è semplicemente contento di aver scacciato felicemente la noia. Così il sublime deve sempre avere un riferimento al m o d o d i p e n s a r e , cioè a massime in grado di procurare a ciò che è intellettuale e alle idee della ragione la supremazia sulla sensibilità. Non ci si deve preoccupare del fatto che il sentimento del sublime vada smarrito per una specie così astratta di esibizione che diventa del tutto negativa nei confronti del sensibile; infatti la forza di immaginazione, benché non trovi proprio nulla al di là del sensibile a cui possa attenersi, si sente tuttavia illimitata anche proprio per questa rimozione dei suoi confini: e così questa astrazione è una esibizione dell’infinito

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Unendlichen, welche zwar eben darum niemals anders28 als bloß negative Darstellung sein kann, die aber doch die Seele erweitert. Vielleicht gibt es keine erhabenere Stelle im Gesetzbuche der Juden, als das Gebot: Du sollst dir kein Bildnis machen, noch irgend ein Gleichnis, weder dessen was im Himmel, noch auf der Erden, noch unter der Erden ist u.s.w. Dieses Gebot allein kann den Enthusiasm erklären, den das jüdische Volk in seiner gesitteten Epoche29 für seine Religion fühlte, 125 wenn es sich mit andern | Völkern verglich, oder denjenigen Stolz, den der Mohammedanism einflößt. Eben dasselbe gilt auch von der Vorstellung des moralischen Gesetzes und der Anlage zur Moralität in uns. Es ist eine ganz irrige Besorgnis, daß, wenn man sie alles dessen beraubt, was sie den Sinnen empfehlen kann, sie alsdann keine andere, als kalte leblose Billigung, und keine bewegende Kraft oder Rührung bei sich führen würde. Es ist gerade umgekehrt; denn da, wo nun die Sinne nichts mehr vor sich sehen, und die unverkennliche und unauslöschliche Idee der Sittlichkeit dennoch übrig bleibt, würde es eher nötig sein, den Schwung einer unbegrenzten Einbildungskraft zu mäßigen, um ihn nicht bis zum Enthusiasm steigen zu lassen, als, aus Furcht vor Kraftlosigkeit dieser Ideen, für sie in Bildern und kindischem Apparat Hülfe zu suchen. Daher haben 275 auch die30 Regie||rungen gerne erlaubt, die Religion mit dem letztern Zubehör reichlich versorgen zu lassen, und so dem Untertan die Mühe, zugleich aber auch das Vermögen zu benehmen gesucht, seine Seelenkräfte über die Schranken auszudehnen, die man ihm willkürlich setzen, und wodurch man ihn, als bloß passiv, leichter behandeln kann. Diese reine, seelenerhebende, bloß negative Darstellung der Sittlichkeit bringt dagegen keine Gefahr der S c h w ä r m e r e i , welche e i n Wa h n i s t , ü b e r a l l e G r e n z e d e r S i n n l i c h k e i t 31 h i n a u s e t w a s s e h e n , d. i. nach Grundsätzen träumen (mit Vernunft rasen) zu w o l l e n ; eben darum, weil die Darstellung bei jener bloß negativ ist. Denn d i e U n e r f o r s c h l i c h k e i t d e r I d e e d e r F r e i h e i t schneidet aller positiven Darstellung gänzlich den Weg ab: das moralische Gesetz aber ist an sich selbst in uns hinreichend und ursprünglich bestimmend, so daß es nicht einmal erlaubt, uns nach ei-

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che proprio per questo non può certo mai essere altro che una esibizione semplicemente negativa, che tuttavia estende l’anima. Forse non c’è nel libro della legge degli ebrei un passo più sublime del comandamento: «Non devi farti alcuna immagine o figura alcuna né di ciò che è in cielo, né sulla terra, né sotto terra» ecc.59 Solo questo comandamento può spiegare l’entusiasmo che il popolo ebraico, all’epoca della sua maggiore civiltà, sentiva per la propria religione quando si confrontava con altri popoli, o ancora quella fierezza che 125 ispira la religione maomettana. La stessa cosa vale anche per la rappresentazione della legge morale e per la propensione alla moralità in noi. È una provocazione del tutto fuorviante temere che, se si toglie tutto ciò che può raccomandare la moralità ai sensi, essa allora non comporterebbe alcun’altra approvazione se non fredda e senza vita, e nessuna forza motrice o emozione. È proprio il contrario: infatti, laddove i sensi non vedono più niente davanti a sé e tuttavia rimane presente l’idea inconfondibile e incancellabile della moralità, sarebbe semmai ben più necessario moderare lo slancio di una forza di immaginazione senza limiti, per non lasciarlo intensificare fino all’entusiasmo, piuttosto che cercare, in immagini e in un puerile apparato, di venire in suo aiuto per paura che queste idee siano prive di forza. Perciò anche i governi hanno volentieri permesso alla religione di dotarsi 275 riccamente di tali accessori e hanno anche cercato di togliere al suddito la fatica, ma nel contempo anche la facoltà di estendere le proprie forze dell’anima oltre i confini che possono essergli arbitrariamente imposti e per mezzo dei quali lo si può più agevolmente manipolare come meramente passivo. Questa esibizione della moralità che è pura, semplicemente negativa e che eleva l’anima, non comporta invece alcun rischio di f a n a t i s m o , che è l a f o l l i a consistente nel v o ler vedere qualcosa oltre tutti i limiti della s e n s i b i l i t à , cioè nel voler sognare secondo principi (delirare con la ragione), e questo proprio perché in quel caso l’esibizione è semplicemente negativa. Infatti l ’ i n s o n d a b i l i t à d e l l ’ i d e a d e l l a l i b e r t à preclude del tutto la via di ogni esibizione positiva: la legge morale è però da se stessa sufficientemente e originariamente determinante in noi, cosicché non permette mai che si vada in cerca di un principio

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126 nem Bestimmungsgrunde außer demselben umzusehen. Wenn

der Enthusiasm mit dem Wa h n s i n n , so ist die Schwärmerei mit dem Wa h n w i t z zu vergleichen, wovon der letztere sich unter allen am wenigsten mit dem Erhabenen verträgt, weil er grüblerisch lächerlich ist. Im Enthusiasm, als Affekt, ist die Einbildungskraft zügellos; in der Schwärmerei, als eingewurzelter brütender Leidenschaft, regellos. Der erstere ist vorübergehender Zufall, der den gesundesten Verstand bisweilen wohl betrifft; der zweite eine Krankheit, die ihn zerrüttet. E i n f a l t (kunstlose Zweckmäßigkeit) ist gleichsam der Stil der Natur im Erhabenen, und so auch der Sittlichkeit, welche eine zweite (übersinnliche) Natur ist, wovon32 wir nur die Gesetze kennen, ohne das übersinnliche Vermögen in uns selbst33, was34 den Grund dieser Gesetzgebung enthält, durch Anschauen erreichen zu können. Noch ist anzumerken, daß, obgleich das Wohlgefallen am Schönen eben sowohl, als das am Erhabenen, nicht allein durch allgemeine M i t t e i l b a r k e i t unter den andern ästhetischen Beurteilungen kenntlich unterschieden ist35, sondern auch durch36 diese Eigenschaft, in Beziehung auf Gesellschaft (in der es sich mitteilen läßt), ein Interesse bekommt, gleichwohl doch auch die A b s o n d e r u n g v o n a l l e r G e s e l l s c h a f t als etwas Erhabenes angesehen werde, wenn sie auf Ideen beruht, welche über alles sinnliche Interesse hinweg sehen. Sich selbst genug zu37 sein, mithin Gesellschaft nicht bedürfen, ohne doch ungesellig zu sein, d. i. sie zu fliehen, ist etwas dem Erhabenen sich Näherndes, so wie jede Überhebung von Bedürfnissen. Dagegen ist Menschen zu fliehen, aus M i s a n t h r o p i e , weil 276 man sie an||feindet, oder aus A n t h r o p o p h o b i e (Menschenscheu), weil man sie als seine Feinde fürchtet, teils häßlich, teils verächtlich. Gleichwohl gibt es eine (sehr uneigentlich soge127 nannte) Misan|thropie, wozu die Anlage sich mit dem Alter in vieler wohldenkenden Menschen Gemüt einzufinden pflegt, welche zwar, was das Wo h l w o l l e n betrifft, philanthropisch genug ist, aber vom Wo h l g e f a l l e n an Menschen durch eine lange traurige Erfahrung weit abgebracht ist: wovon der Hang zur Eingezogenheit, der phantastische Wunsch, auf einem entlegenen Landsitze, oder auch (bei jungen Personen) die erträumte Glückseligkeit, auf einem der übrigen Welt unbekannten Eilande, mit einer kleinen Familie, seine Lebenszeit zubringen zu kön-

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di determinazione al di fuori di essa. Se l’entusiasmo va para- 126 gonato alla m a n i a , il fanatismo è da paragonare alla p a z z i a , delle quali quest’ultima è tra tutte la meno compatibile con il sublime, perché con tutto il suo farneticare è ridicola. Nell’entusiasmo, come affetto, la forza di immaginazione è senza freno; nel fanatismo, come passione radicata e rimuginante, è senza regola. Il primo è un accidente passeggero che talvolta può anche colpire l’intelletto più sano; il secondo è una malattia che lo rovina. La s e m p l i c i t à (conformità al fine senza arte) è per così dire lo stile della natura nel sublime e così pure della moralità che è una seconda natura (soprasensibile) di cui conosciamo solo le leggi senza poter raggiungere con l’intuizione la facoltà soprasensibile in noi stessi, che contiene il fondamento di questa legislazione. Resta ancora da osservare che, sebbene il compiacimento per il bello, così come quello per il sublime, non solo si distingue in modo riconoscibile tra le altre valutazioni estetiche per una universale c o m u n i c a b i l i t à , ma anche perché acquisisce attraverso questa proprietà un interesse in riferimento alla società (in cui può essere comunicato), per quanto anche l ’ i s o l a m e n t o d a o g n i s o c i e t à sia considerato come qualcosa di sublime se si basa su idee che guardano al di là di ogni interesse sensibile. Bastare a se stessi, non avere dunque bisogno della società, senza tuttavia essere insocievoli, cioè senza rifuggirla, è qualcosa che si avvicina al sublime così come ogni affrancamento da bisogni. Al contrario fuggire gli uomini per m i s a n t r o p i a , perché li si odia, o per 276 a n t r o p o f o b i a (paura degli uomini), perché li si teme come propri nemici, è in parte brutto e in parte spregevole. C’è tuttavia una misantropia (chiamata così molto impropriamen- 127 te), la propensione alla quale fa la sua comparsa con la vecchiaia nell’animo di molti uomini assennati, che è certo abbastanza filantropica per quel che riguarda la b e n e v o l e n z a , ma che è stata distolta dal c o m p i a c i m e n t o per gli uomini da una lunga e triste esperienza: lo testimoniano la tendenza al ritrarsi, l’auspicio fantasticato di poter trascorrere il tempo della propria vita in una isolata casa di campagna o ancora (nelle persone giovani) la sognata felicità di poterlo trascorrere con una famigliola su un’isola sconosciuta al resto del

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nen, welche die Romanschreiber, oder Dichter der Robinsonaden, so gut zu nutzen wissen, Zeugnis gibt. Falschheit, Undankbarkeit, Ungerechtigkeit, das Kindische in den von uns selbst für wichtig und groß gehaltenen Zwecken, in deren Verfolgung sich Menschen selbst unter einander38 alle erdenkliche Übel antun, stehen mit der Idee dessen, was sie sein könnten, wenn sie wollten, so im Widerspruch, und sind dem lebhaften Wunsche, sie besser zu sehen, so sehr entgegen: daß um sie nicht zu hassen, da man sie nicht lieben kann, die Verzichttuung auf alle gesellschaftliche Freuden nur ein kleines Opfer zu sein scheint. Diese Traurigkeit, nicht über die Übel, welche das Schicksal über andere Menschen verhängt (wovon die Sympathie Ursache ist), sondern die sie sich selbst antun (welche auf der Antipathie in Grundsätzen beruht), ist, weil sie auf Ideen beruht, erhaben, indessen daß die erstere allenfalls nur für schön gelten kann. — Der eben so geistreiche als gründliche S a u s s u r e 39 sagt in der Beschreibung seiner Alpenreisen von B o n h o m m e , einem der savoyischen Gebirge: »es herrscht daselbst eine gewisse abgeschmack t e Tr a u r i g k e i t «. Er kannte daher doch auch eine i n t e r e s s a n t e Traurigkeit, welche der Anblick einer Einöde einflößt, in die sich Menschen wohl versetzen möchten, um von der Welt | 128 nichts weiter zu hören, noch zu erfahren, die denn doch nicht so ganz unwirtbar sein muß, daß sie nur einen höchst mühseligen Aufenthalt für Menschen darböte. — Ich mache diese Anmerkung nur in der Absicht, um zu erinnern, daß auch Betrübnis (nicht niedergeschlagene Traurigkeit) zu den rüstigen Affekten gezählt werden könne, wenn sie in moralischen Ideen ihren Grund hat; wenn sie aber auf Sympathie gegründet, und, als solche, auch liebenswürdig ist, sie bloß zu den s c h m e l z e n d e n Affekten gehöre: um dadurch auf die Gemütsstimmung, die nur im ersteren Falle e r h a b e n ist, aufmerksam zu machen. 277

* * * || Man kann mit der jetzt durchgeführten transzendentalen Exposition der ästhetischen Urteile nun auch die physiologische40, wie sie ein B u r k e und viele scharfsinnige Männer unter uns bearbeitet haben, vergleichen, um zu sehen, wohin eine bloß empirische Exposition des Erhabenen und Schönen führe. B u r k e *, * Nach der deutschen Übersetzung seiner Schrift: Philosophische Untersuchungen über den Ursprung unserer Begriffe vom Schönen und Erhabenen. Riga, bei Hartknoch, 1773.

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mondo, cose che i romanzieri o i poeti di robinsonate sanno utilizzare così bene60. Falsità, ingratitudine, ingiustizia, quanto c’è di puerile nei fini che noi stessi riteniamo importanti e grandi, e nel cui perseguimento gli uomini si fanno l’un l’altro tutti i mali escogitabili, stanno in una contraddizione tale con l’idea di ciò che gli uomini potrebbero essere, se lo volessero, e sono talmente opposti al vivo auspicio di vederli migliori, che per non odiarli, dato che non si può amarli, sembra costituire solo un piccolo sacrificio la rinuncia a tutte le gioie della società. Questa tristezza non per i mali che il destino infligge agli altri uomini (di cui è causa la simpatia), ma per i mali che essi infliggono a se stessi (la quale si basa sull’antipatia nei principi) è sublime perché si basa su idee, mentre la prima può valere al più soltanto come bella. — Nella descrizione dei suoi viaggi sulle Alpi, S a u s s u r e , tanto ricco di spirito quanto profondo61, dice a proposito del B o n h o m m e , che è un monte della Savoia: «Vi regna una certa i n s u l s a t r i s t e z z a ». Egli conosceva dunque anche una tristezza i n t e r e s s a n t e , quella che inspira la vista di un eremo in cui gli uomini potrebbero ben ritirarsi per non udire né sapere più nulla del mondo, e che però non deve essere così total- 128 mente inospitale da offrire agli uomini solo una permanenza estremamente disagevole. — Faccio notare ciò soltanto con l’intento di ricordare che anche l’afflizione (tristezza che non è abbattuta) può venire annoverata tra gli affetti e n e r g i c i quando abbia il suo fondamento in idee morali; ma quando è fondata sulla simpatia, e come tale è anche amabile, appartiene semplicemente agli affetti l a n g u i d i : e in questo modo voglio solo attirare l’attenzione sulla disposizione d’animo, che è s u b l i m e soltanto nel primo caso. * * * Si può ora confrontare con l’esposizione trascendentale 277 appena compiuta dei giudizi estetici anche l’esposizione fisiologica come l’hanno elaborata un B u r k e e, tra noi, molti uomini acuti62, e ciò per vedere dove conduca una esposizione semplicemente empirica del sublime e del bello. B u r k e *, * Secondo la traduzione tedesca del suo scritto Philosophische Untersuchungen über den Ursprung unserer Begriffe vom Schönen und Erhabenen. Riga, bei Hartknoch 1773.

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der in dieser Art der Behandlung als der vornehmste Verfasser genannt zu werden verdient, bringt auf diesem Wege (S. 223 seines Werks) heraus: »daß das Gefühl des Erhabenen sich auf dem Triebe zur Selbsterhaltung und auf F u r c h t , d. i. einem Schmerze, gründe, der, weil er nicht bis zur wirklichen Zerrüttung der körperlichen Teile geht, Bewegungen hervorbringt, die, da sie die feineren oder gröberen Gefäße von gefährlichen und beschwerlichen Verstopfungen reinigen, im Stande sind, angenehme Empfindungen zu erregen, zwar nicht Lust, son129 dern eine Art | von wohlgefälligem Schauer, eine gewisse Ruhe, die mit Schrecken vermischt ist«. Das Schöne, welches er auf Liebe gründet (wovon er doch die Begierde abgesondert wissen will), führt er (S. 251-252) »auf die Nachlassung, Losspannung und Erschlaffung der Fibern des Körpers, mithin eine Erweichung, Auflösung, Ermattung, ein Hinsinken, Hinsterben, Wegschmelzen vor Vergnügen, hinaus«. Und nun bestätigt er diese Erklärungsart nicht allein durch Fälle, in denen die Einbildungskraft in Verbindung mit dem Verstande, sondern sogar mit41 Sinnesempfindung, in uns das Gefühl des Schönen sowohl als des Erhabenen erregen könne. — Als psychologische Bemerkungen sind diese Zergliederungen der Phänomene unseres Gemüts überaus schön, und geben reichen Stoff zu den beliebtesten Nachforschungen der empirischen Anthropologie. Es ist auch nicht zu leugnen, daß alle Vorstellungen in uns, sie mögen objektiv bloß sinnlich, oder ganz intellektuell sein, doch subjektiv mit Vergnügen oder Schmerz, so unmerklich beides auch sein mag, verbunden werden können (weil sie insgesamt das Gefühl des Lebens affizieren, und keine derselben, sofern als sie Modifikation des Subjekts ist, indifferent sein kann); sogar42, daß, wie Epikur behauptete, immer Vergnügen 43 und Schmerz zuletzt doch körperlich sei, es mag nun von44 der Einbildung, oder gar von Verstandesvorstellungen anfangen: weil das Leben 278 ohne das45 || Gefühl des körperlichen Organs bloß Bewußtsein seiner Existenz, aber kein Gefühl des Wohl- oder Übelbefindens, d. i. der Beförderung oder Hemmung der Lebenskräfte sei; weil das Gemüt für sich allein ganz Leben (das Lebensprinzip selbst) ist, und Hindernisse oder Beförderungen außer demselben und doch im Menschen selbst, mithin in der Verbindung mit seinem Körper, gesucht werden müssen. |

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che in questo genere di trattazione merita di essere menzionato come l’autore più importante, perviene su questa via ad affermare (p. 223 della sua opera): «che il sentimento del sublime si fonda sull’istinto dell’autoconservazione e sul t e r r o r e , cioè su un dolore che, non arrivando fino all’effettiva distruzione delle parti corporee, produce movimenti che, purificando i vasi (più delicati o più robusti) da intasi pericolosi e gravosi, sono in grado di suscitare sensazioni gradevoli: non proprio piacere, ma una specie di brivido piacevole, una 129 certa calma mista a spavento». Il bello, che egli fonda sull’amore (dal quale però vuole che venga separata la voglia), è da lui ricondotto (pp. 251-252) «al rilassamento, alla distensione, all’allentamento delle fibre del corpo, e dunque a un intenerimento, discioglimento, infiacchimento, a uno sprofondarsi, venir meno, illanguidirsi per il soddisfacimento»63. Ed egli conferma questo modo di spiegazione non solo con i casi in cui la forza di immaginazione può suscitare in noi il sentimento del bello, come pure quello del sublime, in collegamento con l’intelletto, ma addirittura con la sensazione del senso. — Come osservazioni psicologiche queste analisi dei fenomeni del nostro animo sono estremamente belle e forniscono una ricca materia per le ricerche predilette dell’antropologia empirica. È inoltre incontestabile che in noi tutte le rappresentazioni, siano esse oggettivamente, semplicemente sensibili o interamente intellettuali, possono tuttavia soggettivamente essere collegate con il soddisfacimento o con il dolore, per quanto impercettibili possano anche essere entrambi (poiché il sentimento della vita resta affetto da tutte queste rappresentazioni e nessuna di esse può, in quanto modificazione del soggetto, essere indifferente); tanto che, come affermava Epicuro64, il s o d d i s f a c i m e n t o e il d o l o r e sono infine pur sempre corporei, sia che essi abbiano inizio dall’immaginazione o anche da rappresentazioni dell’intelletto: perché la vita, senza il sentimento dell’organo corporeo, sa- 278 rebbe semplicemente coscienza della propria esistenza, ma non un sentimento del benessere o malessere, cioè della promozione o dell’inibizione delle forze vitali; infatti l’animo per sé solo è tutto vita (è il principio stesso della vita), e ostacoli o promozioni vanno cercati al di fuori di lui, e tuttavia nell’uomo stesso, di conseguenza nel collegamento con il suo corpo.

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Setzt man aber das Wohlgefallen am Gegenstande ganz und gar darin, daß dieser durch Reiz oder durch Rührung vergnügt: so muß man auch keinem a n d e r n zumuten, zu dem ästhetischen Urteile, was w i r fällen, beizustimmen; denn darüber befragt ein jeder mit Recht nur seinen Privatsinn. Alsdann aber hört auch alle Zensur des Geschmacks gänzlich auf; man müßte denn das Beispiel, welches andere, durch die zufällige Übereinstimmung ihrer Urteile, geben, zum G e b o t des Beifalls für uns machen, wider welches Prinzip wir uns doch vermutlich sträuben und auf das natürliche Recht berufen würden, das Urteil, welches auf dem unmittelbaren Gefühle des eigenen Wohlbefindens beruht, seinem eigenen Sinne, und nicht anderer ihrem, zu unterwerfen. Wenn also das Geschmacksurteil nicht für e g o i s t i s c h , sondern seiner innern Natur nach, d. i. um sein selbst, nicht um der Beispiele willen, die andere von ihrem Geschmack geben, notwendig als p l u r a l i s t i s c h gelten muß, wenn man es als ein solches würdigt, welches zugleich verlangen darf, daß jedermann ihm beipflichten soll: so muß ihm irgend ein (es sei objektives oder subjektives) Prinzip a priori zum Grunde liegen, zu welchem man durch Aufspähung empirischer Gesetze der Gemütsveränderungen niemals gelangen kann: weil diese nur zu erkennen geben, wie geurteilt wird, nicht aber gebieten, wie geurteilt werden soll, und zwar gar so, daß das Gebot u n b e d i n g t ist; dergleichen die Geschmacksurteile voraussetzen, indem sie das Wohlgefallen mit einer Vorstellung u n m i t t e l b a r verknüpft wissen wollen. Also mag die empirische Exposition der ästhetischen Urteile immer den Anfang machen, um den Stoff zu einer höhern Untersuchung herbeizuschaffen: eine transzendentale Erörterung dieses Vermögens ist doch möglich, 131 und zur Kritik des | Geschmacks wesentlich gehörig. Denn, ohne daß derselbe Prinzipien46 a priori habe, könnte er unmöglich die Urteile anderer richten, und über sie, auch nur mit einigem Scheine des Rechts, Billigungs- oder Verwerfungsaussprüche47 fällen. Das übrige zur Analytik der ästhetischen Urteilskraft Gehörige enthält zuvörderst die || 130

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Ma se si situa il compiacimento per l’oggetto interamente 130 ed esclusivamente nel fatto che questo oggetto soddisfa per l’attrattiva o per l’emozione, allora non ci si deve nemmeno attendere da qualcun a l t r o che sia consenziente con il giudizio estetico dato da noi; infatti su questo punto è con diritto che ognuno consulta soltanto il proprio senso privato. Ma allora finisce del tutto anche ogni censura del gusto; infatti allora bisognerebbe trasformare in c o m a n d o dell’approvazione per noi l’esempio che altri danno con l’accordo contingente dei loro giudizi, un principio contro il quale presumibilmente noi insorgeremmo e faremmo appello al diritto naturale di sottoporre al nostro proprio senso, e non a quello di altri, il giudizio che si basa sul sentimento immediato che ciascuno prova del proprio benessere. Se dunque il giudizio di gusto deve valere non come e g o i s t i c o , ma necessariamente, per la sua natura intrinseca, cioè per se stesso, e non in virtù degli esempi che altri danno del loro gusto, deve valere come p l u r a l i s t i c o e, se lo si ritiene come tale, degno nel contempo di poter esigere che ciascuno debba aderirvi, allora bisogna che ci sia a suo fondamento un qualche principio a priori (oggettivo o soggettivo che sia) al quale non si potrà mai pervenire scrutando le leggi empiriche delle modificazioni dell’animo: perché queste fanno conoscere solo come si giudica, ma esse non comandano come si debba giudicare e precisamente proprio in modo tale che il comando sia i n c o n d i z i o n a t o ; cosa che i giudizi di gusto presuppongono, pretendendo che il compiacimento sia connesso i m m e d i a t a m e n t e con una rappresentazione. Dunque si può sempre incominciare con l’esposizione empirica dei giudizi estetici allo scopo di procurare la materia per una ricerca superiore: una discussione trascendentale di questa facoltà è tuttavia possibile e appartiene essenzialmente alla critica del gusto. Infatti, se il gusto non avesse principi a 131 priori, gli sarebbe impossibile vagliare i giudizi altrui e pronunciare, seppure soltanto con qualche parvenza di diritto, delle sentenze che li approvino o li respingano. Ciò che resta di appartenente all’analitica della forza estetica di giudizio contiene innanzitutto la

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Deduktion der reinen ästhetischen Urteile1 § 30 Die Deduktion der ästhetischen Urteile über die Gegenstände der Natur darf nicht auf das, was wir in dieser erhaben nennen, sondern nur auf das Schöne, gerichtet werden

Der Anspruch eines ästhetischen Urteils auf allgemeine Gültigkeit für jedes Subjekt bedarf, als ein Urteil, welches sich auf irgend ein Prinzip a priori fußen muß, einer Deduktion (d. i. Legitimation seiner Anmaßung); welche1 über die Exposition desselben noch hinzukommen muß2, wenn es nämlich ein Wohlgefallen oder Mißfallen an der F o r m d e s O b j e k t s betrifft. Dergleichen sind die Geschmacksurteile über das Schöne der Natur. Denn die Zweckmäßigkeit hat alsdann doch im Objekte und seiner Gestalt ihren Grund, wenn sie gleich nicht die Beziehung desselben auf andere Gegenstände nach Begriffen (zum Erkenntnisurteile) anzeigt, sondern bloß die Auffas132 sung dieser Form, sofern sie dem | Ve r m ö g e n sowohl der Begriffe, als dem der Darstellung derselben (welches mit dem der Auffassung eines und dasselbe ist) im Gemüt sich gemäß zeigt3, überhaupt betrifft. Man kann daher auch in Ansehung des Schönen der Natur mancherlei Fragen aufwerfen, welche die4 Ursache dieser Zweckmäßigkeit ihrer Formen betreffen: z. B. wie man erklären wolle, warum die Natur so verschwenderisch allerwärts Schönheit verbreitet habe, selbst im Grunde des Ozeans, wo nur selten das menschliche Auge (für welches jene doch allein zweckmäßig ist) hingelangt?5 u. d. gl. m. Allein das Erhabene der Natur – wenn wir darüber ein reines ästhetisches Urteil fällen, welches nicht mit Begriffen von Vollkommenheit, als objektiver Zweckmäßigkeit, vermengt ist; in welchem Falle es ein teleologisches Urteil sein würde – kann ganz als formlos oder ungestalt, dennoch aber als Gegenstand eines reinen Wohlgefallens betrachtet werden, und subjektive Zweckmäßigkeit der gegebenen Vorstellung zeigen; und da fragt es sich nun: ob zu dem ästhetischen Urteile dieser Art auch, außer der Exposition dessen, was in ihm gedacht wird,

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§ 30 LA DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI SUGLI OGGETTI DELLA NATURA NON PUÒ ESSERE DIRETTA A CIÒ CHE IN ESSA CHIAMIAMO SUBLIME, MA SOLO AL BELLO

La pretesa di un giudizio estetico a una validità universale per ogni soggetto richiede, in quanto giudizio che deve appoggiarsi su qualche principio a priori, una deduzione (cioè una legittimazione della sua esigenza), che deve ancora essere aggiunta alla sua esposizione, quando il giudizio concerne un compiacimento o un dispiacimento per la f o r m a d e l l ’ o g g e t t o . Tali sono i giudizi di gusto sul bello della natura. Infatti la conformità al fine ha in tal caso il suo fondamento nell’oggetto e nella sua figura, benché essa non indichi il riferimento di questo oggetto ad altri oggetti secondo concetti (in vista di un giudizio conoscitivo), ma concerne in generale soltanto l’apprensione di questa forma nella misura in cui essa si mostra conforme nell’animo alla f a c o l t à dei concet- 132 ti, come pure a quella della loro esibizione (che è un tutt’uno con la facoltà dell’apprensione). Si può dunque, anche nei confronti del bello della natura, sollevare svariate questioni concernenti la causa di questa conformità delle sue forme al fine: per esempio come si intenda spiegare il motivo per cui la natura abbia profuso dappertutto con una così grande prodigalità la bellezza, perfino nel fondo dell’oceano dove l’occhio umano (per il quale soltanto la bellezza risulta conforme a un fine) arriva solo raramente?, e così via. Soltanto che il sublime della natura – se pronunciamo su di esso un puro giudizio estetico, che non sia mischiato con concetti di perfezione, quale conformità oggettiva al fine, nel qual caso sarebbe un giudizio teleologico – può essere considerato come del tutto privo di forma e figura, ma comunque come oggetto di un compiacimento puro e indicare una conformità soggettiva della rappresentazione data al fine; e pertanto ci si chiede se anche per il giudizio estetico di questa specie possa essere richiesta oltre l’esposizione di ciò che vi

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noch eine Deduktion seines Anspruchs auf irgend ein (subjektives) Prinzip a priori verlangt werden könne. || 280 Hierauf dient zur Antwort: daß das Erhabene der Natur nur uneigentlich so genannt werde, und eigentlich bloß der Denkungsart, oder vielmehr der Grundlage zu derselben in der 133 menschlichen Natur, beigelegt werden | müsse. Dieser sich bewußt zu werden gibt die Auffassung eines sonst formlosen und unzweckmäßigen Gegenstandes bloß die Veranlassung, welcher6 auf solche Weise subjektiv-zweckmäßig g e b r a u c h t , aber nicht als ein solcher f ü r s i c h und seiner Form wegen beurteilt wird (gleichsam species finalis accepta, non data). Daher war unsere Exposition der Urteile über das Erhabene der Natur zugleich ihre Deduktion. Denn, wenn wir die Reflexion der Urteilskraft in denselben zerlegten, so fanden wir in ihnen ein zweckmäßiges Verhältnis der Erkenntnisvermögen, welches dem Vermögen der Zwecke (dem Willen) a priori zum Grunde gelegt werden muß, und daher selbst a priori zweckmäßig ist: welches denn sofort die Deduktion, d. i. die Rechtfertigung des Anspruchs eines dergleichen Urteils auf allgemein-notwendige Gültigkeit, enthält7. Wir werden also nur die Deduktion der Geschmacksurteile, d. i. der Urteile über8 die Schönheit der Naturdinge, zu suchen haben, und so der Aufgabe für die gesamte ästhetische Urteilskraft im Ganzen ein Genüge tun.

§ 31 Von der Methode der Deduktion der Geschmacksurteile Die Obliegenheit einer Deduktion, d. i. der Gewährleistung | ein, wenn das Urteil Anspruch auf Notwendigkeit macht; welches der Fall auch alsdann ist, wenn es subjektive Allgemeinheit, d. i. jedermanns Beistimmung fordert: indes es1 doch kein Erkenntnisurteil, sondern nur der Lust oder Unlust an einem gegebenen Gegenstande, d. i. Anmaßung einer durchgängig für jedermann geltenden subjektiven Zweckmäßigkeit ist, die sich auf keine Begriffe von der Sache gründen soll, weil es Geschmacksurteil ist. Da wir im letztern Falle kein Erkenntnisurteil, weder ein theoretisches, welches den Begriff einer N a t u r überhaupt

134 der Rechtmäßigkeit, einer Art Urteile tritt nur

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viene pensato anche una deduzione della sua pretesa a un qualche principio (soggettivo) a priori. Come risposta si può dire che il sublime della natura è 280 chiamato così solo impropriamente e che, propriamente, deve essere attribuito semplicemente al modo di pensare o piuttosto a ciò che sta alla sua base nella natura umana. L’apprensione di 133 un oggetto, altrimenti privo di forma e sprovvisto di fine, fornisce semplicemente l’occasione di prenderne coscienza, e l’oggetto è così utilizzato in modo soggettivamente conforme al fine senza che sia valutato come tale per sé o a motivo della sua forma (per così dire species finalis accepta, non data). Per questo la nostra esposizione dei giudizi sul sublime della natura era allo stesso tempo la loro deduzione. Infatti, analizzando in tali giudizi la riflessione della forza di giudizio, vi abbiamo trovato un rapporto conforme al fine delle facoltà conoscitive, rapporto che deve essere posto a priori a fondamento della facoltà dei fini (della volontà), ed è quindi esso stesso a priori dotato di un fine: ciò quindi contiene immediatamente la deduzione, cioè la giustificazione della pretesa di un tale giudizio a una validità universalmente necessaria. Dovremo allora cercare solamente la deduzione dei giudizi di gusto, cioè dei giudizi sulla bellezza delle cose della natura, dando così soddisfazione, nel complesso, al compito nei confronti dell’intera forza estetica di giudizio. § 31 DEL METODO DELLA DEDUZIONE DEI GIUDIZI DI GUSTO L’obbligo di una deduzione, cioè di fornire la garanzia della legittimità di una specie di giudizi, subentra soltanto se 134 il giudizio avanza la pretesa alla necessità; cosa che avviene anche nel caso in cui il giudizio esige una universalità soggettiva, cioè il consenso di ciascuno, pur trattandosi non di un giudizio conoscitivo ma soltanto di un giudizio sul piacere o dispiacere per un oggetto dato, vale a dire una esigenza di una conformità soggettiva al fine che vale assolutamente per ciascuno e che non deve fondarsi su concetti della cosa, perché si tratta di un giudizio di gusto. Poiché in quest’ultimo caso non abbiamo davanti un giudizio conoscitivo, né uno teoretico, il quale ponga a proprio

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durch den Verstand, noch ein (reines) praktisches, welches die Idee der F r e i h e i t , als a priori durch die Vernunft gegeben, zum Grunde legt, vor uns haben; und also weder ein Urteil, welches vorstellt, was eine Sache ist, noch daß ich, um sie hervorzubringen, etwas verrichten soll, nach seiner Gültigkeit a priori zu rechtfertigen haben2: so wird bloß die allgemeine 281 Gültigkeit eines || einzelnen Urteils, welches die subjektive Zweckmäßigkeit einer empirischen Vorstellung der Form eines Gegenstandes ausdrückt, für die Urteilskraft überhaupt darzutun sein, um zu erklären, wie es möglich sei, daß etwas bloß in der Beurteilung (ohne Sinnenempfindung oder Begriff) gefallen könne3, und, so wie die Beurteilung eines Gegenstandes zum 135 Behuf einer E r k e n n t n i s überhaupt, allgemeine | Regeln habe, auch das Wohlgefallen eines jeden für jeden andern4 als Regel dürfe5 angekündigt werden. Wenn nun diese Allgemeingültigkeit sich nicht auf Stimmensammlung und Herumfragen bei andern, wegen ihrer Art zu empfinden, gründen, sondern gleichsam auf einer Autonomie des über das Gefühl der Lust (an der gegebenen Vorstellung) urteilenden Subjekts, d. i. auf seinem eigenen Geschmacke, beruhen, gleichwohl aber doch auch nicht von Begriffen abgeleitet werden soll: so hat ein solches Urteil – wie das Geschmacksurteil in der Tat ist – eine zwiefache und zwar logische Eigentümlichkeit: nämlich e r s t l i c h die Allgemeingültigkeit a priori, und doch nicht eine logische Allgemeinheit nach Begriffen, sondern die Allgemeinheit6 eines einzelnen Urteils; z w e i t e n s eine Notwendigkeit (die jederzeit auf Gründen a priori beruhen muß), die aber doch von keinen Beweisgründen a priori abhängt, durch deren Vorstellung der Beifall, den das Geschmacksurteil jedermann ansinnt, erzwungen werden könnte. Die Auflösung dieser logischen Eigentümlichkeiten, worin7 sich ein Geschmacksurteil von allen Erkenntnisurteilen unterscheidet, wenn wir hier anfänglich von allem Inhalte desselben, nämlich dem Gefühle der Lust abstrahieren, und bloß die ästhetische Form mit der Form der objektiven Urteile, wie sie die Logik vorschreibt, vergleichen, wird allein zur Deduktion dieses sonderbaren Vermögens hinreichend sein. Wir wollen 136 also diese | charakteristischen Eigenschaften des Geschmacks zuvor, durch Beispiele erläutert, vorstellig machen.

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fondamento il concetto dato dall’intelletto di una n a t u r a in generale, né un giudizio pratico (puro), il quale ponga a proprio fondamento l’idea della l i b e r t à , data a priori dalla ragione; e dunque, dato che non dobbiamo giustificare, quanto alla sua validità a priori, né un giudizio che rappresenti ciò che una cosa è né un giudizio che stabilisca che io, per produrla, devo fare qualcosa, allora basterà comprovare, per la forza di giudizio in generale, solo la v a l i d i t à u n i v e r s a l e di un giudizio s i n g o l a r e che esprime la confor- 281 mità soggettiva di una rappresentazione empirica della forma di un oggetto al fine, per spiegare come sia possibile che qualcosa possa piacere semplicemente nella valutazione (senza sensazione dei sensi o concetto) e che, come la valutazione di un oggetto in vista di una c o n o s c e n z a in generale 135 ha regole universali, anche il compiacimento di uno qualsiasi possa essere proclamato quale regola per ogni altro. Se ora questa validità universale non deve fondarsi su una raccolta di voti e su un’inchiesta che domandi qua e là quale sia il modo di sentire degli altri, ma se deve basarsi per così dire su una autonomia del soggetto che giudica a proposito del sentimento del piacere (per la rappresentazione data), cioè sul suo proprio gusto, pur non dovendo tuttavia essere dedotta da concetti, allora un tale giudizio – come di fatto è il giudizio di gusto – possiede una duplice peculiarità, comunque logica: cioè i n p r i m o l u o g o la validità universale a priori, ma non una universalità logica secondo concetti, bensì l’universalità di un giudizio singolare; i n s e c o n d o l u o g o una necessità (che deve sempre basarsi su fondamenti a priori) che non dipende tuttavia da argomenti dimostrativi a priori, mediante la rappresentazione dei quali possa essere imposta l’approvazione che il giudizio di gusto esige da ciascuno. La soluzione di queste peculiarità logiche per cui un giudizio di gusto si distingue da tutti i giudizi conoscitivi, se qui per cominciare astraiamo da ogni suo contenuto, cioè dal sentimento del piacere, e se semplicemente confrontiamo la forma estetica con la forma dei giudizi oggettivi, come la prescrive la logica, sarà sufficiente da sola per la deduzione di questa singolare facoltà. Intendiamo dunque innanzitutto rappresentare queste proprietà caratteristiche del gusto, chia- 136 rendole con esempi.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 32 Erste Eigentümlichkeit des Geschmacksurteils Das Geschmacksurteil bestimmt seinen Gegenstand in Ansehung des Wohlgefallens (als Schönheit) mit einem Anspruche auf j e d e r m a n n s Beistimmung, als ob es objektiv wäre. Sagen: diese Blume ist schön, heißt eben so viel, als ihren 282 eigenen || Anspruch auf jedermanns Wohlgefallen ihr nur nachsagen. Durch die Annehmlichkeit ihres Geruchs hat sie gar keine Ansprüche. Den einen ergötzt dieser Geruch, dem andern benimmt er den Kopf. Was sollte man nun anders daraus vermuten, als daß die Schönheit für eine Eigenschaft der Blume selbst gehalten werden müsse, die sich nicht nach der Verschiedenheit der Köpfe und so vieler Sinne richtet, sondern wornach1 sich diese richten müssen, wenn sie darüber urteilen wollen? Und doch verhält es sich nicht so. Denn darin besteht eben das Geschmacksurteil, daß es eine Sache nur nach derjenigen Beschaffenheit schön nennt, in welcher sie sich nach unserer Art sie aufzunehmen richtet. Überdies wird von jedem Urteil, welches den Geschmack des Subjekts beweisen soll, verlangt: daß das Subjekt für sich, 137 ohne nötig zu haben, durch Erfahrung | unter den Urteilen anderer2 herumzutappen, und sich von ihrem Wohlgefallen oder Mißfallen an demselben Gegenstande vorher zu belehren, urteilen, mithin sein Urteil nicht als Nachahmung, weil ein Ding etwa wirklich allgemein gefällt, sondern a priori aussprechen3 solle4. Man sollte aber denken, daß ein Urteil a priori einen Begriff vom Objekt enthalten müsse, zu dessen Erkenntnis es das Prinzip enthält; das Geschmacksurteil aber gründet sich gar nicht auf Begriffe, und ist überall nicht Erkenntnis5, sondern nur ein ästhetisches Urteil. Daher läßt sich ein junger Dichter von der Überredung, daß sein Gedicht schön sei, nicht durch das Urteil des Publikums, noch seiner6 Freunde abbringen; und, wenn er ihnen Gehör gibt, so geschieht es nicht darum, weil er es nun anders beurteilt, sondern weil er, wenn gleich (wenigstens in Absicht seiner) das ganze Publikum einen falschen Geschmack hätte, sich doch (selbst wider sein Urteil) dem gemeinen Wahne zu bequemen,

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§ 32 PRIMA PECULIARITÀ DEL GIUDIZIO DI GUSTO Il giudizio di gusto determina il suo oggetto riguardo al compiacimento (in quanto bellezza) con una pretesa al consenso da parte di c i a s c u n o , come se fosse un giudizio oggettivo. Dire «questo fiore è bello» non significa nient’altro che attribuirgli una sua propria pretesa al compiacimento da par- 282 te di ciascuno. Con la gradevolezza del suo profumo non avanza alcuna pretesa. Infatti uno è dilettato da questo profumo, un altro ne è stordito. Che cos’altro si dovrebbe presumere allora se non che la bellezza debba essere ritenuta una proprietà del fiore stesso che non si regola secondo la diversità delle teste e degli altrettanti sensi, ma sono questi che devono regolarsi su quella se vogliono giudicare in merito? E tuttavia le cose non stanno così. Infatti il giudizio di gusto consiste precisamente in questo: esso chiama bella una cosa solo secondo quella proprietà per cui si regola secondo il nostro modo di coglierla. Inoltre da ogni giudizio che deve dimostrare il gusto del soggetto si esige che il soggetto debba giudicare da sé, senza aver bisogno di andare a tastoni, con l’esperienza, tra i giudizi 137 di altri e di informarsi previamente sul loro compiacimento o dispiacimento per lo stesso oggetto, e che di conseguenza debba pronunciare il proprio giudizio non per imitazione, perché una cosa piace magari di fatto universalmente, bensì a priori. Ma allora si dovrebbe pensare che un giudizio a priori debba contenere un concetto dell’oggetto per la cui conoscenza contiene il principio; invece il giudizio di gusto non si fonda affatto su concetti e non è in alcun modo conoscenza, ma è soltanto un giudizio estetico. Per questo un giovane poeta non si lascia distogliere dalla convinzione che la sua poesia sia bella né dal giudizio del pubblico né da quello dei suoi amici; e se egli presta loro ascolto non lo fa perché ora egli la valuta diversamente, ma perché sebbene (almeno stando al suo intento) tutto il pubblico abbia un gusto falso, egli trova nella propria voglia di approvazione un motivo per conformarsi (perfino contro il

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in seiner Begierde nach Beifall Ursache findet. Nur späterhin, wenn seine Urteilskraft durch Ausübung mehr geschärft worden, geht er freiwillig von seinem vorigen Urteile ab; so wie er es auch mit seinen Urteilen hält, die ganz auf der Vernunft beruhen. Der Geschmack macht bloß7 auf Autonomie Anspruch. Fremde Urteile sich zum Bestimmungsgrunde des seinigen zu machen, wäre Heteronomie. | 138 Daß man die Werke der Alten mit Recht zu Mustern anpreiset, und die Verfasser derselben klassisch nennt, gleich einem gewissen Adel unter den Schriftstellern, der dem Volke durch seinen Vorgang Gesetze gibt: scheint Quellen des Geschmacks a posteriori anzuzeigen, und die Autonomie desselben in jedem Subjekte 283 zu widerlegen. Allein man könnte eben so gut || sagen, daß die alten Mathematiker, die bis jetzt für nicht wohl zu entbehrende Muster der höchsten Gründlichkeit und Eleganz der synthetischen Methode gehalten werden, auch eine nachahmende Vernunft auf unserer Seite bewiesen, und ein Unvermögen derselben, aus sich selbst strenge Beweise mit der größten Intuition, durch Konstruktion der Begriffe, hervorzubringen8. Es gibt gar keinen9 Gebrauch unserer Kräfte, so frei er auch sein mag, und selbst der Vernunft (die alle ihre Urteile aus der gemeinschaftlichen Quelle a priori schöpfen muß), welcher, wenn jedes Subjekt immer gänzlich von der rohen Anlage seines Naturells anfangen sollte, nicht in fehlerhafte Versuche geraten würde, wenn nicht andere mit den ihrigen ihm vorgegangen10 wären, nicht um die Nachfolgenden zu bloßen Nachahmern zu machen, sondern durch ihr Verfahren andere auf die Spur zu bringen, um die Prinzipien in sich selbst zu suchen, und so ihren eigenen, oft besseren, Gang zu nehmen. Selbst in der Religion, wo gewiß ein jeder die Regel seines Verhaltens aus sich selbst hernehmen muß, weil er dafür auch selbst verantwortlich | 139 bleibt, und die Schuld seiner Vergehungen nicht auf andre, als Lehrer oder Vorgänger, schieben kann, wird doch nie durch allgemeine Vorschriften, die man entweder von Priestern oder Philosophen bekommen, oder auch aus sich selbst genommen haben mag11, so viel ausgerichtet werden, als durch ein Beispiel der Tugend oder Heiligkeit, welches, in der Geschichte aufgestellt, die Autonomie der Tugend, aus der eigenen und ursprünglichen Idee der Sittlichkeit (a priori), nicht entbehrlich macht, oder diese in einen Mechanism der Nachahmung verwandelt. N a c h f o l g e , die sich auf einen Vorgang bezieht, nicht Nachahmung, ist der

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proprio giudizio) all’insania comune. Soltanto più tardi, una volta che la sua forza di giudizio sarà stata affinata dall’esercizio, egli prende deliberatamente le distanze dal suo giudizio precedente, come fa anche con i suoi giudizi che si basano interamente sulla ragione. Il gusto avanza semplicemente la pretesa all’autonomia. Fare di giudizi estranei il principio di determinazione dei propri sarebbe eteronomia. Che a buon diritto siano esaltate come modelli le opere 138 degli antichi e che si dicano classici i loro autori, come se costituissero tra gli scrittori una sorta di aristocrazia che, per il fatto di venire prima, detta legge al popolo; ciò sembra indicare fonti a posteriori del gusto e confutarne l’autonomia in ogni soggetto. Ma sarebbe come dire che gli antichi matemati- 283 ci, ritenuti fino ad oggi modelli pressoché indispensabili di suprema precisione ed eleganza del metodo sintetico, dimostrerebbero da parte nostra una ragione imitativa e una sorta di incapacità a produrre da se stessa con la più grande intuizione prove rigorose mediante costruzione di concetti. Non c’è assolutamente alcun uso delle nostre forze, per quanto libero possa essere, e perfino della ragione (la quale deve attingere a priori tutti i suoi giudizi dalla fonte comune), che non andrebbe a finire in tentativi fallimentari se ogni soggetto dovesse sempre ripartire da capo dalla rozza predisposizione della propria indole naturale e se altri non l’avessero preceduto con i loro tentativi, non per fare dei successori semplici imitatori, ma per portare, con il proprio procedimento, altri sulla traccia per cercare in se stessi i principi e intraprendere così il loro cammino personale, spesso migliore. Perfino nella religione, in cui certamente ognuno deve trarre da sé la regola della propria condotta, poiché proprio lui stesso ne rimane responsabile e non può addossare ad altri, in quanto maestri o predecessori, la colpa delle proprie mancanze, non si sarà mai 139 tanto orientati dalle prescrizioni generali, che si possono ricevere da preti o da filosofi o anche trarre da se stessi, quanto da ciò che si ottiene da un esempio di virtù o di santità: il quale, presentato nella storia, non rende inutile l’autonomia della virtù che è tale a partire dall’idea propria e originaria della moralità (a priori) né la trasforma in un meccanismo di imitazione. S e g u i r e , che si riferisce a un precedente, e non imitare, è l’espressione giusta per designare ogni influenza che i

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

rechte Ausdruck für allen Einfluß, welchen12 Produkte eines exemplarischen Urhebers auf andere haben können; welches nur so viel bedeutet, als: aus denselben Quellen schöpfen, woraus13 jener selbst schöpfte, und seinem Vorgänger nur die Art, sich dabei zu benehmen, ablernen14. Aber unter allen Vermögen und Talenten ist der Geschmack gerade dasjenige, welches, weil sein Urteil nicht durch Begriffe und Vorschriften bestimmbar ist, am meisten der Beispiele dessen, was sich im Fortgange der Kultur am längsten in Beifall erhalten hat, bedürftig ist, um nicht bald wieder ungeschlacht zu werden, und in die Rohigkeit der ersten Versuche zurückzufallen. | || 140 284

§ 33 Zweite Eigentümlichkeit des Geschmacksurteils

Das Geschmacksurteil ist gar nicht durch Beweisgründe bestimmbar, gleich als ob es bloß s u b j e k t i v wäre. Wenn jemand ein Gebäude, eine Aussicht, ein Gedicht nicht schön findet, so läßt er sich e r s t l i c h den Beifall nicht durch hundert Stimmen, die es alle hoch preisen, innerlich aufdringen. Er mag sich zwar stellen1, als ob es ihm auch gefalle, um nicht für geschmacklos angesehen zu werden; er kann sogar zu zweifeln anfangen, ob er seinen Geschmack, durch Kenntnis einer genugsamen Menge von Gegenständen einer gewissen Art, auch genug gebildet habe (wie einer, der in der Entfernung etwas für einen Wald zu erkennen glaubt, was alle andere für eine Stadt ansehen, an dem Urteile seines eigenen Gesichts zweifelt). Das sieht er aber doch klar ein: daß der Beifall anderer gar keinen für die Beurteilung der Schönheit gültigen2 Beweis abgebe; daß andere allenfalls für ihn sehen und beobachten mögen, und, was viele auf einerlei Art gesehen haben, als ein hinreichender Beweisgrund für ihn, der es anders gesehen zu haben glaubt, zum theoretischen, mithin logischen, niemals3 aber das, was andern gefallen hat, zum Grunde eines ästheti141 schen Urteils dienen könne. Das uns un|günstige Urteil anderer kann uns zwar mit Recht in Ansehung des unsrigen bedenklich machen, niemals aber von der Unrichtigkeit desselben überzeugen. Also gibt es keinen empirischen B e w e i s g r u n d , das Geschmacksurteil jemanden abzunötigen.

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prodotti di un autore esemplare possono avere su altri; e ciò non significa nient’altro che attingere alle medesime fonti alle quali quello stesso attinse e imparare dal proprio predecessore solo il modo di farlo. Ora, tra tutte le facoltà e i talenti, il gusto è proprio quello che, poiché il suo giudizio non è determinabile da concetti e prescrizioni, ha maggiormente bisogno, per non ridiventare rapidamente grossolano e ricadere nella rozzezza dei primi tentativi, degli esempi di ciò che nel progredire della cultura ha riscosso la più durevole approvazione.

§ 33 SECONDA PECULIARITÀ DEL GIUDIZIO DI GUSTO

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Il giudizio di gusto non è affatto determinabile mediante argomenti dimostrativi, come se fosse semplicemente s o g gettivo. I n p r i m o l u o g o , se qualcuno non trova bello un edificio, una veduta, una poesia, non si lascerà imporre interiormente l’approvazione da cento voci tutte esaltanti. Egli può certo fingere come se ciò piacesse anche a lui per non essere ritenuto privo di gusto; può perfino cominciare a dubitare di non aver formato abbastanza il proprio gusto prendendo cognizione di una quantità sufficiente di oggetti di una certa specie (come uno che, credendo di riconoscere in lontananza una foresta in qualcosa che tutti gli altri ritengono una città, dubita del giudizio della sua propria vista). Ma questo lo scorge chiaramente: l’approvazione degli altri non fornisce affatto una prova valida per la valutazione della bellezza; tutt’al più gli altri possono vedere e osservare per lui, e ciò che molti hanno visto nello stesso modo può servire come argomento dimostrativo sufficiente, per lui che crede di aver visto la stessa cosa in modo diverso, per un giudizio teoretico e di conseguenza logico, eppure ciò che è piaciuto ad altri non può mai servirgli da fondamento di un giudizio estetico. Il giudizio degli altri, a noi sfavorevole, può certo a buon 141 diritto farci dubitare del nostro, tuttavia non può mai convincerci della sua erroneità. Così non c’è alcun a r g o m e n t o d i m o s t r a t i v o empirico che permetta di imporre a qualcuno il giudizio di gusto.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Z w e i t e n s kann noch weniger ein Beweis a priori nach bestimmten Regeln das Urteil über Schönheit bestimmen. Wenn mir jemand sein Gedicht vorliest, oder mich in ein Schauspiel führt, welches am Ende meinem Geschmacke nicht behagen will, so mag er den B a t t e u x oder L e s s i n g , oder noch ältere und berühmtere Kritiker des Geschmacks, und alle von ihnen aufgestellte Regeln zum Beweise anführen, daß sein Gedicht schön sei; auch mögen4 gewisse Stellen, die mir eben mißfallen, mit Regeln der Schönheit (so wie sie dort gegeben und allgemein anerkannt sind) gar wohl zusammenstimmen: ich stopfe mir5 die Ohren zu, mag keine Gründe und kein Vernünfteln6 hören, und werde eher annehmen, daß jene Regeln der Kritiker falsch seien7, oder wenigstens8 hier nicht der Fall ihrer Anwendung sei, als daß ich mein Urteil durch Beweisgründe a pri285 ori || sollte bestimmen lassen, da es ein Urteil des Geschmacks und nicht des Verstandes oder der Vernunft sein soll. Es scheint, daß dieses eine der Hauptursachen sei, weswegen man dieses ästhetische Beurteilungsvermögen gerade mit dem Namen des Geschmacks belegt hat. Denn, es mag mir jemand 142 alle Ingredienzien eines | Gerichts herzählen9, und von jedem bemerken, daß jedes derselben mir sonst angenehm sei, auch oben ein10 die Gesundheit dieses Essens mit Recht rühmen: so bin ich gegen alle diese Gründe taub, versuche das Gericht an m e i n e r Zunge und meinem11 Gaumen: und darnach (nicht nach allgemeinen Prinzipien) fälle ich mein Urteil. In der Tat wird das Geschmacksurteil durchaus immer, als ein einzelnes Urteil vom Objekt, gefällt. Der Verstand kann durch die Vergleichung des Objekts im Punkte des Wohlgefälligen mit dem Urteile anderer ein allgemeines Urteil machen: z. B. alle Tulpen sind schön; aber das ist alsdann kein Geschmacks- sondern ein logisches Urteil, welches die Beziehung eines Objekts auf den Geschmack zum Prädikate der Dinge von einer gewissen Art überhaupt macht12; dasjenige aber, wodurch ich eine einzelne gegebene Tulpe schön, d. i. mein Wohlgefallen an derselben allgemeingültig finde, ist allein das Geschmacksurteil. Dessen Eigentümlichkeit besteht aber darin: daß, ob es gleich bloß subjektive Gültigkeit hat, es dennoch a l l e Subjekte so in Anspruch nimmt, als es nur immer geschehen könnte, wenn es ein objektives Urteil wäre, das13 auf Erkenntnisgründen beruht, und durch einen Beweis könnte erzwungen werden. |

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 33

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I n s e c o n d o l u o g o , una prova a priori secondo regole determinate può ancor meno determinare il giudizio sulla bellezza. Se qualcuno mi recita la sua poesia o mi porta a uno spettacolo teatrale che, in fin dei conti, non incontra proprio il mio gusto, può certamente citare, per provare che la sua poesia è bella, B a t t e u x o L e s s i n g , o critici del gusto ancora più antichi e più famosi66, e tutte le regole da loro stabilite; e può anche darsi che certi passaggi, proprio quelli che mi dispiacciono, si armonizzino in modo perfetto con le regole della bellezza (così come sono date lì e universalmente riconosciute): io mi turo gli orecchi, non intendo sentire ragioni né ragionamenti e riterrò che quelle regole dei critici siano false o almeno che non sia questo il caso a cui applicarle, piuttosto che debba lasciare determinare il mio giudizio da argomenti dimostrativi a priori, poiché deve trattarsi di un 285 giudizio del gusto e non dell’intelletto o della ragione. Sembra che questa sia una delle cause principali per cui si è indicata tale facoltà estetica di valutare precisamente con il nome di gusto. Infatti, qualcuno può certo enumerarmi tutti gli ingredienti di una pietanza e farmi osservare che ciascuno 142 di essi mi è solitamente gradevole, e può per di più vantare a buon diritto le proprietà salutari di questo cibo: io resto sordo a tutte queste ragioni, assaggio la pietanza con la m i a lingua e il mio palato ed è in funzione di questi (e non secondo principi universali) che pronuncio il mio giudizio. In effetti il giudizio di gusto è pronunciato assolutamente sempre come un giudizio singolare dell’oggetto. L’intelletto, in fatto di compiacimento, può formare un giudizio universale, mediante il confronto dell’oggetto, con il giudizio degli altri, per esempio: «tutti i tulipani sono belli»; ma questo è allora non un giudizio di gusto, bensì un giudizio logico che in generale fa del riferimento di un oggetto al gusto il predicato delle cose di una certa specie; invece quel giudizio con cui trovo bello un singolo tulipano dato, cioè con il quale trovo il mio compiacimento per esso universalmente valido, è esso soltanto il giudizio di gusto. Ma la sua peculiarità consiste in questo: benché abbia una validità semplicemente soggettiva, la sua pretesa è comunque rivolta a t u t t i i soggetti, come potrebbe accadere soltanto se fosse un giudizio oggettivo che si basa su principi conoscitivi e potesse venire imposto mediante una prova.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 34 Es ist kein objektives Prinzip des Geschmacks möglich

Unter einem Prinzip des Geschmacks würde man einen Grundsatz verstehen, unter dessen Bedingung man den Begriff eines Gegenstandes subsumieren, und alsdann durch einen Schluß herausbringen könnte, daß er schön sei. Das ist aber schlechterdings unmöglich. Denn ich muß unmittelbar an der Vorstellung desselben die Lust empfinden, und sie kann mir durch keine Beweisgründe angeschwatzt werden. Obgleich also Kritiker1, wie H u m e sagt, scheinbarer vernünfteln können als Köche, so haben sie doch mit diesen einerlei Schicksal. Den Bestimmungsgrund ihres Urteils können sie nicht von der Kraft 286 der Beweisgründe, sondern nur von der || Reflexion des Subjekts über seinen eigenen Zustand (der Lust oder Unlust), mit Abweisung aller Vorschriften und Regeln, erwarten. Worüber aber Kritiker dennoch vernünfteln können und sollen, so daß es zur Berichtigung und Erweiterung unserer Geschmacksurteile gereiche: das ist nicht, den2 Bestimmungsgrund dieser Art ästhetischer Urteile in einer allgemeinen brauchbaren Formel darzulegen, welches unmöglich ist; sondern über3 die Erkenntnisvermögen und deren Geschäfte in diesen Urteilen Nachforschung zu tun, und die wechselseitige subjektive 144 Zweck|mäßigkeit, von welcher4 oben gezeigt ist, daß ihre Form in einer gegebenen Vorstellung die Schönheit des Gegenstandes derselben sei, in Beispielen aus einander zu setzen. Also ist die Kritik des Geschmacks selbst nur subjektiv, in Ansehung der Vorstellung, wodurch uns ein Objekt gegeben wird: nämlich sie ist die Kunst oder Wissenschaft, das wechselseitige Verhältnis des Verstandes und der Einbildungskraft zu einander in der gegebenen Vorstellung (ohne Beziehung auf vorhergehende Empfindung oder Begriff), mithin die Einhelligkeit oder Mißhelligkeit derselben, unter Regeln zu bringen, und sie in Ansehung ihrer Bedingungen zu bestimmen. Sie ist K u n s t , wenn sie dieses nur an Beispielen zeigt; sie ist W i s s e n s c h a f t , wenn sie die Möglichkeit einer solchen Beurteilung von der Natur dieser Vermögen, als Erkenntnisvermögen überhaupt, ableitet. Mit der letzteren, als transzendentalen Kritik, haben wir es hier überall allein zu tun. Sie soll das subjektive Prinzip

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 34

§ 34 NON È POSSIBILE ALCUN PRINCIPIO OGGETTIVO DEL GUSTO

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Per principio del gusto si intenderebbe una proposizione fondamentale sotto la cui condizione si potrebbe sussumere il concetto di un oggetto e poi dedurne con una inferenza che l’oggetto è bello. Ma ciò è assolutamente impossibile. Infatti io devo sentire il piacere immediatamente nella rappresentazione di quell’oggetto e questo piacere non mi può essere imposto con discorsi che utilizzano argomenti dimostrativi. Dunque, anche se i critici, come dice H u m e , possano ragionare in modo più plausibile dei cuochi, essi ne condividono tuttavia la stessa sorte67. Il principio di determinazione del loro giudizio possono attenderselo non dalla forza degli argomenti dimostrativi, bensì solo dalla riflessione del soggetto 286 sul proprio stato (di piacere o dispiacere), rifiutando tutte le prescrizioni e le regole. Tuttavia su una cosa i critici possono e devono comunque ragionare, in modo da pervenire a rettificare ed ampliare i nostri giudizi di gusto: e ciò non consiste nel presentare il principio di determinazione di questa specie di giudizi estetici in una formula universale utilizzabile, cosa che è impossibile, ma invece nell’indagare intorno alle facoltà conoscitive e ai loro compiti in questi giudizi, ed esporre con esempi la reciproca conformità soggettiva al fine di cui in precedenza si è 144 già mostrato che la sua forma costituisce, in una rappresentazione data, la bellezza del suo oggetto. Così la stessa critica del gusto è solo soggettiva riguardo alla rappresentazione con la quale ci è dato un oggetto: infatti essa è l’arte o la scienza di riportare a regole il rapporto reciproco dell’intelletto e della forza di immaginazione nella rappresentazione data (senza riferimento a una precedente sensazione o a un concetto), di conseguenza di regolare la loro concordia o discordia, e di determinarle riguardo alle loro condizioni. Essa è a r t e quando lo mostra solo con esempi; è s c i e n z a quando deriva la possibilità di una tale valutazione a partire dalla natura di queste facoltà, considerate in quanto facoltà conoscitive in generale. Qui noi abbiamo a che fare unicamente con quest’ultima, in quanto critica trascendentale. Essa deve sviluppare e giusti-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

des Geschmacks, als ein Prinzip a priori der Urteilskraft, entwickeln und rechtfertigen. Die Kritik, als Kunst, sucht bloß die physiologischen (hier psychologischen), mithin empirischen Regeln, nach denen der Geschmack wirklich verfährt, (ohne über ihre Möglichkeit nachzudenken) auf die Beurteilung seiner Gegenstände anzuwenden, und kritisiert die Produkte der schönen Kunst, so wie j e n e das Vermögen selbst, sie zu beurteilen. | 145

§ 35 Das Prinzip des Geschmacks ist das subjektive Prinzip der Urteilskraft überhaupt

Das Geschmacksurteil unterscheidet sich darin von dem logischen: daß das letztere eine Vorstellung unter Begriffe vom Objekt, das erstere aber gar nicht unter einen Begriff subsumiert, weil sonst der notwendige allgemeine Beifall durch Beweise würde erzwungen werden können. Gleichwohl aber ist es darin dem letztern ähnlich, daß es eine Allgemeinheit und || 287 Notwendigkeit, aber nicht nach Begriffen vom Objekt, folglich eine bloß subjektive vorgibt. Weil nun die Begriffe in einem Urteile den Inhalt desselben (das1 zum Erkenntnis des Objekts Gehörige) ausmachen, das Geschmacksurteil aber nicht durch Begriffe bestimmbar ist, so gründet es sich nur auf der subjektiven formalen Bedingung eines Urteils überhaupt. Die subjektive Bedingung aller Urteile ist das Vermögen zu urteilen selbst, oder die Urteilskraft. Diese, in Ansehung einer Vorstellung, wodurch2 ein Gegenstand gegeben wird, gebraucht, erfordert zweier Vorstellungskräfte Zusammenstimmung: nämlich der Einbildungskraft (für die Anschauung und die Zusammensetzung3 des Mannigfaltigen derselben), und des Verstandes4 (für den Begriff als Vorstellung der Einheit dieser Zusammensetzung). Weil nun dem Urteile hier kein Begriff vom Objekte zum 146 Grunde liegt, so kann es | nur in der Subsumtion der Einbildungskraft selbst (bei einer Vorstellung, wodurch5 ein Gegenstand gegeben wird) unter die Bedingungen, daß6 der Verstand überhaupt von der Anschauung zu Begriffen gelangt, bestehen. D. i. weil eben darin, daß die Einbildungskraft ohne Begriff schematisiert, die Freiheit derselben besteht: so muß das Ge-

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 35

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ficare il principio soggettivo del gusto come un principio a priori della forza di giudizio. La critica in quanto arte cerca semplicemente di applicare alla valutazione degli oggetti del gusto le regole fisiologiche (qui psicologiche), di conseguenza empiriche, secondo le quali il gusto procede effettivamente (senza riflettere sulla loro possibilità), ed essa critica i prodotti delle belle arti, così come l a c r i t i c a i n q u a n t o s c i e n z a lo fa nei confronti della facoltà stessa di valutarli.

§ 35 IL PRINCIPIO DEL GUSTO È IL PRINCIPIO SOGGETTIVO

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DELLA FORZA DI GIUDIZIO IN GENERALE

Il giudizio di gusto si distingue da quello logico per il fatto che quest’ultimo sussume una rappresentazione sotto concetti dell’oggetto, mentre il primo non sussume affatto sotto un concetto poiché, altrimenti, l’approvazione universale necessaria potrebbe essere imposta mediante prove. Ma il giudizio di gusto è tuttavia simile a quello per il fatto che vanta una universalità e una necessità, non però secondo concetti 287 dell’oggetto e di conseguenza semplicemente soggettive. Ora, poiché i concetti in un giudizio costituiscono il suo contenuto (ciò che pertiene alla conoscenza dell’oggetto), ma il giudizio di gusto non è determinabile mediante concetti, esso si fonda dunque solamente sulla condizione soggettiva formale di un giudizio in generale. La condizione soggettiva di tutti i giudizi è la facoltà stessa di giudicare, ovvero la forza di giudizio. Questa, usata a riguardo di una rappresentazione con cui un oggetto è dato, esige l’armonizzarsi di due forze rappresentative: cioè la forza di immaginazione (per l’intuizione e la composizione del suo molteplice) e dell’intelletto (per il concetto come rappresentazione dell’unità di questa composizione). Ora, poiché nessun concetto dell’oggetto sta qui a fondamento del giudizio, quest’ultimo può consistere soltanto nella sus- 146 sunzione della forza di immaginazione stessa (in una rappresentazione mediante la quale un oggetto è dato) sotto le condizioni per cui l’intelletto in generale procede dall’intuizione a concetti. Detto in altri termini: proprio perché la libertà della forza di immaginazione consiste precisamente nel fatto

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

schmacksurteil auf einer bloßen Empfindung der sich wechselseitig belebenden Einbildungskraft in ihrer F r e i h e i t , und des Verstandes mit seiner G e s e t z m ä ß i g k e i t , also auf einem Gefühle beruhen, das den Gegenstand nach der Zweckmäßigkeit der Vorstellung (wodurch ein Gegenstand gegeben wird) auf die Beförderung der Erkenntnisvermögen7 in ihrem freien Spiele beurteilen läßt; und der Geschmack, als subjektive Urteilskraft, enthält ein Prinzip der Subsumtion, aber nicht der Anschauungen unter B e g r i f f e , sondern des Ve r m ö g e n s der Anschauungen oder Darstellungen (d. i. der Einbildungskraft) unter das Ve r m ö g e n der Begriffe (d. i. den Verstand), sofern das erstere i n s e i n e r F r e i h e i t zum letzteren i n s e i n e r G e s e t z m ä ß i g k e i t zusammenstimmt. Um diesen Rechtsgrund nun durch eine Deduktion der Geschmacksurteile ausfindig zu machen, können nur die formalen Eigentümlichkeiten dieser Art Urteile, mithin sofern an ihnen bloß die logische Form betrachtet wird, uns zum Leitfaden dienen. | 147

§ 36 Von der Aufgabe einer Deduktion der Geschmacksurteile

Mit der Wahrnehmung eines Gegenstandes kann unmittelbar der Begriff von einem Objekte überhaupt, von welchem 288 jene die empirischen || Prädikate enthält, zu einem Erkenntnisurteile verbunden, und dadurch ein Erfahrungsurteil erzeugt werden. Diesem liegen nun Begriffe a priori von der synthetischen Einheit des Mannigfaltigen der Anschauung, um es als Bestimmung eines Objekts zu denken, zum Grunde; und diese Begriffe (die Kategorien) erfordern eine Deduktion, die auch in der Kritik der r. V. gegeben worden, wodurch denn auch die Auflösung der Aufgabe zu Stande kommen konnte: Wie sind synthetische Erkenntnisurteile a priori möglich? Diese Aufgabe betraf also die Prinzipien a priori des reinen Verstandes, und seiner theoretischen Urteile. Mit einer Wahrnehmung kann aber auch unmittelbar ein Gefühl der Lust (oder Unlust) und ein Wohlgefallen verbunden werden, welches die Vorstellung des Objekts begleitet und der-

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 36

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che schematizza senza concetto, occorre che il giudizio di gusto si basi su una semplice sensazione del reciproco vivificarsi della forza di immaginazione nella sua l i b e r t à e dell’intelletto con la sua c o n f o r m i t à a l l a l e g g e , dunque su un sentimento che permette di valutare l’oggetto secondo la conformità della rappresentazione al fine (mediante la quale un oggetto è dato) in merito alla promozione delle facoltà conoscitive nel loro libero gioco; e il gusto, in quanto forza di giudizio soggettiva, contiene un principio della sussunzione, ma non delle intuizioni sotto c o n c e t t i , bensì della f a c o l t à delle intuizioni o esibizioni (cioè della forza di immaginazione) sotto la f a c o l t à dei concetti (cioè sotto l’intelletto), in quanto la prima, nella sua libertà, si armonizza con la seconda, nella sua conformità alla legge. Ora, per poter scoprire questo principio di legittimità con una deduzione dei giudizi di gusto possono servirci da filo conduttore soltanto le peculiarità formali di questa specie di giudizi, in quanto vi viene considerata semplicemente la forma logica.

§ 36 DEL PROBLEMA DI UNA DEDUZIONE DEI GIUDIZI DI GUSTO

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Con la percezione di un oggetto può essere collegato immediatamente, in vista di un giudizio conoscitivo, il concetto di un oggetto in generale di cui quella contiene i predicati 288 empirici e così può essere prodotto un giudizio di esperienza. Ora, a fondamento di questo giudizio, per pensarlo come determinazione di un oggetto, stanno concetti a priori dell’unità sintetica del molteplice dell’intuizione; e questi concetti (le categorie) richiedono una deduzione che, infatti, è stata data anche nella Critica della ragione pura, grazie alla quale poté essere poi ottenuta la soluzione del seguente problema: come sono possibili giudizi conoscitivi sintetici a priori? Questo problema riguardava dunque i principi a priori dell’intelletto puro e i suoi giudizi teoretici. Ma con una percezione può anche essere collegato immediatamente un sentimento del piacere (o dispiacere), un compiacimento che accompagna la rappresentazione dell’oggetto,

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

selben statt Prädikats dient, und so ein ästhetisches Urteil, welches kein Erkenntnisurteil ist, entspringen. Einem solchen, wenn es nicht bloßes Empfindungs-, sondern1 ein formales Reflexions-Urteil ist, welches dieses Wohlgefallen jedermann als | 148 notwendig ansinnet, muß etwas als Prinzip a priori zum Grunde liegen, welches allenfalls ein bloß subjektives sein mag (wenn ein objektives zu solcher Art Urteile unmöglich sein sollte), aber auch als ein solches einer Deduktion bedarf, damit begriffen werde2, wie ein ästhetisches Urteil auf Notwendigkeit Anspruch machen könne. Hierauf gründet sich nun die Aufgabe, mit der wir uns jetzt beschäftigen: Wie sind Geschmacksurteile möglich? Welche Aufgabe also die Prinzipien a priori der reinen Urteilskraft in ä s t h e t i s c h e n Urteilen betrifft, d. i. in solchen, wo sie nicht (wie in den theoretischen) unter objektiven Verstandesbegriffen3 bloß zu subsumieren hat und unter einem Gesetze steht, sondern wo sie sich selbst4, subjektiv, Gegenstand sowohl als Gesetz ist. Diese Aufgabe kann auch so vorgestellt werden: Wie ist ein Urteil möglich, das bloß aus dem e i g e n e n Gefühl der Lust an einem Gegenstande, unabhängig von dessen Begriffe, diese Lust, als der Vorstellung desselben Objekts i n j e d e m a n d e r n S u b j e k t e anhängig, a priori, d.i. ohne fremde Beistimmung abwarten zu dürfen, beurteilte? Daß Geschmacksurteile synthetische sind, ist leicht einzusehen, weil sie über den Begriff, und selbst die Anschauung des Objekts, hinausgehen, und etwas, das5 gar nicht einmal Erkenntnis ist, nämlich Gefühl der Lust (oder Unlust) zu jener als Prädikat hinzutun. Daß sie aber, obgleich das Prädikat (der mit 149 der Vorstellung | verbundenen e i g e n e n Lust) empirisch ist, gleichwohl, was die geforderte Beistimmung v o n j e d e r 289 m a n n || betrifft, Urteile a priori sind, oder dafür gehalten werden wollen, ist gleichfalls schon in den Ausdrücken ihres Anspruchs enthalten; und so gehört diese Aufgabe der Kritik der Urteilskraft unter das allgemeine Problem der Transzendentalphilosophie: Wie sind synthetische Urteile a priori möglich?

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 36

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e le serve in qualità di predicato, e così può avere origine un giudizio estetico che non è affatto un giudizio conoscitivo. A fondamento di un tale giudizio, se esso non è un semplice giudizio di sensazione, bensì un giudizio formale di riflessione, che esige da ciascuno questo compiacimento come necessario, deve stare qualcosa come un principio a priori, il quale 148 in ogni caso può essere semplicemente soggettivo (se un principio oggettivo dovesse essere impossibile per questa specie di giudizi), ma che, pur essendo soggettivo, ha bisogno anch’esso di una deduzione, affinché si comprenda come un giudizio estetico possa avanzare una pretesa di necessità. Qui si fonda il problema di cui ora ci stiamo occupando: come sono possibili giudizi di gusto? Tale problema concerne dunque i principi a priori della forza pura di giudizio nei giudizi e s t e t i c i , cioè in quei giudizi in cui essa non deve semplicemente (come nei giudizi teoretici) sussumere sotto concetti oggettivi dell’intelletto, trovandosi sottomessa a una legge, ma nei quali essa è, soggettivamente, sia oggetto sia legge a se stessa. Questo problema può anche essere proposto nel modo seguente: come è possibile un giudizio che, semplicemente a partire dal p r o p r i o sentimento del piacere per un oggetto, indipendentemente dal suo concetto, valuti a priori, cioè senza aver bisogno di attendere il consenso altrui, questo piacere come inerente alla rappresentazione dello stesso oggetto in ogni altro soggetto? Il fatto che i giudizi di gusto siano sintetici è facile scorgerlo perché vanno oltre il concetto e anche l’intuizione dell’oggetto e perché aggiungono a tale intuizione, in quanto predicato, qualcosa che non è più nemmeno conoscenza, cioè un sentimento del piacere (o dispiacere). Ma, benché il predicato (quello del p r o p r i o piacere collegato con la rappre- 149 sentazione) sia empirico, il fatto che poi questi siano comunque, per quel che concerne il consenso richiesto d a c i a - 289 s c u n o , giudizi a priori, o vogliano essere considerati tali, è anche già contenuto nelle espressioni della loro pretesa; e così questo problema della critica della forza di giudizio rientra nel problema generale della filosofia trascendentale: come sono possibili giudizi sintetici a priori?

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 37 Was wird eigentlich in einem Geschmacksurteile von einem Gegenstande a priori behauptet? Daß die Vorstellung von einem Gegenstande unmittelbar mit einer Lust verbunden sei, kann nur innerlich wahrgenommen werden, und würde, wenn man nichts weiter als dieses anzeigen wollte, ein bloß empirisches Urteil geben. Denn a priori kann ich mit keiner Vorstellung ein bestimmtes Gefühl (der Lust oder Unlust) verbinden, außer wo ein den Willen bestimmendes Prinzip a priori in der Vernunft zum Grunde liegt; da denn die Lust (im moralischen Gefühl) die Folge davon ist, eben darum aber mit der Lust im Geschmacke gar nicht verglichen werden kann, weil sie einen bestimmten Begriff von einem Gesetze erfordert: da hingegen jene unmittelbar mit der bloßen Beurteilung, vor allem Begriffe, verbunden sein soll. Daher sind 150 auch alle | Geschmacksurteile einzelne Urteile, weil sie ihr Prädikat des Wohlgefallens nicht mit einem Begriffe, sondern mit einer gegebenen einzelnen empirischen Vorstellung verbinden. Also ist es nicht die Lust, sondern d i e A l l g e m e i n g ü l t i g k e i t d i e s e r L u s t , die mit der bloßen Beurteilung eines Gegenstandes im Gemüte als verbunden wahrgenommen wird, welche a priori als allgemeine Regel für die Urteilskraft, für jedermann gültig, in einem Geschmacksurteile vorgestellt wird. Es ist ein empirisches Urteil: daß ich einen Gegenstand mit Lust wahrnehme und beurteile. Es ist aber ein Urteil a priori: daß ich ihn schön finde, d. i. jenes Wohlgefallen jedermann als notwendig ansinnen darf.

§ 38 Deduktion der Geschmacksurteile Wenn eingeräumt wird: daß in einem reinen Geschmacksurteile das Wohlgefallen an dem Gegenstande mit der bloßen Beurteilung seiner Form verbunden sei: so ist es nichts anders, 290 als die subjektive Zweck||mäßigkeit derselben für die Urteils-

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, §§ 37-38

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§ 37 CHE COSA PROPRIAMENTE SI AFFERMA A PRIORI DI UN OGGETTO IN UN GIUDIZIO DI GUSTO? Che la rappresentazione di un oggetto sia immediatamente collegata con un piacere può essere percepito solo internamente e darebbe, se non si volesse indicare nient’altro che questo, un giudizio semplicemente empirico. Infatti, a priori io non posso collegare con alcuna rappresentazione un sentimento determinato (del piacere o dispiacere), tranne nel caso in cui a fondamento nella ragione sta un principio a priori determinante la volontà; in tal caso, infatti, il piacere (nel sentimento morale) ne è la conseguenza, ma proprio per questo non può essere in alcun modo paragonato con il piacere insito nel gusto, precisamente perché quello richiede un concetto determinato di una legge, mentre quest’ultimo, invece, deve essere immediatamente collegato con la semplice valutazione, prima di ogni concetto. Perciò tutti i giudizi di gusto sono 150 anche giudizi singolari, poiché collegano il loro predicato del compiacimento non con un concetto, ma con una rappresentazione empirica singolare data. Così non è il piacere, ma l a v a l i d i t à u n i v e r s a l e d i q u e s t o p i a c e r e , percepita come collegata nell’animo con la semplice valutazione di un oggetto, che è rappresentata a priori in un giudizio di gusto come regola universale per la forza di giudizio, valida per ciascuno. È un giudizio empirico che io percepisca e valuti un oggetto con piacere. Ma è un giudizio a priori che io trovi l’oggetto bello, cioè che io possa esigere da ciascuno quel compiacimento come necessario.

§ 38 DEDUZIONE DEI GIUDIZI DI GUSTO Se si concede che in un puro giudizio di gusto il compiacimento per l’oggetto è collegato con la semplice valutazione della sua forma, allora quella che noi sentiamo collegata nell’animo con la rappresentazione dell’oggetto non è nient’altro che la conformità soggettiva di tale forma al fine per la forza di giu- 290

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

kraft, welche wir mit der Vorstellung des Gegenstandes im Gemüte verbunden empfinden. Da nun die Urteilskraft in Ansehung der formalen Regeln der Beurteilung, ohne alle Materie 151 (weder Sinnenempfindung noch Begriff), nur auf die | subjektiven Bedingungen des Gebrauchs der Urteilskraft überhaupt (die weder auf die besondere Sinnesart, noch einen besondern Verstandesbegriff eingeschränkt1 ist) gerichtet sein kann; folglich auf dasjenige2 Subjektive, welches man in allen Menschen (als zum möglichen Erkenntnisse überhaupt erforderlich) voraussetzen kann: so muß die Übereinstimmung einer Vorstellung mit diesen Bedingungen der Urteilskraft als für jedermann gültig a priori angenommen werden können. D. i. die Lust, oder subjektive Zweckmäßigkeit der Vorstellung für das Verhältnis der Erkenntnisvermögen in der Beurteilung eines sinnlichen Gegenstandes überhaupt, wird jedermann mit Recht angesonnen werden können*. | 152

Anmerkung Diese Deduktion ist darum so leicht, weil sie keine objektive Realität eines Begriffs zu rechtfertigen nötig hat; denn Schönheit ist kein Begriff vom Objekt, und das Geschmacksurteil ist kein Erkenntnisurteil. Es behauptet nur: daß wir berechtigt sind, dieselben subjektiven Bedingungen der Urteilskraft allgemein bei jedem Menschen vorauszusetzen, die wir in uns antreffen; und nur noch, daß wir unter diese Bedingungen das gegebene Objekt richtig subsumiert haben. Obgleich nun dies letz-

* Um berechtigt zu sein, auf allgemeine Beistimmung zu einem bloß auf subjektiven Gründen beruhenden Urteile der ästhetischen Urteilskraft Anspruch zu machen, ist genug, daß man einräume: 1) Bei allen Menschen seien die subjektiven Bedingungen dieses Vermögens, was das Verhältnis der darin in Tätigkeit gesetzten Erkenntniskräfte zu einem Erkenntnis überhaupt betrifft, einerlei; welches wahr sein muß, weil sich sonst Menschen ihre Vorstellungen und selbst das Erkenntnis nicht mitteilen könnten. 2) Das Urteil habe bloß auf dieses Verhältnis (mithin die3 f o r m a l e B e d i n g u n g der Urteilskraft) Rücksicht genommen, und sei rein, d. i. weder mit Begriffen vom Objekt noch Empfindungen, als Bestimmungsgründen, vermengt. Wenn in Ansehung dieses letztern auch gefehlt worden, so betrifft das nur die unrichtige Anwendung der Befugnis, die ein Gesetz uns gibt, auf einen besondern Fall, wodurch die Befugnis überhaupt nicht aufgehoben wird.

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 38

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dizio. Ora, poiché la forza di giudizio riguardo alle regole formali della valutazione, senza alcuna materia (né sensazione dei sensi né concetto), può essere rivolta solo alle condizioni 151 soggettive dell’uso della forza di giudizio in generale (la quale non è circoscritta né alla particolare specie di senso né a un particolare concetto dell’intelletto), di conseguenza a ciò che di soggettivo si può presupporre in tutti gli uomini (in quanto richiesto per una possibile conoscenza in generale), allora l’accordo di una rappresentazione con queste condizioni della forza di giudizio deve poter essere assunto come valido a priori per ciascuno. In altri termini: il piacere, o la conformità soggettiva della rappresentazione al fine per il rapporto delle facoltà conoscitive nella valutazione di un oggetto sensibile in generale, si potrà a buon diritto esigere da ciascuno*.

NOTA Questa deduzione è così facile perché non ha bisogno di giustificare la realtà oggettiva di un concetto; infatti la bellezza non è un concetto dell’oggetto e il giudizio di gusto non è un giudizio conoscitivo. Esso afferma solamente che siamo legittimati a presupporre universalmente in ogni uomo le medesime condizioni soggettive della forza di giudizio che riscontriamo in noi; e inoltre che abbiamo sussunto esattamente l’oggetto dato sotto queste condizioni. Benché quest’ulti* Per essere autorizzati ad avanzare la pretesa di un consenso universale a un giudizio della forza estetica di giudizio che si basa semplicemente su principi soggettivi è sufficiente ammettere: 1) che in tutti gli uomini le condizioni soggettive di questa facoltà siano le stesse per quel che riguarda il rapporto delle forze conoscitive qui poste in attività in vista di una conoscenza in generale; cosa che deve essere vera perché, altrimenti, gli uomini non potrebbero comunicarsi le loro rappresentazioni e nemmeno la conoscenza; 2) che il giudizio prenda in considerazione semplicemente questo rapporto (di conseguenza la c o n d i z i o n e f o r m a l e della forza di giudizio) e sia puro, cioè che non sia mischiato né a concetti dell’oggetto né a sensazioni in quanto principi di determinazione. Qualora venisse commesso un errore riguardo a quest’ultimo aspetto, ciò riguarderebbe soltanto l’applicazione inesatta a un caso particolare di un diritto che ci è dato da una legge, per cui questo diritto in generale non viene tolto.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

tere unvermeidliche, der logischen Urteilskraft nicht anhängende, Schwierigkeiten hat (weil man in dieser unter Begriffe, in 291 der ästhetischen aber unter ein || bloß empfindbares Verhältnis, der an der vorgestellten Form des Objekts wechselseitig unter einander stimmenden Einbildungskraft und des4 Verstandes, subsumiert, wo die Subsumtion leicht trügen kann): so wird dadurch doch der Rechtmäßigkeit des Anspruchs der Urteilskraft, auf allgemeine Beistimmung zu rechnen, nichts benommen, welcher5 nur darauf hinausläuft: die Richtigkeit des Prinzips aus subjektiven Gründen für jedermann gültig zu urteilen. Denn was die Schwierigkeit und den Zweifel wegen der Richtigkeit der Subsumtion unter jenes Prinzip betrifft, so macht sie die Rechtmäßigkeit des Anspruchs auf diese Gültigkeit eines ästhetischen Urteils überhaupt, mithin das Prinzip selber, so wenig zweifelhaft, als die eben sowohl (obgleich nicht so oft und leicht) fehlerhafte Subsumtion der logischen Urteilskraft unter ihr Prinzip das letztere, welches objektiv ist, zweifelhaft machen kann. Würde aber die Frage sein: Wie ist es möglich, die Natur als6 einen Inbegriff von Gegenständen des Geschmacks a priori anzunehmen? so hat diese Aufgabe Beziehung auf die Teleologie, weil es als ein7 Zweck der Natur angesehen werden müßte, | 153 der ihrem Begriffe wesentlich anhinge, für8 unsere Urteilskraft zweckmäßige Formen aufzustellen. Aber die Richtigkeit dieser Annahme ist noch sehr zu bezweifeln, indes die9 Wirklichkeit10 der Naturschönheiten der Erfahrung offen liegt11.

§ 39 Von der Mitteilbarkeit einer Empfindung Wenn Empfindung, als das Reale der Wahrnehmung, auf Erkenntnis bezogen wird, so heißt sie Sinnenempfindung; und das Spezifische ihrer Qualität läßt sich nur als durchgängig auf gleiche Art mitteilbar vorstellen, wenn man annimmt, daß jedermann einen gleichen Sinn mit dem unsrigen habe: dieses läßt sich aber von einer Sinnesempfindung schlechterdings nicht voraussetzen. So kann dem, welchem der Sinn des Geruchs fehlt, diese Art der Empfindung nicht mitgeteilt werden; und,

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 39

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mo punto comporti inevitabili difficoltà che non ineriscono alla forza logica di giudizio (poiché in quest’ultima si sussume sotto concetti, mentre nella forza estetica di giudizio si sussume sotto un rapporto, che può essere solo sentito, tra la forza 291 di immaginazione e l’intelletto che si accordano reciprocamente nella forma rappresentata dell’oggetto, e in tal caso la sussunzione può facilmente ingannare), con ciò non è tolto comunque nulla alla legittimità della pretesa della forza di giudizio di contare su un consenso universale, poiché questa pretesa consiste soltanto nel giudicare come valida per ciascuno, a partire da fondamenti soggettivi, l’esattezza del principio. Infatti, per quanto riguarda la difficoltà e il dubbio attinenti all’esattezza della sussunzione sotto quel principio, essa rende tanto poco dubbia la legittimità della pretesa a questa validità di un giudizio estetico in generale, e di conseguenza il principio stesso, quanto la sussunzione ugualmente erronea (benché non così spesso e così facilmente) della forza logica di giudizio sotto il suo principio possa rendere dubbio quest’ultimo, che è oggettivo. Ma se la questione fosse «com’è possibile assumere a priori la natura come un insieme di oggetti del gusto?», allora si tratterebbe di un problema che si riferisce alla teleologia, perché stabilire le forme finalistiche per la nostra forza di giudizio andrebbe considerato come un fine della natura inerente essenzialmente al suo concetto. 153 Eppure sulla esattezza di questa assunzione rimane ancora molto da dubitare, mentre la realtà delle bellezze naturali è palese all’esperienza.

§ 39 DELLA COMUNICABILITÀ DI UNA SENSAZIONE Quando la sensazione, come ciò che è reale della percezione, viene riferita alla conoscenza, si chiama sensazione dei sensi; e ciò che è specifico della sua qualità può essere rappresentato come completamente comunicabile allo stesso modo solo se si assume che ciascuno abbia un senso identico al nostro: ma ciò non può assolutamente venire presupposto quando si tratta di una sensazione dei sensi. Così non si può comunicare a chi manca il senso dell’odorato questa specie di

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

selbst wenn er ihm nicht mangelt, kann man doch nicht sicher sein, ob er gerade die nämliche Empfindung von einer Blume habe, die wir davon haben. Noch mehr unterschieden müssen wir uns aber die Menschen in Ansehung der A n n e h m l i c h k e i t oder U n a n n e h m l i c h k e i t bei der Empfindung1 eben desselben Gegenstandes der Sinne vorstellen, und es ist schlechterdings nicht zu verlangen, daß die Lust an dergleichen Gegenständen von jedermann zugestanden werde. Man kann die Lust 292 von dieser || Art, weil sie durch den Sinn in das Gemüt kommt und wir dabei also passiv sind, die Lust des Genusses nennen. | 154 Das Wohlgefallen an einer Handlung um ihrer moralischen Beschaffenheit willen ist dagegen keine Lust des Genusses, sondern der Selbsttätigkeit, und deren Gemäßheit mit der Idee seiner Bestimmung. Dieses Gefühl, welches das sittliche heißt, erfordert aber Begriffe; und stellt keine freie, sondern gesetzliche Zweckmäßigkeit dar, läßt sich also auch nicht anders, als vermittelst der Vernunft, und, soll die Lust bei jedermann gleichartig sein, durch sehr bestimmte praktische Vernunftbegriffe, allgemein mitteilen. Die Lust am Erhabenen der Natur, als Lust der vernünftelnden Kontemplation, macht zwar auch auf allgemeine Teilnehmung Anspruch, setzt aber doch schon ein anderes Gefühl, nämlich das seiner übersinnlichen Bestimmung, voraus: welches, so dunkel es auch sein mag, eine moralische Grundlage hat. Daß aber andere Menschen darauf Rücksicht nehmen, und in der Betrachtung der rauhen Größe der Natur ein Wohlgefallen finden werden (welches wahrhaftig dem Anblicke derselben, der eher abschreckend ist, nicht zugeschrieben werden kann), bin ich nicht schlechthin vorauszusetzen berechtigt2. Demungeachtet kann ich doch, in Betracht3 dessen, daß auf jene moralischen Anlagen bei jeder schicklichen Veranlassung Rücksicht genommen werden sollte, auch jenes Wohlgefallen jedermann ansinnen, aber nur vermittelst des moralischen Gesetzes, welches seiner Seits wiederum auf Begriffen der Vernunft gegründet ist. | 155 Dagegen ist die Lust am Schönen weder eine Lust des Genusses, noch einer gesetzlichen Tätigkeit, auch nicht der vernünftelnden Kontemplation nach Ideen, sondern der bloßen Reflexion. Ohne4 irgend einen Zweck oder Grundsatz zur Richtschnur zu haben, begleitet diese Lust die5 gemeine Auffassung eines Gegenstandes durch die Einbildungskraft, als

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sensazione; e, anche se non gli manca, non si può tuttavia essere certi che egli abbia di un fiore precisamente la stessa sensazione che ne abbiamo noi. Ma ancor più differenti dobbiamo rappresentarci gli uomini riguardo alla g r a d e v o l e z z a o s g r a d e v o l e z z a nella sensazione del medesimo oggetto dei sensi, e non si può assolutamente pretendere che il piacere per una simile specie di oggetti venga riconosciuto da ognuno. Il piacere di questa specie, giacché giunge all’animo 292 mediante il senso, e noi in questo siamo passivi, può essere chiamato il piacere del g o d i m e n t o . Il compiacimento provato per un’azione in virtù della sua 154 costitutiva proprietà morale non è invece un piacere del godimento, bensì della spontaneità e della sua conformità all’idea della propria destinazione. Questo sentimento, che si chiama morale, richiede tuttavia concetti ed esibisce una conformità al fine non libera, ma secondo leggi: può dunque essere comunicato universalmente non altrimenti se non per mezzo della ragione e, se il piacere deve essere della stessa specie in ciascuno, mediante concetti pratici della ragione molto determinati. Il piacere per il sublime della natura, come piacere della contemplazione raziocinante, avanza certo anch’esso la pretesa alla partecipazione universale, presupponendo però già un altro sentimento, cioè quello della propria destinazione soprasensibile: tale sentimento, per quanto oscuro possa essere, ha un fondamento morale. Ma non sono assolutamente autorizzato a presupporre che altri uomini terranno conto di questo sentimento e che troveranno un compiacimento nella considerazione della selvaggia grandezza della natura (che a dire il vero non può essere attribuita al suo aspetto che è, piuttosto, terrificante). Malgrado ciò, considerando che in ogni occasione appropriata si dovrebbe tener conto di quelle propensioni morali, posso tuttavia anche esigere quel compiacimento da ciascuno, ma solo per mezzo della legge morale, che da parte sua è fondata a sua volta su concetti della ragione. Per contro, il piacere per il bello non è né un piacere del 155 godimento né di un’attività secondo leggi e nemmeno della contemplazione raziocinante secondo idee, ma è il piacere della semplice riflessione. Senza avere per norma un qualche fine o un principio, questo piacere accompagna la comune apprensione di un oggetto mediante la forza di immaginazione,

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Vermögen der Anschauung, in Beziehung auf den Verstand, als Vermögen der Begriffe, vermittelst eines Verfahrens6 der Urteilskraft, welches sie auch zum Behuf der gemeinsten Erfahrung ausüben muß: nur daß sie es hier, um einen empirischen objektiven Begriff, dort aber (in der ästhetischen Beurteilung) bloß7, um die Angemessenheit der Vorstellung zur harmonischen (subjektiv-zweckmäßigen) Beschäftigung beider Erkenntnisvermögen in ihrer Freiheit wahrzunehmen, d. i. den8 Vorstellungszustand mit Lust zu empfinden, zu tun genötigt9 ist. Diese Lust muß notwendig bei jedermann auf den nämlichen Bedingungen beruhen, weil sie subjektive Bedingungen der Möglichkeit einer Erkenntnis überhaupt sind, und die Proportion dieser || 293 Erkenntnisvermögen, welche10 zum Geschmack erfordert wird, auch zum gemeinen und gesunden Verstande erforderlich ist, den man bei jedermann voraussetzen darf. Eben darum darf auch der mit Geschmack Urteilende (wenn er nur in diesem Bewußtsein nicht irrt, und nicht11 die Materie für die Form, Reiz12 156 für Schönheit nimmt) die subjektive Zweckmäßigkeit, d. i. | sein Wohlgefallen am Objekte jedem andern ansinnen, und sein Gefühl als allgemein mitteilbar, und zwar ohne Vermittelung der Begriffe, annehmen.

§ 40 Vom Geschmacke als einer Art von sensus communis Man gibt oft der Urteilskraft, wenn nicht sowohl ihre Reflexion als vielmehr bloß das Resultat derselben bemerklich ist, den Namen eines Sinnes, und redet von einem Wahrheitssinne, von einem Sinne für Anständigkeit, Gerechtigkeit u.s.w.; ob man zwar weiß, wenigstens billig wissen sollte, daß es nicht ein Sinn ist, in welchem1 diese Begriffe ihren Sitz haben können, noch weniger, daß dieser zu einem Ausspruche allgemeiner Regeln die mindeste Fähigkeit habe: sondern daß uns von Wahrheit, Schicklichkeit, Schönheit oder Gerechtigkeit nie eine Vorstellung dieser Art in Gedanken kommen könnte, wenn wir uns nicht über die Sinne zu höhern Erkenntnisvermögen erheben könnten. D e r g e m e i n e M e n s c h e n v e r s t a n d , den man, als bloß gesunden (noch nicht kultivierten) Verstand, für das geringste ansieht, dessen man nur immer sich von dem, wel-

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 40

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come facoltà dell’intuizione, in riferimento all’intelletto, come facoltà dei concetti, per mezzo di un procedimento della forza di giudizio che questa deve esercitare anche in funzione dell’esperienza più comune: solo che in questo caso essa è costretta a farlo in vista di un concetto empirico oggettivo, e invece nell’altro caso (nella valutazione estetica) semplicemente per percepire l’adeguatezza della rappresentazione all’attività armonica (soggettivamente conforme al fine) delle due facoltà conoscitive nella loro libertà, cioè per sentire con piacere lo stato rappresentativo. Questo piacere deve necessariamente basarsi in ciascuno sulle stesse condizioni, perché esse sono condizioni soggettive della possibilità di una conoscenza in generale e la proporzione di queste facoltà conoscitive, che è richiesta 293 per il gusto, è richiesta anche per quel comune e sano intelletto che è lecito presupporre in ciascuno. Proprio per questo colui che giudica con gusto (purché egli non erri in questa consapevolezza del bello e non prenda la materia per la forma, l’attrattiva per la bellezza) può anche esigere da ogni altro la conformità soggettiva al fine, cioè il suo compiacimento per 156 l’oggetto, e assumere il proprio sentimento come universalmente comunicabile e ciò senza la mediazione dei concetti.

§ 40 DEL GUSTO COME DI UNA SPECIE DI sensus

communis

Si dà spesso alla forza di giudizio, quando si bada non tanto alla sua riflessione quanto piuttosto semplicemente al suo risultato, il nome di senso, e si parla di un senso della verità, di un senso del decoro, della giustizia ecc., sebbene certo si sappia o almeno si dovrebbe convenientemente sapere che non è un senso ciò in cui questi concetti possono avere la loro sede e ancor meno che un senso abbia la benché minima capacità di formulare regole universali; ma che invece non potrebbe mai venirci in mente una rappresentazione di questa specie della verità, della convenienza, della bellezza o della giustizia, se non potessimo elevarci al di sopra dei sensi fino a facoltà conoscitive superiori. I l c o m u n e i n t e l l e t t o u m a n o , in quanto intelletto semplicemente sano (non ancora coltivato), che si considera come il minimo che ci si

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

cher2 auf den Namen eines Menschen Anspruch macht, gewärtigen kann, hat daher auch die kränkende Ehre, mit dem Namen des Gemeinsinnes (sensus communis) belegt zu werden; 157 und zwar3 so, daß man unter dem Worte | g e m e i n (nicht bloß in unserer Sprache, die hierin wirklich4 eine Zweideutigkeit enthält, sondern auch in mancher andern) so viel als das vulgare, was man allenthalben antrifft, versteht, welches zu besitzen schlechterdings kein Verdienst oder Vorzug ist. Unter dem sensus c o m m u n i s aber muß man die Idee eines g e m e i n s c h a f t l i c h e n Sinnes, d. i. eines Beurteilungsvermögens verstehen, welches in seiner Reflexion auf die Vorstellungsart jedes andern in Gedanken (a priori) Rücksicht nimmt, um g l e i c h s a m an die gesamte Menschenvernunft sein Urteil zu halten, und dadurch der Illusion zu entgehen, die aus subjektiven Privatbedingungen, welche5 leicht für objektiv gehalten werden könnten, auf das Urteil nachteiligen Einfluß 294 haben würde. || Dieses geschieht nun dadurch, daß man sein Urteil an anderer, nicht6 sowohl wirkliche, als vielmehr bloß mögliche Urteile hält, und sich in die Stelle jedes andern versetzt, indem man bloß von den Beschränkungen, die unserer eigenen Beurteilung zufälliger Weise anhängen, abstrahiert: welches wiederum dadurch bewirkt wird, daß man das, was in dem7 Vorstellungszustande Materie, d. i. Empfindung ist, so viel möglich wegläßt, und lediglich auf die formalen Eigentümlichkeiten seiner Vorstellung, oder seines Vorstellungszustandes, Acht hat. Nun scheint diese Operation der Reflexion vielleicht allzu künstlich zu sein, um sie dem Vermögen, welches wir den 158 g e m e i n e n Sinn nennen, beizu|legen; allein sie sieht auch nur so aus, wenn man sie in abstrakten Formeln ausdrückt; an sich ist nichts natürlicher, als von Reiz und Rührung zu abstrahieren, wenn man ein Urteil sucht, welches zur allgemeinen Regel dienen soll. Folgende Maximen des gemeinen Menschenverstandes gehören zwar nicht hieher, als Teile der Geschmackskritik, können aber doch zur Erläuterung ihrer Grundsätze dienen. Es sind folgende: 1. Selbstdenken; 2. An der Stelle jedes andern denken8; 3. Jederzeit mit sich selbst einstimmig denken9. Die erste ist die Maxime der v o r u r t e i l f r e i e n , die zweite der e r w e i t e r t e n , die dritte der k o n s e q u e n t e n Denkungsart.

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possa pur sempre aspettare da chi avanzi la pretesa di essere chiamato uomo, ha perciò anche l’onore poco lusinghiero di essere gravato dal nome di senso comune (sensus communis); e ciò in modo tale che con la parola c o m u n e (non soltanto 157 nella nostra lingua che contiene effettivamente su questo punto un’ambiguità, ma anche in parecchie altre) si intende né più né meno che il vulgare, ciò che si incontra dappertutto, e il cui possesso non è assolutamente un merito né un privilegio. Ma con sensus c o m m u n i s si deve intendere l’idea di un senso che abbiamo i n c o m u n e , cioè una facoltà di valutare che, nella sua riflessione, tiene conto nel pensare (a priori) del modo di rappresentazione di ogni altro, per appoggiare, p e r c o s ì d i r e , il suo giudizio alla ragione umana nel suo complesso e pertanto sfuggire all’illusione che, derivando da condizioni soggettive private facilmente suscettibili di essere ritenute oggettive, avrebbe un’influenza sfavorevole sul giudizio. Ora, questo avviene per il fatto che si appoggia il 294 proprio giudizio ai giudizi degli altri, non tanto a quelli reali quanto piuttosto a quelli semplicemente possibili, e ci si mette al posto di ogni altro semplicemente astraendo dalle limitazioni inerenti in modo contingente alla nostra propria valutazione: cosa che si ottiene lasciando da parte, per quanto è possibile, ciò che nello stato rappresentativo è materia, cioè la sensazione, e prestando esclusivamente attenzione alle peculiarità formali della propria rappresentazione o del proprio stato rappresentativo. Ora, questa operazione della riflessione sembra forse essere troppo artificiosa per essere attribuita alla facoltà che chiamiamo senso c o m u n e ; eccetto che essa lo sembra 158 solo se la si esprime in formule astratte; in sé non c’è nulla di più naturale che l’astrarre da attrattiva ed emozione quando si cerca un giudizio che deve servire da regola universale. Le seguenti massime del comune intelletto umano non c’entrano qui con questa trattazione, come parti della critica del gusto, ma possono tuttavia servire a illustrare i suoi principi. Queste massime sono: 1. Pensare da sé; 2. Pensare mettendosi al posto di ogni altro; 3. Pensare sempre in consonanza con se stessi. La prima è la massima del modo di pensare l i b e r o d a p r e g i u d i z i , la seconda di quello a m p i o , la terza di quello c o n s e g u e n t e . La prima è la massima di

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Die erste ist die Maxime einer niemals p a s s i v e n Vernunft. Der Hang zur letztern, mithin zur Heteronomie der Vernunft, heißt das Vo r u r t e i l ; und das größte unter allen ist, sich die Natur Regeln10, welche der Verstand ihr durch sein eigenes11 wesentliches Gesetz zum Grunde legt, als nicht unterworfen vorzustellen: d. i. der A b e r g l a u b e . Befreiung vom Aberglauben heißt A u f k l ä r u n g *; weil, obschon diese Benennung 159 auch der Befreiung von Vor|urteilen überhaupt zukommt, jener doch vorzugsweise (in sensu eminenti) ein Vorurteil genannt zu werden verdient, indem die Blindheit, worin14 der Aberglaube 295 versetzt, ja sie wohl gar als Obliegenheit fordert, || das Bedürfnis, von andern geleitet zu werden, mithin den Zustand einer passiven Vernunft vorzüglich kenntlich macht. Was die zweite Maxime der Denkungsart betrifft, so sind wir sonst wohl gewohnt, denjenigen eingeschränkt ( b o r n i e r t , das Gegenteil von e r w e i t e r t 15) zu nennen, dessen Talente zu keinem großen Gebrauche (vornehmlich dem intensiven) zulangen. Allein hier ist nicht die Rede vom16 Vermögen des Erkenntnisses, sondern von der D e n k u n g s a r t , einen zweckmäßigen Gebrauch davon zu machen: welche, so klein auch der Umfang und der Grad sei, wohin die Naturgabe des Menschen reicht, dennoch einen Mann von e r w e i t e r t e r D e n k u n g s a r t anzeigt, wenn er sich über die subjektiven Privatbedingungen des Urteils, wozwischen so viele andere wie eingeklammert sind, wegsetzen kann17, und aus einem a l l g e m e i n e n S t a n d p u n k t e (den er dadurch nur bestimmen kann, daß er sich in den Standpunkt anderer versetzt) über sein eigenes Urteil reflektiert. Die dritte | 160 Maxime, nämlich die der k o n s e q u e n t e n Denkungsart, ist am schwersten zu erreichen, und kann auch nur durch die * Man sieht bald, daß Aufklärung zwar in thesi leicht, in hypothesi aber eine schwere und langsam auszuführende Sache sei; weil mit seiner Vernunft nicht passiv, sondern jederzeit sich selbst gesetzgebend zu sein zwar etwas ganz Leichtes für den Menschen ist, der nur seinem wesentlichen Zwecke angemessen sein will, und das, was über seinen Verstand ist, 159 nicht zu wissen verlangt; aber, da die | Bestrebung zum letzteren kaum zu verhüten ist, und es an andern, welche12 diese13 Wißbegierde befriedigen zu können mit vieler Zuversicht versprechen, nie fehlen wird: so muß das bloß Negative (welches die eigentliche Aufklärung ausmacht) in der Denkungsart (zumal der öffentlichen) zu erhalten, oder herzustellen, sehr schwer sein.

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una ragione che non è mai p a s s i v a . La tendenza alla passività, e di conseguenza all’eteronomia della ragione, si chiama p r e g i u d i z i o ; e il più grande di tutti i pregiudizi consiste nel rappresentarsi la natura come non sottoposta alle regole che l’intelletto le pone a fondamento mediante la sua propria legge essenziale: cioè la s u p e r s t i z i o n e . La liberazione dalla superstizione si chiama i l l u m i n i s m o *; infatti, benché questa denominazione competa anche alla liberazione dai pregiudizi in generale, è la superstizione che merita in senso 159 eminente (in sensu eminenti) di essere chiamata pregiudizio, in quanto la cecità nella quale la superstizione ci getta, anzi la cecità che essa pretende addirittura come un obbligo, rende 295 eminentemente riconoscibile il bisogno di essere guidati da altri e di conseguenza lo stato di una ragione passiva. Per quel che riguarda la seconda massima del modo di pensare, siamo peraltro ben abituati a chiamare circoscritto ( r i s t r e t t o , il contrario di a m p i o ) colui i cui talenti non bastano per alcun grande uso (soprattutto per un uso intensivo). Solo che qui non si parla della facoltà della conoscenza, ma del m o d o d i p e n s a r e , che consiste nel fare del pensiero un uso conforme al fine: ed è questo che, per quanto siano piccoli l’estensione e il grado a cui giunge il dono di natura dell’uomo, testimonia tuttavia di un uomo dal m o d o d i p e n s a r e a m p i o se questo riesce a porsi al di sopra delle condizioni soggettive e private del giudizio, all’interno delle quali tanti altri sono come rinchiusi, e a riflettere sul suo proprio giudizio da un p u n t o d i v i s t a u n i v e r s a l e (che egli può determinare soltanto ponendosi dal punto di vista altrui). La terza massima, cioè quella del modo di pensare c o n s e - 160 g u e n t e , è la più difficile da raggiungere e può esserlo solo * Si fa presto a vedere che l’illuminismo è certo una cosa facile in thesi, ma in hypothesi difficile e lunga da mettere in atto; perché essere con la propria ragione non passivi, ma invece dare sempre la legge a se stessi è certamente molto facile per l’uomo che vuole essere adeguato soltanto al proprio fine essenziale e che non pretende di sapere ciò che è al di sopra del proprio intelletto; ma dato che l’aspirazione a quest’ulti- 159 ma cosa è quasi inevitabile e che non mancheranno mai quelli che promettono con molta sicurezza di poter soddisfare questa voglia di sapere, deve essere molto difficile mantenere o stabilire nel modo di pensare (soprattutto in quello pubblico) questo elemento semplicemente negativo (che costituisce il vero e proprio illuminismo).

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Verbindung beider ersten, und nach einer zur Fertigkeit gewordenen öfteren Befolgung derselben, erreicht werden. Man kann sagen: die erste dieser Maximen ist die Maxime18 des Verstandes, die zweite der Urteilskraft, die dritte der Vernunft. — Ich nehme den durch diese Episode verlassenen Faden wieder auf, und sage: daß der Geschmack mit mehrerem Rechte sensus communis genannt werden könne, als der gesunde Verstand; und daß19 die ästhetische Urteilskraft eher als die intellektuelle den Namen eines gemeinschaftlichen Sinnes* führen könne, wenn man ja das Wort Sinn von einer Wirkung der bloßen Reflexion auf das Gemüt brauchen will: denn da versteht man unter Sinn das Gefühl der Lust. Man könnte sogar den Geschmack durch das Beurteilungsvermögen desjenigen, was unser Gefühl an einer gegebenen Vorstellung ohne Vermittelung eines Begriffs a l l g e m e i n m i t t e i l b a r macht, definieren. Die Geschicklichkeit der Menschen, sich ihre Gedanken mitzuteilen, erfordert auch ein Verhältnis der Einbildungskraft 161 und des Verstandes, um den Begriffen | Anschauungen und diesen wiederum Begriffe21 zuzugesellen, die in ein Erkenntnis zusammenfließen; aber alsdann ist die Zusammenstimmung beider Gemütskräfte gesetzlich, unter dem Zwange bestimmter || 296 Begriffe. Nur da, wo Einbildungskraft in ihrer Freiheit den Verstand erweckt, und dieser ohne Begriffe die Einbildungskraft in ein regelmäßiges Spiel versetzt22: da teilt sich die Vorstellung, nicht als Gedanke, sondern als inneres Gefühl eines zweckmäßigen Zustandes des Gemüts, mit. Der Geschmack ist also das Vermögen, die Mitteilbarkeit der Gefühle, welche mit gegebener Vorstellung (ohne Vermittelung eines Begriffs) verbunden sind, a priori zu beurteilen. Wenn man annehmen dürfte, daß die bloße allgemeine Mitteilbarkeit seines Gefühls an sich schon ein Interesse für uns bei sich führen müsse (welches man aber aus der Beschaffenheit einer bloß reflektierenden Urteilskraft zu schließen nicht berechtigt ist): so würde man sich erklären können, woher das Gefühl im Geschmacksurteile gleichsam als Pflicht jedermann zugemutet werde.

* Man könnte den Geschmack durch sensus communis aestheticus, den gemeinen Menschenverstand durch sensus communis logicus, bezeichnen20.

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mediante il collegamento delle prime due e dopo una loro continua osservanza diventata un’attitudine. Si può dire che la prima di queste massime è la massima dell’intelletto, la seconda quella della forza di giudizio, la terza quella della ragione. — Riprendo il filo interrotto da questo episodio e dico che il gusto potrebbe essere chiamato sensus communis a maggior diritto del sano intelletto e che la forza estetica di giudizio, piuttosto che quella intellettuale, potrebbe portare il nome di senso che abbiamo in comune*, se si vuole proprio utilizzare la parola senso per designare un effetto della semplice riflessione sull’animo: infatti qui si intende per senso il sentimento del piacere. Si potrebbe addirittura definire il gusto come la facoltà di valutare ciò che rende u n i v e r s a l m e n t e c o m u n i c a b i l e il nostro sentimento per una rappresentazione data senza mediazione di un concetto. L’abilità degli uomini di comunicarsi i loro pensieri richiede anche un rapporto della forza di immaginazione e dell’in- 161 telletto per associare ai concetti intuizioni e a queste, a loro volta, concetti che confluiscono in una conoscenza; ma allora l’armonizzarsi di entrambe le forze dell’animo è s e c o n d o l e g g i , sotto la costrizione di concetti determinati. Solo lad- 296 dove la forza di immaginazione nella sua libertà risveglia l’intelletto e questo traspone senza concetti la forza di immaginazione in un gioco regolare, là si comunica la rappresentazione, non come pensiero, ma come sentimento interno di uno stato dell’animo conforme al fine. Il gusto è dunque la facoltà di valutare a priori la comunicabilità dei sentimenti che sono collegati con una rappresentazione data (senza mediazione di un concetto). Se fosse lecito ammettere che la semplice comunicabilità universale del proprio sentimento debba già in sé comportare per noi un interesse (cosa che tuttavia non si è autorizzati a concludere a partire dalla costituzione di una forza semplicemente riflettente di giudizio), allora ci si potrebbe spiegare per quale motivo il sentimento nel giudizio di gusto venga preteso da ciascuno quasi come un dovere. * Si potrebbe designare il gusto come sensus communis aestheticus e il comune intelletto umano come sensus communis logicus.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 41 Vom empirischen Interesse am Schönen Daß das Geschmacksurteil, wodurch etwas für schön erklärt wird, kein Interesse z u m B e s t i m m u n g s g r u n d e haben 162 müsse, ist oben hinreichend dargetan | worden. Aber daraus folgt nicht, daß, nachdem es, als reines ästhetisches Urteil, gegeben worden, kein Interesse damit verbunden werden könne1. Diese Verbindung wird aber2 immer nur indirekt sein können, d. i. der Geschmack muß allererst mit etwas anderem verbunden vorgestellt werden, um mit dem Wohlgefallen der bloßen Reflexion über einen Gegenstand noch eine L u s t a n d e r E x i s t e n z desselben (als worin alles Interesse besteht) verknüpfen zu können. Denn es gilt hier im ästhetischen Urteile, was im Erkenntnisurteile (von Dingen überhaupt) gesagt wird: a posse ad esse non valet consequentia. Dieses andere kann nun etwas Empirisches sein, nämlich eine Neigung, die der menschlichen Natur eigen ist; oder etwas Intellektuelles, als Eigenschaft3 des Willens, a priori durch Vernunft bestimmt werden zu können: welche beide ein Wohlgefallen am Dasein eines Objekts enthalten, und so den Grund zu einem Interesse an demjenigen legen können, was schon für sich und ohne Rücksicht auf irgend ein Interesse gefallen hat. Empirisch interessiert das Schöne nur in der G e s e l l s c h a f t ; und, wenn man den Trieb zur Gesellschaft als dem Menschen4 natürlich, die Tauglichkeit aber und den Hang dazu, 297 d. i. die Geselligkeit, zur Er||fordernis des Menschen, als für die Gesellschaft bestimmten Geschöpfs, also als zur H u m a n i t ä t gehörige Eigenschaft einräumt: so kann es nicht fehlen, 163 daß man nicht auch | den Geschmack als ein Beurteilungsvermögen alles dessen, wodurch man sogar sein G e f ü h l jedem andern mitteilen kann, mithin als Beförderungsmittel dessen, was eines jeden natürliche Neigung verlangt, ansehen sollte. Für sich allein würde ein verlassener Mensch auf einer wüsten Insel weder seine Hütte, noch sich selbst ausputzen, oder Blumen aufsuchen, noch weniger sie pflanzen, um sich damit auszuschmücken; sondern nur in Gesellschaft kommt es ihm ein, nicht bloß Mensch, sondern auch nach seiner Art ein

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§ 41 DELL’INTERESSE EMPIRICO PER IL BELLO È già stato mostrato a sufficienza più sopra che il giudizio di gusto con cui qualcosa viene dichiarato bello non deve 162 avere alcun interesse come p r i n c i p i o d i d e t e r m i n a z i o n e . Ma da ciò non consegue che, una volta formulato questo giudizio quale giudizio estetico puro, non possa esservi collegato alcun interesse. Questo collegamento potrà tuttavia essere sempre soltanto indiretto, cioè il gusto deve innanzitutto essere rappresentato come collegato con qualcosa d’altro affinché possa essere connesso con il compiacimento della semplice riflessione su un oggetto anche un p i a c e r e p e r l a s u a e s i s t e n z a (in quanto in ciò consiste ogni interesse). Infatti vale qui per il giudizio estetico ciò che viene detto nel giudizio conoscitivo (di cose in generale): a posse ad esse non valet consequentia. Ora quest’altro elemento, a cui il gusto è associato, può essere qualcosa di empirico, cioè una inclinazione propria della natura umana, oppure qualcosa di intellettuale, come proprietà della volontà di poter essere determinata a priori dalla ragione: entrambi contengono un compiacimento per l’esistenza di un oggetto e così possono trovare il fondamento a un interesse per quell’oggetto che è già piaciuto per sé e senza badare a un qualche interesse. Il bello interessa empiricamente solo nella s o c i e t à ; e se si ammette l’impulso alla società come naturale per l’uomo, e però l’idoneità e la tendenza ad essa, cioè la s o c i e v o l e z z a , come una proprietà richiesta che compete al requisito dell’es- 297 sere umano in quanto creatura destinata per la società e quindi all’ u m a n i t à , allora è inevitabile dover considerare anche 163 il gusto come una facoltà di valutare tutto ciò con cui si può comunicare perfino il proprio s e n t i m e n t o a ogni altro uomo, e quindi come un mezzo per promuovere ciò che esige l’inclinazione naturale di ciascuno. Per sé solo, un uomo abbandonato su un’isola deserta non ornerebbe né la sua capanna né se stesso, non andrebbe a cercare dei fiori, ancor meno desidererebbe piantarli per adornarsene; è invece solo in società che gli viene in mente di

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

feiner Mensch zu sein (der Anfang der Zivilisierung): denn als einen solchen beurteilt man denjenigen, welcher5 seine Lust andern mitzuteilen geneigt und geschickt ist, und den ein Objekt nicht befriedigt, wenn er das Wohlgefallen an demselben nicht in Gemeinschaft mit andern fühlen kann. Auch erwartet und fordert ein jeder die Rücksicht auf allgemeine Mitteilung von jedermann, gleichsam als aus einem ursprünglichen Vertrage, der durch die Menschheit selbst diktiert ist; und so werden freilich anfangs nur Reize, z. B. Farben, um sich zu bemalen (Rocou bei den Karaiben und Zinnober bei den Irokesen), oder Blumen, Muschelschalen, schönfarbige Vogelfedern, mit der Zeit aber auch schöne Formen (als an Kanots, Kleidern, u.s.w.), die gar kein Vergnügen, d. i. Wohlgefallen des Genusses bei sich führen, in der Gesellschaft wichtig und mit großem 164 Interesse verbunden: bis endlich die auf den höchsten | Punkt gekommene Zivilisierung daraus beinahe das Hauptwerk der verfeinerten Neigung macht, und Empfindungen nur so viel wert gehalten werden, als sie sich allgemein mitteilen lassen; wo denn, wenn gleich die Lust, die jeder an einem solchen Gegenstande hat, nur unbeträchtlich und für sich ohne merkliches Interesse ist, doch die Idee von ihrer allgemeinen Mitteilbarkeit ihren Wert beinahe unendlich vergrößert. Dieses indirekt dem Schönen, durch Neigung zur Gesellschaft, angehängte, mithin empirische Interesse ist aber für uns hier von keiner Wichtigkeit, die wir nur darauf zu sehen haben, was auf das Geschmacksurteil a priori, wenn gleich nur indirekt, Beziehung haben mag. Denn, wenn auch in dieser Form sich ein damit verbundenes Interesse entdecken sollte, so würde Geschmack einen Übergang unseres Beurteilungsvermögens von dem Sinnengenuß zum Sittengefühl entdecken; und nicht allein, daß man dadurch den Geschmack zweckmäßig zu beschäftigen besser 298 geleitet || werden würde, es würde6 auch ein Mittelglied der Kette der menschlichen Vermögen a priori, von denen alle Gesetzgebung abhängen muß, als ein solches dargestellt werden. So viel kann man von dem empirischen Interesse an Gegenständen des Geschmacks und am Geschmack selbst wohl sagen, daß es, da dieser der Neigung frönt, obgleich sie noch so verfeinert sein mag, sich doch auch mit allen Neigungen und Leidenschaften, die in 165 der Gesellschaft | ihre größte Mannigfaltigkeit und höchste Stufe erreichen, gern zusammenschmelzen läßt, und das Interesse am

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 41

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essere non semplicemente uomo, ma anche a suo modo un uomo raffinato (è questo l’inizio dell’incivilimento): infatti è così che si valuta colui che è incline e capace a comunicare il proprio piacere ad altri e che non viene soddisfatto da un oggetto se non può sentire in comune con altri il compiacimento che prova per esso. Inoltre ognuno attende ed esige da ciascuno che si tenga conto di questa comunicazione universale per così dire come in base a un contratto originario dettato dall’umanità stessa; e certamente è così che all’inizio acquistano importanza nella società e sono collegate con un grande interesse solo le attrattive, per esempio colori per dipingersi (il rocou dei caribi e il cinabro degli irochesi)68, oppure fiori, conchiglie, penne di uccello variopinte, ma con il tempo anche belle forme (come nelle canoe, nei vestiti ecc.), che non procurano alcun soddisfacimento, cioè un 164 compiacimento del godere; finché l’incivilimento, giunto al suo punto più alto, ne fa quasi lo scopo principale dell’inclinazione raffinata e alle sensazioni viene accordato valore soltanto nella misura in cui esse si possano universalmente comunicare; allora infatti, anche quando il piacere che ciascuno ha per un simile oggetto è solo irrilevante e in sé privo di un interesse apprezzabile, l’idea della sua comunicabilità universale ne accresce tuttavia il valore quasi infinitamente. Questo interesse, che inerisce indirettamente al bello mediante l’inclinazione alla società e quindi è empirico, non ha tuttavia qui alcuna importanza per noi che dobbiamo considerare solo ciò che può avere un riferimento, seppure soltanto indirettamente, al giudizio di gusto a priori. Infatti, se anche in questa forma si dovesse scoprire un interesse collegato con il giudizio di gusto, allora il gusto rivelerebbe un passaggio della nostra facoltà di valutare dal godimento sensibile al sentimento morale; e non si verrebbe così solo meglio guidati a impegnare il gusto in modo conforme al fine, ma sarebbe inoltre 298 esibito come tale un termine medio della catena della facoltà umane a priori dalle quali deve dipendere ogni legislazione. Tanto si può dire dell’interesse empirico per gli oggetti del gusto e per il gusto stesso: quando il gusto è in balia dell’inclinazione, per quanto raffinata possa anche essere, può tuttavia confondersi facilmente anche con tutte le inclinazioni e le pas- 165 sioni che raggiungono nella società la loro più grande varietà e

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Schönen, wenn es darauf gegründet ist, einen nur sehr zweideutigen Übergang vom Angenehmen zum Guten abgeben könne. Ob aber dieser nicht etwa doch durch den Geschmack, wenn er in seiner Reinigkeit genommen wird, befördert werden könne, haben wir zu untersuchen Ursache7. § 42 Vom intellektuellen Interesse am Schönen Es geschah in gutmütiger Absicht, daß diejenigen, welche alle Beschäftigungen der Menschen, wozu diese die1 innere Naturanlage antreibt, gerne auf den letzten Zweck der Menschheit, nämlich das Moralisch-Gute richten wollten, es für ein Zeichen eines guten moralischen Charakters hielten, am Schönen überhaupt ein Interesse zu nehmen. Ihnen ist aber nicht ohne Grund von andern widersprochen worden, die sich auf die Erfahrung berufen, daß Virtuosen des Geschmacks, nicht allein öfter2, sondern wohl gar gewöhnlich, eitel, eigensinnig, und verderblichen Leidenschaften ergeben, vielleicht noch weniger wie andere auf den Vorzug der Anhänglichkeit an sittliche Grundsätze Anspruch machen könnten; und so scheint es, daß das Gefühl für das Schöne nicht allein (wie es auch wirklich ist) vom moralischen Gefühl spezifisch unterschieden, sondern auch das Inter166 esse, welches | man damit verbinden kann, mit dem moralischen schwer, keinesweges aber durch innere Affinität, vereinbar sei. Ich räume nun zwar gerne ein, daß das Interesse am S c h ö n e n d e r K u n s t (wozu ich auch den künstlichen Gebrauch der Naturschönheiten zum Putze, mithin zur Eitelkeit, rechne) gar keinen Beweis einer dem Moralischguten anhänglichen, oder auch nur dazu geneigten Denkungsart abgebe. Dagegen aber3 behaupte ich, daß ein u n m i t t e l b a r e s I n t e r e s s e an der Schönheit der N a t u r zu nehmen (nicht bloß Geschmack haben4, um sie zu beurteilen) jederzeit ein Kenn299 zeichen einer guten Seele sei; und daß5, || wenn dieses Interesse habituell ist, es6 wenigstens eine dem moralischen Gefühl günstige Gemütsstimmung anzeige, wenn es sich mit der B e s c h a u u n g d e r N a t u r gerne verbindet. Man muß sich aber wohl erinnern, daß ich hier eigentlich die schönen F o r m e n der Natur meine, die R e i z e dagegen, welche sie so reichlich auch mit jenen zu verbinden pflegt, noch zur Seite setze, weil

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il loro grado più elevato, e l’interesse per il bello, quando è fondato su tali basi, può fornire soltanto un passaggio assai ambiguo dal gradevole al buono. Abbiamo tuttavia motivo di ricercare se invece questo passaggio non possa per caso essere promosso dal gusto quando questo è preso nella sua purezza.

§ 42 DELL’INTERESSE INTELLETTUALE PER IL BELLO Diedero prova di buone intenzioni coloro che, desiderando ricondurre tutte le occupazioni degli uomini, alle quali li spinge una interna predisposizione naturale, al fine ultimo dell’umanità, cioè il bene morale, considerarono segno di un carattere moralmente buono il fatto di prendere interesse per il bello in generale. Non senza ragione, tuttavia, altri, richiamandosi all’esperienza, hanno loro obiettato che i virtuosi del gusto sono, in modo non soltanto frequente ma anche del tutto abituale, vanitosi, capricciosi, dediti a passioni rovinose e che, ancor meno di altri, potrebbero pretendere il merito di attenersi a principi morali; e così sembra che il sentimento per il bello sia non soltanto (come di fatto è) specificamente diverso dal sentimento morale, ma anche che l’interesse che vi si può collegare sia difficilmente compatibile con il senti- 166 mento morale e però in nessun modo per interna affinità. Ora, certo concedo di buon grado che l’interesse per il b e l l o d e l l ’ a r t e (nel quale includo anche l’uso artistico delle bellezze naturali a scopo di ornamento, dunque per vanità) non fornisca affatto una prova di un modo di pensare attinente al bene morale o anche solo incline a esso. Ma al contrario affermo che provare un i n t e r e s s e i m m e d i a t o per la bellezza della n a t u r a (non semplicemente avere del gusto per valutarla) è sempre il tratto caratteristico di un’anima buona e che tale interesse, quando è abituale, indica 299 quanto meno una disposizione dell’animo favorevole al sentimento morale, quando esso si collega volentieri con la v i s i o n e d e l l a n a t u r a . Tuttavia bisogna ben ricordare che io qui intendo propriamente le belle f o r m e della natura e invece metto da parte le a t t r a t t i v e che essa è pur solita a collegarvi così copiosamente, poiché l’interesse che si dirige

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das Interesse daran zwar auch unmittelbar, aber doch empirisch ist. Der, welcher einsam7 (und ohne Absicht, seine Bemerkungen andern mitteilen zu wollen) die schöne Gestalt einer wilden Blume, eines Vogels, eines Insekts u.s.w. betrachtet, um sie zu bewundern, zu lieben, und sie nicht gerne in der Natur überhaupt vermissen zu wollen, ob ihm gleich dadurch einiger Schaden geschähe, vielweniger ein Nutzen daraus für ihn her167 vorleuchtete, | nimmt ein unmittelbares und zwar intellektuelles Interesse an der Schönheit der Natur. D. i. nicht allein ihr Produkt der Form nach, sondern auch das Dasein desselben gefällt ihm8, ohne daß ein Sinnenreiz daran Anteil hätte, oder er auch irgend einen Zweck damit verbände. Es ist aber hiebei merkwürdig, daß, wenn man diesen Liebhaber des Schönen insgeheim hintergangen9, und künstliche Blumen (die man den natürlichen ganz ähnlich verfertigen kann) in die Erde gesteckt, oder künstlich geschnitzte Vögel auf Zweige von Bäumen gesetzt hätte, und er darauf den Betrug entdeckte, das unmittelbare Interesse, was10 er vorher daran nahm, alsbald verschwinden, vielleicht aber ein anderes, nämlich das Interesse der Eitelkeit, sein Zimmer für fremde Augen damit auszuschmücken, an dessen Stelle sich einfinden würde. Daß die Natur jene Schönheit hervorgebracht hat: dieser Gedanke muß die Anschauung und Reflexion begleiten; und auf diesem gründet sich allein das unmittelbare Interesse, was11 man daran nimmt. Sonst bleibt entweder ein bloßes Geschmacksurteil ohne alles Interesse, oder nur ein mit einem mittelbaren, nämlich auf die Gesellschaft bezogenen verbundenes übrig12: welches letztere keine sichere Anzeige auf moralisch-gute Denkungsart abgibt. Dieser Vorzug der Naturschönheit vor der Kunstschönheit, 168 wenn jene gleich durch diese der Form nach | sogar übertroffen würde, dennoch allein ein unmittelbares Interesse zu erwecken13, stimmt mit der geläuterten und gründlichen Denkungsart aller Menschen überein, die ihr sittliches Gefühl kultiviert haben. Wenn ein Mann, der Geschmack genug hat, um14 über Produkte der schönen Kunst mit der größten Richtigkeit 300 und Feinheit zu || urteilen, das Zimmer gern verläßt, in welchem jene, die Eitelkeit und allenfalls gesellschaftliche Freuden15 unterhaltenden, Schönheiten anzutreffen sind, und sich zum Schönen der Natur wendet, um hier gleichsam Wollust für sei-

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su tali attrattive è certamente anch’esso immediato, e nondimeno empirico. Colui che considera in solitudine (e senza l’intenzione di voler comunicare le sue osservazioni ad altri) la bella forma di un fiore selvatico, di un uccello, di un insetto ecc., per ammirarla, per amarla e perché non vorrebbe proprio doverne sentire la mancanza nella natura, anche se gliene derivasse con ciò qualche danno, e meno che mai perché ne scorgesse un vantaggio, prova un interesse immediato e precisamente intel- 167 lettuale per la bellezza della natura. In altri termini: non soltanto il prodotto della natura gli piace per la sua forma, ma anche per la sua esistenza, senza che vi abbia parte un’attrattiva dei sensi o che egli vi colleghi un qualche fine. È qui però degno di nota che, se si fosse raggirato segretamente questo amante del bello, piantando in terra dei fiori artificiali (che si possono fabbricare del tutto simili a quelli naturali) o ponendo sui rami degli alberi uccelli intagliati ad arte, e se poi egli scoprisse l’inganno, l’interesse immediato che egli provava in precedenza per quegli oggetti sparirebbe immediatamente, ma forse un altro interesse verrebbe a prendere il suo posto, ossia l’interesse della vanità di decorare con essi la propria sala per gli occhi degli altri. Che la natura abbia prodotto quella bellezza: questo è il pensiero che deve accompagnare l’intuizione e la riflessione; è soltanto su questo pensiero che si fonda l’interesse immediato che si prova per essa. Altrimenti rimane o un semplice giudizio di gusto senza alcun interesse oppure solo un giudizio di gusto collegato con un interesse mediato, cioè riferito alla società, il quale non dà alcun sicuro indizio di un modo di pensare moralmente buono. Questo primato della bellezza naturale rispetto alla bellezza artistica, benché la prima sia addirittura superata dalla 168 seconda quanto alla forma, nell’essere comunque la sola a risvegliare un interesse immediato si accorda con il modo di pensare purificato e rigoroso di tutti gli uomini che hanno coltivato il loro sentimento morale. Se un uomo, che ha abbastanza gusto per giudicare sui prodotti delle belle arti con la più grande esattezza e finezza, abbandona volentieri la sala in 300 cui si possono incontrare quelle bellezze che alimentano la vanità e in ogni caso le gioie sociali e si volge verso il bello della natura per trovarvi quasi voluttà per il proprio spirito in

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nen Geist in einem Gedankengange zu finden, den er sich nie völlig entwickeln kann: so werden wir diese seine Wahl selber mit Hochachtung betrachten, und in ihm eine schöne Seele voraussetzen, auf die kein Kunstkenner und Liebhaber, um des Interesse willen, das er an seinen Gegenständen nimmt, Anspruch machen kann. — Was ist nun der Unterschied der so verschiedenen Schätzung zweierlei Objekte, die im Urteile des bloßen Geschmacks einander kaum den Vorzug streitig machen würden? Wir haben ein Vermögen der bloß ästhetischen Urteilskraft, ohne Begriffe über Formen zu urteilen, und an der bloßen Beurteilung derselben ein Wohlgefallen zu finden, welches wir zugleich jedermann zur Regel machen, ohne daß dieses Urteil sich auf einem Interesse gründet, noch ein solches hervorbringt. — Andererseits haben wir auch ein Vermögen einer intellektuellen Urteilskraft, für bloße Formen praktischer Maximen 169 (so|fern sie sich zur allgemeinen Gesetzgebung von selbst qualifizieren) ein Wohlgefallen a priori zu bestimmen, welches wir jedermann zum Gesetze machen, ohne daß unser Urteil sich auf irgend einem Interesse gründet, a b e r d o c h e i n s o l c h e s h e r v o r b r i n g t . Die Lust oder Unlust im ersteren Urteile heißt die des Geschmacks, die zweite des moralischen Gefühls. Da es aber die Vernunft auch interessiert, daß die Ideen (für die sie im moralischen Gefühle ein unmittelbares Interesse bewirkt) auch objektive Realität haben, d. i. daß die Natur wenigstens eine Spur zeige, oder einen Wink gebe, sie enthalte in sich irgend einen Grund, eine gesetzmäßige Übereinstimmung ihrer Produkte zu unserm von allem Interesse unabhängigen Wohlgefallen (welches wir a priori für jedermann als Gesetz erkennen, ohne dieses auf Beweisen gründen zu können) anzunehmen: so muß die Vernunft an jeder Äußerung der Natur von einer dieser ähnlichen Übereinstimmung ein Interesse nehmen; folglich kann das Gemüt über die Schönheit der N a t u r nicht nachdenken, ohne sich dabei zugleich interessiert zu finden. Dieses Interesse aber ist der Verwandtschaft nach moralisch; und der, welcher es16 am Schönen der Natur nimmt, kann es nur sofern an demselben nehmen, als er vorher schon sein Interesse am Sittlichguten wohlgegründet hat. Wen also die 301 Schönheit der Natur || unmittelbar interessiert, bei dem hat man 170 Ursache, we|nigstens eine Anlage zu guter moralischer Gesinnung zu vermuten.

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un flusso di pensiero che egli non riesce mai a dipanare completamente, noi considereremo questa sua stessa scelta con grande rispetto e presupporremo in lui un’anima bella che non può pretendere di avere, per l’interesse che rivolge ai suoi oggetti, alcun conoscitore né amatore d’arte. — Qual è dunque la differenza che interviene quando si stimano in modo così diverso questi due tipi di oggetti che si contenderebbero a stento il primato nel giudizio del semplice gusto? Noi abbiamo una facoltà, propria della forza semplicemente estetica di giudizio, di giudicare forme senza concetti e di trovare nella loro semplice valutazione un compiacimento di cui facciamo nello stesso tempo una regola per ciascuno, senza che questo giudizio si fondi su un interesse o ne produca uno. — D’altro canto abbiamo anche una facoltà, propria di una forza intellettuale di giudizio, di determinare a priori per semplici forme di massime pratiche (in quanto esse si qualifi- 169 cano da sé per una legislazione universale) un compiacimento che noi rendiamo legge per ciascuno, senza che il nostro giudizio si fondi su un qualche interesse, a n c h e s e p e r ò n e p r o d u c e u n o . Il piacere o dispiacere nel primo giudizio è detto del gusto, nel secondo del sentimento morale. Ma poiché alla ragione interessa altresì che le idee (per le quali essa suscita nel sentimento morale un interesse immediato) posseggano anche realtà oggettiva, cioè che la natura mostri almeno una traccia o dia un cenno di contenere in sé un qualche fondamento che consenta di supporre un accordo conforme alla legge tra i suoi prodotti e il nostro compiacimento, che è indipendente da ogni interesse (un compiacimento che noi riconosciamo a priori come legge per ciascuno, senza poterlo fondare su prove), allora la ragione deve provare un interesse per ogni manifestazione della natura di un accordo simile a questo; di conseguenza l’animo non può riflettere sulla bellezza della n a t u r a senza trovarvisi al contempo interessato. Ma, per affinità, questo interesse è morale; e colui che prova un tale interesse per il bello della natura può farlo soltanto nella misura in cui in precedenza ha già fondato su solide basi il suo interesse per il bene morale. In tal senso in colui che è interessato immediatamente dalla bel- 301 lezza della natura si ha qualche motivo di supporre per lo 170 meno una propensione a una buona intenzione morale.

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Man wird sagen: diese Deutung ästhetischer Urteile auf Verwandtschaft mit dem moralischen Gefühl sehe gar zu studiert aus, um sie für die wahre Auslegung der Chiffreschrift zu halten, wodurch die Natur in ihren schönen Formen figürlich zu uns spricht. Allein erstlich ist dieses unmittelbare Interesse am Schönen der Natur wirklich nicht gemein, sondern nur denen eigen, deren Denkungsart entweder zum Guten schon ausgebildet17, oder dieser Ausbildung vorzüglich empfänglich ist; und dann führt die Analogie zwischen dem reinen Geschmacksurteile, welches, ohne von irgend einem Interesse abzuhangen, ein Wohlgefallen fühlen läßt, und es zugleich a priori als der Menschheit überhaupt anständig vorstellt, und dem18 moralischen Urteile, welches eben dasselbe aus Begriffen tut, auch ohne deutliches, subtiles und vorsätzliches Nachdenken, auf ein gleichmäßiges unmittelbares Interesse an dem Gegenstande des ersteren, so wie an dem des letzteren: nur daß jenes ein freies, dieses ein auf objektive Gesetze gegründetes Interesse ist. Dazu kommt noch die Bewunderung der Natur, die sich an ihren schönen Produkten als Kunst, nicht bloß durch Zufall, sondern gleichsam absichtlich, nach gesetzmäßiger Anordnung und als Zweckmäßigkeit ohne Zweck, zeigt: welchen letzteren, da wir ihn äußerlich nirgend antreffen, wir natürlicher Weise in uns 171 selbst, | und zwar in19 demjenigen, was den letzten Zweck unseres Daseins ausmacht, nämlich der moralischen Bestimmung, suchen (von welcher Nachfrage nach dem Grunde der Möglichkeit einer solchen Naturzweckmäßigkeit aber allererst in der Teleologie die Rede sein wird). Daß das Wohlgefallen an der schönen Kunst im reinen Geschmacksurteile nicht eben so mit einem unmittelbaren Interesse verbunden ist, als das an der schönen Natur, ist auch leicht zu erklären. Denn jene ist entweder eine solche Nachahmung von dieser, die bis zur Täuschung geht: und alsdann tut sie die Wirkung als (dafür gehaltene) Naturschönheit; oder sie ist eine absichtlich auf unser Wohlgefallen sichtbarlich gerichtete Kunst: alsdann aber würde das Wohlgefallen an diesem Produkte zwar unmittelbar durch Geschmack Statt finden, aber kein anderes als mittelbares Interesse an der zum Grunde liegenden Ursache erwecken20, nämlich einer Kunst, welche nur durch ihren Zweck, niemals an sich selbst, interessieren kann21. Man wird vielleicht sagen, daß dieses auch der Fall sei, wenn ein Objekt

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Si dirà che questa interpretazione dei giudizi estetici che li rende affini al sentimento morale appare troppo elaborata per essere ritenuta come la vera decifrazione della scrittura cifrata con cui la natura, nelle sue belle forme, ci parla in modo figurato69. Ma, in primo luogo, questo interesse immediato per il bello della natura, in effetti, non è comune, bensì è proprio solo di coloro il cui modo di pensare o si è già formato al bene o è particolarmente ricettivo rispetto a una tale formazione; e allora l’analogia tra il puro giudizio di gusto che, senza dipendere da un qualche interesse, fa sentire un compiacimento e lo rappresenta nello stesso tempo a priori come appropriato all’umanità in generale e il giudizio morale, che fa proprio lo stesso in base a concetti seppure senza alcuna riflessione distinta, sottile e deliberata, conduce a riconoscere un interesse immediato di uguale importanza all’oggetto del primo come pure a quello del secondo: solo che quello è un interesse libero, mentre questo è un interesse fondato su leggi oggettive. A ciò si aggiunge poi l’ammirazione della natura, la quale, nei suoi bei prodotti, si manifesta come arte, non semplicemente per caso, ma in modo per così dire intenzionale, secondo un ordinamento conforme alla legge e in quanto conformità al fine senza un fine: e questo fine, poiché noi non lo incontriamo da alcuna parte all’esterno, lo cerchiamo naturalmente in noi stessi e precisamente in ciò che costituisce il fine ultimo della nostra esi- 171 stenza, cioè nella destinazione morale (ma di questa ricerca sul fondamento della possibilità di una tale conformità della natura al fine si tratterà soltanto nella teleologia). È ugualmente facile spiegare che il compiacimento per l’arte bella nel giudizio di gusto puro non è collegato, come avviene in quello per la bella natura, con un interesse immediato. Infatti o l’arte bella è una tale imitazione della natura da giungere fino all’illusione, e allora produce l’effetto di una (presunta) bellezza naturale; oppure si tratta di un’arte palesemente diretta, in modo intenzionale, al nostro compiacimento, ma allora il compiacimento per questo prodotto avrebbe sì luogo immediatamente mediante il gusto, tuttavia esso non susciterebbe alcun altro interesse se non quello mediato per la causa che vi sta a fondamento, cioè per un’arte che può interessare solo per il suo fine, non mai in se stessa. Si dirà forse che avviene lo stesso anche nel caso in cui un

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302 der Natur durch seine Schönheit nur in22 sofern inter essiert,

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als ihr eine moralische Idee beigesellet wird; aber nicht dieses, sondern die Beschaffenheit derselben an sich selbst, daß sie sich zu einer solchen Beigesellung qualifiziert, die ihr also innerlich zukommt, interessiert unmittelbar. Die Reize in der schönen Natur, welche so häufig mit der 172 schönen Form gleichsam zusammenschmelzend an|getroffen werden, sind entweder zu den Modifikationen des Lichts (in der Farbengebung) oder des Schalles (in Tönen) gehörig. Denn diese sind die einzigen Empfindungen, welche nicht bloß Sinnengefühl, sondern auch Reflexion über die Form dieser Modifikationen der Sinne verstatten, und so gleichsam eine Sprache, die die Natur zu uns führt, und die einen höhern Sinn zu haben scheint, in sich enthalten. So scheint die weiße Farbe der Lilie das Gemüt zu Ideen der Unschuld, und nach der Ordnung der sieben Farben, von der roten an bis zur violetten, 1) zur Idee der Erhabenheit, 2) der Kühnheit, 3) der Freimütigkeit, 4) der Freundlichkeit, 5) der Bescheidenheit, 6) der Standhaftigkeit, und 7) der Zärtlichkeit zu stimmen. Der Gesang der Vögel verkündigt Fröhlichkeit und Zufriedenheit mit seiner23 Existenz. Wenigstens so deuten wir die Natur aus, es mag dergleichen ihre Absicht sein oder nicht. Aber dieses Interesse, welches wir hier an Schönheit nehmen, bedarf durchaus, daß es Schönheit der Natur sei; und es verschwindet ganz, sobald man bemerkt, man sei getäuscht, und es sei nur Kunst: sogar24, daß auch der Geschmack alsdann nichts Schönes, oder das Gesicht etwas Reizendes mehr daran finden kann. Was wird von Dichtern höher gepriesen, als der bezaubernd schöne Schlag der Nachtigall, in einsamen Gebüschen, an einem stillen Sommerabende, bei dem sanften Lichte des Mondes? Indessen hat man Bei173 spiele, daß, wo kein solcher Sän|ger angetroffen wird, irgend ein lustiger Wirt seine zum Genuß der Landluft bei ihm eingekehrten Gäste dadurch zu ihrer größten Zufriedenheit hintergangen hatte25, daß er einen mutwilligen Burschen, welcher diesen Schlag (mit Schilf oder Rohr im Munde) ganz der Natur ähnlich nachzumachen wußte, in einem Gebüsche verbarg. Sobald man aber inne wird, daß es Betrug sei, so wird niemand es lange aushalten, diesem vorher für so reizend gehaltenen Gesange zuzuhören; und so ist es mit jedem anderen Singvogel beschaffen. Es muß Natur sein, oder von uns dafür gehalten werden,

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oggetto della natura interessa per la sua bellezza solo in quan- 302 to vi si associa un’idea morale; ma non è questo che interessa immediatamente, bensì è la proprietà costitutiva della bellezza in se stessa, il fatto di qualificarsi per una tale associazione che così le compete intrinsecamente. Le attrattive nella bella natura, che si trovano così frequentemente per così dire confuse con la bella forma, appar- 172 tengono o alle modificazioni della luce (nella colorazione) o alle vibrazioni del suono (nei toni). Infatti queste sono le uniche sensazioni che permettono non semplicemente un sentimento dei sensi, ma anche una riflessione sulla forma di queste modificazioni dei sensi, e che così contengono in sé in qualche modo un linguaggio che la natura ci rivolge e che sembra possedere un senso superiore. Così il colore bianco del giglio sembra disporre l’animo a idee di innocenza e seguendo l’ordine dei sette colori, dal rosso fino al violetto, lo dispone all’idea 1) della sublimità, 2) del coraggio, 3) della schiettezza, 4) della benevolenza, 5) della modestia, 6) della costanza e 7) della tenerezza. Il canto degli uccelli annuncia gioia e contentezza della propria esistenza. Almeno, noi interpretiamo così la natura, che la sua intenzione sia questa oppure no. Ma questo interesse che noi proviamo qui per la bellezza richiede assolutamente che si tratti di bellezza della natura; ed esso scompare totalmente non appena ci si accorge di essere stati ingannati e che si tratta solamente di arte: e ciò al punto che poi anche il gusto non riesce più a trovarvi niente di bello, né la vista qualcosa di attraente. Che cosa c’è di più celebrato dai poeti dell’affascinante bel canto dell’usignolo, in cespugli solitari, in una calma sera d’estate, sotto la dolce luce della luna? Tuttavia si conoscono degli esempi in cui, mancando un tale cantore, un qualche padrone di casa 173 burlone abbia abbindolato i suoi ospiti, venuti da lui a godersi l’aria di campagna, e per loro massima contentezza, facendo nascondere in un cespuglio un ragazzo sveglio in grado di imitare (con in bocca un giunco o una cannuccia) quel canto in un modo perfettamente simile alla natura. Ma non appena ci si rende conto che si tratta di un inganno, nessuno sopporterà più di stare ad ascoltare quel canto fino ad allora ritenuto così attraente; e avviene lo stesso con qualsiasi altro uccello canterino. Deve trattarsi della natura, o di ciò che noi ritenia-

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damit wir an dem Schönen als einem solchen ein unmittelbares I n t e r e s s e nehmen können; noch mehr aber, wenn wir gar andern zumuten dürfen, daß sie es daran nehmen sollen26; wel303 ches in der Tat ge||schieht, indem wir die Denkungsart derer für grob und unedel halten, die kein G e f ü h l für die schöne Natur haben (denn so nennen wir die Empfänglichkeit eines Interesse an ihrer Betrachtung), und sich bei der Mahlzeit oder der Bouteille am Genusse bloßer Sinnesempfindungen halten.

§ 43 Von der Kunst überhaupt 1) K u n s t wird von der N a t u r, wie Tun (facere) vom Handeln oder Wirken überhaupt (agere), und das Produkt, 174 oder die Folge der erstern als | We r k (opus) von der letztern als Wirkung (effectus) unterschieden. Von Rechtswegen sollte man nur die Hervorbringung durch Freiheit, d. i. durch eine Willkür, die ihren Handlungen Vernunft zum Grunde legt, Kunst nennen. Denn, ob man gleich das Produkt der Bienen (die regelmäßig gebaueten Wachsscheiben) ein Kunstwerk zu nennen beliebt, so geschieht dieses doch nur wegen der Analogie mit der letzteren; sobald man sich nämlich besinnt, daß sie ihre Arbeit auf keine eigene Vernunftüberlegung gründen, so sagt man alsbald, es ist ein Produkt ihrer Natur (des Instinkts), und als Kunst wird es nur ihrem Schöpfer zugeschrieben. Wenn man bei Durchsuchung eines Moorbruches, wie es bisweilen geschehen ist, ein Stück behauenes Holz antrifft, so sagt man nicht, es ist ein Produkt der Natur, sondern der Kunst; die hervorbringende Ursache desselben1 hat sich einen Zweck gedacht, dem dieses seine Form zu danken hat. Sonst sieht man wohl auch an allem eine Kunst, was so beschaffen ist, daß eine Vorstellung desselben in seiner2 Ursache vor seiner3 Wirklichkeit vorhergegangen sein muß (wie selbst bei Bienen), ohne daß doch die Wirkung von ihr eben g e d a c h t sein dürfe; wenn man aber etwas schlechthin ein Kunstwerk nennt, um es von einer Naturwirkung zu unterscheiden, so versteht man allemal darunter ein Werk der Menschen. |

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mo tale, affinché possiamo avere un i n t e r e s s e immediato per il bello come tale; ma ancor di più quando si tratta di esigere da altri che essi debbano provarvi lo stesso interesse; e ciò di fatto avviene quando riteniamo grossolano e poco 303 nobile il modo di pensare di coloro che non hanno alcun s e n t i m e n t o per la bella natura (infatti noi chiamiamo così la ricettività di un interesse per la sua considerazione) e che, mangiando o bevendo, non tengono che al godimento dato dalle semplici sensazioni dei sensi.

§ 43 DELL’ARTE IN GENERALE 1) L’ a r t e si distingue dalla n a t u r a come il fare (facere) dall’agire o dall’operare in generale (agere), e il prodotto o la conseguenza della prima in quanto o p e r a (opus) da quello 174 della seconda in quanto effetto (effectus). Di diritto si dovrebbe chiamare arte solo la produzione mediante libertà, cioè mediante un arbitrio che pone la ragione a fondamento delle sue azioni. Infatti, benché ci si compiaccia di chiamare il prodotto delle api (i favi di cera costruiti con regolarità) un’opera dell’arte, questo avviene tuttavia solo per analogia con quest’ultima; non appena, infatti, ci si accorge che le api non fondano il loro lavoro su una propria riflessione razionale, si dice subito che si tratta di un prodotto della loro natura (dell’istinto), e che in quanto arte viene attribuito solo al loro creatore. Quando, scandagliando un terreno paludoso, si trova, come talvolta è già accaduto, un pezzo di legno sgrossato non si dice che è un prodotto della natura, bensì dell’arte; la causa che l’ha prodotto ha pensato a un fine a cui esso deve la sua forma. D’altronde si ravvisa un’arte anche in tutto ciò che è fatto in modo tale che una rappresentazione del prodotto nella sua causa debba aver preceduto la sua realizzazione (come anche nel caso delle api), senza che tuttavia l’effetto possa proprio essere p e n s a t o da quella causa; ma quando di una cosa si dice senz’altro che è un’opera d’arte, per distinguerla da un effetto della natura, allora con ciò si intende sempre un’opera degli uomini.

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2) K u n s t als Geschicklichkeit des Menschen wird auch von der W i s s e n s c h a f t unterschieden ( K ö n n e n vom W i s s e n ), als praktisches vom theoretischen Vermögen, als Technik von der Theorie (wie die Feldmeßkunst von der Geometrie). Und da wird auch das, was man k a n n , sobald man nur w e i ß , was getan werden soll, und also nur die begehrte Wirkung genugsam kennt, nicht eben Kunst genannt. Nur das, was man, wenn man es auch auf das vollständigste kennt, den304 noch darum zu machen || noch nicht sofort die Geschicklichkeit hat, gehört in so weit zur Kunst. C a m p e r beschreibt sehr genau, wie der beste Schuh beschaffen sein müßte, aber er konnte gewiß keinen machen*. 3) Wird auch K u n s t vom H a n d w e r k e unterschieden; die erste heißt f r e i e , die andere kann auch L o h n k u n s t heißen. Man sieht die erste so an, als ob sie nur als Spiel, d. i. Beschäftigung5, die für sich selbst angenehm ist, zweckmäßig ausfallen (gelingen) könne; die zweite so, daß sie als Arbeit, d. i. Beschäftigung, die für sich selbst unangenehm (beschwerlich), und nur durch ihre Wirkung (z. B. den Lohn) anlockend ist, 176 mithin | zwangsmäßig auferlegt werden kann. Ob in der Rangliste der Zünfte Uhrmacher für Künstler dagegen Schmiede für Handwerker gelten sollen: das bedarf eines andern Gesichtspunkts der Beurteilung, als derjenige ist, den wir hier nehmen; nämlich die Proportion der Talente, die dem einen oder anderen dieser Geschäfte zum Grunde liegen müssen. Ob auch unter den sogenannten sieben freien Künsten nicht einige, die den Wissenschaften beizuzählen, manche auch, die mit Handwerken zu vergleichen sind, aufgeführt worden sein möchten: davon will ich hier nicht reden. Daß aber in allen freien Künsten dennoch etwas Zwangsmäßiges, oder, wie man es nennt, ein M e c h a n i s m u s erforderlich sei, ohne welchen der G e i s t , der in der Kunst f r e i sein muß und allein das Werk belebt, gar keinen Körper haben und gänzlich verdunsten würde: ist nicht unratsam zu erinnern (z. B. in der Dichtkunst, die Sprachrich175

* In meinen Gegenden sagt der gemeine Mann, wenn man ihm etwa eine solche Aufgabe vorlegt, wie Kolumbus mit seinem Ei: d a s i s t k e i n e K u n s t , e s i s t n u r e i n e Wi s s e n s c h a f t . D. i. wenn man es w e i ß , so k a n n man es; und eben dieses sagt er von allen vorgeblichen Künsten des Taschenspielers. Die des Seiltänzers dagegen wird er gar nicht in Abrede sein4, Kunst zu nennen.

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2) L’ a r t e in quanto abilità dell’uomo è distinta anche 175 dalla s c i e n z a (il p o t e r e dal s a p e r e ) nello stesso modo in cui la facoltà pratica si distingue da quella teoretica o la tecnica dalla teoria (come l’agrimensura dalla geometria). E per questo non si chiama appunto arte ciò che si è i n g r a d o d i fare, per il fatto che semplicemente si s a ciò che deve essere fatto e quindi si conosce a sufficienza l’effetto desiderato. All’arte appartiene in tale misura solo ciò che, pur conoscendolo nel modo più completo, non si ha per questo 304 già subito l’abilità di farlo. C a m p e r descrive con grande precisione70 come deve essere fatta un’ottima scarpa, ma egli non era certamente in grado di farne una*. 3) L’ a r t e è anche distinta dal m e s t i e r e ; la prima si dice l i b e r a l e , il secondo può anche essere chiamato a r t e m e r c e n a r i a . Si considera la prima come se possa risultare conforme al fine (riuscire) solo in quanto gioco, cioè al modo di un’occupazione che è gradevole per se stessa; si considera il secondo invece come un lavoro, cioè al modo di un’occupazione che è per se stessa sgradevole (faticosa) e che attrae soltanto per il suo effetto (per esempio il salario), e che di conseguenza può essere imposta in modo costrittivo. Per sapere se 176 nella gerarchia delle corporazioni professionali gli orologiai debbano valere come artisti e invece i fabbri come artigiani, ciò richiede un punto di vista valutativo diverso da quello che assumiamo qui: cioè la proporzione dei talenti che devono stare a fondamento dell’una o dell’altra di queste occupazioni. Inoltre non voglio discutere qui se anche tra le cosiddette sette arti liberali71 non ne possano essere state menzionate alcune da annoverarsi tra le scienze e altre ancora da paragonarsi piuttosto ai mestieri. Non è inutile ricordare, invece, che in tutte le arti liberali sia comunque richiesto un elemento di costrizione o, come si usa dire, un m e c c a n i s m o , senza di cui lo s p i r i t o , che nell’arte deve essere l i b e r o e che esso solo vivifica l’opera, non avrebbe proprio alcun corpo e svaporerebbe del tutto (per esempio, nell’arte della poe* Dalle mie parti l’uomo comune, se gli si propone un problema simile a quello di Colombo con il suo uovo, dice che « q u e s t a n o n è a r t e , è s o l o s c i e n z a ». In altri termini, se lo si s a , lo si p u ò fare; e proprio lo stesso egli dice di tutte le pretese arti del prestigiatore. Quella del funambolo invece non esiterà affatto a chiamarla arte.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

tigkeit und der6 Sprachreichtum, imgleichen die Prosodie und das Silbenmaß), da manche neuere Erzieher eine freie Kunst am besten zu befördern glauben, wenn sie allen Zwang von ihr wegnehmen, und sie aus Arbeit in bloßes Spiel verwandeln.

§ 44 Von der schönen Kunst Es gibt weder eine Wissenschaft des Schönen, sondern nur

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177 Kritik, noch schöne Wissenschaft, sondern nur schöne Kunst.

Denn was die erstere betrifft, so würde in ihr wissenschaftlich, 305 d. i. durch Beweisgründe ausge||macht werden sollen, ob etwas für schön zu halten sei oder nicht; das Urteil über Schönheit würde also, wenn es zur Wissenschaft gehörte, kein Geschmacksurteil sein. Was das zweite anlangt, so ist eine Wissenschaft, die, als solche, schön sein soll, ein Unding. Denn, wenn man in ihr als Wissenschaft nach Gründen und Beweisen fragte, so würde man durch geschmackvolle Aussprüche (Bonmots) abgefertigt1. — Was den gewöhnlichen Ausdruck, s c h ö n e W i s s e n s c h a f t e n , veranlaßt hat, ist ohne Zweifel nichts anders, als daß man ganz richtig bemerkt hat, es werde zur schönen Kunst in ihrer ganzen Vollkommenheit viel Wissenschaft, als z. B. Kenntnis alter Sprachen, Belesenheit der Autoren2 die für Klassiker gelten, Geschichte, Kenntnis der Altertümer u.s.w. erfordert, und deshalb diese3 historischen Wissenschaften, weil sie zur schönen Kunst die notwendige Vorbereitung und Grundlage ausmachen, zum Teil auch, weil darunter selbst die Kenntnis der Produkte der schönen Kunst (Beredsamkeit und Dichtkunst) begriffen worden, durch eine Wortverwechselung, selbst schöne Wissenschaften genannt hat. Wenn die Kunst, dem E r k e n n t n i s s e eines möglichen Gegenstandes angemessen, bloß ihn wirklich zu machen die dazu erforderlichen Handlungen verrichtet, so ist sie m e c h a 178 n i s c h e , hat sie aber das Gefühl der Lust | zur unmittelbaren Absicht, so heißt sie ä s t h e t i s c h e Kunst. Diese ist entweder a n g e n e h m e oder s c h ö n e Kunst. Das erste ist sie, wenn der Zweck derselben ist, daß die Lust die Vorstellungen als bloße E m p f i n d u n g e n , das zweite, daß sie dieselben als E r k e n n t n i s a r t e n begleite.

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 44

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sia, la correttezza e la ricchezza della lingua e nel contempo la prosodia e la metrica), dato che molti dei nuovi educatori credono di promuovere nel modo migliore un’arte liberale togliendole ogni costrizione e trasformandola da lavoro in semplice gioco.

§ 44 DELL’ARTE BELLA Non c’è né una scienza del bello, ma solo una critica, né una bella scienza, ma solo un’arte bella. Infatti, per quel che 177 riguarda la prima, vi dovrebbe essere stabilito scientificamente, cioè mediante argomenti, se qualcosa debba essere ritenu- 305 to bello oppure no; il giudizio sulla bellezza, dunque, se fosse di competenza della scienza, non sarebbe più un giudizio di gusto. Per quel che concerne la seconda, una scienza che, in quanto tale, deve essere bella è un nonsenso. Infatti se in essa, in quanto scienza, si chiedessero fondamenti e prove si verrebbe liquidati con espressioni eleganti (bons mots). — Ciò che ha dato occasione all’espressione consueta di b e l l e s c i e n z e non è stato altro, senza alcun dubbio, che il fatto di aver del tutto correttamente osservato che per l’arte bella, in tutta la sua perfezione, si richiede molta scienza, come per esempio la conoscenza delle lingue antiche, la lettura assidua degli autori considerati classici, la storia, la conoscenza delle antichità ecc., e dal momento che queste scienze storiche costituiscono la necessaria preparazione e il fondamento dell’arte bella, e in parte anche perché vi si include la stessa conoscenza dei prodotti dell’arte bella (oratoria e arte della poesia), sono esse stesse chiamate, con uno scambio di parole, scienze belle. Se l’arte, adeguata alla c o n o s c e n z a di un oggetto possibile, esegue per realizzarlo semplicemente le azioni necessarie per questo è un’arte m e c c a n i c a ; ma se invece ha come intento immediato il sentimento del piacere, allora si chiama 178 arte e s t e t i c a . Questa è o arte g r a d e v o l e o arte b e l l a . È la prima quando il suo fine è che il piacere accompagni le rappresentazioni in quanto semplici s e n s a z i o n i ; è la seconda se tali rappresentazioni sono s p e c i e d i c o n o scenza.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Angenehme Künste sind die, welche bloß zum Genusse abgezweckt werden; dergleichen alle die Reize sind, welche die Gesellschaft an einer Tafel vergnügen können: als unterhaltend zu erzählen, die Gesellschaft in freimütige und lebhafte Gesprächigkeit zu versetzen, durch Scherz und Lachen sie zu einem gewissen Tone der Lustigkeit zu stimmen, wo, wie man sagt, manches ins Gelag hinein geschwatzt werden kann, und niemand über das, was er spricht, verantwortlich sein will, weil es nur auf die augenblickliche Unterhaltung, nicht auf einen bleibenden Stoff zum Nachdenken oder Nachsagen, angelegt ist. (Hiezu gehört denn auch die Art, wie der Tisch zum Genusse ausgerüstet ist, oder wohl gar bei großen Gelagen die Tafelmusik: ein wunderliches Ding, welches nur als ein angenehmes Geräusch die Stimmung der Gemüter zur Fröhlichkeit unterhalten soll, und, ohne daß jemand auf die Komposition derselben die mindeste Aufmerksamkeit verwendet, die freie 306 Gesprächigkeit eines Nachbars mit dem andern || begünstigt). Dazu gehören ferner alle Spiele, die weiter kein Interesse bei sich führen, als die Zeit unvermerkt verlaufen zu machen. | 179 Schöne Kunst dagegen ist eine Vorstellungsart, die für sich selbst zweckmäßig ist, und, obgleich ohne Zweck, dennoch die Kultur der Gemütskräfte zur geselligen Mitteilung befördert. Die allgemeine Mitteilbarkeit einer Lust führt es schon in ihrem Begriffe mit sich, daß diese nicht eine Lust des Genusses, aus bloßer Empfindung, sondern der Reflexion sein müsse; und so ist ästhetische Kunst, als schöne Kunst, eine solche, die die reflektierende Urteilskraft und nicht die Sinnenempfindung zum Richtmaße hat.

§ 45 Schöne Kunst ist eine Kunst, sofern sie zugleich Natur zu sein scheint An einem Produkte der schönen Kunst muß man sich bewußt werden, daß es Kunst sei, und nicht Natur; aber doch muß die Zweckmäßigkeit in der Form desselben von allem Zwange willkürlicher Regeln so frei scheinen, als ob es ein Produkt der bloßen Natur sei. Auf diesem Gefühle der Freiheit im Spiele unserer Erkenntnisvermögen, welches doch zugleich

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 45

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Arti gradevoli sono quelle finalizzate semplicemente al godimento; tali sono tutte le attrattive che possono, a tavola, soddisfare una compagnia: come intrattenerla con racconti, condurla a conversare in modo spigliato e vivace, disporla ridendo e scherzando a un certo tono di allegria in cui, come si dice, si possa chiacchierare in modo conviviale e in modo che nessuno si assuma la responsabilità di ciò che dice, poiché importava soltanto un intrattenimento momentaneo e non una materia durevole destinata a essere ripensata o ripresa. (Qui rientra anche il modo di imbandire la tavola per il nostro godimento o ancora, nei grandi banchetti, la musica conviviale: una cosa bizzarra che, soltanto come un suono gradevole, deve mantenere gli animi disposti all’allegria e che, senza che nessuno dedichi la minima attenzione alla sua composizione, favorisca la libera conversazione tra vicini di tavo- 306 la). A ciò si aggiungono poi tutti i giochi che non comportano alcun altro interesse se non quello di far scorrere il tempo senza accorgersene. L’arte bella invece è una specie rappresentativa che è per 179 se stessa conforme al fine e che, benché senza un fine, promuove tuttavia la cultura delle forze dell’animo in vista della comunicazione socievole. La comunicabilità universale di un piacere comporta già nel suo concetto che esso debba essere un piacere non del godimento, in base alla semplice sensazione, bensì della riflessione; e così l’arte estetica, in quanto arte bella, è tale da avere come criterio di misura la forza riflettente di giudizio e non la sensazione dei sensi.

§ 45 L’ARTE BELLA È UN’ARTE IN QUANTO AL CONTEMPO SEMBRA ESSERE NATURA

In presenza di un prodotto dell’arte bella bisogna diventare consapevoli che si tratta di arte e non di natura; ma la conformità al fine, contenuta nella forma di questo prodotto, deve tuttavia sembrare tanto libera da ogni costrizione di regole arbitrarie come se si trattasse di un prodotto della semplice natura. È su questo sentimento della libertà nel

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

zweckmäßig sein muß, beruht diejenige Lust, welche allein allgemein mitteilbar ist, ohne sich doch auf Begriffe zu gründen. Die Natur war schön, wenn sie zugleich als Kunst1 aussah; und die Kunst kann nur schön genannt werden, wenn wir uns bewußt sind, sie sei Kunst, und sie uns doch als Natur aussieht. | 180 Denn wir können allgemein sagen, es mag die Natur oder die Kunstschönheit betreffen: s c h ö n i s t d a s , w a s i n d e r b l o ß e n B e u r t e i l u n g (nicht in der Sinnenempfindung, noch durch einen Begriff) g e f ä l l t . Nun hat Kunst jederzeit eine bestimmte Absicht, etwas hervorzubringen. Wenn dieses aber bloße Empfindung (etwas bloß Subjektives) wäre, die mit Lust begleitet sein sollte, so würde dies Produkt, in der Beurteilung, nur vermittelst des Sinnengefühls gefallen. Wäre die Absicht auf die Hervorbringung eines bestimmten Objekts gerichtet, so würde, wenn sie durch die Kunst erreicht wird, das Objekt nur durch Begriffe gefallen. In beiden Fällen aber würde die Kunst nicht i n d e r b l o ß e n B e u r t e i l u n g , d. i. nicht als schöne, sondern mechanische Kunst gefallen. Also muß die Zweckmäßigkeit im Produkte der schönen 307 Kunst, ob sie || zwar absichtlich ist, doch nicht absichtlich scheinen; d. i. schöne Kunst muß als Natur a n z u s e h e n sein, ob man sich ihrer zwar als Kunst bewußt ist. Als Natur aber erscheint ein Produkt der Kunst dadurch, daß zwar alle P ü n k t l i c h k e i t in der Übereinkunft mit Regeln, nach denen allein das Produkt das werden kann, was es sein soll, angetroffen wird; aber ohne P e i n l i c h k e i t , ohne daß die Schulform durchblickt2, d. i. ohne eine Spur zu zeigen, daß die Regel dem Künstler vor Augen geschwebt, und seinen Gemütskräften Fesseln angelegt habe. |

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§ 46 Schöne Kunst ist Kunst des Genies G e n i e ist das Talent (Naturgabe), welches der Kunst die Regel gibt. Da das Talent, als angebornes produktives Vermögen des Künstlers, selbst zur Natur gehört, so könnte man sich

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 46

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gioco delle nostre facoltà conoscitive, un sentimento che deve tuttavia nel contempo essere conforme al fine, che si basa quel piacere che è il solo a essere universalmente comunicabile senza però fondarsi su concetti. La natura era bella quando appariva nello stesso tempo come arte; e l’arte può essere chiamata bella soltanto se siamo consapevoli che si tratta di arte e che ci appare però quale natura. Infatti, che si tratti di bellezza della natura o dell’arte, 180 possiamo dire in generale: b e l l o è c i ò c h e p i a c e n e l l a s e m p l i c e v a l u t a z i o n e (non nella sensazione dei sensi né mediante un concetto). Ora, l’arte ha sempre un intento determinato, quello di produrre qualcosa. Ma se questo qualcosa fosse una semplice sensazione (qualcosa di semplicemente soggettivo) che dovesse essere accompagnata da piacere, allora questo prodotto piacerebbe, nella valutazione, solo per mezzo del sentimento dei sensi. Se l’intento fosse rivolto alla produzione di un oggetto determinato, allora tale oggetto, una volta conseguito questo intento grazie all’arte, piacerebbe solo mediante concetti. In entrambi i casi, però, l’arte non piacerebbe n e l l a s e m p l i c e v a l u t a z i o n e , cioè piacerebbe non come arte bella, bensì come arte meccanica. Dunque, nel prodotto dell’arte bella, la conformità al fine, benché sia certamente intenzionale, deve però sembrare non 307 intenzionale; vale a dire che l’arte bella deve essere guardata quale natura, sebbene si sia consapevoli che è proprio arte. Ma un prodotto dell’arte appare come natura per il fatto che vi viene trovata senza dubbio tutta la precisione nel convenire con le regole secondo le quali soltanto il prodotto può diventare ciò che deve essere; ciò però deve avvenire senza pi gno leria, senza che traspaia la forma scolastica, cioè senza mostrare una traccia indicante che la regola è stata davanti agli occhi dell’artista e che ha incatenato le forze del suo animo.

§ 46 L’ARTE BELLA È ARTE DEL GENIO G e n i o è il talento (dono naturale) che dà la regola all’arte. Poiché il talento, come facoltà produttiva innata dell’artista, appartiene esso stesso alla natura, ci si potrebbe anche

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

auch so ausdrücken: G e n i e ist die angeborne Gemütsanlage (ingenium), d u r c h w e l c h e die Natur der Kunst die Regel gibt. Was es auch mit dieser Definition für eine Bewandtnis habe, und ob sie bloß willkürlich, oder dem Begriffe, welchen man mit dem Worte G e n i e zu verbinden gewohnt ist, angemessen sei, oder nicht (welches in dem folgenden § erörtert werden soll): so kann man doch schon zum voraus beweisen, daß, nach der hier angenommenen Bedeutung des Worts, schöne Künste notwendig als Künste des G e n i e s betrachtet werden müssen. Denn eine jede Kunst setzt Regeln voraus, durch deren Grundlegung allererst ein Produkt, wenn es künstlich heißen soll, als möglich vorgestellt wird. Der Begriff der schönen Kunst aber verstattet nicht, daß das Urteil über die Schönheit ihres Produkts von irgend einer Regel abgeleitet werde, die einen B e g r i f f zum Bestimmungsgrunde habe, mithin einen Begriff von der Art, wie es möglich sei, zum Grunde lege1. Also kann 182 die schöne Kunst sich selbst nicht die Regel ausdenken, | nach der sie ihr Produkt zu Stande bringen soll. Da nun gleichwohl ohne vorhergehende Regel ein Produkt niemals Kunst heißen kann, so muß die Natur im Subjekte (und durch die Stimmung der Vermögen desselben) der Kunst die Regel geben, d. i. die schöne Kunst ist nur als Produkt des Genies möglich. Man sieht hieraus, daß Genie 1) ein Ta l e n t sei, dasjenige, wozu sich keine bestimmte Regel geben läßt, hervorzubringen: nicht Geschicklichkeitsanlage zu dem, was nach irgend einer 308 Regel gelernt werden kann; || folglich daß O r i g i n a l i t ä t seine erste Eigenschaft sein müsse. 2) Daß, da es auch originalen Unsinn geben kann, seine Produkte zugleich Muster, d. i. e x e m p l a r i s c h sein müssen; mithin, selbst nicht durch Nachahmung entsprungen, anderen doch dazu2, d. i. zum Richtmaße oder Regel der Beurteilung, dienen müssen. 3) Daß es, wie es sein Produkt zu Stande bringe, selbst nicht beschreiben, oder3 wissenschaftlich anzeigen könne, sondern daß es als N a t u r die Regel gebe; und daher der Urheber eines Produkts, welches er seinem Genie verdankt, selbst nicht weiß, wie sich in ihm die Ideen dazu herbei finden, auch es nicht in seiner Gewalt hat, dergleichen nach Belieben oder planmäßig auszudenken, und

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 46

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esprimere così: il g e n i o è la predisposizione innata dell’animo (ingenium) m e d i a n t e l a q u a l e la natura dà la regola all’arte. Qualunque sia la rilevanza di questa definizione, sia essa semplicemente arbitraria oppure sia adeguata o meno al concetto che si è soliti collegare72 con la parola g e n i o (cosa che dovrà essere discussa nel paragrafo seguente), si può tuttavia già provare in anticipo che le belle arti, secondo il significato della parola qui assunto, devono necessariamente essere considerate come arti del g e n i o . Infatti, ogni arte presuppone regole sul fondamento delle quali un prodotto, se lo si deve designare come artistico, è in prima istanza rappresentato come possibile. Ma il concetto dell’arte bella non permette che il giudizio sulla bellezza del suo prodotto sia derivato da una qualche regola che possieda quale principio di determinazione un c o n c e t t o , e di conseguenza ponga a fondamento un concetto del modo in cui il prodotto è possibile. Dunque l’arte bella non può escogitare da sé la regola secondo la quale deve realizzare il suo prodot- 182 to. Ora, dato che comunque, senza una regola che lo precede, un prodotto non può mai essere designato come arte, allora deve essere la natura a dare la regola all’arte nel soggetto (e mediante la disposizione delle sue facoltà), cioè l’arte bella è possibile soltanto in quanto prodotto del genio. Da qui si vede che il genio è 1) un t a l e n t o di produrre ciò per cui non si può indicare alcuna regola determinata, non una propensione di abilità per ciò che può essere appreso secondo una qualche regola; di conseguenza l’ o r i g i n a - 308 l i t à deve essere la sua prima proprietà; 2) potendo anche esserci una originalità del nonsenso, i prodotti del genio devono essere al contempo modelli, cioè e s e m p l a r i ; dunque, pur non scaturiti per imitazione, devono tuttavia servire agli altri in questo, cioè come criterio di misura o regola di valutazione; 3) il genio non è perciò in grado di descrivere o di indicare scientificamente in che modo realizzi il suo prodotto, ma dà invece la regola in quanto n a t u r a ; e allora l’autore di un prodotto, che egli deve al proprio genio, non sa lui stesso come gli vengano le idee che lo guidano a realizzarlo, e non è nemmeno in suo potere escogitare a piacimento o secondo un piano tali idee, e nemmeno comunicarle ad altri

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

anderen in solchen4 Vorschriften mitzuteilen, die sie in Stand5 setzen, gleichmäßige Produkte hervorzubringen. (Daher denn auch vermutlich das Wort Genie von genius, dem eigentümli183 chen einem Menschen bei der Geburt mitgegebe|nen schützenden und leitenden Geist, von dessen Eingebung jene originale Ideen herrührten, abgeleitet ist). 4) Daß die Natur durch das Genie nicht der Wissenschaft, sondern der Kunst die Regel vorschreibe; und auch dieses nur, in sofern diese letztere schöne6 Kunst sein soll.

§ 47 Erläuterung und Bestätigung obiger Erklärung vom Genie Darin ist jedermann einig, daß Genie dem N a c h a h m u n g s g e i s t e gänzlich entgegen zu setzen sei. Da nun Lernen nichts als Nachahmen ist, so kann die größte Fähigkeit, Gelehrigkeit (Kapazität), als Gelehrigkeit, doch nicht für Genie gelten. Wenn man aber auch selbst denkt oder dichtet, und nicht bloß was andere gedacht haben, auffaßt, ja sogar für Kunst und Wissenschaft manches erfindet: so ist doch dieses auch noch nicht der rechte Grund, um einen solchen (oftmals großen) K o p f (im Gegensatze mit dem, welcher1, weil er2 niemals etwas mehr3 als bloß lernen und nachahmen kann, ein P i n s e l heißt) ein G e n i e zu nennen: weil eben das auch hätte k ö n n e n gelernt werden, also doch auf dem natürlichen Wege des Forschens und Nachdenkens nach Regeln liegt, und von dem, was durch Fleiß vermittelst der Nachahmung erworben werden kann, nicht spezifisch unterschieden ist. So kann man alles, was N e w t o n in seinem unsterblichen Werke der Prin184 zipien der Naturphilosophie, | so ein großer Kopf auch erforderlich war, dergleichen zu erfinden, vorgetragen hat4, gar wohl lernen; aber man kann nicht geistreich dichten lernen, so aus309 führlich auch || alle Vorschriften für die Dichtkunst, und so vortrefflich auch die Muster derselben sein mögen. Die Ursache ist, daß Newton alle seine Schritte, die er, von den ersten Elementen der Geometrie an, bis zu seinen großen und tiefen Erfindungen, zu tun hatte, nicht allein sich selbst, sondern jedem andern, ganz anschaulich und zur Nachfolge bestimmt vorma-

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con prescrizioni tali che li mettano in condizione di realizzare prodotti simili. (Per questo, probabilmente, la parola genio è stata derivata da genius, lo spirito peculiare di un uomo, di cui è dotato dalla nascita per proteggerlo e guidarlo, e dalla 183 cui ispirazione proverrebbero quelle idee originali); 4) la natura, mediante il genio, prescrive la regola non alla scienza, ma all’arte; e anche questo solo in quanto quest’ultima deve essere arte bella.

§ 47 DILUCIDAZIONE E CONFERMA DELLA PRECEDENTE DEFINIZIONE DEL GENIO

Ognuno è d’accordo sul fatto che il genio73 va totalmente contrapposto allo s p i r i t o d i i m i t a z i o n e . Ora, dato che apprendere non è nient’altro che imitare, la più grande attitudine e facilità (capacità) nell’imparare non possono però valere in quanto tali come genio. Ma anche se uno pensa o compone da sé, senza limitarsi ad apprendere ciò che altri hanno pensato, e anzi inventa qualcosa a beneficio dell’arte e della scienza, questo non è però ancora affatto un buon motivo per chiamare g e n i o una tale (spesso grande) m e n t e (in opposizione a quello che, non potendo mai far altro che imparare e imitare, si chiama p a p p a g a l l o ); infatti anche questo avrebbe p o t u t o essere appreso, e dunque sta sulla via naturale della ricerca e della riflessione secondo regole senza essere specificamente diverso da ciò che può essere acquisito con diligenza per mezzo dell’imitazione. Così si può certamente apprendere tutto ciò che N e w t o n ha esposto nella sua opera immortale sui Principi della filosofia della natura 74, per quanto fosse pur richiesta una grande mente per scoprir- 184 lo; ma non si può imparare a poetare in maniera ricca di spirito, per quanto esaurienti possano essere tutte le prescrizioni 309 per l’arte della poesia e per quanto eccellenti possano anche esserne i modelli. La causa sta nel fatto che Newton avrebbe potuto mostrare tutti i passi che egli dovette compiere dai primi elementi della geometria fino alle sue scoperte più grandi e più profonde non solo a se stesso, ma anche a ogni altro, in modo del tutto intuitivo e distinto per i successori; al contra-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

chen könnte; kein H o m e r aber oder W i e l a n d anzeigen kann, wie sich seine phantasiereichen und doch zugleich gedankenvollen Ideen in seinem Kopfe hervor und zusammen finden, darum weil er es selbst nicht weiß, und es also auch keinen andern lehren kann. Im Wissenschaftlichen also ist der größte Erfinder vom mühseligsten Nachahmer und Lehrlinge nur dem Grade nach, dagegen von dem, welchen5 die Natur für die schöne Kunst begabt hat, spezifisch unterschieden. Indes liegt hierin keine Herabsetzung jener großen Männer, denen das menschliche Geschlecht so viel zu verdanken hat, gegen die Günstlinge der Natur in Ansehung ihres Talents für die schöne Kunst. Eben darin, daß jener Talent6 zur immer fortschreitenden größeren Vollkommenheit der Erkenntnisse7 und alles Nutzens, der davon abhängig ist, imgleichen zur Belehrung anderer in eben denselben Kenntnissen gemacht ist, besteht ein großer Vorzug derselben vor denen, welche die Ehre verdienen, Genies 185 zu | heißen: weil für diese die Kunst irgendwo still steht, indem ihr eine Grenze gesetzt ist, über die sie nicht weiter gehen kann, die vermutlich auch schon seit lange her erreicht ist und nicht mehr erweitert werden kann; und überdem eine solche Geschicklichkeit sich auch nicht mitteilen läßt, sondern jedem unmittelbar von der Hand der Natur erteilt sein will, mit ihm also stirbt, bis die Natur einmal einen andern wiederum eben so begabt, der nichts weiter als eines Beispiels bedarf, um das Talent, dessen er sich bewußt ist, auf ähnliche Art wirken zu lassen. Da die Naturgabe der Kunst (als schönen Kunst) die Regel geben muß: welcherlei Art ist denn diese Regel? Sie kann in keiner Formel8 abgefaßt zur Vorschrift dienen; denn sonst würde das Urteil über das Schöne nach Begriffen bestimmbar sein: sondern die Regel muß von der Tat, d. i. vom Produkt abstrahiert werden, an welchem andere ihr eigenes Talent prüfen mögen, um sich jenes zum Muster, nicht der N a c h m a c h u n g , sondern der N a c h a h m u n g 9, dienen zu lassen. Wie dieses möglich sei, ist schwer zu erklären. Die Ideen des Künstlers erregen ähnliche Ideen seines Lehrlings, wenn ihn die Natur mit einer ähnlichen Proportion der Gemütskräfte versehen hat. 310 Die Muster der schönen Kunst sind daher || die einzigen Leitungsmittel, diese auf die Nachkommenschaft zu bringen: welches durch bloße Beschreibungen nicht geschehen könnte (vor186 nehmlich nicht | im Fache der redenden Künste); und auch in

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rio nessun O m e r o o W i e l a n d 75 può indicare come possano sorgere e combinarsi nella propria mente le sue idee ricche di fantasia e tuttavia nello stesso tempo di pensiero, perché lui stesso non lo sa e perciò non può nemmeno insegnarlo ad altri. Nell’ambito scientifico, pertanto, il più grande scopritore si distingue dall’imitatore e dal discepolo più laborioso solo per il grado, mentre è invece specificamente diverso da colui che la natura ha dotato per l’arte bella. Tuttavia in questo non c’è alcun deprezzamento di quei grandi uomini, ai quali il genere umano deve essere tanto grato, rispetto ai favoriti della natura per quel che riguarda il loro talento per l’arte bella. Proprio nel fatto che quel talento serve alla perfezione sempre maggiore e progressiva delle conoscenze, e a tutto l’utile che ne dipende, come pure all’istruzione di altri in quelle medesime conoscenze consiste il loro grande privilegio rispetto a coloro che meritano l’onore di essere chiamati geni: infatti per questi l’arte a un certo punto si arresta poi- 185 ché le è imposto un limite al di là del quale non può andare, un limite che presumibilmente è già stato anche raggiunto da molto tempo e non può più essere esteso; e inoltre un’abilità come quella del genio non può nemmeno venire comunicata, ma viene elargita a ciascuno direttamente dalla mano della natura e dunque muore con lui, finché la natura, un giorno, non doti di nuovo dello stesso dono un altro che non avrà bisogno che di un esempio per far operare in modo simile il talento di cui è cosciente. Poiché il dono naturale dell’arte (in quanto arte bella) deve dare la regola, di quale specie è dunque questa regola? Essa non può servire, espressa in una formula, da prescrizione, perché altrimenti il giudizio sul bello sarebbe determinabile secondo concetti; la regola deve invece venire astratta da ciò che è stato fatto, cioè dal prodotto su cui altri potranno saggiare il loro proprio talento per servirsene come di un modello non da c o p i a r e , ma da i m i t a r e . È difficile spiegare come ciò sia possibile. Le idee dell’artista suscitano idee simili nel discepolo se la natura lo ha dotato di una proporzione simile delle forze dell’animo. I modelli dell’arte bella sono di conseguenza gli unici mezzi per trasmetterla alla posterità: ciò 310 non potrebbe accadere mediante semplici descrizioni (soprattutto non nell’ambito delle arti della parola); e anche in que- 186

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

diesen können nur die in alten, toten, und jetzt nur als gelehrte aufbehaltenen Sprachen klassisch werden. Ob zwar mechanische und schöne Kunst, die erste als bloße Kunst des Fleißes und der Erlernung, die zweite als die des Genies, sehr von einander unterschieden sind: so gibt es doch keine schöne Kunst, in welcher nicht etwas Mechanisches, welches nach Regeln gefaßt und befolgt werden kann, und also etwas S c h u l g e r e c h t e s die wesentliche Bedingung der Kunst ausmachte. Denn etwas muß dabei als Zweck gedacht werden, sonst kann man ihr Produkt gar keiner Kunst zuschreiben; es wäre ein bloßes Produkt des Zufalls. Um aber einen Zweck ins Werk zu richten, dazu werden bestimmte Regeln erfordert, von denen man sich nicht frei sprechen darf. Da nun die Originalität des Talents ein (aber nicht das einzige) wesentliches Stück vom Charakter des Genies ausmacht: so glauben seichte Köpfe, daß sie nicht besser zeigen können, sie wären aufblühende Genies, als wenn sie sich vom Schulzwange aller Regeln lossagen, und glauben, man paradiere besser auf einem kollerichten Pferde, als auf einem Schulpferde. Das Genie kann nur reichen S t o f f zu Produkten der schönen Kunst hergeben; die Verarbeitung desselben und die F o r m erfordert ein durch die Schule gebildetes Talent, um einen Gebrauch davon zu machen, der vor der Urteilskraft bestehen kann. Wenn aber jemand so187 gar in Sachen | der sorgfältigsten Vernunftuntersuchung wie ein Genie spricht und entscheidet, so ist es vollends lächerlich; man weiß nicht recht, ob man mehr über den Gaukler, der um sich so viel Dunst verbreitet, wobei10 man nichts deutlich beurteilen, aber desto mehr sich einbilden kann, oder mehr über das Publikum lachen soll, welches sich treuherzig einbildet, daß sein Unvermögen, das Meisterstück der Einsicht deutlich erkennen und fassen zu können, daher komme, weil ihm neue Wahrheiten in ganzen Massen zugeworfen werden, wogegen ihm das Detail (durch abgemessene Erklärungen und schulgerechte Prüfung der Grundsätze) nur Stümperwerk zu sein scheint. ||

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ste possono diventare classici solo quelli redatti in lingue antiche, morte, e ora conservate soltanto come dotte. Benché l’arte meccanica e l’arte bella, la prima in quanto semplice arte della diligenza e dell’apprendimento, la seconda in quanto arte del genio, siano molto diverse l’una dall’altra, non c’è però alcuna arte bella in cui qualcosa di meccanico, che può essere appreso e seguito secondo regole, e quindi qualcosa di s c o l a s t i c o , non costituisca la condizione essenziale dell’arte. Infatti in essa qualcosa deve essere pensato come fine perché altrimenti il suo prodotto non potrebbe venire annoverato in alcuna arte: sarebbe un semplice prodotto del caso. Ma per porre in opera un fine sono richieste regole determinate da cui non ci si può affrancare. Ora, poiché l’originalità del talento costituisce una dimensione essenziale (ma non l’unica) del carattere del genio, le menti superficiali credono di non poter meglio mostrare di essere floridi geni se non svincolandosi dalla costrizione scolastica di tutte le regole e credono di sfilare in parata meglio su un cavallo bizzoso che su uno addestrato. Il genio può procurare soltanto una ricca m a t e r i a ai prodotti dell’arte bella; però l’elaborazione di questa materia e la f o r m a esigono un talento plasmato dalla scuola per farne un uso che possa far fronte alle richieste della forza di giudizio. Tuttavia è assolutamente ridicolo che qualcuno parli e decida come un genio perfino in 187 cose che richiedono la più scrupolosa ricerca della ragione76; non si sa bene se si debba ridere di più del ciarlatano, che spande tanta nebbia intorno a sé per cui non si può valutare nulla distintamente ma tanto più si può immaginare chissà che cosa, o più del pubblico che si immagina ingenuamente che la propria incapacità di poter conoscere e cogliere distintamente quel capolavoro di perspicacia derivi dal fatto che gli vengano gettate addosso tutte insieme nuove verità, nei confronti delle quali il dettaglio (mediante spiegazioni appropriate e un esame metodico dei principi) gli sembra invece costituire soltanto un lavoro raffazzonato.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 48 Vom Verhältnisse des Genies zum Geschmack

Zur B e u r t e i l u n g schöner Gegenstände, als solcher, wird G e s c h m a c k , zur schönen Kunst selbst aber, d. i. der1 H e r v o r b r i n g u n g solcher Gegenstände, wird G e n i e erfordert. Wenn man das Genie als Talent zur schönen Kunst betrachtet (welches die eigentümliche Bedeutung des Worts mit sich bringt), und es in dieser Absicht in die Vermögen zergliedern will, die ein solches Talent auszumachen zusammen kommen müssen: so ist nötig, zuvor den Unterschied zwischen der Naturschönheit, deren Beurteilung nur Geschmack, und der 188 Kunstschönheit, deren | Möglichkeit (worauf in der Beurteilung eines dergleichen Gegenstandes auch Rücksicht genommen werden muß) Genie erfordert, genau zu bestimmen. Eine Naturschönheit ist ein s c h ö n e s D i n g ; die Kunstschönheit ist eine s c h ö n e Vo r s t e l l u n g von einem Dinge. Um eine Naturschönheit als eine solche zu beurteilen, brauche ich nicht vorher einen Begriff davon zu haben, was der Gegenstand für ein Ding sein solle; d. i. ich habe nicht nötig, die materiale Zweckmäßigkeit (den Zweck) zu kennen, sondern die bloße Form ohne Kenntnis des Zwecks gefällt in der Beurteilung für sich selbst. Wenn aber der Gegenstand für ein2 Produkt der Kunst gegeben ist, und als solches für schön erklärt werden soll: so muß, weil Kunst immer einen Zweck in der Ursache (und deren Kausalität) voraussetzt, zuerst ein Begriff von dem zum Grunde gelegt werden, was das Ding sein soll; und, da die Zusammenstimmung des Mannigfaltigen in einem Dinge, zu einer innern Bestimmung desselben als Zweck, die Vollkommenheit des Dinges ist, so wird in der Beurteilung der Kunstschönheit zugleich die Vollkommenheit des Dinges in Anschlag gebracht werden müssen, wornach in der Beurteilung einer Naturschönheit (als einer solchen) gar nicht die Frage ist. — Zwar wird in der Beurteilung, vornehmlich der belebten Gegenstände der Natur, z. B. des Menschen oder eines Pferdes, 189 auch die objektive Zwechmäßigkeit gemei|niglich mit in Betracht gezogen, um über die Schönheit derselben zu urteilen; alsdann ist aber auch das Urteil nicht mehr rein-ästhetisch, d. i. bloßes Geschmacksurteil. Die Natur wird nicht mehr beurteilt, wie sie als Kunst erscheint, sondern sofern sie wirklich (obzwar übermenschliche) Kunst i s t ; und das teleologische Urteil dient

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 48

§ 48 DEL RAPPORTO DEL GENIO CON IL GUSTO

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Per v a l u t a r e gli oggetti belli in quanto tali è richiesto g u s t o , mentre per l’arte bella stessa, cioè per p r o d u r r e tali oggetti, è richiesto il g e n i o . Se si considera il genio in quanto talento per l’arte bella (come comporta il significato peculiare della parola) e con questo intento lo si vuole scomporre nelle facoltà che devono concorrere a costituire un simile talento, allora è innanzitutto necessario determinare con precisione la differenza tra la bellezza naturale, la cui valutazione richiede gusto, e la bellezza artistica, la cui possibilità richiede genio (della quale si deve 188 anche tener conto nella valutazione di un simile oggetto). Una bellezza naturale è una c o s a b e l l a ; la bellezza artistica è una b e l l a r a p p r e s e n t a z i o n e di una cosa. Per valutare una bellezza naturale in quanto tale non ho bisogno di avere in anticipo un concetto del tipo di cosa che l’oggetto deve essere; in altri termini non mi è necessario conoscerne la conformità materiale al fine (il fine), bensì la semplice forma, senza conoscenza del fine, piace nella valutazione per se stessa. Ma se l’oggetto è dato come un prodotto dell’arte e come tale deve essere dichiarato bello, allora deve essere posto a suo fondamento innanzitutto un concetto di ciò che la cosa deve essere, poiché l’arte presuppone sempre un fine nella causa (e nella sua causalità); e poiché l’armonizzarsi del molteplice in una cosa per una sua interna destinazione in quanto fine è la perfezione della cosa, allora nella valutazione della bellezza artistica deve essere messa in conto nello stesso tempo la perfezione della cosa, il che non è affatto in questione nella valutazione di una bellezza naturale (in quanto tale). — Certamente, nella valutazione degli oggetti della natura, in particolare di quelli viventi, per esempio dell’uomo o di un cavallo, viene comunemente presa in conside- 189 razione, per giudicarne la bellezza, anche la conformità oggettiva al fine; ma allora anche il giudizio non è più puramente estetico, cioè un semplice giudizio di gusto. La natura non è più valutata in quanto appare come arte, bensì in quanto è effettivamente arte (sebbene sovrumana); e il giudizio

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

|| Grundlage und Bedingung, worauf dieses Rücksicht nehmen muß. In einem solchen Falle denkt man auch, wenn z. B. gesagt wird: »das ist ein schönes Weib«, in der Tat nichts anders, als: die Natur stellt in ihrer Gestalt die Zwecke im weiblichen Baue schön vor; denn man muß noch über die bloße Form auf einen Begriff hinaussehen, damit der Gegenstand auf solche Art durch ein logisch-bedingtes ästhetisches Urteil gedacht werde. Die schöne Kunst zeigt darin eben ihre Vorzüglichkeit, daß sie Dinge, die in der Natur häßlich oder mißfällig sein würden, schön beschreibt. Die Furien, Krankheiten, Verwüstungen des Krieges, u. d. gl. können, als Schädlichkeiten3, sehr schön beschrieben, ja sogar im Gemälde vorgestellt werden; nur eine Art Häßlichkeit kann nicht der Natur gemäß vorgestellt werden, ohne alles ästhetische Wohlgefallen, mithin die Kunstschönheit4, zu Grunde zu richten: nämlich diejenige, welche E k e l erweckt. Denn, weil in dieser sonderbaren, auf lauter Einbildung beruhenden Empfindung der Gegenstand gleichsam, als 190 ob er sich zum Genusse aufdränge5, wider | den wir doch mit Gewalt streben, vorgestellt wird: so wird die künstliche Vorstellung des Gegenstandes von der Natur dieses Gegenstandes selbst in unserer Empfindung nicht mehr unterschieden, und jene kann alsdann unmöglich für schön gehalten werden. Auch hat die Bildhauerkunst, weil an ihren Produkten die Kunst mit der Natur beinahe verwechselt wird, die unmittelbare Vorstellung häßlicher Gegenstände von ihren Bildungen ausgeschlossen, und dafür z. B. den Tod (in einem schönen Genius), den Kriegsmut (am Mars) durch eine Allegorie oder Attribute, die sich gefällig ausnehmen, mithin nur indirekt vermittelst einer Auslegung der Vernunft, und nicht für bloß ästhetische Urteilskraft, vorzustellen erlaubt. So viel von der schönen Vorstellung eines Gegenstandes, die eigentlich nur die Form der Darstellung eines Begriffs ist, durch welche dieser6 allgemein mitgeteilt wird. — Diese Form aber dem Produkte der schönen Kunst zu geben, dazu wird bloß Geschmack erfordert, an welchem7 der Künstler, nachdem er ihn durch mancherlei Beispiele der Kunst, oder der Natur, geübt und berichtigt hat, sein Werk hält, und, nach manchen oft mühsamen Versuchen, denselben zu befriedigen, diejenige 312 dem ästhetischen zur

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teleologico serve al giudizio estetico come fondazione e con- 312 dizione di cui questo deve tener conto. In tal caso, per esempio quando si dice «questa è una bella donna», non si pensa a nient’altro che questo: la natura rappresenta in modo bello nella sua figura i fini inscritti nella complessione femminile; infatti si deve anche guardare, al di là della semplice forma, a un concetto affinché l’oggetto sia pensato in tal modo mediante un giudizio estetico logicamente condizionato. L’arte bella mostra la sua superiorità proprio nel fatto che essa descrive in modo bello cose che nella natura sarebbero brutte o spiacevoli. Le furie, le malattie, le devastazioni della guerra ecc., possono, in quanto calamità, essere descritte e anzi perfino rappresentate nei dipinti in modo molto bello; solo una specie di bruttezza non può essere rappresentata conformemente alla natura senza mandare in rovina ogni compiacimento estetico e di conseguenza la bellezza artistica, cioè quella che suscita d i s g u s t o . Infatti, per il fatto che in questa insolita sensazione, che si basa sulla pura e semplice immaginazione, l’oggetto è rappresentato per così dire come se s’imponesse al godimento, mentre invece noi gli resistiamo 190 con violenza, così la rappresentazione artistica dell’oggetto non è più diversa, nella nostra sensazione, dalla natura di questo stesso oggetto ed è perciò impossibile che quella possa essere ritenuta bella. Anche la scultura, dato che, nei suoi prodotti, l’arte viene quasi confusa con la natura, ha escluso dalle sue raffigurazioni la rappresentazione immediata di oggetti brutti e in compenso ha permesso di rappresentarli, per esempio la morte (in un bel genio) o lo spirito guerriero (in Marte), mediante un’allegoria o attributi che si presentano con un aspetto piacente, dunque di rappresentarli in un modo soltanto indiretto per mezzo di una interpretazione della ragione e non per la forza semplicemente estetica di giudizio. Ciò è quanto c’era da spiegare a proposito della bella rappresentazione di un oggetto, che è propriamente solo la forma della esibizione di un concetto grazie alla quale questo è comunicato universalmente. — Ma per dare tale forma al prodotto dell’arte bella è richiesto semplicemente il gusto, al quale l’artista, dopo averlo esercitato e corretto mediante numerosi esempi dell’arte o della natura, si attiene nella sua opera e, dopo numerosi tentativi spesso faticosi di appagarlo,

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Form findet, die ihm Genüge tut: daher diese nicht gleichsam eine Sache der Eingebung, oder eines freien Schwunges der Gemütskräfte, sondern einer langsamen und gar peinlichen Nach191 besserung ist, um sie dem Gedanken angemessen und doch | || 313 der Freiheit im Spiele derselben nicht nachteilig werden zu lassen. Geschmack ist aber bloß ein Beurteilungs- nicht ein produktives Vermögen; und, was ihm gemäß ist, ist darum eben nicht ein Werk der schönen Kunst: es kann ein zur nützlichen und mechanischen Kunst, oder gar zur Wissenschaft gehöriges Produkt nach bestimmten Regeln sein, die gelernt werden können und genau befolgt werden müssen. Die gefällige Form aber, die man ihm gibt, ist nur das Vehikel der Mitteilung und eine Manier gleichsam des Vortrages, in Ansehung dessen man noch in gewissem Maße frei bleibt8, wenn er doch übrigens an einen bestimmten Zweck gebunden ist. So verlangt man, daß das Tischgeräte, oder auch eine moralische Abhandlung, sogar eine Predigt diese Form der schönen Kunst, ohne doch g e s u c h t zu scheinen, an sich haben müsse; man wird sie aber darum nicht Werke der schönen Kunst nennen. Zu der letzteren aber wird ein Gedicht, eine Musik, eine Bildergalerie u. d. gl. gezählt; und da kann man an einem seinsollenden Werke der schönen Kunst oftmals Genie ohne Geschmack, an einem andern Geschmack ohne Genie, wahrnehmen. | 192

§ 49 Von den Vermögen des Gemüts, welche1 das Genie ausmachen Man sagt von gewissen Produkten, von welchen man erwartet, daß sie sich, zum Teil wenigstens, als schöne Kunst zeigen sollten: sie sind ohne G e i s t ; ob man gleich an ihnen, was den Geschmack betrifft, nichts zu tadeln findet. Ein Gedicht kann recht nett und elegant sein, aber es ist ohne Geist. Eine Geschichte ist genau und ordentlich, aber ohne Geist. Eine feierliche Rede ist gründlich und zugleich zierlich, aber ohne Geist. Manche Konversation ist nicht ohne Unterhaltung, aber doch ohne Geist; selbst von einem Frauenzimmer sagt man wohl, sie ist hübsch, gesprächig und artig, aber ohne Geist. Was ist denn das2, was man hier unter Geist versteht?

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trova quella forma che lo soddisfa: perciò questa forma non è per così dire una questione di ispirazione o di un libero slancio delle forze dell’animo, bensì di un lento e perfino penoso perfezionamento che cerca di renderla adeguata al pensiero 191 313 senza tuttavia pregiudicare la libertà inscritta nel gioco delle forze dell’animo. Ma il gusto è semplicemente una facoltà di valutare e non una facoltà produttiva; e ciò che gli è conforme non è, proprio per questo, un’opera dell’arte bella: può essere un prodotto che appartiene all’arte utile e meccanica o addirittura alla scienza secondo regole determinate che possono essere apprese e che devono essere seguite esattamente. La forma piacevole che gli si dà è però solo il veicolo della comunicazione, e per così dire una maniera di esposizione, nei confronti della quale si resta ancora in una certa misura liberi anche se per il resto essa rimane legata a un fine determinato. Così si esige che un servizio da tavola, o anche un trattato di morale, perfino una predica debbano avere in sé questa forma dell’arte bella senza che tuttavia sembri essere r i c e r c a t a ; comunque non per questo si diranno opere dell’arte bella. Tra queste ultime vengono annoverate piuttosto una poesia, una musica, una galleria di quadri, ecc.; e qui, in un’opera che dovrebbe essere un’opera dell’arte bella, si può spesso percepire genio senza gusto e, in un’altra, gusto senza genio.

§ 49 DELLE FACOLTÀ DELL’ANIMO CHE COSTITUISCONO IL GENIO Di certi prodotti da cui ci si attende che dovrebbero manifestarsi, almeno in parte, come arte bella77 si dice che sono senza s p i r i t o , benché non si trovi in essi nulla da biasimare per ciò che riguarda il gusto. Una poesia può essere molto graziosa ed elegante, ma è senza spirito. Una storia è precisa e ordinata, ma senza spirito. Un discorso ufficiale è profondo e nel contempo ornato, ma senza spirito. Molte conversazioni non mancano di divertire, ma comunque sono senza spirito; perfino di una donna si può ben dire che è carina, affabile e garbata, ma senza spirito. E dunque che cosa s’intende qui per spirito?

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

G e i s t , in ästhetischer Bedeutung, heißt das belebende Prinzip im Gemüte. Dasjenige aber, wodurch dieses Prinzip die Seele belebt, der Stoff, den es dazu anwendet, ist das, was die Gemütskräfte zweckmäßig in Schwung versetzt, d. i. in ein solches Spiel, welches sich von selbst erhält und selbst die Kräfte dazu stärkt. Nun behaupte ich, dieses Prinzip sei nichts anders, als das 314 Ver||mögen der Darstellung ä s t h e t i s c h e r I d e e n ; unter einer ästhetischen Idee aber verstehe ich diejenige Vorstellung 193 der Einbildungskraft, die viel zu | denken veranlaßt, ohne daß ihr doch irgend ein bestimmter Gedanke, d. i. B e g r i f f adäquat sein kann, die folglich keine Sprache völlig erreicht und verständlich machen kann. — Man sieht leicht, daß sie das Gegenstück (Pendant) von einer Ve r n u n f t i d e e sei, welche umgekehrt ein Begriff ist, dem keine A n s c h a u u n g (Vorstellung der Einbildungskraft) adäquat sein kann. Die Einbildungskraft (als produktives Erkenntnisvermögen) ist nämlich sehr mächtig in Schaffung gleichsam einer andern Natur, aus dem Stoffe, den ihr die wirkliche gibt. Wir unterhalten uns mit ihr, wo uns die Erfahrung zu alltäglich vorkommt; bilden diese auch wohl um: zwar noch immer nach analogischen Gesetzen, aber doch auch nach Prinzipien, die höher hinauf in der Vernunft liegen (und die uns eben sowohl natürlich sind, als die, nach welchen der Verstand die empirische Natur auffaßt); wobei wir unsere Freiheit vom Gesetze der Assoziation (welches dem empirischen Gebrauche jenes Vermögens anhängt) fühlen, nach welchem uns von3 der Natur zwar Stoff geliehen, dieser aber von uns zu etwas ganz4 anderem, nämlich dem, was5 die Natur übertrifft, verarbeitet werden kann. Man kann dergleichen Vorstellungen der Einbildungskraft I d e e n nennen: eines Teils darum, weil sie zu etwas über die Erfahrungsgrenze hinaus Liegendem wenigstens streben, und so einer Darstellung der Vernunftbegriffe (der intellektuellen Ideen) 194 nahe zu kom|men suchen, welches ihnen den Anschein einer objektiven Realität gibt; andrerseits, und zwar hauptsächlich, weil ihnen, als innern Anschauungen, kein Begriff völlig adäquat sein kann. Der Dichter wagt es, Vernunftideen von unsichtbaren Wesen, das Reich der Seligen, das Höllenreich, die

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S p i r i t o , nel suo significato estetico, si dice il principio vivificante dell’animo. Ma ciò per cui questo principio vivifica l’anima, la materia che impiega a tale riguardo, è quanto conferisce slancio alle forze dell’animo in maniera conforme al fine, cioè le dispone in un gioco che si mantiene da sé e che per giunta a tale scopo aumenta quelle forze. Ora, io sostengo che questo principio non è altro se non la facoltà di esibizione di i d e e e s t e t i c h e ; ma per idea 314 estetica intendo quella rappresentazione della forza di immaginazione che dà occasione di pensare molto senza che tutta- 193 via qualche pensiero determinato, cioè qualche c o n c e t t o , possa esserle adeguato, e che di conseguenza nessun linguaggio possa raggiungere completamente né rendere comprensibile. — Si vede facilmente che essa è il corrispettivo (pendant) di una i d e a d e l l a r a g i o n e che, viceversa, è un concetto al quale nessuna i n t u i z i o n e (rappresentazione della forza di immaginazione) può essere adeguata. La forza di immaginazione (in quanto facoltà conoscitiva produttiva)78 è infatti molto potente quando si tratta di creare per così dire un’altra natura a partire dalla materia che le fornisce la natura reale. Noi ci intratteniamo con essa quando l’esperienza ci sembra troppo banale; la trasformiamo, certo seguendo pur sempre leggi analogiche, ma attenendoci comunque a principi che stanno più in alto nella ragione (e che ci sono altrettanto naturali quanto quelli secondo i quali l’intelletto apprende la natura empirica); così facendo noi sentiamo la nostra libertà nei confronti della legge dell’associazione (che inerisce all’uso empirico di quella facoltà), secondo la quale ci è certo prestata dalla natura materia, ma questa può essere rielaborata da noi in modo da farne qualcosa del tutto diverso, qualcosa che oltrepassa la natura. Si possono chiamare i d e e tali rappresentazioni della forza di immaginazione: da una parte perché almeno tendono verso qualcosa che sta al di là dei limiti dell’esperienza, e così cercano di avvicinarsi a una esibizione dei concetti della ragione (delle idee intellettuali), cosa che conferisce loro l’ap- 194 parenza di una realtà oggettiva; e d’altra parte, e anzi principalmente, perché a esse, in quanto sono intuizioni interne, nessun concetto può essere completamente adeguato. Il poeta79 osa rendere sensibili idee della ragione di esseri invisibili:

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Ewigkeit, die Schöpfung u. d. gl. zu versinnlichen; oder auch das, was zwar Beispiele in der Erfahrung findet, z. B. den Tod, den Neid und alle Laster, imgleichen die Liebe, den Ruhm u. d. gl. über die Schranken der Erfahrung hinaus, vermittelst einer Einbildungskraft, die dem Vernunft-Vorspiele in Erreichung eines Größten nacheifert, in einer Vollständigkeit sinnlich zu machen, für die sich in der Natur kein Beispiel findet; und es ist eigentlich die Dichtkunst, in welcher sich das Vermögen ästhetischer Ideen in seinem ganzen Maße zeigen kann. Dieses Vermögen aber, für sich allein betrachtet, ist eigentlich nur ein Talent (der Einbildungskraft). Wenn nun einem Begriffe eine Vorstellung der Einbildungs315 kraft || untergelegt wird, die zu seiner Darstellung gehört, aber für sich allein so viel zu denken veranlaßt, als sich niemals in einem bestimmten Begriff zusammenfassen läßt, mithin den Begriff selbst auf unbegrenzte Art ästhetisch erweitert: so ist die Einbildungskraft hiebei schöpferisch und bringt das Vermögen intellektueller Ideen (die Vernunft) in Bewegung, mehr nämlich6 bei Veranlassung einer Vorstellung zu denken (was zwar 195 zu | dem Begriffe des Gegenstandes gehört), als in ihr aufgefaßt und deutlich gemacht7 werden kann. Man nennt diejenigen Formen, welche nicht die Darstellung eines gegebenen Begriffs selber ausmachen, sondern nur, als Nebenvorstellungen der Einbildungskraft, die damit verknüpften Folgen und die Verwandtschaft desselben mit andern ausdrücken, A t t r i b u t e (ästhetische) eines Gegenstandes, dessen Begriff, als Vernunftidee, nicht adäquat dargestellt werden kann. So ist der Adler Jupiters8, mit dem Blitze in den Klauen, ein Attribut des mächtigen Himmelskönigs, und der Pfau der prächtigen Himmelskönigin. Sie stellen nicht, wie die l o g i s c h e n A t t r i b u t e , das was in unsern Begriffen von der Erhabenheit und Majestät der Schöpfung liegt, sondern etwas anderes vor, was der Einbildungskraft Anlaß gibt, sich über eine Menge von verwandten Vorstellungen zu verbreiten, die mehr denken lassen, als man in einem durch Worte bestimmten Begriff ausdrücken kann; und geben eine ä s t h e t i s c h e I d e e , die jener Vernunftidee statt logischer Darstellung dient, eigentlich aber um das Gemüt zu beleben, indem sie ihm die Aussicht in ein unabsehliches Feld verwandter Vorstellungen eröffnet.

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il regno dei beati, l’inferno, l’eternità, la creazione ecc.; o anche ciò di cui certamente si trovano esempi nell’esperienza, per esempio la morte, l’invidia e tutti i vizi, come pure l’amore, la gloria ecc., ma al di là dei confini dell’esperienza, grazie a una forza di immaginazione che emula i preludi della ragione per raggiungere un massimo, in una compiutezza di cui non si trova alcun esempio nella natura; ed è propriamente nell’arte della poesia che la facoltà delle idee estetiche può manifestarsi in tutta la sua ampiezza. Tuttavia questa facoltà, considerata per sé sola, è propriamente solo un talento (della forza di immaginazione). Ora, quando a un concetto è sottoposta una rappresentazione della forza di immaginazione che appartiene alla sua 315 esibizione, ma che, per sé sola, fornisce l’occasione di pensare molto di più di quanto si possa mai comprendere entro un concetto determinato, e quindi amplia esteticamente il concetto stesso in modo illimitato, allora la forza di immaginazione è creativa e mette in moto la facoltà delle idee intellettuali (la ragione), in modo da permetterle, in occasione di una rappresentazione, di pensare (cosa che appartiene in effetti al concetto dell’oggetto) più di quanto in essa possa essere ap- 195 preso e reso distinto. Quelle forme che costituiscono non la esibizione stessa di un concetto dato, ma esprimono solamente, come rappresentazioni concomitanti della forza di immaginazione, le conseguenze connesse e l’affinità di questo concetto con altri, sono chiamate a t t r i b u t i (estetici) di un oggetto, il cui concetto, quale idea della ragione, non può essere esibito in modo adeguato. Così l’aquila di Giove, con il fulmine negli artigli, è un attributo del potente re del cielo, e il pavone lo è della magnifica regina del cielo. Essi non rappresentano, come gli a t t r i b u t i l o g i c i , ciò che sta nei nostri concetti della sublimità e della maestà della creazione, ma qualcosa d’altro che fornisce alla forza di immaginazione l’occasione di diffondersi su una quantità di rappresentazioni affini, le quali fanno pensare più di quanto si possa esprimere in un concetto determinato mediante parole; e danno un’ i d e a e s t e t i c a , la quale serve a quell’idea della ragione al posto di una esibizione logica, propriamente però per vivificare l’animo, aprendogli la vista su un campo sterminato di rappresentazioni affini. Ma l’arte bel-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Die schöne Kunst aber tut dieses nicht allein in der Malerei oder Bildhauerkunst (wo der Namen der Attribute gewöhnlich gebraucht wird); sondern die Dichtkunst und Beredsamkeit nehmen den Geist, der ihre Werke belebt, auch lediglich von 196 den ästhetischen Attributen der | Gegenstände her, welche den logischen zur Seite gehen, und der Einbildungskraft einen Schwung geben, mehr dabei, obzwar auf unentwickelte Art, zu denken, als sich in einem Begriffe, mithin in einem bestimmten Sprachausdrucke, zusammenfassen läßt. — Ich muß mich der Kürze wegen nur auf wenige Beispiele einschränken. Wenn der Große König sich in einem seiner Gedichte so ausdrückt: »Laßt uns aus dem Leben ohne Murren weichen und ohne etwas zu bedauern, indem wir die Welt noch alsdann mit Wohltaten überhäuft zurücklassen. So verbreitet die Sonne, nachdem sie ihren Tageslauf vollendet hat, noch ein mildes Licht am 316 Himmel; und die letzten Strahlen, || die sie in die Lüfte schickt, sind ihre letzten Seufzer für das Wohl der Welt«: so belebt er seine Vernunftidee, von weltbürgerlicher Gesinnung noch am Ende des Lebens, durch ein Attribut, welches die Einbildungskraft (in der Erinnerung an alle Annehmlichkeiten eines vollbrachten schönen Sommertages, die uns ein heiterer Abend ins Gemüt ruft) jener Vorstellung beigesellt, und welches eine Menge von Empfindungen und Nebenvorstellungen rege macht, für die sich kein Ausdruck findet. Andererseits kann sogar ein intellektueller Begriff umgekehrt zum Attribut einer Vorstellung der Sinne dienen, und so diese letztere9 durch die Idee des Übersinnlichen beleben; aber nur, indem das ästhetische, was10 dem Bewußtsein des letztern 197 subjektiv | anhänglich ist, hiezu gebraucht wird. So sagt z. B. ein gewisser Dichter in der Beschreibung eines schönen Morgens: »Die Sonne quoll hervor, wie Ruh aus Tugend quillt«. Das Bewußtsein der Tugend, wenn man sich auch nur in Gedanken in die Stelle eines Tugendhaften versetzt, verbreitet im Gemüte eine Menge erhabener und beruhigender Gefühle, und eine grenzenlose Aussicht in eine frohe Zukunft, die kein Ausdruck, welcher einem bestimmten Begriffe angemessen ist, völlig erreicht*. * Vielleicht ist nie etwas Erhabneres gesagt, oder ein Gedanke erhabener ausgedrückt worden, als in jener Aufschrift über dem Tempel der I s i s (der Mutter N a t u r ): »Ich bin alles was da ist, was da war, und was da sein wird, und meinen Schleier hat kein Sterblicher aufgedeckt«. S e g n e r benutzte diese Idee, durch eine s i n n r e i c h e seiner Naturlehre vorgesetzte

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la fa questo non solo nella pittura o nella scultura (in cui il nome di attributi viene comunemente adoperato), bensì anche l’arte della poesia e l’oratoria traggono lo spirito che vivifica le loro opere esclusivamente dagli attributi estetici degli oggetti che affiancano quelli logici e danno alla forza di im- 196 maginazione uno slancio a pensare, sebbene in modo non esplicito, più di quanto si lasci comprendere in un concetto e di conseguenza in una espressione linguistica determinata. — Per brevità mi devo limitare soltanto a pochi esempi. Quando il grande re si esprime così in una delle sue poesie: «Andiamocene dalla vita senza lamenti, e senza qualcosa da rimpiangere, lasciandoci dietro il mondo ancora colmo di buone azioni. Così il sole, dopo aver compiuto il suo corso diurno, diffonde ancora una dolce luce in cielo, e gli ultimi raggi che lancia nell’aria, sono i suoi ultimi sospiri per il bene 316 del mondo»80, egli vivifica la sua idea della ragione di un atteggiamento cosmopolitico che provava ancora alla fine della sua vita, grazie a un attributo che la forza di immaginazione associa a quella rappresentazione (nel ricordo di tutte le cose gradevoli di una bella giornata d’estate giunta al termine, che una sera tersa ci richiama all’animo) e che suscita una quantità di sensazioni e di rappresentazioni concomitanti per le quali non si trova alcuna espressione. D’altro canto, e viceversa, perfino un concetto intellettuale può servire da attributo di una rappresentazione dei sensi e così vivificare quest’ultima mediante l’idea del soprasensibile; ma ciò avviene solo in quanto viene utilizzato a tale scopo l’estetico, che è soggettivamente congiunto alla coscienza del soprasensibile. Così, 197 per esempio, un poeta dice81, descrivendo un bel mattino: «Sorgeva il sole come dalla virtù la quiete». La coscienza della virtù, quando ci si pone, anche solo con il pensiero, al posto di un uomo virtuoso, diffonde nell’animo una quantità di sentimenti sublimi e rasserenanti e una veduta illimitata su un futuro gioioso che nessuna espressione adeguata a un concetto determinato raggiunge pienamente*. * Forse non è mai stato detto nulla di più sublime o non è mai stato espresso un pensiero in modo più sublime che in quella iscrizione sul tempio di I s i d e (la madre n a t u r a ): «Io sono tutto ciò che è, che fu e che sarà, e nessun mortale ha sollevato il mio velo». S e g n e r utilizzò questa idea in una dipintura r i c c a d i s e n s o posta sul frontespizio della sua Dottrina della natura per infondere nel suo discepolo, che egli

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Mit einem Worte, die ästhetische Idee ist eine einem gegebenen Begriffe beigesellte Vorstellung der Einbildungskraft, welche mit einer solchen Mannigfaltigkeit der11 Teilvorstellungen in dem freien Gebrauche derselben verbunden ist, daß für sie kein Ausdruck, der einen bestimmten Begriff bezeichnet, gefunden werden kann, die12 also zu einem Begriffe viel Unnennbares hinzu denken läßt, dessen Gefühl13 die Erkenntnisvermögen belebt und mit der Sprache, als bloßem Buchstaben, Geist verbindet. | 198 Die Gemütskräfte also, deren Vereinigung (in gewissem Verhältnisse) das G e n i e ausmacht14, sind Einbildungskraft und Verstand. Nur, da, im Gebrauch der Einbildungskraft zum Erkenntnisse, die Einbildungskraft15 unter dem Zwange des Verstandes und16 der Beschränkung unterworfen ist, dem Begriffe 317 desselben angemessen zu sein; in ästhetischer Ab||sicht aber die Einbildungskraft frei ist, um über17 jene Einstimmung zum Begriffe, doch ungesucht18, reichhaltigen unentwickelten Stoff für den Verstand, worauf dieser in seinem Begriffe nicht Rücksicht nahm, zu liefern, welchen dieser aber, nicht sowohl objektiv zum Erkenntnisse, als subjektiv zur Belebung der Erkenntniskräfte, indirekt also doch auch zu Erkenntnissen anwendet: so besteht das Genie eigentlich in dem glücklichen Verhältnisse, welches keine Wissenschaft lehren und kein Fleiß erlernen kann, zu einem gegebenen Begriffe Ideen aufzufinden, und andrerseits zu diesen den A u s d r u c k zu treffen, durch den die dadurch bewirkte subjektive Gemütsstimmung, als Begleitung eines Begriffs, anderen mitgeteilt werden kann. Das letztere19 Talent ist eigentlich dasjenige, was man Geist nennt; denn das Unnennbare in dem Gemütszustande bei einer gewissen Vorstellung auszudrücken und allgemein mitteilbar zu machen, der Ausdruck mag nun in Sprache, oder Malerei, oder Plastik bestehen: das20 erfordert ein Vermögen, das schnell vorübergehende 199 Spiel der Einbildungskraft aufzufassen, und | in einen Begriff (der eben darum original ist und zugleich eine neue Regel eröffnet, die aus keinen vorhergehenden Prinzipien oder Beispielen hat gefolgert werden können) zu vereinigen, der sich ohne Zwang der Regeln21 mitteilen läßt. Vignette, um seinen Lehrling, den er in diesen Tempel zu führen bereit war, vorher mit dem heiligen Schauer zu erfüllen, der das Gemüt zu feierlicher Aufmerksamkeit stimmen soll.

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In una parola: l’idea estetica è una rappresentazione della forza di immaginazione associata a un concetto dato, la quale è collegata con una tale molteplicità di rappresentazioni parziali nel loro libero uso che non può venire trovata per quella idea alcuna espressione designante un concetto determinato, una rappresentazione che così permette di pensare, in aggiunta a un concetto, molto di indicibile, il cui sentimento vivifica le facoltà conoscitive e con il linguaggio, come semplice lettera, collega lo spirito. Così le forze dell’animo la cui unione (in un certo rappor- 198 to) costituisce il g e n i o sono forza di immaginazione e intelletto. Ma là, nell’uso della forza di immaginazione in vista della conoscenza, la forza di immaginazione è sottoposta alla costrizione dell’intelletto e alla limitazione di essere adeguata al suo concetto; nell’intento estetico, invece, la forza di immaginazio- 317 ne è libera per fornire, pur non ricercandolo, al di là di quella concordanza con il concetto, una materia ricca e non sviluppata all’intelletto, che nel suo concetto non prendeva in considerazione, ma che applica non tanto oggettivamente per la conoscenza quanto soggettivamente per vivificare le forze conoscitive, e dunque applica indirettamente, nonostante tutto, anche in funzione di conoscenze: così il genio consiste propriamente nel felice rapporto, che nessuna scienza può insegnare e che nessuna diligenza permette di acquisire, di rinvenire idee per un concetto dato e d’altra parte di ottenere per queste idee l’ e s p r e s s i o n e grazie alla quale la disposizione soggettiva dell’animo così suscitata, in quanto accompagna un concetto, possa essere comunicata ad altri. Quest’ultimo talento è propriamente ciò che si chiama spirito; infatti esprimere e rendere universalmente comunicabile ciò che c’è d’indicibile nello stato d’animo suscitato da una certa rappresentazione, sia che si tratti di espressione del linguaggio, della pittura o della plastica, richiede una facoltà in grado di afferrare prontamente il fugace e veloce gioco della forza di immaginazione e di unificarlo in un concetto che si può comunicare senza costrizione 199 di regole (un concetto che, proprio per questo motivo, è originale e dischiude nello stesso tempo una regola nuova che non si è potuta derivare da principi o da esempi precedenti). si accingeva a condurre in questo tempio, un brivido sacro che deve disporre l’animo a un’attenzione solenne82.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

* * * Wenn wir nach diesen Zergliederungen auf die oben gegebene Erklärung dessen, was man G e n i e nennt, zurücksehen, so finden wir: e r s t l i c h , daß es ein Talent zur Kunst sei, nicht zur Wissenschaft, in welcher deutlich gekannte Regeln vorangehen und das Verfahren in derselben bestimmen müssen; z w e i t e n s , daß es, als Kunsttalent, einen bestimmten Begriff von dem Produkte, als Zweck, mithin Verstand, aber auch eine (wenn gleich unbestimmte) Vorstellung von dem Stoff, d. i. der Anschauung, zur Darstellung dieses Begriffs, mithin ein Verhältnis der Einbildungskraft zum Verstande voraussetze; daß es sich d r i t t e n s nicht sowohl in der Ausführung des vorgesetzten Zwecks in Darstellung eines bestimmten B e g r i f f s , als vielmehr im Vortrage, oder dem Ausdrucke ä s t h e t i s c h e r I d e e n , welche zu jener Absicht reichen Stoff enthalten, zeige, mithin22 die Einbildungskraft, in ihrer Freiheit von aller Anleitung der Regeln, dennoch als zweckmäßig zur Darstellung des gegebenen Begriffs vorstellig mache; daß endlich v i e r t e n s 318 die ungesuchte unabsichtliche subjektive Zweckmäßig||keit in 200 der freien Übereinstimmung der Einbildungs|kraft zur Gesetzlichkeit des Verstandes eine solche Proportion und Stimmung dieser Vermögen voraussetze, als keine Befolgung von Regeln, es sei der Wissenschaft oder mechanischen Nachahmung, bewirken, sondern bloß die Natur des Subjekts hervorbringen kann. Nach diesen Voraussetzungen ist Genie: die musterhafte Originalität der Naturgabe eines Subjekts im f r e i e n Gebrauche seiner Erkenntnisvermögen. Auf solche Weise ist das Produkt eines Genies (nach demjenigen, was in demselben dem Genie, nicht der möglichen Erlernung oder der Schule, zuzuschreiben ist) ein Beispiel nicht der Nachahmung (denn da würde das, was daran Genie ist und den Geist des Werks ausmacht, verloren gehen23), sondern der Nachfolge für ein anderes Genie, welches dadurch zum Gefühl seiner eigenen Originalität aufgeweckt wird, Zwangsfreiheit von Regeln so in der Kunst auszuüben, daß diese dadurch selbst eine neue Regel bekommt, wodurch das Talent sich als musterhaft zeigt. Weil aber das Genie ein Günstling der Natur ist, dergleichen man nur als sel-

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 49

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* * * Se dopo queste analisi torniamo a considerare la definizione fornita in precedenza di ciò che si chiama g e n i o , ecco che troviamo, in primo luogo, che è un talento per l’arte, non per la scienza, nella quale regole conosciute distintamente devono precedere e determinare il suo procedere; in secondo luogo, in quanto talento artistico, il genio presuppone un concetto determinato del prodotto, come fine, e di conseguenza l’intelletto, ma anche una rappresentazione (sebbene indeterminata) della materia, cioè dell’intuizione, per l’esibizione di questo concetto, e dunque esige un rapporto della forza di immaginazione con l’intelletto; in ter zo luogo, il genio si rivela non tanto nell’esecuzione del fine proposto, nell’esibizione di un c o n c e t t o determinato, quanto piuttosto nell’esposizione o nell’espressione di i d e e e s t e t i c h e contenenti, per quell’intento, una ricca materia, e di conseguenza il genio rende rappresentabile la forza di immaginazione nella sua libertà da ogni direttiva imposta da regole e tuttavia come dotata di un fine in vista della esibizione del concetto dato; infine, in quarto luogo, la conformità soggettiva al fine, che non è ricercata e che non è intenzionale, 318 presuppone nel libero accordo della forza di immaginazione 200 alla legalità dell’intelletto una proporzione e una disposizione di queste facoltà, tali che nessuna osservanza di regole (sia della scienza sia della imitazione meccanica) può effettuare, ma che solo la natura del soggetto può produrre. In base a questi presupposti ecco cos’è il genio: l’originalità esemplare del dono naturale di un soggetto nel l i b e r o uso delle sue facoltà conoscitive. In tal modo il prodotto di un genio (per ciò che in esso deve essere attribuito al genio, e non al possibile apprendimento o alla scuola) è un esempio non dell’imitare (perché altrimenti vi andrebbe perduto ciò che deriva dal genio e che costituisce lo spirito dell’opera), bensì del seguire, da parte di un altro genio, il quale sarà così destato al sentimento della propria originalità di esercitare nell’arte una libertà dalla costrizione di regole, in modo tale che l’arte riceve per ciò stesso una nuova regola mediante la quale il talento si rivela come esemplare. Ma poiché il genio è un favorito dalla natura, e una cosa del genere va considerata

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

tene Erscheinung anzusehen hat: so bringt sein Beispiel für andere gute Köpfe eine Schule hervor, d. i. eine methodische Unterweisung nach Regeln, soweit man sie aus jenen Geistesprodukten und ihrer Eigentümlichkeit hat ziehen können: und für diese ist24 die schöne Kunst sofern Nachahmung, der die Natur durch ein Genie die Regel gab. | 201 Aber diese Nachahmung wird N a c h ä f f u n g , wenn der Schüler alles n a c h m a c h t , bis auf das, was das Genie als Mißgestalt nur hat zulassen müssen, weil es sich, ohne die Idee zu schwächen, nicht wohl wegschaffen ließ. Dieser Mut ist an einem Genie allein Verdienst; und eine gewisse K ü h n h e i t im Ausdrucke und überhaupt manche Abweichung von der gemeinen Regel steht demselben wohl an, ist aber keinesweges nachahmungswürdig, sondern bleibt immer an sich ein Fehler, den man wegzuschaffen suchen muß, für welchen aber25 das Genie gleichsam privilegiert ist, da das Unnachahmliche seines Geistesschwunges durch ängstliche Behutsamkeit leiden würde. Das M a n i e r i e r e n ist eine andere Art von Nachäffung, nämlich der bloßen E i g e n t ü m l i c h k e i t (Originalität) überhaupt, um sich ja von Nachahmern so weit als möglich zu entfernen, ohne doch das Talent zu besitzen, dabei zugleich m u s t e r h a f t zu sein. — Zwar gibt es zweierlei Art (modus) überhaupt der Zusammenstellung seiner Gedanken des Vortrages, deren die eine M a n i e r (modus aestheticus), die andere M e t h o d e (modus logicus) heißt, die sich darin von einander 319 unter||scheiden: daß die erstere kein anderes Richtmaß hat, als das G e f ü h l der Einheit in der Darstellung, die andere aber hierin bestimmte P r i n z i p i e n befolgt; für die schöne Kunst gilt also nur die erstere. Allein m a n i e r i e r t heißt ein Kunstprodukt nur alsdann, wenn der Vortrag seiner Idee in demsel202 ben | auf die Sonderbarkeit a n g e l e g t und nicht der Idee angemessen gemacht wird. Das Prangende (Preziöse), das Geschrobene und Affektierte, um sich nur vom Gemeinen (aber ohne Geist) zu unterscheiden, sind dem Benehmen desjenigen ähnlich, von dem man sagt, daß er sich sprechen höre, oder welcher26 steht und geht, als ob er auf einer Bühne wäre, um angegafft zu werden, welches jederzeit einen Stümper verrät.

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 49

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soltanto come un fenomeno raro, il suo esempio fa scuola per altre belle menti, cioè costituisce per esse un ammaestramento metodico secondo regole, per quanto è stato possibile trarle da quei prodotti del suo spirito e dalla loro peculiarità: e, in tale misura, per costoro l’arte bella è imitazione, alla quale la natura ha dato la regola mediante un genio. Ma questa imitazione diviene s c i m m i o t t a t u r a quan- 201 do lo scolaro c o p i a tutto, perfino ciò che, formalmente difettoso, il genio ha dovuto tollerare solo perché non era proprio possibile eliminarlo senza indebolire l’idea. Questo coraggio è un merito solo in un genio; e una certa a u d a c i a nell’espressione e in generale qualche deviazione dalla regola comune si addicono benissimo a lui, ma non è affatto cosa degna di essere imitata, e anzi rimane in sé sempre un difetto che si deve cercare di eliminare, sebbene proprio in questo il genio è, per così dire, privilegiato, poiché l’inimitabile che caratterizza lo slancio del suo spirito soffrirebbe per questa timorosa cautela. Il m a n i e r i s m o è un altro tipo di scimmiottatura, vale a dire quella della semplice p e c u l i a r i t à (originalità) in generale, per allontanarsi sì il più possibile dagli imitatori, senza possedere tuttavia il talento per essere in ciò nel contempo e s e m p l a r e . — È vero, ci sono in generale due modi (modus) di comporre i propri pensieri nell’esposizione, dei quali l’uno si chiama m a n i e r a (modus aestheticus), l’altro m e t o d o (modus logicus), i quali si distinguono l’uno dall’altro in questo: che il primo non ha altro 319 criterio di misura che il s e n t i m e n t o dell’unità nella esibizione, mentre l’altro segue in ciò p r i n c i p i determinati; per l’arte bella, dunque, vale soltanto il primo. Tuttavia un prodotto dell’arte si dice m a n i e r a t o solo se l’esposizione della sua idea m i r a alla stranezza e non è resa adeguata all’idea. 202 L’ostentazione (preziosismo), l’arzigogolo e l’affettazione che mirano soltanto a distinguersi dal comune (ma senza spirito), sono simili al comportamento di chi si dice che ascolti se stesso parlare o di chi sta in posa e si muove come se fosse su una scena per essere ammirato, cosa che rivela sempre uno sciocco.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 50 Von der Verbindung des Geschmacks mit Genie in Produkten der schönen Kunst Wenn die Frage ist, woran in Sachen der schönen Kunst mehr gelegen sei, ob daran, daß sich an ihnen Genie, oder ob, daß sich Geschmack zeige, so ist das eben so viel, als wenn gefragt würde, ob es darin mehr auf Einbildung, als auf Urteilskraft ankomme. Da nun eine Kunst in Ansehung des ersteren eher eine g e i s t r e i c h e , in Ansehung des zweiten aber allein eine s c h ö n e Kunst genannt zu werden verdient: so ist das letztere wenigstens als unumgängliche Bedingung (conditio sine qua non) das Vornehmste, worauf man in Beurteilung der Kunst als schöne Kunst zu sehen hat. Reich und original an Ideen zu sein, bedarf es nicht so notwendig zum Behuf der Schönheit, aber wohl der Angemessenheit1 jener Einbildungskraft in ihrer Freiheit zu der Gesetzmäßigkeit des Verstandes. Denn aller 203 Reichtum | der ersteren bringt in ihrer gesetzlosen Freiheit nichts als Unsinn hervor; die Urteilskraft ist hingegen2 das Vermögen, sie dem Verstande anzupassen. Der Geschmack ist, so wie die Urteilskraft überhaupt, die Disziplin (oder Zucht) des Genies, beschneidet diesem sehr die Flügel und macht es gesittet oder geschliffen; zugleich aber gibt er diesem eine Leitung, worüber und bis wie weit es3 sich verbreiten soll, um zweckmäßig zu bleiben; und, indem er Klarheit und Ordnung in die Gedankenfülle hineinbringt, macht4 er die Ideen haltbar, eines daurenden zugleich auch allgemeinen Beifalls, der Nachfolge anderer, und einer immer fortschreitenden Kultur, fähig. Wenn also im Widerstreite beiderlei Eigenschaften 320 an einem Produkte || etwas aufgeopfert werden soll, so müßte es eher auf der Seite des Genies geschehen: und die Urteilskraft, welche in Sachen der schönen Kunst aus eigenen Prinzipien den Ausspruch tut, wird eher der Freiheit und dem Reichtum der Einbildungskraft, als dem Verstande Abbruch zu tun erlauben. Zur schönen Kunst würden also Einbildungskraft, Ve r s t a n d , G e i s t und G e s c h m a c k erforderlich sein*. | * Die drei ersteren Vermögen bekommen durch das vierte allererst ihre Ve r e i n i g u n g . H u m e gibt in seiner Geschichte den Engländern zu verstehen, daß, obzwar sie in ihren Werken keinem Volke in der Welt in

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 50

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§ 50 DEL COLLEGAMENTO DEL GUSTO CON IL GENIO NEI PRODOTTI DELL’ARTE BELLA Quando si pone la domanda se, nelle cose dell’arte bella, sia più importante che vi si riveli genio oppure gusto, è esattamente lo stesso che se venisse chiesto se in essa conti di più l’immaginazione o la forza di giudizio. Ora, poiché un’arte, riguardo al genio, merita piuttosto di essere detta r i c c a d i s p i r i t o , ma b e l l a solo riguardo al gusto, è quest’ultimo che, almeno come condizione indispensabile (conditio sine qua non), è la cosa più importante a cui guardare nella valutazione dell’arte in quanto arte bella. Essere ricchi e originali nelle idee non è richiesto così necessariamente in funzione della bellezza, ma è piuttosto richiesta l’adeguatezza di quella forza di immaginazione nella sua libertà alla conformità dell’intelletto alla legge. Infatti tutta la ricchezza della prima non 203 produce, nella sua libertà senza leggi, null’altro che non senso; la forza di giudizio è invece la facoltà di adattarla all’intelletto. Il gusto, come la forza di giudizio in generale, è la disciplina (o l’educazione) del genio, al quale tarpa decisamente le ali, rendendolo costumato o forbito; eppure, nello stesso tempo, gli conferisce una direzione che gli indica in quale senso e fino a dove debba estendersi per restare dotato di un fine; e, introducendo chiarezza e ordine nella folla di pensieri, rende consistenti le idee e capaci di ottenere un’approvazione durevole e nel contempo universale, di essere seguite da altri e di far continuamente progredire la cultura. Se dunque, in caso di conflitto tra questi due tipi di qualità, deve essere sacrificato qualcosa in un prodotto, ciò dovrebbe accadere piuttosto 320 dal lato del genio: e la forza di giudizio, che nelle cose dell’arte bella emette il proprio verdetto a partire dai propri principi, permetterà che si pregiudichino la libertà e la ricchezza della forza di immaginazione piuttosto che l’intelletto. Per l’arte bella sono dunque richiesti f o r z a d i i m m a g i n a z i o n e , i n t e l l e t t o , s p i r i t o e g u s t o *. * Le prime tre facoltà conseguono la loro u n i o n e soltanto mediante la quarta. Nella sua Storia H u m e fa intendere agli inglesi che, sebbene nelle loro opere essi non siano inferiori in nulla ad alcun popolo del

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 51 Von der Einteilung der schönen Künste

Man kann überhaupt Schönheit (sie mag Natur- oder Kunstschönheit sein) den A u s d r u c k ästhetischer Ideen nennen: nur daß in der schönen Kunst diese Idee durch einen Begriff vom Objekt veranlaßt werden muß, in der schönen Natur aber die bloße Reflexion über eine gegebene Anschauung, ohne Begriff von dem was der Gegenstand sein soll, zur Erweckung und Mitteilung der Idee, von welcher1 jenes Objekt als der A u s d r u c k betrachtet wird, hinreichend ist. Wenn wir also die schönen Künste einteilen wollen: so können wir, wenigstens zum Versuche, kein bequemeres Prinzip dazu wählen, als die Analogie der Kunst mit der Art des Ausdrucks, dessen sich Menschen im Sprechen bedienen, um sich, so vollkommen als möglich ist, einander, d. i. nicht bloß ihren Begriffen, sondern auch Empfindungen nach, mitzuteilen*. — Dieser besteht in dem Wo r t e , der G e b ä r d u n g , 205 und dem | To n e (Artikulation, Gestikulation, und Modulation). Nur die Verbindung dieser drei Arten des Ausdrucks macht die vollständige Mitteilung des Sprechenden aus. Denn Gedanke, Anschauung und Empfindung werden dadurch zugleich und vereinigt auf den andern übergetragen2. Es gibt also nur dreierlei Arten schöner Künste: die r e 321 d e n d e , die || b i l d e n d e , und die Kunst d e s S p i e l s 3 d e r E m p f i n d u n g e n (als äußerer Sinneneindrücke). Man könnte diese Einteilung auch dichotomisch einrichten, so daß die schöne Kunst in die des Ausdrucks der Gedanken, oder der Anschauungen, und diese4 wiederum bloß nach ihrer Form, oder ihrer5 Materie (der Empfindung), eingeteilt würde. Allein sie würde alsdann zu abstrakt und nicht so angemessen den gemeinen Begriffen aussehen6. 205

Ansehung der | Beweistümer der drei ersteren Eigenschaften, a b g e s o n d e r t betrachtet, etwas nachgäben, sie doch in der, welche sie vereinigt, ihren Nachbaren, den Franzosen, nachstehen müßten. * Der Leser wird diesen Entwurf zu einer möglichen Einteilung der schönen Künste nicht als beabsichtigte Theorie beurteilen. Es ist nur einer von den mancherlei Versuchen, die man noch anstellen kann und soll.

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 51

§ 51 DELLA DIVISIONE DELLE BELLE ARTI

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Si può in generale chiamare bellezza (sia essa bellezza della natura o dell’arte) l’ e s p r e s s i o n e di idee estetiche: solo che, nell’arte bella, questa idea deve essere occasionata da un concetto dell’oggetto, mentre, nella natura bella, la semplice riflessione su una intuizione data, senza concetto di ciò che l’oggetto deve essere, è sufficiente per risvegliare e comunicare l’idea di cui quell’oggetto è considerato come l’ e s p r e s s i o n e . Se dunque vogliamo dividere le belle arti, non possiamo scegliere, almeno come tentativo, un principio più comodo di quello dell’analogia dell’arte con il modo d’espressione di cui si servono gli uomini nel parlare per comunicare l’uno con l’altro quanto più perfettamente è possibile, cioè non soltanto secondo i loro concetti, ma anche secondo le sensazioni*. — Tale espressione consiste nella p a r o l a , nel g e s t o e nel t o n o (articolazione, gesticolazione e modulazione). Solo il 205 collegamento di queste tre specie di espressione costituisce la comunicazione completa del parlante. Infatti, grazie a ciò, pensiero, intuizione e sensazione vengono contemporaneamente e congiuntamente trasmessi ad altri. Non ci sono, dunque, che tre specie di belle arti: l’arte v e r b a l e , l’arte f i g u r a t i v a e l’arte d e l g i o c o d e l l e 321 s e n s a z i o n i (in quanto impressioni esterne dei sensi). Tale divisione si potrebbe operare anche in modo dicotomico, cosicché l’arte bella verrebbe divisa nell’arte dell’espressione dei pensieri o in quella delle intuizioni, e questa, a sua volta e semplicemente, secondo la loro forma o la loro materia (la sensazione). Solo che allora una tale divisione apparirebbe troppo astratta e poco adeguata ai concetti comuni. mondo nel dar prova delle prime tre qualità considerate i s o l a t a m e n - 205 t e , essi dovrebbero tuttavia riconoscere la superiorità dei loro vicini, i francesi, in quella facoltà che unisce le altre tre83. * Il lettore non valuterà questo abbozzo di una possibile divisione delle belle arti come se si fosse inteso fare una teoria. È solo uno dei vari tentativi che si possono e si devono pur compiere.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

1) Die r e d e n d e n Künste sind B e r e d s a m k e i t und D i c h t k u n s t . B e r e d s a m k e i t ist die Kunst, ein Geschäft des Verstandes als ein freies Spiel der Einbildungskraft zu betreiben; D i c h t k u n s t , ein freies Spiel der Einbildungskraft als ein Geschäft des Verstandes auszuführen. D e r R e d n e r also kündigt ein Geschäft an und führt es so aus, als ob es bloß ein Spiel mit Ideen sei, um die Zuhörer7 zu unterhalten. Der D i c h t e r kündigt bloß ein unterhaltendes S p i e l mit Ideen an, und es kommt doch so viel für den Verstand heraus, als ob er bloß dessen Geschäft zu treiben die Ab206 sicht gehabt | hätte. Die Verbindung und Harmonie beider Erkenntnisvermögen, der Sinnlichkeit und des Verstandes, die einander zwar nicht entbehren können, aber8 doch auch ohne Zwang und wechselseitigen Abbruch sich9 nicht wohl vereinigen lassen, muß unabsichtlich zu sein, und sich von selbst so zu fügen scheinen; sonst ist es nicht s c h ö n e Kunst. Daher alles Gesuchte und Peinliche darin vermieden werden muß; denn schöne Kunst muß in doppelter Bedeutung freie Kunst sein: sowohl daß sie nicht, als Lohngeschäft, eine Arbeit sei, deren Größe sich nach einem bestimmten Maßstabe beurteilen, erzwingen oder bezahlen läßt; als auch10, daß das Gemüt sich zwar beschäftigt, aber dabei doch, ohne auf einen andern Zweck hinauszusehen (unabhängig vom Lohne), befriedigt und erweckt fühlt. Der Redner gibt also zwar etwas, was er nicht verspricht, nämlich ein unterhaltendes Spiel der Einbildungskraft; aber er bricht auch dem etwas ab, was er verspricht, und was doch sein angekündigtes Geschäft ist, nämlich den Verstand zweckmäßig zu beschäftigen. Der Dichter dagegen verspricht wenig und kündigt ein bloßes Spiel mit Ideen an, leistet aber etwas, was11 eines Geschäftes würdig ist, nämlich dem Verstande spielend Nahrung zu verschaffen, und seinen Begriffen durch Einbildungskraft Leben zu geben: mithin jener im Grunde weniger, dieser mehr, als er verspricht12. | 207 2) Die b i l d e n d e n Künste, oder die des Ausdrucks für Ideen in der S i n n e n a n s c h a u u n g (nicht durch Vorstellun322 gen der bloßen Ein||bildungskraft, die durch Worte aufgeregt werden) sind entweder die der S i n n e n w a h r h e i t oder des S i n n e n s c h e i n s . Die erste heißt die P l a s t i k , die zweite die

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 51

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1) Le arti v e r b a l i sono l’ o r a t o r i a e l’arte della p o e s i a . L’ o r a t o r i a è l’arte di trattare un compito dell’intelletto come un libero gioco della forza di immaginazione; l’arte della p o e s i a di condurre un libero gioco della forza di immaginazione come un compito dell’intelletto. L’ o r a t o r e annuncia così un compito e lo esegue come se fosse semplicemente un g i o c o con idee, per intrattenere gli uditori. Il p o e t a annuncia semplicemente un g i o c o con idee come intrattenimento e tuttavia se ne ricava così tanto per l’intelletto come se egli avesse avuto l’unico intento di sollecitarne il compito. Il collegamento e l’armonia di 206 entrambe le facoltà conoscitive, della sensibilità e dell’intelletto, che non possono certo fare a meno l’una dell’altra, ma che tuttavia non si lasciano nemmeno unire senza costrizione e reciproco danno, devono sembrare essere inintenzionali e comporsi da sé in quel modo: altrimenti non è arte b e l l a . Perciò deve esservi evitata ogni ricercatezza e pignoleria; infatti l’arte bella deve essere arte liberale in un duplice significato: sia in quanto non è equivalente a un’attività mercenaria, un lavoro la cui grandezza si lasci valutare, imporre o pagare secondo un criterio determinato; sia anche in quanto l’animo si sente certamente occupato, ma nel contempo, senza mirare a un altro fine (indipendentemente dal salario), pure appagato e risvegliato. L’oratore, dunque, dà certamente qualcosa che non promette, cioè un gioco della forza di immaginazione come intrattenimento; ma d’altro canto egli toglie anche qualcosa a ciò che promette e che costituisce del resto il compito da lui annunciato, cioè impegnare l’intelletto in modo conforme al fine. Il poeta, per contro, promette poco e annuncia un semplice gioco con idee, eppure adempie qualcosa che è degno di un compito, cioè procurare, giocando, alimento all’intelletto e dare vita ai suoi concetti mediante la forza di immaginazione: di conseguenza il primo dà in fondo meno, il secondo più di quel che promette. 2) Le arti f i g u r a t i v e , o arti dell’espressione di idee nel- 207 l’ i n t u i z i o n e s e n s i b i l e (non mediante rappresentazioni della semplice forza di immaginazione, che vengono suscitate 322 da parole), sono l’arte della v e r i t à d e i s e n s i o quella della p a r v e n z a d e i s e n s i . La prima si chiama p l a -

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

M a l e r e i . Beide machen Gestalten im Raume zum Ausdrucke für Ideen: jene macht Gestalten für zwei Sinne kennbar, dem Gesichte und Gefühl (obzwar dem letzteren nicht in Absicht auf Schönheit), diese nur für den erstern. Die ästhetische Idee (Archetypon, Urbild) liegt zu beiden in der Einbildungskraft zum Grunde; die Gestalt aber, welche13 den Ausdruck derselben ausmacht (Ektypon, Nachbild), wird entweder in ihrer körperlichen Ausdehnung (wie der Gegenstand selbst existiert) oder nach der Art, wie diese sich im Auge malt (nach ihrer Apparenz in einer Fläche), gegeben; oder, wenn14 auch das erstere ist, entweder die Beziehung auf einen wirklichen Zweck, oder nur der Anschein desselben, der Reflexion zur Bedingung gemacht. Zur P l a s t i k , als der ersten Art schöner bildender Künste, gehört die B i l d h a u e r k u n s t und B a u k u n s t . Die e r s t e ist diejenige, welche Begriffe von Dingen, so wie sie i n d e r N a t u r e x i s t i e r e n k ö n n t e n , körperlich darstellt (doch als schöne Kunst mit Rücksicht auf ästhetische Zweckmäßigkeit); die z w e i t e ist die Kunst, Begriffe von Dingen, die n u r 208 d u r c h K u n s t möglich sind, | und deren Form nicht die Natur, sondern einen willkürlichen Zweck zum Bestimmungsgrunde hat, zu dieser Absicht, doch auch zugleich ästhetischzweckmäßig, darzustellen. Bei der letzteren ist ein gewisser G e b r a u c h des künstlichen Gegenstandes die Hauptsache, worauf, als Bedingung, die ästhetischen Ideen eingeschränkt werden. Bei der ersteren ist der bloße A u s d r u c k ästhetischer Ideen die Hauptabsicht. So sind Bildsäulen von Menschen, Göttern, Tieren u. d. gl. von15 der erstern Art, aber Tempel, oder Prachtgebäude zum Behuf öffentlicher Versammlungen, oder auch Wohnungen, Ehrenbogen, Säulen, Kenotaphien u. d. gl., zum Ehrengedächtnis errichtet, zur Baukunst gehörig. Ja alle Hausgeräte16 (die Arbeit des Tischlers u. d. gl. Dinge zum Gebrauche) können dazu gezählt17 werden: weil die Angemessenheit des Produkts zu einem gewissen Gebrauche das Wesentliche eines B a u w e r k s ausmacht; dagegen18 ein bloßes B i l d w e r k , das lediglich zum Anschauen gemacht ist und für sich selbst gefallen soll, als körperliche Darstellung bloße Nachahmung der Natur ist, doch mit Rücksicht auf ästhetische Ideen: wobei denn die S i n n e n w a h r h e i t nicht so weit gehen

I,II. DEDUZIONE DEI GIUDIZI ESTETICI PURI, § 51

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s t i c a , la seconda p i t t u r a . Entrambe realizzano figure nello spazio per esprimere idee: la plastica fa figure riconoscibili da due sensi, la vista e il tatto (benché quest’ultimo con intento non rivolto alla bellezza), la pittura produce figure riconoscibili solo con la vista. L’idea estetica (archetypon, immagine, modello) sta a fondamento di entrambe nella forza di immaginazione: ma la figura che ne costituisce l’espressione (ektypon, immagine, copia) è data o nella sua estensione corporea (così come esiste l’oggetto stesso) oppure secondo il modo in cui questa estensione si riflette nell’occhio (a seconda di come appare su una superficie); oppure, anche quando si dà il primo caso, viene posto a condizione della riflessione il riferimento o a un fine reale o solo all’apparenza di tale fine. Alla p l a s t i c a , quale prima specie di belle arti figurative, appartengono la scultura e l’architet tura. La p r i m a è l’arte che esibisce corporeamente concetti di cose così come esse potrebbero esistere nella natura (tuttavia, in quanto arte bella, con riguardo alla conformità estetica al fine); la s e c o n d a è l’arte di esibire concetti di cose che sono possibili solo mediante l’arte e la cui forma ha 208 come principio di determinazione non la natura, bensì un fine arbitrario, e di esibirli con questo intento, ma al contempo anche in modo esteticamente dotato di un fine. In quest’ultima la cosa principale è un certo u s o dell’oggetto artistico, dal quale, come condizione, le idee estetiche vengono limitate. Nella prima l’intento principale è la semplice e s p r e s s i o n e di idee estetiche. Dunque le statue di uomini, dèi, animali ecc., appartengono alla prima specie; al contrario, templi, o palazzi maestosi destinati a riunioni pubbliche, o ancora abitazioni, archi di trionfo, colonne, cenotafi e altri monumenti commemorativi, fanno parte dell’architettura. Anzi, tutte le suppellettili domestiche (i lavori del falegname e simili cose d’uso) possono essere incluse in quest’arte, perché l’adeguatezza del prodotto a un certo uso costituisce l’essenziale di un’opera architettonica; per contro, una semplice o p e r a s c u l t o r e a , che è fatta solo per essere guardata e deve piacere per se stessa, è, in quanto esibizione corporea, una semplice imitazione della natura, pur avendo di mira idee estetiche; per questo la verità dei sensi non può spin-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

darf, daß es aufhöre, als Kunst und Produkt der Willkür zu erscheinen. Die M a l e r k u n s t , als die zweite Art bildender Künste, 323 welche den || S i n n e n s c h e i n künstlich mit Ideen verbunden darstellt, würde ich in die der schönen S c h i l d e r u n g der 209 N a t u r, und in die der schönen Z u s a m | m e n s t e l l u n g ihrer P r o d u k t e einteilen. Die erste wäre die e i g e n t l i c h e M a l e r e i , die zweite die L u s t g ä r t n e r e i . Denn die erste gibt nur den Schein der körperlichen Ausdehnung; die zweite zwar diese nach der Wahrheit, aber nur den Schein von Benutzung und Gebrauch zu19 anderen Zwecken, als bloß für das Spiel der Einbildung in Beschauung ihrer Formen*. Die letztere ist nichts anders, als die Schmückung des Bodens mit derselben Mannigfaltigkeit (Gräsern, Blumen, Sträuchen und Bäumen, selbst Gewässern, Hügeln und Tälern), womit ihn die Natur dem Anschauen darstellt, nur anders, und angemessen gewissen Ideen, 210 zu|sammengestellt. Die schöne Zusammenstellung aber körperlicher Dinge ist auch nur für das Auge gegeben, wie die Malerei; der Sinn22 des Gefühls aber23 kann keine anschauliche Vorstellung von einer solchen Form verschaffen. Zu der Malerei im weiten Sinne würde ich noch die Verzierung der Zimmer durch Tapeten, Aufsätze und alles schöne Ameublement, welches bloß zur A n s i c h t dient, zählen; imgleichen die Kunst der Kleidung nach Geschmack (Ringe, Dosen24, u.s.w.). Denn ein Parterre von allerlei Blumen, ein Zimmer mit allerlei Zieraten (selbst den Putz der Damen darunter begriffen) machen an einem Pracht* Daß die Lustgärtnerei als eine Art von Malerkunst betrachtet werden könne, ob sie zwar ihre Formen körperlich darstellt, scheint befremdlich; da sie aber ihre Formen wirklich aus der Natur nimmt (die Bäume, Gesträuche, Gräser und Blumen aus Wald und Feld, wenigstens uranfänglich), und sofern nicht, etwa wie die Plastik, Kunst ist, auch keinen Begriff von dem Gegenstande und seinem Zwecke (wie etwa die Baukunst) zur Bedingung ihrer Zusammenstellung hat, sondern bloß das freie Spiel der Einbildungskraft in der Beschauung: so kommt sie mit der bloß ästhetischen Malerei, die kein bestimmtes Thema hat (Luft, Land und Wasser durch Licht und Schatten unterhaltend zusammen steht), sofern überein. — Überhaupt wird der Leser dieses nur als einen Versuch, die Verbindung20 der schönen Künste unter einem Prinzip, welches diesmal das des Ausdrucks ästhetischer Ideen (nach der Analogie21 einer Sprache) sein soll, beurteilen, und nicht als für entschieden gehaltene Ableitung derselben ansehen.

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gersi fino al punto che essa cessi di apparire come arte e prodotto dell’arbitrio. L’ a r t e p i t t o r i c a che esibisce, come seconda specie delle arti figurative, la p a r v e n z a s e n s i b i l e artisticamen- 323 te collegata con idee la dividerei in arte della bella r a f f i g u r a z i o n e della n a t u r a e in arte della bella c o m p o s i z i o - 209 n e dei suoi p r o d o t t i . La prima sarebbe la p i t t u r a p r o p r i a m e n t e d e t t a , la seconda l’ a r t e d e i g i a r d i n i . Infatti la prima dà solo la parvenza dell’estensione corporea; la seconda dà certamente questa estensione, ma fornisce soltanto la parvenza dell’utilizzazione e dell’uso per fini diversi da quelli del semplice gioco dell’immaginazione nella visione delle sue forme*. L’arte dei giardini non è altro che l’ornamento del suolo con la stessa varietà di cose (prati, fiori, cespugli e alberi, perfino corsi d’acqua, colline e valli) con cui la natura lo esibisce allo sguardo, solo coordinata in modo diverso e adeguato a certe idee. Ma la bella composizione di 210 cose corporee è fatta anch’essa però solo per l’occhio, come la pittura; il senso del tatto, invece, non può fornire alcuna rappresentazione intuitiva di una tale forma. Nella pittura in senso ampio farei rientrare ancora la decorazione delle stanze con tappezzerie, guarnizioni e ogni bell’arredo che serve soltanto alla v i s t a , come pure l’arte dell’abbigliarsi con gusto (anelli, tabacchiere ecc.). Infatti un parterre con fiori di ogni tipo, una stanza con ogni specie di ornamenti (con inclusa perfino l’acconciatura delle donne) costituiscono, in occasio* Sembra strano che l’arte dei giardini possa venire considerata come una specie di arte pittorica nonostante esibisca le proprie forme in modo corporeo; ma poiché essa prende effettivamente le sue forme dalla natura (alberi, cespugli, prati e fiori di foresta e di campo, almeno inizialmente) e per quanto non sia un’arte come invece lo è la plastica, non ha nemmeno per condizione della sua composizione un concetto dell’oggetto e del suo fine (come è il caso dell’architettura), ma unicamente il libero gioco della forza di immaginazione nella visione; in tal senso si accorda con la pittura semplicemente estetica che non ha alcun tema determinato (e che compone per intrattenimento aria, terra e acqua grazie a luce e ombra). — In generale, il lettore considererà questo solo come un tentativo di valutare il collegamento delle belle arti sotto un principio, che questa volta deve essere quello dell’espressione di idee estetiche (secondo l’analogia con un linguaggio), e non lo considererà come una derivazione delle belle arti ritenuta decisiva.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

feste eine Art von Gemälde aus, welches, so wie die eigentlich sogenannten (die nicht etwa Geschichte, oder Naturkenntnis zu l e h r e n die Absicht haben), bloß zum Ansehen da ist, um25 die Einbildungskraft im freien Spiele mit Ideen zu unterhalten, und ohne bestimmten Zweck die ästhetische Urteilskraft zu26 beschäftigen. Das Machwerk an allem diesen Schmucke mag im324 mer, mechanisch, sehr unterschie||den sein, und ganz verschiedene Künstler erfordern: das Geschmacksurteil ist doch über27 das, was in dieser Kunst schön ist, sofern auf einerlei Art bestimmt: nämlich nur die Formen (ohne Rücksicht auf einen Zweck) so, wie sie sich dem Auge darbieten, einzeln oder in ihrer Zusammensetzung, nach der Wirkung, die sie auf die Einbildungskraft tun, zu beurteilen. — Wie aber bildende Kunst zur 211 Gebärdung in einer Sprache (der Analogie nach) | gezählt werden könne, wird dadurch gerechtfertigt, daß der Geist des Künstlers durch diese Gestalten von dem, was und wie er gedacht hat, einen körperlichen Ausdruck gibt, und die Sache selbst gleichsam mimisch sprechen macht: ein sehr gewöhnliches Spiel unserer Phantasie, welche leblosen Dingen, ihrer Form gemäß, einen Geist unterlegt, der aus ihnen spricht. 3) Die Kunst des s c h ö n e n S p i e l s d e r E m p f i n d u n g e n (die von außen erzeugt werden und das sich gleichwohl doch muß allgemein mitteilen lassen)28, kann nichts anders als29 die Proportion der verschiedenen Grade der Stimmung (Spannung) des Sinns, dem die Empfindung angehört, d. i. den Ton desselben, betreffen; und in dieser weitläuftigen Bedeutung des Worts kann sie in das künstliche Spiel der Empfindungen30 des Gehörs und der des Gesichts, mithin in M u s i k und F a r b e n k u n s t , eingeteilt werden. — Es ist merkwürdig: daß diese zwei Sinne, außer der Empfänglichkeit für Eindrücke, so viel davon erforderlich ist, um von äußern Gegenständen, vermittelst ihrer, Begriffe zu bekommen, noch einer besondern damit verbundenen Empfindung fähig sind, von welcher man nicht recht ausmachen kann, ob sie den Sinn, oder die Reflexion zum Grunde habe; und daß diese Affektibilität doch bisweilen mangeln kann, obgleich der Sinn übrigens, was seinen Gebrauch zum Erkenntnis der Objekte betrifft, gar nicht mangelhaft, son-

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ne di una splendida festa, una specie di quadro che, al modo dei quadri propriamenti detti (i quali non hanno come intento di i n s e g n a r e per esempio la storia o la scienza naturale), sta lì semplicemente per essere guardato e per intrattenere la forza di immaginazione nel libero gioco con idee e per occupare senza un fine determinato la forza estetica di giudizio. La fabbricazione, per tutti questi ornamenti, può anche essere molto diversa da un punto di vista meccanico e richiedere 324 artisti del tutto diversi; ma il giudizio di gusto su ciò che è bello in questa arte è determinato comunque in modo univoco: nel valutare solo le forme (senza considerare un fine) così come esse si offrono all’occhio, singolarmente o nella loro composizione, secondo l’effetto che fanno sulla forza di immaginazione. — Ma il modo in cui l’arte figurativa può essere ricondotta (per analogia) alla gestualità operante in un lin- 211 guaggio viene giustificato dal fatto che lo spirito dell’artista, attraverso queste figure, dà un’espressione corporea a ciò che ha pensato e al modo in cui l’ha pensato, e fa per così dire parlare mimicamente la cosa stessa: è questo un gioco molto comune della nostra fantasia che attribuisce a cose inanimate, secondo la loro forma, uno spirito che parla attraverso di esse. 3) L’arte del b e l g i o c o d e l l e s e n s a z i o n i (le quali sono generate dall’esterno, e tale gioco deve nondimeno potersi comunicare universalmente) non può concernere nient’altro che la proporzione dei diversi gradi della intonazione (tensione) del senso a cui appartiene la sensazione, cioè il tono del senso stesso; e in questo ampio significato della parola tale arte può essere divisa nel gioco prodotto ad arte delle sensazioni dell’udito e in quello delle sensazioni della vista, di conseguenza in m u s i c a e a r t e d e i c o l o r i . — È notevole che questi due sensi, al di là della loro ricettività nei confronti delle impressioni, per quel tanto che questa è richiesta per acquisire, tramite loro, concetti di oggetti esterni, siano inoltre capaci di una sensazione particolare collegata con essa e di cui non si può determinare veramente se tale sensazione abbia a fondamento il senso o la riflessione; ugualmente è notevole che questa capacità di essere affetti possa tuttavia talvolta mancare, benché d’altra parte il senso non sia affatto difettoso per quel che riguarda il suo uso per la conoscenza degli oggetti, ma che anzi possieda una particolare 212

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212 dern wohl gar vorzüg lich fein ist. Das heißt, man kann nicht

mit Gewißheit sagen: ob eine Farbe oder ein Ton (Klang) bloß angenehme Empfindungen, oder an sich schon ein schönes Spiel von Empfindungen sei31, und als ein solches ein Wohlgefallen an der Form in der ästhetischen Beurteilung bei sich führe32. Wenn man die Schnelligkeit der Licht- oder, in der zweiten Art, der Luftbebungen, die alles unser Vermögen, die Proportion der Zeiteinteilung durch dieselben33 unmittelbar bei der Wahrnehmung zu beurteilen, wahrscheinlicherweise bei weitem übertrifft, bedenkt: so sollte man glauben, nur die W i r k u n g dieser Zitterungen auf die elastischen Teile unsers Körpers werde empfunden, die Z e i t e i n t e i l u n g durch die325 selben34 aber nicht bemerkt und || in Beurteilung gezogen, mithin mit Farben und Tönen nur Annehmlichkeit, nicht Schönheit ihrer Komposition, verbunden. Bedenkt man aber dagegen e r s t l i c h das Mathematische, welches sich über die Proportion dieser Schwingungen in der Musik und ihre Beurteilung sagen läßt, und beurteilt die Farbenabstechung, wie billig, nach der Analogie mit der letztern; zieht man z w e i t e n s die35, obzwar seltenen Beispiele von Menschen, die mit dem besten Gesichte von der Welt nicht haben Farben, und mit dem schärfsten Gehöre nicht Töne unterscheiden können, zu Rat36, imgleichen für die, welche37 dieses können, die Wahrnehmung einer veränderten Qualität (nicht bloß des Grades der Empfindung) 213 bei den verschiedenen Anspannungen | auf der Farben- oder Tonleiter, imgleichen38 daß die Zahl derselben für b e g r e i f l i c h e Unterschiede bestimmt ist: so möchte man sich genötigt sehen, die Empfindungen von beiden nicht als bloßen Sinneneindruck, sondern als die Wirkung einer Beurteilung der Form im Spiele vieler Empfindungen anzusehen. Der Unterschied, den die eine oder die andere Meinung in der Beurteilung des Grundes der Musik gibt, würde aber nur die Definition dahin verändern, daß man sie entweder, wie wir getan haben, für das s c h ö n e Spiel der Empfindungen (durch das Gehör), oder a n g e n e h m e r Empfindungen, erklärte39. Nur nach der erstern Erklärungsart wird Musik gänzlich als s c h ö n e , nach der zweiten aber als a n g e n e h m e Kunst (wenigstens zum Teil) vorgestellt werden.

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finezza. Ciò significa che non si può dire con certezza se un colore o un tono (come suono) siano semplicemente sensazioni gradevoli oppure siano già in se stesse un bel gioco di sensazioni, e se, in quanto tale, questo comporti in sé un compiacimento per la forma nella valutazione estetica. Se si pensa alla velocità84 delle ondulazioni della luce o, nel secondo caso, di quelle dell’aria, che verosimilmente supera di molto ogni nostra capacità di valutare immediatamente, nella percezione, la proporzione della divisione del tempo operata da quelle ondulazioni, si dovrebbe credere che venga sentito solo l’ e f f e t t o di queste oscillazioni sulle parti elastiche del nostro corpo ma che non sia avvertita né valutata la d i v i s i o n e d e l t e m p o operata da esse nella valutazione, e che quindi ai colori e ai 325 toni venga associata soltanto la gradevolezza e non la bellezza della loro composizione. Tuttavia se al contrario si pensa i n p r i m o l u o g o a ciò che si può dire di matematico sulla proporzione di queste vibrazioni nella musica e sulla loro valutazione, e se si valuta il contrasto dei colori, come conviene, in analogia con quella proporzione; se, i n s e c o n d o l u o g o si tiene conto degli esempi85, per quanto rari, di uomini che, dotati della migliore vista del mondo, non riuscivano a distinguere i colori e, possedendo l’udito più acuto, non riuscivano a distinguere i toni, e così pure si tiene conto del fatto che, per coloro che sono in grado di coglierla, è ben determinata la percezione di un mutamento qualitativo (non semplicemente del grado della sensazione) tra le diverse intensità ritratte sulla 213 scala dei colori o dei toni, come pure è anche determinato il numero di questi mutamenti qualitativi se le differenze devono essere c o g l i b i l i ; ecco che si potrebbe allora vedersi costretti a considerare le sensazioni di colori e toni non quali semplici impressioni sensibili, ma come l’effetto di una valutazione della forma nel gioco di molte sensazioni. La differenza data dall’una o dall’altra opinione nella valutazione riguardante il fondamento della musica ne cambierebbe però la definizione soltanto nella misura in cui la si ritenesse o, come noi abbiamo fatto, quale b e l gioco delle sensazioni (mediante l’udito) oppure quale gioco di sensazioni g r a d e v o l i . Solo in base al primo tipo di definizione la musica sarà rappresentata interamente come arte b e l l a , mentre, in base al secondo tipo di definizione, apparirà (almeno in parte) come arte g r a d e v o l e .

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 52 Von der Verbindung der schönen Künste in einem und demselben Produkte Die Beredsamkeit kann mit einer malerischen Darstellung ihrer Subjekte sowohl, als Gegenstände, in einem S c h a u s p i e l e ; die Poesie mit Musik, im G e s a n g e ; dieser aber zugleich mit malerischer (theatralischer) Darstellung, in einer O p e r ; das Spiel der Empfindungen in einer Musik mit dem Spiele der Gestalten, im Ta n z u.s.w. verbunden werden. Auch kann die Darstellung des Erhabenen, sofern sie zur schönen Kunst gehört, in einem g e r e i m t e n Tr a u e r s p i e l e , einem | 214 L e h r g e d i c h t e , einem O r a t o r i u m sich mit der Schönheit vereinigen; und in diesen Verbindungen ist die schöne Kunst noch künstlicher: ob aber auch schöner (da sich so mannigfaltige verschiedene Arten des Wohlgefallens einander durchkreuzen), kann in einigen dieser Fälle bezweifelt werden. Doch in 326 aller schönen || Kunst besteht das Wesentliche in der Form, welche für die Beobachtung und Beurteilung zweckmäßig ist, wo die Lust zugleich Kultur ist und den Geist zu Ideen stimmt, mithin ihn mehrerer solcher Lust und Unterhaltung empfänglich macht; nicht in der Materie der Empfindung (dem Reize oder der Rührung), wo es bloß auf Genuß angelegt ist, welcher nichts in der Idee zurückläßt, den Geist stumpf, den Gegenstand nach und nach1 anekelnd, und das Gemüt, durch das Bewußtsein seiner im Urteile der Vernunft zweckwidrigen Stimmung, mit sich selbst unzufrieden und launisch macht. Wenn die schönen Künste nicht, nahe oder fern, mit moralischen Ideen in Verbindung gebracht werden, die allein ein selbständiges Wohlgefallen bei sich führen, so ist das letztere ihr endliches Schicksal. Sie dienen alsdann nur zur Zerstreuung, deren man immer desto mehr bedürftig wird, als man sich ihrer bedient, um die Unzufriedenheit des Gemüts mit sich selbst dadurch zu vertreiben, daß man sich immer noch unnützlicher und mit sich selbst unzufriedener macht. Überhaupt sind die 215 Schönheiten der Natur zu der ersteren Absicht am zu|träglichsten, wenn man früh dazu gewöhnt wird, sie zu beobachten, zu beurteilen, und zu bewundern.

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§ 52 DEL COLLEGAMENTO DELLE BELLE ARTI IN UN SOLO E UNICO PRODOTTO

L’oratoria può essere collegata con una esibizione pittorica dei suoi soggetti, come pure dei suoi oggetti, in uno s p e t t a c o l o t e a t r a l e ; la poesia può essere collegata con la musica nel c a n t o , mentre questo può essere nel contempo collegato con una esibizione pittorica (teatrale) in un’ o p e r a lirica; il gioco delle sensazioni in una musica con il gioco delle figure nella d a n z a , ecc. Anche l’esibizione del sublime, nella misura in cui essa compete all’arte bella, può unirsi con la bellezza in una t r a g e d i a i n v e r s i , in un p o e m a 214 d i d a s c a l i c o , in un o r a t o r i o ; e in questi collegamenti l’arte bella è ancora più artistica; se poi, però, sia anche più bella (dato che si intersecano tra loro specie di compiacimento così molteplici e diverse), in alcuni di questi casi può essere messo in dubbio. Tuttavia in ogni arte bella l’essenziale 326 consiste nella forma, che è conforme al fine per l’osservazione e la valutazione, e in cui il piacere è ad un tempo cultura e dispone lo spirito alle idee, rendendolo quindi ricettivo a parecchi di tali piaceri e intrattenimenti; l’essenziale non risiede nella materia della sensazione (nell’attrattiva o nell’emozione) in cui importa semplicemente il godimento, il quale non lascia nulla nell’idea, ottunde lo spirito, a poco a poco genera disgusto per l’oggetto e rende l’animo, cosciente com’è nel giudizio della ragione della sua disposizione contraria a ogni fine, insoddisfatto di se stesso e volubile. Questo è proprio il loro destino finale, se le belle arti non sono messe in collegamento, da vicino o da lontano, con idee morali, che sole comportano un compiacimento autonomo. Allora esse servono solo alla distrazione di cui si ha sempre tanto più bisogno quanto più ci si serve di esse per dissipare la scontentezza che l’animo prova per se stesso, per il fatto che ci si rende così sempre più inutili e scontenti di se stessi. In generale sono le bellezze della natura le più confacenti a 215 quel primo intento, se ci si è abituati precocemente a osservarle, valutarle e ammirarle.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 53 Vergleichung des ästhetischen Werts der schönen Künste untereinander Unter allen behauptet die D i c h t k u n s t (die fast gänzlich dem Genie ihren Ursprung verdankt, und am wenigsten durch Vorschrift, oder durch Beispiele geleitet sein will) den obersten Rang. Sie erweitert das Gemüt dadurch, daß sie die Einbildungskraft in Freiheit setzt und innerhalb den Schranken eines gegebenen Begriffs, unter der unbegrenzten Mannigfaltigkeit möglicher damit zusammenstimmender Formen, diejenige darbietet, welche die Darstellung desselben mit einer Gedankenfülle verknüpft, der kein Sprachausdruck völlig adäquat ist, und sich also ästhetisch zu Ideen erhebt. Sie stärkt das Gemüt, indem sie es sein freies, selbsttätiges und von der Naturbestimmung unabhängiges Vermögen fühlen läßt, die Natur, als Erscheinung, nach Ansichten zu betrachten und zu beurteilen, die sie nicht von selbst, weder für den Sinn noch den Verstand in der Erfahrung darbietet, und sie also zum Behuf und gleichsam zum 327 Schema des Übersinnlichen zu gebrauchen. Sie spielt mit || dem Schein, den sie nach Belieben bewirkt, ohne doch dadurch zu betrügen; denn sie erklärt ihre Beschäftigung selbst für bloßes 216 Spiel, welches | gleichwohl vom Verstande und zu dessen Geschäfte zweckmäßig gebraucht werden kann. — Die Beredsamkeit, sofern darunter die Kunst zu überreden, d. i. durch den schönen Schein zu hintergehen (als ars oratoria), und nicht bloße Wohlredenheit (Eloquenz und Stil) verstanden wird, ist eine Dialektik, die von der Dichtkunst nur so viel entlehnt, als nötig ist, die Gemüter, vor der Beurteilung, für den Redner zu dessen1 Vorteil zu gewinnen, und dieser die Freiheit zu benehmen; kann also weder für die Gerichtsschranken, noch für die Kanzeln angeraten werden. Denn wenn es um bürgerliche Gesetze, um das Recht einzelner Personen, oder2 um dauerhafte Belehrung und Bestimmung der Gemüter zur richtigen Kenntnis und gewissenhaften Beobachtung ihrer Pflicht, zu tun ist: so ist es unter der Würde eines so wichtigen Geschäftes, auch nur eine Spur von Üppigkeit des Witzes und der Einbildungskraft, noch mehr aber von der Kunst, zu überreden und zu irgend jemandes Vorteil3 einzunehmen, blicken zu lassen. Denn, wenn sie gleich

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§ 53 COMPARAZIONE DEL VALORE ESTETICO RISPETTIVO DELLE BELLE ARTI

Tra tutte, l’arte della p o e s i a rivendica il posto più alto (che deve la propria origine quasi interamente al genio ed è quella che meno di tutte si lascia guidare da prescrizioni o esempi)86. Essa estende l’animo mettendo in libertà la forza di immaginazione ed entro i confini di un concetto dato, tra l’illimitata molteplicità di forme possibili che vi si armonizzano, offre quella forma che connette l’esibizione del concetto con un’abbondanza di pensieri alla quale nessuna espressione linguistica è pienamente adeguata, e si eleva così esteticamente a idee. Essa fortifica l’animo facendogli sentire che ha la capacità libera, spontanea e indipendente dalla determinazione della natura, di considerare e di valutare la natura in quanto fenomeno secondo prospettive che essa non offre da sé nell’esperienza, né per il senso né per l’intelletto, e di servirsene così in vista del soprasensibile e, per così dire, come suo schema. La poesia gioca con la parvenza che produce a suo 327 piacimento, senza tuttavia per questo ingannare; infatti essa dichiara la sua stessa attività come un semplice gioco che può anche essere utilizzato dall’intelletto e adoperato in modo 216 conforme al fine per i suoi compiti. — L’oratoria, intesa come arte di persuadere, cioè di raggirare con la bella parvenza (in quanto ars oratoria), e non il semplice buon eloquio (eloquenza e stile), è una dialettica che prende a prestito dall’arte della poesia solo quanto è necessario per guadagnare gli animi, prima della valutazione, a vantaggio dell'oratore e per togliere loro la libertà; dunque non può essere consigliata né per le sbarre dei tribunali né per i pulpiti. Infatti, quando si tratta di leggi civili, del diritto di singole persone o di ammaestrare e indirizzare durevolmente gli animi alla retta conoscenza e all’osservanza coscienziosa del loro dovere, è allora inferiore alla dignità di un compito così importante lasciar intravedere anche solo una traccia di esuberanza dell’ingegno o della forza di immaginazione, ma ancor più dell’arte di persuadere e di avvincere a beneficio di qualcuno. Infatti l’oratoria, pur potendo talvolta essere applicata a intenti in se stessi

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bisweilen zu an sich rechtmäßigen und lobenswürdigen Absichten angewandt werden kann, so wird sie doch dadurch verwerflich, daß4 auf diese Art die Maximen und Gesinnungen subjektiv verderbt werden, wenn gleich die Tat objektiv gesetzmäßig ist: indem es nicht genug ist, das, was Recht ist, zu tun, sondern es auch aus dem Grunde allein, weil es Recht ist5, auszuüben. Auch 217 hat der bloße deutliche Begriff dieser Arten von | menschlicher Angelegenheit, mit einer lebhaften Darstellung in Beispielen verbunden, und ohne Verstoß wider die Regeln des Wohllauts der Sprache, oder der Wohlanständigkeit des Ausdrucks, für Ideen der Vernunft (die zusammen die Wohlredenheit ausmachen6) schon an sich7 hinreichenden Einfluß auf menschliche Gemüter, als daß8 es nötig wäre, noch die Maschinen der Überredung hiebei anzulegen; welche, da sie eben sowohl auch zur Beschönigung oder Verdeckung des Lasters und Irrtums gebraucht werden können, den geheimen Verdacht wegen einer künstlichen Überlistung nicht ganz vertilgen können. In der Dichtkunst geht alles ehrlich und aufrichtig zu. Sie erklärt sich: ein bloßes unterhaltendes Spiel mit der Einbildungskraft, und zwar der Form nach, einstimmig mit Verstandesgesetzen treiben zu wollen; und verlangt nicht, den Verstand durch sinnliche Darstellung zu überschleichen und zu verstricken*. | || * Ich muß gestehen: daß ein schönes Gedicht mir immer ein reines Vergnügen gemacht hat, anstatt daß die Lesung der besten Rede eines 328 römischen Volks- || oder jetzigen Parlaments- oder Kanzelredners jederzeit mit dem unangenehmen Gefühl der Mißbilligung einer hinterlistigen Kunst vermengt war, welche die9 Menschen als Maschinen in wichtigen Dingen zu einem Urteile zu bewegen versteht, das im10 ruhigen Nachdenken alles Gewicht bei ihnen verlieren muß. Beredtheit und Wohlredenheit (zusammen Rhetorik) gehören zur schönen Kunst; aber Rednerkunst (ars oratoria) ist, als Kunst, sich der Schwächen der Menschen zu seinen Absichten zu 218 bedienen (diese mögen immer so gut gemeint, | oder auch wirklich gut sein, als sie wollen), gar keiner A c h t u n g würdig. Auch erhob sie sich nur, sowohl in Athen als in Rom, zur höchsten Stufe zu einer Zeit, da der Staat seinem Verderben zueilte und wahre patriotische Denkungsart erloschen war. Wer, bei klarer Einsicht in Sachen, die Sprache nach deren Reichtum11 und Reinigkeit in seiner Gewalt hat, und, bei einer fruchtbaren zur Darstellung seiner Ideen tüchtigen Einbildungskraft, lebhaften Herzensanteil am wahren Guten nimmt, ist der vir bonus dicendi peritus, der Redner ohne Kunst, aber voll Nachdruck, wie ihn C i c e r o haben will, ohne doch diesem Ideal selbst immer treu geblieben zu sein.

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legittimi e lodevoli, diviene tuttavia riprovevole per il fatto che in questo modo massime e intenzioni vengono soggettivamente corrotte pur restando l’azione oggettivamente conforme alla legge: perché non basta fare ciò che è giusto, ma bisogna anche praticarlo per il solo motivo che è il giusto. Inoltre, il semplice concetto distinto di queste specie di faccende umane, collegato con una vivida esibizione in esempi ed evi- 217 tando di urtare le regole dell’eufonia del linguaggio o della convenienza dell’espressione per le idee della ragione (che nel loro insieme costituiscono il buon eloquio), ha già in sé un influsso sufficiente sugli animi umani perché non sia ancora necessario ricorrere alle macchine della persuasione, le quali, poiché possono essere utilizzate altrettanto bene anche per abbellire o per coprire il vizio e l’errore, non possono estirpare del tutto il segreto sospetto di un raggiro provocato ad arte. Nell’arte della poesia tutto si svolge con lealtà e sincerità. Essa dichiara di voler praticare un semplice gioco d’intrattenimento con la forza di immaginazione e concordemente, per la precisione secondo la forma, con le leggi dell’intelletto; ed essa non pretende di insinuarsi nell’intelletto e di irretirlo con una esibizione sensibile*. * Devo confessare che una bella poesia mi ha sempre procurato un puro soddisfacimento, mentre la lettura dei migliori discorsi di un oratore del popolo romano, o pronunciati oggi in parlamento o da un pulpi- 328 to, era per me sempre congiunta con lo sgradevole sentimento di disapprovazione per un’arte subdola che intende, in cose importanti, muovere gli uomini, come se fossero macchine, a un giudizio che, se riflettessero con calma, deve perdere in loro ogni peso87. L’eloquenza e il buon eloquio (che insieme formano la retorica) appartengono all’arte bella; ma l’arte oratoria (ars oratoria) in quanto arte di servirsi per i propri intenti (siano questi concepiti a fin di bene o anche effettivamente buoni 218 quanto si voglia) delle debolezze degli uomini, non è degna di alcun r i s p e t t o . Inoltre tale arte si elevò al massimo grado, sia ad Atene sia a Roma, solo in un tempo in cui lo Stato correva incontro alla rovina e si era estinto un modo di pensare veramente patriottico. Colui che, avendo un chiaro discernimento delle cose, ha in suo potere il linguaggio nella sua ricchezza e purezza e, con una fertile forza di immaginazione in grado di esibire le proprie idee, si prende vivamente a cuore il vero bene è il vir bonus dicendi peritus, l’oratore senza arte, ma ricco di vigore espressivo, come lo vuole Cicerone, senza che tuttavia sia rimasto egli stesso sempre fedele a questo ideale88.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Nach der Dichtkunst würde ich, w e n n e s u m R e i z 12 u n d B e w e g u n g d e s G e m ü t s z u t u n i s t , diejenige, welche ihr unter den redenden am nächsten kommt und sich damit auch sehr natürlich vereinigen läßt, nämlich die To n k u n s t , setzen. Denn, ob sie zwar durch lauter Empfindungen ohne Begriffe spricht, mithin nicht, wie die Poesie, etwas zum Nachdenken übrig bleiben läßt, so bewegt sie doch das Gemüt mannigfaltiger, und, obgleich bloß vorübergehend, doch inniglicher; ist aber freilich mehr Genuß als Kultur (das Gedankenspiel, was13 nebenbei dadurch erregt wird, ist bloß die Wirkung einer gleichsam mechanischen Assoziation); und hat, durch Vernunft beurteilt, weniger Wert, als jede andere der schönen Künste. Daher verlangt sie, wie jeder Genuß, öftern Wechsel, und hält die mehrmalige Wiederholung nicht aus, ohne Über219 druß zu erzeugen. Der Reiz derselben, der sich so allge|mein mitteilen läßt, scheint darauf zu beruhen: daß jeder Ausdruck der Sprache im Zusammenhange einen Ton hat, der dem Sinne desselben angemessen ist; daß dieser Ton mehr oder weniger einen Affekt des Sprechenden bezeichnet und gegenseitig auch im Hörenden hervorbringt, der denn14 in diesem umgekehrt auch die Idee erregt, die in der Sprache mit solchem Tone ausgedrückt wird; und daß, so wie die Modulation gleichsam eine allgemeine jedem Menschen verständliche Sprache der Empfindungen ist, die Tonkunst diese für sich allein in ihrem ganzen Nachdrucke, nämlich als Sprache der Affekten ausübe15, und so, nach dem Gesetze der Assoziation, die damit natürlicher Weise verbundenen ästhetischen Ideen allgemein mitteile16; daß 329 aber, weil jene || ästhetischen Ideen keine Begriffe und bestimmte Gedanken sind, die Form der Zusammensetzung17 dieser Empfindungen (Harmonie und Melodie) nur, statt der Form einer Sprache, dazu diene18, vermittelst einer proportionierten Stimmung derselben (welche, weil sie bei Tönen auf dem Verhältnis der Zahl der Luftbebungen in derselben Zeit, sofern die Töne zugleich oder auch nach einander verbunden werden, beruht, mathematisch unter gewisse Regeln gebracht werden kann), die ästhetische Idee eines zusammenhangenden Ganzen einer unnennbaren Gedankenfülle, einem gewissen Thema gemäß, welches den in dem Stücke herrschenden Affekt ausmacht, auszudrücken. An dieser mathematischen Form, obgleich nicht

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Dopo l’arte della poesia metterei, s e q u e l c h e c o n t a è l ’ a t t r a t t i v a e i l m o t o d e l l ’ a n i m o , quell’arte che, tra quelle verbali, le si avvicina di più e le si può anche unire in modo molto naturale, cioè l’arte m u s i c a l e . Infatti, benché essa certamente parli per pure e semplici sensazioni senza concetti, e di conseguenza non lasci nulla alla riflessione, come fa invece la poesia, la musica muove tuttavia l’animo in modi più vari e, per quanto solo fugaci, comunque più intimi; ma certo è più godimento che cultura (il gioco di pensieri che così viene suscitato incidentalmente è soltanto l’effetto di un’associazione quasi meccanica) e ha, valutata con la ragione, meno valore di ogni altra arte bella. Per questo essa esige, come ogni godimento, un cambiamento più frequente e non tollera la ripetizione reiterata senza provocare sazietà. L’attrattiva della musica, che si lascia comunicare così universalmente, sembra basarsi sul fatto che ogni espressione del linguaggio ha nel contesto un tono che è adeguato al suo senso; e poi sul fatto che questo tono designa più o meno un affetto del parlante e, d’altro canto, lo produce anche nell’ascoltatore, un affetto che suscita poi inversamente in quest’ultimo anche l’idea che è espressa nel linguaggio da un tale tono; ma anche sul fatto che, come la modulazione è per così dire un linguaggio universale delle sensazioni, comprensibile da parte di ogni uomo, così l’arte musicale esercita questo linguaggio per sé sola in tutto il suo vigore, cioè come linguaggio degli affetti, e comunica dunque universalmente, secondo la legge dell’associazione, le idee estetiche che vi si trovano naturalmente collegate; ma poiché quelle idee estetiche non sono concetti né pensieri determinati, solo la forma della composizione di queste sensazioni (armonia e melodia), al posto della forma di un linguaggio, serve a esprimere, per mezzo di una disposizione proporzionata di queste sensazioni (disposizione che può essere ricondotta matematicamente sotto regole certe, poiché, nel caso dei toni, nella misura in cui questi si collegano in simultaneità o in successione, si basa sul rapporto del numero delle ondulazioni dell’aria in una unità di tempo), l’idea estetica di un tutto connesso coerentemente di una quantità indicibile di pensieri che si riferiscono a un certo tema, il quale costituisce l’affetto dominante nel brano musicale. È soltanto da questa forma matematica, benché essa non sia

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220 durch be stimmte Begriffe vorgestellt, hängt allein das Wohl-

gefallen, welches die bloße Reflexion über eine solche Menge einander begleitender oder folgender Empfindungen mit diesem Spiele derselben als für jedermann gültige Bedingung seiner Schönheit verknüpft; und sie ist es allein, nach welcher der Geschmack sich ein Recht, über das Urteil von jedermann zum voraus auszusprechen, anmaßen darf. Aber an dem Reize und der Gemütsbewegung, welche die Musik hervorbringt, hat die Mathematik sicherlich nicht den mindesten Anteil; sondern sie ist nur die unumgängliche Bedingung (conditio sine qua non) derjenigen Proportion der Eindrücke, in ihrer Verbindung sowohl als ihrem Wechsel, wodurch19 es möglich wird, sie zusammen zu fassen, und zu verhindern, daß diese einander nicht zerstören, sondern zu einer kontinuierlichen Bewegung und Belebung des Gemüts durch damit konsonierende Affekten und hiemit zu einem behaglichen Selbstgenusse zusammenstimmen. Wenn man dagegen den Wert der schönen Künste nach der Kultur schätzt, die sie dem Gemüt verschaffen, und die Erweiterung der Vermögen, welche in der Urteilskraft zum Erkenntnisse zusammen kommen müssen, zum Maßstabe nimmt: so hat Musik unter den schönen Künsten sofern den untersten (so wie unter denen, die zugleich nach ihrer Annehmlichkeit geschätzt werden, vielleicht den obersten) Platz, weil sie bloß mit 221 Empfin|dungen spielt. Die bildenden Künste gehen ihr also in diesem Betracht weit vor; denn, indem sie die Einbildungskraft in ein freies und doch zugleich dem Verstande angemessenes Spiel versetzen, so treiben sie zugleich ein Geschäft, indem sie ein Produkt zu Stande bringen, welches den Verstandesbegriffen zu einem dauerhaften und für sich selbst20 sich empfehlenden Vehikel dient, die Vereinigung derselben mit der Sinnlichkeit und so gleichsam die Urbanität der obern Erkenntnis330 kräfte zu befördern. || Beiderlei Art Künste nehmen einen ganz verschiedenen Gang: die erstere von Empfindungen zu unbestimmten Ideen; die zweite Art aber von bestimmten Ideen zu Empfindungen. Die letztern sind von b l e i b e n d e m , die erstern nur von t r a n s i t o r i s c h e m Eindrucke. Die Einbildungskraft kann jene zurückrufen und sich damit angenehm unterhalten; diese aber erlöschen entweder gänzlich, oder, wenn sie unwillkürlich von der Einbildungskraft wiederholt werden,

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rappresentata da concetti determinati, che dipende il compia- 220 cimento che connette la semplice riflessione su una tale quantità di sensazioni concomitanti o susseguenti con questo loro gioco come condizione, valida per ciascuno, della sua bellezza; ed è solo in funzione di questa forma che il gusto può arrogarsi un diritto di esprimersi in anticipo sul giudizio di ciascuno. Tuttavia la matematica non ha sicuramente la minima parte nell’attrattiva e nel moto dell’animo suscitati dalla musica, essa è piuttosto solo la condizione indispensabile (conditio sine qua non) di quella proporzione delle impressioni, sia nel loro collegamento sia nel loro avvicendamento, che permette di coglierle insieme e di impedire che queste si distruggano a vicenda; al contrario, essa armonizza tali impressioni per suscitare un continuo moto e un ravvivamento dell’animo mediante affetti in consonanza con esse, e quindi per produrre un tranquillo godimento di sé. Se invece si stima il valore delle belle arti secondo la cultura che procurano all’animo e se si assume come criterio l’ampliamento delle facoltà che devono concorrere nella forza di giudizio alla conoscenza, allora la musica occupa tra le belle arti il posto più basso, poiché si limita a giocare semplicemente con sensazioni (così come le spetta forse il posto più alto tra le belle arti che sono stimate secondo la loro gradevo- 221 lezza). Dunque le arti figurative la precedono di gran lunga da questo punto di vista; infatti, disponendo la forza di immaginazione a un gioco libero e però nel contempo adeguato all’intelletto, esse assolvono insieme un compito, realizzando un prodotto che ai concetti dell’intelletto serve da veicolo duraturo e in grado di raccomandarsi da sé per promuovere l’unione di tali concetti con la sensibilità e quindi, per così dire, procurare l’urbanità alle forze conoscitive superiori. Queste due specie di arte prendono vie molto diverse: la mu- 330 sica parte dalle sensazioni per andare verso idee indeterminate; le arti figurative, invece, partono da idee determinate per andare verso sensazioni. Queste ultime sono d’impressione p e r s i s t e n t e , le prime sono d’impressione t r a n s i t o r i a . La forza di immaginazione può richiamare le impressioni della prima specie e intrattenersi gradevolmente con esse; invece quelle della seconda specie o si estinguono del tutto op-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

sind sie uns eher lästig als angenehm. Außerdem hängt der Musik ein gewisser Mangel der Urbanität an, daß sie, vornehmlich nach Beschaffenheit ihrer Instrumente, ihren Einfluß weiter, als man ihn verlangt (auf die Nachbarschaft), ausbreitet, und so sich gleichsam aufdringt21, mithin der Freiheit andrer, außer der musikalischen Gesellschaft, Abbruch tut; welches die Künste, die zu den Augen reden, nicht tun, indem man seine Augen nur wegwenden darf, wenn man ihren Eindruck nicht 222 einlassen will. Es ist | hiemit fast so, wie mit der Ergötzung durch einen sich weit ausbreitenden Geruch bewandt. Der, welcher sein parfümiertes Schnupftuch aus der Tasche zieht, traktiert alle um und neben sich wider ihren Willen und nötigt sie, wenn sie atmen wollen, zugleich zu genießen; daher es auch aus der Mode gekommen ist*24. — Unter den bildenden Künsten würde ich der M a l e r e i den Vorzug geben: teils weil sie, als Zeichnungskunst, allen übrigen bildenden zum Grunde liegt; teils weil sie weit mehr in die Region der Ideen eindringen, und auch das Feld der Anschauung, diesen gemäß, mehr erweitern kann, als es den übrigen verstattet ist.

§ 54 Anmerkung1 Zwischen dem, w a s b l o ß i n d e r B e u r t e i l u n g g e f ä l l t , und dem, was v e r g n ü g t (in der Empfindung gefällt), ist, wie wir oft gezeigt haben, ein wesentlicher Unterschied. Das letztere ist etwas, welches man nicht so, wie das erstere, jedermann ansinnen kann. Vergnügen (die Ursache desselben mag 331 immerhin auch in Ideen liegen) scheint jederzeit in || einem Gefühl der Beförderung des gesamten Lebens des Menschen, 223 mithin auch des körperlichen Wohlbe|findens, d. i. der Gesundheit, zu bestehen; so daß E p i k u r, der alles Vergnügen im Grunde für körperliche Empfindung ausgab, sofern vielleicht * Diejenigen, welche zu den häuslichen Andachtsübungen auch das Singen geistlicher Lieder empfohlen haben, bedachten nicht, daß sie dem Publikum durch eine solche l ä r m e n d e (eben dadurch gemeiniglich pharisäische) Andacht eine große Beschwerde auflegen22, indem sie die Nachbarschaft entweder mit zu singen oder ihr Gedankengeschäft niederzulegen nötigen23.

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pure, quando vengono involontariamente ripetute dalla forza di immaginazione, sono per noi più fastidiose che gradevoli. Inoltre sulla musica grava una certa mancanza di urbanità: il fatto che essa, soprattutto per la costituzione dei suoi strumenti, estende il suo influsso al di là del voluto (al vicinato) e dunque, per così dire, si impone, violando perciò la libertà degli altri che non partecipano alla riunione musicale; cosa che non fanno le arti che parlano agli occhi, poiché non c’è che da distogliere i propri occhi se non si vuole subire la loro impressione. Le cose vanno un po’ così come con la delizia 222 suscitata da un profumo che si diffonde tutto intorno. Chi estrae dalla tasca il proprio fazzoletto profumato soggioga tutti coloro che si trovano intorno e accanto a lui contro la loro volontà e li costringe, se vogliono respirare, a goderne al contempo; proprio per questo tale uso è passato di moda*. — Tra le arti figurative darei il primato90 alla p i t t u r a , in parte perché, come arte del disegno, sta a fondamento di tutte le altre arti figurative e in parte perché riesce a inoltrarsi più lontano nella regione delle idee e, conformemente a queste, anche ad ampliare il campo dell’intuizione più di quanto sia consentito alle altre.

§ 54 NOTA

Tra c i ò c h e p i a c e s e m p l i c e m e n t e n e l l a v a l u t a z i o n e e ciò che s o d d i s f a (piace nella sensazione) esiste, abbiamo mostrato sovente, una differenza essenziale. La seconda cosa non è tale, come la prima, che si possa richiedere a ognuno. Il soddisfacimento (la cui causa potrebbe anche trovarsi in idee) sembra sempre consistere in un sentimento 331 di promozione dell’uomo e di conseguenza anche del benes- 223 sere corporeo, cioè della salute; cosicché E p i c u r o , il quale in fondo riduceva ogni soddisfacimento alla sensazione cor* Coloro che per le devozioni domestiche hanno raccomandato anche di cantare inni spirituali non hanno riflettuto sul fatto che, con una devozione tanto c h i a s s o s a (e proprio per questo solitamente farisaica), arrecavano al pubblico un grave disturbo, costringendo il vicinato o a unirsi al canto o a interrompere l’attività intellettuale89.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

nicht Unrecht haben mag, und sich nur selbst mißverstand, wenn er das intellektuelle und selbst praktische Wohlgefallen zu den Vergnügen zählte. Wenn man den letztern Unterschied vor Augen hat, so kann man sich erklären, wie ein Vergnügen dem, der es empfindet, selbst mißfallen könne (wie die Freude eines dürftigen aber wohldenkenden Menschen über die Erbschaft von seinem ihn liebenden aber kargen Vater), oder wie ein tiefer Schmerz dem, der ihn leidet, doch gefallen könne (die Traurigkeit einer Witwe über ihres verdienstvollen Mannes Tod), oder wie ein Vergnügen oben ein noch gefallen könne (wie das an Wissenschaften, die wir treiben), oder ein Schmerz (z. B. Haß, Neid und Rachgierde) uns noch dazu mißfallen könne. Das Wohlgefallen oder Mißfallen beruht hier auf der Vernunft, und ist mit der B i l l i g u n g oder M i ß b i l l i g u n g einerlei; Vergnügen und Schmerz aber können nur auf dem Gefühl oder der Aussicht auf ein (aus welchem Grunde es auch sei) mögliches2 Wo h l - oder Ü b e l b e f i n d e n beruhen. Alles wechselnde freie Spiel der Empfindungen (die keine Absicht zum Grunde haben) vergnügt, weil es das Gefühl der Gesundheit befördert: wir mögen nun in der Vernunftbeurteilung an seinem Gegenstande und selbst an diesem Vergnügen ein Wohlgefallen haben oder nicht; und dieses Vergnügen kann bis zum Affekt steigen, obgleich wir an dem Gegenstande selbst kein Interesse, wenigstens kein solches nehmen, was dem3 Grad des letztern proportioniert wäre. Wir können sie ins G l ü c k s s p i e l , To n s p i e l und G e d a n k e n s p i e l einteilen. Das e r s t e fordert ein I n t e r e s s e , es sei der Eitelkeit oder des Eigennutzes, welches aber bei weitem nicht so groß ist, als das 224 Interesse4 an der Art, wie | wir es uns zu verschaffen suchen; das z w e i t e bloß den Wechsel der E m p f i n d u n g e n , deren jede ihre Beziehung auf Affekt, aber ohne den Grad eines Affekts hat, und ästhetische Ideen rege macht; das d r i t t e entspringt bloß aus dem Wechsel der Vorstellungen, in der Urteilskraft, wodurch zwar kein Gedanke, der irgend ein Interesse bei sich führte, erzeugt, das Gemüt aber doch belebt wird. Wie vergnügend die Spiele sein müssen, ohne daß man nötig hätte, interessierte Absicht dabei zum Grunde zu legen, zeigen alle unsere Abendgesellschaften; denn ohne Spiel kann sich bei-

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porea, per quanto forse poteva non aver avuto torto a farlo, soltanto fraintendeva quando includeva il compiacimento intellettuale e perfino quello pratico tra i soddisfacimenti91. Se si tiene davanti agli occhi quest’ultima differenza, ci si può spiegare come un soddisfacimento possa addirittura dispiacere a chi lo sente (come è il caso della gioia di un uomo povero, ma buono di natura, per l’eredità lasciatagli dal padre amorevole ma avaro), o come un profondo dolore possa tuttavia piacere a colui che lo soffre (la tristezza di una vedova per la morte del marito pieno di meriti), o come un soddisfacimento possa per di più anche piacerci (come quello per le scienze che pratichiamo), o come un dolore (per esempio l’odio, l’invidia e la brama di vendetta) possa oltre a ciò dispiacerci. Il compiacimento o dispiacimento si basa qui sulla ragione e fa una cosa sola con l’ a p p r o v a z i o n e o la d i s a p p r o v a z i o n e ; ma soddisfacimento e dolore possono basarsi soltanto sul sentimento o sulla prospettiva di un possibile b e n e s s e r e o m a l e s s e r e (quale ne sia la causa). Ogni gioco libero e mutevole delle sensazioni (che non hanno a fondamento alcun intento) soddisfa perché promuove il sentimento della salute, sia che abbiamo oppure no un compiacimento nella valutazione della ragione per il suo oggetto e per il soddisfacimento medesimo; e tale soddisfacimento può crescere fino a divenire affetto, sebbene non proviamo alcun interesse per l’oggetto stesso, perlomeno non tale da essere proporzionato al grado dell’affetto. Possiamo dividerli in g i o c o d i f o r t u n a , g i o c o d i s u o n i e g i o c o d i p e n s i e r i . Il p r i m o richiede un i n t e r e s s e che, sia per la vanità o per il profitto personale, è tuttavia ben lontano dall’essere tanto grande quanto l’interesse per il modo in cui 224 cerchiamo di procurarcelo; il s e c o n d o esige semplicemente il variare delle s e n s a z i o n i , ciascuna delle quali fa riferimento a un affetto, senza raggiungere però il grado di un affetto, e suscita idee estetiche; il t e r z o sorge solamente dal cambiamento delle rappresentazioni, nella forza di giudizio, con cui certamente non viene prodotto alcun pensiero che comporti un qualche interesse, e pur tuttavia l’animo viene vivificato. Quanto i giochi debbano essere soddisfacenti, senza che sia necessario porre a loro fondamento un intento interessato, lo testimoniano tutte le nostre serate in compagnia: infatti

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

nahe keine unterhalten. Aber die Affekten der Hoffnung, der || spielen dabei, indem sie jeden Augenblick ihre Rolle5 wechseln, und6 sind so lebhaft, daß dadurch, als eine innere Motion, das ganze Lebensgeschäft im Körper befördert zu sein scheint, wie eine dadurch erzeugte Munterkeit des Gemüts es beweist, obgleich weder etwas gewonnen noch gelernt worden. Aber da das Glücksspiel kein schönes Spiel ist, so wollen wir es hier bei Seite setzen. Hingegen7 Musik und Stoff zum Lachen sind zweierlei Arten des Spiels mit ästhetischen Ideen, oder auch Verstandesvorstellungen, wodurch am Ende nichts gedacht wird, und die bloß durch ihren Wechsel, und dennoch8 lebhaft vergnügen können; wodurch sie ziemlich klar zu erkennen geben, daß die Belebung in beiden bloß körperlich sei, ob sie gleich von Ideen des Gemüts erregt wird, und daß das Gefühl der Gesundheit, durch eine jenem Spiele9 korrespondierende Bewegung der Eingeweide, das ganze, für so fein und geistvoll gepriesene, Vergnügen einer aufgeweckten Gesellschaft ausmacht. Nicht die Beurteilung der Harmonie in Tönen oder Witzeinfällen, die mit ihrer Schönheit nur zum notwendigen Vehikel dient, sondern 225 das beförderte Lebensgeschäft im Körper, der Affekt, der | die Eingeweide und das Zwerchfell bewegt, mit einem Worte das Gefühl der Gesundheit (welche sich ohne solche Veranlassung sonst nicht fühlen läßt) macht10 das Vergnügen aus, welches man daran findet, daß man dem Körper auch durch die Seele beikommen und diese zum Arzt von jenem brauchen kann. In der Musik geht dieses Spiel von der Empfindung des Körpers zu ästhetischen Ideen (der Objekte für Affekten), von diesen alsdann wieder zurück, aber mit vereinigter Kraft, auf den Körper. Im Scherze (der eben sowohl wie jene eher zur angenehmen, als schönen Kunst gezählt zu werden verdient) hebt das Spiel von Gedanken an, die insgesamt, sofern sie sich sinnlich ausdrücken wollen, auch den Körper beschäftigen; und, indem der Verstand in dieser Darstellung, worin11 er das Erwartete nicht findet, plötzlich nachläßt, so fühlt man die Wirkung dieser Nachlassung im Körper durch die Schwingung12 der Organen, welche die Herstellung ihres Gleichgewichts befördert und auf die Gesundheit einen wohltätigen Einfluß hat. Es muß in allem, was ein lebhaftes erschütterndes Lachen erregen soll, etwas Widersinniges sein (woran also der Verstand 332 Furcht, der Freude, des Zorns, des Hohns

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senza gioco quasi non ci si può intrattenere. Ma gli affetti della speranza, del timore, della gioia, della collera, dello 332 scherno vi entrano però in gioco, alternando ad ogni istante il loro ruolo e sono così vivi che in tal modo, come per un moto interno, tutta la funzionalità vitale del corpo sembra intensificata, come dimostra la vivacità dell’animo che ne risulta, benché non si sia guadagnato né imparato nulla. Tuttavia, dato che il gioco di fortuna non è un gioco bello, qui lo mettiamo da parte. Invece musica e ciò che fa ridere sono due specie di gioco con idee estetiche, o anche con rappresentazioni dell’intelletto, con le quali in definitiva non viene pensato nulla e che possono soddisfare semplicemente per il loro variare, e ciò nonostante in modo molto vivace; per cui tali giochi rivelano abbastanza chiaramente che nei due casi il ravvivamento è semplicemente corporeo, benché sia suscitato da idee dell’animo, e che tutto il soddisfacimento di un’allegra compagnia, apprezzato per così raffinato e spirituale, è costituito dal sentimento della salute, attestato da un movimento delle viscere corrispondente a quel gioco. Non è la valutazione dell’armonia dei suoni o dei motti arguti, la quale con la sua bellezza serve soltanto da veicolo necessario, ma è l’intensificazione della funzionalità vitale del corpo, l’affetto che agita le viscere e il diaframma: in una parola è il sentimento della sa- 225 lute (che altrimenti senza questa occasione non si può sentire) che costituisce il soddisfacimento che si prova nel riuscire a giungere al corpo anche attraverso l’anima e nell’utilizzare quest’ultima come medico di quello92. Nella musica questo gioco va dalla sensazione del corpo a idee estetiche (di oggetti per affetti) per poi ritornare da queste al corpo, ma con una forza più raccolta. Nello scherzo (che proprio come la musica merita di essere ascritto più all’arte gradevole che all’arte bella) il gioco ha inizio da pensieri che nel loro insieme, volendosi esprimere in modo sensibile, impegnano anche il corpo; e l’intelletto, non trovando in questa esibizione ciò che si aspettava, all’improvviso si rilassa e così si sente nel corpo l’effetto di questo rilasciamento attraverso il fremito degli organi che favorisce il ripristino del loro equilibrio e ha un influsso benefico sulla salute. In tutto ciò che deve suscitare un vivace scoppio di risa deve esserci qualcosa di assurdo (in cui dunque l’intelletto in

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an sich kein Wohlgefallen finden kann). D a s L a c h e n i s t e i n A f f e k t a u s d e r p l ö t z l i c h e n Ve r w a n d l u n g e i n e r g e s p a n n t e n E r w a r t u n g i n n i c h t s . Eben diese Verwandlung, die für den Verstand gewiß nicht erfreulich ist, erfreuet doch indirekt auf einen Augenblick sehr lebhaft. Also 333 muß die || Ursache in dem Einflusse der Vorstellung auf den Körper und dessen Wechselwirkung auf das Gemüt bestehen; und zwar nicht, sofern die Vorstellung objektiv ein Gegenstand des Vergnügens ist (denn13 wie kann eine getäuschte Erwartung 226 vergnügen?), sondern lediglich dadurch, | daß sie, als bloßes Spiel der Vorstellungen, ein Gleichgewicht14 der Lebenskräfte im Körper hervorbringt. Wenn jemand erzählt: daß ein Indianer, der an der Tafel eines Engländers in Surate eine Bouteille mit Ale öffnen und alles dies Bier, in Schaum verwandelt, herausdringen sah, mit vielen Ausrufungen seine große Verwunderung anzeigte, und auf15 die Frage des Engländers: was ist denn hier sich so sehr zu verwundern? antwortete: Ich wundere mich auch nicht darüber, daß es herausgeht, sondern wie ihr's habt herein kriegen können: so lachen wir, und es macht uns eine herzliche Lust: nicht, weil wir uns etwa klüger finden als diesen Unwissenden, oder sonst über etwas, was uns der Verstand hierin Wohlgefälliges bemerken ließe; sondern unsre Erwartung war gespannt, und verschwindet plötzlich in nichts. Oder wenn der Erbe eines reichen Verwandten diesem sein Leichenbegängnis recht feierlich veranstalten will, aber klagt16, daß es ihm hiemit nicht recht gelingen wolle; denn (sagt er): je mehr ich meinen Trauerleuten Geld gebe, betrübt auszusehen, desto lustiger sehen sie aus: so lachen wir laut, und der Grund liegt darin, daß eine Erwartung sich plötzlich in nichts verwandelt. Man muß wohl bemerken: daß sie sich nicht in das positive17 Gegenteil eines erwarteten Gegenstandes – denn das ist immer etwas, und kann oft18 betrüben –, sondern in nichts verwandeln müsse. Denn wenn jemand uns mit der Erzählung einer Geschichte große Erwartung erregt, und wir beim Schlusse die Unwahrheit derselben sofort einsehen, so macht es uns Mißfallen; wie z. B. die von Leuten, welche vor großem Gram19 in einer Nacht graue Haare bekommen haben sollen. Dagegen, wenn auf eine dergleichen Erzählung, zur Erwiderung, ein anderer Schalk sehr umständlich den Gram eines Kaufmanns 227 erzählt, der, aus Indien mit allem seinen | Vermögen in Waren

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sé non può trovarvi alcun compiacimento). I l r i s o è u n affetto che sorge dall’improvviso trasformarsi i n n u l l a d e l l a t e n s i o n e d i u n ’ a s p e t t a t i v a . Proprio questo trasformarsi, che certo non rallegra l’intelletto, rallegra però indirettamente, per un istante, in modo molto vivace. La causa deve dunque consistere nell’influsso della rap- 333 presentazione sul corpo e nella sua azione reciproca sull’animo; e ciò non certo in quanto la rappresentazione è obiettivamente un oggetto di soddisfacimento (come potrebbe infatti soddisfare un’aspettativa delusa?), ma unicamente poiché essa, in quanto semplice gioco delle rappresentazioni, produ- 226 ce nel corpo un equilibrio delle forze vitali. Se qualcuno racconta che un indiano, vedendo alla tavola di un inglese, a Surate93, aprire una bottiglia di ale e uscirne fuori tutta la birra trasformata in schiuma, mostrava con molte esclamazioni la sua grande meraviglia e, alla domanda dell’inglese: «Che c’è mai da meravigliarsi tanto?», rispose: «Non mi meraviglio mica perché esce, ma di come abbiate potuto mettercela dentro», allora noi ne ridiamo e la cosa ci fa provare un cordiale piacere: non perché magari ci riteniamo più intelligenti di quell’inesperto né perché ridiamo di qualcosa di gradevole che l’intelletto ci ha fatto scorgere, bensì perché l’aspettativa era tesa e all’improvviso è svanita nel nulla. Oppure se l’erede di un ricco parente vuole preparargli funerali molto solenni, ma si lamenta che la cosa non sembra proprio riuscirgli bene perché, dice, «quanti più soldi do alle persone del corteo funebre per sembrare afflitte, tanto più sembrano allegre», ecco che ridiamo forte; e il motivo consiste nel fatto che un’aspettativa si è trasformata improvvisamente in nulla. Si deve ben notare che questa attesa deve trasformarsi proprio in nulla, non nel contrario positivo di un oggetto atteso – infatti questo è pur sempre qualcosa e può spesso rattristare –. Infatti, se qualcuno suscita in noi una grande aspettativa raccontando una storia e se alla fine scopriamo che era sprovvista di verità, la cosa ci procura un dispiacimento; come quando per esempio si racconta di persone a cui, per una grande afflizione, i capelli sarebbero diventati grigi in una notte. Invece, se per replicare a un simile racconto un altro burlone narra nel dettaglio l’afflizione di un mercante che, ritornando dalle Indie in Europa con tutti i suoi averi in mer- 227

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nach Europa zurückkehrend, in einem schweren Sturm alles über Bord zu werfen genötigt wurde, und sich dermaßen grämte, daß ihm darüber in derselben Nacht die P e r ü c k e grau ward20: so lachen wir, und es macht uns Vergnügen, weil wir unsern eignen Mißgriff nach einem für uns übrigens gleichgültigen Gegenstande, oder vielmehr unsere verfolgte Idee, wie einen Ball, noch eine Zeitlang21 hin- und herschlagen, indem wir bloß gemeint sind, ihn zu greifen und fest zu halten. Es ist || 334 hier nicht die Abfertigung eines Lügners oder Dummkopfs, welche das Vergnügen erweckt: denn auch für sich würde die letztere mit angenommenem Ernst erzählte Geschichte eine Gesellschaft in ein22 helles Lachen versetzen; und jenes wäre gewöhnlichermaßen auch der Aufmerksamkeit23 nicht wert. Merkwürdig ist: daß in allen solchen Fällen der Spaß immer etwas in sich enthalten muß, welches auf einen Augenblick täuschen kann; daher, wenn der Schein in nichts verschwindet, das Gemüt wieder zurücksieht, um es mit ihm noch einmal zu versuchen, und so durch schnell hinter einander folgende Anspannung und Abspannung hin- und zurückgeschnellt und in Schwankung gesetzt wird: die, weil der Absprung von dem, was gleichsam die Saite anzog, plötzlich (nicht durch ein allmähliches Nachlassen) geschah, eine Gemütsbewegung und mit ihr harmonierende inwendige körperliche Bewegung24 verursachen muß, die unwillkürlich fortdauert, und Ermüdung, dabei aber auch Aufheiterung (die Wirkungen einer zur Gesundheit gereichenden Motion) hervorbringt. Denn, wenn man annimmt, daß mit allen unsern Gedanken zugleich irgend eine Bewegung in den Organen des Körpers harmonisch verbunden sei: so wird man so ziemlich begreifen, 228 wie jener plötzlichen Versetzung des Gemüts | bald in einen bald in den andern Standpunkt, um seinen Gegenstand zu betrachten, eine wechselseitige Anspannung und Loslassung der elastischen Teile unserer Eingeweide, die sich dem Zwerchfell mitteilt, korrespondieren könne (gleich derjenigen, welche kitzlige Leute fühlen): wobei die Lunge die Luft25 mit schnell einander folgenden Absätzen ausstößt, und so eine der Gesundheit zuträgliche Bewegung bewirkt welche allein26 und nicht das, was im Gemüte vorgeht, die eigentliche Ursache des Vergnügens an einem Gedanken ist, der im Grunde nichts vorstellt. — Voltaire sagte, der Himmel habe uns zum Gegengewicht gegen

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canzie, si trovò costretto a gettare tutto a mare durante una violenta tempesta, e si afflisse talmente tanto che in quella stessa notte la p a r r u c c a gli diventò grigia, noi ridiamo e ne proviamo soddisfacimento perché giochiamo con la nostra svista riguardante un oggetto che peraltro ci è indifferente o, piuttosto, giochiamo con l’idea che perseguivamo, lanciandola ancora per un po’ di qui e di là come una palla, mentre la nostra intenzione era unicamente di afferrarla e tenerla ferma. Qui non è il liquidare un bugiardo o uno sciocco che suscita 334 soddisfacimento; infatti quest’ultima storia, se fosse raccontata con una finta serietà, farebbe anche di per sé scoppiare una compagnia in una sonora risata, mentre la storia precedente non sarebbe di solito neppure degna di attenzione. È degno di nota che in tutti questi casi il divertimento deve sempre contenere in sé qualcosa che per un attimo possa illudere; è per questo motivo che, quando la parvenza svanisce in nulla, l’animo si volge nuovamente indietro per provarci ancora una volta, e così, mediante un rapido susseguirsi di tensione e distensione, viene sballottato avanti e indietro e posto in un’oscillazione la quale, siccome ciò che per così dire teneva tirata la corda è saltato all’improvviso (non allentandosi gradualmente), deve causare un moto dell’animo e in armonia con esso un movimento interno del corpo, che si prolunga involontariamente e affatica ma nel contempo anche rasserena (sono questi gli effetti di un moto che favorisce la salute). Infatti, se si ammette che con tutti i nostri pensieri è nel contempo armoniosamente collegato un qualche movimento negli organi del corpo, si comprenderà a sufficienza come a quel repentino trasporsi dell’animo, ora nell’uno ora nell’al- 228 tro punto di vista, per considerare il proprio oggetto possa corrispondere una reciproca alternanza di tensione e di rilassamento delle parti elastiche delle nostre viscere che si comunica al diaframma (come accade a chi soffre il solletico), mentre i polmoni espellono l’aria a intervalli che si susseguono velocemente, producendo così un movimento propizio alla salute: ed è soltanto questo movimento, e non ciò che avviene prima nell’animo, ad essere la vera causa del soddisfacimento per un pensiero che in fondo non rappresenta nulla. — Voltaire diceva94 che il cielo ci ha donato due cose per com-

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die vielen Mühseligkeiten des Lebens zwei Dinge gegeben: die H o f f n u n g , und den S c h l a f . Er hätte noch das L a c h e n dazu rechnen können; wenn die Mittel, es bei Vernünftigen zu erregen, nur so leicht bei der Hand wären, und der Witz oder die27 Originalität der Laune, die dazu erforderlich sind28, nicht eben so selten wären, als häufig das Talent ist29, k o p f b r e c h e n d , wie mystische Grübler, h a l s b r e c h e n d , wie Genies, oder h e r z b r e c h e n d , wie empfindsame Romanschreiber (auch wohl dergleichen Moralisten) zu dichten. Man kann also, wie mich dünkt, dem Epikur wohl einräumen: daß alles Vergnügen, wenn es gleich durch Begriffe veran335 laßt wird, welche || ästhetische Ideen erwecken, animalische, d. i. körperliche Empfindung sei; ohne dadurch dem g e i s t i g e n Gefühl der Achtung für moralische Ideen, welches30 kein Vergnügen ist, sondern eine Selbstschätzung (der Menschheit in uns), die uns über das Bedürfnis desselben erhebt, ja selbst nicht einmal dem minder edlen des G e s c h m a c k s , im mindesten Abbruch zu tun. Etwas aus beiden Zusammengesetztes findet sich in der N a i v i t ä t , die der Ausbruch der der Menschheit ursprünglich 229 natürlichen Aufrichtigkeit wider die zur andern Natur | gewordene31 Verstellungskunst ist. Man lacht über die Einfalt, die es noch nicht versteht, sich zu verstellen; und erfreut sich doch auch über die Einfalt der Natur, die jener Kunst hier einen Querstrich spielt. Man erwartete die alltägliche Sitte der gekünstelten und auf den schönen Schein vorsichtig32 angelegten Äußerung; und siehe! es ist die unverdorbne schuldlose Natur, die man anzutreffen gar nicht gewärtig, und die der, welcher sie33 blicken ließ, zu entblößen auch nicht gemeinet war. Daß der schöne, aber falsche Schein, der gewöhnlich in unserm Urteile sehr viel bedeutet, hier plötzlich in nichts verwandelt, daß gleichsam der Schalk in uns selbst bloßgestellt wird, bringt die Bewegung des Gemüts nach zwei entgegengesetzten Richtungen nach einander hervor, die zugleich den Körper heilsam schüttelt. Daß aber etwas, was unendlich besser als alle angenommene Sitte ist, die Lauterkeit der Denkungsart (wenigstens die Anlage dazu) doch nicht ganz in der menschlichen Natur erloschen ist, mischt Ernst und Hochschätzung in dieses Spiel der Urteilskraft. Weil es aber nur eine auf34 kurze Zeit sich her-

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pensare le molte pene della vita: la s p e r a n z a e il s o n n o . Avrebbe potuto aggiungervi anche il r i s o , se solo i mezzi per suscitarlo nelle persone assennate fossero altrettanto a portata di mano e se l’arguzia o l’originalità dell’umore che si richiedono a tal scopo non fossero così tanto rare quanto è frequente il talento di inventare opere da r o m p e r e l a t e s t a , come i sognatori mistici, da r o m p e r e i l c o l l o , come i geni, o da s p e z z a r e i l c u o r e , come i romanzieri sentimentali (o anche i moralisti simili). Mi sembra che si possa anche concedere a Epicuro che ogni soddisfacimento, sebbene sia occasionato da concetti che destano idee estetiche, è una sensazione a n i m a l e , cioè 335 corporea, senza che con questo venga minimamente pregiudicato il sentimento s p i r i t u a l e del rispetto per le idee morali, il quale non è un soddisfacimento, ma una stima di sé (dell’umanità in noi) che ci eleva al di sopra del bisogno del soddisfacimento, anzi senza nemmeno pregiudicare il sentimento meno nobile del g u s t o . Qualcosa di composto da entrambi questi sentimenti si trova nella i n g e n u i t à , che è l’erompere della sincerità originariamente naturale per l’umanità contro l’arte della simu- 229 lazione, divenuta una seconda natura. Si ride della semplicità che non sa ancora simulare; e però ci si rallegra anche della semplicità della natura che qui gioca a quell’arte un tiro mancino. Ci si aspettava la consuetudine abituale dell’espressione artificiosa e mirante a produrre con accortezza la bella parvenza e, guarda un po’!, ecco l’incorrotta e innocente natura che non ci si aspettava affatto di incontrare, e che nemmeno colui che l’ha fatta scorgere aveva l’intenzione di mettere a nudo. Che la bella ma falsa parvenza, la quale comunemente ha tanta importanza nel nostro giudizio, si sia qui trasformata improvvisamente in nulla, che per così dire il furbo che è in noi venga smascherato, fa sì che l’animo si muova in alternanza in due direzioni opposte, e questo movimento imprime nello stesso tempo al corpo una scossa salutare. Ma che non sia comunque interamente spento nella natura umana qualcosa che è infinitamente migliore di ogni consuetudine accettata, cioè la schiettezza del modo di pensare (o almeno la disposizione a essa), mischia serietà e stima in questo gioco della forza di giudizio. Trattandosi tuttavia solo di un fenomeno

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

vortuende35 Erscheinung ist, und die Decke der Verstellungskunst bald wieder vorgezogen wird: so mengt sich zugleich ein Bedauren darunter, welches eine Rührung der Zärtlichkeit ist, die sich als Spiel mit einem solchen gutherzigen Lachen sehr wohl verbinden läßt, und auch wirklich damit gewöhnlich verbindet, zugleich auch demjenigen, der den Stoff dazu hergibt, die Verlegenheit darüber, daß36 er noch nicht nach Menschenweise gewitzigt ist, zu vergüten pflegt. — Eine Kunst, n a i v zu sein, ist daher ein Widerspruch; allein die Naivität in einer erdichteten Person vorzustellen, ist wohl möglich, und schöne obzwar auch seltene Kunst. Mit der Naivität muß offenherzige Einfalt, welche die Natur nur darum nicht verkünstelt, weil sie 230 sich | darauf nicht versteht, was Kunst des Umganges sei, nicht verwechselt werden. Zu dem, was aufmunternd, mit dem Vergnügen aus dem Lachen nahe verwandt, und zur Originalität des Geistes, aber eben nicht zum Talent der schönen Kunst gehörig ist, kann 336 auch die l a u n i c h t e Manier || gezählt werden. L a u n e im guten Verstande bedeutet nämlich das Talent, sich willkürlich in eine gewisse Gemütsdisposition versetzen zu können, in der alle Dinge ganz anders als gewöhnlich (sogar umgekehrt), und doch gewissen Vernunftprinzipien in einer solchen Gemütsstimmung gemäß, beurteilt werden. Wer solchen Veränderungen unwillkürlich unterworfen ist, ist37 l a u n i s c h ; wer sie aber willkürlich und zweckmäßig (zum Behuf einer lebhaften Darstellung vermittelst eines Lachen erregenden Kontrastes) anzunehmen vermag, der und sein Vortrag heißt l a u n i c h t . Diese Manier gehört indes mehr zur angenehmen als schönen Kunst, weil der Gegenstand der letztern immer einige Würde an sich zeigen muß, und daher einen gewissen Ernst in der Darstellung, so wie der Geschmack in der Beurteilung, erfordert. |

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che compare in primo piano per poco tempo, e sul quale viene ben presto richiusa la cortina dell’arte della simulazione, vi si mescola nel contempo un rimpianto che è un’emozione della tenerezza; la quale, come gioco, si può benissimo collegare con un simile riso cordiale e anzi effettivamente vi si collega, compensando così colui che induce al riso dell’imbarazzo in cui si trova per non essere ancora smaliziato come gli altri uomini. — Un’arte di essere i n g e n u o è dunque una contraddizione; tuttavia rappresentare l’ingenuità in un personaggio inventato è certamente possibile ed è un’arte bella, benché anche rara. Non si deve confondere l’ingenuità con la franca semplicità, la quale non simula la natura artificiosamente solo perché non sa che cosa sia l’arte dei rapporti so- 230 ciali. In ciò che suscita allegria ed è strettamente affine al soddisfacimento derivante dal riso, e appartiene all’originalità dello spirito ma propriamente non al talento dell’arte bella, può annoverarsi anche la maniera u m o r i s t i c a . L’ U m o - 336 r e , inteso in senso buono, designa infatti il talento di potersi porre volontariamente in una certa disposizione dell’animo in cui tutte le cose vengono valutate in modo affatto diverso dal solito (perfino al contrario) e tuttavia sono valutate conformemente a certi principi razionali inerenti a una tale disposizione dell’animo. Chi è involontariamente soggetto a tali mutamenti è u m o r a l e ; invece chi riesce ad assumerli volontariamente e finalisticamente (in funzione di un’esibizione vivace per mezzo di un contrasto che suscita il riso), costui, come pure il suo modo di esprimersi, si dicono u m o r i s t i c i . Comunque questa maniera appartiene più all’arte gradevole che all’arte bella, poiché l’oggetto di quest’ultima deve sempre mostrare in sé una qualche dignità e richiede dunque una certa serietà nell’esibizione come pure la esige il gusto nella valutazione.

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Der Kritik der ästhetischen Urteilskraft Zweiter Abschnitt

Die Dialetik der ästhetischen Urteilskraft § 55 Eine Urteilskraft, die dialektisch sein soll, muß zuvörderst vernünftelnd sein; d. i. die Urteile derselben müssen auf Allgemeinheit, und zwar a priori, Anspruch machen*: denn in solcher Urteile Entgegensetzung besteht die Dialektik. Daher ist die Unvereinbarkeit ästhetischer Sinnesurteile (über das Angenehme und Unangenehme) nicht dialektisch. Auch der Widerstreit der Geschmacksurteile, sofern sich ein jeder bloß auf seinen eignen Geschmack beruft, macht keine Dialektik des Ge-| 232 schmacks aus; weil niemand sein Urteil zur allgemeinen Regel zu machen gedenkt. Es bleibt also kein Begriff von einer Dialektik übrig, welche den1 Geschmack angehen könnte, als der einer Dialektik der K r i t i k des Geschmacks (nicht des Geschmacks selbst) in Ansehung ihrer P r i n z i p i e n : da nämlich über den Grund der Möglichkeit der Geschmacksurteile überhaupt einander widerstreitende Begriffe natürlicher und unvermeidlicher Weise auftreten. Transzendentale Kritik des Geschmacks wird also nur sofern einen Teil enthalten, der den Namen einer Dialektik der ästhetischen Urteilskraft führen kann, wenn sich eine Antinomie der Prinzipien dieses Vermögens findet2, welche die Gesetzmäßigkeit desselben, mithin auch seine innere Möglichkeit, zweifelhaft macht. || * Ein vernünftelndes Urteil (iudicium ratiocinans) kann ein jedes heißen, das sich als allgemein ankündigt; denn sofern kann es zum Obersatze in einem Vernunftschlusse dienen. Ein Vernunfturteil (iudicium ratiocinatum) kann dagegen nur ein solches genannt werden, welches, als der Schlußsatz von einem Vernunftschlusse, folglich als a priori gegründet, gedacht wird.

SEZIONE SECONDA

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DELLA CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

LA DIALETTICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 55 Per essere dialettica, una forza di giudizio deve essere anzitutto raziocinante, cioè i suoi giudizi devono avanzare la pretesa all’universalità, e precisamente a priori*: infatti la dialettica consiste nella opposizione di tali giudizi. Perciò l’inconciliabilità di giudizi estetici del senso (sul gradevole e lo sgradevole) non è dialettica. Neanche il conflitto dei giudizi di gusto, nella misura in cui ognuno si richiama semplicemente al proprio gusto, costituisce una dialettica del gusto, dato 232 che nessuno si propone di innalzare il proprio giudizio a regola universale. In tal senso non resta alcun altro concetto di una dialettica che possa riguardare il gusto se non quello di una dialettica della c r i t i c a del gusto (non del gusto stesso) riguardo ai suoi p r i n c i p i : infatti sul fondamento della possibilità dei giudizi di gusto in generale sorgono in modo naturale e inevitabile concetti in conflitto tra loro. Una critica trascendentale del gusto conterrà, dunque, una parte che può portare il nome di dialettica della forza estetica di giudizio solo se vi si trova un’antinomia dei principi di questa facoltà che renda dubbia la sua conformità alla legge, e di conseguenza anche la sua possibilità interna. * Si può chiamare giudizio raziocinante (iudicium ratiocinans) ogni giudizio che si dichiara universale; infatti in quanto tale può servire quale premessa maggiore in un’inferenza della ragione. Si può invece chiamare giudizio razionale (iudicium ratiocinatum) soltanto quello che è pensato come la conclusione di un’inferenza della ragione, di conseguenza come fondato a priori.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

§ 56 Vorstellung der Antinomie des Geschmacks

Der erste Gemeinort des Geschmacks ist in dem Satze, womit sich jeder Geschmacklose gegen Tadel zu verwahren denkt, enthalten: E i n j e d e r h a t s e i n e n e i g n e n G e s c h m a c k . Das heißt so viel, als: der Bestimmungsgrund dieses Urteils ist bloß subjektiv (Vergnügen oder Schmerz); und das Urteil hat kein Recht auf die notwendige Beistimmung anderer. Der zweite Gemeinort desselben, der auch von denen sogar gebraucht wird, die dem Geschmacksurteile das Recht einräu233 men, für jedermann gültig auszuspre|chen, ist: ü b e r d e n G e s c h m a c k l ä ß t s i c h n i c h t d i s p u t i e r e n . Das heißt so viel, als: der Bestimmungsgrund eines Geschmacksurteils mag zwar auch objektiv sein, aber er1 läßt sich nicht auf bestimmte Begriffe bringen; mithin kann über das Urteil selbst durch Beweise nichts e n t s c h i e d e n werden, obgleich darüber gar wohl und mit Recht g e s t r i t t e n werden kann. Denn S t r e i t e n und D i s p u t i e r e n sind zwar darin einerlei, daß sie durch wechselseitigen Widerstand der Urteile Einhelligkeit derselben hervorzubringen suchen, darin aber verschieden, daß das letztere dieses nach bestimmten Begriffen als Beweisgründen zu bewirken hofft, mithin o b j e k t i v e B e g r i f f e als Gründe des Urteils annimmt. Wo dieses aber als untunlich betrachtet wird, da wird das Disputieren eben sowohl als untunlich beurteilt. Man sieht leicht, daß zwischen diesen zweien Gemeinörtern ein Satz fehlt, der zwar nicht sprichwörtlich im Umlaufe, aber doch in jedermanns Sinne enthalten ist, nämlich: ü b e r d e n G e s c h m a c k l ä ß t s i c h s t r e i t e n (obgleich nicht disputieren). Dieser Satz aber enthält das Gegenteil des obersten Satzes. Denn worüber es erlaubt sein soll zu streiten, da muß Hoffnung sein, unter einander überein zu kommen; mithin muß man auf Gründe des Urteils, die nicht bloß Privatgültigkeit haben und also nicht bloß subjektiv sind, rechnen können; welchem gleichwohl jener Grundsatz: e i n j e d e r h a t s e i n e n e i g n e n G e s c h m a c k , gerade entgegen ist. |

II. DIALETTICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO, § 56

§ 56 PRESENTAZIONE DELL’ANTINOMIA DEL GUSTO

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Il primo luogo comune del gusto è contenuto nella proposizione con la quale chiunque sia privo di gusto pensa di tutelarsi dal biasimo: c i a s c u n o h a i l s u o p r o p r i o g u s t o . Ciò equivale a dire che il principio di determinazione di questo giudizio è semplicemente soggettivo (soddisfacimento o dolore) e che il giudizio non ha alcun diritto al consenso necessario di altri. Il secondo luogo comune del gusto, che è utilizzato addirittura da coloro che concedono al giudizio di gusto il diritto di dichiararsi valido per tutti, è: s u l g u s t o n o n s i p u ò 233 d i s p u t a r e ; ciò significa che il principio di determinazione di un giudizio di gusto può certamente essere anche oggettivo, ma non si può ricondurre a concetti determinati; di conseguenza sul giudizio stesso non si può d e c i d e r e nulla mediante prove, benché si possa benissimo e con diritto d i s c u t e r n e . Infatti d i s c u t e r e e d i s p u t a r e sono sicuramente identici nel fatto che entrambi cercano di produrre concordia dei giudizi mediante una loro reciproca contrapposizione, ma sono diversi per il fatto che il disputare spera di realizzarla secondo concetti determinati intesi come argomenti dimostrativi e di conseguenza assume c o n c e t t i o g g e t t i v i quali fondamenti del giudizio. Tuttavia laddove ciò venga considerato come non fattibile, viene valutato altrettanto non fattibile anche il disputare. Si vede facilmente che tra questi due luoghi comuni manca una proposizione che, pur non essendo entrata nell’uso come detto proverbiale, è tuttavia comunque presente nella mente di ciascuno, vale a dire: s u l g u s t o s i p u ò d i s c u t e r e (benché non si possa disputare). Ora, questa proposizione ha un contenuto opposto alla prima. Infatti su ciò su cui deve essere permesso discutere ci deve essere la speranza di giungere a un accordo reciproco; di conseguenza si deve poter contare su fondamenti del giudizio che non abbiano semplicemente validità privata e quindi non siano semplicemente soggettivi, al che tuttavia è proprio opposto il principio fondamentale: c i a s c u n o h a i l s u o p r o p r i o g u s t o .

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Es zeigt sich also in Ansehung des Prinzips des Geschmacks folgende Antinomie: 1) T h e s i s . Das Geschmacksurteil gründet sich nicht auf Begriffen; denn sonst ließe sich darüber disputieren (durch Beweise entscheiden). 2) A n t i t h e s i s . Das Geschmacksurteil gründet sich auf Begriffen; denn sonst ließe sich, ungeachtet der Verschiedenheit 339 desselben, darüber auch || nicht einmal streiten (auf die notwendige Einstimmung anderer mit diesem Urteile Anspruch machen). 234

§ 57 Auflösung der Antinomie des Geschmacks Es ist keine Möglichkeit, den Widerstreit jener jedem Geschmacksurteile untergelegten Prinzipien (welche nichts anders sind, als die oben in der Analytik vorgestellten zwei Eigentümlichkeiten des Geschmacksurteils) zu heben, als daß man zeigt: der Begriff, worauf man das Objekt in dieser Art Urteile bezieht, werde in beiden Maximen der ästhetischen Urteilskraft nicht in einerlei Sinn genommen; dieser zwiefache Sinn, oder Gesichtspunkt, der Beurteilung sei unserer transzendentalen Urteilskraft notwendig; aber auch der Schein, in der Vermengung des einen mit dem andern, als natürliche Illusion, unvermeidlich. Auf irgend einen Begriff muß sich das Geschmacksurteil 235 beziehen; denn sonst könnte es schlechterdings | nicht auf notwendige Gültigkeit für jedermann Anspruch machen. Aber aus einem Begriffe darf es darum eben nicht erweislich sein, weil ein Begriff entweder bestimmbar, oder auch an sich unbestimmt und zugleich unbestimmbar, sein kann. Von der erstern Art ist der Verstandesbegriff, der durch Prädikate der sinnlichen Anschauung, die ihm korrespondieren kann, bestimmbar ist; von der zweiten aber der transzendentale Vernunftbegriff von dem Übersinnlichen, was1 aller jener Anschauung zum Grunde liegt, der also weiter nicht theoretisch2 bestimmt werden kann. Nun geht das Geschmacksurteil auf Gegenstände der Sinne, aber nicht um einen B e g r i f f derselben für den Verstand zu bestimmen; denn es ist kein Erkenntnisurteil. Es ist daher, als auf das Gefühl der Lust bezogene anschauliche einzelne Vor-

II. DIALETTICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO, § 57

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Riguardo al principio del gusto si manifesta dunque la se- 234 guente antinomia: 1) Te s i . Il giudizio di gusto non si fonda su concetti, perché altrimenti se ne potrebbe disputare (decidere mediante prove). 2) A n t i t e s i . Il giudizio di gusto si fonda su concetti, perché altrimenti, nonostante la differenza che presenta, non se ne potrebbe nemmeno discutere (avanzare la pretesa alla 339 necessaria concordanza di altri con questo giudizio).

§ 57 SOLUZIONE DELL’ANTINOMIA DEL GUSTO Non vi è altra possibilità di risolvere il contrasto di quei principi posti alla base di ogni giudizio di gusto (principi che non sono altro che le due peculiarità del giudizio di gusto presentate sopra nell’analitica), se non mostrando che il concetto al quale si riferisce l’oggetto in questa specie di giudizi non è assunto nello stesso senso nelle due massime della forza estetica di giudizio; che questo duplice senso, o punto di vista, della valutazione è necessario alla nostra forza trascendentale di giudizio; ma anche che la parvenza nel mischiarsi dell’uno con l’altro, in quanto illusione naturale, è inevitabile. Il giudizio di gusto deve riferirsi a un qualche concetto, perché altrimenti non potrebbe assolutamente avanzare la 235 pretesa a una necessaria validità per ciascuno. Tuttavia non può affatto essere provato a p a r t i r e d a un concetto, perché un concetto può essere o determinabile o anche in sé indeterminato e al contempo indeterminabile. Della prima specie è il concetto dell’intelletto che è determinabile mediante predicati dell’intuizione sensibile che può corrispondergli; della seconda specie, invece, è il concetto trascendentale razionale del soprasensibile che sta a fondamento di ogni intuizione di questo tipo e che dunque non può essere ulteriormente determinato teoreticamente. Ora, il giudizio di gusto riguarda oggetti dei sensi, ma non per determinarne un loro c o n c e t t o per l’intelletto: esso non è infatti un giudizio conoscitivo. Perciò, in quanto rappresentazione intuitiva singola, riferita al sentimento del pia-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

stellung, nur ein Privaturteil: und sofern würde es seiner Gültigkeit nach auf das urteilende Individuum allein beschränkt sein; der Gegenstand ist f ü r m i c h ein Gegenstand des Wohlgefallens, für andre mag es sich anders verhalten; – ein jeder hat seinen Geschmack. Gleichwohl ist ohne Zweifel im Geschmacksurteile eine erweiterte Beziehung der Vorstellung des Objekts (zugleich auch des Subjekts) enthalten, worauf wir eine Ausdehnung dieser Art Urteile, als notwendig für jedermann, gründen: welcher 340 daher3 notwendig irgend ein Begriff zum || Grunde liegen muß; 236 aber ein Begriff, | der sich gar nicht durch Anschauung bestimmen, durch den sich nichts erkennen, mithin auch k e i n B e w e i s für das Geschmacksurteil f ü h r e n l ä ß t . Ein dergleichen Begriff aber ist der bloße reine Vernunftbegriff von dem Übersinnlichen, was dem4 Gegenstande (und auch dem urteilenden Subjekte) als Sinnenobjekte, mithin als5 Erscheinung, zum Grunde liegt. Denn nähme man eine solche Rücksicht nicht an, so wäre der Anspruch des Geschmacksurteils auf allgemeine Gültigkeit nicht zu retten; wäre der Begriff, worauf es sich gründet, ein nur bloß verworrener Verstandesbegriff, etwa von Vollkommenheit, dem man korrespondierend die sinnliche Anschauung des Schönen beigeben6 könnte: so würde es wenigstens an sich möglich sein, das Geschmacksurteil auf Beweise zu gründen; welches der Thesis widerspricht. Nun fällt aber aller Widerspruch weg, wenn ich sage: das Geschmacksurteil gründet sich auf einem Begriffe (eines Grundes überhaupt von der subjektiven Zweckmäßigkeit der Natur für die Urteilskraft), aus dem aber nichts in Ansehung des Objekts erkannt und bewiesen werden kann, weil er an sich unbestimmbar und zum Erkenntnis untauglich ist; es bekommt aber durch eben denselben doch zugleich Gültigkeit für jedermann (bei jedem zwar als einzelnes, die Anschauung unmittelbar begleitendes, Urteil): weil der Bestimmungsgrund desselben viel237 leicht im Begriffe von demjenigen | liegt, was als das übersinnliche Substrat der Menschheit angesehen werden kann. Es kommt bei der Auflösung einer Antinomie nur auf die Möglichkeit an, daß zwei einander dem Scheine nach widerstreitende Sätze einander in der Tat nicht widersprechen, son-

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cere, è solo un giudizio privato, e in tal misura esso sarebbe limitato, quanto alla sua validità, al solo individuo che giudica; l’oggetto è p e r m e un oggetto di compiacimento, per altri può andare diversamente; – ciascuno ha il suo gusto. Tuttavia, nel giudizio di gusto è senza dubbio contenuto un riferimento più ampio della rappresentazione dell’oggetto (e al contempo anche del soggetto) e su questo fondiamo un’estensione di questa specie di giudizi come necessari per ciascuno: di conseguenza, a fondamento di tale specie di giudizi deve necessariamente stare un qualche concetto, però un 340 concetto che non può essere determinato affatto mediante 236 intuizione, con il quale non si può conoscere nulla e che, dunque, n o n p u ò nemmeno a d d u r r e a l c u n a p r o v a per il giudizio di gusto. Ma un tale concetto è il semplice concetto puro della ragione del soprasensibile che sta a fondamento dell’oggetto (e anche del soggetto che giudica) in quanto oggetto dei sensi, e quindi come fenomeno. Infatti, se non si assumesse questa prospettiva, non potrebbe essere salvata la pretesa del giudizio di gusto alla validità universale; se il concetto sul quale si fonda tale giudizio fosse solo un concetto semplicemente confuso dell’intelletto, per esempio quello di perfezione, al quale si possa aggiungere corrispondentemente l’intuizione sensibile del bello, allora sarebbe almeno in sé possibile fondare il giudizio di gusto su prove; il che contraddice la tesi. Ora però ogni contraddizione cade se dico che il giudizio di gusto si fonda su un concetto (di un fondamento in generale della conformità soggettiva della natura al fine per la forza di giudizio) a partire dal quale però non si può né conoscere né provare nulla riguardo all’oggetto, perché tale concetto è in sé indeterminabile e inadatto per la conoscenza; ma proprio mediante questo concetto il giudizio acquista nel contempo validità per ciascuno (pur rimanendo in ciascuno un giudizio singolare che accompagna immediatamente l’intuizione), perché il suo principio di determinazione sta forse nel concetto di ciò che può essere considerato come il sostra- 237 to soprasensibile dell’umanità. Nella soluzione di un’antinomia importa solo la possibilità che due proposizioni apparentemente contrastanti non si contraddicano realmente, ma possano sussistere l’una

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dern neben einander bestehen können, wenn gleich die Erklärung der Möglichkeit ihres Begriffs unser Erkenntnisvermögen übersteigt. Daß dieser Schein auch natürlich und der menschlichen Vernunft unvermeidlich sei, imgleichen warum er es sei und bleibe, ob er gleich nach der Auflösung des Scheinwiderspruchs nicht betrügt, kann hieraus auch begreiflich gemacht werden. Wir nehmen nämlich den Begriff, worauf die Allgemeingültigkeit eines Urteils sich gründen muß, in beiden widerstreitenden Urteilen in einerlei Bedeutung, und sagen doch von ihm zwei entgegengesetzte Prädikate aus. In der Thesis sollte es daher heißen: Das Geschmacksurteil gründet sich nicht auf b e s t i m m t e n Begriffen; in der Antithesis aber: Das Geschmacks341 urteil gründet sich doch auf einem, obzwar unbe stimm ||ten, Begriffe (nämlich vom übersinnlichen Substrat der Erscheinungen); und alsdann wäre zwischen ihnen kein Widerstreit. Mehr, als diesen Widerstreit in den Ansprüchen und Gegenansprüchen des Geschmacks zu heben, können wir nicht lei238 sten. Ein bestimmtes objektives Prinzip | des Geschmacks, wornach die Urteile desselben geleitet, geprüft und bewiesen werden könnten, zu geben, ist schlechterdings unmöglich; denn es wäre alsdenn kein Geschmacksurteil. Das subjektive Prinzip, nämlich die unbestimmte Idee des Übersinnlichen in uns, kann nur als der einzige Schlüssel der Enträtselung dieses uns selbst seinen Quellen nach verborgenen Vermögens angezeigt, aber durch nichts weiter begreiflich gemacht werden. Der hier aufgestellten und ausgeglichenen Antinomie liegt der richtige Begriff des Geschmacks, nämlich als einer bloß reflektierenden ästhetischen Urteilskraft, zum Grunde; und da wurden beide dem Scheine nach widerstreitende Grundsätze mit einander vereinigt, indem b e i d e w a h r s e i n k ö n n e n , welches auch genug ist. Würde dagegen zum Bestimmungsgrunde des Geschmacks (wegen der Einzelnheit der Vorstellung, die dem Geschmacksurteil zum Grunde liegt), wie von einigen geschieht, die A n n e h m l i c h k e i t , oder, wie andere (wegen der Allgemeingültigkeit desselben) wollen, das Prinzip der Vo l l k o m m e n h e i t angenommen, und die Definition des Geschmacks darnach eingerichtet: so entspringt daraus eine Antinomie, die schlechterdings nicht auszugleichen ist, als so, daß man zeigt, daß b e i d e einander (aber nicht bloß kontra-

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accanto all’altra, benché la spiegazione della possibilità del loro concetto superi la nostra facoltà conoscitiva. A partire da qui si può far capire che questa parvenza è anche naturale e inevitabile per la ragione umana, e permette anche di capire perché sia e rimanga tale, sebbene, dopo che la contraddizione della parvenza ha ottenuto una soluzione, non inganni più. Infatti, noi assumiamo il concetto sul quale deve fondarsi la validità universale di un giudizio in un unico significato nei due giudizi contrastanti, e tuttavia enunciamo di esso due predicati opposti. Dunque nella tesi bisognerebbe dire: il giudizio di gusto non si fonda su concetti d e t e r m i n a t i ; nell’antitesi invece: il giudizio di gusto si fonda sì su un concetto, benché i n d e t e r m i n a t o (appunto il concetto del sostrato 341 soprasensibile dei fenomeni); e allora tra i due giudizi non ci sarebbe più alcun contrasto. Più che eliminare questo contrasto nelle pretese e contropretese del gusto, noi non possiamo fare. Dare un principio oggettivo determinato del gusto, secondo il quale potrebbero 238 essere guidati, esaminati e provati i suoi giudizi, è assolutamente impossibile, perché allora non sarebbe un giudizio di gusto. Il principio soggettivo, cioè l’idea indeterminata del soprasensibile in noi, può solo essere indicato come l’unica chiave che permette di risolvere l’enigma di questa facoltà nascosta a noi stessi quanto alle sue fonti, ma nulla può rendere tale principio ulteriormente comprensibile. A fondamento dell’antinomia qui esposta e appianata sta il corretto concetto del gusto, cioè quello di una forza estetica di giudizio semplicemente riflettente; e in questo modo sono stati conciliati i due principi, stando alla parvenza, in contrasto tra loro, in quanto e n t r a m b i p o s s o n o e s s e r e v e r i : il che è sufficiente. Se invece si assumesse come principio di determinazione del gusto (per via della singolarità della rappresentazione che sta a fondamento del giudizio di gusto), come fanno alcuni, la g r a d e v o l e z z a oppure, come vogliono altri (per via della sua validità universale), il principio della p e r f e z i o n e , e se si volesse stabilire su questa base la definizione del gusto, allora ne sorgerebbe un’antinomia che non si potrebbe assolutamente appianare se non mostrando che e n t r a m b e l e p r o p o s i z i o n i opposte (ma non in

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

diktorisch) entgegenstehende S ä t z e f a l s c h s i n d : welches dann beweiset, daß der Begriff, worauf ein jeder gegründet ist, | 239 sich selbst widerspreche. Man sieht also, daß die Hebung der Antinomie der ästhetischen Urteilskraft einen ähnlichen Gang nehme mit dem, welchen die7 Kritik in Auflösung der Antinomien der reinen theoretischen Vernunft befolgte; und daß, eben so hier und auch in der Kritik der praktischen Vernunft, die Antinomien wider Willen nötigen, über das Sinnliche hinaus zu sehen, und im Übersinnlichen den Vereinigungspunkt aller unserer Vermögen a priori zu suchen: weil kein anderer Ausweg übrig bleibt, die Vernunft mit sich selbst einstimmig zu machen.

Anmerkung I Da wir in der Transzendental-Philosophie so oft Veranlassung finden, Ideen von Verstandesbegriffen zu unterscheiden, 342 so kann es von || Nutzen sein, ihrem Unterschiede angemessene Kunstausdrücke einzuführen. Ich glaube, man werde nichts dawider haben, wenn ich einige in8 Vorschlag bringe. — Ideen in der allgemeinsten Bedeutung sind, nach einem gewissen (subjektiven oder objektiven) Prinzip, auf einen Gegenstand bezogene Vorstellungen, sofern sie doch nie eine Erkenntnis desselben werden können. Sie sind entweder nach einem bloß subjektiven Prinzip der Übereinstimmung der Erkenntnisvermögen unter einander (der Einbildungskraft und des Verstandes) auf eine Anschauung bezogen: und heißen alsdann ä s t h e t i s c h e , oder nach einem objektiven Prinzip auf einen Begriff bezogen, können aber doch9 nie eine Erkenntnis des Gegenstandes abgeben: und heißen Vernunftideen; in welchem Falle der Begriff ein t r a n s z e n d e n t e r Begriff ist, welcher 240 vom Verstandesbegriffe, | dem jederzeit eine adäquat korrespondierende Erfahrung untergelegt werden kann, und der darum i m m a n e n t heißt, unterschieden ist. Eine ä s t h e t i s c h e I d e e kann keine Erkenntnis werden, weil sie eine A n s c h a u u n g (der Einbildungskraft) ist, der niemals ein Begriff adäquat gefunden werden kann. Eine Ve r n u n f t i d e e kann nie Erkenntnis werden, weil sie einen B e g r i f f (vom Übersinnlichen) enthält, dem niemals eine Anschauung angemessen gegeben werden kann.

II. DIALETTICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO, § 57 NOTA I

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modo semplicemente contraddittorio) s o n o f a l s e : il che allora dimostrerebbe che il concetto sul quale ciascuna proposizione si fonda contraddice se stesso. Si vede dunque che l’e- 239 liminazione dell’antinomia della forza estetica di giudizio prende un corso simile a quello che seguì la Critica nella soluzione delle antinomie della ragione pura teoretica; e che anche qui, come pure nella Critica della ragione pratica, le antinomie ci costringono, contro la nostra volontà, a guardare al di là del sensibile e a cercare nel soprasensibile il punto di unificazione di tutte le nostre facoltà a priori: non resta, infatti, alcun’altra via d’uscita per mettere la ragione in accordo con se stessa95. NOTA I

Dato che nella filosofia trascendentale troviamo così spesso l’occasione di distinguere le idee dai concetti dell’intelletto, può essere utile introdurre espressioni tecniche adeguate 342 alla loro distinzione. Credo che non si avrà niente in contrario se ne propongo alcune. — Le idee, nel significato più generale, sono rappresentazioni riferite a un oggetto secondo un certo principio (soggettivo o oggettivo), in quanto non possono tuttavia mai diventare una conoscenza dell’oggetto stesso. Le idee sono riferite o a un’intuizione, secondo un principio semplicemente soggettivo dell’accordo delle facoltà conoscitive tra loro (della forza di immaginazione e dell’intelletto), ed allora esse si chiamano e s t e t i c h e , o a un concetto secondo un principio oggettivo, ma senza poter tuttavia mai dare una conoscenza dell’oggetto, e allora si chiamano idee della ragione; in questo caso il concetto è un concetto t r a s c e n d e n t e , che è diverso dal concetto dell’intelletto, al quale può sempre essere sottoposta un’esperienza che gli cor- 240 risponde in modo adeguato e che per questo motivo è chiamato i m m a n e n t e . Un’ i d e a e s t e t i c a non può diventare una conoscenza perché è un’ i n t u i z i o n e (della forza di immaginazione) per la quale non può mai essere trovato un concetto adeguato. Un’ i d e a d e l l a r a g i o n e non può mai diventare una conoscenza perché contiene un c o n c e t t o (del soprasensibile) per il quale non può mai essere data un’intuizione conforme.

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Nun glaube ich, man könne die ästhetische Idee eine i n e x p o n i b l e Vorstellung der Einbildungskraft, die Vernunftidee aber einen i n d e m o n s t r a b e l n Begriff der Vernunft nennen. Von beiden wird vorausgesetzt, daß sie nicht etwa gar grundlos, sondern (nach der obigen Erklärung einer Idee überhaupt) gewissen Prinzipien der Erkenntnisvermögen, wozu10 sie gehören, (jene den subjektiven, diese objektiven Prinzipien) gemäß erzeugt seien. Ve r s t a n d e s b e g r i f f e müssen, als solche, jederzeit demonstrabel sein (wenn unter Demonstrieren, wie in der Anatomie, bloß das D a r s t e l l e n verstanden wird)11; d. i. der ihnen korrespondierende Gegenstand muß jederzeit in der Anschauung (reinen oder empirischen) gegeben werden können: denn dadurch allein können sie Erkenntnisse werden. Der Begriff der G r ö ß e kann in der Raumesanschauung a priori, z. B. einer geraden Linie u.s.w., gegeben werden; der Begriff der U r s a c h e an der Undurchdringlichkeit, dem Stoße der Körper, u.s.w. Mithin können beide durch eine empirische Anschauung belegt, d. i. der Gedanke12 davon an einem Beispiele gewiesen (demonstriert, aufgezeigt) werden; und dieses muß 343 gesche||hen können: widrigenfalls man nicht gewiß ist, ob der Gedanke13 nicht leer, d. i. ohne alles O b j e k t sei. | 241 Man bedient sich in der Logik der Ausdrücke des Demonstrabeln oder Indemonstrabeln gemeiniglich nur in Ansehung der S ä t z e ; da die ersteren besser durch die Benennung der nur mittelbar, die zweiten der u n m i t t e l b a r- g e w i s s e n Sätze könnten bezeichnet werden: denn die reine Philosophie hat auch Sätze von beiden Arten, wenn darunter beweisfähige und beweisunfähige wahre Sätze verstanden werden. Allein aus14 Gründen a priori kann sie, als Philosophie, zwar beweisen, aber nicht demonstrieren; wenn man nicht ganz und gar von der Wortbedeutung abgehen will, nach welcher demonstrieren (ostendere, exhibere) so viel heißt, als (es sei im15 Beweisen oder auch bloß im Definieren) seinen Begriff zugleich in der Anschauung darstellen: welche16, wenn sie Anschauung a priori ist, das Konstruieren desselben heißt, wenn sie aber auch empirisch ist, gleichwohl17 die Vorzeigung des Objekts bleibt18,

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Ora, credo che si possa chiamare l’idea estetica una rappresentazione i n e s p o n i b i l e della forza di immaginazione, mentre l’idea della ragione un concetto i n d i m o s t r a b i l e della ragione. Di entrambe le idee si presuppone che esse siano state generate non certo del tutto senza fondamento, ma (secondo la precedente definizione di una idea in generale) conformemente a certi principi delle facoltà conoscitive a cui appartengono (principi soggettivi per la prima, oggettivi per la seconda). I c o n c e t t i d e l l ’ i n t e l l e t t o devono, come tali, essere sempre dimostrabili (se per «dimostrare», come nell’antinomia, si intende semplicemente l’ e s i b i r e ), e cioè l’oggetto ad essi corrispondente deve sempre poter essere dato nell’intuizione (pura o empirica); infatti è soltanto così che i concetti possono diventare conoscenze. Il concetto di g r a n d e z z a può essere dato nella intuizione a priori dello spazio, per esempio di una linea retta, ecc.; il concetto di c a u s a può essere dato nell’impenetrabilità, nell’urto dei corpi, ecc. Di conseguenza entrambi i concetti possono essere attestati da un’intuizione empirica, e ciò significa che il loro pensiero può essere mostrato (dimostrato, indicato) in un esempio, e questo deve poter accadere dato che, in caso contrario, non si è 343 certi se il pensiero non sia vuoto, cioè senza alcun o g g e t t o . Nella logica ci si serve comunemente delle espressioni 241 «dimostrabile» o «indimostrabile» unicamente riguardo a p r o p o s i z i o n i : laddove le prime potrebbero essere designate in modo più appropriato chiamandole proposizioni certe solo mediatamente, e le seconde chiamandole proposizioni c e r t e i m m e d i a t a m e n t e ; infatti la filosofia pura possiede proposizioni di entrambi i tipi, se con esse si intendono proposizioni vere suscettibili o non suscettibili di essere provate. Essa, in quanto filosofia, può certo provare solo a partire da principi a priori, ma non può dimostrare, a meno che non si voglia allontanare del tutto dal significato della parola, in forza del quale «dimostrare» (ostendere, exhibere) vuol dire lo stesso che (nel provare come pure semplicemente nel definire) esibire insieme il suo concetto nell’intuizione: la quale, se è un’intuizione a priori, vuol dire costruire questo concetto, mentre, se è anche empirica, continua comunque a essere la presentazione dell’oggetto mediante la quale viene

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

durch welche dem Begriffe die objektive Realität gesichert wird. So sagt man von einem Anatomiker: er demonstriere das menschliche Auge, wenn er den Begriff, den er vorher diskursiv vorgetragen hat, vermittelst der Zergliederung dieses Organs anschaulich macht. Diesem zufolge ist der Vernunftbegriff vom übersinnlichen Substrat aller Erscheinungen überhaupt, oder auch von dem, was unserer Willkür in Beziehung auf moralische Gesetze zum Grunde gelegt werden muß, nämlich von19 der transzendentalen Freiheit, schon der Spezies nach ein indemonstrabler Begriff und Vernunftidee, Tugend aber ist dies20 dem Grade nach: weil dem ersteren an sich gar nichts der Qualität nach in der Erfahrung Korrespondierendes gegeben werden kann, in der zweiten aber kein Erfahrungsprodukt jener Kausalität den Grad erreicht, den die Vernunftidee zur Regel vorschreibt. | 242 So wie an einer Vernunftidee die E i n b i l d u n g s k r a f t , mit ihren Anschauungen, den gegebenen Begriff nicht erreicht: so erreicht bei einer ästhetischen Idee der Ve r s t a n d , durch seine Begriffe, nie die ganze innere Anschauung der Einbildungskraft, welche sie mit einer gegebenen Vorstellung verbindet. Da nun eine Vorstellung der Einbildungskraft auf Begriffe bringen so viel heißt, als sie e x p o n i e r e n : so kann die ästhetische Idee eine i n e x p o n i b l e Vorstellung derselben (in ihrem freien Spiele) genannt werden. Ich werde von dieser Art Ideen in der Folge noch einiges auszuführen Gelegenheit haben; jetzt 344 bemerke ich nur: daß beide Ar||ten von Ideen, die Vernunftideen sowohl als die ästhetischen, ihre Prinzipien haben müssen; und zwar beide in der Vernunft, jene in den objektiven, diese in den subjektiven Prinzipien ihres Gebrauchs. Man kann diesem zufolge G e n i e auch durch das Vermögen ä s t h e t i s c h e r I d e e n erklären: wodurch zugleich der Grund angezeigt wird, warum in Produkten des Genies die Natur (des Subjekts), nicht ein überlegter Zweck, der Kunst (der Hervorbringung des Schönen) die Regel gibt. Denn da das Schöne nicht nach Begriffen beurteilt werden muß, sondern nach der zweckmäßigen Stimmung der Einbildungskraft zur Übereinstimmung mit dem Vermögen der Begriffe überhaupt: so kann nicht Regel und Vorschrift, sondern nur das, was bloß Natur im Sub-

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assicurata al concetto la realtà oggettiva. Così si dice di un anatomista che dimostra l’occhio umano quando rende intuibile, attraverso la dissezione di questo organo, il concetto che ha prima esposto in modo discorsivo. In conseguenza di ciò, il concetto razionale del sostrato soprasensibile di tutti i fenomeni in generale, o anche di ciò che deve essere posto a fondamento del nostro arbitrio in riferimento alle leggi morali, cioè della libertà trascendentale, è già per la specie di cui fa parte un concetto indimostrabile e un’idea della ragione, mentre la virtù è tale per il grado: infatti al primo concetto in sé non è dato, per la qualità, assolutamente nulla che possa corrispondergli nell’esperienza, mentre, nel secondo concetto, nessun prodotto dell’esperienza derivante da quella causalità raggiunge il grado che l’idea della ragione prescrive quale regola. Come la f o r z a d i i m m a g i n a z i o n e non raggiunge 242 mai con le sue intuizioni il concetto dato in un’idea della ragione, così l’ i n t e l l e t t o , nel caso di un’idea estetica, non raggiunge mai mediante i suoi concetti l’intera intuizione interna della forza di immaginazione che questa collega a una rappresentazione data. Ora, dato che ricondurre una rappresentazione della forza di immaginazione a concetti equivale a e s p o r l a , l’idea estetica può essere designata come una rappresentazione i n e s p o n i b i l e della forza di immaginazione (nel suo libero gioco). In seguito avrò occasione di aggiungere ancora qualcosa a proposito di questa specie di idee, ma per il momento sottolineo soltanto che le due specie di idee, 344 le idee della ragione come pure le idee estetiche, devono avere i loro principi e anzi ambedue nella ragione, le prime nei principi oggettivi, le seconde nei principi soggettivi del suo uso. Di conseguenza si può definire il g e n i o anche mediante la facoltà delle i d e e e s t e t i c h e : con ciò è nel contempo indicato il motivo per cui nei prodotti del genio è la natura (del soggetto), e non un fine ponderato, che dà la regola all’arte (della produzione del bello). Infatti, poiché il bello deve essere valutato non secondo concetti, ma secondo la disposizione conforme al fine della forza di immaginazione ad accordarsi con la facoltà dei concetti in generale, allora non una regola né una prescrizione, bensì solo ciò che nel sogget-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

jekte ist, aber nicht unter Regeln oder Begriffe gefaßt werden kann, d. i. das übersinnliche Substrat aller seiner Vermögen (welches kein Verstandesbegriff erreicht), folglich das, auf welches in Beziehung alle21 unsere Erkenntnisvermögen zusammenstimmend zu machen der letzte durch das Intelligible unserer Natur gegebene Zweck ist, jener ästhetischen, aber unbedingten Zweck243 mäßigkeit in der schönen Kunst, die jedermann | gefallen zu müssen rechtmäßigen Anspruch machen soll, zum subjektiven Richtmaße dienen. So ist es auch allein möglich, daß dieser, der man kein objektives Prinzip vorschreiben kann, ein subjektives und doch allgemeingültiges Prinzip a priori zum Grunde liege. Anmerkung II Folgende wichtige Bemerkung bietet sich hier von selbst dar: daß es nämlich d r e i e r l e i A r t e n d e r A n t i n o m i e der reinen Vernunft gebe, die aber alle darin übereinkommen, daß sie dieselbe zwingen, von der sonst sehr natürlichen Voraussetzung, die Gegenstände der Sinne für die Dinge an sich selbst zu halten, abzugehen, sie vielmehr bloß für Erscheinungen gelten zu lassen, und ihnen ein intelligibles Substrat (etwas Übersinnliches, wovon der Begriff nur Idee ist und keine eigentliche Erkenntnis zuläßt) unterzulegen. Ohne eine solche Antinomie würde die Vernunft sich niemals zu Annehmung eines solchen das Feld ihrer Spekulation so sehr verengenden Prinzips, und zu Aufopferungen, wobei so viele sonst sehr schimmernde Hoffnungen gänzlich verschwinden müssen, entschließen können; denn selbst jetzt, da sich ihr zur Vergütung dieser Einbuße ein um desto größerer Gebrauch in praktischer Rücksicht eröffnet, 345 scheint sie sich || nicht ohne Schmerz von jenen Hoffnungen trennen und von der alten Anhänglichkeit losmachen zu können. Daß es drei Arten der Antinomie gibt, hat seinen Grund darin, daß es drei Erkenntnisvermögen: Verstand, Urteilskraft und Vernunft gibt, deren jedes (als oberes Erkenntnisvermögen) seine Prinzipien a priori haben muß; da denn die Vernunft, sofern sie über diese Prinzipien selbst und ihren Gebrauch 244 urteilt, in Ansehung ihrer aller zu | dem gegebenen Bedingten unnachlaßlich das Unbedingte fordert, welches sich doch nie finden läßt, wenn man das Sinnliche, als zu den Dingen an sich selbst gehörig betrachtet, und ihm nicht vielmehr, als bloßer

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to è semplicemente natura, senza che però possa essere colto sotto regole o concetti, cioè il sostrato soprasensibile di tutte le sue facoltà (che nessun concetto dell’intelletto raggiunge), di conseguenza ciò in riferimento a cui esercitare in armonia tutte le nostre facoltà conoscitive è il fine ultimo dato dall’intelligibile alla nostra natura, può servire da criterio soggettivo di quella conformità estetica, eppure incondizionata, al fine che opera nelle belle arti, la quale deve avanzare la legittima 243 pretesa di dover piacere a ognuno. Solo così è anche possibile che possa stare a fondamento di tale conformità al fine, alla quale non si può prescrivere alcun principio oggettivo, un principio a priori soggettivo e tuttavia valido universalmente. NOTA II

Si presenta qui da sé l’importante osservazione che segue: esistono t r e s p e c i e d i a n t i n o m i e della ragione pura, le quali però convengono tutte nel fatto che costringono la ragione a scostarsi dalla presupposizione, peraltro più che naturale, di ritenere gli oggetti dei sensi come cose in sé, a farli piuttosto valere semplicemente come fenomeni e ponendo alla loro base un sostrato intelligibile (qualcosa di soprasensibile, il cui concetto è soltanto un’idea e non permette alcuna vera conoscenza). Senza una tale antinomia la ragione non potrebbe mai risolversi all’accettazione di un tale principio che restringe a tal punto il campo della sua speculazione e a sacrifici con cui così tante speranze, altrimenti molto brillanti, devono totalmente dissolversi; infatti, anche ora che a compenso di questa perdita le si apre nell’aspetto pratico un uso tanto più vasto, la ragione non sembra poter separarsi senza dolore 345 da quelle speranze e sciogliersi dall’antico attaccamento. Che ci siano tre specie di antinomie ha il suo fondamento nel fatto che ci sono tre facoltà conoscitive: intelletto, forza di giudizio e ragione, ciascuna delle quali (in quanto facoltà conoscitiva superiore) deve avere i suoi principi a priori; infatti la ragione, giudicando di questi stessi principi e del loro uso, riguardo a tutti loro richiede incessantemente, per il condi- 244 zionato dato, l’incondizionato, il quale tuttavia non può mai essere trovato se si considera il sensibile come appartenente alle cose in sé e se piuttosto non gli si pone alla base, in quan-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Erscheinung, etwas Übersinnliches (das intelligible Substrat der Natur außer uns und in uns) als Sache an sich selbst unterlegt. Da gibt es dann 1) eine Antinomie der Vernunft in Ansehung des theoretischen Gebrauchs des Verstandes bis zum Unbedingten hinauf f ü r d a s E r k e n n t n i s v e r m ö g e n ; 2) eine Antinomie der Vernunft in Ansehung des ästhetischen Gebrauchs der Urteilskraft f ü r d a s G e f ü h l d e r L u s t u n d U n l u s t ; 3) eine Antinomie in Ansehung des praktischen Gebrauchs der an sich selbst gesetzgebenden Vernunft f ü r d a s B e g e h r u n g s v e r m ö g e n : sofern alle diese Vermögen ihre obere Prinzipien a priori haben, und, gemäß einer unumgänglichen Forderung der Vernunft, nach diesen Prinzipien auch u n b e d i n g t müssen urteilen und ihr Objekt bestimmen können22. In Ansehung zweier Antinomien, der des theoretischen und der des praktischen Gebrauchs, jener obern Erkenntnisvermögen haben wir die U n v e r m e i d l i c h k e i t derselben, wenn dergleichen Urteile nicht auf ein übersinnliches Substrat der gegebenen Objekte, als Erscheinungen, zurücksehen, dagegen aber auch die A u f l ö s l i c h k e i t derselben, sobald das letztere geschieht, schon anderwärts gezeigt. Was nun die Antinomie im Gebrauch der Urteilskraft, gemäß der Forderung der Vernunft, und deren hier gegebene Auflösung betrifft: so gibt es kein anderes Mittel, derselben auszuweichen, als e n t w e d e r zu leugnen, daß dem ästhetischen Geschmacksurteile irgend ein Prinzip a priori zum Grunde liege, so daß23 aller Anspruch auf Notwendigkeit allgemeiner Beistimmung grundloser leerer 245 Wahn sei, und ein Ge|schmacksurteil nur sofern für richtig gehalten zu werden verdiene, weil e s s i c h t r i f f t , daß viele in Ansehung desselben übereinkommen, und auch dieses eigentlich nicht um deswillen, weil man hinter dieser Einstimmung ein Prinzip a priori v e r m u t e t , sondern (wie im Gaumenge346 schmack), weil die Subjekte zufälliger Weise gleichförmig || organisiert seien24; o d e r man müßte annehmen, daß das Geschmacksurteil eigentlich ein verstecktes Vernunfturteil über die an einem Dinge und die Beziehung des Mannigfaltigen in ihm zu einem Zwecke entdeckte Vollkommenheit sei, mithin nur um der Verworrenheit willen, die dieser unserer Reflexion anhängt, ästhetisch genannt werde, ob es gleich im Grunde teleologisch sei: in welchem Falle man die Auflösung der Antinomie durch transzendentale Ideen für unnötig und nichtig

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to semplice fenomeno, qualcosa di soprasensibile (il sostrato intelligibile della natura fuori di noi e in noi) quale cosa in sé. Allora ci sono: 1) p e r l a f a c o l t à d i c o n o s c e r e , un’antinomia della ragione riguardo all’uso teoretico dell’intelletto fino all’incondizionato; 2) p e r i l s e n t i m e n t o d e l p i a c e r e e d i s p i a c e r e , un’antinomia della ragione riguardo l’uso estetico della forza di giudizio; 3) p e r l a f a c o l t à d i d e s i d e r a r e , un’antinomia riguardo all’uso pratico della ragione in se stessa legislativa; ciò accade nella misura in cui tutte queste facoltà hanno i loro principi superiori a priori e devono, conformemente a un’esigenza irrinunciabile della ragione, anche poter giudicare e determinare il loro oggetto secondo questi principi i n m o d o i n c o n d i zionato. Riguardo a due antinomie, quella dell’uso teoretico e quella dell’uso pratico, di quelle facoltà conoscitive superiori, abbiamo già mostrato altrove la loro i n e v i t a b i l i t à se tali giudizi non si rivolgono a un sostrato soprasensibile degli oggetti dati come fenomeni, e anche per contro la loro r i s o l u b i l i t à non appena ciò avviene. Ora, per quanto riguarda l’antinomia nell’uso della forza di giudizio conformemente all’esigenza della ragione e alla soluzione che qui ne è stata data, non c’è altro mezzo per evitarla se non questo: o negare che ci sia a fondamento del giudizio estetico di gusto un qualche principio a priori, cosicché ogni pretesa alla necessità di un consenso universale sia un’illusione infondata e vana, e che un giudizio di gusto merita di essere ritenuto giusto sol- 245 tanto perché c a p i t a che molti si accordano su di esso, e ciò anche, a dire il vero, non perché si p r e s u m e dietro questo accordo un principio a priori, bensì perché (come nel gusto del palato) i soggetti sono in modo contingente organizzati 346 uniformemente; o p p u r e si dovrebbe ammettere che il giudizio di gusto corrisponde propriamente a un giudizio celato della ragione sulla perfezione scoperta in una cosa e nel riferimento del molteplice contenuto in essa per un fine, e che di conseguenza questo giudizio sarebbe chiamato estetico soltanto a causa della confusione insita in questa nostra riflessione, benché sia in fondo un giudizio teleologico: nel qual caso si potrebbe dichiarare inutile e nulla la soluzione dell’antinomia mediante idee trascendentali e così si potrebbero unire

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

erklären, und so mit den Objekten der Sinne nicht als bloßen Erscheinungen, sondern auch als Dingen an sich selbst, jene Geschmacksgesetze vereinigen könnte. Wie wenig aber die eine sowohl als die andere Ausflucht verschlage, ist an mehrern Orten in der Exposition der Geschmacksurteile gezeigt worden. Räumt man aber unserer Deduktion wenigstens so viel ein, daß sie auf dem rechten Wege geschehe, wenn gleich noch nicht in allen Stücken hell genug gemacht sei, so zeigen sich drei Ideen: e r s t l i c h des Übersinnlichen überhaupt, ohne weitere Bestimmung, als Substrats der Natur; z w e i t e n s eben desselben, als Prinzips der subjektiven Zweckmäßigkeit der Natur für unser Erkenntnisvermögen; d r i t t e n s eben desselben, als Prinzips der Zwecke der Freiheit und Prinzips der Übereinstimmung derselben mit jener im Sittlichen. | 246

§ 58 Vom Idealismus der Zweckmässigkeit der Natur sowohl als Kunst, als dem alleinigen Prinzip der ästhetischen Urteilskraft

Man kann zuvörderst das Prinzip des Geschmacks entweder darin setzen, daß dieser jederzeit nach empirischen Bestimmungsgründen, und also nach solchen, die nur a posteriori durch Sinne gegeben werden, oder man kann einräumen, daß er aus einem Grunde a priori urteile. Das erstere wäre der E m p i r i s m der Kritik des Geschmacks, das zweite der R a t i o n a l i s m derselben. Nach dem e r s t e n wäre das Objekt unseres Wohlgefallens nicht vom A n g e n e h m e n , nach dem z w e i t e n , wenn das Urteil auf bestimmten Begriffen beruhete, nicht vom G u t e n unterschieden; und so würde alle S c h ö n h e i t aus der Welt weggeleugnet, und nur ein besonderer Namen, vielleicht für eine gewisse Mischung von beiden vorgenannten Arten des Wohlgefallens, an dessen Statt übrig bleiben. 347 Allein || wir haben gezeigt, daß es auch Gründe des Wohlgefallens a priori gebe, die also mit dem Prinzip des Rationalisms zusammen bestehen können, ungeachtet sie nicht in b e s t i m m t e B e g r i f f e gefaßt werden können. Der Rationalism des Prinzips des Geschmacks ist dagegen entweder der des R e a l i s m s der Zweckmäßigkeit, oder des 247 I d e a l i s m s derselben. Weil nun | ein Geschmacksurteil kein Erkenntnisurteil, und Schönheit keine Beschaffenheit des

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quelle leggi del gusto con gli oggetti dei sensi considerati non come semplici fenomeni, bensì anche quali cose in se stesse. Ma a più riprese, nell’esposizione dei giudizi di gusto, si è mostrato quanto poco servano sia l’una sia l’altra scappatoia. Tuttavia, se si concede alla nostra deduzione almeno di procedere sulla strada giusta, benché non sia ancora stata sufficientemente chiarita in tutti i suoi momenti, si riveleranno allora tre idee: i n p r i m o l u o g o quella del soprasensibile in generale, senza ulteriore determinazione, in quanto sostrato della natura; i n s e c o n d o l u o g o , del soprasensibile come principio della conformità soggettiva della natura al fine per la nostra facoltà conoscitiva; i n t e r z o l u o g o , sempre del soprasensibile come principio dei fini della libertà e principio dell’accordo di questi fini con la libertà nella moralità. § 58 DELL’IDEALISMO DELLA CONFORMITÀ DELLA NATURA, COME PURE DELL’ARTE, AL FINE QUALE UNICO PRINCIPIO

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DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Si può innanzitutto porre il principio del gusto o nel fatto che esso giudica sempre secondo principi di determinazione empirici, tali quindi da essere dati solo a posteriori mediante i sensi, oppure si può ammettere che giudichi a partire da un principio a priori. Il primo caso sarebbe l’ e m p i r i s m o della critica del gusto, il secondo il suo r a z i o n a l i s m o . Secondo il p r i m o , l’oggetto del nostro compiacimento non sarebbe distinto dal g r a d e v o l e , quanto al s e c o n d o , se il giudizio si basasse su concetti determinati, non sarebbe distinto dal b u o n o ; e così verrebbe bandita ogni b e l l e z z a dal mondo e al suo posto resterebbe solo un nome particolare per indicare forse una certa mescolanza delle due specie di compiacimento appena menzionate. Però abbiamo mostrato che ci 347 sono anche principi a priori del compiacimento, i quali possono dunque coesistere con il principio del razionalismo, sebbene non possano essere colti in c o n c e t t i d e t e r m i n a t i . Il razionalismo del principio del gusto è invece o quello del realismo della conformità al fine o quello del suo idealismo. Ora, poiché un giudizio di gusto non è un giudizio 247 conoscitivo e la bellezza non è una qualità dell’oggetto, consi-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

Objekts, für sich betrachtet, ist: so kann der Rationalism des Prinzips des Geschmacks niemals darin gesetzt werden, daß die Zweckmäßigkeit in diesem Urteile als objektiv gedacht werde, d. i. daß das Urteil theoretisch, mithin auch logisch (wenn gleich nur in einer verworrenen Beurteilung), auf die Vollkommenheit des Objekts, sondern nur ä s t h e t i s c h , auf die Übereinstimmung seiner Vorstellung in der Einbildungskraft mit den wesentlichen Prinzipien der Urteilskraft überhaupt, im Subjekte, gehe. Folglich kann, selbst nach dem Prinzip des Rationalisms, das Geschmacksurteil und der Unterschied des Realisms und Idealisms desselben nur darin gesetzt werden, daß entweder jene subjektive Zweckmäßigkeit im erstern Falle als wirklicher (absichtlicher) Z w e c k der Natur (oder der Kunst), mit unserer Urteilskraft übereinzustimmen, oder im zweiten Falle1 nur als eine, ohne Zweck, von selbst und zufälliger Weise sich hervortuende zweckmäßige Übereinstimmung zu dem Bedürfnis der Urteilskraft, in Ansehung der Natur und ihrer nach besondern Gesetzen erzeugten Formen, angenommen werde. Dem Realism der ästhetischen Zweckmäßigkeit der Natur, da man nämlich annehmen möchte: daß der Hervorbringung des Schönen eine Idee desselben in der hervorbringenden Ursache, nämlich ein Z w e c k zu Gunsten unserer Einbildungs248 kraft, zum Grunde gelegen | habe, reden die schönen Bildungen im Reiche der organisierten Natur gar sehr das Wort. Die Blumen, Blüten, ja die Gestalten ganzer Gewächse, die für ihren eigenen Gebrauch unnötige, aber für unsern Geschmack gleichsam ausgewählte Zierlichkeit der tierischen Bildungen von allerlei Gattungen; vornehmlich die unsern Augen so wohlgefällige und reizende Mannigfaltigkeit und harmonische Zusammensetzung der2 Farben (am Fasan, an3 Schaltieren, Insekten, bis zu den gemeinsten Blumen), die, indem sie bloß die Oberfläche, und auch an dieser nicht einmal die Figur der Geschöpfe, welche doch noch zu den innern Zwecken derselben erforderlich sein könnte, betreffen, gänzlich auf äußere Beschauung abgezweckt zu sein scheinen: 348 geben || der Erklärungsart durch Annehmung wirklicher Zwecke der Natur, für unsere ästhetische Urteilskraft ein großes Gewicht. Dagegen widersetzt sich dieser Annahme nicht allein die Vernunft durch ihre Maxime4, allerwärts die unnötige Vervielfältigung der Prinzipien nach aller Möglichkeit zu verhüten; sondern die Natur zeigt in ihren freien Bildungen überall so viel

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derato per sé, allora il razionalismo del principio del gusto non può mai essere posto nel fatto che la conformità al fine venga pensata in questo giudizio come oggettiva, cioè nel fatto che il giudizio miri teoreticamente, e quindi anche logicamente (benché soltanto in una valutazione confusa), alla perfezione dell’oggetto; bensì nel fatto che il giudizio mira, in modo solo estetico, all’accordo della sua rappresentazione nella forza di immaginazione con i principi essenziali della forza di giudizio in generale nel soggetto. Di conseguenza, anche secondo il principio del razionalismo, il giudizio di gusto e la distinzione tra il suo realismo e il suo idealismo possono essere posti solo nel fatto che o, nel primo caso, quella conformità soggettiva al fine viene assunta come fine reale (intenzionale) della natura (o dell’arte) di accordarsi con la nostra forza di giudizio; oppure, nel secondo caso, solamente come un accordo conforme al fine che si presenta, senza un fine da sé, e in modo contingente, in funzione del bisogno della forza di giudizio riguardo alla natura e alle sue forme generate secondo leggi particolari. A favore del realismo della conformità estetica della natura al fine parlano con vigore le belle formazioni nel regno della natura organizzata – dato che si ammetterebbe volentieri che a fondamento della produzione del bello nella causa produttrice sia stata posta una sua idea, cioè un f i n e a van- 248 taggio della nostra forza di immaginazione –. Fiori, fioriture, anzi le forme di intere piante, la leggiadria delle formazioni animali di tutti i generi, inutile per il loro proprio uso ma che pare scelta apposta per il nostro gusto, in particolare la varietà e la composizione armoniosa così piacevole e attraente per i nostri occhi dei colori (nel fagiano, nei crostacei, negli insetti, fino ai fiori più comuni), i quali, riguardando semplicemente la superficie, e in questa anzi neppure la figura delle creature, la quale potrebbe tuttavia anche essere richiesta per i loro fini interni, sembrano essere interamente finalizzati alla contemplazione dall’esterno: sono elementi che conferiscono un gran peso al modo di spiegazione che assume fini reali 348 della natura per la nostra forza estetica di giudizio. Al contrario, a questa assunzione si oppone non solo la ragione con le sue massime, secondo le quali bisogna evitare in ogni caso l’inutile moltiplicazione dei principi; ma la natura stessa mostra ovunque, nelle sue libere formazioni, una

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mechanischen Hang zu Erzeugung von Formen, die für den ästhetischen Gebrauch unserer Urteilskraft gleichsam gemacht zu sein scheinen, ohne den geringsten Grund zur Vermutung an die Hand zu geben, daß es dazu noch etwas mehr, als ihres Mechanisms, bloß als Natur, bedürfe, wornach sie, auch ohne 249 alle ihnen5 zum Grunde liegende Idee, | für unsere Beurteilung zweckmäßig sein können. Ich verstehe aber unter einer f r e i e n B i l d u n g der Natur d i e j e n i g e , wodurch aus einem F l ü s s i g e n i n R u h e , durch Verflüchtigung oder Absonderung eines Teils desselben (bisweilen bloß der Wärmmaterie) das übrige bei dem Festwerden6 eine bestimmte Gestalt, oder Gewebe (Figur oder Textur) annimmt, die, nach der spezifischen Verschiedenheit der Materien, verschieden, in eben derselben aber genau dieselbe ist. Hiezu aber wird, was man unter einer wahren Flüssigkeit jederzeit versteht, nämlich daß die Materie in ihr völlig aufgelöset, d. i. nicht als ein bloßes Gemenge fester und darin bloß schwebender Teile anzusehen sei, vorausgesetzt. Die Bildung geschieht alsdanån durch A n s c h i e ß e n , d. i. durch ein plötzliches Festwerden, nicht durch einen allmählichen Übergang aus dem flüssigen in den festen Zustand, sondern gleichsam durch einen Sprung, welcher Übergang auch das K r i s t a l l i s i e r e n genannt wird. Das gemeinste Beispiel von dieser Art Bildung ist das gefrierende Wasser, in welchem sich zuerst gerade Eisstrählchen erzeugen, die in Winkeln von 60 Grad sich zusammenfügen, indes sich andere an jedem Punkt derselben eben so ansetzen, bis alles zu Eis geworden ist: so daß, während dieser Zeit, das Wasser zwischen den Eisstrählchen nicht allmählich zäher wird, sondern so vollkommen flüssig ist, als es bei weit größerer Wärme sein würde, und doch die 250 völlige Eiskälte hat. Die sich ab|sondernde Materie, die im Augenblicke des Festwerdens plötzlich entwischt, ist ein ansehnliches Quantum von Wärmestoff, dessen Abgang, da es bloß zum Flüssigsein erfordert ward7, dieses nunmehrige Eis nicht im mindesten kälter, als das kurz vorher in ihm flüssige Wasser, zurückläßt. Viele Salze, imgleichen Steine, die eine kristallinische Figur haben, werden eben so von einer im Wasser, wer weiß durch 349 was für Vermitte||lung, aufgelöseten Erdart erzeugt. Eben so bil-

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notevole tendenza meccanica alla generazione di forme che sembrano quasi fatte per l’uso estetico della nostra forza di giudizio, senza dare il minimo fondamento per presumere che ci sia bisogno ancora di qualcosa di più del suo meccanismo, semplicemente come natura, affinché tali forme, anche senza che alcun’idea stia a loro fondamento, possano essere conformi al fine per la nostra valutazione. Per l i b e r a f o r - 249 m a z i o n e della natura intendo q u e l l a per cui, a partire da un l i q u i d o i n q u i e t e , per volatilizzazione o per separazione di una sua parte (talvolta semplicemente del calorico), il resto assume, solidificandosi, una determinata configurazione o trama (figura o struttura) che è diversa secondo la differenza specifica delle materie e che è esattamente la stessa quando si tratta della stessa materia. Ma per questo si presuppone ciò che si intende sempre per vero liquido, cioè che la materia vi sia completamente disciolta, vale a dire non vada considerata come un semplice miscuglio di parti solide e lì semplicemente in sospensione. La formazione avviene allora per a g g r e g a z i o n e , cioè mediante un’istantanea solidificazione, non con un graduale passaggio dallo stato liquido a quello solido, ma per così dire con un salto, e tale passaggio96 viene anche chiamato c r i s t a l l i z z a z i o n e . L’esempio più comune di questo tipo di formazione è l’acqua che si congela, nella quale si generano dapprima raggi retti di ghiaccio che si congiungono secondo angoli di 60 gradi, e poi altri si aggiungono disponendosi allo stesso modo in ogni punto di questi angoli, finché tutto non è diventato ghiaccio: in tal modo, durante questo tempo, l’acqua che si trova tra i piccoli raggi di ghiaccio non diventa progressivamente più viscosa, ma è così perfettamente liquida come lo sarebbe a un calore ben più elevato, e tuttavia ha tutta la freddezza del ghiaccio. La materia che si separa, e che 250 svanisce improvvisamente nell’attimo della solidificazione, è un quanto considerevole di calorico la cui perdita, poiché esso era richiesto solo per mantenere lo stato liquido, non lascia ciò che ormai è ghiaccio minimamente più freddo dell’acqua che vi si trovava poco prima allo stato liquido. Molti sali come pure molte pietre che hanno una figura cristallina vengono generati, proprio in questo modo, a partire da una specia di terra disciolta, non si sa con quale media- 349

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den sich die drusichten Konfigurationen vieler Minern, des würflichten Bleiglanzes, des Rotgüldenerzes, u. d. gl., allem Vermuten nach auch im Wasser, und durch Anschießen der Teile: indem sie durch irgend eine Ursache genötigt werden, dieses Vehikel zu verlassen, und sich unter einander in bestimmte äußere Gestalten zu vereinigen. Aber auch innerlich zeigen alle Materien, welche bloß durch Hitze flüssig waren und durch Erkalten Festigkeit angenommen haben, im Bruche eine bestimmte Textur, und lassen daraus urteilen, daß, wenn nicht ihr eigenes Gewicht oder die8 Luftberührung es gehindert hätte, sie auch äußerlich ihre spezifisch eigentümliche Gestalt würden gewiesen haben: dergleichen man an einigen Metallen, die nach der Schmelzung äußerlich erhärtet, inwendig aber noch flüssig waren, durch Abzapfen des innern noch flüssigen Teils und nunmehriges ruhiges9 Anschießen 251 des übrigen inwendig zurückgeblie|benen, beobachtet hat. Viele von jenen mineralischen Kristallisationen, als die Spatdrusen, der Glaskopf, die Eisenblüte, geben oft überaus schöne Gestalten, wie sie die Kunst nur immer ausdenken möchte; und die Glorie in der Höhle von Antiparos ist bloß das Produkt eines sich durch Gipslager durchsickernden Wassers. Das Flüssige ist, allem Ansehen nach, überhaupt älter als das Feste, und sowohl die Pflanzen als tierische Körper werden aus flüssiger Nahrungsmaterie gebildet, sofern sie sich in Ruhe formt: freilich zwar in der letztern zuvörderst nach einer gewissen ursprünglichen auf Zwecke gerichteten Anlage (die, wie im zweiten Teile gewiesen werden wird, nicht ästhetisch, sondern teleologisch, nach dem Prinzip des Realisms beurteilt werden muß); aber nebenbei doch auch vielleicht als, dem allgemeinen Gesetze der Verwandtschaft der Materien gemäß, anschießend und sich in Freiheit bildend. So wie nun die in einer Atmosphäre, welche ein Gemisch verschiedener Luftarten ist, aufgelöseten wäßrigen Flüssigkeiten, wenn sich die letzteren, durch Abgang der Wärme von jener scheiden10, Schneefiguren erzeugen, die nach Verschiedenheit der dermaligen Luftmischung von oft sehr künstlich scheinender und überaus schöner Figur sind: so läßt sich, ohne dem teleologischen Prinzip der Beurteilung der Organisation etwas zu entziehen, wohl denken: daß,

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zione, nell’acqua. Proprio allo stesso modo le configurazioni a drusa di molti minerali, della galena cubica, della pirargirite e simili si formano anch’esse, con ogni probabilità, nell’acqua e per aggregazione delle parti, venendo costrette da una qualche causa ad abbandonare questo veicolo e a unirsi tra loro costituendo forme esterne determinate. Ma anche internamente tutte le materie che erano liquide solo per effetto del calore e che si sono solidificate raffreddandosi mostrano, quando le si spezza, una determinata testura e permettono così di giudicare che, se il loro proprio peso o il contatto con l’aria non lo avesse impedito, esse avrebbero ugualmente manifestato anche esteriormente la loro configurazione specificamente peculiare: a proposito di alcuni metalli che all’esterno si erano induriti dopo la fusione, ma che all’interno restavano ancora liquidi, una simile osservazione è stata fatta grazie alla spillatura della parte interna ancora liquida e dopo l’aggregazione ormai in quiete della 251 restante parte interna. Molte di quelle cristallizzazioni minerali, come le druse di spato, l’ematite, l’aragonite, danno spesso configurazioni estremamente belle quali soltanto l’arte potrebbe escogitare; e la magnificenza della grotta di Antiparo è semplicemente il prodotto di acqua che filtra attraverso uno strato di gesso. Lo stato liquido è, secondo ogni apparenza, in generale più antico del solido e sia le piante sia i corpi degli animali vengono formati con una materia nutritiva liquida in quanto essa prende forma in quiete: certamente, in quest’ultima, innanzitutto secondo una certa disposizione originaria diretta a fini (disposizione che, come si mostrerà nella seconda parte, deve essere valutata non esteticamente, ma teleologicamente secondo il principio del realismo), ma inoltre forse, in conformità alla legge universale dell’affinità delle materie, in quanto essa si aggrega e si forma in libertà. Ora, come i vapori acquei che disciolti in un’atmosfera, che è una miscela di diverse specie di gas, generano, quando quelli si separano da questi per perdita del calore, figure di neve che a seconda delle diversità della precedente miscela di gas assumono spesso una figura straordinariamente bella che sembra proprio fatta ad arte; allo stesso modo, senza nulla togliere al principio teleologico della valutazione dell’organizzazione, si può ben pen-

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was die Schönheit der Blumen, der Vogelfeldern, der Muscheln, | nach, betrifft, diese der Natur und ihrem Vermögen, sich in ihrer Freiheit, ohne besondere darauf gerichtete Zwecke, nach chemischen Gesetzen, durch 350 Absetzung der zur || Organisation erforderlichen Materie, auch ästhetisch-zweckmäßig zu bilden, zugeschrieben werden könne. Was aber das Prinzip der I d e a l i t ä t der Zweckmäßigkeit im Schönen der Natur, als dasjenige, welches wir im ästhetischen Urteile selbst jederzeit zum Grunde legen, und welches uns keinen Realism eines Zwecks derselben für unsere Vorstellungskraft zum Erklärungsgrunde zu brauchen erlaubt, geradezu beweiset: ist, daß wir in der Beurteilung der Schönheit überhaupt das Richtmaß derselben a priori in uns selbst suchen, und die ästhetische Urteilskraft in Ansehung des Urteils, ob etwas schön sei oder nicht, selbst gesetzgebend ist, welches bei Annehmung des Realisms der Zweckmäßigkeit der Natur nicht Statt finden kann; weil wir da von der Natur lernen müßten, was wir schön zu finden hätten, und das Geschmacksurteil empirischen Prinzipien unterworfen sein würde. Denn in einer solchen Beurteilung kommt es nicht darauf an, was die Natur ist, oder auch für uns als Zweck ist, sondern wie wir sie aufnehmen. Es würde immer eine objektive Zweckmäßigkeit der Natur sein, wenn sie für unser Wohlgefallen ihre Formen gebildet hätte; und nicht eine subjektive Zweckmäßigkeit, welche auf 253 dem Spiele der Einbildungskraft in ihrer Freiheit beruhete, | wo es Gunst ist, womit wir die Natur aufnehmen, nicht Gunst, die sie uns erzeigt11. Die Eigenschaft der Natur, daß sie für uns Gelegenheit enthält, die innere Zweckmäßigkeit in dem Verhältnisse unserer Gemütskräfte in Beurteilung gewisser Produkte, derselben wahrzunehmen, und zwar als eine solche, die aus einem übersinnlichen Grunde für notwendig und allgemeingültig erklärt werden soll, kann nicht Naturzweck sein, oder vielmehr von uns als ein solcher beurteilt werden; weil sonst das Urteil, das dadurch bestimmt würde12, Heteronomie, aber nicht13, wie es einem Geschmacksurteile geziemt, frei sein, und Autonomie zum Grunde haben würde. In der schönen Kunst ist das Prinzip des Idealisms der Zweckmäßigkeit noch deutlicher zu erkennen. Denn, daß hier nicht ein ästhetischer Realism derselben, durch Empfindungen 252 ihrer Gestalt sowohl als Farbe

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sare che, per quel che riguarda la bellezza dei fiori, delle piume degli uccelli, delle conchiglie, nella loro forma e nel loro colore, essa possa essere attribuita alla natura e alla sua capa- 252 cità di formarsi, nella sua libertà, anche in modo esteticamente conforme al fine, senza fini particolari diretti a ciò, secon- 350 do leggi chimiche e a prescindere dalla materia richiesta per l’organizzazione. Ma ciò che dimostra direttamente che è il principio della i d e a l i t à della conformità al fine nel bello della natura quello che noi poniamo sempre a fondamento nel giudizio estetico stesso e che non ci permette di utilizzare, come principio di spiegazione, alcun realismo di un fine della natura per la nostra forza rappresentativa, è il fatto che, nella valutazione della bellezza in generale, noi cerchiamo in noi stessi il suo criterio a priori e la forza estetica di giudizio, riguardo al giudizio se qualcosa sia bello o no, è essa stessa legislativa; cosa che non potrebbe accadere se si ammettesse il realismo della conformità della natura al fine, dato che noi dovremmo allora imparare dalla natura che cosa andrebbe trovato bello e il giudizio di gusto sarebbe sottoposto a principi empirici. Infatti, in una tale valutazione non conta che cosa la natura è, e neppure che cosa sia per noi in quanto fine, ma come noi la cogliamo. Se la natura avesse plasmato le sue forme per il nostro compiacimento, si tratterebbe pur sempre di una conformità oggettiva della natura al fine e non di una conformità soggettiva al fine che si basa sul gioco della forza di immaginazione nella sua libertà, dove si 253 tratta del favore con cui accogliamo la natura e non del favore che essa ci mostra. La proprietà della natura di contenere per noi l’occasione di percepire, quando valutiamo certi suoi prodotti, la conformità interna al fine operante nel rapporto tra le forze del nostro animo, e precisamente una conformità al fine che deve essere dichiarata, in virtù di un principio soprasensibile, necessaria e universalmente valida, non può essere un fine naturale, o piuttosto non può essere da noi valutato tale: perché, altrimenti, il giudizio che ne verrebbe determinato avrebbe a fondamento un’eteronomia, e non un’autonomia, e non sarebbe libero, come si addice a un giudizio di gusto. Nell’arte bella il principio dell’idealismo della conformità al fine è riconoscibile ancora più distintamente. Infatti che qui non si possa ammettere un realismo estetico della confor-

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(wobei sie statt schöner bloß angenehme Kunst sein würde), angenommen werden könne: das hat sie mit der schönen Natur gemein. Allein daß das Wohlgefallen durch ästhetische Ideen nicht von der Erreichung bestimmter Zwecke (als mechanisch absichtliche Kunst) abhängen müsse, folglich, selbst im Rationalism des Prinzips, Idealität der Zwecke, nicht Realität derselben, zum Grunde liege: leuchtet auch schon dadurch ein, daß 351 schöne Kunst, als solche, nicht als ein || Produkt des Verstandes und der Wissenschaft, sondern des Genies betrachtet werden muß, und also durch ä s t h e t i s c h e Ideen, welche von Ver254 nunftideen | bestimmter Zwecke wesentlich unterschieden sind, ihre Regel bekomme. So wie die I d e a l i t ä t der Gegenstände der Sinne als Erscheinungen die einzige Art ist, die Möglichkeit zu erklären, daß ihre Formen a priori bestimmt werden können: so ist auch der I d e a l i s m der Zweckmäßigkeit, in Beurteilung des Schönen der Natur und der Kunst, die einzige Voraussetzung, unter der allein die Kritik die Möglichkeit eines Geschmacksurteils, welches a priori Gültigkeit für jedermann fordert (ohne doch die Zweckmäßigkeit, die am Objekte vorgestellt wird, auf Begriffe zu gründen), erklären kann.

§ 59 Von der Schönheit als Symbol der Sittlichkeit Die Realität unserer Begriffe darzutun werden immer Anschauungen erfordert. Sind es empirische Begriffe, so heißen die letzteren B e i s p i e l e . Sind jene reine Verstandesbegriffe, so werden die letzteren S c h e m a t e genannt. Verlangt man gar, daß die objektive Realität der Vernunftbegriffe, d. i. der Ideen, und zwar zum Behuf des theoretischen Erkenntnisses derselben dargetan werde, so begehrt man etwas Unmögliches, weil ihnen schlechterdings keine Anschauung angemessen gegeben werden kann. | 255 Alle H y p o t y p o s e (Darstellung, subiectio sub adspectum), als Versinnlichung, ist zwiefach: entweder s c h e m a t i s c h , da einem Begriffe, den der Verstand faßt, die korrespondierende Anschauung a priori gegeben wird; oder s y m b o l i s c h , da einem Begriffe, den nur die Vernunft denken und dem1 keine

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mità al fine, mediante sensazioni (perché allora si tratterebbe di un’arte semplicemente gradevole invece che bella), è ciò che l’arte ha in comune con la bella natura. Ma che il compiacimento dato da idee estetiche non debba dipendere dal conseguimento di fini determinati (come se si trattasse di un’arte meccanicamente intenzionale), e di conseguenza che anche nel razionalismo del principio ci sia a fondamento l’idealità dei fini e non la loro realtà, ciò appare chiaramente anche già per il fatto che l’arte bella in quanto tale deve essere considerata come un prodotto non dell’intelletto e della scienza ma 351 del genio, e che dunque riceve la sua regola da idee e s t e t i c h e che sono essenzialmente distinte da idee della ragione di 254 fini determinati. Come l’ i d e a l i t à degli oggetti dei sensi in quanto fenomeni è l’unico modo per spiegare la possibilità che le loro forme possano essere determinate a priori, così anche l’ i d e a l i s m o della conformità al fine nella valutazione del bello della natura e dell’arte è l’unica presupposizione grazie alla quale soltanto la critica può spiegare la possibilità di un giudizio di gusto che esige a priori validità per ognuno (senza tuttavia fondare sui concetti la conformità al fine rappresentata nell’oggetto).

§ 59 DELLA BELLEZZA COME SIMBOLO DELLA MORALITÀ Per provare la realtà dei nostri concetti sono sempre richieste intuizioni. Se i concetti sono empirici, le intuizioni si chiamano e s e m p i . Se sono concetti puri dell’intelletto, le intuizioni sono dette s c h e m i . Se poi si pretende che sia provata la realtà oggettiva dei concetti della ragione, cioè delle idee, e precisamente a vantaggio della loro conoscenza teoretica, si vuole qualcosa di impossibile, poiché non può essere data assolutamente alcuna intuizione che sia loro adeguata. Ogni i p o t i p o s i (esibizione, subiectio sub adspectum), 255 in quanto rendere sensibile, è duplice: o è s c h e m a t i c a , laddove a un concetto colto dall’intelletto viene data a priori la corrispondente intuizione; o è s i m b o l i c a , laddove a un concetto che solo la ragione può pensare e al quale nessuna

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sinnliche Anschauung angemessen sein kann, eine solche untergelegt wird, mit welcher das Verfahren der Urteilskraft demjenigen, was sie im Schematisieren beobachtet, bloß analogisch ist2, d. i. mit ihm bloß der Regel dieses Verfahrens, nicht der Anschauung selbst, mithin bloß der Form der Reflexion, nicht dem Inhalte nach, übereinkommt. Es ist ein von den neuern Logikern zwar angenommener, aber sinnverkehrender, unrechter Gebrauch des Worts s y m b o l i s c h , wenn man es der i n t u i t i v e n Vorstellungsart entgegensetzt; denn die symbolische ist nur eine Art der intuitiven. Die letztere (die intuitive) kann nämlich in die s c h e m a t i s c h e und in die s y m b o l i s c h e Vorstellungsart eingeteilt 352 wer||den. Beide sind Hypotyposen, d. i. Darstellungen (exhibitiones3): nicht bloße C h a r a k t e r i s m e n , d. i. Bezeichnungen der Begriffe durch begleitende sinnliche Zeichen, die gar nichts zu der Anschauung des Objekts Gehöriges enthalten, sondern nur jenen, nach dem Gesetze der Assoziation der Einbildungskraft, mithin in subjektiver Absicht, zum Mittel der Repro256 duktion dienen; dergleichen sind entwe|der Worte, oder sichtbare (algebraische, selbst mimische) Zeichen, als bloße A u s d r ü c k e für Begriffe*. Alle Anschauungen, die man Begriffen a priori unterlegt, sind also entweder S c h e m a t e oder S y m b o l e , wovon die erstern direkte, die zweiten indirekte Darstellungen des Begriffs enthalten. Die erstern tun dieses demonstrativ, die zweiten vermittelst einer Analogie (zu welcher man sich auch empirischer Anschauungen bedient), in welcher die Urteilskraft ein doppeltes Geschäft verrichtet, erstlich den Begriff auf den Gegenstand einer sinnlichen Anschauung, und dann zweitens die bloße Regel der Reflexion über jene Anschauung auf einen ganz andern Gegenstand, von dem der erstere nur das Symbol ist, anzuwenden. So wird ein monarchischer Staat durch einen beseelten Körper, wenn er nach inneren Volksgesetzen, durch eine

* Das Intuitive der Erkenntnis muß dem Diskursiven (nicht dem Symbolischen) entgegen gesetzt werden. Das erstere ist nun entweder s c h e m a t i s c h , durch D e m o n s t r a t i o n ; oder s y m b o l i s c h , als Vorstellung nach einer bloßen A n a l o g i e .

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intuizione sensibile può essere adeguata, ne viene sottoposta una nei cui confronti il modo di procedere della forza di giudizio è semplicemente analogo a quello che quest’ultima segue nello schematizzare, cioè essa si accorda con il concetto semplicemente secondo la regola di questo modo di procedere e non secondo l’intuizione stessa, di conseguenza semplicemente secondo la forma della riflessione e non secondo il contenuto. È un uso della parola s i m b o l i c o , accolto sì dai moderni logici97 ma invertendone e falsandone il senso, nel contrapporla alla specie rappresentativa i n t u i t i v a , perché quella simbolica è solo una specie dell’intuitiva. Quest’ultima (l’intuitiva) può infatti essere divisa in specie rappresentativa s c h e m a t i c a e s i m b o l i c a . Entrambe sono ipotiposi, 352 cioè esibizioni (exhibitiones): non si tratta di semplici c a r a t t e r i s m i , cioè designazioni dei concetti mediante segni sensibili concomitanti, che non contengono assolutamente nulla che appartenga all’intuizione dell’oggetto, ma servono soltanto ai concetti come mezzo di riproduzione secondo la legge dell’associazione della forza di immaginazione, di conseguenza con un intento soggettivo; questi sono o parole o segni vi- 256 sibili (algebrici, perfino mimici), in quanto semplici e s p r e s s i o n i per concetti*. Tutte le intuizioni che vengono sottoposte a concetti a priori sono dunque o s c h e m i o s i m b o l i : i primi contengono esibizioni dirette, i secondi esibizioni indirette del concetto. Gli schemi compiono questa operazione in modo dimostrativo, i simboli per mezzo di una analogia (per la quale ci si serve anche di intuizioni empiriche), in cui la forza di giudizio esegue un duplice compito che consiste, in primo luogo, nell’applicare il concetto all’oggetto di un’intuizione sensibile e poi, in secondo luogo, nell’applicare la semplice regola della riflessione su quella intuizione a un tutt’altro oggetto di cui il primo è solo il simbolo. Così uno Stato monarchico viene rappresentato da un corpo animato se è governato da leggi popolari interne, ma da una semplice macchina * L’elemento intuitivo della conoscenza deve essere contrapposto al discorsivo (e non al simbolico). Il primo, poi, è o s c h e m a t i c o , mediante d i m o s t r a z i o n e , o s i m b o l i c o come rappresentazione secondo una semplice a n a l o g i a .

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bloße Maschine aber (wie etwa eine Handmühle), wenn er durch einen einzelnen absoluten Willen beherrscht wird, in beiden Fällen aber nur s y m b o l i s c h vorgestellt. Denn, zwischen einem despotischen Staate und einer Handmühle ist zwar keine Ähnlichkeit, wohl aber zwischen den Regeln4, über beide und 257 ihre Kausalität zu reflektieren. Dies Geschäft | ist bis jetzt noch wenig auseinander gesetzt worden, so sehr es auch eine tiefere Untersuchung verdient; allein hier ist nicht der Ort, sich dabei aufzuhalten. Unsere Sprache ist voll von dergleichen indirekten Darstellungen, nach einer Analogie, wodurch der Ausdruck nicht das eigentliche Schema für den Begriff, sondern bloß ein Symbol für die Reflexion enthält. So sind die Wörter G r u n d (Stütze, Basis), a b h ä n g e n (von oben gehalten werden), woraus f l i e ß e n (statt folgen), S u b s t a n z (wie L o c k e sich ausdrückt: der Träger der Akzidenzen), und unzählige andere nicht schematische, sondern symbolische Hypotyposen, und Ausdrücke für Begriffe nicht vermittelst einer direkten Anschauung, sondern nur nach einer Analogie mit derselben, d. i. der 353 Übertragung der Reflexion über || einen Gegenstand der Anschauung auf einen ganz andern Begriff, dem vielleicht nie eine Anschauung direkt korrespondieren kann. Wenn man eine bloße Vorstellungsart schon Erkenntnis nennen darf (welches, wenn sie ein Prinzip nicht der theoretischen Bestimmung des Gegenstandes ist5, was er an sich sei6, sondern der7 praktischen, was die Idee von ihm für uns und den zweckmäßigen Gebrauch derselben werden soll, wohl erlaubt ist): so ist alle unsere Erkenntnis von Gott bloß symbolisch; und der, welcher sie mit den Eigenschaften Verstand, Wille, u.s.w., die allein an Weltwesen ihre objektive Realität beweisen, für schematisch nimmt, 258 gerät in den Anthropomorphism, so wie, | wenn er alles Intuitive wegläßt, in den Deism, wodurch überall nichts, auch nicht in praktischer Absicht, erkannt wird. Nun sage ich: das Schöne ist das Symbol des Sittlich-guten8; und auch nur in dieser Rücksicht (einer Beziehung, die jedermann natürlich ist, und die auch jedermann andern als Pflicht zumutet) gefällt es, mit einem Anspruche auf jedes andern Beistimmung9, wobei sich das Gemüt zugleich einer gewissen Veredlung und Erhebung über die bloße Empfänglichkeit einer

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(per esempio come un mulino a braccia) se è governato da una singola volontà assoluta; in entrambi i casi, però, in modo solo s i m b o l i c o . Infatti, tra uno Stato dispotico e un mulino a braccia non c’è sicuramente alcuna somiglianza, ma esiste certamente tra le regole per riflettere su entrambi e sulla loro causalità. Questo compito è stato finora ben poco 257 analizzato, per quanto meriti una ricerca più approfondita, tuttavia non è questo il luogo per soffermarcisi. La nostra lingua è piena di simili esibizioni indirette secondo una analogia, per cui l’espressione contiene non lo schema vero e proprio per il concetto ma semplicemente un simbolo per la riflessione. Così le parole f o n d a m e n t o (appoggio, base), d i p e n d e r e (essere tenuti dall’alto), d e r i v a r e da (invece di seguire), s o s t a n z a (come si esprime L o c k e : il supporto degli accidenti)98, e innumerevoli altre sono ipotiposi non schematiche, bensì simboliche, ed espressioni che designano concetti non per mezzo di un’intuizione diretta, ma soltanto secondo un’analogia con questa, cioè secondo il trasferimento della riflessione su un oggetto dell’intuizione a un tutt’altro 353 concetto al quale un’intuizione non può forse mai corrispondere direttamente. Se si può già chiamare conoscenza una semplice specie rappresentativa (cosa che senza dubbio è permessa se essa è un principio non della determinazione teoretica dell’oggetto, ciò che esso è in sé, ma della sua determinazione pratica, ciò che deve diventare idea di questo oggetto per noi e per l’uso conforme al fine), allora ogni nostra conoscenza di Dio è semplicemente simbolica; e colui che la prende per schematica, con tutte le proprietà di intelletto, volontà ecc., che provano la loro realtà oggettiva solo negli esseri di questo mondo, cade nell’antropomorfismo, così come, se tra- 258 lascia ogni elemento intuitivo, cade nel deismo per cui non si conosce assolutamente nulla, nemmeno se si è mossi da un intento pratico. Ora, io dico: il bello è il simbolo del bene morale e anche solo in questa prospettiva (quella di un riferimento che è naturale a ciascuno e che ciascuno pure si aspetta da ogni altro come un dovere) esso piace, con una pretesa al consenso di ogni altro, per cui l’animo è nello stesso tempo consapevole di essere in qualche modo nobilitato ed elevato al di sopra della semplice ricettività di un piacere mediante le

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Lust durch Sinneneindrücke bewußt ist, und anderer Wert auch nach einer ähnlichen Maxime ihrer Urteilskraft schätzet. Das ist das I n t e l l i g i b e l e , worauf, wie der vorige Paragraph Anzeige tat, der Geschmack hinaussieht, wozu nämlich selbst unsere oberen Erkenntnisvermögen zusammenstimmen, und10 ohne welches zwischen ihrer Natur, verglichen mit den Ansprüchen, die der Geschmack macht, lauter Widersprüche erwachsen würden. In diesem Vermögen sieht sich die Urteilskraft nicht, wie sonst in empirischer Beurteilung, einer Heteronomie der Erfahrungsgesetze unterworfen: sie gibt in Ansehung der Gegenstände eines so reinen Wohlgefallens ihr selbst das Gesetz, so wie die Vernunft es in Ansehung des Begehrungsvermögens tut; und sieht sich, sowohl wegen dieser innern Möglichkeit im Subjekte, als wegen der äußern Möglichkeit einer damit übereinstimmenden Natur, 259 auf etwas im Subjekte selbst und außer | ihm, was nicht Natur, auch nicht Freiheit, doch aber mit dem Grunde der letzteren, nämlich dem Übersinnlichen verknüpft ist, bezogen, in welchem das theoretische Vermögen mit dem praktischen, auf gemeinschaftliche und unbekannte Art, zur Einheit verbunden wird. Wir wollen einige Stücke dieser Analogie anführen, indem wir zugleich die Verschiedenheit derselben nicht unbemerkt lassen. 1) Das Schöne gefällt u n m i t t e l b a r (aber nur in der re354 flektierenden || Anschauung, nicht, wie Sittlichkeit, im Begriffe). 2) Es gefällt o h n e a l l e s I n t e r e s s e (das Sittlich-gute11 zwar notwendig mit einem Interesse, aber nicht einem solchen, was12 vor dem Urteile über das Wohlgefallen vorhergeht, verbunden, sondern was13 dadurch allererst bewirkt wird). 3) Die F r e i h e i t der Einbildungskraft (also der Sinnlichkeit unseres Vermögens) wird in der Beurteilung des Schönen mit der Gesetzmäßigkeit des Verstandes als einstimmig vorgestellt (im moralischen Urteile wird die Freiheit des Willens als Zusammenstimmung des letzteren mit sich selbst nach allgemeinen Vernunftgesetzen gedacht). 4) Das subjektive Prinzip der Beurteilung des Schönen wird als a l l g e m e i n , d. i. für jedermann gültig, aber durch keinen allgemeinen Begriff kenntlich, vorgestellt (das objektive Prinzip der Moralität wird auch für allgemein, d. i. für alle Subjekte, zugleich auch für alle Handlungen desselben 260 Subjekts, und dabei durch einen | allgemeinen Begriff kenntlich, erklärt). Daher ist das moralische Urteil nicht allein bestimmter konstitutiver Prinzipien fähig, sondern ist n u r durch

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impressioni dei sensi, ed è anche secondo una simile massima della forza di giudizio degli altri che stima il loro valore. Questo è l’ i n t e l l i g i b i l e a cui guarda il gusto, come è stato mostrato nel paragrafo precedente99, vale a dire ciò rispetto a cui anche le nostre facoltà conoscitive superiori si armonizzano e senza il quale non sorgerebbero che nette contraddizioni tra la natura delle facoltà e le pretese avanzate dal gusto. In questa facoltà la forza di giudizio non si vede, come invece avviene nella valutazione empirica, sottomessa a un’eteronomia delle leggi dell’esperienza: essa dà a se stessa la legge riguardo agli oggetti di un compiacimento così puro, così come fa la ragione riguardo alla facoltà di desiderare e, sia a causa di questa possibilità interna inscritta nel soggetto sia a causa della possibilità esterna di una natura che vi si accorda, si vede riferita a qualcosa nel soggetto stesso e fuori di lui che 259 non è natura e nemmeno libertà, ma che è connesso comunque al fondamento di quest’ultima, cioè al soprasensibile, nel quale la facoltà teoretica si congiunge in un’unità con la facoltà pratica in un modo che non si sa come le accomuna. Vogliamo indicare alcuni elementi di questa analogia non senza nello stesso tempo farne risaltare la diversità. 1) Il bello piace i m m e d i a t a m e n t e (ma solo nell’intuizione riflettente e non nel concetto, come avviene per la 354 moralità). 2) Il bello piace s e n z a a l c u n i n t e r e s s e (il bene morale è di certo collegato necessariamente con un interesse, tuttavia non con l’interesse che preceda il giudizio sul compiacimento, bensì con quello che è primariamente prodotto dal giudizio). 3) La l i b e r t à della forza di immaginazione (dunque della sensibilità della nostra facoltà) è rappresentata nella valutazione del bello in accordo con la conformità dell’intelletto alla legge (nel giudizio morale, la libertà del volere è pensata come armonia di quest’ultimo con se stesso secondo leggi universali della ragione). 4) Il principio soggettivo della valutazione del bello è rappresentato come u n i v e r s a l e , cioè come valido per ciascuno, senza essere tuttavia riconoscibile mediante un concetto universale (il principio oggettivo della moralità è anch’esso dichiarato universale, cioè per tutti i soggetti così come per tutte le azioni del medesimo soggetto e perciò riconoscibile mediante un concetto universale). Perciò 260 il giudizio morale non è soltanto capace di impiegare principi

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Gründung der Maximen auf dieselben und ihre Allgemeinheit möglich. Die Rücksicht auf diese Analogie ist auch dem gemeinen Verstande gewöhnlich; und wir benennen schöne Gegenstände der Natur, oder der Kunst, oft mit Namen, die eine sittliche Beurteilung zum Grunde zu legen scheinen. Wir nennen Gebäude oder Bäume majestätisch und prächtig, oder Gefilde lachend und fröhlich; selbst Farben werden unschuldig, bescheiden, zärtlich genannt, weil sie Empfindungen erregen, die etwas mit dem Bewußtsein eines durch moralische Urteile bewirkten Gemütszustandes Analogisches enthalten. Der Geschmack macht gleichsam den Übergang vom Sinnenreiz zum habituellen moralischen Interesse, ohne einen zu gewaltsamen Sprung, möglich, indem er die Einbildungskraft auch in ihrer Freiheit als zweckmäßig für den Verstand bestimmbar vorstellt, und sogar an Gegenständen der Sinne auch ohne Sinnenreiz ein freies Wohlgefallen finden14 lehrt. | 261

§ 60 Anhang. Von der Methodenlehre des Geschmacks

Die Einteilung einer Kritik in Elementarlehre und Methodenlehre, welche vor der Wissenschaft vorhergeht, läßt sich auf 355 die Geschmackskritik || nicht anwenden: weil es keine Wissenschaft des Schönen gibt noch geben kann, und das Urteil des Geschmacks nicht durch Prinzipien bestimmbar ist. Denn was das Wissenschaftliche in jeder Kunst anlangt, welches auf Wa h r h e i t in der Darstellung ihres Objekts geht, so ist dieses zwar die unumgängliche Bedingung (conditio sine qua non) der schönen Kunst, aber diese nicht selber. Es gibt also für die schöne Kunst nur eine M a n i e r (modus), nicht L e h r a r t (methodus). Der Meister muß es vormachen, was und wie es der Schüler zu Stande bringen soll; und die allgemeinen Regeln, worunter1 er zuletzt sein Verfahren bringt, können eher dienen, die Hauptmomente desselben gelegentlich in Erinnerung zu bringen, als sie ihm vorzuschreiben. Hiebei muß dennoch auf ein gewisses Ideal Rücksicht genommen werden, welches die Kunst vor Augen haben muß, ob sie es gleich in ihrer Ausübung nie

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costitutivi determinati, ma è possibile s o l t a n t o fondando le sue massime su questi principi e sulla loro universalità. Anche il comune intelletto è abituato a tenere conto di questa analogia e noi designiamo spesso oggetti belli della natura o dell’arte con nomi che sembrano porre a fondamento una valutazione morale. Diciamo che edifici o alberi sono maestosi e splendidi, o che i campi sono ridenti e lieti; gli stessi colori sono detti innocenti, modesti, delicati perché suscitano sensazioni che contengono qualcosa di analogo alla coscienza di uno stato dell’animo suscitato dai giudizi morali. Il gusto rende in un certo qual modo possibile, senza un salto troppo brusco, il passaggio dall’attrattiva dei sensi all’interesse morale in quanto abito, rappresentando la forza di immaginazione anche nella sua libertà come determinabile in modo conforme al fine per l’intelletto, e insegna a trovare perfino in oggetti dei sensi, seppure sprovvisti di attrattiva sensibile, un libero compiacimento.

§ 60

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APPENDICE.

DELLA DOTTRINA DEL METODO DEL GUSTO La divisione di una critica in dottrina degli elementi e in dottrina del metodo, la quale precede la scienza, non può essere applicata alla critica del gusto, perché non c’è né può 355 esserci alcuna scienza del bello, e perché il giudizio di gusto non è determinabile mediante principi. Infatti per ciò che concerne in ogni arte la componente scientifica, la quale tende alla v e r i t à nell’esibizione del suo oggetto, è sicuramente la condizione imprescindibile (conditio sine qua non) dell’arte bella, ma non è questa stessa arte bella. C’è dunque per l’arte bella solo una m a n i e r a (modus), ma non un m e t o d o (methodus). Il maestro deve mostrare all’allievo ciò che deve fare e come deve farlo; e le regole generali alle quali egli infine riconduce il suo procedimento possono all’occasione servire a riportare alla memoria dell’allievo i momenti principali di questo procedimento, piuttosto che a prescriverglieli. Qui però bisogna considerare un certo ideale che l’arte deve avere davanti agli occhi, benché non lo raggiunga mai com-

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

völlig erreicht. Nur durch die Aufweckung der Einbildungskraft des Schülers zur Angemessenheit mit einem gegebenen 262 Begriffe, durch die angemerkte Un|zulänglichkeit des Ausdrucks für die Idee, welche der Begriff selbst nicht erreicht, weil sie ästhetisch ist, und durch scharfe Kritik, kann verhütet werden, daß die Beispiele, die ihm vorgelegt werden, von ihm nicht sofort für Urbilder und etwa keiner noch höhern Norm und eigener Beurteilung unterworfene Muster der Nachahmung gehalten, und so das Genie, mit ihm aber auch die Freiheit der Einbildungskraft selbst in ihrer Gesetzmäßigkeit erstickt werde, ohne welche keine schöne Kunst, selbst nicht einmal ein richtiger sie beurteilender eigener Geschmack, möglich ist. Die Propädeutik zu aller schönen Kunst, sofern es auf den höchsten Grad ihrer Vollkommenheit angelegt ist, scheint nicht in Vorschriften, sondern in der Kultur der Gemütskräfte durch diejenigen Vorkenntnisse zu liegen, welche man humaniora nennt: vermutlich, weil H u m a n i t ä t einerseits das allgemeine Te i l n e h m u n g s g e f ü h l , andererseits das Vermögen, sich innigst und allgemein m i t t e i l e n zu können, bedeutet; welche Eigenschaften zusammen verbunden die der Menschheit angemessene Geselligkeit2 ausmachen, wodurch sie sich von der tierischen Eingeschränktheit unterscheidet3. Das Zeitalter sowohl, als die Völker, in welchen der rege Trieb zur g e s e t z l i c h e n Geselligkeit, wodurch ein Volk ein dauerndes gemeines Wesen ausmacht, mit den großen Schwierigkeiten rang, welche die 263 schwere Aufgabe, Freiheit (und also auch Gleich|heit) mit einem4 Zwange (mehr der Achtung und Unterwerfung aus Pflicht, als Furcht) zu vereinigen, umgeben: ein solches Zeitalter 356 und ein solches Volk mußte || die Kunst der wechselseitigen Mitteilung der Ideen des ausgebildetsten Teils mit dem roheren, die Abstimmung der Erweiterung und Verfeinerung der ersteren zur natürlichen Einfalt und Originalität der letzteren5, und auf diese Art dasjenige Mittel zwischen der höheren Kultur und der genügsamen Natur zuerst erfinden, welches den richtigen, nach keinen allgemeinen Regeln anzugebenden Maßstab auch für den Geschmack, als allgemeinen Menschensinn, ausmacht. Schwerlich wird ein späteres Zeitalter jene Muster entbehrlich machen; weil es der Natur immer weniger nahe sein wird, und sich zuletzt, ohne bleibende Beispiele von ihr zu haben,

II. DIALETTICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO, § 60

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pletamente nel suo esercizio. È unicamente risvegliando la forza di immaginazione dell’allievo, affinché si adegui a un concetto dato; è solo facendogli notare l’insufficienza dell’e- 262 spressione per l’idea, che neppure il concetto stesso raggiunge perché essa è estetica; è solo esercitando una critica severa che può essere evitato che gli esempi, che gli sono proposti, siano subito ritenuti da lui archetipi, e per così dire modelli da imitare senza sottometterli ad alcuna norma ancora più alta né alla propria valutazione, e così rimanga soffocato il genio, e con esso anche la libertà della forza di immaginazione stessa, nella sua conformità alla legge, senza la quale non sarebbero possibili né arte bella né tantomeno un gusto corretto e personale capace di valutarla. La propedeutica a ogni arte bella, in quanto si mira al grado supremo della sua perfezione, sembra consistere non in prescrizioni, ma nel coltivare le forze dell’animo mediante quelle conoscenze preliminari che si chiamano humaniora; probabilmente perché u m a n i t à significa da una parte il s e n t i m e n t o d i p a r t e c i p a z i o n e universale, dall’altra la capacità di potersi c o m u n i c a r e universalmente e nel modo più intimo; tali proprietà, collegate, costituiscono la socievolezza adeguata all’umanità, con cui essa si distingue dalla limitatezza propria della vita animale. Sia l’epoca sia i popoli100 in cui l’impulso attivo alla socievolezza r e g o l a t a d a l e g g i , per cui un popolo costituisce un essere comune duraturo, lottava con le grandi difficoltà che costellano l’arduo compito di coniugare la libertà (e dunque anche l’uguaglianza) con una costrizione (più del rispetto e della sottomis- 263 sione derivata dal dovere che dalla paura), quest’epoca e questo popolo dovettero anzitutto inventare l’arte della comuni- 356 cazione reciproca delle idee tra la parte più colta e la parte più rozza, il modo di accordare l’ampliamento e l’affinamento della prima con la naturale semplicità e l’originalità della seconda, scoprendo in tal modo tra la cultura superiore e la semplice natura quel termine medio che costituisce anche per il gusto, in quanto universale senso umano, la giusta misura che nessuna regola universale può addurre. Sarà difficile per un’epoca futura fare a meno di quei modelli, dato che essa sarà sempre meno vicina alla natura e, in mancanza di esempi duraturi, finirà per essere a mala pena

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PARTE I. CRITICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO

kaum einen Begriff von der glücklichen Vereinigung des gesetzlichen Zwanges der höchsten Kultur mit der Kraft und Richtigkeit der ihren eigenen Wert fühlenden freien Natur in einem und demselben Volke zu machen im Stande sein möchte. Da aber der Geschmack im Grunde ein Beurteilungsvermögen der Versinnlichung sittlicher Ideen (vermittelst einer gewissen Analogie der Reflexion über beide) ist, wovon6 auch, und von7 der darauf zu gründenden größeren Empfänglichkeit für das Gefühl aus den letzteren (welches das moralische heißt) diejenige Lust sich ableitet, welche der Geschmack, als für die | 264 Menschheit überhaupt, nicht bloß für eines jeden Privatgefühl8, gültig erklärt: so leuchtet ein, daß die wahre Propädeutik zur Gründung des Geschmacks die Entwickelung sittlicher Ideen und die Kultur des moralischen Gefühls sei; da, nur wenn mit diesem die Sinnlichkeit in Einstimmung gebracht wird, der echte Geschmack eine9 bestimmte unveränderliche Form annehmen kann. | ||

II. DIALETTICA DELLA FORZA ESTETICA DI GIUDIZIO, § 60

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in grado di farsi un concetto della felice unione, in un solo e medesimo popolo, tra la costrizione legale propria della cultura più elevata e la forza e la giustezza della libera natura che sente il suo proprio valore. Ma poiché il gusto è in fondo una facoltà di valutare il divenire sensibile di idee morali (grazie a una certa analogia della riflessione su entrambe), e poiché è da questo e dalla maggiore ricettività, da fondarsi su di esso, per il sentimento proveniente da quelle idee (che si chiama sentimento morale) che si deriva quel piacere che il gusto proclama valido per l’umanità in generale, e non solo per il sentimento privato di ognu- 264 no, ecco che allora appare chiaramente che la vera propedeutica alla fondazione del gusto è lo sviluppo di idee morali e la cultura del sentimento morale; infatti solo quando la sensibilità giunge ad accordarsi con il sentimento morale, il gusto autentico può assumere una forma immutabile determinata.

Der

Kritik der Urteilskraft zweiter Teil

Kritik der

teleologischen Urteilskraft | ||

SECONDA PARTE DELLA

CRITICA DELLA FORZA DI GIUDIZIO

CRITICA DELLA

FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

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§ 61 Von der objektiven Zweckmässigkeit der Natur

Man hat, nach transzendentalen Prinzipien, guten Grund, eine subjektive Zweckmäßigkeit der Natur in ihren besondern Gesetzen, zu der Faßlichkeit für die menschliche Urteilskraft, und der Möglichkeit der Verknüpfung der besondern Erfahrungen in ein System1 derselben, anzunehmen; wo dann unter den vielen Produkten derselben auch solche als möglich erwartet werden können, die, als ob sie ganz eigentlich für unsere Urteilskraft angelegt wären, solche spezifische ihr angemessene Formen 2 enthalten, welche durch ihre Mannigfaltigkeit und Einheit die Gemütskräfte (die im Gebrauche dieses Vermögens im Spiele sind) gleichsam zu stärken und zu unterhalten dienen, und denen man daher den Namen s c h ö n e r Formen beilegt. Daß aber Dinge der Natur einander als Mittel zu Zwecken dienen, und ihre Möglichkeit selbst nur durch diese Art von Kausalität hinreichend verständlich sei, dazu haben wir gar keinen Grund in der allgemeinen Idee der Natur, als Inbegriffs der 268 Gegenstände der | Sinne. Denn im obigen Falle konnte die Vorstellung der Dinge, weil sie etwas in uns ist, als zu der innerlich zweckmäßigen Stimmung unserer Erkenntnisvermögen geschickt und tauglich, ganz wohl auch a priori gedacht werden; wie aber Zwecke, die nicht die unsrigen sind, und die auch der Natur (welche wir nicht als intelligentes Wesen annehmen) nicht zukommen, doch eine besondere Art der Kausalität, wenigstens eine ganz eigne Gesetzmäßigkeit derselben ausmachen können oder sollen, läßt sich a priori gar nicht mit einigem Grunde präsumieren. Was aber noch mehr ist, so kann uns

§ 61 DELLA CONFORMITÀ OGGETTIVA DELLA NATURA AL FINE

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Attenendosi ai principi trascendentali, si hanno buoni motivi per supporre una conformità soggettiva della natura al fine nelle sue leggi particolari, per quel che riguarda la sua comprensibilità da parte della forza umana di giudizio e la possibilità di connettere esperienze particolari in un sistema della natura; e così, tra i molti prodotti della natura, possiamo poi attenderci come possibili anche taluni che, come se fossero fatti appositamente per la nostra forza di giudizio, contengono una forma specifica adeguata a essa, tale che essi, con la loro varietà e unità, servono per così dire a rafforzare e intrattenere le forze dell’animo (che sono in gioco nell’uso di questa facoltà), e pertanto si attribuisce loro il nome di forme b e l l e . Ma che le cose della natura servano l’una all’altra quali mezzi in vista di fini e che la loro stessa possibilità sia sufficientemente comprensibile soltanto mediante questa specie di causalità è ciò di cui non troviamo alcun fondamento nell’idea universale della natura in quanto insieme degli oggetti dei sensi. Infatti, nel caso precedente la rappresentazione 268 delle cose poteva benissimo, essendo qualcosa di presente in noi, essere pensata anche a priori come confacente e idonea alla disposizione, internamente conforme al fine, delle nostre facoltà conoscitive; ma non si può affatto presumere a priori con un qualche fondamento in che modo dei fini che non sono i nostri, e che non appartengono neppure alla natura (che noi non assumiamo come un essere intelligente), possano o debbano tuttavia costituire una specie particolare di causalità, o almeno una conformità del tutto peculiare della

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

selbst die Erfahrung die Wirklichkeit derselben nicht beweisen; es müßte denn eine Vernünftelei vorhergegangen sein, die nur 360 den Begriff des Zwecks in || die Natur der Dinge hineinspielt, aber ihn nicht von den Objekten und ihrer Erfahrungserkenntnis hernimmt, denselben also mehr braucht, die Natur nach der Analogie mit einem subjektiven Grunde der Verknüpfung der Vorstellungen in uns begreiflich zu machen, als sie aus objektiven Gründen zu erkennen. Überdem ist die objektive Zweckmäßigkeit, als Prinzip der Möglichkeit der Dinge der Natur, so weit davon entfernt, mit dem Begriffe derselben n o t w e n d i g zusammenzuhängen: daß sie vielmehr gerade das ist, worauf man sich vorzüglich beruft, um die Zufälligkeit derselben (der Natur) und ihrer Form daraus zu beweisen. Denn wenn man z. B. den Bau eines Vogels, | 269 die Höhlung in seinen Knochen, die Lage seiner Flügel zur Bewegung, und des Schwanzes zum Steuern u.s.w. anführt: so sagt man, daß dieses alles nach dem bloßen nexus effectivus in der Natur, ohne noch eine besondere Art der Kausalität, nämlich die der Zwecke (nexus finalis), zu Hülfe zu nehmen, im höchsten Grade zufällig sei: d. i. daß sich die Natur, als bloßer Mechanism betrachtet, auf tausendfache Art habe anders bilden können, ohne gerade auf die Einheit nach einem solchen Prinzip zu stoßen, und man also außer dem Begriffe der Natur, nicht in demselben, den mindesten Grund dazu a priori allein anzutreffen hoffen dürfe. Gleichwohl wird die teleologische Beurteilung, wenigstens problematisch, mit Recht zur Naturforschung gezogen; aber nur, um sie nach der A n a l o g i e mit der Kausalität nach Zwecken unter Prinzipien der Beobachtung und Nachforschung zu bringen, ohne sich anzumaßen, sie darnach zu e r k l ä r e n . Sie gehört also zur reflektierenden, nicht der3 bestimmenden, Urteilskraft. Der Begriff von Verbindungen und Formen der Natur nach Zwecken ist doch wenigstens e i n P r i n z i p m e h r, die Erscheinungen derselben unter Regeln zu bringen, wo die Gesetze der Kausalität nach dem bloßen Mechanism derselben nicht zulangen. Denn wir führen einen teleologischen Grund an, wo wir einem Begriffe vom Objekte, als ob er in der Natur (nicht in uns) befindlich wäre4, Kausalität in 270 Ansehung eines Objekts zueignen, | oder vielmehr nach der

I. ANALITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO, § 61

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natura alla legge. Anzi, di più: neppure l’esperienza può provarci la realtà di quei fini; per questo occorrerebbe che fosse intervenuto un ragionamento cavilloso e avesse prima introdotto il concetto del fine nella natura delle cose, limitandosi a 360 introdurlo senza ricavarlo dagli oggetti e dalla loro conoscenza mediante l’esperienza, che lo usi dunque più per rendere comprensibile la natura in analogia con un principio soggettivo della connessione delle rappresentazioni in noi piuttosto che per conoscerla a partire da principi oggettivi. Inoltre la conformità oggettiva al fine, come principio della possibilità delle cose della natura, ben lontana dall’essere connessa n e c e s s a r i a m e n t e con il concetto della natura, è piuttosto proprio ciò a cui ci si richiama di preferenza per provare, a partire da lì, la contingenza di questa (della natura) e della sua forma. Infatti, se si adduce come esempio la struttura di un uccello, la cavità delle sue ossa, la disposi- 269 zione delle sue ali ordinate al movimento e della coda che serve da timone, ecc., si dice che tutto ciò è in sommo grado contingente secondo il semplice nexus effectivus che regna nella natura, senza ricorrere anche a una specie particolare di causalità, cioè quella dei fini (nexus finalis); ciò vale a dire che la natura, intesa come semplice meccanismo, si sarebbe potuta formare in altri mille modi senza imbattersi proprio nell’unità secondo un tale principio, e che non si può quindi sperare di trovare a priori il minimo fondamento di tale unità nel concetto di natura, ma solo al di fuori di esso. Tuttavia, almeno problematicamente, la valutazione teleologica viene applicata a buon diritto alla ricerca sulla natura, ma solo per sottoporla, secondo l’ a n a l o g i a con la causalità secondo fini, a principi di osservazione e di ricerca senza pretendere in tal modo di s p i e g a r l a . Tale valutazione appartiene dunque alla forza riflettente di giudizio e non a quella determinante. Il concetto di collegamenti e forme della natura secondo fini è comunque, per lo meno, u n p r i n c i p i o i n p i ù per ricondurre i fenomeni naturali sotto regole, laddove non bastano le leggi della causalità secondo il semplice meccanismo della natura. Noi infatti adduciamo un fondamento teleologico quando attribuiamo a un concetto dell’oggetto, come se si trovasse nella natura (e non in noi), una causalità riguardo a un oggetto, o piuttosto quando ci rappresen- 270

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

Analogie einer solchen Kausalität (dergleichen wir in uns antreffen) uns die Möglichkeit des Gegenstandes vorstellen, mithin die Natur als durch eignes Vermögen t e c h n i s c h denken; wogegen5, wenn wir ihr nicht eine solche Wirkungsart beilegen, ihre Kausalität als blinder Mechanism vorgestellt werden müßte. Würden wir dagegen der Natur a b s i c h t l i c h -wirkende 361 Ursachen unterlegen, mithin der || Teleologie nicht bloß ein r e g u l a t i v e s Prinzip für die bloße B e u r t e i l u n g der Erscheinungen, denen die Natur nach ihren besondern Gesetzen als unterworfen gedacht werden könne, sondern dadurch auch ein6 k o n s t i t u t i v e s Prinzip der A b l e i t u n g ihrer Produkte von ihren Ursachen zum Grunde legen: so würde der Begriff eines Naturzwecks nicht mehr für die reflektierende, sondern die bestimmende Urteilskraft gehören; alsdann aber in der Tat gar nicht der Urteilskraft eigentümlich angehören (wie der Begriff7 der Schönheit als formaler subjektiver Zweckmäßigkeit), sondern, als Vernunftbegriff, eine neue Kausalität in der Naturwissenschaft einführen, die wir doch nur von uns selbst entlehnen und andern Wesen beilegen, ohne sie gleichwohl mit uns als gleichartig annehmen zu wollen. | || 271 362

Erste Abteilung

Analytik der teleologischen Urteilskraft § 62 Von der objektiven Zweckmässigkeit, die bloss formal ist, zum Unterschiede von der materialen Alle geometrische Figuren, die nach einem Prinzip gezeichnet werden, zeigen eine mannigfaltige, oft bewunderte, objektive Zweckmäßigkeit, nämlich der Tauglichkeit zur Auflösung vieler Probleme nach einem einzigen Prinzip, und auch wohl eines jeden derselben auf unendlich verschiedene Art an sich. Die Zweckmäßigkeit ist hier offenbar objektiv und intellektuell, nicht aber bloß subjektiv und ästhetisch. Denn sie drückt die

I. ANALITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO, § 62

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tiamo la possibilità dell’oggetto secondo l’analogia con una tale causalità (del tipo di quella che troviamo in noi), pensando di conseguenza la natura in virtù di una sua propria capacità come t e c n i c a ; per contro, quando noi non le conferiamo un tale modo di produrre effetti, la sua causalità dovrebbe essere rappresentata come un cieco meccanismo. Se noi invece attribuissimo alla natura cause i n t e n z i o n a l m e n t e efficienti, e se di conseguenza ponessimo a fondamento della teleologia non semplicemente un principio r e g o l a t i v o per 361 la semplice v a l u t a z i o n e dei fenomeni, al quale si potrebbe pensare che la natura sia sottoposta secondo le sue leggi particolari, ma anche perciò un principio c o s t i t u t i v o della d e r i v a z i o n e dei suoi prodotti dalle loro cause, ecco che il concetto di un fine della natura non apparterrebbe più alla forza riflettente di giudizio, bensì a quella determinante; ma allora, di fatto, il concetto di un fine della natura non apparterrebbe affatto in modo peculiare alla forza di giudizio (come avviene per il concetto della bellezza quale conformità soggettiva formale al fine), ma introdurrebbe, come concetto della ragione, una nuova causalità nella scienza della natura, una causalità che però noi attingiamo soltanto da noi stessi e che attribuiamo ad altri esseri, senza tuttavia voler ammettere che sono simili a noi.

CAPITOLO PRIMO

ANALITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO § 62 DELLA CONFORMITÀ OGGETTIVA AL FINE CHE, A DIFFERENZA DI QUELLA MATERIALE, È SEMPLICEMENTE FORMALE Tutte le figure geometriche disegnate secondo un principio mostrano in sé una molteplice, spesso ammirata, oggettiva conformità al fine, che consiste nell’idoneità a risolvere molti problemi secondo un unico principio, come pure a risolvere ognuno di essi in modi che sono infinitamente diversi. La conformità al fine è qui palesemente oggettiva e intellettuale, e non semplicemente soggettiva ed estetica. Infatti

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

Angemessenheit der Figur zur Erzeugung vieler abgezweckten Gestalten aus, und wird durch Vernunft erkannt. Allein die Zweckmäßigkeit macht doch den Begriff von dem Gegenstande selbst nicht möglich, d. i. er wird nicht bloß in Rücksicht auf diesen Gebrauch als möglich angesehen. | 272 In einer so einfachen Figur, als der Zirkel ist, liegt der Grund zu einer Auflösung einer Menge von Problemen, deren jedes für sich mancherlei Zurüstung erfordern würde, und die als eine von den unendlich vielen vortrefflichen Eigenschaften dieser Figur sich gleichsam von selbst ergibt. Ist es z. B. darum zu tun, aus der gegebenen Grundlinie und dem ihr gegenüberstehenden Winkel einen Triangel zu konstruieren, so ist die Aufgabe unbestimmt, d. i. sie läßt sich auf unendlich mannigfaltige Art auflösen. Allein der Zirkel befaßt sie doch alle insgesamt, als der geometrische Ort für alle Dreiecke, die dieser Bedingung gemäß sind. Oder zwei Linien sollen sich einander so schneiden, daß das Rechteck aus den zwei Teilen der einen dem Rechteck aus den zwei Teilen der andern gleich sei: so hat die Auflösung der Aufgabe dem Ansehen nach viele Schwierigkeit. Aber alle Linien, die sich innerhalb dem Zirkel, dessen || 363 Umkreis jede derselben begrenzt, schneiden, teilen sich von selbst in dieser Proportion. Die andern krummen Linien geben wiederum andere zweckmäßige Auflösungen an die Hand, an die in der Regel, die ihre Konstruktion ausmacht, gar nicht gedacht war. Alle Kegelschnitte für sich, und in Vergleichung mit einander, sind fruchtbar an Prinzipien zur Auflösung einer Menge möglicher Probleme, so einfach auch ihre Erklärung ist, welche ihren Begriff bestimmt. — Es ist eine wahre Freude, den Eifer der alten Geometer anzusehen, mit dem sie diesen Eigen273 schaften | der Linien dieser Art nachforschten, ohne sich durch die Frage eingeschränkter Köpfe irre machen zu lassen: wozu denn diese Kenntnis nützen sollte? z. B. die der Parabel, ohne das Gesetz der Schwere auf der Erde zu kennen, welches ihnen die Anwendung derselben auf die Wurfslinie schwerer Körper (deren Richtung der Schwere in ihrer Bewegung als parallel angesehen werden kann) würde an die Hand gegeben haben; oder der Ellipse, ohne zu ahnen1, daß auch eine Schwere an Himmelskörpern zu finden sei, und ohne ihr Gesetz in verschie-

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essa esprime l’adeguatezza della figura a generare molte forme proposte quali fini, ed è conosciuta dalla ragione. Solo che la conformità al fine non rende tuttavia possibile il concetto dell’oggetto stesso, cioè il concetto non è considerato come possibile solamente rispetto a questo uso. In una figura così semplice quale è il cerchio, c’è il fonda- 272 mento che permette di risolvere una quantità di problemi ciascuno dei quali esigerebbe per sé un diverso armamentario, mentre la soluzione di questi problemi viene in qualche modo da sé come una delle proprietà infinitamente numerose e notevoli di questa figura. Se, per esempio, si tratta di costruire un triangolo a partire da una base data e dall’angolo ad essa opposto, il problema è indeterminato, cioè si può risolvere in un’infinità di modi diversi. Ma il cerchio comprende comunque tutte queste soluzioni, essendo il luogo geometrico per tutti i triangoli che soddisfano tale condizione. Oppure due linee devono intersecarsi in modo tale che il rettangolo formato dai due segmenti dell’una sia uguale al rettangolo formato dai due segmenti dell’altra: un problema, questo, la cui soluzione presenta apparentemente molte difficoltà. Ma tutte le linee che si intersecano all’interno del cerchio, dalla cui circonferenza ciascuna di esse è limitata, si dividono da sé 363 in questa proporzione. Le altre linee curve forniscono a loro volta altre soluzioni conformi al fine alle quali non si era affatto pensato nel definire la regola che costituisce la loro costruzione. Tutte le sezioni coniche, sia di per sé e sia confrontandole, sono feconde di principi che permettono di risolvere una quantità di possibili problemi, per quanto semplice sia la definizione di quella figura che determina il loro concetto. — È una vera gioia osservare lo zelo con il quale gli antichi geometri101 studiavano le proprietà delle linee di que- 273 sta specie senza lasciarsi fuorviare dalla domanda di menti ristrette: a che cosa servirà mai questa conoscenza? Per esempio studiavano le proprietà della parabola, senza conoscere la legge dei gravi sulla terra, la quale avrebbe potuto fornire loro l’applicazione della parabola alla traiettoria dei corpi pesanti (la cui direzione nel loro moto può essere considerata parallela alla gravità); o le proprietà dell’ellisse senza immaginare che si sarebbe trovata anche una gravità nei corpi celesti e senza conoscere la legge che li governa secondo le diverse

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

denen Entfernungen vom Anziehungspunkte zu kennen, welches macht, daß sie diese Linie in freier Bewegung beschreiben. Während dessen, daß sie hierin, ihnen selbst unbewußt, für die Nachkommenschaft arbeiteten, ergötzten sie sich an einer Zweckmäßigkeit in dem Wesen der Dinge, die sie doch völlig a priori in ihrer Notwendigkeit darstellen konnten. Plato, selbst Meister in dieser Wissenschaft, geriet über eine solche ursprüngliche Beschaffenheit der Dinge, welche zu entdecken wir aller Erfahrung entbehren können, und über das Vermögen des Gemüts, die Harmonie der Wesen aus ihrem übersinnlichen Prinzip schöpfen zu können (wozu noch die Eigenschaften der Zahlen kommen, mit denen das Gemüt in der Musik spielt), in die Begeisterung, welche ihn über die Erfahrungsbegriffe zu Ideen erhob, die ihm nur durch eine intellektuelle Gemeinschaft mit dem Ursprunge aller Wesen erklärlich zu sein schie274 nen. Kein Wunder, | daß er den der Meßkunst Unkundigen aus seiner Schule verwies, indem er das, was Anaxagoras aus Erfahrungsgegenständen und ihrer Zweckverbindung schloß, aus der reinen, dem menschlichen Geiste innerlich beiwohnenden, Anschauung abzuleiten dachte. Denn in der Notwendigkeit dessen was zweckmäßig ist, und so2 beschaffen ist, als ob es für unsern Gebrauch absichtlich so eingerichtet wäre, gleichwohl aber dem3 Wesen der Dinge ursprünglich zuzukommen scheint, ohne auf unsern Gebrauch Rücksicht zu nehmen, liegt eben der Grund der großen Bewunderung der Natur, nicht sowohl außer uns, als in unserer eigenen Vernunft; wobei es wohl || 364 verzeihlich ist, daß diese Bewunderung durch Mißverstand nach und nach bis zur Schwärmerei steigen mochte. Diese intellektuelle Zweckmäßigkeit aber, ob sie gleich objektiv ist (nicht wie die ästhetische subjektiv), läßt sich gleichwohl ihrer Möglichkeit nach als bloß formale (nicht reale), d. i. als Zweckmäßigkeit, ohne daß doch ein Zweck ihr zum Grunde zu legen, mithin Teleologie dazu nötig wäre, gar wohl, aber nur im allgemeinen, begreifen. Die Zirkelfigur ist eine Anschauung, die durch den Verstand nach einem Prinzip bestimmt worden: die Einheit dieses Prinzips, welches ich willkürlich annehme und als Begriff zum Grunde lege, angewandt auf eine Form der Anschauung (den Raum), die gleichfalls bloß als Vorstellung

I. ANALITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO, § 62

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distanze rispetto al punto di attrazione, una legge che stabilisce che essi descrivano questa linea in un moto libero. Mentre così lavoravano, a loro insaputa, per la posterità, gioivano nel constatare che nell’essenza delle cose era inscritta una conformità al fine che essi comunque potevano esibire del tutto a priori nella sua necessità. Platone102, egli stesso maestro in questa scienza, fu preso da entusiasmo per una tale costituzione originaria delle cose che noi possiamo scoprire facendo a meno di ogni esperienza, e per la capacità dell’animo di poter attingere l’armonia degli esseri a partire dal loro principio soprasensibile (a cui si aggiungono ancora le proprietà dei numeri con le quali l’animo gioca nella musica): un tale entusiasmo lo elevò oltre i concetti dell’esperienza fino alle idee che gli sembravano spiegabili unicamente mediante una comunanza intellettuale con l’origine di tutti gli 274 esseri. Non c’è da meravigliarsi che egli respingesse dalla sua scuola coloro che ignoravano la geometria: ciò che Anassagora103 ricavava dagli oggetti dell’esperienza e dal loro nesso finale, Platone pensò di dedurlo dall’intuizione pura insita nello spirito umano. Infatti è nella necessità di ciò che è conforme al fine e che è costituito come se fosse intenzionalmente organizzato per il nostro uso: ma sembra tuttavia appartenere originariamente all’essenza delle cose senza alcun riguardo per il nostro uso, è proprio in una tale necessità che consiste il fondamento della grande ammirazione che si prova per la natura, non tanto fuori di noi quanto nella nostra propria ragione; in tal senso è certamente perdonabile che questa 364 ammirazione nata da un malinteso si sia potuta accrescere a poco a poco fino a giungere all’esaltazione del fanatismo. Ma questa conformità intellettuale al fine, benché sia oggettiva (e non soggettiva al modo di quella estetica), si può comunque comprendere benissimo, per quanto solo in generale, nella sua possibilità come semplicemente formale (e non reale), cioè come una conformità al fine che interviene senza che sia tuttavia necessario porre a suo fondamento un fine e di conseguenza neppure una teleologia. La figura del cerchio è un’intuizione che è stata determinata dall’intelletto secondo un principio: l’unità di questo principio che io ammetto arbitrariamente e che pongo a suo fondamento quale concetto, applicato a una forma dell’intuizione (allo spazio) che si trova

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

und zwar a priori in mir angetroffen wird, macht die Einheit | jenes Begriffs ergebender Regeln, die in mancherlei möglicher Absicht zweckmäßig sind, begreiflich, ohne dieser Zweckmäßigkeit einen Z w e c k , oder irgend einen andern Grund derselben, unterlegen zu dürfen. Es ist hiemit nicht so bewandt, als wenn ich in einem, in gewisse Grenzen eingeschlossenen, Inbegriffe von D i n g e n außer mir, z. B. einem Garten, Ordnung und Regelmäßigkeit der Bäume, Blumenbeete4, Gänge u.s.w. anträfe, welche ich a priori aus meiner nach einer beliebigen Regel gemachten5 Umgrenzung eines Raums zu folgern nicht hoffen kann: weil es existierende Dinge sind, die empirisch gegeben sein müssen, um erkannt werden zu können, und nicht eine bloße nach einem Prinzip a priori bestimmte Vorstellung in mir. Daher die letztere (empirische) Zweckmäßigkeit, als r e a l , von dem Begriffe eines Zwecks abhängig ist. Aber auch der Grund der Bewunderung einer, obzwar in dem Wesen der Dinge (sofern ihre Begriffe konstruiert werden können) wahrgenommenen, Zweckmäßigkeit läßt sich sehr wohl und zwar als rechtmäßig einsehen. Die mannigfaltigen Regeln, deren Einheit (aus einem Prinzip) diese Bewunderung erregt, sind insgesamt synthetisch, und folgen nicht aus einem B e g r i f f e des Objekts, z. B. des Zirkels, sondern bedürfen es, daß dieses Objekt in der Anschauung gegeben sei. Dadurch aber bekommt diese Einheit das Ansehen, als ob sie empirisch 276 einen von unserer Vorstellungskraft unterschiedenen äus|sern Grund der Regeln habe, und also die Übereinstimmung des Objekts zu dem Bedürfnis der Regeln, welches dem6 Verstande eigen ist, an sich zufällig, mithin nur durch einen ausdrücklich 365 darauf gerichteten Zweck möglich sei. Nun sollte uns zwar || eben diese Harmonie, weil sie, aller dieser Zweckmäßigkeit ungeachtet, dennoch nicht empirisch, sondern a priori erkannt wird, von selbst darauf bringen, daß der Raum, durch dessen Bestimmung (vermittelst der Einbildungskraft, gemäß einem Begriffe) das Objekt allein möglich war, nicht eine Beschaffenheit der Dinge außer mir, sondern eine bloße Vorstellungsart in mir sei, und ich also in die Figur, die ich e i n e m B e g r i f f e a n g e m e s s e n zeichne, d. i. in meine eigene Vorstellungsart von dem, was mir äußerlich, es sei an sich was es wolle, gegeben wird, die Z w e c k m ä ß i g k e i t h i n e i n b r i n g e , nicht von 275 vieler sich aus der Konstruktion

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ugualmente in me semplicemente come rappresentazione, e anzi a priori, rende comprensibile l’unità di molte regole risultanti dalla costruzione di quel concetto, regole che, per 275 parecchi intenti possibili, sono conformi al fine, senza che ci sia bisogno di porre alla base di questa conformità al fine un f i n e o un qualunque altro fondamento. Qui non avviene come se trovassi in un insieme di c o s e fuori di me un insieme racchiuso entro certi limiti, per esempio in un giardino ordine e regolarità degli alberi, delle aiuole, dei viali, ecc., dato che io non posso sperare di derivare a priori tale ordine e tale regolarità a partire dalla mia delimitazione di un certo spazio effettuata secondo una regola scelta a piacere: infatti si tratta di cose esistenti che devono essere date empiricamente per poter essere conosciute, e non di una semplice rappresentazione inscritta in me e determinata secondo un principio a priori. Di conseguenza, quest’ultima conformità (empirica) al fine dipende, in quanto r e a l e , dal concetto di un fine. Ma si può scorgere molto bene e pure considerare legittimo anche il fondamento dell’ammirazione nei confronti di una conformità al fine, sebbene percepita nell’essenza delle cose (nella misura in cui i loro concetti possono essere costruiti). Le molteplici regole, la cui unità (a partire da un principio) suscita tale ammirazione, sono nel loro complesso sintetiche e non derivano da un c o n c e t t o dell’oggetto, per esempio del cerchio, bensì esigono che questo oggetto sia dato nell’intuizione. Proprio per questo tale unità si presenta però come se possedesse empiricamente un fondamento delle 276 regole che sarebbe esterno e distinto dalla nostra forza rappresentativa; e dunque è come se l’accordo dell’oggetto con il bisogno delle regole, che è proprio dell’intelletto, fosse in sé contingente e di conseguenza possibile unicamente mediante un fine espressamente orientato in questa direzione. Ma precisamente questa armonia, essendo tuttavia conosciuta, nono- 365 stante tutta questa conformità al fine, non empiricamente bensì a priori, da sé dovrebbe portarci a concludere che lo spazio, mediante la cui determinazione soltanto (per mezzo della forza di immaginazione, conformemente a un concetto) era possibile l’oggetto, non è una proprietà delle cose fuori di me, bensì una semplice specie rappresentativa in me; e in tal senso sono io che i n t r o d u c o l a c o n f o r m i t à a l f i n e

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

diesem über dieselbe empirisch7 belehrt werde, folglich zu jener keinen besondern Zweck außer mir am Objekte bedürfe. Weil8 aber diese Überlegung schon einen kritischen Gebrauch der Vernunft erfordert, mithin in der Beurteilung des Gegenstandes nach seinen Eigenschaften nicht sofort mit enthalten sein kann: so gibt mir die letztere unmittelbar nichts als Vereinigung heterogener Regeln (sogar nach dem, was sie Ungleichartiges an sich haben) in einem Prinzip an die Hand, welches, ohne einen außer meinem Begriffe und überhaupt meiner Vorstellung a pri277 ori liegenden besondern Grund | dazu zu fordern, dennoch von mir a priori als wahrhaft erkannt wird. Nun ist die Ve r w u n d e r u n g ein Anstoß des Gemüts an der Unvereinbarkeit einer Vorstellung und der durch sie gegebenen Regel mit den schon in ihm zum Grunde liegenden Prinzipien, welcher9 also einen Zweifel, ob man auch recht gesehen oder geurteilt habe, hervorbringt; B e w u n d e r u n g aber eine immer wiederkommende Verwunderung, ungeachtet der Verschwindung dieses Zweifels. Folglich ist die letzte eine ganz natürliche Wirkung jener beobachteten Zweckmäßigkeit in dem Wesen10 der Dinge (als Erscheinungen), die auch sofern nicht getadelt werden kann, indem die Vereinbarung jener Form der sinnlichen Anschauung (welche der Raum heißt) mit dem Vermögen der Begriffe (dem Verstande) nicht allein deswegen, daß sie gerade diese und keine andere ist, uns unerklärlich, sondern überdem noch für das Gemüt erweiternd ist, noch etwas über jene sinnliche Vorstellungen Hinausliegendes gleichsam zu ahnen11, worin, obzwar uns unbekannt, der letzte Grund jener Einstimmung angetroffen werden mag. Diesen zu kennen haben wir zwar auch nicht nötig, wenn es bloß um formale Zweckmäßigkeit unserer Vorstellungen a priori zu tun ist; aber, auch nur da hinaussehen zu müssen, flößt für den Gegenstand, der uns dazu nötigt, zugleich Bewunderung ein12. Man ist gewohnt, die erwähnten Eigenschaften, sowohl der 278 geometri schen Gestalten, als auch wohl der Zahlen, wegen || | 366

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nella figura che disegno a d e g u a t a m e n t e a u n c o n c e t t o , cioè nella mia propria specie rappresentativa di ciò che mi è dato esternamente, qualsiasi cosa esso sia in sé: non è da questo dato che sono istruito empiricamente su questa conformità al fine e di conseguenza non ho bisogno, per questa, di alcun fine particolare nell’oggetto esterno a me. Ma poiché tale riflessione richiede già un uso critico della ragione, e di conseguenza non può essere subito contenuta nella valutazione dell’oggetto secondo le sue proprietà, ecco che tale valutazione non mi fornisce immediatamente nient’altro che l’unificazione di regole eterogenee (perfino per quello che hanno in sé di non omogeneo) in un principio che, senza esigere per questo un fondamento particolare che sta al di fuori del mio concetto e in generale fuori dalla mia rappre- 277 sentazione a priori, è tuttavia da me conosciuto a priori come veritiero. Ora, la m e r a v i g l i a è uno scontrarsi dell’animo con l’inconciliabilità di una rappresentazione e della regola che essa fornisce con i principi che già stanno a fondamento dell’animo, uno scontro che suscita così un dubbio sul fatto che sia stato giusto il nostro modo di vedere o di giudicare; l’ a m m i r a z i o n e è invece una meraviglia che ricompare sempre, nonostante la sparizione di questo dubbio. Di conseguenza, l’ammirazione è un effetto del tutto naturale di quella conformità al fine osservata nell’essenza delle cose (in quanto fenomeni), che quindi non può essere biasimata non soltanto in quanto ci risulta inspiegabile perché la compatibilità di quella forma dell’intuizione sensibile (che si chiama spazio) con la facoltà dei concetti (l’intelletto) sia proprio questa e non un’altra, ma per di più anche perché l’ammirazione estende l’animo consentendogli per così dire di presentire ancora qualcosa che sta al di là, oltre quelle rappresentazioni sensibili, qualcosa in cui potrebbe trovarsi, sebbene ci sia sconosciuto, il fondamento ultimo di quella concordanza. Sicuramente non è nemmeno necessario che noi conosciamo questo fondamento, nel momento in cui si tratta semplicemente della conformità formale delle nostre rappresentazioni a priori al fine; ma anche il solo fatto di doverci spingere con lo sguardo fin là suscita nel contempo ammirazione per l’oggetto che ci costringe a farlo. Si è soliti chiamare b e l l e z z a le proprietà menzionate delle figure geometriche come pure dei numeri, a causa di 278 366

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einer gewissen, aus der Einfachheit ihrer Konstruktion nicht erwarteten, Zweckmäßigkeit derselben a priori zu allerlei Erkenntnisgebrauch, S c h ö n h e i t 13 zu nennen; und spricht z. B. von dieser oder jener s c h ö n e n Eigenschaft des Zirkels, welche auf diese oder jene Art entdeckt wäre. Allein es ist keine ästhetische Beurteilung, durch die wir sie zweckmäßig finden; keine Beurteilung ohne Begriff, die eine bloße s u b j e k t i v e Zweckmäßigkeit im freien Spiele unserer Erkenntnisvermögen bemerklich macht14: sondern eine intellektuelle nach Begriffen, welche eine objektive Zweckmäßigkeit, d. i. Tauglichkeit zu allerlei (ins Unendliche mannigfaltigen) Zwecken deutlich zu erkennen gibt. Man müßte sie eher eine r e l a t i v e Vo l l k o m m e n h e i t , als eine Schönheit der mathematischen Figur nennen. Die15 Benennung einer i n t e l l e k t u e l l e n S c h ö n h e i t kann auch überhaupt nicht füglich erlaubt werden; weil sonst das Wort Schönheit alle bestimmte Bedeutung, oder das intellektuelle Wohlgefallen allen Vorzug vor dem sinnlichen verlieren müßte. Eher würde man eine D e m o n s t r a t i o n solcher Eigenschaften, weil durch diese der Verstand, als Vermögen der Begriffe, und die16 Einbildungskraft, als Vermögen der Darstellung derselben, a priori sich gestärkt fühlen (welches, mit der Präzision, die die Vernunft hineinbringt, zusammen, die Eleganz derselben genannt wird), schön nennen können: indem hier doch wenigstens das Wohlgefallen, obgleich der Grund 279 desselben17 in Begriffen | liegt, subjektiv ist, da die Vollkommenheit ein objektives Wohlgefallen bei sich führt.

§ 63 Von der relativen Zweckmässigkeit der Natur zum Unterschiede von der innern Die Erfahrung leitet unsere Urteilskraft auf den Begriff einer objektiven und materialen Zweckmäßigkeit, d. i. auf den Begriff eines Zwecks der Natur nur alsdann, wenn ein Verhältnis der Ursache zur Wirkung zu beurteilen ist*, welches wir als gesetz-

* Weil in der reinen Mathematik nicht von der Existenz, sondern nur der Möglichkeit der Dinge, nämlich einer ihrem Begriffe korrespondieren-

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una certa loro conformità a priori al fine in vista di ogni tipo di uso della conoscenza, una conformità al fine che non ci si attendeva, data la semplicità della loro costruzione; e si parla, per esempio, di questa o quella b e l l a proprietà del cerchio che sarebbe stata scoperta in questo o quel modo. Ma non è per una valutazione estetica che noi troviamo conformi al fine queste proprietà; non è una valutazione senza concetto che fa notare una semplice conformità s o g g e t t i v a al fine nel libero gioco delle nostre facoltà conoscitive. È al contrario una valutazione intellettuale secondo concetti che fa conoscere distintamente una conformità oggettiva al fine, cioè un’idoneità a tutti i tipi di fini (molteplici all’infinito). Si dovrebbe chiamarla una p e r f e z i o n e r e l a t i v a della figura matematica piuttosto che una sua bellezza. In generale non è neppure possibile ammettere che sia conveniente denominare la b e l l e z z a come i n t e l l e t t u a l e , perché altrimenti la parola bellezza dovrebbe perdere ogni significato determinato oppure il compiacimento intellettuale perderebbe ogni primato su quello sensibile. È piuttosto una d i m o s t r a z i o n e di tali proprietà che si potrebbe chiamare bella, perché mediante essa l’intelletto, in quanto facoltà dei concetti, e la forza di immaginazione, in quanto facoltà della loro esibizione, si sentono rafforzati a priori (cosa che, insieme alla precisione introdotta dalla ragione, viene detta eleganza della dimostrazione): qui infatti il compiacimento, benché il suo 279 fondamento si trovi nei concetti, è almeno soggettivo, mentre la perfezione comporta un compiacimento oggettivo.

§ 63 DELLA CONFORMITÀ RELATIVA DELLA NATURA AL FINE A DIFFERENZA DI QUELLA INTERNA

L’esperienza conduce la nostra forza di giudizio al concetto di una conformità oggettiva e materiale al fine, cioè al concetto di un fine della natura, unicamente quando vi sia da valutare un rapporto di causa ed effetto* che ci troviamo in * Poiché nella matematica pura non può trattarsi dell’esistenza, ma solo della possibilità delle cose, vale a dire di un’intuizione che corri-

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|| vermögend finden, daß wir die Idee der Wirkung der Kausalität ihrer Ursache, als die dieser selbst zum Grunde liegende Bedingung der Möglichkeit der ersteren, unterlegen. Dieses kann aber auf zwiefache Weise geschehen: entweder indem wir die Wirkung unmittelbar als Kunstprodukt, oder nur als Material für die Kunst anderer möglicher Naturwesen, also entweder als Zweck, oder als Mittel zum zweckmäßigen Gebrauche anderer Ursachen, ansehen. Die letztere Zweckmäßigkeit heißt die Nutzbarkeit (für Menschen), | 280 oder auch Zuträglichkeit (für jedes andere Geschöpf), und ist bloß relativ; indes die2 erstere eine innere Zweckmäßigkeit des Naturwesens ist. Die Flüsse führen z. B. allerlei zum Wachstum der Pflanzen dienliche Erde mit sich fort, die sie bisweilen mitten im Lande, oft auch an ihren Mündungen, absetzen. Die Flut führt diesen Schlich an manchen Küsten über das Land, oder setzt ihn an dessen Ufer ab; und, wenn vornehmlich Menschen dazu helfen, damit die Ebbe ihn nicht wieder wegführe, so nimmt das fruchtbare Land zu, und das Gewächsreich gewinnt3 da Platz, wo vorher Fische und Schaltiere ihren Aufenthalt gehabt hatten. Die meisten Landeserweiterungen auf diese Art hat wohl die Natur selbst verrichtet und fährt damit auch noch, obzwar langsam, fort. — Nun fragt sich, ob dies als ein Zweck der Natur zu beurteilen sei, weil es eine Nutzbarkeit für Menschen enthält; denn die für das Gewächsreich selber kann man nicht in Anschlag bringen, weil dagegen eben so viel den Meergeschöpfen entzogen wird, als dem Lande Vorteil zuwächst. Oder, um ein Beispiel von der Zuträglichkeit gewisser Naturdinge als Mittel für andere Geschöpfe (wenn man sie als Zwecke4 voraussetzt) zu geben: so ist kein Boden den Fichten gedeihlicher, als ein Sandboden. Nun hat das alte Meer, ehe es sich vom Lande zurückzog, so viele Sandstriche in unsern nordlichen Gegenden zurückgelassen, daß auf diesem für alle Kultur 281 sonst so unbrauch|baren Boden weitläuftige Fichtenwälder haben aufschlagen können, wegen deren unvernünftiger Ausrottung wir häufig unsere Vorfahren anklagen; und da kann man 367 lich einzusehen uns nur dadurch

den Anschauung, mithin gar nicht von Ursache und Wirkung die Rede sein kann: so muß folglich alle daselbst angemerkte Zweckmäßigkeit bloß als formal, niemals als Naturzweck, betrachtet werden1.

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grado di discernere come legale solo in quanto poniamo alla 367 base della causalità della sua causa l’idea del suo effetto, idea che sta a fondamento della causa stessa e che è condizione della possibilità di tale effetto. Ma questo può avvenire in due modi: o noi consideriamo l’effetto immediatamente quale prodotto dell’arte oppure soltanto come materiale per l’arte di altri possibili esseri della natura: quindi lo riteniamo o un fine o un mezzo per l’uso conforme al fine di altre cause. Quest’ultima conformità al fine si chiama utilizzabilità (per gli uomini) o anche convenienza (per qualsiasi altra creatura) 280 ed è semplicemente relativa, mentre la prima è una conformità interna al fine dell’essere naturale. I fiumi, per esempio, trasportano con sé ogni tipo di terra che favorisce la crescita delle piante e la depositano talvolta attraverso il territorio, e spesso invece alle loro foci. Su certe coste il flusso delle maree porta questo limo fino sulla terra o lo deposita sulla sua riva; e soprattutto se gli uomini fanno in modo che il riflusso non lo riporti via, il terreno fertile aumenta e il regno vegetale va a occupare il luogo che era prima dimora di pesci e crostacei. La maggior parte di questo tipo di estensioni della terra è stata realizzata dalla natura stessa che ancora continua nell’opera, benché lentamente. — Ora ci si chiede se questo processo, dal momento che contiene un’utilizzabilità per gli uomini, vada valutato come un fine della natura; infatti non si può parlare di utilizzabilità da parte dello stesso regno vegetale, dato che alle creature del mare viene sottratto esattamente quanto va a vantaggio della terraferma. Oppure, per fornire un esempio della convenienza di certe cose della natura come mezzo per altre creature (se le si considera quali fini), nessun terreno è più propizio agli abeti di quello sabbioso. Ora, l’antico mare, prima di ritirarsi dalla terra, ha lasciato nelle nostre regioni settentrionali così tanti tratti di sabbia che su questo terreno, altrimenti inutilizzabile per qualsiasi coltura, sono potute sorgere vaste foreste di abeti 281 della cui irragionevole distruzione accusiamo spesso i nostri antenati. E qui ci si può chiedere se questo antichissimo deposponde al loro concetto, dunque non certo di causa ed effetto, ne consegue che ogni conformità al fine che vi si riscontri deve essere considerata semplicemente come formale, e mai come un fine naturale.

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fragen, ob diese uralte Absetzung der Sandschichten ein Zweck der Natur war, zum Behuf der darauf möglichen Fichtenwälder. So viel ist klar: daß, wenn man diese als Zweck der Natur annimmt, man jenen Sand auch, aber nur als relativen Zweck einräumen müsse, wozu wiederum der alte Meeresstrand und dessen Zurückziehen das Mittel war; denn in der Reihe der einander subordinierten Glieder einer Zweckverbindung muß ein 368 jedes Mittelglied als || Zweck (obgleich eben nicht als Endzweck) betrachtet werden, wozu seine nächste Ursache das Mittel ist. Eben so, wenn einmal Rindvieh, Schafe, Pferde u.s.w. in der Welt sein sollten, so mußte Gras auf Erden, aber es mußten auch Salzkräuter in Sandwüsten wachsen, wenn Kamele gedeihen sollten, oder auch diese und andere grasfressende Tierarten in Menge anzutreffen sein, wenn es Wölfe, Tiger und Löwen geben sollte. Mithin ist die objektive Zweckmäßigkeit, die sich auf Zuträglichkeit gründet, nicht eine objektive Zweckmäßigkeit der Dinge an sich selbst, als ob der Sand für sich, als Wirkung aus seiner5 Ursache, dem Meere, nicht könnte begriffen werden, ohne dem letztern einen Zweck unterzulegen, und ohne die Wirkung, nämlich den Sand, als Kunstwerk zu betrachten. Sie ist eine bloß relative, dem Dinge selbst, dem sie beige282 legt | wird, bloß zufällige Zweckmäßigkeit; und, obgleich, unter den angeführten Beispielen, die Grasarten für sich, als organisierte Produkte der Natur, mithin als kunstreich zu beurteilen sind, so werden sie doch in Beziehung auf Tiere, die sich davon nähren, als bloße rohe Materie angesehen. Wenn aber vollends der Mensch, durch Freiheit seiner Kausalität, die Naturdinge seinen oft törichten Absichten (die bunten Vogelfedern zum Putzwerk seiner Bekleidung, farbige Erden oder Pflanzensäfte zur Schminke), manchmal auch aus6 vernünftiger Absicht, das Pferd zum Reiten, den Stier und in Minorka sogar den Esel und7 das Schwein zum Pflügen, zuträglich8 findet: so kann man hier auch nicht einmal einen relativen Naturzweck (auf diesen Gebrauch) annehmen. Denn seine Vernunft weiß den Dingen eine Übereinstimmung mit seinen willkürlichen Einfällen, wozu9 er selbst nicht einmal von der Natur prädestiniert war, zu geben. Nur w e n n man annimmt, Menschen haben auf Erden leben sollen, so müssen doch wenigstens die Mittel, ohne die sie als Tiere und selbst als ver-

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sito di strati sabbiosi costituisse un fine della natura a vantaggio delle foreste di abeti che potevano crescere su questo terreno. Comunque è chiaro che, se si assumono foreste come un fine della natura, bisogna ammettere che anche quella sabbia era un fine, ma solo relativo, rispetto al quale la spiaggia marina di un tempo e il suo ritrarsi dovevano a loro volta servire come mezzo; infatti, nella serie dei membri di un nesso finale, subordinati l’uno all’altro, ogni termine medio deve essere considerato in quanto fine (benché appunto non come fine defini- 368 tivo), per il quale il mezzo è la sua causa più prossima. Allo stesso modo, se al mondo dovevano esserci bovini, pecore, cavalli, ecc., allora sulla terra era anche necessario che ci fosse l’erba, ma anche che crescesse la salsola nei deserti per permettere ai cammelli di prosperare, o anche che si trovassero queste o altre specie erbivore in quantità, se dovevano esserci lupi, tigri e leoni. Di conseguenza, la conformità oggettiva al fine che si fonda sulla convenienza non è una conformità oggettiva al fine delle cose in se stesse, come se la sabbia non potesse essere compresa per se stessa quale effetto della sua causa, il mare, senza porre alla base di quest’ultimo un fine e senza considerare l’effetto, cioè la sabbia, come un’opera dell’arte. È una conformità al fine semplicemente relativa, semplicemente con- 282 tingente per la cosa stessa cui viene attribuita; e benché, tra gli esempi citati, le specie d’erba siano da valutare di per sé in quanto prodotti organizzati della natura, e quindi come fatti con arte, vengono considerate tuttavia, in riferimento agli animali che se ne nutrono, come semplice materia grezza. Ma quando poi l’uomo, mediante la libertà della sua causalità, trova le cose della natura convenienti con i suoi intenti spesso insensati (le piume variopinte degli uccelli quale decorazione per l’abbigliamento, le terre colorate o le linfe delle piante per truccarsi), talvolta anche con intenti ragionevoli, come è il caso del cavallo utilizzato per cavalcare, il bue e, a Minorca104, perfino l’asino o il maiale per arare, neppure in questi casi si può ammettere un fine naturale relativo (per questo uso): infatti la ragione dell’uomo sa conferire alle cose un accordo con le sue trovate arbitrarie, alle quali neppure egli stesso era predestinato dalla natura. Solo s e si ammette che gli uomini dovevano vivere sulla terra, allora occorre in ogni caso che non manchino almeno i mezzi senza i quali essi

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nünftige Tiere (in wie niedrigem Grade es auch sei) nicht bestehen konnten, auch nicht fehlen; alsdann aber würden diejenigen Naturdinge, die zu diesem Behufe unentbehrlich sind, auch als Naturzwecke angesehen werden müssen. Man sieht hieraus leicht ein, daß die äußere Zweckmäßigkeit 283 (Zuträglichkeit eines Dinges für andere) nur | unter der Bedingung, daß die Existenz desjenigen, dem es zunächst oder auf entfernte Weise zuträglich ist, für sich selbst Zweck der Natur sei, für einen äußern Naturzweck angesehen werden könne. Da jenes aber, durch bloße Naturbetrachtung, nimmermehr auszu369 machen ist: so folgt, daß die relative Zweckmäßigkeit, || ob sie gleich hypothetisch auf Naturzwecke Anzeige gibt, dennoch zu keinem absoluten teleologischen Urteile berechtige. Der Schnee sichert die Saaten in kalten Ländern wider den Frost; er erleichtert die Gemeinschaft der Menschen (durch Schlitten); der Lappländer findet dort Tiere, die diese Gemeinschaft bewirken (Renntiere), die10 an einem dürren Moose, welches sie sich selbst unter dem Schnee hervorscharren müssen, hinreichende Nahrung finden, und gleichwohl sich leicht zähmen, und der Freiheit, in der sie sich gar wohl erhalten könnten, willig berauben lassen. Für andere Völker11 in derselben Eiszone enthält das Meer reichen Vorrat an Tieren, die, außer der Nahrung und Kleidung, die sie liefern, und dem Holze, welches ihnen das Meer zu Wohnungen gleichsam hinflößet, ihnen noch Brennmaterien zur Erwärmung ihrer Hütten liefern. Hier ist nun eine bewundernswürdige Zusammenkunft von so viel Beziehungen der Natur auf einen Zweck; und dieser ist der Grönländer, der Lappe, der Samojede, der Jakute12, u.s.w. Aber man sieht nicht, warum überhaupt Menschen dort leben müs284 sen. Also sagen: daß d a r u m Dünste aus der | Luft in der Form des Schnees herunterfallen, das Meer seine Ströme habe, welche das in wärmern Ländern gewachsene Holz dahin schwemmen, und große mit Öl angefüllte Seetiere da sind, w e i l der Ursache, die alle die13 Naturprodukte herbeischafft, die Idee eines Vorteils für gewisse armselige Geschöpfe zum Grunde liege: wäre ein sehr gewagtes und willkürliches Urteil. Denn, wenn alle diese Naturnützlichkeit auch nicht wäre, so würden wir nichts an der Zulänglichkeit der Naturursachen zu dieser Beschaffenheit vermissen; vielmehr eine solche Anlage auch nur zu verlangen und der Natur einen solchen Zweck zuzumuten (da

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non potevano sussistere come animali e anzi in quanto animali (magari anche a un grado minimo) razionali; ma allora quelle cose della natura che sono indispensabili a questo scopo devono anche essere considerate quali fini naturali. Perciò si vede facilmente che la conformità esterna al fine (la convenienza di una cosa per altre cose) può essere considerata 283 come un fine naturale esterno soltanto a condizione che l’esistenza di ciò per cui è conveniente in modo prossimo o alla lontana sia per se stesso un fine della natura. Ma, dato che ciò non si può mai stabilire mediante una semplice considerazione della natura, ne consegue che la conformità relativa al fine, benché 369 offra ipoteticamente degli indizi di fini naturali, non autorizza tuttavia a pronunciare alcun giudizio teleologico assoluto. Nei paesi freddi la neve protegge la seminagione dal gelo; favorisce gli uomini nella vita di comunità (grazie alle slitte); là il lappone trova animali (le renne) che permettono di realizzare questa comunanza, i quali trovano di che nutrirsi a sufficienza in un muschio secco che devono essi stessi andare a cercare raspando sotto la neve, e che tuttavia si lasciano facilmente addomesticare e privare volentieri della libertà nella quale potrebbero benissimo sostentarsi. Per altri popoli, nella stessa zona glaciale, il mare contiene ricche riserve di animali, i quali, oltre al nutrimento e al vestiario che forniscono a queste popolazioni, procurano anche, unitamente al legname trasportato dai flutti del mare e usato per costruire le abitazioni, materiali combustibili per riscaldare le loro capanne. Convergono qui in modo mirabile molti riferimenti della natura a un fine, e questo fine è il groenlandese, il lappone, il samoiedo, lo iacuto, ecc. Ma non si vede proprio perché gli uomini debbano necessariamente vivere là. In tal senso sarebbe un giudizio molto arrischiato e arbitrario dire che c i ò p e r c u i i vapori cadono dall’aria sotto forma di 284 neve, e il mare ha le sue correnti che trasportano fin là il legname cresciuto nelle regioni più calde e vi si trovano grandi animali marini ricchi di olio, è c h e , a fondamento della causa che procura tutti questi prodotti della natura, c’è l’idea di un vantaggio per certe misere creature. Infatti, anche se la natura non presentasse tutta questa utilità, non ci mancherebbe nulla riguardo alla sufficienza delle cause naturali in vista di questa costituzione; anzi sembrerebbe a noi stessi presun-

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

ohnedas14 nur die größte Unverträglichkeit der Menschen unter einander sie bis in so unwirtbare Gegenden hat versprengen können) würde uns selbst vermessen und unüberlegt zu sein dünken.

§ 64 Von dem eigentümlichen Charakter der Dinge als Naturzwecke Um einzusehen, daß ein Ding nur als Zweck möglich sei, d. h. die Kausalität seines Ursprungs nicht im Mechanism der Natur, sondern in einer Ursache, deren Vermögen zu wirken 370 durch Begriffe bestimmt wird, || suchen zu müssen, dazu wird erfordert: daß seine Form nicht nach bloßen Naturgesetzen möglich sei, d. i. solchen, welche von uns durch den Verstand allein, auf Gegenstände der Sinne angewandt, erkannt werden 285 können; | sondern daß selbst ihr empirisches Erkenntnis, ihrer Ursache und Wirkung nach, Begriffe der Vernunft voraussetze. Diese Z u f ä l l i g k e i t seiner Form bei allen empirischen Naturgesetzen in Beziehung auf die Vernunft, da die Vernunft, welche an einer jeden Form eines Naturprodukts auch die Notwendigkeit derselben erkennen muß, wenn sie auch nur die mit seiner Erzeugung verknüpften Bedingungen einsehen will, gleichwohl an1 jener gegebenen Form diese Notwendigkeit nicht annehmen kann, ist selbst ein Grund, die Kausalität desselben so anzunehmen, als ob sie eben darum nur durch Vernunft möglich sei; diese aber ist alsdann das Vermögen, nach Zwecken zu handeln (ein Wille); und das Objekt, welches nur als aus diesem möglich vorgestellt wird, würde nur als Zweck für möglich vorgestellt werden. Wenn jemand in einem ihm unbewohnt scheinenden Lande eine geometrische Figur, allenfalls ein reguläres Sechseck2, im Sande gezeichnet wahrnähme: so würde seine Reflexion, indem sie an einem Begriffe derselben arbeitet, der Einheit des Prinzips der Erzeugung desselben, wenn gleich dunkel, vermittelst der Vernunft inne werden, und so, dieser gemäß, den Sand, das benachbarte Meer, die Winde, oder auch Tiere mit ihren Fußtritten, die er kennt, oder jede andere vernunftlose Ursache

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tuoso e sconsiderato anche solo esigere una tale disposizione e attribuire alla natura un simile fine (visto che l’estrema incompatibilità degli uomini tra loro ha potuto da sola disperderli fino a contrade così inospitali).

§ 64 DEL CARATTERE PECULIARE DELLE COSE IN QUANTO FINI DELLA NATURA

Per rendersi conto che una cosa è possibile solo come fine, cioè per riconoscere che la causalità della sua origine va cercata non nel meccanismo della natura, ma in una causa la cui capacità di produrre un effetto è determinata da concetti, è richiesto che la sua forma non sia possibile secondo sempli- 370 ci leggi della natura, cioè tali che possano essere conosciute da noi mediante il solo intelletto applicato agli oggetti dei sensi; al contrario occorre che la stessa conoscenza empirica 285 di questa forma, secondo la sua causa e il suo effetto, presupponga concetti della ragione. Questa c o n t i n g e n z a della forma della cosa in tutte le leggi empiriche della natura in riferimento alla ragione, dato che la ragione che deve conoscere in ogni forma di un prodotto della natura anche la necessità di questa forma, pur volendo solamente esaminare le condizioni connesse alla sua produzione, non può tuttavia ammettere una tale necessità in quella data forma, costituisce di per sé un motivo per ammettere la causalità che produce questa cosa come se fosse possibile solo mediante la ragione; ma quest’ultima è allora la facoltà di agire secondo fini (una volontà), e l’oggetto, che è rappresentato come possibile soltanto a partire da una tale facoltà, sarebbe rappresentato come possibile solo in quanto fine. Se qualcuno105, in un paese che gli sembra disabitato, percepisse una figura geometrica disegnata sulla sabbia, per esempio un esagono regolare, la sua riflessione, cercando di elaborare un concetto di questa figura, si accorgerebbe mediante la ragione, benché in modo oscuro, dell’unità del principio della sua generazione e così, conformemente alla ragione, non valuterebbe la sabbia, il vicino mare, i venti o anche gli animali di cui conosce le impronte o ogni altra causa

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nicht als einen Grund der Möglichkeit einer solchen Gestalt | einem solchen Begriffe, der nur in der Vernunft möglich ist, zusammen zu treffen, so unendlich groß scheinen würde, daß es eben so gut wäre, als ob es dazu gar kein Naturgesetz gebe, daß folglich auch3 keine Ursache in der bloß mechanisch wirkenden Natur, sondern nur der Begriff von einem solchen Objekt, als Begriff, den nur Vernunft geben und mit demselben den Gegenstand vergleichen kann, auch die Kausalität zu einer solchen Wirkung enthalten, folglich diese durchaus als Zweck, aber nicht Naturzweck, d. i. als Produkt der K u n s t , angesehen werden könne (vestigium hominis video). Um aber etwas, das man4 als Naturprodukt erkennt, gleichwohl doch auch als Zweck, mithin als N a t u r z w e c k , zu beurteilen: dazu, wenn nicht etwa hierin gar ein Widerspruch liegt, wird schon mehr erfordert. Ich würde vorläufig sagen: ein Ding existiert als Naturzweck, w e n n e s v o n s i c h s e l b s t (obgleich in zwiefachem Sinne)5 Ursache und Wirkung ist; || 371 denn hierin liegt eine Kausalität, dergleichen mit dem bloßen Begriffe einer Natur, ohne ihr einen Zweck unterzulegen, nicht verbunden, aber auch alsdann, zwar ohne Widerspruch, gedacht, aber nicht begriffen werden kann. Wir wollen die Bestimmung dieser Idee von einem Naturzwecke zuvörderst durch ein Beispiel erläutern, ehe wir sie völlig auseinander setzen. Ein Baum zeugt erstlich einen andern Baum nach einem 287 bekannten Naturgesetze. Der Baum aber, den | er erzeugt, ist von derselben Gattung; und so erzeugt er sich selbst der G a t t u n g nach, in der er, einerseits als Wirkung, andrerseits als Ursache, von sich selbst unaufhörlich hervorgebracht, und eben so, sich selbst oft hervorbringend, sich, als Gattung, beständig erhält. Zweitens erzeugt ein Baum sich auch selbst als I n d i v i d u u m . Diese Art von Wirkung nennen wir zwar nur das Wachstum; aber dieses6 ist in solchem Sinne zu nehmen, daß es7 von jeder andern Größenzunahme nach mechanischen Gesetzen gänzlich unterschieden, und einer Zeugung, wiewohl unter 286 beurteilen: weil ihm die Zufälligkeit, mit

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sprovvista di ragione come un fondamento della possibilità di una tale figura: perché la contingenza di coincidere con un 286 concetto tale che sia possibile solo nella ragione gli sembrerebbe così infinitamente grande che sarebbe la stessa cosa, come se non ci fosse al riguardo proprio alcuna legge naturale, e di conseguenza allora non ci sarebbe nemmeno una causa nella natura, la quale produce effetti semplicemente in modo meccanico, che possa contenere anche la causalità per un tale effetto; questa causalità potrebbe invece essere contenuta solamente nel concetto di un tale oggetto in quanto concetto che solo la ragione può fornire e con il quale essa può confrontare l’oggetto: di conseguenza questo effetto potrebbe essere assolutamente considerato come fine, ma non quale fine della natura, bensì in quanto prodotto dell’ a r t e (vestigium hominis video)106. Tuttavia, per poter valutare qualcosa che si riconosce in quanto prodotto naturale e nondimeno anche come fine, e di conseguenza quale f i n e n a t u r a l e , si richiede, se non vi è presente addirittura una contraddizione, già di più. Per il momento direi questo: una cosa esiste come fine naturale s e è d i s e s t e s s a (benché in un duplice senso) c a u s a e d e f f e t t o ; qui infatti si trova una causalità tale che non può 371 essere collegata con il semplice concetto di una natura senza porre alla sua base un fine, una causalità che allora può certo essere pensata senza contraddizione, ma che non può essere compresa. Prima di analizzarla nella sua completezza, intendiamo innanzitutto illustrare con un esempio la determinazione di questa idea di un fine naturale. In primo luogo, un albero genera un altro albero secondo una legge naturale nota. Ma l’albero che esso genera è dello 287 stesso genere e così esso stesso si genera secondo il g e n e r e nel quale, da una parte in quanto effetto e dall’altra in quanto causa, incessantemente prodotto da se stesso e ugualmente spesso riproducendo se stesso, si conserva costantemente come genere. In secondo luogo, un albero genera se stesso anche come i n d i v i d u o . Questa specie di effetto ci limitiamo in realtà a chiamarla crescita; tuttavia questa crescita va intesa in un senso tale da distinguerla totalmente da ogni accrescimento di grandezza secondo leggi meccaniche e va considerata come

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einem andern Namen, gleich zu achten ist. Die Materie, die er8 zu sich hinzusetzt, verarbeitet dieses Gewächs vorher zu spezifisch-eigentümlicher Qualität, welche der9 Naturmechanism außer ihm nicht10 liefern kann, und bildet sich selbst weiter aus, vermittelst eines Stoffes, der, seiner Mischung nach, sein eignes Produkt ist. Denn, ob er zwar, was die Bestandteile betrifft, die er von der Natur außer ihm erhält, nur als Edukt angesehen werden muß: so ist doch in der Scheidung und neuen Zusammensetzung dieses rohen Stoffs eine solche Originalität des Scheidungs- und Bildungsvermögens dieser Art Naturwesen anzutreffen, daß alle Kunst davon unendlich11 weit entfernt bleibt, wenn sie es versucht, aus den Elementen, die sie durch Zergliederung derselben erhält12, oder auch dem Stoff, den die Natur zur Nahrung derselben liefert, jene Produkte des Gewächsreichs wieder herzustellen. | 288 D r i t t e n s erzeugt ein Teil dieses Geschöpfs auch sich selbst so: daß die Erhaltung des einen von der Erhaltung der andern wechselsweise abhängt. Das Auge an einem Baumblatt, dem Zweige eines andern eingeimpft, bringt an einem fremdartigen Stocke ein Gewächs von seiner eignen Art hervor, und eben so das Pfropfreis13 auf einem andern Stamme. Daher kann man auch an demselben Baume jeden Zweig oder Blatt als bloß auf diesem gepfropft oder okuliert, mithin als einen für sich selbst bestehenden Baum, der sich nur an einen andern anhängt 372 und parasitisch || nährt, ansehen. Zugleich sind die Blätter zwar Produkte des Baums, erhalten aber diesen doch auch gegenseitig; denn die wiederholte Entblätterung würde ihn töten, und sein Wachstum hängt von ihrer Wirkung14 auf den Stamm ab. Der Selbsthülfe der Natur in diesen Geschöpfen bei ihrer Verletzung, wo der Mangel eines Teils, der zur Erhaltung der benachbarten gehörte, von den übrigen ergänzt wird; der Mißgeburten oder Mißgestalten im Wachstum, da gewisse Teile, wegen vorkommender Mängel oder Hindernisse, sich auf ganz neue Art formen, um das, was da ist, zu erhalten, und ein anomalisches Geschöpf hervorzubringen: will ich hier nur im Vorbeigehen erwähnen, ungeachtet sie unter die wundersamsten Eigenschaften organisierter Geschöpfe gehören. |

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equivalente, per quanto sotto un altro nome, a una generazione. La materia che l’albero assimila viene prima elaborata da questo vegetale in una qualità specificamente peculiare che il meccanismo della natura non può fornire al di fuori dell’albero stesso e si sviluppa per mezzo di un materiale che, stando alla composizione, è un suo proprio prodotto. Infatti, per quel che riguarda gli elementi costitutivi che l’albero riceve dalla natura esterna, benché tale sostanza debba essere considerata soltanto come un edotto, si può riscontrare tuttavia nella separazione e nella ricomposizione di questa materia grezza una originalità tale, quanto alla capacità di cui dispone questa specie di esseri naturali di dissociare e formare, che ogni arte ne resta infinitamente lontana quando cerca di riprodurre quei prodotti del regno vegetale partendo dagli elementi che ottiene dalla loro scomposizione oppure anche a partire dal materiale che la natura fornisce loro come nutrimento. I n t e r z o l u o g o , una parte di questa creatura genera se 288 stessa anche in modo tale che la conservazione di una parte dipenda vicendevolmente dalla conservazione delle altre. L’occhio di una foglia d’albero, innestato nel ramo di un altro, produce in un ceppo estraneo un vegetale della sua propria specie, e lo stesso accade per la marza su un altro tronco. Perciò, anche nello stesso albero, ogni ramo o foglia può essere visto come semplicemente innestato o inocchiato su questo, di conseguenza come un albero sussistente per se stesso che soltanto si attacca a un altro albero e si nutre come un parassi- 372 ta. Nello stesso tempo le foglie sono sicuramente prodotti dell’albero, ma è vero anche che da parte loro lo conservano; infatti la defogliazione ripetuta lo ucciderebbe e la sua crescita dipende dal loro effetto sul tronco. La capacità che possiede la natura, in queste creature, di soccorrersi da sé, in caso di lesioni, quando la mancanza di una parte, necessaria per la conservazione delle parti vicine, è compensata da quelle restanti; le malformazioni dalla nascita o nella crescita in cui certe parti, a causa del sopraggiungere di difetti o ostacoli, si formano in un modo del tutto nuovo per conservare ciò che resta e producono così una creatura anomala: tutto ciò lo voglio ricordare qui solo per inciso, nonostante che appartenga alle proprietà più mirabili delle creature organizzate.

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§ 65 Dinge, als Naturzwecke, sind organisierte Wesen

Nach dem im vorigen § angeführten Charakter muß ein Ding, welches, als1 Naturprodukt, doch zugleich nur als Naturzweck möglich erkannt werden soll, sich zu sich selbst wechselseitig als Ursache und Wirkung verhalten, welches ein etwas uneigentlicher und unbestimmter Ausdruck ist, der einer Ableitung von einem bestimmten Begriffe bedarf. Die Kausalverbindung, sofern sie bloß durch den Verstand gedacht wird, ist eine Verknüpfung, die eine Reihe (von Ursachen und Wirkungen) ausmacht, welche immer abwärts geht; und die Dinge selbst, welche als Wirkungen andere als Ursache voraussetzen, können von diesen nicht gegenseitig zugleich Ursache sein. Diese Kausalverbindung nennt man die der wirkenden Ursachen (nexus effectivus). Dagegen aber kann doch auch eine Kausalverbindung nach einem Vernunftbegriffe (von Zwecken) gedacht werden, welche, wenn man sie als Reihe betrachtete, sowohl abwärts als aufwärts Abhängigkeit bei sich führen würde, in der das Ding, welches einmal als Wirkung bezeichnet ist, dennoch aufwärts den Namen einer Ursache desjenigen Dinges verdient, wovon es die Wirkung ist. Im Praktischen (nämlich der Kunst) findet man leicht dergleichen 290 Verknüpfung, | wie z. B. das Haus zwar die Ursache der Gelder ist, die für Miete eingenommen werden, aber doch auch umgekehrt die Vorstellung von diesem möglichen Einkommen die Ursache der Erbauung des Hauses war. Eine solche Kausalverknüpfung wird die der Endursachen (nexus finalis) genannt. Man könnte die erstere vielleicht schicklicher die Verknüpfung 373 der || realen, die zweite der idealen Ursachen2 nennen, weil bei dieser Benennung zugleich begriffen wird, daß es nicht mehr als diese zwei Arten der Kausalität geben könne. Zu einem Dinge als Naturzwecke wird nun e r s t l i c h erfordert, daß die Teile (ihrem Dasein und der3 Form nach) nur durch ihre Beziehung auf das Ganze möglich sind. Denn das Ding selbst ist ein Zweck, folglich unter einem Begriffe oder einer Idee befaßt, die alles, was in ihm enthalten sein soll, a pri-

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§ 65 LE COSE, IN QUANTO FINI NATURALI, SONO ESSERI ORGANIZZATI

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Secondo il carattere addotto nel paragrafo precedente, una cosa che, in quanto prodotto della natura, va tuttavia nello stesso tempo riconosciuta come possibile soltanto in quanto fine naturale non può se non rapportarsi a se stessa vicendevolmente come causa e come effetto, che è un’espressione un po’ impropria e indeterminata che ha bisogno di essere dedotta da un concetto determinato. Il nesso causale, in quanto è pensato semplicemente dall’intelletto, è una connessione che costituisce una serie (di cause ed effetti) sempre discendente; e le stesse cose che, in quanto effetti, ne presuppongono altre come cause non possono a loro volta essere nello stesso tempo cause di queste. Tale nesso causale viene detto delle cause efficienti (nexus effectivus). Ma, per contro, si può comunque pensare anche un nesso causale secondo un concetto della ragione (di fini), il quale, se si considerasse il nesso come una serie, comporterebbe una dipendenza sia discendente sia ascendente, in cui la cosa che una volta è designata in quanto effetto merita tuttavia, se si considera la serie come ascendente, il nome di causa di quella cosa di cui è l’effetto. Nell’ambito pratico (cioè quello dell’arte) si trovano facilmente simili connessioni, come per esempio questa: la casa è sicuramente la causa dei 290 soldi incassati per la sua locazione, ma la rappresentazione di questo possibile reddito fu anche, viceversa, la causa della costruzione della casa. Una tale connessione causale è detta delle cause finali (nexus finalis). Forse si potrebbe dare più appropriatamente alla prima il nome di connessione delle cause reali, alla seconda il nome di connessione delle cause 373 ideali, perché con questa denominazione si comprenderebbe nel contempo che non possono esserci che queste due specie di causalità. Perché una cosa sia un fine naturale viene i n p r i m o l u o g o richiesto che le parti (secondo la loro esistenza e la loro forma) siano possibili solo mediante il loro riferimento al tutto. Infatti la cosa stessa è un fine, di conseguenza è compresa sotto un concetto o sotto un’idea che deve determinare

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ori bestimmen muß. Sofern aber ein Ding nur auf diese Art als möglich gedacht wird, ist es bloß ein Kunstwerk, d. i. das Produkt einer von der Materie (den Teilen) desselben unterschiedenen vernünftigen Ursache, deren Kausalität (in Herbeischaffung und Verbindung der Teile) durch ihre Idee von einem dadurch möglichen Ganzen (mithin nicht durch die Natur außer ihm) bestimmt wird. Soll aber ein Ding, als Naturprodukt, in sich selbst und seiner innern Möglichkeit doch eine Beziehung auf Zwecke enthalten, d. i. nur als Naturzweck und ohne die Kausalität der Be291 griffe von vernünftigen Wesen außer | ihm möglich sein: so wird z w e i t e n s dazu erfordert: daß die Teile desselben sich dadurch zur Einheit eines Ganzen verbinden, daß sie von einander wechselseitig Ursache und Wirkung ihrer Form sind. Denn auf solche Weise ist es allein möglich, daß umgekehrt (wechselseitig) die Idee des Ganzen wiederum die Form und Verbindung aller Teile bestimme: nicht als Ursache – denn da wäre es ein Kunstprodukt – sondern als Erkenntnisgrund der systematischen Einheit der Form und Verbindung alles Mannigfaltigen, was in der gegebenen Materie enthalten ist, für den, der es beurteilt. Zu einem Körper also, der an sich und seiner innern Möglichkeit nach als Naturzweck beurteilt werden soll, wird erfordert, daß die Teile desselben einander insgesamt, ihrer Form sowohl als Verbindung nach, wechselseitig, und so ein Ganzes aus eigener Kausalität hervorbringen, dessen Begriff wiederum umgekehrt (in einem Wesen, welches die einem solchen Produkt angemessene Kausalität nach Begriffen besäße) Ursache von demselben nach einem Prinzip ist, folglich4 die Verknüpfung der w i r k e n d e n U r s a c h e n zugleich als W i r k u n g d u r c h E n d u r s a c h e n beurteilt werden könnte. In einem solchen Produkte der Natur wird ein jeder Teil, so, wie er nur d u r c h alle übrige da ist, auch als u m d e r a n d e r n und des Ganzen w i l l e n existierend, d. i. als Werkzeug 374 (Organ) gedacht: welches || aber nicht genug ist (denn er könnte 292 auch Werkzeug der Kunst sein, | und so nur als Zweck über-

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a priori tutto ciò che deve essere contenuto in essa. Ma nella misura in cui una cosa è pensata come possibile solo in questo modo, essa è semplicemente un’opera dell’arte, cioè il prodotto di una causa razionale distinta dalla materia (dalle parti) della cosa, e la causalità di tale causa razionale (nella produzione e collegamento delle parti) è determinata dalla sua idea di un tutto reso possibile in tal modo (e dunque non dalla natura esterna al prodotto). Ma se una cosa, in quanto prodotto naturale, deve comunque contenere in se stessa e nella sua possibilità interna un riferimento a fini, cioè deve essere possibile solo come fine naturale e senza la causalità di concetti di esseri razionali esterni ad essa, si richiede perciò, i n s e c o n d o l u o g o , 291 che le parti di questa cosa si colleghino a formare l’unità di un tutto in modo da essere l’una per l’altra vicendevolmente causa ed effetto della loro forma. Infatti, solo in questo modo è possibile che inversamente (vicendevolmente) l’idea del tutto determini a sua volta la forma e il collegamento di tutte le parti: ma non la determini in quanto causa perché in questo caso si avrebbe un prodotto dell’arte, bensì, per colui che valuta, in quanto fondamento di conoscenza dell’unità sistematica della forma e del collegamento di tutto il molteplice contenuto nella materia data. Per un corpo, dunque, che deve essere valutato, in sé e secondo la sua possibilità interna, come fine naturale si richiede che le sue parti si producano vicendevolmente l’un l’altra nel loro complesso, sia secondo la loro forma sia secondo il loro collegamento, producendo così in forza della propria causalità un tutto il cui concetto (in un essere che possegga la causalità, secondo concetti, adeguata a un tale prodotto) è a sua volta, e inversamente, la causa di questo tutto secondo un principio, e di conseguenza la connessione delle c a u s e e f f i c i e n t i potrebbe essere valutata ad un tempo come e f f e t t o m e d i a n t e c a u s e f i n a l i . In un tale prodotto della natura, ogni parte, come esiste soltanto m e d i a n t e tutte le altre, è anche ugualmente pensata come esistente i n v i s t a d e l l e a l t r e e del tutto, cioè al modo di uno strumento (organo), il che però non è abba- 374 stanza (perché esso potrebbe anche essere uno strumento dell’arte, e dunque essere rappresentato come possibile solo 292

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haupt möglich vorgestellt werden); sondern als ein die andern Teile (folglich jeder den andern wechselseitig) h e r v o r b r i n g e n d e s Organ, dergleichen kein Werkzeug der Kunst, sondern nur der allen Stoff zu Werkzeugen (selbst denen der Kunst) liefernden Natur sein kann: und nur dann und darum wird ein solches Produkt, als o r g a n i s i e r t e s und s i c h s e l b s t o r g a n i s i e r e n d e s We s e n , ein N a t u r z w e c k genannt werden können. In einer Uhr ist ein Teil das Werkzeug der Bewegung der andern, aber nicht ein Rad5 die wirkende Ursache der Hervorbringung des6 andern; ein Teil ist zwar um des andern Willen, aber nicht durch denselben da. Daher ist auch die hervorbringende Ursache derselben und ihrer Form nicht in der Natur (dieser Materie), sondern außer ihr in einem Wesen, welches nach7 Ideen eines durch seine Kausalität möglichen Ganzen wirken kann, enthalten. Daher bringt auch, so wenig wie ein8 Rad in der Uhr das andere, noch weniger eine Uhr andere Uhren hervor, so daß sie andere Materie dazu benutzte (sie organisierte); daher ersetzt sie auch nicht von selbst die ihr entwandten Teile, oder vergütet ihren Mangel in der ersten Bildung durch den Beitritt der übrigen, oder bessert sich etwa selbst aus, wenn sie in Unordnung geraten ist: welches alles wir dagegen von der organisierten Natur erwarten können. — Ein organisiertes Wesen ist also nicht bloß Maschine: denn die hat ledig293 lich b e w e | g e n d e Kraft; sondern es9 besitzt in sich b i l d e n d e Kraft, und zwar eine solche, die es10 den Materien mitteilt, welche sie nicht haben (sie organisiert): also eine sich fortpflanzende bildende Kraft, welche durch das Bewegungsvermögen allein (den Mechanism) nicht erklärt werden kann. Man sagt von der Natur und ihrem Vermögen in organisierten Produkten bei weitem zu wenig, wenn man dieses ein A n a l o g o n d e r K u n s t nennt; denn da denkt man sich den Künstler (ein vernünftiges Wesen) außer ihr. Sie organisiert sich vielmehr selbst, und in jeder Spezies ihrer organisierten Produkte, zwar nach einerlei Exemplar im Ganzen, aber doch auch mit schicklichen Abweichungen, die die Selbsterhaltung nach

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in quanto fine in generale); al contrario ogni parte deve essere pensata al modo di un organo c h e p r o d u c e le altre parti (di conseguenza ciascuna parte produce vicendevolmente l’altra), cosa che nessuno strumento dell’arte può essere, ma solo uno strumento della natura che fornisce ogni materiale agli strumenti (perfino a quelli dell’arte): e solo allora, e per questo motivo, un tale prodotto, in quanto e s s e r e o r g a n i z z a t o e c h e o r g a n i z z a s e s t e s s o , potrà essere detto un f i n e n a t u r a l e . In un orologio una parte è lo strumento del movimento delle altre, ma una rotella non è la causa efficiente della produzione dell’altra; una parte esiste sì in vista dell’altra, però non per mezzo di essa. Dunque, anche la causa produttrice dell’orologio e della sua forma è contenuta non nella natura (di questa materia), ma al di fuori di essa, in un essere che può produrre effetti secondo idee di un tutto reso possibile dalla sua causalità. Perciò, come una rotella dell’orologio non produce l’altra rotella, ancor meno un orologio produce altri orologi utilizzando per questo altra materia (organizzandola); quindi esso non sostituisce nemmeno da sé le parti che gli sono state tolte, né compensa i difetti nella loro costruzione iniziale mediante l’intervento delle altre, né si corregge da sé quando perde la regolazione: tutte operazioni che invece possiamo attenderci dalla natura organizzata. — Un essere organizzato non è dunque semplicemente una macchina, dato che la macchina possiede esclusivamente la forza m o t r i c e ; tale 293 essere, invece, possiede in sé una forza f o r m a t r i c e e precisamente una forza tale da essere comunicata alle materie che non ne dispongono (esso le organizza): è perciò una forza formatrice che si riproduce e che non può essere spiegata unicamente mediante la sola facoltà di movimento (mediante il meccanismo). Si dice di gran lunga troppo poco della natura107 e della facoltà che essa dispiega nei prodotti organizzati quando si definisce tale facoltà un a n a l o g o d e l l ’ a r t e , perché in tal caso si pensa l’artista (che è un essere razionale) al di fuori di essa. Piuttosto essa si organizza da sé e in ciascuna specie dei suoi prodotti organizzati lo fa certamente nel complesso secondo un identico esemplare, ma tuttavia anche con appropriate deviazioni richieste dall’autoconservazione a seconda

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den Umständen erfordert. Näher tritt man vielleicht dieser unerforschlichen Eigenschaft, wenn man sie ein A n a l o g o n d e s L e b e n s nennt: aber da muß man entweder die Materie als bloße Materie mit einer Eigenschaft (Hylozoism) begaben, die ihrem Wesen widerstreitet, oder ihr ein fremdartiges mit ihr 375 in Gemeinschaft stehendes Prinzip (eine Seele) bei||gesellen: wozu man aber, wenn ein solches Produkt ein Naturprodukt sein soll, organisierte Materie als Werkzeug jener Seele entweder schon voraussetzt, und jene also nicht im mindesten begreiflicher macht, oder die Seele zur Künstlerin dieses Bauwerks machen, und so das Produkt der Natur (der körperli294 chen) entziehen muß. Genau zu reden hat also | die Organisation der Natur nichts Analogisches mit irgend einer Kausalität, die wir kennen*. Schönheit der Natur, weil sie den Gegenständen nur in Beziehung auf die Reflexion über die ä u ß e r e Anschauung derselben, mithin nur der Form der Oberfläche wegen beigelegt wird, kann mit Recht ein Analogon der Kunst genannt werden. Aber i n n e r e N a t u r v o l l k o m m e n h e i t , wie sie diejenigen Dinge11 besitzen, welche nur12 als N a t u r z w e c k e möglich sind und darum organisierte Wesen heißen, ist nach13 keiner Analogie irgend eines uns bekannten physischen, d. i. Naturvermögens, ja, da wir selbst zur Natur im weitesten Verstande gehören, selbst nicht einmal durch eine genau angemessene Analogie mit menschlicher Kunst denkbar und erklärlich. Der Begriff eines Dinges, als an sich Naturzwecks, ist also kein konstitutiver Begriff des Verstandes oder der Vernunft, 295 kann aber doch ein regulativer Begriff für die | reflektierende Urteilskraft sein, nach einer entfernten Analogie mit unserer Kausalität nach Zwecken überhaupt die Nachforschung über * Man kann umgekehrt einer gewissen Verbindung, die aber auch mehr in der Idee als in der Wirklichkeit angetroffen wird, durch eine Analogie mit den genannten unmittelbaren Naturzwecken Licht geben. So hat man sich, bei einer neuerlich unternommenen gänzlichen Umbildung eines großen Volks zu einem Staat, des Worts O r g a n i s a t i o n häufig für Einrichtung der Magistraturen u.s.w. und selbst des ganzen Staatskörpers sehr schicklich bedient. Denn jedes Glied soll freilich in einem solchen Ganzen nicht bloß Mittel, sondern zugleich auch Zweck, und, indem es zu der Möglichkeit des Ganzen mitwirkt, durch die Idee des Ganzen wiederum, seiner Stelle und Funktion nach, bestimmt sein.

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delle circostanze. Forse ci si avvicina di più a questa proprietà insondabile chiamandola un a n a l o g o d e l l a v i t a : ma allora occorre o dotare la materia come semplice materia di una proprietà (ilozoismo) che è in contrasto con la sua essenza, oppure associarle un principio estraneo (un’anima) che però s t i a i n c o m u n a n z a con essa108; in tal caso, pe- 375 rò, se un tale prodotto deve essere un prodotto della natura, o la materia organizzata si trova già presupposta come strumento di quell’anima, e quindi non la si rende affatto più comprensibile, oppure bisogna fare dell’anima l’artista di questa costruzione e sottrarre così il prodotto alla natura (a quella corporea). Per parlare più precisamente, l’organizza- 294 zione della natura non ha dunque nulla di analogico con una qualsiasi causalità da noi conosciuta*. La bellezza della natura, poiché è attribuita agli oggetti solo in rapporto alla riflessione sulla loro intuizione e s t e r n a , dunque soltanto in base alla forma della loro superficie, può a buon diritto essere chiamata un analogo dell’arte. Ma una p e r f e z i o n e i n t e r n a d e l l a n a t u r a , quale posseggono quelle cose che sono possibili solo come f i n i n a t u r a l i e che per questo motivo si chiamano esseri organizzati, non è pensabile né spiegabile secondo alcuna analogia con una qualunque facoltà fisica, cioè naturale, a noi nota, anzi, poiché noi stessi apparteniamo alla natura nel senso più ampio, neppure mediante una analogia del tutto adeguata all’arte umana. Il concetto di una cosa in quanto è in sé fine naturale non è dunque un concetto costitutivo dell’intelletto o della ragione, ma può comunque essere un concetto regolativo per la 295 forza riflettente di giudizio che, per una lontana analogia con la nostra causalità secondo fini in generale, permette di orien* Si può viceversa far luce su un certo collegamento, che però si incontra più nell’idea che nella realtà, ricorrendo a un’analogia con i suddetti fini immediati della natura. Così, nel caso di una completa trasformazione, recentemente intrapresa, di un grande popolo in Stato109, ci si è spesso serviti assai opportunemente della parola o r g a n i z z a z i o n e per indicare l’istituzione delle magistrature, ecc., e anche dell’intero corpo dello Stato nel suo insieme. Infatti, in un simile tutto, è certo che ogni membro deve essere non semplicemente mezzo, ma anche nel contempo fine e, cooperando alla possibilità del tutto, deve a sua volta essere determinato, per quanto riguarda la sua posizione e la sua funzione, dall’idea del tutto.

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Gegenstände dieser Art zu leiten und über ihren obersten Grund nachzudenken; das letztere zwar nicht zum Behuf der Kenntnis der Natur, oder jenes Urgrundes derselben, sondern vielmehr14 eben desselben praktischen Vernunftvermögens in uns, mit welchem wir die Ursache jener Zweckmäßigkeit in Analogie betrachteten. Organisierte Wesen sind also die einzigen in der Natur, welche, wenn man sie auch für sich und ohne ein Verhältnis auf andere Dinge betrachtet, doch nur als Zwecke derselben mög376 lich gedacht werden müssen, und || die also zuerst dem Begriffe eines Z w e c k s , der nicht ein praktischer sondern Zweck d e r N a t u r ist, objektive Realität, und dadurch für die Naturwissenschaft den Grund zu einer Teleologie, d. i. einer Beurteilungsart ihrer Objekte nach einem besondern Prinzip, verschaffen, dergleichen man in sie einzuführen (weil man die Möglichkeit einer solchen Art Kausalität gar nicht a priori einsehen kann) sonst schlechterdings nicht berechtigt sein würde.

§ 66 Vom Prinzip der Beurteilung der innern Zweckmässigkeit in organisierten Wesen Dieses Prinzip, zugleich die Definition derselben, heißt: | das, in welchem alles Zweck und wechselseitig auch M i t t e l i s t . Nichts in ihm ist umsonst, zwecklos, oder einem blinden Naturmechanism zuzuschreiben. Dieses Prinzip ist zwar, seiner Veranlassung nach, von Erfahrung abzuleiten, nämlich derjenigen, welche methodisch angestellt wird und Beobachtung heißt; der Allgemeinheit und Notwendigkeit wegen aber, die es von einer solchen Zweckmäßigkeit aussagt, kann es nicht bloß auf Erfahrungsgründen beruhen, sondern muß irgend ein Prinzip a priori, wenn es gleich bloß regulativ wäre, und jene Zwecke allein in der Idee des Beurteilenden und nirgend in einer wirkenden Ursache lägen, zum Grunde haben. Man kann daher obgenanntes Prinzip eine M a x i m e der Beurteilung der innern Zweckmäßigkeit organisierter Wesen nennen.

296 E i n o r g a n i s i e r t e s P r o d u k t d e r N a t u r i s t

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tare la ricerca sugli oggetti di questa specie e di riflettere sul loro principio; e questo non certo a vantaggio della conoscenza della natura o del suo fondamento originario, bensì piuttosto proprio di quella facoltà pratica della ragione che è in noi, in analogia con la quale noi consideravamo la causa di quella conformità al fine. Gli esseri organizzati sono dunque gli unici nella natura che, anche se li si considera per se stessi e senza porli in rapporto con altre cose, pure devono tuttavia essere pensati come possibili solo in quanto fini della natura ed essi sono i soli che così procurano in primo luogo una realtà oggettiva al 376 concetto di un f i n e , che non è un fine pratico, ma è un fine d e l l a n a t u r a , e che perciò procurano alla scienza della natura il fondamento per una teleologia, cioè un modo di valutare i suoi oggetti secondo un principio particolare tale che altrimenti non si sarebbe affatto autorizzati a introdurre in questa scienza (perché non si può assolutamente scorgere a priori la possibilità di una simile specie di causalità).

§ 66 DEL PRINCIPIO DELLA VALUTAZIONE DELLA CONFORMITÀ INTERNA AL FINE NEGLI ESSERI ORGANIZZATI

Questo principio, che è al contempo la definizione degli esseri organizzati, dice: u n p r o d o t t o o r g a n i z z a t o d e l l a n a t u r a è q u e l l o i n c u i t u t t o è f i n e e v i c e n d e - 296 v o l m e n t e a n c h e m e z z o . In esso nulla è inutile, senza un fine o da attribuirsi a un cieco meccanismo della natura. Questo principio va certamente derivato, secondo l’occasione che lo suscita, dall’esperienza, cioè da quell’esperienza che è fatta metodicamente e che si chiama osservazione; ma, a causa dell’universalità e della necessità che tale principio afferma di una simile conformità al fine, esso non può basarsi semplicemente su fondamenti d’esperienza, bensì deve avere a fondamento qualche principio a priori, fosse anche soltanto regolativo e quei fini risiedessero unicamente nell’idea di colui che valuta, e non in una causa efficiente. Si può dunque chiamare il suddetto principio una m a s s i m a della valutazione della conformità interna di esseri organizzati al fine.

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Daß die Zergliederer der Gewächse und Tiere, um ihre Struktur zu erforschen und die Gründe einsehen zu können, warum und zu welchem Ende solche Teile, warum eine solche Lage und Verbindung der Teile und gerade diese innere Form ihnen gegeben worden, jene Maxime: daß nichts in einem solchen Geschöpf u m s o n s t sei, als unumgänglich notwendig annehmen, und sie eben so, als den Grundsatz der allgemeinen Naturlehre: daß n i c h t s v o n u n g e f ä h r geschehe, geltend machen, ist bekannt. In der Tat können sie sich auch von diesem teleologischen Grundsatze eben so wenig lossagen, als von1 297 dem allgemeinen physischen, weil, so | wie bei Verlassung2 des letzteren gar keine Erfahrung überhaupt, so bei der des ersteren Grundsatzes kein Leitfaden für die Beobachtung einer Art von Naturdingen, die wir einmal teleologisch unter dem Begriffe der Naturzwecke gedacht haben, übrig bleiben würde. || 377 Denn dieser Begriff führt die Vernunft in eine ganz andere Ordnung der Dinge, als die eines bloßen Mechanisms der Natur, der uns hier nicht mehr genug tun will. Eine Idee soll der Möglichkeit des Naturprodukts zum Grunde liegen. Weil diese aber eine absolute Einheit der Vorstellung ist, statt daß die3 Materie eine Vielheit der Dinge ist, die für sich keine bestimmte Einheit der Zusammensetzung an die Hand geben kann: so muß, wenn jene Einheit der Idee sogar als Bestimmungsgrund a priori eines Naturgesetzes der Kausalität einer solchen Form des Zusammengesetzten dienen soll, der Zweck der Natur auf a l l e s , was in ihrem Produkte liegt, erstreckt werden. Denn, wenn wir einmal dergleichen Wirkung i m G a n z e n auf einen übersinnlichen Bestimmungsgrund, über den blinden Mechanism der Natur hinaus, beziehen, müssen wir sie auch ganz nach diesem Prinzip beurteilen; und es ist kein Grund da, die4 Form eines solchen Dinges noch zum Teil vom letzteren als abhängig anzunehmen, da alsdann, bei der Vermischung ungleichartiger Prinzipien, gar keine sichere Regel der Beurteilung übrig bleiben würde. | 298 Es mag immer sein, daß z. B. in einem tierischen Körper manche Teile als Konkretionen nach bloß mechanischen Gesetzen begriffen werden könnten (als Häute, Knochen, Haare).

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È noto che gli anatomisti dei vegetali e degli animali, per poter indagare la loro struttura e per poter scorgere per quali motivi e per quale fine proprio quelle parti siano loro state date, perché una tale disposizione e collegamento di queste parti e perché precisamente questa forma interna, assumono come imprescindibilmente necessaria quella massima: in una tale creatura nulla è g r a t u i t o , e le accordano proprio lo stesso valore del principio della dottrina generale della natura secondo cui n u l l a accade p e r c a s o . In realtà essi possono liberarsi da questo principio teleologico tanto poco quanto possono liberarsi dal principio fisico generale perché, se abbandonando quest’ultimo non rimarrebbe proprio più al- 297 cuna esperienza in generale, allo stesso modo abbandonando il primo principio non resterebbe alcun filo conduttore per l’osservazione di una specie di cose della natura che abbiamo già pensato in modo teleologico sotto il concetto di fini naturali. Infatti questo concetto conduce la ragione in un tutt’altro 377 ordine di cose, ben diverso da quello di un semplice meccanismo della natura, che qui non ci può più soddisfare. A fondamento della possibilità del prodotto della natura ci deve sempre essere un’idea. Ma poiché quest’idea è un’unità assoluta della rappresentazione, mentre la materia è una molteplicità di cose che di per sé non può fornire alcuna unità determinata della composizione, occorre che, se quell’unità dell’idea deve fungere persino da principio di determinazione a priori di una legge naturale della causalità di una tale forma del composto, il fine della natura deve essere esteso a t u t t o ciò che si trova nel suo prodotto. Infatti, una volta che riferiamo un tale effetto, n e l l a s u a t o t a l i t à , a un principio di determinazione soprasensibile che va oltre il cieco meccanismo della natura, dobbiamo anche valutare questo effetto interamente secondo questo principio; e non esiste alcun motivo per ammettere che la forma di una tale cosa dipenda ancora in parte dal meccanismo della natura, perché in tal caso, mischiando principi eterogenei, non resterebbe assolutamente alcuna regola sicura della valutazione. È sempre possibile che, per esempio in un corpo animale, 298 certe parti (quali pelle, ossa, capelli) possano essere intese, secondo leggi semplicemente meccaniche, come concrezioni.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

Doch muß die5 Ursache, welche die dazu schickliche Materie herbeischafft, diese so modifiziert, formt6, und an ihren gehörigen Stellen absetzt, immer teleologisch beurteilt werden, so, daß alles in ihm als organisiert betrachtet werden muß, und alles auch in gewisser Beziehung auf das Ding selbst wiederum Organ ist.

§ 67 Vom Prinzip der teleologischen Beurteilung über Natur1 überhaupt als System der Zwecke Wir haben oben von der ä u ß e r e n Zweckmäßigkeit der Naturdinge gesagt: daß sie keine hinreichende Berechtigung gebe, sie zugleich als Zwecke der Natur, zu Erklärungsgründen ihres Daseins, und die zufällig-zweckmäßigen2 Wirkungen derselben in der Idee, zu Gründen ihres Daseins nach dem Prinzip der Endursachen zu brauchen. So kann man die F l ü s s e , weil sie die Gemeinschaft im Innern der Länder unter Völkern befördern, die3 G e b i r g e , weil sie zu diesen die Quellen und zur Erhaltung derselben den Schneevorrat für regenlose Zeiten enthalten, imgleichen den A b h a n g der Länder, der diese 378 Gewässer abführt und das Land || trocken werden läßt, darum 299 nicht sofort für Naturzwecke | halten; weil, obzwar diese Gestalt der Oberfläche der Erde zur Entstehung und Erhaltung des Gewächs- und Tierreichs sehr nötig war, sie doch nichts an sich hat, zu dessen Möglichkeit man sich genötigt sähe eine Kausalität nach Zwecken anzunehmen. Eben das gilt von Gewächsen, die der Mensch zu seiner Notdurft oder Ergötzlichkeit nutzt: von Tieren, dem Kamele, dem Rinde, dem Pferde, Hunde u.s.w., die er teils zu seiner Nahrung, teils seinem Dienste so vielfältig gebrauchen und großenteils gar nicht entbehren kann. Von Dingen, deren keines für sich als Zweck anzusehen man Ursache hat, kann das äußere Verhältnis nur hypothetisch für zweckmäßig beurteilt werden. Ein Ding, seiner innern Form halber, als Naturzweck beurteilen ist ganz etwas anderes, als die Existenz dieses Dinges für Zweck der Natur halten. Zu der letztern Behauptung bedürfen

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Tuttavia la causa che procura la materia appropriata al riguardo, che la modifica in tal senso, la forma e la depone nei luoghi opportuni deve sempre essere valutata teleologicamente in modo che tutto in questo corpo debba essere considerato come organizzato e, in un certo riferimento alla cosa stessa, tutto sia anche a sua volta organo.

§ 67 DEL PRINCIPIO DELLA VALUTAZIONE TELEOLOGICA SULLA NATURA IN GENERALE COME SISTEMA DI FINI

Abbiamo già detto che la conformità e s t e r n a delle cose della natura al fine non dà alcuna legittimazione sufficiente per utilizzarle anche, in quanto fini della natura, come principi di spiegazione della loro esistenza, e nemmeno per utilizzare i loro effetti contingentemente conformi al fine nell’idea, in quanto fondamenti della loro esistenza secondo il principio delle cause finali. Così non si possono senz’altro ritenere fini naturali i f i u m i per il fatto che favoriscono la comunicazione tra i popoli nell’entroterra, né le m o n t a g n e poiché ne contengono le sorgenti e la riserva di neve che occorre ad alimentarli nei periodi di siccità, né la p e n d e n z a dei terreni che fa defluire queste acque e permette al suolo di asciugarsi: 299 378 infatti, benché questa configurazione della superficie terrestre fosse alquanto necessaria affinché potessero sorgere e conservarsi il regno vegetale e quello animale, essa tuttavia non contiene in sé nulla per la cui possibilità ci si debba vedere costretti ad ammettere una causalità secondo fini. Lo stesso vale per i vegetali che l’uomo utilizza per sopperire ai propri bisogni o per dilettarsi, per gli animali, il cammello, il bue, il cavallo, il cane, ecc., che egli può usare in modi così diversi, in parte per nutrirsi e in parte mettendoli a suo servizio e della maggior parte dei quali non può affatto fare a meno. Il rapporto esterno delle cose, nessuna delle quali si ha motivo di considerare di per sé quale fine, può essere valutato come conforme al fine solo ipoteticamente. Valutare una cosa, per la sua forma interna, come fine naturale è del tutto diverso dal ritenere l’esistenza di questa cosa un fine della natura. Per l’ultima affermazione non abbia-

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

wir nicht bloß den Begriff von einem möglichen Zweck, sondern die Erkenntnis des Endzwecks (scopus) der Natur, welches eine Beziehung derselben auf etwas Übersinnliches bedarf, die alle unsere teleologische Naturerkenntnis weit übersteigt; denn der Zweck der Existenz der Natur selbst muß über die Natur hinaus gesucht werden. Die innere Form eines bloßen Grashalms kann seinen bloß nach der Regel der Zwecke möglichen Ursprung, für unser menschliches Beurteilungsvermögen hinreichend, beweisen. Geht man aber davon ab, und sieht nur auf | 300 den Gebrauch, den andere Naturwesen davon machen, verläßt also die Betrachtung der innern Organisation und sieht nur auf äußere zweckmäßige Beziehungen, wie das Gras dem Vieh, wie dieses dem Menschen als Mittel zu seiner Existenz nötig sei; und man sieht nicht, warum es denn nötig sei, daß Menschen existieren (welches, wenn man etwa die Neuholländer oder Feuerländer in Gedanken hat, so leicht nicht zu beantworten sein möchte): so gelangt man zu keinem kategorischen Zwecke, sondern alle diese zweckmäßige Beziehung beruht auf einer immer weiter hinauszusetzenden Bedingung, die als unbedingt (das Dasein eines Dinges als Endzweck) ganz außerhalb der physisch-teleologischen Weltbetrachtung liegt. Alsdenn aber ist ein solches Ding auch nicht Naturzweck; denn es ist (oder seine ganze Gattung) nicht als Naturprodukt anzusehen. Es ist also nur die Materie, sofern sie organisiert ist, welche den Begriff von ihr als einem Naturzwecke notwendig bei sich führt, weil diese ihre spezifische Form zugleich Produkt der 379 Natur ist. Aber dieser Begriff || führt nun notwendig auf die Idee der gesamten Natur als eines Systems nach der Regel der Zwecke; welcher Idee nun aller Mechanism der Natur nach Prinzipien der Vernunft (wenigstens um daran die Naturerscheinung zu versuchen) untergeordnet werden muß. Das Prinzip der Vernunft ist ihr als nur subjektiv, d. i. als Maxime 301 zuständig: Alles in der Welt ist irgend wozu | gut; nichts ist in ihr umsonst; und man ist durch das Beispiel, das4 die Natur an ihren organischen Produkten gibt, berechtigt, ja berufen, von ihr und ihren Gesetzen nichts, als was im Ganzen zweckmäßig ist, zu erwarten.

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mo bisogno semplicemente del concetto di un fine possibile, ma occorre la conoscenza del fine definitivo (scopus) della natura, il che esige un riferimento della natura a qualcosa di soprasensibile, riferimento che oltrepassa di gran lunga ogni nostra conoscenza teleologica della natura; infatti, il fine dell’esistenza della natura stessa deve essere cercato oltre la natura. La forma interna di un semplice filo d’erba può dimostrare in modo sufficiente, per la nostra umana facoltà di valutare, che la sua origine è possibile solo secondo la regola dei fini. Ma se ci si allontana da questo e si guarda solo all’u- 300 so che ne fanno altri esseri della natura, se dunque si tralascia di osservare l’organizzazione interna e si guarda solo ai riferimenti esterni conformi al fine – come l’erba sia necessaria al bestiame e come questo sia necessario all’uomo quale mezzo per la sua esistenza –, e se non si vede perché sia poi necessario che esistano uomini (cosa a cui, se si pensa per esempio agli abitanti della Nuova Olanda o della Terra del Fuoco, potrebbe non essere così facile dare una risposta), allora non si perviene ad alcun fine categorico, bensì tutto questo riferimento conforme al fine si basa piuttosto su una condizione da spostarsi sempre più in là e che, in quanto incondizionata (l’esistenza di una cosa come fine definitivo), sta del tutto al di fuori della considerazione fisico-teleologica del mondo. Ma in tal caso una simile cosa non è nemmeno un fine naturale; infatti essa (o tutto il suo genere) non si deve reputare come un prodotto naturale. È dunque solo la materia, nella misura in cui essa è organizzata, che comporta necessariamente il concetto di se stessa come un fine naturale, perché questa sua forma specifica è al contempo prodotto della natura. Ma questo concetto conduce 379 allora necessariamente all’idea della natura nel suo complesso come un sistema secondo la regola dei fini; un’idea alla quale adesso deve pertanto essere subordinato ogni meccanismo della natura secondo principi della ragione (almeno per vagliare in questo modo il fenomeno naturale). Il principio della ragione le compete solo soggettivamente, cioè come massima: 301 “tutto nel mondo è buono a qualcosa”, “niente in esso è invano”; e, dall’esempio che la natura offre nei suoi prodotti organici, si è legittimati, anzi invitati, a non attendersi da essa e dalle sue leggi niente che, nella sua totalità, non sia conforme al fine.

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Es versteht sich, daß dieses nicht ein Prinzip für die bestimmende, sondern nur für die reflektierende Urteilskraft sei, daß es regulativ und nicht konstitutiv sei, und wir dadurch nur einen Leitfaden bekommen, die Naturdinge in Beziehung auf einen Bestimmungsgrund, der schon gegeben ist, nach einer neuen gesetzlichen Ordnung zu betrachten, und die Naturkunde nach einem andern Prinzip, nämlich dem der Endursachen, doch unbeschadet dem des Mechanisms ihrer Kausalität, zu erweitern. Übrigens wird dadurch keinesweges ausgemacht, ob irgend etwas, das5 wir nach diesem Prinzip beurteilen, a b s i c h t l i c h Zweck der Natur sei: ob die Gräser für das Rind oder Schaf, und ob dieses und die übrigen Naturdinge für den Menschen da sind. Es ist gut, selbst die uns unangenehmen und in besondern Beziehungen zweckwidrigen Dinge auch von dieser Seite zu betrachten. So könnte man z. B. sagen: das Ungeziefer, welches die Menschen in ihren Kleidern, Haaren, oder Bettstellen plagt, sei nach einer weisen Naturanstalt ein Antrieb zur Reinlichkeit, die für sich schon ein wichtiges Mittel der Erhaltung der Gesundheit ist. Oder die Moskitomücken und 302 andere stechende Insekten, | welche die Wüsten von Amerika den Wilden so beschwerlich machen, seien6 so viel Stacheln der Tätigkeit für diese angehende Menschen, um die Moräste abzuleiten, und die dichten den Luftzug abhaltenden Wälder licht zu machen, und dadurch, imgleichen durch den Anbau des Bodens, ihren Aufenthalt zugleich gesünder zu machen. Selbst was dem Menschen in seiner innern Organisation widernatürlich zu sein scheint, wenn es auf diese Weise behandelt wird, gibt eine unterhaltende, bisweilen auch belehrende Aussicht in eine teleologische Ordnung der Dinge, auf die uns, ohne ein solches Prinzip, die bloß physische Betrachtung allein nicht führen würde. So wie einige den Bandwurm dem Menschen oder Tiere, dem er beiwohnt, gleichsam zum Ersatz eines gewis380 sen Mangels seiner Lebensorganen beigegeben zu sein || urteilen: so würde ich fragen, ob nicht die Träume (ohne die niemals der Schlaf ist, ob man sich gleich nur selten derselben erinnert) eine zweckmäßige Anordnung der Natur sein mögen, indem sie nämlich, bei dem Abspannen aller körperlichen bewegenden Kräfte, dazu dienen, vermittelst der Einbildungskraft und der großen Geschäftigkeit derselben (die in diesem Zustande meh-

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Si capisce che questo è un principio non per la forza determinante di giudizio, ma solo per la forza riflettente di giudizio, che esso è regolativo e non costitutivo, e che noi otteniamo in questo modo solo un filo conduttore per considerare secondo un nuovo ordine legale le cose della natura in riferimento a un principio di determinazione che è già dato e per ampliare lo studio della natura secondo un altro principio, cioè quello delle cause finali, senza tuttavia pregiudicare quello del meccanismo della loro causalità. Del resto in tal modo non viene affatto stabilito se qualcosa che valutiamo secondo questo principio sia i n t e n z i o n a l m e n t e fine della natura: se l’erba esista per il bue o per la pecora e se questi animali e le altre cose della natura esistano per l’uomo. È bene considerare anche da questo lato pure le cose per noi sgradevoli e sotto certi aspetti contrarie a fini. Così si potrebbe dire, per esempio, che i parassiti che tormentano gli uomini nei loro vestiti, capelli o letti, costituiscano, per una saggia disposizione naturale, uno stimolo alla pulizia, la quale è già di per sé un mezzo importante per la conservazione della salute. Oppure si potrebbe sostenere che le zanzare e altri insetti che pungono, i quali rendono così disagevoli ai selvaggi i 302 deserti d’America, siano altrettanti pungoli all’attività per spingere questi uomini in via di sviluppo a bonificare le paludi, a diradare le fitte foreste che impediscono la circolazione dell’aria, rendendo così al contempo, anche con la coltivazione del terreno, ancora più salubre la loro dimora. Persino ciò che, nella sua organizzazione interna, all’uomo sembra essere contro natura offre, in un ordine teleologico delle cose, quando è trattato in questo modo, una prospettiva divertente e talvolta anche istruttiva alla quale non ci condurrebbe da sola, senza un tale principio, la considerazione semplicemente fisica. Così come alcuni giudicano che la tenia sia stata data all’uomo o all’animale in cui abita quasi a compensare una certa carenza dei suoi organi vitali, allo stesso modo io mi 380 chiederei se i sogni (dei quali il sonno non è mai privo, sebbene li si ricordi solo raramente) non possano essere un ordinamento della natura conforme al fine, in quanto cioè, nel rilassamento di tutte le forze motrici del corpo, essi servono a muovere internamente gli organi vitali per mezzo della forza di immaginazione e della sua grande operosità (la quale, in

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renteils bis zum Affekte steigt) die Lebensorganen innigst zu bewegen; so wie sie auch bei überfülletem Magen, wo diese Bewegung um desto nötiger ist, im Nachtschlafe gemeiniglich mit desto mehr Lebhaftigkeit spielt; daß folglich, ohne7 diese 303 innerlich | bewegende Kraft und ermüdende8 Unruhe, worüber wir die Träume anklagen (die doch in der Tat vielleicht Heilmittel sind), der Schlaf, selbst im gesunden Zustande, wohl gar ein völliges Erlöschen des Lebens sein würde. Auch Schönheit der Natur, d. i. ihre Zusammenstimmung mit dem freien Spiele unserer Erkenntnisvermögen in der Auffassung und Beurteilung ihrer Erscheinung, kann auf die Art als objektive Zweckmäßigkeit der Natur in ihrem Ganzen, als System, worin der Mensch ein Glied ist, betrachtet werden; wenn einmal die teleologische Beurteilung derselben durch die Naturzwecke, welche uns die organisierten Wesen an die Hand geben, zu der Idee eines großen Systems der Zwecke der Natur uns berechtigt hat. Wir können es9 als eine Gunst*, die die Natur für uns gehabt hat, betrachten, daß sie über das Nützliche noch Schönheit und Reize so reichlich austeilete, und sie deshalb lieben, so wie, ihrer Unermeßlichkeit wegen, mit Ach304 tung betrachten, | und uns selbst in dieser Betrachtung veredelt fühlen: gerade als ob die Natur ganz eigentlich in dieser Absicht ihre herrliche Bühne aufgeschlagen und ausgeschmückt habe. Wir wollen in diesem § nichts anders sagen, als daß, wenn wir einmal an der Natur ein Vermögen entdeckt haben, Produkte hervorzubringen, die nur nach dem Begriffe der Endursachen von uns gedacht werden können, wir weiter gehen, und 381 auch die, welche (oder ihr, obgleich zweckmäßiges, || Verhältnis)

* In dem ästhetischen Teile wurde gesagt: w i r s ä h e n d i e s c h ö n e N a t u r m i t G u n s t a n , indem wir an ihrer10 Form ein ganz freies (uninteressiertes) Wohlgefallen haben. Denn in diesem bloßen Geschmacksurteile wird gar nicht darauf Rücksicht genommen, zu welchem Zwecke diese Naturschönheiten existieren: ob, um uns eine Lust zu erwecken, oder ohne alle Beziehung auf uns als Zwecke. In einem teleologischen Urteile aber geben wir auch auf diese Beziehung Acht; und da können wir es a l s G u n s t d e r N a t u r a n s e h e n , daß sie uns, durch Aufstellung so vieler schönen Gestalten, zur Kultur hat beförderlich sein wollen.

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questa situazione, cresce molto spesso fino all’affetto); così come la forza di immaginazione, quando lo stomaco è troppo pieno per cui questo movimento risulta tanto più necessario, gioca inoltre solitamente, durante il sonno notturno, con tanta più vivacità, cosicché, di conseguenza, senza questa 303 forza motrice all’interno e questa inquietudine spossante di cui accusiamo i sogni (che tuttavia di fatto sono forse dei salutari rimedi), il sonno potrebbe benissimo essere, anche nello stato di salute, una completa estinzione della vita. Anche la bellezza della natura, cioè la sua armonia con il libero gioco delle nostre facoltà conoscitive nell’apprensione e nella valutazione della sua apparizione, può in tal modo essere considerata come conformità oggettiva della natura nella sua totalità al fine, in quanto sistema nel quale l’uomo è un membro, una volta che la valutazione teleologica della natura, mediante i fini naturali che ci forniscono gli esseri organizzati, ci abbia autorizzati a concepire l’idea di un grande sistema dei fini della natura. Possiamo considerare come un favore* che la natura ci ha accordato il fatto che essa abbia dispensato così copiosamente, oltre all’utile, anche bellezza e attrattive, e per questo noi possiamo amarla così come possiamo considerarla con rispetto a causa della sua incom- 304 mensurabilità e sentirci noi stessi nobilitati in questa considerazione: esattamente come se la natura avesse allestito e decorato il suo palcoscenico maestoso proprio con questo intento. In questo paragrafo non vogliamo dire altro se non che, una volta che abbiamo scoperto nella natura una capacità di generare prodotti che possono essere pensati da noi solo secondo il concetto delle cause finali, possiamo andare anche più lontano e valutare come appartenenti a un sistema di fini anche quei prodotti (o il loro rapporto, sebbene conforme al 381 * Nella parte estetica si era detto: n o i g u a r d i a m o l a b e l l a n a t u r a c o n f a v o r e , provando per la sua forma una compiacimento del tutto libero (disinteressato). Infatti, in questo semplice giudizio di gusto non si prende affatto in considerazione il fine per il quale esistono queste bellezze naturali: se è per suscitare in noi un piacere o se non interviene alcun riferimento a noi quali fini. In un giudizio teleologico, invece, noi siamo attenti anche a questo riferimento e allora possiamo s c o r g e r e c o m e u n f a v o r e d e l l a n a t u r a il fatto che, dispiegando così tante belle forme, essa abbia voluto promuovere in noi la cultura.

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es eben nicht notwendig machen, über den Mechanism der blind wirkenden Ursachen hinaus ein ander Prinzip für ihre Möglichkeit aufzusuchen, dennoch als zu einem System der Zwecke gehörig beurteilen dürfen; weil uns die erstere Idee schon, was ihren Grund betrifft, über die Sinnenwelt hinausführt: da denn die Einheit des übersinnlichen Prinzips nicht bloß für gewisse Spezies der Naturwesen, sondern für das Naturganze, als System, auf dieselbe Art als gültig betrachtet werden muß.

§ 68 Von dem Prinzip der Teleologie als innerem Prinzip der Naturwissenschaft Die Prinzipien einer Wissenschaft sind derselben entweder innerlich, und werden einheimisch genannt (principia domestica); oder sie sind auf Begriffe, die nur außer ihr Platz1 finden können, gegründet, und sind a u s w ä r t i g e Prinzipien (pere305 grina). Wissenschaften, | welche die letzteren enthalten, legen ihren Lehren Lehnsätze (lemmata) zum Grunde; d. i. sie borgen irgend einen Begriff, und mit ihm einen Grund der Anordnung, von einer anderen Wissenschaft. Eine jede Wissenschaft ist für sich ein System; und es ist nicht genug, in ihr nach Prinzipien zu bauen und also technisch zu verfahren, sondern man muß mit ihr, als einem für sich bestehenden Gebäude, auch architektonisch zu Werke gehen, und sie nicht wie einen Anbau und als einen Teil eines anderen Gebäudes, sondern als ein Ganzes für sich behandeln, ob man gleich nachher einen Übergang aus diesem in jenes oder wechselseitig errichten kann. Wenn man also für die Naturwissenschaft und in ihren Kontext den Begriff von Gott hereinbringt2, um sich die Zweckmäßigkeit in der Natur erklärlich zu machen, und hernach diese Zweckmäßigkeit wiederum braucht, um zu beweisen, daß ein Gott sei: so ist in keiner von beiden Wissenschaften innerer Bestand; und ein täuschendes Diallele bringt jede in Unsicherheit, dadurch, daß sie ihre Grenzen in einander laufen lassen. Der Ausdruck eines Zwecks der Natur beugt dieser Verwirrung schon genugsam vor, um Naturwissenschaft und die Veranlassung, die sie zur t e l e o l o g i s c h e n Beurteilung ihrer Gegenstände gibt, nicht mit der Gottesbetrachtung und also einer

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fine) che pure non rendono necessario cercare oltre il meccanismo delle cause ciecamente efficienti un altro principio per la loro possibilità; infatti la prima idea, in ciò che concerne il suo fondamento, ci conduce già oltre il mondo sensibile, e allora l’unità del principio soprasensibile deve essere considerata allo stesso modo come valida non semplicemente per certe specie di esseri naturali, ma anche per la totalità della natura in quanto sistema.

§ 68 DEL PRINCIPIO DELLA TELEOLOGIA COME PRINCIPIO INTERNO DELLA SCIENZA DELLA NATURA

I principi di una scienza sono o interni a essa, e allora sono chiamati autoctoni (principia domestica), o sono fondati su concetti che possono trovare il loro posto solo al di fuori di essa, e questi sono principi a l l o g e n i (peregrina). Le scienze che contengono questi ultimi pongono a fondamento 305 delle loro dottrine dei lemmi (lemmata); in altre parole, essi prendono a prestito da un’altra scienza un qualche concetto e con esso un principio di ordinamento. Ogni scienza è di per sé un sistema, e non è sufficiente costruire in essa secondo principi e dunque procedere tecnicamente; bisogna, invece, come se fosse un edificio a sé stante, anche procedere architettonicamente e trattarla non come una dipendenza e come una parte di un altro edificio, ma come un tutto per sé, sebbene si possa poi istituire un passaggio da questo edificio a quello o viceversa. Se dunque si introduce a favore della scienza della natura, e nel suo contesto, il concetto di Dio per rendersi spiegabile la conformità al fine inscritta nella natura, e poi a sua volta si usa questa conformità al fine per dimostrare che esiste un Dio, allora in nessuna di queste due scienze c’è una consistenza interna e un ingannevole diallele le rende entrambe insicure, dato che esse fanno scivolare l’una nell’altra i loro confini. L’espressione «fine della natura» previene già abbastanza questa commistione, tanto da non confondere la scienza della natura, e l’occasione che essa fornisce per una valutazione t e l e o l o g i c a dei suoi oggetti, con la considerazione di Dio

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t h e o l o g i s c h e n Ableitung zu vermengen; und man muß es | || mit dem eines göttlichen Zwecks in der Anordnung der Natur verwechsele, oder wohl gar den letztern für schicklicher und einer frommen Seele angemessener ausgebe, weil es doch am Ende dahin kommen müsse, jene zweckmäßige Formen in der Natur von einem weisen Welturheber abzuleiten: sondern sich sorgfältig und bescheiden auf den Ausdruck, der gerade nur3 so viel sagt, als wir wissen, nämlich eines Zwecks der Natur, einschränken. Denn ehe wir noch nach der Ursache der Natur selbst fragen, finden wir in der Natur und dem Laufe ihrer Erzeugung dergleichen Produkte, die nach bekannten Erfahrungsgesetzen in ihr erzeugt werden, nach welchen die Naturwissenschaft ihre Gegenstände beurteilen, mithin auch deren Kausalität nach der Regel der Zwecke in ihr selbst suchen muß. Daher muß sie ihre Grenze nicht überspringen, um das, dessen Begriffe gar keine Erfahrung angemessen sein kann, und woran man sich allererst nach Vollendung der Naturwissenschaft zu wagen befugt ist, in sie selbst als einheimisches Prinzip hinein zu ziehen. Naturbeschaffenheiten, die sich a priori demonstrieren, und also ihrer Möglichkeit nach aus allgemeinen Prinzipien ohne allen Beitritt der Erfahrung einsehen lassen, können, ob sie gleich eine technische Zweckmäßigkeit bei sich führen, dennoch, weil sie schlechterdings notwendig sind, gar nicht zur Teleologie der Natur, als einer in die Physik gehörigen Methode, 307 die Fragen | derselben aufzulösen, gezählt werden. Arithmetische, geometrische Analogien, imgleichen allgemeine mechanische Gesetze, so sehr uns auch die Vereinigung verschiedener dem Anschein nach von einander ganz unabhängiger Regeln in einem Prinzip an ihnen befremdend und bewundernswürdig vorkommen mag, enthalten deswegen keinen Anspruch darauf, teleologische Erklärungsgründe in der Physik zu sein; und, wenn sie gleich in der allgemeinen Theorie der Zweckmäßigkeit der Dinge der Natur überhaupt mit in Betrachtung gezogen zu werden verdienen, so würde diese doch anderwärts hin, nämlich in die Metaphysik gehören, und kein inneres Prinzip der Naturwissenschaft ausmachen: wie es wohl mit den empirischen Gesetzen der Naturzwecke an organisierten Wesen nicht allein 306 nicht als unbedeutend ansehen, ob man jenen Ausdruck 382

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e dunque con una derivazione t e o l o g i c a ; e non si deve considerare insignificante scambiare l’espressione «fine della 306 382 natura» con quella «fine divino nell’ordinamento della natura», oppure se quest’ultima espressione viene fatta passare come più conveniente e più adeguata a un’anima pia, poiché alla fine si deve comunque giungere a dedurre quelle forme conformi al fine nella natura a partire da un saggio creatore del mondo; al contrario, bisogna limitarsi accuratamente e modestamente all’espressione che appunto dice soltanto quel tanto che sappiamo, cioè quella di «fine della natura». Infatti, prima ancora di interrogarci sulla causa della natura stessa, troviamo nella natura e nel corso della sua generazione prodotti tali da essere generati in essa secondo note leggi dell’esperienza, stando alle quali la scienza della natura deve valutare i propri oggetti e di conseguenza anche cercare nella natura stessa la loro causalità secondo la regola dei fini. Perciò essa non deve oltrepassare i propri confini per introdurre in se stessa, come un principio autoctono, ciò al cui concetto non può essere adeguata proprio alcuna esperienza e in cui si è autorizzati ad avventurarsi soltanto dopo il compimento della scienza della natura. Le proprietà costitutive della natura che si lasciano dimostrare a priori e dunque discernere nelle loro possibilità secondo principi universali, senza alcun intervento dell’esperienza, tuttavia non possono affatto, sebbene comportino una conformità tecnica al fine, essere fatte rientrare, essendo assolutamente necessarie, nella teleologia della natura come un metodo che appartiene alla fisica per la soluzione dei suoi pro- 307 blemi. Analogie aritmetiche, geometriche, come pure leggi meccaniche universali, per quanto sorprendente e ammirevole ci possa sembrare l’unificazione di regole diverse, apparentemente del tutto indipendenti le une dalle altre, in un solo principio, al loro interno, non contengono per questo alcuna pretesa di essere nella fisica principi teleologici di spiegazione; e sebbene meritino anch’essi di venire presi in considerazione nella teoria generale della conformità al fine delle cose della natura in genere, questa teoria si collocherebbe in un altro ambito, cioè quello della metafisica, e non costituirebbe alcun principio interno della scienza della natura: al contrario, quando si tratta delle leggi empiriche dei fini naturali negli esseri organizzati

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erlaubt, sondern auch unvermeidlich ist, die teleologische B e u r t e i l u n g s a r t zum Prinzip der Naturlehre in Ansehung einer eigenen Klasse ihrer Gegenstände zu gebrauchen. Damit nun Physik sich genau in ihren Grenzen halte, so abstrahiert sie von der Frage, ob die Naturzwecke es a b s i c h t l i c h oder u n a b s i c h t l i c h sind, gänzlich; denn das würde 383 Einmengung in ein fremdes Geschäft || (nämlich das der Metaphysik) sein. Genug, es sind nach Naturgesetzen, die wir uns nur unter der Idee der Zwecke als Prinzip denken können, einzig und allein e r k l ä r b a r e , und bloß auf diese Weise, ihrer 308 innern | Form nach, sogar auch nur innerlich e r k e n n b a r e Gegenstände. Um sich also auch nicht der mindesten Anmaßung, als wollte man etwas, was gar nicht in die Physik gehört, nämlich eine übernatürliche Ursache, unter unsere Erkenntnisgründe mischen, verdächtig zu machen: spricht man in der Teleologie zwar von der Natur, als ob die Zweckmäßigkeit in ihr absichtlich sei, aber doch zugleich so, daß man der Natur, d. i. der Materie, diese Absicht beilegt; wodurch man (weil hierüber kein Mißverstand Statt finden kann, indem von selbst schon keiner einem leblosen Stoffe Absicht in eigentlicher Bedeutung des Worts beilegen wird) anzeigen will, daß dieses Wort hier nur ein Prinzip der reflektierenden nicht der bestimmenden Urteilskraft bedeute, und also keinen besondern Grund der Kausalität einführen solle, sondern auch nur zum Gebrauche der Vernunft eine andere Art der Nachforschung, als die nach mechanischen Gesetzen ist, hinzufüge, um die Unzulänglichkeit der letzteren, selbst zur empirischen Aufsuchung aller besondern Gesetze der Natur, zu ergänzen. Daher spricht man in der Teleologie, so fern sie zur Physik gezogen wird, ganz recht von der Weisheit, der Sparsamkeit, der Vorsorge, der Wohltätigkeit der Natur, ohne dadurch aus ihr ein verständiges Wesen zu machen (weil das ungereimt wäre); aber auch ohne sich zu erkühnen, ein anderes verständiges Wesen über sie, als Werkmeister, 309 setzen zu wollen, weil | dieses vermessen* sein würde: sondern

* Das deutsche Wort v e r m e s s e n ist ein gutes bedeutungsvolles Wort. Ein Urteil, bei welchem man das Längenmaß seiner Kräfte (des

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non solo è consentito, ma è anche inevitabile usare il m o d o d i v a l u t a z i o n e teleologico come principio della dottrina della natura riguardo a una particolare classe dei suoi oggetti. Ora, per tenersi rigorosamente nei propri confini, la fisica fa totalmente astrazione dalla questione se i fini naturali siano tali i n t e n z i o n a l m e n t e o i n i n t e n z i o n a l m e n t e , perché ciò significherebbe immischiarsi in un affare estraneo (quello, cioè, della metafisica). Basta che vi siano oggetti 383 s p i e g a b i l i unicamente e solamente secondo leggi della natura a cui noi possiamo pensare solo sotto l’idea dei fini intesa come principio, e c o n o s c i b i l i solo in questo modo, se- 308 condo la loro forma interna, anzi soltanto al loro interno. Per non destare il benché minimo sospetto di avere la presunzione di voler mischiare tra i nostri principi conoscitivi qualcosa che non appartiene affatto alla fisica, cioè una causa soprannaturale, nella teleologia si parla sì della natura come se la conformità al fine in essa fosse intenzionale, ma al tempo stesso in modo tale che si attribuisce comunque questa intenzione alla natura, cioè alla materia; con questo si vuole indicare (non potendo al proposito aver luogo alcun malinteso, dato che già di per sé nessuno attribuirà a un materiale senza vita un’intenzione nel significato proprio del termine) che questa parola «conformità al fine» significa qui solo un principio della forza riflettente di giudizio, non di quella determinante, e dunque che non deve introdurre alcun principio particolare della causalità, ma aggiunge, anche solo per l’uso della ragione, un modo di indagine diverso da quello che avviene secondo leggi meccaniche per compensare l’insufficienza di quest’ultimo perfino per la raccolta empirica di tutte le leggi particolari della natura. Perciò nella teleologia, nella misura in cui essa viene fatta rientrare nella fisica, si parla del tutto giustamente della saggezza, dell’economia, della previdenza, della benevolenza della natura, senza per questo fare di essa un essere intelligente (perché questo sarebbe assurdo), ma anche senza avere l’ardire di voler porre al di sopra di essa un altro essere intelligente quale demiurgo, perché ciò sarebbe temerario*; piuttosto, in questo modo, si deve 309 * La parola tedesca v e r m e s s e n [temerario, presuntuoso, letteralmente “fuori misura”] è una buona parola ricca di significato. Un giudi-

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

es soll dadurch nur eine Art der Kausalität der Natur, nach einer Analogie mit der unsrigen im technischen Gebrauche der Vernunft, bezeichnet werden, um die Regel, wornach5 gewissen Produkten der Natur nachgeforscht werden muß, vor Augen zu haben. Warum aber macht doch die Teleologie gewöhnlich keinen eigenen Teil der theoretischen Naturwissenschaft aus, sondern wird zur Theologie als Propädeutik oder Übergang gezogen? 384 Dieses geschieht, um das || Studium der Natur nach ihrem Mechanism an demjenigen fest zu halten, was wir unserer Beobachtung oder den6 Experimenten so unterwerfen können, daß wir es gleich der Natur, wenigstens der Ähnlichkeit der Gesetze nach, selbst hervorbringen könnten; denn nur so viel sieht man vollständig ein, als man nach Begriffen selbst machen und zu Stande bringen kann. Organisation aber, als innerer Zweck der 310 Natur, übersteigt unendlich alles Ver|mögen einer ähnlichen Darstellung durch Kunst: und was äußere für zweckmäßig gehaltene Natureinrichtungen betrifft (z. B. Winde, Regen u. d. gl.), so betrachtet die Physik wohl den Mechanism derselben; aber ihre Beziehung auf Zwecke, so fern diese eine zur Ursache notwendig gehörige Bedingung sein soll, kann sie gar nicht darstellen, weil diese Notwendigkeit der Verknüpfung gänzlich die Verbindung unserer Begriffe, und nicht die Beschaffenheit der Dinge, angeht. | ||

Verstandes) zu überschlagen vergißt, kann bisweilen sehr demütig klingen, und macht doch große Ansprüche, und ist doch sehr vermessen. Von der Art sind die meisten, wodurch4 man die göttliche Weisheit zu erheben vorgibt, indem man ihr in den Werken der Schöpfung und der Erhaltung Absichten unterlegt, die eigentlich der eigenen Weisheit des Vernünftlers Ehre machen sollen.

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designare solamente una specie di causalità della natura per analogia con la nostra nell’uso tecnico della ragione, al fine di avere davanti agli occhi la regola secondo la quale vanno indagati certi prodotti della natura. Ma perché la teleologia non costituisce di solito una parte specifica della scienza teoretica della natura e viene invece fatta rientrare nella teologia come propedeutica o passaggio? Ciò accade affinché lo studio della natura, secondo il suo 384 meccanismo, si attenga a quanto possiamo sottoporre alla nostra osservazione o agli esperimenti in modo tale che potremmo produrlo noi stessi come fa la natura, almeno per la somiglianza delle leggi; perché si discerne completamente solo quanto si può fare e realizzare da noi stessi secondo concetti. Ma l’organizzazione, in quanto fine interno della natura, oltrepassa infinitamente ogni facoltà di una esibizio- 310 ne realizzata a somiglianza mediante l’arte: e per quanto concerne le strutture esterne della natura che vengono ritenute conformi al fine (per esempio i venti, la pioggia, ecc.), la fisica ne considera sì il meccanismo, ma non può affatto esibire il loro riferimento a fini, in quanto tale riferimento deve essere una condizione che appartiene necessariamente alla causa, perché tale necessità della connessione riguarda interamente il collegamento dei nostri concetti e non la costituzione delle cose.

zio, nel quale si dimentica di calcolare la misura delle proprie forze (dell’intelletto), può talvolta suonare molto umile e tuttavia avanza grandi pretese ed è assai temerario. Di questa specie sono la maggior parte dei giudizi con i quali si dà a intendere di elevare la saggezza divina, attribuendole, nelle opere della creazione e della conservazione, intenzioni che in realtà devono fare onore alla saggezza propria del raziocinatore.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

Zweite Abteilung

Dialektik der teleologischen Urteilskraft § 69 Was eine Antinomie der Urteilskraft sei? Die b e s t i m m e n d e Urteilskraft hat für sich keine Prinzipien, welche B e g r i f f e v o n O b j e k t e n gründen. Sie ist keine Autonomie; denn sie s u b s u m i e r t nur unter gegebenen Gesetzen, oder Begriffen, als Prinzipien. Eben darum ist sie auch keiner Gefahr ihrer eigenen Antinomie und keinem1 Widerstreit ihrer Prinzipien ausgesetzt. So war die transzendentale Urteilskraft, welche die Bedingungen, unter Kategorien zu subsumieren, enthielt2, für sich nicht n o m o t h e t i s c h ; sondern nannte nur die Bedingungen der sinnlichen Anschauung, unter welchen3 einem gegebenen Begriffe, als Gesetze des Verstandes, Realität (Anwendung) gegeben werden kann: worüber sie niemals mit sich selbst in Uneinigkeit (wenigstens den Prinzipien nach) geraten konnte. | 312 Allein die r e f l e k t i e r e n d e Urteilskraft soll unter einem Gesetze subsumieren, welches noch4 nicht gegeben und also in der Tat nur ein Prinzip der Reflexion über Gegenstände ist, für die es uns objektiv gänzlich an einem Gesetze mangelt, oder an einem Begriffe vom Objekt, der zum Prinzip für vorkommende Fälle hinreichend wäre. Da nun kein Gebrauch der Erkenntnisvermögen ohne Prinzipien verstattet werden darf, so wird die reflektierende Urteilskraft in solchen Fällen ihr selbst zum Prinzip dienen müssen: welches, weil es nicht objektiv ist, und keinen für die Absicht hinreichenden Erkenntnisgrund des Objekts unterlegen kann, als bloß subjektives Prinzip, zum zweckmäßigen Gebrauche der Erkenntnisvermögen, nämlich über eine Art Gegenstände zu reflektieren, dienen soll. Also hat in Beziehung auf solche Fälle die reflektierende Urteilskraft ihre Maximen, und zwar notwendige, zum Behuf der Erkenntnis der 386 Natur||gesetze in der Erfahrung, um vermittelst derselben zu Begriffen zu gelangen, sollten diese auch Vernunftbegriffe sein; wenn sie solcher durchaus bedarf, um die Natur nach ihren

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CAPITOLO SECONDO

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DIALETTICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO § 69 CHE COS’È UN’ANTINOMIA DELLA FORZA DI GIUDIZIO? La forza d e t e r m i n a n t e di giudizio non ha per sé principi che fondino c o n c e t t i d i o g g e t t i . Non è autonomia: infatti s u s s u m e solo sotto leggi date, o concetti, in quanto principi. Proprio per questo motivo essa non è esposta nemmeno a un pericolo di una sua propria antinomia né a un conflitto dei suoi principi. Così la forza trascendentale di giudizio, che conteneva le condizioni per sussumere sotto categorie, non era per sé n o m o t e t i c a , ma enunciava solamente le condizioni dell’intuizione sensibile sotto le quali può essere data realtà (applicazione) a un concetto dato in quanto legge dell’intelletto: e in ciò essa non poteva mai trovarsi in disaccordo con se stessa (almeno secondo i principi). Ma la forza r i f l e t t e n t e di giudizio deve sussumere 312 sotto una legge che non è ancora data e che è dunque di fatto solo un principio della riflessione su oggetti per i quali, oggettivamente, ci manca del tutto una legge o un concetto dell’oggetto che sia sufficiente a fungere da principio per i casi che si presentano. Ora, poiché senza principi non può essere consentito alcun uso delle facoltà conoscitive, la forza riflettente di giudizio dovrà perciò, in tali casi, servire da principio a se stessa; tale principio, non essendo oggettivo e non potendo porre un fondamento per la conoscenza dell’oggetto che sia sufficiente per questo intento, deve servire come principio semplicemente soggettivo per l’uso conforme al fine delle facoltà conoscitive, cioè per riflettere su una certa specie di oggetti. Dunque, è in riferimento a tali casi che la forza riflettente di giudizio possiede le sue massime, e più precisamente sono massime necessarie in funzione della conoscenza delle leggi della natura nell’esperienza mediante le quali pervenire 386 a concetti, dovessero anche essere concetti della ragione, se essa ha assolutamente bisogno di tali concetti per poter semplicemente imparare a conoscere la natura secondo le sue

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

empirischen Gesetzen bloß kennen zu lernen. — Zwischen diesen notwendigen Maximen der reflektierenden Urteilskraft kann nun ein Widerstreit, mithin eine Antinomie, Statt finden; worauf sich eine Dialektik gründet, die, wenn jede von zwei einander widerstreitenden5 Maximen in der Natur der Erkenntnis313 vermögen ihren Grund hat, eine natürliche | Dialektik genannt werden kann, und ein unvermeidlicher Schein, den man in der Kritik entblößen und auflösen muß, damit er nicht betrüge.

§ 70 Vorstellung dieser Antinomie So fern die Vernunft es mit der Natur, als Inbegriff der Gegenstände äußerer Sinne, zu tun hat, kann sie sich auf Gesetze gründen, die der Verstand teils selbst a priori der Natur vorschreibt, teils, durch die in der Erfahrung vorkommenden empirischen Bestimmungen, ins Unabsehliche erweitern kann. Zur Anwendung der erstern Art von Gesetzen, nämlich den a l l g e m e i n e n der1 materiellen Natur überhaupt, braucht die Urteilskraft kein besonderes Prinzip der Reflexion; denn da ist sie bestimmend, weil ihr ein objektives Prinzip durch den Verstand gegeben ist. Aber, was die besondern Gesetze betrifft, die uns nur durch Erfahrung kund werden können, so kann unter ihnen eine so große Mannigfaltigkeit und Ungleichartigkeit sein, daß die Urteilskraft sich selbst2 zum Prinzip dienen muß, um auch nur in den Erscheinungen der Natur nach einem Gesetze zu forschen und es auszuspähen, indem sie ein solches zum Leitfaden bedarf, wenn sie ein zusammenhängendes Erfahrungserkenntnis nach einer durchgängigen Gesetzmäßigkeit der Natur, die Einheit derselben nach empirischen Gesetzen, 314 auch nur hoffen soll. Bei dieser zufälligen Einheit der | besonderen Gesetze kann es sich nun zutragen: daß die Urteilskraft in ihrer Reflexion von zwei Maximen ausgeht, deren eine3 ihr der bloße Verstand a priori an die Hand gibt; die andere aber durch besondere Erfahrungen veranlaßt wird, welche die Vernunft ins Spiel bringen, um nach einem besondern Prinzip die Beurteilung der körperlichen Natur und ihrer Gesetze anzustellen. Da trifft es sich dann, daß diese zweierlei Maximen nicht wohl 387 neben einander bestehen zu || können den Anschein haben, mit-

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leggi empiriche. — Tra queste massime necessarie della forza riflettente di giudizio può ora aver luogo un conflitto, quindi un’antinomia, su cui si fonda una dialettica che può essere chiamata, se ciascuna delle due massime tra loro in contrasto ha il suo fondamento nella natura delle facoltà conoscitive, una dialettica naturale e una parvenza inevitabile, che biso- 313 gna scoprire e risolvere nella critica affinché essa non inganni.

§ 70 PRESENTAZIONE DI QUESTA ANTINOMIA Nella misura in cui la ragione ha a che fare con la natura, come insieme degli oggetti dei sensi esterni, essa può fondarsi su leggi che, in parte, l’intelletto stesso prescrive a priori alla natura e che, in parte, può estendere indefinitamente mediante le determinazioni empiriche che si presentano nell’esperienza. Per l’applicazione della prima specie di leggi, cioè le leggi u n i v e r s a l i della natura materiale in generale, la forza di giudizio non ha bisogno di alcun principio particolare della riflessione; qui infatti essa è determinante essendole dato dall’intelletto un principio oggettivo. Invece, per quanto concerne le leggi particolari che possono divenirci note solo mediante l’esperienza, può esserci tra loro una così grande molteplicità ed eterogeneità che la forza di giudizio deve servire a se stessa da principio anche solo per ricercare e scoprire una legge nei fenomeni della natura, dato che ha bisogno di un tale principio come filo conduttore se deve anche solo sperare in una conoscenza dell’esperienza coerentemente connessa secondo una conformità completa della natura alla legge, cioè l’unità della natura secondo leggi empiriche. Ora, in questa unità contingente delle leggi particolari, può verifi- 314 carsi che la forza di giudizio, nella sua riflessione, proceda da due massime, di cui una le è fornita a priori dal solo intelletto, mentre l’altra è occasionata da esperienze particolari che mettono in gioco la ragione per impostare, secondo un principio particolare, la valutazione della natura corporea e delle sue leggi. Accade allora che questi due tipi di massime non sembrino affatto poter facilmente coesistere, e che di conseguen- 387

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hin sich eine Dialektik hervortut4, welche die Urteilskraft in dem Prinzip ihrer Reflexion irre macht. D i e e r s t e M a x i m e derselben ist der S a t z : Alle Erzeugung materieller Dinge und ihrer Formen muß, als nach bloß mechanischen Gesetzen möglich, beurteilt werden. D i e z w e i t e M a x i m e ist der G e g e n s a t z : Einige Produkte der materiellen Natur können nicht, als nach bloß mechanischen Gesetzen möglich, beurteilt werden (ihre Beurteilung erfordert ein ganz anderes Gesetz der Kausalität, nämlich das der Endursachen). Wenn man diese regulativen Grundsätze für die Nachforschung nun in konstitutive, der Möglichkeit der Objekte selbst, verwandelte, so würden sie so lauten: S a t z : Alle Erzeugung materieller Dinge ist nach bloß mechanischen Gesetzen möglich. | 315 G e g e n s a t z : Einige Erzeugung derselben ist nach bloß mechanischen Gesetzen nicht möglich. In dieser letzteren Qualität, als objektive Prinzipien für die bestimmende Urteilskraft, würden sie einander widersprechen, mithin einer von beiden Sätzen notwendig falsch sein; aber das wäre alsdann zwar eine Antinomie, doch nicht5 der Urteilskraft, sondern ein Widerstreit in der Gesetzgebung der Vernunft. Die Vernunft kann aber weder den einen noch den andern dieser Grundsätze beweisen; weil wir von Möglichkeit der Dinge nach bloß empirischen Gesetzen der Natur kein bestimmendes Prinzip a priori haben können. Was dagegen die zuerst vorgetragene Maxime einer reflektierenden Urteilskraft betrifft, so enthält sie in der Tat gar keinen Widerspruch. Denn wenn ich sage: ich muß alle Ereignisse in der materiellen Natur, mithin auch alle Formen, als Produkte derselben, ihrer Möglichkeit nach, nach bloß mechanischen Gesetzen b e u r t e i l e n : so sage ich damit nicht: sie s i n d d a r n a c h a l l e i n (ausschließungsweise von jeder andern Art Kausalität) m ö g l i c h ; sondern das will nur anzeigen, i c h s o l l jederzeit über dieselben n a c h d e m P r i n z i p des bloßen Mechanisms der Natur r e f l e k t i e r e n , und mithin die-

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za si instauri una dialettica che induce in errore la forza di giudizio nel principio della sua riflessione. L a p r i m a m a s s i m a della forza di giudizio è la t e s i : ogni generazione di cose materiali e delle loro forme deve essere valutata come possibile secondo leggi semplicemente meccaniche. L a s e c o n d a m a s s i m a è l’ a n t i t e s i : alcuni prodotti della natura materiale non possono essere valutati come possibili secondo leggi semplicemente meccaniche (la loro valutazione richiede una legge del tutto diversa di causalità, cioè quella delle cause finali). Se poi si trasformassero questi principi regolativi della ricerca in principi costitutivi della possibilità degli oggetti stessi, essi suonerebbero in questo modo: Te s i : ogni generazione di cose materiali è possibile secondo leggi semplicemente meccaniche. A n t i t e s i : alcune generazioni delle medesime cose non 315 sono possibili secondo leggi semplicemente meccaniche. Qualificate in questo modo, come principi oggettivi per la forza determinante di giudizio, queste proposizioni si contraddirebbero l’un l’altra e quindi una delle due sarebbe necessariamente falsa; ma questa sarebbe allora proprio un’antinomia, tuttavia non della forza di giudizio, bensì un conflitto nella legislazione della ragione. Però la ragione non può dimostrare né l’uno né l’altro di questi principi, perché noi non possiamo avere alcun principio determinante a priori della possibilità delle cose secondo leggi della natura semplicemente empiriche. Per quel che riguarda invece la massima, esposta per prima, di una forza riflettente di giudizio, essa non contiene di fatto alcuna contraddizione. Infatti, se dico: devo v a l u t a r e , quanto alla loro possibilità, tutti gli eventi che si presentano nella natura materiale, di conseguenza anche tutte le forme, in quanto prodotti di questa natura secondo leggi semplicemente meccaniche, allora con ciò non dico: essi s o n o p o s s i b i l i s o l o s e c o n d o q u e s t e l e g g i (in un modo che esclude ogni altra specie di causalità): questo vuole bensì solo indicare che, ogni volta, d e v o r i f l e t t e r e su questi eventi e queste forme s e c o n d o i l p r i n c i p i o del semplice meccanismo della natura, e dunque che devo indagare questo

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sem, so weit ich kann, nachforschen, weil, ohne ihn zum Grunde der Nachforschung zu legen, es gar keine eigentliche Naturerkenntnis geben kann. Dieses hindert nun die zweite Maxime, 316 bei gelegentlicher Veranlas|sung, nicht, nämlich bei6 einigen Naturformen (und auf deren Veranlassung sogar der ganzen 388 Natur) nach einem Prinzip zu || spüren, und7 über sie zu reflektieren, welches von der Erklärung nach dem Mechanism der Natur ganz verschieden ist, nämlich dem Prinzip der Endursachen. Denn die Reflexion nach der ersten Maxime wird dadurch nicht aufgehoben, vielmehr wird es geboten, sie, so weit man kann, zu verfolgen; auch wird dadurch nicht gesagt, daß, nach dem Mechanism der Natur, jene Formen nicht möglich wären. Nur wird behauptet, daß d i e m e n s c h l i c h e Ve r n u n f t , in Befolgung derselben und auf diese Art, niemals von dem, was das Spezifische eines Naturzwecks ausmacht, den mindesten Grund, wohl aber andere Erkenntnisse von Naturgesetzen wird auffinden können; wobei es als unausgemacht dahin gestellt wird, ob nicht in dem uns unbekannten inneren Grunde der Natur selbst die physisch-mechanische und die Zweckverbindung an denselben Dingen in einem Prinzip zusammen hängen mögen: nur daß unsere Vernunft sie in einem solchen nicht zu vereinigen im Stande8 ist, und die Urteilskraft also, als (aus einem subjektiven Grunde) r e f l e k t i e r e n d e , nicht als (einem objektiven Prinzip der Möglichkeit der Dinge an sich zufolge) bestimmende Urteilskraft, genötigt ist, für gewisse Formen in der Natur ein anderes Prinzip, als das des Naturmechanisms zum Grunde ihrer Möglichkeit zu denken. | 317

§ 71 Vorbereitung zur Auflösung obiger Antinomie Wir können die Unmöglichkeit der Erzeugung der organisierten Naturprodukte durch den bloßen Mechanism der Natur keinesweges beweisen, weil wir die unendliche Mannigfaltigkeit der besondern Naturgesetze, die für uns zufällig sind, da sie nur empirisch erkannt werden, ihrem ersten innern Grunde nach nicht einsehen, und so das innere durchgängig zureichende Prinzip der Möglichkeit einer Natur (welches im Übersinnli-

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principio fin dove posso, poiché, senza porlo a fondamento dell’indagine naturale, non può esserci alcuna vera e propria conoscenza della natura. Ebbene, ciò non impedisce alla seconda massima, quando se ne presenti l’occasione, cioè per 316 alcune forme naturali (e anche, a partire dall’occasione da loro offerta, perfino per l’intera natura), di rintracciare un principio e di riflettere su tali forme: un principio che è del 388 tutto diverso dalla spiegazione secondo il meccanismo della natura, cioè il principio delle cause finali. Infatti, la riflessione secondo la prima massima non viene così facendo eliminata, anzi si impone di perseguirla fin dove si può né con ciò viene detto che, secondo il meccanismo della natura, quelle forme non sarebbero possibili. Viene solo affermato che l a r a g i o n e u m a n a , attenendosi a questa massima e procedendo in tal modo, potrà certo procurarsi altre conoscenze di leggi naturali, tuttavia mai rinvenire il minimo fondamento di ciò che costituisce la specificità di un fine naturale; con ciò rimane indeciso se, nel fondamento interno, a noi sconosciuto, della natura stessa, il nesso fisico-meccanico e quello finale nelle medesime cose non possano connettersi in un unico principio: si afferma solo che la nostra ragione non è in grado di unificarli in un tale principio e che la forza di giudizio dunque, in quanto r i f l e t t e n t e (a partire da un fondamento soggettivo) e non in quanto determinante (in base a un principio oggettivo della possibilità delle cose in sé), è costretta a pensare, per certe forme presenti nella natura, come fondamento della loro possibilità un altro principio, diverso da quello del meccanismo della natura.

§ 71 PREPARAZIONE ALLA SOLUZIONE DELLA PRECEDENTE ANTINOMIA Noi non possiamo dimostrare in alcun modo l’impossibilità della generazione dei prodotti naturali organizzati mediante il semplice meccanismo della natura, perché non possiamo discernere in base al suo primo fondamento interno l’infinita molteplicità delle leggi naturali particolari, che per noi sono contingenti in quanto vengono conosciute solo in modo empirico, né così possiamo assolutamente raggiungere

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chen liegt) schlechterdings nicht erreichen können. Ob also das produktive Vermögen der Natur auch für dasjenige, was wir, als nach der Idee von Zwecken geformt oder verbunden, beurteilen, nicht eben so gut als für das, wozu wir bloß ein Maschinenwesen der Natur zu bedürfen glauben, zulange; und ob in der Tat für Dinge als eigentliche Naturzwecke (wie wir sie notwendig beurteilen müssen) eine ganz andere Art von ursprünglicher Kausalität, die gar nicht in der materiellen Natur oder ihrem intelligibelen Substrat enthalten sein kann, nämlich ein 389 architektonischer Verstand zum || Grunde liege: darüber kann unsere in Ansehung des Begriffs der Kausalität, wenn er a priori spezifiziert werden soll, sehr enge eingeschränkte Vernunft schlechterdings keine Auskunft geben. — Aber daß, respektiv 318 auf unser Erkenntnis|vermögen, der bloße Mechanism der Natur für die Erzeugung organisierter Wesen auch keinen Erklärungsgrund abgeben könne, ist eben so ungezweifelt gewiß. F ü r d i e r e f l e k t i e r e n d e U r t e i l s k r a f t ist also das ein ganz richtiger Grundsatz: daß für die so offenbare Verknüpfung der Dinge nach Endursachen eine vom Mechanism unterschiedene Kausalität, nämlich einer nach Zwecken handelnden (verständigen) Weltursache gedacht werden müsse; so übereilt und unerweislich er auch1 f ü r d i e b e s t i m m e n d e sein würde. In dem ersteren Falle ist er bloße Maxime der Urteilskraft, wobei der Begriff jener Kausalität eine bloße Idee ist, der man keinesweges Realität zuzugestehen unternimmt, sondern sie nur zum Leitfaden der Reflexion braucht, die dabei für alle mechanische Erklärungsgründe immer offen bleibt, und sich nicht aus der Sinnenwelt verliert; im zweiten Falle würde der Grundsatz ein objektives Prinzip sein, das die Vernunft vorschriebe und dem die Urteilskraft sich bestimmend unterwerfen müßte, wobei sie aber über die Sinnenwelt hinaus sich ins Überschwengliche verliert, und vielleicht irre geführt wird. Aller Anschein einer Antinomie zwischen den Maximen der eigentlich physischen (mechanischen) und der teleologischen (technischen) Erklärungsart beruht also darauf: daß man einen Grundsatz der reflektierenden Urteilskraft mit dem der bestim-

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il principio interno, completamente sufficiente, della possibilità di una natura (principio che risiede nel soprasensibile). Sapere dunque se la capacità produttiva della natura non basti anche per ciò che valutiamo come formato o collegato secondo l’idea di fini altrettanto bene che per ciò per cui crediamo di non aver bisogno d’altro che di una meccanica della natura; e sapere se a fondamento delle cose in quanto fini naturali (come dobbiamo necessariamente valutarli) ci sia effettivamente una specie del tutto diversa di causalità originaria, che non può affatto essere contenuta nella natura materiale o nel suo sostrato intelligibile, cioè un intelletto architet- 389 tonico: su tali questioni la nostra ragione assai angustamente limitata, riguardo al concetto della causalità quando deve essere specificato a priori, non può dare assolutamente una risposta. — Ma, allo stesso modo, è indubitabilmente certo che, relativamente alla nostra facoltà di conoscere, nemmeno 318 il semplice meccanismo della natura può fornire un principio di spiegazione per la generazione di esseri organizzati. P e r l a f o r z a r i f l e t t e n t e d i g i u d i z i o è dunque del tutto corretto il principio secondo cui, per la connessione così manifesta delle cose secondo cause finali, si debba pensare una causalità diversa dal meccanismo, cioè quella di una causa del mondo che agisce secondo fini (intelligente); per quanto questo principio sarebbe avventato e indimostrabile p e r l a f o r z a d e t e r m i n a n t e d i g i u d i z i o . Nel primo caso, questo principio è una semplice massima della forza di giudizio per cui il concetto della causalità finale è una semplice idea alla quale non si tenta affatto di conferire realtà, ma che si utilizza solo come filo conduttore della riflessione che in tal modo resta sempre aperta a tutti i principi esplicativi meccanici e non si perde fuori dal mondo dei sensi; nel secondo caso, il principio sarebbe un principio oggettivo che la ragione prescriverebbe e al quale la forza di giudizio in quanto determinante dovrebbe sottomettersi, ma perdendosi allora oltre il mondo sensibile nel trascendente e venendo forse indotta in errore. Ogni parvenza di un’antinomia tra le massime del modo di spiegazione propriamente fisico (meccanico) e di quello teleologico (tecnico) si basa dunque sul fatto che si scambia un principio della forza riflettente di giudizio con quello della

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menden, und die A u t o n o m i e der ersteren (die bloß subjek-

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319 tiv für unsern Ver nunftgebrauch in Ansehung der besonderen

Erfahrungsgesetze gilt) mit der H e t e r o n o m i e der anderen, welche sich nach den von dem Verstande gegebenen (allgemeinen oder besondern) Gesetzen richten muß, verwechselt.

§ 72 Von den mancherlei Systemen über die Zweckmässigkeit der Natur Die Richtigkeit des Grundsatzes: daß über gewisse Dinge der Natur (organisierte Wesen) und ihre Möglichkeit nach dem Begriffe von Endursachen geurteilt werden müsse, selbst auch nur, wenn man, um ihre Beschaffenheit durch Beobachtung kennen zu lernen, einen L e i t f a d e n verlangt, ohne sich bis 390 zur Untersuchung über ihren ersten Ursprung zu || versteigen, hat noch niemand bezweifelt. Die Frage kann also nur sein: ob dieser Grundsatz bloß subjektiv gültig, d. i. bloß Maxime unserer Urteilskraft oder ein objektives Prinzip der Natur sei, nach welchem ihr, außer ihrem Mechanism (nach bloßen Bewegungsgesetzen), noch eine andere Art von Kausalität zukomme, nämlich die der Endursachen, unter denen jene (die bewegenden1 Kräfte) nur als Mittelursachen ständen. Nun könnte man diese Frage, oder Aufgabe für die Spekulation, gänzlich unausgemacht und unaufgelöset lassen; weil, wenn wir uns mit der letzteren innerhalb den Grenzen der 320 bloßen Naturerkenntnis begnügen, wir | an jenen Maximen genug haben, um die Natur, so weit als menschliche Kräfte reichen, zu studieren und ihren verborgensten Geheimnissen nachzuspüren. Es ist also wohl eine gewisse Ahnung2 unserer Vernunft, oder ein von der Natur uns gleichsam gegebener Wink, daß wir vermittelst jenes Begriffs von Endursachen wohl gar über die Natur hinauslangen und sie selbst an den höchsten Punkt in der Reihe der Ursachen knüpfen könnten, wenn wir die Nachforschung der Natur (ob wir gleich darin noch nicht weit gekommen sind) verließen, oder wenigstens einige Zeit aussetzten, und vorher, worauf jener Fremdling in der Naturwissenschaft, nämlich der Begriff der Naturzwecke3, führe, zu erkunden versuchten.

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forza determinante di giudizio e l’ a u t o n o m i a della prima (che vale solo soggettivamente, per il nostro uso della ragione 319 riguardo alle leggi particolari dell’esperienza) con l’ e t e r o n o m i a della seconda, che deve regolarsi secondo le leggi (universali o particolari) date dall’intelletto.

§ 72 DEI VARI SISTEMI SULLA CONFORMITÀ DELLA NATURA AL FINE Nessuno ha finora messo in dubbio la correttezza del principio secondo cui su certe cose della natura (esseri organizzati) e sulla loro possibilità bisogna giudicare in base al concetto delle cause finali, anche se si vuole solo un f i l o c o n d u t t o r e per imparare a conoscere la loro costituzione mediante l’osservazione, senza arrivare a indagare sulla loro origine prima. La domanda può allora essere solo questa: se 390 questo principio sia valido semplicemente in modo soggettivo, cioè sia solo una massima della nostra forza di giudizio, oppure sia un principio oggettivo della natura secondo il quale a essa spetterebbe, oltre al suo meccanismo (secondo semplici leggi del movimento), anche un’altra specie di causalità, vale a dire quella delle cause finali, sotto le quali le cause (delle forze motrici) sarebbero subordinate solo come cause intermedie. Ora, si potrebbe lasciare del tutto indecisa e irrisolta tale questione o problema per la speculazione, perché se ci accontentiamo di uno speculare entro i confini della semplice conoscenza della natura, in quelle massime abbiamo quanto 320 basta per studiare la natura e andare in cerca dei suoi segreti più nascosti, fin dove giungano le forze umane. È dunque un certo presentimento della nostra ragione, o per così dire un cenno rivoltoci dalla natura, il fatto che, per mezzo di quel concetto delle cause finali, si possa benissimo andare addirittura al di là della natura e connettere essa stessa al punto supremo nella serie delle cause, solo che si abbandoni l’indagine della natura (pur non essendovi ancora progrediti di molto) o almeno la si sospenda per un certo tempo, e prima si cerchi di appurare dove conduce quell’elemento estraneo nella scienza della natura che è il concetto dei fini della natura.

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Hier müßte nun freilich jene unbestrittene Maxime in die ein weites Feld zu Streitigkeiten eröffnende Aufgabe übergehen: Ob die Zweckverknüpfung in der Natur eine besondere Art der Kausalität für dieselbe b e w e i s e ; oder ob sie, an sich und nach objektiven Prinzipien betrachtet, nicht vielmehr mit dem Mechanism der Natur einerlei sei, oder auf einem und demselben Grunde beruhe: nur daß wir, da dieser für unsere Nachforschung in manchen Naturprodukten oft zu tief versteckt ist, es mit einem subjektiven Prinzip, nämlich dem der Kunst, d. i. der Kausalität nach Ideen versuchen, um sie der Natur der Analogie nach unterzulegen; welche Nothülfe uns auch in vielen Fällen gelingt, in einigen zwar zu mißlingen 321 scheint, auf alle Fälle aber nicht berechtigt, eine | besondere, von der Kausalität nach bloß mechanischen Gesetzen der Natur selbst unterschiedene, Wirkungsart in die Naturwissenschaft einzuführen. Wir wollen, indem wir das Verfahren (die Kausalität) der Natur, wegen des Zweckähnlichen, welches wir in ihren Produkten finden, Technik nennen, diese in die a b s i c h t l i c h e (technica intentionalis), und in die u n a b s i c h t l i c h e (technica naturalis), einteilen. Die erste soll bedeuten: daß das 391 produk||tive Vermögen der Natur nach Endursachen für eine besondere Art von Kausalität gehalten werden müsse; die zweite: daß sie mit dem Mechanism der Natur im Grunde ganz einerlei sei, und das zufällige Zusammentreffen mit unseren Kunstbegriffen und ihren Regeln, als bloß subjektive Bedingung, sie zu beurteilen, fälschlich für eine besondere Art der Naturerzeugung ausgedeutet werde. Wenn wir jetzt von den Systemen der Naturerklärung in Ansehung der Endursachen reden, so muß man wohl bemerken: daß sie insgesamt dogmatisch, d. i. über objektive Prinzipien der Möglichkeit der Dinge, es sei durch absichtlich oder lauter unabsichtlich wirkende Ursachen, unter einander streitig sind, nicht aber etwa4 über die subjektive Maxime, über die Ursache solcher zweckmäßigen Produkte bloß zu urteilen: in welchem letztern Falle d i s p a r a t e Prinzipien noch wohl vereinigt werden könnten, anstatt daß im ersteren k o n t r a d i k 322 t o | r i s c h - e n t g e g e n g e s e t z t e einander aufheben und neben sich nicht bestehen können. Die Systeme in Ansehung der Technik der Natur, d. i. ihrer produktiven Kraft nach der Regel der Zwecke, sind zwiefach:

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Ora, quella massima indiscussa non potrebbe qui non sfociare in un problema che apre un vasto campo di discussione: se il nesso finale nella natura d i m o s t r a per essa una particolare specie di causalità oppure se esso, considerato in sé e secondo principi oggettivi, non sia piuttosto un tutt’uno con il meccanismo della natura o riposi su un unico e medesimo fondamento: solo che noi, essendo tale meccanismo, in certi prodotti della natura, nascosto troppo in profondità per la nostra ricerca, lo mettiamo alla prova con un principio soggettivo, cioè quello dell’arte, vale a dire della causalità secondo idee, per porlo alla base della natura secondo l’analogia – espediente che in molti casi ci riesce, in altri sembra invece fallire, ma in nessun caso autorizza a introdurre nella scienza della natura 321 una specie particolare di effetti diversa dalla causalità secondo leggi semplicemente meccaniche della natura stessa. Chiamando tecnica il procedimento (la causalità) della natura, a causa di ciò che di simile a un fine troviamo nei suoi prodotti, vogliamo dividerla in tecnica i n t e n z i o n a l e (technica intentionalis) e tecnica i n i n t e n z i o n a l e (technica naturalis). La prima significherà che la facoltà produttiva della natura secondo 391 cause finali deve essere considerata una specie particolare di causalità; la seconda che essa è in fondo un tutt’uno con il meccanismo della natura e che è sbagliato interpretare l’incontro contingente con i nostri concetti di arte e le loro regole – in quanto condizione semplicemente soggettiva per valutarla – come una specie particolare della generazione della natura. Se parliamo ora dei sistemi che spiegano la natura riguardo alle cause finali, bisogna notare bene che essi, nel loro complesso, sono in conflitto l’uno con l’altro su un piano dogmatico, cioè sui principi oggettivi della possibilità delle cose – sia per cause che agiscono intenzionalmente sia per cause che agiscono in modo puramente inintenzionale –, ma non si oppongono invece sulla massima soggettiva che serve semplicemente per valutare la causa di certi prodotti conformi al fine: in quest’ultimo caso si potrebbero poi ben conciliare principi d i s p a r a t i , mentre nel primo caso principi o p p o s t i i n m o d o c o n t r a d d i t t o r i o si eliminano a 322 vicenda e non possono sussistere l’uno accanto all’altro. I sistemi che riguardano la tecnica della natura, cioè la sua forza produttiva secondo le regole dei fini, sono di due tipi:

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

des I d e a l i s m u s , oder des R e a l i s m u s der Naturzwecke. Der erstere ist die Behauptung: daß alle Zweckmäßigkeit der Natur u n a b s i c h t l i c h , der zweite: daß einige derselben (in organisierten Wesen) a b s i c h t l i c h sei; woraus denn auch die als Hypothese gegründete Folge gezogen werden könnte, daß die Technik der Natur, auch, was alle andere Produkte derselben in Beziehung auf das Naturganze betrifft, absichtlich, d. i. Zweck, sei. 1) Der I d e a l i s m der Zweckmäßigkeit (ich verstehe hier immer die objektive) ist nun entweder der der K a s u a l i t ä t oder der F a t a l i t ä t der Naturbestimmung in der zweckmäßigen Form ihrer Produkte. Das erstere Prinzip betrifft die Beziehung der Materie auf den physischen Grund ihrer Form, nämlich die Bewegungsgesetze; das zweite auf ihren und der ganzen Natur h y p e r p h y s i s c h e n Grund. Das System der K a s u a l i t ä t , welches dem Epikur oder Democritus beigelegt wird, ist, nach dem Buchstaben genommen, so offenbar ungereimt, daß es uns nicht aufhalten darf5; dagegen ist das System der Fatalität (wovon man den Spinoza zum Urheber macht, ob es gleich allem Ansehen nach viel älter ist), welches sich auf 323 etwas Übersinnliches | beruft, wohin6 also unsere Einsicht nicht reicht, so leicht nicht zu widerlegen: darum, weil sein Begriff von dem Urwesen gar nicht zu verstehen ist. So viel ist aber klar: daß die Zweckverbindung in der Welt in demselben als unabsichtlich 392 ange||nommen werden muß (weil sie von einem Urwesen, aber nicht von seinem Verstande, mithin keiner Absicht desselben, sondern aus der Notwendigkeit seiner Natur und der davon abstammenden Welteinheit abgeleitet wird), mithin der Fatalismus der Zweckmäßigkeit zugleich ein Idealism derselben ist. 2) Der R e a l i s m der Zweckmäßigkeit der Natur ist auch entweder physisch oder hyperphysisch. Der e r s t e gründet die Zwecke in der Natur auf dem Analogon eines nach Absicht handelnden Vermögens, dem L e b e n d e r M a t e r i e (in ihr, oder auch durch ein belebendes inneres Prinzip, eine Weltseele); und heißt der H y l o z o i s m . Der z w e i t e leitet sie von dem Urgrunde des Weltalls, als einem mit Absicht hervorbringenden (ursprünglich lebenden) verständigen Wesen ab; und ist der T h e i s m *. | * Man sieht hieraus: daß in den meisten spekulativen Dingen der reinen Vernunft, was die dogmatischen Behauptungen betrifft, die philoso-

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dell’ i d e a l i s m o oppure del r e a l i s m o dei fini naturali. Il primo afferma che ogni conformità della natura al fine è i n i n t e n z i o n a l e , il secondo che un certo tipo di conformità al fine (negli esseri organizzati) è i n t e n z i o n a l e ; da ciò si potrebbe poi trarre anche la conseguenza fondata come ipotesi che la tecnica della natura, anche per quanto riguarda tutti gli altri suoi prodotti in riferimento con la natura come totalità, è intenzionale, cioè costituisce un fine. 1) Ora, l’idealismo della conformità al fine (intendo qui sempre quella oggettiva) è o quello della causalità o quello della fatalità della determinazione della natura nella forma conforme al fine dei suoi prodotti. Il primo principio riguarda il riferimento della materia al fondamento fisico della sua forma, cioè alle leggi del movimento; il secondo il riferimento della materia al fondamento iperfisico della sua forma e dell’intera natura. Il sistema della casualità, attribuito a Epicuro o a Democrito, è, se preso alla lettera, così palesemente assurdo che non riesce a trattenerci; al contrario il sistema della fatalità (del quale si fa di Spinoza l’autore, benché esso sia verosimilmente molto più antico), che si richiama a qualcosa di soprasensibile a cui dunque il nostro discernimento non può 323 pervenire, non è così facile da confutare perché il suo concetto dell’essere originario non è affatto comprensibile. Ma almeno ciò è chiaro: che in questo sistema il nesso finale presente nel mondo va assunto come inintenzionale (perché viene derivato 392 da un essere originario, ma non dal suo intelletto e quindi senza una sua intenzione, bensì dalla necessità della sua natura e dall’unità del mondo che ne deriva), e di conseguenza il fatalismo della conformità al fine è al contempo un idealismo della stessa. 2) Il r e a l i s m o della conformità della natura al fine è anch’esso o fisico o iperfisico. Il p r i m o fonda i fini presenti nella natura sull’analogo di una facoltà agente secondo un’intenzione, cioè sulla v i t a d e l l a m a t e r i a (esistente in essa oppure infusa mediante un principio interno vivificatore, un’anima del mondo) e si chiama i l o z o i s m o . Il s e c o n d o deriva tali fini dal fondamento originario dell’universo concepito come essere intelligente (vivente originariamente) che produce con intenzione, e questo è il t e i s m o *. * Da ciò si vede che nella maggior parte delle cose speculative della ragione pura, per quel che riguarda le affermazioni dogmatiche, le scuo-

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

§ 73 Keines der obigen Systeme leistet das was es vorgibt

Was wollen alle jene Systeme? Sie wollen unsere teleologischen Urteile über die Natur erklären, und gehen damit so zu Werke, daß ein Teil die Wahrheit derselben leugnet, mithin sie für einen Idealism der Natur (als Kunst vorgestellt) erklärt; der andere Teil sie als wahr anerkennt, und die Möglichkeit einer Natur nach der Idee der Endursachen darzutun verspricht. 1) Die für den Idealism der Endursachen in der Natur streitenden Systeme lassen nun einerseits zwar an dem Prinzip derselben eine Kausalität nach Bewegungsgesetzen zu (durch welche die Naturdinge zweckmäßig existieren); aber sie leugnen an 393 ihr die I n t e n t i o n a l i t ä t , d. i. || daß sie absichtlich zu dieser ihrer zweckmäßigen Hervorbringung bestimmt, oder, mit anderen Worten, ein Zweck die Ursache sei. Dieses ist die Erklärungsart E p i k u r s , nach welcher der Unterschied einer Technik der Natur von der bloßen Mechanik gänzlich abgeleugnet 325 wird, und nicht allein für die Übereinstimmung der er|zeugten Produkte mit unsern Begriffen vom Zwecke, mithin für die Technik, sondern selbst für die Bestimmung der Ursachen dieser Erzeugung nach Bewegungsgesetzen, mithin ihre Mechanik, der blinde Zufall zum Erklärungsgrunde angenommen, also nichts, auch nicht einmal der Schein in unserm teleologischen Urteile erklärt, mithin der vorgebliche Idealism in demselben keinesweges dargetan wird. Andererseits will S p i n o z a uns aller Nachfrage nach dem Grunde der Möglichkeit der Zwecke der Natur dadurch überheben, und dieser Idee alle Realität nehmen, daß er sie über-

phischen Schulen gemeiniglich alle Auflösungen, die über eine gewisse Frage möglich sind, versucht haben. So hat man über die Zweckmäßigkeit der Natur bald entweder die l e b l o s e M a t e r i e , oder einen l e b l o s e n G o t t , bald eine l e b e n d e M a t e r i e , oder auch einen l e b e n d i g e n 324 G o t t zu diesem Behufe versucht. Für uns bleibt | nichts übrig, als, wenn es Not tun sollte, von allen diesen objektiven B e h a u p t u n g e n abzugehen, und unser Urteil bloß in Beziehung auf unsere Erkenntnisvermögen kritisch zu erwägen, um ihrem Prinzip eine, wo nicht dogmatische, doch zum sichern Vernunftgebrauch hinreichende Gültigkeit einer Maxime zu verschaffen.

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§ 73 NESSUNO DEI PRECEDENTI SISTEMI REALIZZA CIÒ CHE PRETENDE

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Che cosa vogliono tutti quei sistemi? Vogliono spiegare i nostri giudizi teleologici sulla natura e si mettono all’opera in modo tale che una parte di essi nega la verità di quei giudizi e dunque li spiega come un idealismo della natura (rappresentata in quanto arte); l’altra parte li riconosce come veri e promette di mostrare la possibilità di una natura secondo l’idea delle cause finali. 1) Ebbene, da una parte, i sistemi che lottano a favore dell’idealismo delle cause finali nella natura ammettono certamente, nel loro principio, una causalità secondo leggi del movimento (mediante le quali le cose della natura esistono in maniera conforme al fine), ma ne negano l’intenzionalità, cioè il fatto che essa sia determinata intenzionalmente a que- 393 sta sua produzione conforme al fine o, in altre parole, che un fine sia la causa. Questo è il tipo di spiegazione di Epicuro, secondo il quale la differenza tra una tecnica della natura e la semplice meccanica viene del tutto negata e il cieco caso viene ammesso come principio di spiegazione non solo per l’accordo dei prodotti generati con i nostri concetti di fine, quindi per la 325 tecnica, bensì anche per la determinazione delle cause di questa generazione secondo leggi del movimento, quindi per la loro meccanica: di conseguenza non viene spiegato nulla, nemmeno la parvenza nel nostro giudizio teleologico, e pertanto non viene affatto dimostrato il suo preteso idealismo. D’altra parte, S p i n o z a vuole dispensarci da ogni richiesta riguardante il fondamento della possibilità dei fini della natura e togliere a questa idea tutta la realtà, facendoli valere le filosofiche hanno solitamente tentato tutte le soluzioni possibili di un certo problema. Così, sulla conformità della natura al fine si sono tentate come soluzioni ora la m a t e r i a s e n z a v i t a , o un D i o s e n z a v i t a , ora una m a t e r i a v i v a o anche un D i o v i v e n t e . A noi non resta 324 altro, se dovesse essercene bisogno, che allontanarci da tutte queste a f f e r m a z i o n i oggettive e soppesare in modo critico il nostro giudizio semplicemente in riferimento alle nostre facoltà conoscitive per procurare al loro principio, se non una validità dogmatica di una massima, almeno quella sufficiente per un uso sicuro della ragione.

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haupt nicht für Produkte, sondern für einem Urwesen inhärierende Akzidenzen gelten läßt, und diesem Wesen, als Substrat jener Naturdinge, in Ansehung derselben nicht Kausalität, sondern bloß Subsistenz beilegt, und (wegen der unbedingten Notwendigkeit desselben, samt allen Naturdingen, als ihm inhärierenden Akzidenzen) den Naturformen zwar die Einheit des Grundes, die zu aller Zweckmäßigkeit erforderlich ist, sichert, aber zugleich die Zufälligkeit derselben, ohne die keine Z w e c k e i n h e i t gedacht werden kann, entreißt, und mit ihr alles A b s i c h t l i c h e , so wie dem Urgrunde der Naturdinge allen Verstand, wegnimmt. Der Spinozism leistet aber das nicht, was er will. Er will einen Erklärungsgrund der Zweckverknüpfung (die er nicht leugnet) der Dinge der Natur angeben, und nennt bloß die 326 Einheit des Subjekts, dem sie alle inhä|rieren. Aber, wenn man ihm auch diese Art zu existieren für die Weltwesen einräumt, so ist doch jene ontologische Einheit darum noch nicht sofort Z w e c k e i n h e i t , und macht diese keinesweges begreiflich. Die letztere ist nämlich eine ganz besondere Art derselben, die aus der Verknüpfung der Dinge (Weltwesen) in einem Subjekte (dem Urwesen) gar nicht folgt, sondern durchaus die Beziehung auf eine U r s a c h e , die Verstand hat, bei sich führt, und selbst, wenn man alle diese Dinge in einem einfachen Subjekte vereinigte, doch niemals eine Zweckbeziehung darstellt: wofern man unter ihnen nicht erstlich innere W i r k u n g e n der Substanz, als einer U r s a c h e , zweitens eben derselben, als Ursache d u r c h i h r e n Ve r s t a n d , denkt. Ohne diese formalen Bedingungen ist alle Einheit bloße Naturnotwendigkeit; und, wird 394 sie gleichwohl Dingen beigelegt, die wir || als außer einander vorstellen, blinde Notwendigkeit. Will man aber das, was die Schule die transzendentale Vollkommenheit der Dinge (in Beziehung auf ihr eigenes Wesen) nennt, nach welcher alle Dinge alles an sich haben, was erfordert wird, um so ein Ding und kein anderes zu sein, Zweckmäßigkeit der Natur nennen: so ist das ein kindisches Spielwerk mit Worten statt Begriffen. Denn, wenn alle Dinge als Zwecke gedacht werden müssen, also ein Ding sein und Zweck sein einerlei ist, so gibt es im Grunde nichts, was besonders als Zweck vorgestellt zu werden verdiente. |

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assolutamente non come prodotti, ma quali accidenti che ineriscono a un essere originario e attribuendo a questo essere, riguardo a quelle cose della natura di cui è sostrato, non una causalità, bensì semplicemente una sussistenza; egli assicura certamente alle forme naturali (a causa della necessità incondizionata dell’essere originario e di tutte le cose della natura come accidenti che gli ineriscono) l’unità del fondamento che è richiesta per ogni conformità al fine, sottrae però loro al contempo la contingenza, senza cui non può essere pensata alcuna u n i t à f i n a l e , togliendo con tale contingenza tutto ciò che è i n t e n z i o n a l e , così come ogni intelletto, al fondamento originario delle cose della natura. Tuttavia lo spinozismo non riesce a realizzare ciò che vuole. Vuole addurre un principio di spiegazione della connessione finale (che esso non nega) delle cose della natura, e nomina semplicemente l’unità del soggetto al quale tutte ineriscono. Ma, pur concedendogli questo modo di esistere per gli 326 esseri del mondo, quell’unità ontologica non è tuttavia ancora già per questo u n i t à f i n a l e né la rende in alcun modo comprensibile. L’unità finale è infatti una specie del tutto particolare di unità che non deriva affatto dalla connessione delle cose (degli esseri del mondo) in un soggetto (l’essere originario), bensì comporta assolutamente il riferimento a una c a u s a dotata di intelletto; e anche se si riunissero tutte queste cose in un soggetto semplice, tuttavia non si esibirebbe mai un riferimento finale: a meno che con queste cose non si intendano, in primo luogo, e f f e t t i interni della sostanza quale c a u s a e, in secondo luogo, questa sostanza come causa m e d i a n t e i l suo intelletto. Senza queste condizioni formali ogni unità è una semplice necessità naturale, e, se essa è attribuita a cose che ci rappresentiamo esterne l’una all’altra, si tratta di una 394 necessità cieca. Ma se si vuole chiamare conformità della natura al fine ciò che la scuola110 chiama la perfezione trascendentale delle cose (riferendosi alla loro propria essenza), in virtù della quale ciascuna cosa ha in sé tutto ciò che è richiesto per essere quella e non un’altra, non si tratta che di un gioco infantile in cui le parole sostituiscono i concetti. Infatti, se tutte le cose devono essere pensate come fini, quindi essere una cosa è lo stesso che essere un fine, allora non c’è in fondo niente che meriti particolarmente di essere rappresentato come fine.

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Man sieht hieraus wohl: daß Spinoza dadurch, daß er unsere Begriffe von dem Zweckmäßigen in der Natur auf das Bewußtsein unserer selbst in einem allbefassenden (doch zugleich einfachen) Wesen zurückführte, und jene Form bloß in der Einheit des1 letztern suchte, nicht den Realism, sondern bloß den Idealism der Zweckmäßigkeit derselben zu behaupten die Absicht haben mußte, diese aber selbst doch nicht bewerkstelligen konnte, weil die bloße Vorstellung der Einheit des Substrats auch nicht einmal die Idee von einer, auch nur unabsichtlichen, Zweckmäßigkeit bewirken kann. 2) Die, welche2 den R e a l i s m der Naturzwecke nicht bloß behaupten, sondern ihn auch zu erklären vermeinen, glauben eine besondere Art der Kausalität, nämlich absichtlich wirkender Ursachen, wenigstens ihrer Möglichkeit nach einsehen zu können; sonst könnten sie es nicht unternehmen, jene erklären zu wollen. Denn zur Befugnis selbst der gewagtesten Hypothese muß wenigstens die M ö g l i c h k e i t dessen, was man als Grund annimmt, g e w i ß sein, und man muß dem Begriffe desselben seine objektive Realität sichern können. Aber die Möglichkeit einer lebenden Materie (deren Begriff einen Widerspruch enthält, weil Leblosigkeit, inertia, den wesentlichen Charakter derselben ausmacht) läßt sich nicht einmal denken; die einer belebten Materie und der gesamten Natur, als eines Tiers, kann nur sofern (zum Behuf einer Hypo328 these der Zweckmäßigkeit | im Großen der Natur) dürftiger Weise gebraucht werden, als sie uns an der Organisation derselben, im Kleinen, in der Erfahrung offenbart wird, keinesweges aber a priori ihrer Möglichkeit3 nach eingesehen werden. Es muß also ein Zirkel im Erklären begangen werden, wenn man die Zweckmäßigkeit der Natur an organisierten Wesen aus dem Leben der Materie ableiten will, und dieses Leben wiederum 395 nicht anders als in4 organisierten Wesen kennt, also ohne || dergleichen Erfahrung sich keinen Begriff von der Möglichkeit derselben machen kann. Der Hylozoism leistet also das nicht, was er verspricht. Der T h e i s m kann endlich die Möglichkeit der Naturzwecke als einen Schlüssel zur Teleologie eben so wenig dogmatisch begründen; ob er zwar vor allen Erklärungsgründen derselben darin den Vorzug hat, daß er durch einen Verstand, den er dem Urwesen beilegt, die Zweckmäßigkeit der Natur dem 327

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Da ciò si vede bene che Spinoza, riconducendo i nostri 327 concetti di ciò che c’è di conforme al fine nella natura alla coscienza di noi stessi in un essere onnicomprensivo (ma al contempo semplice), e cercando quella forma semplicemente nell’unità di tale essere, doveva avere l’intenzione di affermare non il realismo, bensì semplicemente l’idealismo della conformità della natura al fine, ma non poté tuttavia realizzare la sua intenzione, perché la semplice rappresentazione dell’unità del sostrato non può produrre nemmeno l’idea di una conformità al fine anche solo inintenzionale. 2) Coloro che non soltanto affermano il r e a l i s m o dei fini naturali, ma pensano anche di spiegarlo, credono di poter scorgere, almeno secondo la sua possibilità, una particolare specie di causalità, cioè quella di cause che agiscono intenzionalmente; altrimenti non potrebbero intraprendere una prova della sua spiegazione. Infatti, per autorizzare anche l’ipotesi più azzardata, deve essere c e r t a almeno la p o s s i b i l i t à di ciò che si assume come fondamento e si deve poter assicurare al suo concetto una sua realtà oggettiva. Ma la possibilità di una materia vivente (il cui concetto contiene una contraddizione, perché l’assenza di vita, inertia, costituisce il carattere essenziale della materia) non è nemmeno pensabile; la possibilità di una materia animata e dell’intera natura come un animale può essere utilizzata in caso di bisogno (in funzione di un’ipotesi della conformità della natura al fine considerata in grande) solo per quanto essa ci si 328 manifesta nell’esperienza, in piccolo, nella sua organizzazione; però non la si può affatto scorgere a priori secondo la sua possibilità. Si deve allora essere caduti in un circolo nella spiegazione, se si vuole dedurre la conformità della natura al fine negli esseri organizzati dalla vita della materia, mentre a sua volta non si conosce questa vita se non negli esseri organizzati, e senza l’esperienza dei quali non ci si può dunque 395 fare alcun concetto della loro possibilità. L’ilozoismo non realizza pertanto ciò che promette. Infine, il t e i s m o può altrettanto poco fondare dogmaticamente la possibilità dei fini naturali come una chiave per la teleologia sebbene, rispetto a tutti i principi di spiegazione di tali fini, esso abbia certamente il vantaggio, attribuendo un intelletto all’essere originario, di sottrarre nel modo migliore

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

Idealism am besten entreißt, und eine absichtliche Kausalität für die Erzeugung derselben einführt. Denn da müßte allererst, für die bestimmende Urteilskraft hinreichend, die Unmöglichkeit der Zweckeinheit in der Materie durch den bloßen Mechanism derselben bewiesen werden, um berechtigt zu sein, den Grund derselben über die Natur hinaus auf bestimmte Weise zu setzen. Wir können aber nichts weiter herausbringen, als daß nach der Beschaffenheit und den Schranken unserer Erkenntnisvermögen (indem wir den ersten 329 inneren | Grund selbst dieses Mechanisms nicht einsehen) wir auf keinerlei Weise in der Materie ein Prinzip bestimmter Zweckbeziehungen suchen müssen, sondern für uns keine andere Beurteilungsart der Erzeugung ihrer Produkte, als Naturzwecke, übrig bleibe, als die durch einen obersten Verstand als Weltursache. Das ist aber nur ein Grund für die reflektierende, nicht für die bestimmende Urteilskraft, und kann schlechterdings zu keiner objektiven Behauptung berechtigen.

§ 74 Die Ursache der Unmöglichkeit, den Begriff einer Technik der Natur dogmatisch zu behandeln, ist die Unerklärlichkeit eines Naturzwecks Wir verfahren mit einem Begriffe (wenn er gleich empirisch bedingt sein sollte) dogmatisch, wenn wir ihn als unter einem anderen Begriffe des Objekts, der ein Prinzip der Vernunft ausmacht, enthalten betrachten, und ihn diesem gemäß bestimmen. Wir verfahren aber mit ihm bloß kritisch, wenn wir ihn nur in Beziehung auf unser Erkenntnisvermögen, mithin auf die subjektiven Bedingungen, ihn zu denken, betrachten, ohne es zu unternehmen, über sein Objekt etwas zu entscheiden. Das dogmatische Verfahren mit einem Begriffe ist also dasjenige, welches1 für die bestimmende, das kritische das, welches bloß2 für die reflektierende Urteilskraft gesetzmäßig ist. | || 330 Nun ist der Begriff von einem Dinge als Naturzwecke ein 396 Begriff, der die Natur unter eine Kausalität, die nur durch Vernunft denkbar ist, subsumiert, um nach diesem Prinzip über

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la conformità della natura al fine all’idealismo, e di introdurre una causalità intenzionale per la sua generazione. Infatti, per essere autorizzati a porre il fondamento dell’unità di un fine in modo determinato, al di là della natura, dovrebbe prima di tutto essere dimostrata in modo sufficiente per la forza determinante di giudizio l’impossibilità dell’unità di un fine nella materia mediante il suo semplice meccanismo. Non possiamo però cavarne altro che questo: secondo la costituzione e i limiti delle nostre facoltà conoscitive (dato che non scorgiamo nemmeno il primo fondamento interno di 329 questo meccanismo), non dobbiamo in alcun modo cercare nella materia un principio di riferimenti finali determinati, bensì non ci resta alcun altro modo di valutare la generazione dei suoi prodotti, in quanto fini naturali, che quello mediante un intelletto supremo come causa del mondo. Ma questo è solo un principio per la forza riflettente di giudizio, non per quella determinante, e non può affatto autorizzare alcuna affermazione oggettiva.

§ 74 LA CAUSA DELL’IMPOSSIBILITÀ DI TRATTARE DOGMATICAMENTE IL CONCETTO DI UNA TECNICA DELLA NATURA È L’INESPLICABILITÀ DI UN FINE NATURALE

Procediamo dogmaticamente con un concetto (anche se dovesse essere condizionato empiricamente) quando lo consideriamo come contenuto sotto un altro concetto dell’oggetto che costituisce un principio della ragione e lo determiniamo in conformità a questo. Al contrario, procediamo con un concetto in modo squisitamente critico quando lo consideriamo soltanto in riferimento alla nostra facoltà conoscitiva, quindi alle condizioni soggettive per pensarlo, senza impegnarci a decidere qualcosa sul suo oggetto. Il procedimento dogmatico con un concetto è dunque quello conforme alla legge per la forza determinante di giudizio; il procedimento critico è quello conforme alla legge semplicemente per la forza riflettente di giudizio. Ora, il concetto di una cosa come fine naturale è un con- 330 396 cetto che sussume la natura sotto una causalità pensabile solamente mediante la ragione, per giudicare secondo questo

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das, was vom Objekte in der Erfahrung gegeben ist, zu urteilen. Um ihn aber dogmatisch für die bestimmende Urteilskraft zu gebrauchen, müßten3 wir der objektiven Realität dieses Begriffs zuvor versichert sein, weil wir sonst kein Naturding unter ihm subsumieren könnten. Der Begriff eines Dinges als Naturzwecks ist aber zwar ein empirisch bedingter, d. i. nur unter gewissen in der Erfahrung gegebenen Bedingungen möglicher, aber doch von derselben nicht zu abstrahierender, sondern nur nach einem Vernunftprinzip in der Beurteilung des Gegenstandes möglicher Begriff. Er kann also als ein solches Prinzip seiner objektiven Realität nach (d. i. daß ihm gemäß ein Objekt möglich sei) gar nicht eingesehen und dogmatisch begründet werden; und wir wissen nicht, ob er bloß4 ein vernünftelnder und objektiv leerer (conceptus ratiocinans), oder ein Vernunftbegriff, ein Erkenntnis gründender, von der Vernunft bestätigter (conceptus ratiocinatus) sei. Also kann er nicht dogmatisch für die bestimmende Urteilskraft behandelt werden: d. i. es kann nicht allein nicht ausgemacht werden, ob Dinge der Natur, als Naturzwecke betrachtet, für ihre Erzeugung eine Kausalität von ganz besonderer Art (die nach Absichten) erfordern, 331 oder nicht; sondern es kann auch nicht einmal darnach5 | gefragt werden, weil der Begriff eines Naturzwecks seiner objektiven Realität nach durch die Vernunft gar nicht erweislich ist (d. i. er ist nicht für die bestimmende Urteilskraft konstitutiv, sondern für die reflektierende bloß regulativ). Daß er es aber nicht sei, ist daraus klar, weil er, als Begriff von einem N a t u r p r o d u k t , Naturnotwendigkeit und doch zugleich eine Zufälligkeit der Form des Objekts (in Beziehung auf bloße Gesetze der Natur) an eben demselben Dinge als Zweck in sich faßt; folglich, wenn hierin kein Widerspruch sein soll, einen Grund für die Möglichkeit des Dinges in der Natur, und doch auch einen Grund der Möglichkeit dieser Natur selbst und ihrer Beziehung auf etwas, das nicht6 empirisch erkennbare Natur (übersinnlich), mithin für uns gar nicht erkennbar ist, enthalten muß, um nach einer andern Art Kausalität als

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principio su ciò che è dato dell’oggetto nell’esperienza. Ma, per poterlo utilizzare dogmaticamente per la forza di giudizio determinante, dovremmo assicurarci prima della realtà oggettiva di questo concetto, perché altrimenti non potremmo sussumere sotto esso alcuna cosa della natura. Il concetto di una cosa come fine naturale è però certamente condizionato empiricamente, cioè è possibile soltanto sotto certe condizioni date nell’esperienza, da cui tuttavia non è possibile astrarlo, bensì solo nella valutazione dell’oggetto è possibile un concetto secondo un principio della ragione. Dunque, esso non può affatto, essendo un principio razionale, essere scorto né fondato dogmaticamente secondo la sua realtà oggettiva (cioè in modo che un oggetto sia possibile in conformità a esso), e non sappiamo se sia soltanto un concetto raziocinante e oggettivamente vuoto (conceptus ratiocinans) oppure un concetto razionale, che fonda una conoscenza ed è confermato dalla ragione (conceptus ratiocinatus). Pertanto esso non può essere trattato dogmaticamente per la forza determinante di giudizio, cioè non soltanto non si può stabilire se cose della natura, considerate come fini naturali, richiedano oppure no per la loro generazione una causalità di un tipo del tutto particolare (quella che opera secondo intenzioni); ma non si può nemmeno porre tale questione perché il concetto di un fine 331 naturale, quanto alla sua realtà oggettiva, non è affatto comprovabile mediante la ragione (in altre parole, non è costitutivo per la forza determinante di giudizio, ma è solo regolativo per quella riflettente). E che non sia dimostrabile lo si vede però chiaramente per il fatto che esso, in quanto concetto di un p r o d o t t o n a t u r a l e , comprende in sé, proprio nella stessa cosa considerata come fine, la necessità della natura e tuttavia allo stesso tempo una contingenza della forma dell’oggetto (in riferimento a semplici leggi della natura); di conseguenza, se in questo caso non deve esserci alcuna contraddizione, deve contenere un fondamento per la possibilità della cosa nella natura, ma anche un fondamento della possibilità di questa stessa natura e del suo riferimento a qualcosa che è natura non conoscibile empiricamente (soprasensibile), e dunque per noi è assolutamente non conoscibile: tutto questo per essere valutato secondo una specie di causalità diversa da quel-

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der des Naturmechanisms beurteilt zu werden, wenn man seine Möglichkeit ausmachen will. Da also der Begriff eines Dinges, als Naturzwecks, f ü r d i e b e s t i m m e n d e U r t e i l s k r a f t überschwenglich ist, wenn man das Objekt durch die Vernunft betrachtet (ob er zwar für die reflektierende Urteilskraft in 397 An||sehung der Gegenstände der Erfahrung immanent sein mag), mithin ihm für bestimmende Urteile die objektive Realität nicht verschafft werden kann: so ist hieraus begreiflich, wie alle 332 Systeme, die man für die dog|matische Behandlung des Begriffs der Naturzwecke und der Natur, als eines durch Endursachen zusammenhängenden Ganzen, nur7 immer entwerfen mag, weder objektiv bejahend, noch objektiv verneinend, irgend etwas entscheiden können; weil, wenn Dinge unter einem Begriffe, der bloß problematisch ist, subsumiert werden, die synthetischen Prädikate desselben (z. B. hier: ob der Zweck der Natur, den wir uns zu der Erzeugung der Dinge denken, absichtlich oder unabsichtlich sei8) eben solche (problematische) Urteile, sie mögen nun bejahend oder verneinend sein, vom Objekt abgeben müssen, indem man nicht weiß, ob man über etwas oder nichts urteilt. Der Begriff einer Kausalität durch Zwecke (der Kunst) hat allerdings objektive Realität, der einer Kausalität nach dem Mechanism der Natur eben sowohl9. Aber der Begriff einer Kausalität der Natur nach der Regel der Zwecke, noch mehr aber eines Wesens, dergleichen uns gar nicht in der Erfahrung gegeben werden kann, nämlich eines solchen, als Urgrundes der Natur,10 kann zwar ohne Widerspruch gedacht werden, aber zu dogmatischen Bestimmungen doch nicht taugen; weil ihm, da er nicht aus der Erfahrung gezogen werden kann, auch zur Möglichkeit derselben nicht erforderlich ist, seine objektive Realität durch nichts gesichert werden kann. Geschähe dieses aber auch: wie kann ich Dinge, die für Produkte göttlicher Kunst bestimmt angegeben werden, noch unter Pro333 dukte der Natur zählen, deren | Unfähigkeit, dergleichen nach ihren Gesetzen hervorzubringen, eben die Berufung auf eine von ihr unterschiedene Ursache notwendig machte?

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la del meccanismo naturale, quando si vuole stabilire la sua possibilità. Poiché quindi il concetto di una cosa in quanto fine naturale è trascendente p e r l a f o r z a d e t e r m i n a n t e d i g i u d i z i o , quando si considera l’oggetto mediante la ragione (per quanto esso possa certamente essere immanente per la forza riflettente di giudizio riguardo agli oggetti dell’e- 397 sperienza), e siccome di conseguenza non si può procurargli realtà oggettiva per i giudizi determinanti, allora da ciò si comprende come tutti i sistemi che si possano progettare per trattare dogmaticamente il concetto dei fini naturali e la natu- 332 ra come un tutto coerentemente connesso mediante cause finali non possano mai decidere alcunché, né affermando oggettivamente né negando oggettivamente; infatti, quando le cose sono sussunte sotto un concetto che è solo problematico, i suoi predicati sintetici (per esempio qui sapere se il fine della natura, a cui pensiamo per la generazione delle cose, sia intenzionale o inintenzionale) devono emettere sull’oggetto proprio giudizi di questo stesso tipo (problematici), siano essi affermativi o negativi, in quanto non si sa se si giudica su qualcosa o su niente. Il concetto di una casualità mediante fini (l’arte) ha certamente una realtà oggettiva, come pure ce l’ha quello di una causalità secondo il meccanismo della natura. Ma il concetto di una causalità della natura secondo la regola dei fini, ma ancor di più il concetto di un essere tale che non ci può essere assolutamente dato nulla di simile nell’esperienza, cioè un essere che sia fondamento originario della natura, può essere certamente pensato senza contraddizione, però non può avere alcuna utilità per determinazioni dogmatiche: infatti, nella misura in cui esso non può essere tratto dall’esperienza né è richiesto per la sua possibilità, non c’è nulla che possa assicurare la sua realtà oggettiva. Ma anche se ciò accadesse, come potrei ancora annoverare tra i prodotti della natura cose che sono precisamente fatte passare quali prodotti dell’arte divina, se proprio l’incapacità della 333 natura a fabbricare simili prodotti secondo le sue leggi rendeva necessario il ricorso a una causa differente da questa?

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§ 75 Der Begriff einer objektiven Zweckmässigkeit der Natur ist ein kritisches Prinzip der Vernunft für die reflektierende Urteilskraft Es ist doch etwas ganz anderes, ob ich sage: die Erzeugung gewisser Dinge der Natur, oder auch der gesamten Natur, ist nur durch eine Ursache, die sich nach Absichten zum Handeln bestimmt, möglich; oder: ich kann n a c h d e r e i g e n t ü m l i chen Beschaffenheit meiner Erkenntnisvermö398 g e n über die Möglichkeit jener Dinge und ihre || Erzeugung nicht anders urteilen, als wenn ich mir zu dieser eine Ursache, die nach Absichten wirkt, mithin ein Wesen denke, welches, nach der Analogie mit der Kausalität eines Verstandes, produktiv ist. Im ersteren Falle will ich etwas über das Objekt ausmachen, und bin verbunden, die objektive Realität eines angenommenen Begriffs darzutun; im zweiten bestimmt die Vernunft nur den Gebrauch meiner Erkenntnisvermögen, angemessen ihrer Eigentümlichkeit, und den wesentlichen Bedingungen, ihres Umfanges sowohl, als ihrer Schranken. Also ist das erste Prinzip ein o b j e k t i v e r Grundsatz für die bestimmende, das zweite 334 ein subjektiver Grundsatz bloß für die reflektier|ende Urteilskraft, mithin eine Maxime derselben, die ihr die Vernunft auferlegt. Wir haben nämlich unentbehrlich nötig, der Natur den Begriff einer Absicht unterzulegen, wenn wir ihr auch nur in ihren organisierten Produkten durch fortgesetzte Beobachtung nachforschen wollen; und dieser Begriff ist also schon für den Erfahrungsgebrauch unserer Vernunft eine schlechterdings notwendige Maxime. Es ist offenbar: daß, da einmal ein solcher Leitfaden, die Natur zu studieren, aufgenommen und bewährt gefunden ist, wir die gedachte Maxime der Urteilskraft auch am Ganzen der Natur wenigstens versuchen müssen, weil sich nach derselben noch manche Gesetze derselben dürften auffinden lassen, die uns, nach der Beschränkung unserer Einsichten in das Innere des Mechanisms derselben, sonst verborgen bleiben würden. Aber in Ansehung des letztern Gebrauchs ist jene Maxime der Urteilskraft zwar nützlich, aber nicht unentbehrlich, weil uns die Natur im Ganzen als organisiert (in der oben

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§ 75 IL CONCETTO DI UNA CONFORMITÀ OGGETTIVA DELLA NATURA AL FINE È UN PRINCIPIO CRITICO DELLA RAGIONE PER LA FORZA RIFLETTENTE DI GIUDIZIO

È tuttavia una cosa completamente diversa se dico: la generazione di certe cose della natura, o anche della natura nel suo complesso, è possibile soltanto mediante una causa che si determina ad agire secondo intenzioni; oppure se dico: secondo la peculiare costituzione delle mie f a c o l t à c o n o s c i t i v e , io non posso giudicare altrimenti sulla possibilità di quelle cose e sulla loro generazione se non 398 pensando, per essa, a una causa che agisce secondo intenzioni, e dunque a un essere che è in grado di produrre in analogia con la causalità di un intelletto. Nel primo caso voglio stabilire qualcosa sull’oggetto e sono tenuto a comprovare la realtà oggettiva di un concetto che ho assunto; nel secondo caso la ragione determina solo l’uso delle mie facoltà conoscitive in un modo adeguato alla loro peculiarità e alle condizioni essenziali della loro estensione come pure dei loro limiti. Pertanto il primo principio è un principio o g g e t t i v o per la forza determinante di giudizio, il secondo è un principio soggettivo solo per la forza riflettente di giudizio, dunque una 334 sua massima che la ragione le impone. Infatti ci è assolutamente indispensabile porre alla base della natura il concetto di un’intenzione, se vogliamo indagarla anche solo nei suoi prodotti organizzati mediante un’osservazione assidua; e questo concetto è dunque già una massima assolutamente necessaria per l’uso empirico della nostra ragione. È evidente che una volta che si è assunto e si è trovato confermato un tale filo conduttore per studiare la natura, dobbiamo almeno provare ad applicare la massima pensata per la forza di giudizio anche alla totalità della natura, perché seguendo tale massima si dovrebbero poter trovare ancora certe leggi della natura che altrimenti ci resterebbero nascoste a causa della limitatezza che caratterizza la nostra visione rivolta all’interno del meccanismo della natura. Ma riguardo a quest’ultimo uso quella massima della forza di giudizio è certamente utile, però non indispensabile, perché la natura

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angeführten engsten Bedeutung des Worts) nicht gegeben ist. Hingegen1 in Ansehung der Produkte derselben, welche nur als absichtlich so und nicht anders geformt müssen beurteilt werden, um auch nur eine Erfahrungserkenntnis ihrer innern Beschaffenheit zu bekommen, ist jene Maxime der reflektierenden Urteilskraft wesentlich notwendig: weil selbst der Gedanke von 335 ihnen, als organisierten Dingen, ohne den Gedan|ken einer Erzeugung2 mit Absicht damit zu verbinden, unmöglich ist. Nun ist der Begriff eines Dinges, dessen Existenz oder Form wir uns unter der Bedingung eines Zwecks als möglich vorstellen3, mit dem Begriffe einer Zufälligkeit desselben (nach Naturgesetzen) unzertrennlich verbunden. Daher machen auch die Naturdinge, welche wir nur als Zwecke möglich finden, den vornehmsten Beweis für die Zufälligkeit des Weltganzen aus, 399 und sind der einzige für den gemeinen Verstand eben || sowohl als den Philosophen geltende Beweisgrund der Abhängigkeit und des4 Ursprungs desselben von einem außer der Welt existierenden, und zwar (um jener zweckmäßigen Form willen) verständigen, Wesens: daß also die Teleologie keine Vollendung des Aufschlusses für ihre Nachforschungen, als in einer Theologie, findet5. Was beweiset nun aber am Ende auch die allervollständigste Teleologie? Beweiset sie etwa, daß ein solches verständiges Wesen da sei? Nein; nichts weiter, als daß wir nach Beschaf-fenheit6 unserer Erkenntnisvermögen, also in Verbindung der Erfahrung mit den obersten Prinzipien der Vernunft, uns schlechterdings keinen Begriff von der Möglichkeit einer solchen Welt machen können, als so, daß wir uns eine a b s i c h t l i c h - w i r k e n d e oberste Ursache derselben denken. Objektiv können wir also nicht den Satz dartun: es ist ein verständiges Urwesen; sondern nur subjektiv für den Gebrauch unserer | 336 Urteilskraft in ihrer Reflexion über die Zwecke in der Natur, die nach keinem anderen Prinzip als dem einer absichtlichen Kausalität einer höchsten Ursache gedacht werden können. Wollten wir den obersten Satz dogmatisch, aus teleologischen Gründen, dartun: so würden wir von Schwierigkeiten7 befangen werden, aus denen wir uns nicht herauswickeln könnten. Denn da würde diesen Schlüssen der Satz zum Grunde ge-

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non ci è data nella sua totalità come organizzata (nel significato più stretto della parola sopra indicato). Al contrario, riguardo ai prodotti della natura, che devono essere valutati soltanto come formati intenzionalmente in un certo modo e non in un altro, anche soltanto per ottenere una conoscenza d’esperienza della loro costituzione interna quella massima della forza riflettente di giudizio è essenzialmente necessaria, perché anche il pensiero di questi prodotti, in quanto cose organizzate, è impossibile se non vi si collega il pensiero di 335 una loro generazione intenzionale. Ora, il concetto di una cosa di cui ci rappresentiamo l’esistenza o la forma come possibile sotto la condizione di un fine è inscindibilmente collegato con il concetto di una contingenza di questa cosa (secondo le leggi della natura). Per tale motivo anche le cose della natura che troviamo possibili soltanto quali fini costituiscono la prova più raffinata della contingenza del mondo come un tutto e sono, sia per l’intelletto comune sia per il filosofo, l’unico argomento valido del 399 fatto che esso dipenda e tragga origine da un essere esistente fuori dal mondo e certamente (per via di quella forma finalistica) intelligente: la teleologia non trova dunque alcun compimento risolutivo per le sue indagini se non in una teologia. Ma, alla fine, anche la teleologia più completa di tutte che cosa prova? Prova forse che un tale essere intelligente esiste? No; non prova altro che noi, in virtù della costituzione delle nostre facoltà conoscitive, dunque nel collegamento dell’esperienza con i supremi principi della ragione, non possiamo farci assolutamente alcun concetto della possibilità di un tale mondo se non pensando una causa suprema di questo mondo c h e a g i s c a i n t e n z i o n a l m e n t e . Oggettivamente non possiamo dunque comprovare la seguente proposizione: esiste un essere originario intelligente; ma possiamo farlo soltanto soggettivamente per l’uso della nostra forza di giudizio 336 nella sua riflessione sui fini nella natura, che non possono essere pensati secondo alcun altro principio eccetto quello di una causalità intenzionale di una causa suprema. Se noi volessimo comprovare dogmaticamente la prima proposizione, a partire da fondamenti teleologici, ci impiglieremmo in difficoltà dalle quali non potremmo districarci. Infatti in tal caso dovrebbe essere posta a fondamento di que-

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legt werden müssen: die organisierten Wesen in der Welt sind nicht anders, als durch eine absichtlich-wirkende Ursache möglich. Daß aber, weil wir diese Dinge nur unter der Idee der Zwecke in ihrer Kausalverbindung verfolgen und diese nach ihrer Gesetzmäßigkeit erkennen können, wir auch berechtigt wären, eben dieses auch für jedes denkende und erkennende Wesen, als notwendige, mithin dem Objekte und nicht bloß unserm Subjekte anhängende Bedingung, vorauszusetzen: das müßten wir hiebei unvermeidlich behaupten wollen. Aber mit einer solchen Behauptung kommen wir nicht durch. Denn, da wir die Zwecke in der Natur als absichtliche eigentlich nicht b e o b a c h t e n , sondern nur, in der Reflexion über ihre Produkte, diesen Begriff als einen Leitfaden der Urteilskraft hinzu d e n k e n : so sind sie uns nicht durch das Objekt gegeben. A priori ist es sogar für uns unmöglich, einen solchen Begriff, seiner objektiven Realität nach, als annehmungsfähig zu rechtferti337 gen. Es bleibt also schlechter|dings ein nur auf subjektiven Bedingungen, nämlich der unseren Erkenntnisvermögen angemessen reflektierenden Urteilskraft, beruhender Satz, der, wenn man ihn als objektiv-dogmatisch geltend ausdrückte, heißen 400 würde: Es ist ein Gott; nun aber, für || uns Menschen8, nur die eingeschränkte Formel erlaubt: Wir können uns die Zweckmäßigkeit, die selbst unserer Erkenntnis der inneren Möglichkeit vieler Naturdinge zum Grunde gelegt werden muß, gar nicht anders denken und begreiflich machen, als indem wir sie und überhaupt die Welt uns als ein Produkt einer verständigen Ursache (eines Gottes)9 vorstellen. Wenn nun dieser auf einer unumgänglich notwendigen Maxime unserer Urteilskraft gegründete Satz allem sowohl spekulativen als praktischen Gebrauche unserer Vernunft in jeder m e n s c h l i c h e n Absicht vollkommen genugtuend ist: so möchte ich wohl wissen, was uns dann darunter abgehe, daß wir ihn nicht auch für höhere Wesen gültig, nämlich aus reinen objektiven Gründen (die leider unser Vermögen übersteigen) beweisen können. Es ist nämlich ganz gewiß, daß wir die organisierten Wesen und deren innere Möglichkeit nach bloß mechanischen Prinzipien der Natur nicht einmal zureichend

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ste inferenze la proposizione: gli esseri organizzati nel mondo non sono possibili altrimenti se non per una causa che opera in modo intenzionale. Ma, così facendo, allora dovremmo inevitabilmente voler affermare: poiché è unicamente sotto l’idea dei fini che possiamo indagare queste cose nel loro collegamento causale e conoscere questo collegamento secondo la sua conformità alla legge, saremmo pure autorizzati a presupporre proprio lo stesso anche per ogni essere pensante e conoscente come condizione necessaria, e quindi inerente all’oggetto e non soltanto al nostro soggetto. Tuttavia con una tale affermazione non otteniamo nulla. Infatti, poiché noi non o s s e r v i a m o propriamente i fini della natura come fini intenzionali, ma è solo nella riflessione sui prodotti della natura che noi aggiungiamo c o n i l p e n s i e r o questo concetto come un filo conduttore della forza di giudizio, i fini non ci sono dati dall’oggetto. Per noi è pure impossibile a priori giustificare un simile concetto come ammissibile secondo la sua realtà oggettiva. Resta dunque assolutamente una 337 proposizione che si basa soltanto sulle condizioni soggettive, cioè quelle della forza riflettente di giudizio, adeguata alle nostre facoltà conoscitive, una proposizione che, se la si esprimesse come provvista di una validità oggettivo-dogmatica, si enuncerebbe così: c’è un Dio; ma ora, a noi uomini è 400 consentita solo la formulazione limitata: noi non possiamo proprio pensare la conformità al fine che pure deve essere posta a fondamento della nostra conoscenza della possibilità interna di molte cose della natura e rendercela comprensibile se non rappresentandoci queste cose, e il mondo in generale, come un prodotto di una causa intelligente (di un Dio). Se ora però questa proposizione fondata su una massima inevitabilmente necessaria della nostra forza di giudizio soddisfa pienamente ogni uso sia speculativo sia pratico della nostra ragione in ogni intenzione u m a n a , allora vorrei proprio sapere che cosa perdiamo per il fatto di non poter provare che essa è valida anche per esseri superiori, cioè di non poterla provare a partire da principi puri oggettivi (che purtroppo superano la nostra facoltà). È infatti del tutto certo che noi non possiamo nemmeno imparare a conoscere in modo sufficiente gli esseri organizzati e la loro possibilità interna secondo principi semplicemente meccanici della natura,

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kennen lernen, viel weniger uns erklären können; und zwar so gewiß, daß man dreist sagen kann, es ist für Menschen unge338 reimt, auch nur einen solchen | Anschlag zu fassen, oder zu hoffen, daß noch etwa dereinst ein Newton aufstehen könne, der auch nur die Erzeugung eines Grashalms nach Naturgesetzen, die keine Absicht geordnet hat, begreiflich machen werde: sondern man muß diese Einsicht den Menschen schlechterdings absprechen. Daß dann aber auch in der Natur, wenn wir bis zum Prinzip derselben in der Spezifikation ihrer allgemeinen uns bekannten Gesetze durchdringen könnten, ein hinreichender Grund der Möglichkeit organisierter Wesen, ohne ihrer Erzeugung eine Absicht unterzulegen (also im bloßen Mechanism derselben), gar nicht verborgen liegen k ö n n e , das wäre wiederum von uns zu vermessen geurteilt; denn woher wollen wir das wissen? Wahrscheinlichkeiten fallen hier gar10 weg, wo es auf Urteile der reinen Vernunft ankommt. — Also können wir über den Satz: ob ein nach Absichten handelndes Wesen als Weltursache (mithin als Urheber) dem, was wir mit Recht Naturzwecke nennen, zum Grunde liege, objektiv gar nicht, weder bejahend noch verneinend, urteilen; nur so viel ist sicher, daß, wenn wir doch wenigstens nach dem, was uns einzusehen durch unsere eigene Natur vergönnt ist (nach den Bedingungen und Schranken unserer Vernunft), urteilen sollen, wir schlechterdings nichts anders als ein verständiges Wesen der Möglichkeit jener Naturzwecke zum Grunde legen können: welches der Maxime unserer reflektierenden Urteilskraft, folglich einem 339 sub jektiven, aber dem menschlichen Geschlecht unnachlaß| || 401 lich anhängenden, Grunde allein gemäß ist.

§ 76 Anmerkung Diese Betrachtung, welche es gar sehr verdient, in der Transzendentalphilosophie umständlich ausgeführt zu werden, mag hier nur episodisch, zur Erläuterung (nicht zum Beweise des hier Vorgetragenen), eintreten.

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e tanto meno possiamo spiegarceli; questo è invero talmente certo da potersi dire, senza mezzi termini, che è assurdo per gli uomini anche soltanto concepire un tale progetto, o spera- 338 re che un giorno magari possa poi nascere un Newton che renderà comprensibile anche solo la generazione di un filo d’erba secondo leggi naturali che nessuna intenzione ha ordinato; al contrario bisogna assolutamente rifiutare questo discernimento agli uomini. Ma anche che nella natura, posto che noi potessimo penetrare fino al suo principio nella specificazione delle sue leggi universali a noi note, non p o s s a affatto trovarsi nascosto un principio sufficiente della possibilità di esseri organizzati senza che si debba presupporre un’intenzione alla base della loro generazione (dunque nel semplice meccanismo della natura), giudicare così sarebbe di nuovo da parte nostra troppo temerario: infatti come faremmo a saperlo? Qui, dove si tratta di giudizi della ragione pura, le verosimiglianze non contano. — Dunque sulla proposizione che chiede se un essere che agisce secondo intenzioni in quanto causa del mondo (di conseguenza in quanto suo autore) si trovi a fondamento di ciò che nominiamo a buon diritto fini naturali, noi non possiamo affatto giudicare in modo oggettivo, né per affermare né per negare; di sicuro c’è però solo questo: che, se dobbiamo comunque giudicare almeno secondo ciò che ci è permesso di scorgere mediante la nostra propria natura (secondo le condizioni e i limiti della nostra ragione), non possiamo assolutamente porre a fondamento della possibilità di quei fini naturali nient’altro che un essere intelligente: cosa, questa, che sola è conforme alla massima della nostra forza riflettente di giudizio, di conseguenza a un fondamento soggettivo ma indissolubilmente inerente al 339 401 genere umano.

§ 76 NOTA Questa considerazione, che meriterebbe davvero di essere svolta dettagliatamente nella filosofia trascendentale, può qui intervenire solo in modo episodico come illustrazione (e non quale prova di quanto esposto fin qui).

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Die Vernunft ist ein Vermögen der Prinzipien, und geht in ihrer äußersten Forderung auf das Unbedingte; da hingegen der Verstand ihr immer nur unter einer gewissen Bedingung, die gegeben werden muß, zu Diensten steht. Ohne Begriffe des Verstandes aber, welchen1 objektive Realität gegeben werden muß, kann die Vernunft gar nicht objektiv (synthetisch) urteilen, und enthält, als theoretische Vernunft, für sich schlechterdings keine konstitutive, sondern bloß regulative Prinzipien. Man wird bald inne: daß, wo der Verstand nicht folgen kann, die Vernunft überschwenglich wird, und in zwar gegründeten2 Ideen (als regulativen Prinzipien), aber nicht objektiv gültigen Begriffen sich hervortut; der Verstand aber, der mit ihr nicht Schritt halten kann, aber doch zur Gültigkeit für Objekte nötig sein würde, die Gültigkeit jener Ideen der Vernunft, nur auf das Subjekt, aber doch allgemein für alle von dieser Gattung, d. i. auf die Bedingung einschränke, daß nach der Natur unseres (menschlichen) Erkenntnisvermögens oder gar überhaupt nach dem Begriffe, d e n w i r u n s von dem Vermögen eines endlichen vernünftigen Wesens überhaupt m a c h e n können, nicht anders als so könne und müsse gedacht werden: ohne doch zu 340 behaupten, daß der Grund eines sol|chen Urteils im Objekte liege3. Wir wollen Beispiele anführen, die zwar zu viel Wichtigkeit und auch Schwierigkeit4 haben, um sie hier so fort als erwiesene Sätze dem Leser aufzudringen, die ihm aber Stoff zum Nachdenken geben, und dem, was hier unser eigentümliches Geschäft ist, zur Erläuterung dienen können. Es ist dem menschlichen Verstande unumgänglich notwendig, Möglichkeit und Wirklichkeit der Dinge zu unterscheiden. Der Grund davon liegt im Subjekte und der Natur seiner Erkenntnisvermögen. Denn, wären zu dieser ihrer Ausübung nicht zwei ganz heterogene Stücke, Verstand für Begriffe, und sinnliche Anschauung für Objekte, die ihnen korrespondieren, 402 erforderlich: so würde es keine solche Unterscheidung || (zwischen dem Möglichen und Wirklichen) geben. Wäre nämlich unser Verstand anschauend, so hätte er keine Gegenstände als das Wirkliche. Begriffe (die bloß auf die Möglichkeit eines Gegenstandes gehen5), und sinnliche Anschauungen (welche uns etwas geben, ohne es dadurch doch als Gegenstand erkennen zu lassen), würden beide wegfallen. Nun beruht aber alle unsere Unterscheidung des bloß Möglichen vom Wirklichen

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La ragione è una facoltà dei principi e mira, nella sua esigenza estrema, all’incondizionato; l’intelletto, invece, sta al suo servizio sempre solo sotto una certa condizione, che deve essere data. Ma senza concetti dell’intelletto, ai quali deve essere fornita realtà oggettiva, la ragione non può affatto giudicare oggettivamente (sinteticamente) e, in quanto ragione teoretica, di per sé non contiene assolutamente principi costitutivi, bensì solo regolativi. Ci si accorge presto che, dove l’intelletto non può seguirla, la ragione diventa trascendente e si manifesta in idee che sono certamente fondate (come principi regolativi), ma non in concetti validi oggettivamente; l’intelletto però, che non può tenere il passo della ragione ma che sarebbe comunque necessario per conferire una validità agli oggetti, limita la validità di quelle idee della ragione solo al soggetto, ma ciò nonostante in modo universale per tutte le idee di questo genere, cioè la limita alla condizione che, secondo la natura della nostra (umana) facoltà conoscitiva, o addirittura in generale secondo il concetto c h e n o i c i possiamo f a r e della facoltà di un essere razionale finito in generale, non si possa né si debba pensare altrimenti se non così, senza tuttavia affermare che il fondamento di un tale giudizio 340 risieda nell’oggetto. Vogliamo portare degli esempi che hanno senz’altro troppa importanza e presentano troppa difficoltà per essere qui subito imposti al lettore come proposizioni dimostrate, ma che possono fornirgli materia per riflettere e servire a illustrare ciò che costituisce a questo punto il nostro compito peculiare. All’intelletto umano è inevitabilmente necessario distinguere possibilità e realtà delle cose. Il motivo di ciò si trova nel soggetto e nella natura delle sue facoltà conoscitive. Infatti, se per l’uso delle facoltà conoscitive non fossero richiesti due elementi del tutto eterogenei, l’intelletto per i concetti e l’intuizione sensibile per gli oggetti corrispondenti a tali concetti, non ci sarebbe alcuna distinzione di questo tipo (tra 402 il possibile e il reale). Di fatto, se il nostro intelletto fosse intuitivo, non avrebbe altri oggetti se non il reale. I concetti (che riguardano solo la possibilità di un oggetto) e le intuizioni sensibili (che ci danno qualcosa senza tuttavia per questo farlo conoscere come oggetto) sparirebbero entrambi. Ora, però, ogni nostra distinzione tra il semplicemente possibile e

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darauf, daß das erstere nur die Position der Vorstellung eines Dinges respektiv auf unsern Begriff und überhaupt das Vermögen zu denken, das letztere aber die Setzung des Dinges an sich selbst (außer diesem Begriffe)6 bedeutet. Also ist die Unterscheidung möglicher Dinge von wirklichen eine solche, die bloß subjektiv für den menschlichen Verstand gilt, da wir nämlich etwas immer noch in Gedanken haben können, ob es gleich nicht ist, oder etwas als gegeben uns vorstellen, ob wir gleich noch keinen Begriff davon haben. Die Sätze also: daß Dinge möglich sein können, ohne wirklich zu sein, daß also aus der bloßen Möglichkeit auf die Wirklichkeit gar nicht geschlos341 sen werden könne, | gelten ganz richtig für die menschliche Vernunft, ohne darum zu beweisen, daß dieser Unterschied in den Dingen selbst liege. Denn, daß dieses nicht daraus gefolgert werden könne, mithin jene Sätze zwar allerdings auch von Objekten gelten, so fern unser Erkenntnisvermögen, als sinnlich-bedingt, sich auch mit Objekten der Sinne beschäftigt, aber nicht von Dingen überhaupt: leuchtet aus der unablaßlichen7 Forderung der Vernunft ein, irgend ein Etwas (den Urgrund) als unbedingt notwendig existierend anzunehmen, an welchem Möglichkeit und Wirklichkeit gar nicht mehr unterschieden werden sollen, und für welche Idee unser Verstand schlechterdings keinen Begriff hat, d.i. keine Art ausfinden kann, wie er ein solches Ding und seine Art zu existieren sich vorstellen solle. Denn, wenn er es d e n k t (er mag es denken wie er will), so ist es bloß als möglich vorgestellt. Ist er sich dessen, als in der Anschauung gegeben bewußt, so ist es wirklich, ohne sich hiebei irgend etwas von Möglichkeit zu denken. Daher ist der Begriff eines absolutnotwendigen Wesens zwar eine unentbehrliche Vernunftidee, aber ein für den menschlichen Verstand unerreichbarer problematischer Begriff. Er gilt aber doch für den Gebrauch unserer Erkenntnisvermögen, nach der eigentümlichen Beschaffenheit derselben, mithin nicht vom Objekte und hiemit für jedes erkennende Wesen: weil ich nicht bei jedem das Denken und die Anschauung, als zwei verschiedene Bedingungen der Ausübung seiner8 Erkenntnisvermögen, mit403 hin der Möglichkeit und Wirklichkeit der Dinge, || voraussetzen kann. Für einen Verstand, bei dem dieser Unterschied nicht einträte, würde es heißen: alle Objekte, die ich erkenne, s i n d

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il reale si basa sul fatto che il primo significa soltanto la posizione della rappresentazione di una cosa rispettivamente al nostro concetto e in generale alla facoltà di pensare, mentre il secondo significa la posizione della cosa in se stessa (al di fuori di questo concetto). Così la distinzione tra cose possibili e cose reali è tale da valere solo soggettivamente per l’intelletto umano, dato che noi possiamo pur sempre pensare qualcosa benché non esista, o rappresentarci qualcosa come dato, per quanto non ne possediamo ancora alcun concetto. Così le proposizioni: «le cose possono essere possibili senza essere reali», e di conseguenza «non si può affatto dedurre dalla semplice possibilità la realtà», valgono del tutto giustamente 341 per la ragione umana, senza provare tuttavia che questa distinzione risiede nelle cose stesse. Infatti, che questa conclusione non si possa trarre, dunque che quelle proposizioni valgano in ogni caso certamente anche per gli oggetti nella misura in cui la nostra facoltà conoscitiva, in quanto è condizionata sensibilmente, si occupa anche degli oggetti dei sensi, ma non valgano per le cose in generale, ciò risulta evidente dall’indefettibile esigenza della ragione di assumere un qualcosa (un fondamento originario) come esistente in modo incondizionatamente necessario e nel quale possibilità e realtà non debbano proprio più essere distinte; idea per la quale il nostro intelletto non possiede assolutamente alcun concetto, cioè non può scoprire un modo in cui debba rappresentarsi una tale cosa e il suo modo di esistere. Infatti, se l’intelletto la p e n s a (può pensarla nel modo che vuole), tale cosa è rappresentata semplicemente come possibile. Se ne è consapevole come data nell’intuizione, allora essa è reale senza che così ne pensi qualcosa della possibilità. Dunque il concetto di un essere assolutamente necessario è sì un’idea indispensabile della ragione, ma è un concetto problematico, irraggiungibile per l’intelletto umano. Esso ha però un valore per l’uso delle nostre facoltà conoscitive, secondo la loro peculiare costituzione, tuttavia non riguardo all’oggetto e dunque non per ogni essere che conosce: infatti non posso presupporre in ogni essere il pensiero e l’intuizione come due diverse condizioni dell’esercizio delle sue facoltà conoscitive, di conseguenza della possibilità e della realtà delle cose. Per un intel- 403 letto in cui non intervenisse tale distinzione ciò significhereb-

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(existieren); und die Möglichkeit einiger, die doch nicht existierten, d. i. Zufälligkeit9 derselben wenn sie existieren, also auch die davon zu unterscheidende Notwendigkeit, würde in 342 die Vorstellung eines | solchen Wesens gar nicht kommen können. Was unserm Verstande aber so beschwerlich fällt, der Vernunft hier mit seinen Begriffen es gleich zu tun, ist bloß: daß für ihn, als menschlichen Verstand, dasjenige überschwenglich10 (d. i. den subjektiven Bedingungen seines Erkenntnisses11 unmöglich) ist, was doch die Vernunft als zum Objekt gehörig zum Prinzip macht. — Hierbei gilt nun immer die Maxime, daß wir alle Objekte, da wo ihr Erkenntnis das Vermögen des Verstandes übersteigt, nach den subjektiven, unserer (d. i. der menschlichen) Natur notwendig anhängenden, Bedingungen der Ausübung ihrer Vermögen denken; und, wenn die auf diese Art12 gefällten Urteile (wie es auch in Ansehung der überschwenglichen Begriffe nicht anders sein kann) nicht konstitutive Prinzipien, die das Objekt, wie es beschaffen ist, bestimmen, sein können, so werden es doch regulative, in der Ausübung immanente und sichere, der menschlichen Absicht angemessene, Prinzipien bleiben. So wie die Vernunft, in theoretischer Betrachtung der Natur, die Idee einer unbedingten Notwendigkeit ihres Urgrundes annehmen muß: so setzt sie auch, in praktischer, ihre eigene (in Ansehung der Natur) unbedingte Kausalität, d. i. Freiheit, voraus, indem sie sich ihres moralischen Gebots bewußt ist. Weil nun aber hier die objektive Notwendigkeit der Handlung, als Pflicht, derjenigen, die sie, als Begebenheit, haben würde, wenn ihr Grund in der Natur und nicht in der Freiheit (d. i. der13 Vernunftkausalität) läge, entgegengesetzt, und die moralischschlechthin-notwendige Handlung physisch als ganz zufällig angesehen wird (d. i. daß das, was notwendig geschehen s o l l t e , doch öfter nicht geschieht): so ist klar, daß es nur von der subjektiven Beschaffenheit unsers praktischen Vermögens herrührt, daß die moralischen Gesetze als Gebote (und die ihnen 343 gemäße | Handlungen als Pflichten) vorgestellt werden müssen, und die Vernunft diese Notwendigkeit nicht durch ein S e i n (Geschehen), sondern Sein-Sollen ausdrückt: welches nicht Statt finden würde, wenn die Vernunft ohne Sinnlichkeit (als

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be questo: «tutti gli oggetti che conosco s o n o (esistono)»; e la possibilità di alcuni oggetti che tuttavia non esistono, cioè la loro contingenza qualora esistano, e dunque anche la necessità che va distinta dalla contingenza, non potrebbero affatto entrare nella rappresentazione di un tale essere. Ma ciò 342 che rende così difficile al nostro intelletto eguagliare qui, con i propri concetti, la ragione è semplicemente il fatto che per esso, in quanto intelletto umano, è trascendente (cioè impossibile stando alle condizioni soggettive della sua conoscenza) ciò che la ragione costituisce invece come principio in quanto appartenente all’oggetto. — Ora, in tal caso, vale pertanto sempre la massima secondo cui tutti gli oggetti, la cui conoscenza supera la facoltà dell’intelletto, li pensiamo secondo le condizioni soggettive dell’esercizio delle facoltà necessariamente inerenti alla nostra natura (cioè quella umana); e se i giudizi dati in questo modo (come non può essere altrimenti anche riguardo ai concetti trascendenti) non possono essere principi costitutivi che determinano l’oggetto come è fatto, resteranno tuttavia principi regolativi, immanenti e sicuri nel loro esercizio, e adeguati all’intento umano. Così come la ragione, nella considerazione teoretica della natura, deve assumere l’idea di una necessità incondizionata del suo fondamento originario, allo stesso modo essa presuppone anche, nella considerazione pratica, la propria causalità incondizionata (rispetto alla natura), cioè la libertà, poiché è consapevole del proprio comandamento morale. Ora, però, dato che qui la necessità oggettiva dell’azione in quanto dovere è contrapposta a quella che essa avrebbe in quanto avvenimento, se il suo fondamento risiedesse nella natura e non nella libertà (cioè nella causalità della ragione) e siccome l’azione assolutamente necessaria per l’aspetto morale è considerata, per l’aspetto fisico, come del tutto contingente (vale a dire ciò che d o v r e b b e accadere necessariamente spesso tuttavia non accade), allora è chiaro che proviene solo dalla costituzione soggettiva della nostra facoltà pratica il fatto che le leggi morali debbano essere rappresentate come comandamenti (e le azioni che si conformano a esse in quanto doveri) 343 e che la ragione esprima questa necessità non con un e s s e r e (accadere), ma con un dover essere; questo non avrebbe luogo se la ragione venisse considerata secondo la sua causalità

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subjektive Bedingung ihrer Anwendung auf Gegenstände der Natur), ihrer Kausalität nach, mithin als Ursache in einer intelligibelen, mit dem moralischen Gesetze durchgängig überein404 stimmen||den, Welt betrachtet würde, wo zwischen Sollen und Tun, zwischen einem praktischen Gesetze von dem, was durch uns möglich ist, und dem theoretischen von dem, was durch uns wirklich ist, kein Unterschied sein würde. Ob nun aber gleich eine intelligibele Welt, in welcher alles darum wirklich sein würde, bloß nur weil es (als etwas Gutes) möglich ist, und selbst die Freiheit, als formale Bedingung derselben, für uns ein überschwenglicher Begriff ist, der zu keinem konstitutiven Prinzip, ein Objekt und dessen objektive Realität zu bestimmen, tauglich ist: so dient die letztere doch, nach der Beschaffenheit unserer (zum Teil sinnlichen) Natur und Vermögens, für uns und alle vernünftige mit der Sinnenwelt in Verbindung stehende Wesen, so weit wir sie uns nach der Beschaffenheit unserer Vernunft vorstellen können, zu einem allgemeinen r e g u l a t i v e n P r i n z i p , welches die Beschaffenheit der Freiheit, als Form der Kausalität, nicht objektiv bestimmt, sondern, und zwar mit nicht minderer14 Gültigkeit, als ob dieses geschähe, die Regel der Handlungen nach jener Idee für jedermann zu Geboten macht. Eben so kann man auch, was unsern vorhabenden15 Fall betrifft, einräumen: wir würden zwischen Naturmechanism und Technik der Natur, d. i. Zweckverknüpfung in derselben, keinen Unterschied finden, wäre unser Verstand nicht von der Art, 344 daß er vom Allgemeinen zum Besondern gehen muß, | und die Urteilskraft also in Ansehung des Besondern keine Zweckmäßigkeit erkennen, mithin keine bestimmende Urteile fällen kann, ohne ein allgemeines Gesetz zu haben, worunter16 sie jenes subsumieren könne. Da nun aber das Besondere, als ein solches, in Ansehung des Allgemeinen etwas Zufälliges enthält, gleichwohl aber die Vernunft in der Verbindung besonderer Gesetze der Natur doch auch Einheit, mithin Gesetzlichkeit, erfordert (welche Gesetzlichkeit des Zufälligen Zweckmäßigkeit heißt), und die Ableitung der besonderen Gesetze aus den allgemeinen, in Ansehung dessen, was jene Zufälliges in sich enthalten, a priori durch Bestimmung des Begriffs vom Objekte unmöglich ist: so wird der Begriff der Zweckmäßigkeit der Natur in ihren Produkten ein für die menschliche Urteilskraft in

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senza la sensibilità (come condizione soggettiva della sua applicazione a oggetti della natura), e dunque come causa in un mondo intelligibile che è completamente in accordo con la legge morale, nel quale non ci sarebbe alcuna differenza tra il 404 dovere e il fare, tra una legge pratica di ciò che è possibile mediante noi e una legge teoretica di ciò che è reale mediante noi. Ora, benché qui un tale mondo intelligibile, dove tutto sarebbe reale semplicemente perché è possibile (in quanto buono), e sebbene perfino la libertà, in quanto condizione formale di questo mondo, sia per noi un concetto trascendente che non è adatto come principio costitutivo per determinare un oggetto e la sua realtà oggettiva, tuttavia questa libertà, secondo la costituzione della nostra natura (in parte sensibile) e della nostra facoltà, per quanto possiamo rappresentarcela secondo la costituzione della nostra ragione, serve comunque a noi e a tutti gli esseri razionali che stanno in collegamento con il mondo sensibile come un p r i n c i p i o r e g o l a t i v o universale che determina la costituzione della libertà, in quanto forma della causalità non oggettivamente, ma che – e pure con non minore validità che se questo accadesse – trasforma le regole dell’agire secondo quell’idea in comandamenti per ciascuno. Così, anche per quanto riguarda il caso che qui ci occupa, si può ammettere che non troveremmo alcuna differenza tra meccanismo naturale e tecnica della natura, cioè il nesso finale che interviene in essa, se il nostro intelletto non fosse fatto in modo tale da dover andare dall’universale al particolare, per cui la forza di giudizio non può conoscere, riguardo al parti- 344 colare, alcuna conformità al fine e non può quindi dare giudizi determinanti senza avere una legge generale sotto la quale sussumere il particolare. Ora, però, dato che il particolare, in quanto tale, contiene riguardo all’universale qualcosa di contingente, ma la ragione richiede comunque, nel collegamento di leggi particolari della natura, anche unità e dunque legalità (la quale legalità del contingente è detta conformità al fine), mentre la derivazione delle leggi particolari da quelle universali, riguardo a ciò che esse contengono in sé di contingente, è impossibile a priori mediante determinazione del concetto dell’oggetto, allora il concetto della conformità della natura al fine nei suoi prodotti sarà un concetto necessario per la forza

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

Ansehung der Natur notwendiger, aber nicht die Bestimmung der Objekte selbst angehender, Begriff sein, also ein subjektives Prinzip der Vernunft für die Urteilskraft, welches als regulativ (nicht konstitutiv) für unsere m e n s c h l i c h e U r t e i l s k r a f t eben so notwendig gilt, als ob es ein objektives Prinzip wäre. || 405

§ 77 Von der Eigentümlichkeit des menschlichen Verstandes, wodurch1 uns der Begriff eines Naturzwecks möglich wird

Wir haben in der Anmerkung Eigentümlichkeiten unseres (selbst des oberen) Erkenntnisvermögens, welche wir leichtlich als objektive Prädikate auf die Sachen selbst überzutragen verleitet werden, angeführt; aber sie betreffen Ideen, denen ange345 messen kein Gegenstand in | der Erfahrung gegeben werden kann, und die alsdann nur zu regulativen Prinzipien in Verfolgung der letzteren dienen konnten. Mit dem Begriffe eines Naturzwecks verhält es sich zwar eben so, was die Ursache der Möglichkeit eines solchen Prädikats betrifft, die nur in der Idee liegen kann; aber die ihr gemäße Folge (das Produkt selbst) ist doch in der Natur gegeben, und der Begriff einer Kausalität der letzteren, als eines nach Zwecken handelnden Wesens, scheint die Idee eines Naturzwecks zu einem konstitutiven Prinzip desselben zu machen: und darin hat sie etwas von allen andern Ideen Unterscheidendes. Dieses Unterscheidende besteht aber darin: daß gedachte Idee nicht ein Vernunftprinzip für den Verstand, sondern für die Urteilskraft, mithin lediglich die Anwendung eines Verstandes überhaupt auf mögliche Gegenstände der Erfahrung ist; und zwar da, wo das Urteil nicht bestimmend, sondern bloß reflektierend sein kann, mithin der Gegenstand zwar in der Erfahrung gegeben, aber darüber der Idee gemäß gar nicht einmal b e s t i m m t (geschweige völlig angemessen) g e u r t e i l t , sondern nur über ihn reflektiert werden kann. Es betrifft also eine Eigentümlichkeit u n s e r e s (menschlichen) Verstandes in Ansehung der Urteilskraft, in der Reflexion derselben über Dinge der Natur. Wenn das aber ist, so muß hier

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umana di giudizio riguardo alla natura, un concetto che però non concerne la determinazione degli oggetti stessi; sarà quindi un principio soggettivo della ragione per la forza di giudizio, il quale, in quanto principio regolativo (e non costitutivo), vale per la nostra forza umana di g iudizio altrettanto necessariamente come se fosse un principio oggettivo.

§ 77 DELLA PECULIARITÀ DELL’INTELLETTO UMANO PER CUI

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CI È POSSIBILE IL CONCETTO DI UN FINE NATURALE

Nella nota abbiamo addotto peculiarità della nostra facoltà conoscitiva (anche di quella superiore) che siamo facilmente tentati di trasferire, quali predicati oggettivi, alle cose stesse; ma esse riguardano idee alle quali non può essere adeguatamente dato alcun oggetto nell’esperienza, e quindi poteva- 345 no servire soltanto come principi regolativi per la sua investigazione. Anche con il concetto di un fine naturale le cose stanno proprio in questo modo per quel che riguarda la causa, la quale può risiedere solamente nell’idea, della possibilità di un tale predicato; ma ciò che ne consegue e che è conforme a questa causa (il prodotto stesso) è dato comunque nella natura e il concetto di una causalità di quest’ultima, in quanto causalità di un essere che agisce secondo fini, sembra fare dell’idea di un fine naturale un suo principio costitutivo: e in ciò essa ha qualcosa di distintivo da tutte le altre idee. Ma questo elemento distintivo consiste nel fatto che l’idea pensata è un principio della ragione non per l’intelletto, bensì per la forza di giudizio, dunque è solo l’applicazione di un intelletto in generale a oggetti possibili dell’esperienza; e questo avviene proprio dove il giudizio può essere non determinante, ma soltanto riflettente e dunque l’oggetto può sì essere dato nell’esperienza, però senza che si possa, conformemente all’idea, g i u d i c a r e su di esso i n m o d o d e t e r m i n a t o (meno che mai in modo completamente adeguato), bensì su di esso si può soltanto riflettere. Si tratta dunque di una peculiarità del n o s t r o (umano) intelletto riguardo alla forza di giudizio, nella riflessione di questa su cose della natura. Tuttavia, se è così, allora deve qui

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

die Idee von einem andern möglichen Verstande, als dem

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346 menschlichen, zum Grunde liegen (so wie wir in der Kritik der

r. V. eine andere mögliche Anschauung in Gedanken haben mußten, wenn die unsrige als eine besondere Art, nämlich die2, für welche Gegenstände nur als Erscheinungen gelten, gehalten werden sollte), damit man sagen könne: gewisse Naturprodukte m ü s s e n , nach der besondern Beschaffenheit unseres Verstandes, v o n u n s , ihrer Möglichkeit nach absichtlich3 und als Zwecke erzeugt, b e t r a c h t e t w e r d e n , ohne doch darum zu 406 verlangen, daß es wirklich eine besondere || Ursache, welche die Vorstellung eines Zwecks zu ihrem Bestimmungsgrunde hat, gebe, mithin ohne in Abrede zu ziehen, daß nicht ein anderer (höherer) Verstand, als der menschliche, auch im Mechanism der Natur, d. i. einer Kausalverbindung, zu der nicht ausschließungsweise ein Verstand als Ursache angenommen wird, den Grund der Möglichkeit solcher Produkte der Natur antreffen könne. Es kommt hier also auf das Verhalten u n s e r e s Verstandes zur Urteilskraft an, daß wir nämlich darin eine gewisse Zufälligkeit der Beschaffenheit des unsrigen aufsuchen, um die als4 Eigentümlichkeit unseres Verstandes, zum Unterschiede von anderen möglichen, anzumerken. Diese Zufälligkeit findet sich ganz natürlich in dem B e s o n d e r n , welches die Urteilskraft unter das A l l g e m e i n e der Verstandesbegriffe bringen soll; denn durch das Allgemeine 347 u n s e r e s (menschlichen) Verstan|des ist das Besondere nicht bestimmt; und es ist zufällig, auf wie vielerlei Art unterschiedene Dinge, die doch in einem gemeinsamen Merkmale übereinkommen, unserer Wahrnehmung vorkommen können. Unser Verstand ist ein Vermögen der Begriffe, d. i. ein diskursiver Verstand, für den es freilich zufällig sein muß, welcherlei und wie sehr verschieden das Besondere sein mag, das ihm in der Natur gegeben werden, und das unter5 seine Begriffe gebracht werden kann. Weil aber zum Erkenntnis doch auch Anschauung gehört, und ein Vermögen einer v ö l l i g e n S p o n t a n e i t ä t d e r A n s c h a u u n g ein von der Sinnlichkeit unterschiedenes und davon ganz unabhängiges Erkenntnisvermögen, mithin Verstand in der allgemeinsten Bedeutung sein würde: so kann man sich auch einen i n t u i t i v e n Verstand (negativ, nämlich bloß als nicht diskursiven)6 denken, welcher nicht vom

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stare a fondamento l’idea di un altro intelletto possibile, diverso da quello umano (così come, nella Critica della ragione 346 pura, dovevamo pensare a un’altra intuizione possibile se la nostra doveva essere ritenuta una specie particolare di intuizione, cioè quella per cui gli oggetti valgono soltanto come fenomeni), affinché si possa dire: certi prodotti della natura d e v o n o , secondo la costituzione particolare del nostro intelletto, e s s e r e c o n s i d e r a t i d a n o i , quanto alla loro possibilità, come generati intenzionalmente e in quanto fini, senza per questo pretendere tuttavia che esista realmente una causa particolare che ha la rappresentazione di un fine quale 406 suo principio di determinazione, di conseguenza senza che si escluda che un altro intelletto (superiore), diverso da quello umano, potrebbe trovare anche il fondamento della possibilità di tali prodotti della natura nel meccanismo della natura, cioè in un nesso causale per il quale non è assunto esclusivamente un intelletto come causa. Quello che qui conta è dunque il rapporto del n o s t r o intelletto con la forza di giudizio, cioè il fatto che noi vi ricerchiamo una certa contingenza della costituzione del nostro intelletto per contrassegnarla come una sua peculiarità a differenza di altri intelletti possibili. Questa contingenza si trova del tutto naturalmente nel p a r t i c o l a r e che la forza di giudizio deve riportare sotto l’ u n i v e r s a l e dei concetti dell’intelletto; infatti il particolare non è determinato dall’universale del n o s t r o (umano) 347 intelletto; ed è contingente in quanti modi possono presentarsi alla nostra percezione cose diverse, che tuttavia si accordano in una caratteristica comune. Il nostro intelletto è una facoltà dei concetti, cioè un intelletto discorsivo per il quale deve certamente essere contingente quale e quanto diverso sia mai il particolare che può essergli dato nella natura e riportato sotto i suoi concetti. Ma poiché alla conoscenza spetta comunque anche l’intuizione e una facoltà di una c o m p l e t a s p o n t a n e i t à d e l l ’ i n t u i z i o n e sarebbe una facoltà conoscitiva distinta dalla sensibilità e totalmente indipendente da essa, costituendo di conseguenza un intelletto nel significato più generale del termine, si può pensare anche un intelletto i n t u i t i v o (negativamente, cioè soltanto come non discorsivo), il quale non va (mediante concetti) dall’uni-

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Allgemeinen zum Besonderen und so zum Einzelnen (durch Begriffe) geht, und für welchen jene Zufälligkeit der Zusammenstimmung7 der Natur in ihren Produkten nach b e s o n d e r n Gesetzen zum Verstande nicht angetroffen wird, welche dem unsrigen es so schwer macht, das Mannigfaltige derselben zur Einheit des Erkenntnisses zu bringen; ein Geschäft, das der unsrige nur durch Übereinstimmung der Naturmerkmale zu unserm Vermögen der Begriffe, welche sehr zufällig ist, zu Stande bringen kann, dessen8 ein anschauender Verstand aber nicht bedarf. | 348 Unser Verstand hat also das Eigene für die Urteilskraft, daß im Erkenntnis durch denselben, durch das Allgemeine das Besondere nicht bestimmt wird, und dieses also von jenem allein nicht abgeleitet werden kann; gleichwohl aber dieses Be407 sondere in der Mannigfaltigkeit der Na||tur zum Allgemeinen (durch Begriffe und Gesetze) zusammenstimmen soll, um darunter subsumiert werden zu können, welche Zusammenstimmung unter solchen Umständen sehr zufällig und für die Urteilskraft ohne bestimmtes Prinzip sein muß. Um nun gleichwohl die Möglichkeit einer solchen Zusammenstimmung der Dinge der Natur zur Urteilskraft (welche wir als zufällig, mithin nur durch einen darauf gerichteten Zweck als möglich vorstellen) wenigstens denken zu können, müssen wir uns zugleich einen andern Verstand denken, in Beziehung auf welchen, und zwar vor allem ihm beigelegten Zweck, wir jene Zusammenstimmung der Naturgesetze mit unserer Urteilskraft, die für unsern Verstand nur durch das Verbindungsmittel der Zwecke denkbar ist, als n o t w e n d i g vorstellen können. Unser Verstand nämlich hat die Eigenschaft, daß er in seinem Erkenntnisse, z. B. der Ursache eines Produkts, vom A n a l y t i s c h - A l l g e m e i n e n (von Begriffen) zum Besondern (der gegebenen empirischen Anschauung) gehen muß; wobei9 er also in Ansehung der Mannigfaltigkeit des letztern nichts 349 bestimmt, sondern diese Bestim|mung für die Urteilskraft von der Subsumtion der empirischen Anschauung (wenn der Gegenstand ein Naturprodukt ist) unter dem Begriff erwarten muß. Nun können wir uns aber auch einen Verstand denken, der, weil er nicht wie der unsrige diskursiv, sondern intuitiv ist, vom S y n t h e t i s c h - A l l g e m e i n e n (der Anschauung eines Ganzen, als eines solchen) zum Besondern geht, d. i. vom

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versale al particolare e così al singolare, e per il quale non si incontra quella contingenza dell’armonizzarsi della natura nei suoi prodotti con l’intelletto secondo leggi p a r t i c o l a r i , una contingenza che rende così difficile al nostro intelletto il fatto di riportare la molteplicità di queste leggi all’unità della conoscenza: un compito che il nostro intelletto può espletare soltanto grazie all’accordo delle caratteristiche della natura con la nostra facoltà dei concetti, un accordo che è assai contingente, ma di cui un intelletto che intuisce non ha bisogno. Il nostro intelletto ha dunque questo di proprio riguardo 348 alla forza di giudizio, che nella conoscenza che procura per proprio mezzo il particolare non è determinato dall’universale e perciò quello non può essere derivato soltanto da questo; ma questo particolare, presente nella molteplicità della natu- 407 ra, deve tuttavia armonizzarsi con l’universale (mediante concetti e leggi) per potervi essere sussunto, secondo un’armonia che in tali circostanze deve essere assai contingente e senza un principio determinato per la forza di giudizio. Tuttavia, per poter almeno pensare la possibilità di una tale armonia delle cose della natura con la forza di giudizio (armonia che ci rappresentiamo come contingente, di conseguenza come possibile solo mediante un fine diretto a essa), dobbiamo pensare ad un tempo un altro intelletto in riferimento al quale, e ciò prima di ogni fine a esso attribuito, possiamo rappresentarci come n e c e s s a r i a quell’armonia delle leggi della natura con la nostra forza di giudizio che, per il nostro intelletto, è pensabile soltanto mediante il mezzo di collegamento dei fini. Infatti il nostro intelletto ha la proprietà che deve andare, nella sua conoscenza, per esempio quella della causa di un prodotto, dall’ u n i v e r s a l e a n a l i t i c o (dai concetti) al particolare (dell’intuizione empirica data); per cui esso non determina nulla riguardo alla molteplicità del particolare, ma deve attendere questa determinazione per la forza di giudizio 349 dalla sussunzione dell’intuizione empirica (se l’oggetto è un prodotto della natura) sotto il concetto. Ora, possiamo però anche pensare un intelletto che, poiché non è discorsivo come il nostro ma è intuitivo, va dall’ u n i v e r s a l e s i n t e t i c o (dell’intuizione di un tutto come universale sintetico) al particolare, cioè dal tutto alle parti; un intelletto che dunque,

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Ganzen zu den Teilen; der also und dessen Vorstellung des Ganzen die Z u f ä l l i g k e i t der Verbindung der Teile nicht in sich enthält, um eine bestimmte Form des Ganzen möglich zu machen, die unser Verstand bedarf, welcher von den Teilen, als allgemein-gedachten Gründen, zu verschiedenen darunter zu subsumierenden möglichen Formen, als Folgen, fortgehen muß. Nach der Beschaffenheit unseres Verstandes ist hingegen ein reales Ganze der Natur nur als Wirkung der konkurrierenden bewegenden Kräfte der Teile anzusehen. Wollen wir uns also nicht die Möglichkeit des Ganzen als von den Teilen, wie es unserm diskursiven Verstande gemäß ist, sondern, nach Maßgabe des intuitiven (urbildlichen), die Möglichkeit der Teile (ihrer Beschaffenheit und Verbindung nach) als vom Ganzen abhängend vorstellen: so kann dieses, nach eben derselben Eigentümlichkeit unseres Verstandes, nicht so geschehen, daß das Ganze den Grund der Möglichkeit der Verknüpfung der Teile (welches in der diskursiven Erkenntnisart Widerspruch 350 sein würde), sondern nur, daß die | || Vo r s t e l l u n g eines 408 Ganzen den Grund der Möglichkeit der Form desselben und der dazu gehörigen Verknüpfung der Teile enthalte. Da das Ganze nun aber alsdann eine Wirkung ( P r o d u k t ) sein würde, dessen Vo r s t e l l u n g als die U r s a c h e seiner Möglichkeit angesehen wird, das Produkt aber einer Ursache, deren Bestimmungsgrund bloß die Vorstellung ihrer10 Wirkung ist, ein Zweck heißt: so folgt daraus: daß es bloß eine Folge aus der besondern Beschaffenheit unseres Verstandes sei, wenn wir Produkte der Natur nach einer andern Art der Kausalität, als der der Naturgesetze der Materie, nämlich nur nach der der Zwecke und Endursachen uns als möglich vorstellen, und daß dieses Prinzip nicht die Möglichkeit solcher Dinge selbst (selbst als Phänomene betrachtet) nach dieser Erzeugungsart, sondern nur die unserem Verstande mögliche11 Beurteilung derselben angehe. Wobei wir zugleich einsehen, warum wir in der Naturkunde mit einer Erklärung der Produkte der Natur durch Kausalität nach Zwecken lange nicht zufrieden sind, weil wir nämlich in derselben die Naturerzeugung bloß unserm Vermögen,

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unitamente alla sua rappresentazione del tutto, non contiene in sé la c o n t i n g e n z a del collegamento delle parti per rendere possibile una forma determinata del tutto, una forma di cui ha bisogno il nostro intelletto che deve procedere dalle parti come fondamenti pensati in universale alle diverse forme possibili che, in quanto conseguenze, devono essere sussunte sotto di essi. Per contro, secondo la costituzione del nostro intelletto, un tutto reale della natura va considerato solo come effetto del concorrere delle forze motrici delle parti. Se vogliamo dunque rappresentarci non la possibilità del tutto in quanto dipendente dalle parti, come è conforme al nostro intelletto discorsivo, ma rappresentarci, secondo il criterio dell’intelletto intuitivo (archetipico), la possibilità delle parti (secondo la loro costituzione e il loro collegamento) come dipendenti dal tutto, allora, e proprio per quella stessa peculiarità del nostro intelletto, ciò non può accadere in modo tale che il tutto contenga il fondamento della possibilità della connessione delle parti (cosa che, nel modo discorsivo di conoscenza, sarebbe una contraddizione), ma soltanto in modo tale che la r a p p r e s e n t a z i o n e di un tutto contenga 350 408 il fondamento della possibilità della sua forma e della corrispondente connessione delle parti. Ora, poiché il tutto sarebbe poi però un effetto (un p r o d o t t o ) la cui r a p p r e s e n t a z i o n e è considerata come la c a u s a della sua possibilità, mentre si chiama fine il prodotto di una causa il cui principio di determinazione è solo la rappresentazione del suo effetto, ne risulta che è unicamente una conseguenza della costituzione particolare del nostro intelletto se noi ci rappresentiamo i prodotti della natura come possibili secondo un’altra specie di causalità diversa da quella delle leggi naturali della materia, cioè soltanto secondo la causalità dei fini e delle cause finali, e che questo principio non concerne la possibilità di queste stesse cose (anche considerate come fenomeni) secondo questa specie di generazione, ma solamente quella della loro valutazione quale è possibile al nostro intelletto. Per questo scorgiamo nello stesso tempo perché, nello studio della natura, siamo ben lontani dall’essere soddisfatti di una spiegazione dei prodotti della natura mediante una causalità secondo fini, poiché con questa spiegazione pretendiamo infatti semplicemente di valutare la generazione della natura

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

sie zu beurteilen, d. i. der reflektierenden Urteilskraft, und nicht den Dingen selbst zum Behuf der bestimmenden Urteilskraft angemessen zu beurteilen verlangen. Es ist hiebei auch gar nicht nötig zu beweisen, daß ein solcher intellectus archetypus möglich sei, sondern nur, daß wir in der Dagegenhaltung unseres 351 diskursiven, der Bilder bedürfti|gen, Verstandes (intellectus ectypus), und der Zufälligkeit einer solchen Beschaffenheit, auf jene Idee (eines intellectus archetypus) geführet werden, diese auch keinen Widerspruch enthalte. Wenn wir nun ein Ganzes der Materie, seiner Form nach, als ein Produkt der Teile und ihrer Kräfte und Vermögen, sich von selbst zu verbinden, (andere Materien, die diese einander zuführen, hinzugedacht) betrachten: so stellen wir uns eine mechanische Erzeugungsart desselben vor. Aber es kommt auf solche Art kein Begriff von einem Ganzen als Zweck heraus, dessen innere Möglichkeit durchaus die Idee von einem Ganzen voraussetzt, von der selbst die Beschaffenheit und Wirkungsart der Teile abhängt, wie wir uns doch einen organisierten Körper vorstellen müssen. Hieraus folgt aber, wie eben gewiesen worden, nicht, daß die mechanische Erzeugung eines solchen Körpers unmöglich sei; denn das würde soviel sagen, als, es sei eine solche Einheit in der Verknüpfung des Mannigfaltigen f ü r j e d e n Ve r s t a n d unmöglich (d. i. widersprechend) sich vorzustellen, ohne daß die Idee derselben zugleich die erzeugende Ursache derselben sei, d. i. ohne absichtliche Hervorbringung. 409 Gleichwohl würde dieses || in der Tat folgen, wenn wir materielle Wesen, als Dinge an sich selbst, anzusehen berechtigt wären. Denn alsdann würde die Einheit, welche den Grund der Möglichkeit der Naturbildungen ausmacht, lediglich die Einheit 352 des | Raums sein, welcher aber kein Realgrund der Erzeugungen, sondern nur die formale Bedingung derselben ist; obwohl er mit dem Realgrunde, welchen wir suchen, darin einige Ähnlichkeit hat, daß in ihm kein Teil ohne in Verhältnis auf das Ganze (dessen Vorstellung also der Möglichkeit der Teile zum Grunde liegt) bestimmt werden kann. Da es aber doch wenigstens möglich ist, die materielle Welt als bloße Erscheinung zu betrachten, und etwas als Ding an sich selbst (welches nicht Erscheinung ist) als Substrat zu denken, diesem aber eine korre-

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solo in modo adeguato alla nostra facoltà di valutarla, cioè alla forza riflettente di giudizio, e non in modo adeguato alle cose stesse in funzione della forza determinante di giudizio. Qui in effetti non è nemmeno necessario provare che un tale intellectus archetypus sia possibile, ma soltanto che noi, contrapponendogli il nostro intelletto discorsivo, che ha bisogno di immagini (intellectus ectypus), e la contingenza di una tale 351 costituzione, siamo condotti a quell’idea (di un intellectus archetypus) e che questa non contiene inoltre alcuna contraddizione. Ora, se consideriamo un tutto della materia, secondo la sua forma, come un prodotto delle parti e delle sue forze e facoltà di collegarsi da sé (pensando in aggiunta anche altre materie che queste si procurano a vicenda), allora ci rappresentiamo una specie di generazione meccanica di questo tutto. Ma, in tal modo, non emerge alcun concetto di un tutto come fine, la cui possibilità interna presuppone assolutamente l’idea di un tutto dalla quale dipendono perfino la costituzione e il modo di produrre effetti delle parti, così come dobbiamo invece rappresentarci un corpo organizzato. Però da ciò non risulta, come si è già mostrato, che la generazione meccanica di un tale corpo sia impossibile; infatti ciò equivarrebbe a dire che è impossibile (cioè contraddittorio) p e r o g n i i n t e l l e t t o rappresentarsi una tale unità nella connessione del molteplice senza che l’idea di questa unità ne sia al contempo la causa generatrice, cioè senza produzione intenzionale. È tuttavia questo che di fatto ne risulterebbe se 409 noi fossimo autorizzati a considerare gli esseri materiali come cose in se stesse. Infatti allora l’unità che costituisce il fondamento della possibilità delle formazioni naturali sarebbe unicamente l’unità dello spazio, il quale invece non è un fonda- 352 mento reale delle generazioni, ma solamente la loro condizione formale; benché lo spazio abbia qualche somiglianza con il fondamento reale che noi cerchiamo nel fatto che in esso nessuna parte può essere determinata se non in rapporto al tutto (la cui rappresentazione sta dunque a fondamento della possibilità delle parti). Ma poiché è comunque almeno possibile considerare il mondo materiale come semplice fenomeno e pensare qualcosa in quanto cosa in se stessa (qualcosa che non è fenomeno) quale sostrato, e porre alla sua base una

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spondierende intellektuelle Anschauung (wenn sie gleich nicht die unsrige ist) unterzulegen: so würde ein, ob zwar für uns unerkennbarer, übersinnlicher Realgrund für die Natur Statt finden, zu der wir selbst mitgehören, in welcher wir also das, was in ihr als Gegenstand der Sinne notwendig ist, nach mechanischen Gesetzen, die Zusammenstimmung und Einheit aber der besonderen Gesetze und der Formen nach denselben, die wir in Ansehung jener als zufällig beurteilen müssen, in ihr als Gegenstande der Vernunft (ja das Naturganze als System) zugleich nach teleologischen Gesetzen betrachten, und sie nach zweierlei Prinzipien beurteilen würden, ohne daß die mechanische Erklärungsart durch die teleologische, als ob sie einander widersprächen, ausgeschlossen wird. Hieraus läßt sich auch das, was man sonst zwar leicht ver353 muten, aber schwerlich mit Gewißheit behaup|ten und beweisen konnte, einsehen, daß zwar das Prinzip einer mechanischen Ableitung zweckmäßiger Naturprodukte neben dem teleologischen bestehen, dieses letztere aber keinesweges entbehrlich machen könnte: d. i. man kann an einem Dinge, welches wir als Naturzweck beurteilen müssen (einem organisierten Wesen), zwar alle bekannte und noch zu entdeckende Gesetze der mechanischen Erzeugung versuchen, und auch hoffen dürfen, damit guten Fortgang zu haben, niemals aber der Berufung auf einen davon ganz unterschiedenen Erzeugungsgrund, nämlich der Kausalität durch Zwecke, für die Möglichkeit eines solchen Produkts überhoben sein; und schlechterdings kann keine menschliche Vernunft (auch keine endliche, die der Qualität nach der unsrigen ähnlich wäre, sie aber dem Grade nach noch so sehr überstiege) die Erzeugung auch nur eines Gräschens aus bloß mechanischen Ursachen zu verstehen hoffen. Denn, wenn 410 die teleologische Verknüpfung der Ursachen und || Wirkungen zur Möglichkeit eines solchen Gegenstandes für die Urteilskraft ganz unentbehrlich ist, selbst um diese nur am Leitfaden der Erfahrung zu studieren; wenn für äußere Gegenstände, als Erscheinungen, ein sich auf Zwecke beziehender hinreichender Grund gar nicht angetroffen werden kann, sondern dieser, der auch in der Natur liegt, doch nur im übersinnlichen Substrat derselben gesucht werden muß, von welchem uns aber alle

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corrispondente intuizione intellettuale (sebbene non sia la nostra), ci sarebbe un fondamento reale soprasensibile, benché a noi inconoscibile, per la natura, alla quale noi stessi apparteniamo e nella quale considereremmo dunque secondo leggi meccaniche ciò che in essa è necessario in quanto oggetto dei sensi, mentre, nella natura in quanto oggetto della ragione (anzi la totalità della natura come sistema), considereremmo nel contempo secondo leggi teleologiche l’armonia e l’unità delle leggi particolari e delle forme secondo queste leggi, che dobbiamo valutare come contingenti rispetto alle leggi meccaniche: così valuteremmo la natura secondo due tipi di principi senza che il modo meccanico di spiegazione sia escluso dal modo teleologico come se si contraddicessero l’un l’altro. Da qui si può scorgere anche ciò che peraltro si poteva già facilmente presumere, ma difficilmente affermare e dimostra- 353 re con certezza, cioè che il principio di una derivazione meccanica di prodotti della natura conformi al fine potrebbe sì coesistere accanto al principio teleologico, ma in alcun modo non al punto da renderlo superfluo; in altri termini, in una cosa che noi dobbiamo valutare come fine naturale (un essere organizzato) si possono sicuramente tentare tutte le leggi della generazione meccanica, sia quelle note sia quelle da scoprire, e anche sperare legittimamente di fare in ciò un buon progresso senza mai tuttavia essere dispensati dal ricorrere, per la possibilità di un tale prodotto, a un principio di generazione del tutto diverso da quello meccanico, cioè al principio della causalità mediante fini; e nessuna ragione umana (né alcuna ragione finita che fosse qualitativamente simile alla nostra, per quanto possa superarla per grado ancora di molto) può assolutamente sperare di comprendere, a partire da cause semplicemente meccaniche, la generazione, fosse anche solo quella di un’erbetta. Infatti, se la connessione teleologica delle cause e degli effetti è del tutto indispensabile 410 alla forza di giudizio per la possibilità di un tale oggetto, fosse anche soltanto per studiarlo seguendo il filo conduttore dell’esperienza; se per gli oggetti esterni, in quanto fenomeni, non può affatto essere trovato un fondamento sufficiente che si riferisca a fini, ma questo, che risiede ugualmente nella natura, deve essere tuttavia cercato soltanto nel sostrato

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mögliche Einsicht abgeschnitten ist: so ist es uns schlechter| unmöglich, aus der Natur selbst hergenommene Erklärungs-gründe für Zweckverbindungen zu schöpfen, und es ist12 nach der Beschaffenheit des menschlichen Erkenntnisvermögens notwendig, den obersten Grund dazu in einem ursprünglichen Verstande als Weltursache zu suchen.

354 dings

§ 78 Von der Vereinigung des Prinzips des allgemeinen Mechanismus der Materie mit dem teleologischen in der Technik der Natur Es liegt der Vernunft unendlich viel daran, den Mechanism der Natur in ihren Erzeugungen nicht fallen zu lassen und in der Erklärung derselben nicht vorbei zu gehen; weil ohne diesen keine Einsicht in der Natur1 der Dinge erlangt werden kann. Wenn man uns gleich einräumt: daß ein höchster Architekt die Formen der Natur, so wie sie von je her da sind, unmittelbar geschaffen, oder die, welche sich2 in ihrem Laufe kontinuierlich nach eben demselben Muster bilden, prädeterminiert habe: so ist doch dadurch unsere Erkenntnis der Natur nicht im mindesten gefördert; weil wir jenes Wesens Handlungsart und die Ideen desselben, welche die Prinzipien der Möglichkeit der Naturwesen enthalten sollen, gar nicht kennen, und von demselben als von oben herab (a priori) die Natur nicht erklären können. Wollen wir aber von den Formen der Gegenstände der Erfahrung, also von unten hinauf (a posteriori), weil wir in die355 sen Zweckmäßigkeit | anzutreffen glauben, um diese zu erklären, uns auf eine nach Zwecken wirkende Ursache berufen: so würden wir ganz tautologisch erklären, und die Vernunft mit Worten täuschen, ohne noch zu erwähnen: daß da, wo wir uns mit dieser Erklärungsart ins Überschwengliche verlieren, wohin uns die Naturkenntnis3 nicht folgen kann, die Vernunft dichterisch zu schwärmen verleitet wird, welches zu verhüten eben ihre vorzüglichste Bestimmung ist. || 411 Von der andern Seite ist es eine eben sowohl notwendige Maxime der Vernunft, das Prinzip der Zwecke an den Produkten der Natur nicht vorbei zu gehen; weil es, wenn es gleich die

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soprasensibile della stessa, del quale però ci è interdetto ogni possibile discernimento, allora ci è assolutamente impossibile 354 attingere principi di spiegazione tratti dalla natura stessa per nessi finali ed è necessario, per via della costituzione della facoltà umana di conoscere, cercarne il fondamento supremo in un intelletto originario come causa del mondo.

§ 78 DELL’UNIFICAZIONE, NELLA TECNICA DELLA NATURA, DEL PRINCIPIO DEL MECCANISMO UNIVERSALE DELLA MATERIA CON QUELLO TELEOLOGICO

Per la ragione è infinitamente importante non trascurare il meccanismo della natura nelle sue generazioni e non lasciarlo da parte nella loro spiegazione, perché senza di esso non si può conseguire alcun discernimento nella natura delle cose. Se anche ci viene concesso che un architetto sommo abbia creato direttamente le forme della natura così come esse esistono da sempre oppure abbia predeterminato quelle che, nel loro corso, si formano continuamente secondo lo stesso modello, la nostra conoscenza della natura non ne viene tuttavia minimamente incrementata, in quanto noi non conosciamo affatto il modo di agire di quell’essere né le sue idee, che devono contenere i principi della possibilità degli esseri naturali, e non possiamo spiegare la natura a partire da esso, cioè dall’alto verso il basso (a priori). Ma se, partendo dalle forme degli oggetti dell’esperienza, quindi dal basso verso l’alto (a posteriori), credendo di trovare in essi una conformità al fine, 355 vogliamo richiamarci, per spiegarla, a una causa che agisce secondo fini, allora spiegheremmo del tutto tautologicamente e inganneremmo la ragione con parole, senza contare poi che là dove, seguendo questo modo di spiegazione, ci perdiamo nel trascendente, dove la conoscenza della natura non può seguirci, la ragione viene indotta a esaltarsi fanaticamente con invenzioni, cosa che è proprio la sua più eminente destinazione evitare. D’altro canto è una massima altrettanto necessaria della 411 ragione quella di non lasciare da parte nei prodotti della natura il principio dei fini perché esso, pur non rendendoci

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Entstehungsart derselben uns eben nicht begreiflicher macht, doch ein heuristisches Prinzip ist, den besondern Gesetzen der Natur nachzuforschen; gesetzt auch, daß man davon keinen Gebrauch machen wollte, um die Natur selbst darnach zu erklären, indem man sie so lange, ob sie gleich absichtliche Zweckeinheit augenscheinlich darlegen4, noch immer nur Naturzwecke nennt, d. i. ohne über die Natur hinaus den Grund der Möglichkeit derselben zu suchen. Weil es aber doch am Ende zur Frage wegen der letzteren kommen muß: so ist es eben so notwendig für sie, eine besondere Art der Kausalität, die sich nicht in der Natur vorfindet, zu denken, als die Mechanik der Naturursachen die ihrige hat, indem zu der Rezeptivität mehrerer und anderer Formen, als deren die Materie 356 nach der letzteren | fähig ist, noch eine Spontaneität einer Ursache (die also nicht Materie sein kann) hinzukommen muß, ohne welche von jenen Formen kein Grund angegeben werden kann. Zwar muß die Vernunft, ehe sie diesen Schritt tut, behutsam verfahren, und nicht jede Technik der Natur, d. i. ein produktives Vermögen derselben, welches Zweckmäßigkeit der Gestalt für unsere bloße Apprehension an sich zeigt (wie bei regulären Körpern), für teleologisch zu erklären suchen, sondern immer so lange für bloß mechanisch-möglich ansehen; allein darüber das teleologische Prinzip gar5 ausschließen, und, wo die Zweckmäßigkeit, für die Vernunftuntersuchung der Möglichkeit der Naturformen, durch ihre Ursachen, sich ganz unleugbar als Beziehung auf eine andere Art der Kausalität zeigt, doch immer den bloßen Mechanism befolgen wollen, muß die Vernunft eben so phantastisch und unter Hirngespinsten von Naturvermögen, die sich gar nicht denken lassen, herumschweifend machen, als eine bloß teleologische Erklärungsart, die gar keine Rücksicht auf den Naturmechanism nimmt, sie schwärmerisch machte. An einem und eben demselben Dinge der Natur lassen sich nicht beide Prinzipien, als Grundsätze der Erklärung (Deduktion) eines von dem andern, verknüpfen, d. i. als dogmatische und konstitutive Prinzipien der Natureinsicht für die bestimmende Urteilskraft, vereinigen. Wenn ich z. B. von einer Made annehme, sie sei als Produkt des bloßen Mechanismus der

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affatto più comprensibile il modo della loro genesi, è tuttavia un principio euristico per indagare le leggi particolari della natura; posto anche che di tale principio non se ne volesse fare alcun uso per spiegare per suo tramite la natura stessa, continuando a chiamare tali prodotti sempre solo fini naturali, sebbene presentino palesemente un’unità finale intenzionale, cioè senza cercare al di là della natura il fondamento della loro possibilità. Ma poiché alla fine si deve comunque arrivare a porre la questione di tale possibilità, così è altrettanto necessario per essa pensare una particolare specie di causalità che non si incontra nella natura, come la meccanica delle cause naturali ha la sua, in quanto alla ricettività di più forme e diverse da quelle che la natura è capace di ricevere in virtù della causalità meccanica deve aggiungersi ancora una spon- 356 taneità di una causa (che dunque non può essere materia), senza la quale non si può assegnare alcun fondamento a quelle forme. Certo, la ragione deve, prima di fare questo passo, procedere con cautela e non cercare di spiegare come teleologica ogni tecnica della natura, cioè anche quella sua capacità produttiva, che manifesta in sé una conformità della figura al fine per la nostra semplice apprensione (come nel caso dei corpi regolari), bensì deve continuare a considerarla sempre possibile in modo semplicemente meccanico; ma volere con questo escludere completamente il principio teleologico e là dove la conformità al fine si manifesta in modo del tutto innegabile come riferimento a un’altra specie di causalità, per l’indagine razionale della possibilità delle forme naturali mediante le loro cause, volere sempre seguire malgrado ciò il semplice meccanismo non può che portare la ragione a vagare in modo altrettanto fantastico e tra chimeriche facoltà naturali che sono assolutamente impensabili così come un modo di spiegazione semplicemente teleologico, che non tenga affatto conto del meccanismo naturale, la rendeva fanaticamente esaltata. In una sola e medesima cosa della natura i due principi non possono essere connessi in quanto principi della spiegazione (deduzione) dell’uno dall’altro, cioè essi non possono essere unificati come principi dogmatici e costitutivi del discernimento della natura per la forza determinante di giudizio. Se, per esempio, di un verme assumo che esso vada considera-

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357 Ma terie (der neuen Bildung, die sie für sich selbst bewerkstel-

ligt, wenn ihre Elemente durch Fäulnis in Freiheit gesetzt werden) anzusehen: so kann ich nun nicht von eben derselben 412 Materie, als einer Kausalität, || nach Zwecken zu handeln, eben dasselbe Produkt ableiten. Umgekehrt, wenn ich dasselbe Produkt als Naturzweck annehme, kann ich nicht auf eine mechanische Erzeugungsart desselben rechnen, und solche als konstitutives Prinzip zur6 Beurteilung desselben seiner Möglichkeit nach annehmen, und so beide Prinzipien vereinigen. Denn eine Erklärungsart schließt die andere aus; gesetzt auch, daß objektiv beide Gründe der Möglichkeit eines solchen Produkts auf einem einzigen beruheten, wir aber auf diesen nicht Rücksicht nähmen. Das Prinzip, welches die Vereinbarkeit beider in Beurteilung der Natur nach denselben möglich machen soll, muß in dem, was7 außerhalb beiden (mithin auch außer der möglichen empirischen Naturvorstellung) liegt, von dieser aber doch den Grund enthält, d. i. im Übersinnlichen8, gesetzt, und eine jede beider Erklärungsarten darauf bezogen werden. Da wir nun von diesem nichts als den unbestimmten Begriff eines Grundes haben können, der die Beurteilung der Natur nach empirischen Gesetzen möglich macht, übrigens aber ihn durch kein Prädikat näher bestimmen können: so folgt, daß die Vereinigung beider Prinzipien nicht auf einem Grunde der E r k l ä r u n g (Explikation) der Möglichkeit eines Produkts nach 358 gegebenen Gesetzen | für die b e s t i m m e n d e , sondern nur auf einem Grunde der E r ö r t e r u n g (Exposition) derselben für die reflektierende Urteilskraft beruhen könne. — Denn erklären heißt von einem Prinzip ableiten, welches man also deutlich muß erkennen und angeben können. Nun müssen zwar das Prinzip des Mechanisms der Natur und das der Kausalität derselben nach Zwecken an9 einem und eben demselben Naturprodukte in einem einzigen oberen Prinzip zusammenhängen und daraus gemeinschaftlich abfließen, weil sie sonst in der Naturbetrachtung nicht neben einander bestehen könnten. Wenn aber dieses objektiv-gemeinschaftliche, und also auch die Gemeinschaft der davon abhängenden Maxime der Naturforschung berechtigende, Prinzip von der Art ist, daß es zwar

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to come un prodotto del semplice meccanismo della materia 357 (della nuova formazione che essa si realizza da sé quando i suoi elementi vengono messi in libertà dalla putrefazione), poi non posso derivare lo stesso prodotto da quella medesima materia come da una causalità che agisce secondo fini. Viceversa, se assumo lo stesso prodotto come fine naturale, non posso contare su un modo meccanico della sua generazione e assumerlo come principio costitutivo per valutare il prodotto secondo la sua possibilità, e unificare così i due principi. Infatti un modo di spiegazione esclude l’altro, e questo anche supponendo che oggettivamente entrambi i fondamenti della possibilità di un simile prodotto si basino su un unico fondamento, che però noi non consideriamo. Il principio che deve rendere possibile l’unificabilità di entrambi nella valutazione, stando ad essi, della natura, deve essere posto in ciò che sta al di fuori di entrambi (di conseguenza anche al di fuori della possibile rappresentazione empirica della natura), ma che contiene tuttavia il fondamento della natura, cioè nel soprasensibile, e ciascuno dei due modi di spiegazione va riferito a esso. Poiché del soprasensibile noi non possiamo avere nient’altro se non il concetto indeterminato di un fondamento che rende possibile la valutazione della natura secondo leggi empiriche, ma per il resto non possiamo però determinarlo ulteriormente mediante predicato alcuno, ne consegue che l’unificazione di entrambi i principi non può basarsi su un fondamento della s p i e g a z i o n e (explicatio) della possibilità di un prodotto secondo leggi date per la forza d e t e r m i n a n t e 358 di giudizio, bensì solamente su un fondamento dell’ e s p o s i z i o n e (expositio) di tale possibilità per la forza riflettente di giudizio. — Infatti, spiegare significa derivare da un principio che si deve poter conoscere e addurre distintamente. Ora, in un solo e medesimo prodotto della natura, il principio del meccanismo della natura e quello della sua causalità secondo fini devono certamente connettersi in un unico principio superiore da cui entrambi defluiscono in comunanza, perché altrimenti non potrebbero coesistere l’uno accanto all’altro nella considerazione della natura. Ma se questo principio oggettivamente comune, che quindi legittima anche la comunanza delle massime della ricerca della natura che da esso dipendono, è del tipo che può essere sì indicato, eppure mai cono-

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angezeigt, nie aber bestimmt erkannt und für den Gebrauch in vorkommenden Fällen deutlich angegeben werden kann: so läßt sich aus einem solchen Prinzip keine Erklärung, d. i. deutliche und bestimmte Ableitung der Möglichkeit eines nach jenen zweien heterogenen Prinzipien möglichen Naturprodukts ziehen. Nun ist aber das gemeinschaftliche Prinzip der mechanischen einerseits und der teleologischen Ableitung andrerseits das Ü b e r s i n n l i c h e , welches wir der Natur als Phänomen unterlegen müssen. Von diesem aber können wir uns in theoretischer Absicht nicht den mindesten bejahend bestimmten Be413 griff machen. Wie also nach || demselben, als Prinzip, die Natur (nach ihren besondern Gesetzen) für uns ein System aus359 macht10, welches | sowohl nach dem Prinzip der Erzeugung von physischen als dem der Endursachen als möglich erkannt werden könne: läßt sich keinesweges erklären; sondern nur, wenn es sich zuträgt, daß Gegenstände der Natur vorkommen, die nach dem Prinzip des Mechanisms (welches jederzeit an einem Naturwesen11 Anspruch hat) ihrer Möglichkeit nach, ohne uns auf teleologische Grundsätze zu stützen, von uns nicht können gedacht werden, voraussetzen, daß man nur getrost beiden gemäß den Naturgesetzen nachforschen dürfe (nachdem die Möglichkeit ihres Produkts, aus einem oder dem andern Prinzip, unserm Verstande erkennbar ist), ohne sich an den scheinbaren Widerstreit zu stoßen, der sich zwischen den Prinzipien der Beurteilung desselben hervortut: weil wenigstens die Möglichkeit, daß beide auch objektiv in einem Prinzip vereinbar sein möchten (da sie Erscheinungen betreffen, die einen übersinnlichen Grund voraussetzen), gesichert ist. Ob also gleich sowohl der Mechanism als der teleologische (absichtliche) Technizism der Natur, in Ansehung ebendesselben Produkts und seiner Möglichkeit, unter einem gemeinschaftlichen obern Prinzip der Natur nach besondern Gesetzen stehen mögen: so können wir doch, da dieses Prinzip t r a n s z e n d e n t ist, nach der Eingeschränktheit unseres Verstandes beide Prinzipien i n d e r E r k l ä r u n g eben derselben Naturerzeugung alsdenn nicht vereinigen, wenn selbst die innere Möglichkeit dieses Produkts nur durch eine Kausalität nach | 360 Zwecken v e r s t ä n d l i c h ist (wie organisierte Materien von der Art sind). Es bleibt also bei dem obigen Grundsatze der Te-

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sciuto determinatamente né addotto distintamente per essere usato quando se ne presenta il caso, allora da un simile principio non si può trarre alcuna spiegazione, cioè alcuna derivazione distinta e determinata della possibilità di un prodotto della natura che sarebbe possibile secondo quei due principi eterogenei. Ora, però, il principio comune della derivazione da una parte meccanica e dall’altra teleologica è il s o p r a s e n s i b i l e che dobbiamo porre alla base della natura in quanto fenomeno. Ma, in un intento teoretico, non possiamo farci di esso il minimo concetto affermativamente determinato. Dunque non si può in alcun modo spiegare come, secondo il soprasensibile in quanto principio, la natura (seguendo le sue leggi particolari) costituisca per noi un sistema che possa 359 essere conosciuto come possibile sia secondo il principio della generazione delle cause fisiche sia secondo quello delle cause finali; ma quando accade che si presentino oggetti della natura i quali, quanto alla loro possibilità, non possono essere pensati da noi secondo il principio del meccanismo (che avanza sempre la pretesa di valere per un essere della natura), senza appoggiarci su principi teleologici, allora possiamo presupporre che sia lecito indagare tranquillamente le leggi della natura conformemente a entrambi i principi (una volta che la possibilità del suo prodotto sia conoscibile dal nostro intelletto a partire dall’uno o dall’altro principio), senza scandalizzarsi per la parvenza di conflitto che sorge tra i principi della valutazione del prodotto; in questo modo è almeno assicurata la possibilità che entrambi possano essere unificabili anche oggettivamente in un unico principio (poiché concernono fenomeni che presuppongono un fondamento soprasensibile). Sebbene, dunque, sia il meccanismo sia il tecnicismo teleologico (intenzionale) della natura, riguardo allo stesso prodotto e alla sua possibilità, possano stare sotto un comune principio superiore della natura secondo leggi particolari, noi non possiamo tuttavia, dato che questo principio è t r a s c e n d e n t e , unificare secondo la limitatezza del nostro intelletto entrambi i principi n e l l a s p i e g a z i o n e della stessa produzione della natura, nemmeno quando la possibilità interna di questo prodotto è i n t e l l i g i b i l e soltanto mediante una causalità secondo fini (come è il caso delle materie 360 organizzate). Si rimane allora al principio, già menzionato,

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leologie: daß, nach der Beschaffenheit des menschlichen Verstandes, für die Möglichkeit organischer Wesen in der Natur keine andere als absichtlich12 wirkende Ursache könne angenommen werden, und der bloße Mechanism der Natur zur Erklärung dieser ihrer Produkte gar nicht hinlänglich sein könne; ohne doch dadurch in Ansehung der Möglichkeit solcher Dinge selbst durch diesen Grundsatz entscheiden zu wollen. Da nämlich dieser nur eine Maxime der reflektierenden, nicht der bestimmenden Urteilskraft ist, daher13 nur subjektiv für uns, nicht objektiv für die Möglichkeit dieser Art Dinge selbst, gilt (wo beiderlei Erzeugungsarten wohl in einem und demselben Grunde zusammenhangen könnten); da ferner, ohne allen zu der teleologisch-gedachten Erzeugungsart hinzukommenden Begriff von einem dabei zugleich anzutreffenden Mechanism der Natur, dergleichen Erzeugung gar nicht als Natur414 produkt beurteilt || werden könnte: so führt obige Maxime zugleich die Notwendigkeit einer Vereinigung beider Prinzipien in der Beurteilung der Dinge als Naturzwecke bei sich, aber nicht, um eine ganz, oder in gewissen Stücken, an die Stelle der andern zu setzen. Denn an die Stelle dessen, was (von uns wenigstens) nur als nach Absicht möglich gedacht wird, läßt sich kein Mechanism, und an die Stelle dessen, was nach diesem als not361 wendig er|kannt wird, läßt sich keine Zufälligkeit, die eines Zwecks zum Bestimmungsgrunde bedürfe, annehmen: sondern nur die eine (der Mechanism) der andern (dem absichtlichen Technizism) unterordnen, welches, nach dem transzendentalen Prinzip der Zweckmäßigkeit der Natur, ganz wohl geschehen darf. Denn, wo Zwecke als Gründe der Möglichkeit gewisser Dinge gedacht werden, da muß man auch Mittel annehmen, deren Wirkungsgesetz f ü r s i c h nichts einen Zweck Voraussetzendes bedarf, mithin mechanisch und doch eine untergeordnete Ursache absichtlicher Wirkungen sein kann. Daher läßt sich selbst in organischen Produkten der Natur, noch mehr aber, wenn wir, durch die unendliche Menge derselben veranlaßt, das Absichtliche in der Verbindung der Naturursachen nach besondern Gesetzen nun auch (wenigstens durch erlaubte

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della teleologia: secondo la costituzione dell’intelletto umano non può essere ammessa, per la possibilità di esseri organici nella natura, alcuna altra causa se non una causa che agisce intenzionalmente e che il semplice meccanismo della natura non può essere affatto sufficiente per spiegare questi suoi prodotti, senza per questo voler decidere mediante tale principio riguardo alla possibilità stessa di tali cose. Infatti, poiché questo principio è soltanto una massima della forza riflettente di giudizio e non di quella determinante, e quindi vale per noi soltanto soggettivamente, e non oggettivamente, per la possibilità stessa di questa specie di cose (dove entrambi i modi di generazione potrebbero benissimo essere connessi in un solo e medesimo fondamento); e poiché inoltre una tale generazione non potrebbe affatto essere valutata come un prodotto naturale senza un qualche concetto, che va aggiunto al modo di generazione pensato teologicamente, di un meccanismo della natura lì nel contem- 414 po riscontrabile, allora la massima menzionata in precedenza comporta ad un tempo la necessità di un’unificazione di entrambi i principi nella valutazione delle cose come fini naturali, ma non per mettere, in tutto o in certe parti, una massima al posto dell’altra. Infatti, al posto di ciò che (almeno da noi) è pensato come possibile solo secondo un’intenzione, non si può ammettere alcun meccanismo; e, al posto di ciò che è riconosciuto come necessario secondo il meccanismo, 361 non si può ammettere alcuna contingenza che abbia bisogno di un fine come principio di determinazione: al contrario, si può soltanto subordinare una massima (il meccanismo) all’altra (il tecnicismo intenzionale), cosa che può sicuramente accadere secondo il principio trascendentale della conformità della natura al fine. Infatti, laddove dei fini vengono pensati come fondamenti della possibilità di certe cose, bisogna anche ammettere dei mezzi la cui legge d’azione non abbia bisogno p e r s é nulla che presupponga un fine e che quindi possa essere una causa meccanica e tuttavia subordinata a effetti intenzionali. Per questo anche nei prodotti organici della natura, ma ancora di più quando noi, indotti dalla loro infinita quantità, assumiamo un’intenzionalità nel legame delle cause naturali secondo leggi particolari anche (almeno mediante un’ipotesi legittima)

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Hypothese) zum a l l g e m e i n e n P r i n z i p der reflektierenden Urteilskraft für das Naturganze (die Welt) annehmen, eine große und sogar allgemeine Verbindung der mechanischen Gesetze mit den teleologischen in den Erzeugungen der Natur denken, ohne die Prinzipien der Beurteilung derselben zu verwechseln und eines an die Stelle des andern zu setzen; weil in einer teleologischen Beurteilung die Materie, selbst, wenn die Form, welche sie annimmt, nur als nach Absicht möglich beurteilt wird, doch, ihrer Natur nach, mechanischen Gesetzen gemäß, jenem vorgestellten Zwecke auch zum Mittel unterge362 ordnet sein | kann: wiewohl, da der Grund dieser Vereinbarkeit in demjenigen liegt14, was weder das eine noch das andere (weder Mechanism, noch Zweckverbindung), sondern das übersinnliche Substrat der Natur ist, von dem wir nichts erkennen, für unsere (die menschliche) Vernunft beide Vorstellungsarten der Möglichkeit solcher Objekte nicht zusammenzuschmelzen sind, sondern wir sie nicht anders, als nach der Verknüpfung der Endursachen, auf einem obersten Verstande gegründet beurteilen können, wodurch also der teleologischen Erklärungsart nichts benommen wird. Weil nun aber ganz unbestimmt, und für unsere Vernunft auch auf immer unbestimmbar ist, wieviel der Mechanism der 415 Natur als Mittel zu || jeder Endabsicht in derselben tue; und, wegen des oberwähnten intelligibelen Prinzips der Möglichkeit einer Natur überhaupt, gar angenommen werden kann, daß sie durchgängig nach beiderlei allgemein zusammenstimmenden Gesetzen (den physischen und den der Endursachen) möglich sei, wiewohl wir die Art, wie dieses zugehe, gar nicht einsehen können: so wissen wir auch nicht, wie weit die für uns mögliche mechanische Erklärungsart gehe, sondern nur so viel gewiß: daß, so weit wir nur immer darin kommen mögen, sie doch allemal für Dinge, die wir einmal als Naturzwecke anerkennen, unzureichend sei15, und wir also, nach der Beschaffenheit unse363 res Ver|standes, jene Gründe insgesamt einem teleologischen Prinzip unterordnen müssen. Hierauf gründet sich nun die Befugnis, und, wegen der Wichtigkeit, welche das Naturstudium nach dem Prinzip des Mechanisms für unsern theoretischen Vernunftgebrauch hat,

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come un p r i n c i p i o u n i v e r s a l e della forza riflettente di giudizio per la totalità della natura (il mondo), si può pensare un grande e addirittura universale collegamento delle leggi meccaniche con quelle teleologiche nelle generazioni della natura, senza scambiare i principi della valutazione di queste generazioni e senza mettere l’uno al posto dell’altro; infatti, in una valutazione teleologica, la materia, anche se la forma che essa assume viene valutata come possibile soltanto secondo un’intenzione, può tuttavia, secondo la sua natura conforme a leggi meccaniche, essere subordinata anche come mezzo a quel fine rappresentato: per quanto, dato che il fondamento 362 di questa unificabilità sta in ciò che non è né una cosa né l’altra (né meccanismo né nesso finale), ma in ciò che costituisce invece il sostrato soprasensibile della natura, del quale non conosciamo nulla, le due specie rappresentative della possibilità di tali oggetti non devono, per la nostra ragione (la ragione umana), essere confusi, bensì noi non possiamo che valutarli come fondati, secondo la connessione delle cause finali, in un intelletto supremo – per cui dunque non si toglie nulla al modo di spiegazione teleologico. Ora, poiché è però del tutto indeterminato, e per la nostra ragione anche per sempre indeterminabile, quanto operi il meccanismo della natura come mezzo in vista di ogni intento 415 finale della natura stessa; e siccome poi, per il principio intelligibile menzionato in precedenza, della possibilità di una natura in generale, si può di fatto assumere che essa sia completamente possibile secondo entrambi i tipi di leggi universalmente armonizzate (le leggi delle cause fisiche e di quelle finali), sebbene noi non possiamo proprio comprendere come ciò avvenga, di conseguenza non sappiamo nemmeno fin dove arrivi il modo di spiegazione meccanico per noi possibile, ma soltanto una cosa è certa: per quanto lontano possiamo sempre arrivare in questo modo di spiegazione, esso sarà tuttavia sempre insufficiente per le cose che noi riconosciamo come fini naturali e dunque dobbiamo, secondo la costituzione del nostro intelletto, subordinare quei fonda- 363 menti, presi complessivamente, a un principio teleologico. Ora, è su ciò che si fondano l’autorizzazione e, data l’importanza che ha lo studio della natura secondo il principio del meccanismo per il nostro uso teoretico della ragione,

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auch der Beruf: alle Produkte und Ereignisse der Natur, selbst die zweckmäßigsten, so weit mechanisch zu erklären, als es immer in unserm Vermögen (dessen Schranken wir innerhalb dieser Untersuchungsart nicht angeben können) steht, dabei aber niemals aus den Augen zu verlieren, daß wir die, welche wir allein unter dem Begriffe vom Zwecke der Vernunft zur Untersuchung selbst auch nur aufstellen können, der wesentlichen Beschaffenheit unserer Vernunft gemäß, jene mechanischen Ursachen ungeachtet, doch zuletzt der Kausalität nach Zwecken unterordnen müssen. | ||

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anche la vocazione a spiegare meccanicamente tutti i prodotti e gli eventi della natura, anche quelli più conformi al fine, tanto quanto sta in nostro potere (di cui non possiamo indicare i confini all’interno di questo tipo di indagine), ma dobbiamo farlo senza perdere mai di vista che le cose che non possiamo neanche sottoporre a indagine se non sotto al concetto di fine della ragione devono alla fine subordinarsi, conformemente alla costituzione essenziale della nostra ragione, e malgrado quelle cause meccaniche, alla causalità secondo fini.

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Anhang1 Methodenlehre der teleologischen Urteilskraft

§ 79 Ob die Teleologie, als zur Naturlehre gehörend, abgehandelt werden müsse Eine jede Wissenschaft muß in der Enzyklopädie aller Wissenschaften ihre bestimmte Stelle haben. Ist es eine philosophische Wissenschaft, so muß ihr ihre Stelle in dem theoretischen oder praktischen Teil derselben, und, hat sie ihren Platz im ersteren, entweder in der Naturlehre, so fern sie das, was Gegenstand der Erfahrung sein kann, erwägt (folglich der Körperlehre, der Seelenlehre, und allgemeinen Weltwissenschaft), oder in der Gotteslehre (von dem Urgrunde der Welt als Inbegriff aller Gegenstände der Erfahrung) angewiesen werden. Nun fragt sich: welche Stelle gebührt der Teleologie? Gehört sie zur (eigentlich sogenannten) Naturwissenschaft, oder zur Theologie? Eins von beiden muß sein; denn zum Übergange aus einer in die andere kann gar keine Wissenschaft gehören, weil dieser nur die Artikulation oder Organisation des Systems und keinen Platz in demselben bedeutet. | 365 Daß sie in die Theologie als ein Teil derselben nicht gehöre, ob gleich in derselben von ihr der wichtigste Gebrauch gemacht werden kann, ist für sich selbst klar. Denn sie hat Naturerzeugungen und die Ursache derselben zu ihrem Gegenstande; und, ob sie gleich auf die letztere, als einen außer und über die Natur belegenen Grund (göttlichen Urheber), hinausweiset, so tut sie dieses doch nicht für die bestimmende, sondern nur (um die Beurteilung der Dinge in der Welt durch eine solche Idee, dem menschlichen Verstande angemessen, als regulatives Prinzip zu leiten) bloß für die reflektierende Urteilskraft in der Naturbetrachtung. ||

APPENDICE

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DOTTRINA DEL METODO DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO § 79 SE LA TELEOLOGIA DEBBA ESSERE TRATTATA COME APPARTENENTE ALLA DOTTRINA DELLA NATURA

Ogni scienza deve avere il suo posto determinato nell’enciclopedia di tutte le scienze. Se è una scienza filosofica, deve esserle assegnato il suo posto nella parte teoretica o nella parte pratica di questa scienza, e se essa ha il suo posto nella prima, questo posto deve esserle assegnato o nella dottrina della natura, in quanto essa esamina ciò che può essere oggetto dell’esperienza (oggetto della dottrina dei corpi, della dottrina dell’anima e della scienza generale del mondo), oppure nella dottrina di Dio (del fondamento originario del mondo come insieme di tutti gli oggetti dell’esperienza). La domanda è ora la seguente: quale posto spetta alla teleologia? Appartiene alla scienza della natura (propriamente detta) o alla teologia? A una delle due deve competere, perché al passaggio dall’una all’altra non può appartenere alcuna scienza, in quanto questo passaggio designa solamente l’articolazione o l’organizzazione del sistema e non un posto in esso. È di per sé chiaro che la teleologia non appartiene alla 365 teologia come una sua parte, sebbene l’uso più importante possa esserne fatto proprio in essa. Infatti la teleologia ha per oggetto proprio le generazioni della natura e la loro causa; e benché mostri questa causa come un fondamento situato fuori e oltre la natura (un autore divino), lo fa tuttavia non per la forza determinante di giudizio, ma soltanto per la forza riflettente di giudizio nella considerazione della natura (per guidare come principio regolativo la valutazione delle cose nel mondo mediante una tale idea adeguata all’intelletto umano).

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

Eben so wenig scheint sie aber auch in die Naturwissenschaft zu gehören, welche bestimmender und nicht bloß reflektierender Prinzipien bedarf, um von Naturwirkungen objektive Gründe anzugeben. In der Tat ist auch für die Theorie der Natur, oder die mechanische Erklärung der Phänomene derselben, durch ihre wirkenden Ursachen, dadurch nichts gewonnen, daß man sie nach dem Verhältnisse der Zwecke zu einander betrachtet. Die Aufstellung der Zwecke der Natur an ihren Produkten, so fern sie ein System nach teleologischen Begriffen ausmachen, ist eigentlich nur zur Naturbeschreibung gehörig, welche nach einem besondern Leitfaden abgefasset ist: wo die Vernunft zwar ein herrliches unterrichtendes und praktisch in mancherlei Absicht zweckmäßiges Geschäft verrichtet, aber 366 über das Entstehen und die in|nere Möglichkeit dieser Formen gar keinen Aufschluß gibt, worum es doch der theoretischen Naturwissenschaft eigentlich zu tun ist. Die Teleologie, als Wissenschaft, gehört also zu gar keiner Doktrin, sondern nur zur Kritik, und zwar eines besondern Erkenntnisvermögens, nämlich der Urteilskraft. Aber, so fern sie Prinzipien a priori enthält, kann und muß sie die Methode, wie über die Natur nach dem Prinzip der Endursachen geurteilt werden müsse, angeben; und so hat ihre Methodenlehre wenigstens negativen Einfluß auf das Verfahren in der theoretischen Naturwissenschaft, und auch auf das Verhältnis, welches diese in der Metaphysik zur Theologie, als Propädeutik derselben, haben kann. 417

§ 80 Von der notwendigen Unterordnung des Prinzips des Mechanisms unter dem teleologischen in Erklärung eines Dinges als Naturzwecks Die B e f u g n i s , auf eine bloß mechanische Erklärungsart aller Naturprodukte a u s z u g e h e n , ist an sich ganz unbeschränkt; aber das Ve r m ö g e n , damit allein a u s z u l a n g e n , ist, nach der Beschaffenheit unseres Verstandes, sofern er es mit Dingen als Naturzwecken zu tun hat, nicht allein sehr be367 schränkt, sondern auch | deutlich begrenzt: nämlich so, daß,

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 80

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Ma altrettanto poco essa sembra anche appartenere alla 417 scienza della natura, la quale ha bisogno di principi determinanti e non semplicemente riflettenti, per addurre fondamenti oggettivi degli effetti della natura. Di fatto, anche per la teoria della natura, o per la spiegazione meccanica dei suoi fenomeni effettuata mediante le sue cause efficienti, non si guadagna nulla considerandoli secondo il rapporto reciproco dei fini. Porre i fini della natura nei suoi prodotti, nella misura in cui essi costituiscono un sistema strutturato secondo concetti teleologici, appartiene propriamente soltanto alla descrizione della natura la quale è svolta secondo un filo conduttore particolare: dove la ragione esegue sì un compito grandioso, istruttivo e, per diversi aspetti, dotata di conformità al fine con un intento pratico, ma essa non fornisce assolutamente alcuna delucidazione sulla genesi e sulla possibilità interna di queste forme, cosa che inve- 366 ce riguarda propriamente la scienza teoretica della natura. La teleologia come scienza non appartiene dunque ad alcuna dottrina, ma solo alla critica e più precisamente alla critica di una facoltà conoscitiva particolare, cioè la forza di giudizio. Ma, nella misura in cui essa contiene principi a priori, può e deve indicare il metodo secondo il quale si deve giudicare della natura secondo il principio delle cause finali; e in tal senso la sua dottrina del metodo ha almeno un influsso negativo sul procedimento adottato nella scienza teoretica della natura e anche sul rapporto che questa può avere nella metafisica con la teologia, in quanto propedeutica di quest’ultima.

§ 80 DELLA NECESSARIA SUBORDINAZIONE DEL PRINCIPIO DEL MECCANISMO A QUELLO TELEOLOGICO NELLA SPIEGAZIONE DI UNA COSA COME FINE NATURALE

Il d i r i t t o di a n d a r e i n c e r c a di un modo di spiegazione semplicemente meccanico di tutti i prodotti della natura è in sé totalmente illimitato; ma la c a p a c i t à di a r r i v a r c i soltanto in quel modo è, per la costituzione del nostro intelletto in quanto ha a che fare con cose considerate come fini naturali, non soltanto assai limitata, ma anche distinta- 367 mente delimitata: di modo che, secondo un principio della

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

nach einem Prinzip der Urteilskraft, durch das erstere Verfahren allein zur Erklärung der letzteren gar nichts ausgerichtet werden könne, mithin die Beurteilung solcher Produkte jederzeit von uns zugleich einem teleologischen Prinzip untergeordnet werden müsse. || 418 Es ist daher vernünftig, ja verdienstlich, dem Naturmechanism, zum Behuf einer Erklärung der Naturprodukte, soweit nachzugehen, als es mit Wahrscheinlichkeit geschehen kann, ja diesen Versuch nicht darum aufzugeben, weil es an sich unmöglich sei, auf seinem Wege mit der Zweckmäßigkeit der Natur zusammenzutreffen, sondern nur darum, weil es für uns als Menschen unmöglich ist; indem dazu eine andere als sinnliche Anschauung und ein bestimmtes Erkenntnis des intelligibelen Substrats der Natur, woraus selbst von dem Mechanism der Erscheinungen nach besondern Gesetzen Grund angegeben werden könne, erforderlich sein würde, welches alles unser Vermögen gänzlich übersteigt. Damit also der Naturforscher nicht auf reinen Verlust arbeite, so muß er in Beurteilung der Dinge, deren Begriff als Naturzwecke unbezweifelt gegründet ist (organisierter Wesen), immer irgend eine ursprüngliche Organisation zum Grunde legen, welche jenen Mechanism selbst benutzt, um andere organisierte Formen hervorzubringen, oder die seinige zu neuen Gestalten 368 (die | doch aber immer aus jenem Zwecke und ihm gemäß erfolgen) zu entwickeln. Es ist rühmlich, vermittelst einer komparativen Anatomie die große Schöpfung organisierter Naturen durchzugehen, um zu sehen: ob sich daran nicht etwas einem System Ähnliches, und zwar dem Erzeugungsprinzip nach, vorfinde; ohne daß wir nötig haben, beim bloßen Beurteilungsprinzip (welches für die Einsicht ihrer Erzeugung keinen Aufschluß gibt) stehen zu bleiben, und mutlos allen Anspruch auf N a t u r e i n s i c h t in diesem Felde aufzugeben. Die Übereinkunft so vieler Tiergattungen in einem gewissen gemeinsamen Schema, das nicht allein in ihrem Knochenbau, sondern auch in der Anordnung der übrigen Teile zum Grunde zu liegen scheint, wo bewundrungswürdige Einfalt des Grundrisses durch Verkürzung einer und Verlängerung anderer, durch Einwickelung dieser und Auswickelung jener Teile, eine so große Mannigfaltigkeit von Spezies hat hervorbringen können, läßt einen obgleich schwachen Strahl von Hoffnung in das Gemüt fallen, daß hier wohl etwas mit

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 80

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forza di giudizio, non può proprio essere conseguito nulla, mediante il primo procedimento da solo, per spiegare quelle cose e di conseguenza la valutazione di tali prodotti deve sempre essere da noi subordinata nello stesso tempo a un principio teleologico. È perciò ragionevole, anzi meritorio, in vista di una spiega- 418 zione dei prodotti della natura, seguire il meccanismo naturale fin dove ciò può avvenire con verosimiglianza, anzi non rinunciare a questo tentativo perché sarebbe in sé impossibile incontrare sul suo cammino la conformità della natura al fine, ma soltanto perché è impossibile per noi in quanto uomini; sarebbe richiesta infatti per questo un’altra intuizione, diversa da quella sensibile, e una conoscenza determinata del sostrato intelligibile della natura a partire dal quale possa essere addotto un fondamento anche del meccanismo dei fenomeni secondo leggi particolari, cosa che supera del tutto ogni nostra capacità. Nella valutazione delle cose, il cui concetto come fini naturali è indubitabilmente fondato (gli esseri organizzati), il naturalista, per non lavorare in pura perdita, deve dunque sempre porre a fondamento una qualche organizzazione originaria che adopera quello stesso meccanismo per produrre altre forme organizzate oppure per sviluppare le proprie in nuove configurazioni (che però conseguono sempre tuttavia 368 da quel fine e conformemente a esso). È lodevole percorrere, per mezzo di un’anatomia comparata, la grande creazione di nature organizzate per vedere se non vi si trovi qualcosa che assomigli a un sistema, e precisamente secondo il principio della generazione, senza che per noi sia proprio necessario attenersi al semplice principio della valutazione (il quale non apporta alcun chiarimento per la comprensione della loro generazione) e rinunciare scoraggiati a una c o m p r e n s i o n e d e l l a n a t u r a in questo campo. La convergenza di così tante specie animali in un certo schema comune che sembra stare a fondamento non solo della loro struttura ossea, ma anche dell’ordinamento delle altre parti, in cui una semplicità ammirevole del disegno fondamentale ha potuto produrre, accorciando una parte e allungandone altre, riducendo queste e sviluppando quelle, una così grande varietà di specie, fa cadere nell’animo un sia pur debole raggio di speranza che qui si possa ben conseguire

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dem Prinzip des Mechanismus der Natur, ohne welches es überhaupt keine1 Naturwissenschaft geben kann, auszurichten sein möchte. Diese Analogie der Formen, sofern sie bei aller Verschiedenheit einem gemeinschaftlichen Urbilde gemäß erzeugt zu sein scheinen, verstärkt die Vermutung einer wirklichen Verwandtschaft derselben in der Erzeugung von einer gemein|schaftlichen Urmutter, durch die stufenartige Annäherung einer Tier||gattung zur andern, von derjenigen an, in welcher das Prinzip der Zwecke am meisten bewährt zu sein scheint, nämlich dem Menschen, bis zum Polyp, von diesem so gar bis zu Moosen und Flechten, und endlich zu der niedrigsten uns merklichen Stufe der Natur, zur rohen Materie: aus welcher und ihren Kräften, nach mechanischen Gesetzen (gleich denen, wornach2 sie in Kristallerzeugungen wirkt), die ganze Technik der Natur, die uns in organisierten Wesen so unbegreiflich ist, daß wir uns dazu ein anderes Prinzip zu denken genötigt glauben, abzustammen scheint. Hier steht es nun dem A r c h ä o l o g e n der Natur frei, aus den übriggebliebenen Spuren ihrer ältesten Revolutionen, nach allem ihm bekannten oder gemutmaßten Mechanism derselben, jene große Familie von Geschöpfen (denn so müßte man3 sie sich vorstellen, wenn die genannte durchgängig zusammenhangende Verwandtschaft einen Grund haben soll) entspringen zu lassen. Er kann den Mutterschoß der Erde, die eben aus ihrem chaotischen Zustande herausging (gleichsam als ein großes Tier), anfänglich Geschöpfe von minder-zweckmäßiger Form, diese wiederum andere, welche angemessener ihrem Zeugungsplatze und ihrem Verhältnisse unter einander sich ausbildeten, gebären lassen; bis diese Gebärmutter selbst, erstarrt, sich verknöchert, ihre Geburten auf bestimmte fernerhin nicht ausartende Spezies | eingeschränkt hätte, und die Mannigfaltigkeit so bliebe, wie sie am Ende der Operation jener fruchtbaren Bildungskraft ausgefallen war. — Allein er muß gleichwohl zu dem Ende dieser allgemeinen Mutter eine auf alle diese Geschöpfe zweckmäßig gestellte Organisation beilegen, widrigenfalls die Zweckform der Produkte des Tier- und Pflanzenreichs ihrer Möglichkeit nach gar nicht zu denken ist*. Alsdann || aber hat er * Eine Hypothese von solcher Art kann man ein gewagtes Abenteuer der Vernunft nennen; und es mögen wenige, selbst von den scharfsinnig-

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 80

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qualche risultato con il principio del meccanismo della natura senza il quale non può esserci in generale alcuna scienza della natura. Questa analogia delle forme, nella misura in cui, nonostante tutte le diversità, queste sembrano essere generate conformemente a un archetipo originario comune, rafforza la supposizione di una loro affinità reale nella generazione di una originaria madre comune, mediante il graduale avvicinamento di un genere animale all’altro, a partire da quello in cui il principio dei fini sembra essersi maggiormente affermato, cioè dall’uomo fino al polipo e da questo ancora fino ai muschi e ai licheni e infine al più basso gradino osservabile nella natura, la materia bruta: da essa e dalle sue forze sembra discendere, secondo leggi meccaniche (come quelle secondo cui essa opera nelle generazioni cristalline), l’intera tecnica della natura, la quale negli esseri organizzati ci è talmente incomprensibile che ci crediamo costretti a pensare in questo caso a un altro principio. Qui all’ a r c h e o l o g o della natura è allora consentito di far sorgere, a partire dalle tracce rimaste delle più antiche rivoluzioni della natura, secondo ogni suo meccanismo a lui noto o da lui supposto, quella grande famiglia di creature (perché è così che le si dovrebbe rappresentare, se la suddetta affinità coerentemente connessa deve avere un fondamento). Egli può far partorire al grembo materno della terra, appena uscita dal suo stato di caos (quasi come un grande animale), inizialmente creature di forma meno conforme al fine, e da queste a loro volta altre sviluppatesi in modo più adeguato al loro luogo di generazione e al loro rapporto reciproco; finché questo stesso utero, irrigidito, si sarebbe ossificato, avrebbe limitato i suoi nati a specie determinate, non esposte da quel momento a una ulteriore degenerazione, e la varietà sarebbe rimasta tale quale era risultata alla fine dell’operazione di quella feconda forza formativa. — Ma l’archeologo della natura deve tuttavia a tale scopo attribuire a questa madre universale un’organizzazione orientata in maniera conforme al fine a tutte queste creature, dato che, in caso contrario, la forma finale dei prodotti del regno animale e vegetale non può affatto essere pensata nella sua possibilità*. Ma allora egli non ha * Un’ipotesi di questo tipo si può chiamare un’audace avventura della ragione111; e saranno pochi i naturalisti, anche tra quelli più acuti,

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den Erklärungsgrund nur weiter aufgeschoben, und kann sich | anmaßen, die Erzeugung jener zweien Reiche von der Bedingung der Endursachen unabhängig gemacht zu haben. Selbst, was die Veränderung betrifft, welcher gewisse5 Individuen der organisierten Gattungen zufälligerweise unterworfen werden, wenn man findet, daß ihr so abgeänderter Charakter erblich und in die Zeugungskraft aufgenommen wird, so6 kann sie7 nicht füglich anders als8 gelegentliche Entwickelung einer in der Spezies ursprünglich vorhandenen zweckmäßigen Anlage, zur Selbsterhaltung der Art, beurteilt werden; weil das Zeugen seines gleichen, bei der durchgängigen inneren Zweckmäßigkeit eines organisierten Wesens, mit der Bedingung, nichts in die Zeugungskraft aufzunehmen, was nicht auch in einem solchen System von Zwecken zu einer der unentwickelten ursprünglichen Anlagen gehört, so nahe verbunden ist. Denn, wenn man von diesem Prinzip abgeht, so kann man mit Sicherheit nicht wissen, ob nicht mehrere Stücke der jetzt an einer Spezies anzutreffenden Form eben so zufälligen zwecklosen Ursprungs sein mögen; und das Prinzip der Teleologie: in einem organisierten Wesen nichts von dem, was sich in der Fortpflanzung desselben erhält, als unzweckmäßig zu beurteilen, müßte dadurch in der Anwendung sehr unzuverlässig werden, und lediglich für den Urstamm (den wir aber nicht mehr kennen) gültig sein. |

371 nicht

sten Naturforschern, sein, denen es nicht bisweilen durch den Kopf gegangen wäre. Denn ungereimt ist es eben nicht, wie die generatio aequivoca, worunter man die Erzeugung eines organisierten Wesens durch die Mechanik der rohen unorganisierten Materie versteht. Sie wäre immer noch generatio univoca in der allgemeinsten Bedeutung des Worts, so fern nur etwas Organisches aus einem andern Organischen, ob zwar unter dieser Art Wesen spezifisch von ihm unterschiedenen, erzeugt würde4; z. B. wenn gewisse Wassertiere sich nach und nach zu Sumpftieren, und aus diesen, nach einigen Zeugungen, zu Landtieren ausbildeten. A priori, im Urteile der bloßen Vernunft, widerstreitet sich das nicht. Allein die Erfahrung zeigt davon kein Beispiel; nach der vielmehr alle Zeugung, die wir kennen, generatio homonyma ist, nicht bloß univoca, im Gegensatz mit der Zeu420 gung aus unorganisiertem Stoffe, sondern auch || ein in der Organisation selbst mit dem Erzeugenden gleichartiges Produkt hervorbringt, und die generatio heteronyma, so weit unsere Erfahrungskenntnis der Natur reicht, nirgend angetroffen wird.

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 80

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fatto altro che spostare più in là il principio di spiegazione, e non può pretendere di aver reso la generazione di quei due 371 regni indipendente dalla condizione delle cause finali. Anche per quel che concerne il mutamento a cui sono contingentemente soggetti certi individui dei generi organizzati, esso non può essere valutato convenientemente, quando si trova che il loro carattere così mutato diventa ereditario e viene assunto nella forza generatrice, se non come uno sviluppo occasionale di una disposizione conforme al fine originariamente presente nella specie, per la sua autoconservazione; infatti, la generazione del proprio simile, data la completa conformità interna al fine di un essere organizzato, è saldamente collegata alla condizione di non assumere nella forza generatrice nulla che non appartenga anche, in un tale sistema di fini, a una delle disposizioni originarie non sviluppate. Poiché, se si devia da questo principio, non è possibile sapere con certezza se parecchi elementi della forma ora riscontrabile in una specie non possano essere di origine altrettanto contingente, priva di un fine; e il principio della teleologia secondo cui in un essere organizzato nulla di ciò che si conserva nella sua riproduzione va valutato come privo di conformità al fine, dovrebbe diventare allora assai inaffidabile nell’applicazione e inevitabilmente varrebbe esclusivamente per il ceppo originario (che noi però non conosciamo più). ai quali non sia qualche volta passata per la testa. Infatti assurda proprio non è, come nel caso della generatio aequivoca, con la quale si intende la generazione di un essere organizzato mediante la meccanica della materia bruta non organizzata. Sarebbe pur sempre generatio univoca nel significato più generale del termine, nella misura in cui sarebbe generato soltanto qualcosa di organico a partire da qualcos’altro di organico, anche se, tra gli esseri di questa specie, si tratta di uno specificamente diverso da quello: per esempio, se certi animali acquatici si sviluppassero a poco a poco in animali palustri e da questi, dopo alcune generazioni, in animali terrestri. A priori, nel giudizio della semplice ragione, la cosa non è in contraddizione. Solo che l’esperienza non ne mostra alcun esempio; piuttosto, secondo l’esperienza, ogni generazione che conosciamo è generatio homonyma, non solo è univoca, in opposizione alla generazione a partire da una materia non organizzata, bensì essa realizza anche un prodotto della medesima specie, nella organizzazione stessa 420 del generante, e la generatio heteronyma, fin dove giunge la nostra conoscenza d’esperienza della natura, non si riscontra da nessuna parte.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

H u m e macht wider diejenigen, welche für alle solche Naturzwecke ein teleologisches Prinzip der Beurteilung, d. i. einen architektonischen Verstand anzunehmen nötig finden, die Einwendung: daß man mit eben dem Rechte fragen könnte, wie denn ein solcher Verstand möglich sei, d. i. wie die mancherlei Vermögen und Eigenschaften, welche die Möglichkeit eines Verstandes, der zugleich ausführende Macht hat, ausmachen, sich so zweckmäßig in einem Wesen haben zusammen finden können. Allein dieser Einwurf ist nichtig. Denn die ganze Schwierigkeit, welche die Frage wegen der ersten Erzeugung eines in sich selbst Zwecke enthaltenden und durch sie allein begreiflichen Dinges umgibt, beruht auf der Nachfrage nach Einheit des Grundes der Verbindung des Mannigfaltigen a u ß e r e i n a n d e r in diesem Produkte; da denn, wenn dieser 421 Grund in || dem Verstande einer hervorbringenden Ursache als einfacher Substanz gesetzt wird, jene Frage, sofern sie teleologisch ist, hinreichend beantwortet wird, wenn aber die Ursache bloß in der Materie, als einem Aggregat vieler Substanzen außer einander9, gesucht wird, die Einheit des Prinzips für die innerlich zweckmäßige Form ihrer Bildung gänzlich ermangelt; und die A u t o k r a t i e der Materie in Erzeugungen, welche von unserm Verstande nur als Zwecke begriffen werden können, ist ein Wort ohne Bedeutung. Daher kommt es, daß diejenigen, welche für die objektiv373 zweckmäßigen Formen der Materie einen ober|sten Grund der Möglichkeit derselben suchen, ohne ihm eben einen Verstand zuzugestehen, das Weltganze doch gern zu einer einigen allbefassenden Substanz (Pantheism), oder (welches nur eine bestimmtere Erklärung des Vorigen ist) zu einem Inbegriffe vieler einer einigen e i n f a c h e n S u b s t a n z inhärierenden Bestimmungen (Spinozism), machen, bloß um jene Bedingung aller Zweckmäßigkeit, die E i n h e i t des Grundes, heraus zu bekommen; wobei sie zwar e i n e r Bedingung der Aufgabe, nämlich der Einheit in der Zweckbeziehung10, vermittelst des bloß ontologischen Begriffs einer einfachen Substanz, ein Genüge tun, aber für die a n d e r e Bedingung, nämlich das Verhältnis derselben zu ihrer Folge als Z w e c k , wodurch jener ontologische Grund für die Frage näher bestimmt werden soll, nichts anführen, mithin d i e g a n z e Frage keinesweges beant372

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 80

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Contro coloro che per tutti questi fini naturali trovano ne- 372 cessario assumere un principio teleologico della valutazione, cioè un intelletto architettonico, H u m e solleva la seguente obiezione112: con lo stesso diritto si potrebbe chiedere come sia allora possibile un simile intelletto, cioè come abbiano potuto trovarsi insieme in un essere, in modo così conforme al fine, le varie facoltà e proprietà che costituiscono la possibilità di un intelletto, dotato allo stesso tempo di una potenza esecutiva. Ma questa obiezione è nulla. Infatti, tutta la difficoltà che avvolge la questione relativa alla prima generazione di una cosa che contiene in sé dei fini e che è comprensibile soltanto per mezzo di tali fini si basa sulla richiesta di un’unità del fondamento che collega, in questo prodotto, una molteplicità di elementi e s t e r n i g l i u n i a g l i a l t r i ; se in effetti si pone questo fondamento nell’intelletto di una causa che produce in 421 quanto sostanza semplice, quella questione, in quanto è teleologica, riceve una risposta sufficiente, ma se, al contrario, la causa viene cercata semplicemente nella materia come un aggregato di molte sostanze esterne l’una all’altra manca del tutto l’unità del principio per la forma internamente conforme al fine della sua formazione; e l’ a u t o c r a z i a della materia, in generazioni che possono essere comprese dal nostro intelletto solamente come fini, è una parola priva di significato. È per questo che coloro i quali cercano per le forme della materia oggettivamente conformi al fine un fondamento su- 373 premo della loro possibilità, senza accordargli appunto un intelletto, fanno però volentieri del mondo una sostanza unica che comprende tutto (panteismo) oppure (cosa che è soltanto una spiegazione più determinata del caso precedente) ne fanno un insieme di molte determinazioni inerenti a un’unica s o s t a n z a s e m p l i c e (spinozismo), solo per ottenere quella condizione di ogni conformità al fine, l’ u n i t à del fondamento; in questo modo essi soddisfano sì a u n a condizione del problema, cioè quella dell’unità nel riferimento a fini, per mezzo del concetto puramente ontologico di una sostanza semplice, ma non apportano nulla per l’ a l t r a condizione, cioè per il rapporto della sostanza con la propria conseguenza in quanto f i n e , per cui quel fondamento ontologico deve essere determinato più da vicino riguardo tale questione, e dunque non danno assolutamente alcuna rispo-

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worten. Auch bleibt sie schlechterdings unbeantwortlich (für unsere Vernunft), wenn11 wir jenen Urgrund der Dinge nicht als einfache S u b s t a n z und dieser ihre Eigenschaft zu der spezifischen Beschaffenheit der auf sie sich gründenden Naturformen, nämlich der Zweckeinheit, nicht als einer12 intelligenten Substanz13, das Verhältnis aber derselben zu den letzteren (wegen der Zufälligkeit, die wir an allem finden, was14 wir uns nur als Zweck möglich denken) nicht als das Verhältnis einer K a u s a l i t ä t uns vorstellen. | 374

§ 81 Von der Beigesellung des Mechanismus, zum teleologischen Prinzip1 in der Erklärung eines Naturzwecks als Naturprodukts

Gleich wie der Mechanism der Natur nach dem vorhergehenden § allein nicht zulangen kann, um sich die Möglichkeit 422 eines organisierten || Wesens darnach zu denken, sondern (wenigstens nach der Beschaffenheit unsers Erkenntnisvermögens) einer absichtlich wirkenden Ursache ursprünglich untergeordnet werden muß: so langt eben so wenig der bloße teleologische Grund eines solchen Wesens hin2, es zugleich als ein Produkt der Natur zu betrachten und zu beurteilen, wenn nicht der Mechanism des letzteren3 dem ersteren beigesellt wird, gleichsam als das Werkzeug einer absichtlich wirkenden Ursache, deren Zwecke die Natur in ihren mechanischen Gesetzen gleichwohl untergeordnet ist. Die Möglichkeit einer solchen Vereinigung zweier ganz verschiedener Arten von Kausalität, der Natur in ihrer allgemeinen Gesetzmäßigkeit, mit einer Idee, welche jene auf eine besondere Form einschränkt, wozu sie für sich gar keinen Grund enthält, begreift unsere Vernunft nicht; sie liegt im übersinnlichen Substrat der Natur, wovon wir nichts bejahend bestimmen können, als daß es das Wesen an sich sei, von welchem wir bloß die Erscheinung kennen. Aber das 375 Prinzip: alles, was wir als zu dieser Natur | (phaenomenon) gehörig und als Produkt derselben annehmen, auch nach mechanischen Gesetzen mit ihr verknüpft denken zu müssen, bleibt

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 81

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sta al l ’ i n t e r a questione. Inoltre la questione resta assolutamente insoluta (per la nostra ragione) se ci rappresentiamo quel fondamento originario delle cose non in quanto s o s t a n z a semplice, e la proprietà che esso deve avere per la costituzione specifica delle forme naturali che su essa si fondano, cioè l’unità finale, non come quella di una sostanza intelligente, né se ci rappresentiamo il rapporto tra la sostanza e tali forme (per la contingenza che troviamo in tutto ciò che pensiamo come possibile unicamente in quanto fine) come il rapporto di una c a u s a l i t à .

§ 81 DELL’ASSOCIAZIONE DEL MECCANISMO

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AL PRINCIPIO TELEOLOGICO NELLA SPIEGAZIONE DI UN FINE NATURALE COME PRODOTTO NATURALE

Così come il meccanismo della natura, secondo il paragrafo precedente, non può bastare da solo per pensare, grazie a esso, alla possibilità di un essere organizzato, bensì (almeno 422 per la costituzione della nostra facoltà conoscitiva) deve essere originariamente subordinato a una causa che agisce intenzionalmente, altrettanto poco il semplice fondamento teleologico di un tale essere basta per considerarlo e valutarlo al contempo come un prodotto della natura, se il meccanismo della natura non è associato a quell’essere, quasi come lo strumento di una causa che agisce intenzionalmente ai fini della quale la natura nelle sue leggi meccaniche è comunque subordinata. La possibilità di una simile unificazione di due specie totalmente diverse di causalità, quella della natura, nella sua universale conformità alla legge, con un’idea che limita la natura a una forma particolare, per la quale essa non contiene di per sé assolutamente alcun fondamento, non viene compresa dalla nostra ragione; essa risiede nel sostrato soprasensibile della natura, di cui non possiamo determinare nulla in maniera affermativa se non che esso è l’essere in sé, del quale noi conosciamo solamente il fenomeno. Ma il principio secondo cui tutto ciò che assumiamo come appartenente a questa natura (phaenomenon) e come suo prodotto deve essere 375 pensato anche come connesso a essa secondo leggi meccani-

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

nichts desto weniger in seiner Kraft; weil, ohne diese Art von Kausalität, organisierte Wesen, als Zwecke der Natur, doch keine Naturprodukte sein würden. Wenn nun das teleologische Prinzip der Erzeugung dieser Wesen angenommen wird (wie es denn nicht anders sein kann): so kann man entweder den O k k a s i o n a l i s m , oder den P r ä s t a b i l i s m der Ursache ihrer innerlich zweckmäßigen Form zum Grunde legen. Nach dem ersteren würde die oberste Weltursache, ihrer Idee gemäß, bei Gelegenheit einer jeden Begattung der in derselben sich mischenden Materie unmittelbar die organische Bildung geben; nach dem zweiten würde sie in die anfänglichen Produkte dieser ihrer Weisheit nur die Anlage gebracht haben, vermittelst deren ein organisches Wesen seines Gleichen hervorbringt und die Spezies sich selbst beständig erhält, imgleichen der Abgang der Individuen durch ihre zugleich an ihrer Zerstörung arbeitende Natur kontinuierlich ersetzt wird. Wenn man den Okkasionalism der Hervorbringung organisierter Wesen annimmt, so geht alle Natur hiebei gänzlich verloren, mit ihr auch aller Vernunftgebrauch, über die Möglichkeit einer solchen Art Produkte zu urteilen; daher man voraussetzen kann, daß niemand dieses System annehmen wird, dem es irgend um Philosophie zu tun ist. | 376 Der P r ä s t a b i l i s m kann nun wiederum auf zwiefache Art verfahren. Er betrachtet nämlich ein jedes von seines Gleichen 423 gezeugte organi||sche Wesen entweder als das E d u k t , oder als das P r o d u k t des ersteren. Das System der Zeugungen als bloßer Edukte heißt das der i n d i v i d u e l l e n P r ä f o r m a t i o n , oder auch die E v o l u t i o n s t h e o r i e ; das der Zeugungen als Produkte wird das System der E p i g e n e s i s genannt. Dieses letztere kann auch System4 d e r g e n e r i s c h e n P r ä f o r m a t i o n genannt werden; weil das produktive Vermögen der Zeugenden doch nach den inneren zweckmäßigen Anlagen, die ihrem Stamme zu Teil wurden, also die spezifische Form virtualiter präformiert war. Diesem gemäß würde man die entgegenstehende Theorie der individuellen Präformation auch besser I n v o l u t i o n s t h e o r i e (oder die der Einschachtelung) nennen können. Die Verfechter der E v o l u t i o n s t h e o r i e , welche jedes Individuum von der bildenden Kraft der Natur ausnehmen, um

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 81

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che mantiene comunque la sua forza, perché senza questa specie di causalità gli esseri organizzati, in quanto fini della natura, non sarebbero affatto prodotti naturali. Ora, se il principio teleologico della produzione di questi esseri viene ammesso (come infatti non può essere altrimenti), allora si può porre a fondamento della causa della loro forma internamente conforme al fine o l’ o c c a s i o n a l i s m o o il p r e s t a b i l i s m o . Secondo il primo la causa suprema del mondo, in occasione di ogni fecondazione, fornirebbe immediatamente, in conformità alla sua idea, la conformazione organica alla materia che si trova mescolata alla fecondazione; in base al secondo, tale causa suprema avrebbe messo nei prodotti iniziali di questa sua saggezza soltanto la predisposizione per mezzo della quale un essere organico produce il suo simile e la specie si conserva stabilmente, cosicché la scomparsa degli individui è continuamente compensata da quella natura che nello stesso tempo lavora alla loro distruzione. Se si assume l’occasionalismo della produzione di esseri organizzati, è ogni natura nella sua interezza che qui va perduta e con essa anche ogni uso della ragione consistente nel giudicare la possibilità di una tale specie di prodotti; pertanto si può supporre che nessuno che abbia qualche interesse per la filosofia assumerà questo sistema. Ora, il p r e s t a b i l i s m o può procedere a sua volta in 376 duplice modo. Infatti, esso considera ogni essere organico generato dal proprio simile o come l’ e d o t t o o come il p r o - 423 d o t t o di questo. Il sistema delle generazioni in quanto semplici edotti è chiamato sistema della p r e f o r m a z i o n e i n d i v i d u a l e o anche t e o r i a d e l l ’ e v o l u z i o n e ; il sistema delle generazioni come prodotti è detto sistema dell’ e p i g e n e s i . Quest’ultimo sistema può anche essere chiamato sistema del l a p r e f o r m a z i o n e g e n e r i c a , dato che la facoltà produttiva dei generanti, dunque la forma specifica, era in ogni caso virtualiter preformata secondo le predisposizioni interne conformi al fine che furono assegnate al loro ceppo. In conformità a questo si potrebbe anche meglio dare all’opposta teoria della preformazione individuale il nome di t e o r i a d e l l a i n v o l u z i o n e (o teoria dell’inscatolamento). I sostenitori113 della t e o r i a d e l l ’ e v o l u z i o n e , i quali sottraggono ogni individuo alla forza formativa della natura

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

es unmittelbar aus der Hand des Schöpfers kommen zu lassen, wollten5 es also doch nicht wagen, dieses nach der Hypothese des Okkasionalisms geschehen zu lassen, so daß die Begattung eine bloße Formalität wäre, unter der eine oberste verständige Weltursache beschlossen hätte, jedesmal eine Frucht mit unmittelbarer Hand zu bilden und der Mutter nur die Auswickelung 377 und Ernährung derselben zu überlassen. Sie | erklärten sich für die Präformation; gleich als wenn es nicht einerlei wäre, übernatürlicher Weise, im6 Anfange, oder im Fortlaufe der Welt, dergleichen Formen entstehen zu lassen, und nicht vielmehr eine große Menge übernatürlicher Anstalten durch gelegentliche Schöpfung erspart würde7, welche erforderlich wären8, damit der im Anfange der Welt gebildete Embryo die lange Zeit hindurch, bis zu seiner Entwickelung, nicht von den zerstörenden Kräften der Natur litte und sich unverletzt erhielte, imgleichen eine unermeßlich größere Zahl solcher vorgebildeten Wesen, als jemals entwickelt werden sollten, und mit ihnen eben so viel Schöpfungen dadurch unnötig und zwecklos gemacht würden9. Allein sie wollten doch wenigstens etwas hierin der Natur überlassen, um nicht gar in völlige Hyperphysik zu geraten, die aller Naturerklärung entbehren kann. Sie hielten zwar noch fest an ihrer Hyperphysik, selbst da sie an Mißgeburten (die man doch unmöglich für Zwecke der Natur halten kann) eine bewunderungswürdige Zweckmäßigkeit finden10, sollte sie auch nur darauf abgezielt sein, daß ein Anatomiker einmal daran, als einer zwecklosen Zweckmäßigkeit, Anstoß nehmen und niederschlagende Bewunderung fühlen sollte. Aber die Erzeugung der Bastarde konnten sie schlechterdings 424 nicht in das System der Präformation hinein||passen, sondern mußten dem Samen der männlichen Geschöpfe, dem sie übrigens nichts als die mechanische Eigenschaft, zum ersten Nah378 rungsmittel | des Embryo zu dienen, zugestanden hatten, doch noch obenein eine zweckmäßig bildende Kraft zugestehen: welche sie doch in Ansehung des ganzen Produkts einer Erzeugung von zweien Geschöpfen derselben Gattung keinem von beiden einräumen wollten. Wenn man dagegen an dem Verteidiger der E p i g e n e s i s den großen Vorzug, den er in Ansehung der Erfahrungsgründe zum Beweise seiner Theorie vor dem ersteren hat, gleich nicht kennete: so würde die Vernunft doch schon zum voraus für

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 81

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per farlo uscire direttamente dalla mano del creatore, non hanno tuttavia voluto arrischiarsi nel far accadere questo secondo l’ipotesi dell’occasionalismo, cosicché la fecondazione sarebbe una semplice formalità con la quale una suprema causa intelligente del mondo avrebbe deciso di formare un frutto ogni volta direttamente di sua mano e di lasciarne alla madre soltanto lo sviluppo e la nutrizione. Essi si sono di- 377 chiarati a favore della preformazione come se non fosse la stessa cosa far sorgere tali forme in maniera soprannaturale all’inizio o nel corso del mondo, e come se con la creazione occasionale non si sarebbe piuttosto risparmiata una grande quantità di dispositivi soprannaturali che sarebbero richiesti affinché l’embrione formato all’inizio del mondo non soffrisse delle forze distruttive della natura e si conservasse nella sua integrità durante tutto il lungo periodo precedente il suo sviluppo, e non si rendesse così inutile e privo di un fine un numero di tali esseri preformati, e con essi altrettante creazioni, incommensurabilmente più grande di quanti avrebbero mai dovuto svilupparsi. Ma essi in tal modo volevano almeno lasciare qualcosa alla natura, per non cadere in una completa iperfisica che può fare a meno di ogni spiegazione naturale. Certo, essi si tenevano ben saldi alla loro iperfisica trovando perfino nei mostri114 (che è comunque impossibile considerare fini della natura) una ammirevole conformità al fine, dovesse anche soltanto essere quella rivolta a far sì che accadesse un giorno a un anatomista di dover restare turbato per essi, in quanto sono una conformità al fine senza un fine, e di dover sentire una umiliante ammirazione. Essi però non hanno potuto in alcun modo includere la generazione degli ibridi nel sistema della preformazione, e invece hanno per di più dovu- 424 to concedere al seme delle creature maschili, al quale peraltro non avevano concesso nulla se non la proprietà meccanica di servire come primo nutrimento dell’embrione, una forza for- 378 mativa in maniera conforme al fine che essi non hanno voluto tuttavia, rispetto all’intero prodotto di una generazione di due creature dello stesso genere, accordare a nessuna delle due. Invece, se anche non si conoscesse il grande vantaggio che il difensore115 dell’ e p i g e n e s i possiede nei confronti dei sostenitori della teoria dell’evoluzione riguardo ai fondamenti di esperienza che servono da prova per la sua teoria, la ragio-

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

seine Erklärungsart mit vorzüglicher Gunst eingenommen sein, weil sie die Natur in Ansehung der Dinge, welche man ursprünglich nur nach der Kausalität der Zwecke sich als möglich vorstellen kann, doch wenigstens, was die Fortpflanzung betrifft, als selbst hervorbringend, nicht bloß als entwickelnd, betrachtet, und so doch mit dem kleinst-möglichen Aufwande des Übernatürlichen alles Folgende vom ersten Anfange an der Natur überläßt (ohne aber über diesen ersten Anfang, an dem die Physik überhaupt scheitert, sie mag es mit einer Kette der Ursachen versuchen, mit welcher sie wolle, etwas zu bestimmen). In Ansehung dieser Theorie der Epigenesis hat niemand mehr, so wohl zum Beweise derselben, als auch zur Gründung der echten Prinzipien ihrer Anwendung, zum Teil durch die Beschränkung eines zu vermessenen Gebrauchs derselben, geleistet, als Herr Hofr. B l u m e n b a c h . Von organisierter Ma379 terie hebt | er alle physische Erklärungsart dieser Bildungen an. Denn, daß rohe Materie sich nach mechanischen Gesetzen ursprünglich selbst gebildet habe, daß aus der Natur des Leblosen Leben habe entspringen, und Materie in die Form einer sich selbst erhaltenden Zweckmäßigkeit sich von selbst habe fügen können, erklärt er mit Recht für vernunftwidrig; läßt aber zugleich dem Naturmechanism unter diesem uns unerforschlichen P r i n z i p einer ursprünglichen O r g a n i s a t i o n einen unbestimmbaren, zugleich doch auch unverkennbaren Anteil, wozu das Vermögen der Materie (zum Unterschiede von der, ihr allgemein beiwohnenden, bloß mechanischen B i l d u n g s k r a f t ) von ihm in einem organisierten Körper ein (gleichsam unter der höheren Leitung und Anweisung der ersteren stehender) B i l d u n g s t r i e b genannt wird. || 425

§ 82 Von dem teleologischen System in den äussern Verhältnissen organisierter Wesen Unter der äußern Zweckmäßigkeit verstehe ich diejenige, da ein Ding der Natur einem andern als Mittel zum Zwecke dient. Nun können Dinge, die keine innere Zweckmäßigkeit haben, oder zu ihrer Möglichkeit voraussetzen, z. B. Erden, Luft,

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 82

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ne sarebbe tuttavia già avvinta con speciale favore dal suo modo di spiegazione, poiché essa considera la natura, riguardo alle cose che si possono originariamente rappresentare come possibili soltanto secondo la causalità dei fini, almeno per quanto riguarda la riproduzione, come producenti se stesse e non solo come sviluppantesi; e così, in ogni caso, con il minimo dispendio possibile di soprannaturale, essa lascia alla natura tutto ciò che consegue dal primo inizio (senza peraltro determinare qualcosa a proposito di questo primo inizio sul quale la fisica senz’altro fallisce, qualunque sia la catena di cause con cui voglia tentare). Riguardo a questa teoria dell’epigenesi nessuno ha fatto di più del signor consigliere aulico B l u m e n b a c h , sia per provarla sia anche per fondare i principi autentici della sua applicazione, in parte limitandone un uso troppo temerario116. È dalla materia organizzata che egli fa iniziare ogni tipo di spie- 379 gazione fisica di queste formazioni. Infatti egli dichiara a buon diritto contrario alla ragione che la materia bruta si sia formata originariamente da sé secondo leggi meccaniche, che dalla natura di ciò che è privo di vita sia potuta sorgere la vita e che la materia si sia potuta configurare da sé nella forma di una conformità al fine che si conserva da sé sola; ma egli lascia nel contempo al meccanismo della natura, sotto questo p r i n c i p i o per noi insondabile di una o r g a n i z z a z i o n e originaria, una parte indeterminabile e tuttavia anche innegabile, per cui la potenza della materia (a differenza della f o r z a f o r m a t i v a semplicemente meccanica universalmente presente in essa) in un corpo organizzato (che sta in qualche modo sotto la superiore guida e direttiva della organizzazione) è da lui chiamata i m p u l s o f o r m a t i v o .

§ 82 DEL SISTEMA TELEOLOGICO NEI RAPPORTI ESTERNI DI ESSERI ORGANIZZATI

Per conformità esterna al fine intendo la conformità al fine per cui una cosa della natura serve a un’altra come mezzo per un fine. Ora, cose che non possiedono alcuna conformità interna al fine o che non la presuppongono per la loro possibi-

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Wasser, u.s.w. gleichwohl äußerlich, d. i. im Verhältnis auf ande| müssen jederzeit organisierte Wesen, d. i. Naturzwecke sein, denn sonst könnten jene auch nicht als Mittel beurteilt werden. So können Wasser, Luft und Erden nicht als Mittel zu Anhäufung von Gebirgen angesehen werden, weil diese an sich gar nichts enthalten, was einen Grund ihrer Möglichkeit nach Zwecken erforderte, worauf in Beziehung also ihre Ursache niemals unter dem Prädikate eines Mittels (das dazu nützte) vorgestellt werden kann. Die äußere Zweckmäßigkeit ist ein ganz anderer Begriff, als der Begriff1 der inneren, welche mit der Möglichkeit eines Gegenstandes, unangesehen ob seine Wirklichkeit selbst Zweck sei oder nicht, verbunden ist. Man kann von einem organisierten Wesen noch fragen: wozu ist es da? aber nicht leicht von Dingen, an denen man bloß die Wirkung vom Mechanism der Natur erkennt. Denn in jenen stellen wir uns schon eine Kausalität nach Zwecken zu ihrer inneren Möglichkeit, einen schaffenden Verstand vor, und beziehen dieses tätige Vermögen auf den Bestimmungsgrund desselben, die Absicht. Es gibt nur eine einzige äußere Zweckmäßigkeit, die mit der innern der Organisation zusammenhängt, und, ohne daß die Frage sein darf, zu welchem Ende dieses so organisierte Wesen eben habe existieren müssen, dennoch im äußeren Verhältnis eines Mittels zum 381 Zwecke dient. Dieses | ist2 die Organisation beiderlei Geschlechts in Beziehung auf einander zur Fortpflanzung ihrer Art; denn hier kann man immer noch, eben so wie bei einem Individuum, fragen: warum mußte ein solches Paar existieren? Die Antwort ist: Dieses hier macht allererst ein o r g a n i s i e r e n d e s Ganze aus, ob zwar nicht ein organisiertes in einem einzigen Körper. Wenn man nun fragt, wozu ein Ding da ist: so ist die Antwort entweder: sein Dasein und seine Erzeugung hat gar keine Beziehung auf eine nach Absichten wirkende Ursache, und als426 dann versteht man immer || einen Ursprung derselben aus dem Mechanism der Natur; oder es ist irgend ein absichtlicher Grund seines Daseins (als eines zufälligen Naturwesens), und diesen Gedanken kann man schwerlich von dem Begriffe eines organisierten Dinges trennen: weil, da wir einmal seiner innern 380 re Wesen, sehr zweckmäßig sein; aber diese

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 82

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lità, per esempio terra, aria, acqua, ecc., possono tuttavia essere esteriormente assai conformi al fine, cioè in rapporto con 380 altri esseri; ma questi devono essere sempre esseri organizzati, cioè fini naturali, perché altrimenti anche le cose in questione non potrebbero essere valutate come mezzi. Dunque acqua, aria e terra non possono essere considerate come mezzi per l’accumularsi delle montagne, perché queste non contengono in sé assolutamente nulla che richieda un fondamento della loro possibilità secondo fini, in riferimento al quale, quindi, la loro causa non può mai essere rappresentata sotto il predicato di un mezzo (che servirebbe a tale scopo). La conformità esterna al fine è un concetto del tutto diverso rispetto al concetto della conformità interna al fine, la quale è collegata con la possibilità di un oggetto, senza badare se la sua stessa realtà sia un fine oppure no. Di un essere organizzato si può ancora chiedere: a che scopo esiste?, ma non è facile farlo a proposito di cose in cui si riconosce semplicemente l’effetto del meccanismo della natura. Infatti, negli esseri organizzati, noi ci rappresentiamo già, per la loro possibilità interna, una causalità secondo fini, un intelletto creatore, e riferiamo questa facoltà attiva al suo principio di determinazione, l’intenzione. C’è un’unica conformità esterna al fine che sia connessa con la conformità interna al fine dell’organizzazione e che, senza che si debba porre la questione di quale sia il fine per cui questo essere così organizzato sia mai dovuto esistere, serve tuttavia nel rapporto esterno di un mezzo con un fine. Ciò avviene nel 381 caso dell’organizzazione dei due sessi in riferimento l’uno all’altro per la riproduzione della loro specie; qui, infatti, si può continuare a chiedersi, proprio come per un individuo: perché doveva esistere una simile coppia? La risposta è: questa coppia soltanto costituisce in modo eminente un tutto organiz zan te, anche se non un tutto organizzato in un unico corpo. Ora, quando ci si chiede a che scopo esista una cosa, la risposta è che o la sua esistenza e la sua generazione non hanno alcun riferimento con una causa che agisce secondo intenzioni, e in tal caso si intende sempre una sua origine a 426 partire dal meccanismo della natura, oppure c’è un qualche fondamento intenzionale della sua esistenza (in quanto essere contingente naturale), e questo pensiero si può difficilmente separare dal concetto di una cosa organizzata: infatti, siccome

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Möglichkeit eine Kausalität der Endursachen und eine Idee, die dieser zum Grunde liegt, unterlegen müssen, wir auch die Existenz dieses Produktes nicht anders als3 Zweck denken können. Denn, die vorgestellte Wirkung, deren Vorstellung zugleich4 der Bestimmungsgrund der verständigen wirkenden Ursache zu ihrer Hervorbringung ist, heißt Z w e c k . In diesem Falle also kann man entweder sagen: der Zweck der Existenz eines solchen Naturwesens ist in ihm selbst, d. i. es ist nicht bloß Zweck, sondern auch Endzweck; oder dieser ist außer ihm 382 in anderen Naturwesen, d. i. | es existiert zweckmäßig nicht als Endzweck, sondern notwendig zugleich als Mittel. Wenn wir aber die ganze Natur durchgehen, so finden wir in ihr, als Natur, kein Wesen, welches auf5 den Vorzug, Endzweck der Schöpfung zu sein, Anspruch machen könnte; und man kann sogar a priori beweisen: daß dasjenige, was etwa noch für die Natur ein l e t z t e r Z w e c k sein könnte, nach allen erdenklichen Bestimmungen und Eigenschaften, womit man es ausrüsten möchte, doch als Naturding niemals ein E n d z w e c k sein könne. Wenn man das Gewächsreich ansieht, so könnte man anfänglich durch die unermeßliche Fruchtbarkeit, durch welche es sich beinahe über jeden Boden verbreitet, auf den Gedanken6 gebracht werden, es für ein bloßes Produkt des Mechanisms der Natur, welchen sie7 in den Bildungen des Mineralreichs zeigt, zu halten. Eine nähere Kenntnis aber der unbeschreiblich weisen Organisation in demselben läßt uns an diesem Gedanken nicht haften, sondern veranlaßt die Frage: Wozu sind diese Geschöpfe da? Wenn man sich antwortet: für das Tierreich, welches dadurch genährt wird, damit es sich in so mannigfaltige8 Gattungen über die Erde habe verbreiten können: so kommt die Frage wieder: Wozu sind denn diese Pflanzen-verzehrenden Tiere da? Die Antwort würde etwa sein: für 383 die Raubtiere, die sich nur von dem nähren können,9 | was Leben hat. Endlich ist die Frage: wozu sind diese samt den vorigen Naturreichen gut? Für den Menschen, zu dem mannigfaltigen Gebrauche, den ihn sein Verstand von allen jenen Geschöpfen machen lehrt; und er ist der letzte Zweck der Schöp427 fung hier auf Erden, weil er das einzige Wesen auf || derselben

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 82

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dobbiamo porre alla base della sua possibilità interna una causalità delle cause finali e un’idea che sta a fondamento di tale causalità, noi non possiamo nemmeno pensare l’esistenza di questo prodotto se non come un fine. Infatti, l’effetto rappresentato, la cui rappresentazione è al contempo il principio di determinazione della causa intelligente che agisce per la sua produzione, si chiama f i n e . In questo caso, dunque, si può dire o che il fine dell’esistenza di un simile essere naturale è in esso stesso, cioè non è semplicemente fine, ma anche f i n e d e f i n i t i v o ; oppure che questo fine è al di fuori di tale essere in altri esseri naturali, cioè tale essere esiste, in 382 maniera conforme al fine, non come fine definitivo, ma necessariamente ad un tempo come mezzo. Tuttavia, se noi percorriamo l’intera natura, non troviamo in essa, in quanto natura, alcun essere che possa avanzare la pretesa al privilegio di essere fine definitivo della creazione; e si può anche dimostrare a priori che ciò che eventualmente potrebbe pur costituire per la natura un f i n e u l t i m o non potrebbe mai essere, con tutte le determinazioni e le proprietà immaginabili di cui lo si voglia dotare, in quanto cosa della natura, un f i n e d e f i n i t i v o . Se si considera il regno vegetale, si potrebbe inizialmente, per l’incommensurabile fertilità grazie alla quale esso si espande quasi su ogni terreno, essere portati a pensare che esso vada ritenuto un semplice prodotto del meccanismo della natura, quale essa mostra nelle formazioni del regno minerale. Ma una conoscenza più precisa dell’organizzazione indescrivibilmente saggia del regno vegetale non ci permette di arrestarci a questo pensiero, bensì suscita la domanda: «a che scopo esistono queste creature?». Se si risponde: «per il regno animale che se ne nutre, in modo da potersi espandere sulla terra in generi così diversi», si ripropone allora la domanda: «a che scopo esistono pertanto questi animali erbivori?». La risposta potrebbe essere: «per gli animali predatori che possono nutrirsi soltanto di ciò che ha vita». Alla fine la 383 domanda è la seguente: «a che cosa servono questi animali insieme a tutti i precedenti regni della natura?». Essi servono all’uomo per l’utilizzazione diversificata che il suo intelletto gli insegna a fare di tutte quelle creature; ed egli è il fine ultimo della creazione qui sulla terra, poiché è l’unico essere su 427

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ist, welches sich einen Begriff von Zwecken machen und aus einem Aggregat von zweckmäßig gebildeten Dingen durch seine Vernunft ein System der Zwecke machen kann. Man könnte auch, mit dem Ritter Linné, den dem Scheine nach umgekehrten Weg gehen, und sagen: Die gewächsfressenden Tiere sind da, um den üppigen Wuchs des Pflanzenreichs, wodurch10 viele Spezies derselben11 erstickt werden würden, zu mäßigen; die Raubtiere, um der Gefräßigkeit jener Grenzen12 zu setzen; endlich der Mensch, damit, indem er diese verfolgt und vermindert, ein gewisses Gleichgewicht unter den hervorbringenden und den zerstörenden Kräften der Natur gestiftet werde. Und so würde der Mensch, so sehr er auch in gewisser Beziehung als Zweck gewürdigt sein möchte, doch in anderer wiederum nur den Rang eines Mittels haben. Wenn man sich eine objektive Zweckmäßigkeit in der Mannigfaltigkeit der Gattungen der Erdgeschöpfe und ihrem äußern Verhältnisse zu einander, als zweckmäßig konstruierter We-sen, zum Prinzip macht: so ist es der Vernunft gemäß, sich 384 in diesem Verhältnisse wiederum | eine gewisse Organisation und ein System aller Naturreiche nach Endursachen zu denken. Allein hier scheint die Erfahrung der Vernunftmaxime laut zu widersprechen, vornehmlich was einen letzten Zweck der Natur betrifft, der doch zu der Möglichkeit eines solchen Systems erforderlich ist, und den wir nirgend anders als im Menschen setzen können: da vielmehr in Ansehung dieses, als einer der vielen Tiergattungen, die Natur so wenig von den zerstörenden als erzeugenden Kräften die mindeste Ausnahme gemacht hat, alles einem Mechanism derselben, ohne einen Zweck, zu unterwerfen. Das erste, was in einer Anordnung zu einem zweckmäßigen Ganzen der Naturwesen auf der Erde absichtlich eingerichtet sein müßte, würde wohl ihr Wohnplatz, der Boden und das Element sein, auf und in welchem sie ihr Fortkommen haben sollten. Allein eine genauere Kenntnis der Beschaffenheit dieser Grundlage aller organischen Erzeugung gibt auf keine anderen als ganz unabsichtlich wirkende, ja eher noch verwüstende, als Erzeugung, Ordnung und Zwecke begünstigende Ursachen Anzeige. Land und Meer enthalten nicht allein Denkmäler von alten mächtigen Verwüstungen, die sie und alle Geschöpfe, auf und in demselben betroffen haben, in sich; sondern ihr ganzes

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 82

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questa terra che possa farsi un concetto di fini e che mediante la sua ragione, a partire da un aggregato di cose formate in maniera conforme al fine, possa fare un sistema di fini. Si potrebbe anche, con il cavalier Linneo117, seguire la via apparentemente opposta e dire: gli animali erbivori esistono per moderare la crescita lussureggiante del regno vegetale, a causa della quale molte sue specie sarebbero rimaste soffocate; gli animali predatori, per porre dei limiti alla voracità degli erbivori; l’uomo, infine, affinché, cacciandoli e riducendone il numero, venga instaurato un certo equilibrio tra le forze produttive e le forze distruttive della natura. E così l’uomo, per quanto possa anche, sotto un certo riferimento, meritare la dignità di fine, occuperebbe a sua volta tuttavia, sotto un altro riferimento, semplicemente il rango di un mezzo. Se si prende come principio una conformità oggettiva al fine nella molteplicità dei generi che caratterizza le creature terrestri e nel rapporto esterno che esse intrattengono l’una con l’altra in quanto esseri costruiti in maniera conforme al fine, allora è conforme alla ragione pensare di nuovo in questo 384 rapporto una certa organizzazione e un sistema di tutti i regni naturali secondo cause finali. Solo che qui l’esperienza sembra contraddire fortemente la massima della ragione, principalmente per ciò che riguarda un fine ultimo della natura che è comunque richiesto per la possibilità di un simile sistema e che noi non possiamo situare da nessun’altra parte se non nell’uomo: poiché, anzi, in quanto l’uomo appartiene a uno dei numerosi generi animali la natura non ha fatto, rispetto alle sue forze distruttive come a quelle produttive, la minima eccezione nel sottomettere tutto a un loro meccanismo, senza un fine. La prima cosa che in un ordinamento di un tutto conforme al fine degli esseri naturali sulla terra dovrebbe essere disposta intenzionalmente sarebbe di certo il loro ambiente, il terreno e l’elemento sul quale e nel quale essi dovrebbero avere il loro sviluppo. Ma una conoscenza più precisa della costituzione di questo fondamento di ogni generazione organica non indica altro che cause agenti del tutto inintenzionalmente, anzi perfino devastanti piuttosto che favorevoli a generazione, ordine e fini. Terra e mare non soltanto contengono in sé vestigia di antiche e potenti devastazioni che li hanno colpiti con tutte le creature che vi erano sull’una e nel-

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Bauwerk, die Erdlager13 des einen und die Grenzen des andern, haben gänzlich das Ansehen des Produkts wilder allgewaltiger 428 Kräfte einer im chaotischen Zustande arbeitenden Natur. || So 385 zweck|mäßig auch14 jetzt die Gestalt, das Bauwerk und der Abhang der Länder für die Aufnahme der Gewässer aus der Luft, für15 die Quelladern zwischen Erdschichten von mannigfaltiger Art (für mancherlei Produkte), und den Lauf der Ströme angeordnet zu sein scheinen mögen: so beweiset doch eine nähere Untersuchung derselben, daß sie bloß als die Wirkung teils feuriger, teils wässeriger Eruptionen, oder auch Empörungen des Ozeans, zu Stande gekommen sind: so wohl was die erste Erzeugung dieser Gestalt, als vornehmlich die nachmalige Umbildung derselben, zugleich mit dem Untergange ihrer ersten organischen Erzeugungen, betrifft*. Wenn nun der Wohnplatz, der Mutterboden (des Landes) und der Mutterschoß (des Meeres) für alle diese Geschöpfe auf keinen andern als gänzlich17 unab386 sichtlichen Mechanism | seiner Erzeugung Anzeige gibt: wie und mit welchem Recht können wir für diese18 letztern Produkte einen andern Ursprung verlangen und behaupten? Wenn gleich der Mensch, wie die genaueste Prüfung der Überreste jener Naturverwüstungen (nach Campers Urteile) zu beweisen scheint, in diesen Revolutionen nicht mit begriffen war: so ist er doch von den übrigen Erdgeschöpfen so abhängig, daß, wenn ein über die anderen allgemeinwaltender Mechanism der Natur eingeräumt wird, er als darunter mit begriffen angesehen werden muß: wenn ihn gleich sein Verstand (großenteils wenigstens) unter ihren Verwüstungen hat retten können. Dieses Argument scheint aber mehr zu beweisen, als die Absicht enthielt, wozu es aufgestellt war: nämlich, nicht bloß, * Wenn der einmal angenommene Name N a t u r g e s c h i c h t e für Naturbeschreibung bleiben soll, so kann man das16, was die erstere buchstäblich anzeigt, nämlich eine Vorstellung des ehemaligen a l t e n Zustandes der Erde, worüber man, wenn man gleich keine Gewißheit hoffen darf, doch mit gutem Grunde Vermutungen wagt, die A r c h ä o l o g i e d e r N a t u r, im Gegensatz mit der Kunst, nennen. Zu jener würden die Petrefakten, so wie zu dieser die geschnittenen Steine u.s.w. gehören. Denn da man doch wirklich an einer solchen (unter dem Namen einer Theorie der Erde) beständig, wenn gleich, wie billig, langsam arbeitet, so wäre dieser Namen eben nicht einer bloß eingebildeten Naturforschung gegeben, sondern einer solchen, zu der die Natur selbst uns einladet und auffordert.

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 82

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l’altro; bensì tutta la loro struttura, gli strati dell’una e i limiti dell’altro, hanno tutto l’aspetto del prodotto di forze selvagge e onnipotenti, proprie di una natura che lavora in uno stato di caos. Per quanto la configurazione, la struttura e il declivio 385 428 delle terre possano ora anche apparire ordinati in maniera conforme al fine per la ricezione delle acque dall’aria, per la formazione di vene acquifere fra gli strati terrestri di varia specie (destinati a diversi prodotti) e per il corso dei fiumi, tuttavia una loro indagine più approfondita prova che essi sono sorti solamente come effetto di eruzioni in parte di fuoco, in parte di vapori, o anche di tempeste dell’oceano; e questo per quel che riguarda sia la prima generazione di questa configurazione sia soprattutto la sua successiva trasformazione legata al declino delle sue prime generazioni organiche*. Ma se l’ambiente, il suolo materno (della terra) e il grembo materno (del mare) non indica per tutte queste creature alcun altro meccani- 386 smo se non quello totalmente inintenzionale della sua generazione, come e con quale diritto possiamo pretendere e affermare per questi ultimi prodotti un’altra origine? Sebbene l’uomo, come sembra provare il più preciso esame dei resti di quelle devastazioni naturali (secondo il giudizio di Camper)119, non fosse compreso in queste rivoluzioni, egli è tuttavia talmente dipendente dalle altre creature della terra che, se si ammette un meccanismo della natura che domina universalmente queste altre creature, bisogna considerare anche l’uomo come compreso in esso sebbene il suo intelletto lo abbia potuto salvare (in gran parte almeno) da quelle devastazioni della natura. Ma questo argomento sembra provare più di quanto contenuto nell’intenzione per la quale era stato proposto: cioè * Se il nome ormai accettato di s t o r i a d e l l a n a t u r a deve rimanere a designare la descrizione della natura, allora si può chiamare, in opposizione all’archeologia dell’arte, a r c h e o l o g i a d e l l a n a t u r a ciò che il termine precedente indica letteralmente, cioè una rappresentazione dell’ a n t i c o stato che la terra aveva una volta, su cui, pur non potendo sperare in alcuna certezza, si possono a buon diritto azzardare delle congetture118. All’archeologia apparterrebbero i fossili, così come all’arte apparterrebbero le pietre scheggiate, ecc. Infatti, poiché all’archeologia (sotto il nome di teoria della terra) si lavora costantemente, anche se, come è giusto, lentamente, questo nome sarebbe dato non a uno studio della natura soltanto immaginario, bensì a una ricerca alla quale la natura stessa ci invita e ci esorta.

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daß der Mensch kein letzter Zweck der Natur, und, aus dem nämlichen Grunde, das Aggregat der organisierten Naturdinge auf der Erde nicht ein System von Zwecken sein könne; sondern, daß gar die vorher für Naturzwecke gehaltenen Naturprodukte keinen andern Ursprung haben, als den Mechanism der Natur. || 429 Allein in der obigen Auflösung der Antinomie der Prinzipien, der mechanischen und der teleologischen Erzeugungsart der organischen Naturwesen, haben wir gesehen: daß, da sie, in Ansehung der nach ihren besondern Gesetzen (zu deren systematischem Zusammenhange uns aber der Schlüssel fehlt) bil387 denden Natur, bloß | Prinzipien der reflektierenden Urteilskraft sind, die nämlich ihren Ursprung nicht an sich bestimmen, sondern nur sagen, daß wir, nach der Beschaffenheit unseres Verstandes und unsrer Vernunft, ihn in dieser Art Wesen nicht anders als nach Endursachen denken können, die größtmögliche Bestrebung, ja Kühnheit in Versuchen, sie mechanisch zu erklären, nicht allein erlaubt ist, sondern wir auch durch Vernunft dazu aufgerufen sind, ungeachtet wir wissen, daß wir damit aus subjektiven Gründen der besondern Art und Beschränkung unseres Verstandes (und nicht etwa, weil der Mechanism der Erzeugung einem Ursprunge nach Zwecken an sich widerspräche) niemals auslangen können; und daß19 endlich in dem übersinnlichen Prinzip der Natur (so wohl außer uns als in uns) gar wohl die Vereinbarkeit beider Arten, sich die20 Möglichkeit der Natur vorzustellen, liegen könne, indem die Vorstellungsart nach Endursachen nur eine subjektive Bedingung unseres Vernunftgebrauchs sei, wenn sie die Beurteilung der Gegenstände nicht bloß als Erscheinungen angestellt wissen will, sondern diese Erscheinungen selbst, samt ihren Prinzipien, auf das übersinnliche Substrat zu beziehen verlangt, um gewisse Gesetze der Einheit derselben möglich zu finden, die sie sich nicht anders als durch Zwecke (wovon21 die Vernunft auch solche hat, die übersinnlich sind) vorstellig machen kann. |

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 82

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non soltanto il fatto che l’uomo non può essere fine ultimo della natura e che, per la stessa ragione, l’aggregato delle cose naturali organizzate sulla terra non può essere un sistema di fini, bensì che perfino i prodotti naturali dapprima ritenuti fini naturali non hanno alcun’altra origine se non il meccanismo della natura. Soltanto che nella soluzione precedentemente fornita 429 all’antinomia tra i principi del modo di generazione meccanico e di quello teleologico degli esseri naturali organici abbiamo visto che, siccome essi rispetto alla natura che forma secondo le sue leggi particolari (per la cui connessione sistematica ci manca però la chiave) non sono che principi della 387 forza riflettente di giudizio, i quali cioè non determinano in sé l’origine di quegli esseri, ma dicono solamente che noi, secondo la costituzione del nostro intelletto e della nostra ragione, non possiamo, in questa specie di esseri, pensare l’origine se non secondo cause finali: di conseguenza il più grande sforzo possibile, anzi l’ardimento, nei tentativi di spiegarli meccanicamente non soltanto è permesso ma è ciò a cui la ragione ci invita, benché sappiamo di non poterci mai pervenire per motivi soggettivi inerenti alla specie particolare e alla limitatezza del nostro intelletto (e non perché il meccanismo della generazione contraddica in sé un’origine secondo fini); e infine abbiamo visto anche che nel principio soprasensibile della natura (sia fuori di noi sia in noi) può ben trovarsi l’unificabilità dei due modi di rappresentarsi la possibilità della natura, in quanto il modo di rappresentazione secondo cause finali è soltanto una condizione soggettiva del nostro uso della ragione, se essa vuole che gli oggetti siano sottoposti a valutazione non solo in quanto fenomeni, ma pretende che questi stessi fenomeni, con i loro principi, siano riferiti al sostrato soprasensibile per trovare possibili leggi certe della loro unità che essa può rappresentarsi solamente mediante fini (e la ragione ne possiede anche alcuni che sono soprasensibili).

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

§ 83 Von dem letzten Zwecke der Natur als eines teleologischen Systems

Wir haben im Vorigen gezeigt, daß wir den Menschen nicht bloß, wie alle organisierte Wesen, als Naturzweck, sondern auch hier auf Erden als den l e t z t e n Z w e c k der Natur, in Beziehung auf welchen alle1 übrige Naturdinge ein System von Zwecken ausmachen, nach Grundsätzen der Vernunft, zwar nicht für die bestimmende, doch für die reflektierende Urteilskraft, zu beurteilen hinreichende Ursache haben. Wenn nun dasjenige im Menschen selbst angetroffen werden muß, was als Zweck durch seine Verknüpfung mit der Natur befördert wer430 den soll: so muß entweder der Zweck || von der Art sein, daß er selbst durch die Natur in ihrer Wohltätigkeit befriedigt werden kann; oder es ist die Tauglichkeit und Geschicklichkeit zu allerlei Zwecken, wozu2 die Natur (äußerlich und innerlich) von ihm gebraucht werden könne. Der erste Zweck der Natur würde die Glückseligkeit, der zweite die K u l t u r des Menschen sein. Der Begriff der Glückseligkeit ist nicht ein solcher, den der Mensch etwa von seinen Instinkten abstrahiert, und so aus der Tierheit in ihm selbst hernimmt; sondern ist eine bloße I d e e eines Zustandes, welcher er3 den letzteren unter bloß empiri389 schen Bedingungen (welches | unmöglich ist) adäquat machen will. Er entwirft sie sich selbst, und zwar auf so verschiedene Art, durch seinen mit der Einbildungskraft und den Sinnen verwickelten Verstand; er ändert sogar diesen so oft, daß die Natur, wenn sie auch seiner Willkür gänzlich unterworfen wäre, doch schlechterdings kein bestimmtes allgemeines und festes Gesetz annehmen könnte, um mit diesem schwankenden Begriff, und so mit dem Zweck, den jeder sich willkürlicher Weise vorsetzt, übereinzustimmen. Aber, selbst wenn wir entweder diesen auf das wahrhafte Naturbedürfnis, worin unsere Gattung durchgängig mit sich übereinstimmt, herabsetzen, oder, andererseits, die Geschicklichkeit, sich eingebildete Zwecke zu verschaffen, noch so hoch steigern wollten: so würde doch, was der Mensch unter Glückseligkeit versteht, und was in der Tat sein eigener letzter Naturzweck (nicht Zweck der Freiheit) ist, von ihm nie erreicht werden; denn seine Natur ist nicht von der Art, irgendwo im Besitze und Genusse aufzuhören und befriedigt zu wer-

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 83

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§ 83 DEL FINE ULTIMO DELLA NATURA COME SISTEMA TELEOLOGICO

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Abbiamo mostrato in precedenza di avere motivo sufficiente, certo non per la forza determinante di giudizio, ma per quella riflettente, per valutare l’uomo non soltanto, come nel caso di tutti gli esseri organizzati, in quanto fine naturale, ma anche, qui sulla terra, come il f i n e u l t i m o della natura, in riferimento al quale tutte le altre cose naturali costituiscono un sistema di fini secondo principi della ragione. Se ora bisogna trovare nell’uomo stesso ciò che deve essere promosso in quanto fine nella sua connessione con la natura, allora deve trattarsi o del fine tale da poter essere soddisfatto 430 dalla natura nella sua benevolenza oppure è l’idoneità e l’abilità rispetto a qualunque fine per cui la natura (esternamente e internamente) può essere usata dall’uomo. Il primo fine della natura sarebbe la f e l i c i t à , il secondo la c u l t u r a dell’uomo. Il concetto della felicità non è un concetto che l’uomo astrae dai suoi istinti e ricava quindi dall’animalità presente in lui, bensì è una semplice i d e a di uno stato alla quale egli vuole rendere adeguato questo stesso stato sotto condizioni semplicemente empiriche (il che è impossibile). Egli se la 389 progetta da sé, e certamente in modi molto diversi, con il proprio intelletto intrecciato con l’immaginazione e i sensi; anzi, egli modifica questo concetto così spesso che la natura, anche se fosse del tutto sottoposta al suo arbitrio, non potrebbe tuttavia assolutamente assumere alcuna legge determinata, universale e fissa per accordarsi con tale concetto oscillante e dunque con il fine che ciascuno si propone secondo il proprio arbitrio. Ma se anche volessimo o abbassare questo concetto al vero bisogno naturale, nel quale il nostro genere è completamente d’accordo con se stesso, o, d’altro canto, elevare al massimo l’abilità a realizzare fini immaginati, non verrebbe tuttavia mai raggiunto dall’uomo ciò che egli intende per felicità e che, di fatto, è il suo proprio fine ultimo naturale (non un fine della libertà): perché la sua natura non è tale da arrestarsi, da qualche parte, nel possesso e nel godimento, e da esserne soddisfatta. D’altra parte, ci si sbaglia di grosso a

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den. Andrerseits ist so weit gefehlt: daß die Natur ihn zu ihrem besondern Liebling aufgenommen und vor allen Tieren mit Wohltun begünstigt habe, daß sie ihn vielmehr in ihren verderblichen Wirkungen, in Pest, Hunger, Wassergefahr, Frost, Anfall von andern großen und kleinen Tieren u. d. gl. eben so wenig verschont, wie jedes andere Tier; noch mehr aber, daß das Widersinnische der N a t u r a n l a g e n in ihm ihn noch in 390 selbstersonnene4 | Plagen und noch andere von seiner eigenen Gattung, durch den Druck der Herrschaft, die Barbarei der Kriege u.s.w. in solche Not versetzt und er selbst, so viel an ihm ist, an der Zerstörung seiner eigenen Gattung arbeitet, daß, selbst bei der wohltätigsten Natur außer uns, der Zweck derselben, wenn er auf die Glückseligkeit unserer Spezies gestellet wäre, in einem System derselben auf Erden nicht erreicht werden würde, weil die Natur in uns derselben nicht empfänglich ist. Er ist also immer nur Glied in der Kette der Naturzwecke: 431 zwar Prinzip in Ansehung manches || Zwecks, wozu5 die Natur ihn in ihrer Anlage bestimmt zu haben scheint, indem er sich selbst dazu macht; aber doch auch Mittel zur Erhaltung der Zweckmäßigkeit im Mechanism der übrigen Glieder. Als das einzige Wesen auf Erden, welches Verstand6, mithin ein Vermögen hat, sich selbst willkürlich Zwecke zu setzen, ist er zwar betitelter Herr der Natur, und, wenn man diese als ein teleologisches System ansieht, seiner Bestimmung nach der letzte Zweck der Natur; aber immer nur bedingt, nämlich daß er es verstehe und den Willen habe, dieser und ihm selbst eine solche Zweckbeziehung zu geben, die unabhängig von der Natur sich selbst genug, mithin7 Endzweck, sein könne, der aber in der Natur gar nicht gesucht werden muß. Um aber auszufinden, worein wir8 am Menschen wenigstens 391 jenen l e t z t e n Z w e c k der Natur zu setzen ha|ben, müssen wir dasjenige, was die Natur zu leisten vermag, um ihn zu dem vorzubereiten9, was er selbst tun muß, um Endzweck zu sein, heraussuchen, und es von allen den Zwecken absondern, deren Möglichkeit auf Dingen beruht, die man allein von der Natur erwarten darf. Von der letztern Art ist die Glückseligkeit auf Erden, worunter der Inbegriff aller durch die Natur außer und in dem Menschen möglichen Zwecke desselben verstanden wird; das ist die Materie aller seiner Zwecke auf Erden, die, wenn er sie zu seinem ganzen Zwecke macht, ihn unfähig

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 83

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credere che la natura abbia accolto l’uomo come suo particolare prediletto e lo abbia favorito con benevolenza più di tutti gli altri animali: al contrario, nei suoi effetti perniciosi quali peste, fame, alluvioni, gelo, attacchi di altri animali grandi e piccoli, ecc., essa ha risparmiato l’uomo tanto poco quanto ogni altro animale; ma c’è di più: il controsenso delle sue p r e d i s p o s i z i o n i n a t u r a l i lo sprofonda in tribolazioni, che escogita da sé e altre ancora del suo stesso genere, in una 390 tale indigenza, con l’oppressione della tirannia, la barbarie delle guerre, ecc., ed egli stesso lavora, per quanto sta a lui, alla distruzione del suo stesso genere, che anche con la natura più benevola fuori di noi il fine della natura, se esso fosse riposto nella felicità della nostra specie, non verrebbe mai raggiunto sulla terra in un sistema della natura, perché la natura in noi non è ricettiva a tale riguardo. Egli è pur sempre soltanto un membro nella catena dei fini naturali: è certamente principio riguardo a certi fini a cui la natura sembra 431 averlo destinato nella sua predisposizione, in quanto egli stesso si costituisce come fine; ma d’altro canto è anche mezzo per la conservazione della conformità al fine nel meccanismo dei restanti membri. Come unico essere sulla terra che abbia un intelletto, e quindi una facoltà di proporsi da sé dei fini in modo arbitrario, egli certo merita il titolo di signore della natura e, se la si considera come un sistema teleologico, egli è, secondo la sua destinazione, il fine ultimo della natura; ma sempre soltanto a una condizione, cioè che egli sappia e abbia la volontà di dare alla natura e a se stesso un riferimento a un fine tale che possa bastare a se stesso indipendentemente dalla natura e costituire di conseguenza un fine definitivo, che tuttavia non deve affatto essere ricercato nella natura. Per scoprire però dove dobbiamo situare, nell’uomo almeno, quel f i n e u l t i m o della natura dobbiamo ricercare 391 ciò che la natura può operare per prepararlo a ciò che egli stesso deve fare per essere fine definitivo e isolare tale fine definitivo da tutti i fini la cui possibilità si basa su cose che ci si può aspettare solamente dalla natura. Di quest’ultima specie è la felicità sulla terra, con cui si intende l’insieme di tutti i fini dell’uomo resi possibili dalla natura fuori e dentro di lui; ciò corrisponde alla materia di tutti i suoi fini sulla terra, materia che lo rende incapace, se egli ne fa l’intero suo fine,

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macht, seiner eigenen Existenz einen Endzweck zu setzen und dazu zusammen zu stimmen. Es bleibt also von allen seinen Zwecken in der Natur nur die formale, subjektive Bedingung, nämlich der Tauglichkeit: sich selbst überhaupt Zwecke zu setzen, und (unabhängig von der Natur in seiner Zweckbestimmung) die Natur den Maximen seiner freien Zwecke überhaupt angemessen, als Mittel, zu gebrauchen, übrig, was die Natur, in Absicht auf den Endzweck, der außer ihr liegt, ausrichten, und welches also als ihr letzter Zweck angesehen werden kann. Die Hervorbringung der Tauglichkeit eines vernünftigen Wesens zu beliebigen Zwecken überhaupt (folglich in seiner Freiheit) ist die K u l t u r. Also kann nur die Kultur der letzte Zweck sein, den man der Natur in Ansehung der Menschengattung beizulegen Ursache hat (nicht seine eigene Glückseligkeit auf Erden, oder 392 wohl gar bloß das vornehmste Werkzeug zu sein, | Ordnung und Einhelligkeit in der vernunftlosen Natur außer ihm zu stiften). Aber nicht jede Kultur ist zu diesem letzten Zwecke der Natur hinlänglich. Die der G e s c h i c k l i c h k e i t ist freilich die vornehmste subjektive Bedingung der Tauglichkeit zur Beförde432 rung der Zwecke überhaupt; aber || doch nicht hinreichend, den W i l l e n , in10 der Bestimmung und Wahl seiner Zwecke, zu befördern, welche doch zum ganzen Umfange einer Tauglichkeit zu Zwecken wesentlich gehört. Die letztere Bedingung der Tauglichkeit, welche man die Kultur der Zucht (Disziplin) nennen könnte, ist negativ, und besteht in der Befreiung des Willens von dem Despotism der Begierden, wodurch wir, an gewisse Naturdinge geheftet, unfähig gemacht werden, selbst zu wählen, indem wir uns die Triebe zu Fesseln dienen lassen, die uns die Natur nur statt Leitfäden beigegeben hat, um die Bestimmung der Tierheit in uns nicht zu vernachlässigen, oder gar zu verletzen, indes wir11 doch frei genug sind, sie anzuziehen oder nachzulassen, zu verlängern oder zu verkürzen, nachdem es die Zwecke der Vernunft12 erfordern. Die Geschicklichkeit kann in der Menschengattung nicht wohl entwickelt werden, als vermittelst der Ungleichheit unter Menschen; da die größte Zahl die Notwendigkeiten des Lebens gleichsam mechanisch, ohne dazu besonders Kunst zu bedürfen, zur Gemächlichkeit und Muße anderer, besorget, welche 393 die minder notwendi|gen Stücke der Kultur, Wissenschaft und Kunst, bearbeiten, und von diesen in einem Stande des Drucks, saurer Arbeit und wenig Genusses gehalten wird, auf welche

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 83

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di porre alla sua propria esistenza un fine definitivo e di armonizzarsi con esso. Di tutti i suoi fini nella natura resta dunque unicamente la condizione formale, soggettiva, cioè l’idoneità a porre a se stesso fini in generale, e (nella sua determinazione di fini indipendentemente dalla natura) a usare la natura come mezzo in modo adeguato alle massime dei suoi fini liberi in generale, cosa che del resto la natura può orientare in vista del fine definitivo che sta fuori di essa e che può dunque essere considerato come il suo fine ultimo. La produzione dell’idoneità di un essere razionale a qualsiasi fine in generale (quindi nella sua libertà) è la c u l t u r a . Dunque soltanto la cultura può essere il fine ultimo che si ha motivo di attribuire alla natura riguardo al genere umano (non la sua propria felicità sulla terra o addirittura il fatto di essere semplicemente lo strumento principale per instaurare ordine e con- 392 cordia nella natura priva di ragione che si trova fuori di lui). Ma non ogni cultura è sufficiente per questo fine ultimo della natura. La cultura dell’ a b i l i t à è senza dubbio la principale condizione soggettiva dell’idoneità a promuovere fini in generale, tuttavia non basta per promuovere la v o l o n t à 432 nella determinazione e nella scelta dei suoi fini, che comunque appartengono essenzialmente all’intero ambito di un’idoneità a fini. L’ultima condizione dell’idoneità, che si potrebbe chiamare la cultura dell’educazione (disciplina), è negativa e consiste nella liberazione della volontà dal dispotismo delle voglie, per le quali, attaccati a certe cose naturali, siamo resi incapaci di scegliere da noi stessi, lasciando che gli istinti, che la natura ci ha dato soltanto come fili conduttori affinché non trascurassimo o addirittura ledessimo la determinazione dell’animalità in noi, servano da lacci, dato che siamo tuttavia abbastanza liberi di stringerli o allentarli, allungarli o accorciarli a seconda del modo che richiedono i fini della ragione. L’abilità non può essere bene sviluppata nel genere umano se non per mezzo dell’ineguaglianza tra gli uomini, dato che il maggior numero di essi provvede alle necessità della vita quasi meccanicamente, senza per questo avere particolarmente bisogno dell’arte, per la comodità e l’agio di altri uomini che elaborano le parti meno necessarie della cultura, 393 cioè scienza e arte, e viene da costoro tenuto in uno stato di oppressione, duro lavoro e poco godimento, anche se in que-

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Klasse sich denn doch manches von der Kultur der höheren nach und nach auch verbreitet. Die Plagen aber wachsen im Fortschritte derselben (dessen Höhe, wenn der Hang zum Entbehrlichen schon dem Unentbehrlichen Abbruch zu tun anfängt, Luxus heißt) auf beiden Seiten gleich mächtig, auf der einen durch fremde Gewalttätigkeit, auf der andern durch innere Ungenügsamkeit; aber das glänzende Elend ist doch mit der Entwickelung der Naturanlagen in der Menschengattung verbunden, und der Zweck der Natur selbst, wenn es gleich nicht unser Zweck ist, wird doch hiebei erreicht. Die formale Bedingung, unter welcher die Natur diese ihre Endabsicht allein erreichen kann, ist diejenige Verfassung im Verhältnisse der Menschen untereinander, wo dem13 Abbruche der einander wechselseitig widerstreitenden Freiheit gesetzmäßige Gewalt in einem Ganzen, welches b ü r g e r l i c h e G e s e l l s c h a f t heißt, entgegengesetzt wird; denn nur in ihr kann die größte Entwickelung der Naturanlagen geschehen. Zu derselben wäre aber doch, wenn gleich Menschen sie auszufinden klug und sich ihrem Zwange willig zu unterwerfen weise genug wären, noch ein w e l t b ü r g e r l i c h e s Ganze, d. i. ein System aller Staaten, die auf einander nachteilig zu wirken in Gefahr sind, erforder394 lich. In dessen Ermangelung, und14 bei dem Hinder nis, wel||| 433 ches Ehrsucht, Herrschsucht und Habsucht, vornehmlich bei denen15, die Gewalt in Händen haben, selbst der Möglichkeit eines solchen Entwurfs entgegen setzen, ist der K r i e g (teils in welchem sich Staaten zerspalten und in kleinere auflösen, teils ein Staat andere kleinere mit sich vereinigt und ein größeres Ganze zu bilden strebt) unvermeidlich: der16, so wie er ein unabsichtlicher (durch zügellose Leidenschaften angeregter) Versuch der Menschen, doch tief verborgener vielleicht17 absichtlicher der obersten Weisheit ist, Gesetzmäßigkeit mit der Freiheit der Staaten und dadurch Einheit eines moralisch begründeten Systems derselben, wo nicht zu stiften, dennoch vorzubereiten, und18 ungeachtet der schrecklichsten Drangsale, womit er das menschliche Geschlecht belegt, und der vielleicht noch größern, womit die beständige Bereitschaft dazu im Frieden drückt, dennoch eine Triebfeder mehr ist (indessen die19 Hoffnung zu dem Ruhestande einer Volksglückseligkeit sich immer weiter entfernt), alle Talente, die zur Kultur dienen, bis zum höchsten Grade zu entwickeln.

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 83

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sta classe si diffondono però poco a poco diversi elementi della cultura della classe superiore. Ma con il progredire della cultura (il cui apice, quando la tendenza al superfluo comincia già a nuocere all’indispensabile, si chiama lusso120) le tribolazioni crescono da entrambe le parti con uguale potenza, da una parte a causa della violenza altrui e dall’altra a causa di un’insoddisfazione interiore; ma la splendida miseria121 è tuttavia collegata con lo sviluppo delle predisposizioni naturali nel genere umano, e il fine della natura stessa, anche se non è il nostro fine, viene comunque qui raggiunto. La condizione formale sotto la quale soltanto la natura può raggiungere questo suo intento finale è quella costituzione, nel rapporto degli uomini tra loro, dove al danno delle libertà in vicendevole conflitto tra loro viene opposto il potere conforme alla legge in un tutto che si chiama s o c i e t à c i v i l e ; infatti solamente in essa può realizzarsi il massimo sviluppo delle predisposizioni naturali. Tuttavia per una tale costituzione122 sarebbe però anche richiesto, se mai gli uomini fossero abbastanza accorti da trovarla e abbastanza saggi da sottomettersi volontariamente alla sua costrizione, un tutto c o s m o p o l i t i c o , cioè un sistema di tutti gli Stati che corrono il rischio di nuocersi l’un l’altro. In mancanza di tale sistema e in pre- 394 433 senza dell’ostacolo che brama di onori, di potere e di possesso oppongono perfino alla possibilità di un tale progetto, principalmente in coloro che hanno il potere nelle proprie mani, è inevitabile la g u e r r a (sia quella in cui gli Stati si dividono e si smembrano in Stati più piccoli, sia quella in cui uno Stato unisce a sé altri più piccoli e aspira a formarne uno più grande); la guerra è un tentativo non intenzionale (suscitato da passioni sfrenate) degli uomini, ma anche un tentativo più profondamente nascosto e forse intenzionale della saggezza suprema se non di istituire, quanto meno di preparare la conformità alla legge, congiunta con la libertà degli Stati, e quindi l’unità di un sistema moralmente fondato; e nonostante le più spaventose calamità che essa infligge al genere umano e quelle forse ancora più grandi con cui l’essere sempre pronti per essa lo opprime in tempo di pace, la guerra è tuttavia un movente in più (mentre la speranza in una condizione pacifica di felicità del popolo si allontana sempre più) per sviluppare al massimo grado tutti i talenti che servono alla cultura.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

Was die Disziplin der Neigungen betrifft, zu denen die Naturanlage in Absicht auf unsere Bestimmung, als einer Tiergattung, ganz zweckmäßig ist, die aber die Entwickelung der Menschheit sehr erschweren: so zeigt sich doch auch in Ansehung dieses zweiten Erfordernisses zur Kultur ein zweckmäßiges Streben der Natur zu einer Ausbildung, welche uns höherer Zwecke, als die Natur selbst liefern kann, empfänglich macht. Das Übergewicht | 395 der Übel, welche die Verfeinerung des Geschmacks bis zur Idealisierung desselben, und20 selbst der Luxus in Wissenschaften, als einer Nahrung für die Eitelkeit, durch die unzubefriedigende Menge der dadurch erzeugten Neigungen über uns ausschüttet, ist nicht zu bestreiten: dagegen aber der Zweck der Natur auch nicht zu verkennen, der Rohigkeit und dem Ungestüm derjenigen Neigungen, welche mehr der Tierheit in uns angehören21 und der Ausbildung zu unserer höheren Bestimmung am meisten entgegen sind (der Neigungen des Genusses22), immer mehr abzugewinnen und der Entwickelung der Menschheit Platz zu machen. Schöne Kunst und Wissenschaften, die durch eine Lust, die sich allgemein mitteilen läßt, und durch Geschliffenheit23 und Verfeinerung für die Gesellschaft, wenn gleich den Menschen nicht sittlich besser, doch gesittet machen, gewinnen der Tyrannei des Sinnenhanges sehr viel ab, und bereiten dadurch den Menschen zu einer Herrschaft vor, in welcher die24 Vernunft allein Gewalt haben soll: indes die25 Übel, womit uns teils die Natur, teils die unvertragsame Selbstsucht der Menschen heimsucht, 434 zugleich die Kräfte der Seele || aufbieten, steigern und stählen, um jenen nicht unterzuliegen26, und uns so eine Tauglichkeit zu höheren Zwecken, die in uns verborgen liegt, fühlen lassen*. | * Was das Leben f ü r u n s für einen Wert habe, wenn dieser bloß nach dem geschätzt wird, w a s m a n g e n i e ß t (dem natürlichen Zweck der Summe aller Neigungen, der Glück|seligkeit), ist leicht zu entscheiden. Er sinkt unter Null; denn wer wollte wohl das Leben unter denselben Bedingungen, oder auch27 nach einem neuen, selbst entworfenen (doch dem Naturlaufe gemäßen) Plane, der aber auch bloß auf Genuß gestellt wäre, aufs neue antreten? Welchen Wert das Leben dem zufolge habe, was28 es, nach dem Zwecke, den die Natur mit uns hat, geführt, in sich enthält und welches29 in dem besteht, w a s m a n t u t (nicht bloß genießt), wo wir aber immer doch nur Mittel zu unbestimmtem Endzwecke sind, ist oben gezeigt worden. Es bleibt also wohl nichts übrig, als der Wert, den wir unserem Leben selbst geben, durch das, was wir nicht allein tun, sondern

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 83

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Per ciò che concerne la disciplina delle inclinazioni, per le quali la predisposizione naturale è del tutto conforme al fine in vista della nostra destinazione come genere animale ma che rendono molto difficile lo sviluppo dell’umanità, si mostra tuttavia, anche riguardo a questa seconda esigenza richiesta per la cultura, una tendenza conforme al fine della natura a un perfezionamento che ci rende ricettivi per fini più alti di quelli che può fornire la natura stessa. È incontestabile la pre- 395 ponderanza dei mali123 che il raffinamento del gusto, fino alla sua idealizzazione, e anche il lusso nelle scienze in quanto nutrimento della vanità, rovescia su di noi mediante una quantità inappagabile di inclinazioni così generate; ma d’altro canto non bisogna nemmeno disconoscere il fine della natura che consiste nel ridurre sempre più la rozzezza e la violenza di quelle inclinazioni che più appartengono all’animalità in noi, e che più si oppongono al perfezionamento della nostra destinazione suprema (cioè inclinazioni del godimento), e di far posto allo sviluppo dell’umanità. Belle arti e scienze124 che, con un piacere che può essere comunicato universalmente e con una rifinitezza e un raffinamento per la società, rendono l’uomo se non moralmente migliore, almeno più costumato, riducono di molto la tirannia della tendenza dei sensi e preparano così l’uomo a un dominio in cui deve avere potere la sola ragione, mentre i mali, che ci infliggono in parte la natura e in parte l’intollerante egoismo degli uomini, mobilitano, accrescono e temprano nello stesso tempo le forze del- 434 l’anima per non soccombere a quei mali e ci fanno così sentire un’idoneità, che resta nascosta in noi, a fini superiori*. * È facile decidere il valore che possiede p e r n o i la vita quando è stimata unicamente per c i ò d i c u i s i g o d e (secondo il fine naturale costituito dalla somma di tutte le inclinazioni, cioè la felicità). Tale valore scende sotto lo zero; infatti chi vorrebbe veramente ricominciare la vita sotto le stesse condizioni o anche secondo un nuovo piano da lui stesso progettato (conforme tuttavia al corso della natura), ma che fosse improntato soltanto al godimento? Si è mostrato in precedenza quale valore possieda la vita in virtù di ciò che essa contiene in sé, se essa è condotta secondo il fine che la natura ha per noi e che consiste in ciò c h e s i f a (e non solo che si gode), essendo noi tuttavia in questo caso soltanto mezzi in vista di un fine definitivo indeterminato. Non resta dunque nient’altro se non il valore che noi stessi diamo alla nostra vita, non

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

§ 84 Von dem Endzwecke des Daseins einer Welt, d. i. der Schöpfung selbst

E n d z w e c k ist derjenige Zweck, der keines andern als Bedingung seiner Möglichkeit bedarf. Wenn für die Zweckmäßigkeit der Natur der bloße Mechanism derselben zum Erklärungsgrunde angenommen wird, so kann man nicht fragen: wozu die Dinge in der Welt da sind; denn es ist alsdann, nach einem solchen idealistischen System, nur von der physischen Möglichkeit der Dinge (welche uns als Zwecke zu denken bloße Vernünftelei, ohne Objekt, sein würde) die Rede: man mag nun diese Form der Dinge auf den Zufall, oder blinde Notwendigkeit deuten, in beiden Fällen | 397 wäre jene Frage leer. Nehmen wir aber die Zweckverbindung in der Welt für real und für sie eine besondere Art der Kausalität, nämlich einer a b s i c h t l i c h w i r k e n d e n Ursache an, so können wir bei der Frage nicht stehen bleiben: wozu Dinge der Welt (organisierte Wesen) diese oder jene Form haben, in diese oder jene Verhältnisse gegen andere von der Natur gesetzt sind; sondern, da einmal ein Verstand gedacht wird, der als die Ursache der Möglichkeit solcher Formen angesehen werden muß, wie sie wirklich an Dingen gefunden werden, so muß auch 435 in eben demselben nach dem || objektiven Grunde gefragt werden, der diesen produktiven Verstand zu einer Wirkung dieser Art bestimmt haben könne, welcher dann der Endzweck ist, wozu dergleichen Dinge da sind. Ich habe oben gesagt: daß der Endzweck kein Zweck sei, welchen zu bewirken und der Idee desselben gemäß hervorzubringen die Natur hinreichend wäre, weil er unbedingt ist. Denn es ist nichts in der Natur (als einem Sinnenwesen), wozu der in ihr selbst befindliche Bestimmungsgrund nicht immer wiederum bedingt wäre; und dieses gilt nicht bloß von der Natur außer uns (der materiellen), sondern auch in uns (der denkenden): wohl zu verstehen, daß ich in mir nur das betrach-

auch so unabhängig von der Natur zweckmäßig tun, daß selbst die Existenz der Natur nur unter dieser Bedingung Zweck sein kann.

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 84

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§ 84 DEL FINE DEFINITIVO DELL’ESISTENZA DI UN MONDO,

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CIOÈ DELLA CREAZIONE STESSA

F i n e d e f i n i t i v o è quel fine che non ne richiede alcun altro come condizione della sua possibilità. Se come principio esplicativo della conformità della natura al fine viene assunto il semplice meccanismo della natura, non si può chiedere a che scopo esistano le cose nel mondo; allora infatti, secondo un tale sistema idealistico, si tratta solo della possibilità fisica delle cose (pensarle come fini sarebbe un semplice cavillare senza oggetto): che si interpreti questa forma delle cose come caso o cieca necessità, in entrambe le eventualità quella sarebbe una domanda vuota. Ma se noi assumiamo come reale il nesso finale presente nel mondo e per 397 esso una specie particolare di causalità, cioè quella di una causa c h e a g i s c e i n t e n z i o n a l m e n t e , non possiamo allora fermarci alla questione: a che scopo certe cose del mondo (esseri organizzati) hanno questa o quella forma e sono poste dalla natura in questo o in quel rapporto rispetto ad altre; tuttavia, una volta pensato un intelletto che deve essere considerato come la causa della possibilità di tali forme quali si trovano effettivamente nelle cose, ora bisogna anche interrogarsi sul fondamento oggettivo che possa avere deter- 435 minato questo intelletto produttivo a un effetto di tale specie, fondamento che è poi il fine definitivo per il quale tali cose esistono. Ho detto in precedenza che il fine definitivo non è un fine che la natura potrebbe bastare a realizzare e a produrre conformemente all’idea di tale fine, dato che è incondizionato. Infatti non c’è niente nella natura (come essere sensibile) per cui il principio di determinazione presente in essa non sia sempre a sua volta condizionato; e questa affermazione vale non soltanto per la natura fuori di noi (quella materiale), ma anche per la natura in noi (quella pensante): beninteso che io solamente per ciò che facciamo, ma anche per ciò che facciamo in maniera conforme al fine e in modo così indipendente dalla natura che perfino l’esistenza della natura può essere fine solo sotto questa condizione.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

te was Natur ist. Ein Ding aber, was notwendig1, seiner objektiven Beschaffenheit wegen, als Endzweck einer verständigen Ursache existieren soll, muß von der Art sein, daß es in der Ord398 nung der Zwecke von | keiner anderweitigen Bedingung, als bloß seiner Idee, abhängig ist. Nun haben wir nur eine einzige Art Wesen in der Welt, deren Kausalität teleologisch, d. i. auf Zwecke gerichtet und doch zugleich so beschaffen ist, daß das Gesetz, nach welchem sie sich Zwecke zu bestimmen haben, von ihnen selbst als unbedingt und von Naturbedingungen unabhängig, an sich aber als notwendig, vorgestellt wird. Das Wesen dieser Art ist der Mensch, aber als Noumenon betrachtet; das einzige Naturwesen, an welchem wir doch ein übersinnliches Vermögen (die F r e i h e i t ) und sogar das Gesetz der Kausalität, samt dem Objekte derselben, welches es sich als höchsten Zweck vorsetzen kann (das höchste Gut in der Welt), von Seiten seiner eigenen Beschaffenheit erkennen können. Von dem Menschen nun (und so jedem vernünftigen Wesen in der Welt), als einem moralischen Wesen, kann nicht weiter gefragt werden: wozu (quem in finem) er existiere. Sein Dasein hat den höchsten Zweck selbst in sich, dem, so viel er vermag, er die ganze Natur unterwerfen kann, wenigstens welchem zuwider er sich keinem Einflusse der Natur unterworfen halten darf. — Wenn nun Dinge der Welt, als ihrer Existenz nach abhängige Wesen, einer nach Zwecken handelnden obersten Ursache bedürfen, so ist der Mensch der Schöpfung Endzweck; denn ohne diesen wäre die Kette der einander untergeordneten 399 Zwecke nicht vollständig gegründet; und nur im | Menschen, aber auch in diesem nur als Subjekte der Moralität, ist die unbedingte Gesetzgebung in Ansehung der Zwecke anzutreffen, wel436 che || ihn also allein fähig macht, ein2 Endzweck zu sein, dem die ganze Natur teleologisch untergeordnet ist*. |

* Es wäre möglich, daß Glückseligkeit der vernünftigen Wesen in der Welt ein Zweck der Natur wäre, und alsdenn wäre sie auch ihr l e t z t e r Zweck. Wenigstens kann man a priori nicht einsehen, warum die Natur nicht so eingerichtet sein sollte, weil durch ihren Mechanism diese Wirkung, wenigstens so viel wir einsehen, wohl möglich wäre. Aber Moralität

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 84

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consideri in me unicamente ciò che è natura. Ma una cosa che deve esistere necessariamente a causa della sua costituzione oggettiva in quanto fine definitivo di una causa intelligente deve essere di una specie tale che, nell’ordine dei fini, non è dipendente da alcun’altra condizione se non semplicemente 398 dalla sua idea. Ora, noi abbiamo soltanto un’unica specie di esseri nel mondo la cui causalità sia teleologica, cioè orientata a fini, e tuttavia, nel contempo, costituita in modo tale che la legge secondo la quale essi devono determinarsi i loro fini è rappresentata da essi stessi quale incondizionata e indipendente da condizioni naturali, ma come necessaria in sé. L’essere di questa specie è l’uomo, considerato però in quanto noumeno: è l’unico essere naturale nel quale noi possiamo tuttavia riconoscere, in base alla propria costituzione, una facoltà soprasensibile (la l i b e r t à ), e perfino la legge della causalità unitamente al suo oggetto, che egli si può proporre come fine sommo (il sommo bene nel mondo). Ora, dell’uomo (e quindi di ogni essere razionale nel mondo) in quanto essere morale non si può chiedere ulteriormente a quale scopo (quem in finem) egli esista. La sua esistenza ha in sé il fine sommo stesso al quale egli, per quanto riesce, può sottomettere tutta la natura, o almeno può ritenersi non sottomesso ad alcuna influenza della natura che sia opposta a quel fine. — Ebbene, se le cose del mondo, in quanto esseri dipendenti nella loro esistenza, hanno bisogno di una causa suprema che agisce secondo fini, allora l’uomo è il fine definitivo della creazione perché senza di lui la catena dei fini subordinati l’uno all’altro non sarebbe fondata completamente; e unicamente nell’uomo, ma anche solamente in 399 lui come soggetto della moralità, va rinvenuta la legislazione incondizionata riguardo ai fini, la quale soltanto lo rende dunque capace di essere un fine definitivo al quale tutta la 436 natura è teleologicamente subordinata*. * Sarebbe possibile che la felicità degli esseri razionali nel mondo fosse un fine della natura e in tal caso essa sarebbe anche il suo fine u l t i m o . Almeno non si può scorgere a priori perché la natura non dovrebbe essere strutturata in tal modo dal momento che, almeno per quel che possiamo vedere, questo effetto sarebbe certo possibile mediante il suo meccanismo. Ma la moralità, e una causalità secondo fini a

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

§ 85 Von der Physikotheologie

Die P h y s i k o t h e o l o g i e ist der Versuch der Vernunft, aus den Z w e c k e n der Natur (die nur empirisch erkannt werden können) auf die oberste Ursache der Natur und ihre Eigenschaften zu schließen. Eine M o r a l t h e o l o g i e (Ethikotheologie) wäre der Versuch, aus dem moralischen Zwecke vernünftiger Wesen in der Natur (der a priori erkannt werden kann) auf jene Ursache und ihre Eigenschaften zu schließen. Die erstere geht natürlicher Weise vor der zweiten vorher. Denn, wenn wir von den Dingen in der Welt auf eine Weltursache t e l e o l o g i s c h schließen wollen: so müssen Zwecke der 437 Natur zuerst gegeben sein, für die || wir nachher einen Endzweck und für diesen dann das Prinzip der Kausalität dieser obersten Ursache zu suchen haben. Nach dem teleologischen Prinzip können und müssen viele Nachforschungen der Natur geschehen, ohne daß man nach und eine ihr untergeordnete Kausalität nach Zwecken ist schlechterdings durch Naturursachen unmöglich; denn das Prinzip ihrer Bestimmung zum Handeln ist übersinnlich, ist also das einzige Mögliche in der Ordnung der Zwecke, was in3 Ansehung der Natur schlechthin unbedingt ist, und ihr Subjekt dadurch zum E n d z w e c k e der Schöpfung, dem die ganze Natur untergeordnet ist, allein qualifiziert. — G l ü c k s e l i g k e i t dagegen ist, wie im vorigen § nach dem Zeugnis der Erfahrung gezeigt worden, nicht einmal ein Z w e c k d e r N a t u r in Ansehung der Menschen4, mit einem Vorzuge vor anderen Geschöpfen: weit gefehlt, daß sie ein E n d z w e c k d e r S c h ö p f u n g sein sollte. Menschen mögen sie sich immer zu ihrem letzten subjektiven Zwecke machen. Wenn ich aber nach dem Endzwecke der Schöpfung frage: Wozu haben Menschen existieren müssen? so ist von einem objektiven obersten Zwecke die Rede, wie ihn die höchste Vernunft zu ihrer Schöpfung erfordern würde. Antwortet man nun darauf: damit Wesen existieren, denen jene oberste Ursache wohltun könne: so widerspricht man der Bedingung, welcher die5 Vernunft des Menschen selbst seinen innigsten Wunsch der Glückseligkeit unterwirft (nämlich die6 Übe400 reinstimmung mit seiner eigenen inneren moralischen | Gesetzgebung). Dies beweiset: daß die Glückseligkeit nur bedingter Zweck, der Mensch also, nur als moralisches Wesen, Endzweck der Schöpfung sein könne; was aber seinen Zustand betrifft, Glückseligkeit nur als Folge, nach Maßgabe der Übereinstimmung mit jenem Zwecke, als dem Zwecke seines Daseins, in Verbindung stehe.

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 85

§ 85 DELLA FISICOTEOLOGIA

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La f i s i c o t e o l o g i a è il tentativo della ragione di inferire dai f i n i della natura (che possono essere conosciuti soltanto in modo empirico) la causa suprema della natura e le sue proprietà. Una t e o l o g i a m o r a l e (eticoteologia) sarebbe il tentativo di inferire dal fine morale di esseri razionali nella natura (fine che può essere conosciuto a priori) quella causa e le sue proprietà. La prima precede in modo naturale la seconda. Infatti, se vogliamo inferire t e l e o l o g i c a m e n t e dalle cose nel mondo una causa del mondo, occorre che prima siano dati fini della natura per i quali dobbiamo poi cercare un fine definiti- 437 vo e per questo, poi, il principio della causalità di questa causa suprema. Secondo il principio teleologico possono e devono avere luogo molte indagini della natura senza che si abbia motivo essa subordinata, è assolutamente impossibile mediante cause naturali; infatti il principio della sua determinazione ad agire è soprasensibile, è quindi l’unico possibile, nell’ordine dei fini, che riguardo alla natura è del tutto incondizionato e il suo soggetto è in questo modo il solo qualificato a essere f i n e d e f i n i t i v o della creazione a cui è subordinata l’intera natura. — La f e l i c i t à , invece, come è stato mostrato nel paragrafo precedente con la testimonianza dell’esperienza, non è nemmeno un f i n e d e l l a n a t u r a riguardo agli uomini con una preferenza rispetto alle altre creature: meno che mai si può dire che debba essere un f i n e d e f i n i t i v o d e l l a c r e a z i o n e . Gli uomini possono pur sempre farsene il loro fine ultimo soggettivo. Ma se, a proposito del fine definitivo della creazione, domando: «A che scopo sono dovuti esistere gli uomini?», si tratta allora di un fine supremo oggettivo, quale la ragione somma lo richiederebbe per la sua creazione. Se a ciò ora si risponde: «Affinché esistano esseri ai quali quella causa suprema possa dispensare i suoi benefici», allora si contraddice la condizione alla quale la ragione dell’uomo sottomette perfino il suo più intimo auspicio di felicità (cioè l’accordo con la sua propria interna legislazione morale). Questo prova 400 che la felicità può essere soltanto un fine condizionato, e quindi che l’uomo può essere fine definitivo della creazione soltanto come essere morale; ma, per quanto riguarda il suo stato, la felicità vi è collegata soltanto come una conseguenza, secondo la misura dell’accordo con quel fine come fine della sua esistenza.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

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401 dem Grunde der Möglichkeit, zweckmäßig zu wirken, welche

wir an verschiedenen der Produkte der Natur antreffen, zu fragen Ursache hat. Will man nun aber auch hievon einen Begriff haben, so haben wir dazu schlechterdings keine weitergehende Einsicht, als bloß die Maxime der reflektierenden Urteilskraft: daß nämlich, wenn uns auch nur ein einziges organisches Produkt der Natur gegeben wäre, wir, nach der Beschaffenheit unseres Erkenntnisvermögens, dafür keinen andern Grund denken können, als den einer Ursache der Natur selbst (es sei der ganzen Natur oder auch nur dieses Stücks derselben), die durch Verstand die Kausalität zu demselben enthält; ein Beurteilungsprinzip, wodurch wir in der Erklärung der Naturdinge und ihres Ursprungs zwar um nichts weiter gebracht werden, das uns1 aber doch über die Natur hinaus einige Aussicht eröffnet, um den sonst so unfruchtbaren Begriff eines Urwesens vielleicht näher bestimmen zu können. Nun sage ich: die Physikotheologie, so weit sie auch getrieben werden mag, kann uns doch nichts von einem E n d z w e c k e der Schöpfung eröffnen; denn sie reicht nicht einmal bis zur Frage nach demselben. Sie kann also zwar den Begriff einer verständigen Weltursache, als einen subjektiv für die Beschaffenheit unseres Erkenntnisvermögens allein tauglichen Begriff von der Möglichkeit der Dinge, die wir uns nach Zwecken verständlich machen können, rechtfertigen, aber diesen Begriff weder in theoretischer noch praktischer Absicht 402 weiter bestim|men; und ihr Versuch ereicht seine Absicht nicht, eine Theologie zu gründen, sondern sie bleibt immer nur eine physische Teleologie: weil die Zweckbeziehung in ihr immer nur als in der Natur bedingt betrachtet wird und werden muß; mithin den Zweck, wozu die Natur selbst existiert (wozu2 der Grund außer der Natur gesucht werden muß), gar nicht einmal in Anfrage bringen kann, auf dessen bestimmte Idee gleichwohl der bestimmte Begriff jener oberen verständigen Weltursache, mithin die Möglichkeit einer Theologie, ankommt. Wozu die Dinge in der Welt einander nützen; wozu das Mannigfaltige in einem Dinge für dieses Ding selbst gut ist; wie man sogar Grund habe anzunehmen, daß nichts in der Welt

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 85

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di interrogarsi sul fondamento della possibilità di agire in 401 maniera conforme al fine, possibilità che incontriamo in diversi prodotti della natura. Ora, se si vuole però averne un concetto, non abbiamo per questo assolutamente alcuna comprensione che vada al di là della semplice massima della forza riflettente di giudizio: che cioè, se anche ci fosse dato solamente un unico prodotto organico della natura, noi, per la costituzione della nostra facoltà di conoscere, non potremmo pensare per esso alcun altro fondamento se non quello di una causa della natura stessa (sia essa di tutta la natura o anche solo di questo suo elemento) che contenga, mediante l’intelletto, la causalità per questo prodotto; si tratta di un principio di valutazione mediante il quale noi certo non procediamo per niente nella spiegazione delle cose naturali e della loro origine, ma che ci apre tuttavia qualche prospettiva al di là della natura per poter determinare forse in modo più preciso il concetto altrimenti così poco fecondo di un essere originario. Ora, dico che la fisicoteologia, per quanto lontano la si possa spingere, non ci può tuttavia rivelare nulla di un f i n e d e f i n i t i v o della creazione, perché essa non arriva nemmeno a porne la questione. Essa può dunque certamente giustificare il concetto di una causa intelligente del mondo in quanto è il solo concetto soggettivamente idoneo per la costituzione della nostra facoltà di conoscere, della possibilità delle cose che possiamo renderci intelligibili secondo fini, ma non può determinare ulteriormente questo concetto né dal punto di vista teoretico né da quello pratico; e il tentativo 402 della fisicoteologia non raggiunge il suo intento di fondare una teologia, bensì essa resta sempre solo una teleologia fisica, perché il riferimento finale in essa viene considerato nella natura sempre, e deve sempre esserlo, soltanto come condizionato; di conseguenza essa non può nemmeno sollevare la questione del fine per cui esiste la natura stessa (il cui fondamento deve essere cercato fuori dalla natura), dall’idea determinata del quale fine dipende tuttavia il concetto determinato di quella superiore causa intelligente del mondo e dunque la possibilità di una teologia. Per quale scopo le cose nel mondo sono utili le une alle altre? A che cosa serve, per la cosa stessa, il molteplice presente in essa? Come si ha perfino motivo di ammettere che

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umsonst, sondern alles irgend wozu i n d e r N a t u r, unter der Bedingung, daß gewisse Dinge (als Zwecke) existieren sollten, 438 gut sei, wobei mithin unsere Vernunft für die Urteils||kraft kein anderes Prinzip der Möglichkeit des Objekts ihrer unvermeidlichen teleologischen Beurteilung in ihrem Vermögen hat, als das, den Mechanism der Natur der Architektonik eines verständigen Welturhebers unterzuordnen: das alles leistet die teleologische Weltbetrachtung sehr herrlich und zur äußersten Bewunderung. Weil aber die Data, mithin die Prinzipien, jenen Begriff einer intelligenten Weltursache (als höchsten Künstlers) zu b e s t i m m e n , bloß empirisch sind: so lassen sie auf keine Eigenschaften weiter schließen, als uns die Erfahrung an den Wirkungen der403 selben offenbart: welche, da sie | nie die gesamte Natur als System befassen kann, oft auf (dem Anscheine nach) jenem Begriffe und unter einander widerstreitende Beweisgründe stoßen muß, niemals aber, wenn wir gleich vermögend wären, auch das ganze System, sofern es bloße Natur betrifft, empirisch zu überschauen, uns, über die Natur, zu dem Zwecke ihrer Existenz selber, und dadurch zum bestimmten Begriffe jener obern Intelligenz, erheben kann3. Wenn man sich die Aufgabe, um deren Auflösung es4 einer Physikotheologie zu tun ist, klein macht, so scheint ihre Auflösung leicht. Verschwendet man nämlich den Begriff von einer G o t t h e i t an jedes von uns gedachte verständige Wesen, deren es eines oder mehrere geben mag, welches viel5 und sehr große, aber eben nicht alle Eigenschaften habe, die zu Gründung einer mit dem größtmöglichen Zwecke übereinstimmenden Natur überhaupt erforderlich sind: oder hält man es für nichts, in einer Theorie den Mangel dessen, was die Beweisgründe leisten, durch willkürliche Zusätze zu ergänzen, und, wo man nur Grund hat, v i e l Vollkommenheit anzunehmen (und was ist viel für uns?), sich da befugt hält, a l l e m ö g l i c h e vorauszusetzen: so macht die physische Teleologie wichtige Ansprüche auf den Ruhm, eine Theologie zu begründen. Wenn aber verlangt wird anzuzeigen: was uns denn antreibe und überdem berechtige, jene Ergänzungen zu machen: so werden wir in 404 den Prinzipien des theoretischen Gebrauchs der | Vernunft, welcher durchaus verlangt, zu Erklärung eines Objekts der Erfahrung diesem nicht mehr Eigenschaften beizulegen, als em-

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 85

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niente nel mondo sia invano, ma che tutto n e l l a n a t u r a serva a qualcosa, alla condizione che certe cose (in quanto fini) debbano esistere, laddove la nostra ragione non ha dunque in suo potere, per la forza di giudizio, alcun altro principio della possibilità dell’oggetto della sua inevitabile valutazione teleologica, se non quello che consiste nel subordinare il meccanismo della natura all’architettonica di un autore intelligente del mondo: questo è tutto ciò che fa la considerazione teleologica del mondo, in modo eccelso e destando in noi la massima ammirazione. Ma poiché i dati, e dunque i principi, per d e t e r m i n a r e quel concetto di una causa intelligente del mondo (in quanto sommo artista) sono semplicemente empirici, essi non permettono di inferire altre proprietà oltre a quelle che, negli effetti di quella causa, ci manifesta l’esperienza: essa, non potendo mai abbracciare 403 l’intera natura come sistema, spesso deve imbattersi in argomenti (in apparenza) in contrasto tra loro e con quel concetto, e invece non può elevarci mai, anche se noi avessimo la facoltà di abbracciare empiricamente con lo sguardo tutto il sistema, per quanto concerne la semplice natura, sopra la natura, al fine della sua stessa esistenza e di conseguenza al concetto determinato di quella superiore intelligenza. Se si minimizza il problema che va risolto in una fisicoteologia, la sua soluzione sembra facile. Se cioè si spreca il concetto di d i v i n i t à utilizzandolo per ogni essere intelligente da noi pensato, che sia una o siano di più, che avesse molte e grandi proprietà, ma appunto non tutte quelle che in generale si richiedono per fondare una natura che si accordi con il più grande fine possibile; oppure se si ritiene che non importi nulla completare, in una teoria, le mancanze degli argomenti mediante aggiunte arbitrarie e se, laddove si ha soltanto motivo di ammettere m o l t a perfezione (ma che cosa significa «molto» per noi?), ci si ritiene autorizzati a presupporre t u t t e le perfezioni p o s s i b i l i : allora la teleologia fisica avanza serie pretese alla gloria di fondare una teologia. Ma se viene richiesto di indicare che cosa poi ci spinga e, di più, ci autorizzi a fare quelle integrazioni, allora cercheremo invano un fondamento che ci giustifichi nei principi dell’uso teoretico della ragione; il quale uso esige assolutamente, per spiegare un oggetto 404 dell’esperienza, di non attribuirgli più proprietà di quanti non

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pirische Data zu ihrer Möglichkeit anzutreffen sind, vergeblich Grund zu unserer Rechtfertigung suchen. Bei näherer Prüfung würden wir sehen6, daß eigentlich eine Idee von einem höchsten Wesen, die auf ganz verschiedenem Vernunftgebrauch (dem praktischen) beruht, in uns a priori zum Grunde liege, welche uns antreibt, die mangelhafte Vorstellung einer physischen Teleologie7, von dem Urgrunde der Zwecke in der Natur, 439 bis zum || Begriffe einer Gottheit zu ergänzen; und wir würden uns nicht fälschlich einbilden, diese Idee, mit ihr aber eine Theologie, durch den theoretischen Vernunftgebrauch der physischen Weltkenntnis zu Stande gebracht, viel weniger, ihre Realität bewiesen zu haben. Man kann es den Alten nicht so hoch zum Tadel anrechnen, wenn sie sich ihre Götter als, teils8 ihrem Vermögen, teils den Absichten und Willensmeinungen nach, sehr mannigfaltig verschieden, alle aber, selbst ihr Oberhaupt nicht ausgenommen, noch immer auf menschliche Weise eingeschränkt dachten. Denn, wenn sie die Einrichtung und den Gang der Dinge in der Natur betrachteten: so fanden sie zwar Grund genug, etwas mehr als Mechanisches zur Ursache derselben anzunehmen, und Absichten gewisser oberer Ursachen, die sie nicht anders als übermenschlich denken konnten, hinter dem Maschinen405 werk dieser Welt zu vermuten. Weil | sie aber das Gute und Böse, das Zweckmäßige und Zweckwidrige in ihr, wenigstens für unsere Einsicht, sehr gemischt antrafen, und sich nicht erlauben konnten, insgeheim dennoch zum Grunde liegende weise und wohltätige Zwecke, von denen sie doch den Beweis nicht sahen, zum Behuf der willkürlichen Idee eines höchstvollkommenen9 Urhebers anzunehmen: so konnte ihr Urteil von der obersten Weltursache schwerlich anders ausfallen, so fern sie nämlich nach Maximen des bloß theoretischen Gebrauchs der Vernunft ganz konsequent verfuhren. Andere, die als Physiker zugleich Theologen sein wollten, dachten Befriedigung für die Vernunft darin zu finden, daß sie für die absolute Einheit des Prinzips der Naturdinge, welche die Vernunft fordert, vermittelst der Idee von einem Wesen sorgten, in welchem, als alleiniger Substanz, jene insgesamt nur inhärierende Bestimmungen wären: welche Substanz zwar10 nicht, durch Verstand, Ursache der Welt, in welcher aber11 doch, als Subjekt, aller Verstand der Weltwesen anzutreffen wäre; ein Wesen folg-

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siano i dati empirici riscontrabili per la loro possibilità. A un esame più approfondito vedremo che l’idea di un essere supremo, la quale si basa su un uso del tutto diverso della ragione (quello pratico), si trova in noi a priori come fondamento e che quest’idea ci spinge a completare la manchevole rappresentazione che una teleologia fisica si fa del fondamento originario dei fini della natura fino a giungere al concetto di una divinità; e 439 noi non ci illuderemmo, falsamente, di aver portato a compimento, mediante l’uso teoretico della ragione che interviene nella conoscenza fisica del mondo, quest’idea, e con essa pure una teologia, e tanto meno di averne dimostrato la realtà. Non si possono biasimare troppo gli antichi se pensavano i loro dèi come molto e variamenti diversi, sia per le loro facoltà sia per i loro intenti e propositi, ma tutti, senza escludere nemmeno il loro capo supremo, pur sempre limitati come lo sono gli uomini. Infatti, quando essi consideravano la disposizione e il corso delle cose nella natura, trovavano certamente un motivo sufficiente per assumere come causa qualcosa di più dell’elemento meccanico e per congetturare, dietro il macchinario di questo mondo, le intenzioni di certe cause superiori che essi non potevano pensare se non come sovrumane. Ma poiché essi incontravano assai mescolati nel mondo, almeno 405 per la nostra perspicacia, il bene e il male, ciò che è conforme al fine e ciò che è contrario al fine, e non si potevano permettere di assumere comunque segretamente, a vantaggio dell’idea arbitraria di un autore perfettissimo, fini saggi e benevoli che stessero nascosti e tuttavia a fondamento, così il loro giudizio sulla causa suprema del mondo poteva difficilmente risultare diverso, in quanto, cioè, essi procedevano, in modo del tutto conseguente, secondo massime dell’uso semplicemente teoretico della ragione. Altri che, in quanto fisici125, volevano al contempo essere teologi, pensavano di trovare compiacimento per la ragione provvedendo all’unità assoluta, richiesta dalla ragione, del principio delle cose della natura, per mezzo dell’idea di un essere nel quale, in quanto sostanza unica, tutte quelle cose nel loro complesso non fossero altro che determinazioni inerenti; tale sostanza non sarebbe certamente causa del mondo mediante l’intelletto, ma in essa, tuttavia, come soggetto, si dovrebbe trovare ogni intelletto degli esseri del mondo: un essere, dunque, che certo non produr-

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lich, das zwar12 nicht nach Zwecken etwas hervorbrächte, in welchem aber doch alle Dinge, wegen der Einheit des Subjekts, von dem sie bloß Bestimmungen sind, auch ohne Zweck und Absicht notwendig sich auf einander zweckmäßig beziehen mußten. So führten sie den Idealism der Endursachen ein: indem13 sie die so schwer herauszubringende Einheit einer 406 Menge zweckmäßig verbundener Substanzen, statt | der Kausalabhängigkeit v o n e i n e r, in die der Inhärenz i n e i n e r verwandelten; welches System in der Folge, von Seiten der inhärierenden Weltwesen betrachtet, als P a n t h e i s m , von Seiten des allein subsistierenden Subjekts, als Urwesens, (späterhin) als 440 S p i n o z i s m , nicht sowohl die || Frage vom ersten Grunde der Zweckmäßigkeit der Natur auflösete, als sie vielmehr für nichtig erklärte, indem der letztere Begriff, aller seiner Realität beraubt, zur bloßen Mißdeutung eines allgemeinen ontologischen Begriffs von einem Dinge überhaupt gemacht wurde. Nach bloß theoretischen Prinzipien des Vernunftgebrauchs (worauf die Physikotheologie sich allein gründet) kann also niemals der Begriff einer Gottheit, der für unsere teleologische Beurteilung der Natur zureichte, herausgebracht werden. Denn wir erklären entweder alle Teleologie für bloße Täuschung der Urteilskraft in der Beurteilung der Kausalverbindung der Dinge, und flüchten uns zu dem alleinigen Prinzip eines bloßen Mechanisms der Natur, welche, wegen der Einheit der Substanz, von der sie nichts als das Mannigfaltige der Bestimmungen derselben sei14, uns eine allgemeine Beziehung auf Zwecke zu enthalten bloß scheine; oder, wenn wir, statt dieses Idealisms der Endursachen, dem Grundsatze des Realisms dieser besondern Art der Kausalität anhänglich bleiben wollen, so mögen wir viele verständige Urwesen, oder nur ein einiges15, den Naturzwecken unterlegen: sobald wir zu Begründung des Begriffs 407 von | demselben nichts als Erfahrungsprinzipien, von der wirklichen Zweckverbindung in der Welt hergenommen, zur Hand haben, so können wir einerseits wider die Mißhelligkeit, die die Natur in Ansehung der Zweckeinheit in vielen Beispielen aufstellt, keinen Rat finden, andrerseits den Begriff einer einigen intelligenten Ursache, so wie wir ihn, durch bloße Erfahrung berechtigt, herausbringen, niemals für irgend eine, auf welche Art es auch sei (theoretisch oder praktisch), brauchbare Theologie bestimmt genug daraus ziehen.

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 85

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rebbe qualcosa secondo fini, ma nel quale però tutte le cose, a causa dell’unità del soggetto del quale sono semplicemente determinazioni, dovevano necessariamente riferirsi in maniera conforme al fine le une alle altre, anche senza fini e intenti. In questo modo introdussero l’idealismo delle cause finali, trasformando l’unità, così difficile da ricavare, di una quantità di sostanze collegate in maniera conforme al fine da dipendenza 406 causale d a u n a sostanza a inerenza i n u n a sostanza; sistema che in seguito, considerato dalla parte degli esseri del mondo inerenti come p a n t e i s m o , e dalla parte dell’unico soggetto sussistente in quanto essere originario come (più tardi) s p i n o z i s m o , non tanto risolse la questione del fonda- 440 mento primo della conformità della natura al fine, quanto piuttosto la dichiarò nulla, dato che quest’ultimo concetto, privato di tutta la sua realtà, fu reso un semplice fraintendimento di un universale concetto ontologico di una cosa in generale. Secondo i principi semplicemente teoretici dell’uso della ragione (sui quali soltanto si fonda la fisicoteologia), non si può dunque mai ricavare il concetto di una divinità, il quale sia sufficiente per la nostra valutazione teleologica della natura. Infatti, o noi dichiariamo che ogni teleologia è una mera illusione della forza di giudizio nella valutazione del nesso causale delle cose, e ci rifugiamo nel principio unico di un semplice meccanismo della natura, la quale, a causa dell’unità della sostanza di cui essa non costituirebbe altro che il molteplice delle sue determinazioni, ci sembrerebbe solo contenere un universale riferimento a fini; oppure se noi, invece di questo idealismo delle cause finali, vogliamo attenerci al principio fondamentale del realismo di questa specie particolare di causalità, allora possiamo porre alla base dei fini naturali molti esseri originari intelligenti oppure un unico essere: finché, per fondare il concetto di questo essere, non disponiamo di nient’altro se non di principi d’esperienza tratti dall’effetti- 407 vo nesso finale nel mondo non possiamo, da una parte, trovare alcun rimedio contro la discordia che la natura presenta in molti esempi riguardo all’unità finale, né d’altra parte trarne mai, in maniera sufficientemente determinata, per una qualche teologia utilizzabile in qualsiasi modo (teoretico o pratico), il concetto di una causa intelligente unica quale noi lo ricaviamo autorizzati dalla semplice esperienza.

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Die physische Teleologie treibt uns zwar an, eine Theologie zu suchen; aber kann keine hervorbringen, so weit wir auch der Natur durch Erfahrung nachspüren, und der in ihr entdeckten Zweckverbindung, durch Vernunftideen (die zu physischen Aufgaben theoretisch sein müssen), zu Hülfe kommen mögen. Was hilft's, wird man mit Recht klagen: daß wir allen diesen Einrichtungen einen großen, einen für uns unermeßlichen Verstand zum Grunde legen, und ihn diese Welt nach Absichten anordnen lassen? wenn uns die Natur von der Endabsicht nichts sagt, noch jemals sagen kann, ohne welche wir uns doch keinen gemeinschaftlichen Beziehungspunkt aller dieser Naturzwecke, kein hinreichendes teleologisches Prinzip machen können, teils die Zwecke insgesamt in einem System zu erkennen, teils uns von dem obersten Verstande, als Ursache einer solchen 441 Natur, einen || Begriff zu machen, der unserer über sie teleolo408 gisch reflektie|renden Urteilskraft zum Richtmaße dienen könnte. Ich hätte alsdann zwar einen K u n s t v e r s t a n d , für zerstreute Zwecke; aber keine We i s h e i t , für einen Endzweck, der doch eigentlich den Bestimmungsgrund von jenem enthalten muß. In Ermangelung aber eines Endzwecks, den nur die reine Vernunft a priori an die Hand geben kann (weil alle Zwecke in der Welt empirisch bedingt sind, und nichts, als was hiezu oder dazu, als zufälliger Absicht, nicht was schlechthin gut ist, enthalten können), und der mich allein lehren würde: welche Eigenschaften, welchen Grad und welches Verhältnis der obersten Ursache der Natur16 ich mir zu denken habe, um diese als teleologisches System zu beurteilen: wie und mit welchem Rechte darf ich da meinen sehr eingeschränkten Begriff von jenem ursprünglichen Verstande, den ich auf meine geringe Weltkenntnis gründen kann, von der Macht dieses Urwesens, seine Ideen zur Wirklichkeit zu bringen, von seinem Willen, es zu tun u.s.w., nach Belieben erweitern, und bis zur Idee eines allweisen unendlichen Wesens ergänzen? Dies würde, wenn es theoretisch geschehen sollte, in mir selbst Allwissenheit voraussetzen, um17 die Zwecke der Natur in ihrem ganzen Zusammenhange einzusehen, und noch oben ein alle andere mögliche Plane denken zu können, mit denen in Vergleichung der gegenwärtige als der beste mit Grunde beurteilt werden müßte. Denn, ohne diese vollendete Kenntnis der Wirkung, kann ich auf kei409 nen bestimmten | Begriff von der obersten Ursache, der nur in

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 85

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La teleologia fisica ci spinge certamente a cercare una teologia, ma non può produrne alcuna, per quanto possiamo indagare la natura mediante l’esperienza e sostenere mediante idee razionali (che, per i problemi fisici, devono essere teoretiche) il nesso finale scoperto in essa. A che cosa serve, si protesterà giustamente126, porre a fondamento di tutte queste strutture un grande intelletto, per noi incommensurabile, e fargli ordinare questo mondo secondo intenzioni? A che cosa serve se la natura non ci dice né potrà mai dirci nulla dell’intento finale, senza il quale non possiamo però farci alcun punto di riferimento comune a tutti questi fini naturali, alcun principio teleologico sufficiente sia per conoscere i fini come tutti appartenenti a un sistema sia per farci dell’intelletto supremo, in quanto causa di una tale natura, un concetto che 441 possa servire da criterio alla nostra forza di giudizio che 408 riflette teleologicamente su di essa? In tal caso avrei certo un i n t e l l e t t o d ’ a r t i s t a per fini disparati, ma non una s a g g e z z a per un fine definitivo, che deve tuttavia contenere propriamente il principio di determinazione di quell’intelletto. Però, in mancanza di un fine definitivo che soltanto la ragione pura può fornire a priori (perché tutti i fini nel mondo sono condizionati empiricamente e non possono contenere altro che qualcosa di buono per questo o per quello, in quanto intento contingente, ma non qualcosa di assolutamente buono) e che, esso soltanto, mi insegnerebbe quali proprietà, quale grado e quale rapporto della causa suprema della natura io debba pensare, al fine di valutare la natura come sistema teleologico: in mancanza di un tale fine, come e con quale diritto posso estendere a mio piacimento e completare fino all’idea di un essere onnisciente e infinito il mio concetto assai limitato di quell’intelletto originario, che posso fondare sulla mia ristretta cognizione del mondo, della potenza che ha questo essere originario di dare realtà alle sue idee, della sua volontà di farlo, ecc.? Se ciò dovesse avvenire teoreticamente, presupporrebbe in me stesso l’onniscienza per scorgere i fini della natura nella loro totale connessione e per poter inoltre pensare tutti gli altri piani possibili, in confronto ai quali il piano presente dovrebbe fondatamente essere valutato come il migliore. Infatti, senza questa conoscenza compiuta dell’effetto non posso inferire alcun concetto determi- 409

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dem von einer in allem Betracht unendlichen Intelligenz, d. i. dem Begriffe einer Gottheit, angetroffen werden kann, schließen, und eine Grundlage zur Theologie zu Stande bringen. Wir können also, bei aller möglichen Erweiterung der physischen Teleologie, nach dem oben angeführten Grundsatze, wohl sagen: daß wir, nach der Beschaffenheit und den Prinzipien unseres Erkenntnisvermögens, die Natur, in ihren uns bekannt gewordenen zweckmäßigen Anordnungen, nicht anders als18 das Produkt eines Verstandes, dem diese unterworfen ist, denken können. Ob aber dieser Verstand mit dem Ganzen derselben und dessen Hervorbringung noch eine Endabsicht gehabt haben möge (die alsdann nicht in der Natur der Sinnenwelt liegen würde): das kann uns die theoretische Naturforschung nie eröffnen; sondern es bleibt, bei aller Kenntnis derselben, unausgemacht, ob jene oberste Ursache überall nach einem Endzwecke, und nicht vielmehr durch einen von der bloßen Notwendigkeit seiner Natur zu Hervorbringung gewis442 ser Formen bestimmten Verstand || (nach der Analogie mit dem, was wir bei den Tieren den Kunstinstinkt nennen), Urgrund derselben sei: ohne daß es nötig sei, ihr darum auch nur Weisheit, viel weniger höchste und mit allen andern zur Vollkommenheit ihres Produkts erforderlichen Eigenschaften verbundene Weisheit, beizulegen. | 410 Also ist Physikotheologie19, eine mißverstandene physische Teleologie, nur als Vorbereitung (Propädeutik) zur Theologie brauchbar, und nur durch Hinzukunft eines anderweitigen Prinzips, auf das sie sich stützen kann, nicht aber an sich selbst, wie ihr Name es anzeigen will, zu dieser Absicht zureichend.

§ 86 Von der Ethikotheologie Es ist ein Urteil, dessen sich selbst der gemeinste Verstand nicht entschlagen kann, wenn er über das Dasein der Dinge in der Welt und die Existenz der Welt selbst nachdenkt: daß nämlich alle die mannigfaltigen Geschöpfe, von wie1 großer Kunsteinrichtung und wie2 mannigfaltigem, zweckmäßig auf einander

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 86

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nato della causa suprema, il quale può essere trovato soltanto nel concetto di un’intelligenza infinita sotto ogni riguardo, cioè nel concetto di una divinità, né porre le fondamenta per la teologia. Possiamo dunque, qualunque sia l’estensione possibile della teleologia fisica, dire certamente, stando al principio indicato in precedenza, che noi, secondo la costituzione e i principi della nostra facoltà di conoscere, non possiamo pensare la natura, nei suoi ordinamenti conformi al fine che ci sono diventati noti, se non come il prodotto di un intelletto al quale essa è sottomessa. Quanto poi a sapere se però questo intelletto possa anche avere avuto, rispetto alla totalità della natura e alla produzione di questa totalità, un intento finale (che in questo caso non starebbe nella natura del mondo sensibile), la ricerca teoretica della natura non ce lo rivelerà mai; e invece, pur con tutta la conoscenza della natura, resta indeciso se quella causa suprema sia in tutto, secondo un fine definitivo, fondamento originario della natura o se non lo sia piuttosto mediante un intelletto determinato dalla semplice necessità della sua natura a produrre certe forme (per analo- 442 gia con ciò che negli animali chiamiamo istinto d’artista), senza che sia necessario attribuirle per questo anche solo la saggezza, e tanto meno una saggezza somma, legata a tutte le altre proprietà richieste per la perfezione del suo prodotto. Dunque la fisicoteologia, una teleologia fisica fraintesa, è 410 utilizzabile soltanto come preparazione (propedeutica) alla teologia, è sufficiente per questo intento solamente mediante l’aggiunta di un ulteriore principio, sul quale essa possa appoggiarsi, ma non è sufficiente in se stessa come il suo nome vorrebbe indicare.

§ 86 DELL’ETICOTEOLOGIA È un giudizio di cui lo stesso intelletto più comune non può fare a meno quando riflette sull’esistenza delle cose nel mondo e sull’esistenza del mondo stesso: sul fatto cioè che tutte le molteplici creature, per quanto grande sia l’arte della loro struttura e molteplice la connessione che le riferisce in

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bezogenen Zusammenhange sie auch sein mögen, ja3 selbst das Ganze so vieler Systeme derselben, die wir unrichtiger Weise Welten nennen, zu nichts da sein würden, wenn es in ihnen nicht Menschen (vernünftige Wesen überhaupt) gäbe; d. i. daß, ohne den Menschen, die ganze Schöpfung eine bloße Wüste4, umsonst und ohne Endzweck sein würde. Es ist aber auch nicht das Erkenntnisvermögen desselben (theoretische Vernunft), in Beziehung auf welches das5 Dasein alles übrigen in der Welt allererst seinen Wert bekommt, etwa damit irgend jemand6 da sei, welcher die Welt b e t r a c h t e n könne. Denn, wenn diese Betrachtung der Welt ihm7 doch nichts als Dinge ohne End-| 411 zweck vorstellig machte, so kann daraus, daß sie erkannt wird, dem Dasein derselben kein Wert erwachsen; und man muß schon einen Endzweck derselben voraussetzen, in Beziehung auf welchen die Weltbetrachtung selbst einen Wert habe. Auch ist es nicht das Gefühl der Lust und der Summe derselben, in Beziehung auf welches wir8 einen Endzweck der Schöpfung als gegeben denken, d. i. nicht das Wohlsein, der Genuß (er sei körperlich oder geistig), mit einem Worte die Glückseligkeit, wornach wir jenen absoluten Wert schätzen. Denn: daß, wenn der Mensch da ist, er diese ihm selbst zur Endabsicht macht, gibt keinen Begriff, wozu er dann überhaupt da sei, und welchen Wert er dann9 selbst habe, um ihm seine Existenz ange443 nehm zu machen. || Er muß also schon als Endzweck der Schöpfung vorausgesetzt werden, um einen Vernunftgrund zu haben, warum die Natur zu seiner Glückseligkeit zusammen stimmen müsse, wenn sie als ein absolutes Ganze nach Prinzipien der Zwecke betrachtet wird. — Also ist es nur das Begehrungsvermögen: aber nicht dasjenige, was ihn von der Natur (durch sinnliche Antriebe) abhängig macht, nicht das, in Ansehung dessen der Wert seines Daseins auf dem, was er empfängt und genießt, beruht; sondern der Wert, welchen er allein sich selbst geben kann, und welcher10 in dem besteht was er tut, wie und nach welchen Prinzipien er, nicht als Naturglied, sondern in der 412 F r e i h e i t seines Begehrungsvermögens, handelt; d. h. | ein guter Wille ist11 dasjenige, wodurch sein Dasein allein einen absoluten Wert und in Beziehung auf welches das12 Dasein der Welt einen E n d z w e c k haben kann. Auch stimmt damit das gemeinste Urteil der gesunden Menschenvernunft vollkommen zusammen: nämlich daß der Mensch

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maniera conforme al fine l’una all’altra, e anzi che il tutto di così tanti loro sistemi, che noi chiamiamo erroneamente mondi, esisterebbero per niente, se in essi non ci fossero uomini (esseri razionali in generale); in altre parole, senza l’uomo l’intera creazione sarebbe un semplice deserto, inutile e senza un fine definitivo. Ma non è nemmeno la facoltà conoscitiva dell’uomo (ragione teoretica) ciò in riferimento a cui l’esistenza di tutto il resto del mondo acquista solo allora il suo valore, affinché, per così dire, ci sia qualcuno che possa c o n s i d e r a r e il mondo. Infatti, se questa considerazione del mondo non gli rendesse tuttavia rappresentabili nient’altro che cose senza fine definitivo, dal fatto che il mondo venga 411 conosciuto non può per questo derivare alcun valore alla sua esistenza; e occorre già presupporne un suo fine definitivo, in riferimento al quale abbia un valore la considerazione stessa del mondo. E non è neppure il sentimento del piacere e la somma dei piaceri ciò in riferimento a cui pensiamo come dato un fine definitivo della creazione, non è cioè il benessere, il godimento (sia esso corporeo o spirituale), in una parola, non è la felicità ciò secondo cui stimiamo quel valore assoluto. Infatti: che l’uomo, una volta che esiste, faccia per se stesso della felicità l’intento finale non dà alcun concetto del perché egli esista in generale e di quale valore abbia poi egli stesso affinché gli si renda gradevole la sua esistenza. Egli deve quin- 443 di essere già presupposto come fine definitivo della creazione per avere un fondamento razionale del perché la natura debba accordarsi con la sua felicità quando essa è considerata come un tutto assoluto secondo principi dei fini. — È dunque solo la facoltà di desiderare, ma non quella che rende l’uomo dipendente dalla natura (mediante stimoli sensibili), né quella per la quale il valore della sua esistenza si basa su ciò che egli riceve e di cui gode; bensì è il valore che egli solo può dare a se stesso e che consiste in ciò che egli fa, nel modo e nei principi secondo cui agisce, non come membro della natura ma nella l i b e r t à della sua facoltà di desiderare, cioè è una 412 volontà buona ciò per cui soltanto la sua esistenza può avere un valore assoluto ed è in riferimento a essa che l’esistenza del mondo può avere un f i n e d e f i n i t i v o . Anche il giudizio più comune della sana ragione umana si accorda perfettamente sul fatto che l’uomo può essere un fine

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nur als moralisches Wesen ein Endzweck der Schöpfung sein könne, wenn man die Beurteilung nur auf diese Frage leitet und veranlaßt, sie zu versuchen. Was hilft’s, wird man sagen, daß dieser Mensch so viel Talent hat, daß er damit sogar sehr tätig ist, und dadurch einen nützlichen Einfluß auf das gemeine Wesen ausübt, und also in Verhältnis, so wohl auf seine Glücksumstände, als auch auf anderer Nutzen, einen großen Wert hat, wenn er keinen guten Willen besitzt? Er ist ein verachtungswürdiges Objekt, wenn man ihn nach seinem Innern betrachtet; und, wenn die Schöpfung nicht überall ohne Endzweck sein soll, so muß er, der, als Mensch, auch dazu gehört, doch, als böser Mensch, in einer Welt unter moralischen Gesetzen, diesen gemäß, seines subjektiven Zwecks (der Glückseligkeit) verlustig gehen, als der einzigen Bedingung, unter der seine Existenz mit dem Endzwecke zusammen bestehen kann. Wenn wir nun in der Welt Zweckanordnungen antreffen, und, wie es die Vernunft unvermeidlich fordert, die Zwecke, die es nur bedingt sind, einem unbedingten obersten, d.i. einem 413 Endzwecke, unterordnen: so sieht | man erstlich leicht, daß alsdann nicht von einem Zwecke der Natur (innerhalb derselben), sofern sie existiert, sondern dem Zwecke ihrer Existenz mit allen ihren Einrichtungen, mithin von dem13 letzten Z w e c k e d e r S c h ö p f u n g die Rede ist14, und in diesem auch eigentlich von der obersten Bedingung, unter der allein ein Endzweck (d. i. der Bestimmungsgrund eines höchsten Verstandes zu Hervorbringung der Weltwesen) Statt finden kann. || 444 Da wir nun den Menschen, nur als moralisches Wesen, für den Zweck der Schöpfung anerkennen: so haben wir erstlich einen Grund, wenigstens die Hauptbedingung, die Welt, als ein nach Zwecken zusammenhangendes Ganze und als S y s t e m von Endursachen anzusehen; vornehmlich aber, für die, nach Beschaffenheit15 unserer Vernunft, uns notwendige Beziehung der Naturzwecke auf eine verständige Weltursache, e i n P r i n z i p , die Natur und Eigenschaften dieser ersten Ursache, als obersten Grundes im Reiche der Zwecke, zu denken, und so den Begriff derselben zu bestimmen: welches die physische Teleologie nicht vermochte, die nur unbestimmte und eben darum, zum theoretischen so wohl als praktischen Gebrauche, untaugliche Begriffe von demselben veranlassen konnte.

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 86

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definitivo della creazione solamente come essere morale, purché si diriga la valutazione solo su tale questione e si offra l’occasione di metterla alla prova. A che cosa serve, si dirà, che quest’uomo abbia tanto talento, che sia anzi tanto attivo nell’usarlo ed eserciti in tal modo un’utile influenza sulla comunità, e abbia quindi un grande valore in rapporto sia alle proprie fortune sia all’utile degli altri, se egli non possiede alcuna volontà buona? Egli è un oggetto spregevole se lo si considera nella sua interiorità; e se la creazione non deve essere assolutamente senza un fine definitivo, allora egli, che in quanto uomo vi appartiene, tuttavia in quanto uomo cattivo in un mondo sotto leggi morali deve perdere, conformemente a esse, il suo fine soggettivo (la felicità) in quanto unica condizione alla quale la sua esistenza può coesistere con il fine definitivo. Ora, quando incontriamo nel mondo ordinamenti finali e, come lo richiede inevitabilmente la ragione, subordiniamo i fini, che sono tali soltanto condizionatamente, a un fine supremo incondizionato, cioè a un fine definitivo, allora si vede innanzitutto facilmente che non si tratta di un fine della 413 natura (interno a essa), nella misura in cui essa esiste, bensì del fine della sua esistenza con tutte le sue strutture e quindi del f i n e u l t i m o d e l l a c r e a z i o n e , e in esso propriamente anche della condizione suprema alla quale soltanto un fine definitivo (cioè il principio di determinazione di un intelletto sommo per la produzione degli esseri del mondo) può avere luogo. Ora, poiché riconosciamo l’uomo come fine della creazio- 444 ne soltanto in quanto è un essere morale, abbiamo anzitutto un motivo, o almeno la condizione principale, per considerare il mondo come un tutto coerentemente connesso secondo fini e come s i s t e m a di cause finali; ma soprattutto, per il riferimento dei fini naturali a una causa intelligente del mondo, riferimento che ci è necessario per la costituzione della nostra ragione, abbiamo u n p r i n c i p i o per pensare la natura e le proprietà di questa causa prima come fondamento supremo nel regno dei fini e per determinarne così il concetto: cosa questa che non era in grado di fare la teleologia fisica, la quale non poteva dare occasione se non a concetti solo indeterminati di quel fondamento e proprio per questo non idonei né all’uso teoretico né a quello pratico.

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Aus diesem so bestimmten Prinzip der Kausalität des Urwesens werden wir es nicht bloß als Intelligenz und gesetzgebend für die Natur, sondern auch als gesetzgebendes Oberhaupt in 414 einem moralischen Reiche der | Zwecke, denken müssen. In Beziehung auf das h ö c h s t e unter seiner Herrschaft allein mögliche G u t , nämlich die Existenz vernünftiger Wesen unter moralischen Gesetzen, werden wir uns dieses Urwesen als a l l w i s s e n d denken: damit selbst das Innerste der Gesinnungen (welches den eigentlichen moralischen Wert der Handlungen vernünftiger Weltwesen ausmacht) ihm nicht verborgen sei; als a l l m ä c h t i g : damit er16 die ganze Natur diesem höchsten Zwecke angemessen machen könne; als a l l g ü t i g , und zugleich g e r e c h t : weil diese beiden Eigenschaften (vereinigt, die We i s h e i t ) die Bedingungen der Kausalität einer obersten Ursache der Welt als höchsten Guts, unter moralischen Gesetzen, ausmachen; und so auch alle noch17 übrigen transzendentalen Eigenschaften, als E w i g k e i t , A l l g e g e n w a r t , u.s.w. (denn Güte und Gerechtigkeit sind moralische Eigenschaften)18, die in Beziehung auf einen solchen Endzweck vorausgesetzt werden, an demselben denken müssen. — Auf solche Weise ergänzt die m o r a l i s c h e Teleologie den Mangel der p h y s i s c h e n , und gründet allererst eine T h e o l o g i e ; da die letztere, wenn sie nicht unbemerkt aus der ersteren borgte, sondern konsequent verfahren sollte, für sich allein nichts als eine D ä m o n o l o g i e , welche keines bestimmten Begriffs fähig ist, begründen könnte. Aber das Prinzip der Beziehung der Welt, wegen der morali415 schen Zweckbestimmung gewisser Wesen in der|selben, auf eine oberste Ursache, als Gottheit, tut dieses nicht bloß dadurch, daß es den physisch-teleologischen Beweisgrund ergänzt, und also diesen notwendig zum Grunde legt; sondern es ist dazu auch 445 f ü r s i c h hinreichend, und treibt die Aufmerksam||keit auf die Zwecke der Natur, und die Nachforschung der hinter ihren Formen verborgen liegenden unbegreiflich großen Kunst, um den Ideen, die die reine praktische Vernunft herbeischafft, an den Naturzwecken beiläufige Bestätigung zu geben. Denn der Begriff von Weltwesen unter moralischen Gesetzen ist ein Prinzip a priori, wornach sich der Mensch notwendig beurteilen muß. Daß19 ferner, wenn es überall eine absichtlich wirkende und auf einen Zweck gerichtete Weltursache gibt, jenes moralische Verhältnis eben so notwendig die Bedingung der Möglichkeit einer

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 86

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A partire da questo principio così determinato della causalità dell’essere originario, dovremo pensare tale essere non solamente come intelligenza e come legislatore per la natura, ma anche quale supremo capo legislatore in un regno morale dei fini. In riferimento al s o m m o b e n e , che è possibile 414 solo sotto la sua signoria, cioè all’esistenza di esseri razionali sotto leggi morali, penseremo questo essere originario come o n n i s c i e n t e , affinché non gli sia nascosto nemmeno ciò che è più interiore agli atteggiamenti (che costituisce l’autentico valore morale delle azioni di esseri razionali del mondo); come o n n i p o t e n t e , affinché possa rendere l’intera natura adeguata a questo fine sommo; come i n f i n i t a m e n t e b u o n o e, al tempo stesso, g i u s t o , perché queste due proprietà (che, unite, formano la s a g g e z z a ) costituiscono le condizioni della causalità di una causa suprema del mondo in quanto sommo bene sotto leggi morali; e così dobbiamo pensare in lui anche tutte le restanti proprietà trascendentali come e t e r n i t à , o n n i p r e s e n z a , ecc. (perché bontà e giustizia sono proprietà morali). — In questo modo la teleologia m o r a l e colma le lacune di quella f i s i c a e fonda per prima una t e o l o g i a , poiché la seconda, se non prendesse tacitamente a prestito qualcosa dalla prima ma dovesse procedere conseguentemente, non potrebbe per sé sola fondare altro che una d e m o n o l o g i a , la quale non è capace di alcun concetto determinato. Ma il principio che riferisce il mondo, per via della destinazione morale a un fine di certi esseri presenti in esso, a una 415 causa suprema in quanto divinità lo fa non solo perché integra l’argomento fisico-teleologico, e dunque lo pone necessariamente a fondamento, bensì perché è sufficiente anche solo d i p e r s é a farlo, e attira l’attenzione sui fini della natura e 445 spinge a investigare quell’arte incomprensibilmente grande che resta nascosta dietro le sue forme per dare un’occasionale conferma, nei fini naturali, alle idee fornite dalla ragione pura pratica. Infatti, il concetto di esseri del mondo posti sotto leggi morali è un principio a priori secondo il quale l’uomo deve necessariamente valutarsi. Inoltre il fatto che, se mai c’è una causa del mondo che agisce intenzionalmente ed è orientata a un fine, quel rapporto morale debba essere la condizione di possibilità di una creazione tanto necessariamente

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

Schöpfung sein müsse, als das nach physischen Gesetzen (wenn nämlich jene verständige Ursache auch einen Endzweck hat): sieht die Vernunft, auch a priori, als einen für sie zur teleologischen Beurteilung der Existenz der Dinge notwendigen Grundsatz an. Nun kommt es nur darauf an: ob wir irgend einen für die Vernunft (es sei die spekulative oder praktische) hinreichenden Grund haben, der nach Zwecken handelnden obersten Ursache einen E n d z w e c k beizulegen. Denn, daß alsdann dieser, nach der subjektiven Beschaffenheit unserer Vernunft, und selbst wie wir uns auch die Vernunft anderer Wesen nur immer 416 denken mögen, | kein anderer als d e r M e n s c h u n t e r m o r a l i s c h e n G e s e t z e n sein könne: kann a priori für uns als gewiß gelten; da hingegen die Zwecke der Natur in der physischen Ordnung a priori gar nicht können erkannt, vornehmlich, daß eine Natur ohne solche nicht existieren könne, auf keine Weise kann eingesehen werden20. Anmerkung Setzet einen Menschen in den Augenblicken der Stimmung seines Gemüts zur moralischen Empfindung. Wenn er sich, umgeben von einer schönen Natur, in einem ruhigen heitern Genusse seines Daseins befindet, so fühlt er in sich ein Bedürfnis, irgend jemand dafür dankbar zu sein. Oder er sehe sich einandermal in derselben Gemütsverfassung im Gedränge von Pflichten, denen er nur durch freiwillige Aufopferung Genüge leisten kann und will: so fühlt er in sich ein Bedürfnis, hiemit zugleich etwas Befohlnes ausgerichtet und einem Oberherren gehorcht zu haben. Oder er habe sich etwa unbedachtsamer Weise wider seine Pflicht vergangen, wodurch er doch eben nicht Menschen verantwortlich geworden ist: so werden die strengen Selbstverweise dennoch eine Sprache in ihm führen, als ob sie die Stimme eines Richters wären, dem er darüber || 446 Rechenschaft abzulegen hatte21. Mit einem Worte: er bedarf einer moralischen Intelligenz, um für den Zweck, wozu22 er existiert, ein Wesen zu haben, welches diesem gemäß von23 ihm und der Welt die Ursache sei. Triebfedern hinter diesen Gefühlen herauszukünsteln ist vergeblich; denn sie hängen unmittelbar mit der reinsten moralischen Gesinnung zusammen, weil D a n k b a r k e i t , G e h o r s a m , und D e m ü t i -

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 86

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quanto lo è il rapporto secondo leggi fisiche (se cioè quella causa intelligente possiede anche un fine definitivo), ciò è qualcosa che la ragione ravvisa anche a priori come un principio fondamentale che le è necessario per la valutazione teleologica dell’esistenza delle cose. Ora si tratta soltanto di sapere se abbiamo per la ragione (sia essa la speculativa o la pratica) un qualche fondamento sufficiente per attribuire un f i n e d e f i n i t i v o a quella causa suprema che agisce secondo fini. Per la costituzione soggettiva della nostra ragione, e qualunque sia poi la maniera in cui possiamo mai pensare la ragione di altri esseri, può valere a priori per noi come certo che questo fine definitivo non può essere allora nessun altro che 416 l ’ u o m o s o t t o l e g g i m o r a l i ; mentre invece non si può affatto conoscere a priori i fini della natura nell’ordine fisico e soprattutto non si può capire in alcun modo che senza tali fini una natura non può esistere. NOTA

Prendete un uomo nei momenti in cui il suo animo è disposto al sentire morale. Se, circondato da una bella natura, si trova in un tranquillo e sereno godimento della sua esistenza, egli sente in sé un bisogno di esserne grato a qualcuno. Oppure, in un’altra occasione, nella stessa condizione d’animo egli si vede pressato da doveri che può e vuole soddisfare soltanto mediante un sacrificio volontario: ecco che sente in sé un bisogno di avere così nello stesso tempo adempiuto a un comando e di aver obbedito a un signore supremo. O ancora supponiamo che abbia forse sconsideratamente contravvenuto al proprio dovere senza tuttavia essersi reso responsabile nei confronti di uomini: comunque i rimproveri severi che si rivolge susciteranno in lui un linguaggio tale come se fossero pronunciati dalla voce di un giudice al quale doveva 446 rendere conto. In una parola: egli ha bisogno di un’intelligenza morale per avere, per il fine in vista del quale esiste, un essere che, conformemente a tale fine, sia la causa di lui stesso e del mondo. È vano escogitare ad arte moventi dietro questi sentimenti; infatti questi sentimenti sono immediatamente connessi alla più pura intenzione morale, poiché g r a t i t u d i n e , o b b e d i e n z a e u m i l t à (sottomissione a una

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

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417 g u n g (Unterwerfung un ter verdiente Züchtigung) besondere

Gemutsstimmungen24 zur Pflicht sind, und das zu Erweiterung seiner moralischen Gesinnung geneigte Gemüt hier sich nur einen Gegenstand freiwillig denkt, der nicht in der Welt ist, um, wo möglich, auch gegen einen solchen seine Pflicht zu beweisen. Es ist also wenigstens möglich und auch der Grund dazu in moralischer Denkungsart gelegen, ein reines moralisches Bedürfnis der Existenz eines Wesens sich vorzustellen25, unter welchem entweder unsere Sittlichkeit mehr Stärke oder auch (wenigstens unserer Vorstellung26 nach) mehr Umfang, nämlich einen neuen Gegenstand für ihre Ausübung gewinnt27; d. i. ein moralisch-gesetzgebendes Wesen außer der Welt, ohne alle Rücksicht auf theoretischen Beweis, noch weniger auf selbstsüchtiges Interesse, aus reinem moralischen, von allem fremden Einflusse freien (dabei freilich nur subjektiven) Grunde, anzunehmen, auf bloße Anpreisung einer für sich allein gesetzgebenden reinen praktischen Vernunft. Und, ob gleich eine solche Stimmung des Gemüts selten vorkäme, oder auch nicht lange haftete, sondern flüchtig und ohne dauernde Wirkung, oder auch ohne einiges Nachdenken über den in einem solchen Schattenbilde vorgestellten Gegenstand, und ohne Bemühung, ihn unter deutliche Begriffe zu bringen, vorüberginge: so ist doch der Grund dazu, die moralische Anlage in uns, als subjektives Prinzip, sich in der Weltbetrachtung mit ihrer Zweckmäßigkeit durch Naturursachen nicht zu begnügen, sondern ihr eine oberste nach moralischen Prinzipien die Natur beherrschende Ursache unterzulegen, unverkennbar. — Wozu noch kommt, daß wir, nach einem allgemeinen höchsten Zwecke zu streben, uns durch das moralische Gesetz gedrungen, uns aber doch und die gesamte Natur ihn zu erreichen unvermögend fühlen; daß wir, nur so fern wir darnach streben, dem End418 zwecke einer verständigen | Weltursache (wenn es eine solche gäbe) gemäß zu sein urteilen dürfen; und so ist ein reiner moralischer Grund der praktischen Vernunft vorhanden, diese Ursache (da es ohne Widerspruch geschehen kann) anzunehmen, wo nicht mehr, doch damit wir jene Bestrebung, in ihren Wirkungen28, nicht für ganz eitel anzusehen und dadurch sie ermatten zu lassen Gefahr laufen. ||

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 86

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correzione meritata) sono particolari disposizioni d’animo al 417 dovere, e l’animo incline all’estensione della propria intenzione morale qui pensa volontariamente solo a un oggetto che non è nel mondo, se non per dar prova, se possibile, anche nei suoi confronti del proprio dovere. È dunque almeno possibile, e anzi il fondamento di ciò è posto nel modo di pensare morale, rappresentarsi un puro bisogno morale dell’esistenza di un essere sotto il quale la nostra moralità acquisisce più forza o anche (almeno secondo la nostra rappresentazione) più estensione conseguendo in effetti un nuovo oggetto per il proprio esercizio; si tratta del bisogno di ammettere un essere moralmente legislatore fuori dal mondo senza alcun riguardo per una prova teoretica e ancor meno senza preoccuparsi di un interesse egoistico, ma di ammetterlo a partire da un puro fondamento morale, libero da ogni influenza estranea (un fondamento che è a dire il vero qui soltanto soggettivo), sulla base della semplice raccomandazione di una ragione pura pratica che è legislatrice per sé sola. E benché una tale disposizione dell’animo si presentasse raramente e non durasse nemmeno a lungo, ma passasse fugacemente e senza produrre un effetto duraturo o anche senza una qualche riflessione sull’oggetto rappresentato oscuramente come un’immagine nell’ombra e senza uno sforzo per riportarlo sotto concetti distinti, non si può tuttavia disconoscere ciò che costituisce il fondamento di questa disposizione: ossia la propensione morale presente in noi, come principio soggettivo, che ci spinge a non accontentarci nella considerazione del mondo della sua conformità al fine mediante cause naturali, ma a porre alla base di questa conformità al fine una causa suprema che domini la natura secondo principi morali. — A ciò si aggiunge il fatto che ci sentiamo spinti dalla legge morale a tendere a un sommo fine universale, e tuttavia sentiamo che noi e l’intera natura siamo incapaci di raggiungerlo; e solo nella misura in cui vi tendiamo, possiamo giudicare di essere conformi al fine definitivo di una causa intelligente del mondo (se ci fosse 418 una tale causa); e così c’è un puro fondamento morale della ragione pratica per ammettere questa causa (dato che ciò può avvenire senza contraddizione), se non altro almeno per non correre il rischio di considerare quell’aspirazione, nei suoi effetti, del tutto vana e di lasciarla così estenuare.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

Mit diesem allen29 soll hier nur so viel gesagt werden: daß die F u r c h t zwar zuerst G ö t t e r (Dämonen), aber die Ve r n u n f t , vermittelst ihrer moralischen Prinzipien, zuerst den Begriff von G o t t habe hervorbringen können (auch selbst, wenn man in der Teleologie der Natur, wie gemeiniglich, sehr unwissend, oder auch, wegen der Schwierigkeit, die einander hierin widersprechenden Erscheinungen durch ein genugsam bewährtes Prinzip auszugleichen, sehr zweifelhaft war); und daß die innere m o r a l i s c h e Zweckbestimmung seines Daseins das ergänzte, was der Naturkenntnis abging, indem sie nämlich anwies, zu dem Endzwecke vom Dasein aller Dinge, wozu30 das Prinzip nicht anders, als e t h i s c h , der Vernunft genugtuend ist, die oberste Ursache mit Eigenschaften, womit sie die ganze Natur jener einzigen Absicht (zu der diese bloß Werkzeug ist) zu unterwerfen vermögend ist (d. i. als eine G o t t h e i t ), zu denken.

§ 87 Von dem moralischen Beweise des Daseins Gottes Es gibt eine p h y s i s c h e Te l e o l o g i e 1, welche einen für unsere theoretisch reflektierende Urteilskraft hinreichenden 419 Beweisgrund an die Hand gibt, das Da|sein einer verständigen Weltursache anzunehmen. Wir finden aber in uns selbst, und noch mehr in dem Begriffe eines vernünftigen mit Freiheit (seiner Kausalität) begabten Wesens überhaupt, auch eine m o r a l i s c h e Te l e o l o g i e , die aber, weil die Zweckbeziehung in uns selbst a priori, samt dem Gesetze derselben, bestimmt, mithin als notwendig erkannt werden kann, zu diesem Behuf keiner verständigen Ursache außer uns für diese innere Gesetzmäßigkeit bedarf: so wenig, als wir bei dem, was wir in den geometrischen Eigenschaften der Figuren (für allerlei mögliche Kunstausübung) Zweckmäßiges finden, auf einen ihnen dieses erteilenden höchsten Verstand hinaus sehen dürfen. Aber diese moralische Teleologie betrifft doch uns, als Weltwesen, und also mit andern Dingen in der Welt verbundene Wesen: auf welche letzteren, entweder als Zwecke oder als Gegenstände, in Ansehung deren wir selbst Endzweck sind, unsere2 Beurteilung zu

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 87

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Tutto ciò che qui è stato detto non significa altro che que- 447 sto: il t i m o r e ha certamente potuto per primo produrre d è i (demoni), ma è stata la r a g i o n e , con i suoi principi morali, a poter produrre per prima il concetto di D i o (anche se, come accade comunemente, si era assai ignoranti nella teleologia della natura o anche assai dubbiosi a causa della difficoltà di conciliare, con un principio sufficientemente sperimentato, i fenomeni che qui sono in contraddizione l’uno con l’altro); e poi significa questo: l’interiore destinazione m o r a l e a un fine della sua esistenza ha completato ciò che era sfuggito alla conoscenza della natura, invitando cioè a pensare, per il fine definitivo dell’esistenza di tutte le cose per cui il principio che soddisfa la ragione non è altro che e t i c o , la causa suprema come dotata di proprietà con le quali essa è capace di sottomettere l’intera natura a quell’unico intento (rispetto al quale la natura è semplicemente uno strumento), a pensarla cioè come una d i v i n i t à .

§ 87 DELLA PROVA MORALE DELL’ESISTENZA DI DIO C’è una teleologia fisica che fornisce un argomento sufficiente per la nostra forza di giudizio teoreticamente riflettente per ammettere l’esistenza di una causa intelligente del 419 mondo. Ma noi troviamo in noi stessi, e ancor più nel concetto di un essere razionale in generale dotato di libertà (della sua causalità), anche una teleologia morale, la quale tuttavia, poiché il riferimento a un fine presente in noi stessi può essere determinato a priori insieme alla sua legge e di conseguenza essere riconosciuto come necessario, non ha bisogno a tale scopo di alcuna causa intelligente esterna a noi per questa conformità interna alla legge; ne ha tanto poco bisogno quanto ci è lecito, in ciò che troviamo di conforme al fine nelle proprietà geometriche delle figure (per ogni possibile esercizio fatto ad arte), guardare oltre a un intelletto sommo che conferisca loro tale elemento conforme al fine. Ma questa teleologia morale ci riguarda tuttavia in quanto esseri del mondo, collegati di conseguenza con altre cose presenti nel mondo: queste stesse leggi morali ci prescrivono di rivolgere la nostra valuta-

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richten eben dieselben moralischen Gesetze uns zur Vorschrift machen. Von dieser moralischen Teleologie nun, welche die Beziehung unserer eigenen Kausalität auf Zwecke und sogar auf einen Endzweck, der von uns in der Welt beabsichtigt werden muß, imgleichen die wechselseitige3 Beziehung der Welt auf 448 jenen sittlichen Zweck und die || äußere Möglichkeit seiner Ausführung (wozu keine physische Teleologie uns Anleitung geben kann) betrifft4, geht nun die notwendige Frage aus: ob sie unse420 re vernünftige Beurteilung | nötige, über die Welt hinaus zu gehen, und, zu jener Beziehung der Natur auf das Sittliche in uns, ein verständiges oberstes Prinzip zu suchen, um die Natur, auch in Beziehung auf die moralische innere Gesetzgebung und deren mögliche Ausführung, uns als zweckmäßig vorzustellen. Folglich gibt es allerdings eine moralische Teleologie; und diese hängt mit der N o m o t h e t i k der Freiheit einerseits, und der der Natur andererseits, eben so notwendig zusammen, als bürgerliche Gesetzgebung mit der Frage, wo man die exekutive Gewalt suchen soll, und überhaupt in allem, worin die Vernunft ein Prinzip der Wirklichkeit einer gewissen gesetzmäßigen, nur nach Ideen möglichen, Ordnung der Dinge angeben soll, Zusammenhang ist5. — Wir wollen den Fortschritt der Vernunft von jener moralischen Teleologie, und ihrer Beziehung auf die physische, zur T h e o l o g i e allererst vortragen, und nachher über die Möglichkeit und Bündigkeit dieser Schlußart Betrachtungen anstellen. Wenn man das Dasein gewisser Dinge (oder auch nur gewisser Formen der Dinge) als zufällig, mithin nur durch etwas anderes, als Ursache, möglich annimmt: so kann man zu dieser Kausalität den obersten6 und also zu dem Bedingten den unbedingten Grund entweder in der physischen, oder teleologischen Ordnung suchen (nach dem nexu effectivo, oder finali). D. i. man kann fragen: welches ist die oberste hervorbringende Ur-| 421 sache? oder was ist der oberste (schlechthin unbedingte) Zweck derselben, d. i. der Endzweck ihrer Hervorbringung dieser oder aller ihrer Produkte überhaupt? wobei dann freilich vorausgesetzt wird, daß diese Ursache einer Vorstellung der Zwecke fähig, mithin ein verständiges Wesen sei, oder wenigstens von uns als nach den Gesetzen eines solchen Wesens handelnd gedacht werden7 müsse.

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 87

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zione su tali cose o come fini o come oggetti rispetto ai quali noi stessi siamo fine definitivo. Ora, a partire da questa teleologia morale, che riguarda il riferimento della nostra propria causalità a fini e perfino a un fine definitivo a cui dobbiamo mirare nel mondo, come pure riguarda il riferimento reciproco del mondo a quel fine morale e la possibilità esterna della sua at- 448 tuazione (per cui nessuna teleologia fisica può servirci da guida), sorge allora tale questione necessaria: occorre sapere se questa teleologia morale costringa la nostra valutazione razionale ad andare al di là del mondo e a cercare, per quel riferi- 420 mento della natura a ciò che c’è di morale in noi, un supremo principio intelligente per rappresentarci la natura come conforme al fine anche in riferimento all’interna legislazione morale e alla sua possibile attuazione. Di conseguenza, c’è senz’altro una teleologia morale e questa è connessa, da una parte, alla no mo tetica della libertà e, dall’altra, a quella della natura, altrettanto necessariamente quanto la legislazione civile è connessa alla questione di sapere dove si debba andare a cercare il potere esecutivo, e in generale tanto quanto c’è connessione ovunque la ragione deve addurre un principio della realtà di un certo ordine delle cose conforme alla legge, possibile solo secondo idee. — Vogliamo per prima cosa esporre il procedere della ragione da quella teleologia morale, e dal suo riferimento a quella fisica, fino alla teologia, e poi proporre delle considerazioni sulla possibilità e cogenza di questo tipo di ragionamento. Se si ammette l’esistenza di certe cose (o anche solamente di certe forme delle cose) come contingente, di conseguenza come possibile soltanto mediante qualcosa d’altro che ne costituisce la causa, si può cercare per questa causalità il fondamento supremo e dunque per il condizionato il fondamento incondizionato o nell’ordine fisico o nell’ordine teleologico (secondo il nexus effectivus o il nexus finalis). In altri termini ci si può chiedere: «qual è la causa produttrice suprema?»; 421 oppure «che cos’è il suo fine supremo (assolutamente incondizionato), cioè il fine definitivo della sua produzione di questi o di tutti i suoi prodotti in generale?». Cosa, questa, per cui si presuppone allora senz’altro che tale causa sia capace di una rappresentazione di fini, di conseguenza che essa sia un essere intelligente o almeno che debba essere pensata da noi come agente secondo le leggi di un tale essere.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

Nun ist, wenn man der letztern Ordnung nachgeht, es ein G r u n d s a t z , dem selbst die gemeinste Menschenvernunft unmittelbar Beifall zu geben genötigt ist: daß, wenn überall ein E n d z w e c k , den die Vernunft a priori angeben muß, Statt finden soll, dieser kein anderer, als der M e n s c h (ein jedes vernünftige Weltwesen) u n t e r m o r a l i s c h e n G e s e t z e n sein 422 könne*. Denn: (so urteilt ein jeder) bestände die Welt aus lau| || 449 ter leblosen, oder zwar zum Teil aus10 lebenden aber vernunftlosen Wesen, so würde das11 Dasein einer solchen Welt gar keinen Wert haben, weil in ihr kein Wesen existierte, das von12 einem Werte den mindesten Begriff hat. Wären dagegen auch

* Ich sage mit Fleiß: u n t e r moralischen Gesetzen. Nicht der Mensch n a c h moralischen Gesetzen, d. i. ein solcher, der sich ihnen gemäß verhält, 449 ist der End||zweck der Schöpfung. Denn mit dem letztern Ausdrucke würden wir mehr sagen, als wir wissen: nämlich daß es in der Gewalt eines Welturhebers stehe, zu machen, daß der Mensch den moralischen Gesetzen jederzeit sich angemessen verhalte8; welches einen Begriff von Freiheit und der Natur (von welcher letztern man allein einen äußern Urheber denken kann) voraussetzt, der eine Einsicht in das übersinnliche Substrat der Natur, und dessen Einerleiheit mit dem, was die Kausalität durch Freiheit in der Welt möglich macht, enthalten müßte9, die weit über unsere 422 Vernunfteinsicht hinausgeht. Nur vom | M e n s c h e n u n t e r m o r a l i s c h e n G e s e t z e n können wir, ohne die Schranken unserer Einsicht zu überschreiten, sagen: sein Dasein mache der Welt Endzweck aus. Dieses stimmt auch vollkommen mit dem Urteile der moralisch über den Weltlauf reflektierenden Menschenvernunft. Wir glauben die Spuren einer weisen Zweckbeziehung auch am Bösen wahrzunehmen, wenn wir nur sehen, daß der frevelhafte Bösewicht nicht eher stirbt, als bis er die wohlverschuldete Strafe seiner Untaten erlitten hat. Nach unseren Begriffen von freier Kausalität beruht das Wohl- oder Übelverhalten auf uns; die höchste Weisheit aber der Weltregierung setzen wir darin, daß zu dem ersteren die Veranlassung, für beides aber der Erfolg, nach moralischen Gesetzen verhängt sei. In dem letzteren besteht eigentlich die Ehre Gottes, welche daher von Theologen nicht unschicklich der letzte Zweck der Schöpfung genannt wird. — Noch ist anzumerken, daß wir unter dem Wort Schöpfung, wenn wir uns dessen bedienen, nichts anders, als was hier gesagt worden ist, nämlich die Ursache vom D a s e i n einer We l t , oder der Dinge in ihr (der Substanzen), verstehen; wie das auch der eigentliche Begriff dieses Worts mit sich bringt (actuatio substantiae est creatio): welches mithin nicht schon die Voraussetzung einer freiwirkenden, folglich verständigen Ursache (deren Dasein wir allererst beweisen wollen) bei sich führt.

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 87

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Ora, se si continua a investigare l’ordine teleologico, è un p r i n c i p i o f o n d a m e n t a l e al quale perfino la più comune ragione umana è costretta immediatamente a dare l’approvazione quello secondo cui, se da qualche parte deve aver luogo un f i n e d e f i n i t i v o che la ragione deve indicare a priori, esso non possa essere altro che l ’ u o m o (ogni essere razionale del mondo) s o t t o l e g g i m o r a l i *. Infatti (così giudica chiunque), se il mondo fosse costituito unicamente da 422 449 esseri privi di vita, oppure anche in parte da esseri viventi ma privi di ragione, allora l’esistenza di un simile mondo non avrebbe assolutamente alcun valore perché non esisterebbe in esso alcun essere che possieda il benché minimo concetto di un valore. Se invece ci fossero anche esseri razionali, la cui * Dico deliberatamente: s o t t o leggi morali. Non è l’uomo s e c o n d o leggi morali, cioè un uomo tale che si comporti in conformità a queste leggi, a essere il fine definitivo della creazione. Infatti, con quest’ulti- 449 ma espressione diremmo più di ciò che sappiamo: cioè che è nel potere di un creatore del mondo far sì che l’uomo si comporti sempre adeguatamente alle leggi morali; cosa che presuppone un concetto di libertà e della natura (della quale si può pensare unicamente un autore esterno) che dovrebbe contenere un’intelligibilità del sostrato soprasensibile della natura e della sua identità con ciò che la causalità mediante libertà rende possibile nel mondo, idea che va molto al di là della nostra intellezione razionale. Solo dell’ u o m o s o t t o l e g g i m o r a l i possiamo dire, 422 senza oltrepassare i confini della nostra intellezione, che la sua esistenza costituisce il fine definitivo del mondo. Ciò si accorda anche perfettamente con il giudizio della ragione umana che riflette moralmente sul corso del mondo. Noi crediamo di percepire le tracce di un saggio riferimento a un fine perfino nel male se solo vediamo che lo scellerato malfattore non muore prima di avere subito la ben meritata punizione dei suoi misfatti. Secondo i nostri concetti di libera causalità, il comportarsi bene o male sta in noi; ma noi poniamo però la somma saggezza del governo del mondo nel fatto che per il primo comportamento l’occasione e per entrambi il risultato sono decretati secondo leggi morali. Nel risultato consiste propriamente la gloria di Dio che perciò non è stata inopportunamente chiamata dai teologi il fine ultimo della creazione. — Bisogna ancora notare che con la parola creazione, quando ce ne serviamo, non intendiamo nient’altro che ciò che è stato detto qui, cioè la causa dell’ e s i s t e n z a di un m o n d o o delle cose che sono presenti in esso (le sostanze), come anche comporta il concetto autentico di questa parola (actuatio substantiae est creatio): cosa che non implica dunque già la presupposizione di una causa che agisce liberamente, di conseguenza intelligente (della quale prima di tutto vogliamo provare l’esistenza).

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

vernünftige Wesen, deren Vernunft aber den Wert des Daseins der Dinge nur im Verhältnisse der Natur zu ihnen (ihrem | 423 Wohlbefinden) zu setzen, nicht aber sich einen solchen ursprünglich (in der Freiheit) selbst zu verschaffen im Stande wäre: so wären zwar (relative) Zwecke in der Welt, aber kein (absoluter) Endzweck, weil das Dasein solcher vernünftigen Wesen doch immer zwecklos sein würde. Die moralischen Gesetze aber sind von der eigentümlichen Beschaffenheit, daß sie etwas als Zweck ohne Bedingung, mithin gerade so, wie der Begriff eines Endzwecks es bedarf, für die Vernunft vorschreiben: und die Existenz einer solchen Vernunft, die in der Zweckbeziehung ihr selbst das oberste Gesetz sein kann, mit andern Worten die Existenz vernünftiger Wesen unter morali450 schen Gesetzen, kann also allein als End||zweck vom Dasein einer Welt gedacht werden. Ist dagegen dieses nicht so bewandt, so liegt dem Dasein derselben entweder gar kein Zweck in der Ursache, oder es liegen ihm Zwecke ohne Endzweck zum Grunde. Das moralische Gesetz, als formale Vernunftbedingung des Gebrauchs unserer Freiheit, verbindet uns für sich allein, ohne von irgend einem Zwecke, als materialer Bedingung, abzuhangen; aber es bestimmt uns doch auch, und zwar a priori, einen Endzweck, welchem nachzustreben es uns verbindlich macht: und dieser ist das h ö c h s t e durch Freiheit mögliche G u t i n d e r We l t . Die subjektive Bedingung, unter welcher der Mensch (und nach allen unsern Begriffen auch jedes vernünftige endliche 424 Wesen) sich, unter dem obigen Gesetze, einen | Endzweck setzen kann, ist die Glückseligkeit. Folglich das höchste in der Welt mögliche, und, so viel an uns ist, als Endzweck zu befördernde, physische Gut ist G l ü c k s e l i g k e i t : unter der objektiven Bedingung der Einstimmung des Menschen mit dem Gesetze der S i t t l i c h k e i t , als der Würdigkeit glücklich zu sein. Diese zwei Erfordernisse des uns durch das moralische Gesetz aufgegebenen Endzwecks können wir aber, nach allen unsern Vernunftvermögen, als durch bloße Naturursachen v e r k n ü p f t , und der Idee des gedachten Endzwecks angemessen, unmöglich uns vorstellen. Also stimmt der Begriff von der p r a k t i s c h e n N o t w e n d i g k e i t eines solchen Zwecks, durch die Anwendung unserer Kräfte, nicht mit dem theoretischen Begriffe von der p h y s i s c h e n M ö g l i c h k e i t der Be-

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 87

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ragione però fosse in grado di porre il valore dell’esistenza delle cose solo nel rapporto della natura con loro (con il loro benessere) ma non fosse tuttavia in grado di procurarsi da sé 423 originariamente (nella libertà) un tale valore, allora ci sarebbero certamente dei fini (relativi) nel mondo, eppure nessun fine definitivo (assoluto), poiché l’esistenza di simili esseri razionali sarebbe comunque sempre priva di un fine. Tuttavia la costituzione peculiare delle leggi morali consiste nel fatto che esse prescrivono senza condizione qualcosa come fine per la ragione, quindi esattamente come lo esige il concetto di un fine definitivo: e solo l’esistenza di una simile ragione che nel riferimento a un fine può essere a se stessa legge suprema, in altre parole l’esistenza di esseri razionali sotto leggi morali, può dunque essere pensata come fine definitivo dell’esistenza 450 di un mondo. Al contrario, se così non fosse, allora nell’esistenza di questo mondo o non ci sarebbe proprio alcun fine nella sua causa oppure la sua esistenza avrebbe per fondamento fini senza un fine definitivo. La legge morale, come condizione razionale formale dell’uso della nostra libertà, ci vincola per sé sola, senza dipendere da un qualunque fine quale condizione materiale; ma essa ci determina però anche, e certamente a priori, un fine definitivo al quale ci vincola a tendere, e questo fine definitivo è il s o m m o b e n e possibile n e l m o n d o mediante la libertà. La condizione soggettiva sotto la quale l’uomo (come pure, secondo tutti i nostri concetti, ogni essere razionale finito) può porsi, sotto la suddetta legge, un fine definitivo è 424 la felicità. Di conseguenza, il sommo bene fisico possibile nel mondo, da promuovere per quanto sta in noi quale fine definitivo, è la f e l i c i t à : sotto la condizione oggettiva della concordanza dell’uomo con la legge della m o r a l i t à intesa come essere degni di essere felici. Ma ci è impossibile, con ogni nostra facoltà razionale, rappresentarci queste due esigenze del fine definitivo assegnatoci dalla legge morale come c o n n e s s e mediante semplici cause naturali e adeguate all’idea di quel fine pensato definitivo. Dunque il concetto della n e c e s s i t à p r a t i c a di un tale fine, applicando le nostre forze, non si armonizza con il concetto teoretico della p o s s i b i l i t à f i s i c a della sua realizza-

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wirkung desselben zusammen, wenn wir mit unserer Freiheit keine andere Kausalität (eines Mittels), als die der Natur, verknüpfen. Folglich müssen wir eine moralische Weltursache (einen Welturheber) annehmen, um uns, gemäß dem moralischen Gesetze, einen Endzweck vorzusetzen; und, so weit als das letztere notwendig ist, so weit (d. i. in demselben Grade und aus demselben Grunde) ist auch das erstere notwendig anzunehmen: nämlich es sei ein Gott*. | * * * Dieser Beweis, dem man leicht die Form der logischen Präzision anpassen kann, will nicht sagen: es ist eben so notwendig, 451 das Dasein || Gottes anzunehmen, als die Gültigkeit des moralischen Gesetzes anzuerkennen; mithin, wer sich14 vom erstern15 nicht überzeugen kann, könne sich von den Verbindlichkeiten nach dem letztern16 los zu sein urteilen. Nein! nur die B e a b s i c h t i g u n g des durch die Befolgung des letztern17 zu bewirkenden Endzwecks in der Welt (einer mit der Befolgung moralischer Gesetze harmonisch zusammentreffenden Glückseligkeit vernünftiger Wesen, als das höchste Weltbeste18) müßte alsdann aufgegeben werden. Ein jeder Vernünftige würde sich an der Vorschrift der Sitten immer noch als strenge gebunden erkennen müssen; denn die Gesetze derselben sind formal und gebieten unbedingt, ohne Rücksicht auf Zwecke (als die Materie19 des Wollens). Aber das eine Erfordernis des Endzwecks, 426 wie ihn die praktische Vernunft den Weltwesen vorschreibt, | ist ein in sie durch ihre Natur (als endlicher Wesen) gelegter unwiderstehlicher Zweck, den die Vernunft nur dem moralischen Gesetze als unverletzlicher B e d i n g u n g unterworfen, oder auch nach demselben allgemein gemacht wissen will, und so die 425

425 451

* Dieses moralische Argument soll keinen o b j e k t i v -gültigen Beweis vom Dasein Gottes an die Hand geben, nicht | dem Zweifelgläubigen beweisen, daß ein || Gott sei; sondern daß, wenn er moralisch konsequent denken will, er die Annehmung dieses Satzes unter die Maximen seiner praktischen Vernunft a u f n e h m e n m ü s s e . — Es soll damit auch nicht gesagt werden: es ist z u r Sittlichkeit notwendig, die Glückseligkeit aller vernünftigen Weltwesen gemäß ihrer Moralität anzunehmen; sondern: es ist d u r c h sie notwendig. Mithin ist es ein s u b j e k t i v, für moralische Wesen, hinreichendes Argument13.

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zione se non connettiamo alla nostra libertà alcun’altra causalità (di un mezzo) eccetto che la causalità della natura. Di conseguenza, dobbiamo ammettere una causa morale del mondo (un autore del mondo) per proporci, conformemente alla legge morale, un fine definitivo; e quanto questo fine è necessario, altrettanto (cioè nello stesso grado e per lo stesso motivo) è necessario ammettere anche la causa morale, cioè che c’è un Dio*. * * * Questa prova alla quale si può facilmente adattare la 425 forma della precisione logica non vuol dire che è altrettanto necessario ammettere l’esistenza di Dio quanto riconoscere la 451 validità della legge morale; di conseguenza, colui che non riesce a convincersi della prima potrebbe giudicarsi libero dai vincoli imposti dalla seconda. No! Ciò a cui in tal caso si dovrebbe rinunciare è solo il m i r a r e a un fine definitivo nel mondo da realizzare mediante l’osservanza della legge morale (una felicità di esseri razionali che concorda armonicamente con l’osservanza delle leggi morali in quanto sommo bene del mondo). Ogni essere razionale dovrebbe pur sempre riconoscersi come strettamente legato alla prescrizione morale; infatti le sue leggi sono formali e comandano incondizionatamente, senza riguardo a fini (quale materia del volere). Ma l’unica esigenza del fine definitivo come la ragione pratica lo prescrive agli esseri del mondo è un fine irresistibile, posto in 426 essi dalla loro natura (come esseri finiti), un fine che la ragione vuole sottomesso soltanto alla legge morale in quanto c o n d i z i o n e inviolabile oppure reso universale secondo questa legge, e così fa della promozione della felicità in accor* Questo argomento morale non deve fornire alcuna prova o g g e t t i v a m e n t e valida dell’esistenza di Dio né provare a chi credendo dubi- 425 ta che c’è un Dio; al contrario gli mostra che, se vuole pensare in modo 451 moralmente coerente, d e v e a c c o g l i e r e l’ammissione di questa proposizione tra le massime della sua ragione pratica. — Ciò però non vuol dire nemmeno che sia necessario ammettere p e r l a moralità la felicità di tutti gli esseri razionali del mondo conformemente alla loro moralità; è invece necessario ammetterla m e d i a n t e l a moralità. Si tratta di conseguenza di un argomento s o g g e t t i v a m e n t e sufficiente per esseri morali.

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Beförderung der Glückseligkeit, in Einstimmung mit der Sittlichkeit, zum Endzwecke macht. Diesen nun, so viel (was die ersteren betrifft) in unserem Vermögen ist, zu befördern, wird uns durch das moralische Gesetz geboten; der Ausschlag, den diese Bemühung hat, mag sein welcher er wolle. Die Erfüllung der Pflicht besteht in der Form des ernstlichen Willens, nicht in den Mittelursachen des Gelingens. Gesetzt also: ein Mensch überredete sich, teils durch die Schwäche aller so sehr gepriesenen spekulativen Argumente, teils durch manche in der Natur und Sittenwelt ihm vorkommende Unregelmäßigkeiten bewogen, von dem Satze: es sei kein Gott: so würde er doch in seinen eigenen Augen ein Nichtswürdiger sein, wenn er darum die Gesetze der Pflicht für bloß eingebildet, ungültig, unverbindlich halten, und ungescheut20 zu übertreten beschließen wollte. Ein solcher würde auch alsdann noch, wenn er sich in der Folge von dem, was er anfangs bezweifelt hatte, überzeugen könnte, mit jener Denkungsart doch immer ein Nichtswürdiger bleiben: ob er gleich seine Pflicht, aber aus Furcht, oder aus lohnsüchtiger21 Absicht, 452 ohne || pflichtverehrende Gesinnung, der Wirkung nach so 427 pünktlich, | wie es immer verlangt werden mag, erfüllte. Umgekehrt22, wenn er sie als Gläubiger seinem Bewußtsein nach aufrichtig und uneigennützig befolgt, und gleichwohl, so oft er zum Versuche den Fall setzt, er könnte einmal überzeuget werden, es sei kein Gott, sich sogleich von aller sittlichen Verbindlichkeit frei glaubte: müßte es doch mit der innern moralischen Gesinnung in ihm nur schlecht bestellt sein. Wir können also einen rechtschaffenen Mann (wie etwa den Spinoza)23 annehmen, der sich fest24 überredet hält: es sei kein Gott, und (weil es in Ansehung des Objekts der Moralität auf einerlei Folge hinausläuft) auch kein künftiges Leben; wie wird er seine eigene innere Zweckbestimmung durch das moralische Gesetz, welches er tätig verehrt, beurteilen? Er verlangt von Befolgung desselben für sich keinen Vorteil, weder in dieser noch in einer andern Welt; uneigennützig will er vielmehr nur das Gute stiften, wozu jenes heilige Gesetz allen seinen Kräften die Richtung gibt. Aber sein Bestreben ist begrenzt; und von der Natur kann er zwar hin und wieder einen zufälligen Beitritt, niemals aber eine gesetzmäßige und nach beständigen Regeln (so wie innerlich seine Maximen sind und sein müssen) eintref-

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do con la moralità il fine definitivo. Promuovere questo fine, per quanto è in nostro potere (cosa che concerne felicità e moralità), qualunque sia l’esito di questo sforzo, ci è comandato dalla legge morale. L’adempimento del dovere consiste nella forma della volontà seria non nelle cause intermedie della riuscita. Posto dunque che un uomo si persuada, mosso in parte dalla debolezza di tutti gli argomenti speculativi così tanto esaltati in parte da parecchie irregolarità che gli si presentano nella natura e nel mondo morale, della proposizione secondo la quale non c’è alcun Dio, egli sarebbe tuttavia ai suoi propri occhi un essere indegno se volesse per questo ritenere le leggi del dovere semplicemente immaginarie, non valide e non vincolanti, e se volesse decidersi sfacciatamente a trasgredirle. Se in seguito un simile uomo si potesse convincere di ciò di cui aveva inizialmente dubitato, resterebbe pur sempre con quel modo di pensare un essere indegno, pur adempiendo comunque il suo dovere tanto puntualmente, per quel che riguarda l’effetto, quanto si possa mai esigere, ma agendo, per paura o 452 con l’intenzione di ottenere una ricompensa, senza l’atteggia- 427 mento proprio di chi onora il dovere. Al contrario, se egli come credente osserva il dovere secondo la sua coscienza, lealmente e in modo disinteressato, e se però si credesse subito libero da ogni vincolo morale ogni volta che, prospettandosi il caso, ipotizzasse un giorno di potersi convincere che non c’è un Dio, allora con il suo atteggiamento morale interiore sarebbe proprio messo male. Possiamo dunque prendere un uomo giusto (come per esempio Spinoza) che si ritiene fermamente persuaso che non c’è alcun Dio e che (poiché, riguardo all’oggetto della moralità, la conseguenza è la stessa) non c’è nemmeno una vita futura: quest’uomo come valuterà la propria destinazione interiore a un fine attraverso la legge morale che egli onora attivamente? Dall’osservanza della legge egli non pretende per se stesso alcun vantaggio, né in questo mondo né in un altro; egli vuole piuttosto fare disinteressatamente soltanto il bene al quale quella sacra legge orienta tutte le sue forze. Ma il suo sforzo è limitato; e certamente egli non può aspettarsi dalla natura se non un’adesione contingente di tanto in tanto, tuttavia mai un’armonia che si verifichi per una legge e secondo

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fende Zusammenstimmung zu25 dem Zwecke erwarten, welchen zu bewirken er sich doch verbunden und angetrieben fühlt. Be428 trug, Gewalttätigkeit und Neid werden | immer um ihn im Schwange gehen, ob er gleich selbst redlich, friedfertig und wohlwollend ist; und die Rechtschaffenen, die er außer sich noch antrifft, werden, unangesehen aller ihrer Würdigkeit glücklich zu sein, dennoch durch die Natur, die darauf nicht achtet, allen Übeln des Mangels, der Krankheiten und des unzeitigen Todes, gleich den übrigen Tieren der Erde, unterworfen sein und es auch immer bleiben, bis ein weites Grab sie insgesamt (redlich oder unredlich, das gilt hier gleichviel) verschlingt, und sie, die da glauben konnten, Endzweck der Schöpfung zu sein, in den Schlund des zwecklosen Chaos der Materie zurück wirft, aus dem sie gezogen waren. — Den Zweck also, den dieser Wohlgesinnte in Befolgung der moralischen Gesetze vor Augen hatte und haben sollte, müßte er allerdings, als unmöglich, aufgeben; oder will er auch hierin dem Rufe seiner sittlichen inneren Bestimmung anhänglich bleiben, und die Achtung, welche das sittliche Gesetz ihm unmittelbar zum Gehorchen einflößt, nicht durch die Nichtigkeit des einzigen ihrer hohen Forderung angemessenen idealischen Endzwecks schwächen (welches ohne einen der moralischen Gesin453 nung widerfahrenden Abbruch nicht geschehen kann): || so muß er, welches er auch gar wohl tun kann, indem es an sich wenigstens nicht widersprechend ist, in praktischer Absicht, d. i. um sich wenigstens von der Möglichkeit des ihm moralisch vorge429 schriebenen Endzwecks einen Begriff zu | machen, das Dasein eines m o r a l i s c h e n Welturhebers, d. i. Gottes, annehmen.

§ 88 Beschränkung der Gültigkeit des moralischen Beweises Die reine Vernunft, als praktisches Vermögen, d. i. als Vermögen, den freien Gebrauch unserer Kausalität durch Ideen (reine Vernunftbegriffe) zu bestimmen, enthält nicht allein im moralischen Gesetze ein regulatives Prinzip unserer Handlungen, sondern gibt auch dadurch zugleich ein subjektiv-konstitutives, in dem Begriffe eines Objekts an die Hand, welches nur Vernunft denken kann, und welches durch1 unsere Handlungen

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regole costanti (così come sono e devono essere interiormente le sue massime) con quel fine che si sente comunque obbligato e spinto a realizzare. Inganno, violenza e invidia aleggeranno sempre intorno a lui per quanto egli stesso sia onesto, 428 pacifico e benevolo; e gli altri giusti che egli incontra, oltre a sé, saranno tuttavia, a prescindere da tutto il loro essere degni della felicità, sottomessi dalla natura, che non si cura di questa dignità, a tutti i mali della miseria, delle malattie e della morte prematura, proprio come avviene per gli altri animali della terra, e rimarranno sempre sottomessi finché un’ampia fossa li inghiottirà tutti insieme (onesti o disonesti, qui fa lo stesso) e li rigetterà, loro che qui potevano credere di essere fine definitivo della creazione, nella voragine del caos privo di fine della materia da cui erano stati tratti. — Così il fine che quest’uomo dal buon atteggiamento aveva e doveva avere davanti agli occhi nell’osservare le leggi morali avrebbe dovuto senz’altro abbandonarlo come impossibile; oppure, se vuole, anche in tal caso, rimanere fedele alla chiamata della sua interiore destinazione morale, e se non vuole, annientando l’unico fine definitivo ideale adeguato all’alta esigenza della legge morale (cosa che non può accadere senza pregiudicare l’atteggiamento morale), indebolire il rispetto che la legge morale gli ispira immediatamente per indurlo all’obbedienza, egli deve, e ciò può farlo benissimo poiché almeno 453 questo non è in sé contraddittorio, ammettere nell’intento pratico, cioè per farsi un concetto almeno della possibilità del fine definitivo che gli è moralmente prescritto, l’esistenza di 429 un autore m o r a l e del mondo, cioè di Dio.

§ 88 LIMITAZIONE DELLA VALIDITÀ DELLA PROVA MORALE La ragione pura, in quanto facoltà pratica, cioè in quanto facoltà di determinare il libero uso della nostra causalità mediante idee (concetti puri della ragione), non soltanto contiene, nella legge morale, un principio regolativo delle nostre azioni, ma con ciò fornisce anche allo stesso tempo un principio soggettivamente costitutivo nel concetto di un oggetto che solamente la ragione può pensare e che deve essere rea-

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in der Welt nach jenem Gesetze wirklich gemacht werden soll. Die Idee eines Endzwecks im Gebrauche der Freiheit nach moralischen Gesetzen hat also subjektiv- p r a k t i s c h e Realität. Wir sind a priori durch die Vernunft bestimmt, das Weltbeste, welches in der Verbindung des größten Wohls der vernünftigen Weltwesen mit der höchsten Bedingung des Guten an denselben2, d. i. der allgemeinen Glückseligkeit mit der gesetzmäßigsten Sittlichkeit, besteht, nach allen Kräften zu befördern. In diesem Endzwecke ist die Möglichkeit des einen Teils, nämlich der Glückseligkeit, empirisch bedingt, d. i. von der Beschaffenheit der Natur (ob sie zu diesem Zwecke übereinstim430 me oder nicht) abhängig, und in | theoretischer Rücksicht problematisch; indes der3 andere Teil, nämlich die Sittlichkeit, in Ansehung deren wir von der Naturmitwirkung frei sind, seiner Möglichkeit nach a priori fest steht und dogmatisch gewiß ist. Zur objektiven theoretischen Realität also des Begriffs von dem Endzwecke vernünftiger Weltwesen wird erfordert, daß nicht allein wir einen uns a priori vorgesetzten Endzweck haben, sondern daß auch die Schöpfung, d. i. die Welt selbst, ihrer Existenz nach einen Endzweck habe: welches, wenn es a priori bewiesen werden könnte, zur subjektiven Realität des Endzwecks die objektive hinzutun würde. Denn, hat die Schöpfung überall einen Endzweck, so können wir ihn nicht anders denken, als so, daß er mit dem moralischen (der allein den Begriff 454 von einem Zwecke möglich macht) überein||stimmen müsse. Nun finden wir aber in der Welt zwar Zwecke: und die physische Teleologie stellt sie in solchem Maße dar, daß, wenn wir der Vernunft gemäß urteilen, wir zum Prinzip der Nachforschung der Natur zuletzt anzunehmen Grund haben, daß in der Natur gar nichts ohne Zweck sei; allein den Endzweck der Natur suchen wir in ihr selbst vergeblich. Dieser kann und muß daher, so wie die Idee davon nur in der Vernunft liegt, selbst seiner objektiven Möglichkeit nach, nur in vernünftigen Wesen gesucht werden. Die praktische Vernunft der letzteren aber gibt diesen Endzweck nicht allein an, sondern bestimmt auch diesen 431 Begriff in Ansehung der Bedingun|gen, unter welchen ein4 Endzweck der Schöpfung allein von uns gedacht werden kann. Es ist nun die Frage: ob die objektive Realität des Begriffs von einem Endzweck der Schöpfung nicht auch für die theore-

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lizzato nel mondo mediante le nostre azioni, secondo quella legge. L’idea di un fine definitivo nell’uso della libertà secondo leggi morali ha dunque una realtà soggettivamente p r a t i c a . Noi siamo determinati a priori dalla ragione a promuovere con tutte le forze il mondo migliore, che consiste nel collegamento del più grande benessere degli esseri razionali del mondo con la somma condizione del bene in tali esseri, cioè della felicità universale con la moralità più conforme alla legge. In questo fine definitivo la possibilità di una parte, appunto della felicità, è condizionata empiricamente, cioè è dipendente dalla costituzione della natura (a seconda che essa si accordi con questo fine o no) e problematica dal punto 430 di vista teoretico, mentre l’altra parte, cioè la moralità, riguardo alla quale siamo liberi dalla cooperazione della natura, è, quanto alla sua possibilità, fissa a priori e dogmaticamente certa. Per la realtà teoretica oggettiva del concetto del fine definitivo di esseri razionali del mondo viene richiesto quindi che non solo noi abbiamo un fine definitivo propostoci a priori, ma che anche la creazione, cioè il mondo stesso, abbia, quanto alla sua esistenza, un fine definitivo: cosa che, se potesse essere dimostrata a priori, aggiungerebbe la realtà oggettiva alla realtà soggettiva del fine definitivo. Infatti, se mai la creazione ha un fine definitivo: non lo possiamo pensare se non in modo che esso debba accordarsi con il fine morale (il quale solamente rende possibile il concetto di un 454 fine). Ora, però, noi troviamo nel mondo certamente dei fini, e la teleologia fisica li esibisce in misura tale che, se giudichiamo in conformità con la ragione, abbiamo ultimamente motivo di ammettere come principio dello studio della natura che nella natura non c’è niente che non abbia un fine; solo che cerchiamo invano il fine definitivo della natura nella natura stessa. Di conseguenza, come l’idea di questo fine risiede solamente nella ragione, così esso può e deve essere cercato, anche quanto alla sua possibilità oggettiva, solo in esseri razionali. Ma la ragione pratica di questi esseri non soltanto indica questo fine definitivo, bensì determina anche questo concetto riguardo alle condizioni sotto le quali soltanto può 431 essere pensato da noi un fine definitivo della creazione. Ora, la questione è quella di sapere se la realtà oggettiva del concetto di un fine definitivo della creazione non possa

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tischen Forderungen der reinen Vernunft hinreichend, wenn gleich nicht apodiktisch, für die bestimmende, doch hinreichend für die Maximen der theoretisch-reflektierenden Urteilskraft könne dargetan werden. Dieses ist das mindeste, was man der spekulativen Philosophie ansinnen kann, die den sittlichen Zweck mit den Naturzwecken vermittelst der Idee eines einzigen Zwecks zu verbinden sich anheischig macht; aber auch dieses wenige ist doch weit mehr, als sie je zu leisten vermag. Nach dem Prinzip der theoretisch-reflektierenden Urteilskraft würden wir sagen: Wenn wir Grund haben, zu den zweckmäßigen Produkten der Natur eine oberste Ursache der Natur anzunehmen, deren Kausalität in Ansehung der Wirklichkeit der letzteren (die Schöpfung) von anderer Art, als zum5 Mechanism der Natur erforderlich ist, nämlich als die eines Verstandes, gedacht werden muß6: so werden wir auch an diesem Urwesen nicht bloß allenthalben in der Natur Zwecke, sondern auch einen Endzweck zu denken hinreichenden Grund haben, wenn gleich nicht, um das Dasein eines solchen Wesens darzutun, doch wenigstens (so wie es in der physischen Teleologie 432 geschah) uns zu überzeugen, daß | wir die Möglichkeit einer solchen Welt nicht bloß nach Zwecken, sondern auch nur dadurch, daß wir ihrer Existenz einen Endzweck unterlegen, uns begreiflich machen können. Allein Endzweck ist bloß ein Begriff unserer praktischen Vernunft, und kann aus keinen Datis der Erfahrung zu theoretischer Beurteilung der Natur gefolgert, noch auf Erkenntnis derselben bezogen werden. Es ist kein Gebrauch von diesem Be455 griffe möglich, als lediglich für die prak||tische Vernunft nach moralischen Gesetzen; und der Endzweck der Schöpfung ist diejenige Beschaffenheit der Welt, die zu dem, was wir allein nach Gesetzen bestimmt angeben können, nämlich dem Endzwecke unserer reinen praktischen Vernunft, und zwar so fern sie praktisch sein soll, übereinstimmt. — Nun haben wir durch das moralische Gesetz, welches uns diesen letztern auferlegt, in praktischer Absicht, nämlich um unsere Kräfte zur Bewirkung desselben anzuwenden, einen Grund, die Möglichkeit, Ausführbarkeit desselben, mithin auch (weil, ohne Beitritt der Natur zu einer in unserer Gewalt nicht stehenden Bedingung derselben,

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essere sufficientemente comprovata anche per le esigenze teoretiche della ragione pura, seppure non apoditticamente per la forza determinante di giudizio, tuttavia in modo sufficiente per le massime della forza teoreticamente riflettente di giudizio. Questo è il minimo che si possa richiedere alla filosofia speculativa che si assume l’impegno di collegare il fine morale con i fini naturali per mezzo dell’idea di un fine unico; ma anche questo poco è tuttavia molto di più di quanto essa possa mai fare. Secondo il principio della forza teoreticamente riflettente di giudizio diremmo: se abbiamo motivo di ammettere, per i prodotti della natura conformi al fine, una causa suprema della natura, la cui causalità riguardo alla realtà di quest’ultima (la creazione) deve essere pensata come di una specie diversa da quella richiesta per il meccanismo della natura, cioè come la causalità di un intelletto, allora avremo anche un fondamento sufficiente per pensare, in questo essere originario, non soltanto fini presenti ovunque nella natura, ma anche un fine definitivo; se non per comprovare l’esistenza di un tale essere, tuttavia almeno (come è accaduto nella teleologia fisica) per convincerci che possiamo renderci comprensibile 432 la possibilità di un tale mondo non semplicemente secondo fini, ma anche unicamente ponendo alla base della sua esistenza un fine definitivo. Ma il fine definitivo è solamente un concetto della nostra ragione pratica e non può essere derivato da nessun dato dell’esperienza per la valutazione teoretica della natura né essere riferito alla conoscenza di questa. Non è possibile alcun uso di questo concetto se non esclusivamente per la ragione pra- 455 tica secondo leggi morali; e il fine definitivo della creazione è quella costituzione del mondo che si accorda con ciò che solo noi possiamo addurre in modo determinato secondo leggi, cioè con il fine definitivo della nostra ragione pura pratica, e precisamente nella misura in cui essa deve essere pratica. — Ora, grazie alla legge morale che ci impone tale fine definitivo, abbiamo, in un intento pratico, cioè per applicare le nostre forze alla sua realizzazione, un motivo per ammettere la possibilità, l’attuabilità di questo fine, e dunque anche una natura delle cose che vi si accordi (perché, senza l’intervento della natura per una condizione di possibilità e di

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die Bewirkung desselben unmöglich sein würde) eine Natur der Dinge, die dazu übereinstimmt, anzunehmen. Also haben wir einen moralischen Grund, uns an einer Welt auch einen Endzweck der Schöpfung zu denken. | 433 Dieses ist nun noch nicht der Schluß von der moralischen Teleologie auf eine Theologie, d. i. auf das Dasein eines moralischen Welturhebers, sondern nur auf einen Endzweck der Schöpfung, der auf diese Art bestimmt wird. Daß nun zu dieser Schöpfung, d. i. der Existenz der Dinge, gemäß einem E n d z w e c k e , erstlich ein verständiges, aber zweitens nicht bloß (wie zu der Möglichkeit der Dinge der Natur, die wir als Z w e c k e zu beurteilen genötiget waren) ein verständiges, sondern ein zugleich m o r a l i s c h e s Wesen, als Welturheber, mithin ein G o t t angenommen werden müsse7: ist ein zweiter Schluß, welcher so beschaffen ist, daß man sieht, er sei bloß für die Urteilskraft, nach Begriffen der praktischen Vernunft, und, als ein solcher, für die reflektierende, nicht die bestimmende, Urteilskraft gefället. Denn wir können uns nicht anmaßen einzusehen: daß, obzwar in uns die moralisch-praktische Vernunft von der technisch-praktischen ihren Prinzipien nach wesentlich unterschieden ist, in der obersten Weltursache, wenn sie als Intelligenz angenommen wird, es auch so sein müsse8, und eine besondere und verschiedene Art der Kausalität derselben zum Endzwecke, als bloß zu Zwecken der Natur, erforderlich sei; daß wir mithin an9 unserm Endzweck nicht bloß einen m o r a l i s c h e n G r u n d haben, einen Endzweck der Schöpfung (als Wirkung), sondern auch ein m o r a l i s c h e s We s e n , als Ur434 grund der Schöpfung, anzunehmen. Wohl aber | können wir sagen: daß, n a c h d e r B e s c h a f f e n h e i t u n s e r e s Ve r n u n f t v e r m ö g e n s , wir uns die Möglichkeit einer solchen a u f d a s m o r a l i s c h e G e s e t z und dessen Objekt bezogenen Zweckmäßigkeit, als in diesem Endzwecke ist, ohne einen Welturheber und Regierer, der zugleich moralischer Gesetzgeber ist, gar nicht begreiflich machen können. || 456 Die Wirklichkeit eines höchsten moralisch-gesetzgebenden Urhebers ist also bloß f ü r d e n p r a k t i s c h e n G e b r a u c h unserer Vernunft hinreichend dargetan, ohne in Ansehung des Daseins desselben etwas theoretisch zu bestimmen. Denn diese bedarf zur Möglichkeit ihres Zwecks, der uns auch ohnedas

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attuabilità che non è in nostro potere, la realizzazione di quel fine sarebbe impossibile). Dunque abbiamo un fondamento morale per pensare in un mondo anche un fine definitivo della creazione. Questo non equivale ancora a inferire dalla teleologia 433 morale una teologia, cioè l’esistenza di un autore morale del mondo, bensì soltanto un fine definitivo della creazione che viene così determinato. Ora, il fatto che per questa creazione, cioè per l’esistenza delle cose conformemente a un f i n e d e f i n i t i v o , si debba ammettere come autore del mondo, e quindi come un Dio, un essere in primo luogo intelligente, ma, in secondo luogo, un essere non soltanto intelligente (come per la possibilità delle cose della natura che noi eravamo costretti a valutare come f i n i ), bensì al contempo m o r a l e , è una seconda inferenza, tale per cui si vede che è fatta solo per la forza di giudizio secondo concetti della ragione pratica e, in quanto tale, per la forza riflettente di giudizio, non per quella determinante. Infatti, non possiamo presumere di discernere che, sebbene in noi la ragione pratico-morale sia essenzialmente differente, secondo i suoi principi, dalla ragione pratico-tecnica, debba essere così anche nella causa suprema del mondo, qualora la si ammetta come intelligenza, e che per il fine definitivo sia richiesta una sua specie particolare di causalità, diversa da quella richiesta per i semplici fini della natura; di conseguenza non possiamo discernere che abbiamo nel nostro fine definitivo non solo un f o n d a m e n t o m o r a l e per ammettere un fine definitivo della creazione (come effetto), ma anche un e s s e r e m o r a l e come fondamento originario della creazione. Tuttavia possiamo certa- 434 mente dire che, s e c o n d o l a c o s t i t u z i o n e d e l l a n o s t r a f a c o l t à r a z i o n a l e , non possiamo assolutamente renderci comprensibile la possibilità di una tale conformità al fine riferita a l l a l e g g e m o r a l e e al suo oggetto, come avviene in questo fine definitivo, senza un autore e reggitore del mondo che sia al contempo legislatore morale. La realtà di un sommo autore che legifera moralmente è 456 quindi sufficientemente provata solo p e r l ’ u s o p r a t i c o della nostra ragione, senza che qualcosa sia determinato teoreticamente riguardo alla sua esistenza. Infatti, la ragione ha bisogno, per la possibilità del suo fine, che d’altronde ci è

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durch ihre eigene Gesetzgebung aufgegeben ist, einer Idee, wodurch das Hindernis, aus dem Unvermögen ihrer Befolgung nach dem bloßen Naturbegriffe von der Welt (für die reflektierende Urteilskraft hinreichend) weggeräumt wird; und diese Idee bekommt dadurch praktische Realität, wenn ihr gleich alle Mittel, ihr eine solche in theoretischer Absicht, zur Erklärung der Natur und Bestimmung der obersten Ursache zu verschaffen, für das spekulative Erkenntnis gänzlich abgehen. Für die theoretisch reflektierende Urteilskraft bewies die physische Teleologie aus den Zwecken der Natur hinreichend eine verständige Weltursache; für die praktische bewirkt dieses die moralische durch den Begriff eines Endzwecks, den sie in prakti435 scher Absicht der Schöpfung beizule|gen genötiget ist. Die objektive Realität der Idee von Gott, als moralischen Welturhebers, kann nun zwar nicht durch physische Zwecke a l l e i n dargetan werden; gleichwohl aber, wenn ihr Erkenntnis mit dem des moralischen Endzwecks verbunden10 wird, sind jene, vermöge der Maxime der reinen Vernunft, Einheit der Prinzipien, so viel sich tun läßt, zu befolgen, von großer Bedeutung, um der praktischen Realität jener Idee, durch die, welche sie in theoretischer Absicht für die Urteilskraft bereit hat11, zu Hülfe zu kommen. Hiebei ist nun, zu Verhütung eines leicht eintretenden Mißverständnisses, höchst nötig anzumerken, daß wir erstlich diese Eigenschaften des höchsten Wesens nur nach der Analogie d e n k e n können. Denn wie wollten wir seine Natur, wovon12 uns die Erfahrung nichts Ähnliches zeigen kann, erforschen? Zweitens, daß wir es durch dieselbe auch13 nur denken, nicht darnach e r k e n n e n , und sie ihm etwa theoretisch beilegen können; denn das wäre für die bestimmende Urteilskraft14 in spekulativer Absicht unserer Vernunft, um, was die oberste Weltursache a n s i c h sei, einzusehen. Hier aber ist es nur darum zu tun, welchen Begriff wir uns, nach der Beschaffenheit unserer Erkenntnisvermögen, von demselben zu machen, und ob wir seine Existenz anzunehmen haben, um einem Zwecke, den uns reine praktische Vernunft, ohne alle solche Vorausset436 zung, a priori nach allen Kräften zu bewirken aufer|legt, gleich-

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assegnato anche dalla sua propria legislazione, di un’idea grazie alla quale sia rimosso (in modo sufficiente per la forza riflettente di giudizio) l’ostacolo risultante dall’incapacità alla sua osservanza secondo il semplice concetto naturale del mondo; e questa idea ottiene in tal modo realtà pratica, benché per la conoscenza speculativa manchino ad essa totalmente tutti i mezzi per procurarle una tale realtà in un intento teoretico, per la spiegazione della natura e la determinazione della causa suprema. Per la forza teoreticamente riflettente di giudizio, la teleologia fisica ha provato sufficientemente, a partire dai fini della natura, una causa intelligente del mondo; per quella pratica, la teleologia morale ha lo stesso effetto grazie al concetto di un fine definitivo che essa è costretta, in un intento pratico, ad attribuire alla creazione. La realtà og- 435 gettiva dell’idea di Dio, come autore morale del mondo, non può certo essere comprovata s o l t a n t o mediante fini fisici; tuttavia, se la sua conoscenza è collegata con quella del fine morale, quei fini, in virtù della massima della ragione pura che impone di seguire, per quanto sia possibile farlo, l’unità dei principi, sono comunque di una grande importanza per sostenere la realtà pratica di quell’idea mediante quella che la ragione ha già pronta, in un intento teoretico, per la forza di giudizio. Per evitare un fraintendimento che potrebbe facilmente insorgere, è qui estremamente necessario notare che, in primo luogo, noi non possiamo p e n s a r e le proprietà dell’essere sommo se non per analogia. Infatti, come potremmo indagare la sua natura della quale l’esperienza non può mostrarci niente di simile? In secondo luogo, bisogna notare che mediante quelle proprietà noi lo possiamo anche solo pensare, ma non c o n o s c e r l o in base a esse, e per esempio attribuirgli teoreticamente tali proprietà; infatti spetterebbe alla forza determinante di giudizio, nell’intento speculativo della nostra ragione, discernere che cosa sia i n s é la causa suprema del mondo. Ma qui si tratta soltanto di quale concetto dobbiamo farci di esso, in base alla costituzione delle nostre facoltà conoscitive, e se dobbiamo ammettere la sua esistenza per procurare ugualmente una realtà solo pratica a un fine che la ragione pura pratica, senza alcuna presupposizione di questo tipo, ci impone a priori di effettuare con tutte le forze, cioè di 436

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falls nur praktische Realität zu verschaffen, d. i. nur eine beabsichtete Wirkung als möglich denken zu können. Immerhin mag 457 jener Begriff für die spekulative Vernunft überschweng||lich sein; auch mögen die Eigenschaften, die wir dem dadurch gedachten Wesen beilegen, objektiv gebraucht, einen Anthropomorphism in sich verbergen: die Absicht ihres Gebrauchs ist auch nicht, seine für uns unerreichbare Natur, sondern uns selbst und unseren Willen, darnach bestimmen zu wollen. So wie wir eine Ursache nach dem Begriffe, den wir von der Wirkung haben (aber nur in Ansehung ihrer Relation zu dieser15), benennen, ohne darum die innere Beschaffenheit derselben durch die Eigenschaften, die uns von dergleichen Ursachen einzig und allein bekannt und durch Erfahrung gegeben werden müssen, innerlich bestimmen zu wollen; so wie wir z. B. der Seele unter andern auch eine vim locomotivam beilegen, weil wirklich Bewegungen des Körpers entspringen, deren Ursache in ihren Vorstellungen liegt, ohne ihr darum die einzige Art, wie wir bewegende Kräfte kennen (nämlich durch Anziehung16, Druck, Stoß, mithin Bewegung, welche jederzeit ein ausgedehntes Wesen voraussetzen), beilegen zu wollen: – eben so werden wir e t w a s , das den17 Grund der Möglichkeit und der praktischen Realität, d. i. der Ausführbarkeit, eines notwendigen moralischen Endzwecks enthält, annehmen müssen; dieses aber, nach 437 Beschaffenheit der von ihm | erwarteten Wirkung, uns als ein weises nach moralischen Gesetzen die Welt beherrschenden Wesen denken können, und der Beschaffenheit unserer Erkenntnisvermögen gemäß, als von der Natur unterschiedene Ursache der Dinge denken müssen, um nur das Ve r h ä l t n i s dieses alle unsere Erkenntnisvermögen übersteigenden Wesens zum Objekte u n s e r e r praktischen Vernunft auszudrücken: ohne doch dadurch die einzige uns bekannte Kausalität dieser Art, nämlich einen Verstand und Willen, ihm darum theoretisch beilegen, ja selbst auch nur die an ihm gedachte Kausalität in Ansehung dessen, was f ü r u n s Endzweck ist, als in diesem Wesen selbst von der Kausalität in Ansehung der Natur (und deren Zweckbestimmungen überhaupt) objektiv unterscheiden zu wollen, sondern diesen Unterschied nur als subjektiv notwendig, für die Beschaffenheit unseres Erkenntnisvermögens, und gültig für die reflektierende, nicht für die objektiv bestimmende Urteilskraft, annehmen können. Wenn es aber auf das

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poter solo pensare come possibile un effetto che è il nostro intento. Quel concetto sarà pur sempre trascendente per la ragione speculativa; e le proprietà che attribuiamo all’essere 457 così pensato potranno pure nascondere in sé, se usate oggettivamente, un antropomorfismo: l’intento che presiede al loro uso è quello di voler in tal modo determinare non la sua natura, per noi irraggiungibile, ma di determinare noi stessi e la nostra volontà. Così designiamo una causa secondo il concetto che abbiamo dell’effetto (ma solo riguardo alla sua relazione con questo), senza per ciò voler determinare internamente la costituzione interna della causa mediante le sole e uniche proprietà che di essa ci sono note e che ci sono date dall’esperienza; così come, per esempio, attribuiamo all’anima, tra le altre cose, una vis locomotiva127, perché effettivamente sorgono movimenti del corpo la cui causa risiede nelle rappresentazioni dell’anima senza per questo volere attribuire a essa l’unica specie che conosciamo di forze motrici (cioè mediante attrazione, pressione, urto, quindi movimento, che presuppongono sempre un essere esteso): – allo stesso modo dovremo ammettere q u a l c o s a che contenga il fondamento della possibilità e della realtà pratica, cioè della attuabilità, di un fine definitivo morale necessario; ma questo qualcosa possiamo pensarlo, per la costituzione dell’effetto che ci aspettiamo 437 da esso, come un essere saggio che governa il mondo secondo leggi morali e dobbiamo pensarlo, conformemente alla costituzione delle nostre facoltà conoscitive, come causa delle cose distinta dalla natura, per esprimere unicamente il r a p p o r t o di questo essere, che supera tutte le nostre facoltà conoscitive, con l’oggetto della n o s t r a ragione pratica, senza tuttavia attribuirgli perciò, teoreticamente, l’unica causalità di questa specie che ci sia nota, cioè un intelletto e una volontà; e anzi senza nemmeno voler distinguere oggettivamente, come se la distinzione fosse in questo stesso essere, la causalità pensata in lui, riguardo a ciò che p e r n o i è un fine definitivo, dalla causalità riguardo alla natura (e le sue destinazioni a un fine in generale), al contrario possiamo ammettere questa differenza solo come soggettivamente necessaria per la costituzione della nostra facoltà di conoscere e come valida per la forza riflettente di giudizio, non per quella oggettivamente determinante. Ma, quando si tratta del pratico, allora un simile

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Praktische ankommt, so ist ein solches r e g u l a t i v e s Prinzip (für die Klugheit oder Weisheit): dem, was nach Beschaffenheit unserer Erkenntnisvermögen von uns auf gewisse Weise allein als möglich gedacht werden kann, als Zwecke gemäß zu handeln, zugleich k o n s t i t u t i v, d. i. praktisch bestimmend; indes eben18 dasselbe, als Prinzip, die objektive Möglichkeit der Dinge zu beurteilen, keinesweges theoretisch-bestimmend (daß 438 nämlich auch dem Objekte die einzige Art der Möglichkeit || | 458 zukomme, die unserm Vermögen zu denken zukommt), sondern ein bloß r e g u l a t i v e s Prinzip für die reflektierende Urteilskraft ist.

Anmerkung Dieser moralische Beweis ist nicht etwa ein neu erfundener, sondern allenfalls nur ein neuerörterter Beweisgrund; denn er hat vor der frühesten Aufkeimung des menschlichen Vernunftvermögens schon in demselben gelegen, und wird mit der fortgehenden Kultur desselben nur immer mehr entwickelt. Sobald die Menschen über Recht und Unrecht zu reflektieren anfingen, in einer Zeit, wo sie über die Zweckmäßigkeit der Natur noch gleichgültig wegsahen, sie nützten, ohne sich dabei etwas anderes als den gewohnten Lauf der Natur zu denken, mußte sich das Urteil unvermeidlich einfinden: daß es im Ausgange nimmermehr einerlei sein könne, ob ein Mensch sich redlich oder falsch, billig oder gewalttätig verhalten habe, wenn er gleich bis an sein Lebensende, wenigstens sichtbarlich, für seine Tugenden kein Glück, oder für seine Verbrechen keine Strafe angetroffen habe. Es ist: als ob sie in sich eine Stimme wahrnähmen, es müsse anders zugehen; mithin mußte auch die, obgleich dunkle, Vorstellung von etwas, dem sie nachzustreben sich verbunden fühlten, verborgen liegen, womit ein solcher Ausschlag sich gar nicht zusammenreimen lasse, oder womit, wenn sie den Weltlauf einmal als die einzige Ordnung der Dinge ansahen, sie wiederum jene innere Zweckbestimmung ihres Gemüts nicht zu vereinigen wußten. Nun mochten sie die Art, wie eine solche Unregelmäßigkeit (welche dem menschlichen Gemüte weit em-

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principio r e g o l a t i v o (per la prudenza o saggezza) – ossia il principio di considerare come fine, rispetto al quale agire conformemente, ciò che secondo la costituzione delle nostre facoltà conoscitive può essere pensato da noi come possibile solo in un certo modo – è nel contempo c o s t i t u t i v o , cioè determinante praticamente; mentre questo stesso principio, inteso quale principio per valutare la possibilità oggettiva delle cose, non è in alcun modo determinante teoreticamente (cioè non determina teoreticamente che convenga anche 438 all’oggetto l’unica specie di possibilità che conviene alla 458 nostra facoltà di pensare), bensì è un principio semplicemente r e g o l a t i v o per la forza riflettente di giudizio.

NOTA

Questa prova morale non è un argomento appena scoperto, tutt’al più soltanto un argomento esposto in modo nuovo; infatti esso era già presente nella facoltà razionale umana prima del suo iniziale germogliare e non fa che venire sempre più sviluppato con il progredire della sua cultura. Non appena gli uomini cominciarono a riflettere sul giusto e l’ingiusto in un tempo in cui essi, indifferenti, ignoravano ancora la conformità della natura al fine, usandola senza pensare, nel farlo, a qualcosa d’altro se non al corso usuale della natura, era inevitabile che comparisse questo giudizio: alla fine non può mai essere lo stesso che un uomo si sia comportato onestamente o falsamente, equamente o violentemente, benché egli non abbia incontrato fino alla fine della sua vita, almeno a quanto si vede, alcuna felicità per le sue virtù né alcuna punizione per i suoi crimini. Era come se essi percepissero in sé una voce secondo cui le cose dovevano andare diversamente; quindi doveva anche esserci nascosta una rappresentazione, per quanto oscura, di qualcosa verso il quale si sentivano vincolati a tendere, qualcosa con cui un simile risultato non poteva assolutamente conciliarsi o con cui, una volta considerato il corso del mondo come l’unico ordine delle cose, non sapevano poi rendere compatibile quella interna destinazione a un fine del loro animo. Ora, essi potevano rappresentarsi in diverse maniere, ancora grossolane, il modo in cui una tale

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pörender sein muß, als der blinde Zufall, den man etwa der Na| wollte) ausgeglichen werden könne, sich auf mancherlei noch so grobe Weise19 vorstellen: so konnten sie sich doch niemals ein anderes Prinzip der Möglichkeit der Vereinigung der Natur mit ihrem inneren Sittengesetze erdenken, als eine nach moralischen Gesetzen die Welt beherrschende oberste Ursache: weil ein als Pflicht aufgegebener Endzweck in ihnen, und eine Natur ohne allen Endzweck, außer ihnen, in welcher gleichwohl jener Zweck wirklich werden soll, im Widerspruche stehen. Über die innere20 Beschaffenheit jener Weltursache konnten sie nun manchen Unsinn ausbrüten; jenes moralische Verhältnis in der Weltregierung blieb immer dasselbe, welches für die unangebauteste Vernunft, sofern sie sich als praktisch betrachtet, allgemein faß459 lich ist, mit welcher hingegen21 die spekulative bei || weitem nicht gleichen Schritt halten kann. — Auch wurde, aller Wahrscheinlichkeit nach, durch dieses moralische Interesse allererst die Aufmerksamkeit auf die Schönheit und Zwecke in der Natur22 rege gemacht, die alsdenn jene Idee zu bestärken vortrefflich diente, sie aber doch nicht begründen23, noch weniger jenes entbehren konnte, weil selbst die Nachforschung der Zwecke der Natur nur in Beziehung auf den Endzweck dasjenige unmittelbare Interesse bekommt, welches sich in der Bewunderung derselben, ohne Rücksicht auf irgend daraus zu ziehenden Vorteil, in so großem Maße zeigt. 439 turbeurteilung zum Prinzip unterlegen

§ 89 Von dem Nutzen des moralischen Arguments Die Einschränkung der Vernunft, in Ansehung aller unserer

|

440 Ideen vom Übersinnlichen, auf die Bedin gungen ihres prakti-

schen Gebrauchs, hat, was die Idee von Gott betrifft, den unverkennbaren Nutzen: daß sie verhütet, daß T h e o l o g i e sich nicht in T h e o s o p h i e (in vernunftverwirrende überschwengliche Begriffe) versteige, oder zur D ä m o n o l o g i e (einer anthropomorphistischen Vorstellungsart des höchsten Wesens) herabsinke; daß R e l i g i o n nicht in T h e u r g i e (ein schwärmerischer Wahn, von anderen übersinnlichen Wesen Gefühl und auf sie wiederum Einfluß haben zu können), oder in I d o l o l a t r i e (ein abergläubischer Wahn, dem höchsten Wesen

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irregolarità (che deve essere ben più riprovevole per l’animo umano del cieco caso che si voleva forse porre a principio della valutazione della natura) poteva essere appianata; essi 439 non poterono però mai escogitare, per pensare la possibilità dell’unificazione della natura con la loro interna legge morale, un altro principio se non quello di una causa suprema che governa il mondo secondo leggi morali: infatti un fine definitivo in essi, imposto come dovere, e, al di fuori di essi, una natura senza alcun fine definitivo, in cui tuttavia quel fine doveva realizzarsi, stanno in contraddizione. Sulla costituzione interna di quella causa del mondo, essi potevano pure covare qualche assurdità, ma quel rapporto morale nel governo del mondo restò sempre lo stesso: un rapporto che può essere universalmente colto anche dalla ragione meno istruita, nella misura in cui essa si considera come pratica, con la quale però la ragione speculativa è ben lontana dal poter 459 stare al suo passo. — Con ogni verosimiglianza, da questo interesse morale fu risvegliata in primo luogo l’attenzione per la bellezza e per i fini presenti nella natura, che servì in modo eccellente a rafforzare poi quell’idea senza tuttavia poterla fondare, e meno ancora però poteva fare a meno di quell’interesse, perché la stessa indagine dei fini della natura acquisisce solo in riferimento al fine definitivo quell’interesse immediato che si mostra in così grande misura quando si ammira la natura senza aspettarsi di ricavarne qualche vantaggio.

§ 89 DELL’UTILITÀ DELL’ARGOMENTO MORALE La limitazione della ragione, riguardo a tutte le nostre idee del soprasensibile, alle condizioni del suo uso pratico 440 possiede, per quel che riguarda l’idea di Dio, l’indiscutibile utilità di impedire che la t e o l o g i a ascenda alla t e o s o f i a (in concetti trascendenti che confondono la ragione) o affondi nella d e m o n o l o g i a (una specie rappresentativa antropomorfica dell’essere sommo); e che la r e l i g i o n e finisca in t e u r g i a (un delirio fanatico in cui si crede di poter sentire altri esseri soprasensibili e di avere un’influenza su di essi) o in i d o l a t r i a (un delirio superstizioso in cui si crede di po-

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sich durch andere Mittel, als durch eine moralische Gesinnung, wohlgefällig machen zu können) gerate*. Denn, wenn man der Eitelkeit oder Vermessenheit des Vernünftelns in Ansehung dessen, was über die Sinnenwelt hinausliegt, auch nur das mindeste theoretisch (und Erkenntniserweiternd) zu bestimmen einräumt; wenn man mit Einsichten 441 vom Dasein und von3 | der Beschaffenheit der göttlichen Natur, von seinem Verstande und Willen, den Gesetzen beider und den daraus auf die Welt abfließenden Eigenschaften groß zu tun verstattet: so möchte ich wohl wissen, wo und an welcher 460 Stelle man die || Anmaßungen der Vernunft begrenzen wolle; denn, wo jene Einsichten hergenommen sind, eben daher können ja noch mehrere (wenn man nur, wie man meint, sein Nachdenken anstrengte) erwartet werden. Die Begrenzung solcher Ansprüche müßte doch nach einem gewissen Prinzip geschehen, nicht etwa bloß aus dem Grunde, weil wir finden, daß alle Versuche mit denselben bisher fehlgeschlagen sind; denn das beweiset nichts wider die Möglichkeit eines besseren Ausschlags. Hier aber ist kein4 Prinzip möglich, als entweder anzunehmen: daß in Ansehung des Übersinnlichen schlechterdings gar nichts theoretisch (als lediglich nur negativ) bestimmt werden könne, oder daß unsere Vernunft eine noch unbenutzte Fundgrube, zu wer weiß wie großen, für uns und unsere Nachkommen aufbewahrten erweiternden Kenntnissen, in sich enthalte. — Was aber Religion betrifft, d. i. die Moral in Beziehung auf Gott als Gesetzgeber: so muß, wenn die theoretische Erkenntnis desselben vorhergehen müßte, die Moral sich nach der Theologie richten, und, nicht allein, statt einer inneren notwendigen Gesetzgebung der Vernunft, eine äußere willkürliche eines obersten Wesens eingeführt werden, sondern5 auch in die442 ser alles, was | unsere Einsicht in die Natur desselben Mangelhaftes hat, sich auf6 die sittliche Vorschrift7 erstrecken, und so die Religion unmoralisch machen und verkehren. * Abgötterei in praktischem Verstande ist noch immer diejenige Religion, welche sich das höchste Wesen mit Eigenschaften denkt, nach denen noch etwa anders als Moralität, die für sich taugliche Bedingung sein könne, seinem Willen in dem, was der Mensch zu tun vermag, gemäß zu sein. Denn so rein und frei von sinnlichen Bildern man auch in theoretischer Rücksicht jenen Begriff gefaßt haben mag, so ist er im praktischen alsdann1 dennoch als ein Idol2, d. i. der Beschaffenheit seines Willens nach anthropomorphistisch, vorgestellt.

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tersi rendere compiacenti all’essere sommo con mezzi diversi dall’atteggiamento morale)*. Infatti, quando si permette alla vanità o temerarietà del raziocinare di determinare su un piano teoretico (estendendo la conoscenza) anche solo la minima cosa riguardo a ciò che sta al di là del mondo sensibile; quando le si permette di vantarsi di perspicuità sull’esistenza e sulla costituzione della 441 natura divina, del suo intelletto e della sua volontà, delle leggi di entrambi e delle proprietà che ne derivano per il mondo, vorrei allora proprio sapere dove e a che punto si vorranno limitare le presunzioni della ragione; infatti, dal luogo da cui 460 sono state tratte quelle perspicuità, proprio da là se ne possono attendere molte altre ancora (se solo, come si ritiene, si fa uno sforzo di riflessione). La limitazione di tali pretese dovrebbe tuttavia avvenire secondo un principio certo e non soltanto perché constatiamo che tutti i tentativi di appagarle sono finora falliti; questo, infatti, non prova nulla contro la possibilità di un esito migliore. Qui non è però possibile alcun altro principio se non quello di ammettere o che riguardo al soprasensibile non si può determinare teoreticamente (se non esclusivamente in modo negativo) assolutamente nulla o che la nostra ragione contiene in sé una miniera ancora non sfruttata di cognizioni estensive chissà quanto grandi, conservate per noi e i nostri discendenti. — Ma, per quel che riguarda la religione, cioè la morale in riferimento a Dio come legislatore, se la conoscenza teoretica di Dio dovesse venire per prima, allora la morale dovrebbe regolarsi sulla teologia e non solo al posto di un’interna legislazione necessaria della ragione dovrebbe essere introdotta un’esterna legislazione arbitraria di un essere supremo, ma anche in questa legislazione tutto ciò che il nostro discernimento nella natura di questo essere ha di 442 manchevole dovrebbe estendersi alla prescrizione morale, rendendo così immorale e pervertendo la religione. * Idolatria in senso pratico è pur sempre quella religione che pensa l’essere sommo con proprietà per le quali anche qualcosa di diverso dalla moralità possa essere la condizione, per sé idonea, perché l’uomo possa conformarsi, in ciò che è in grado di fare, alla volontà di questo essere. Infatti, per quanto puro e libero da immagini sensibili possa essere stato concepito quel concetto dal punto di vista teoretico, esso è poi tuttavia rappresentato da un punto di vista pratico come un i d o l o , cioè, per la costituzione della sua volontà, in modo antropomorfico.

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In Ansehung der Hoffnung eines künftigen Lebens, wenn wir, statt des Endzwecks, den wir, der Vorschrift des moralischen Gesetzes gemäß, selbst zu vollführen haben, zum Leitfaden des Vernunfturteils für unsere8 Bestimmung (welches also nur in praktischer Beziehung als notwendig, oder annehmungswürdig, betrachtet wird) unser theoretisches Erkenntnisvermögen befragen, gibt die Seelenlehre in dieser Absicht, so wie oben die Theologie, nichts mehr als einen negativen Begriff von unserm denkenden Wesen: daß nämlich keine9 seiner Handlungen und Erscheinungen des innern Sinnes materialistisch erklärt werden könne; daß also von ihrer abgesonderten Natur, und der Dauer oder Nichtdauer ihrer Persönlichkeit nach dem Tode, uns schlechterdings kein erweiterndes bestimmendes Urteil aus spekulativen Gründen durch unser gesamtes theoretisches Erkenntnisvermögen möglich sei. Da also alles hier der teleologischen Beurteilung unseres Daseins in praktischer notwendiger Rücksicht und der Annehmung unserer Fortdauer, als der zu dem uns von der Vernunft schlechterdings aufgegebenen Endzweck erforderlichen Bedingung, überlassen bleibt, so zeigt sich hier zugleich der Nutzen (der zwar beim ersten Anblick 443 Verlust zu sein scheint): daß, so wie die Theologie für | uns nie 461 Theosophie werden || kann, die rationale P s y c h o l o g i e niemals P n e u m a t o l o g i e als erweiternde Wissenschaft10 werden könne, so wie sie andrerseits auch gesichert ist, in keinen M a t e r i a l i s m zu verfallen; sondern daß sie vielmehr bloß Anthropologie des innern Sinnes, d. i. Kenntnis unseres denkenden Selbst i m L e b e n sei, und als theoretisches Erkenntnis auch bloß empirisch bleibe; dagegen die rationale Psychologie, was die Frage über unsere ewige Existenz betrifft, gar keine theoretische Wissenschaft ist, sondern auf einem einzigen Schlusse der moralischen Teleologie beruht, wie denn auch ihr ganzer Gebrauch, bloß der letztern als unserer praktischen Bestimmung wegen, notwendig ist.

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 89

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Riguardo alla speranza di una vita futura, se noi, al posto del fine definitivo che noi stessi dobbiamo compiere conformemente alla prescrizione della legge morale, interroghiamo la nostra facoltà teoretica di conoscere prendendola come filo conduttore del giudizio razionale sulla nostra destinazione (giudizio che è considerato come necessario o degno di ammissione solo in un riferimento pratico), la psicologia non ci dà a tale riguardo, come precedentemente la teologia, nulla più di un concetto negativo del nostro essere pensante: vale a dire che nessuna delle sue azioni e nessun fenomeno del senso interno possono essere spiegati materialisticamente; di conseguenza che a proposito della natura separata dell’anima e del permanere o meno della sua personalità dopo la morte non è per noi assolutamente possibile alcun giudizio determinante estensivo a partire da principi speculativi mediante la nostra facoltà teoretica di conoscere nel suo complesso. Poiché dunque tutto qui resta affidato alla valutazione teleologica della nostra esistenza da un punto di vista pratico e necessario, e all’ammissione del nostro perdurare come condizione richiesta per il fine definitivo che ci è imposto assolutamente dalla ragione, qui si rivela nel contempo l’utilità (che certamente sembra essere a prima vista una perdita) del fatto che, come la teologia non può mai diventare per noi teosofia, 443 461 la p s i c o l o g i a razionale non può mai diventare p n e u m a t o l o g i a come scienza estensiva, così come d’altro canto la teologia è al sicuro anche dalla caduta in ogni m a t e r i a l i s m o ; al contrario essa è piuttosto una semplice antropologia del senso interno, cioè conoscenza del nostro sé pensante n e l l a v i t a , ed essa rimane, in quanto conoscenza teoretica, anche semplicemente empirica; per contro la psicologia razionale, per quel che riguarda la questione della nostra esistenza eterna, non è assolutamente una scienza teoretica, ma si basa su un’unica inferenza della teleologia morale, così come del resto anche l’intero suo uso è necessario solo a causa di questa teologia come nostra destinazione pratica.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

§ 90 Von der Art des Fürwahrhaltens in einem teleologischen Beweise1 des Daseins Gottes Zuerst wird zu jedem Beweise, er mag (wie bei dem Beweise2 durch Beobachtung des Gegenstandes oder Experiment) durch unmittelbare empirische Darstellung dessen, was bewiesen werden soll, oder durch Vernunft a priori aus Prinzipien geführt werden, erfordert: daß er nicht ü b e r r e d e , sondern ü b e r z e u g e , oder wenigstens auf Überzeugung wirke; d. i. 444 daß der Beweis|grund, oder der Schluß, nicht bloß ein subjektiver3 (ästhetischer) Bestimmungsgrund des Beifalls (bloßer Schein), sondern objektivgültig und ein logischer Grund der Erkenntnis sei: denn sonst wird der Verstand berückt, aber nicht überführt. Von jener Art eines Scheinbeweises ist derjenige, welcher vielleicht in guter Absicht, aber doch mit vorsätzlicher Verhehlung seiner Schwäche, in der natürlichen Theologie geführt wird: wenn man die große Menge der Beweistümer eines Ursprungs der Naturdinge nach dem Prinzip der Zwecke herbeizieht, und sich den bloß subjektiven Grund der menschlichen Vernunft zu Nutze macht, nämlich den ihr eigenen Hang, wo es nur ohne Widerspruch geschehen kann, statt vieler Prinzipien ein einziges, und, wo in diesem Prinzip nur einige oder auch viele Erfordernisse zur Bestimmung eines Begriffs angetroffen werden, die übrigen hinzuzudenken, um den Begriff des Dinges durch willkürliche Ergänzung zu vollenden. Denn freilich, wenn wir so viele Produkte in der Natur antreffen, die für uns Anzeigen einer verständigen Ursache sind: warum sollen wir, statt vieler solcher Ursachen, nicht lieber eine einzige, und 462 zwar an dieser nicht etwa bloß großen Verstand, || Macht u.s.w., sondern nicht vielmehr Allweisheit, Allmacht, mit einem Worte sie als eine solche, die den für alle mögliche Dinge zureichenden Grund solcher Eigenschaften enthalte, denken? und über das 445 diesem einigen alles vermögenden Urwesen nicht | bloß für die Naturgesetze und Produkte Verstand, sondern auch, als einer4 moralischen Weltursache, höchste sittliche praktische Vernunft

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 90

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§ 90 DEL MODO DEL TENER PER VERO IN UNA PROVA TELEOLOGICA DELL’ESISTENZA DI DIO A ogni prova, che sia condotta (come è il caso della prova effettuata attraverso l’osservazione dell’oggetto o esperimento) mediante un’esibizione empirica immediata di ciò che deve essere provato oppure a priori mediante la ragione, a partire da principi, è richiesto prima di tutto non che p e r s u a d a , ma che c o n v i n c a o almeno che abbia un effetto sulla convinzione; in altri termini si richiede che l’argomento, 444 o l’inferenza, non sia semplicemente un principio di determinazione soggettivo (estetico) dell’approvazione (semplice parvenza), ma che sia valido oggettivamente e sia un principio logico della conoscenza: infatti, altrimenti, l’intelletto viene sedotto, ma non convinto. Di quella specie di prove di parvenza è quella che viene condotta nella teologia naturale, forse con una buona intenzione, però anche con una deliberata dissimulazione della sua debolezza: è questo il caso quando si invoca la grande quantità di testimonianze a favore di un’origine delle cose naturali secondo il principio dei fini e si utilizza il principio soltanto soggettivo della ragione umana, cioè la tendenza, che le è propria, di sostituire, laddove ciò possa accadere senza contraddizione, un unico principio al posto di molti e, dove si trovino in questo principio solo alcuni o anche molti requisiti per la determinazione di un concetto, ad aggiungere i restanti con il pensiero per completare il concetto della cosa con una integrazione arbitraria. Infatti, certamente, incontrando nella natura così tanti prodotti che per noi sono indizi di una causa intelligente, perché non dovremmo, al posto di molte cause di questo tipo, pensare piuttosto una causa unica e in essa non semplicemente un grande intelletto, potenza, ecc., bensì piuttosto anche onniscienza, onni- 462 potenza, in breve perché non pensarla come una causa tale da contenere la ragione sufficiente di tali proprietà per tutte le cose possibili? E perché non dovremmo attribuire inoltre a quest’unico essere originario, che tutto può, non soltanto un 445 intelletto per le leggi e i prodotti della natura, bensì anche, in quanto causa morale del mondo, una somma ragione morale

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

beilegen; da durch diese Vollendung des Begriffs ein für Natureinsicht so wohl als moralische Weisheit zusammen hinreichendes Prinzip angegeben wird, und kein nur einigermaßen gegründeter Einwurf wider die Möglichkeit einer solchen Idee gemacht werden kann? Werden hiebei nun zugleich die moralischen Triebfedern des Gemüts in Bewegung gesetzt, und ein lebhaftes Interesse der letzteren mit rednerischer Stärke (deren sie auch wohl würdig sind) hinzugefügt: so entspringt daraus eine Überredung von der objektiven Zulänglichkeit des Beweises, und ein (in den meisten Fällen seines Gebrauchs) auch heilsamer Schein, der aller Prüfung der logischen Schärfe desselben sich ganz überhebt, und sogar dawider, als ob ihr ein frevelhafter Zweifel zum Grunde läge, Abscheu und Widerwillen trägt. — Nun ist hierwider wohl nichts zu sagen, so fern man auf populäre Brauchbarkeit eigentlich Rücksicht nimmt. Allein, da doch die Zerfällung desselben in die zwei ungleichartigen Stücke, die dieses Argument enthält, nämlich in das, was zur physischen, und das, was zur moralischen Teleologie gehört, nicht abgehalten werden kann und darf, indem die Zusammenschmelzung beider es unkenntlich macht, wo der eigentliche Nerve des Beweises liege, und an welchem Teile und wie er 446 müßte5 bearbeitet wer|den, um für die Gültigkeit desselben vor der schärfsten Prüfung Stand halten zu können (selbst wenn man an einem Teile die Schwäche unserer Vernunfteinsicht einzugestehen genötigt sein sollte): so ist es für den Philosophen Pflicht (gesetzt daß er auch die Anforderung der Aufrichtigkeit an ihn für nichts rechnete), den obgleich noch so heilsamen Schein, welchen eine solche Vermengung hervorbringen kann, aufzudecken, und, was bloß zur Überredung gehört, von dem, was auf Überzeugung führt (die beide nicht bloß dem Grade, sondern selbst der Art nach, unterschiedene Bestimmungen des Beifalls sind), abzusondern, um die Gemütsfassung in diesem Beweise in ihrer ganzen Lauterkeit offen darzustellen, und diesen der strengsten Prüfung freimütig unterwerfen zu können. Ein Beweis aber, der auf Überzeugung angelegt ist, kann wiederum zwiefacher Art sein, entweder ein solcher, der, was der Gegenstand a n s i c h sei, oder was er f ü r u n s (Men463 schen überhaupt), nach den uns not||wendigen Vernunftprinzipien seiner Beurteilung, sei (ein Beweis kat∆ ajlhvqeian, oder kat∆ a[nqrwpon, das letztere Wort in allgemeiner Bedeutung für

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 90

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pratica, dato che mediante questo completamento del concetto viene addotto un principio sufficiente sia per la perspicuità della natura sia nel contempo per la saggezza morale, né può essere fatta alcuna obiezione anche solo minimamente fondata contro la possibilità di una tale idea? Se poi vengono qui messi in moto al contempo anche i moventi morali dell’animo, e se si aggiunge loro con forza oratoria (della quale sono ben degni) un vivo interesse, ne sorge una persuasione della sufficienza oggettiva della prova e una parvenza anche salutare (nella maggior parte dei casi in cui la si utilizza) che si dispensa del tutto da ogni esame del rigore logico di tale prova e anzi suscita al riguardo ripugnanza e avversione, come se vi fosse alla base di quell’esame un dubbio sacrilego. — Ora, non c’è nulla da dire contro questa analisi nella misura in cui si guarda propriamente alla sua utilizzabilità popolare. Ma dato che tuttavia non si può, né si deve, impedire la divisione di questa prova nei due elementi eterogenei che quest’argomento contiene, cioè in quello che appartiene alla teleologia fisica e in quello che appartiene alla teleologia morale, poiché la fusione impedisce di riconoscere dove risieda il nerbo vero e proprio della prova, e di sapere in quale parte e in quale maniera debba essere elaborata per poterne difendere la vali- 446 dità di fronte all’esame più rigoroso (anche se si dovesse essere costretti ad ammettere in una delle parti la debolezza della nostra perspicacia razionale), così è un dovere per il filosofo (ammesso anche che egli non tenga in alcun conto la richiesta di sincerità che gli è rivolta) svelare la parvenza, per quanto ancora così salutare, che una tale confusione può produrre e separare ciò che appartiene solamente alla persuasione da ciò che conduce alla convinzione (le quali sono due determinazioni dell’approvazione differenti non solo per il grado, ma anche nella specie) per esibire apertamente, in tutta la sua purezza, il contegno dell’animo in questa prova e poter sottoporre serenamente tale prova all’esame più rigoroso. Ma una prova che miri a produrre una convinzione può a sua volta essere di due specie: è una prova che deve stabilire o ciò che l’oggetto è i n s é oppure ciò che è p e r n o i (uomini in generale), secondo i principi razionali che ci sono 463 necessari per valutarlo (una prova kat∆ a[lhvqeian oppure kat∆ a[nqrwpon, prendendo quest’ultima parola nella sua accezione

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

Menschen überhaupt genommen), ausmachen soll. Im ersteren Falle ist er auf hinreichende Prinzipien für die bestimmende, im zweiten bloß für die reflektierende Urteilskraft gegründet. Im letztern Falle kann er, auf bloß theoretischen Prinzipien beru447 hend, niemals auf Überzeugung | wirken; legt er aber ein praktisches Vernunftprinzip zum Grunde (welches mithin allgemein und notwendig gilt), so darf er wohl auf eine, in reiner praktischer Absicht hinreichende, d. i. moralische, Überzeugung Anspruch machen. Ein Beweis aber w i r k t a u f Ü b e r z e u g u n g , ohne noch zu überzeugen, wenn er bloß6 auf dem Wege dahin geführt7 wird, d. i. nur objektive Gründe dazu in sich enthält, die, ob sie gleich noch nicht zur Gewißheit hinreichend, dennoch von der Art sind, daß sie nicht bloß als subjektive Gründe des Urteils8 zur Überredung dienen. Alle theoretische Beweisgründe reichen nun entweder zu: 1) zum Beweise durch logisch-strenge Ve r n u n f t s c h l ü s s e ; oder, wo dieses nicht ist, 2) zum S c h l u s s e nach der A n a l o g i e ; oder, findet auch dieses etwa nicht Statt, doch noch 3) zur w a h r s c h e i n l i c h e n M e i n u n g ; oder endlich, was das mindeste ist, 4) zur9 Annehmung eines bloß möglichen Erklärungsgrundes, als H y p o t h e s e . — Nun sage ich: daß alle Beweisgründe überhaupt, die auf theoretische Überzeugung wirken, kein Fürwahrhalten dieser Art, von dem höchsten bis zum niedrigsten Grade desselben, bewirken können, wenn der Satz von der Existenz10 eines Urwesens, als eines Gottes, in der dem ganzen Inhalte dieses Begriffs angemessenen Bedeutung, nämlich als eines m o r a l i s c h e n Welturhebers, mithin so, daß 448 durch ihn | zugleich der Endzweck der Schöpfung angegeben wird, bewiesen werden soll. 1) Was den l o g i s c h - g e r e c h t e n , vom Allgemeinen zum Besonderen fortgehenden, Beweis betrifft, so ist in der Kritik hinreichend dargetan worden: daß, da dem Begriffe von einem Wesen, welches über die Natur hinaus zu suchen ist, keine uns mögliche Anschauung korrespondiert, dessen Begriff also selbst, sofern er durch synthetische Prädikate theoretisch bestimmt werden soll, für uns jederzeit problematisch bleibt, schlechterdings kein Erkenntnis desselben (wodurch der Umfang unseres theoretischen Wissens im mindesten erweitert wür-

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 90

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universale di uomo in generale)128. Nel primo caso la prova è fondata su principi sufficienti per la forza determinante di giudizio, nel secondo soltanto per quella riflettente. In questo ultimo caso, nella misura in cui essa si basa su principi semplicemente teoretici, non può mai agire sulla convinzione; se 447 però pone a fondamento un principio pratico di ragione (che dunque vale universalmente e necessariamente), allora può ben avanzare la pretesa di una convinzione sufficiente in un puro intento pratico, cioè di una convinzione morale. Ma una prova a g i s c e s u l l a c o n v i n z i o n e senza convincere ancora quando essa è soltanto messa su questa via, cioè quando contiene in sé, al riguardo, solo fondamenti oggettivi che, benché non ancora sufficienti per la certezza, sono tuttavia di una specie tale da non servire per la persuasione semplicemente come fondamenti soggettivi del giudizio. Ora, tutti gli argomenti teoretici bastano o 1) alla prova mediante i n f e r e n z e logicamente rigorose d e l l a r a g i o n e ; oppure, quando non è questo il caso, 2) all’ i n f e r e n z a per a n a l o g i a ; oppure, se neanche questo avviene, comunque 3) all’ o p i n i o n e p r o b a b i l e ; o infine, ed è il minimo, 4) ad ammettere come i p o t e s i un principio di spiegazione semplicemente possibile. — Ora, io dico che tutti gli argomenti in generale che agiscono sulla convinzione teoretica non possono produrre come effetto alcun tener per vero di questa specie, dal suo grado più alto fino a quello più basso, quando deve essere provata la tesi riguardante l’esistenza di un essere originario, cioè di un Dio, nel significato adeguato all’intero contenuto di questo concetto, cioè come un autore m o r a l e del mondo, di conseguenza in modo tale che mediante lui sia addotto nel contempo il fine definitivo della 448 creazione. 1) Per quel che riguarda la prova l o g i c a m e n t e c o r r e t t a , che procede dall’universale al particolare, è stato sufficientemente comprovato nella Critica che, poiché al concetto di un essere da cercare oltre natura non corrisponde alcuna intuizione per noi possibile e quindi anche il suo concetto, in quanto deve essere determinato teoreticamente mediante predicati sintetici, resta per noi sempre problematico, di quest’essere non può aver luogo assolutamente alcuna sua conoscenza (con la quale l’ambito del nostro sapere teoretico non

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

de) Statt finde, und unter die allgemeinen Prinzipien der Natur der Dinge der besondere Begriff eines übersinnlichen Wesens 464 gar nicht subsumiert werden könne, um von jenen auf || dieses zu schließen; weil jene Prinzipien lediglich für die Natur, als Gegenstand der Sinne, gelten. 2) Man kann sich zwar von zwei ungleichartigen Dingen, eben in dem Punkte ihrer Ungleichartigkeit, eines derselben 449 doch nach einer A n a l o g i e * mit dem | andern d e n k e n ; aber * A n a l o g i e (in qualitativer Bedeutung) ist die Identität des Verhältnisses zwischen Gründen und Folgen (Ursachen und Wirkungen), sofern sie, ungeachtet der spezifischen Verschiedenheit der Dinge, oder derjenigen Eigenschaften an sich, welche den Grund von ähnlichen Folgen enthal449 ten (d. i. außer diesem Verhältnisse betrachtet), Statt findet11. | So denken wir uns zu den Kunsthandlungen der Tiere, in Vergleichung mit denen des Menschen, den Grund dieser Wirkungen in den ersteren, den wir nicht kennen, mit dem Grunde ähnlicher Wirkungen des Menschen (der Vernunft), den wir kennen, als Analogon12 der Vernunft; und wollen damit zugleich anzeigen: daß der Grund des tierischen Kunstvermögens, unter der Benennung eines Instinkts, von der Vernunft in der Tat spezifisch unterschieden, doch auf die Wirkung (der Bau der Biber mit dem der Menschen verglichen) ein ähnliches Verhältnis habe. — Deswegen aber kann ich daraus, weil der Mensch zu seinem Bauen Ve r n u n f t braucht, nicht schließen, daß der Biber auch dergleichen haben müsse, und es einen S c h l u ß nach der Analogie nennen. Aber aus der ähnlichen Wirkungsart der Tiere (wovon wir den Grund nicht unmittelbar wahrnehmen können), mit der des Menschen (dessen wir uns unmittelbar bewußt sind) verglichen, können wir ganz richtig n a c h d e r A n a l o g i e schließen, daß die Tiere auch nach Vo r s t e l l u n g e n handeln (nicht, wie Cartesius will, Maschinen sind), und, ungeachtet ihrer spezifischen Verschiedenheit, doch der Gattung nach (als lebende Wesen) mit dem Menschen einerlei sind. Das Prinzip der Befugnis, so zu schließen, liegt in der Einerleiheit des Grundes, die Tiere in Ansehung gedachter Bestimmung mit dem Menschen, als Menschen, so weit wir sie äußerlich nach ihren Handlungen mit einander vergleichen, zu einerlei Gattung zu zählen. Es ist par ratio. Eben so kann ich die Kausalität der obersten Weltursache, in der Vergleichung der zweckmäßigen Produkte derselben in der Welt mit den Kunstwerken des Menschen, nach der Analogie eines Verstandes denken, aber nicht auf 450 diese Eigenschaften in demselben nach der Analo|gie s c h l i e ß e n ; weil hier das Prinzip der Möglichkeit einer solchen Schlußart gerade mangelt, nämlich die paritas rationis, das höchste Wesen mit dem Menschen (in Ansehung ihrer beiderseitigen Kausalität) zu einer und derselben Gattung zu zählen. Die Kausalität der Weltwesen, die immer sinnlich-bedingt (dergleichen die durch Verstand) ist, kann13 nicht auf ein Wesen übertragen werden, welches mit jenen keinen Gattungsbegriff, als den eines Dinges überhaupt, gemein hat.

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 90

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verrebbe esteso per niente), e il concetto particolare di un essere soprasensibile non può affatto essere sussunto sotto i principi universali della natura delle cose per inferire, a partire da questi principi, un tale essere, poiché quei principi val- 464 gono esclusivamente per la natura come oggetto dei sensi. 2) Di due cose eterogenee si può certo p e n s a r e , proprio nel punto della loro eterogeneità, una di esse per a n a l o g i a * con l’altra; ma a partire da ciò in cui esse sono etero- 449 * L’ a n a l o g i a (in senso qualitativo) è l’identità del rapporto tra principi e conseguenze (cause ed effetti), nella misura in cui essa ha luogo a prescindere dalla differenza specifica delle cose o di quelle proprietà in sé (cioè considerate al di fuori di questo rapporto) che contengono il principio di conseguenze simili. Così, per le azioni fatte ad arte 449 degli animali confrontate con quelle dell’uomo, noi pensiamo il principio, che non conosciamo, di questi effetti negli animali con il principio che conosciamo, di effetti simili dell’uomo (della ragione)129, cioè lo pensiamo come analogo della ragione; e al tempo stesso vogliamo indicare con ciò che il principio della facoltà animale dell’arte, sotto il nome di istinto, è di fatto specificamente differente dalla ragione, eppure possiede un rapporto simile con l’effetto (la costruzione del castoro confrontata con quella dell’uomo). — Tuttavia non posso inferire, per il fatto che l’uomo ha bisogno nel suo costruire della r a g i o n e , che anche il castoro debba possederne una e chiamare questa un’ i n f e r e n z a per analogia. Ma dal modo simile di produrre effetti da parte degli animali (del quale non possiamo percepire immediatamente il principio) confrontandolo con quello dell’uomo (di cui siamo immediatamente consci) possiamo del tutto giustamente inferire p e r a n a l o g i a che anche gli animali agiscono secondo r a p p r e s e n t a z i o n i (e che non sono macchine, come vuole Cartesio130) e che, a prescindere dalla loro differenza specifica, essi sono però, quanto al genere (come esseri viventi) identici all’uomo. Il principio che autorizza a inferire in tal modo sta nell’identità del fondamento per cui, riguardo alla suddetta determinazione, annoveriamo gli animali e l’uomo, in quanto uomo, in un unico genere, nella misura in cui li confrontiamo esteriormente gli uni con gli altri secondo le loro azioni. È par ratio. Allo stesso modo posso pensare, per analogia con un intelletto, la causalità della causa suprema del mondo confrontando i suoi prodotti conformi al fine con le opere dell’arte dell’uomo, ma non posso i n f e r i r e per analogia queste proprietà in esso, perché qui manca 450 proprio il principio della possibilità di una tale specie di inferenza, cioè la paritas rationis, che permetterebbe di annoverare in un unico e medesimo genere l’essere sommo unitamente all’uomo (riguardo alla loro rispettiva causalità). La causalità degli esseri del mondo, che è sempre condizionata in modo sensibile (come è il caso di quella mediante l’intelletto), non può essere trasferita a un essere che non ha in comune con loro alcun altro concetto di genere che quello di una cosa in generale.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

aus dem, worin sie ungleichartig sind, nicht von einem nach der | s c h l i e ß e n , d. i. dieses Merkmal des spezifischen Unterschiedes auf das andere übertragen. So kann ich mir, nach der Analogie mit dem Gesetze der Gleichheit der Wirkung und Gegenwirkung, in der wechselseitigen Anziehung 465 und Abstoßung der || Körper unter einander, auch die Gemeinschaft der Glieder eines gemeinen Wesens nach Regeln des Rechts denken; aber jene spezifischen Bestimmungen (die materielle Anziehung oder Abstoßung) nicht auf diese übertragen, und sie den Bürgern beilegen, um ein System, welches Staat heißt, auszumachen. — Eben so dürfen wir wohl die Kausalität des Urwesens in Ansehung der Dinge der Welt, als Naturzwecke, nach der Analogie eines Verstandes, als Grundes der Formen gewisser Produkte, die wir Kunstwerke nennen, denken (denn dieses geschieht nur zum Behuf des theoretischen oder praktischen Gebrauchs unseres Erkenntnisvermögens, den wir von diesem Begriffe in Ansehung der Naturdinge in der Welt, nach einem 451 gewissen Prinzip, zu machen haben); aber wir | können daraus, daß unter Weltwesen der Ursache einer Wirkung, die als künstlich beurteilt wird, Verstand beigelegt werden muß, keinesweges nach einer Analogie schließen, daß auch dem Wesen, welches von14 der Natur gänzlich unterschieden ist, in Ansehung der Natur selbst eben dieselbe Kausalität, die wir am Menschen wahrnehmen, zukomme: weil dieses eben den Punkt der Ungleichartigkeit betrifft, der zwischen einer in Ansehung ihrer Wirkungen sinnlich-bedingten Ursache und dem übersinnlichen Urwesen selbst im Begriffe desselben gedacht wird, und also auf diesen nicht übergetragen werden kann. — Eben darin, daß ich mir die göttliche Kausalität nur nach der Analogie mit einem Verstande (welches Vermögen wir an keinem anderen Wesen als dem sinnlich-bedingten Menschen kennen) denken soll, liegt das Verbot, ihm diesen nicht in15 der eigentlichen Bedeutung beizulegen*. 3) M e i n e n findet in Urteilen a priori gar nicht Statt; sondern man erkennt durch sie entweder etwas als ganz gewiß, oder gar nichts. Wenn aber auch die gegebenen Beweisgründe, von denen wir ausgehen (wie hier von den Zwecken in der 450 Analogie auf das andere

* Man vermißt dadurch nicht das mindeste in der Vorstellung der Verhältnisse dieses Wesens zur Welt, so wohl was die theoretischen als praktischen Folgerungen aus diesem Begriffe betrifft. Was es an sich selbst sei, erforschen zu wollen, ist ein eben so zweckloser als vergeblicher Vorwitz.

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genee non si può i n f e r i r e dall’una cosa l’altra per analogia, 450 cioè trasferire all’altra questa nota della differenza specifica. Così, per analogia con la legge dell’uguaglianza dell’azione e della reazione nell’attrazione e repulsione reciproche dei cor- 465 pi tra loro, posso pensare anche la comunanza dei membri di una comunità secondo regole del diritto; ma non posso trasferire quelle determinazione specifiche (l’attrazione o la repulsione materiali) a questa comunità e attribuirle ai cittadini per costituire un sistema che si chiama Stato. — Allo stesso modo possiamo certo pensare la causalità dell’essere originario riguardo alle cose del mondo in quanto fini naturali per analogia con un intelletto come fondamento delle forme di certi prodotti che chiamiamo opere dell’arte (infatti ciò avviene soltanto in funzione dell’uso teoretico o pratico della nostra facoltà di conoscere, uso che noi dobbiamo fare di questo concetto, secondo un certo principio, riguardo alle cose naturali nel mondo); ma dal fatto che, fra gli esseri del mon- 451 do, debba essere attribuito intelletto alla causa di un effetto che è valutato come prodotto ad arte non possiamo affatto inferire per analogia che la stessa causalità che percepiamo nell’uomo convenga anche, riguardo alla natura stessa, all’essere che è totalmente distinto dalla natura, perché ciò concerne proprio il punto dell’eterogeneità che viene pensato tra una causa condizionata sensibilmente riguardo ai suoi effetti e l’essere originario soprasensibile nel suo concetto, e dunque non può venire trasferito a tale essere. — Proprio nel fatto che devo pensare la causalità divina soltanto per analogia con un intelletto (facoltà che non conosciamo in alcun altro essere se non nell’uomo condizionato sensibilmente) sta il divieto di attribuirgli questo intelletto in senso proprio*. 3) O p i n a r e non ha affatto luogo nei giudizi a priori; al contrario mediante tali giudizi si conosce o qualcosa come del tutto certo o niente del tutto. Ma se anche gli argomenti dati, da cui partiamo (come qui dai fini nel mondo), sono em* Con ciò non si perde la benché minima cosa nella rappresentazione dei rapporti di questo essere con il mondo, per quanto riguarda sia le conseguenze teoretiche sia le conseguenze pratiche che derivano da questo concetto. Voler indagare che cosa quell’essere sia in sé è un’insolenza tanto priva di un fine quanto vana.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

| so kann man mit diesen doch über die Sinnenwelt hinaus nichts meinen, und solchen gewagten Urteilen den mindesten Anspruch auf Wahrscheinlichkeit zugestehen. Denn Wahrscheinlichkeit ist ein Teil einer in einer gewissen Reihe der Gründe möglichen Gewißheit (die Gründe derselben werden darin mit dem Zureichenden, als Teile mit einem 466 Ganzen, verglichen), zu welchen jener unzureichende || Grund muß ergänzt werden können. Weil sie aber als Bestimmungsgründe der Gewißheit eines und desselben Urteils gleichartig sein müssen, indem sie sonst nicht zusammen eine Größe (dergleichen die Gewißheit ist) ausmachen würden: so kann nicht ein Teil derselben innerhalb den Grenzen möglicher Erfahrung, ein anderer außerhalb aller möglichen Erfahrung liegen. Mithin, da bloß-empirische Beweisgründe auf nichts Übersinnliches führen, der Mangel in der Reihe derselben auch durch nichts ergänzt werden kann: so findet in dem Versuche, durch sie zum Übersinnlichen und einer Erkenntnis desselben zu gelangen, nicht die mindeste Annäherung, folglich in einem Urteile über das letztere, durch von der Erfahrung hergenommene Argumente, auch keine Wahrscheinlichkeit Statt. 4) Was als H y p o t h e s e zu Erklärung der Möglichkeit einer gegebenen Erscheinung dienen soll, davon muß wenigstens die Möglichkeit völlig gewiß sein. Es ist genug, daß ich bei einer Hypothese auf die Erkenntnis der Wirklichkeit (die in einer für 453 wahrscheinlich aus|gegebenen Meinung noch behauptet wird) Verzicht tue: mehr kann ich nicht Preis geben; die Möglichkeit dessen, was ich einer Erklärung zum Grunde lege, muß wenigstens keinem Zweifel ausgesetzt sein, weil sonst der leeren Hirngespinste kein Ende sein würde. Die Möglichkeit aber eines nach gewissen Begriffen bestimmten übersinnlichen Wesens anzunehmen, da hiezu keine von den erforderlichen Bedingungen einer Erkenntnis, nach dem was in ihr auf Anschauung beruht, gegeben ist, und also der bloße Satz des Widerspruchs (der nichts als die Möglichkeit des Denkens und nicht des gedachten Gegenstandes selbst beweisen kann) als Kriterium dieser Möglichkeit übrig bleibt, würde eine völlig grundlose Voraussetzung sein. Das Resultat hievon ist: daß für das Dasein des Urwesens, als einer Gottheit, oder der Seele, als eines unsterblichen Geistes, schlechterdings kein Beweis in theoretischer Absicht, um auch nur den mindesten Grad des Fürwahrhaltens zu wirken, 452 Welt), empirisch sind,

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pirici, con essi non si può opinare nulla che vada oltre il mon- 452 do sensibile né accordare a tali giudizi avventati la minima pretesa alla probabilità. Infatti la probabilità è una parte di una certezza possibile in una certa serie di principi (i principi di questa serie si trovano confrontati con la ragione sufficiente come parti con un tutto), rispetto ai quali quella ragione insufficiente deve poter essere completata. Tuttavia, poiché 466 tali principi in quanto principi di determinazione della certezza di un solo e medesimo giudizio devono essere omogenei, dato che altrimenti essi non costituirebbero insieme una grandezza (come lo è la certezza), una parte di essi non può stare all’interno dei limiti di un’esperienza possibile e un’altra parte al di fuori di ogni esperienza possibile. Di conseguenza, siccome argomenti semplicemente empirici non conducono ad alcunché di soprasensibile e la lacuna che formano nella serie non può essere completata da nulla, allora, nel tentativo di giungere grazie a essi al soprasensibile e a una sua conoscenza, non si trova la minima approssimazione e quindi non c’è posto per alcuna probabilità in un giudizio sul soprasensibile effettuato mediante argomenti tratti dall’esperienza. 4) Di ciò che deve servire come i p o t e s i per spiegare la possibilità di un fenomeno dato deve essere almeno del tutto certa la possibilità. Basta che in un’ipotesi io rinunci alla conoscenza della realtà (la quale è ancora affermata in un’opi- 453 nione data per probabile): di più non posso sacrificare; la possibilità di ciò che pongo a fondamento di una spiegazione deve almeno non essere esposta ad alcun dubbio, perché altrimenti le vuote fantasticherie non avrebbero mai fine. Ma sarebbe una presupposizione del tutto priva di fondamento ammettere la possibilità di un essere soprasensibile determinato secondo concetti certi, poiché a tale scopo non è data alcuna delle condizioni richieste di una conoscenza rispetto a quanto in essa si basa sull’intuizione, e quindi, come criterio di questa possibilità, resta il semplice principio di contraddizione (che non può provare nient’altro che la possibilità del pensiero e non quella dell’oggetto stesso che viene pensato). Ne risulta che per l’esistenza dell’essere originario in quanto divinità, o dell’anima in quanto spirito immortale, non è assolutamente possibile per la ragione umana alcuna prova con un intento teoretico al fine di produrre il seppur

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

für die menschliche Vernunft möglich sei; und dieses aus dem ganz begreiflichen Grunde: weil zur Bestimmung der Ideen des Übersinnlichen für uns gar kein Stoff da ist, indem wir diesen letzteren von Dingen in der Sinnenwelt hernehmen müßten, ein solcher aber jenem Objekte schlechterdings nicht angemessen ist, aber, ohne16 alle Bestimmung derselben, nichts mehr, als der Begriff von einem nichtsinnlichen Etwas übrig bleibt, welches 454 den letzten Grund | der Sinnenwelt enthalte, der noch kein Erkenntnis (als Erweiterung des Begriffs) von seiner inneren Beschaffenheit ausmacht. || 467

§ 91 Von der Art des Fürwahrhaltens durch einen praktischen Glauben

Wenn wir bloß auf die Art sehen, wie etwas f ü r u n s (nach der subjektiven Beschaffenheit unserer Vorstellungskräfte) Objekt der Erkenntnis (res cognoscibilis) sein kann: so werden alsdann die Begriffe nicht mit den Objekten, sondern bloß mit unsern1 Erkenntnisvermögen und dem Gebrauche, den diese von der gegebenen Vorstellung (in theoretischer oder praktischer Absicht) machen können, zusammengehalten; und die Frage, ob etwas ein erkennbares Wesen sei oder nicht ist keine Frage, die die Möglichkeit der Dinge selbst, sondern unserer Erkenntnis derselben angeht. E r k e n n b a r e Dinge sind nun von dreifacher Art: S a c h e n d e r M e i n u n g (opinabile), Ta t s a c h e n (scibile), und G l a u b e n s s a c h e n (mere credibile). 1) Gegenstände der bloßen Vernunftideen, die für das theoretische Erkenntnis gar nicht in irgend einer möglichen Erfahrung dargestellt werden können, sind sofern auch gar nicht e r k e n n b a r e Dinge, mithin kann man in Ansehung ihrer 455 nicht einmal m e i n e n ; wie | denn a priori zu meinen schon an sich ungereimt und der gerade Weg zu lauter Hirngespenstern2 ist. Entweder unser Satz a priori ist also gewiß, oder er enthält gar nichts zum Fürwahrhalten. Also sind M e i n u n g s s a c h e n jederzeit Objekte einer wenigstens an sich möglichen Erfahrungserkenntnis (Gegenstände der Sinnenwelt), die aber, nach dem bloßen Grade dieses Vermögens, den wir besitzen, f ü r

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 91

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minimo grado del tener per vero; e questo per un motivo ben comprensibile: perché per la determinazione delle idee del soprasensibile non c’è per noi proprio alcuna materia, nella misura in cui dovremmo trarla da cose appartenenti al mondo sensibile, e una tale materia non sarebbe assolutamente adeguata a quell’oggetto ma, senza alcuna determinazione delle idee, non resta altro che il concetto di un qualcosa di non sensibile che contenga il fondamento ultimo del mondo 454 sensibile, un concetto che non costituisce ancora alcuna conoscenza (come estensione del concetto) della costituzione interna di quel qualcosa.

§ 91 DEL MODO DEL TENER PER VERO MEDIANTE UNA FEDE PRATICA

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Se consideriamo semplicemente la maniera in cui qualcosa può essere p e r n o i (secondo la costituzione soggettiva delle nostre forze rappresentative) oggetto della conoscenza (res cognoscibilis), i concetti vengono allora messi a confronto non con gli oggetti, ma soltanto con le nostre facoltà conoscitive e con l’uso che queste possono fare (in un intento teoretico o pratico) della rappresentazione data; e la questione di sapere se qualcosa è o non è un essere conoscibile non è una questione che riguarda la possibilità delle cose stesse, bensì la nostra conoscenza delle cose. Ora, le cose c o n o s c i b i l i sono di tre specie: c o s e d e l l ’ o p i n i o n e (opinabile), c o s e d i f a t t o (scibile) e c o s e d i f e d e (mere credibile). 1) Oggetti delle semplici idee della ragione, che non possono affatto essere esibiti per la conoscenza teoretica in una qualche esperienza possibile, sono per questo nemmeno cose c o n o s c i b i l i , e quindi riguardo ad essi non si può neppure o p i n a r e ; del resto, opinare a priori è assurdo già in sé ed è 455 la via che conduce direttamente a pure fantasticherie. O la nostra proposizione a priori è dunque certa oppure essa non contiene niente per il tener per vero. Le c o s e d ’ o p i n i o n e sono allora sempre oggetti di una conoscenza d’esperienza almeno possibile in sé (oggetti del mondo sensibile), ma che è impossibile p e r n o i semplicemente per via del grado che di

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

u n s unmöglich ist. So ist der Äther der neuern Physiker, eine elastische alle andere Materien durchdringende (mit ihnen innigst vermischte) Flüssigkeit, eine bloße Meinungssache, immer doch noch von der Art, daß, wenn die äußern Sinne im höchsten Grade geschärft wären, er wahrgenommen werden könnte; der aber nie in irgend einer Beobachtung, oder Experimente, dargestellt werden kann. Vernünftige Bewohner anderer Planeten anzunehmen, ist eine Sache der Meinung; denn, wenn wir diesen näher kommen könnten, welches an sich möglich ist, würden wir, ob sie sind, oder nicht sind, durch Erfahrung ausmachen; aber wir werden ihnen niemals so nahe kommen, und so bleibt es beim Meinen. Allein meinen: daß es reine, ohne Körper denkende, Geister im materiellen Univers gebe (wenn man nämlich gewisse dafür ausgegebene wirkliche3 Erscheinungen, wie billig, von der Hand weiset), heißt dichten, und ist 468 gar || keine Sache der Meinung, sondern eine bloße Idee, welche übrig bleibt, wenn man von einem denkenden Wesen alles Ma456 terielle wegnimmt, und ihm doch | das Denken übrig läßt. Ob aber alsdann das letztere (welches wir nur am Menschen, d. i. in Verbindung mit einem Körper, kennen) übrig bleibe, können wir nicht ausmachen. Ein solches Ding ist ein v e r n ü n f t e l t e s We s e n (ens rationis ratiocinantis), kein Ve r n u n f t w e s e n (ens rationis ratiocinatae); von welchem letzteren es doch möglich ist, die objektive Realität seines Begriffs, wenigstens für den praktischen Gebrauch der Vernunft, hinreichend darzutun, weil dieser, der seine eigentümlichen und apodiktisch gewissen Prinzipien a priori hat, ihn sogar erheischt (postuliert). 2) Gegenstände für Begriffe, deren objektive Realität (es sei durch reine Vernunft, oder durch Erfahrung, und, im ersteren Falle, aus theoretischen oder praktischen Datis derselben, in allen Fällen aber vermittelst einer ihnen korrespondierenden Anschauung) bewiesen werden kann, sind (res facti) Tatsachen*. Dergleichen4 sind die mathematischen Eigenschaften der Größen (in der Geometrie), weil sie einer D a r s t e l l u n g a priori * Ich erweitere hier, wie mich dünkt mit Recht, den Begriff einer Tatsache über die gewöhnliche Bedeutung dieses Worts. Denn es ist nicht nötig, ja nicht einmal tunlich, diesen Ausdruck bloß auf die wirkliche Erfahrung einzuschränken, wenn von dem Verhältnisse der Dinge zu unseren Erkenntnisvermögen die Rede ist, da eine bloß mögliche Erfahrung schon hinreichend ist, um von ihnen, bloß als Gegenständen einer bestimmten Erkenntnisart, zu reden.

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questa facoltà possediamo. Così l’etere dei nuovi fisici131, un fluido elastico che penetra tutte le altre materie (intimamente mescolato a esse), è una semplice cosa d’opinione, però pur sempre di specie tale che potrebbe essere percepito se i sensi esterni fossero acuiti in sommo grado, ma non potrebbe mai essere esibito in una qualunque osservazione o esperimento. Ammettere abitanti razionali di altri pianeti132 è una cosa dell’opinione; infatti, se potessimo avvicinarci a questi, cosa che è in sé impossibile, stabiliremmo con l’esperienza se essi esistono o no; ma noi non arriveremo mai tanto vicini a essi e quindi si resta all’opinare. Ma opinare che nell’universo materiale ci siano puri spiriti che pensano senza corpo (respingendo cioè, come si deve fare, certi fenomeni reali fatti passare per tali spiriti) significa fantasticare e non è affatto cosa 468 dell’opinione, bensì una semplice idea di ciò che resta una volta tolto da un essere pensante tutto quanto è materiale e lasciatogli però il pensiero. Noi non possiamo però stabilire 456 se questo pensare (che conosciamo soltanto nell’uomo, cioè legato a un corpo) continui a restare. Una tale cosa è un e s s e r e r a z i o c i n a n t e (ens rationis ratiocinantis), non un e s s e r e d i r a g i o n e (ens rationis ratiocinatae); di quest’ultimo è anche possibile comprovare sufficientemente la realtà oggettiva del suo concetto, almeno per l’uso pratico della ragione, perché quest’uso, che possiede a priori i suoi principi peculiari e apoditticamente certi, addirittura esige (postula) tale concetto. 2) Oggetti per concetti la cui realtà oggettiva può essere provata (che ciò avvenga mediante la ragione pura o mediante l’esperienza, e nel primo caso a partire da dati teoretici o pratici della ragione, ma in ogni caso per mezzo di una intuizione che corrisponda a tali dati) sono c o s e d i f a t t o (res facti)*. Di questo tipo sono le proprietà matematiche delle grandezze (nella geometria), perché esse sono suscettibili di * Qui amplio, mi sembra a buon diritto, il concetto di una cosa di fatto al di là del significato usuale di questo termine. Infatti non è necessario, anzi non è nemmeno opportuno, limitare questa espressione semplicemente all’esperienza reale quando si tratta del rapporto delle cose nei confronti delle nostre facoltà conoscitive, dato che un’esperienza semplicemente possibile è già sufficiente per parlare di queste cose solamente come oggetti di una specie determinata di conoscenza.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

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457 für den theoretischenVernunftgebrauch fähig sind. Fer ner sind

Dinge, oder Beschaffenheiten derselben, die durch Erfahrung (eigene oder fremde Erfahrung, vermittelst der Zeugnisse) dargetan werden können, gleichfalls Tatsachen. — Was aber sehr merkwürdig ist, so findet sich sogar eine Vernunftidee (die an sich keiner5 Darstellung in der Anschauung, mithin auch keines theoretischen Beweises ihrer Möglichkeit, fähig ist) unter den Tatsachen; und das ist die Idee der F r e i h e i t , deren Realität, als einer besondern Art von Kausalität (von welcher der Begriff in theoretischem Betracht überschwenglich sein würde), sich durch praktische Gesetze der reinen Vernunft, und, diesen gemäß, in wirklichen Handlungen, mithin in der Erfahrung, dartun läßt. — Die einzige unter allen Ideen der reinen Vernunft, deren Gegenstand Tatsache ist, und unter die scibilia mit gerechnet werden muß. || 469 3) Gegenstände, die in Beziehung auf den pflichtmäßigen Gebrauch der reinen praktischen Vernunft (es sei als Folgen, oder als Gründe) a priori gedacht werden müssen, aber für den theoretischen Gebrauch derselben überschwenglich sind, sind bloße G l a u b e n s s a c h e n . Dergleichen ist das h ö c h s t e durch Freiheit zu bewirkende G u t in der Welt; dessen Begriff in keiner für uns möglichen Erfahrung, mithin für den theoretischen Vernunftgebrauch hinreichend, seiner objektiven Realität nach bewiesen werden kann, dessen Gebrauch6 aber zur best458 möglichen Bewirkung jenes Zwecks7 doch durch prakti|sche reine Vernunft geboten ist, und mithin als möglich angenommen werden muß. Diese gebotene Wirkung, z u s a m t d e n einzigen für uns denkbaren Bedingungen ihrer M ö g l i c h k e i t , nämlich dem Dasein Gottes und der SeelenUnsterblichkeit, sind G l a u b e n s s a c h e n 8 (res fidei), und zwar die einzigen unter allen Gegenständen, die so genannt werden können*. Denn, ob von uns gleich, was wir nur von der Erfahrung anderer durch Z e u g n i s lernen können, geglaubt * Glaubenssachen sind aber darum nicht G l a u b e n s a r t i k e l , wenn man unter den letzteren solche Glaubenssachen versteht, zu deren B e k e n n t n i s (innerem9 oder äußerem10) man verpflichtet werden kann: dergleichen also die natürliche Theologie nicht enthält. Denn da sie, als Glaubenssachen sich (gleich11 den Tatsachen) auf theoretische Beweise nicht gründen können: so ist es ein freies Fürwahrhalten, und auch nur als ein solches mit der Moralität des Subjekts vereinbar.

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una e s i b i z i o n e a priori per l’uso teoretico della ragione. Inoltre, le cose o le loro proprietà costitutive, che possono 457 essere comprovate mediante l’esperienza (la propria o altrui, mediante testimonianze), sono ugualmente cose di fatto. — Ma ciò che è assai degno di nota è che si trova tra le cose di fatto perfino un’idea della ragione (che in sé non è suscettibile di alcuna esibizione nell’intuizione, di conseguenza nemmeno di una prova teoretica della sua possibilità); e questa è l’idea della l i b e r t à , la cui realtà, in quanto specie particolare della causalità (il cui concetto sarebbe trascendente in una considerazione teoretica), può essere comprovata mediante leggi pratiche della ragione pura e, conformemente a queste, in azioni reali, quindi nell’esperienza. — È la sola tra tutte le idee della ragione pura il cui oggetto sia una cosa di fatto e che debba essere annoverato tra gli scibilia. 3) Oggetti che in riferimento all’uso conforme al dovere 469 della ragione pura pratica (sia come conseguenze sia come fondamenti) devono essere pensati a priori, ma sono trascendenti per l’uso teoretico di questa ragione, sono semplici c o s e d i f e d e . Di questo tipo è il s o m m o b e n e nel mondo da realizzare mediante la libertà, il cui concetto non può essere provato quanto alla sua realtà oggettiva in alcuna esperienza per noi possibile, di conseguenza in un modo che sia sufficiente per l’uso teoretico della ragione; ma il cui uso, in vista della migliore realizzazione possibile di quel fine, è tuttavia comandato dalla ragione pura pratica e deve di conseguenza 458 venire ammesso come possibile. Questo effetto comandato, insieme alle uniche condizioni,per noi pensab i l i d e l l a s u a p o s s i b i l i t à , cioè l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima, sono c o s e d i f e d e (res fidei), e precisamente le sole tra tutti gli oggetti che possono essere chiamate così*. Infatti, benché debba essere creduto da noi anche ciò che possiamo imparare, per t e s t i m o n i a n z a , * Cose di fede non sono però per questo un a r t i c o l o d i f e d e , se con questo si intende quelle cose di fede per le quali si può essere obbligati alla loro c o n f e s s i o n e (interna o esterna), cose dunque che la teologia naturale non contiene. Infatti, poiché esse, in quanto cose di fede, non possono (come le cose di fatto) fondarsi su prove teoretiche, si tratta di un libero tener per vero che anzi solo in quanto tale è conciliabile con la moralità del soggetto.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

werden muß, so ist es darum doch noch nicht an sich Glaubenssache; denn bei jener Zeugen e i n e m war es doch eigene Erfahrung und Tatsache, oder wird als solche vorausgesetzt. Zudem muß es möglich sein, durch diesen Weg (des historischen Glaubens) zum Wissen zu gelangen; und die Objekte der Geschichte und Geographie12, wie alles überhaupt, was zu wissen nach der Beschaffenheit unserer Erkenntnisvermögen wenigstens möglich ist, gehören nicht zu Glaubenssachen, sondern 459 zu Tatsachen. Nur Gegenstände der reinen Vernunft kön|nen allenfalls Glaubenssachen sein, aber nicht als Gegenstände der bloßen reinen spekulativen Vernunft; denn da können sie gar nicht einmal mit Sicherheit zu den Sachen, d. i. Objekten jenes für uns möglichen Erkenntnisses, gezählt werden. Es sind Ideen, d. i. Begriffe, denen man die objektive Realität theoretisch nicht sichern kann. Dagegen ist der von uns zu bewirkende höchste Endzweck, das wodurch wir allein würdig werden können, selbst Endzweck einer Schöpfung zu sein, eine Idee, die für uns in praktischer Beziehung objektive Realität hat, und 470 Sache; aber darum, weil wir diesem Begriffe in || theoretischer Absicht diese Realität nicht verschaffen können, bloße Glaubenssache der reinen Vernunft, mit ihm aber zugleich Gott und Unsterblichkeit, als die Bedingungen, unter denen allein wir, nach der Beschaffenheit unserer (der menschlichen) Vernunft, uns die Möglichkeit jenes Effekts des gesetzmäßigen Gebrauchs unserer Freiheit denken können. Das Fürwahrhalten aber in Glaubenssachen ist ein Fürwahrhalten in reiner praktischer Absicht, d. i. ein moralischer Glaube, der nichts für das theoretische, sondern bloß für das praktische, auf Befolgung seiner Pflichten gerichtete, reine Vernunfterkenntnis, beweiset, und die Spekulation, oder die praktischen Klugheitsregeln nach dem Prinzip der Selbstliebe13, gar nicht erweitert. Wenn das oberste Prinzip aller Sittengesetze ein Postulat ist, so wird zugleich die 460 Möglichkeit ihres höchsten Objekts, mithin | auch die Bedingung, unter der wir diese Möglichkeit denken können, dadurch zugleich mit14 postuliert. Dadurch wird nun das Erkenntnis der letzteren weder Wissen noch Meinung von dem Dasein und der Beschaffenheit dieser Bedingungen, als theoretische Erkenntnisart, sondern bloß Annahme, in praktischer und dazu gebotener Beziehung für den moralischen Gebrauch unserer Vernunft.

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soltanto dall’esperienza altrui, non per questo tuttavia è già di per sé cosa di fede; in u n o di quei testimoni, infatti, è stata una sua propria esperienza e una cosa di fatto o è stata presupposta come tale. Inoltre deve essere possibile pervenire al sapere per questa via (della fede storica); e gli oggetti della storia e della geografia, come in generale tutto ciò che è almeno possibile sapere secondo la costituzione delle nostre facoltà conoscitive, non appartengono alle cose di fede, bensì alle cose di fatto. Solo gli oggetti della ragione pura possono esse- 459 re semmai cose di fede, ma non in quanto oggetti della semplice ragione pura speculativa; infatti, qui, non possono nemmeno essere annoverati con sicurezza tra le cose, cioè tra gli oggetti di quella conoscenza per noi possibile. Sono idee, cioè concetti, ai quali non si può assicurare teoreticamente la realtà oggettiva. Al contrario, il sommo fine definitivo, che noi dobbiamo realizzare e per mezzo del quale soltanto possiamo diventare degni di essere noi stessi fine definitivo di una creazione, è un’idea che per noi ha realtà oggettiva in un riferimento pratico; ed è una cosa, ma per il fatto che a tale concetto non possiamo procurare questa realtà in un intento teoreti- 470 co è una semplice cosa di fede della ragione pura, e però insieme a questo concetto lo sono ad un tempo Dio e l’immortalità in quanto condizioni sotto le quali solamente noi possiamo, secondo la costituzione della nostra ragione (quella umana), pensare la possibilità di quell’effetto dell’uso conforme alla legge della nostra libertà. Ma il tener per vero nelle cose di fede è un tener per vero in un puro intento pratico, cioè una fede morale, che non prova niente per la conoscenza razionale pura teoretica, ma soltanto per la conoscenza pratica, rivolta all’osservanza dei suoi doveri, e non estende affatto la speculazione né le regole pratiche della prudenza secondo il principio dell’amore di sé. Se il principio supremo di tutte le leggi morali è un postulato, allora viene anche postulata al contempo la possibilità del loro oggetto sommo, e di conseguenza anche la 460 condizione sotto la quale possiamo pensare questa possibilità. Ora, la conoscenza di quest’ultima non diventa, dunque, né sapere né opinione dell’esistenza e della costituzione di queste condizioni, in quanto specie di conoscenza teoretica, ma soltanto un’assunzione effettuata in un riferimento pratico che è comandato a tale riguardo per l’uso morale della nostra ragione.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

Würden wir auch auf die Zwecke der Natur, die uns die physische Teleologie in so reichem Maße vorlegt, einen b e s t i m m t e n Begriff von einer verständigen Weltursache scheinbar gründen können, so wäre das Dasein dieses Wesens doch nicht Glaubenssache. Denn da dieses nicht zum Behuf der Erfüllung meiner Pflicht, sondern nur zur Erklärung der Natur angenommen wird, so würde es bloß die unserer Vernunft angemessenste Meinung und Hypothese sein. Nun führt jene Teleologie keinesweges auf einen bestimmten Begriff von Gott, der hingegen allein in dem von einem moralischen Welturheber angetroffen wird, weil dieser allein den Endzweck angibt, zu welchem wir uns nur sofern zählen können, als wir dem, was uns das moralische Gesetz als Endzweck auferlegt, mithin uns verpflichtet, uns gemäß verhalten. Folglich bekommt der Begriff von Gott nur durch die Beziehung auf das Objekt unserer Pflicht als Bedingung der Möglichkeit, den Endzweck derselben zu erreichen, den Vorzug, in unserm Fürwahrhalten als | 461 Glaubenssache zu gelten; dagegen eben derselbe Begriff doch sein Objekt nicht als Tatsache geltend machen kann: weil, obzwar die Notwendigkeit der Pflicht für die praktische Vernunft wohl klar ist, doch die Erreichung des Endzwecks derselben, sofern er nicht ganz in unserer Gewalt ist, nur zum Behuf des 471 praktischen Gebrauchs der || Vernunft angenommen, also nicht so, wie die Pflicht selbst, praktisch notwendig ist*. |

* Der Endzweck, den das moralische Gesetz zu befördern auferlegt, ist nicht der Grund der Pflicht; denn dieser liegt im moralischen Gesetze, welches, als formales praktisches Prinzip, kategorisch leitet, unangesehen der Objekte des Begehrungsvermögens (der Materie des Wollens), mithin irgend eines Zwecks. Diese formale Beschaffenheit meiner Handlungen (Unterordnung derselben unter das Prinzip der Allgemeingültigkeit), worin allein ihr innerer moralischer Wert besteht, ist gänzlich in unserer Gewalt; und ich kann von der Möglichkeit, oder Unausführbarkeit, der Zwecke, die mir jenem Gesetze gemäß zu befördern obliegen15, gar wohl abstrahieren (weil in ihnen nur der äußere Wert meiner Handlungen besteht), als etwas16, welches nie17 völlig in meiner Gewalt ist, um nur auf das zu18 sehen, was meines Tuns ist. Allein die Absicht, den Endzweck aller vernünftigen Wesen (Glückseligkeit, so weit sie einstimmig mit der Pflicht19 möglich ist) zu befördern, ist doch, eben durch das Gesetz der Pflicht, auferlegt. Aber die spekulative Vernunft sieht die Ausführbarkeit derselben (weder von

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Anche se potessimo in apparenza fondare un concetto d e t e r m i n a t o di una causa intelligente del mondo sui fini della natura che la teleologia fisica ci propone in così ricca misura, l’esistenza di questo essere non sarebbe tuttavia una cosa di fede. Infatti, poiché questo essere non è ammesso per servire all’adempimento del mio dovere, ma soltanto alla spiegazione della natura, sarebbero soltanto l’opinione e l’ipotesi più adeguate alla nostra ragione. Ora, quella teleologia non conduce affatto a un concetto determinato di Dio, che invece si incontra soltanto in quello di un autore morale del mondo perché solamente questo fornisce il fine definitivo nel quale possiamo includere noi stessi solo nella misura in cui ci comportiamo conformemente a ciò che la legge morale ci impone come fine definitivo e a cui dunque ci obbliga. Di conseguenza, è solo per il riferimento all’oggetto del nostro dovere, in quanto condizione della possibilità di raggiungere il fine definitivo del dovere stesso, che il concetto di Dio ottiene il privilegio di valere, nel nostro tener per vero, come cosa di fede; al contrario proprio il medesimo concetto di 461 Dio non può far valere il suo oggetto come cosa di fatto perché, sebbene la necessità del dovere sia ben chiara per la ragione pratica, tuttavia il conseguimento del suo fine definitivo, nella misura in cui esso non è del tutto in nostro potere, viene ammesso soltanto in funzione dell’uso pratico della ra- 471 gione e quindi non è, come il dovere stesso, così praticamente necessario*. * Il fine definitivo che la legge morale impone di promuovere non è il fondamento del dovere; questo fondamento, infatti, sta nella legge morale che, in quanto principio formale pratico, guida in maniera categorica, a prescindere dagli oggetti della facoltà di desiderare (la materia del volere) e dunque da ogni fine. Questa costituzione formale delle mie azioni (la loro subordinazione al principio della validità universale), nella quale soltanto consiste il loro valore morale interno, è del tutto in nostro potere; e io posso benissimo fare astrazione (perché nei primi risiede solamente il valore esterno delle mie azioni) dalla possibilità o inattuabilità dei fini che sono obbligato a promuovere conformemente a quella legge come da qualcosa che non è mai pienamente in mio potere, per guardare solo a ciò che concerne il mio fare. Solo che l’intento di promuovere il fine definitivo di tutti gli esseri razionali (la felicità, per quanto essa possa concordare con il dovere) è tuttavia imposto appunto dalla legge del dovere. Ma la ragione speculativa non ne scorge affatto

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

G l a u b e (als habitus, nicht als actus) ist die moralische Denkungsart der Vernunft im Fürwahrhalten desjenigen, was für das theoretische Erkenntnis unzugänglich ist. Er ist also der beharrliche Grundsatz des Gemüts, das, was zur Möglichkeit des höchsten moralischen Endzwecks als Bedingung vorauszusetzen notwendig ist, wegen der Verbindlichkeit zu demselben 463 als21 wahr anzunehmen*; ob zwar die Möglichkeit dessel ben, ||| 472 aber eben24 so wohl auch die Unmöglichkeit, von uns nicht eingesehen werden kann. Der Glaube (schlechthin so genannt) ist ein Vertrauen zu der Erreichung einer Absicht, deren Beförderung Pflicht, die Möglichkeit der Ausführung derselben aber für uns nicht e i n z u s e h e n ist (folglich auch nicht die der ein462

Seiten unseres eigenen physischen Vermögens, noch der Mitwirkung der Natur) gar nicht ein; vielmehr muß sie aus solchen Ursachen, so viel wir vernünftiger Weise urteilen können, einen solchen Erfolg unseres Wohlverhaltens von der bloßen Natur (in uns und außer uns), ohne Gott und | 462 Unsterblichkeit anzunehmen, für eine ungegründete und20 nichtige wenn gleich wohlgemeinte Erwartung halten, und, wenn sie von diesem Urteile völlige Gewißheit haben könnte, das moralische Gesetz selbst als bloße Täuschung unserer Vernunft in praktischer Rücksicht ansehen. Da aber die spekulative Vernunft sich völlig überzeugt, daß das letztere nie geschehen kann, dagegen aber jene Ideen, deren Gegenstand über die Natur hinaus liegt, ohne Widerspruch gedacht werden können: so wird sie für ihr eigenes praktisches Gesetz und die dadurch auferlegte Aufgabe, also in moralischer Rücksicht, jene Ideen als real anerkennen müssen, um nicht mit sich selbst in Widerspruch zu kommen. * Er ist ein Vertrauen auf die Verheißung des moralischen Gesetzes; aber nicht als eine solche, die in demselben enthalten ist, sondern die ich hineinlege, und zwar aus moralisch hinreichendem Grunde22. Denn ein Endzweck kann durch kein Gesetz der Vernunft geboten sein, ohne daß diese zugleich die Erreichbarkeit desselben, wenn gleich ungewiß, verspreche, und hiemit auch das Fürwahrhalten der einzigen Bedingungen berechtige, unter denen unsere Vernunft sich diese allein denken kann. Das Wort fides drückt dieses auch schon aus; und es kann nur bedenklich scheinen, 463 wie dieser Ausdruck und diese besondere Idee in die | moralische Philo472 sophie hinein||komme, da sie allererst mit dem Christentum eingeführt worden, und die Annahme derselben vielleicht nur eine schmeichlerische Nachahmung seiner23 Sprache zu sein scheinen dürfte. Aber das ist nicht der einzige Fall, da diese wundersame Religion in der größten Einfalt ihres Vortrages die Philosophie mit weit bestimmteren und reineren Begriffen der Sittlichkeit bereichert hat, als diese bis dahin hatte liefern können, die aber, wenn sie einmal da sind, von der Vernunft f r e i gebilligt, und als solche angenommen werden, auf die sie wohl von selbst hätte kommen und sie einführen können und sollen.

APPENDICE. DOTTRINA DEL METODO, § 91

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F e d e (come habitus, non come actus) è il modo morale 462 di pensare della ragione nel tener per vero ciò che per la conoscenza teoretica è inaccessibile. Essa è dunque il principio permanente dell’animo che consiste nell’ammettere come vero ciò che è necessario presupporre in quanto condizione della possibilità* del sommo fine definitivo morale a causa dell’obbligazione nei suoi confronti, benché noi non possiamo scorgerne la possibilità, ma nemmeno l’impossibilità. La fede 463 472 (in senso assoluto) è una fiducia nel conseguimento di un intento che è un dovere promuovere, di cui non possiamo però d i s c e r n e r e la possibilità della sua attuazione (né, di l’attuabilità (né da parte della nostra propria facoltà fisica né da parte della cooperazione della natura); per questi motivi essa deve piuttosto considerare infondato e vano, anche se deriva da una buona intenzione, l’attendersi che da tali cause, per quanto possiamo giudicare ragionevolmente, venga un tale risultato del nostro buon comportamento da parte della semplice natura (in noi e fuori di noi), senza ammettere Dio e l’im- 462 mortalità, e, se essa potesse essere pienamente certa di questo giudizio, dal punto di vista pratico considererebbe la legge morale stessa come una semplice illusione della nostra ragione. Ma poiché la ragione speculativa si convince pienamente che quest’ultima cosa non può mai accadere, mentre quelle idee il cui oggetto è al di fuori e al di là della natura possono invece essere pensate senza contraddizione, essa dovrà riconoscere quelle idee come reali per la propria legge pratica e per il compito da essa imposto, dunque dal punto di vista morale, per non cadere in contraddizione con se stessa. * È una fiducia nella promessa della legge morale; ma non una promessa tale da essere contenuta in essa, bensì che vi aggiungo io, e precisamente a partire da un principio moralmente sufficiente. Infatti, un fine definitivo non può mai essere comandato da alcuna legge della ragione senza che questa prometta al contempo, seppure come incerta, la possibilità di raggiungerlo, e legittimi così anche il tener per vero delle uniche condizioni sotto le quali soltanto la nostra ragione può pensare tale possibilità. Anche la parola fides lo esprime già, e può sembrare sospetto solo il fatto che questa espressione e questa idea particolare siano entrate nella filosofia morale, dato che sono state introdotte per la prima vol- 463 472 ta con il cristianesimo, e la loro adozione potrebbe forse sembrare soltanto un’imitazione adulatoria del suo linguaggio. Ma questo non è l’unico caso in cui questa religione meravigliosa, nella grandissima semplicità della sua esposizione, ha arricchito la filosofia con concetti della moralità ben più determinati e puri di quanto essa ne avesse potuti fornire fino ad allora: essi però, una volta che ci sono, vengono approvati l i b e r a m e n t e dalla ragione e accettati come concetti ai quali la filosofia avrebbe potuto e dovuto arrivarci e introdurli da sola.

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PARTE II. CRITICA DELLA FORZA TELEOLOGICA DI GIUDIZIO

zigen für uns denkbaren Bedingungen). Der Glaube also, der sich auf besondere Gegenstände, die nicht Gegenstände des möglichen Wissens oder Meinens sind, bezieht (in welchem letztern Falle er, vornehmlich im Historischen, Leichtgläubigkeit und nicht Glaube heißen müßte), ist ganz moralisch. Er ist ein freies Fürwahrhalten, nicht dessen25, wozu dogmatische Beweise für die theoretisch bestimmende Urteilskraft anzutreffen sind, noch wozu wir uns verbunden halten, sondern dessen, was wir, zum Behuf einer Absicht nach Gesetzen der Freiheit, annehmen; aber doch nicht, wie etwa eine Meinung, ohne hinrei464 chenden Grund, sondern als in der Vernunft (obwohl | nur in Ansehung ihres praktischen Gebrauchs), f ü r d i e A b s i c h t d e r s e l b e n h i n r e i c h e n d , gegründet: denn ohne ihn hat die moralische Denkungsart bei dem Verstoß gegen die Aufforderung der theoretischen Vernunft zum Beweise (der Möglichkeit des Objekts der Moralität) keine feste Beharrlichkeit, sondern schwankt zwischen praktischen Geboten und theoretischen Zweifeln. U n g l ä u b i s c h sein heißt der Maxime nachhängen, Zeugnissen überhaupt nicht zu glauben; u n g l ä u b i g aber ist der, welcher jenen Vernunftideen, weil es ihnen an t h e o r e t i s c h e r Begründung ihrer Realität fehlt, darum alle Gültigkeit abspricht. Er urteilt also dogmatisch. Ein dogmatischer U n g l a u b e kann aber mit einer in der Denkungsart herrschenden sittlichen Maxime nicht zusammen bestehen (denn einem Zwecke, der für nichts als Hirngespinst erkannt wird, nachzugehen, kann die Vernunft nicht gebieten); wohl aber ein Z w e i f e l g l a u b e , dem der Mangel der Überzeugung durch Gründe der spekulativen Vernunft nur Hindernis ist, welchem eine kritische Einsicht in die Schranken der letztern den 473 Einfluß auf das Verhalten benehmen und || ihm ein überwiegendes praktisches Fürwahrhalten zum Ersatz hinstellen kann.

* * * Wenn man an die Stelle gewisser verfehlten Versuche in der Philosophie ein anderes Prinzip aufführen und ihm Einfluß ver465 schaffen will, so gereicht es zu gro|ßer Befriedigung, einzusehen, wie jene und warum sie fehlschlagen mußten.

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conseguenza, quella delle uniche condizioni per noi pensabili). Dunque la fede che si riferisce a particolari oggetti che non sono oggetti del sapere o dell’opinare possibile (in questo caso essa, soprattutto nell’ambito storico, dovrebbe chiamarsi credulità e non fede) è interamente morale. Essa è un libero tener per vero, non di ciò per cui si possono trovare prove dogmatiche per la forza teoreticamente determinante di giudizio né di ciò a cui ci consideriamo vincolati, ma di quanto noi ammettiamo in funzione di un intento secondo leggi della libertà; non però come se si trattasse di un’opinione senza ragione sufficiente, bensì in quanto fondata nella ragione (sebbene soltanto rispetto al suo uso pratico) i n 464 modo sufficiente per l’intento di quest’ultim a : infatti, senza tale fede, il modo di pensare morale, contravvenendo all’esigenza della ragione teoretica di prove (riguardanti la possibilità dell’oggetto della moralità), non ha una costanza stabile, ma oscilla tra comandi pratici e dubbi teoretici. Essere i n c r e d u l o significa seguire la massima di non credere alle testimonianze in generale; m i s c r e d e n t e , invece, è colui che nega ogni validità a quelle idee della ragione perché ad esse manca una fondazione t e o r e t i c a della loro realtà. Egli giudica quindi in modo dogmatico. Una m i s c r e d e n z a dogmatica non può però coesistere con una massima morale che domina nel modo di pensare (infatti, la ragione non può comandare di perseguire un fine che viene riconosciuto essere soltanto una fantasticheria); può farlo invece una f e d e d u b i t a t i v a , per la quale la mancanza di convinzione ottenuta mediante principi della ragione speculativa è solamente un ostacolo, al quale un’intellezione critica dei confini di questa ragione può togliere influenza sul comportamento, presentandogli come sostituto un tener per vero 473 pratico che viene a imporsi.

* * * Volendo introdurre nella filosofia, al posto di certi tentativi mancati, un altro principio e procurargli influenza, è di grande soddisfazione scorgere come e perché quei tentativi 465 dovevano fallire.

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G o t t , F r e i h e i t und S e e l e n u n s t e r b l i c h k e i t sind diejenigen Aufgaben, zu deren Auflösung alle Zurüstungen der Metaphysik, als ihrem letzten und alleinigen Zwecke, abzielen. Nun glaubte man, daß die Lehre von der Freiheit nur als negative Bedingung für die praktische Philosophie nötig sei, die Lehre von Gott und der Seelenbeschaffenheit hingegen, zur theoretischen gehörig, für sich und abgesondert dargetan werden müsse, um beide nachher mit dem, was das moralische Gesetz (das nur unter der Bedingung der Freiheit möglich ist) gebietet, zu26 verknüpfen und so eine Religion zu Stande zu bringen. Man kann aber bald einsehen, daß diese Versuche fehl schlagen mußten. Denn aus bloßen ontologischen Begriffen von Dingen überhaupt, oder der Existenz eines notwendigen Wesens läßt sich schlechterdings kein, durch Prädikate, die sich in der Erfahrung geben lassen und also zum Erkenntnisse dienen könnten, bestimmter, Begriff von einem Urwesen machen; der aber, welcher auf Erfahrung von der physischen Zweckmäßigkeit der Natur gegründet wurde, konnte wiederum keinen für die Moral, mithin zur Erkenntnis eines Gottes, hinreichenden Beweis abgeben. Eben so wenig konnte auch die Seelenkenntnis durch Erfahrung (die wir nur in diesem Leben anstellen) einen Begriff von der geistigen, unsterblichen Natur derselben, mithin 466 für die | Moral zureichend, verschaffen. T h e o l o g i e und P n e u m a t o l o g i e , als Aufgaben zum Behuf der Wissenschaften einer spekulativen Vernunft, weil deren Begriff für alle unsere Erkenntnisvermögen überschwenglich ist, können durch keine empirische Data und Prädikate zu Stande kommen. — Die Bestimmung beider Begriffe, Gottes sowohl als der Seele (in Ansehung ihrer27 Unsterblichkeit), kann nur durch Prädikate geschehen, die, ob sie gleich selbst nur aus einem übersinnlichen Grunde möglich sind, dennoch in der Erfahrung ihre Realität beweisen müssen: denn so allein können sie von ganz übersinnlichen Wesen ein Erkenntnis möglich machen. — Dergleichen ist nun der einzige in der menschlichen Vernunft anzu474 treffende || Begriff der Freiheit des Menschen unter moralischen Gesetzen, zusamt dem Endzwecke, den jene durch diese vorschreibt, wovon die erstern dem Urheber der Natur, der zweite dem Menschen diejenigen Eigenschaften beizulegen tauglich

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D i o , l i b e r t à e i m m o r t a l i t à d e l l ’ a n i m a sono quei problemi alla cui soluzione mirano tutti gli armamentari della metafisica come al loro ultimo e unico fine. Così si credeva che la dottrina della libertà fosse necessaria per la filosofia pratica solamente quale condizione negativa e che invece la dottrina di Dio e quella della costituzione dell’anima, appartenendo alla filosofia teoretica, dovessero essere comprovate per se stesse e separatamente, per poi connetterle entrambe con ciò che la legge morale (che è possibile soltanto sotto la condizione della libertà) comanda, e costituire così una religione. Ma si può scorgere ben presto che questi tentativi dovevano fallire. Infatti, a partire dai semplici concetti ontologici delle cose in generale, o dall’esistenza di un essere necessario, non ci si può fare assolutamente un concetto di un essere originario, un concetto determinato da predicati suscettibili di essere dati nell’esperienza e che così potrebbero servire alla conoscenza; ma il concetto che fu fondato sull’esperienza della conformità fisica della natura al fine non poteva a sua volta fornire una prova che fosse sufficiente per la morale, di conseguenza per la conoscenza di un Dio. Altrettanto poco la conoscenza dell’anima mediante l’esperienza (che compiamo soltanto in questa vita) poteva procurare un concetto della natura spirituale, immortale, dell’anima, di conseguenza un concetto sufficiente per la morale. 466 Teologia e pneumatologia, come problemi riguardanti le scienze di una ragione speculativa, essendo il loro concetto trascendente per tutte le nostre facoltà conoscitive, non possono realizzarsi mediante alcun dato e predicato empirico. — La determinazione di entrambi i concetti, quello di Dio come pure quello dell’anima (riguardo alla sua immortalità), può avvenire solo mediante predicati che, benché siano essi stessi possibili unicamente a partire da un fondamento soprasensibile, devono tuttavia provare nell’esperienza la loro realtà: infatti è soltanto così che essi possono rendere possibile una conoscenza di esseri totalmente soprasensibili. — Ora, il solo concetto di questo tipo che si possa incontrare nella ragione umana è quello della libertà dell’uomo sotto alle leggi morali, 474 unitamente al fine definitivo che la ragione prescrive mediante queste leggi: leggi e fine definitivo sono idonei per attribuire, le prime, all’autore della natura, e il secondo, all’uomo le

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sind, welche zu der Möglichkeit beider die notwendige Bedingung enthalten; so daß eben aus dieser Idee auf die Existenz und die Beschaffenheit jener sonst gänzlich für uns verborgenen Wesen geschlossen werden kann. Also liegt der Grund der auf dem bloß theoretischen Wege verfehlten Absicht, Gott und Unsterblichkeit zu beweisen, darin: daß von dem Übersinnlichen auf diesem Wege (der Naturbegriffe) gar kein Erkenntnis möglich ist. Daß28 es dage467 gen auf dem moralischen (des | Freiheitsbegriffs) gelingt, hat diesen Grund: daß hier das Übersinnliche, welches dabei29 zum Grunde liegt (die Freiheit), durch ein bestimmtes Gesetz der Kausalität, welches aus ihm entspringt, nicht allein Stoff zum Erkenntnis des andern Übersinnlichen (des moralischen Endzwecks und der Bedingungen30 seiner Ausführbarkeit) verschafft, sondern auch als Tatsache seine Realität in Handlungen dartut, aber eben darum auch keinen andern, als nur in praktischer Absicht (welche auch die einzige ist, deren die31 Religion bedarf) gültigen, Beweisgrund abgeben kann. Es bleibt hiebei immer sehr merkwürdig: daß unter den drei reinen Vernunftideen, G o t t , F r e i h e i t und U n s t e r b l i c h k e i t , die der Freiheit der einzige Begriff des Übersinnlichen ist, welcher seine objektive Realität (vermittelst der Kausalität, die in ihm gedacht wird) an der Natur, durch ihre in derselben mögliche Wirkung, beweiset, und eben dadurch die Verknüpfung der beiden andern mit der Natur, aller dreien aber unter einander zu einer Religion möglich macht; und daß wir also in uns ein Prinzip haben, welches die Idee des Übersinnlichen in uns, dadurch aber auch die desselben außer32 uns, zu einer, ob gleich nur in praktischer Absicht möglichen, Erkenntnis zu bestimmen vermögend ist, woran die bloß spekulative Philosophie (die auch von der Freiheit einen bloß negativen Begriff geben konnte) verzweifeln mußte: mithin der Freiheits468 begriff (als Grundbe|griff aller unbedingt-praktischen Gesetze) die Vernunft über diejenigen Grenzen erweitern kann, innerhalb deren jeder Naturbegriff (theoretischer) ohne Hoffnung eingeschränkt bleiben müßte. * * * ||

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proprietà contenenti la condizione necessaria per la possibilità di entrambi, cosicché, proprio a partire da questa idea, si può inferire esistenza e costituzione di quegli esseri che altrimenti ci resterebbero del tutto nascosti. Dunque il motivo per cui l’intento di provare Dio e l’immortalità sulla via semplicemente teoretica è fallito sta nel fatto che su questa via (quella dei concetti della natura) non è possibile assolutamente alcuna conoscenza del soprasensibile. Il motivo per cui ciò riesce invece sulla via morale (quella del concetto della libertà) è che qui il soprasensibile che vi sta a 467 fondamento (la libertà), grazie a una legge determinata della causalità che da esso deriva, procura non solo materia per la conoscenza dell’altro soprasensibile (del fine morale definitivo e delle condizioni della sua attuabilità), bensì, in quanto cosa di fatto, comprova anche nelle azioni la sua realtà, e tuttavia proprio per questo non può fornire alcun altro argomento se non quello valido solo in un intento pratico (che è anche l’unico di cui la religione abbia bisogno). Resta qui sempre molto degno di nota che, tra le tre idee pure della ragione, D i o , l i b e r t à e i m m o r t a l i t à , quella della libertà costituisca l’unico concetto del soprasensibile che provi (per mezzo della causalità che vi è pensata) la sua realtà oggettiva nella natura, mediante l’effetto che le è possibile produrre in essa, e proprio perciò renda possibile la connessione delle altre due con la natura, e l’unione di tutt’e tre tra loro a costituire una religione; ed è anche degno di nota il fatto che quindi abbiamo in noi un principio che ha il potere di determinare l’idea del soprasensibile in noi, ma per questo anche quella del soprasensibile fuori di noi, in vista di una conoscenza sia pure possibile solo in un intento pratico, ma che la filosofia semplicemente speculativa (che anche della libertà poteva dare un concetto solamente negativo) doveva disperare di ottenere; di conseguenza, il concetto della libertà (come concetto fondamentale di tutte le leggi incondizionata- 468 mente pratiche) può estendere la ragione oltre quei limiti all’interno dei quali ogni concetto della natura (teoretico) doveva restare confinato senza speranza. * * *

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Allgemeine Anmerkung zur Teleologie

Wenn die Frage ist: welchen Rang das moralische Argument, welches das Dasein Gottes nur als Glaubenssache für die praktisch1 reine Vernunft beweiset, unter den übrigen in der Philosophie behaupte: so läßt sich der ganze Besitz dieser letzteren leicht2 überschlagen, wo es sich dann ausweiset, daß hier nicht zu wählen sei, sondern ihr theoretisches Vermögen, vor einer unparteiischen Kritik, alle seine Ansprüche von selbst aufgeben müsse. Auf Tatsache muß sie alles3 Fürwahrhalten zuvörderst gründen, wenn es nicht völlig grundlos sein soll; und es kann also nur der einzige Unterschied im Beweisen Statt finden, ob auf diese Tatsache ein Fürwahrhalten der daraus gezogenen Folgerung, als W i s s e n , für das theoretische, oder, bloß als G l a u b e n , für das praktische Erkenntnis könne gegründet werden. Alle Tatsachen gehören entweder zum N a t u r b e g r i f f , der seine Realität an den vor allen Naturbegriffen gegebenen (oder zu geben möglichen) Gegenständen der Sinne beweiset; oder zum F r e i h e i t s b e g r i f f e , der seine Realität durch die Kausalität der Vernunft, in Ansehung gewisser durch sie möglichen Wirkungen in der Sinnenwelt, die sie im moralischen Gesetze unwiderleglich postuliert, hinreichend dartut. Der Naturbegriff (bloß zur theoretischen Erkenntnis gehörige) ist nun entweder metaphysisch, und völlig a priori; oder physisch, d. i. a posterio469 ri | und notwendig nur durch bestimmte Erfahrung denkbar. Der metaphysische Naturbegriff (der keine bestimmte Erfahrung voraussetzt) ist also ontologisch. Der o n t o l o g i s c h e Beweis vom Dasein Gottes aus dem Begriffe eines Urwesens ist nun entweder der, welcher aus ontologischen Prädikaten, wodurch es allein durchgängig bestimmt gedacht werden kann, auf das absolut-notwendige Dasein, oder aus der absoluten Notwendigkeit des Daseins irgend eines Dinges, welches es auch sei, auf die Prädikate des Urwesens schließt: denn zum Begriffe eines Urwesens gehört, damit es nicht abgeleitet sei, die unbedingte Notwendigkeit seines Daseins, und (um diese sich vorzustellen) die durchgängige Bestimmung durch den Begriff4 desselben. Beide Erfordernisse

NOTA GENERALE ALLA TELEOLOGIA

NOTA GENERALE ALLA TELEOLOGIA

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Se ci viene chiesto quale rango rivendichi nella filosofia, tra gli altri argomenti, l’argomento morale che prova l’esistenza di Dio unicamente come cosa di fede per la ragione pura in ambito pratico, è facile fare una stima dell’intero possesso della filosofia: ne risulta poi che qui non c’è da scegliere, ma che la sua facoltà teoretica deve rinunciare da sé, di fronte a una critica imparziale, a tutte le sue pretese. È su una cosa di fatto che la filosofia deve innanzitutto fondare ogni tener per vero, se questo non deve essere del tutto privo di fondamento; e quindi nel provare non può aver luogo che un’unica differenza: se su questa cosa di fatto possa essere fondato un tener per vero la conseguenza che ne deriva, avente valore di s a p e r e per la conoscenza teoretica, oppure di f e d e per quella pratica. Tutte le cose di fatto appartengono o al c o n c e t t o d e l l a n a t u r a , che prova la sua realtà negli oggetti dei sensi dati (o che possono essere dati) prima di tutti i concetti della natura; oppure al c o n c e t t o d e l l a l i b e r t à , che comprova a sufficienza la sua realtà mediante la causalità della ragione riguardo a certi effetti resi possibili da essa nel mondo sensibile e che postula irrefutabilmente nella legge morale. Il concetto della natura (appartenente soltanto alla conoscenza teoretica) è poi o metafisico e completamente a priori oppure fisico, cioè a posteriori e ne- 469 cessariamente pensabile solo mediante un’esperienza determinata. Il concetto metafisico della natura (che non presuppone alcuna esperienza determinata) è quindi ontologico. La prova o n t o l o g i c a dell’esistenza di Dio133 a partire dal concetto di un essere originario consiste ora o in quella che a partire da predicati ontologici, con i quali soltanto può essere pensato come completamente determinato, inferisce la sua esistenza assolutamente necessaria oppure in quella che a partire dalla necessità assoluta dell’esistenza di una qualche cosa, qualunque essa sia, inferisce i predicati dell’essere originario: infatti, al concetto di un essere originario appartengono, affinché esso non sia derivato, l’incondizionata necessità della sua esistenza e (per rappresentarsi quest’ultima) la determinazione completa mediante il suo concetto. Ora, si è

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glaubte man nun im Begriffe der ontologischen Idee eines a l l e r r e a l s t e n We s e n s zu finden: und so entsprangen zwei metaphysische Beweise. Der einen bloß metaphysischen Naturbegriff zum Grunde legende (eigentlich-ontologisch genannte) Beweis schloß aus 476 dem Begriffe des aller||realsten Wesens auf seine schlechthin notwendige Existenz; denn (heißt es) wenn es nicht existierte, so würde ihm eine Realität, nämlich die Existenz, mangeln. — Der andere (den man auch den metaphysisch- k o s m o l o g i s c h e n Beweis nennt) schloß aus der Notwendigkeit der Existenz irgend eines Dinges (dergleichen, da uns im5 Selbstbewußtsein ein Dasein gegeben ist, durchaus eingeräumt werden muß) auf die durchgängige Bestimmung desselben, als allerrealsten We-| 470 sens: weil alles Existierende durchgängig bestimmt, das schlechterdings Notwendige aber (nämlich was wir als ein solches, mithin a priori, erkennen sollen) d u r c h s e i n e n B e g r i f f durchgängig bestimmt sein müsse6; welches sich aber nur im Begriffe eines allerrealsten Dinges antreffen lasse7. Es ist hier nicht nötig, die Sophisterei in beiden Schlüssen aufzudecken, welches schon anderwärts geschehen ist; sondern nur zu bemerken, daß solche Beweise, wenn sie sich auch durch allerlei dialektische Subtilität verfechten ließen, doch niemals über die Schule hinaus in das gemeine Wesen hinüberkommen, und auf den bloßen gesunden Verstand den mindesten Einfluß haben könnten. Der Beweis, welcher einen Naturbegriff, der nur empirisch sein kann, dennoch aber über die Grenzen der Natur, als Inbegriffs der Gegenstände der Sinne, hinausführen soll, zum Grunde legt, kann kein anderer, als der von den Z w e c k e n der Natur sein: deren Begriff sich zwar nicht a priori, sondern nur durch die Erfahrung geben läßt, aber doch einen solchen Begriff von dem Urgrunde der Natur verheißt, welcher unter allen, die wir denken können, allein sich zum Übersinnlichen schickt, nämlich der von8 einem höchsten Verstande, als Weltursache; welches er auch in der Tat nach Prinzipien der reflektierenden Urteilskraft, d. i. nach der Beschaffenheit unseres (menschlichen) Erkenntnisvermögens, vollkommen ausrichtet. — Ob er nun aber aus denselben Datis diesen Begriff eines o b e r s t e n , d. i. unabhängigen verständigen Wesens auch als eines Gottes, d. i. Urhebers einer Welt unter moralischen Ge-

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creduto di trovare entrambi i requisiti nel concetto dell’idea ontologica di un e s s e r e r e a l i s s i m o : e così sono sorte due prove metafisiche. La prova che poneva a fondamento un concetto semplicemente metafisico della natura (propriamente detta prova ontologica) inferiva dal concetto di essere realissimo la sua esi- 476 stenza assolutamente necessaria: perché (così dice), se esso non esistesse, gli mancherebbe una realtà, cioè l’esistenza. — L’altra prova (che viene detta anche prova metafisicoc o s m o l o g i c a ) inferiva dalla necessità dell’esistenza di una cosa qualunque (cosa che deve assolutamente essere concessa, nella misura in cui nell’autocoscienza mi è data un’esistenza) la sua determinazione completa in quanto essere realissimo: perché tutto ciò che esiste deve essere determinato com- 470 pletamente, mentre ciò che è assolutamente necessario (vale a dire ciò che noi dobbiamo riconoscere come tale, di conseguenza a priori) deve essere determinato completamente m e d i a n t e i l s u o c o n c e t t o , cosa che si trova soltanto nel concetto di una cosa realissima. Non è qui necessario svelare il sofisma in entrambe le inferenze, cosa che è già stata fatta altrove, ma basta osservare che tali prove, benché possano essere difese con qualsiasi tipo di sottigliezza dialettica, non potrebbero però mai uscire dalla scuola per arrivare al pubblico né avere la minima influenza sul semplice sano intelletto. La prova che pone a fondamento un concetto della natura che può essere soltanto empirico, ma che deve tuttavia condurre al di là dei limiti della natura come insieme degli oggetti dei sensi, non può essere che quella che procede a partire dai f i n i della natura: fini il cui concetto non può certo essere dato a priori, bensì solamente mediante l’esperienza, ma del fondamento originario della natura promette tuttavia un concetto che, tra tutti quelli che noi possiamo pensare, è l’unico che convenga al soprasensibile, cioè il concetto di un intelletto sommo come causa del mondo; e vi riesce poi di fatto perfettamente secondo principi della forza riflettente di giudizio, cioè secondo la costituizione della nostra (umana) facoltà conoscitiva. — Quanto a sapere se tale prova, a partire dagli stessi dati, sia in grado di fornire questo concetto di un essere s u p r e m o , cioè indipendente e intelligente, anche come concetto di un Dio, cioè dell’autore di un mondo sotto

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setzen, mithin hinreichend bestimmt für die Idee von einem Endzwecke des Daseins der Welt, zu liefern im Stande sei, das ist eine Frage, worauf alles ankommt; wir mögen nun einen9 theoretisch hinlänglichen Begriff von dem Urwesen zum Behuf der gesamten Naturkenntnis10, oder einen praktischen für die Religion verlangen. Dieses aus der physischen Teleologie genommene Argument ist verehrungswert. Es tut gleiche Wirkung zur Überzeugung 471 auf den gemeinen Verstand, als auf den sub|tilsten Denker; und ein R e i m a r u s in seinem noch nicht übertroffenen Werke, 477 worin er diesen Beweisgrund mit der || ihm eigenen Gründlichkeit und Klarheit weitläuftig ausführt, hat sich dadurch ein unsterbliches Verdienst erworben. — Allein, wodurch gewinnt dieser Beweis so gewaltigen Einfluß auf das Gemüt, vornehmlich in der Beurteilung durch kalte Vernunft (denn die Rührung und Erhebung desselben durch die Wunder der Natur könnte man zur Überredung rechnen), auf eine ruhige, sich gänzlich dahin gebende Beistimmung? Es sind nicht die physischen Zwecke, die alle auf einen unergründlichen Verstand in der Weltursache hindeuten; denn diese sind dazu unzureichend, weil sie das Bedürfnis der fragenden Vernunft nicht befriedigen. Denn wozu sind (fragt diese) alle jene künstliche Naturdinge; wozu der Mensch selbst, bei dem wir, als dem letzten für uns denkbaren Zwecke der Natur stehen bleiben müssen; wozu ist diese gesamte Natur da, und was ist der, Endzweck so großer und mannigfaltiger Kunst? Zum Genießen oder zum Anschauen, Betrachten und Bewundern (welches, wenn es dabei bleibt, auch nichts weiter als Genuß von besonderer Art ist), als dem letzten Endzweck, warum die Welt und der Mensch selbst da ist, geschaffen zu sein, kann die Vernunft nicht befriedigen: denn diese setzt einen persönlichen Wert, den der Mensch sich allein geben kann, als Bedingung, unter welcher allein11 er und sein Dasein Endzweck sein kann, voraus. In Ermangelung desselben (der allein eines bestimmten Begriffs fähig ist) tun die Zwecke der Natur seiner Nachfrage nicht Genüge, vornehmlich12, weil sie keinen b e s t i m m t e n Begriff von dem höchsten Wesen als einem allgenugsamen (und eben darum einigen, eigentlich so zu nennenden h ö c h s t e n ) Wesen und den Geset-

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leggi morali, e di conseguenza un concetto sufficientemente determinato per l’idea di un fine definitivo dell’esistenza del mondo, è una questione da cui dipende tutto; e ciò sia che poi esigiamo un concetto teoreticamente sufficiente dell’essere originario in funzione dell’intera conoscenza della natura oppure sia che poi esigiamo un concetto pratico per la religione. Quest’argomento tratto dalla teleologia fisica è degno di ammirazione. Esercita lo stesso effetto convincente tanto sull’intelletto comune quanto sul più sottile pensatore; e un 471 R e i m a r u s , nella sua opera tuttora insuperata134 nella quale svolge ampiamente questo argomento, con il rigore e la chia- 477 rezza che gli sono propri, ha acquisito in tal modo un merito immortale. — Ma con che cosa questa prova acquista un’influenza così potente sull’animo, e principalmente come ottiene, nella valutazione operata con la fredda ragione (perché l’emozione e l’elevazione dell’animo suscitate dalle meraviglie della natura potrebbero essere prese per persuasione), un consenso calmo e senza riserve? Non sono i fini fisici che indicano tutti verso un insondabile intelletto presente nella causa del mondo; infatti essi sono insufficienti a questo riguardo, perché non soddisfano il bisogno della ragione che pone domande. Infatti, a che scopo esistono, domanda la ragione, tutte quelle cose naturali fatte ad arte? A che scopo esiste l’uomo stesso, al quale dobbiamo arrestarci quale fine ultimo per noi pensabile dell’intera natura? A che scopo la natura nel suo complesso e qual è il fine definitivo di un’arte così grande e varia? Il fatto che esistano perché se ne goda, li si guardi, consideri e ammiri (cosa che, se ci si attiene a questo, non è nulla di più che un godimento di una specie particolare) in quanto ultimo fine definitivo per cui il mondo e l’uomo stesso esistono, non può soddisfare la ragione: infatti, essa presuppone un valore personale, che soltanto l’uomo può darsi come condizione sotto la quale unicamente egli e la sua esistenza possono essere fine definitivo. In mancanza di tale valore (che è il solo suscettibile di avere un concetto determinato), i fini della natura non soddisfano la sua richiesta, principalmente perché essi non possono fornire alcun concetto d e t e r m i n a t o dell’essere sommo inteso come essere sufficiente a tutto (e, appunto per questo motivo, l’unico

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zen, nach denen ein13 Verstand Ursache der Welt ist, an die Hand geben können. | 472 Daß also der physisch-teleologische Beweis, gleich als ob er zugleich ein theologischer wäre, überzeugt, rührt nicht von der Benützung14 der Ideen von Zwecken der Natur, als so viel empirischen Beweisgründen eines h ö c h s t e n Verstandes her; sondern es mischt sich unvermerkt der jedem Menschen beiwohnende und ihn15 so innigst bewegende moralische Beweisgrund in den Schluß mit ein, nach welchem man dem Wesen, welches sich so unbegreiflich künstlich in den Zwecken16 der Natur offenbart, auch einen Endzweck, mithin Weisheit (obzwar ohne dazu durch die Wahrnehmung der ersteren berechtigt zu sein), beilegt, und also jenes Argument, in Ansehung des Mangelhaften, welches ihm noch anhängt, willkürlich ergänzt. In der Tat bringt also nur der moralische Beweisgrund die Überzeugung, und auch diese nur 478 in moralischer Rücksicht, wozu jedermann seine Beistim||mung innigst fühlt, hervor; der physisch-teleologische aber hat nur das Verdienst, das17 Gemüt in der Weltbetrachtung auf den Weg der Zwecke, dadurch aber auf einen v e r s t ä n d i g e n Welturheber zu leiten: da denn die moralische Beziehung auf Zwecke und die Idee eines eben solchen Gesetzgebers und Welturhebers, als theologischer Begriff18, ob er zwar reine Zugabe ist, sich dennoch aus jenem Beweisgrunde von selbst zu entwickeln scheint. Hiebei kann man es in dem gewöhnlichen Vortrage fernerhin auch bewenden lassen. Denn dem gemeinen und gesunden Verstande wird es gemeiniglich schwer, die verschiedenen Prinzipien, die er vermischt, und aus deren einem er wirklich allein und richtig folgert, wenn die Absonderung viel Nachdenken bedarf, als ungleichartig von einander zu scheiden. Der moralische Beweisgrund vom Dasein Gottes e r g ä n z t aber eigentlich auch nicht etwa19 bloß den physisch-teleologischen zu einem 473 vollständigen Beweise; sondern er20 ist | ein besonderer Beweis, der den Mangel der Überzeugung aus dem letzteren e r s e t z t : indem dieser in der Tat nichts leisten kann, als die Vernunft in der Beurteilung des Grundes der Natur und der zufälligen, aber bewunderungswürdigen, Ordnung derselben, welche uns nur durch Erfahrung bekannt wird, auf die Kausalität einer Ursache, die nach Zwecken den Grund derselben enthält (die wir nach der Beschaffenheit unserer Erkenntnisvermögen als verständige Ursache denken müssen), zu lenken und aufmerksam,

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che va chiamato propriamente s o m m o ) e delle leggi secondo le quali un intelletto è causa del mondo. Il fatto, dunque, che la prova fisico-teleologica convinca 472 esattamente come se fosse al contempo teologica, non deriva dall’utilizzazione che si fa delle idee di fini della natura come altrettanti argomenti empirici a favore di un intelletto s o m m o ; ma nell’inferenza si mescola inavvertitamente l’argomento morale che c’è in ogni uomo e che lo muove così intimamente, argomento secondo cui all’essere che si rivela nei fini della natura con un’arte così incomprensibile si attribuisce anche un fine definitivo, e di conseguenza una saggezza (senza essere tuttavia legittimati a farlo dalla percezione di quei fini), completando così arbitrariamente quell’argomento riguardo alle lacune che ancora presenta. Di fatto, soltanto l’argomento morale produce la convinzione, e anche questa soltanto da un punto di vista morale, a cui ciascuno sente di consentire nel 478 modo più intimo; ma l’argomento fisico-teleologico ha solamente il merito di guidare l’animo, nella considerazione del mondo, sulla via dei fini, orientandolo così verso un autore i n t e l l i g e n t e del mondo: infatti allora il riferimento morale a fini e l’idea di un tale legislatore e autore del mondo come concetto teleologico, nonostante sia una pura aggiunta, sembrano tuttavia svilupparsi da sé a partire da quell’argomento. Ormai si può anche continuare ad accontentarsi di questo nel d i s c o r s o ordinario. Infatti, per il comune e sano intelletto diventa di solito difficile dividere, se questa separazione richiede molta riflessione, l’uno dall’altro come eterogenei i diversi principi che esso mescola quando è da uno solo che trae di fatto le conclusioni corrette. Ma l’argomento morale dell’esistenza di Dio propriamente non si limita a c o m p l e t a r e l’argomento fisico-teleologico facendone una prova completa, bensì costituisce una prova speciale, che c o m - 473 p e n s a la mancanza di convinzione derivante dall’altro, nella misura in cui quest’ultimo di fatto nulla può fare se non orientare la ragione, nella valutazione del fondamento della natura e del suo ordine contingente ma ammirevole, che ci è noto soltanto per esperienza, verso la causalità di una causa che ne contenga il fondamento secondo fini (causa che, secondo la costituzione delle nostre facoltà conoscitive, dobbiamo pensare come causa intelligente); l’attenzione della ra-

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so aber des moralischen Beweises empfänglicher, zu machen. Denn das, was zu dem letztern Begriffe21 erforderlich ist, ist von allem, was Naturbegriffe enthalten und lehren können, so wesentlich unterschieden, daß es eines besondern von den vorigen ganz unabhängigen Beweisgrundes und Beweises bedarf, um den Begriff vom Urwesen für eine Theologie hinreichend anzugeben, und auf seine Existenz zu schließen. — Der moralische Beweis (der aber freilich nur das Dasein Gottes in praktischer, doch auch unnachläßlicher, Rücksicht der Vernunft beweiset) würde daher noch immer in seiner Kraft bleiben, wenn wir in der Welt gar keinen, oder nur zweideutigen Stoff zur physischen Teleologie anträfen. Es läßt sich denken, daß sich vernünftige Wesen von22 einer solchen Natur, welche keine deutliche Spur von Organisation, sondern nur Wirkungen von einem bloßen Mechanism der rohen Materie zeigte, umgeben sähen, um derentwillen, und bei der Veränderlichkeit einiger bloß zufällig zweckmäßigen Formen und Verhältnisse, kein Grund zu sein schiene, auf einen verständigen Urheber zu schlie479 ßen; wo alsdann auch zu einer || physischen Teleologie keine Veranlassung sein würde: und dennoch würde die Vernunft, die durch Naturbegriffe hier keine Anleitung bekommt, im Freiheitsbegriffe und in23 den sich darauf gründenden sittlichen 474 Ideen einen praktisch-|hinreichenden Grund finden, den Begriff des Urwesens diesen angemessen, d. i. als einer Gottheit, und die Natur (selbst unser eigenes Dasein) als einen jener und24 ihren Gesetzen gemäßen Endzweck zu postulieren, und zwar in Rücksicht auf das unnachlaßliche Gebot der praktischen Vernunft. — Daß nun aber in der wirklichen Welt für die vernünftigen Wesen in ihr reichlicher Stoff zur physischen Teleologie ist (welches eben nicht notwendig wäre), dient dem moralischen Argument zu erwünschter Bestätigung, soweit Natur etwas den Vernunftideen (den moralischen) Analoges aufzustellen vermag. Denn der Begriff einer obersten Ursache, die Verstand hat, (welches aber25 für eine Theologie lange nicht hinreichend ist) bekommt dadurch die, für die reflektierende Urteilskraft hinreichende, Realität; aber er ist nicht erforderlich, um den moralischen Beweis darauf zu gründen: noch dient dieser, um jenen, der für sich allein gar nicht auf

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gione viene diretta a questa causalità e allo stesso tempo essa è resa più ricettiva nei confronti della prova morale. Infatti, ciò che è richiesto per quest’ultimo concetto è tanto essenzialmente differente da ciò che possono contenere e insegnare i concetti naturali che esso ha bisogno di un argomento e di una prova del tutto specifici e indipendenti dai precedenti per fornire in modo sufficiente per una teologia il concetto dell’essere originario e inferirne l’esistenza. — La prova morale (che però certamente prova l’esistenza di Dio soltanto dal punto di vista pratico, ma anche imprescindibile della ragione) conserverebbe dunque ancora la sua forza qualora non incontrassimo nel mondo alcun materiale, o un materiale solamente equivoco, per la teleologia fisica. Si può pensare che esseri razionali si vedano circondati da una natura tale da non mostrare alcuna traccia evidente di organizzazione, ma soltanto effetti di un semplice meccanismo della materia grezza per i quali, e data la mutevolezza di alcune forme e rapporti solo contingentemente conformi al fine, non sembrerebbe esserci alcun motivo per inferire un autore intelligente; lì, dunque, non ci sarebbe neppure alcuna occasione per una teleologia fisica, e tuttavia la ragione, senza ricevere qui dai 479 concetti della natura qualcosa che la possa orientare, troverebbe nel concetto della libertà e nelle idee morali che vi si fondano una ragione praticamente sufficiente per postulare il 474 concetto, che è loro adeguato, dell’essere originario, cioè di una divinità, e per postulare la natura (anche la nostra propria esistenza) come un fine definitivo conforme a quella divinità e alle sue leggi, e precisamente dal punto di vista del comando imprescindibile della ragione pratica. — Ora, però, il fatto che nel mondo reale ci sia per gli esseri razionali che vi si trovano una ricca materia per la teleologia fisica (cosa che non sarebbe proprio necessaria) serve all’argomento morale come conferma desiderata nella misura in cui la natura può stabilire qualcosa di analogo alle idee (morali) della ragione. Infatti il concetto di una causa suprema che possiede un intelletto (il che però è ben lungi dall’essere sufficiente per una teologia) ottiene così una realtà che è sufficiente per la forza riflettente di giudizio; ma un tale concetto non è richiesto per fondarvi la prova morale né quest’ultima serve per completare quel concetto il quale per sé solo non rimanda

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Moralität hinweiset, durch fortgesetzten Schluß nach einem einzigen Prinzip, zu einem Beweise zu ergänzen. Zwei so ungleichartige Prinzipien, als Natur und Freiheit, können nur zwei verschiedene Beweisarten abgeben, da denn der Versuch, denselben aus der ersteren zu führen, für das was bewiesen werden soll, unzulänglich befunden wird. Wenn der physisch-teleologische Beweisgrund zu dem gesuchten Beweise zureichte, so wäre es für die spekulative Vernunft sehr befriedigend; denn er würde Hoffnung geben, eine Theosophie hervorzubringen (so würde man nämlich die theoretische Erkenntnis der göttlichen Natur und seiner Existenz, welche zur Erklärung der Weltbeschaffenheit und zugleich der Bestimmung der sittlichen Gesetze zureichte, nennen müssen). Eben so, wenn Psychologie zureichte, um dadurch zur Erkenntnis der Unsterblichkeit der Seele zu ge475 lan|gen, so würde sie eine Pneumatologie, welche der spekulativen Vernunft eben so willkommen wäre, möglich machen. Beide aber, so lieb es auch dem Dünkel der Wißbegierde sein mag, erfüllen nicht den Wunsch der Vernunft in Absicht auf die Theorie, die auf Kenntnis der Natur der Dinge gegründet sein müßte26. Ob aber nicht die erstere, als Theologie, die zweite, als Anthropologie, beide auf das sittliche, d. i. das Freiheitsprinzip gegründet, mithin dem praktischen Gebrauche der Vernunft angemessen, ihre objektive Endabsicht besser erfüllen, ist eine andere Frage, die wir hier nicht nötig haben weiter zu verfolgen. || 480 Der physisch-teleologische Beweisgrund reicht aber darum nicht zur Theologie zu, weil er keinen für diese Absicht hinreichend bestimmten Begriff von dem Urwesen gibt, noch geben kann, sondern man diesen gänzlich anderwärts hernehmen, oder seinen Mangel dadurch, als durch einen willkürlichen Zusatz, ersetzen muß. Ihr schließt aus der großen Zweckmäßigkeit der Naturformen und ihrer Verhältnisse auf eine verständige Weltursache; aber auf welchen Grad dieses Verstandes? Ohne Zweifel könnt ihr euch nicht anmaßen, auf den höchstmöglichen Verstand; denn dazu würde erfordert werden, daß ihr einsähet, ein größerer Verstand, als wovon27 ihr Beweistümer in der Welt wahrnehmet, sei nicht denkbar: welches euch selber Allwissenheit beilegen hieße. Eben so schließt ihr aus der Größe der Welt auf eine sehr große Macht des Urhebers; aber

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affatto alla moralità attraverso una continua inferenza condotta secondo un principio unico, in modo da farne una prova. Due principi così eterogenei come la natura e la libertà possono fornire soltanto due diverse specie di prova, poiché di fatto il tentativo di condurre la prova a partire dalla natura risulta insufficiente per ciò che deve essere provato. Se l’argomento fisico-teleologico bastasse per la prova ricercata, esso sarebbe molto soddisfacente per la ragione speculativa; infatti, ci sarebbe la speranza di produrre una teosofia (così si dovrebbe infatti chiamare la conoscenza teoretica della natura divina e della sua esistenza che basterebbe per spiegare la costituzione del mondo e nel contempo la determinazione delle leggi morali). Nello stesso modo, se la psicologia bastasse per pervenire grazie ad essa alla conoscenza dell’immortalità dell’anima, renderebbe possibile una pneu- 475 matologia che sarebbe altrettanto benaccetta alla ragione speculativa. Ma né l’una né l’altra, per quanto ciò possa risultare gradito anche alla presunzione della brama di sapere, soddisfano l’auspicio della ragione rivolto alla teoria che dovrebbe essere fondata sulla conoscenza della natura delle cose. Tuttavia se poi esse non possono adempiere meglio il loro oggettivo intento finale, la prima come teologia, la seconda come antropologia, fondate entrambe sul principio morale, cioè sul principio della libertà, di conseguenza adeguate all’uso pratico della ragione, è un’altra questione che non abbiamo qui necessità di esaminare ulteriormente. L’argomento fisico-teleologico non basta però per la teo- 480 logia perché non dà, né può dare, in modo sufficiente per questo intento alcun concetto determinato dell’essere originario, concetto che invece bisogna prendere da tutt’altra parte o del quale si deve compensare la mancanza con un’aggiunta arbitraria. Dalla grande conformità delle forme della natura al fine e dei loro rapporti voi inferite una causa intelligente del mondo: ma qual è il grado di questo intelletto? Senza dubbio non potete pretendere d’inferire l’intelletto più grande possibile; infatti ciò esigerebbe che voi poteste discernere che un intelletto più grande di quello di cui voi percepite le testimonianze nel mondo non è pensabile: cosa che equivarrebbe ad attribuire a voi stessi l’onniscienza. Ugualmente inferite, a partire dalla grandezza del mondo, una potenza

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ihr werdet euch bescheiden, daß dieses nur komparativ für eure Fassungskraft Bedeutung hat, und, da ihr nicht alles Mögliche erkennt, um es mit der Weltgröße, so weit ihr sie kennt, zu vergleichen, ihr nach einem so kleinen Maßstabe keine Allmacht des Urhebers folgern könnet, u.s.w. Nun gelangt ihr dadurch zu 476 keinem bestimmten, für eine Theologie tauglichen, | Begriffe eines Urwesens; denn dieser kann nur in dem der Allheit der mit einem Verstande vereinbarten Vollkommenheiten gefunden werden, wozu euch bloß28 e m p i r i s c h e Data gar nicht verhelfen können: ohne einen solchen bestimmten Begriff aber könnt ihr auch nicht auf ein e i n i g e s verständiges Urwesen schließen, sondern (es sei zu welchem Behuf) ein solches nur annehmen. — Nun kann man es zwar ganz wohl einräumen, daß ihr (da die Vernunft nichts Gegründetes dawider zu sagen hat) willkürlich hinzusetzt: wo so viel Vollkommenheit angetroffen wird, möge man wohl alle Vollkommenheit in einer einzigen Weltursache vereinigt annehmen; weil die Vernunft mit einem so bestimmten Prinzip, theoretisch und praktisch, besser zurecht kommt. Aber ihr könnt denn doch diesen Begriff des Urwesens nicht als von euch bewiesen anpreisen29, da ihr ihn nur zum Behuf eines bessern Vernunftgebrauchs angenommen habt. Alles Jammern also oder ohnmächtiges Zürnen über den vorgeblichen30 Frevel, die Bündigkeit eurer Schlußkette31 in Zweifel zu ziehen, ist eitle Großtuerei, die gern haben möchte, daß man den Zweifel, welchen man gegen euer Argument frei heraussagt, für32 Bezweifelung heiliger Wahrheit halten möchte, um nur hinter dieser Decke die Seichtigkeit desselben durchschlüpfen zu lassen. Die moralische Teleologie hingegen, welche nicht minder 481 fest gegrün||det ist, wie die physische, vielmehr dadurch, daß sie a priori auf von unserer Vernunft untrennbaren Prinzipien beruht, Vorzug verdient, führt auf das, was zur Möglichkeit einer Theologie erfordert wird, nämlich auf einen bestimmten B e g r i f f der obersten Ursache, als Weltursache nach moralischen Gesetzen, mithin einer solchen, die unserm moralischen Endzwecke Genüge tut: wozu nichts weniger als Allwissenheit, 477 Allmacht, Allgegenwart u.s.w. als | dazu gehörige Natureigenschaften erforderlich sind, die mit dem moralischen End-

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grandissima del suo autore; ma converrete che ciò ha un significato soltanto comparativo rispetto alla vostra forza di comprensione e, poiché non conoscete tutto il possibile per confrontarlo con la grandezza del mondo, per quanto la conoscete, voi non potete, in base a un’unità di misura così ridotta, derivare alcuna onnipotenza dell’autore, ecc. Ora, in tal modo non giungete ad alcun concetto determinato, ido- 476 neo per una teologia, di un essere originario; questo concetto, infatti, può essere trovato soltanto in quello della totalità delle perfezioni compatibili con un intelletto, e a tale scopo non potete affatto servirvi di semplici dati e m p i r i c i : ma senza un tale concetto determinato non potete nemmeno inferire un u n i c o essere originario intelligente, bensì soltanto ammetterlo (per qualsiasi funzione). — Ora, si può certo concedere benissimo che voi aggiungiate arbitrariamente (dal momento che la ragione non ha niente di fondato da dire in contrario) che dove si trova tanta perfezione sia ben possibile ammettere ogni perfezione riunita in un’unica causa del mondo, perché la ragione si orienta meglio, teoreticamente e praticamente, con un principio così determinato. Ma non potete comunque vantarvi di avere dimostrato voi questo concetto dell’essere originario, dato che l’avete ammesso soltanto in funzione di un miglior uso della ragione. In tal senso, ogni lamentela o collera impotente per la presunta empietà di mettere in dubbio la solidità del vostro ragionamento è vana millanteria che vorrebbe che il dubbio liberamente espresso contro il vostro argomento possa essere preso come un mettere in dubbio la sacra verità, unicamente per far passare inosservata dietro questa copertura la superficialità del vostro argomento. La teleologia morale, invece, che non è meno solidamente fondata della teleologia fisica, e che anzi merita il primato 481 perché si basa a priori su principi inseparabili dalla nostra ragione, conduce a ciò che viene richiesto per la possibilità di una teologia, cioè a un c o n c e t t o determinato della causa suprema come causa del mondo secondo leggi morali, e di conseguenza a una causa tale da soddisfare il nostro fine definitivo morale: per questo non si richiede niente di meno che onniscienza, onnipotenza, onnipresenza, ecc., in quanto pro- 477 prietà che competono alla sua natura e che devono essere pensate come collegate con il fine definitivo morale, il quale è infi-

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zwecke, der unendlich ist, als verbunden, mithin ihm33 adäquat gedacht werden müssen, und kann so den Begriff eines e i n z i g e n Welturhebers, der zu einer Theologie tauglich ist, ganz allein verschaffen. Auf solche Weise führt eine Theologie auch unmittelbar zur R e l i g i o n , d. i. der E r k e n n t n i s u n s e r e r P f l i c h t e n , a l s g ö t t l i c h e r G e b o t e ; weil die Erkenntnis unserer Pflicht, und des darin uns durch Vernunft auferlegten Endzwecks, den Begriff von Gott zuerst bestimmt hervorbringen konnte, der also schon in seinem Ursprunge von der Verbindlichkeit gegen dieses Wesen unzertrennlich ist: anstatt daß, wenn der Begriff vom Urwesen auf dem bloß theoretischen Wege (nämlich desselben als bloßer Ursache der Natur) auch bestimmt gefunden werden könnte, es nachher noch mit großer Schwierigkeit, vielleicht gar Unmöglichkeit, es ohne willkürliche Einschiebung zu leisten, verbunden sein würde, diesem Wesen eine Kausalität nach moralischen Gesetzen durch gründliche Beweise beizulegen; ohne die doch jener angeblich theologische Begriff keine Grundlage zur Religion ausmachen kann. Selbst wenn eine Religion auf diesem theoretischen Wege gegründet werden könnte, würde sie in Ansehung der Gesinnung (worin34 doch ihr Wesentliches besteht) wirklich von derjenigen unterschieden sein, in welcher der35 Begriff von Gott und die (praktische) Überzeugung von seinem Dasein aus Grundideen der Sittlichkeit entspringt. Denn wenn wir Allgewalt, Allwissenheit u.s.w. eines Welturhebers, als anderwärts her uns gegebene Begriffe voraussetzen müßten, um nachher unsere Begriffe von Pflichten auf unser Verhältnis zu ihm nur anzuwenden, so müßten diese sehr stark den Anstrich von Zwang und abgenötigter Unterwerfung bei sich führen; statt dessen, wenn die Hochachtung für 478 das sittliche Gesetz | uns ganz frei, laut Vorschrift unserer eigenen Vernunft, den Endzweck unserer Bestimmung vorstellt, wir eine damit und zu dessen Ausführung zusammenstimmende Ursache mit der wahrhaftesten Ehrfurcht, die gänzlich von patho482 logischer Furcht unterschieden || ist, in unsere moralischen Aussichten mit aufnehmen und uns derselben willig unterwerfen*. * Die Bewunderung der Schönheit36 sowohl, als die Rührung durch die so mannigfaltigen Zwecke der Natur, welche ein37 nachdenkendes Gemüt, noch vor einer klaren Vorstellung eines vernünftigen Urhebers der

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nito, e dunque in quanto adeguate a questo fine; in tal senso, la teleologia morale ci può procurare del tutto da sola il concetto di un unico autore del mondo, quale conviene a una teologia. In questo modo una teologia inoltre conduce immediatamente alla r e l i g i o n e , cioè alla c o n o s c e n z a d e i n o s t r i d o v e r i q u a l i c o m a n d a m e n t i d i v i n i ; perché la conoscenza del nostro dovere e del fine definitivo in esso impostovi dalla ragione ha potuto dapprima produrre in modo determinato il concetto di Dio, che è dunque già nella sua origine inseparabile dall’obbligazione nei confronti di questo essere: mentre, se il concetto dell’essere originario potesse anche essere trovato in modo determinato per via semplicemente teoretica (cioè il concetto di questo essere come semplice causa della natura), risulterebbe poi difficilissimo, forse addirittura impossibile, senza far intervenire interpolazioni arbitrarie, attribuire a questo essere, mediante prove ben fondate, una causalità secondo leggi morali, senza la quale, però, quel concetto che si presume teologico non può costituire una fondazione della religione. Anche se una religione potesse essere fondata su questa via teoretica, essa sarebbe, dal punto di vista dell’intenzione che la anima (in cui però consiste ciò che in essa è essenziale), realmente differente da quella in cui il concetto di Dio e la convinzione (pratica) della sua esistenza scaturiscono da idee fondamentali della moralità. Infatti, se dovessimo presupporre onnipotenza, onniscienza, ecc., di un autore del mondo come concetti che ci sono dati provenendo da un’altra parte, per poi semplicemente applicare i nostri concetti di doveri al nostro rapporto con lui, questi non potrebbero non comportare un fortissimo tratto di costrizione e di sottomissione forzata; mentre, se l’alto rispetto per la legge morale ci rappresenta del tutto liberamente, se- 478 condo la prescrizione della nostra propria ragione, il fine definitivo della nostra destinazione, noi accogliamo, con una sorta di autentico timore reverenziale, che è del tutto differente dal terrore patologico, nelle nostre prospettive morali una causa che si armonizza con questo fine e con la sua attua- 482 zione, e ci sottomettiamo volentieri ad essa*. * L’ammirazione per la bellezza, come pure l’emozione per i fini così vari della natura, che un animo riflessivo è in grado di sentire ancora prima di possedere una chiara rappresentazione di un autore razionale

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Wenn man fragt: warum uns denn etwas daran gelegen sei, überhaupt eine Theologie zu haben: so leuchtet klar ein, daß sie nicht zur Erweiterung oder Berichtigung unserer Naturkenntnis38 und überhaupt irgend einer Theorie, sondern lediglich zur Religion, d. i. dem praktischen, namentlich dem moralischen Gebrauche der Vernunft in subjektiver Absicht nötig sei. Findet sich nun: daß das einzige Argument, welches zu einem bestimmten Begriffe des Gegenstandes der Theologie führt, selbst moralisch ist: so wird es nicht allein nicht39 befremden, sondern man wird auch in Ansehung der Zulänglichkeit40 des Fürwahrhaltens aus diesem Beweisgrunde zur Endabsicht derselben41 nichts vermissen, wenn gestanden wird, daß ein solches Argument das Dasein Gottes nur für unsere moralische Bestimmung, d. i. in praktischer Absicht 479 hinreichend dartue, und die Spekulation in demselben | ihre Stärke keinesweges beweise, oder den Umfang ihres Gebiets dadurch erweitere. Auch wird die Befremdung, oder der vorgebliche Widerspruch einer hier behaupteten Möglichkeit einer Theologie, mit dem was die Kritik der spekulativen Vernunft von den Kategorien sagte: daß diese nämlich nur in Anwendung auf Gegenstände der Sinne, keinesweges aber auf das Übersinnliche angewandt, Erkenntnis hervorbringen können, verschwinden, wenn man sie hier zu einem Erkenntnis Gottes, aber nicht in theoretischer (nach dem was seine uns unerforschliche Natur an sich sei), sondern lediglich in praktischer Absicht gebraucht sieht. — Um bei dieser Gelegenheit der Mißdeutung jener sehr notwendigen, aber auch, zum Verdruß des blinden Dogmatikers, die Vernunft in42 ihre Grenzen zurückweisenden, Lehre der Kritik ein Ende zu machen, füge ich hier nachstehende Erläuterung43 derselben bei. Wenn ich einem Körper b e w e g e n d e K r a f t beilege, mit483 hin ihn || durch die Kategorie der K a u s a l i t ä t denke: so e r k e n n e ich ihn dadurch zugleich, d. i. ich bestimme den Begriff desselben, als Objekts überhaupt, durch das, was ihm, als Gegenstande der Sinne, für sich (als Bedingung der Möglichkeit Welt, zu fühlen im Stande ist, haben etwas einem r e l i g i ö s e n Gefühl Ähnliches an sich. Sie scheinen daher zuerst durch eine der moralischen analoge Beurteilungsart derselben auf das moralische Gefühl (der Dankbarkeit und der Verehrung gegen die uns unbekannte Ursache) und also durch Erregung moralischer Ideen auf das Gemüt zu wirken, wenn sie diejenige Bewunderung einflößen, die mit weit mehrerem Interesse verbunden ist, als bloße theoretische Betrachtung wirken kann.

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Se si chiede perché mai ci importa di disporre in generale di una teologia, appare chiaro che essa non è necessaria per l’estensione o la correzione della nostra conoscenza naturale né in generale per una qualche teoria, ma esclusivamente per la religione, cioè in un intento soggettivo per l’uso pratico, vale a dire proprio morale, della ragione. Se ora si trova che l’unico argomento che conduce a un concetto determinato dell’oggetto della teologia è esso stesso morale, non solo questo non sorprenderà, ma non mancherà nemmeno nulla alla sufficienza del tener per vero che risulta da questo argomento nei confronti dell’intento finale della teologia stessa, se si riconosce che un tale argomento comprova a sufficienza l’esistenza di Dio soltanto per la nostra destinazione morale, cioè in un intento pratico, e che in esso la speculazione non prova affatto le proprie forze né estende in questo modo l’ambito 479 del proprio dominio. Anche la sorpresa, o la pretesa contraddizione tra la possibilità qui affermata di una teologia e ciò che la Critica della ragione speculativa diceva delle categorie, cioè che esse possono produrre conoscenza soltanto nella loro applicazione a oggetti dei sensi ma in nessun modo applicate al soprasensibile, scompariranno se le si vede qui utilizzate per una conoscenza di Dio non con un intento teoretico (rispetto a ciò che è in sé la sua natura per noi insondabile), bensì esclusivamente in un intento pratico. — Per mettere fine, in questa occasione, al fraintendimento di quella dottrina della Critica, che è decisamente necessaria, ma che anche, con disappunto del cieco dogmatico, riporta la ragione nei suoi limiti, aggiungo qui di seguito una sua delucidazione. Quando attribuisco a un corpo una f o r z a m o t r i c e , di conseguenza quando lo penso mediante la categoria della 483 c a u s a l i t à , in questo modo al contempo lo c o n o s c o , cioè determino il suo concetto come oggetto in generale mediante ciò che ad esso, in quanto oggetto dei sensi, gli spetta di per del mondo hanno in sé qualcosa di simile a un sentimento r e l i g i o s o . Tali cose, mediante una specie di valutazione analoga a quella morale, sembrano dunque agire dapprima sul sentimento morale (di riconoscenza e di venerazione verso la causa per noi ignota), e quindi, suscitando idee morali, sembrano agire sull’animo quando ispirano quell’ammirazione che è collegata con un interesse molto maggiore di quello che può esercitare una semplice considerazione teoretica.

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jener Relation) zukommt. Denn, ist die bewegende Kraft, die ich ihm beilege44, eine abstoßende: so kommt ihm (wenn ich gleich noch nicht einen andern, gegen den er sie ausübt, neben ihm setze) ein Ort im Raume, ferner eine Ausdehnung, d. i. Raum in ihm selbst, überdem Erfüllung desselben durch die abstoßenden Kräfte seiner Teile zu, endlich auch das Gesetz dieser Erfüllung (daß der Grad45 der Abstoßung der letzteren in derselben Proportion abnehmen müsse, als die Ausdehnung des Körpers wächst, und der Raum, den er mit denselben Teilen durch diese Kraft erfüllt, zunimmt). — Dagegen, wenn ich mir ein übersinnliches Wesen als den e r s t e n B e w e g e r, mithin durch die Kategorie der Kausalität in Ansehung derselben 480 Weltbestimmung (der Bewegung der Ma|terie), denke: so muß ich es nicht in irgend einem Orte im Raume, eben so wenig als ausgedehnt, ja ich darf es nicht einmal als in der Zeit und mit andern zugleich existierend denken. Also habe ich gar keine Bestimmungen, welche mir die Bedingung der Möglichkeit der Bewegung durch dieses Wesen als Grund verständlich machen könnten. Folglich erkenne ich dasselbe durch das Prädikat der Ursache (als ersten Beweger46) für sich nicht im mindesten: sondern ich habe nur die Vorstellung von einem Etwas, welches den47 Grund der Bewegungen in der Welt enthält; und die Relation desselben48 zu diesen, als deren Ursache, da sie mir sonst nichts zur Beschaffenheit des Dinges, welches Ursache ist, Gehöriges an die Hand gibt, läßt den Begriff von dieser ganz leer. Der Grund davon ist: weil ich mit Prädikaten, die nur in der Sinnenwelt ihr Objekt finden, zwar zu dem Dasein von etwas, was den Grund der letzteren enthalten muß, aber nicht zu der Bestimmung seines Begriffs als übersinnlichen Wesens, welcher alle jene Prädikate ausstößt, fortschreiten kann. Durch die Kategorie der Kausalität also, wenn ich sie durch den Begriff eines e r s t e n B e w e g e r s bestimme, erkenne ich, was Gott sei, nicht im mindesten; vielleicht aber wird es besser gelingen, wenn ich aus der Weltordnung Anlaß nehme, seine Kausalität, als die eines obersten Ve r s t a n d e s nicht bloß zu d e n k e n , sondern ihn auch durch diese Bestimmung des genannten Begriffs zu e r k e n n e n : weil da die lästige Bedingung

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sé (quale condizione della possibilità di quella relazione). Infatti, se la forza motrice che gli attribuisco è una forza repulsiva, ad esso spetta (anche se non gli pongo ancora accanto un altro corpo contro il quale esercitare tale forza) un luogo nello spazio e inoltre un’estensione, cioè uno spazio in esso stesso, e ancora il riempimento di questo spazio con le forze repulsive delle sue parti, infine anche la legge di tale riempimento (secondo la quale il grado della repulsione delle parti deve diminuire nella stessa proporzione in cui cresce l’estensione del corpo e aumenta lo spazio che esso riempie, con quelle stesse parti, mediante questa forza). — Al contrario, quando penso a un essere soprasensibile come il p r i m o m o t o r e , quindi mediante la categoria della causalità usata riguardo alla stessa determinazione del mondo (del movimento della materia), non devo pensarlo come situato in un qual- 480 che luogo nello spazio e tanto meno come esteso, anzi non posso nemmeno pensarlo come esistente nel tempo e al contempo con altri esseri. Dunque non dispongo affatto di alcuna determinazione che potrebbe permettermi di comprendere, attraverso questo essere inteso in quanto fondamento, la condizione della possibilità del movimento. Di conseguenza, mediante il predicato della causa (in quanto primo motore), non ottengo la minima conoscenza di questo essere considerato per se stesso, ma ho solo la rappresentazione di un qualcosa che contiene il fondamento dei movimenti del mondo; e la relazione di questo qualcosa con tali movimenti, in quanto loro causa, poiché essa non mi fornisce comunque nulla che appartiene alla costituzione della cosa che è causa, ne lascia il concetto del tutto vuoto. Il fondamento di questo sta nel fatto che con predicati che trovano il loro oggetto solo nel mondo sensibile posso certamente procedere fino all’esistenza di qualcosa che deve contenere il fondamento di questo mondo, ma non fino alla determinazione del suo concetto come essere soprasensibile che esclude tutti quei predicati. Dunque, mediante la categoria della causalità, quando la determino mediante il concetto di un p r i m o m o t o r e , non conosco minimamente che cos’è Dio; forse, però, arriverò a un risultato migliore se parto dall’ordine del mondo non soltanto per p e n s a r e la sua causalità come quella di un i n t e l l e t t o supremo, ma anche per c o n o s c e r l o mediante

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des Raumes und der Ausdehnung wegfällt. — Allerdings nötigt uns die große Zweckmäßigkeit49 in der Welt, eine oberste Ursache zu derselben und deren Kausalität als durch einen Ver484 stand zu || d e n k e n ; aber dadurch sind wir gar nicht befugt, ihr diesen b e i z u l e g e n (wie z. B. die Ewigkeit Gottes als Dasein zu aller Zeit zu denken, weil wir sonst gar uns50 keinen 481 Begriff vom bloßen Dasein als einer Größe, d. i. | als Dauer, machen können; oder die göttliche Allgegenwart als Dasein in allen Orten zu denken, um die unmittelbare Gegenwart für Dinge außer einander uns faßlich zu machen, ohne gleichwohl eine dieser Bestimmungen Gott, als etwas an ihm Erkanntes, beilegen zu dürfen). Wenn ich die Kausalität des Menschen in Ansehung gewisser Produkte, welche nur durch51 absichtliche Zweckmäßigkeit erklärlich sind, dadurch bestimme, daß ich sie als einen Verstand desselben denke: so brauche ich nicht dabei stehen zu bleiben, sondern kann ihm dieses Prädikat als wohlbekannte Eigenschaft desselben beilegen und ihn dadurch erkennen. Denn ich weiß, daß Anschauungen den Sinnen des Menschen gegeben, und durch den Verstand unter einen Begriff und hiemit unter eine Regel gebracht werden; daß dieser Begriff nur das gemeinsame Merkmal (mit Weglassung des Besondern) enthalte, und also diskursiv sei; daß die Regeln, um gegebene Vorstellungen unter ein Bewußtsein überhaupt zu bringen, von ihm noch vor jenen Anschauungen gegeben werden, u.s.w.: ich lege52 also diese Eigenschaft dem Menschen bei, als eine solche, wodurch ich ihn e r k e n n e . Will ich nun aber ein übersinnliches Wesen (Gott) als Intelligenz d e n k e n , so ist dieses in gewisser Rücksicht meines Vernunftgebrauchs nicht allein erlaubt, sondern auch unvermeidlich; aber ihm Verstand beizulegen, und es dadurch als durch eine Eigenschaft53 desselben e r k e n n e n zu können sich schmeicheln, ist keinesweges erlaubt: weil ich alsdann alle jene Bedingungen, unter denen ich allein einen Verstand kenne, weglassen muß, mithin das Prädikat, das nur zur Bestimmung des Menschen dient, auf ein übersinnliches Objekt gar nicht bezogen werden kann, und also durch eine so bestimmte Kausalität, was Gott sei, gar nicht erkannt werden kann. Und so geht es mit allen Kategorien, die gar keine Bedeutung zum Erkenntnis in theoretischer Rücksicht

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questa determinazione del concetto indicato perché, così, viene meno l’imbarazzante condizione dello spazio e dell’estensione. — Ad ogni modo la grande conformità al fine presente nel mondo ci costringe a p e n s a r e per essa una causa suprema la cui causalità si realizzi mediante un intelletto, ma 484 non per questo siamo autorizzati ad a t t r i b u i r l e un intelletto (come, per esempio, ci costringe a pensare l’eternità di Dio in quanto esistenza in ogni tempo, perché, altrimenti, non possiamo farci proprio alcun concetto della semplice esistenza come grandezza, cioè come durata; oppure siamo 481 costretti a pensare l’onnipresenza divina quale esistenza in ogni luogo per poterne cogliere la presenza immediata rispetto a cose esterne l’una all’altra, senza che tuttavia sia lecito attribuire una di queste determinazioni a Dio come qualcosa che è in lui conosciuto). Se, riguardo a certi prodotti che sono spiegabili solo mediante conformità intenzionale al fine, determino la causalità dell’uomo pensandola come un suo intelletto, non ho bisogno di fermarmi qui, ma posso attribuirgli questo predicato in quanto sua proprietà ben nota e in tal modo conoscerlo. Infatti, so che ai sensi dell’uomo sono date intuizioni e che esse sono ricondotte dall’intelletto sotto un concetto e quindi sotto una regola; che questo concetto contiene soltanto la nota comune (tralasciando il particolare) ed è dunque discorsivo; che le regole per ricondurre rappresentazioni date sotto una coscienza in generale sono fornite dall’intelletto, ancor prima di quelle intuizioni, ecc.: attribuisco così questa proprietà all’uomo come una proprietà mediante la quale lo c o n o s c o . Ma se ora voglio p e n s a r e un essere soprasensibile (Dio) come intelligenza, ciò non mi è soltanto permesso, considerando sotto un certo rispetto il mio uso della ragione, bensì è anche inevitabile; ma attribuirgli un intelletto e sentirsi lusingati di poterlo c o n o s c e r e , mediante questo intelletto inteso come una sua proprietà, non è assolutamente permesso: perché allora devo tralasciare tutte quelle condizioni sotto le quali soltanto conosco un intelletto, e di conseguenza il predicato che serve unicamente alla determinazione dell’uomo non può essere affatto riferito a un oggetto soprasensibile e dunque, mediante una causalità così determinata, non si può affatto conoscere che cosa è Dio. E in tal modo accade con tutte le categorie che non pos-

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482 ha ben können, wenn sie nicht auf Gegenstände möglicher Er-

fahrung angewandt werden. — Aber nach der Analogie mit einem Verstande kann ich, ja muß ich, mir wohl in gewisser anderer Rücksicht selbst ein übersinnliches Wesen denken, ohne es gleichwohl dadurch theoretisch erkennen zu wollen; wenn nämlich diese Bestimmung seiner Kausalität eine Wirkung in der Welt betrifft, die eine moralisch-notwendige, aber für Sinnenwesen unausführbare Absicht enthält: da alsdann ein Erkenntnis Gottes und seines Daseins (Theologie) durch bloß 485 nach || der Analogie an ihm gedachte Eigenschaften und Bestimmungen seiner Kausalität möglich ist, welches in praktischer Beziehung, aber auch n u r i n R ü c k s i c h t a u f d i e s e (als moralische), alle erforderliche Realität hat. — Es ist also wohl eine Ethikotheologie möglich; denn die Moral kann zwar mit ihrer Regel, aber nicht mit der Endabsicht, welche eben dieselbe auferlegt, ohne Theologie bestehen, ohne die Vernunft in Ansehung der letzteren im Bloßen zu lassen. Aber eine theologische Ethik (der reinen Vernunft) ist unmöglich; weil Gesetze, die nicht die Vernunft ursprünglich selbst gibt, und deren Befolgung sie als reines praktisches Vermögen auch bewirkt, nicht moralisch sein können. Eben so würde eine theologische Physik ein Unding sein, weil sie keine Naturgesetze sondern Anordnungen eines höchsten Willens vortragen würde; wogegen54 eine physische (eigentlich physisch-teleologische) Theologie doch wenigstens als Propädeutik zur eigentlichen Theologie dienen kann: indem sie durch die Betrachtung der Naturzwecke, von denen sie reichen Stoff darbietet, zur Idee eines Endzweckes, den die Natur nicht aufstellen kann, Anlaß gibt; mithin das Bedürfnis einer Theologie, die den Begriff von Gott für den höchsten praktischen Gebrauch der Vernunft zureichend bestimmte, zwar fühlbar machen, aber sie nicht hervorbringen und auf ihre Beweistümer zulänglich gründen kann.

NOTA GENERALE ALLA TELEOLOGIA

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sono, sotto il rispetto teoretico, avere alcun significato per la 482 conoscenza se non sono applicate a oggetti di esperienza possibile. — Ma per analogia con un intelletto posso, anzi devo pensare, a partire da un certo altro rispetto, anche un essere soprasensibile, senza tuttavia volerlo in questo modo conoscere teoreticamente; infatti, se questa determinazione della sua causalità concerne un effetto nel mondo che contiene un intento moralmente necessario ma inattuabile per esseri sensibili, ecco che allora una conoscenza di Dio e della sua esistenza (teologia) è possibile mediante proprietà e determinazioni della sua causalità che sono pensate in lui unicamente per analogia, cosa che possiede tutta la realtà richiesta in un 485 riferimento pratico, ma anche s o l o i n c o n s i d e r a z i o n e d i q u e s t o p u n t o d i v i s t a (in quanto morale). — Un’eticoteologia è quindi senza dubbio possibile; infatti la morale può certamente sussistere con la propria regola senza teologia, ma non con il proprio intento finale che proprio quella regola impone, a meno che non lasci sguarnita la ragione riguardo a quell’intento. Ma un’etica teologica (della ragione pura) è impossibile, perché le leggi che non sia la ragione stessa originariamente a dare e a far osservare in quanto facoltà pura pratica non possono essere morali. Ugualmente una fisica teologica sarebbe un assurdo, perché essa riporterebbe non leggi naturali, bensì ordinamenti di una volontà somma; per contro una teologia fisica (propriamente fisicoteleologica) può almeno servire come propedeutica alla teologia vera e propria, nella misura in cui, attraverso la considerazione dei fini naturali dei quali essa offre una ricca materia, fornisce l’occasione di elevarsi all’idea di un fine definitivo che la natura non può istituire; di conseguenza essa può certo far sentire il bisogno di una teologia che determini a sufficienza il concetto di Dio per il sommo uso pratico della ragione, ma non può produrla né fondarla in maniera sufficiente sulle proprie testimonianze.

Prima introduzione

Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft

alla

Prima introduzione Critica della forza di giudizio

Einleitung I. II.

Von der Philosophie als einem System. Von dem System der obern Erkenntnißvermögen, das der Philosophie zum Grunde liegt. III. Von dem System aller Vermögen des menschlichen Ge­ müths. IV. Von der Erfahrung als einem System für die Urtheilskraft. V. Von der reflectirenden Urtheilskraft. VI. Von der Zweckmäßigkeit der Naturformen als so viel be­ sonderer Systeme. VII. Von der Technick der Urtheilskraft als dem Grunde der Idee einer Technick der Natur. VIII. Von der Aesthetick des Beurtheilungsvermögens. IX. Von der teleologischen Beurtheilung. X. Von der Nachsuchung eines Princips der technischen Urt­ heilskraft. XI. Encyclopädische Introduction der Critik der Urtheilskraft in das System der Critik der reinen Vernunft. XII. Eintheilung der Critik der Urtheilskraft.

Introduzione I. Della filosofia come un sistema II. Del sistema delle facoltà superiori del conoscere che sta a fondamento della filosofia III. Del sistema di tutte le facoltà dell’animo umano IV. Dell’esperienza come un sistema per la forza di giudizio V. Della forza riflettente di giudizio VI. Della conformità delle forme della natura al fine conside­ rate come altrettanti sistemi particolari VII. Della tecnica della forza di giudizio come il fondamento dell’idea di una tecnica della natura VIII. Dell’estetica della facoltà di valutare IX. Della valutazione teleologica X. Della ricerca di un principio della forza tecnica di giudizio XI. Introduzione enciclopedica alla critica della forza di giu­ dizio nel sistema della critica della ragione pura XII. Divisione della critica della forza di giudizio

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Einleitung I. Von der Philosophie als einem System.

Wenn Philosophie das S y s t e m der Vernunfterkenntniß durch Begriffe ist, so wird sie schon dadurch von einer Critik der reinen Vernunft hinreichend unterschieden, als welche zwar eine philosophische Untersuchung der Möglichkeit einer dergleichen Erkenntniß enthält, aber nicht als Theil zu einem solchen System gehört, sondern so gar die Idee desselben allererst entwirft und prüfet. Die Eintheilung des Systems kann zuerst nur die in ihren for­ malen und materialen Theil seyn, davon der erste (die Logick) blos die Form des Denkens in einem System von Regeln befaßt, der zweyte (reale Theil) die Gegenstände darüber gedacht wird, so fern ein Vernunfterkenntniß derselben aus Begriffen möglich ist, systematisch in Betrachtung zieht. Dieses reale System der Philosophie selbst kann nun nicht anders als nach dem ursprünglichen Unterschiede ihrer Objec­ te und der darauf beruhenden wesentlichen Verschiedenheit der Principien einer Wissenschaft, die sie enthält, in t h e o r e t i s c h e und p r a c t i s c h e Philosophie eingetheilt werden; so, daß der eine Theil die Philosophie der Natur, der andere die der Sitten seyn muß, von denen die erstere auch empirische, die zweyte aber (da Freiheit schlechterdings kein Gegenstand der Erfahrung seyn kann) niemals andere als reine Principien a priori enthalten kann1. Es herrscht aber2 ein großer und selbst der Behandlungsart der Wissenschaft sehr nachtheiliger Misverstand in Ansehung dessen, was man für p r a c t i s c h , in einer solchen Bedeutung zu halten habe, daß es darum zu einer p r a c t i s c h e n P h i l o s o ­ p h i e gezogen zu werden verdiente. Man hat Staatsklugheit und Staatswirthschaft, Haushaltungsregeln, imgleichen die des Um­ 2 196 gangs, Vorschriften zum | Wohlbefinden und ∥ Diätetick, so wohl der Seele als des Körpers, (warum nicht gar alle Gewerbe und

Introduzione

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I. Della filosofia come un sistema Se la filosofia è il s i s t e m a della conoscenza razionale me­ diante concetti, ciò è già sufficiente per distinguerla da una critica della ragione pura, in quanto questa contiene certo una ricerca filosofica sulla possibilità di una simile conoscenza ma non è parte costitutiva di un tale sistema, bensì ne delinea ed esamina prima di tutto la stessa idea1. Innanzitutto il sistema della filosofia può essere diviso sol­ tanto in una parte formale e in una materiale: la prima (la lo­ gica) comprende soltanto la forma del pensiero in un sistema di regole, la seconda (parte reale) prende sistematicamente in considerazione gli oggetti sui quali si esercita il pensiero, nella misura in cui ne è possibile una conoscenza razionale a partire da concetti2. A sua volta questo sistema reale della filosofia non può che essere suddiviso in filosofia t e o r e t i c a e filosofia p r a t i c a , sulla base della distinzione originaria dei suoi oggetti e della essenziale diversità, che si fonda su tale distinzione, dei prin­ cipi di una scienza in essa contenuti; cosicché una parte deve essere la filosofia della natura, l’altra la filosofia dei costumi, delle quali la prima può contenere anche principi empirici3, la seconda, invece (dato che la libertà non può essere in alcun modo oggetto dell’esperienza), non può contenere altri princi­ pi che non siano principi puri a priori4. Regna tuttavia un grande equivoco, che pregiudica molto anche il modo di trattare la scienza, su ciò che si debba inten­ dere per p r a t i c o in un significato tale da meritare di riferirsi a una f i l o s o f i a p r a t i c a . Si è creduto di poter annoverare nella filosofia pratica l’abilità politica e l’economia politica, le regole dell’economia domestica e ad un tempo quelle del gala­ teo, le prescrizioni per il benessere e la dietetica, sia dell’anima 2196 sia del corpo (e perché non addirittura tutte le arti e mestieri?),

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

Künste?) zur practischen Philosophie zählen zu können geglaubt; weil sie doch insgesammt einen Innbegrif practischer Sätze ent­ halten. Allein practische Sätze sind zwar der Vorstellungsart, da­ rum aber nicht dem Innhalte nach von den theoretischen, welche die Möglichkeit der Dinge und ihre Bestimmungen enthalten, un­ terschieden, sondern nur die allein, welche die F r e y h e i t unter Gesetzen betrachten. Die übrigen insgesammt sind nichts weiter, als die Theorie von dem, was zur Natur der Dinge gehört, nur auf die Art, wie sie von uns nach einem Princip erzeugt werden können, angewandt, d. i. die Möglichkeit derselben durch eine willkührliche Handlung (die eben so wohl zu den Naturursa­ chen gehört) vorgestellt. So ist die Auflösung des Problems der Mechanick: zu einer gegebenen Kraft, die mit einer gegebenen Last im Gleichgewichte seyn soll, das Verhältniß der respectiven Hebelarme zu finden, zwar als practische Formel ausgedrückt, die aber nichts anders enthält als den theoretischen Satz: daß die Längen3 der letztern sich umgekehrt wie die erstern verhalten, wenn sie im Gleichgewichte sind; nur ist dieses Verhältniß, seiner Entstehung nach, durch eine Ursache, deren Bestimmungsgrund die Vo r s t e l l u n g jenes Verhältnisses ist (unsere Willkühr) als möglich vorgestellt. Eben so ist es mit allen practischen Sätzen bewandt, welche blos die Erzeugung der Gegenstände betreffen. Wenn Vorschriften seine Glückseeligkeit zu befördern gegeben werden und, z. B., nur von dem die Rede ist, was man an seiner eigenen Person zu thun habe um der Glückseeligkeit empfäng­ lich zu seyn, so werden nur die innere Bedingungen der Mög­ lichkeit derselben, an der Genügsamkeit, an dem Mittelmaße der Neigungen, um nicht Leidenschaft zu werden, u.s.w. als zur Na­ 3 tur des Subjects gehörig und zugleich | die Erzeugungsart dieses Gleichgewichts, als eine durch uns selbst mögliche Caussalität, folglich alles als unmittelbare Folgerung aus der Theorie des Ob­ jects in Beziehung auf die Theorie unserer eigenen Natur, (uns selbst als Ursache4) vorgestellt: mithin ist hier die practische Vor­ schrift zwar der Formel, aber nicht dem Innhalte nach, von einer 197 theoretischen5 unterschieden, bedarf also nicht einer6  ∥ beson­ dern7 Art von Philosophie, um diese Verknüpfung von Gründen mit ihren Folgen einzusehen. – Mit einem Worte: alle practischen Sätze, die dasjenige, was die Natur enthalten kan, von der Will­

i. della filosofia come un sistema

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e ciò perché contengono tutte quante in comune un complesso di proposizioni pratiche5. Soltanto che le proposizioni prati­ che si distinguono certamente in base alla specie di rappresen­ tazione, non però per il contenuto, da quelle teoretiche, che contengono la possibilità delle cose e le loro determinazioni, ad eccezione di quelle che considerano la l i b e r t à sotto leg­ gi. Tutte le altre non costituiscono nient’altro che la teoria di ciò che appartiene alla natura delle cose, la quale viene appli­ cata solo al modo in cui tali cose possono essere prodotte da noi secondo un principio, ossia al modo in cui la possibilità di queste cose è rappresentata mediante un’azione dell’arbitrio (che compete altrettanto bene alle cause naturali). Così la so­ luzione del seguente problema di meccanica: «data una forza che deve controbilanciare un peso dato, trovare il rapporto dei rispettivi bracci di leva» è certamente enunciata come una for­ mula pratica, la quale però non contiene altro che la seguente proposizione teoretica: «le lunghezze dei bracci sono inversa­ mente proporzionali a peso e forza quando sono in equilibrio». Soltanto che questo rapporto, rispetto al suo costituirsi, è rap­ presentato come possibile mediante una causa, il cui princi­ pio di determinazione è la r a p p r e s e n t a z i o n e del suddetto rapporto (il nostro arbitrio). La stessa cosa accade con tutte le proposizioni pratiche che riguardano unicamente la produzio­ ne degli oggetti. Se si danno dei precetti per incrementare la felicità e, per esempio, si tratta soltanto di considerare cosa si debba fare riguardo alla propria persona per predisporla alla felicità, allora sono rappresentate come appartenenti alla natu­ ra del soggetto solo le condizioni interne della possibilità della felicità – la sobrietà, la moderazione delle inclinazioni affinché non si trasformino in passioni, ecc. – e ad un tempo il modo 3 di produrre questo equilibrio è rappresentato come una causa­ lità che noi stessi rendiamo possibile, e quindi tutto è rappre­ sentato come un’inferenza immediata dalla teoria dell’oggetto messa in relazione con la teoria della nostra propria natura (noi stessi considerati come causa). Pertanto qui il precetto pratico si distingue certamente da quello teoretico secondo la formula ma non secondo il contenuto, e dunque non c’è bisogno di un tipo particolare di filosofia per scorgere questa connessione dei 197 principi con le loro conseguenze. In una parola: tutte le pro­ posizioni pratiche che ricavano dall’arbitrio, considerato come

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kühr als Ursache ableiten, gehören insgesammt zur theoretischen Philosophie, als Erkenntniß der Natur, nur diejenigen, welche der Freyheit das Gesetz geben, sind dem Innhalte nach specifisch von jenen unterschieden8. Man kann von den erstern sagen: sie machen den practischen Theil einer P h i l o s o p h i e d e r N a ­ t u r aus, die letztern aber gründen allein eine besondere p r a c t i ­ sche9 Philosophie. Anmerkung1 Es liegt viel daran die Philosophie nach ihren Theilen genau zu bestimmen und zu dem Ende nicht dasjenige, was nur Fol­ gerung oder Anwendung derselben auf gegebene Fälle ist, ohne besondere Principien zu bedürfen, unter die Glieder der Einthei­ lung derselben, als eines Systems, zu setzen. Practische Sätze werden von den theoretischen entweder in Ansehung der Principien oder der Folgerungen unterschieden. Im letztern Falle machen sie nicht einen besondern Theil der Wissenschaft aus, sondern gehören zum theoretischen, als eine besondere Art von Folgerungen aus derselben2. Nun ist die Mög­ lichkeit der Dinge nach Naturgesetzen von der nach Gesetzen der Freyheit ihren Principien nach wesentlich unterschieden. Dieser Unterschied besteht aber nicht darin, daß bey der letztern die Ursach in einem Willen gesetzt wird, bey der erstern aber außer demselben, in den Dingen selbst. Denn, wenn doch der | 4 Wille keine andern3 Principien befolgt, als die, von welchen der Verstand einsieht, daß der Gegenstand nach ihnen, als bloßen Naturgesetzen, möglich sey, so mag immer der Satz, der die Mög­ lichkeit des Gegenstandes durch Caussalität der Willkühr ent­ hält, ein practischer Satz heißen, er ist doch, dem Princip nach, von den theoretischen Sätzen, die die Natur der Dinge betreffen, 198 gar nicht unterschieden, vielmehr muß er das seine ∥ von dieser entlehnen, um die Vorstellung eines Objects in der Wirklichkeit darzustellen. Practische Sätze also, die dem Innhalte nach blos die Mög­ lichkeit eines vorgestellten Objects (durch willkührliche Hand­ lung) betreffen, sind nur Anwendungen einer vollständigen theoretischen Erkenntniß und können keinen besondern Theil

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causa, ciò che la natura può contenere, appartengono nel loro insieme alla filosofia teoretica intesa come conoscenza della na­ tura; da queste si distinguono specificamente per il contenuto solo quelle che conferiscono la legge alla libertà. Delle prime si può dire che costituiscono la parte pratica di una f i l o s o f i a d e l l a n a t u r a , delle seconde che esse sole fondano una f i l o ­ s o f i a p r a t i c a speciale. Nota È molto importante determinare esattamente quali siano le parti della filosofia e a tal fine non includere tra i membri della divisione della filosofia, come di un sistema, ciò che ne è sol­ tanto una conseguenza o un’applicazione a casi dati, senza che richieda principi particolari. Le proposizioni pratiche si distinguono da quelle teoretiche o rispetto ai principi o rispetto alle conseguenze. In quest’ulti­ mo caso esse non costituiscono una parte speciale della scien­ za, ma appartengono alla parte teoretica, come una specie par­ ticolare di conseguenze che derivano da questa parte. Ora, la possibilità delle cose che procede secondo leggi di natura si distingue essenzialmente, quanto ai suoi principi, dalla possi­ bilità delle cose stabilita secondo leggi della libertà. Tale distin­ zione non consiste però nel fatto che in queste ultime la causa sia posta in una volontà, mentre nelle prime sia situata fuori di essa, nelle cose stesse. Infatti se la volontà non segue altri prin­ 4 cipi se non quelli grazie ai quali l’intelletto scorge che l’oggetto è possibile in base a essi come semplici leggi di natura, allora la proposizione che designa la possibilità dell’oggetto come deri­ vante dalla causalità dell’arbitrio può essere sempre designata come una proposizione pratica: ma, quanto al suo principio, essa non si distingue affatto dalle proposizioni teoretiche che riguardano la natura delle cose; piuttosto deve mutuare il suo 198 principio da tale natura per esibire la rappresentazione di un oggetto nella realtà effettiva. Di conseguenza, le proposizioni pratiche che, quanto al loro contenuto, riguardano soltanto la possibilità di un oggetto rappresentato (mediante un’azione arbitraria) sono unicamen­ te applicazioni di una conoscenza teoretica completa e non

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einer Wissenschaft ausmachen. Eine practische Geometrie, als abgesonderte Wissenschaft, ist ein Unding: obgleich noch so viel practische Sätze in dieser reinen Wissenschaft enthalten sind, de­ ren die meisten als Probleme einer besonderen Anweisung zur Auflösung bedürfen. Die Aufgabe: mit einer gegebenen Lienie und einem gegebenen rechten Winkel ein Quadrat zu construi­ ren, ist ein practischer Satz, aber reine Folgerung aus der Theo­ rie. Auch kann sich die Feldmeßkunst (agrimensoria) den Na­ men einer practischen G e o m e t r i e keineswegs anmaßen und ein besonderer Theil der Geometrie überhaupt heissen, sondern gehört in Scholien der letzteren, nämlich den Gebrauch dieser Wissenschaft zu Geschäften*. Selbst in einer Wissenschaft der Natur, so fern sie auf em­ pirischen Principien beruht, nämlich der eigentlichen Physik, können die practischen Vorrichtungen5, um verborgene Naturge­ setze zu entdecken, unter dem Namen der Experimentalphysik, zu der Benennung einer practischen Physik (die eben so wohl ein 199 Unding ist), als eines Theils der Natur∥philosophie, keinesweges berechtigen. Denn die Principien, wornach wir Versuche anstel­ 5 len, müssen immer selbst aus der | Kenntniß der Natur, mithin aus der Theorie hergenommen werden. Eben das gilt von den practischen Vorschriften, welche die willkührliche Hervorbrin­ gung eines gewißen Gemüthszustandes, in uns betreffen (z. B. den der Bewegung oder Bezähmung der Einbildungskraft, die Befriedigung oder Schwächung der Neigungen). Es giebt keine practische P s y c h o l o g i e , als besondern Theil der Philosophie über die menschliche Natur. Denn die Principien der Möglich­ keit eines6 Zustandes, vermittelst der Kunst, müßen von denen

* Diese reine und eben darum erhabene Wissenschaft scheint sich et­ was von ihrer Würde zu vergeben, wenn sie gesteht, daß sie, als Elementar­ geometrie, obzwar nur zwey, We r k z e u g e zur Construction ihrer Begriffe brauche, nämlich den Zirkel und das Lineal, welche Construction sie allein geometrisch, die der höheren Geometrie dagegen mechanisch nennt, weil zu der Construction der Begriffe der letzteren zusammengesetztere4 Maschi­ nen erfodert werden. Allein man versteht auch unter den ersteren nicht die wirkliche Werkzeuge (circinus et regula), welche niemals mit mathematischer Praecision jene Gestalten geben könnten, sondern sie sollen nur die einfachs­ te Darstellungsarten der Einbildungskraft a priori bedeuten, der kein Instru­ ment es gleich thun kan.

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possono costituire alcuna parte speciale di una scienza. Una geometria pratica, come scienza a sé stante, è un’assurdità: e ciò accade benché in questa scienza pura sia ancora contenuto un così gran numero di proposizioni pratiche, la maggior parte delle quali, in quanto problemi, richiede un metodo specifico di risoluzione6. Il problema seguente: «costruire un quadrato a partire da una linea data e un angolo retto dato» è una propo­ sizione pratica, ma è una pura conseguenza derivante dalla teo­ ria. Anche l’agrimensura (agrimensoria) non può rivendicare in alcun modo il titolo di g e o m e t r i a pratica né designarsi come una parte speciale della geometria in generale, ma fa par­ te degli scolii di quest’ultima, e precisamente dell’uso di questa scienza per attività pratiche*. Anche in una scienza della natura, purché essa si basi su principi empirici, cioè nella fisica propriamente detta, i dispo­ sitivi pratici impiegati per scoprire le leggi nascoste della natu­ ra, che vanno sotto il nome di fisica sperimentale, non possono in alcun modo autorizzare a parlare di una fisica pratica (che è ugualmente un’assurdità) come se fosse una parte della filo­ 199 sofia della natura7. Infatti, i principi secondo i quali eseguiamo gli esperimenti devono sempre essere necessariamente ricavati 5 dalla conoscenza della natura, quindi dalla teoria. La stessa cosa vale per i precetti pratici riguardanti la produzione arbitraria in noi di un determinato stato d’animo (per esempio quello che mette in movimento o tiene a freno la forza di immaginazione, quello che appaga o indebolisce le inclinazioni). Non esiste al­ cuna p s i c o l o g i a pratica come parte speciale della filosofia riguardante la natura umana. Infatti, i principi della possibilità di produrre ad arte uno stato d’animo devono necessariamente * Questa scienza pura, e proprio per questo sublime, sembra perdere qualcosa della sua dignità quando ammette come geometria elementare di aver bisogno, per costruire i suoi concetti, di s t r u m e n t i , seppure solo di due, cioè il compasso e la riga: essa chiama geometrica unicamente tale co­ struzione, designando invece meccanica quella della geometria superiore, perché quest’ultima esige, per la costruzione dei suoi concetti, macchine più complesse. Solo che quando si menzionano quei primi strumenti, non si intendono quelli reali (circinus et regula), i quali non potrebbero mai produrre quelle figure con una precisione matematica; devono al contra­ rio indicare a priori i più semplici modi di esibizione della forza di imma­ ginazione che nessuno strumento può eguagliare.

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der Möglichkeit unserer Bestimmungen7 aus der Beschaffenheit unserer Natur entlehnt werden und, obgleich jene in practischen Sätzen bestehen, so machen sie doch keinen practischen Theil der empirischen Psychologie aus, weil sie keine besondere Prin­ cipien haben, sondern gehören blos zu den Scholien derselben. Überhaupt gehören die practischen Sätze (sie mögen rein a priori, oder empirisch sein), wenn sie unmittelbar die Möglich­ keit eines Objects durch unsere Willkühr aussagen, jederzeit zur Kenntniß der Natur und dem theoretischen Theile der Philoso­ phie. Nur die, welche direct die Bestimmung einer Handlung, blos durch die Vorstellung ihrer Form (nach Gesetzen über­ haupt), ohne Rücksicht auf die Mittel8 des dadurch zu bewirken­ den Objects, als nothwendig darstellen, können und müssen ihre eigenthümliche Principien (in der Idee der Freiheit) haben, und, ob sie gleich auf eben diese Principien den Begrif eines Objects des Willens (das höchste Gut) gründen, so gehört dieses doch nur indirect, als Folgerung, zu der practischen Vorschrift (welche nunmehr sittlich heißt)9. Auch kann die Möglichkeit desselben durch die Kenntniß der Natur (Theorie) nicht eingesehen wer­ den. Nur jene Sätze gehören also allein zu einem besondern Thei­ le eines Systems der Vernunfterkenntnisse10, unter dem Namen der practischen Philosophie. | Alle übrige Sätze der Ausübung, an welche Wissenschaft sie 6 sich auch immer anschließen mögen, können, wenn man etwa 200 Zweydeutigkeit  ∥ besorgt, statt practischer, t e c h n i s c h e Sätze heißen. Denn sie gehören zur K u n s t , das zu stande zu bringen, wovon man will, daß es seyn soll, die, bey einer vollständigen The­ orie, jederzeit eine bloße Folgerung und kein für sich bestehender Theil irgend einer Art von Anweisung ist. Auf solche Weise gehö­ ren alle Vorschriften der Geschicklichkeit zur Te c h n i c k * und mithin zur theoretischen Kenntniß der Natur als11 Folgerungen

* Hier ist der Ort einen Fehler zu verbessern, den ich in der Grundl. zur Met. der Sitten beging. Denn, nachdem ich von den Imperativen der Geschicklichkeit gesagt hatte, daß sie nur bedingterweise und zwar unter der Bedingung blos möglicher, d . i . p r o b l e m a t i s c h e r, Zwecke geböten, so nannte ich dergleichen practische Vorschriften problematische Imperativen, in welchem Ausdruck freylich ein Widerspruch liegt. Ich hätte sie t e c h ­ n i s c h , d. i. Imperativen der Kunst nennen sollen. Die p r a g m a t i s c h e ,

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essere mutuati da quelli in virtù dei quali la possibilità delle nostre determinazioni procede dalla costituzione della nostra natura, e sebbene quei principi consistano in proposizioni pra­ tiche, essi non formano comunque una parte pratica della psi­ cologia empirica, perché non possiedono principi speciali, ma appartengono semplicemente agli scolii di questa. In generale le proposizioni pratiche (siano esse pure a prio­ ri o empiriche), quando enunciano immediatamente la possi­ bilità di un oggetto mediante il nostro arbitrio, appartengono sempre alla conoscenza della natura e alla parte teoretica della filosofia. Solo quelle proposizioni che esibiscono direttamente come necessaria la determinazione di un’azione, unicamente mediante la rappresentazione della sua forma (secondo leggi in generale), a prescindere dai mezzi per realizzare l’oggetto, possono e devono avere i loro principi specifici (nell’idea della libertà) e, benché esse fondino precisamente su questi principi il concetto di un oggetto della volontà (il sommo bene), que­ sto oggetto appartiene tuttavia solo in modo indiretto, come conseguenza, al precetto pratico (che ora prende il nome di morale). Ugualmente la sua possibilità non può essere scorta mediante la conoscenza della natura (teoria). Soltanto quelle proposizioni appartengono dunque a una parte speciale di un sistema delle conoscenze razionali che va sotto il nome di filo­ sofia pratica. Per evitare una certa ambiguità, tutte le restanti proposizio­ 6 ni relative all’applicazione della teoria, qualunque sia la scienza alla quale esse siano collegate, si possono chiamare, invece che 200 pratiche, proposizioni t e c n i c h e . Infatti, esse appartengono all’a r t e 8 di realizzare ciò che si vuole che avvenga, la quale arte, in una teoria completa, è sempre una mera conseguenza e non è una parte a sé stante di un qualsiasi tipo di disposizione9. In tal modo tutti i precetti dell’abilità appartengono alla t e c ­ n i c a * e quindi alla conoscenza teoretica della natura in quan­ * Questo è il luogo per correggere un errore nel quale sono incorso nella Fondazione della metafisica dei costumi. Infatti, dopo aver detto degli imperativi dell’abilità che essi comandano solo in modo condizionato e precisamente sotto la condizione di fini meramente possibili, cioè p r o ­ b l e m a t i c i , ho chiamato tali precetti pratici «imperativi problematici» – usando un’espressione nella quale c’è senza dubbio una contraddizione. Avrei dovuto chiamarli imperativi t e c n i c i , cioè imperativi dell’arte. Gli

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derselben. Wir werden uns aber künftig des Ausdrucks der Tech­ nick auch bedienen, wo Gegenstände der Natur bisweilen blos nur so b e u r t h e i l t werden, a l s o b ihre Möglichkeit sich auf Kunst gründe, in welchen Fällen die Urtheile weder theoretisch 201 noch practisch (in der zuletzt angeführten ∥ Bedeutung) sind, in­ dem sie nichts von der Beschaffenheit des Objects, noch der Art es hervorzubringen b e s t i m m e n , sondern wo durch15 die Natur selbst, aber blos nach der Analogie mit einer Kunst, und zwar in subjectiver Beziehung auf unser Erkenntnißvermögen, nicht in objectiver auf16 die Gegenstände, beurtheilt wird. Hier werden wir nun die Urtheile selbst zwar nicht technisch, aber doch die Urtheilskraft, auf deren Gesetze sie sich gründen, und ihr gemäß auch die Natur, technisch nennen, welche Technick, da sie keine objectiv bestimmende Sätze enthält, auch keinen Theil der doc­ trinalen Philosophie, sondern nur der Critik unserer Erkenntniß­ vermögen17 ausmacht. | 7

II. Von dem System der obern Erkenntnissvermögen, das der Philosophie zum Grunde liegt. Wenn die Rede nicht von der Eintheilung einer P h i l o s o ­ p h i e , sondern unseres E r k e n n t n i ß v e r m ö g e n s a p r i o r i d u r c h B e g r i f f e (des oberen) ist, d. i. von einer Critick der reinen Vernunft, aber nur nach ihrem Vermögen zu denken be­ trachtet, (wo die reine Anschauungsart nicht in Erwägung gezo­ gen wird) so fällt die systematische Vorstellung des Denkungs­

oder Regeln der Klugheit, welche unter der Bedingung eines w i r k l i c h e n und so gar subjectiv-nothwendigen Zweckes gebieten, stehen nun zwar auch unter den technischen (denn was ist Klugheit anders, als Geschicklichkeit freie Menschen und unter diesen so gar die11 Naturanlagen und Neigungen in sich selbst, zu seinen Absichten brauchen zu können). Allein daß der Zweck, den wir uns und andern unterlegen, nämlich eigene Glückseeligkeit, nicht unter die blos beliebigen Zwecke gehöret, berechtigt zu einer beson­ dern Benennung dieser technischen Imperativen; weil die Aufgabe nicht blos, wie bey technischen, die Art der Ausführung eines Zwecks, sondern auch die Bestimmung dessen, was diesen Zwek selbst (die Glückseeligkeit) ausmacht, fodert12, welches bey allgemeinen technischen Imperativen als be­ kannt vorausgesetzt werden muß13.

ii. Del sistema delle facoltà superiori del conoscere

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to sue conseguenze10. Ma in seguito ci serviremo del termine «tecnica» anche laddove oggetti della natura sono talvolta v a ­ l u t a t i solo c o m e s e la loro possibilità si fondasse sull’arte: in tali casi i giudizi non sono né teoretici né pratici (nel significato appena indicato), per il fatto che non d e t e r m i n a n o nulla 201 né riguardo alla costituzione dell’oggetto né riguardo al modo di produrlo; bensì con questi giudizi viene valutata la natura stessa, ma solo in analogia con un’arte, e precisamente in una relazione soggettiva con le nostre facoltà conoscitive, e non in una relazione oggettiva con gli oggetti. Certo, qui non chia­ meremo «tecnici» i giudizi stessi, ma piuttosto chiameremo «tecnica» la forza di giudizio, sulle leggi della quale i giudizi si fondano, come pure la natura nella sua conformità ad essa: tale tecnica, poiché non contiene proposizioni oggettivamente determinanti, non costituisce nemmeno una parte della filoso­ fia dottrinale, ma soltanto una parte della critica delle nostre facoltà conoscitive11. II. Del sistema delle facoltà superiori del conoscere che sta a fondamento della filosofia

Se si tratta di dividere non una f i l o s o f i a , ma la nostra facoltà del conoscere a priori mediante concetti (la facoltà superiore), cioè se si tratta di una critica della ra­ gione pura, considerata però soltanto in base alla sua facoltà di pensare (dove il modo puro dell’intuizione non è preso in considerazione), la rappresentazione sistematica della facoltà imperativi p r a g m a t i c i , o regole della prudenza, che comandano sotto la condizione di un fine r e a l e e persino soggettivamente necessario, rien­ trano certo anch’essi negli imperativi tecnici (infatti cos’altro è la pruden­ za se non l’abilità di potersi servire per i propri intenti di uomini liberi, incluse addirittura le loro disposizioni naturali e le loro inclinazioni?). Il fatto però che il fine che noi attribuiamo a noi stessi e agli altri, e cioè la fe­ licità personale, non rientri nei fini meramente arbitrari, ci autorizza a una denominazione particolare di questi imperativi tecnici; infatti, in questo caso, il compito non esige semplicemente, come per gli imperativi tecnici, di trovare il modo per realizzare un fine, ma anche la determinazione di ciò che costituisce questo stesso fine (la felicità), che nel caso degli impe­ rativi tecnici generali deve essere presupposto come noto.

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vermögens dreytheilig aus, nämlich erstlich in das Vermögen der Erkenntniß des A l l g e m e i n e n (der Regeln), d e n Ve r s t a n d , zweytens das Vermögen der S u b s u m t i o n d e s B e s o n d e r n unter das Allgemeine, d i e U r t h e i l s k r a f t , und drittens das Vermögen der B e s t i m m u n g des Besondern durch das Allge­ meine (der Ableitung von Principien), d . i . d i e Ve r n u n f t . ∥ Die Critik der reinen t h e o r e t i s c h e n Vernunft, welche den 202 Quellen alles Erkenntnisses a priori (mithin auch dessen, was in ihr zur Anschauung gehört) gewidmet war, gab die Gesetze der N a t u r, die Critik der p r a c t i s c h e n Vernunft das Gesetz der F r e i h e i t an die Hand und so scheinen die Principien a priori für die ganze Philosophie jetzt schon vollständig abgehandelt zu seyn. Wenn nun aber der Verstand a priori Gesetze der Natur, dage­ gen Vernunft Gesetze der Freiheit an die Hand giebt, so ist doch nach der Analogie zu erwarten: daß die Urtheilskraft, welche beider Vermögen ihren Zusammenhang vermittelt, auch eben so wohl wie jene ihre eigenthümliche Principien a priori dazu hergeben und viel­ leicht zu einem besonderen Theile der Philosophie den Grund legen werde, und gleichwohl kan diese als System nur zweytheilig seyn. Allein Urtheilskraft ist ein so besonderes, gar nicht selbständi­ ges Erkenntnißvermögen, daß es weder, wie der Verstand, Begrif­ fe, noch, wie die Vernunft, Ideen, von irgend einem Gegenstande giebt, weil es ein Vermögen ist, blos unter anderweitig gegebene 8 Begriffe zu subsumiren. | Sollte also ein Begrif oder Regel, die ursprünglich aus der Urtheilskraft entsprängen, statt finden, so müßte es ein Begrif von Dingen der Natur seyn, s o f e r n d i e s e s i c h n a c h u n s e r e r U r t h e i l s k r a f t r i c h t e t und also von einer solchen Beschaffenheit der Natur, von welcher man sich sonst1 gar keinen Begrif machen kan, als nur daß sich ihre Ein­ richtung nach unserem Vermögen richte, die besondern gegebe­ nen Gesetze unter allgemeinere, die doch nicht gegeben sind, zu subsumiren2; mit anderen Worten, es müßte der Begrif von einer Zweckmäßigkeit der Natur zum Behuf unseres Vermögens seyn sie zu erkennen, so fern dazu erfodert3 wird, daß wir das Beson­ 203 dere als unter dem Allgemeinen enthalten ∥ beurtheilen und es unter den Begrif einer Natur subsumiren können. Ein solcher Begrif ist nun der, einer Erfahrung a l s S y s ­ t e m s n a c h e m p i r i s c h e n G e s e t z e n . Denn obzwar diese nach t r a n s c e n d e n t a l e n G e s e t z e n , welche die Bedingung der Möglichkeit der Erfahrung überhaupt enthalten, ein System

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di pensare si articola in tre parti: in primo luogo nella facoltà di conoscere l’u n i v e r s a l e (le regole), l ’ i n t e l l e t t o ; in secon­ do luogo nella facoltà di s u s s u m e r e i l p a r t i c o l a r e sotto l’universale, l a f o r z a d i g i u d i z i o ; e in terzo luogo nella facoltà di d e t e r m i n a r e il particolare mediante l’universale (della derivazione a partire da principi), cioè l a r a g i o n e 12. La critica della ragione pura t e o r e t i c a , che era dedicata 202 alle fonti di tutta la conoscenza a priori (di conseguenza anche alle fonti di ciò che in tale critica appartiene all’intuizione), for­ nì le leggi della n a t u r a , la critica della ragione p r a t i c a fornì la legge della l i b e r t à , e così sembra che i principi a priori per l’intera filosofia siano già stati trattati esaustivamente. Ora, però, se l’intelletto fornisce a priori leggi della natura, mentre la ragione fornisce leggi della libertà, per analogia ci si deve attendere che la forza di giudizio, che media la connes­ sione che unisce le due facoltà, fornisca anch’essa, esattamente come queste, i suoi propri principi a priori e forse ponga la base per una parte speciale della filosofia – la quale ciò nono­ stante, in quanto sistema, possa essere divisa solo in due parti. Ma la forza di giudizio è una facoltà conoscitiva così par­ ticolare, per nulla a sé stante, da non dare né concetti (come l’intelletto) né idee (come la ragione) di alcun oggetto, perché è una facoltà di sussumere unicamente sotto concetti dati per altra via. Così, se dovessero esserci un concetto o una regola 8 sorti originariamente dalla forza di giudizio, dovrebbe trattarsi di un concetto di cose della n a t u r a , i n q u a n t o q u e s t a s i r e g o l a s e c o n d o l a n o s t r a f o r z a d i g i u d i z i o , e quindi di una peculiare costituzione della natura tale che di essa non ci si può fare altro concetto, se non considerando che il suo ordinamento si regoli secondo la nostra facoltà di sussumere le particolari leggi date sotto leggi più generali che però non sono date13; in altri termini, dovrebbe essere il concetto di una conformità della natura al fine, in vista della nostra facoltà di conoscerla, in quanto a questo scopo ci è richiesto di poter va­ lutare il particolare come contenuto nell’universale e di poterlo 203 sussumere sotto il concetto di una natura. Ora, un tale concetto è quello di una esperienza c o m e s i ­ s t e m a s e c o n d o l e g g i e m p i r i c h e . Infatti, benché que­ sta esperienza costituisca un sistema s e c o n d o l e g g i t r a ­ s c e n d e n t a l i , che contengono la condizione della possibilità

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ausmacht: so ist doch von4 empirischen Gesetzen eine s o u n ­ e n d l i c h e M a n n i g f a l t i g k e i t und eine so g r o ß e H e t e r o ­ g e n e i t ä t d e r F o r m e n der Natur, die zur besondern Erfah­ rung gehören würden, möglich, daß der Begrif von einem System nach diesen (empirischen) Gesetzen dem Verstande ganz fremd seyn muß, und weder die Möglichkeit, noch weniger aber die Nothwendigkeit eines solchen Ganzen begriffen werden kann. Gleichwohl aber bedarf die besondere, durchgehends nach be­ ständigen Principien zusammenhängende Erfahrung auch diesen systematischen Zusammenhang empirischer Gesetze, damit es für die Urtheilskraft möglich werde, das besondere unter das All­ gemeine, wie wohl immer noch empirische und so fort an, bis zu den obersten empirischen Gesetzen und denen ihnen gemäßen Naturformen zu subsumiren5, mithin das A g g r e g a t besonderer Erfahrungen als S y s t e m derselben zu betrachten; denn ohne diese Voraussetzung kann kein durchgängig gesetzmäßiger Zu­ 9 sammenhang* | d. i. empirische Einheit derselben statt finden. ∥ Diese an sich (nach allen Verstandesbegriffen) zufällige Ge­ 204 setzmäßigkeit, welche die Urtheilskraft (nur ihr selbst zu Guns­ ten) von der Natur präsumirt und an ihr voraussetzt, ist eine for­

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* Die Möglichkeit einer Erfahrung überhaupt ist die Möglichkeit empiri­ scher Erkenntnisse als synthetischer Urtheile. Sie kan also nicht a n a l y t i s c h aus bloßen verglichenen Warnehmungen gezogen werden (wie man gemei­ niglich glaubt) denn die Verbindung zweyer verschiedenen Warnehmungen in dem Begriffe eines Objects (zum Erkenntnis desselben) ist eine S y n t h e ­ s i s welche nicht anders als nach Principien der synthetischen Einheit der Erscheinungen, d. i. nach Grundsatzen wodurch sie unter die Categorien ge­ bracht werden ein empirisches E r k e n n t n i ß d. i. Erfahrung möglich macht. Diese empirische Erkenntnisse nun machen nach dem was sie nothwendi­ gerweise gemein haben ∥ (nämlich jene transscendentale Gesetze der Natur) eine analytische Einheit aller Erfahrung aber nicht diejenige synthetische Einheit der Erfahrung als eines Systems aus welche die empirische Gesetze auch nach dem was sie Verschiedenes haben (und wo die Mannigfaltigkeit derselben ins Unendliche gehen kan) unter einem Princip verbindet. Was die Categorie in Ansehung jeder besonderen Erfahrung ist das ist nun die Zweckmäßigkeit oder Angemessenheit der Natur (auch in Ansehung ihrer besonderen Gesetze) zu unserem Vermögen der Urtheilskraft wornach sie nicht blos als mechanisch sondern auch als technisch vorgestellt wird; ein Begrif der freylich nicht so wie die Categorie die synthetische Einheit obiec­ tiv bestimmt aber doch subiectiv Grundsätze abgiebt die der Nachforschung der Natur zum Leitfaden dienen.

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dell’esperienza in generale, tuttavia è comunque possibile una m o l t e p l i c i t à t a l m e n t e i n f i n i t a di leggi empiriche e una eterogeneità talmente grande delle forme della n a t u r a , le quali apparterrebbero all’esperienza particolare, che il concetto di un sistema secondo queste leggi (empiriche) deve essere totalmente estraneo all’intelletto e non si possono concepire né la possibilità né ancor meno la necessità di una totalità di questo tipo. Eppure l’esperienza particolare, inte­ ramente connessa secondo principi costanti, richiede anche questa connessione sistematica di leggi empiriche, affinché di­ venga possibile alla forza di giudizio sussumere il particolare sotto l’universale, benché questo resti ancora empirico e con­ tinui ad esserlo, fino alle leggi empiriche supreme e alle forme della natura che si conformano a tali leggi, e quindi divenga possibile considerare l’a g g r e g a t o delle esperienze particolari come s i s t e m a delle stesse; infatti senza questo presupposto non può avere luogo alcuna connessione completamente con­ forme a leggi* , cioè alcuna unità empirica di tali esperienze. 9 Questa conformità alla legge in sé contingente (secondo 204 tutti i concetti dell’intelletto) che la forza di giudizio (unica­ mente a proprio vantaggio) presume dalla natura e presuppo­ * La possibilità di un’esperienza in generale è la possibilità di cono­ scenze empiriche in quanto giudizi sintetici. Tale possibilità non può quin­ di essere tratta a n a l i t i c a m e n t e da mere percezioni comparate (come si crede comunemente), poiché il collegamento di due diverse percezioni nel concetto di un oggetto (in vista della sua conoscenza) è una s i n t e s i che non rende possibile altro se non una c o n o s c e n z a empirica, cioè un’esperienza secondo principi dell’unità sintetica dei fenomeni, vale a dire secondo principi mediante i quali i fenomeni sono ricondotti sotto le categorie. Ora, queste conoscenze empiriche costituiscono, secondo ciò che esse hanno necessariamente in comune (ossia quelle leggi trascenden­ tali della natura), un’unità analitica di tutta l’esperienza, ma non quell’u­ nità sintetica dell’esperienza come un sistema che collega sotto un unico principio le leggi empiriche anche per ciò che hanno di diverso (e dove la loro molteplicità può procedere all’infinito). Ciò che è la categoria ri­ guardo a ogni esperienza particolare, lo è ora la conformità o adeguatezza della natura al fine (anche in considerazione delle sue leggi particolari) nei confronti della nostra facoltà della forza di giudizio, secondo la quale la natura è rappresentata non soltanto come meccanica, ma anche come tec­ nica; concetto, questo, che di certo non determina oggettivamente, come fa la categoria, l’unità sintetica, ma che comunque fornisce soggettivamen­ te principi che servono da filo conduttore per l’indagine della natura.

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male Zweckmäßigkeit der Natur, die wir an ihr schlechterdings a n n e h m e n , wodurch aber weder ein theoretisches Erkenntniß der Natur, noch ein practisches Princip der Freyheit gegründet, gleichwohl aber doch für die Beurtheilung und Nachforschung der Natur ein Princip gegeben wird, um zu besondern Erfahrun­ gen die allgemeine6 Gesetze zu suchen, nach welchem wir sie an­ zustellen haben, um jene systematische Verknüpfung heraus zu bringen, die zu einer zusammenhängenden Erfahrung nothwen­ dig ist, und die wir a priori anzunehmen Ursache haben7. Der ursprünglich aus der Urtheilskraft entspringende und ihr eigenthümliche Begrif ist also der von der Natur als K u n s t , mit andern Worten der Te c h n i c k d e r N a t u r in Ansehung ihrer b e s o n d e r e n Gesetze, welcher Begrif keine Theorie begründet und, eben so wenig, wie die Logick, Erkenntniß der Objecte und ihrer Beschaffenheit enthält, sondern nur zum Fortgange nach 205 Erfahrungsgesetzen, dadurch die Nach∥forschung der Natur möglich wird, ein Princip giebt. Hierdurch aber wird die Kennt­ niß der Natur mit keinem besondern obiectiven Gesetze berei­ chert, sondern nur für die Urtheilskraft eine Maxime gegründet, sie darnach zu beobachten und die Formen der Natur damit zu­ sammen zu halten8. Die Philosophie, als doctrinales System der Erkenntnis der Natur so wohl als Freyheit, bekommt hiedurch nun keinen neuen Theil; denn die Vorstellung der Natur als Kunst ist eine bloße Idee, die unserer Nachforschung derselben mithin blos dem Sub­ iecte zum Princip dient, um in das Aggregat empirischer Gesetze, als solcher, wo möglich einen Zusammenhang, als in einem Sys­ tem, zu bringen, indem wir der Natur eine Beziehung auf dieses unser Bedürfnis beylegen. Dagegen wird unser Begrif von einer Technik der Natur, als ein hevristisches Princip in Beurtheilung derselben, zur Critik unseres Erkenntnisvermögens gehören, die anzeigt, welche Veranlassung wir haben uns von ihr eine solche Vorstellung zu machen, welchen Ursprung diese Idee habe und ob sie in einer Qvelle a priori anzutreffen, imgleichen welches der Umfang und Grentze9 des Gebrauchs derselben sey; mit einem Wort eine solche Untersuchung wird als Theil zum System der Critik der reinen Vernunft, nicht aber der doctrinalen Philoso­ phie gehören10. |

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ne in essa è una conformità formale della natura al fine, che noi vi a m m e t t i a m o assolutamente, ma sulla quale non sono fondate né una conoscenza teoretica della natura né un prin­ cipio pratico della libertà, benché però sia dato un principio per valutare e investigare la natura al fine di cercare le leggi universali per le esperienze particolari, un principio secondo il quale noi dobbiamo organizzare tali esperienze, per produrre quella connessione sistematica che è necessaria a un’esperienza coerente e che abbiamo motivo di ammettere a priori. Il concetto che sorge originariamente dalla forza di giudi­ zio, e che le è proprio, è dunque quello della natura come a r t e , in altre parole è il concetto della t e c n i c a d e l l a n a t u r a ri­ guardo alle sue leggi p a r t i c o l a r i , il quale non fonda alcuna teoria e contiene tanto poco quanto la logica una conoscenza degli oggetti e della loro costituzione, ma offre solamente un principio per procedere secondo le leggi dell’esperienza gra­ zie alle quali diventa possibile l’indagine della natura14. Tut­ 205 tavia, in tal modo, la conoscenza della natura non si è affatto arricchita di alcuna particolare legge oggettiva, ma si è soltan­ to stabilita una massima affinché la forza di giudizio osservi la natura secondo queste leggi, conferendo così coesione alle forme della natura. La filosofia, quindi, in quanto sistema dottrinale della co­ noscenza sia della natura sia della libertà, non acquisisce in tal modo una nuova parte; infatti la rappresentazione della natu­ ra come arte è una semplice idea che funge da principio alla nostra indagine della natura stessa, e dunque serve soltanto al soggetto per introdurre nell’aggregato di leggi empiriche in quanto tali, quando è possibile, una connessione come quella presente in un sistema, nella misura in cui noi attribuiamo alla natura una relazione a questa nostra esigenza. Al contra­ rio, il nostro concetto di una «tecnica della natura», in quanto è un principio euristico per valutarla, rientrerà nella critica della nostra facoltà di conoscere, che ci mostra quale moti­ vo abbiamo per farci una tale rappresentazione della natura, quale sia l’origine di questa idea e se essa si possa rinvenire in una fonte a priori, come pure quali siano l’estensione e i limiti del suo uso: in una parola una simile ricerca costituirà una parte del sistema della critica della ragione pura, ma non della filosofia dottrinale15.

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III. Von dem System aller Vermögen des menschlichen Gemüths.

Wir können alle Vermögen des menschlichen Gemüths ohne Ausnahme auf die drei zurückführen: das E r k e n n t n i ß v e r m ö ­ 206 g e n ,  ∥ das G e f ü h l d e r L u s t u n d U n l u s t und das B e ­ g e h r u n g s v e r m ö g e n . Zwar haben Philosophen, die wegen der Gründlichkeit ihrer Denkungsart übrigens allen Lob1 verdienen, diese Verschiedenheit nur für scheinbar zu erklären und alle Ver­ mögen aufs bloße Erkenntnißvermögen zu bringen gesucht. Al­ lein es läßt sich sehr leicht darthun und seit einiger Zeit hat man es auch schon eingesehen, daß dieser, sonst im ächten philosophi­ schen Geiste unternommene, Versuch, Einheit in diese Mannig­ faltigkeit der Vermögen hineinzubringen, vergeblich sey2. Denn es ist immer ein großer Unterschied zwischen Vorstellungen, so fern sie, blos aufs Object und die Einheit des Bewußtseyns der­ selben bezogen, zum Erkenntniß gehören imgleichen zwischen derjenigen objectiven Beziehung, da sie, zugleich als Ursach der Wirklichkeit dieses Objects betrachtet, zum Begehrungsvermö­ gen gezählt werden und ihrer Beziehung blos aufs Subject, da sie für sich selbst Gründe sind ihre eigene Existenz in demsel­ ben blos zu erhalten und so fern im Verhältnisse zum Gefühl der Lust betrachtet werden3; welches letztere schlechterdings kein Erkenntniß ist, noch verschaft, ob es zwar dergleichen zum Be­ stimmungsgrunde voraussetzen mag. | Die Verknüpfung zwischen dem Erkenntniß eines Gegen­ 11 standes und dem Gefühl der Lust und Unlust an der Existenz desselben, oder die Bestimmung des Begehrungsvermögens ihn hervorzubringen, ist zwar empirisch kennbar gnug; aber, da die­ ser Zusammenhang auf keinem Princip a priori gegründet ist, so machen so fern die Gemüthskräfte nur ein A g g r e g a t und kein System aus. Nun gelingt es zwar, zwischen dem Gefühle der Lust und den andern beiden Vermögen eine Verknüpfung a priori he­ rauszubringen, d. i. wenn4 wir ein Erkenntniß a priori, nämlich den Vernunftbegrif der Freyheit mit dem Begehrungsvermögen als Bestimmungsgrund desselben verknüpfen, in dieser objecti­ 207 ven  ∥ Bestimmung zugleich subjectiv ein in5 der Willensbestim­ mung enthaltenes Gefühl der Lust anzutreffen6. Aber auf die Art

iii. Del sistema di tutte le facoltà dell’animo umano

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III. Del sistema di tutte le facoltà dell’animo umano

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Possiamo ricondurre senza eccezione tutte le facoltà dell’a­ nimo umano alle tre seguenti: la f a c o l t à d i c o n o s c e r e , il s e n t i m e n t o d e l p i a c e r e e d i s p i a c e r e e la f a c o l ­ 206 t à d i d e s i d e r a r e 16. È vero che alcuni filosofi, pur degni di ogni elogio per la profondità del loro modo di pensare, hanno cercato di spiegare questa distinzione come soltanto apparente e di ricondurre tutte le facoltà alla sola facoltà di conoscere. Tuttavia è molto facile dimostrare, e da un po’ di tempo lo si è anche già capito, che questo tentativo di introdurre unità in questa molteplicità delle facoltà, benché intrapreso nell’auten­ tico spirito filosofico, sia vano17. Infatti c’è sempre una grande differenza tra, da una parte, le rappresentazioni, nella misura in cui, riferite soltanto all’oggetto e all’unità della coscienza che se ne ha, appartengono alla conoscenza (come pure tra quella relazione oggettiva in cui esse, considerate ad un tempo come causa della realtà di questo oggetto, sono attribuite alla facoltà di desiderare) e, dall’altra parte, le rappresentazioni la cui rela­ zione riguarda soltanto il soggetto, dato che esse costituiscono per se stesse dei principi sufficienti a mantenere la loro propria esistenza in questo stesso soggetto e nella misura in cui sono considerate in rapporto al sentimento del piacere – il quale non è assolutamente una conoscenza e tanto meno la procura, per quanto possa presupporre una conoscenza come suo principio determinante. Il nesso tra la conoscenza di un oggetto e il sentimento del 11 piacere e dispiacere per la sua esistenza, o la determinazione della facoltà di desiderare per produrlo, è certo conoscibile a sufficienza per via empirica; ma, dato che questa connessione non è basata su alcun principio a priori, le forze dell’animo co­ stituiscono solo un a g g r e g a t o e non un sistema. Ora, è certa­ mente possibile ricavare un nesso a priori tra il sentimento del piacere e le altre due facoltà, e se connettiamo una conoscenza a priori, cioè il concetto razionale della libertà, con la facoltà di desiderare quale suo principio di determinazione, in questa determinazione oggettiva è altrettanto possibile nel contempo 207 riscontrare soggettivamente un sentimento del piacere conte­ nuto nella determinazione della volontà. Ma in questo modo la

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ist das Erkenntnißvermögen nicht v e r m i t t e l s t der Lust oder Unlust mit dem Begehrungsvermögen verbunden; denn sie geht vor diesem7 nicht vorher, sondern folgt entweder allererst auf die Bestimmung des letzteren, oder ist vielleicht nichts anders, als die Empfindung dieser Bestimmbarkeit des Willens durch Ver­ nunft selbst, also gar kein besonderes Gefühl und eigenthümli­ che Empfänglichkeit, die unter den Gemüthseigenschaften eine besondere Abtheilung erforderte. Da nun in der Zergliederung der Gemüthsvermögen überhaupt ein Gefühl der Lust, welches, von der Bestimmung des Begehrungsvermögens unabhängig8, vielmehr einen Bestimmungsgrund desselben abgeben kan, un­ widersprechlich gegeben ist, zu der Verknüpfung desselben aber mit den beiden andern Vermögen in einem System erfodert9 wird, 12 daß dieses Gefühl der Lust, | so wie die beyde andere Vermögen, nicht auf blos empirischen Gründen, sondern auch auf Princi­ pien a priori beruhe, so wird zur Idee der Philosophie als eines Systems, auch (wenn gleich nicht eine Doctrin, dennoch) eine C r i t i k d e s G e f ü h l s d e r L u s t u n d U n l u s t , so fern sie nicht empirisch begründet ist, erfordert10 werden11. Nun hat das E r k e n n t n i ß v e r m ö g e n nach Begriffen seine Principien a priori im reinen Verstande (seinem Begriffe von der Natur), das B e g e h r u n g s v e r m ö g e n in der reinen Vernunft (ihrem Begriffe von der Freiheit) und da bleibt noch unter den Gemüthseigenschaften überhaupt ein mittleres Vermögen oder Empfänglichkeit, nämlich das G e f ü h l d e r L u s t u n d U n ­ l u s t , so wie untern12 den obern Erkenntnißvermögen ein13 mitt­ 208 leres, die Urtheilskraft, übrig. Was ist natürlicher, ∥ als zu vermu­ then: daß die letztere zu dem erstern eben so wohl Principien a priori enthalten werde. Ohne noch etwas über die Möglichkeit dieser Verknüpfung auszumachen, so ist doch hier schon eine gewisse Angemessen­ heit der Urtheilskraft zum Gefühl der Lust, um diesem14 zum Bestimmungsgrunde zu dienen oder ihn darinn zu finden, so fern unverkennbar: daß, wenn, in der E i n t h e i l u n g d e s E r k e n n t ­ n i ß v e r m ö g e n s d u r c h B e g r i f f e , Verstand und Vernunft ihre Vorstellungen auf Objecte beziehen, um Begriffe davon zu bekommen, die Urtheilskraft sich lediglich aufs Subject bezieht und für sich allein keine Begriffe von Gegenständen hervor­ bringt15. Eben so, wenn, in der allgemeinen E i n t h e i l u n g d e r G e m ü t h s k r ä f t e ü b e r h a u p t , Erkenntnißvermögen sowohl

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facoltà di conoscere non è legata alla facoltà di desiderare t r a ­ m i t e il piacere o il dispiacere; infatti il piacere o dispiacere non precede la facoltà di desiderare, ma o segue immediatamente la determinazione di tale facoltà oppure forse non è altro che la sensazione di questa determinabilità del volere da parte della stessa ragione: non è quindi un sentimento particolare e una ricettività specifica che richiederebbe una sezione particolare tra le proprietà dell’animo. Ora, poiché nella scomposizione delle facoltà dell’animo in generale è incontestabilmente dato un sentimento del piacere – il quale indipendente dalla deter­ minazione della facoltà di desiderare può piuttosto fornirle un principio di determinazione – e poiché per connettere questo sentimento con le altre due facoltà in un sistema è richiesto che questo sentimento del piacere, come le altre due facoltà, 12 non si basi su fondamenti semplicemente empirici ma anche su principi a priori, ne deriva che l’idea della filosofia in quanto costituente un sistema richiederà anche (benché non si tratti di una dottrina) una critica del s e n t i m e n t o d e l p i a c e r e e d i s p i a c e r e per quanto non sia fondata empiricamente. Ora, la f a c o l t à d i c o n o s c e r e secondo concetti ha i suoi principi a priori nell’intelletto puro (nel suo concetto della na­ tura), la f a c o l t à d i d e s i d e r a r e li ha nella ragione pura (nel suo concetto della libertà); perciò tra le proprietà dell’animo in generale rimane ancora una facoltà intermedia o ricettività, cioè il s e n t i m e n t o d e l p i a c e r e e d i s p i a c e r e , così come tra le facoltà conoscitive superiori rimane una facoltà interme­ dia, la forza di giudizio. Nulla è più naturale di supporre che 208 quest’ultima facoltà conterrà ugualmente dei principi a priori per il sentimento. Senza ancora stabilire nulla sulla possibilità di questo nes­ so, è già qui tuttavia innegabile una certa adeguatezza della forza di giudizio al sentimento del piacere per servirgli da prin­ cipio di determinazione o per trovare in essa tale principio: è infatti innegabile che se, nella d i v i s i o n e d e l l a f a c o l t à d i c o n o s c e r e m e d i a n t e c o n c e t t i , intelletto e ragione riferi­ scono le loro rappresentazioni a oggetti per ottenerne concetti, la forza di giudizio si riferisce esclusivamente al soggetto e non produce per se stessa alcun concetto di oggetti. Ugualmente se, nella d i v i s i o n e c o m p l e s s i v a d e l l e f o r z e d e l l ’ a n i m o i n g e n e r a l e , sia la facoltà di conoscere sia la facoltà di desi­

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

als Begehrungsvermögen eine o b j e c t i v e Beziehung der Vor­ stellungen enthalten, so ist dagegen das Gefühl der Lust und Un­ lust nur die Empfänglichkeit einer Bestimmung des Subjects, so daß, wenn Urtheilskraft überall etwas für sich allein bestimmen soll, es wohl nichts anders als das Gefühl der Lust seyn könnte, und umgekehrt, wenn dieses überall ein Princip a priori haben soll, es allein in der Urtheilskraft anzutreffen seyn werde16. | 13

IV. Von der Erfahrung System für die Urtheilskraft.

als einem

Wir haben in der Critik der reinen Vernunft gesehen, daß die gesammte Natur als der Inbegrif aller Gegenstände der Erfah­ rung, ein System nach transcendentalen Gesetzen, nämlich sol­ chen, die der Verstand selbst a priori giebt (für Erscheinungen nämlich, so fern sie, in einem Bewußtsein verbunden, Erfahrung ausmachen sollen) ausmache. Eben darum muß auch die Erfah­ rung, nach allgemeinen so wohl als besonderen Gesetzen, so wie sie überhaupt objectiv betrachtet, möglich ist, (in der Idee) ein1 System möglicher empirischen Erkenntnisse ausmachen. Denn das fordert die Natureinheit, nach einem Princip der durchgän­ gigen Verbindung alles dessen, was in diesem Inbegriffe aller Er­ 209 scheinungen ∥ enthalten ist. So weit ist nun Erfahrung überhaupt nach transcendentalen Gesetzen des Verstandes als System und nicht als bloßes Aggregat anzusehen. Daraus folgt aber nicht, daß die Natur auch nach e m p i r i ­ s c h e n Gesetzen, ein für das menschliche Erkenntnißvermögen f a ß l i c h e s System sey, und der durchgängige systematische Zusammenhang ihrer Erscheinungen in einer Erfahrung, mit­ hin diese selber als System, den Menschen möglich sey. Denn es könnte die Mannigfaltigkeit und Ungleichartigkeit der empiri­ schen Gesetze so groß seyn, daß es uns zwar theilweise möglich wäre, Wahrnehmungen nach gelegentlich entdeckten besondern Gesetzen zu einer Erfahrung zu verknüpfen, niemals aber diese empirische Gesetze selbst zur Einheit der Verwandtschaft unter 14 einem gemeinschaftlichen2 Princip zu bringen, wenn | nämlich, wie es doch an sich möglich ist (wenigstens so viel der Verstand a

iv. Dell’esperienza come un sistema per la forza di giudizio

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derare contengono una relazione o g g e t t i v a delle rappresen­ tazioni, il sentimento del piacere e dispiacere non è per contro che la ricettività di una determinazione del soggetto, cosicché se la forza di giudizio deve in ogni caso determinare qualcosa per sé sola, non può trattarsi d’altro che del sentimento del piacere e, viceversa, se questo sentimento deve avere in ogni caso un principio a priori, quest’ultimo sarà rinvenibile soltan­ to nella forza di giudizio. IV. Dell’esperienza

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come un sistema per la forza di giudizio

Abbiamo visto nella Critica della ragione pura che la natu­ ra nel suo complesso, come insieme di tutti gli oggetti dell’e­ sperienza, costituisce un sistema secondo leggi trascendentali, ossia tali che l’intelletto stesso le fornisce a priori (cioè per i fenomeni in quanto, unificati in una coscienza, devono costi­ tuire un’esperienza). Proprio per questo anche l’esperienza – nello stesso modo in cui essa è in generale possibile conside­ rata oggettivamente – deve costituire (nell’idea) un sistema di conoscenze empiriche possibili, secondo leggi sia universali sia particolari. Infatti questo è ciò che esige l’unità della natura, secondo un principio della completa congiunzione di tutto ciò che è contenuto in questo insieme di tutti i fenomeni. Ora, è in 209 questo senso che bisogna considerare l’esperienza in generale secondo leggi trascendentali dell’intelletto come un sistema e non come un mero aggregato. Da ciò però non consegue che la natura, anche in base a leggi e m p i r i c h e , sia un sistema c o g l i b i l e dalla facoltà umana di conoscere né che la connessione sistematica e com­ pleta dei suoi fenomeni in un’esperienza, e quindi questa stessa esperienza in quanto sistema, sia possibile agli uomini. Infatti la molteplicità e l’eterogeneità delle leggi empiriche potrebbe essere così grande che ci sarebbe possibile solo in parte unifi­ care delle percezioni in una esperienza secondo leggi partico­ lari scoperte in modo occasionale, ma mai ci sarebbe possibile ricondurre queste stesse leggi empiriche all’unità della loro affinità sotto un principio comune: questo infatti sarebbe il 14 caso se, come è tuttavia in sé possibile (almeno per quanto l’in­

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priori ausmachen kann) die Mannigfaltigkeit und Ungleichartig­ keit dieser Gesetze, imgleichen der ihnen gemäßen Naturformen, unendlich groß wäre und uns an diesen3 ein rohes chaotisches Aggregat und nicht die mindeste Spur eines Systems darlegte, ob wir gleich ein solches nach transcendentalen Gesetzen vorausset­ zen müssen4. Denn E i n h e i t d e r N a t u r i n Z e i t u n d R a u m e und Einheit der uns möglichen Erfahrung ist einerley, weil jene ein Innbegrif bloßer Erscheinungen (Vorstellungsarten) ist, welcher seine objective Realität lediglich in der Erfahrung haben kann, die, als System selbst nach empirischen Gesetzen, möglich sein muß, wenn man sich jene (wie es denn geschehen muß) wie ein System denkt. Also ist es eine subiectiv-nothwendige transcen­ dentale Vo r a u s s e t z u n g , daß jene besorgliche grenzenlose Ungleichartigkeit empirischer Gesetze und Heterogeneität der Naturformen, der Natur nicht zukomme, vielmehr sie sich, durch die Affinität der besonderen Gesetze unter allgemeinere, zu einer Erfahrung, als einem empirischen System, qualificire. Diese Voraussetzung ist nun das transcendentale Princip der Urtheilskraft. Denn diese ist nicht blos ein Vermögen das Be­ sondere unter dem Allgemeinen (dessen Begrif gegeben ist) zu 210 subsumiren, sondern ∥ auch umgekehrt zu dem Besonderen das Allgemeine zu finden. Der Verstand aber abstrahirt in seiner tran­ scendentalen G e s e t z g e b u n g der Natur von aller Mannigfal­ tigkeit möglicher empirischer Gesetze; er zieht in jener nur die Bedingungen der Möglichkeit einer Erfahrung überhaupt ihrer Form nach in Betrachtung. In ihm ist also jenes Princip der Af­ finität der besonderen Naturgesetze nicht anzutreffen. Allein5 15 die6  | Urtheilskraft, welcher es obliegt, die besondern Gesetze, auch nach dem, was sie unter denselben7 allgemeinen Naturgeset­ zen verschiedenes haben, dennoch unter höhere, obgleich immer noch empirische Gesetze zu bringen, muß ein solches8 Princip ihrem Verfahren zum Grunde legen. Denn durch Herumtappen unter Naturformen, deren Übereinstimmung unter einander zu gemeinschaftlichen empirischen aber höheren Gesetzen, die Urtheilskraft gleichwohl als ganz zufällig ansähe, würde es noch zufälliger sein, wenn sich b e s o n d e r e Wa h r n e h m u n g e n einmal glücklicher Weise zu einem empirischen Gesetze quali­

iv. Dell’esperienza come un sistema per la forza di giudizio

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telletto possa stabilire a priori), la molteplicità e l’eterogeneità di queste leggi, assieme alle forme della natura a loro corri­ spondenti, fosse infinitamente grande e ci presentasse in queste forme un grezzo aggregato caotico senza la minima traccia di un sistema, benché noi dobbiamo presupporre un sistema se­ condo leggi trascendentali. Infatti u n i t à d e l l a n a t u r a n e l t e m p o e n e l l o s p a ­ z i o e unità dell’esperienza per noi possibile sono un tutt’uno, perché la natura è un insieme di semplici fenomeni (modi di rappresentazione) che può avere la propria realtà oggettiva esclusivamente nell’esperienza, la quale, come sistema, deve es­ sere possibile essa stessa secondo leggi empiriche se la si pensa (come infatti deve essere pensata) come un sistema. È quindi un p r e s u p p o s t o trascendentale soggettivamente necessario il fatto che questa inquietante e sconfinata disparità di leggi empiriche e questa eterogeneità delle forme naturali non si ad­ dicano alla natura, e piuttosto che questa, attraverso l’affinità delle leggi particolari sotto leggi più generali, sia idonea a costi­ tuire un’esperienza in quanto sistema empirico. Ora, questo presupposto è il principio trascendentale del­ la forza di giudizio. Infatti quest’ultima non è solamente una facoltà che sussume il particolare sotto l’universale (il cui concetto è dato), ma è anche, viceversa, una facoltà che tro­ 210 va l’universale per il particolare. L’intelletto invece, nella sua l e g i s l a z i o n e trascendentale d e l l a n a t u r a , astrae da ogni molteplicità di possibili leggi empiriche; prende in considera­ zione in questa legislazione soltanto le condizioni della possi­ bilità di un’esperienza in generale secondo la sua forma. Non è dunque nell’intelletto che si può incontrare quel principio dell’affinità tra le leggi particolari della natura. Ma la forza di 15 giudizio – alla quale spetta il compito di ricondurre le leggi particolari, anche per ciò che hanno di diverso nell’ambito del­ le stesse leggi generali della natura, sotto leggi di ordine su­ periore, sebbene pur sempre empiriche – deve basare il suo procedere su un tale principio. Infatti, se la forza di giudizio, andando a tentoni tra le forme della natura, considerasse tut­ tavia come totalmente contingente il loro accordo reciproco sotto leggi empiriche comuni ma di ordine superiore, sarebbe ancora più contingente semmai delle p e r c e z i o n i p a r t i c o ­ l a r i potessero per una volta e fortunatamente costituire una

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ficirten; viel mehr aber, daß mannigfaltige empirische Gesetze sich zur systematischen Einheit der Naturerkenntniß in einer möglichen Erfahrung i n i h r e m g a n z e n Z u s a m m e n h a n g e schickten, ohne durch ein Princip a priori eine solche Form in der Natur vorauszusetzen. Alle jene in Schwang gebrachte Formeln: die Natur nimmt den kürzesten Weg – s i e t h u t n i c h t s u m s o n s t – s i e b e g e h t keinen Sprung in der Mannigfaltigkeit der Formen (continuum formarum) – s i e i s t r e i c h i n A r t e n , a b e r d a ­ b e y d o c h s p a r s a m i n G a t t u n g e n , u . d . g . sind nichts anders als eben dieselbe transcendentale Äußerung der Urt­ heilskraft, sich für die Erfahrung als System und daher zu ihrem eigenen Bedarf ein Princip festzusetzen. Weder Verstand noch Vernunft können a priori ein solches Naturgesetz begründen. Denn, daß die9 Natur in ihren blos formalen Gesetzen (wodurch sie Gegenstand der Erfahrung überhaupt ist) sich nach10 unserm Verstande richte, läßt sich wohl einsehen, aber in Ansehung der besondern Gesetze, ihrer Mannigfaltigkeit und Ungleichartig­ keit ist sie von allen Einschränkungen unseres gesetzgebenden Erkenntnißvermögens frey und es ist eine bloße Voraussetzung 16 der | Urtheilskraft, zum Behuf ihres eigenen Gebrauchs, von dem 211 Empirisch-besondern jederzeit zum allge∥meinern gleichfals Empirischen, um der Vereinigung empirischer Gesetze willen, hinaufzusteigen, welche jenes Princip gründet. Auf Rechnung der Erfahrung kann man ein solches Princip auch keinesweges schreiben, weil nur unter Voraussetzung desselben es möglich ist, Erfahrungen auf systematische Art anzustellen11. V. Von der reflectirenden Urtheilskraft. Die Urtheilskraft kann entweder als bloßes Vermögen über eine gegebene Vorstellung, zum Behuf eines dadurch möglichen Begrifs, nach einem gewissen Princip zu r e f l e c t i r e n , oder als ein Vermögen einen zum Grunde liegenden Begrif durch eine ge­ gebene empirische Vorstellung zu b e s t i m m e n angesehen wer­ den. Im ersten Falle ist sie die r e f l e c t i r e n d e , im zweiten die b e s t i m m e n d e U r t h e i l s k r a f t . R e f l e c t i r e n (Überlegen) aber ist: gegebene Vorstellungen entweder mit andern, oder mit seinem Erkenntnißvermögen, in Beziehung auf einen dadurch

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legge empirica; ma sarebbe più contingente ancora se leggi empiriche diverse si accordassero, n e l l a l o r o c o m p l e t a c o n n e s s i o n e , all’unità sistematica della conoscenza della natura in un’esperienza possibile, senza presupporre tramite un principio a priori una tale forma nella natura. Tutte quelle formule divenute di moda: «l a n a t u r a p r e n ­ d e l a v i a p i ù b r e v e », «n o n f a n i e n t e i n v a n o », «n o n f a s a l t i n e l l a m o l t e p l i c i t à d e l l e f o r m e » (continuum formarum), «è ricca di specie, ma allo stesso tempo parsimo­ niosa di generi» e altre simili, non sono nient’altro che modi della stessa manifestazione trascendentale con cui la forza di giudizio si dà un principio per costituire l’esperienza come un sistema e quindi per soddisfare la propria esigenza18. Né l’in­ telletto né la ragione possono fondare a priori una tale legge di natura. È facile infatti vedere che la natura nelle sue leggi semplicemente formali (mediante le quali essa è oggetto dell’e­ sperienza in generale) si regola secondo il nostro intelletto, mentre, rispetto alle leggi particolari, alla loro molteplicità ed eterogeneità, è libera da tutte le restrizioni della nostra facoltà legislativa di conoscere; e ciò che fonda quel principio è un semplice presupposto della forza di giudizio in vista del suo 16 proprio uso per elevarsi ogni volta dall’elemento empirico par­ ticolare a un elemento ugualmente empirico, eppure più uni­ 211 versale, per procedere all’unificazione delle leggi empiriche. Non si può in alcun modo addebitare all’esperienza un tale principio, perché solo presupponendolo è possibile organizza­ re le esperienze in modo sistematico. V. Della forza riflettente di giudizio La forza di giudizio può essere considerata sia come una mera facoltà di r i f l e t t e r e in base a un principio certo su una rappresentazione data, allo scopo di rendere in tal modo possibile un concetto, sia come una facoltà di determinare un concetto fondamentale tramite una rappresentazione empirica data. Nel primo caso la f o r z a d i g i u d i z i o è r i f l e t t e n t e , nel secondo caso è d e t e r m i n a n t e . Ma r i f l e t t e r e signifi­ ca confrontare e tenere insieme rappresentazioni date sia con altre sia con la propria facoltà di conoscere, in relazione a un

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möglichen Begrif, zu vergleichen und zusammen zu halten. Die reflektirende Urtheilskraft ist diejenige, welche man auch das Be­ urtheilungsvermögen (facultas diiudicandi) nennt. Das R e f l e c t i r e n (welches selbst bei Thieren, obzwar nur instinctmäßig, nämlich nicht in Beziehung auf einen dadurch zu erlangenden Begrif, sondern eine etwa dadurch1 zu bestimmende Neigung vorgeht) bedarf für uns eben so wohl eines Princips, als das Bestimmen, in welchem der zum Grunde gelegte Begrif vom Objecte, der Urtheilskraft die Regel vorschreibt und also die Stel­ le des Princips vertritt. | Das Princip der Reflexion über gegebene Gegenstände der 17 Natur ist: daß sich zu allen Naturdingen empirisch bestimmte B e g r i f f e finden laßen*, welches eben so viel sagen will, als daß 212 man allemal an ihren ∥ Producten eine Form voraussetzen kann, die nach allgemeinen, für uns erkennbaren Gesetzen möglich ist. Denn dürften wir dieses nicht voraussetzen und legten unserer Behandlung der empirischen Vorstellungen dieses Princip nicht

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* Dieses Princip hat beim ersten Anblick gar nicht das Ansehen eines synthetischen und transcendentalen Satzes, sondern scheint vielmehr tav­ tologisch zu seyn und zur bloßen Logik zu gehören. Denn diese lehrt, wie man eine gegebene Vorstellung mit andern2 vergleichen, und dadurch, daß man dasjenige, was sie mit verschiedenen gemein hat, als ein Merkmal zum allgemeinen Gebrauch herauszieht, sich einen Begrif machen könne. Allein, ob die Natur zu jedem Objecte noch viele andere als Gegenstände der Ver­ gleichung, die mit ∥ ihm in der Form manches3 gemein haben, aufzuzeigen habe, darüber lehrt sie nichts; vielmehr ist diese Bedingung der Möglichkeit der Anwendung der Logik auf die Natur, ein Princip der Vorstellung der Na­ tur, als eines Systems für unsere Urtheilskraft, in welchem das Mannigfaltige, in Gattungen und Arten eingetheilt, es möglich macht, alle vorkommende Naturformen durch Vergleichung auf Begriffe (von mehrerer oder minderer Allgemeinheit) zu bringen. Nun lehrt zwar schon der reine Verstand, (aber auch durch synthetische Grundsätze) alle Dinge der Natur als in einem tran­ scendentalen S y s t e m n a c h B e g r i f f e n a priori (den Categorien) enthal­ ten zu denken; allein die Urtheilskraft, die auch zu empirischen Vorstellun­ gen, als solchen, Begriffe sucht, (die reflectirende) muß noch überdem zu diesem Behuf annehmen, daß die Natur in ihrer grenzenlosen Mannigfal­ tigkeit eine solche Eintheilung derselben4 in Gattungen und Arten getroffen habe, die es unserer Urtheilskraft möglich macht, in der Vergleichung der Naturformen Einhelligkeit anzutreffen und zu empirischen Begriffen, und dem Zusammenhange derselben untereinander, durch Aufsteigen zu allge­ meinern gleichfalls empirischen Begriffen zu gelangen: d. i. die Urtheilskraft setzt ein System der Natur auch nach empirischen Gesetzen voraus und die­ ses a priori, folglich durch ein transcendentales Princip.

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concetto reso possibile da questa operazione. La forza riflet­ tente di giudizio è quella che si chiama anche facoltà di valuta­ re (facultas diiudicandi)19. L’a t t o d i r i f l e t t e r e (che si riscontra anche negli anima­ li, sebbene soltanto in modo istintivo, cioè in relazione non a un concetto da ottenersi per suo tramite, ma caso mai a una inclinazione che esso determina)20 richiede da parte nostra un principio tanto quanto l’atto di determinare, in cui il concetto dell’oggetto posto a fondamento prescrive la regola alla forza di giudizio, e perciò funge da principio. Il principio della riflessione su oggetti dati della natura è 17 il seguente: per tutte le cose della natura si possono trovare c o n c e t t i empiricamente determinati* , e ciò è come dire che si può sempre presupporre nei prodotti della natura una forma 212 che è possibile secondo leggi generali da noi conoscibili. Se questo, infatti, non potessimo presupporlo e non ponessimo questo principio a fondamento del nostro modo di trattare le * A prima vista questo principio non ha l’aspetto di una proposizione sintetica e trascendentale, ma sembra piuttosto essere tautologico e appar­ tenere alla mera logica. Questa infatti insegna come si possa confrontare una rappresentazione data con altre e formare un concetto astraendo ciò che essa ha in comune con altre diverse, come un tratto caratteristico per farne un uso generale. La logica però non insegna affatto se la natura, per ogni oggetto, ne abbia da proporre molti altri che possano servire da oggetti di confronto e che abbiano con il primo qualcosa in comune nella forma; piuttosto questa condizione della possibilità dell’applicazione della logica alla natura è un principio della rappresentazione della natura come un sistema per la nostra forza di giudizio, un sistema nel quale il molteplice, diviso in generi e specie, rende possibile ricondurre tramite comparazione tutte le forme che s’incontrano in natura sotto concetti (di una universalità più o meno grande). Ora, è vero che l’intelletto puro (ma anche attraverso principi sintetici) insegna già a pensare tutte le cose della natura come contenute in un s i s t e m a trascendentale s e c o n d o c o n ­ c e t t i a priori (le categorie); invece la forza di giudizio (quella riflettente), che cerca concetti anche per le rappresentazioni empiriche in quanto tali, deve a tale scopo ammettere inoltre che la natura abbia incontrato nella sua sconfinata molteplicità una divisione di questa molteplicità in generi e specie tale da rendere possibile alla nostra forza di giudizio di trova­ re concordanza nel confronto delle forme della natura, e di pervenire a concetti empirici e alla loro connessione reciproca elevandosi a concetti più generali, ma pur sempre empirici: in altri termini la forza di giudizio presuppone un sistema della natura anche secondo leggi empiriche, e ciò a priori, quindi grazie a un principio trascendentale.

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zum Grunde, so würde alles Reflectiren blos aufs Gerathewohl und blind, mithin ohne gegründete Erwartung ihrer Zusammen­ stimmung mit der Natur angestellt werden. | In Ansehung der allgemeinen Naturbegriffe, unter denen 18 überhaupt ein Erfahrungsbegrif (ohne besondere empirische Bestimmung) allererst möglich ist, hat die Reflexion im Begriffe einer Natur überhaupt, d. i. im Verstande, schon ihre Anweisung und die Urtheilskraft bedarf keines besondern Princips der Refle­ xion, sondern s c h e m a t i s i r t dieselbe a priori und wendet diese Schemata auf jede empirische Synthesis an, ohne welche gar kein Erfahrungsurtheil möglich wäre. Die Urtheilskraft ist hier in ihrer Reflexion zugleich bestimmend und der transcendentale Schema­ tism derselben dient ihr zugleich zur Regel, unter der gegebene empirische Anschauungen subsumirt werden. ∥ 213 Aber zu solchen Begriffen, die zu gegebenen empirischen Anschauungen allererst sollen gefunden werden, und welche ein besonderes Naturgesetz voraussetzen, darnach allein b e s o n d e ­ r e Erfahrung möglich ist, bedarf die Urtheilskraft eines eigent­ hümlichen gleichfalls transcendentalen Princips ihrer Reflexion und man kann sie nicht wiederum auf schon bekannte empiri­ sche Gesetze hinweisen und die Reflexion in eine bloße Verglei­ chung mit empirischen Formen, für die man schon Begriffe hat, verwandeln. Denn es frägt sich, wie man hoffen könne, durch Vergleichung der Wahrnehmungen zu empirischen Begriffen desjenigen, was den verschiedenen Naturformen gemein ist, zu gelangen, wenn die Natur (wie es doch zu denken möglich ist) in diese, wegen der großen Verschiedenheit ihrer empirischen Gesetze, eine so große Ungleichartigkeit gelegt hätte, daß alle, oder doch die meiste Vergleichung vergeblich wäre, eine Einhel­ ligkeit und Stufenordnung von Arten und Gattungen unter ihnen herauszubringen. Alle Vergleichung empirischer Vorstellungen, um empirische Gesetze und diesen gemäße s p e c i f i s c h e , durch dieser ihre Vergleichung aber mit anderen auch g e n e r i s c h ü b e r e i n s t i m m e n d e Formen an Naturdingen zu erkennen, setzt doch voraus: daß die Natur auch in Ansehung ihrer empi­ rischen Gesetze eine gewisse unserer Urtheilskraft angemessene Sparsamkeit und eine für uns fasliche Gleichförmigkeit beobach­ tet habe, und diese Voraussetzung muß, als Princip der Urtheils­ kraft a priori, vor aller Vergleichung vorausgehen5.

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rappresentazioni empiriche, ogni atto di riflessione avverrebbe a casaccio e alla cieca, e quindi senza potersi attendere fonda­ tamente un accordo della riflessione con la natura. Per quel che riguarda i concetti universali della natura, 18 sulla cui base soltanto è in generale possibile un concetto d’e­ sperienza (senza una particolare determinazione empirica), la riflessione trova già la sua guida nel concetto di una natura in generale, cioè nell’intelletto, e la forza di giudizio non ha bisogno di alcun principio particolare della riflessione, bensì s c h e m a t i z z a a priori questi stessi concetti e applica a ogni sintesi empirica questi schemi senza i quali non sarebbe affat­ to possibile alcun giudizio d’esperienza. La forza di giudizio è qui, nella sua riflessione, al tempo stesso determinante e il suo schematismo trascendentale le serve nel contempo da regola sotto la quale sono sussunte le intuizioni empiriche date. Ma per quei concetti, che occorre innanzitutto trovare 213 per intuizioni empiriche date e che presuppongono una par­ ticolare legge di natura, secondo la quale soltanto è possibile un’esperienza p a r t i c o l a r e , la forza di giudizio richiede an­ che un principio specifico, ugualmente trascendentale, della sua riflessione e non può essere rimandata ancora una volta a leggi empiriche già note né si può trasformare la riflessione in una mera comparazione di forme empiriche, per le quali si possiedo­ no già dei concetti. Infatti, ci si chiede come si potrebbe sperare, tramite la comparazione delle percezioni, di arrivare a concetti empirici di ciò che è comune alle diverse forme della natura se la natura (come è tuttavia possibile pensare) avesse posto in queste forme, per la grande diversità delle sue leggi empiriche, una ete­ rogeneità così grande da vanificare, se non del tutto per lo meno in gran parte, ogni comparazione volta a cogliere tra queste for­ me un’armonia e un ordine gerarchico di specie e generi. Ogni comparazione di rappresentazioni empiriche volta a riconosce­ re nelle cose della natura leggi empiriche e forme s p e c i f i c h e conformi a tali leggi, che nondimeno, alla luce della loro com­ parazione, si a c c o r d a n o n e l g e n e r e con altre, presuppone in ogni caso che la natura abbia osservato, anche riguardo alle sue leggi empiriche, una certa parsimonia adeguata alla nostra forza di giudizio e un’uniformità che siamo in grado di coglie­ re; e questo presupposto deve, come principio a priori della forza di giudizio, precedere ogni comparazione.

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Die reflectirende Urtheilskraft verfährt also mit gegebenen Erscheinungen, um sie unter empirische Begriffe von bestimm­ ten Naturdingen zu bringen, nicht schematisch, sondern t e c h ­ 214 n i s c h , nicht gleichsam blos ∥ mechanisch, wie ein Instrument6, unter der Leitung des Verstandes und der Sinne, sondern künst­ lich, nach dem allgemeinen, aber zugleich unbestimmten Princip 19 einer  | zweckmäßigen Anordnung der Natur in einem System, gleichsam zu Gunsten unserer Urtheilskraft, in der Angemessen­ heit ihrer besondern Gesetze (über die der Verstand nichts sagt) zu der Möglichkeit der Erfahrung als eines Systems, ohne welche Voraussetzung wir nicht hoffen können, uns in einem Labyrinth der Mannigfaltigkeit möglicher besonderer Gesetze zu rechte zu finden. Also macht sich die Urtheilskraft selbst a priori d i e Te c h n i c k d e r N a t u r zum Princip ihrer Reflexion, ohne doch diese erklären noch näher bestimmen zu können, oder dazu einen objectiven Bestimmungsgrund der allgemeinen Naturbegriffe (aus einem Erkenntniß der Dinge an sich selbst) zu haben, son­ dern nur um nach ihrem eigenen subjectiven Gesetze, nach ihrem Bedürfnis, dennoch aber zugleich einstimmig mit Naturgesetzen überhaupt, reflectiren7 zu können. Das Princip der reflectirenden Urtheilskraft dadurch die Na­ tur als System nach empirischen Gesetzen gedacht wird, ist aber blos ein Princip für den logischen Gebrauch der Urtheilskraft, zwar ein transcendentales Princip seinem Ursprunge nach, aber nur um die Natur a priori als qualificirt zu einem l o g i s c h e n S y s t e m ihrer Mannigfaltigkeit unter empirischen Gesetzen an­ zusehen. Die logische Form eines Systems besteht blos in der Einthei­ lung gegebener allgemeiner Begriffe (dergleichen hier der einer Natur überhaupt ist) dadurch daß man sich das Besondere (hier das Empirische) mit seiner Verschiedenheit als unter dem All­ gemeinen enthalten, nach einem gewissen Princip denkt. Hierzu gehört nun, wenn man empirisch verfährt und vom besondern zum allgemeinen aufsteigt, eine C l a s s i f i c a t i o n des Man­ nigfaltigen, d. i. eine Vergleichung mehrerer Classen, deren jede unter einem bestimmten Begriffe steht, untereinander, und wenn jene nach dem gemeinschaftlichen Merkmal vollständig sind, ihre 20 Subsumtion unter höhere Classen (Gattungen), bis man | zu dem

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La forza riflettente di giudizio procede dunque non sche­ maticamente nei confronti dei fenomeni dati per ricondurli sotto concetti empirici di determinate cose della natura, bensì t e c n i c a m e n t e , non per così dire in modo meramente mec­ 214 canico, come uno strumento sotto la direzione dell’intelletto e dei sensi, bensì a r t i s t i c a m e n t e , secondo il principio uni­ versale, ma ad un tempo indeterminato, di un ordinamento conforme al fine da parte della natura in un sistema: in un cer­ 19 to qual modo a favore della nostra forza di giudizio, nell’ade­ guatezza delle sue leggi particolari (delle quali l’intelletto non dice nulla) alla possibilità dell’esperienza come costituente un sistema – presupposto senza il quale non potremmo sperare di orientarci in un labirinto della molteplicità di possibili leggi particolari. Così la stessa forza di giudizio eleva a priori la t e c ­ n i c a d e l l a n a t u r a a principio della propria riflessione senza tuttavia poter spiegare questa tecnica né determinarla in modo più preciso, o senza disporre a tale scopo di un principio ogget­ tivo di determinazione dei concetti universali della natura (de­ rivante da una conoscenza delle cose in se stesse); ma questo principio si dà unicamente per poter riflettere secondo le sue proprie leggi soggettive, secondo il suo bisogno, pur tuttavia al contempo in accordo con le leggi della natura in generale. Il principio della forza riflettente di giudizio, grazie al quale la natura è pensata come sistema secondo leggi empiriche, è però soltanto un principio p e r l ’ u s o l o g i c o d e l l a f o r z a d i g i u d i z i o ; certamente si tratta di un principio trascenden­ tale quanto alla sua origine, ma soltanto per considerare a prio­ ri la natura come avente le qualità necessarie per costituire un s i s t e m a l o g i c o della sua molteplicità sotto leggi empiriche. La forma logica di un sistema consiste semplicemente nella divisione di concetti universali dati (come lo è qui quello di una natura in generale), in modo da pensare secondo un certo prin­ cipio il particolare (qui l’empirico) con la sua diversità come contenuto nell’universale. Ora a tale scopo, se si procede empi­ ricamente e ci si eleva dal particolare all’universale, si richiede una c l a s s i f i c a z i o n e del molteplice, cioè una comparazione tra più classi, ciascuna delle quali si colloca sotto un concetto determinato; e se tali classi sono complete secondo il carattere comune si richiede la loro sussunzione sotto classi superiori (generi) fino a giungere al concetto che contiene in sé il princi­ 20

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Begriffe gelangt, der das Princip der ganzen Classification in sich enthält (und die oberste Gattung ausmacht). Fängt man dagegen vom allgemeinen Begrif an, um zu dem besondern durch vollstän­ 215 dige Eintheilung herabzugehen, so ∥ heißt die Handlung die S p e ­ c i f i c a t i o n des Mannigfaltigen unter einem gegebenen Begriffe, da von der obersten Gattung zu niedrigern8 (Untergattungen oder Arten) und von Arten zu Unterarten fortgeschritten wird. Man drückt sich richtiger aus, wenn man anstatt (wie im gemeinen Re­ degebrauch) zu sagen, man müsse das Besondere, welches unter ei­ nem Allgemeinen steht, specificiren, lieber sagt, man s p e c i f i c i r e d e n a l l g e m e i n e n B e g r i f , indem man das Mannigfaltige unter ihm anführt. Denn die Gattung ist (logisch betrachtet) gleichsam die Materie, oder das rohe Substrat, welches die Natur durch meh­ rere Bestimmung9 zu besondern Arten und Unterarten verarbeitet, und so kann man sagen, d i e N a t u r s p e c i f i c i r e s i c h s e l b s t nach einem gewissen Princip (oder der Idee eines Systems), nach der Analogie des Gebrauchs dieses Worts bey den Rechtslehrern, wenn sie von der Specification gewisser rohen Materien reden*. Nun ist klar, daß die reflectirende Urtheilskraft es ihrer Na­ tur nach nicht unternehmen könne, die ganze Natur nach ihren empirischen Verschiedenheiten11 zu c l a s s i f i c i r e n , wenn sie nicht voraussetzt, die Natur s p e c i f i c i r e selbst ihre transcen­ dentale Gesetze nach irgend einem Princip. Dieses Princip kann nun kein anderes, als das der Angemessenheit zum Vermögen der Urtheilskraft selbst seyn, in der unermeßlichen Mannigfaltigkeit der Dinge nach möglichen empirischen Gesetzen genugsame Verwandtschaft derselben anzutreffen, um sie12 unter empirische Begriffe (Classen) und diese unter allgemeinere Gesetze (höhere Gattungen) zu bringen und so zu einem empirischen System der Natur gelangen zu können**. – So wie nun eine solche Classifi­

* Auch die aristotelische Schule nannte die G a t t u n g Materie den s p e c i f i ­ s c h e n U n t e r s c h i e d aber die Form10. ** Bemerkung der Handschrift am Rande des Absatzes: »NB Konnte wohl 216 Linnäus13 hoffen ein System der Natur zu entwerfen wenn ∥ er hätte besorgen müssen daß wenn er einen Stein14 fand, den er Granit nannte, dieser von jedem anderen der doch eben so aussah15 seiner inneren Beschaffenheit nach unterschie­ den16 seyn dürfte und er also immer nur einzelne für den Verstand gleichsam iso­ lirte Dinge nie aber eine17 Classe derselben die unter Gattungs- und Artsbegriffe gebracht werden könnten anzutreffen hoffen dürfe«18.

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pio dell’intera classificazione (e che costituisce il genere supre­ mo). Se si parte invece dal concetto universale per discendere fino al particolare tramite una divisione completa, tale modo di procedere si chiama s p e c i f i c a z i o n e del molteplice sotto un 215 concetto dato, poiché si procede dal genere supremo a generi inferiori (sottogeneri o specie) e dalle specie alle sottospecie. Ci si esprime più correttamente se si dice che s i s p e c i f i c a i l c o n c e t t o u n i v e r s a l e riportando il molteplice sotto di esso, piuttosto di dire (come si fa comunemente) che si deve specificare il particolare sussunto sotto un universale. Infatti il genere (considerato logicamente) è per così dire la materia o il sostrato grezzo che la natura21, tramite ripetute determinazioni, elabora in specie e sottospecie particolari; così si può dire che l a n a t u r a s p e c i f i c a s e s t e s s a secondo un certo principio (o l’idea di un sistema), in analogia con l’uso di questo termi­ ne da parte dei giuristi quando parlano della specificazione di certe materie grezze* . Ora, è chiaro che la forza riflettente di giudizio non po­ trebbe farsi carico, per la sua propria natura, di c l a s s i f i ­ c a r e l’intera natura secondo le sue differenze empiriche se non presupponendo che sia la natura stessa a s p e c i f i c a r e le proprie leggi trascendentali seguendo qualche principio. Questo principio non può essere altro che quello dell’adegua­ tezza alla facoltà della forza di giudizio stessa di rintracciare nell’incommensurabile molteplicità delle cose, secondo leggi empiriche possibili, una affinità tra loro che sia sufficiente a poterle includere sotto concetti empirici (classi) e questi a loro volta sotto leggi più generali (generi superiori), e giun­ gere così a un sistema empirico della natura**. – Però, come

* Anche la scuola aristotelica chiamava il g e n e r e materia e la d i f f e ­ r e n z a s p e c i f i c a forma. ** Annotazione del manoscritto a margine del paragrafo: «NB Avreb­ be Linneo veramente potuto sperare di progettare un sistema della natura, se avesse dovuto preoccuparsi del fatto che – nel caso in cui avesse trovato una pietra che avrebbe chiamato granito – questa potesse ben distinguersi per la sua costituzione interna da ogni altra pietra pur tuttavia in apparen­ za simile, potendo così sperare di incontrare sempre soltanto cose singola­ ri per l’intelletto, per così dire isolate, ma mai una classe di queste cose che potessero essere incluse sotto concetti di genere e di specie?».

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cation keine gemeine Erfahrungserkenntniß, sondern eine künst­

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21 liche ist, so wird die Natur,  so fern sie so gedacht wird, daß sie

sich nach einem solchen Princip spezificire, auch als K u n s t an­ gesehen und die Urtheilskraft führt also nothwendig a priori ein Princip der Te c h n i c k der Natur bei sich, welche von der N o ­ m o t h e t i c k derselben nach transcendentalen Verstandesgeset­ zen darinn unterschieden ist, daß diese ihr Princip als Gesetz jene aber nur als nothwendige Voraussetzung geltend machen kan. ∥ 216 Das eigentümliche Princip der Urtheilskraft ist also: d i e Natur spezificirt ihre allgemeine Gesetze zu empi­ rischen, gemäs der Form eines logischen Systems, zum Behuf der Urtheilskraft. Hier entspringt nun der Begrif einer Z w e c k m ä ß i g k e i t der Natur und zwar als ein eigenthümlicher Begrif der reflectirenden Urtheilskraft, nicht der Vernunft; indem der Zweck gar nicht im Object, sondern lediglich im Subject und zwar dessen bloßem Vermögen zu reflectiren gesetzt wird. – Denn zweckmäßig nen­ nen wir dasjenige, dessen Daseyn eine Vorstellung desselben Din­ ges vorauszusetzen scheint; Naturgesetze aber, die so beschaffen und auf einander bezogen sind, als ob sie die Urtheilskraft zu ihrem eigenen Bedarf entworfen hätte, haben Aehnlichkeit mit der Möglichkeit der Dinge, die eine Vorstellung dieser Dinge, als Grund derselben voraussetzt. Also denkt sich die Urtheilskraft durch ihr Princip eine Zweckmäßigkeit der Natur, in der Specifi­ cation ihrer Formen durch empirische Gesetze. Dadurch werden aber diese Formen selbst nicht als zweckmä­ ßig gedacht, sondern nur das Verhältniß derselben zu einander, und die Schicklichkeit, bey ihrer großen Mannigfaltigkeit zu ei­ nem logischen System empirischer Begriffe. – Zeigte uns nun die Natur nichts mehr als diese logische Zweckmäßigkeit, so würden wir zwar schon Ursache haben, sie hierüber zu bewundern, indem wir nach den allgemeinen Verstandesgesetzen keinen Grund da­ von anzugeben wissen; allein dieser Bewunderung würde schwer­ lich jemand anders als etwa ein Transscendental-Philosoph fähig seyn, und selbst dieser würde doch keinen bestimmten Fall nen­ nen können, wo sich diese Zweckmäßigkeit in concreto bewiese, sondern sie nur im Allgemeinen denken müssen. | ∥

v. della forza riflettente di giudizio

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una simile classificazione non è una comune conoscenza d’e­ sperienza, ma una conoscenza di ordine artistico, così la natu­ 21 ra, in quanto pensata come specificantesi secondo tale princi­ pio, è anch’essa considerata come a r t e , e la forza di giudizio comporta dunque necessariamente a priori un principio della t e c n i c a della natura, che è distinta dalla n o m o t e t i c a della natura stessa secondo leggi trascendentali dell’intelletto, per il fatto che quest’ultima può far valere il suo principio come legge, mentre la tecnica non può far valere il suo se non come presupposto necessario. Il principio peculiare della forza di giudizio è dunque il se­ 216 guente: l a n a t u r a s p e c i f i c a l e s u e l e g g i u n i v e r s a l i in leggi empiriche, conformemente alla forma di un sistema logico a favore della forza di giudizio. Pertanto qui scaturisce il concetto di una c o n f o r m i t à della natura a l f i n e e precisamente come un concetto pecu­ liare della forza riflettente di giudizio, ma non della ragione, dal momento che il fine non è affatto situato nell’oggetto, ma unica­ mente nel soggetto e più precisamente nella semplice facoltà di riflettere. Infatti chiamiamo «conforme al fine» ciò la cui esisten­ za sembra presupporre una rappresentazione della cosa stessa; però le leggi della natura, la costituzione e le relazioni reciproche delle quali si presentano come se la forza di giudizio le avesse pro­ gettate per la propria esigenza, presentano una somiglianza con la possibilità delle cose che presuppone una rappresentazione di queste cose come loro fondamento. Dunque la forza di giudizio pensa, grazie al suo principio, una conformità della natura al fine nella specificazione delle sue forme tramite leggi empiriche. In tal caso, però, non sono queste stesse forme a essere pensate come conformi al fine, ma unicamente il loro rappor­ to reciproco e la loro attitudine a integrarsi, nella loro grande molteplicità, in un sistema logico di concetti empirici. Pertanto se la natura non ci mostrasse nient’altro che questa conformità logica al fine, avremmo già motivo di ammirarla per questo, pur non sapendo addurne alcun fondamento secondo le leggi universali dell’intelletto; difficilmente però qualcun altro, se non un filosofo trascendentale, sarebbe capace di questa am­ mirazione e persino costui non potrebbe tuttavia indicare al­ cun caso determinato in cui questa conformità al fine si mostri in concreto, ma dovrebbe pensarla soltanto nell’universale.

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

VI. Von der Zweckmässigkeit der Naturformen als so viel besonderer Systeme.

Daß die Natur in ihren empirischen Gesetzen sich selbst so specificire, als es zu einer möglichen Erfahrung, a l s e i n e m S y s t e m empirischer1 Erkenntniß, erforderlich ist, diese Form der Natur enthält eine logische Zweckmäßigkeit, nämlich ihrer Übereinstimmung zu den subjectiven Bedingungen der Urtheils­ kraft in Ansehung des möglichen Zusammenhangs empirischer Begriffe in dem Ganzen einer Erfahrung. Nun giebt dieses aber keine Folgerung auf ihre Tauglichkeit zu einer realen Zweckmä­ ßigkeit in ihren Producten, d. i. einzelne Dinge in der Form von Systemen hervorzubringen: denn diese könnten immer, der An­ schauung nach, bloße Aggregate und dennoch nach empirischen Gesetzen, welche mit andern in einem System l o g i s c h e r E i n ­ t h e i l u n g zusammenhängen, möglich seyn, ohne daß zu ihrer besondern Möglichkeit ein eigentlich darauf angestellter Begrif, als Bedingung derselben, mithin eine ihr zum Grunde liegende Zweckmäßigkeit der Natur, angenommen werden dürfte. Auf solche Weise sehen wir Erden, Steine, Mineralien u.d.g. ohne alle zweckmäßige Form, als bloße Aggregate, dennoch den innern Charactern und Erkenntnißgründen ihrer Möglichkeit nach so verwandt, daß sie unter empirischen Gesetzen zur Classification der Dinge in einem System der Natur tauglich sind, ohne doch eine Form des Systems a n i h n e n s e l b s t zu zeigen. Ich verstehe daher unter einer a b s o l u t e n Z w e c k m ä ß i g ­ k e i t der Naturformen diejenige äußere Gestalt, oder auch den innern Bau derselben, die so beschaffen sind, daß ihrer Mög­ 23 lichkeit eine Idee von denselben | in unserer Urtheilskraft zum Grunde gelegt werden muß. Denn Zweckmäßigkeit ist eine Ge­ setzmäßigkeit2 des Zufälligen als eines solchen3. Die Natur ver­ fährt in Ansehung ihrer Producte als Aggregate m e c h a n i s c h , als b l o ß e N a t u r ; aber in Ansehung derselben als Systeme, z. B. Cristallbildungen, allerley Gestalt der Blumen, oder in dem4 innern Bau der Gewächse und Thiere, t e c h n i s c h d. i. zugleich 218 als K u n s t . Der ∥ Unterschied dieser beyderley Arten die Na­ turwesen zu beurtheilen, wird blos durch die r e f l e c t i r e n d e

vi. della conformità delle forme della natura al fine

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VI. Della conformità delle forme della natura al fine considerate come altrettanti sistemi particolari

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Dato che la natura specifica se stessa nelle sue leggi empi­ riche, nel modo richiesto per una esperienza possibile intesa c o m e u n s i s t e m a di conoscenza empirica, questa forma della natura contiene una conformità logica al fine, cioè quella del suo accordo con le condizioni soggettive della forza di giu­ dizio dal punto di vista della possibile connessione dei concetti empirici nella totalità di un’esperienza. Ma questo non permet­ te di trarre alcuna conclusione sulla sua idoneità a una reale conformità al fine nei suoi prodotti, cioè a produrre singole cose che hanno la forma di sistemi: infatti, queste cose, per l’in­ tuizione, potrebbero sempre essere semplici aggregati e tutta­ via essere possibili secondo leggi empiriche, che si strutturano con altre in un sistema di d i v i s i o n e l o g i c a , senza che per la loro particolare possibilità sia lecito assumere un concetto istituito appositamente come condizione per esse né, di con­ seguenza, una conformità della natura al fine posta a loro fon­ damento. In tal modo terre, pietre, minerali, e altre cose simili, sprovvisti di ogni forma conforme al fine, noi li vediamo come semplici aggregati, e tuttavia, secondo i loro caratteri intrinseci e i fondamenti conoscitivi della loro possibilità, vediamo che manifestano un’affinità tale da prestarsi, sotto leggi empiriche, alla classificazione delle cose in un sistema della natura, senza tuttavia mostrare i n s e s t e s s i una forma di sistema. Quindi per c o n f o r m i t à a s s o l u t a delle forme della na­ tura a l f i n e intendo quella loro configurazione esterna o an­ che la loro struttura interna tali da dover porre una loro idea nella nostra forza di giudizio a fondamento della loro possi­ 23 bilità. Infatti, la conformità al fine è una conformità del con­ tingente come tale alla legge. Riguardo ai suoi prodotti come aggregati, la natura procede m e c c a n i c a m e n t e , come s e m ­ p l i c e n a t u r a ; ma riguardo a questi stessi prodotti conside­ rati come sistemi, per esempio nelle formazioni cristalline22, in ogni forma dei fiori o nella struttura interna dei vegetali e de­ gli animali, la natura procede t e c n i c a m e n t e , cioè al tempo stesso come a r t e . La differenza tra questi due modi di va­ 218 lutare gli esseri naturali viene operata unicamente dalla forza

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

Urtheilskraft gemacht, die es ganz wohl kann und vielleicht auch muß geschehen laßen, was die b e s t i m m e n d e (unter Principi­ en der Vernunft) ihr, in Ansehung der Möglichkeit der Objecte selbst, nicht einräumte und vielleicht alles auf mechanische Er­ klärungsart zurückgeführt wissen möchte; denn es kann gar wohl neben einander bestehen, daß die E r k l ä r u n g einer Erschei­ nung, die ein Geschäft der Vernunft nach objectiven Principien ist, m e c h a n i s c h ; die Regel der B e u r t h e i l u n g aber desselben Gegenstandes, nach subjectiven Principien der Reflexion über denselben, t e c h n i s c h sey. Ob nun zwar das Princip der Urtheilskraft von der Zweckmä­ ßigkeit der Natur in der Specification ihrer allgemeinen Gesetze keinesweges sich so weit erstreckt, um daraus auf die Erzeugung a n s i c h z w e c k m ä ß i g e r N a t u r f o r m e n zu schließen, (weil auch ohne sie das System der Natur nach empirischen Gesetzen, welches allein die Urtheilskraft zu postuliren Grund hatte, mög­ lich ist) und diese lediglich durch Erfahrung gegeben werden müßen: so bleibt es doch, weil wir einmal der Natur in ihren be­ sondren Gesetzen ein Princip der Zweckmäßigkeit unterzulegen Grund haben, immer m ö g l i c h und erlaubt, wenn uns die Er­ fahrung zweckmäßige Formen an ihren Producten zeigt, diesel­ be eben demselben Grunde, als worauf die erste beruhen mag, zuzuschreiben. | Obgleich auch dieser Grund selber so gar im Übersinnlichen 24 liegen und über den Kreis der uns möglichen Natureinsichten hinausgerückt seyn möchte, so haben wir auch schon dadurch etwas gewonnen, daß wir für die sich in der Erfahrung vorfin­ dende Zweckmäßigkeit der Naturformen ein transcendentales Princip der Zweckmäßigkeit der Natur in der Urtheilskraft in Be­ reitschaft haben, welches, wenn es gleich die Möglichkeit solcher Formen zu erklären nicht hinreichend ist, es dennoch wenigstens erlaubt macht, einen so besondern Begrif, als der der Zweckmä­ ßigkeit ist, auf Natur und ihre Gesetzmäßigkeit anzuwenden, ob er zwar kein objectiver Naturbegrif seyn kann, sondern blos vom subjectiven Verhältnisse derselben auf ein Vermögen des Ge­ müths hergenommen ist5. ∥

vi. della conformità delle forme della natura al fine

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riflettente di giudizio, la quale può benissimo e forse anche deve necessariamente tralasciare ciò che la forza determinante di giudizio (sottoposta ai principi della ragione) non potrebbe consentirle riguardo alla possibilità degli oggetti stessi, e forse questa vorrebbe poter ricondurre tutto al modo di spiegazione meccanico; infatti è del tutto compatibile che sia m e c c a n i c a la s p i e g a z i o n e di un fenomeno, che compete alla ragione secondo principi oggettivi, mentre sia t e c n i c a la regola della v a l u t a z i o n e , riguardo allo stesso oggetto, secondo i principi soggettivi della riflessione sul medesimo. Ora, benché il principio della forza di giudizio, a proposito della conformità della natura al fine nella specificazione delle sue leggi generali, non si estenda affatto abbastanza lontano da dedurne la generazione delle f o r m e d e l l a n a t u r a i n s é c o n f o r m i a l f i n e (perché anche senza di esse è possibile il sistema della natura secondo leggi empiriche – il solo sistema che la forza di giudizio aveva motivo di postulare), e benché queste forme debbano essere date unicamente dall’esperienza, tuttavia – poiché abbiamo già un fondamento per attribuire alla natura nelle sue leggi particolari un principio di conformità al fine – resta sempre p o s s i b i l e e permesso, se l’esperienza ci mostra forme conformi al fine nei suoi prodotti, ascrivere tali forme allo stesso fondamento su cui può basarsi la natura. Sebbene anche questo fondamento possa addirittura si­ 24 tuarsi nel sovrasensibile ed essere spinto oltre l’ambito delle concezioni della natura a noi possibili, abbiamo già così gua­ dagnato qualcosa, nella misura in cui, per la conformità al fine da parte delle forme della natura rinvenute nell’esperienza, ab­ biamo a nostra disposizione nella forza di giudizio un principio trascendentale della conformità della natura al fine; un princi­ pio che, sebbene non sia sufficiente per spiegare la possibilità di tali forme, tuttavia ci permette almeno di applicare alla natu­ ra e alla sua conformità alla legge un concetto così particolare come lo è quello della conformità al fine, per quanto non possa certamente essere un concetto oggettivo della natura, bensì sia semplicemente derivato dal rapporto soggettivo della natura con una facoltà dell’animo.

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

VII. Von der Technick der Urtheilskraft Grunde der Idee einer Technick der Natur.

als dem

Die Urtheilskraft macht es, wie oben gezeigt worden, allererst möglich, ja nothwendig, außer der mechanischen Naturnothwen­ digkeit sich an ihr auch eine Zweckmäßigkeit zu denken, ohne deren Voraussetzung, die systematische Einheit in der durchgän­ gigen Classification besonderer Formen nach empirischen Geset­ zen nicht möglich seyn würde. Zunächst ist gezeigt worden, daß, da jenes Princip der Zweckmäßigkeit nur ein subjectives Princip der Eintheilung und Specification der Natur ist, es in Ansehung der Formen der Naturproducte nichts bestimme. Auf solche Wei­ se1 also würde diese Zweckmäßigkeit blos in Begriffen bleiben und2 dem logischen Gebrauche der Urtheilskraft in der Erfah­ rung zwar eine Maxime der Einheit der Natur ihren empirischen Gesetzen nach, zum Behuf des Vernunftgebrauchs über ihre Ob­ jecte, untergelegt, von dieser besondern Art der systematischen Einheit aber, nämlich der nach der Vorstellung eines Zwecks, keine Gegenstände in der Natur, als mit ihrer Form dieser cor­ respondirende3 Producte, gegeben werden würden4. – Die C a u ­ 25 s a l i t ä t   | nun der Natur in Ansehung der Form ihrer Producte als Zwecke, würde ich die Te c h n i c k der Natur nennen. Sie wird der Mechanick derselben entgegengesetzt, welche in ihrer Causalität durch die Verbindung des Mannigfaltigen ohne einen der Art ihrer Vereinigung zum Grunde liegenden Begrif besteht, ungefähr so wie wir gewisse Hebezeuge, die ihren zu einem Zwe­ cke abgezielten Effect, auch ohne eine ihm5 zum Grunde gelegte Idee haben können, z. B. einen Hebebaum, eine schiefe Fläche, zwar Maschienen, aber nicht Kunstwerke nennen werden, weil sie zwar zu Zwecken gebraucht werden können, aber nicht blos in Beziehung auf sie möglich sind. Die erste Frage ist nun hier: Wie läßt sich die Technick der Natur an ihren Producten w a h r n e h m e n ? Der Begrif der Zweckmäßigkeit ist gar kein constitutiver Begrif der Erfahrung, 220 keine Bestimmung einer ∥ Erscheinung zu einem empirischen B e g r i f f e vom Objecte gehörig; denn er ist keine Categorie. In unserer Urtheilskraft nehmen wir die Zweckmäßigkeit wahr, so fern sie über ein gegebenes Object blos reflectirt, es sey über die

vii. Della tecnica della forza di giudizio

VII. Della tecnica della forza di giudizio

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come fondamento dell’idea di una tecnica della natura

La forza di giudizio, come si è visto in precedenza, rende innanzitutto possibile, anzi necessario, pensare nella natura, ol­ tre alla sua necessità meccanica, anche una conformità al fine, senza il cui presupposto non sarebbe possibile l’unità sistema­ tica nella completa classificazione di forme particolari secon­ do leggi empiriche. Si è anzitutto mostrato che quel principio della conformità al fine, dato che è soltanto un principio sog­ gettivo della divisione e della specificazione della natura, non determina nulla riguardo alle forme dei prodotti naturali. In tal modo questa conformità al fine resterebbe dunque unicamente nei concetti, assegnando comunque all’uso logico della forza di giudizio nell’esperienza una massima dell’unità della natura se­ condo le sue leggi empiriche per consentire l’uso della ragione nei confronti dei suoi oggetti. Però di questa specie particolare dell’unità sistematica, cioè quella basata sulla rappresentazione di un fine, non sarebbe dato nella natura alcun oggetto tale da costituire un prodotto corrispondente a questa unità con la sua forma. Ora, chiamerei t e c n i c a della natura la c a u s a l i t à 25 della natura dal punto di vista della forma dei suoi prodotti come fini. La tecnica si oppone alla meccanica della natura che consiste nella sua causalità tramite il legame del molteplice senza che un concetto si trovi a fondamento del modo della sua unificazione: all’incirca come avviene per certi dispositivi di sollevamento che possono produrre il loro effetto orientato verso un fine anche senza che un’idea sia posta a fondamento di questo, ad esempio una leva o un piano inclinato; questi apparati li chiameremo «macchine», ma non «opere d’arte», perché possono essere sicuramente usati in vista di certi fini, ma non è soltanto in rapporto a questi fini che sono possibili. La prima domanda che si pone è allora la seguente: come si può p e r c e p i r e la tecnica della natura nei suoi prodotti? Il concetto della conformità al fine non è affatto un concetto co­ stitutivo dell’esperienza né una determinazione di un fenome­ 220 no appartenente a un c o n c e t t o empirico dell’oggetto: infatti non è una categoria. Nella nostra forza di giudizio percepiamo la conformità al fine nella misura in cui essa si limita a riflettere

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

empirische Anschauung desselben, um sie auf irgend einen Begrif (unbestimmt welchen) zu bringen, oder über den Erfahrungsbe­ grif selbst, um die Gesetze, die er enthält, auf gemeinschaftliche Principien zu bringen. Also ist die U r t h e i l s k r a f t eigentlich technisch; die Natur wird nur als technisch vorgestellt, so fern sie zu jenem Verfahren derselben zusammenstimmt und es nothwen­ dig macht. Wir werden so gleich die Art zeigen, wie der Begrif der reflectirenden Urtheilskraft, der die innere Wahrnehmung einer Zweckmäßigkeit der Vorstellungen möglich macht, auch zur Vorstellung des Objects, als unter ihm enthalten, angewandt werden könne*. Zu jedem empirischen Begriffe gehören nämlich drey Hand­ lungen des selbstthätigen Erkenntnißvermögens: 1. die A u f ­ f a s s u n g (apprehensio) des Mannigfaltigen der Anschauung 2. die Z u s a m m e n f a s s u n g d. i. die synthetische Einheit des Bewußtseyns dieses Mannigfaltigen in dem Begriffe eines Objects (apperceptio comprehensiva) 3. die D a r s t e l l u n g (exhibitio) 26 des diesem | Begrif correspondirenden Gegenstandes in der An­ schauung. Zu der ersten Handlung wird Einbildungskraft, zur zweyten Verstand, zur dritten Urtheilskraft erfordert, welche, wenn es um einen empirischen Begrif zu thun ist, bestimmende Urtheilskraft seyn würde. Weil es aber in der bloßen Reflexion über eine Wahrnehmung nicht um einen bestimmten Begrif, sondern überhaupt nur um die Regel über eine Wahrnehmung zum Behuf des Verstandes, als eines Vermögens der Begriffe, zu reflectiren zu thun ist: so sieht man wohl, daß in einem blos reflectirenden Urtheile Einbildungs­ kraft und Verstand in dem Verhältnisse, in welchem sie in der Urtheilskraft überhaupt gegen einander stehen müssen, mit dem Verhältnisse, in welchem sie bey einer gegebenen Wahrnehmung wirklich stehen, verglichen, betrachtet werden. Wenn denn die Form eines gegebenen Objects in der em­ pirischen Anschauung so beschaffen ist, daß die A u f f a s s u n g 221 des Mannigfaltigen ∥ desselben in der Einbildungskraft mit der D a r s t e l l u n g eines Begrifs des Verstandes (unbestimmt welches Begrifs) übereinkommt, so stimmen in der bloßen Reflexion Ver­ * Bemerkung der Handschrift am Rande des Absatzes: »Wir legen, sagt man, Endursachen6 in die Dinge hinein und heben sie nicht gleich­ sam aus ihrer Wahrnehmung heraus«.

vii. Della tecnica della forza di giudizio

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su un oggetto dato, sia sull’intuizione empirica di tale oggetto per riportarla sotto qualche concetto (senza che sia determi­ nato di quale concetto si tratti) sia sul concetto stesso di espe­ rienza per ricondurre a principi comuni le leggi che contiene. Quindi è la f o r z a d i g i u d i z i o che in senso proprio è tecni­ ca; la natura è soltanto rappresentata come tecnica, in quanto si accorda con il procedere della forza di giudizio e lo rende necessario. Andiamo ora a mostrare in che modo il concetto della forza riflettente di giudizio, che rende possibile la perce­ zione interna di una conformità delle rappresentazioni al fine, possa essere applicato anche alla rappresentazione dell’oggetto in quanto contenuto in tale concetto* . A ogni concetto empirico corrispondono così tre opera­ zioni della facoltà spontanea di conoscere: 1. l’a p p r e n s i o n e (apprehensio) del molteplice dell’intuizione; 2. la c o m p r e n ­ s i o n e , cioè l’unità sintetica della coscienza di questo moltepli­ ce nel concetto di un oggetto (apperceptio comprehensiva); 3. l’e s i b i z i o n e (exhibitio) dell’oggetto che nell’intuizione corri­ 26 sponde a questo concetto. Per la prima operazione è richiesta la forza di immaginazione, per la seconda l’intelletto, per la terza la forza di giudizio che, quando si tratta di un concetto empirico, è forza determinante di giudizio. Ma poiché nella semplice riflessione su una percezione si tratta di riflettere non su un concetto determinato, bensì in generale soltanto sulla regola concernente una percezione in funzione dell’intelletto quale facoltà dei concetti, si vede bene che in un giudizio semplicemente riflettente la forza di imma­ ginazione e l’intelletto sono considerati nella relazione in cui devono trovarsi l’uno nei confronti dell’altro nella forza di giu­ dizio in generale, confrontata con la relazione in cui si trovano effettivamente in presenza di una percezione data. Se infatti la forma di un oggetto dato nell’intuizione empiri­ ca è di natura tale che l’a p p r e n s i o n e del molteplice di questo 221 oggetto nella forza di immaginazione si accorda con l’e s i b i ­ z i o n e di un concetto dell’intelletto (senza che sia determinato il concetto di cui si tratta), intelletto e forza di immaginazione * Annotazione del manoscritto a margine del paragrafo: «Si dice che siamo noi a introdurre cause finali nelle cose e non già che siamo noi a estrarle, per così dire, dalla percezione che ne abbiamo».

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

stand und Einbildungskraft wechselseitig zur Beförderung ihres Geschäfts zusammen, und der Gegenstand wird als zweckmäßig blos für die Urtheilskraft, wahrgenommen, mithin die Zweckmä­ ßigkeit selbst, blos als subjectiv betrachtet; wie denn auch dazu gar kein bestimmter Begrif vom Objecte erfordert noch dadurch erzeugt wird, und das Urtheil selbst kein Erkenntnisurtheil ist. – Ein solches Urtheil heißt ein ästhetisches R e f l e x i o n s -U r­ theil. Dagegen, wenn bereits empirische Begriffe und eben solche Gesetze, gemäß dem Mechanism der Natur gegeben sind und die Urtheilskraft vergleicht einen solchen Verstandesbegrif mit der Vernunft und ihrem Princip der Möglichkeit eines Systems, so 27 ist, wenn diese Form an dem | Gegenstande angetroffen wird, die Zweckmäßigkeit o b j e c t i v beurtheilt und das Ding heißt ein N a t u r z w e c k , da vorher nur Dinge als unbestimmt-zweckmä­ ßige N a t u r f o r m e n beurtheilt wurden. Das Urtheil über die objective Zweckmäßigkeit der Natur heißt t e l e o l o g i s c h . Es ist ein E r k e n n t n i ß u r t h e i l , aber doch nur der reflectirenden, nicht der bestimmenden Urtheilskraft angehörig. Denn über­ haupt ist die Technick der Natur, sie mag nun blos f o r m a l oder r e a l sein, nur ein Verhältniß der Dinge zu unserer Urtheilskraft, in welcher allein die Idee einer Zweckmäßigkeit der Natur anzu­ treffen seyn kann, und die, blos in Beziehung auf jene, der Natur beigelegt wird7. VIII. Von der Aesthetick des Beurtheilungsvermögens. Der Ausdruck einer ästhetischen Vo r s t e l l u n g s a r t ist ganz unzweydeutig, wenn darunter die Beziehung der Vorstellung auf einen Gegenstand, als Erscheinung, zur Erkenntniß dessel­ ben verstanden wird; denn alsdenn bedeutet der Ausdruck des Ä s t h e t i s c h e n 1, daß einer solchen Vorstellung die Form der Sinnlichkeit (wie das Subject afficirt wird) nothwendig anhänge und diese daher unvermeidlich auf das Object (aber nur als Phä­ nomen) übertragen werde. Daher konnte es eine transcendentale Aesthetik als zum Erkenntnißvermögen gehörige Wissenschaft ∥ 222 geben. Seit geraumer Zeit aber ist es Gewohnheit geworden, eine

viii. Dell’estetica della facoltà di valutare

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si accordano reciprocamente nella semplice riflessione per fa­ vorire il loro compito, e l’oggetto è percepito come conforme al fine soltanto per la forza di giudizio e la stessa conformità al fine è perciò considerata unicamente come soggettiva; come infatti a tale scopo non è richiesto alcun concetto determinato dell’oggetto, così non ne è prodotto alcuno e il giudizio stesso non è un giudizio di conoscenza. – Un tale giudizio prende il nome di g i u d i z i o e s t e t i c o d i r i f l e s s i o n e . Se invece sono già costituiti concetti empirici e perfino leg­ gi conformi al meccanismo della natura, e la forza di giudizio confronta un tale concetto dell’intelletto con la ragione e con il suo principio della possibilità di un sistema, in tal caso – qua­ lora questa forma sia riscontrata nell’oggetto – la conformità 27 al fine è valutata o g g e t t i v a , e la cosa si chiama f i n e d e l l a n a t u r a , mentre in precedenza le cose erano valutate soltanto come f o r m e d e l l a n a t u r a indeterminatamente conformi al fine. Il giudizio sulla conformità oggettiva della natura al fine si chiama t e l e o l o g i c o . È un g i u d i z i o d i c o n o s c e n z a , ma che appartiene soltanto alla forza riflettente e non alla forza determinante di giudizio. Infatti, in generale, la tecnica della natura, sia essa semplicemente f o r m a l e o r e a l e , è unica­ mente un rapporto delle cose alla nostra forza di giudizio, nella quale solo si può trovare l’idea di una conformità della natura al fine; e questa è attribuita alla natura soltanto in relazione alla suddetta forza di giudizio. VIII. Dell’estetica della facoltà di valutare L’espressione che designa un m o d o d i r a p p r e s e n t a ­ z i o n e estetico è del tutto inequivocabile se con essa si intende il rapporto della rappresentazione a un oggetto in quanto feno­ meno in vista della sua conoscenza; infatti, in tal caso, il termi­ ne «e s t e t i c o » significa che la forma della sensibilità (il modo in cui il soggetto ne è affetto) è necessariamente congiunta a una tale rappresentazione e che di conseguenza questa forma sarà inevitabilmente trasferita sull’oggetto (ma solo in quanto fenomeno). Perciò poteva esistere una estetica trascendenta­ le come scienza appartenente alla facoltà di conoscere. Ma da 222 qualche tempo si è presa l’abitudine di chiamare «estetico»,

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

Vorstellungsart ästhetisch, d. i. sinnlich, auch in der Bedeutung zu heißen, daß darunter die Beziehung einer Vorstellung nicht aufs Erkenntnißvermögen, sondern aufs Gefühl der Lust und Unlust gemeynet wird. Ob wir nun gleich dieses Gefühl, (dieser Benennung gemäß), auch einen Sinn (Modification unseres Zu­ standes) zu nennen pflegen, weil uns ein anderer Ausdruck man­ gelt, so ist er doch kein objectiver Sinn, dessen Bestimmung zum 28 E r k e n n t n i ß eines Gegenstandes gebraucht würde, | (denn etwas mit Lust anschauen, oder sonst erkennen, ist nicht bloße Beziehung der Vorstellung auf das Object, sondern eine Emp­ fänglichkeit des Subjects) sondern ein Sinn, der2 gar nichts zum Erkenntnisse der Gegenstände beiträgt3. Eben darum, weil alle Bestimmungen des Gefühls blos von subjectiver Bedeutung sind, so kann es nicht eine Aesthetik des Gefühls als Wissenschaft ge­ ben, etwa wie es eine Aesthetik des Erkenntnißvermögens giebt. Es bleibt also immer eine unvermeidliche Zweydeutigkeit in dem Ausdrucke einer aesthetischen Vorstellungsart, wenn man darun­ ter bald diejenige versteht, welche das Gefühl der Lust und Un­ lust erregt, bald diejenige, welche blos das Erkenntnißvermögen angeht, sofern darin sinnliche Anschauung angetroffen wird, die uns die Gegenstände nur als Erscheinungen erkennen läßt. Diese Zweydeutigkeit kann indessen doch gehoben werden, wenn man den Ausdruck ästhetisch, weder von der Anschauung, noch weniger aber von Vorstellungen des Verstandes, sondern allein von den Handlungen4 der U r t h e i l s k r a f t braucht. Ein a e s t h e t i s c h e s U r t h e i l , wenn man es zur objectiven Bestim­ mung brauchen wollte, würde so auffallend widersprechend seyn, daß man bey diesem Ausdruck wider Misdeutung genug gesichert ist. Denn Anschauungen können zwar sinnlich sein, aber U r t h e i l e n gehört schlechterdings nur dem Verstande (in weiterer Bedeutung genommen) zu, und ästhetisch oder sinnlich u r t h e i l e n , so fern dieses E r k e n n t n i ß eines Gegenstandes seyn soll, ist selbst alsdann ein Widerspruch, wenn Sinnlichkeit sich in das Geschäft des Verstandes einmengt und (durch ein vitium subreptionis) dem Verstande eine falsche Richtung giebt; das o b j e c t i v e Urtheil wird vielmehr immer nur durch den Ver­ 223 stand gefällt, und kann sofern nicht ästhetisch5 heißen. ∥ Daher hat unsere transscendentale Aesthetik des Erkenntnißvermögens 29 wohl von sinnlichen | Anschauungen, aber nirgend von ästheti­ schen Urtheilen reden können; weil, da sie es nur mit Erkennt­

viii. Dell’estetica della facoltà di valutare

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cioè sensibile, un modo di rappresentazione intendendo anche la relazione di una rappresentazione non con la facoltà di co­ noscere, bensì con il sentimento del piacere e dispiacere23. Ora, sebbene noi siamo soliti chiamare questo sentimento (confor­ memente a tale denominazione) anche con il nome di «senso» (modificazione del nostro stato) dato che ci manca un’altra espressione, non si tratta tuttavia di un senso oggettivo, la cui determinazione servirebbe alla c o n o s c e n z a di un oggetto 28 (infatti intuire qualcosa con piacere, o piuttosto conoscerla, non è una semplice relazione della rappresentazione con l’og­ getto, bensì una ricettività del soggetto), ma è un senso che non contribuisce per nulla alla conoscenza degli oggetti. Proprio per questo, poiché tutte le determinazioni del sentimento han­ no un significato soltanto soggettivo, non può esistere un’este­ tica del sentimento come scienza, come si dà un’estetica della facoltà di conoscere. Perciò resta sempre un inevitabile equi­ voco nell’espressione «modo di rappresentazione estetico» se con essa si intende sia quel modo che suscita il sentimento del piacere e dispiacere, sia quello che riguarda soltanto la facoltà di conoscere in quanto vi si rinviene l’intuizione sensibile che ci fa conoscere gli oggetti solo come fenomeni. Questo equivoco può comunque essere eliminato se non si utilizza il termine “estetico” né per l’intuizione né ancor meno per le rappresentazioni dell’intelletto, ma unicamente per le operazioni della f o r z a d i g i u d i z i o . Il g i u d i z i o e s t e ­ t i c o , se lo si volesse usare per una determinazione oggettiva, sarebbe così palesemente contraddittorio che usando questa espressione si è sufficientemente al riparo da qualsiasi frainten­ dimento. Poiché le intuizioni possono certamente essere sen­ sibili, ma g i u d i c a r e appartiene esclusivamente all’intelletto (preso in senso lato) e g i u d i c a r e in modo estetico o sensibile (in quanto ciò deve costituire c o n o s c e n z a di un oggetto) è anche in queste condizioni una contraddizione, dal momento che la sensibilità si intromette in ciò di cui si occupa l’intelletto e (per un vitium subreptionis) dà all’intelletto un falso orien­ tamento; il giudizio o g g e t t i v o è piuttosto sempre solo pro­ nunciato dall’intelletto e come tale non può essere chiamato estetico. Pertanto la nostra estetica trascendentale della facoltà 223 di conoscere ha certamente potuto parlare di intuizioni sensi­ 29 bili, ma mai di giudizi estetici, e ciò perché, avendo essa a che

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nißurtheilen, die das Object bestimmen, zu thun hat, ihre Urthei­ le insgesammt logisch seyn müßen. Durch die Benennung eines ästhetischen Urtheils über ein Object wird also so fort angezeigt, daß eine gegebene Vorstellung zwar auf ein Object bezogen, in dem Urtheile aber nicht die Bestimmung des Objects, sondern des Subjects und seines Gefühls verstanden werde. Denn in der Urtheilskraft werden Verstand und Einbildungskraft im Verhält­ nisse gegen einander betrachtet, und dieses kann zwar erstlich objectiv, als zum Erkenntniß gehörig, in Betracht gezogen wer­ den (wie in dem transcendentalen Schematism der Urtheilskraft geschah); aber man kann eben dieses Verhältniß zweyer Erkennt­ nißvermögen doch auch blos subjectiv betrachten, so fern eins das andere in eben derselben Vorstellung befördert oder hindert und dadurch den G e m ü t h s z u s t a n d afficirt und also als ein Verhältniß6, welches e m p f i n d b a r ist, (ein Fall, der bey dem abgesonderten Gebrauch keines andern Erkenntnißvermögens statt findet). Obgleich nun diese Empfindung keine sinnliche Vorstellung eines Objects ist, so kann sie doch, da sie subjectiv mit der Versinnlichung der Verstandesbegriffe durch die Urt­ heilskraft verbunden ist, als sinnliche Vorstellung des Zustandes des Subjects, das durch einen Actus jenes Vermögens afficirt wird, der Sinnlichkeit beigezählt und ein Urtheil ästhetisch, d. i., sinnlich (der subjectiven Wirkung, nicht dem Bestimmungsgrun­ de nach) genannt werden, obgleich Urtheilen (nämlich objectiv) eine Handlung des Verstandes (als obern Erkenntnißvermögens7 überhaupt) und nicht der Sinnlichkeit ist. Ein jedes b e s t i m m e n d e Urtheil ist l o g i s c h , weil das Prädicat desselben ein gegebener objectiver Begrif ist. Ein blos r e f l e c t i r e n d e s Urtheil aber über einen gegebenen einzelnen Gegenstand kann ä s t h e t i s c h s e y n , wenn (ehe noch auf die Vergleichung desselben mit andern gesehen wird,) die Urtheils­ kraft, die keinen Begrif für die gegebene Anschauung bereit hat, 30 die Einbil|dungskraft (blos in der Auffassung desselben) mit dem Verstande (in Darstellung eines Begrifs überhaupt) zusammen­ hält und ein Verhältniß beider Erkenntnißvermögen wahrnimmt, welches die subjective blos empfindbare Bedingung des objecti­ 224 ven Gebrauchs der ∥ Urtheilskraft (nämlich die Zusammenstim­

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fare solo con giudizi di conoscenza che determinano l’oggetto, tutti i suoi giudizi nel complesso devono essere logici. Con la denominazione di «giudizio estetico» su un oggetto si indica direttamente che una rappresentazione data è certamente rife­ rita a un oggetto, ma che nel giudizio non è intesa la determi­ nazione dell’oggetto, bensì soltanto quella del soggetto e del suo sentimento. Dato che nella forza di giudizio intelletto e forza di immaginazione sono considerati nella loro relazione reciproca e tale relazione può certamente essere innanzitutto presa in considerazione a livello oggettivo, come appartenente alla conoscenza (come avvenne nello schematismo trascenden­ tale della forza di giudizio), proprio questa relazione delle due facoltà di conoscere può però anche essere considerata a livel­ lo unicamente soggettivo, in quanto l’una favorisce o ostacola l’altra nella rappresentazione stessa e suscita quindi affezioni nello s t a t o d ’ a n i m o : e quindi può essere considerata come una relazione c h e p u ò e s s e r e s e n t i t a (un caso che non si verifica nell’uso isolato di alcun’altra facoltà di conoscere). Ora, benché questa sensazione non sia una rappresentazione sensibile di un oggetto, tuttavia essa, essendo legata soggetti­ vamente all’attività che rende sensibili i concetti dell’intelletto tramite la forza di giudizio, può essere annoverata nella sen­ sibilità in quanto rappresentazione sensibile dello stato del soggetto che è affetto da un atto di quella facoltà e può essere designata come un giudizio formulato in modo estetico, cioè sensibile (secondo l’effetto soggettivo e non per il principio di determinazione), sebbene giudicare (in senso oggettivo) sia un’operazione dell’intelletto (come facoltà superiore di cono­ scere in generale) e non della sensibilità. Ogni giudizio d e t e r m i n a n t e è l o g i c o , perché il suo predicato è un concetto oggettivo dato. Al contrario, un giu­ dizio semplicemente r i f l e t t e n t e su un singolo oggetto dato p u ò e s s e r e e s t e t i c o se (prima ancora che venga conside­ rato nel suo confrontarsi con altri) la forza di giudizio, che non ha a disposizione alcun concetto per l’intuizione data, accor­ da la forza di immaginazione (nella semplice apprensione di 30 questo oggetto) con l’intelletto (nell’esibizione di un concetto in generale), e percepisce un rapporto tra le due facoltà co­ noscitive che costituisce, in generale, la condizione soggettiva, meramente sensibile, dell’uso oggettivo della forza di giudizio 224

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mung8 jener beyden Vermögen unter einander) überhaupt aus­ macht. Es ist aber auch ein ästhetisches Sinnenurtheil möglich, wenn nämlich das Prädicat des Urtheils gar kein Begrif von einem Object s e y n k a n n , indem es gar nicht zum Erkenntnißvermö­ gen gehört z. B. der Wein ist angenehm, da denn das Prädicat die Beziehung einer Vorstellung unmittelbar auf das Gefühl der Lust und nicht aufs Erkenntnißvermögen ausdrückt9. Ein ästhetisches Urtheil im Allgemeinen kann also für dasje­ nige Urtheil erklärt werden, dessen Prädicat niemals Erkenntniß (Begrif von einem Objecte) seyn kann, (ob es gleich die subjective Bedingungen zu einem Erkenntniß überhaupt enthalten mag). In einem solchen Urtheile ist der Bestimmungsgrund Empfindung. Nun ist aber nur eine einzige so genannte Empfindung, die nie­ mals Begrif von einem Objecte werden kann, und diese ist das Gefühl der Lust und Unlust. Diese ist blos subjectiv, da hingegen alle übrige Empfindung10 zur11 Erkenntniß gebraucht werden kann. Also ist ein ästhetisches Urtheil dasjenige dessen Bestim­ mungsgrund in einer Empfindung liegt, die mit dem Gefühle der Lust und12 Unlust unmittelbar verbunden ist. Im ästhetischen Sinnes-Urtheile ist es diejenige Empfindung, welche von der em­ pirischen Anschauung des Gegenstandes unmittelbar hervorge­ bracht wird, im ästhetischen Reflexionsurtheile aber die, welche das harmonische Spiel der beiden Erkenntnißvermögen der Urt­ heilskraft, Einbildungskraft und Verstand im Subjecte bewirkt, indem in der gegebenen Vorstellung das Auffassungsvermögen der einen und das Darstellungsvermögen der andern einander wechselseitig beförderlich sind, welches Verhältniß in solchem Falle durch diese bloße Form eine Empfindung bewirkt, welche der Bestimmungsgrund eines Urtheils ist, das darum ästhetisch 31 heißt und | als subjective Zweckmäßigkeit (ohne Begrif) mit dem Gefühle der Lust verbunden ist. Das ästhetische Sinnesurtheil enthält materiale, das ästheti­ sche Reflexionsurtheil aber formale Zweckmäßigkeit. Aber, da das erstere sich gar nicht aufs Erkenntnißvermögen bezieht, son­ dern unmittelbar durch den Sinn aufs Gefühl der Lust, so ist nur das letztere als auf eigentümlichen Principien der Urtheilskraft gegründet anzusehen. Wenn nämlich die Reflexion über eine ge­

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(cioè dell’accordo reciproco di quelle due facoltà). È però an­ che possibile un giudizio estetico del senso quando il predicato del giudizio non p u ò affatto e s s e r e il concetto di un ogget­ to, nella misura in cui non appartiene per nulla alla facoltà di conoscere, come per esempio «il vino è gradevole»; infatti qui il predicato esprime il riferirsi di una rappresentazione diretta­ mente al sentimento del piacere e non alla facoltà di conoscere. Un giudizio estetico in generale può dunque essere defini­ to come quel giudizio il cui predicato non può mai essere una conoscenza (concetto di un oggetto), benché possa contenere le condizioni soggettive per una conoscenza in generale. In un tale giudizio il principio di determinazione è la sensazione. Ora, però, c’è soltanto un’unica sensazione degna di questo nome che non può mai divenire concetto di un oggetto ed è il sentimento del piacere e dispiacere. Tale sensazione è me­ ramente soggettiva, mentre, al contrario, ogni altra sensazio­ ne può essere utilizzata in vista della conoscenza. Dunque un giudizio estetico è quello il cui principio di determinazione risiede in una sensazione che è immediatamente connessa con il sentimento del piacere e dispiacere. Nel giudizio estetico del senso si tratta di quella sensazione che è prodotta imme­ diatamente dall’intuizione empirica dell’oggetto, mentre nel giudizio estetico di riflessione si tratta di quella sensazione che il gioco armonico della forza di immaginazione e dell’in­ telletto24 – le due facoltà conoscitive della forza di giudizio – produce nel soggetto, dal momento che nella rappresenta­ zione data la facoltà di apprensione dell’una e la facoltà di esibizione dell’altra si favoriscono reciprocamente: una re­ lazione che in un tal caso, grazie a questa semplice forma, produce una sensazione che è il principio di determinazione di un giudizio che perciò si chiama estetico ed è, in quanto 31 conformità soggettiva al fine (senza concetto), legato al senti­ mento del piacere. Il giudizio estetico del senso contiene una conformità ma­ teriale al fine, mentre il giudizio estetico di riflessione contiene soltanto una conformità formale al fine. Tuttavia, dato che il primo non si riferisce affatto alla facoltà di conoscere, ma di­ rettamente, tramite il senso, al sentimento del piacere, soltanto il secondo deve essere considerato come fondato su principi peculiari della forza di giudizio. Se infatti la riflessione su una

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gebene Vorstellung vor dem Gefühle der Lust (als Bestimmungs­ grunde des Urtheils) vorhergeht, so wird die subjective Zweck­ mäßigkeit g e d a c h t , ehe sie in ihrer Wirkung e m p f u n d e n  ∥ 225 wird, und das ästhetische Urtheil gehört so fern, nämlich seinen Principien nach, zum obern Erkenntnißvermögen und zwar zur Urtheilskraft, unter deren subjective und doch dabey allgemeine Bedingungen die Vorstellung des Gegenstandes subsumirt wird. Dieweil aber eine blos subjective Bedingung eines Urtheils keinen bestimmten Begrif von dem Bestimmungsgrunde desselben ver­ stattet, so kann dieser nur im Gefühle der Lust gegeben werden, so doch, daß das ästhetische Urtheil immer ein Reflexionsurtheil ist: da hingegen ein solches, welches keine Vergleichung der Vor­ stellung mit den Erkenntnißvermögen, die in der Urtheilskraft vereinigt wirken, voraussetzt, ein ästhetisches Sinnenurtheil ist, das eine gegebene Vorstellung auch (aber nicht vermittelst der Urtheilskraft und ihrem Princip13) aufs Gefühl der Lust bezieht. Das Merkmal, über diese Verschiedenheit zu entscheiden, kann allererst14 in der Abhandlung selbst angegeben werden und be­ steht in dem Anspruche des Urtheils auf allgemeine Gültigkeit und Nothwendigkeit; denn wenn das ästhetische Urtheil derglei­ chen bey sich führt, so macht es auch Anspruch darauf, daß sein Bestimmungsgrund n i c h t b l o s i m G e f ü h l e der Lust und Unlust für sich allein, sondern z u g l e i c h i n e i n e r R e g e l der oberen Erkenntnißvermögen, und namentlich hier in der der Urt­ 32 heilskraft, liegen müsse, die also in Ansehung der Bedingun|gen der Reflexion a priori gesetzgebend ist und Av t o n o m i e 15 be­ weiset; diese16 Avtonomie aber ist nicht, (so wie die des Verstan­ des, in Ansehung der theoretischen Gesetze der Natur, oder der Vernunft, in practischen Gesetzen der Freiheit) objectiv d. i. durch Begriffe von Dingen oder möglichen Handlungen, son­ dern blos subjectiv, für das Urtheil aus Gefühl gültig, welches, wenn es auf Allgemeingültigkeit Anspruch machen kann, seinen auf Principien a priori gegründeten Ursprung beweiset. Diese17 Gesetzgebung müßte man eigentlich H e a v t o n o m i e nennen, da die Urtheilskraft nicht der Natur, noch der Freiheit, sondern lediglich ihr selbst das Gesetz giebt und kein Vermögen ist, Be­ griffe von Objecten hervorzubringen, sondern nur mit denen, die ihr anderweitig gegeben sind, vorkommende Fälle zu vergleichen

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rappresentazione data precede il sentimento del piacere (come principio di determinazione del giudizio), la conformità sog­ gettiva al fine è p e n s a t a prima ancora di essere s e n t i t a nel 225 suo effetto e il giudizio estetico rientra in questa misura, cioè secondo i suoi principi, nella facoltà superiore di conoscere e più precisamente nella forza di giudizio, sotto le cui condizio­ ni soggettive e tuttavia ad un tempo universali viene sussunta la rappresentazione dell’oggetto. Ma mentre una condizione semplicemente soggettiva di un giudizio non permette alcun concetto determinato del suo principio di determinazione, questo principio può essere dato soltanto nel sentimento del piacere, in modo tale però che il giudizio estetico sia sempre un giudizio di riflessione; al contrario, un giudizio il quale non presuppone alcun confronto della rappresentazione con le fa­ coltà conoscitive, che operano congiunte nella forza di giudizio, è un giudizio estetico dei sensi che riferisce ugualmente una rappresentazione data al sentimento del piacere (ma non trami­ te la forza di giudizio e il suo principio). Il carattere distintivo per decidere su questa diversità può essere indicato unicamente nel corso della trattazione stessa25 e consiste nella pretesa del giudizio di avere una validità universale e una necessità; infatti, se il giudizio estetico comporta tali aspetti, pretende anche che il suo principio di determinazione non debba risiedere u n i c a ­ m e n t e n e l s e n t i m e n t o del piacere e dispiacere considera­ to soltanto per se stesso, ma a d u n t e m p o i n u n a r e g o l a delle facoltà superiori del conoscere e qui in modo particolare nella regola della forza di giudizio, che è dunque legislativa a priori e dà prova di a u t o n o m i a riguardo alle condizioni del­ 32 la riflessione; questa autonomia, però (a differenza di quella dell’intelletto, rispetto alle leggi teoretiche della natura, o di quella della ragione, rispetto alle leggi pratiche della libertà), non è oggettiva, cioè non avviene tramite concetti di cose o possibili operazioni, ma è unicamente soggettiva, valida per il giudizio che procede dal sentimento, il quale, se può avanzare pretese alla validità universale, prova che la sua origine è fon­ data su principi a priori. Questa legislazione andrebbe definita e a u t o n o m i a , poiché la forza di giudizio fornisce la legge non alla natura né alla libertà, ma solamente a se stessa, e non è una facoltà di produrre concetti da oggetti, bensì soltanto una facoltà di confrontare casi che si presentano con concetti che

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und die subjective Bedingungen der Möglichkeit dieser Verbin­ dung a priori anzugeben. Eben daraus läßt sich auch verstehen, warum sie in einer Handlung, die sie für sich selbst, (ohne zum Grunde gelegten Begrif vom Objecte) als blos reflectirende Urtheilskraft, ausübt, statt einer Beziehung der gegebenen18 Vorstellung auf ihre eige­ 226 ne Regel mit Bewußtseyn derselben, ∥ die Reflexion unmittelbar nur auf Empfindung, die, wie alle Empfindungen, jederzeit mit Lust oder Unlust begleitet ist, bezieht (welches von keinem an­ dern obern Erkenntnißvermögen geschieht); weil nämlich die Regel selbst nur subjectiv ist und die Übereinstimmung mit der­ selben nur an dem, was gleichfalls blos Beziehung aufs Subject ausdrückt, nämlich Empfindung, als dem Merkmale und Be­ stimmungsgrunde des Urtheils, erkannt werden kann; daher es auch ästhetisch heißt, und mithin alle unsere Urtheile, nach der Ordnung der obern Erkenntnißvermögen, in t h e o r e t i s c h e , ä s t h e t i s c h e und p r a c t i s c h e eingetheilt werden können, wo unter den ästhetischen nur die Reflexionsurtheile verstanden werden, welche sich allein auf ein Princip der Urtheilskraft, als obern Erkenntnißvermögens, beziehen, da hingegen die ästheti­ sche Sinnenurtheile es nur mit dem Verhältniß der Vorstellungen zum innern Sinne, so fern derselbe Gefühl ist, unmittelbar zu thun haben. | 33

Anmerkung1 Hier ist nun vorzüglich nöthig die Erklärung der Lust, als sinnlicher Vorstellung der Vo l l k o m m e n h e i t eines Gegenstan­ des zu beleuchten. Nach dieser Erklärung würde ein ästhetisches Sinnen- oder Reflexionsurtheil jederzeit ein Erkenntnisurtheil vom Objecte seyn; denn Vollkommenheit ist eine Bestimmung, die einen Begrif vom Gegenstande voraussetzt, wodurch also das Urtheil, welches dem Gegenstande Vollkommenheit beilegt, von andern logischen Urtheilen gar nicht unterschieden wird, als etwa, wie man vorgiebt, durch die Verworrenheit die dem Be­ griffe anhängt, (die man Sinnlichkeit zu nennen sich anmaßt) die aber schlechterdings keinen spezifischen Unterschied der Urthei­

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le sono dati in altro modo, e di indicare a priori le condizioni soggettive della possibilità di questo legame. Proprio da ciò si può anche capire perché è in un’ope­ razione esercitata dalla forza di giudizio per se stessa (senza avere a proprio fondamento un concetto dell’oggetto), come forza meramente riflettente di giudizio, e non in una relazione della rappresentazione data con la propria regola unitamente alla coscienza di quest’ultima, che la forza di giudizio riferi­ 226 sce immediatamente la riflessione soltanto alla sensazione, la quale, come tutte le altre sensazioni, è sempre accompagnata da piacere o dispiacere (cosa che non avviene per alcun’altra facoltà superiore di conoscere); poiché infatti la regola stessa è soltanto soggettiva e l’accordo con essa non si può conoscere se non perché esprime ugualmente una mera relazione al sogget­ to, cioè la sensazione, in quanto carattere distintivo e principio di determinazione del giudizio, anche per questo tale giudizio si chiama estetico e di conseguenza tutti i nostri giudizi posso­ no essere suddivisi, secondo l’ordine delle facoltà superiori di conoscere, in giudizi t e o r e t i c i , e s t e t i c i e p r a t i c i , dove per giudizi estetici si intendono solamente i giudizi di riflessio­ ne, che sono i soli a riferirsi a un principio della forza di giudi­ zio come facoltà conoscitiva superiore, mentre, al contrario, i giudizi estetici dei sensi hanno direttamente a che fare soltanto con il rapporto delle rappresentazioni al senso interno, nella misura in cui quest’ultimo è un sentimento. Nota A questo punto è particolarmente necessario chiarire la definizione del piacere come rappresentazione sensibile della p e r f e z i o n e di un oggetto. Secondo questa definizione, un giudizio estetico dei sensi o della riflessione sarebbe sempre un giudizio di conoscenza diretto sull’oggetto, giacché la perfezio­ ne è una determinazione che presuppone un concetto dell’og­ getto, per cui ne consegue che il giudizio che attribuisce la per­ fezione all’oggetto non è affatto distinto dagli altri giudizi logici se non, come si presume, per la confusione legata al concetto (confusione che si pretende di chiamare sensibilità), ma che non può assolutamente costituire tra i giudizi una differenza

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le ausmachen kann. Denn sonst würde eine unendliche Menge, nicht allein von Verstandes, sondern so gar von Vernunfturtheilen, auch ästhetisch heißen müßen, weil in ihnen ein Object durch ei­ nen B e g r i f f , der verworren ist, bestimmt wird, wie z. B. die Urt­ heile über Recht und Unrecht; denn wie wenig Menschen (so gar Philosophen)2 haben3 einen deutlichen Begrif von dem was Recht 227 ist*. Sinnliche Vorstellung der Vollkommenheit ist ∥ ein aus­ 34 drücklicher Widerspruch, und wenn die Zusammen|stimmung des Mannigfaltigen zu Einem Vollkommenheit heißen soll, so muß sie durch einen Begrif vorgestellt werden, sonst kann sie nicht den Namen der Vollkommenheit führen. Will man, daß Lust und Unlust nichts als bloße Erkenntnisse der Dinge durch den Verstand (der sich nur nicht seiner Begriffe bewußt sey) seyn sollen und daß sie uns nur bloße Empfindungen zu seyn schei­ nen, so müßte man die Beurtheilung der Dinge durch dieselbe nicht ästhetisch (sinnlich) sondern allerwärts intellectuell nennen und Sinne wären im Grunde nichts als ein (obzwar ohne hinrei­ chendes Bewußtseyn seiner eigenen Handlungen) urtheilender Verstand, die ästhetische Vorstellungsart wäre von der logischen nicht specifisch unterschieden, und so wäre, da man die Grenz­ scheidung beyder unmöglich auf bestimmte Art ziehen kann, die­ se Verschiedenheit der Benennung ganz unbrauchbar. (Von die­

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* Man kann überhaupt sagen: daß Dinge durch eine Qualität, die in jede andere durch die bloße Vermehrung oder Verminderung ihres Grades übergeht, niemals für s p e c i f i s c h - v e r s c h i e d e n gehalten werden müssen. Nun kommt es bei dem Unterschiede der Deutlichkeit und Verworrenheit der Begriffe lediglich auf den Grad des Bewußtseyns der Merkmale, nach dem Maaße der  ∥ auf sie gerichteten Aufmerksamkeit, an, mithin ist sofern eine Vorstellungsart von der andern nicht specifisch verschieden. Anschauung aber und Begrif unterscheiden sich von einander specifisch; denn sie gehen in einander nicht über: das Bewußtsein beyder, und der Merkmale derselben, mag wachsen oder abnehmen, wie es will. Denn die größte Undeutlichkeit einer Vorstellungsart durch Begriffe (wie z. B. des Rechts) läßt noch immer den4 specifischen Unterschied der letztern in Ansehung ihres Ursprungs im Verstande übrig und die größte Deutlichkeit der Anschauung bringt diese nicht im mindesten den ersteren näher, weil die letztere Vorstellungsart in der Sinnlichkeit ihren Sitz hat. Die logische Deutlichkeit ist auch von der ästhetischen himmelweit unterschieden5 und die letztere findet statt, ob wir uns gleich den Gegenstand gar nicht durch Begriffe vorstellig machen, das heißt, obgleich die Vorstellung, als Anschauung, sinnlich ist.

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specifica. Infatti, diversamente, ci sarebbe una quantità infinita di giudizi, non soltanto dell’intelletto ma perfino della ragione, che pure dovrebbero essere chiamati estetici, perché un ogget­ to vi si trova determinato da un concetto che è confuso, come per esempio i giudizi sul diritto e sul torto, dato che ben pochi uomini (persino filosofi) possiedono un concetto chiaro di che cosa sia il diritto* . Parlare di una rappresentazione sensibile della perfezione è una contraddizione esplicita, e se l’accordo 227 del molteplice in un’unità deve chiamarsi «perfezione», allora 34 si deve rappresentare tale accordo con un concetto, altrimenti non si può definirlo perfezione. Se si vuole che piacere e dispia­ cere non debbano essere altro che semplici conoscenze delle cose mediante l’intelletto (senza che questo sia cosciente dei suoi concetti), e che essi ci sembrino essere unicamente delle semplici sensazioni, bisognerebbe allora chiamare la valutazio­ ne delle cose effettuata grazie ad essi non «estetica» (sensibile), bensì «intellettuale» sotto ogni riguardo, e i sensi non sareb­ bero in fondo null’altro che un intelletto che giudica (benché senza una coscienza sufficiente delle proprie operazioni), il modo estetico di rappresentazione non sarebbe specificamente diverso dal modo di rappresentazione logico e questa diversità di denominazione sarebbe totalmente inutile, essendo impossi­ bile tracciare con precisione la linea di confine tra i due. (Non * Si può dire in generale che le cose non dovrebbero mai essere rite­ nute s p e c i f i c a m e n t e d i s t i n t e per via di una qualità che si trasforma in ogni altra mediante il semplice aumento o diminuzione del suo grado. La differenza tra la distinzione e la confusione dei concetti dipende so­ lamente dal grado di coscienza dei caratteri distintivi secondo la misura dell’attenzione che vi si rivolge: nella misura in cui un modo di rappresen­ tazione non è specificamente distinto dagli altri. Ma intuizione e concetto si distinguono specificamente l’una dall’altro, perché essi non trapassano l’una nell’altro, sia che cresca o diminuisca la coscienza che si ha di essi come pure dei loro caratteri distintivi. Poiché la massima indistinzione di un modo di rappresentazione mediante concetti (come per esempio quel­ lo del diritto) conserva pur sempre la differenza specifica di questi ultimi rispetto alla loro origine nell’intelletto e la massima distinzione dell’intui­ zione non la avvicina minimamente ai concetti, perché quest’ultimo modo di rappresentazione ha la sua sede nella sensibilità. La distinzione logica è anche del tutto diversa da quella estetica e quest’ultima ha luogo anche quando noi non ci rappresentiamo affatto l’oggetto mediante concetti, cioè benché la rappresentazione, in quanto intuizione, sia sensibile.

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ser mystischen Vorstellungsart der Dinge der Welt, welche keine von Begriffen überhaupt unterschiedene Anschauung als sinnlich zuläßt, wo alsdann für die erstere wohl nichts als ein anschauen­ der Verstand übrig bleiben würde, hier nichts zu erwähnen). Noch könnte man fragen: Bedeutet unser Begrif einer Zweck­ mäßigkeit der Natur nicht eben dasselbe, was der Begrif der Vo l l k o m m e n h e i t sagt und ist also das empirische Bewußt­ seyn der subjectiven Zweckmäßigkeit, oder das Gefühl der Lust an gewissen Gegenständen, nicht die sinnliche Anschauung einer Vollkommenheit, wie einige die Lust überhaupt erklärt wissen wollen? ∥ Ich antworte: Vo l l k o m m e n h e i t , als bloße Vollständigkeit 228 des Vielen, so fern es zusammen Eines ausmacht, ist ein ontolo­ gischer Begrif, der mit dem der Totalität (Allheit) eines Zusam­ mengesetzten (durch Coordination des Mannigfaltigen in einem Aggregat, oder zugleich der Subordination desselben6 als Gründe und Folgen in einer Reihe) einerley7 ist und der mit dem Gefühle der Lust oder Unlust8 nicht das Mindeste9 zu thun hat. D i e Voll­ kommenheit eines Dinges in Beziehung seines Mannigfaltigen auf 35 einen Begrif | desselben ist nur formal. Wenn ich aber von e i n e r Vollkommenheit (deren es viele an einem Dinge unter demselben Begriffe desselben geben kann) rede, so liegt immer der Begrif von etwas, als einem Zwecke, zum Grunde, auf welchen jener ontologische, der Zusammenstimmung des Mannigfaltigen zu Ei­ nem, angewandt wird. Dieser Zweck darf aber nicht immer ein practischer Zweck seyn, der eine Lust an der Existenz des Objects voraussetzt, oder einschließt, sondern er kann auch zur Technick gehören, betrift also blos die Möglichkeit der Dinge und ist d i e G e s e t z m ä ß i g k e i t e i n e r a n s i c h z u f ä l l i g e n Ve r b i n ­ d u n g d e s M a n n i g f a l t i g e n in demselben. Zu einem Beyspiel mag die Zweckmäßigkeit dienen, die man an einem10 regulären Sechseck in seiner Möglichkeit nothwendig denkt, indem es ganz zufällig ist, daß sechs gleiche Lienien auf einer Ebene gerade in lauter gleichen Winkeln zusammenstoßen, denn diese gesetzmä­ ßige Verbindung setzt einen Begrif voraus, der, als Princip, sie möglich macht. Dergleichen objective Zweckmäßigkeit an Din­

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è qui il caso di parlare di questo modo mistico di rappresentare le cose del mondo che non ammette come sensibile alcuna in­ tuizione distinta dai concetti in generale, laddove non restereb­ be per il modo estetico di rappresentazione nient’altro che un intelletto intuitivo). Ci si potrebbe ancora chiedere: il nostro concetto di una conformità della natura al fine non significa esattamente la stessa cosa di ciò che dice il concetto di perfezione? E di con­ seguenza la coscienza empirica della conformità soggettiva al fine, ovvero il sentimento del piacere nei confronti di certi oggetti, non è proprio l’intuizione sensibile di una perfezione come alcuni vogliono intendere la definizione del piacere in generale? Rispondo in questo modo: la p e r f e z i o n e , come mera 228 completezza del molteplice, in quanto esso, preso nel suo com­ plesso, costituisce un’unità, è un concetto ontologico che co­ stituisce un tutt’uno con quello della totalità di un composto (mediante coordinazione del molteplice in un aggregato o, ad un tempo, mediante la loro subordinazione in una serie come principi e conseguenze) e che non ha minimamente a che ve­ dere con il sentimento del piacere e dispiacere. L a perfezione di una cosa nella relazione del suo molteplice con un concetto 35 della cosa stessa è unicamente formale. Ma se parlo di u n a perfezione (possono essercene molte in una cosa sotto lo stes­ so concetto di questa cosa), in tal caso al fondo c’è sempre il concetto di qualcosa come costituente un fine a cui viene applicato quel concetto ontologico dell’accordo del molteplice in una unità. Questo fine, però, non deve sempre essere un fine pratico che presupponga o implichi un piacere per l’esistenza dell’oggetto, bensì tale fine può anche appartenere alla tecni­ ca: in tal caso riguarda semplicemente la possibilità delle cose ed è l a c o n f o r m i t à a l l a l e g g e d i u n l e g a m e , i n s é c o n t i n g e n t e , d e l m o l t e p l i c e nell’oggetto. Può servire da esempio la conformità al fine che si pensa come necessaria a proposito di un esagono regolare considerato nella sua possi­ bilità, dal momento che è totalmente contingente che sei linee uguali poste su un piano si incontrino formando proprio angoli uguali, poiché questa connessione conforme a legge presup­ pone un concetto che, in quanto principio, la rende possibile. Ora, una simile conformità oggettiva al fine, osservata a propo­

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gen der Natur beobachtet (vornämlich an organisirten Wesen) wird nun als objectiv und material gedacht und führt nothwendig den Begrif eines Zwecks der Natur (eines wirklichen oder ihr an­ gedichteten) bey sich, in Beziehung auf welchen wir den Dingen auch Vollkommenheit beylegen, darüber das Urtheil teleologisch heißt und gar kein Gefühl der Lust bey sich führt, so wie diese überhaupt in dem Urtheile über die bloße Causal-Verbindung gar nicht gesucht werden darf. Überhaupt hat also der Begrif der Vollkommenheit als objec­ tiver Zweckmäßigkeit mit dem Gefühle der Lust und diese mit je­ nem gar nichts zu thun. Zu der Beurtheilung der ersteren gehört nothwendig ein B e g r i f vom Object, zu der durch die zweyte ist er dagegen gar nicht nöthig und bloße empirische Anschauung kann sie verschaffen. Dagegen ist die Vorstellung einer subjecti­ ven Zweckmäßigkeit eines Objects mit dem Gefühle der Lust so 36 gar einerley (ohne daß eben ein abgezogener Begrif eines | Zweck­ 229 verhältnisses dazu gehörte) und zwischen dieser und jener ∥ ist eine sehr große Kluft. Denn ob, was subjectiv zweckmäßig ist, es auch objectiv sey, dazu wird eine mehrentheils weitläufige Unter­ suchung, nicht allein der practischen Philosophie, sondern auch der Technick, es sey der Natur oder der Kunst erfordert d. i., um Vollkommenheit an einem Dinge zu finden, dazu wird Vernunft, um Annehmlichkeit, wird bloßer Sinn, um Schönheit an ihm an­ zutreffen, nichts als die bloße Reflexion, (ohne allen Begrif) über eine gegebene Vorstellung erfordert11. Das ästhetische Reflexionsvermögen urtheilt also nur über subjective Zweckmäßigkeit (nicht über Vollkommenheit) des Ge­ genstandes: und es frägt sich da, ob nur v e r m i t t e l s t der dabey empfundenen Lust oder Unlust, oder so gar ü b e r dieselbe, so daß das Urtheil zugleich bestimme, daß mit der Vorstellung des Gegenstandes Lust oder Unlust verbunden seyn m ü s s e . Diese Frage läßt sich, wie oben schon erwähnt, hier noch nicht hinreichend entscheiden. Es muß sich aus der Exposition dieser Art Urtheile in der Abhandlung allererst ergeben, ob sie eine Allgemeinheit und Nothwendigkeit bey sich führen, welche sie zur Ableitung von einem Bestimmungsgrunde a priori quali­ ficire12. In diesem Falle würde das Urtheil zwar vermittelst der

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sito delle cose della natura (specialmente negli esseri organiz­ zati), è perciò pensata come oggettiva e materiale, e comporta necessariamente il concetto di un fine della natura (fine reale o ad essa attribuito) in relazione al quale attribuiamo alle cose anche la perfezione: in tal caso il giudizio si chiama «teleolo­ gico» e non comporta alcun sentimento di piacere, come pure in generale questo piacere non può affatto essere ricercato nel giudizio riguardo la mera connessione causale. In generale, il concetto di perfezione come conformità og­ gettiva al fine non ha dunque assolutamente niente a che fare con il sentimento del piacere né questo con quello. Alla valuta­ zione della perfezione appartiene necessariamente un concetto dell’oggetto, il quale al contrario non è affatto necessario al valutare mediante il piacere, e basta a procurarlo una sempli­ ce intuizione empirica. La rappresentazione di una conformità soggettiva di un oggetto al fine è invece del tutto identica al sentimento del piacere (senza che sia richiesto a tal fine un con­ cetto astratto di una relazione al fine), e tra le due conformità 36 al fine c’è un abisso enorme. Per sapere infatti se ciò che è sog­ 229 gettivamente conforme al fine lo sia anche oggettivamente oc­ corre una ricerca ampia e dettagliata non soltanto sulla filosofia pratica ma anche sulla tecnica, sia della natura sia dell’arte: in altre parole, per scoprire la perfezione in una cosa occorre la ragione, mentre per trovarvi la gradevolezza basta il senso e per riscontrarvi la bellezza nient’altro che la semplice riflessione (senza alcun concetto) su una rappresentazione data. La facoltà estetica di riflessione giudica dunque unicamen­ te sulla conformità soggettiva dell’oggetto al fine (e non sulla sua perfezione), e si pone allora la domanda se essa giudichi soltanto t r a m i t e il piacere o il dispiacere sentiti oppure se giunga a giudicare s u di essi, cosicché il giudizio determini nel contempo se siano il piacere o il dispiacere a d o v e r essere associati alla rappresentazione dell’oggetto. Tale questione, come si è già accennato in precedenza, qui non può ancora essere risolta in modo soddisfacente. È dall’e­ sposizione di questo tipo di giudizi nella trattazione che dovrà innanzitutto risultare se piacere e dispiacere comportino una universalità e una necessità che li qualifichino per una dedu­ zione a partire da un principio di determinazione a priori. In questo caso il giudizio determinerebbe qualcosa a priori me­

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Empfindung der Lust oder Unlust, aber doch auch zugleich über die Allgemeinheit der Regel, sie mit einer gegebenen Vorstel­ lung zu verbinden, durch das Erkenntnißvermögen (namentlich die Urtheilskraft) a priori etwas bestimmen. Sollte dagegen das Urtheil nichts13 als das Verhältniß der Vorstellung zum Gefühl (ohne Vermittelung eines Erkenntnißprincips) enthalten, wie es beym ästhetischen Sinnesurtheil der Fall ist, (welches weder ein Erkenntniß- noch ein Reflexionsurtheil ist) so würden alle ästhe­ tische Urtheile ins blos-empirische Fach gehören. Vorläufig kann noch angemerkt werden: daß vom Erkenntniß zum Gefühl der Lust und Unlust kein Übergang d u r c h B e ­ g r i f f e von Gegenständen (so fern diese auf jenes in Beziehung 37 stehen sollen) statt finde, | und daß man also nicht erwarten dür­ fe, den Einfluß, den eine gegebene Vorstellung auf das Gemüth thut, a priori zu bestimmen, so wie wir ehedem in der Crit. d. pract. V., daß die Vorstellung einer allgemeinen Gesetzmäßigkeit des Wollens zugleich Willen bestimmend14 und dadurch auch das Gefühl der Achtung erweckend seyn müsse, als ein in unsern moralischen Urtheilen und zwar a priori enthaltenes Gesetz, be­ merkten, aber dieses Gefühl nichts desto weniger aus Begriffen 230 doch nicht ableiten ∥ konnten. Eben so wird das ästhetische Re­ flexionsurtheil uns in seiner Auflösung, den in ihm enthaltenen15 auf einem Princip a priori beruhenden Begrif der formalen aber subjectiven Zweckmäßigkeit der Objecte darlegen, der mit dem Gefühle der Lust im Grunde einerlei ist, aber aus keinen Begrif­ fen abgeleitet werden kann; auf deren Möglichkeit überhaupt gleichwohl die Vorstellungskraft Beziehung nimmt, wenn sie das Gemüth, in der Reflexion über einen Gegenstand, afficirt. Eine Erklärung dieses Gefühls im allgemeinen betrachtet, ohne auf den Unterschied zu sehen, ob es die Sin­ n e s e m p f i n d u n g , o d e r d i e R e f l e x i o n , o d e r d i e Wi l ­ l e n s b e s t i m m u n g b e g l e i t e , muß transcendental seyn*. Sie kann so lauten: L u s t ist ein Z u s t a n d des Gemüths, in welchem

* Es ist von Nutzen: zu Begriffen, welche man als empirische Principien braucht, eine transscendentale Definition zu versuchen, wenn man Ursache hat zu vermuthen, daß sie mit dem reinen Erkenntnißvermögen a priori in

viii. Dell’estetica della facoltà di valutare. Nota

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diante la facoltà conoscitiva (precisamente mediante la forza di giudizio), certo tramite la sensazione del piacere o dispiacere, ma ad un tempo anche sulla universalità della regola per colle­ gare tale sensazione con una rappresentazione data. Se invece il giudizio non dovesse contenere nient’altro che la relazione della rappresentazione al sentimento (senza la mediazione di un principio di conoscenza), come è il caso del giudizio esteti­ co del senso (il quale non è né un giudizio di conoscenza né un giudizio di riflessione), tutti i giudizi estetici apparterrebbero all’ambito meramente empirico. Per il momento si può ancora osservare che non può aver luogo alcun passaggio dalla conoscenza al sentimento del pia­ cere e dispiacere m e d i a n t e c o n c e t t i di oggetti (in quanto tali concetti devono essere in relazione con questo sentimento) 37 e che non si può quindi sperare di determinare a priori l’in­ flusso che una rappresentazione data esercita sull’animo, così come prima, nella Critica della ragione pratica26, notammo che la rappresentazione di una conformità universale del volere alla legge doveva nello stesso tempo essere determinante per la vo­ lontà e pertanto anche tale da suscitare il sentimento del rispet­ to in quanto legge contenuta, e più precisamente contenuta a priori, nei nostri giudizi morali, e però non fummo in grado di derivare questo sentimento da concetti. Nello stesso modo 230 il giudizio estetico di riflessione esibirà, una volta analizzato, il concetto che esso contiene e che si fonda su un principio a priori, il concetto della conformità al fine, formale eppure soggettiva, da parte degli oggetti; tale concetto è in fondo iden­ tico al sentimento del piacere, ma non può essere derivato da altri concetti, mentre alla possibilità dei concetti in generale partecipa tuttavia la forza di rappresentazione quando affetta l’animo nella riflessione su un oggetto. Una spiegazione di questo sentimento considerato in ge­ nerale, s e n z a c h e s i m i r i a d i s t i n g u e r e s e e s s o a c ­ compagna la ricezione sensibile, la riflessione o l a d e t e r m i n a z i o n e d e l l a v o l o n t à , deve essere tra­ scendentale* . Essa si può enunciare in tal modo: il piacere è * È utile ricercare una definizione trascendentale per concetti che si utilizzano come principi empirici quando si ha motivo di congetturare che hanno un’affinità con la pura facoltà di conoscere a priori. In tal caso

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

eine Vorstellung mit sich selbst zusammenstimmt, als Grund,

231 entweder diesen blos selbst zu erhalten (denn der Zustand ∥ ei­

nander wechselseitig befördernder Gemüthskräfte in einer Vor­ stellung erhält sich selbst), oder ihr Object hervorzubringen. Ist

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Verwandtschaft stehen. Man verfährt alsdenn wie der Mathematiker, welcher die Auflösung seiner Aufgabe dadurch sehr erleichtert, daß er die empirische Data derselben unbestimmt läßt und die bloße Synthesis derselben unter die Ausdrüke der reinen Arithmetik bringt.16 Man hat mir aber wider eine der­ gleichen Erklärung des Begehrungsvermögens (Crit. d. p. V., Vorrede Seite 16) den Einwurf gemacht: daß es nicht als d a s Ve r m ö g e n , d u r c h s e i n e Vo r s t e l l u n g e n U r s a c h e v o n d e r Wi r k l i c h k e i t d e r G e g e n s t ä n ­ d e d i e s e r Vo r s t e l l u n g e n z u s e y n definirt werden könne, weil bloße W ü n s c h e auch Begehrungen wären, von denen man sich doch selbst be­ scheidet, daß sie ihre Obiecte nicht hervorbringen können. Dieses beweiset aber nichts weiter, als daß es auch Bestimmungen des Begehrungsvermögens gebe, da dieses mit sich selbst im Wiederspruche steht: ein zwar für die empiri­ sche Psychologie merkwürdiges Phänomen (wie etwa die Bemerkung des Ein­ flusses den Vorurtheile auf den Verstand haben für die Logik) welches aber auf die Definition des Begehrungsvermögens obiectiv betrachtet, was es nämlich an sich | sey, ehe es irgend wodurch von seiner Bestimmung abgelenkt wird, nicht einfließen muß. In der That kan der Mensch etwas aufs lebhafteste und anhaltend begehren, wovon er doch ∥ überzeugt ist daß er es nicht ausrichten kan, oder daß es wohl gar schlechterdings unmöglich sey: z. B. das Geschehene als ungeschehen zu wünschen, sehnsüchtig den schnelleren Ablauf einer uns lästigen Zeit zu begehren, u.s.w. Es ist auch für17 die Moral ein wichtiger Arti­ kel, wieder solche leere und phantastische Begehrungen, welche häufig durch Romanen, bisweilen auch durch diesen ähnliche mystische Vorstellungen übermenschlicher Vollkommenheiten und fanatischer Seeligkeit, genährt wer­ den, nachdrücklich zu warnen. Aber selbst die Wirkung, welche solche leere Begierden und Sehnsuchten, die das Herz ausdehnen und welk machen, aufs Gemüht haben, das Schmachten desselben durch Erschöpfung seiner Kräfte, beweisen gnugsam daß diese in der That wiederholentlich durch Vorstellungen angespannt werden, um ihr Obiect wirklich zu machen, aber eben so oft das Gemüth in das Bewußtseyn seines Unvermögens zurük sinken lassen. Für die Anthropologie ist es auch eine nicht unwichtige Aufgabe zur Untersuchung: warum wohl die Natur in uns zu solchem | fruchtlosen Kraftaufwande, als leere Wünsche und Sehnsuchten sind, (welche gewiß eine große Rolle im menschli­ chen Leben spielen) die Anlage gemacht habe. Mir scheint sie hierinn, so wie in allen anderen Stüken, ihre Anstalt weislich getroffen zu haben. Denn sollten wir nicht eher, als bis wir uns von der Zulänglichkeit unseres Vermögens zur Hervorbringung des Obiects18 versichert hätten, durch die Vorstellung dessel­ ben zur Kraftanwendung bestimmt werden, so würde diese wohl größtentheils

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uno s t a t o dell’animo in cui una rappresentazione si accorda con se stessa come principio, sia per conservare semplicemen­ te questo stesso stato (poiché lo stato delle forze dell’animo 231 che si intensificano reciprocamente conserva se stesso in una rappresentazione) sia per produrre il proprio oggetto. Nel pri­ si procede come il matematico che si facilita di molto la soluzione del suo problema lasciandone indeterminati i dati empirici e riportandone la semplice sintesi nelle formule dell’aritmetica pura. Tuttavia mi si è rivolta, a riguardo di una siffatta definizione della facoltà di desiderare (Critica della ragione pratica, Prefazione, p. 16), la seguente obiezione: non potrebbe essere definita come l a f a c o l t à d i e s s e r e , m e d i a n t e l e s u e r a p ­ presentazioni, causa della realtà degli oggetti di queste r a p p r e s e n t a z i o n i , perché semplici a u s p i c i sarebbero anch’essi desi­ deri dei quali tuttavia si riconosce anche che non possono produrre i loro oggetti. Ciò però non prova nient’altro se non che esistono anche determi­ nazioni della facoltà di desiderare in cui questa si trova in contraddizione con se stessa: un fenomeno senza dubbio degno di nota per la psicologia empirica (come pure vale per la logica sottolineare l’influsso dei pregiudizi sull’intelletto), ma che non deve influenzare la definizione della facoltà di desiderare considerata oggettivamente, vale a dire per ciò che essa è in sé, prima di essere deviata dalla sua destinazione da una qualsiasi cosa. Difatti l’uomo può desiderare nel modo più vigoroso e insistente qualche cosa di cui tuttavia è persuaso che non può ottenerla o anche che è una cosa assolutamente impossibile: per esempio desiderare che ciò che è ac­ caduto non sia accaduto, desiderare con ardore che un tempo che ci pesa scorra più rapidamente, ecc. È un capitolo importante anche per la morale mettere in guardia con energia contro tali desideri vuoti e fantastici che sono frequentemente alimentati da romanzi, talvolta anche da rappresen­ tazioni mistiche, simili a questi, di perfezioni sovrumane e di beatitudine fanatica. Ma anche l’effetto che esercita sull’animo questo genere di vuote voglie e aspirazioni che dilatano e avvizziscono il cuore, il languore di cui è vittima a causa dell’esaurirsi delle sue forze, provano sufficientemente che queste forze sono di fatto ripetutamente tese da rappresentazioni per realizzare il loro oggetto, ma lasciano anche spesso ricadere l’animo nella coscienza della propria impotenza. Per l’antropologia non è nemmeno un compito privo di importanza ricercare perché la natura abbia ben potuto istituire in noi la disposizione ad un tale dispendio di forze altrettanto sterile come lo sono i vuoti auspici e aspirazioni (che certamente giocano un ruolo notevole nella vita umana). A me sembra che qui, come in tutti gli altri ambiti, la natura abbia disposto le cose saggiamente. Infatti, se noi non dovessimo essere determinati – prima di esserci assicurati che la nostra facoltà è sufficiente per produrre l’oggetto – dalla rappresentazione dell’oggetto a mettere in opera la nostra forza, quest’ultima resterebbe senza alcun dubbio e nella maggior parte dei casi inutilizzata. Infatti, in

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das erstere, so ist das Urtheil über die gegebene Vorstellung ein ästhetisches Reflexionsurtheil. Ist aber das letztere, so ist es ein20 232 ästhetisch-pathologisches, oder ∥ ästhetisch-practisches Urtheil. Man sieht hier leicht, daß Lust oder Unlust, weil sie keine Er­ kenntnißarten sind, für sich selbst gar nicht können erklärt wer­ den, und gefühlt, nicht eingesehen werden wollen; daß man sie daher nur durch den Einfluß, den eine Vorstellung vermittelst dieses Gefühls auf die Tätigkeit der Gemüthskräfte hat, dürftig erklären kann. | 38

IX. Von der teleologischen Beurtheilung. Ich verstand unter einer f o r m a l e n Technick der Natur die Zweckmäßigkeit derselben in der Anschauung: unter der r e a ­ l e n aber verstehe ich ihre Zweckmäßigkeit nach Begriffen. Die erste giebt für die Urtheilskraft zweckmäßige Gestalten, d. i. die Form an deren Vorstellung Einbildungskraft und Verstand wech­ selseitig miteinander zur Möglichkeit eines Begrifs von selbst zusammenstimmen. Die zweyte bedeutet den Begrif der Dinge als Naturzwecke, d. i. als solche, deren innere Möglichkeit einen Zweck voraussetzt, mithin einen Begrif, der der Caussalität ihrer Erzeugung, als Bedingung, zum Grunde liegt. Zweckmäßige Formen der Anschauung kann die Urtheils­ kraft a priori selbst angeben und construieren, wenn sie solche nämlich für die Auffassung so erfindet, als sie sich zur Darstel­ lung eines Begrifs schicken1. Aber Zwecke, d. i. Vorstellungen, die selbst als Bedingungen der Caussalität ihrer Gegenstände (als Wirkungen) angesehen werden, müssen überhaupt irgend woher gegeben werden, ehe die Urtheilskraft sich mit den Bedingungen des Mannigfaltigen beschäftigt, dazu zusammen zu stimmen und sollen es Naturzwecke seyn, so müssen gewisse Naturdinge so be­ trachtet werden können, als ob sie Producte einer Ursache seyn, unbenutzt bleiben. Denn gemeiniglich lernen wir unsere Kräfte nur kennen, dadurch daß wir sie versuchen. Die Natur hat also die Kraftbestimmung mit der Vorstellung des Obiects noch vor der Kentnis unseres Vermögens ver­ bunden, welches oftmals eben durch diese Bestrebung, welche dem Gemüthe selbst anfangs ein leerer Wunsch schien, allererst hervorgebracht wird. Nun liegt es der Weisheit ob, diesen Instinct in Schranken zu setzen, niemals aber wird es ihr gelingen, oder sie wird es niemals nur verlangen, ihn auszurotten.19

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mo caso, il giudizio sulla rappresentazione data è un giudizio estetico di riflessione. Nel secondo caso, invece, è un giudizio estetico-patologico o estetico-pratico. Qui si vede facilmente 232 che il piacere o dispiacere, poiché non sono modi di conoscen­ za, non possono affatto essere chiariti per se stessi e richiedo­ no di essere sentiti, ma non compresi; di conseguenza si può definirli, in modo poco soddisfacente, solo tramite l’influsso che una rappresentazione esercita tramite questo sentimento sull’attività delle forze dell’animo. IX. Della valutazione teleologica Ho inteso per tecnica f o r m a l e della natura la sua confor­ mità al fine nell’intuizione; per tecnica r e a l e intendo invece la sua conformità al fine secondo concetti. La prima dà alla forza di giudizio figure conformi al fine, cioè la forma, nella cui rap­ presentazione forza di immaginazione e intelletto si accordano reciprocamente per rendere possibile un concetto. La seconda esprime il concetto delle cose come fini della natura, cioè tali che la loro possibilità interna presupponga un fine e di conse­ guenza un concetto che stia, come condizione, a fondamento della causalità della loro produzione. La forza di giudizio può indicare e costruire essa stessa a priori forme dell’intuizione conformi al fine, quando inventa per l’apprensione forme tali che convengano all’esibizione di un concetto. Dei fini invece, cioè rappresentazioni che siano esse stesse considerate come condizioni della causalità dei loro oggetti (in quanto effetti), devono in generale essere dati da qualche parte prima che la forza di giudizio si occupi delle con­ dizioni del molteplice richieste affinché questo possa accordar­ visi e, se devono esserci dei fini della natura, occorre che certe cose della natura siano considerate come prodotti di una causa generale, noi impariamo a conoscere le nostre forze soltanto mettendole alla prova. La natura ha dunque associato la determinazione della for­ za alla rappresentazione dell’oggetto ancor prima della conoscenza della nostra facoltà, la quale spesso è prodotta primariamente appunto tramite questo sforzo che inizialmente appariva all’animo stesso come un vuoto auspicio. Ora compete alla saggezza imporre a questo istinto dei limiti, ma mai essa giungerà ad estirparlo, e nemmeno pretenderà mai di farlo.

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deren Caussalität nur durch eine Vo r s t e l l u n g d e s O b j e c t s bestimmt werden könnte. Nun aber können wir, wie und auf wie mancherley Art Dinge durch ihre Ursachen möglich sind, a priori nicht bestimmen, hierzu sind Erfahrungsgesetze nothwendig. Das Urtheil über die Zweckmäßigkeit an Dingen der Natur, die als ein Grund der Möglichkeit derselben (als Naturzwecke) betrachtet wird, heißt ein t e l e o l o g i s c h e s U r t h e i l . Nun sind, wenn gleich die ästhetischen Urtheile selbst a priori nicht mög­ 39 lich sind, dennoch Principien a priori in der nothwendigen | Idee einer Erfahrung, als Systems, gegeben, welche den Begrif einer 233 formalen Zweckmäßigkeit der Natur für ∥ unsere Urtheilskraft enthalten, und woraus a priori die Möglichkeit ästhetischer Re­ flexionsurtheile, als solcher, die auf Principien a priori gegründet sind, erhellet. Die Natur stimmt nothwendiger Weise nicht blos in Ansehung ihrer transcendentalen Gesetze mit unserem Ve r­ s t a n d e , sondern auch in ihren empirischen Gesetzen mit der U r t h e i l s k r a f t und ihrem Vermögen der Darstellung derselben in einer empirischen Auffassung ihrer Formen durch die Einbil­ dungskraft, zusammen und das zwar blos zum Behuf der Erfah­ rung und da läßt sich die formale Zweckmäßigkeit derselben in Ansehung der letzteren Einstimmung (mit der Urtheilskraft) als nothwendig noch darthun. Allein nun soll sie, als Object einer teleologischen Beurtheilung auch mit der Ve r n u n f t , nach dem Begriffe den sie sich von einem Zwecke macht, als ihrer Caussa­ lität nach übereinstimmend gedacht werden; das ist mehr, als der Urtheilskraft allein zugemuthet2 werden kann, welche zwar für die Form der Anschauung, aber nicht für die Begriffe der Erzeu­ gung der Dinge eigene Principien a priori enthalten kann. Der Begrif eines realen N a t u r z w e c k s liegt also gänzlich über dem Felde der Urtheilskraft hinaus, wenn sie für sich allein genommen wird, und da sie als eine abgesonderte Erkenntnißkraft nur zwey Vermögen, Einbildungskraft und Verstand, in einer Vorstellung vor allem Begriffe im Verhältniß betrachtet und dadurch subjec­ tive Zweckmäßigkeit des Gegenstandes für die Erkenntnißver­ mögen in der Auffassung desselben (durch die Einbildungskraft) wahrnimmt, so wird sie in der teleologischen Zweckmäßigkeit der Dinge, als Naturzwecke, die nur durch Begriffe vorgestellt

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la cui causalità possa essere determinata unicamente mediante una r a p p r e s e n t a z i o n e d e l l ’ o g g e t t o . Ora non possiamo però determinare a priori come e in quali diversi modi le cose siano rese possibili dalle loro cause, dato che a tal fine sono necessarie leggi dell’esperienza. Il giudizio sulla conformità al fine insita nelle cose della natura – una conformità al fine considerata come fondante la possibilità di queste (in quanto fini della natura) – prende il nome di g i u d i z i o t e l e o l o g i c o . Ora, benché i giudizi este­ tici stessi non siano possibili a priori, tuttavia nell’idea necessa­ 39 ria di un’esperienza come sistema sono dati i principi a priori che contengono per la nostra forza di giudizio il concetto di 233 una conformità formale della natura al fine, e da ciò procede a priori la possibilità di giudizi estetici di riflessione in quanto tali, fondati su principi a priori. La natura si accorda in modo necessario non solo dal punto di vista delle sue leggi trascen­ dentali con il nostro i n t e l l e t t o , ma anche nelle sue leggi em­ piriche con la f o r z a d i g i u d i z i o e la sua capacità di esibirle in un’apprensione empirica delle loro forme attraverso la forza di immaginazione, e ciò certamente soltanto a favore dell’espe­ rienza: così si manifesta ancora come necessaria la conformità formale della natura al fine rispetto all’ultimo accordo (con la forza di giudizio). Soltanto che, in quanto oggetto di una valu­ tazione teleologica, la natura deve allora essere pensata secon­ do la sua causalità come accordantesi anche con la r a g i o n e , secondo il concetto che la ragione si fa di un fine; ma ciò è più di quanto si possa pretendere dalla sola forza di giudizio, che può certo contenere a priori dei principi propri per la forma dell’intuizione, ma non per i concetti della produzione delle cose. Il concetto di un f i n e reale d e l l a n a t u r a si trova dun­ que del tutto oltre il campo della forza di giudizio quando essa è presa unicamente per se stessa; e mentre come forza cono­ scitiva isolata essa considera unicamente la relazione tra due facoltà (la forza di immaginazione e l’intelletto), in una rappre­ sentazione che precede ogni concetto, percependo in tal modo nei confronti della facoltà conoscitiva la conformità soggettiva dell’oggetto al fine nell’apprensione di tale oggetto (effettua­ ta dalla forza di immaginazione), essa dovrà, nella conformità teleologica al fine delle cose come fini della natura (che può essere rappresentata unicamente grazie a concetti), mettere in

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werden kann, den Verstand mit der Vernunft (die zur Erfahrung überhaupt nicht nothwendig ist) in Verhältniß setzen müßen, um Dinge als Naturzwecke vorstellig zu machen. | Die ästhetische Beurtheilung der Naturformen konnte, ohne 40 einen Begrif vom Gegenstande zum Grunde zu legen, in der blo­ ßen empirischen Auffassung der Anschauung gewisse3 vorkom­ mende Gegenstände der Natur zweckmäßig finden, nämlich blos in Beziehung auf die subjectiven Bedingungen4 der Urtheilskraft. Die ästhetische Beurtheilung erforderte also keinen Begrif vom Objecte und brachte auch keinen hervor: daher sie diese auch nicht für N a t u r z w e c k e , in einem objectiven Urtheile, sondern nur als z w e c k m ä ß i g für die Vorstellungskraft, in subjectiver Beziehung, erklärte, welche Zweckmäßigkeit der Formen man 234 die f i g ü r ∥l i c h e und die Technik der Natur in Ansehung ihrer auch eben so (technica speciosa) benennen kann. Das teleologische Urtheil dagegen setzt einen Begrif vom Ob­ jecte voraus und urtheilt über die Möglichkeit desselben nach einem Gesetze der Verknüpfung der Ursachen und Wirkungen. Diese Technick der Natur könnte man daher p l a s t i s c h nen­ nen, wenn man dieses5 Wort nicht schon in allgemeinerer Bedeu­ tung, nämlich für Naturschönheit so wohl als Naturabsichten, in Schwang gebracht hätte, daher sie, wenn man will, die o r g a n i ­ s c h e Te c h n i c k derselben heißen mag, welcher Ausdruck denn auch den Begrif der Zweckmäßigkeit nicht blos für die Vorstel­ lungsart, sondern für die Möglichkeit der Dinge selbst bezeichnet. Das Wesentlichste und Wichtigste für diese Nummer ist aber wohl der Beweis: daß der Begrif der E n d u r s a c h e n in der Na­ tur, welcher die teleologische Beurtheilung derselben von der nach allgemeinen, mechanischen, Gesetzen absondert, ein blos der Urtheilskraft, und nicht dem Verstande oder der Vernunft, angehöriger Begrif sey, d. i. daß, da man den Begrif der Naturzwe­ cke auch in objectiver Bedeutung, als N a t u r a b s i c h t brauchen könnte, ein solcher Gebrauch, als schon vernünftelnd, schlech­ terdings nicht in der Erfahrung gegründet sey, die zwar Zwecke 41 darlegen, aber, | daß diese zugleich Absichten sind, durch nichts beweisen kann, mithin, was in dieser zur Teleologie gehöriges an­

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relazione l’intelletto con la ragione (che non è necessaria per l’esperienza in generale) per poter rendere rappresentabili le cose come fini della natura. Senza porre a fondamento un concetto dell’oggetto, la 40 valutazione estetica delle forme della natura poteva trovare conformi al fine certi oggetti della natura che compaiono nella mera apprensione empirica dell’intuizione, cioè nel semplice rapporto alle condizioni soggettive della forza di giudizio. La valutazione estetica non richiedeva dunque alcun concetto dell’oggetto né ne produceva alcuno: di conseguenza non defi­ niva nemmeno questi oggetti come f i n i d e l l a n a t u r a in un giudizio oggettivo, ma unicamente come c o n f o r m i a l f i n e per la forza rappresentativa da un punto di vista soggettivo; tale conformità al fine delle forme si può chiamare f i g u r a t a , 234 e così si può anche definire la tecnica della natura riguardo ad esse (technica speciosa). Il giudizio teleologico, al contrario, presuppone un concet­ to dell’oggetto e giudica della sua possibilità secondo una legge della connessione della causa e degli effetti. Di conseguenza si potrebbe chiamare p l a s t i c a 27 questa tecnica della natura se non si avesse già usato questo termine in un significato più generale, utilizzandolo anche per la bellezza della natura così come per le intenzioni della natura: perciò la si può chiamare, se si vuole, t e c n i c a o r g a n i c a della natura – un’espressione, questa, che infatti designa anche il concetto della conformità al fine non semplicemente per il modo della rappresentazione, bensì per la possibilità delle cose stesse. Ciò che c’è di più essenziale e di più importante in questa sezione è senza dubbio la dimostrazione che il concetto delle c a u s e f i n a l i della natura, che distingue la valutazione teleo­ logica di questa natura da quella effettuata secondo leggi uni­ versali e meccaniche, è un concetto che appartiene soltanto alla forza di giudizio e non all’intelletto o alla ragione; cioè, stabilito che si potrebbe utilizzare il concetto dei fini della natura anche in un significato oggettivo per designare un’i n t e n z i o n e d e l ­ l a n a t u r a , un tale uso, che è proprio già di un modo sofistico di ragionare, non potrebbe affatto essere fondato nell’esperien­ za, la quale certo può presentare dei fini, ma senza poter dare alcuna prova che questi sono nel contempo delle intenzioni. 41 Di conseguenza ciò che nella natura appartiene alla teleologia

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getroffen wird, lediglich die Beziehung ihrer Gegenstände auf die Urtheilskraft und zwar einen Grundsatz derselben, dadurch sie für ihr selbst (nicht für die Natur) gesetzgebend ist, nämlich als reflectirende Urtheilskraft enthalte. Der Begrif der Zwecke und der Zweckmäßigkeit ist zwar ein Begrif der Vernunft, in so fern man ihr den Grund der Möglich­ keit eines Objects beylegt. Allein Zweckmäßigkeit der Natur, oder auch der Begrif von Dingen als Naturzwecken, setzt die Vernunft als Ursache mit solchen Dingen in Verhältniß, darin wir sie durch keine Erfahrung als Grund ihrer Möglichkeit ken­ nen. Denn nur an P r o d u c t e n d e r K u n s t können wir uns der Caussalität der Vernunft von Objecten, die darum zweckmäßig oder Zwecke heißen, bewußt werden und in Ansehung ihrer die Vernunft technisch zu nennen, ist der6 Erfahrung von der Caus­ salität unseres eigenen Vermögens angemessen. Allein die Natur, 235 gleich einer ∥ Vernunft sich als technisch vorzustellen (und so d e r N a t u r Zweckmäßigkeit, und so gar Zwecke beyzulegen) ist ein besonderer Begrif, den wir in der Erfahrung nicht antref­ fen können und den nur die Urtheilskraft in ihre Reflexion über Gegenstände legt, um nach seiner Anweisung Erfahrung nach be­ sondern Gesetzen, nämlich denen der Möglichkeit eines Systems, anzustellen. Man kann nämlich alle Zweckmäßigkeit der Natur entwe­ der als n a t ü r l i c h , (Forma finalis naturae spontanea) oder als a b s i c h t l i c h (intentionalis) betrachten. Die bloße Erfahrung berechtigt nur zu der erstern Vorstellungsart; die zweyte ist eine hypothetische Erklärungsart, die über jenen Begrif der Dinge als Naturzwecke hinzukömmt. Der erstere Begrif von Dingen, als Naturzwecken, gehört ursprünglich der r e f l e c t i r e n d e n 42 (obgleich nicht ästhetisch, sondern logisch | reflectirenden) der zweyte der b e s t i m m e n d e n Urtheilskraft zu. Zu dem erstern wird zwar auch Vernunft, aber nur zum Behuf einer nach Prin­ cipien anzustellenden Erfahrung (also in ihrem i m m a n e n t e n Gebrauche), zu dem zweyten aber sich ins Überschwengliche versteigende Vernunft (im transcendenten Gebrauche) erfordert. Wir können und sollen die Natur, so viel in unserem Vermö­ gen ist, in ihrer Caussalverbindung nach blos mechanischen Ge­

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contiene semplicemente il rapporto dei suoi oggetti alla forza di giudizio e, più precisamente, a un suo principio grazie al quale essa è per se stessa (e non per la natura) legislativa, cioè in quanto forza riflettente di giudizio. Il concetto dei fini e della conformità al fine è sicuramente un concetto della ragione nella misura in cui le si attribuisce il fondamento della possibilità di un oggetto. Solo che la confor­ mità della natura al fine, o anche il concetto delle cose intese come fini della natura, pone la ragione in quanto causa in una relazione con tali cose, per cui non possiamo conoscerla come fondamento della loro possibilità mediante un’esperienza. In­ fatti è soltanto a proposito dei p r o d o t t i d e l l ’ a r t e che noi possiamo prendere coscienza della causalità della ragione nei confronti di oggetti che pertanto sono designati come conformi al fine o come fini, ed è in vista di questi oggetti che chiamare la ragione «tecnica» è conforme all’esperienza della causalità della nostra propria facoltà. Rappresentarsi però la natura come tecni­ 235 ca, allo stesso modo della ragione (e così attribuire a l l a n a t u r a conformità al fine e addirittura i fini), è un concetto particolare che noi non possiamo incontrare nell’esperienza e che soltanto la forza di giudizio pone nella sua riflessione sugli oggetti per orga­ nizzare l’esperienza, secondo le proprie prescrizioni, seguendo delle leggi particolari, cioè quelle della possibilità di un sistema. Si può infatti considerare ogni conformità della natura al fine o come n a t u r a l e (forma finalis naturae spontanea) o come i n t e n z i o n a l e (intentionalis). La mera esperienza giu­ stifica soltanto la prima specie di rappresentazione; la seconda è una specie ipotetica di spiegazione che si aggiunge a questo concetto delle cose come fini della natura. Il primo concetto delle cose come fini della natura appartiene originariamen­ te alla forza r i f l e t t e n t e di giudizio (benché non in modo estetico, bensì logicamente riflettente), il secondo concetto ap­ 42 partiene alla forza d e t e r m i n a n t e di giudizio. Per il primo è certamente richiesta anche la ragione, ma soltanto in vista di un’esperienza che debba essere organizzata secondo principi (quindi la ragione nel suo uso i m m a n e n t e ), mentre il se­ condo concetto richiede una ragione che si eleva all’eccedenza (dunque una ragione nel suo uso trascendente). Noi possiamo e dobbiamo sforzarci di indagare la natura, per quanto è in nostro potere, nel suo legame causale secon­

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setzen derselben in der Erfahrung zu erforschen bemühet seyn: denn in diesen liegen die wahren physischen Erklärungsgrün­ de, deren Zusammenhang die wissenschaftliche Naturkenntniß durch die Vernunft ausmacht. Nun finden wir aber unter den Producten der Natur besondere und sehr ausgebreitete Gattun­ gen, die eine solche Verbindung der wirkenden Ursachen in sich selbst enthalten, der wir den Begrif eines Zwecks zum Grunde legen müssen, wenn wir auch nur Erfahrung, d. i. Beobachtung nach einem ihrer inneren Möglichkeit angemessenen Princip, an­ stellen wollen. Wollten wir ihre Form und die Möglichkeit der­ selben blos nach mechanischen Gesetzen, bey welchen die Idee der Wirkung nicht zum Grunde der Möglichkeit ihrer Ursache, sondern umgekehrt genommen werden muß, beurtheilen, so wäre es unmöglich von der specifischen Form dieser Naturdinge auch nur einen Erfahrungsbegrif zu bekommen, der uns in den Stand setzte, aus der innern Anlage derselben als Ursache auf die Wirkung zu kommen, weil die Theile dieser Maschinen, nicht so fern ein jeder für sich einen abgesonderten, sondern nur alle7 zu­ 43 sammen | einen gemeinschaftlichen Grund ihrer Möglichkeit ha­ 236 ben, Ursache von der an ihnen sichtbaren ∥ Wirkung sind8. Da es nun ganz wider die Natur physisch-mechanischer9 Ursachen ist, daß das Ganze die Ursache der Möglichkeit der Caussalität der Theile sey, vielmehr diese vorher gegeben werden müssen, um die Möglichkeit eines Ganzen daraus zu begreifen; da ferner die besondere Vorstellung eines Ganzen, welche vor der Möglichkeit der Theile vorhergeht, eine bloße Idee ist und diese, wenn sie als der Grund der Caussalität angesehen wird, Zweck heißt: so ist klar, daß wenn es dergleichen Producte der Natur giebt, es unmöglich sey ihrer Beschaffenheit und deren Ursache auch nur in der Erfahrung nachzuforschen, (geschweige sie durch die Ver­ nunft zu erklären), ohne sie sich ihre Form und Caussalität nach einem Princip der Zwecke bestimmt vorzustellen10. Nun ist klar: daß, in solchen Fällen, der Begrif einer objectiven Zweckmäßigkeit der Natur blos z u m B e h u f d e r R e f l e x i o n über das Object, nicht zur B e s t i m m u n g des Objects durch den Begrif eines Zwecks, diene und das teleologische Urtheil über die innere Möglichkeit eines Naturproducts ein blos reflectirendes, nicht ein bestimmendes Urtheil, sey. So wird z. B. dadurch, daß man sagt, die Crystallinse im Auge habe den Z w e c k , durch eine

ix. Della valutazione teleologica

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do le sue leggi meramente meccaniche presenti nell’esperien­ za: infatti è in queste leggi che si trovano i veri principi fisici di spiegazione, la cui connessione costituisce la conoscenza scientifica della natura da parte della ragione. Ora, però, tra i prodotti della natura troviamo dei generi particolari e molto vasti che contengono in se stessi una connessione delle cau­ se efficienti tale da costringerci a porre a loro fondamento il concetto di fine se vogliamo anche semplicemente organizzare l’esperienza, cioè l’osservazione, secondo un principio adatto alla sua possibilità interna. Se volessimo valutare la loro forma e la loro possibilità seguendo delle leggi meccaniche, nelle qua­ li l’idea dell’effetto non deve essere assunta come fondamento della possibilità della loro causa ma viceversa, sarebbe impos­ sibile acquisire anche soltanto un concetto di esperienza della forma specifica di queste cose della natura, un concetto che ci metta in grado di pervenire all’effetto a partire dalla disposizio­ ne interna di queste cose ravvisata come causa28; e ciò perché le parti di queste macchine sono causa dell’effetto visibile in esse, non in quanto ciascuna di esse possieda per se stessa un 43 fondamento distinto della sua possibilità, bensì solo tutte insie­ me possiedono un tale fondamento comune. Ora, poiché è del 236 tutto contrario alla natura delle cause fisico-meccaniche che la totalità sia la causa della possibilità della causalità delle parti, e piuttosto occorre che queste parti siano date in precedenza per comprendere a partire da esse la possibilità di una totalità; poiché inoltre la rappresentazione particolare di una totalità che precede la possibilità delle parti è una mera idea e questa, quando è considerata come il fondamento della causalità, si chiama fine, allora è chiaro che se ci sono tali prodotti della na­ tura è impossibile ricercare la loro costituzione e la loro causa anche soltanto nell’esperienza (tanto meno spiegarli tramite la ragione) senza rappresentarseli, quanto alla loro forma e alla loro causalità, come determinati secondo un principio dei fini. Ora è chiaro che, in tali casi, il concetto di una conformità oggettiva della natura al fine serva soltanto a l l a r i f l e s s i o ­ n e sull’oggetto, ma non alla d e t e r m i n a z i o n e dell’oggetto tramite il concetto di un fine, ed è pure chiaro che il giudizio teleologico sulla possibilità interna di un prodotto della natura sia un giudizio semplicemente riflettente e non determinante. Così per esempio, quando si dice che il cristallino nell’occhio

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

zweyte Brechung der Lichtstrahlen die Vereinigung der aus ei­ nem Puncte auslaufenden wiederum in einen Punct auf der Netz­ haut des Auges zu bewirken11, nur gesagt, daß die Vorstellung eines Zwecks in der Caussalität der Natur bey Hervorbringung des Auges darum gedacht werde, weil eine solche Idee zum Prin­ cip dient, die Nachforschung des Auges, was das genannte Stück 44 desselben betrift, dadurch zu leiten, imgleichen | auch der Mittel wegen, die man ersinnen könnte, um jene Wirkung zu befördern. Dadurch wird nun der Natur noch nicht eine nach der Vorstel­ lung von Zwecken, d. i. a b s i c h t l i c h wirkende Ursache beyge­ legt, welches ein bestimmendes teleologisches Urtheil, und, als ein solches, transcendent seyn würde, indem es eine Caussalität in Anregung bringt, die über die Naturgrenzen hinaus liegt. Der Begrif der Naturzwecke ist also lediglich ein Begrif der reflectirenden Urtheilskraft zu ihrem eigenen Behuf, um der Caussalverbindung an Gegenständen der Erfahrung nachzuge­ hen. Durch ein teleologisches Princip der Erklärung der innern Möglichkeit gewisser Naturformen wird unbestimmt gelassen, ob die Zweckmäßigkeit derselben a b s i c h t l i c h , oder u n a b ­ s i c h t l i c h sey. Dasjenige Urtheil, welches eines von beyden behauptete, würde nicht mehr blos reflectirend, sondern bestim­ 237 mend ∥ seyn, und der Begrif eines Naturzwecks würde auch nicht mehr ein bloßer B e g r i f d e r U r t h e i l s k r a f t , zum immanen­ ten (Erfahrungs-) Gebrauche, sondern mit einem B e g r i f f e d e r Ve r n u n f t von einer über die Natur gesetzten12 absichtlich wir­ kenden Ursache, verbunden seyn, dessen Gebrauch transcendent ist, man mag in diesem Falle bejahend, oder auch verneinend urt­ heilen wollen13. | 45

X. Von der Nachsuchung eines Princips der technischen Urtheilskraft. Wenn zu dem, was geschieht, blos der Erklärungsgrund ge­ funden werden soll, so kann dieser entweder ein empirisches Princip, oder ein Princip a priori, oder auch aus beyden zusam­ mengesetzt seyn, wie man es an1 den physisch-mechanischen Er­ klärungen der Eräugnisse in der körperlichen Welt sehen kann, die ihre Principien zum Theil in der allgemeinen (rationalen) Na­

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ha per f i n e di produrre, mediante una seconda rifrazione dei raggi luminosi, la convergenza in un punto sulla retina dell’occhio di raggi provenienti da un altro punto, si dice sem­ plicemente che in ciò che concerne la produzione dell’occhio è pensata la rappresentazione di un fine nella causalità della natura, dato che una tale idea serve da principio per guidare l’indagine sull’occhio riguardante la parte menzionata anche 44 in considerazione dei mezzi che si potrebbero escogitare per suscitare quell’effetto. Ora perciò non si attribuisce alla natura una causa efficiente secondo la rappresentazione dei fini, cioè i n t e n z i o n a l m e n t e , cosa che sarebbe un giudizio teleologi­ co determinante e come tale trascendente, poiché invoca una causalità che va oltre i limiti della natura. Il concetto dei fini della natura è dunque soltanto un con­ cetto della forza riflettente di giudizio, usato a proprio vantag­ gio, per ricercare la connessione causale presente negli oggetti dell’esperienza. Un principio teleologico della spiegazione della possibilità interna di certe forme della natura lascia in­ determinata la questione di sapere se la loro conformità al fine sia i n t e n z i o n a l e o i n i n t e n z i o n a l e . Quel giudizio che affermasse una di queste due alternative non sarebbe più sem­ plicemente riflettente, ma sarebbe determinante, e il concetto 237 di un fine della natura non sarebbe più un semplice c o n c e t t o d e l l a f o r z a d i g i u d i z i o , destinato al suo uso immanente (l’uso dell’esperienza), ma si troverebbe legato a un c o n c e t t o d e l l a r a g i o n e , quello di una causa che agisce intenzional­ mente e che è posta oltre la natura: un concetto il cui uso è trascendente, che si voglia in questo caso giudicare in maniera affermativa o anche negativa. X. Della ricerca di un principio della forza tecnica di giudizio

Se di ciò che accade si deve trovare soltanto il principio di spiegazione, questo allora può essere o un principio empirico o un principio a priori oppure anche una combinazione di en­ trambi, come si può vedere nelle spiegazioni fisico-meccaniche degli eventi che accadono nel mondo dei corpi: queste spie­ gazioni trovano i loro principi in parte nella scienza generale

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turwissenschaft, zum Theil auch in derjenigen antreffen, welche die empirische Bewegungsgesetze enthält. Das Ähnliche findet statt, wenn man zu dem, was in unserm Gemüthe vorgeht, psy­ chologische Erklärungsgründe sucht, nur mit dem Unterschie­ de, daß, so viel mir bewußt ist, die Principien dazu insgesammt empirisch sind, ein einziges, nämlich das der S t e t i g k e i t aller Veränderungen (weil Zeit, die nur eine Dimension hat, die for­ male Bedingung der innern Anschauung ist) ausgenommen, wel­ ches a priori diesen Wahrnehmungen zum Grunde liegt, woraus man aber so gut wie gar nichts zum Behuf der Erklärung machen kann, weil allgemeine Zeitlehre, nicht so, wie2 die reine Raumleh­ re (Geometrie) genugsamen Stof zu einer ganzen Wissenschaft hergiebt. Würde es also darauf3 ankommen, zu erklären, wie das, was wir Geschmack nennen, unter Menschen zuerst aufgekommen 46 sey, woher | diese Gegenstände viel mehr als andere denselben beschäftigten und das Urtheil über Schönheit unter diesen oder jenen Umständen des Orts und der Gesellschaft in Gang gebracht haben, durch welche Ursache er bis zum Luxus habe anwachsen können u.d.g., so würden die Principien einer solchen Erklärung großen Theils in der Psychologie (darunter man in einem solchen Falle immer nur die empirische versteht) gesucht werden müs­ 238 sen. So verlangen die Sittenlehrer von den Psychologen, ∥ ihnen das seltsame Phänomen des Geitzes, der im bloßen Besitze der Mittel zum Wohlleben (oder jeder andern Absicht) doch mit dem Vorsatze nie einen Gebrauch davon zu machen, einen ab­ soluthen Werth setzt, oder die Ehrbegierde, die diese4 im bloßen Rufe, ohne weitere Absicht zu finden glaubt, zu erklären, damit sie ihre Vorschrift darnach richten können, nicht der sittlichen Gesetze selbst, sondern der Wegräumung der Hindernisse, die sich dem Einflusse derselben entgegensetzen; wobey man doch gestehen muß, daß es mit psychologischen Erklärungen, in5 Ver­ gleichung mit den physischen sehr kümmerlich bestellt sey, daß sie ohne Ende hypothetisch sind und man zu drey verschiedenen Erklärungsgründen, gar leicht einen vierten, eben so scheinba­ ren erdenken kann, und daß es daher6 eine Menge vorgeblicher Psychologen dieser Art gibt, welche7 von jeder Gemüthsaffec­ tion oder Bewegung, die in Schauspielen, dichterischen Vorstel­ 47 lungen,  | und von Gegenständen der Natur erweckt wird, die Ursachen anzugeben wissen, und diesen ihren Witz auch wohl

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(razionale) della natura e in parte anche in quella scienza che contiene le leggi empiriche del movimento. Avviene qualcosa di simile quando si cercano dei principi psicologici di spiega­ zione per ciò che accade nel nostro animo, con quest’unica dif­ ferenza: per quanto ne so, i principi sono nella loro globalità empirici, eccetto quello della c o n t i n u i t à di ogni mutamento (perché il tempo che ha soltanto una dimensione è la condizio­ ne formale dell’intuizione interna); questo principio è a priori a fondamento di queste percezioni, ma è pressoché di nessuna utilità per la spiegazione dal momento che, a differenza della dottrina pura dello spazio (geometria), una dottrina generale del tempo non fornisce una materia sufficiente per una scienza completa. Se dunque si trattasse di spiegare in che modo ciò che chia­ miamo «gusto» sia inizialmente sorto tra gli uomini, perché si occupano di questi oggetti piuttosto che di altri e perché questi 46 oggetti abbiano promosso il giudizio sulla bellezza in queste o in quelle circostanze di luogo e di società, per quali cause il gu­ sto abbia potuto accrescersi fino al lusso e altre questioni simili, i principi di una tale spiegazione andrebbero ricercati in gran parte nella psicologia (con cui si intende sempre, in un caso simile, la psicologia empirica). Così i moralisti pretendono da­ gli psicologi che questi spieghino loro questo strano fenomeno 238 dell’avarizia, che attribuisce un valore assoluto al semplice pos­ sesso dei mezzi che permettono di accedere al benessere (o alla realizzazione di ogni altro intento), però con l’intenzione ben ferma di non farne mai uso; o ancora che spieghino loro questo desiderio di reputazione che crede di trovarla nella pura fama, senza un intento ulteriore, al fine di poter regolare i loro precet­ ti, in accordo a queste spiegazioni, non sulle leggi morali stesse ma sulla maniera di rimuovere gli ostacoli che si oppongono all’influsso di questi precetti. Qui si deve tuttavia ammettere che le spiegazioni psicologiche sono ben misera cosa se con­ frontate con le spiegazioni fisiche, dato che sono infinitamente ipotetiche e che, se ci sono tre principi diversi di spiegazione, si può sempre facilmente immaginarne un quarto, altrettanto ve­ rosimile; questo perché una schiera di pretesi psicologi di que­ sta specie sanno indicare le cause di ogni affezione dell’animo o emozione, suscitate da opere teatrali, rappresentazioni poeti­ che e dagli oggetti della natura, e arrivano persino a chiamare 47

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Philosophie nennen, die gewöhnlichste Naturbegebenheit in der körperlichen Welt wissenschaftlich zu erklären, nicht allein kei­ ne Kenntniß, sondern auch vielleicht nicht einmal die Fähigkeit dazu blicken lassen. Psychologisch beobachten (wie Burke in sei­ ner Schrift vom Schönen und Erhabenen) mithin Stof zu künf­ tigen systematisch zu verbindenden Erfahrungsregeln sammeln, ohne sie doch begreifen zu wollen, ist wohl die einzige wahre Ob­ liegenheit der empirischen Psychologie, welche schwerlich jemals auf den Rang einer philosophischen Wissenschaft wird Anspruch machen können. Wenn aber ein Urtheil sich selbst für allgemeingültig aus­ giebt und also auf N o t h w e n d i g k e i t in seiner Behauptung Anspruch macht, so mag8 diese vorgegebene Nothwendigkeit auf Begriffen vom Objecte a priori, oder auf subjectiven Bedingun­ gen zu Begriffen, die a priori zum Grunde liegen, beruhen, so wäre es, wenn man einem solchen Urtheile dergleichen Anspruch zugesteht, ungereimt, ihn dadurch zu rechtfertigen, daß man den Ursprung des Urtheils psychologisch erklärte9. Denn man würde dadurch seiner eigenen Absicht entgegen handeln und, wenn die versuchte Erklärung vollkommen gelungen wäre, so würde sie beweisen, daß das Urtheil auf Nothwendigkeit schlechterdings keinen Anspruch machen kann, eben darum, weil man ihm sei­ nen empirischen Ursprung nachweisen kann. | Nun sind die ästhetischen Reflexionsurtheile (welche wir 48 künftig unter dem Namen der Geschmacksurtheile zerglie­ 239 dern werden) von der ∥ oben10 genannten Art. Sie machen auf Nothwendigkeit Anspruch und sagen nicht, daß jedermann so urtheile – dadurch sie eine Aufgabe zur Erklärung für die empi­ rische Psychologie seyn würden – sondern daß man so urtheilen s o l l e , welches so viel sagt, als: daß sie ein Princip a priori für sich haben. Wäre die Beziehung auf ein solches Princip nicht in dergleichen Urtheilen11 enthalten, indem es auf Nothwendigkeit Anspruch macht, so müßte man annehmen, man könne in ei­ nem Urtheile darum behaupten, es solle allgemein gelten; weil es wirklich, wie die Beobachtung beweiset, allgemein gilt, und umgekehrt, daß daraus, daß jedermann auf gewisse Weise urt­ heilt, folge, er s o l l e auch so urtheilen, welches eine offenbare Ungereimtheit ist. Nun zeigt sich zwar an ästhetischen Reflexionsurtheilen die Schwierigkeit, daß sie durchaus nicht auf Begriffe gegründet

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«filosofia» questa loro ingegnosità di cui danno prova nello spiegare scientificamente l’evento naturale più comune del mondo corporeo, e non solo non mostrano alcuna conoscenza, ma forse non rivelano nemmeno la capacità di pervenirvi. Pro­ cedere a osservazioni psicologiche (come quelle di Burke nel suo scritto sul bello e sul sublime29), e di conseguenza racco­ gliere materiale per future regole d’esperienza da collegare in forma di sistema, senza tuttavia volerle comprendere, è proprio l’unico vero compito alla portata della psicologia empirica, la quale difficilmente potrà pretendere di assurgere al rango di una scienza filosofica. Ma se un giudizio si presenta esso stesso come universal­ mente valido e, nella sua affermazione, pretende dunque alla n e c e s s i t à , in modo che questa presunta necessità possa basarsi su concetti a priori di oggetti o anche su condizioni soggettive dei concetti che fungono da fondamenti a priori, sa­ rebbe insensato se si accordasse una siffatta pretesa a un tale giudizio e la si giustificasse, per il fatto che si spiegherebbe psicologicamente l’origine del giudizio. Infatti in tal modo si agirebbe contro la propria intenzione e, se la spiegazione così tentata riuscisse perfettamente, proverebbe che il giudizio non può affatto pretendere alla necessità, proprio perché si può in­ dicarne l’origine empirica. Ora, i giudizi estetici di riflessione (che noi analizzeremo 48 più avanti sotto il nome di «giudizi di gusto») sono del tipo indicato in precedenza. Pretendono alla necessità e dicono non 239 che ciascuno giudica così, perché se questo fosse il caso le loro spiegazioni costituirebbero un compito della psicologia empi­ rica, ma dicono che si d e v e giudicare così, il che equivale a dire che essi possiedono per se stessi un principio a priori. Se il riferimento a un tale principio non fosse contenuto in giudizi di tal genere, nella misura in cui pretendono alla necessità, ci si troverebbe costretti ad ammettere che si potrebbe affermare in un giudizio che esso deve valere universalmente perché effetti­ vamente, come mostra l’osservazione, vale in modo universale e viceversa che, per il fatto che ciascuno giudica in un certo modo, ne consegue che egli d e b b a anche giudicare così, la qual cosa è un’evidente assurdità. Ora, nei giudizi estetici di riflessione si presenta appunto la difficoltà che essi non possono essere fondati su concetti e

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und also von keinem bestimmten Princip abgeleitet werden kön­ nen, weil sie sonst logisch wären; die subjective Vorstellung von Zweckmäßigkeit soll aber durchaus kein Begrif eines Zwecks sein. Allein die B e z i e h u n g auf ein Princip a priori kann und muß doch immer noch statt finden, wo das Urtheil auf Nothwen­ digkeit Anspruch macht, von welchem und der Möglichkeit eines solchen Anspruchs hier auch nur die Rede ist, indessen daß eine 49 Vernunftcritick eben durch | denselben veranlaßt wird, nach dem zum Grunde liegenden obgleich unbestimmten Princip selbst zu forschen und es ihr auch gelingen kann, es auszufinden und als ein solches anzuerkennen, welches dem Urtheile subjectiv und a priori zum Grunde liegt, obgleich es niemals einen bestimmten Begrif vom Objecte verschaffen kann. * * * Eben so muß man gestehen, daß das teleologische Urtheil auf einem Princip a priori gegründet und ohne dergleichen unmög­ lich sey, ob wir gleich den Zweck der Natur in dergleichen Urt­ heilen lediglich durch Erfahrung auffinden, und ohne diese, daß Dinge dieser Art auch nur möglich sind, nicht erkennen könnten. Das teleologische Urtheil nämlich, ob es gleich einen12 bestimm­ ten Begrif von einem Zwecke, den es der Möglichkeit gewisser Naturproducte zum Grunde legt, mit der Vorstellung des Ob­ jects verbindet (welches im ästhetischen Urtheil nicht geschieht) ist gleichwohl immer nur ein Reflexionsurtheil so wie das vorige. 240 Es maaßt ∥ sich gar nicht an zu behaupten, daß in dieser objec­ tiven Zweckmäßigkeit die Natur, (oder ein anderes Wesen durch 50 sie,) in der That a b | s i c h t l i c h verfahre, d. i. in ihr, oder ihrer Ursache, der Gedanke von einem Zwecke die Caussalität bestim­ me, sondern daß wir nur nach dieser Analogie (Verhältnisse der Ursachen und Wirkungen) die mechanische Gesetze der Natur benutzen müssen, um die Möglichkeit solcher Objecte zu erken­ nen und einen Begrif von ihnen zu bekommen, der jenen einen Zusammenhang in einer systematisch anzustellenden Erfahrung verschaffen kann. Ein teleologisches Urtheil vergleicht den Begrif eines Natur­ products nach dem, was es ist, mit dem was es s e y n s o l l . Hier wird der Beurtheilung seiner Möglichkeit ein Begrif (vom Zwe­ cke) zum Grunde gelegt, der a priori vorhergeht. An Producten der Kunst sich die Möglichkeit auf solche Art vorzustellen macht

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non possono dunque essere dedotti da alcun principio deter­ minato, perché altrimenti sarebbero dei giudizi logici; ma la rappresentazione soggettiva della conformità al fine però non deve affatto essere il concetto di un fine. Soltanto la r e l a z i o ­ n e a un principio a priori può e deve sempre avere luogo an­ che laddove il giudizio pretende alla necessità: è anche di un tale giudizio e della possibilità di una tale pretesa che qui si fa questione, nella misura in cui un tale giudizio suscita una criti­ 49 ca della ragione per ricercare il principio stesso che è a suo fon­ damento, benché sia indeterminato, e in quanto questa critica può anche arrivare a scoprirlo e a riconoscerlo come un prin­ cipio che fonda soggettivamente e a priori il giudizio, sebbene non possa mai produrre un concetto determinato dell’oggetto. *** Allo stesso modo si deve ammettere che il giudizio teleo­ logico è fondato su un principio a priori e che senza un tale principio esso è impossibile, benché sia semplicemente attra­ verso l’esperienza che noi scopriamo il fine della natura e di simili giudizi, e che, senza l’esperienza, noi non sapremmo ri­ conoscere che cose di questa specie sono anche semplicemente possibili. Il giudizio teleologico, infatti, benché associ alla rap­ presentazione dell’oggetto un concetto determinato di un fine che pone a fondamento della possibilità di certi prodotti della natura (ciò che non succede nel giudizio estetico), è tuttavia sempre e soltanto un giudizio di riflessione, come il preceden­ te. Esso non pretende affatto di affermare che in questa confor­ 240 mità oggettiva al fine la natura (o un altro ente attraverso essa) proceda effettivamente i n m o d o i n t e n z i o n a l e , cioè che in 50 essa o nella sua causa il pensiero di un fine determini la causa­ lità, ma che è soltanto secondo questa analogia (le relazioni tra le cause e gli effetti) che noi dobbiamo utilizzare le leggi mec­ caniche della natura per conoscere la possibilità di tali oggetti e ricavarne un concetto che possa connetterli in un’esperienza da condurre sistematicamente. Un giudizio teleologico confronta il concetto di un prodot­ to della natura secondo ciò che è con ciò che d e v e e s s e r e . Qui un concetto (di fine) che precede a priori è posto a fon­ damento della valutazione della sua possibilità. Rappresentarsi la possibilità di questa specie per i prodotti dell’arte non fa al­

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

keine Schwierigkeit. Aber von einem Producte der Natur zu den­ ken, daß es etwas hat s e y n s o l l e n , und es darnach zu beurthei­ len, ob es auch wirklich so sey, enthält schon die Voraussetzung eines Princips, welches aus der Erfahrung, (die da nur lehrt, was die Dinge sind) nicht hat gezogen werden können. | Daß wir durch das Auge sehen können, erfahren wir unmit­ 51 telbar, imgleichen die äußere und inwendige13 Structur desselben, die die Bedingungen, dieses seines14 möglichen Gebrauchs ent­ halten, und also die Caussalität nach mechanischen Gesetzen. Ich kann mich aber auch eines Steins bedienen, um etwas darauf zu zerschlagen, oder darauf zu bauen u.s.w. und diese Wirkungen können auch als Zwecke auf ihre Ursachen bezogen werden, aber ich kan darum nicht sagen daß er zum Bauen hat dienen sollen. Nur vom Auge urtheile ich, daß es zum Sehen hat tauglich seyn s o l l e n , und, obzwar die Figur, die Beschaffenheit aller Theile desselben und ihre Zusammensetzung, nach blos mechanischen Naturgesetzen15 beurtheilt, für meine Urtheilskraft ganz zufällig ist, so denke ich doch in der Form und in dem Bau desselben eine Nothwendigkeit auf gewisse Weise gebildet zu seyn, näm­ lich nach einem Begriffe, der vor den bildenden Ursachen die­ ses Organs vorhergeht, ohne welchen16 die Möglichkeit dieses Naturproducts nach keinem mechanischen Naturgesetze17 für mich begreiflich ist (welches der Fall bey jenem Steine nicht ist). Dieses Sollen enthält nun eine Nothwendigkeit, welche sich von 52 der physisch-mechanischen, | nach welcher ein Ding nach bloßen 241 Gesetzen der (ohne eine vorhergehende ∥ Idee desselben) wir­ kenden Ursachen möglich ist deutlich unterscheidet, und kann eben so wenig durch blos physische (empirische) Gesetze, als die Nothwendigkeit des ästhetischen Urtheils durch psychologische, bestimmt werden, sondern erfordert ein eigenes Princip a priori in der Urtheilskraft, so fern sie reflectirend ist, unter welchem18 das teleologische Urtheil steht und woraus es auch seiner Gültig­ keit und Einschränkung19 nach muß bestimmt werden. Also stehen alle Urtheile über die Zweckmäßigkeit der Natur, sie mögen nun ästhetisch oder teleologisch seyn, unter Principien a priori und zwar solchen, die der Urtheilskraft eigenthümlich und ausschließlich angehören, weil sie blos reflectirende, nicht bestimmende Urtheile sind. Eben darum gehören sie auch unter

x. Della ricerca di un principio della forza tecnica di giudizio

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cuna difficoltà. Invece pensare di un prodotto della natura che d o v e v a e s s e r e qualcosa e, in funzione di questo, valutare se esso sia anche realmente così, contiene già il presupposto di un principio che non ha potuto essere attinto dall’esperienza (la quale insegna soltanto ciò che le cose sono). Che noi possiamo vedere per mezzo dell’occhio lo espe­ 51 riamo immediatamente, come pure abbiamo esperienza della sua struttura interna ed esterna, che contiene le condizioni di questo suo possibile uso e dunque la causalità secondo leggi meccaniche. Ma io posso anche servirmi di una pietra per spez­ zare qualcosa o anche edificare qualcosa su di essa, ecc., e que­ sti effetti possono anche essere riferiti, in quanto fini, alle loro cause: ma per questo io non posso dire che la pietra doveva servire per costruire. È soltanto dell’occhio che io giudico che d o v e v a essere idoneo alla visione e, sebbene la figura, la co­ stituzione di tutte le sue parti e la loro combinazione, valutate secondo leggi semplicemente meccaniche della natura, siano totalmente contingenti per la mia forza di giudizio, io penso tuttavia nella sua forma e nella sua organizzazione una neces­ sità, quella di essere formata in un certo modo, cioè secondo un concetto che precede le cause formatrici di questo organo e senza il quale la possibilità di questo prodotto della natura non mi sarebbe comprensibile secondo alcuna legge meccani­ ca della natura (e questo non si dà nel caso della pietra). Ora, questo dover essere contiene una necessità che si differenzia chiaramente dalla necessità fisico-meccanica per cui una cosa è possibile secondo mere leggi di cause efficienti (senza che 52 intervenga precedentemente una idea di questa cosa), e può 241 essere determinato da leggi semplicemente fisiche (empiriche) altrettanto poco quanto la necessità del giudizio estetico può esserlo dalle leggi psicologiche: al contrario esige un principio a priori specifico nella forza di giudizio, nel suo uso rifletten­ te – un principio al quale il giudizio teleologico è sottomesso e a partire dal quale deve anche essere determinato nella sua validità e limitazione. Pertanto tutti i giudizi sulla conformità della natura al fine, siano essi estetici o teleologici, sono sottomessi a principi a pri­ ori e più precisamente a principi che appartengono specifica­ mente ed esclusivamente alla forza di giudizio, poiché sono dei giudizi semplicemente riflettenti e non determinanti. È proprio

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

die Critik der reinen Vernunft (in der allgemeinsten Bedeutung genommen), welcher die letztern mehr, als die erstern, bedürfen, indem sie, sich selbst überlassen, die Vernunft zu Schlüssen ein­ laden, die sich ins Überschwengliche verliehren können, anstatt daß die ersteren eine mühsame Nachforschung erfordern, um nur zu verhüten, daß sie sich nicht, selbst20 ihrem Princip nach lediglich aufs Empirische einschränken und dadurch ihre An­ sprüche auf nothwendige Gültigkeit für jedermann vernichten. | 53

XI. Encyclopädische Introduction der Critik der Urtheilskraft in das System der Critik der reinen Vernunft.

Alle Einleitung eines Vortrages ist entweder die, in eine vor­ habende Lehre oder der Lehre selbst in ein System, wohin sie als ein Theil gehört. Die erstere geht vor der Lehre vorher, die letztere sollte billig nur den Schluß derselben ausmachen, um ihr ihre Stelle in dem Innbegriffe der Lehren, mit welchen sie durch gemeinschaftliche Principien zusammenhängt, nach Grundsät­ zen anzuweisen. Jene ist eine p r o p ä d e v t i s c h e , diese kann eine e n c y c l o p ä d i s c h e Introduction heißen. Die propädevtischen Einleitungen sind die gewöhnlichen, als welche zu einer vorzutragenden Lehre vorbereiten, indem sie die dazu nöthige Vorerkenntniß1 aus andern schon vorhandenen Lehren oder Wissenschaften anführen, um den Übergang mög­ 242 lich zu machen. Wenn man sie darauf ∥ richtet, um die, der neu auftretenden Lehre eigene Principien (domestica), von denen, welche einer andern angehören (peregrina) sorgfältig zu unter­ scheiden, so dienen sie zur Grenzbestimmung der Wissenschaf­ ten, einer2 Vorsicht, die nie zu viel empfohlen werden kann, weil ohne sie keine Gründlichkeit, vornämlich im philosophischen Erkenntnisse zu hoffen ist. | Eine encyclopädische Einleitung aber setzt nicht etwa eine 54 verwandte und zu der sich neu ankündigenden vorbereitende Lehre, sondern die Idee eines Systems voraus, welches durch jene allererst vollständig wird. Da nun ein solches nicht durch Aufraffen und Zusammenlesen des Mannigfaltigen, welches man

ix. Introduzione enciclopedica alla critica della forza di giudizio

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per questo motivo che essi rientrano anche nella critica della ragione pura (presa nel senso più generale), della quale i giu­ dizi determinanti hanno più bisogno di quelli riflettenti, nella misura in cui, se sono lasciati a se stessi, inducono la ragione a conclusioni che possono perdersi nell’eccedenza, mentre i pri­ mi esigono una difficile ricerca per evitare che essi si limitino, conformemente al loro stesso principio, esclusivamente all’em­ pirico e che, perciò, annullino le loro pretese a una validità necessaria per ognuno. XI. Introduzione enciclopedica alla critica della forza

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di giudizio nel sistema della critica della ragione pura

Ogni introduzione a un trattato è o l’introduzione a una dottrina che si ha in progetto o l’introduzione della dottrina stessa in un sistema al quale appartiene come una delle sue parti. La prima precede la dottrina, la seconda dovrebbe ragio­ nevolmente costituirne soltanto la conclusione, per assegnarle secondo dei principi il suo posto nell’insieme delle dottrine con le quali si trova legata strutturalmente da principi comuni. La prima è un’introduzione p r o p e d e u t i c a , la seconda può chiamarsi un’introduzione e n c i c l o p e d i c a . Le introduzioni propedeutiche sono le introduzioni usuali, come quelle che preparano una dottrina da trattare e per ren­ dere possibile il passaggio adducono la conoscenza preliminare che è necessaria a tale scopo, tratta da altre dottrine o scienze già esistenti. Se si orientano queste introduzioni in modo da di­ 242 stinguere accuratamente i principi propri della nuova dottrina che sta per sorgere (domestica) da quelli che appartengono a un’altra dottrina (peregrina), lo si fa affinché esse delimitino i confini tra le scienze – una precauzione questa che non è mai raccomandata a sufficienza, perché in sua assenza non si può sperare di pervenire ad alcuna esattezza, in particolare nella conoscenza filosofica. Un’introduzione enciclopedica, però, non presuppone già 54 una dottrina affine e che prepara a quella che si annuncia come nuova, bensì l’idea di un sistema che viene in prima istanza completato dall’introduzione enciclopedica stessa. Ora, poiché un tale sistema non è possibile radunando e raccogliendo il

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

auf dem Wege der Nachforschung gefunden hat, sondern nur als­ dann, wenn man die subjectiven oder objectiven Quellen einer gewissen Art von Erkenntnissen vollständig anzugeben im Stande ist, durch den formalen Begrif eines Ganzen, der zugleich das Princip einer vollständigen Eintheilung a priori in sich enthält, möglich ist, so kann man leicht begreifen, woher encyclopädische Einleitungen, so nützlich sie auch wären, doch so wenig gewöhn­ lich sind. Da dasjenige Vermögen, wovon hier das eigenthümliche Prin­ cip aufgesucht und erörtert werden soll (die Urtheilskraft), von so besonderer Art ist, daß es für sich gar kein Erkenntniß (weder theoretisches noch practisches) hervorbringt und, unerachtet ih­ res Princips a priori dennoch keinen Theil zur Transcendental­ philosophie, als objectiver Lehre, liefert, sondern nur den Ver­ band zweier anderer obern Erkenntnißvermögen (des Verstandes und der Vernunft) ausmacht3: so kann es mir erlaubt sein, in der Bestimmung der Principien eines solchen Vermögens, das keiner Doctrin, sondern blos einer Critik fähig ist, von der sonst über­ 55 all nothwendigen Ordnung abzugehen und | eine kurze encyclo­ pädische Introduction derselben und zwar nicht in das System der Wi s s e n s c h a f t e n der reinen Vernunft, sondern blos in die C r i t i k aller a priori bestimmbaren Vermögen des Gemüths, so fern sie unter sich ein System im Gemüthe ausmachen, voranzu­ schicken und auf solche Art die propädevtische Einleitung mit der encyclopädischen zu vereinigen. Die Introduction der Urtheilskraft in das System der reinen Erkenntnißvermögen durch Begriffe beruhet gänzlich auf ihrem transcendentalen ihr eigenthümlichen Princip: daß die Natur in der4 Specification der transcendentalen Verstandesgesetze (Prin­ 243 cipien ihrer Möglichkeit ∥ als Natur überhaupt) d. i. in der Man­ nigfaltigkeit ihrer empirischen Gesetze, nach der5 Idee eines Sys­ tems der Eintheilung derselben zum Behuf der Möglichkeit der Erfahrung als empirischen Systems verfahre. – Dieses giebt zuerst den Begrif einer objectiv zufälligen, subjectiv aber (für unser Er­ kenntnißvermögen) nothwendigen Gesetzmäßigkeit d. i. einer Zweckmäßigkeit der Natur, und zwar a priori, an die Hand. Ob nun zwar dieses Princip nichts in Ansehung der besondern Na­ turformen bestimmt, sondern die Zweckmäßigkeit der letztern jederzeit empirisch gegeben werden muß, so gewinnt doch das Urtheil über diese Formen einen Anspruch auf Allgemeingültig­

ix. Introduzione enciclopedica alla critica della forza di giudizio

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molteplice trovato sul cammino della ricerca, ma unicamente se si è in grado di indicare integralmente le fonti soggettive o oggettive di una certa specie di conoscenze, e ciò grazie al con­ cetto formale di un tutto (concetto che contiene nel contempo a priori in sé il principio di una divisione completa), si può fa­ cilmente comprendere perché le introduzioni enciclopediche, per quanto utili possano essere, sono tuttavia così poco usuali. Dato che la facoltà di cui qui si deve ricercare ed eluci­ dare il principio proprio (la forza di giudizio) è di una specie così particolare che non produce per se stessa assolutamente alcuna conoscenza (né teoretica né pratica) e che, a dispetto del suo principio a priori, non fornisce comunque alcuna parte alla filosofia trascendentale in quanto dottrina oggettiva, ma costituisce soltanto il legame delle altre due facoltà conosciti­ ve superiori (l’intelletto e la ragione), mi sia permesso – nella determinazione dei principi di una tale facoltà che non è su­ scettibile di alcuna dottrina, ma unicamente di una critica – di scostarmi dall’ordine che altrimenti è ovunque necessario e di 55 cominciare con una breve introduzione enciclopedica a tale facoltà – e ciò non certo come introduzione al sistema delle s c i e n z e della ragione pura, ma unicamente come introduzio­ ne alla c r i t i c a di tutte le facoltà dell’animo determinabili a priori, nella misura in cui esse costituiscono tra loro un sistema nell’animo, unendo in tal modo l’introduzione propedeutica e l’introduzione enciclopedica. L’introduzione della forza di giudizio nel sistema delle fa­ coltà conoscitive pure mediante concetti si basa interamente sul suo peculiare principio trascendentale: la natura, nella specifi­ cazione delle leggi trascendentali dell’intelletto (principi della sua possibilità come natura in generale), cioè nella molteplicità 243 delle sue leggi empiriche, procede secondo l’idea di un siste­ ma della loro divisione in vista della possibilità dell’esperienza come sistema empirico. – È questo principio che fornisce in­ nanzitutto, e ciò a priori, il concetto di una conformità alla leg­ ge oggettivamente contingente, ma soggettivamente necessaria (per la nostra facoltà di conoscere), cioè di una conformità del­ la natura al fine. Ora, sebbene questo principio non determini nulla rispetto alle forme particolari della natura, benché la loro conformità al fine debba sempre essere data empiricamente, il giudizio su queste forme avanza tuttavia una pretesa alla vali­

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

keit und Nothwendigkeit, als blos reflectirendes Urtheil, durch die Beziehung der subjectiven Zweckmäßigkeit der gegebenen Vorstellung für die Urtheilskraft auf jenes Princip der Urtheils­ 56 kraft a priori, von der | Zweckmäßigkeit der Natur in ihrer empi­ rischen Gesetzmäßigkeit überhaupt, und so wird ein ästhetisches reflectirendes Urtheil auf6 einem Princip a priori beruhend ange­ sehen werden können (ob es gleich nicht bestimmend ist) und die Urtheilskraft in demselben sich zu einer Stelle in der Critik der oberen reinen Erkenntnißvermögen berechtigt finden. Da aber der Begrif einer Zweckmäßigkeit der Natur (als einer technischen Zweckmäßigkeit, die von der practischen wesentlich unterschieden ist) wenn er nicht bloße Erschleichung dessen, w a s w i r a u s i h r m a c h e n , für das was s i e i s t , sein soll, ein von aller7 dogmatischen Philosophie (der theoretischen so wohl als der8 practischen) abgesonderter Begrif ist, der sich lediglich auf jenem Princip der Urtheilskraft gründet das vor den empi­ rischen Gesetzen vorhergeht und ihre Zusammenstimmung zur Einheit eines9 Systems derselben allererst möglich macht, so ist daraus zu ersehen, daß von den zwei Arten des Gebrauchs der reflectirenden Urtheilskraft (der ästhetischen und der10 teleologi­ schen) dasjenige Urtheil, welches vor allem Begriffe vom Objecte vorhergeht, mithin das ästhetische reflectirende Urtheil, ganz al­ lein seinen Bestimmungsgrund in der11 Urtheilskraft, unvermengt mit einem andern Erkenntnißvermögen habe, dagegen das teleo­ logische Urtheil über den12 Begrif eines Naturzwecks, ob er gleich in dem Urtheile selbst nur13 als Princip der Reflectirenden, nicht der bestimmenden Urtheilskraft, gebraucht wird, doch nicht an­ ders als durch Verbindung der Vernunft mit empirischen Begrif­ fen gefället werden kann. Die Möglichkeit eines teleologischen | 57 Urtheils über die Natur läßt sich daher leicht zeigen, ohne ihm 244 ein besonderes Princip der Urtheils∥kraft zum Grunde legen zu dürfen, denn diese folgt blos dem Princip der Vernunft. Dagegen die Möglichkeit eines ästhetischen und doch auf einem Princip a priori gegründeten Urtheils der bloßen Reflexion, d. i. eines Geschmacksurtheils, wenn bewiesen werden kann, daß dieses wirklich zum Anspruche auf Allgemeingültigkeit berechtigt sei, einer Critik der Urtheilskraft als eines Vermögens eigenthümli­

ix. Introduzione enciclopedica alla critica della forza di giudizio

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dità universale e alla necessità, come giudizio semplicemente riflettente, grazie alla relazione tra la conformità soggettiva al fine della rappresentazione data per la forza di giudizio e quel principio a priori della forza di giudizio, cioè quello della con­ 56 formità della natura al fine nella sua conformità empirica alla legge in generale, e così si potrà considerare un giudizio este­ tico riflettente basantesi su un principio a priori (benché non sia determinante), e la forza di giudizio vi si troverà legittimata a ottenere un posto nella critica delle pure facoltà conoscitive superiori. Poiché però il concetto di una conformità della natura al fine (in quanto conformità tecnica al fine che è essenzialmente distinta dalla conformità pratica al fine), se non deve essere una semplice sostituzione surrettizia di c i ò c h e n o i f a c c i a m o a p a r t i r e d a l l a n a t u r a con ciò che e s s a è , costituisce un concetto che deve essere separato da ogni filosofia dogmatica (la filosofia teoretica come pure quella pratica); un concetto che si fonda unicamente su quel principio della forza di giudi­ zio che precede le leggi empiriche e rende possibile per prima cosa il loro accordo per conseguire l’unità di un sistema di que­ ste leggi. Pertanto occorre vedere che, dei due tipi di uso della forza di giudizio riflettente (l’uso estetico e l’uso teleologico), quel giudizio che precede ogni concetto dell’oggetto (il giudi­ zio riflettente estetico) è pienamente il solo ad avere il principio di determinazione nella forza di giudizio senza che intervenga­ no altre facoltà conoscitive; al contrario, il giudizio teleologico sul concetto di un fine della natura, benché, nel giudizio stesso, sia utilizzato soltanto come principio della forza riflettente di giudizio e non di quella determinante, non può tuttavia in­ tervenire se non a favore del collegamento della ragione con concetti empirici. La possibilità di un giudizio teleologico sulla 57 natura si può dunque facilmente dimostrare senza che ci sia bisogno di porre a suo fondamento un principio particolare 244 della forza di giudizio, perché questa segue semplicemente il principio della ragione. Al contrario, la possibilità di un giudi­ zio estetico della semplice riflessione che sia tuttavia fondato su un principio a priori, cioè la possibilità di un giudizio di gusto, se può essere dimostrato che questo è realmente legittimato a pretendere una validità universale, richiede assolutamente una critica della forza di giudizio in quanto facoltà dotata di pecu­

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

cher transcendentaler Principien (gleich dem Verstande und der Vernunft) durchaus bedarf, und sich dadurch allein qualificirt in das System der reinen Erkenntnißvermögen aufgenommen zu werden; wovon der Grund ist, daß das ästhetische Urtheil, ohne einen Begrif von seinem Gegenstande vorauszusetzen, dennoch ihm Zweckmäßigkeit und zwar allgemeingültig beilegt, wozu also das Princip in der Urtheilskraft selbst liegen muß, da hingegen das teleologische Urtheil einen Begrif vom Objecte, den die Ver­ nunft unter das Princip der Zweckverbindung bringt, voraus­ setzt, nur daß dieser Begrif eines Naturzwecks von der Urtheils­ kraft blos im reflectirenden, nicht im14 bestimmenden Urtheile, gebraucht werde. Es ist also eigentlich nur der Geschmack und zwar in Anse­ hung der Gegenstände der Natur, in welchem allein sich die Urt­ heilskraft als ein Vermögen offenbart, welches sein eigenthümli­ ches Princip hat und dadurch auf eine Stelle in der allgemeinen Critik der obern Erkenntnißvermögen gegründeten Anspruch 58 macht, den man ihr vielleicht nicht zugetrauet hätte. Ist aber | das Vermögen der Urtheilskraft sich a priori Principien zu setzen ein­ mal gegeben, so ist es auch nothwendig den Umfang desselben zu bestimmen und zu dieser Vollständigkeit der Critik wird erfordert, daß ihr ästhetisches Vermögen, mit dem teleologischen zusammen, als in einem15 Vermögen enthalten und auf demselben Princip be­ ruhend, erkannt werde, denn auch das teleologische Urtheil über Dinge der Natur gehört eben so wohl als das ästhetische, der re­ flectirenden (nicht der bestimmenden) Urtheilskraft zu. Die Geschmackscritik aber, welche sonst nur zur Verbesse­ rung oder Befestigung des Geschmacks selbst gebraucht wird, eröfnet, wenn man sie in transcendentaler Absicht behandelt, da­ durch, daß sie eine Lücke im System unserer Erkenntnißvermö­ gen ausfüllt, eine auffallende und wie mich dünkt viel verheißen­ de Aussicht in ein vollständiges System aller Gemüthskräfte, so fern sie in ihrer Bestimmung nicht allein aufs Sinnliche, sondern auch aufs Übersinnliche bezogen sind, ohne doch die Grenz­ 245 steine  ∥ zu verrücken, welche eine unnachsichtliche Critik dem letzteren Gebrauche derselben gelegt hat. Es kann vielleicht dem Leser dazu dienen, um den Zusammenhang der nachfolgenden Untersuchungen desto leichter übersehen zu können, daß ich einen Abris dieser systematischen Verbindung, der freilich nur,

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liari principi trascendentali (come è pure il caso dell’intelletto e della ragione), ed è soltanto grazie a questa critica che tale facoltà si qualifica per essere inclusa nel sistema delle facoltà conoscitive pure; il motivo di questo è che il giudizio estetico, senza presupporre un concetto del suo oggetto, gli attribuisce tuttavia una conformità al fine con una validità universale (per cui il suo principio deve dunque trovarsi nella stessa forza di giudizio), mentre d’altra parte il giudizio teleologico presup­ pone un concetto dell’oggetto che la ragione sussume sotto il principio del nesso finale, soltanto che questo concetto di fine della natura è utilizzato dalla forza di giudizio solamente nel giudizio riflettente e non in quello determinante. È dunque, propriamente parlando, solamente nel gusto e più precisamente rispetto agli oggetti della natura che la forza di giudizio si manifesta come una facoltà che possiede il pro­ prio principio peculiare e che perciò avanza una fondata pre­ tesa per occupare un posto nella critica generale delle facoltà conoscitive superiori – una pretesa che forse non le avremmo riconosciuto. Ma, una volta accordata alla forza di giudizio la 58 capacità di darsi dei principi a priori, è ugualmente necessario determinare l’estensione di tale facoltà e, affinché la critica sia completa, è indispensabile che le si riconosca la sua capacità estetica come contenuta, unitamente alla capacità teleologica, in una stessa facoltà e basata sullo stesso principio, poiché an­ che il giudizio teleologico sulle cose della natura appartiene, proprio come il giudizio estetico, alla forza riflettente di giudi­ zio (e non a quella determinante). Ma la critica del gusto – che altrimenti serve soltanto a mi­ gliorare o a confermare il gusto stesso, se la si tratta dal punto di vista trascendentale, per il fatto che colma una lacuna nel sistema delle nostre facoltà conoscitive – dischiude una pro­ spettiva sorprendente e, mi sembra, molto promettente su un sistema completo di tutte le forze dell’animo, in quanto esse, nella loro destinazione, non sono riferite unicamente al sen­ sibile, ma anche al sovrasensibile, senza che comunque siano spostati i confini fissati da una critica severa a quest’ultimo loro 245 uso. Eventualmente può servire al lettore, per poter avere più facilmente una visione d’insieme della struttura delle ricerche che seguiranno, che io tracci già fin d’ora uno schema di questa connessione sistematica, uno schema che certo dovrebbe tro­

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

wie die gegenwärtige ganze Nummer, seine Stelle eigentlich beim Schlusse der Abhandlung haben sollte, schon hier entwerfe. | Die Vermögen des Gemüths laßen sich nämlich insgesammt 59 auf folgende drei zurückführen: E r k e n n t n i ß v e r m ö g e n Gefühl der Lust und Unlust Begehrungsvermögen Der Ausübung aller liegt aber doch immer das Erkenntniß­ vermögen, ob zwar nicht immer Erkenntniß, (denn eine zum Er­ kenntnißvermögen gehörige Vorstellung kann auch Anschauung, reine oder empirische, ohne Begriffe sein) zum Grunde. Also kommen, so fern vom Erkenntnißvermögen nach Principien die Rede ist, folgende obere neben den Gemüthskräften überhaupt zu stehen Erkenntnißvermögen – – – – – – – Verstand Gefühl der Lust und Unlust – – – Urtheilskraft Begehrungsvermögen – – – – – – – Vernunft Es findet sich, daß Verstand eigenthümliche Principien a pri­ ori für das Erkenntnißvermögen, Urtheilskraft nur für das Gefühl der Lust und Unlust, Vernunft aber blos fürs Begehrungsvermö­ gen enthalte. Diese formale Principien begründen eine Nothwen­ digkeit, die theils objectiv, theils subjectiv, theils aber auch da­ durch, daß sie subjectiv ist, zugleich von objectiver Gültigkeit ist, nachdem16 sie durch die neben ihnen stehende obere Vermögen17, die diesen correspondirende Gemüthskräfte bestimmen Erkenntnißvermögen

Verstand

Gesetzmäßigkeit

Gefühl der Lust und Unlust

Urtheilskraft Zweckmäßigkeit

Begehrungsvermögen Vernunft Zweckmäßigkeit die zugleich Gesetz ist (Verbindlichkeit) | ∥

ix. Introduzione enciclopedica alla critica della forza di giudizio

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vare propriamente posto, come tutta questa sezione, soltanto alla fine della trattazione. Le facoltà dell’animo nel loro insieme si possono pertanto 59 ricondurre alle tre seguenti: facoltà di conoscere sentimento del piacere e dispiacere facoltà di desiderare L’esercizio di tutte queste facoltà ha sempre, comunque sia, per fondamento la facoltà di conoscere, sebbene non si trat­ ti sempre di una conoscenza (dato che una rappresentazione appartenente alla facoltà di conoscere può anche essere un’in­ tuizione, pura o empirica, senza concetti). Di conseguenza, in quanto il discorso riguarda la facoltà di conoscere secondo principi, accanto alle forze dell’animo in generale giungono a porsi le seguenti facoltà superiori: facoltà di conoscere intelletto sentimento del piacere e dispiacere forza di giudizio facoltà di desiderare ragione Si scopre che l’intelletto contiene dei peculiari principi a priori per la facoltà di conoscere, che la forza di giudizio ne contiene soltanto per il sentimento del piacere e dispiacere, mentre la ragione ne contiene unicamente per la facoltà di de­ siderare. Questi principi formali fondano una necessità che è in parte oggettiva e in parte soggettiva, ma per un’altra parte ancora, per il fatto che è soggettiva, è dotata ad un tempo di una validità oggettiva – in funzione della qual cosa tali princi­ pi, grazie alle rispettive facoltà superiori, determinano le forze dell’animo che corrispondono a queste ultime: facoltà di conoscere

intelletto

conformità alla legge

sentimento del piacere e dispiacere

forza di giudizio

conformità al fine

facoltà di desiderare

ragione

conformità al fine che è al contempo legge (o b b l i g a z i o n e )

800 60 246

prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

Endlich gesellen sich zu den angeführten Gründen a priori der Möglichkeit der Formen, auch diese, als Producte derselben: Vermögen des Gemüths

Obere Erkenntnißvermögen

Principien a priori

Producte

Erkenntnißvermögen

Verstand

Gesetzmäßigkeit

Natur

Gefühl der Lust und Unlust

Urtheilskraft

Zweckmäßigkeit

Kunst

Begehrungsvermögen

Vernunft

Zweckmäßigkeit die zugleich Gesetz ist18 (Verbindlichkeit)

Sitten

Die N a t u r also gründet ihre G e s e t z m ä ß i g k e i t auf P r i n c i p i e n a p r i o r i des Ve r s t a n d e s als eines E r k e n n t ­ n i ß v e r m ö g e n s ; die K u n s t richtet sich in ihrer Z w e c k m ä ­ ß i g k e i t a priori nach der U r t h e i l s k r a f t in Beziehung aufs G e f ü h l d e r L u s t u n d U n l u s t , endlich d i e S i t t e n (als Product der Freiheit) stehen unter der Idee einer solchen Form der Z w e c k m ä ß i g k e i t die sich zum allgemeinen Gesetze qua­ lificirt, als einem Bestimmungsgrunde der Ve r n u n f t in Anse­ hung des B e g e h r u n g s v e r m ö g e n s . Die Urtheile, die auf diese Art aus Principien a priori entspringen, welche jedem Grundver­ mögen des Gemüths eigenthümlich sind, sind t h e o r e t i s c h e , ä s t h e t i s c h e und p r a c t i s c h e Urtheile. So entdeckt sich ein System der Gemüthskräfte, in ihrem Verhältnisse zur Natur und der Freiheit, deren jede19 ihre eigent­ hümliche, b e s t i m m e n d e Principien a priori haben und um deswillen die zwei Theile der Philosophie (die theoretische und practische) als eines doctrinalen Systems ausmachen und zugleich ein Übergang vermittelst der Urtheilskraft die durch ein eigent­ hümliches Princip beide Theile verknüpft, nämlich von dem s i n n l i c h e n Substrat der ersteren, zum i n t e l l i g i b e l e n   | der 61 zweiten Philosophie, durch die Critik eines Vermögens (der Urt­ heilskraft) welches nur zum Verknüpfen dient und daher für sich zwar20 kein Erkenntniß verschaffen oder zur Doctrin irgend ei­ nen Beitrag liefern kann, dessen Urtheile aber unter dem Namen der ä s t h e t i s c h e n (deren Principien blos subjectiv sind) indem sie sich von allen, deren Grundsätze objectiv sein müssen, (sie 247 mögen nun theoretisch oder practisch sein) unter ∥ dem Namen

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ix. Introduzione enciclopedica alla critica della forza di giudizio

Infine, ai già indicati fondamenti a priori della possibilità 60 246 delle forme, si associano anche questi, come loro prodotti: facoltà dell’animo

facoltà conoscitive superiori

principi a priori

prodotti

facoltà di conoscere

intelletto

conformità alla legge

natura

sentimento del piacere e dispiacere

forza di giudizio

conformità al fine

arte

facoltà di desiderare

ragione

conformità al fine costumi che è al contempo legge (obbligazione)

La n a t u r a fonda dunque la sua c o n f o r m i t à a l l a l e g ­ g e su p r i n c i p i a p r i o r i dell’intelletto in quanto f a c o l t à c o n o s c i t i v a ; l’a r t e si regola, nella sua c o n f o r m i t à a prio­ ri a l f i n e , sulla f o r z a d i g i u d i z i o in relazione al s e n ­ t i m e n t o d e l p i a c e r e e d i s p i a c e r e ; infine i c o s t u m i (come prodotto della libertà) sono sottomessi all’idea di una forma della c o n f o r m i t à a l f i n e che si qualifica come legge universale, in quanto principio di determinazione della r a g i o ­ n e riguardo alla f a c o l t à d i d e s i d e r a r e . I giudizi che in tal modo procedono da principi a priori, che sono peculiari di ogni facoltà fondamentale dell’animo, sono dei giudizi t e o r e ­ tici, estetici e pratici. Così si scopre un sistema delle forze dell’animo, nella loro relazione alla natura e alla libertà, ciascuna delle quali possiede i suoi propri principi d e t e r m i n a n t i a priori e perciò costi­ tuisce le due parti della filosofia (la parte teoretica e quella pra­ tica) come parti di un sistema dottrinale, e nello stesso tempo, tramite la forza di giudizio, si scopre un passaggio che collega attraverso un principio peculiare le due parti: vale a dire un passaggio dal sostrato s e n s i b i l e della prima di queste due fi­ losofie al sostrato i n t e l l i g i b i l e della seconda, e ciò mediante 61 la critica di una facoltà (la forza di giudizio) che serve soltanto a stabilire un legame, e pertanto non può per se stessa creare di certo alcuna conoscenza né fornire un qualsiasi contributo alla dottrina. I giudizi di questa facoltà, sotto il nome di giudizi e s t e t i c i (i cui principi sono semplicemente soggettivi), nella misura in cui si distinguono da tutti i giudizi i cui principi fon­ damentali devono essere oggettivi (siano essi teoretici o pratici)

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

der l o g i s c h e n unterscheiden, von so besonderer Art sind, daß sie sinnliche Anschauungen auf eine Idee der Natur beziehen, deren Gesetzmäßigkeit, ohne ein Verhältniß derselben zu einem übersinnlichen Substrat nicht verstanden werden kann; wovon in der Abhandlung selbst, der Beweis geführt werden wird21. Wir werden die Critik dieses Vermögens in Ansehung der ersteren Art Urtheile nicht A e s t h e t i k , (gleichsam Sinnenleh­ re), sondern C r i t i k d e r ä s t h e t i s c h e n U r t h e i l s k r a f t nen­ nen, weil der erstere Ausdruck von zu weitläuftiger Bedeutung ist, indem er auch die Sinnlichkeit der A n s c h a u u n g , die zum theoretischen Erkenntniß gehört und zu logischen (objectiven) Urtheilen den Stof hergiebt, bedeuten könnte, daher wir auch schon den Ausdruck der Aesthetik ausschließungsweise für das Prädicat, was in Erkenntnißurtheilen zur Anschauung gehört, be­ stimmt haben. Eine Urtheilskraft aber ästhetisch zu nennen, dar­ um, weil sie die Vorstellung eines Objects nicht auf Begriffe und das Urtheil also nicht aufs Erkenntniß bezieht, (gar nicht bestim­ mend, sondern nur reflectirend ist) das läßt keine Misdeutung 62 besorgen; denn | für die logische Urtheilskraft müssen Anschau­ ungen, ob sie gleich sinnlich (ästhetisch) sind, dennoch zuvor zu Begriffen erhoben werden, um zum Erkenntnisse des Objects zu dienen, welches bei der ästhetischen Urtheilskraft nicht der Fall ist. XII. Eintheilung der Critik der Urtheilskraft. Die Eintheilung eines Umfanges von Erkenntnissen gewisser Art, um ihn als System vorstellig zu machen, hat ihre nicht gnug eingesehene Wichtigkeit, aber auch ihre eben so oft verkannte Schwierigkeit. Wenn man die Theile zu einem solchen möglichen Ganzen schon als vollständig gegeben ansieht, so geschieht die Eintheilung m e c h a n i s c h , zu Folge einer bloßen Vergleichung und das Ganze wird A g g r e g a t (ungefähr so wie die Städte wer­ den, wenn, ohne Rücksicht auf Policei, ein Boden, unter sich mel­ dende Anbauer, nach jedes seinen Absichten, eingetheilt wird). Kann und soll man aber die Idee von einem Ganzen nach einem gewissen Princip vor der Bestimmung der Theile voraussetzen, so muß die Eintheilung s c i e n t i f i s c h geschehen, und nur auf

xii. Divisione della critica della forza di giudizio

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e che si chiamano giudizi l o g i c i , sono di un tipo così parti­ 247 colare che essi rapportano intuizioni sensibili a un’idea della natura, la cui conformità alla legge non può essere compresa senza che si metta la natura in relazione con un sostrato sovra­ sensibile, la cui prova sarà addotta nella trattazione stessa. Noi non chiameremo «e s t e t i c a » (per così dire «dottri­ na dei sensi») la critica di questa facoltà in considerazione del primo tipo di giudizi, ma «c r i t i c a d e l l a f o r z a e s t e t i c a d i g i u d i z i o », perché la prima espressione possiede un si­ gnificato troppo vasto, in quanto potrebbe designare anche la sensibilità dell’i n t u i z i o n e , la quale appartiene alla conoscen­ za teoretica e fornisce la materia ai giudizi logici (oggettivi): perciò anche noi abbiamo già limitato l’uso del termine este­ tica esclusivamente al predicato che appartiene all’intuizione nei giudizi conoscitivi. Chiamare estetica una forza di giudizio, poiché né riferisce la rappresentazione di un oggetto a concet­ ti, né di conseguenza il giudizio alla conoscenza (non essendo affatto determinante, ma soltanto riflettente), non dà adito ad alcun equivoco; infatti per la forza logica di giudizio le intui­ 62 zioni devono, benché siano sensibili (estetiche), essere tuttavia elevate prima di tutto a concetti per servire alla conoscenza dell’oggetto, il che non è proprio il caso della forza estetica di giudizio. XII. Divisione della critica della forza di giudizio La divisione di una sfera di conoscenze di un certo tipo, che intende presentarla come un sistema, ha un’importanza che non è stata scorta sufficientemente, ma anche una difficoltà che pure è stata spesso misconosciuta. Se si considerano le par­ ti destinate a un tale intero possibile come già completamen­ te date, la divisione avviene m e c c a n i c a m e n t e , in seguito a una semplice comparazione, e l’intero diventa un aggregato (all’incirca come si formano le città quando, senza tener conto dei regolamenti, un terreno viene diviso tra i coloni presen­ ti secondo le intenzioni di ciascuno). Ma se si può e si deve presupporre l’idea di un intero secondo un certo principio prima della determinazione delle parti, la divisione deve avve­ nire s c i e n t i f i c a m e n t e , e soltanto in questo modo l’intero

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

diese Art wird das Ganze ein System. Die letztere Forderung

248 findet allemal statt, wo von einem ∥ Umfange der Erkenntniß a

priori (die mit ihren Principien auf einem besondern gesetzge­ benden Vermögen des Subjects beruht) die Rede ist, denn da ist der Umfang des Gebrauchs dieser Gesetze durch die eigentümli­ che Beschaffenheit dieses Vermögens, daraus aber auch die Zahl und das Verhältniß der Theile zu einem Ganzen der Erkenntniß, 63 gleichfalls  | a priori bestimmt. Man kann aber keine gegründe­ te Eintheilung machen, ohne zugleich das Ganze selbst zu m a ­ c h e n und in allen seinen Theilen, obzwar nur nach der Regel der C r i t i k , vorher vollständig darzustellen, welches nachher in die systematische Form einer D o c t r i n (wofern es in Ansehung der Natur dieses Erkenntnißvermögens dergleichen überhaupt ge­ ben kann) zu bringen, nichts als A u s f ü h r l i c h k e i t der Anwen­ dung auf das Besondere und die Eleganz der P r ä c i s i o n damit zu verknüpfen, erfordert. Um nun eine Critik der Urtheilskraft (welches Vermögen ge­ rade ein solches ist, das obzwar auf Principien a priori gegründet, doch niemals den Stof zu einer Doctrin abgeben kann) einzuthei­ len, ist die Unterscheidung zum Grunde zu legen, daß nicht die bestimmende, sondern blos die reflectirende Urtheilskraft, eigene Principien a priori habe; daß die erstere nur s c h e m a t i s c h , un­ ter Gesetzen eines andern Vermögens (des Verstandes), die zwei­ te aber allein t e c h n i s c h (nach eigenen Gesetzen), verfahre und daß dem letztern Verfahren ein Princip der Technik der Natur, mithin der Begrif einer Zweckmäßigkeit, die man an ihr a prio­ ri voraussetzen muß, zum Grunde liege, welche zwar nach dem Princip der reflectirenden Urtheilskraft nur als subjectiv, d. i. be­ ziehungsweise auf dieses Vermögen selbst nothwendig von ihm vorausgesetzt wird, aber doch auch den Begrif einer m ö g l i c h e n objectiven Zweckmäßigkeit, d. i. der Gesetzmäßigkeit der Dinge der Natur als Naturzwecke, bei sich führt. | Eine blos subjectiv beurtheilte Zweckmäßigkeit, die sich also 64 auf keinen Begrif gründet, noch, so fern als sie blos subjectiv be­ urtheilt wird, gründen kann, ist die Beziehung aufs Gefühl der Lust und Unlust, und das Urtheil über dieselbe ist ä s t h e t i s c h (zugleich die einzige mögliche Art ästhetisch zu urtheilen). Weil

xii. Divisione della critica della forza di giudizio

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diventerà un sistema. Quest’ultima esigenza interviene sempre quando si tratta di un ambito della conoscenza a priori (che si 248 basa, con i suoi principi, su una particolare facoltà legislativa del soggetto): infatti, in questo caso, l’ambito che corrisponde all’uso di queste leggi, attraverso la peculiare costituzione di questa facoltà, è ugualmente determinato a priori, e di conse­ guenza lo sono anche il numero delle parti e il loro rapporto a un intero della conoscenza. Ma allora non si può costruire 63 alcuna divisione ben fondata senza nel contempo c o s t i t u i ­ r e l’intero stesso e averlo dapprima presentato in tutte le sue parti, benché lo si possa fare soltanto secondo la regola della c r i t i c a ; e poi portare questo intero nella forma sistematica di una d o t t r i n a (dove questa possa darsi in generale in modo si­ mile alla natura di questa facoltà conoscitiva) esige unicamente di collegare l’e s t e n s i o n e dell’applicazione al particolare con l’eleganza della p r e c i s i o n e . Ora, per dividere una critica della forza di giudizio (la quale facoltà è giustamente tale da non poter tuttavia mai fornire la materia richiesta da una dottrina, benché fondata su principi a priori) occorre porre a fondamento questa distinzione: non è la forza determinante, bensì unicamente la forza riflettente di giudizio a possedere propri principi a priori; la prima procede soltanto s c h e m a t i c a m e n t e , sotto le leggi di un’altra facol­ tà (l’intelletto), mentre la seconda procede soltanto t e c n i c a ­ m e n t e (secondo leggi proprie) – e a fondamento di quest’ulti­ mo procedere si trova un principio della tecnica della natura e di conseguenza il concetto di una conformità al fine che si deve presupporre in essa a priori: di certo questa conformità al fine è presupposta necessariamente, secondo il principio della forza riflettente di giudizio, soltanto come soggettiva, cioè relativa­ mente a questa stessa facoltà, mentre tuttavia essa comporta anche il concetto di una possibile conformità oggettiva al fine, ossia quello della conformità alla legge delle cose della natura come fini naturali. La relazione al sentimento del piacere e dispiacere è una 64 conformità al fine valutata soltanto in modo soggettivo, che non si fonda dunque su alcun concetto né può conseguire una tale fondazione, nella misura in cui è valutata soltanto in modo soggettivo, e il giudizio che la riguarda è e s t e t i c o (è nel con­ tempo l’unico modo possibile di giudicare esteticamente). Ma

806

prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

aber, wenn dieses Gefühl blos die Sinnenvorstellung des Objects d. i. die Empfindung desselben, begleitet, das ästhetische Urtheil empirisch ist und zwar eine besondere Receptivität, aber keine besondere Urtheilskraft erfordert, weil ferner, wenn diese als bestimmend angenommen würde, ein Begrif vom Zwecke1 zum Grunde liegen mußte, die Zweckmäßigkeit also als objectiv nicht ästhetisch, sondern logisch beurtheilt werden müßte2; so wird 249 unter der ästhetischen Urtheilskraft, als ∥ einem besondern Ver­ mögen, nothwendig keine andere, als die r e f l e c t i r e n d e U r t ­ h e i l s k r a f t , das Gefühl der Lust3 (welches mit der Vorstellung der s u b j e c t i v e n Z w e c k m ä ß i g k e i t einerlei ist) nicht als der Empfindung in einer empirischen Vorstellung des Objects, auch nicht als dem Begriffe desselben, folglich nur als der Reflexion und deren Form, (die eigenthümliche4 Handlung der Urtheils­ kraft) wodurch sie von empirischen Anschauungen zu Begriffen überhaupt strebt, anhängend und mit ihr nach einem Princip a priori verknüpft, angesehen werden müssen. Es wird also die Ä s t h e t i k der reflectirenden Urtheilskraft einen Theil der Critik dieses Vermögens beschäftigen, so wie die L o g i k eben dessel­ 65 ben Vermö|gens, unter dem Namen der Te l e o l o g i e , den an­ dern Theil derselben ausmacht. Bei beiden aber wird die Natur selbst als technisch, d. i. als zweckmäßig in ihren Producten be­ trachtet, einmal subjectiv, in Absicht auf die bloße Vorstellungsart des Subjects, in dem zweiten Falle aber, als objectiv zweckmäßig in Beziehung auf die Möglichkeit des Gegenstandes selbst. Wir werden in der Folge sehen: daß die Zweckmäßigkeit der Form in der Erscheinung, die S c h ö n h e i t , und das Beurtheilungsver­ mögen derselben der G e s c h m a c k sei. Hieraus würde nun zu folgen scheinen, daß die Eintheilung der Critik der Urtheilskraft in die ästhetische und teleologische, blos die G e s c h m a c k s l e h ­ r e und p h y s i s c h e Z w e k s l e h r e (der Beurtheilung der Dinge der Welt als Naturzwecke) in sich fassen müßte5. Allein man kann alle Z w e c k m ä ß i g k e i t , sie mag subjectiv oder objectiv sein, in i n n e r e und r e l a t i v e eintheilen, davon die erstere in der Vorstellung des Gegenstandes an sich, die zweite blos im zufälligen G e b r a u c h e derselben gegründet ist. Die­

xii. Divisione della critica della forza di giudizio

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poiché, quando questo sentimento accompagna soltanto la rappresentazione sensibile dell’oggetto, cioè la sua sensazione, il giudizio estetico è empirico e richiede proprio una ricettività particolare, ma non una particolare forza di giudizio, e poiché inoltre, se questa facoltà fosse stata considerata determinante, avrebbe dovuto avere come fondamento un concetto di fine e perciò la conformità al fine avrebbe dovuto essere valutata come oggettiva, quindi non in modo estetico ma logico; ebbene sotto la forza estetica di giudizio, intesa in quanto facoltà parti­ 249 colare, necessariamente non c’è alcun’altra forza di giudizio se non q u e l l a r i f l e t t e n t e ; e per quel che riguarda il sentimen­ to del piacere (che è un tutt’uno con la rappresentazione della c o n f o r m i t à s o g g e t t i v a a l f i n e ), bisognerà considerarlo non come dipendente dalla sensazione in una rappresentazio­ ne empirica dell’oggetto e neppure dal concetto dello stesso oggetto, ma di conseguenza come dipendente unicamente dal­ la riflessione e dalla sua forma (l’attività peculiare della forza di giudizio) – riflessione grazie a cui in generale a partire dalle in­ tuizioni empiriche tende ai concetti – e bisognerà considerarlo come connesso a tale riflessione secondo un principio a priori. Così l’e s t e t i c a della forza riflettente di giudizio occuperà una parte della critica di questa facoltà, proprio come la l o g i c a di questa stessa facoltà, sotto il nome di t e l e o l o g i a , ne costitui­ 65 sce l’altra parte. Ma in entrambe queste parti la natura stessa è considerata come tecnica, cioè come conforme al fine nei suoi prodotti: sia come soggettivamente conforme al fine, dal punto di vista del semplice modo di rappresentazione del soggetto; sia, invece, nel secondo caso, come oggettivamente conforme al fine in relazione alla possibilità dell’oggetto stesso. Vedremo in seguito che la b e l l e z z a è la conformità della forma nel fe­ nomeno al fine e che la sua facoltà di valutare è il g u s t o . Per­ ciò sembrerebbe risultarne che la divisione della critica della forza di giudizio in estetica e teleologica dovrebbe comportare soltanto la d o t t r i n a d e l g u s t o e la d o t t r i n a f i s i c a d e l f i n e (la dottrina della valutazione delle cose del mondo come fini della natura). Perciò si può dividere ogni c o n f o r m i t à a l f i n e , sia essa soggettiva o oggettiva, in finalità i n t e r n a e r e l a t i v a , delle quali la prima si fonda sulla rappresentazione dell’oggetto in sé e la seconda semplicemente sull’u s o contingente di questa

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

sem gemäß kann die Form eines Gegenstandes e r s t l i c h schon für sich, d. i. in der bloßen Anschauung ohne Begriffe für die reflectirende Urtheilskraft als zweckmäßige wargenommen wer­ den, und alsdenn wird die subjective Zweckmäßigkeit dem Dinge und der Natur selbst beigelegt, z w e y t e n s mag das Object für 66 die Reflexion bei der Warnehmung nicht das | mindeste Zweck­ mäßige zu Bestimmung seiner Form an sich haben, gleichwohl aber kann dessen Vorstellung, auf eine a priori im Subjecte lie­ 250 gende Zweckmäßigkeit, zur Erregung eines Ge∥fühls derselben, (etwa der übersinnlichen Bestimmung der Gemüthskräfte des Subjects) angewandt, ein ästhetisches Urtheil gründen, welches sich auch auf6 ein (zwar nur subjectives) Princip a priori bezieht, aber nicht, so wie das erstere, auf eine7 Z w e c k m ä ß i g k e i t d e r N a t u r in Ansehung des Subjects, sondern nur auf einen8 möglichen zweckmäßigen G e b r a u c h gewisser sinnlicher An­ schauungen ihrer Form nach vermittelst der blos reflectirenden Urtheilskraft. Wenn also das erstere Urtheil den Gegenständen der Natur S c h ö n h e i t beilegt, das zweite aber E r h a b e n h e i t und zwar beide blos durch ästhetische (reflectirende) Urthei­ le, ohne Begriffe vom Object, blos in Rücksicht auf subjective Zweckmäßigkeit, so würde für das letztere doch keine besondere Technik der Natur vorauszusetzen sein, weil es dabei blos auf ei­ nen zufälligen Gebrauch der Vorstellung, nicht zum Behuf der Erkenntniß des Objects, sondern eines andern Gefühls, nämlich dem der innern Zweckmäßigkeit in der Anlage der Gemüthskräf­ te, ankommt. Gleichwohl würde das Urtheil über das Erhabene in der Natur von der Eintheilung der Aesthetik der reflectirenden Urtheilskraft nicht auszuschließen sein, weil es auch eine subjec­ tive Zweckmäßigkeit ausdrückt, die nicht auf einem Begriffe vom Objecte beruht. | Mit der objectiven Zweckmäßigkeit der Natur, d. i. der Mög­ 67 lichkeit der Dinge als Naturzwecke, worüber das Urtheil nur nach Begriffen von diesen, d. i. nicht ästhetisch (in Beziehung aufs Gefühl der Lust oder Unlust) sondern logisch gefället wird, und teleologisch heißt, ist es eben so bewandt. Die objective Zweck­ mäßigkeit wird entweder der inneren Möglichkeit des Objects, oder der relativen Möglichkeit seiner äußeren Folgen zum Grun­ de gelegt. Im ersteren Falle betrachtet das teleologische Urtheil

xii. Divisione della critica della forza di giudizio

809

rappresentazione. Conformemente a ciò, la forma di un ogget­ to può essere percepita i n p r i m o l u o g o già per se stessa come conforme al fine, cioè nella semplice intuizione senza concetto per la forza riflettente di giudizio, e in questo caso la conformità soggettiva al fine è attribuita alla cosa e alla natura stessa; i n s e c o n d o l u o g o , l’oggetto può benissimo, nella percezione, non possedere in se stesso per la riflessione alcuna 66 conformità al fine in vista della determinazione della sua forma, sebbene però la sua rappresentazione possa fondare un giudi­ zio estetico su una conformità al fine che si trova a priori nel soggetto, per suscitare un sentimento della medesima (ed even­ 250 tualmente della destinazione sovrasensibile delle forze dell’ani­ mo del soggetto): in questo caso il giudizio si riferisce anche a un principio a priori (certo soltanto soggettivo), ma non, come nel primo caso, a una c o n f o r m i t à d e l l a n a t u r a a l f i n e riguardo al soggetto, bensì unicamente a un possibile uso con­ forme al fine di certe intuizioni sensibili, in funzione della loro forma, tramite la forza semplicemente riflettente di giudizio. Se dunque il primo giudizio attribuisce la b e l l e z z a agli oggetti della natura, mentre il secondo attribuisce loro la s u b l i m i t à e in entrambi i casi unicamente attraverso dei giudizi estetici (riflettenti) senza concetti dell’oggetto, soltanto riguardo alla conformità soggettiva al fine, non bisognerebbe presupporre per il secondo giudizio alcuna tecnica particolare della natura, perché in tal caso si tratta soltanto di un uso contingente della rappresentazione, non in vista della conoscenza dell’oggetto, bensì di un altro sentimento, cioè quello della conformità inter­ na al fine nella disposizione delle forze dell’animo. Allo stesso modo il giudizio sul sublime nella natura non dovrebbe essere escluso dalla divisione dell’estetica della forza riflettente di giu­ dizio, perché esso esprime anche una conformità soggettiva al fine che non si basa su un concetto dell’oggetto. Lo stesso avviene con la conformità oggettiva della natura 67 al fine, cioè con la possibilità delle cose come fini naturali: qui il giudizio su di esse avviene solo secondo i loro concetti, cioè non esteticamente (in relazione al sentimento del piacere e di­ spiacere), ma logicamente, e un tale giudizio si chiama teleolo­ gico. La conformità oggettiva al fine è posta a fondamento sia della possibilità interna dell’oggetto sia della possibilità relativa delle sue conseguenze esterne. Nel primo caso, il giudizio teleo­

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

die Vo l l k o m m e n h e i t eines Dinges nach einem Zwecke, der in ihm selbst liegt, (da das Mannigfaltige in ihm zu einander sich wechselseitig als Zweck und Mittel verhält) im zweiten geht das teleologische Urtheil über ein Naturobject nur auf dessen Nütz­ lichkeit, nämlich die Übereinstimmung zu einem Zwecke der in anderen Dingen liegt. Diesem gemäß enthält die Critik der ästhetischen Urtheils­ kraft erstlich die Critik des G e s c h m a c k s (Beurtheilungsver­ mögen des Schönen) zweitens die Critik des G e i s t e s g e f ü h l s , denn so nenne ich vorläufig das Vermögen an Gegenständen eine Erhabenheit vorzustellen. – Weil die teleologische Urtheilskraft ihre Vorstellung von Zweckmäßigkeit nicht vermittelst der Ge­ 251 fühle, sondern durch Begriffe auf den Gegenstand ∥ bezieht, so bedarf es zu Unterscheidung der in ihr enthaltenen Vermögen, inneren so wohl als relativen (in beiden Fällen aber objectiver Zweckmäßigkeit) keiner besondern Benennungen; weil sie ihre Reflexion durchgehends auf Vernunft (nicht aufs Gefühl) bezieht. Noch ist anzumerken: daß es die Technik in der Natur und nicht die der Caussalität der Vorstellungskräfte des Menschen, welche man K u n s t (in der eigentlichen Bedeutung des Worts) 68 nennt, sei, in Ansehung deren hier | die Zweckmäßigkeit als ein regulativer Begrif der Urtheilskraft nachgeforscht wird und nicht das Princip der Kunstschönheit oder einer Kunstvollkommen­ heit nachgesucht werde, ob man gleich die Natur, wenn man sie als technisch (oder plastisch) betrachtet, wegen einer Analogie, nach welcher ihre Caussalität mit der der Kunst vorgestellt wer­ den muß, in ihrem Verfahren technisch d. i. gleichsam künstlich nennen darf. Denn es ist um das Princip der blos reflectiren­ den, nicht der bestimmenden Urtheilskraft, (dergleichen allen menschlichen Kunstwerken zum Grunde liegt) zu thun, bei der also die Zweckmäßigkeit als u n a b s i c h t l i c h betrachtet werden soll, und die also nur der Natur zukommen kann. Die Beurthei­ lung der Kunstschönheit wird nachher als bloße Folgerung aus denselbigen Principien, welche dem Urtheile über Naturschön­ heit zum Grunde liegen, betrachtet werden müssen. Die Critik der reflectirenden Urtheilskraft in Ansehung der Natur wird also aus zwei Theilen bestehen, aus der Critik des ä s ­ t h e t i s c h e n und der des t e l e o l o g i s c h e n B e u r t h e i l u n g s ­ v e r m ö g e n s der Dinge der Natur.

xii. Divisione della critica della forza di giudizio

811

logico considera la p e r f e z i o n e di una cosa secondo un fine situato in essa (dal momento che i molteplici aspetti di questa cosa si riferiscono gli uni agli altri, reciprocamente, come fine e mezzo); nel secondo caso, il giudizio teleologico pronunciato su un oggetto della natura consiste soltanto sulla sua u t i l i t à , cioè sul suo accordo con un fine che risiede in altre cose. Conformemente a ciò la critica della forza estetica di giu­ dizio contiene in primo luogo la critica del g u s t o (facoltà di valutare il bello) e, in secondo luogo, la critica del s e n t i m e n ­ t o d e l l o s p i r i t o , dato che chiamo così, provvisoriamente, la facoltà di rappresentare negli oggetti una sublimità. Poiché la forza teleologica di giudizio riferisce all’oggetto la sua rap­ 251 presentazione della conformità al fine non tramite sentimenti ma attraverso concetti, non c’è bisogno di denominazioni par­ ticolari per distinguere le capacità contenute in essa, sia interne come pure relative (capacità che, in entrambi i casi, sono tut­ tavia di conformità oggettiva al fine), dato che essa riferisce di­ rettamente la sua riflessione alla ragione (e non al sentimento). Bisogna ancora notare che è la tecnica nella natura e non quella della causalità delle forze rappresentative dell’uomo a chiamarsi a r t e (nel significato peculiare del termine), rispetto a cui qui si ricerca la conformità al fine come un concetto rego­ 68 lativo della forza di giudizio; e non si indaga il principio della bellezza artistica o di una perfezione artistica benché si possa designare la natura, se la si considera come tecnica (o plastica) in virtù di un’analogia secondo la quale la sua causalità deve essere rappresentata con quella dell’arte, come tecnica nel suo modo di procedere, cioè in qualche modo come artistica. Infatti si tratta del principio della forza semplicemente riflettente di giudizio e non determinante (quella che è a fondamento di tutte le opere d’arte prodotte dall’uomo), nella quale perciò la conformità al fine deve dunque essere considerata come i n i n t e n z i o n a l e , e dunque può competere soltanto alla natura. Perciò la valuta­ zione della bellezza artistica dovrà essere considerata come una semplice conseguenza che procede dagli stessi principi che stan­ no a fondamento del giudizio sulla bellezza della natura. La critica della forza riflettente di giudizio riferita alla na­ tura si comporrà dunque di due parti, la critica della facoltà e s t e t i c a di valutare le cose della natura e la critica della facol­ tà t e l e o l o g i c a di valutare queste stesse cose.

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prima introduzione alla Critica della forza di giudizio

Der erste Theil wird zwei Bücher enthalten, davon das erste die Critik des G e s c h m a c k s oder der Beurtheilung des S c h ö ­ n e n , das zweite die Critik des G e i s t e s g e f ü h l s (in der bloßen Reflexion über einen Gegenstand) oder der Beurtheilung des E r­ h a b e n e n sein wird. Der zweite Theil enthält eben so wohl zwei Bücher, davon das erste die Beurtheilung der Dinge als Naturzwecke in Ansehung ihrer i n n e r n M ö g l i c h k e i t , das andere aber das Urtheil über ihre r e l a t i v e Z w e c k m ä ß i g k e i t unter Principien bringen wird. Jedes dieser Bücher wird in zweien Abschnitten eine A n a l y ­ t i k und eine D i a l e c t i k des Beurtheilungsvermögens enthalten. Die Analytik wird in eben so vielen Hauptstücken, erstlich die E x p o s i t i o n und dann die D e d u c t i o n des Begrifs einer Zweckmäßigkeit der Natur zu verrichten suchen.

xii. Divisione della critica della forza di giudizio

813

La prima parte conterrà due libri, dei quali il primo sarà la critica del g u s t o o della valutazione del bello, il secondo la critica del s e n t i m e n t o d e l l o s p i r i t o (nella semplice riflessione su un oggetto) o della valutazione del sublime. La seconda parte contiene anch’essa due libri, dei quali il primo ricondurrà sotto principi la valutazione delle cose come fini della natura in considerazione della loro p o s s i b i l i t à i n ­ t e r n a , mentre il secondo ricondurrà sotto principi il giudizio sulla loro c o n f o r m i t à r e l a t i v a a l f i n e . Ciascuno di questi libri conterrà, in due sezioni, una a n a ­ l i t i c a e una d i a l e t t i c a della facoltà di valutare. L’analitica cercherà di realizzare, in altrettanti capitoli, in primo luogo l’e s p o s i z i o n e e, poi, la d e d u z i o n e del con­ cetto di una conformità della natura al fine.

APPARATI

NOTE AL TESTO TEDESCO NOTE AL TESTO ITALIANO INDICE DEI NOMI CITATI DA KANT GLOSSARIO TEDESCO-ITALIANO PAROLE CHIAVE BIBLIOGRAFIA INDICE GENERALE

NOTE AL TESTO TEDESCO Titel 1

B: “Berlin, / bey F. T. Lagarde, / 1793”. C: “Berlin, / bey F. T. Lagarde. / 1799”.

Vorrede 1

“zur ersten Auflage, 1790” aggiunta di B e C. 2 Vorländer: “den [?]”. 3 A: “Hand geben kann: so daß die Kritik, welche [...] sichtet, nichts übrig läßt, als was [...] als Inbegriff [...] vorschreibt, alle andere reine Begriffe aber unter die Ideen verweiset, die”. 4 “dienen” aggiunta di B e C. 5 Windelband, Frank-Zanetti: “alleinigen”; A: “aber einigen”; Erdmann: “oder einzigen”; Vorländer, Klemme: “sicheren, aber einigen”; Weischedel: “sicheren aber einigen”. 6 A: “vorschreibt”. 7 Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “sie”; Weischedel: “es”. 8 Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “sie”; Weischedel: “es”. 9 Weischedel: “Erhabne”; Vorländer e Klemme: “Erhabene”. 10 Vorländer, Windelband, Weischedel: “logische”; Rosenkranz: “teleologische”.

Einleitung I 1

A: “Logik tut, die der Form”. Vorländer: “in zwei den Prinzipien nach ganz verschiedene Teile”. 3 A: “zweiten”. 4 “gehalten” aggiunto da Erdmann, an2

che in Vorländer, Klemme; Windelband, Weischedel, Frank-Zanetti: “Naturlehre, endlich”. 5 Kehrbach: “die Vorschriften”; Vorländer, Windelband, Weischedel, Frank-Zanetti, Klemme: “die Vorschrift”. 6 “unterworfen sind, und also” aggiunta di B e C. 7 A: “denen”. 8 Hartenstein: “vorhergehende”; anche in Windelband: “vorhergehende”; Weischedel: “vorgehende”.

Einl. II 1

“die” aggiunta di B e C. 2 A: “auf dem ihr Gebiet errichtet wird, und auf welchem ihre”. 3 C: “jene”; anche in Vorländer e Klemme; Weischedel, Frank-Zanetti: “sie”. 4 A: “einschränkten”. 5 “aber” aggiunta di B e C. 6 A: “also”. 7 A: “davon die erste”. 8 “soll” aggiunta di B e C. 9 A: “was”. 10 A: “davon”.

Einl. III 1

Weischedel: “einem gemeinschaftlichem”. 2 Nota aggiunta in B e C. 3 “dem” aggiunta di B e C. 4 Erdmann: “vom”; anche in Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme; Weischedel: “von”.

Einl. IV 1

A: “denen”.

818

NOTE AL TESTO TEDESCO

2

Erdmann: “diese sich nicht”; anche in Windelband, Frank-Zanetti, Klemme; Weischedel: “diese nicht”. 3 Vorländer: “sein, als daß, da,”. 4 Windelband: “desselben”.

Einl. VIII 1

C: “und der teleologischen”. C: “Gegenstandes”. 3 Windelband: “enthält”. 4 A: “davon”. 2

Einl. V 1

A: “ist, und unter”. 2 “nun” aggiunta di B e C. 3 Windelband: “außer dem”. 4 A: “in Ansehung deren”. 5 A: “weil”. 6 Vorländer: “Erfahrung enthalte”. 7 A: “Zufall ware, wenn [...] antreffen, erfreuet [...] werden”. 8 Hartenstein: “wiederum nach einem”; anche in Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme; Weischedel: “wiederum einem”. 9 Weischedel: “andern”.

Einl. VI 1

Weischedel: “Verstandesbedürfnis, als”. A: “dadurch”. 3 Hartenstein e Windelband: “jener”. 4 C: “Abteilungen”. 5 A: “was”. 6 C: “vorhersagte” 7 A: “eine solche Heterogeneität”. 8 A: “die”. 9 A: “das”. 2

Einl. VII 1

A: “darin”. A: “dadurch”. 3 “mögen” aggiunta di B e C. 4 A: “ja ohne sogar”. 5 A: “Ein Gegenstand dessen Form”. 6 A: “ein einzelnes”. 7 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “werden”; Weischedel: “wird”. 8 Erdmann: “entsprungen”. 9 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “bezogen wird”; Weischedel: “bezogen”. 2

Einl. IX 1

C: “können”. Weischedel: “Regel die”; Vorländer, Windelband, Klemme: “Regel, die”. 3 A: “gemäß dieser ihren”. 4 Vorländer sottindende “Vernunft”. 5 “der” aggiunta di B e C. 6 “und” aggiunta di B e C. 2

Einteilung 1

I numeri di pagina sono di B.

§2 1

C: “das”. 2 A, B, Windelband, Weischedel, Klemme: “auf die Eitelkeit der Großen auf gut R o u s s e a u i s c h schmälen”; C e Vorländer: “auf gut R o u s s e a u i s c h auf die Eitelkeit der Großen schmälen”. 3 A: “ist”. 4 A: “die so eben”.

§3 1

A: “die den”. 2 A: “die die”. 3 A: “da nur die”. 4 A: “das für”. 5 A: “eine”. 6 “eine” aggiunta di B e C. 7 A: “Erkenntnis”. 8 A: “dadurch”. 9 A: “dadurch”. 10 A: “dadurch”. 11 A: “Gegenstände”. Erdmann, Windelband e Vorländer: “Gegenstande”. B, C e Weischedel: “Gegenständen”. 12 A: “so immer”. 13 Hartenstein: “Urteils”.

819

EINLEITUNG V - § 9

§4 1

A: “das”. A: “Aber von der Glückseligkeit”. 3 “an sich” aggiunta di B e C. 4 A: “der nur bloß”. 5 “absoluten” aggiunta di B e C. 2

6

A: “andere”. A: “es”. 8 A: “sagen”. 9 “(wie die empirischen alle sind)” aggiunta di B e C. 10 “beim” aggiunta di B e C. 7

§8

§5 1

“Nicht bloß der Gegenstand, sondern auch die Existenz desselben gefällt” aggiunta di B e C. 2 Rosenkranz, Windelband, Vorländer, Frank-Zanetti, Klemme: “Dagegen”; Weischedel: “Daher”. 3 “dem” aggiunta di B e C. 4 “weder” aggiunta di B e C. 5 “noch praktisches” aggiunta di B e C. 6 “gebilligt” aggiunta di B e C. 7 “aber auch nicht bloß als solche (z. B. Geister) sondern zugleich als tierische” aggiunta di B e C. 8 A: “denn ein Interesse, sowohl [...] als das”. 9 C: “einzig”. 10 A: “ und der, so durch”. 11 A: “es auch weiter”. 12 “in” aggiunta di B e C. 13 Erdmann, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “einen”; Weischedel: “eines”.

§6 1

“da” aggiunta di B e C. 2 C: “hängte”. 3 A: “ausmachen”; Windelband: “ausmachend”. 4 A: “und”. 5 C: “anhangen”.

§7 1

“in” aggiunta di B e C. 2 A: “Torheit und in”. 3 “also” aggiunta di B e C. 4 A: “seinen besondern”. 5 A: “Einen Reiz”.

1

A: “ihre”. 2 A: “dadurch”. 3 C: “jeglichen”. 4 “bloß” aggiunta di B e C. 5 “bezeichnet” aggiunta di B e C. 6 A, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “sie”; Weischedel: “sich”. 7 “logischen” aggiunta di B e C. 8 Windelband: “können jene”. 9 C: “so können jene nicht die Quantität objektiv-gemeingültiger Urteile haben”. 10 Erdmann, Windelband e Klemme: “im Geruche”; Kant: “im Gebrauche”. 11 “ein” aggiunta di B e C. 12 A: “abschwatzen”; C: “aufschwatzen”. 13 A: “so glaubt”. 14 Weischedel e Klemme: “für ihn allein”; C, Windelband e Vorländer: “für den Betrachtenden allein”. 15 A: “das zugleich”. 16 C: “angesehen”. 17 C: “es die”. 18 A: “dazu”. 19 A: “würde, wider die er aber öfters fehlt und darum ein irriges Geschmacksurteil fället”.

§9 1

A: “dadurch”. Hartenstein: “bestimmte”. 3 C: “in”. 4 A: “dadurch”. 5 A: “vereinigt, und dieser”. 6 A: “dadurch” 7 A: “dadurch” 2

820

NOTE AL TESTO TEDESCO

8

“unter einander” aggiunta di B e C. Vorländer: “gefällt”. 10 C: “bestimmter”. 11 A: “wenn”. 12 A: “auch als für”. 13 “für” aggiunta di B e C. 9

§ 10 1

Hartenstein: “der Zweck”. 2 A: “dagegen”. 3 “(sie abzuhalten oder wegzuschaffen)” aggiunta di B e C. 4 A: “Ursache”.

§ 11 1

“der” aggiunta di B e C. 2 “Vorstellung von” aggiunta di B e C. 3 A: “dadurch”.

§ 12 1

A: “ein besonderes Kausalverhältnis”. Vorländer: “jederzeit nur”. 3 A: “nur alsdenn angenommen”. 4 A: “im moralischen aber praktisch”. 5 A: “dadurch”. 6 Erdmann, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “einen”; Weischedel: “ein”. 2

§ 13 1

Windelband: “dieses”; Weischedel: “diese”. 2 C: “Indes”. 3 A: “für”.

§ 14 1

“die” aggiunta di B e C. 2 “von der” aggiunta di B e C. 3 “(als formale)” aggiunta di B e C. 4 A: “dadurch”. 5 C: “verdienen”. 6 A: “für schön gehalten zu werden berechtigt”. 7 C: “solche”. 8 C, Vorländer, Windelband, Bueck, Frank-Zanetti, Klemme: “nicht”; A,

B, Hartenstein, Kirchmann, Kehrbach, Erdmann, Weischedel: “sehr”. 9 C: “würden”. 10 C, Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “welchen”; A, B, Weischedel: “welcher”. 11 C: “könnte”. 12 “der” aggiunta di B e C. 13 C: “ja in allen”. 14 “in” aggiunta di B e C. 15 “was” aggiunta di B e C. 16 A: “beliebt”. 17 A: “durch die schöne Form”. 18 “bloßes” aggiunta di B e C. 19 “der” aggiunta di B e C. 20 “die Vorstellung beleben, indem sie” aggiunta di B e C. 21 A: “erheben”. 22 “(parerga)” aggiunta di B e C. 23 “Einfassungen der Gemälde, oder” aggiunta di B e C. 24 A: “da”. 25 “(mit welcher das Gefühl der Rührung verbunden ist)” aggiunta di B e C.

§ 15 1

A: “Dinges, welche von der quantitativen, als der Vollständigkeit [...] Allheit) ist”. 2 A: “dem”. 3 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “Einen”; Weischedel: “Einem”. 4 Erdmann: “womit”. 5 “wenn es auch bloß die Idee einer Gesetzmäßigkeit überhaupt wäre” aggiunta di B e C. 6 A: “als formalen subjektiven”. 7 A: “Unterschied der zwischen”. 8 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “der”; Weischedel: “die”. 9 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “der”; Weischedel: “die”. 10 A: “gründet”. 11 C, Windelband, Frank-Zanetti: “einzig”; Weischedel e Klemme: “einig”.

821

§§ 10-18 12

A: “dadurch”. “in der Bestimmung” aggiunta di B e C. 14 A: “ist, die nur”. 15 C: “ästhetisch nennen wollte”. 16 Windelband e Weischedel: “vorstellte”; C: “vorstellt”. 17 “, welches beides sich widerspricht” aggiunta di B e C. 18 C e Windelband: “sondern als Vermögen der Bestimmung des Urteils und”. 13

§ 16 1

C e Windelband: “Die Arten der erstern”. 2 C: “niemand”. 3 Erdmann: “darin”. 4 A: “die Paradiesvögel”. 5 C: “Phantasieren”. 6 A: “vorausgesetzt, daß dadurch”. 7 “Schönheit” aggiunta di B e C. 8 A: “der”. 9 C: “Zwecke, welcher [...] Vollkommenheit voraus”. 10 A: “bestimmt, ein Wohlgefallen, das auf einem Begriffe gegründet ist”. 11 A: “dadurch”. 12 A: “und ist zwar nicht allgemein, doch können ihm in Ansehung [...] vorgeschrieben werden”. 13 A: “jener”. 14 A: “dadurch”. 15 A: “der”. 16 A: “(der auf”. 17 A: “wende”.

§ 17 1

A: “die”. 2 C, Vorländer, Frank-Zanetti, Klemme: “zureichende Kriterium”; Weischedel: “zureichende, empirische Kriterium”. 3 A: “andere”. 4 A: “der aber, so ein”. 5 C, Vorländer, Windelband, Frank-Za-

netti: “Veränderung”; Weischedel, Klemme: Veränderungen. 6 C: “lebenden Sprachen”. 7 C: “behält”. 8 A: “darnach”. 9 A: “der”. 10 Erdmann e Vorländer: “diese”. 11 “eines” aggiunta di B e C. 12 Erdmann, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “seiner”; Weischedel: “einer”. 13 A: “die”. 14 A, C e Windelband: “des”; Weischedel: “der”. 15 A: “Gegenstandes von einer”. 16 A: “Bewußtsein, zu reproduzieren, ein Bild”. 17 A: “der Raum”. 18 C: “nebst”. 19 A: “so ist diese Gestalt das Ideal des schönen Mannes, in dem Lande, da [...] wird; daher”; “Ideal” di A è sostituito da “Normalidee”. 20 A: “notwendig ein anderes Ideal der”; “Ideal” è sostituito da “ N o r m a l i d e e ”. 21 A: “ein anderes”. 22 C: “ihrer”. 23 “ganze” aggiunta di B e C. 24 A: “der”. 25 A: “ihm wohl zum”. 26 A: “gemeiniglich eben sowohl einen nur mittelmäßigen”. 27 A: “Proportion”. 28 A: “der”. 29 A: “der”. 30 A: “daran”. 31 A: “ohne auch an”. 32 C: “deutlich eine Zweckmäßigkeit verraten”. 33 A: “aber”.

§ 18 1

C: “an den Gegenständen”. 2 A: “aber ist”. 3 A: “da”. 4 A: “da”.

822 5 6

NOTE AL TESTO TEDESCO 3

A: “der”. A: “die”.

§ 19 1

“Beistimmung” aggiunta di B e C.

§ 20 1

A: “so es”. A: “desselben”. 3 A: “der”. 4 A: “gemeiniglich nach ihnen, als nur dunkel”. 2

§ 21

“(das Gefühl des Erhabenen)” aggiunta di B e C. 4 “enthält” aggiunta di B e C. 5 Windelband: “führt”. 6 C: “hingegen”. 7 A: “nach gar zweckwidrig”. 8 “aber” aggiunta di B e C. 9 A: “was”. 10 “zur Analogie mit der” aggiunta di B e C. 11 “Begriff” aggiunta di B e C. 12 Hartenstein: “sogar”; Windelband: “so gar”. 13 A: “sie”.

1

A: “dadurch”. 2 Windelband e Vorländer: “desselben”. 3 A, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “werden muß”; Weischedel: “werden”.

§ 24 1

A: “Urteile”. 2 Erdmann, Vorländer, Klemme: “Interesse sein, der”; Windelband, Weischedel, Frank-Zanetti: “Interesse, der”.

§ 22 1

A: “mir”. Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “für jetzt”; Weischedel: “vor jetzt”. 3 C: “um”. 4 C: “des”. 2

Allgemeine Anmerkung zum ersten Abschnitte der Analytik 1

Erdmann: “hinauslaufe”. A: “Absicht ist”. 3 “faßlich zu machen, wahrgenommen wird” aggiunta di B e C. 4 “alsdann” aggiunta di B e C. 5 A: “wo”. 6 A: “was”. 7 A: “Mobilien”. 8 A: “dagegen daß die dorten an”. 9 A: “wir wohl vermutlich”. 10 A: “es”. 11 C: “während es”. 2

§ 23 1

“auf” aggiunta di B e C. 2 “(das Schöne)” aggiunta di B e C.

§ 25 1

C: “ganz etwas anders als sagen”. A: “er”. 3 “was dadurch bezeichnet wird” aggiunta di B e C. 4 Erdmann e Windelband: “es”. 5 A: “Er”. 6 A: “was”. 7 A: “Dieweil”. 8 A: “dieser ihre Größe immer”. 9 A: “es”. 10 Hartenstein, Rosenkranz, Windelband, Vorländer, Frank-Zanetti, Klemme: “Beistimmung”; Weischedel: “Bestimmung”. 11 A: “dadurch”. 12 A: “dem reflektierenden Urteile über Größe zum”. 13 A: “mag nun empirisch”. 14 “beurteilenden” aggiunta di B e C. 15 Windelband: “enthält”. 16 A: “würde”. 17 A: “Teleskopien”. 18 A: “Mikroskopien”. 19 A: “als einer reellen Idee”. 2

823

§§ 19-28 20 21

“aber” aggiunta di B e C. A: “klein, mithin Geistesstimmung, [...] Objekt, ist erhaben zu nennen”.

24

Hartenstein: “läßt”. A: “Idee”. 26 Erdmann e Vorländer: “ihnen eine”. 25

§ 26 1

A: “zwar nur bestimmte Begriffe [...] sei, durch Zahlen”. 2 Windelband, Frank-Zanetti: “Idee”; Weischedel, Klemme: “Ideen”. 3 A: “davon”. 4 Erdmann e Windelband: “vermischt) ist und”. 5 Errata corrige di A, Windelband e Vorländer: “der”; A, B, C e Weischedel: “die”. 6 Erdmann e Windelband: “die”. 7 Erdmann e Vorländer: “Zusammenfassung”. 8 A: “ist etwas, was zwar objektiv zweckmäßig ist, nach”. 9 Erdmann: “im Zusammenfassen”. 10 “die” aggiunta di B e C. 11 A: “es sich”. 12 “gegebene” aggiunta di B e C. 13 “gegebenen” aggiunta di B e C. 14 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “Zusammenfassung, die das”; Weischedel: “Zusammenfassung das”. 15 A: “dieses Vermögens, welches im Fortschreiten unbegrenzt ist, wahrgenommen”. 16 A: “das”. 17 A, Windelband, Vorländer, Frank-Zanetti, Klemme: “sie”; B, C e Weischedel: “sich”. 18 A: “Erhabenen”; Vorländer: “erhabenen”. 19 “indem” aggiunta di B e C. 20 Vorländer e Windelband: “wenn es, indem es sich”. 21 C: “angemessen”. 22 A: “befindet”. 23 C, Frank-Zanetti, Klemme: “Milchstraße; und die unermeßliche”; Weischedel: “Milchstraße, und der unermeßlichen”.

§ 27 1

A: “veränderliches”. Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “Absolut”; Weischedel: “absolut”. 3 A: “in einem Ganzen”. 4 A: “Größenschätzung, für die durch”. 5 A: “zu”. 6 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “Großes”; Weischedel: “großes”. 7 Erdmann e Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “Ideen der Vernunft”; Weischedel: “Ideen des Verstandes”. 8 C: “angemessen”. 9 “die” aggiunta di B e C. 10 “hier” aggiunta di B e C. 11 “oder” aggiunta di B e C. 12 A: “einem”. 13 Erdmann: “einer jeden”; Weischedel, Frank-Zanetti, Klemme: “einer Anschauung”. 14 A: “dadurch”. 15 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “objektiv aber zur”; Weischedel: “objektiv aber, als zur”. 16 Windelband erwägt: “daß es ein”. 17 A: “wurde”. 18 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “als gegeben”; A, Erdmann e Vorländer: “als ganz gegeben”; B, C e Weischedel: “als bloß gegeben”. 19 A: “weil auf [...] Maß, da gar nicht”. 20 C: “Äußere”. 21 C: “Einbildungskraft für [...] Erweckung doch als”. 22 A: “aber wird”. 2

§ 28 1

C: “welchem”. 2 C: “Ihn”. 3 A: “Der”.

824

NOTE AL TESTO TEDESCO

4

A: “Er”. A: “ihm diesen Scheu”. 6 “physische” aggiunta di B e C. 7 A: “dabei”. 8 “solche” aggiunta di B e C. 9 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “anzusehen”; Weischedel: “ansehen”. 10 A: “ist”. 11 A: “den”. 12 C: “Handelsgeist”. 13 “über” aggiunta di B e C. 14 A: “seiner”. 15 A: “gerecht ist, ist in gar keiner Gemütsfassung”. 16 A: “zwangfreies”. 17 A: “seiner”. 18 A: “sofern er einer seinem Willen gemäßen Erhabenheit der Gesinnung an ihm selbst bewußt ist und”. 19 A: “vor das übermächtige Wesen”. 20 A: “über sie”. 5

§ 29 1

A: “darüber”. A: “ dem”. 3 A: “unter dieser ihrer Voraussetzung und”. 4 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “der”; Weischedel: “des”. 5 Windelband, Frank-Zanetti: “der Menschen”. Weischedel: “des Menschen”. 6 A: “sondern hat ihre”. 7 A: “Ideen, d. i. den moralischen”. 8 “im Menschen” aggiunta di B e C. 9 A: “hiemit dem”. 10 Erdmann: “dieselbe”. 11 A: “der”. 12 A: “würde”. 13 A: “herüberzuziehen”. 2

Allgemeine Anmerkung exp. ästh. reflek. Urteile 1

A: “darin”. 2 “die” aggiunta di B e C.

3

“dieselbe, dagegen für” aggiunta di B e C. 4 Windelband: “dieser”; Vorländer e Weischedel: “diesen”. 5 C: “und in der”. 6 A: “Idee aber des Übersinnlichen”. 7 A: “das moralische Gefühl”. 8 C, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti: “als durch ein Werkzeug”; A, B, Weischedel, Klemme: “als einem Werkzeuge”. 9 A: “so sie”. 10 A: “darin”. 11 Weischedel: “der”; Erdmann e Vorländer: “den”. 12 A, B e Weischedel: “ersteren”; C e Vorländer: “letzteren”. 13 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “sich zur”; Erdmann: “die Natur zur”; Weischedel: “Urteilskraft, zur”. 14 C: “(nur ohne”. 15 C: “dennoch”. 16 “ist” aggiunta di B e C. 17 C: “durch vernünftige”. 18 C: “das”. 19 Erdmann e Vorländer: “diese”; Weischedel: “dieser”. 20 C, Vorländer e Windelband: “als den”; Weischedel: “den”. 21 A: “möglich macht, vorstellen, denn”. 22 A: “die die”. 23 A: “über die Hindernisse”. 24 Hartenstein, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “durch moralische Grundsätze”; Weischedel: “durch menschliche Grundsätze”. 25 A: “unvermögend macht, sich nach freier Überlegung durch Grundsätze zu bestimmen”. 26 A: “die die”. 27 Erdmann e Windelband: “in dem”. 28 Erdmann: “anderes”. 29 C: “Periode”. 30 Windelband: “auch die Regierungen”. Weischedel: “auch Regierungen”. 31 A: “Sittlichkeit”.

825

§§ 29-33 32

A: “davon”. Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “in uns selbst”; Weischedel: “in uns, selbst”. 34 Windelband: “in uns selbst, was”; Weischedel: “in uns, selbst was”. 35 A: “sind”. 36 C, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “unterschieden ist, sondern auch durch”; Weischedel: “unterschieden ist, und durch”. 37 “zu” manca in C. 38 A e Erdmann: “selbst und unter einander”. 39 A: “v. Saussure”. 40 A: “psychologische”. 41 “mit” aggiunta di B e C. 42 A: “so gar”. 43 A: “behauptete, alles Ve r g n ü g e n ”. 44 A: “mag immer von”. 45 “das” manca in C. 46 A: “herbeizuschaffen, so ist doch eine transzendentale Erörterung dieses Vermögens zur Kritik des Geschmacks wesentlich gehörig; denn, ohne daß dieser Prinzipien”. 47 A: “Verwerfungssurteile”. 33

Deduktion der reinen ästhetischen Urteile 1

Titolazione aggiunta in B e C.

§ 30 1

A: “die”. A: “mußte”. 3 A: “im Gemüt gemäß ist”. 4 A: “die die”. 5 A: “hinlangt”. 6 A: “beigelegt werde, welcher sich bewußt zu werden, die Auffassung [...] Gegenstandes, die bloße Veranlassung gibt, welcher”. 7 A: “ist”. 8 A: “d. i. derer, über”. 2

§ 31 1

A: “indessen daß es”. A: “ist”. 3 “könne” aggiunta di B e C. 4 A: “Regeln hat, auch ein Wohlgefallen für jeden andern”. 5 C: “dürfte”. 6 A: “ e r s t l i c h der Allgemeingültigkeit [...] nicht einer logischen Allgemeinheit [...], sondern der Allgemeinheit”. 7 A: “darin”. 2

§ 32 1

A: “darnach”. 2 A: “unter anderer ihren Urteilen”. 3 Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “aussprechen”; B, C e Weischedel: “absprechen”. 4 A: “zu belehren, mithin nicht als Nachahmung, da etwas wirklich allgemein gefällt, folglich a priori ausgesprochen werden solle”. 5 Erdmann e Vorländer: “Erkenntnis-”; Windelband e Weischedel: “Erkenntnis”. 6 A: “nicht durch das seiner”. 7 “bloß” aggiunta di B e C. 8 A: “hervorzubringen, dartue”. 9 A: “es ist gar kein”. 10 Kirchmann e Vorländer: “vorangegangen”; Windelband e Weischedel: “vorgegangen”. 11 “haben mag” aggiunta di B e C. 12 A: “den”. 13 A: “daraus”. 14 A: “seinen Vorgängern nur die Art, wie sie sich dabei benehmen, abzulernen”.

§ 33 1

A: “anstellen”. 2 A: “für die der Schönheits-Beurteilung gültigen”. 3 A: “abgebe und daß [...] beobachten,

826

NOTE AL TESTO TEDESCO

und [...] haben einen hinreichenden Beweisgrund [...] zum theoretischen, niemals”. 4 A: “wenigstens mögen”. 5 A: “so stopfe ich mir”. 6 A: “mag nach keinen Gründen und Vernünfteln”. 7 Hartenstein, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “seien”; Weischedel: “sein”. 8 A: “oder daß wenigstens”. 9 C: “erzählen”. 10 A: “und oben ein”. 11 “meinem” aggiunta di B e C. 12 A: “machte”. 13 A: “was”.

§ 34 1

C: “Obgleich alle Kritiker”. 2 A: “um den”. 3 A: “sondern um über”. 4 A: “von der”.

§ 35 1

“das” aggiunta di B e C. A: “dadurch”. 3 Erdmann: “Zusammenfassung”; Vorländer, Windelband e Weischedel: “Zusammensetzung”. 4 A: “den Verstand”. 5 A: “dadurch”. 6 Vorländer e Windelband: “Bedingung, daß”; Erdmann: “Bedingungen, wodurch”; Weischedel: “Bedingungen, daß”. 7 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti: “der Erkenntnisvermögen”; Weischedel, Klemme: “des Erkenntnisvermögens”.

4 5

A: “sondern ihr selbst”. A: “was”.

§ 38 1

A e Windelband, Frank-Zanetti: “eingeschränkt”. Vorländer, Weischedel, Klemme: “eingerichtet”. 2 A, C, Windelband, Vorländer, FrankZanetti, Klemme: “folglich auf dasjenige”; B e Weischedel: “folglich dasjenige”. 3 C: “mithin auf die”. 4 “des” manca in C. 5 A: “haben, welches letztere zwar unvermeidliche, [...] Schwierigkeiten hat, weil [...] kann, dadurch aber doch [...] nichts benommen wird, welcher”. 6 A: “Natur auch als”. 7 “ein” aggiunta di B e C. 8 C: “Natur, der [...] anhinge, angesehen werden müßte, für”. 9 A: “indessen daß die”. 10 Hartenstein: “Wirksamkeit”. 11 A: “Erfahrung bloß liegt”.

2

§ 36 1

Vorländer e Windelband: “Empfindungs-, sondern”; Weischedel: “Empfindungs- sondern”. 2 A: “um zu begreifen”. 3 C: “unter objektive Verstandesbegriffe”.

§ 39 1

A: “durch die Empfindung”. 2 A: “Grundlage hat, worauf aber, daß andere Menschen Rücksicht nehmen und [...] finden werden (welche [...] kann) ich nicht [...] berechtigt bin”. 3 A: “Betrachtung”. 4 A: “Reflexion und, ohne”. 5 A: “begleitet sie die”. 6 A: “durch ein Verfahren”. 7 A: “nur”. 8 A: “seinen”. 9 “genötigt” aggiunta di B e C. 10 A: “die”. 11 “nicht” aggiunta di B e C. 12 A: “den Reiz”.

§ 40 1

A: “in dem”. 2 A: “der”.

827

§§ 34-43 3

“zwar” aggiunta di B e C. A: “die in diesem wirklich”. 5 A: “die”. 6 A: “anderer ihre, nicht”. 7 A: “in unserm”. 8 A: “zu denken”. 9 A: “zu denken”. 10 C, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “Natur Regeln”; B e Weischedel: “sich die Naturregeln”. 11 A: “ Vo r u r t e i l , unter welchen das größte ist, die Natur sich Regeln, die der Verstand ihr durch sein eigenes”; Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “durch sein eigenes”; B, C e Weischedel: “durch ihr eigenes”. 12 A: “die”. 13 C: “die”. 14 A: “darin”. 15 A: “vom erweiterten”. 16 A: “von”. 17 Erdmann, Vorländer, Klemme: “wegsetzen kann”; Windelband, Frank-Zanetti: “wegsetzt”; Weischedel: “wegsetzen”. 18 “Maxime” aggiunta di B e C. 19 “daß” aggiunta di B e C. 20 A: “benennen”. 21 A: “diesem Begriffe”. 22 A: “setzt”. 4

§ 41 1

A: “folgt nicht, daß ein solches, nachdem [...] worden, damit nicht verbunden werden könne”. 2 C: “jedoch”. 3 Erdmann: “die Eigenschaft”. 4 A: “als den Menschen”. 5 A: “der”. 6 A: “so würde”. 7 A: “könne, welcher, ob er nicht etwa doch [...] könne, wir zu untersuchen Ursache haben”.

§ 42 1

A: “sie die”. B, Windelband e Weischedel: “öfter”; A: “öfters”; C e Vorländer: “oft”. 3 “aber” aggiunta di B e C. 4 Vorländer, Windelband e Weischedel: “haben”; Erdmann: “zu haben”. 5 “und daß” aggiunta di B e C. 6 “es” aggiunta di B e C. 7 A: “Der, so einsam”. 8 “ihm” aggiunta di B e C. 9 A: “hintergangen hätte”. 10 C: “welches”. 11 C: “das”. 12 A: “nur mit [...] bezogenen verbunden übrig”. 13 A: “dennoch an jener allein [...] zu nehmen”. 14 “um” aggiunta di B e C. 15 Vorländer e Windelband, Frank-Zanetti: “gesellschaftliche Freuden”; Weischedel, Klemme: “gesellschaftlichen Freuden”. 16 A: “so es”. 17 A: “ausgebildet ist”. 18 Erdmann e Windelband, Frank-Zanetti: “vorstellt, und dem”; Vorländer, Weischedel, Klemme: “vorstellt, mit dem”. 19 “in” aggiunta di B e C. 20 Erdmann e Windelband, Frank-Zanetti: “Ursache erwecken, nämlich”; Weischedel, Klemme: “Ursache, nämlich”. 21 Vorländer: “kann, erwecken”. 22 “in” aggiunta di B e C. 23 Vorländer, Windelband e Weischedel: “seiner”; Erdmann: “ihrer”. 24 Windelband: “so gar”. 25 A: “hat”. 26 A: “sollten”. 2

§ 43 1

Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “desselben”; Weischedel: “derselben”.

828

NOTE AL TESTO TEDESCO

2

Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “seiner”; Weischedel: “ihrer”. 3 Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “seiner”; Weischedel: “ihrer”. 4 Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “sein, Kunst”; Weischedel: “sein Kunst”. 5 A: “als Beschäftigung”. 6 “der” aggiunta di B e C.

§ 44 1

A: “man uns durch[...] abfertigen”. Erdmann e Vorländer: “in den Autoren”. 3 A: “und, um daher diese”. 2

§ 45

9

Correzione di Kiesewetter alla ripetizione di Kant “ N a c h a h m u n g [...] N a c h a h m u n g ”, ma Kant intendeva, cfr. § 49, p. 200, “Nachahmung… Nachfolge”. 10 A: “bei dem”.

§ 48 1

C: “zur”. 2 Erdmann: “als ein”. 3 “als Schädlichkeiten” aggiunta di B e C. 4 A: “mithin der Kunstschönheit”. 5 C: “aufdrängte”. 6 A: “durch die dieser”. 7 Erdmann e Vorländer: “an welchen”; Windelband e Weischedel: “an welchem”. 8 A: “frei ist”.

1

Erdmann: “wie Kunst”. 2 “ohne daß die Schulform durchblickt” aggiunta di B e C.

§ 46 1

A: “mithin ohne einen Begriff [...], zum Grunde zu legen”. 2 Rosenkranz: “noch”. 3 “beschreiben, oder” aggiunta di B e C. 4 “solchen” aggiunta di B e C. 5 A: “in den Stand”. 6 A: “und dieses auch nur so fern sie schöne”.

§ 47 1

Vorländer: “mit dem der, welcher niemals etwas mehr als bloß”. 2 Kiesewetter: “mit dem, welcher, weil er”. 3 A: “mit dem, der, weil er niemals was mehr”. 4 “vorgetragen hat” aggiunta di B e C. 5 A: “den”. 6 A: “jener ihr Talent”. 7 A: “in Erkenntnissen”. 8 Erdmann: “Form”.

§ 49 1

A: “die”. 2 A: “ist das denn”. 3 C: “fühlen, so daß uns nach demselben von”. 4 “ganz” manca in C. 5 A: “geliehen, der von uns aber zu etwas ganz anderem und was”. 6 “nämlich” aggiunta di B e C. 7 A: “gedacht”. 8 A: “des Jupiters”. 9 C, Vorländer e Windelband, FrankZanetti: “letztere”; A, B, Weischedel, Klemme: “letztern”. 10 C: “welches”. 11 C: “von”. 12 C, Vorländer e Windelband, FrankZanetti: “die”; A, B, Weischedel, Klemme: “der”. 13 A: “der also viel Unnennbares zu einem Begriffe hinzu denken läßt, davon das Gefühl”. 14 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “ausmacht”; Weischedel: “ausmachen”. 15 C: “die erstere”. 16 C: “Verstandes steht, und”.

829

§§ 44-51 17

C: “Absicht sie hingegen frei ist, um noch über”. 18 A: “Begriffe, noch ungesucht”. 19 A: “Des letztern”. 20 C: “dies”. 21 “der Regeln” aggiunta di B e C. 22 A: “ I d e e n zeige, welche [...] enthalten, mithin”. 23 A: “weg fallen”. 24 A: “für die ist”. 25 A: “für dergleichen aber”. 26 “welcher” aggiunta di B e C.

§ 50 1

C: “Zum Behuf der Schönheit bedarf es nicht so notwendig, reich und original an Ideen zu sein, als vielmehr der Angemessenheit”. 2 C, Vorländer e Windelband, FrankZanetti: “hingegen”; A, B, Weischedel, Klemme: “aber”. 3 A: “er”. 4 A: “so macht”.

§ 51 1

A: “von der”. 2 A: “übertragen”. 3 A: “die b i l d e n d e Kunst und die des S p i e l s ”. 4 C e Vorländer: “der Anschauungen, und diese”; Windelband, Frank-Zanetti: “der Anschauungen und diese”; Weischedel, Klemme: “der Anschauungen, diese”. 5 “ihrer” aggiunta di B e C. 6 C: “und den gemeinen Begriffen nicht so angemessen aussehen”. 7 Assumo la variante di A scelta da Vorländer, Frank-Zanetti, Klemme; B, C, Weischedel: “Zuschauer”. 8 Assumo la variante di C, Frank-Zanetti, Klemme; Weischedel: “entbehren, aber”. 9 “sich” aggiunta di B e C. 10 Erdmann, Vorländer e Windelband: “als auch”; Weischedel: “sondern auch”.

11

C: “das”. “: mithin jener im Grunde weniger, dieser mehr, als er verspricht” aggiunta di B e C. 13 A: “die”. 14 Windelband: “oder, was”. 15 C: “zu”. 16 Erdmann e Windelband: “alle Hausgeräte”; Vorländer e Weischedel: “alles Hausgeräte”. 17 A, C, Vorländer, Windelband, FrankZanetti, Klemme: “gezählt”; B e Weischedel: “gewählt”. 18 C: “wogegen”. 19 A: “Schein einer Benutzung und Gebrauchs zu”. 20 A, B e Weischedel: “Versuch, die Verbindung”; C, Vorländer e Windelband: “Versuch, von der Verbindung”. 21 A, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “Analogie”; Weischedel: “Anlage”. 22 A: “Malerei und der Sinn”. 23 “aber” aggiunta di B. 24 A: “Ringe und Dosen”. 25 A: “ist, und um”. 26 “zu” aggiunta di B e C. 27 A: “erfordern, so ist doch das Geschmacksurteil über”. 28 Assumo la variante di Windelband, Frank-Zanetti, Klemme; Weischedel: “die von außen erzeugt werden), und das”. 29 Windelband, Frank-Zanetti: “nichts anders als”; Vorländer, Klemme: “nichts anderes als”; Weischedel: “nicht anders, als”. 30 A: “Spiel mit dem Tone der Empfindung”. 31 B, Windelband e Weischedel, FrankZanetti, Klemme: “sei”; C e Vorländer: “seien”; A: “sein”. 32 B, Erdmann, Windelband e Weischedel, Frank-Zanetti, Klemme: “führe”; A, C e Vorländer: “führen”. 12

830

NOTE AL TESTO TEDESCO

33

Erdmann,Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “dieselben”; Weischedel: “dieselbe”. 34 Erdmann,Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “dieselben”; Weischedel: “dieselbe”. 35 A: “letztern; z w e i t e n s , zieht man die”. 36 “zu Rat” aggiunta di B e C. 37 A: “die, die”. 38 C: “ferner”. 39 A: “daß sie entweder, [...] haben, sie für [...] erklärten”.

§ 52 1

“nach und nach” aggiunta di B e C.

§ 53 1

A: “zu seinem”. A: “und”. 3 A: “zu seinem Vorteil”. 4 A: “lassen, welche, wenn [...] kann, doch dadurch verwerflich wird, daß”. 5 A: “sondern dieses auch aus dem Grunde, weil es allein Recht ist”. 6 C: “welches [...] ausmacht”. 7 A: “für sich”. 8 A: “ohne daß”. 9 A: “die die”. 10 A: “welches im”. 11 A: “nach ihrem Reichtum”. 12 A: “ u m d e n R e i z ”. 13 C: “welches”. 14 Rosenkranz: “dann”. 15 C: “ausübt”. 16 C: “mitteilet”. 17 Erdmann: “Zusammenfassung”. 18 C: “dienet”. 19 A: “dadurch”. 20 Windelband: “für sie selbst”. 21 C: “aufdrängt”. 22 C: “auflegten”. 23 C: “nötigten”. 22 “Außerdem hängt [...] gekommen ist*” aggiunta di B e C. 2

§ 54 1

L’indicazione del § 54. manca in Kant, ma è stata aggiunta da Hartenstein e assunta anche da Vorländer e da Windelband e perciò, a differenza di quanto fa Weischedel, viene qui introdotta e accolta. 2 A: “Aussicht eines, aus [...] sei, auf ein mögliches”. 3 C: “das dem”. 4 “Interesse” aggiunta di B e C. 5 “ihre Rolle” aggiunta di B e C. 6 “und” aggiunta di B e C. 7 A: “aber”. 8 “und dennoch” aggiunta di B e C. 9 A: “eine jener ihrem Spiele”. 10 Erdmann e Vorländer: “macht”; Windelband e Weischedel: “machen”. 11 A: “darin”. 12 A: “Schwingungen”. 13 A: “ist, wie etwa bei einem, der von einem großen Handlungsgewinn Nachricht bekommt (denn”. 14 A: “ein Spiel”. 15 A: “daß, als ein Indianer an [...] herausdringen sah und mit [...] anzeigte, auf”. 16 A: “und klagt”. 17 “positive” aggiunta di B e C. 18 A: “öfters”. 19 A: “Leuten, die für großen Gram”. 20 A: “wurde”. 21 A: “Zeit durch”. 22 A: “Geschichte in eine Gesellschaft ein”. 23 A: “der Mühe”. 24 “Bewegung” aggiunta di B e C. 25 A: “könne, welche [...] die Luft”. 26 A: “die allein”. 27 “die” aggiunta di B e C. 28 A: “ist”. 29 “ist” aggiunta di B e C. 30 A: “welche”. 31 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “gewordene”; Weischedel: “gewordenen”.

831

§§ 52-59 32

19

33

20

Erdmann: “sorgfältig”. A: “und der, so sie”. 34 “auf” aggiunta di B e C. 35 “sich hervortuende” aggiunta di B e C. 36 A: “auch die Verlegenheit dessen, der [...] hergibt, darüber, daß”. 37 C: “heißt”.

§ 55

“von” aggiunta di B e C. “ist dies” aggiunta di B e C. 21 A: “das, worauf in Beziehung alle”. 22 A: “Objekt sollen bestimmen können”. 23 Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “so daß”; Weischedel: “daß”. 24 A: “sein”; Rosenkranz: “sind”.

§ 58

1

A: “die den”. 2 A e Erdmann: “vorfindet”.

1

“im zweiten Falle” aggiunta di B e C. A: “von”. 3 “an” aggiunta di B e C. 4 Schöndörffer e Vorländer: “Maxime”; Windelband e Weischedel: “Maximen”. 5 A: “ihr”. 6 A: “im Festwerden”. 7 A: “wurde”. 8 “die” aggiunta di B e C. 9 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “nunmehriges ruhiges”; Weischedel: “nunmehrigen ruhigen”. 10 Hartenstein, Vorländer e Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “scheiden”; Weischedel: “schneidet”. 11 A: “nicht eine solche die sie uns erzeigt”. 12 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “würde”; Weischedel: “wurde”. 13 A: “und nicht”. 2

§ 56 1

“er” aggiunta di B e C.

§ 57 1

C: “welches”. 2 “theoretisch” aggiunta di B e C. 3 “daher” aggiunta di B e C. 4 C: “das dem”. 5 “als” aggiunta di B e C. 6 A: “geben”. 7 A: “nehme, als den die”. 8 A: “welche in”. 9 A: “bezogen und können doch”. 10 A: “dazu”. 11 “(wenn unter Demonstrieren, wie in der Anatomie, bloß das Darstellen verstanden wird)” aggiunta di B e C. 12 Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “der Gedanke”; Weischedel: “der Gedanken”. 13 Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “der Gedanke”; Weischedel: “der Gedanken”. 14 A: “werden; aber aus”. 15 A e Windelband, Frank-Zanetti: “im”; Weischedel, Klemme: “in”. 16 Vorländer, Windelband, Weischedel, Frank-Zanetti, Klemme: “welche”; Windelband congettura un “welches” riferito a “darstellen”, cfr. AA V 529. 17 A: “heißt, ist diese aber auch empirisch, gleichwohl”. 18 A: “ist”.

§ 59 1

A: “aber dem”. Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “analogisch ist”; Weischedel: “analogisch”. 3 A: “exhibitio”. 4 Erdmann e Windelband, Frank-Zanetti: “zwischen den Regeln”; Vorländer, Weischedel, Klemme: “zwischen der Regel”. 5 “ist” aggiunta di B e C. 6 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: 2

832

NOTE AL TESTO TEDESCO

“an sich sei”; Erdmann e Vorländer: “an sich ist”; Weischedel: “an sich”. 7 “der” aggiunta di B e C. 8 Vorländer, Weischedel, Klemme: “Sittlich-guten”; Windelband, FrankZanetti: “Sittlich-Guten”. 9 A: “Bestimmung”. 10 “und” aggiunta di B e C. 11 Windelband: “Sittlich-Guten”; Vorländer e Weischedel: “Sittlich-guten”. 12 C: “welches”. 13 C: “welches”. 14 A: “zu finden”.

§ 60 1

A: “darunter”. 2 A, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “Geselligkeit”; B, C e Weischedel: “Glückseligkeit”. 3 C: “unterscheiden”. 4 C: “dem”. 5 Windelband: “des letzteren”; Vorländer e Weischedel: “der letzteren”. 6 A: “davon”. 7 “von” aggiunta di B e C. 8 A: “für jedes sein Privatgefühl”. 9 A: “sei; mit welchem in Einstimmung die Sinnlichkeit gebracht, der echte Geschmack allein eine”.

§ 61 1

A: “in einem System”. 2 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “wären, solche… Formen”; Weischedel: “wären, eine solche [...] Form”. 3 C: “zu der”. 4 A: “belegen wäre”. 5 A: “dagegen”. 6 “ein” aggiunta di B e C. 7 “Begriff” aggiunta di B e C.

§ 62 1

A: “ahnden”. A: “und was so”. 3 A: “wäre, was gleichwohl dem”. 4 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: 2

“Blumenbeete”; Weischedel: “Blumenbeeten”. 5 “nach einer beliebigen Regel gemachten” aggiunta di B e C. 6 A: “das dem”. 7 “empirisch” aggiunta di B e C. 8 A: “Dieweil”. 9 A: “welche”. 10 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “dem Wesen”; Weischedel: “den Wesen”. 11 A: “ahnden”. 12 A: “mag, welchen zu kennen wir zwar auch nicht nötig haben, wenn [...] zu tun ist, wohin aber auch nur hinaussehen zu müssen für den Gegenstand, [...], zugleich Bewunderung einflößt”. 13 A: “Zahlen, um einer [...] Erkenntnisgebrauch willen, S c h ö n h e i t ”. 14 A e Windelband: “machte”; Vorländer e Weischedel: “macht”. 15 C: “diese”. 16 “die” aggiunta di B e C. 17 A: “derselben”.

§ 63 1

A: “Daher, weil [...] Rede sein kann, alle [...], betrachtet werden muß”. 2 A: “indessen daß die”. 3 A: “nimmt”. 4 A, Frank-Zanetti, Klemme: “Zwecke”; B, C e Weischedel: “Mittel”. 5 Hartenstein: “aus einer”. 6 “aus” aggiunta di B e C. 7 “den Esel und” aggiunta di B e C. 8 A e Windelband, Frank-Zanetti: “zuträglich”; Vorländer, Weischedel, Klemme: “zuträglicher”. 9 A: “dazu”. 10 A: “und die”. 11 “Völker” aggiunta di B e C. 12 A: “oder Jakute”. 13 Windelband, Weischedel, Frank-Zanetti, Klemme: “alle die”; Erdmann e Vorländer: “alle diese”. 14 A: “ohnedem”.

833

§§ 60-70

§ 64 1

Erdmann, Windelband e Weischedel: “gleichwohl an”; Vorländer: “gleichwohl aber an”. 2 A: “vom regulären Sechsecke”. 3 A: “folglich daß auch”. 4 A: “was man”. 5 “(obgleich in zwiefachem Sinne)” aggiunta di B e C. 6 A: “dieser”. 7 A: “er”. 8 Erdmann: “es”. 9 A: “die der”. 10 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “außer ihm nicht”; Weischedel: “außer ihr nicht”. 11 A: “anzutreffen, von der alle Kunst unendlich”. 12 “erhält” aggiunta di B e C. 13 A: “der Propfreis”. 14 A: “von dieser ihrer Wirkung”.

§ 65 1

A: “was als”. 2 Rosenkranz: “Ursache”. 3 “der” aggiunta di B e C. 4 Weischedel: “Prinzip, folglich”; Windelband, Vorländer, Frank-Zanetti, Klemme: “Prinzip sein, folglich” su integrazione di Windelband; Erdmann propone: “Prinzip ist, folglich”, che qui si segue. 5 “ein Rad” aggiunta di B e C. 6 A e C: “der”. 7 A: “was nach”. 8 A: “auch nicht ein”. 9 C, Frank-Zanetti, Klemme: “es”; Weischedel: “sie”. 10 C, Frank-Zanetti, Klemme: “es”; Weischedel: “sie”. 11 A: “ N a t u r v o l l k o m m e n h e i t , dergleichen Dinge”. 12 A: “die nur”. 13 A: “sind nach”. 14 A: “Urgrundes desselben, als vielmehr”.

§ 66 1

“von” aggiunta di B e C. A: “Veranlassung”. 3 A: “statt dessen die”. 4 A: “werden; weil, wenn [...] beziehen, wir [...] beurteilen müssen und kein Grund da ist, die”. 5 A: “Haare) so muß doch die”. 6 “formt” aggiunta di B e C. 2

§ 67 1

Erdmann, Vorländer, Windelband: “der B e u r t h e i l u n g d e r N a t u r ”. 2 A:”und der zufällig-zweckmäßigen”. 3 “die” aggiunta di B e C. 4 Hartenstein: “das”; Kant: “daß”. 5 A: “was”. 6 A: “sind”. 7 A: “spielt; und daß, ohne”. 8 A: “und die ermüdende”. 9 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “es”; Weischedel: “sie”. 10 A: “an dieser ihrer”.

§ 68 1

A: “außer ihr ihren Platz”. 2 C: “hineinbringt”. 3 “nur” aggiunta di B e C. 4 A: “dadurch”. 5 A: “darnach”. 6 “den” aggiunta di B e C.

§ 69 1

Erdmann, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “keinem”; Weischedel: “einem”. 2 A: “enthielte”. 3 A: “unter denen”. 4 A: “was noch”. 5 A: “jede zweier einander widerstreitender”.

§ 70 1

C: “nämlich der a l l g e m e i n e n Gesetze der”.

834

NOTE AL TESTO TEDESCO

2

A: “ihr selbst”. A: “deren die eine”. 4 A: “hervorfindet”. 5 A: “Antinomie, aber die”. 6 “bei” aggiunta di B e C. 7 A: “nach einem Prinzip nachzuspüren und”. 8 A: “solchen zu vereinigen nicht im Stande”.

10

3

§ 71 1

“auch” aggiunta di B e C.

§ 72 1

Erdmann, Vorländer, Windelband: “die bewegenden”; Weischedel: “der bewegenden”. 2 A: “Ahndung”. 3 A: “Fremdling vom Begriffe in der Naturwissenschaft, nämlich der der Naturzwecke”. 4 A: “sind und nicht etwa”. 5 A: “verweilen darf”. 6 A: “dahin”.

§ 73 1

Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “des”; Weischedel: “der”. 2 “welche” aggiunta di B e C. 3 A: “seiner Möglichkeit”. 4 A: “als an”.

§ 74 1

A: “das, was”. 2 A: “kritische, was bloß”. 3 Kirchmann, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “müßten”; Weischedel: “mußten”. 4 A: “er nicht bloß”. 5 “darnach” aggiunta di B e C. 6 A: “was nicht”. 7 A: “und die Natur, als ein [...] zusammenhängendes Ganzes, nur”. 8 A: “sind”. 9 A: “eben so wohl”.

Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “,”; Weischedel: “:”.

§ 75 1

A: “ist, dagegen”. 2 A: “ohne die einer Erzeugung”. 3 A: “Zwecks möglich zu sein vorstellen”. 4 “des” aggiunta di B e C. 5 A: “Wesen, und die Teleologie findet keine [...] als in einer Theologie”. 6 A: “nicht weiter [...] nach der Beschaffenheit”. 7 A: “unter Schwierigkeiten”. 8 A: “uns als Menschen”. 9 “(eines Gottes)” aggiunta di B e C. 10 Hartenstein e Vorländer: “ganz”.

§ 76 1

A: “denen”. 2 Rosenkranz, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “in zwar gegründeten”; Weischedel: “in zuvor gegründeten”. 3 C: “liegt”. 4 “und auch Schwierigkeit” aggiunta di B e C. 5 “gehen” aggiunta di B e C. 6 “(außer diesem Begriffe)” aggiunta di B e C. 7 A: “unnachlaßlichen”. 8 Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “seiner”; Weischedel: “ihrer”. 9 A: “d.i. die Zufälligkeit”. 10 A: “das überschwenglich”. 11 Erdmann e Vorländer: “seiner Erkenntnis”. 12 A: “die Art”. 13 C: “d.i. in der”. 14 C: “zwar nicht mit minderer”. 15 C: “vorliegenden”. 16 A: “darunter”.

§ 77 1

A: “dadurch”.

835

§§ 71-81 2

Hartenstein, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “die”; Weischedel: “der”. 3 A: “Verstandes ihrer Möglichkeit nach v o n u n s als absichtlich”; Windelband: “Verstandes v o n u n s ihrer Möglichkeit nach als absichtlich”. 4 A: “um diese als”. 5 A: “und was unter”. 6 “(negativ, nämlich bloß als nicht diskursiven)” aggiunta di B e C. 7 A: “die Zusammenstimmung”. 8 “dessen” aggiunta di B e C. 9 A: “dabei”. 10 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “ihrer”; Weischedel: “seiner”. 11 Hartenstein, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “nur die unserem Verstande mögliche”; Weischedel: “der unserem Verstande möglichen”. 12 “es ist” aggiunta di B e C.

§ 78 1

Erdmann, Vorländer, Windelband: “in die Natur”. 2 A: “so sich”. 3 C: “Naturkenntnis”. 4 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “darlegen”; Weischedel “darleget”. 5 Erdmann: “ganz”. 6 Hartenstein: “der”. 7 C: “in das was”. 8 C: “ins Übersinnliche”. 9 Erdmann, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “Kausalität derselben nach Zwecken an”; Weischedel: “Kausalität derselben an”. 10 A: “ausmache”. 11 C: “ein Naturwesen”. 12 Windelband erwägt: “als eine absichtlich”. 13 Erdmann e Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “Urtheilskraft ist, da-

her”; Weischedel: “Urteilskraft, daher”. 14 “liegt” aggiunta di B e C. 15 Erdmann, Vorländer: “sei”; Rosenkranz: “seien”; Windelband, Weischedel, Frank-Zanetti, Klemme: “sein”.

Anhang Methodenlehre d. teleol. Urteilskraft 1

“Anhang” aggiunta di B e C.

§ 80 1

A: “ohne das es ohnedem keine”. 2 A: “darnach”. 3 A: “mußte man”. 4 A: “erzeugt wurde”. 5 A: “der gewisse”. 6 “so” aggiunta di B e C. 7 “sie” aggiunta di B e C. 8 Vorländer e Windelband: “anders denn als”. 9 Hartenstein, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “außer einander”; Weischedel: “aus einander”. 10 C: “Zweckverbindung”. 11 A: “beantworten, die auch schlechterdings [...] Vernunft) bleibt, wenn”. 12 Windelband: “nicht als die einer”. 13 A: “intelligibelen Substanz”. 14 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “an allem finden, was”; Weischedel: “wir an allem was wir”.

§ 81 1

“Prinzip” aggiunta di B e C. “hin” aggiunta di B e C. 3 A: “der letzteren”. 4 A: “genannt, dieses kann auch das System”. 5 A: “wollen”. 6 A: “Weise, ob im”. 7 A: “wurde”. 8 A: “erforderlich sein würden”. 9 A: “wurden”. 10 Erdmann, Vorländer, Windelband: “fanden”. 2

836

NOTE AL TESTO TEDESCO

§ 82 1

“Begriff” aggiunta di B e C. A: “dient und diese ist”. 3 Windelband: “anders denn als”. 4 A: “Wirkung, die zugleich”. 5 A: “was auf”. 6 A: “die Gedanken”. 7 C, Windelband, Frank-Zanetti: “welchen sie”; Weischedel, Klemme: “welches sie”. 8 Kirchmann, Vorländer: “mannigfaltigen”. 9 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “können, was”; Weischedel: “können was”. 10 A: “dadurch”. 11 Erdmann, Vorländer: “desselben”. Riferito a Pflanzenreiches e non a Pflanzen. 12 A: “Raubtiere jener ihrer Gefräßigkeit Grenzen”. 13 Erdmann: “Erdlagen”. 14 A: “zweckmäßig, wie auch”. 15 “für” aggiunta di B e C. 16 A: “man für das”. 17 Vorländer, Windelband: “als einen gänzlich”. 18 Erdmann: “die”. 19 A: “Verstandes niemals auslangen können, (und nicht [...] widerspräche) und daß”. 20 A: “Arten und die”. 21 A: “davon”. 2

10

A: “hinreichend die F r e i h e i t , in”. A: “indessen daß wir”. 12 Erdmann: “der Natur”. 13 A: “da dem”. 14 A: “geschehen, zu welcher aber [...] erforderlich wäre in Ermangelung dessen und”. 15 A: “vornehmlich an denen”. 16 A: “entgegensetzen, der Krieg [...] unvermeidlich ist, der “. 17 “vielleicht” aggiunta di B e C. 18 “und” aggiunta di B e C. 19 A: “indessen daß die”. 20 “und” aggiunta di B e C. 21 C: “uns gehören”. 22 A: “denen des Genusses”; C: “den Neigungen des Genusses”. 23 A: “und die Geschliffenheit”. 24 A: “in der die”. 25 A: “indessen daß die”. 26 C: “zu unterliegen”. 27 A: “aber auch”. 28 A: “Leben habe, nach dem, was”. 29 “welches” aggiunta di B e C. 11

§ 84 1

C: “das notwendig”. “ein” aggiunta di B e C. 3 C: “Zwecke, das in”. 4 A: “des Menschen”. 5 A: “der die”. 6 Erdmann, Windelband: “die”; Vorländer: “der”. 2

§ 85

§ 83 1

A: “auf den alle”. A: “dazu”. 3 A: “der er”. 4 A: “Naturanlagen ihn selbst in selbstersonnenen”. 5 A: “dazu”. 6 A: “das Verstand”. 7 A: “gnugsam, mithin”. 8 A: “worin wir”. 9 A: “ihn dazu vorbereiten”. 2

1

A: “die uns”. A: “dazu”. 3 Hartenstein, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “erheben kann”; Weischedel: “erheben können”. 4 “es” aggiunta di B e C. 5 A: “das viel”. 6 A: “suchen, und bei näherer Prüfung sehen”. 7 A: “Theologie”. 2

837

§§ 82-87 8

A: “wenn sie entweder ihre Götter sich als, teils”. 9 A: “eines einigen höchstvollkommenen”. 10 A: “wären, die zwar”. 11 A: “in der aber”. 12 A: “wäre, welches zwar”. 13 A: “mußten, und so den Idealism der Endursachen einführeten: indem”. 14 A: “Mannigfaltige seiner Bestimmungen sei”. 15 Erdmann: “einziges”. 16 A: “Ursache zur Natur”. 17 A: “ergänzen, welches, wenn [...] voraussetzen würde, um”. 18 Vorländer, Windelband: “anders denn als”. 19 C: “ist die Physikotheologie”.

§ 86 1

A: “so”. 2 A: “so”. 3 “ja” aggiunta di B e C. 4 “eine bloße Wüste” aggiunta di B e C. 5 A: “Vernunft), worauf in Beziehung das”. 6 A: “bekommt, nicht etwa damit irgend wer”. 7 A: “diese Weltbetrachtung ihm”. 8 A: “derselben, worauf in Beziehung wir”. 9 A: “er, der Mensch, dann”. 10 “welcher” aggiunta di B e C. 11 “ist” aggiunta di B e C. 12 A: “und worauf in Beziehung das”. 13 A: “sondern von dem Zwecke [...], mithin dem”. 14 A: “Rede sei”. 15 A: “nach der Beschaffenheit”. 16 Erdmann, Vorländer, Windelband: “damit es”. 17 “noch” aggiunta di B e C. 18 “(denn Güte und Gerechtigkeit sind moralische Eigenschaften)” aggiunta di B e C. 19 Rosenkranz: “Da”.

20

A: “Weise eingesehen werden kann”. Erdmann, Vorländer, Windelband: “hätte”. 22 A: “dazu”. 23 A: “welches darnach von”. 24 A: “Gemütsbestimmungen”. 25 “sich vorzustellen” aggiunta di B e C. 26 A: “Vorstellungsart”. 27 A: “gewinne”. 28 “in ihren Wirkungen” aggiunta di B e C. 29 A: “mit allem”. 30 A: “dazu”. 21

§ 87 1

A: “Theologie”. 2 A: “oder uns selbst in Ansehung ihrer als Endzweck, unsere”. 3 A: “imgleichen der wechselseitigen”. 4 “betrifft” aggiunta di B e C. 5 A: “soll, zusammenhängt”. 6 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “den obersten”; Weischedel: “der obersten”. 7 A: “handelnd vorgestellt werden”. 8 C, Vorländer, Windelband, FrankZanetti, Klemme: “verhalte”; A: “verhält”; B, Weischedel: “verhalten”. 9 A: “mußte”. 10 A: “oder zum Teil zwar aus”. 11 A: “so werde das”. 12 A: “was von”. 13 Nota aggiunta in B e C. 14 A: “mithin, der, welcher sich”. 15 C, Frank-Zanetti, Klemme: “vom erstern”; Weischedel: “vom letztern”. 16 C, Frank-Zanetti, Klemme: “nach dem letzteren”; Weischedel: “nach dem ersteren”. 17 C, Frank-Zanetti, Klemme: “letzteren”; Weischedel: “ersteren”. 18 Erdmann, Vorländer: “des höchsten Weltbesten”. 19 A: “unbedingt, unangesehen aller Zwecke (als der Materie”. 20 A: “ohngescheut”. 21 A: “lohnsichtiger”.

838

NOTE AL TESTO TEDESCO

22

A: “erfüllte; und umgekehrt”. “(wie etwa den Spinoza)” aggiunta di B e C. 24 A: “festiglich”. 25 A: “Zusammenstimmung der Natur zu”. 23

§ 88 1

A: “Objekts, welches [...] kann, an die Hand, das durch”. 2 C, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti: “denselben”; A, B, Weischedel, Klemme: “demselben”. 3 A: “indessen daß der”. 4 A: “unter denen ein”. 5 A: “als der zum”. 6 C, Frank-Zanetti: “muß”; Weischedel, Klemme: “mußte”. 7 C, Frank-Zanetti: “müsse”; Weischedel, Klemme: “mußte”. 8 C, Frank-Zanetti: “müsse”; Weischedel, Klemme: “mußte”. 9 A: “sei, mithin wir an”. 10 Erdmann, Windelband: “moralischen Endzwecks verbunden”; Vorländer, Weischedel: “moralischen verbunden”. 11 Hartenstein, Vorländer, Windelband: “Urtheilskraft bereits hat”. 12 A: “davon”. 13 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “durch dieselbe auch”; Weischedel: “durch dasselbe auch”. 14 A: “die bestimmte Urteilskraft”. 15 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “Relation zu dieser”; Weischedel: “Relation dieser”. 16 “Anziehung” aggiunta di B e C. 17 A: “ e t w a s , was den”. 18 A: “indessen daß eben”. 19 A: “grobe Art”. 20 “innere” aggiunta di B e C. 21 A: “mit der hingegen”. 22 Windelband: “Zwecke der Natur”. 23 A: “gründen”.

§ 89 1

C: “er in praktischer alsdann”. A: “ein I d e a l ”. 3 “von” aggiunta di B e C. 4 C: “Hier ist aber kein”. 5 Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “eingeführt werden, sondern”; Weischedel: “eingeführt, sondern”. 6 A: “sich auch auf”. 7 A, C, Frank-Zanetti, Klemme: “Vorschrift”; Weischedel: “Vorsicht”. 8 A: “über unsere”. 9 Hartenstein, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “keine”; Weischedel: “keines”. 10 A: “Wissenschaften”. 2

§ 90 1

Rosenkranz, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “teleologischen Beweise”; Weischedel: “moralischen Beweise”. 2 “Beweise” aggiunta di B e C. 3 A: “nicht ein bloß subjektiver”. 4 “einer” aggiunta di B e C. 5 A: “er mußte”. 6 “bloß” aggiunta di B e C. 7 A: “Wege dazu geführt”. 8 A: “des Urteilens”. 9 A: “endlich 4) was [...] ist, zur”. 10 A: “Satz, die Existenz”. 11 A: “an sich (d.i. außer [...] betrachtet), welche [...] statt findet”. 12 A, C, Vorländer, Windelband, FrankZanetti, Klemme: “als Analogon”; B, Weischedel: “als Anlagen”. 13 A: “bedingt, (dergleichen ist die durch Verstand) kann”. 14 A: “Wesen, was von”. 15 C: “diesen Verstand in”. 16 C: “ist, also, ohne”.

§ 91 1

A: “unserm”. 2 A: “Hirngespinstern”;

Erdmann,

839

§§ 88-90. ALLGEMEINE ANMERKUNG Windelband: “Hirngespinsten”; cfr. la nota di Windelband in AA V 530. 3 “wirkliche” aggiunta di B e C. 4 A: “sind Ta t s a c h e n (res facti)* dergleichen”. 5 A, C, Frank-Zanetti, Klemme: “(die an sich keiner”; Weischedel: “(die sich an keiner”. 6 “dessen Gebrauch” aggiunta di B e C. 7 “zur bestmöglichen Bewirkung jenes Zwecks” aggiunta di B e C. 8 A: “Wirkung ist, z u s a m t [...] Seelen-Unsterblichkeit, G l a u b e n s s a c h e n ”. 9 A: “inneren”. 10 Weischedel: “äußeren”; Windelband: “äußerem”. 11 A: “Glaubenssachen Fürwahrhalten (gleich”. 12 “und Geographie” aggiunta di B e C. 13 “oder die praktischen Klugheitsregeln nach dem Prinzip der Selbstliebe” aggiunta di B e C. 14 C: “dadurch mit”. 15 Erdmann, Vorländer: “obliegt”. 16 Windelband: “als von etwas”. 17 A: “was nie”. 18 A: “nur darauf zu”. 19 A, C, Vorländer, Windelband, FrankZanetti, Klemme: “Pflicht”; B, Weischedel: “Absicht”. 20 “und” aggiunta di B e C. 21 A: “ist, um der [...] demselben willen als”. 22 “aber nicht als eine solche, die in demselben enthalten ist, sondern die ich hineinlege, und zwar aus moralisch hinreichendem Grunde” aggiunta di B e C. 23 C, Vorländer, Windelband, FrankZanetti: “seiner”; Weischedel, Klemme: “ihrer”. 24 C: “jedoch eben”. 25 “dessen” aggiunta di B e C. 26 A: “gebietet, damit zu”.

27

A: “Ansehung dieser ihrer”. A: “ist, und, daß”. 29 A: “was dabei”. 30 A: “und den Bedingen”. 31 A: “ist, die die”. 32 A: “die desjenigen außer”. 28

Allgemeine Anmerkung zur Teleologie 1

A: “praktische”. A: “sich dieser ihr ganzer Besitz leicht”. 3 C: “muß sich alles”. 4 A: “den bloßen Begriff”. 5 C, Klemme: “da uns im”; A, FrankZanetti: “da mir im”; Weischedel: “da wir im”. 6 A: “sein muß”. 7 A: “antreffen läßt”. 8 C: “nämlich den von”. 9 A: “mögen uns einen”. 10 A: “Naturerkenntnis”. 11 A: “unter der allein”. 12 A: “voraus; in Ermangelung dessen (der [...] ist) die Zwecke [...] Genüge tun, vornehmlich”. 13 A, Erdmann, Windelband: “sein”. 14 Hartenstein, Windelband, FrankZanetti, Klemme: “Benützung”; Weischedel: “Bemühung”. 15 “ihn” aggiunta di B e C. 16 A “künstlich im Zwecken”. 17 A: “ergänzt, so daß in der Tat nur [...] fühlt, hervorbringt, der [...] aber nur das Verdienst hat, das”. 18 A, C, Frank-Zanetti, Klemme: “als theologischer Begriff”; Weischedel: “als theoretischer Begriff”. 19 “etwa” aggiunta di B e C. 20 “er” aggiunta di B e C. 21 Erdmann, Windelband erwägt: “Beweise”. 22 C: “daß vernünftige Wesen sich von”. 23 “in” aggiunta di B e C. 24 A: “einen jenen und”. 25 A: “welcher aber”. 2

840

NOTE AL TESTO TEDESCO

26

Erste Einleitung

27

in die Kritik der Urteilskraft

A: “mußte”. A: “davon”. 28 A, C, Frank-Zanetti, Klemme:”wozu euch bloß”; Weischedel: “wozu auch bloß”. 29 A: “auspreisen”. 30 A: “vergeblichen”. 31 A: “Bündigkeit einer Schlußkette”. 32 A: “Zweifel, den man [...] für”; C: “Zweifel, welcher gegen [...] frei herausgesagt wird, für”. 33 A: “verbunden mit ihm”. 34 A: “darin”. 35 A: “sein, darin der”. 36 A: “Schönheiten”. 37 A: “die ein”. 38 A: “Naturerkenntnis”. 39 “nicht” aggiunta di B e C. 40 Windelband: “Zugänglichkeit”. 41 Windelband: “desselben”. 42 A: “aber zum [...] Vernunft, auch in”. 43 A: “hier beigehende Erläuterung”. 44 A: “ich ihnen beilege”. 45 Schöndörffer, Vorländer, Klemme: “Grad”; Weischedel, Frank-Zanetti: “Grund”. 46 A, Frank-Zanetti: “ersten Beweger”; Weischedel, Klemme: “ersteren Beweger”. 47 A: “was den”. 48 Erdmann, Vorländer, Windelband, Frank-Zanetti, Klemme: “desselben”; Weischedel: “derselben”. 49 A: “Zweckverbindung”. 50 “uns” aggiunta di B e C. Kirchmann, Vorländer: “weil wir uns sonst”. 51 A: “welche mir durch”. 52 A: “es.w. und lege”. 53 A: “als einer Eigenschaft”. 54 A: “dagegen”.

§I 1 2

3 4

5

6

7

8

9

Diese drei Absätze fehlen bei Beck. Beck beginnt mit diesem Absatz »Es herrscht...«, natürlich ohne »aber«. Beck: »Längen«; Handschrift: »Länge«. Handschrift: »Ursache«; Beck: »Ursachen«. Hartenstein, AA, Klemme: »einer theoretischen«; Handschrift und Weischedel: »einem theoretischen«. Buek-Cassirer, AA und Klemme: »nicht einer«; Handschrift und Weischedel: »nicht zu einer«. Beck: »unterschieden. Es bedarf also keiner besonderen«. Ursprünglicher Wortlaut: »Mit einem Worte: alle practischen Sätze, die auch durch empirische Bestimmungsgründe möglich sind (z.B. die der Glückseeligkeitslehre) gehören insgesammt zur theoretischen Philosophie, als Erkenntniß der Natur, nur diejenigen, welche der Freyheit das Gesetz geben, sind dem Innhalte nach specifisch von jenen unterschieden und sind nur so fern Bestimmungsgründe als sie Gründe a priori sein«. Beck, Lehmann, AA, Weischedel: »practische«; Handschrift, Klemme: »practischen«.

Anmerkung zu § I 1

Die Überschrift fehlt bei Beck. 2 Handschrift, Lehmann, AA, Weischedel, Klemme: »derselben«; Erdmann: »demselben«. 3 Buek-Cassirer und Weischedel: »andern«; Handschrift und Klemme: »andere«. 4 Beck: »zusammengesetzte« 5 Beck: »Verrichtungen«. 6 Buek-Cassirer: »eines«; Handschrift,

841

ERSTE EINLEITUNG, §§ I-II

Weischedel, Klemme: »seines«; Hinske schlägt vor: »unseres«. 7 Starke: »Bestimmung«. 8 Handschrift und Weischedel: »Mittel«; Buek-Cassirer, AA, Klemme: »Materie«. 9 Starke: »Folgerung der praktischen Vorschrift (...) an«. 10 Beck: »Vernunfterkenntniß«. 11 Handschrift und Weischedel: »die«; AA und Klemme: »der«. 12 Handschrift und Weischedel, Klemme: »fodert«; Lehmann: »fordert«. 13 Diese Anmerkung fehlt bei Beck 14 Buek-Cassirer und AA: »Purismen«, d.h. auf griechisch „porisma“ (Folgerung). 15 Handschrift: »wo durch«; Beck: »wodurch«. 16 Ursprünglicher Wortlaut: »aber blos nach der Analogie mit einer Kunst beurtheilt, und zwar in subjectiver Beziehung auf unser Erkenntnißvermögen, nicht in objectiver auf die Gegenstände. Da solche Urtheile nun gar keine Erkentnisurtheile sind, so läßt sich daraus einsehen, woher der Begrif von technischen Urtheilen gänzlich ausserhalb dem Felde der logischen Eintheilung (in theoretische und practische) liegen und lediglich in einer Critik des Ursprungs unserer Erkenntnis Platz finden könne«. 17 Beck: »unseres Erkenntnißvermögens«.

§ II 1 2

Am Rand von Handschrift: »NB«. Ursprüngliche Fassung: »und also von einer Beschaffenheit derselben von welcher man sonst gar keinen Begrif hat als nur daß ihre Einrichtung es möglich macht die gegebenen Gesetze unter allgemeinere die nicht gegeben sind zu subsumiren«.

3

4 5

6

7

8

Handschrift, Weischedel und Klemme: »erfodert«; Lehmann: »erfordert«. AA: »vor empirischen«. Ursprüngliche Fassung: »Gesetze daß es für die Urtheilskraft möglich wäre die besondere empirische unter allgemeinere wie wohl noch immer empirische und so fort an bis zu noch höheren eben so wohl empirischen Gesetzen und ihnen gemäßen Formen zu subsumiren«. AA, Handschrift, Klemme: »die allgemeine«; Weischedel: »die allgemeinen«. Ursprünglicher Wortlaut: »Natur eine Regel gegeben wird um zu besondern Erfahrungen die Regel zu suchen nach welcher wir sie anzustellen haben und jene systematische Verknüpfung heraus zu bringen die wir a priori anzunehmen haben«. Die ursprüngliche, von »Die Philosophie« bis »zweitens«, durchstrichene Fassung dieses Absatzes lautet: » Die Philosophie, als reales System der Naturerkenntniß a priori durch Begriffe, bekömmt also dadurch keinen neuen Theil: Denn jene Betrachtung gehört zum theoretischen Theile derselben. Aber die Critik der reinen Erkenntnißvermögen bekömmt ihn wohl und zwar einen sehr nöthigen Theil, wodurch erstlich Urtheile über die Natur, deren Bestimmungsgrund leichtlich unter die empirische gezählt werden möchte, von diesen abgesondert und zweytens andere, welche leichtlich für real und Bestimmung der Gegenstände der Natur gehalten werden, von diesen unterschieden und für formal, d. i. Regeln der bloßen Reflexion über Dinge der Natur, nicht der Bestimmung derselben nach objectiven Grundsätzen erkannt werden«.

842

NOTE AL TESTO TEDESCO

9

Handschrift und Klemme: »der Umfang und Grentze«; Weischedel: »der Umfang und Grenze«; AA: »der Umfang und die Grentze«. 10 Dieser Abschnitt fehlt bei Beck.

§ III 1

Handschrift und Weischedel: »allen Lob«; Beck, AA, Klemme: »alles Lob«. 2 Ursprünglicher Wortlaut: »gesucht, allein seit dem hat man auch schon eingesehen daß dieser sonst im ächten philosophischen Geiste unternommene Versuch vergeblich sei«. 3 Ursprünglicher Wortlaut: »Subject so fern sie für sich selbst ein Grund ist ihre Existenz in demselben zu erhalten und so zum Gefühl der Lust gerechnet wird«. 4 Erdmann: »d.i. wenn«; Hartenstein: »und, wenn«; Buek-Cassirer und AA: »und wenn«. 5 Beck und Klemme: »subjectiv ein in«; Handschrift: »subjectiv ein ein in«. 6 Ursprünglicher Wortlaut: »Nun gelingt es doch auch so fern zwischen dem Gefühle der Lust und den andern beiden Vermögen eine Verknüpfung a priori herauszubringen als wir das Erkenntniß a priori vermittelst des Vernunftbegrifs der Freiheit mit dem Begehrungsvermögen objectiv als Bestimmungsgrund der letztern betrachten und in dieser Bestimmung subjectiv zugleich ein Gefühl der Lust als in der That mit jener einerlei antreffen«. 7 Beck: »vor diesen«. 8 Beck: »von dem Bestimmungsvermögen unabhängig«. 9 Handschrift, Weischedel, Klemme: »erfodert«; Lehmann: »erfordert«. 10 Handschrift, Lehmann, Klemme: »erfordert«; Weischedel: »erfodert«. 11 Ursprünglicher Wortlaut: »Da nun in

der [überschrieben: die] Zergliederung der letztern in der innern Beobachtung ein solches Gefühl welches vor der Bestimmung des Begehrungsvermögens vorher und vielmehr einen Bestimmungsgrund desselben enthält unwidersprechlich gegeben ist zu der Verknüpfung desselben aber mit den beiden andern in einem System ein Gefühl der Lust welches nicht blos auf blos empirischen Gründen sondern auf Principien a priori beruhete erfordert wird so wird zur Idee der Philosophie als eines Systems auch wo nicht eine Doctrin dennoch eine Critik des Gefühls der Lust und Unlust so fern sie nicht empirisch begründet ist erfordert werden«. 12 Handschrift und Klemme: »untern«; Beck und Weischedel: »unter«. 13 Beck: »ein«; Handschrift: »eine«. 14 Beck, AA und Klemme: »diesem«; Handschrift und Weischedel: »diesen«. 15 Ursprüngliche Fassung: »denn wenn... Verstand und Vernunft ihre Vorstellungen auf Objecte beziehen... so bezieht sie die Urtheilskraft aufs Subject und bringt keine Begriffe von Gegenständen hervor«. 16 Ursprüngliche Fassung: »es ein solches allein in der Urtheilskraft antreffen werde«.

§ IV 1

AA: »ist (in der Idee), ein«. 2 Handschrift, Lehmann: »einem gemeinschaftlichen«; AA: »ein gemeinschaftliches«. 3 AA und Cassirer: »unendlich groß wäre und uns an diesen«; Handschrift, Weischedel, Klemme: »unendlich groß, uns an diesen«; Lehmann: »unendlich groß wäre und an diesen«. 4 Buek-Cassirer und AA: »voraussetzen

843

ERSTE EINLEITUNG, §§ III-VII

müssen«; »müssen« späterer Zusatz von Kant, der »voraussetzten« zu ändern vergessen hat. 5 Dieser Abschnitt fehlt bei Beck. 6 Beck: »Die«. 7 Beck: »den«. 8 Beck: »ein transcendentales«. 9 Handschrift, Lehmann, Weischedel: »daß die«; AA, Klemme: »daß sich die«. 10 Buek-Cassirer: »sich nach«. 11 Dieser Absatz fehlt bei Beck.

§V 1

Beck: »eine dadurch etwa«. Hartenstein2: »mit einer andern«. 3 Beck: »vieles«. 4 Beck: »derselben«. 5 Erste Fassung: »Denn es frägt sich mit eben demselben Recht auch von diesen, wie und durch welche Reflexion wir zu ihnen, als gesetzmäßigen Naturformen gekommen sind. Gesetze laßen sich übrigens nicht wahrnehmen sondern setzen Principien voraus unter welche Wahrnehmungen subsumirt werden können welche wenn unter ihnen allein Erfahrung möglich ist transcendentale Principien sind«. Zweite Fassung: »...wahrnehmen, wenn nicht Principien vorausgesetzt werden, nach welchen Wahrnehmungen verglichen werden müssen, die aber, wenn nach ihnen allein Erfahrung möglich ist, transcendentale Principien sind«. 6 Hartenstein, AA, Klemme: »wie ein Instrument«; Handschrift, Weischedel: »wie Instrument«. 7 Beck: »Naturgesetzen, reflectiren«. 8 Beck: »niedrigern«; Handschrift, Weischedel: »niedrigen«. 9 Handschrift, Weischedel, Klemme: »Bestimmung«; Starke: »Bestimmungen«. 10 Diese Anmerkung fehlt bei Beck. 11 Beck: »ihren Verschiedenheiten«. 2

12

Beck: »anzutreffen, und sie«. Buek-Cassirer: »Timäus«. 14 Handschrift, Buek-Cassirer, Klemme: »wenn er einen Stein«; Weischedel: »wenn ein Stein«. 15 Lehmann: »aussah«; Handschrift, Klemme: »aussehe«; Weischedel: »aussahe«. 16 AA und Buek-Cassirer: »Beschaffenheit nach unterschieden«; Handschrift, Weischedel, Klemme: »Beschaffenheit unterschieden«. 17 Buek-Cassirer und Klemme: »eine«; Handschrift: »ein«. 18 Diese Anmerkung fehlt bei Beck. 13

§ VI 1

Buek-Cassirer, AA, Klemme: »empirischer«; Handschrift und Weischedel: »empirisches«. 2 Am Rand der Handschrift: »NB«. 3 Ursprünglicher Wortlaut: »Denn Zweckmäßigkeit ist eine Gesetzmäßigkeit so fern sie nach allgemeinen Gesetzen der Natur, die zur Erfahrung nöthig sind, doch zugleich zufällig ist«. 4 Buek-Cassirer: »oder in dem«. 5 Ursprüngliche Fassung: »vom subjectiven Verhältnisse der Vermögen des Gemüths zu einander hergenommen ist«.

§ VII 1

2

3

Buek-Cassirer, Klemme: »Auf solche Weise«; Handschrift, AA, Weischedel: »Auf welche Weise«. Handschrift, Weischedel, Klemme: »also würde diese Zweckmäßigkeit bloß in Begriffen bleiben und«; AA: »also diese Zweckmäßigkeit blos in Begriffen bleiben würde und«. Ursprünglicher Wortlaut: »als ihrer Form nach dieser correspondirende«; Buek-Cassirer und AA: »als mit dieser ihrer Form korrespondierende«;

844

NOTE AL TESTO TEDESCO

Weischedel, Klemme: »als mit ihrer Form dieser korrespondierende«. 4 Handschrift: »gegeben werden würden«; Buek-Cassirer, Klemme: »gegeben werden«; Lehmann: »gegeben würden«. 5 Buek-Cassirer, AA, Klemme: »ihm«; Handschrift, Weischedel: »ihr«. 6 Buek-Cassirer: »legen, sagt man, Endursachen«; Handschrift: »legen, sagt, man Endursachen«. 7 Diese Abschnitte fehlen bei Beck.

§ VIII 1

Buek-Cassirer: »Ästhetischen«; Handschrift: »ästhetischen«. 2 Hinske schlägt vor: »sondern ein Sinn der«; Handschrift: »sondern der gar«. 3 Ursprünglicher Wortlaut: »welche gar nichts zum Erkenntnisse der Gegestände beiträgt, sondern in dieser Beziehung, auch wenn man will, für Sachen an sich selbst gelten mögen, welches sie doch in Ansehung des Erkenntnisvermögens gar nicht sind«. 4 Beck: »von Handlungen«. 5 Rosenkranz: »so ferne ästhetisch«. 6 Hartenstein2 und AA: »also als ein Verhältniss«; Handschrift, Weischedel, Klemme: »also ein Verhältniß«; Hartenstein1: »also ein Verhältniß ist«. 7 Lehmann: »als obern Erkenntnißvermögens«; Handschrift, Weischedel, Klemme: »als Obern Erkenntnißvermögens«. 8 Beck: »nämlich der Zusammenstimmung«. 9 Handschrift: »ausdrückt«; Weischedel: »ausdruckt«. 10 AA: »übrige Empfindung«; Handschrift und Weischedel: »übrigen Empfindung«; Beck und Lehmann: »übrige Empfindungen«. 11 AA: »zur«; Handschrift und Weischedel: »zu«.

12

Hartenstein2: »oder«. Beck: »ihres Princips«. 14 Beck: »aber allererst«. 15 Rosenkranz: »und die Autonomie«. 16 Hartenstein: »beweiset. Die«. 17 Starke: »Die«. 18 Starke: »angegebenen«. 13

Anmerkung zu § VIII 1

Diese Überschrift fehlt bei Beck. Buek-Cassirer: »Philosophen)«; Handschrift: »Philosophen«. 3 Beck: »Menschen haben«. 4 Rosenkranz: »immer nicht den«. 5 Beck: »verschieden«. 6 Müller-Lauter schlägt vor: »desselben«; Handschrift und Weischedel: »derselben«. 7 Hartenstein2 und AA erwägen: »Aggregat), oder... Reihe einerley«. 8 Weischedel: »Lust oder Unlust«; AA: »Lust und Unlust«. 9 AA: »das Mindeste«; Handschrift und Weischedel: »das mindeste«. 10 Beck, AA, Weischedel und Klemme: »einem«; Handschrift: »einen«. 11 Ursprünglicher Wortlaut: »Vorstellung erfordert. Vollkommenheit sinnlich vorgestellt ist also eine contradictio in adjecto«. 12 Handschrift: »qualificire«; Beck: »qualificiren«; Weischedel: »qualifiziere«. 13 Beck: »nichts«; Handschrift: »nicht«. 14 Beck: »Willenbestimmend«; BuekCassirer: »willenbestimmend«. 15 Erdmann und AA, Klemme: »in ihm enthaltenen«; Handschrift und Weischedel: »in ihr enthaltenen«. 16 Ursprüngliche Fassung: »Man kann nicht wissen wie weit dieses noch getrieben werden könne ob es nicht einem erfinderischen Kopfe vielleicht gelingen dürfte«. 17 Buek-Cassirer, AA und Klemme: »auch für«; Handschrift, Weischedel: »auf für«. 2

845

ERSTE EINLEITUNG, VIII-XI 18

Buek-Cassirer: »Objekts«. Diese Anmerkung fehlt bei Beck. 20 Beck und AA, Klemme: »so ist es ein«; Handschrift, Weischedel: »so ist ein«. 19

§ IX 1

Buek-Cassirer, AA und Klemme: »schicken«; Handschrift und Weischedel: »schickt«. 2 Handschrift: »zugemuthet«; Weischedel: »zumutet«. 3 Buek-Cassirer: »gewisse«; Handschrift: »gewisser«. 4 Buek-Cassirer und AA: »Bedingungen«; Handschrift und Weischedel: »Bedingung«. 5 Handschrift: »dieses«; Klemme: »diese«. 6 Buek-Cassirer, AA, Klemme: »nennen, ist der«; Handschrift: »nennen ist, der«. 7 Handschrift: »nur alle«; Klemme: »nur so fern alle«. 8 AA: »sind«; Handschrift: »seyn«; Weischedel: »sein«. 9 Handschrift: »physischmechanischer«; Weischedel: »physischmechanißcher«. 10 Buek-Cassirer und AA: »bestimmt vorzustellen«; Handschrift und Weischedel: »bestimmt sich vorzustellen«. 11 Handschrift, Weischedel: »zu bewirken«; Klemme: »bewirken«. 12 AA: zu verbessern in »Naturgesetzen«. 13 Dieser Abschnitt fehlt bei Beck.

§X 1

Beck: »in«. Buek-Cassirer: »Zeitlehre nicht so, wie«. 3 Hartenstein: »es darauf«. 4 Buek-Cassirer, AA, Weischedel, Klemme: »die diese«, d.h. Ehre; Handschrift: »die dieser«; Hinske und Müller-Lauter schlagen vor: »diesen«, d.h. absoluten Wert. 2

5

Handschrift: »in«; Klemme: »im«. Handschrift und Weischedel: »daß es daher«; Hartenstein und AA: »daß daher«. 7 Theunissen schlägt vor: »Art gibt, welche«. 8 Handschrift, Weischedel, Klemme: »macht, so mag«; Buek-Cassirer und AA: »macht, mag«; Erdmann: »macht, es mag«. 9 Hartenstein: »erklärt«. 10 Beck: »eben«. 11 Erdmann: »in einem dergleichen Urtheile«. 12 Handschrift: »einen; Klemme: »einem«. 13 Hinske schlägt vor: »die inwendige«. 14 Beck: »seines«. 15 Beck: »Gesetzen«. 16 Beck: »welche«. 17 Beck: »keinen mechanischen Naturgesetzen«. 18 Beck: »welchen«. 19 Beck: »Einschränkungen«; Starke: »seinen Einschränkungen«. 20 Rosenkranz: »sich selbst«. 6

§ XI 1

Starke: »Vorkenntniß«. 2 Beck: »eine«. 3 Beck, AA, Klemme: »Vernunft) ausmacht«; Handschrift und Weischedel: »Vernunft ausmacht)«. 4 Beck, AA, Klemme: »Natur in der«; Handschrift und Weischedel: »Natur der«. 5 Beck und AA: »Gesetze, nach der«; Handschrift: »Gesetze der«; Klemme: »Gesetze nach der«; Weischedel: »Gesetze, der«. 6 Weischedel, Klemme: »Urtheil auf«; Erdmann: »Urtheil als auf«. 7 Hartenstein und AA, Klemme: »ein von aller«; Handschrift, Weischedel: »ein vor aller«. 8 Klemme: «als der practischen«; Handschrift, Weischedel: «als practischen«.

846

NOTE AL TESTO TEDESCO

9

20

10

21

Starke: »des«. Rosenkranz: »und der teleologischen«; Handschrift, Weischedel, Klemme: »und teleologischen«. 11 Beck: »in der«. 12 Buek-Cassirer, AA, Klemme: »Urtheil über den«; Handschrift und Weischedel: »Urtheil den«. 13 Beck: »Urtheil obgleich der Begrif eines Naturzwecks, in dem Urtheile selbst, nur«. 14 Erdmann: »nicht im bestimmenden«; Handschrift, Weischedel, Klemme: »nicht bestimmenden«. 15 Beck: »Einem«. 16 AA: »nach dem«. 17 AA: »obere Vermögen«; Weischedel, Klemme: »obern Vermögen«. 18 Bei Beck fehlt: »Zweckmäßigkeit die zugleich Gesetz ist«. 19 Erdmann: »die alle«; Hinske und Müller-Lauter: »deren beide«.

Beck: »zwar für sich«. Beck schließt hier.

§ XII 1

2 3 4

5

6 7

8

AA, Klemme: »vom Zwecke«; Handschrift und Weischedel: »von Zwecke«. Buek-Cassirer: »müßte«. Hinske schlägt vor: »Lust aber«. Handschrift und Weischedel: »die eigentümliche«; Buek: »der eigentümlichen«. Ursprüngliche Fassung: »blos die Geschmackslehre und neben ihr, die der Beurtheilung der Dinge der Welt als Naturzwecke in sich fassen kann«. Buek-Cassirer: »sich auf«. Buek-Cassirer, AA, Klemme: »erstere, auf eine«; Handschrift, Weischedel: »erstere, eine«. Buek-Cassirer, AA, Klemme: »nur auf einen«; Handschrift und Weischedel: »nur einen«.

NOTE AL TESTO ITALIANO DELLA CRITICA 1

Cfr. l’Appendice alla Dialettica trascendentale della KrV. Il riferimento è all’intelletto e non alla facoltà di conoscere. Kant ha appena spiegato nel capoverso precedente che «nessun’altra facoltà conoscitiva, a parte l’intelletto, può fornire principi a priori costitutivi di conoscenza». Nella tripartizione delle facoltà dell’animo (facoltà di conoscere, sentimento del piacere e dispiacere, facoltà di desiderare), abbondantemente analizzate da Kant nelle sue Lezioni di psicologia – le cui definizioni egli ritiene sempre giusto presupporre, cfr. KpV, p. 9; tr. it. di V. Mathieu, Critica della ragion pratica, Bompiani, Milano 2004, p. 15 – e sulle quali ritorna nell’Introduzione e nella Prima introduzione alla KU, sono le tre facoltà conoscitive superiori (intelletto, forza di giudizio, ragione) ad essere legislative a priori in relazione alle specifiche facoltà dell’animo. 3 Accetto la precisazione di Schöndörffer al testo tedesco. Il passaggio «sicheren, aber einigen Besitz» è stato solitamente inteso nel senso di «sicuro, ma unico possesso». In tal modo «einigen» (unito, unitario) varrebbe come «einzigen» (unico): avrebbe così ragione Erdmann nel sostituire «aber einigen» con «oder einzigen». Infatti non conserverebbe alcun senso l’avversartiva «aber». Pur non correggendo il testo tedesco accetto però il suggerimento di Windelband e Schöndörffer quando valutano «einigen» rispettivamente con «alleinigen» e «eingeschränkten», vale a dire come esclusivo, singolare, particolare, limitato. Mi sembra che esclusivo possa ben rendere il senso della specificità e del limite. 4 È bene notare che si tratta di una prescrizione a priori di leggi (da parte dell’intelletto e della ragione) – e non di una prescrizione di leggi a priori – equivalente al dare a priori, da parte della forza di giudizio, la regola al sentimento del piacere e dispiacere. 5 La definizione del sistema della conoscenza filosofica razionale pura come metafisica era già stata proposta da Kant nel cap. III (L’architettonica della ragion pura) della Dottrina trascendentale del metodo della KrV. In merito all’impiego del termine «metafisica» e a quello del termine «critica», Kant precisava: «La filosofia della ragion pura è una p r o p e d e u t i c a (esercizio preliminare), la quale esamina la facoltà della ragione rispetto a ogni conoscenza pura a priori e si chiama c r i t i c a ; oppure, in secondo luogo, è il sistema della ragion pura (scienza), vale a dire l’intera conoscenza filosofica (quella vera così come quella apparente) derivante nella sua connessione sistematica dalla ragion pura, e si chiama m e t a f i s i c a ». (KrV A 841, B 869; tr. it. di C. Esposito, Critica della ragion pura, Milano 2004, p. 1181). Sulla distinzione di queste diverse istanze della filosofia Kant ritornerà anche nell’ultimo capoverso di questa Prefazione alla KU. 2

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NOTE AL TESTO ITALIANO DELLA CRITICA

Queste valutazioni estetiche si determinano in due sensi specifici a seconda che si riferiscano alla natura o all’arte. Per un verso «estetica» sta per teoria della sensibilità (estetica trascendentale), «scienza di tutti i principi a priori della sensibilità», delle forme pure che determinano l’esperienza possibile e universale (KrV A 21, B 35); per un altro verso «estetica» (KU) significa teoria dell’arte, delle forme pure della riflessione di un’esperienza singolare e reale. Anche il concetto di esperienza estetica si declina in modo diverso a seconda che si riferisca alla natura o all’arte. 7 Conformità alla legge traduce Gesetzmäßigkeit e conformità al fine Zweckmäßigkeit. È vero che i termini italiani “legalità” e “finalità” altro non significano letteralmente se non conformità a leggi e conformità a fini e quindi si potrebbe evitare di appesantire la traduzione insistendo sulla pregnanza semantica della lingua tedesca; tuttavia con “legalità” e “finalità” della natura si rischierebbe di intenderle unicamente nel loro significato di genitivo oggettivo. In questa seconda edizione mi sono pertanto adeguato a una resa dei termini nel frattempo diventata comune. 8 La delimitazione riguarda i concetti poiché solo da essi deriva poi la divisione tra filosofia teoretica e filosofia pratica, essendo, come recita l’inizio dell’Introduzione, «specificamente diversi». 9 Fenomeno è qui assunto in senso lato, come nel § 52 dei Prolegomeni ad ogni futura metafisica che si presenterà come scienza in riferimento alla ragione, ma anche e soprattutto, così prosegue infatti questo periodo di Kant, escludendo che il Phänomen della Urteilskraft sia del tutto equivalente a Erscheinung, cioè a un oggetto pensato secondo l’unità delle categorie, come avveniva nella analitica trascendentale della KrV. (Garroni-Hohenegger, p. 6.) 10 La distinzione compariva già nella KrV: «Questo nome [cioè quello di metafisica] tuttavia può essere esteso all’intera filosofia pura, compresa la critica, per raccogliere assieme tanto la ricerca di tutto quello che può essere conosciuto a priori, quanto l’esposizione di quello che costituisce un sistema delle conoscenze filosofiche pure di questa specie, che sia distinto però da ogni uso empirico, come pure da ogni uso matematico della ragione. La metafisica si divide in metafisica dell’uso s p e c u l a t i v o e in metafisica dell’uso p r a t i c o della ragion pura, ed è quindi o m e t a f i s i c a d e l l a n a t u r a o m e t a f i s i c a d e i c o s t u m i . La prima contiene tutti i principi razionali puri derivanti da semplici concetti (con esclusione quindi della matematica) riguardanti le conoscenze t e o r e t i c h e di tutte le cose; la seconda contiene i principi che determinano a priori, e rendono necessario, il f a r e e il n o n f a r e . Ora, la moralità è l’unica legalità delle azioni che possa essere derivata del tutto a priori da principi. Pertanto la metafisica dei costumi è propriamente la morale pura, quella che non ha alla sua base alcuna antropologia (e cioè alcuna condizione empirica). La metafisica della ragione speculativa è quel che i n s e n s o s t r e t t o si è soliti chiamare metafisica; tuttavia, nella misura in cui la dottrina pura dei costumi appartiene al tronco particolare della conoscenza umana, e più precisamente della

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conoscenza filosofica, derivante dalla ragion pura, noi manterremo il nome di metafisica anche per essa, sebbene in questa sede la lasciamo da parte, poiché p e r o r a essa non rientra nel fine che ci siamo preposti» (KrV A 841-842, B 869-870; tr. it. cit., p. 1181). La distinzione tra critica e metafisica, e di quest’ultima in metafisica della natura e dei costumi, era dunque già stabilita nel 1781. Si nota però in questa Prefazione alla KU che nel 1790 Kant vede ancora non del tutto realizzato il compito che si proponeva e che si distende lungo due decenni. Infatti la metafisica della natura aveva trovato una prima formulazione nei Primi principi metafisici della scienza della natura (1786), ma una specifica metafisica della natura non fu mai pubblicata e il materiale raccolto andò a confuire disordinatamente nell’Opus postumum, tanto che in una lettera a Christian Garve del 21 settembre 1798 Kant ammise che la dottrina della natura era rimasta una lacuna nella filosofia critica: «Non so però se, quantunque io faccia uno sforzo pari al Suo, Ella – qualora provasse a mettersi nei miei panni – non avvertirebbe come ancor più dolorosa la sorte che è toccata a me: quella di essere come paralizzato per i lavori spirituali, nonostante un discreto benessere corporeo; di vedere che il saldo definitivo del mio conto nelle questioni che concernono la filosofia nella sua totalità (dal punto di vista sia dello scopo sia dei mezzi) è sospeso. Non lo vedo mai chiuso, sebbene sia conscio della realizzabilità di questo compito: una pena tantalica, che tuttavia non mi lascia privo di speranza. – Il problema del quale attualmente mi sto occupando concerne il “passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica”. Dev’essere risolto, altrimenti ci sarebbe una lacuna nel sistema della filosofia critica. Le pretese della ragione non si affievoliscono; la consapevolezza della possibilità di farcela nemmeno; ma gli impedimenti che inibiscono continuamente la mia forza vitale, sia pure senza provocarne la paralisi totale, ritardano una soluzione soddisfacente e mi portano all’esasperazione», tr. it. di O. Meo, in Epistolario filosofico 17611800, Genova 1990, pp. 395-396. Sorte altrettanto complessa, sebbene più delineata, ebbe la metafisica dei costumi. Anche questa, annunciata nella Fondazione della metafisica dei costumi del 1785 venne compiuta soltanto con la Metafisica dei costumi del 1797, comprendente una dottrina del diritto e una dottrina della virtù. Su questo difficile completamento del compito «dottrinale» del criticismo ebbero un’influenza decisiva e negativa, oltre i numerosi impegni accademici di Kant, le circostanze politiche. Da una parte venne promulgato, sotto Federico Guglielmo II, dal ministro dell’educazione e del culto Johann Christoph Wöllner (1732-1800), il 9 luglio 1788, un editto contro tutte le correnti spirituali ed eretiche che si oppongono, in nome dell’illuminismo, al cristianesimo di Stato, a cui segue il 19 dicembre 1788 un editto sulla censura. La religione entro i limiti della semplice ragione (1793) e La fine di tutte le cose (1794) restano segnate da queste difficoltà. Il 1 ottobre 1794 Kant ricevette infatti una censura ufficiale regia. Solo con Federico Guglielmo III, nel 1797, venne abolito l’editto Wöllner ed ebbero la luce la Metafisica dei costumi (1797) e Il conflitto

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delle facoltà (1798). E, d’altra parte, un ulteriore elemento di complicazione è costitutito dalle ripercussioni in Germania, e soprattutto nel dibattito culturale e politico sui diritti umani, della rivoluzione francese; alcuni brevi scritti sono il segno dell’attenzione rivolta da Kant a questo dibattito: basta qui ricordare Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi (1793), Per la pace perpetua. Un progetto filosofico di Immanuel Kant (1795), Su un preteso diritto di mentire per amore degli uomini (1797). 11 Viene qui ricordata la distinzione tra giudizi analitici e sintetici, esposta nella KrV A 7-10, B 11-14; tr. it. cit., pp. 80-83. 12 Nelle note non si fa esplicito riferimento, se non nei casi più utili al lettore per la comprensione del testo e per facilitarne la lettura, alle fonti utilizzate o indicate da Kant. In questo settore i contributi a livello scientifico sono presenti nelle note all’edizione della KU curata da Windelband per i tipi dell’Accademia (AA V 527-530) e nell’edizione di Frank-Zanetti (pp. 1331-1338). Piero Giordanetti e Werner Stark avevano fornito le dilucidazioni critiche e le indicazioni più importanti sullo stato della ricerca riguardante la KU alle pp. 35-41 di «Kant-Studien», 91 (2000), in occasione della pubblicazione di un Sonderheft dedicato a Zustand und Zukunft der Akademie-Ausgabe von Immanuel Kants Gesammelte Schriften, a cura di Reinhardt Brandt e Werner Stark. Anche nel contesto della traduzione inglese delle opere di Kant (The Cambridge Edition of the Works of Immanuel Kant), diretta da Paul Guyer e Allen W. Wood, la Critique of the power of judgment, a cura di P. Guyer, trad. di P. Guyer e E. Matthews, Cambridge 2000, è presente un consistente corpo di note (pp. 362-397) con importanti riferimenti alle Reflexionen e alle Vorlesungen di Kant. Il più esteso lavoro filologico di rinvenimento delle fonti esplicite o implicite del testo di Kant è comunque ora presente nell’edizione di Heiner F. Klemme della KU, edita da Meiner, Hamburg 2001 (pp. 431-470). Queste note si devono alla competenza di Piero Giordanetti e rappresentano a tutt’oggi il miglior contributo scientifico per accostarsi all’analisi della composizione del testo kantiano. Poiché sarebbe eccessivo fornire in questa edizione tutti i riscontri filologici, mi limito a indicare nelle note l’autore o il testo a cui Kant fa riferimento, seguito tra parentesi dall’indicazione del numero di pagina delle Sachanmerkungen di Giordanetti, in cui il lettore più esigente potrà con facilità trovare e confrontare il riscontro completo e documentato delle fonti. In questo caso il riferimento è a Alexander Gottlieb Baumgarten, Initia philosophiae practicae primae acroamaticae, Halle 1760, § 6. (Giordanetti, p. 431.) 13 Cfr. Fondazione della metafisica dei costumi, sezione II, trad. it. di V. Mathieu, Milano 2003, pp. 87 ss. 14 Kant (come avviene anche nella Prima introduzione) vuole qui evitare ogni confusione nell’uso del termine «pratico» e in tal senso distingue tra l’espressione «pratico-tecnico» (come applicazione della conoscenza teoretica) e l’espressione «pratico-morale» (come appartenente esclusivamente alla filosofia pratica).

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Rispetto al contenuto le regole possono essere teoretiche, pratiche e del gusto. Tra le regole pratiche si distinguono le massime che, come le regole dell’abilità, si riferiscono alla volontà di una singola persona, e le leggi che invece si fondano sulla ragione e perciò si riferiscono a tutti gli esseri razionali. 16 I riferimenti di Kant sono a Christian Wolff, Baumgarten e Johann Georg Sulzer. (Giordanetti, p. 431.) 17 Hartknoch, Riga 1788; Ak V, p. 9; trad. it. p. 47. 18 Virgilio, Eneide, VIII, v. 560. Il verso intero suona: O mihi praeteritos referat si Juppiter annos, «Oh, se Giove mi rendesse gli anni trascorsi». È Evandro che parla; cfr. Windelband, p. 527. 19 Cfr. l’argomentazione simile di questa nota presente nel § 8 della Prima introduzione; cfr. supra, pp. 759 ss. 20 Queste “sentenze” esposte in modo esemplificativo sono riprese da una complessa e articolata tradizione di pensiero, risalente a Leibniz, e presente in vario modo nelle opere di Kant. Vi sono riferimenti espliciti a Alexander Pope, Carl von Linné, Charles Bonnet, Georg Forster, Johann Friedrich Blumenbach. (Giordanetti, pp. 431-435.) 21 Cfr. KrV A 168-169, B 209-211. 22 Cioè non produce da sé leggi da applicare a altro (il caso dell’autonomia), ma produce leggi da se stessa per se stessa. 23 Critica implicita a Georg Friedrich Meier, Auszug aus der Vernunftlehre, Halle 1754, § 19. (Giordanetti, p. 435.) 24 Una volta stabilito che il termine «scopo» mette in rilievo, più precisamente rispetto al generico «fine», il carattere oggettivo di un comportamento umano o, ancor più, di un prodotto della natura, viene di necessità a imporsi come traduzione di Endzweck «fine definitivo», che resta distinto da «fine ultimo» (der letzte Zweck). Infatti il termine «fine definitivo», proprio perché è il principio a priori della facoltà di desiderare, non può ridursi a «scopo finale», come la KU in alcuni casi comunque permetterebbe, ma deve esprimere ad un tempo l’aspetto soggettivo e oggettivo di una intenzione. Crollerebbe l’intero impianto della Critica della ragione pratica se il desiderare avesse come principio a priori un fine colto esclusivamente nella sua materialità, a prescindere dalla pura forma con cui funziona la ragione nell’ambito del desiderio: il principio della filosofia pratica non può essere empirico. La ragione di per sé sola, senza dipendere dalla sensibilità, è in grado di determinare la volontà, perché «se, come ragione pura, è effettivamente pratica, essa dimostra la realtà sua e dei suoi concetti col fatto, e qualunque raziocinare contro la possibilità che ciò avvenga è inutile» (KpV, p. 37). Inoltre lo «scopo finale» non potrebbe applicarsi, come principio a priori, alla libertà, che, come ricorda la Prefazione alla Critica della ragione pratica, è prima «trascendentale» e, proprio per questo, soltanto in seguito anche «reale». 25 Kant chiama il principio del terzo escluso il «principio delle inferenze disgiuntive» per quanto riguarda la ragione e su di esso fonda la necessità della conoscenza, dando luogo a giudizi apodittici. Il fatto che la bipartizione della divisione analitica venga stabilita sulla base del

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principio di non contraddizione, esemplificato però mediante il terzo escluso, sta a significare non solo che l’uno è contenuto nell’altro (cfr. Garroni-Hohenegger, p. 33), bensì che solo nel terzo escluso si riconosce la non compossibilità dei giudizi contraddittori; in altri termini, la sola non contraddizione non fornisce ancora conoscenza: «Dal principium contradictionis non si può ancora concludere all’unità di una conoscenza» (Wiener Logik AA XXIV, I, 826; tr. it. di B. Bianco, Logica di Vienna, Milano 2000, p. 54), e ciò che appunto importa a Kant, almeno per restare all’evidenza del giudizio analitico, è proprio l’«unità della conoscenza». Interessante anche la precisazione riguardante le inferenze dell’intelletto: «Nelle inferenze dell’intelletto per giudizi che sono opposti l’un l’altro in modo contraddittorio e che, in quanto tali, danno luogo all’autentica, alla pura opposizione, la verità di uno dei giudizi opposti in modo contraddittorio viene derivata dalla falsità dell’altro, e viceversa. Infatti, l’opposizione genuina, che qui ha luogo, non contiene né più né meno di ciò che pertiene all’opposizione. In base al principio del terzo escluso, pertanto, i due giudizi contraddittori non possono essere entrambi veri, ma non possono nemmeno essere entrambi falsi. Perciò, se l’uno è vero, allora l’altro è falso, e viceversa»; cfr. Logik AA IX; tr. it. di L. Amoroso, Logica, Roma-Bari 1984, §48, p. 110. 26 Sul sachem (capo) degli irochesi, cfr. Windelband AA V 527; François Xavier de Charlevoix, Histoire et déscription générale de la Nouvelle-France, avec le Journal historique d’un voyage fait par ordre du Roi dans l’Amérique Septentrionnale, Paris 1744, vol. 3, p. 322: «Des Iroquois, qui en 1666 allèrent à Paris, et à qui on fit voir toutes les maisons royales et toutes les beautés de cette grande ville, n’y admirèrent rien, et auraient préféré les villages à la capitale du plus florissant royaume de l’Europe, s’ils n’avaient pas vu la rue de la Huchette, où les boutiques des rotisseurs, qu’ils trouvaient toujours garnies de viandes de toutes les sortes, les charmèrent beaucoup». (Giordanetti, pp. 435-436.) 27 Riferimento implicito a Aristippo, ripreso da Kant anche in altri luoghi. (Giordanetti p. 436.) 28 Accetto la correzione suggerita da Erdmann, sebbene l’originaria lezione di Kant («im Gebrauche») segue comunque una logica condivisibile. Solo due considerazioni: 1) Nell’Antropologia pragmatica l’olfatto viene considerato come il senso organico «più ingrato e meno necessario» (Antropologia pragmatica, trad. it. di G. Vidari, rev. di A. Guerra, Laterza, Bari 1969, § 22, p. 43); 2) R.B. Jachmann, in Immanuel Kant descritto in lettere a un amico, scrive: «Coi fiori e i prodotti dell’orto faceva graditi doni alle famiglie dei suoi amici. Quando fiorivano le rose ce n’era sempre un paio al posto di ogni commensale, e a lui stesso le rose piacevano moltissimo» (L.E. Borowski – R.B. Jachmann – E.A.Ch. Wasianski, La vita di Immanuel Kant narrata da tre contemporanei, tr. it. di E. Pocar, Bari 1969, p. 200): in tal caso, è qui sottinteso che le rose sono gradevoli per l’uso decorativo che ne può essere fatto e non certo per il profumo che affievolirebbe quello dei cibi. 29 Cfr. KrV A 135-136, B 174-175.

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Si intenda delle facoltà. Riferimento a Johann Joachim Winckelmann, Geschichte der Kunst des Alterthums, Dresden 1764, p. 143. (Giordanetti, p. 436.) 32 La correzione delle edizioni A e B (woran ich doch gar sehr zweifle) presente in C, e che qui si segue come lezione (woran ich doch gar nicht zweifle), accolta da Windelband (AA V 527-529) e più recentemente da Frank-Zanetti e Klemme, può essere a mio sommesso avviso giustificata solo dal seguito della KU, in particolare dal § 51. Non penso che sia in discussione la teoria di Eulero (Basilea 1707 - Pietroburgo 1783), ma la frase tra parentesi si riferisce solo al fatto se la riflessione sia in grado o no di percepire la forma del singolo suono, da cui dipende la possibilità che la musica sia un’arte bella. Certamente Kant dubita a più riprese di poter concepire la musica in generale come arte bella: sono però appunto gli esempi di singolarità riportati nei §§ 42, 51 ad attestare il fatto che, a sua volta e derivatamente, egli proprio per questo non possa dubitare di un giudizio singolarmente bello. La documentazione al riguardo si trova in R. Brandt, Kritischer Kommentar zu Kants Anthropologie in pragmatischer Hinsicht (1798), Hamburg 1999, pp. 223-225. Sulla storia delle letture del passo cfr. anche P. Giordanetti, Sul piacere e sul dolore. Immanuel Kant discute Pietro Verri, Milano 1998, p. 24 nota; Id., Kant e la musica, Milano 2001, in particolare pp. 128-139. (Giordanetti, pp. 436-438.) 33 Precedenti in Winckelmann e Raphael Mengs. (Giordanetti, p. 438.) 34 Riferimenti a Pitagora, Aristosseno, Johann Peter Eberhard, Leonhard Euler e J.B. Le Ronde d’Alembert. (Giordanetti, pp. 438-439.) 35 Kant intende accennare alla posizione di Baumgarten. (Giordanetti, p. 439.) 36 Sulla fonte del concetto di critica nella teoria estetica: Henry Home, Grundsätze der Critik, Leipzig 1763-1766, 3 voll. (Giordanetti, p. 439.) 37 Da molti passi di AA si può inferire la preferenza di Kant per alcuni specifici «modelli» classici – in particolare Demostene, Cicerone, Omero, Orazio, Virgilio – e l’attenzione per la Querelle des anciens et des modernes. (Giordanetti, p. 439.) 38 Johann Jacob Bodmer e John Milton. (Giordanetti, p. 440.) 39 Intendo figura dell’uomo, in quanto «appartenente a una particolare specie animale», come dice Kant nella frase precedente. 40 A proposito dell’espressione das schwebende Bild, cfr. Johann Gottlieb Fichte (1762-1814), Grundlage der gesamten Wissenschaftslehre, Leipzig 1794, in Sämmtliche Werke, a cura di Immanuel Hermann Fichte, Berlin 1845, vol. I, pp. 216 ss.; oppure in Gesamtausgabe der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, a cura di R. Lauth e H. Jacob, Stuttgart-Bad Cannstatt 1965, Werke, vol. 2, p. 360; trad. it. di G. Boffi, Fondamento dell’intera dottrina della scienza, Milano 2003, p. 409: «L’immaginazione è una facoltà che oscilla librandosi in mezzo tra determinazione e non-determinazione, tra finito e infinito, e pertanto da essa A + B è veramente determinato ad un tempo tramite l’elemento A determinato e ad un tempo tramite l’elemento B indeterminato, che è quella 31

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sintesi dell’immaginazione di cui abbiamo appena parlato. – Proprio quel librarsi designa l’immaginazione mediante il suo prodotto; essa lo produce, per dir così, durante il suo librarsi e per mezzo del suo librarsi. (Questo librarsi dell’immaginazione fra termini che non si possono unificare, questo suo conflitto con se stessa, è ciò che, come si mostrerà in futuro, estende a un momento del tempo lo stato dell’io in essa [per la mera ragione pura è tutto contemporaneo; soltanto per l’immaginazione v’è un tempo]». Cfr. Frank-Zanetti, p. 1332. 41 Policleto scrisse un trattato intitolato Canone nel quale stabiliva l’ideale di bellezza e di decoro della figura umana. Le proporzioni del corpo umano potevano essere ricostruite in base a criteri matematico-geometrici. Dello scritto sono rimasti due frammenti, riportati nel Diels-Kranz, cap. 40, da Plutarco e da Filone Mechanicus. Plinio, nella Naturalis historia, scrive che è «opera [di Policleto] anche quello che gli artisti chiamano Canone, dove, come in una legge, cercano le regole dell’arte; fu il solo uomo che, facendo un’opera d’arte, fece l’arte stessa» (I Presocratici. Testimonianze e frammenti, trad. it. di A. Maddalena, Roma-Bari 1981, tomo I, p. 443). Galeno, nel De placitis Hippocratis et Platonis, esalta l’esatta simmetria delle parti esposta nel Canone di Policleto: «perché Policleto, dopo aver detto in questo scritto quali sono le esatte proporzioni del corpo, volle provare con un’opera la verità del suo discorso, e compose una statua secondo i precetti che aveva scritti, e la chiamò con lo stesso nome del discorso, Canone. Del resto, che la bellezza del corpo stia nell’esatta proporzione delle parti, è opinione comune a tutti i medici e a tutti i filosofi» (ibi, p. 444). La teoria dell’espressione artistica fu concretizzata da Policleto in una statua, databile intorno al 440, nota appunto col nome di Doriforo, ossia portatore di lancia. La figurazione statuaria è retta da un principio strutturale di armonia, simile alla “misura” protagorea, per cui l’immagine umana ha come valore e criterio l’espressione di una forma universale. In tal senso con ragione Kant scrive che l’idea normale non è un archetipo, un simulacro immobile ed eterno riproducibile all’infinito, né una mera riproduzione o copia di un doriforo esistente, ma appunto forma. Per Policleto “forma” è una realtà assoluta che si rivela e si concretizza, per Kant “forma” è la condizione della bellezza. Mirone, scultore greco, ha scolpito una Vacca, celebrata da numerosi epigrammi antichi (Anthologia Graeca, I, 165, 42; 249, 19; II, 248, 25). Interessante è poi qui l’accostamento alla distinzione canone-organo, centrale nella prima Critica: KrV A 795796, B 823-824. Altri riferimenti di Kant in AA. (Giordanetti, p. 440.) 42 Richiamo di Shaftesbury (Giordanetti, p. 440). 43 Accenno alla scuola scozzese del common sense e a Moses Mendelssohn. (Giordanetti, pp. 440-441.) 44 Il riferimento è a Johann Georg Sulzer e a David Hume. (Giordanetti, pp. 441-443.) 45 Compendiata esemplarmente da Thomas Whately. (Giordanetti, p. 443). 46 Marsden e Sulzer. L’inglese a cui fa riferimento Kant è William Marsden (1754-1836), autore di una History of Sumatra, (1783), che

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Kant citerà ancora nella Metafisica dei costumi. Cfr. G. Böhme, Kants Kritik der Urteilskraft in neuer Sicht, Frankfurt am Main 1999, pp. 41 ss. (Giordanetti, pp. 443-444.) 47 Siamo nella prima sezione: Kant si riferisce di fatto al libro primo dedicato all’Analitica del bello. 48 Claude-Etienne de Savary (1750-1788), Lettres sur l’Egypte, Paris 1785. Cfr. G. Böhme, Kants Kritik der Urteilskraft in neuer Sicht, cit., pp. 94 ss. (Giordanetti, pp. 444-445.) 49 Cfr. Frank-Zanetti p. 1332. Riferimento al numero 4, i cui componenti, sommati (4+3+2+1), permettono di derivare il sistema decimale. Altre occorrenze in AA. (Giordanetti, p. 445). 50 Cfr. già la prefazione alla Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels, 1755. (Giordanetti, p. 445.) 51 Rielaborazione di alcuni passi di Edmund Burke. (Giordanetti, pp. 445-446.) 52 È implicito, sebbene indirettamente, Lucrezio, De rerum natura, II, 1-4. 53 Horace-Bénédict de Saussure (Conches 1740 - Ginevra 1799), geologo e fisico, insegnò filosofia sperimentale a Ginevra. Si è occupato di botanica, geologia, geografia fisica, fisica e meteorologia. È considerato un pioniere dell’alpinismo scientifico, celebre la sua scalata del Monte Bianco del 1787. Kant si riferisce ai Voyages dans les Alpes, (1779-1796), 4 volumi, tradotti in tedesco da Jacob Samuel Wyttenbach, Leipzig 1781-1788. Cfr. Cfr. G. Böhme, Kants Kritik der Urteilskraft in neuer Sicht, pp. 100 ss. (Giordanetti, p. 446.) 54 Senza intervenire sul testo tedesco accetto la correzione suggerita da Jean Kahn di introdurre noch prima di nach nella frase: « S c h ö n ist das, was in der bloßen Beurteilung (also nicht vermittelst der Empfindung des Sinnes nach einem Begriffe des Verstandes) gefällt» (B 114115). Un passo parallelo ne giustifica sufficientemente l’introduzione: « S c h ö n i s t d a s , w a s i n d e r b l o ß e n B e u r t e i l u n g (nicht in der Sinnenempfindung, noch durch einen Begriff) g e f ä l l t » (B 180). Per tutti gli altri riscontri filologici si veda il contributo di Jean Kahn, Une correction à apporter au texte d’une définition du beau dans la Critique de la faculté de juger, in «Kant-Studien», 92 (2001), pp. 79-80; cfr. anche Reinhard Brandt, „Noch“, nicht „nach“; vielleicht „noch nach“, in «KantStudien» 98 (2007), p. 399 e la replica di Jean Kahn, A propos d’une correction du texte d’une définition du beau dans la Critique de la faculté de juger, in «Kant-Studien» 100 (2009), p. 106. 55 Cfr. Shaftesbury. (Giordanetti, p. 446.) 56 Riferimento a Francis Hutcheson (Giordanetti, p. 447.) 57 Ripresa di alcune testimonianze su Epitteto. (Giordanetti, pp. 446447.) 58 Allusione ai romanzi di Samuel Richardson. (Giordanetti, p. 447.) 59 Kant cita a memoria da Es 20, 4. 60 Battuta su Daniel Defoe e sul suo modello Alex Selkirk. (Giordanetti, p. 448.)

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NOTE AL TESTO ITALIANO DELLA CRITICA

Il riferimento è sempre ai Voyages dans les Alpes di Saussure. (Giordanetti, p. 448.) 62 Edmund Burke (1729-1797), politico inglese, noto per il suo trattato di estetica, A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful (1757, 17592), ora a cura di J.T. Boulton, Oxford 1987, pp. 136 e 150. Quest’opera esercita un grande influsso su Lessing, Mendelssohn e Schiller. Kant utilizza la traduzione tedesca di Christian Garve, Philosophische Untersuchungen über den Ursprung unserer Begriffe von Schönen und Erhabenen, Riga 1773. Cfr. O. Schlapp, Kants Lehre vom Genie und die Entstehung der Kritik der Urteilskraft, Göttingen 1901, p. 451. Kant cita da Parte IV, sez. VII e XIX. (Giordanetti, pp. 449-450.) 63 E. Burke, A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful, cit.; tr. it. di G. Sertoli e G. Miglietta, Inchiesta sul Bello e il Sublime, Aesthetica, Palermo 1985, pp. 146-147 e 158. 64 Altri riscontri di Kant in AA. (Giordanetti, p. 450.) 65 Il periodo che inizia con «Ciò che resta di appartenente…» manca nella prima edizione, che invece chiama la parte seguente, cioè la «deduzione dei giudizi estetici puri», «Libro terzo». Johann Gottfried Carl Christian Kiesewetter aveva sostituito questo titolo a «Terza sezione dell’analitica della forza estetica di giudizio», dato per sbaglio da Kant (come risulta dalla lettera di Kiesewetter a Kant del 3 marzo 1790). Kant trovò la modifica «del tutto adeguata», ma preferiva che il titolo venisse eliminato, auspicando che la correzione comparisse anche nell’errata corrige, come poi avvenne. Nella lettera del 20 aprile 1790 a Kiesewetter Kant così scriveva: «Allego un elenco degli errori di stampa che ho trovato, ivi compresa un’omissione. Forse esso può essere ancora aggiunto all’opera. La ringrazio molto per quelli che Ella ha personalmente provveduto a correggere. Avrei però desiderato rilevare io stesso l’errore di scrittura (Terza Sezione dell’Analitica del Giudizio estetico) ed espungere questo titolo. Peraltro, è stato sicuramente opportuno da parte Sua correggere in Libro terzo. Deduzione… ma allora un’analoga correzione dovrebbe essere fatta nella tavola della Partizione dell’opera, che compare in appendice alla Prefazione, o meglio all’Introduzione. Se però c’è ancora tempo, La prego di indicare la Sua modifica del titolo fra gli errori di stampa e di far stampare così come è la tavola della Partizione, che nomina solo due libri della prima sezione. Dubito però che ciò possa avvenire in tempo utile». (I. Kant, Epistolario filosofico 1761-1800, cit., p. 230). 66 Charles Batteux (1713-1780) scrive Les Beaux-Arts réduits à un même principe, Paris 1746 (trad. it. a cura di E. Migliorini, Le Belle Arti ricondotte ad unico principio, Palermo 19902), noto a Kant attraverso Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), cfr. Garroni-Hohenegger p. 121. (Giordanetti, pp. 450-451.) 67 D. Hume, The Sceptic (1742), in Philosophical Works, ed. GreenGrose, London 1882, vol. III, p. 217: «and critics can reason and dispute more plausibly than cooks or perfumers»; trad. it. di E. Lecaldano, in

NOTE 61-80

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Opere filosofiche, a cura di E. Lecaldano-E. Mistretta, Roma-Bari 1971, vol. II, p. 571: «i critici sanno ragionare in modo più plausibile dei cuochi». (Giordanetti, p. 451.) 68 Il rocou, bixa orellana, è una sostanza colorante dal giallo al rosso, usata negli alimenti, nella tintura della seta e anche come decorazione del corpo. Il cinabro, solfuro di mercurio, è un minerale da cui si ricava il mercurio ed è adoperato in pittura per il suo colore rosso, detto vermiglione. (Giordanetti, p. 451.) 69 Cfr. G. Böhme, Kants Kritik der Urteilskraft in neuer Sicht, cit., pp. 44 ss. 70 Petrus Camper (Leida 1722 - Aia 1789) insegnò anatomia, medicina e chirurgia a Franeker, Amsterdam e Groninga. Dimostrò l’importanza dell’angolo facciale per la distinzione delle razze umane. Cfr. Oeuvres, Paris 1803, 3 voll. Cfr. KU § 82 e Il conflitto delle facoltà, sezione II, § 7, dove è citato insieme a Blumenbach (AA VII 89). Il riferimento è all’Abhandlung über die beste Form der Schuhe, Berlin 1783. (Giordanetti, p. 451.) 71 Altri accenni di Kant a trivio e quadrivio in AA. (Giordanetti, p. 451.) 72 Cfr. gli esempi di Claude Adrien Helvétius e Alexander Gerard. (Giordanetti, pp. 451-452.) 73 Platone, Fedro 244 A; e A. Gerard, Versuch über das Genie, Leipzig 1776. (Giordanetti, p. 452.) 74 I. Newton, Philosophiae naturalis principia mathematica, London 1687. (Giordanetti, p. 452.) 75 Christoph Martin Wieland (Oberholzheim 1733 - Weimar 1813) insegnò filosofia a Erfurt. Sotto l’influsso di Shaftesbury superò una formazione platonica e moralistica e ruppe con il pietismo, per opporsi al fanatismo religioso e all’intolleranza dogmatica in nome di una pratica della vita ispirata ai principi dell’aristocrazia illuminata. Dal 1772, su invito della duchessa Anna Amalia, si recò a Weimar. Qui diresse alcune riviste, tra cui il «Teutscher Merkur», che contribuirono alla formazione letteraria della Germania. Attento lettore di tutta la letteratura mondiale, tradusse Shakespeare e riprese molti classici greci e latini. Kant accosta Wieland a Omero per la fama, riconosciuta anche da Goethe, di cui godeva il poeta tedesco al suo tempo. (Giordanetti, p. 453.) 76 Allusione all’esaltazione fanatica del genio e accenni in AA VIII, XI e XV a Johann Georg Hamann, Johann Gottfried Herder e Friedrich Heinrich Jacobi. (Giordanetti, p. 453.) 77 R. Mengs, Gedanken über die Schönheit, Zürich 1762. (Giordanetti, p. 453.) 78 A. Gerard, Versuch über das Genie, Leipzig 1776. (Giordanetti, pp. 453-454.) 79 Esempi di J. Milton, E. Burke, Albrecht von Haller, «The Spectator», n. 309, 23 febbraio 1712. (Giordanetti, p. 454.) 80 Cfr. Windelband AA V 529. Federico II di Prussia, detto Federico il Grande (Berlino 1712 - 1786), Oeuvres, Berlin 1846, vol. X, p. 203;

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NOTE AL TESTO ITALIANO DELLA CRITICA

Epitre XVIII, au Maréchal Keith; imitazione di Lucrezio, De rerum natura, lib. III; la traduzione in tedesco è forse di Kant: «Oui, finissons sans trouble, et mourons sans regret, En laissant l’Univers comblé de nos bienfaits. Ainsi l’Astre du jour, au bout de sa carrière, Répand sur l’horizon une douce lumière, Et les derniers rayons qu’il darde dans les airs, Sont ses derniers soupirs qu’il donne à l’Univers». (Giordanetti, p. 454.) 81 Cfr. Windelband AA V 529: Friedrich Lorenz Withof (Duisburg 1725 - 1789), fu professore di morale, eloquenza e medicina all’Università di Duisburg. La citazione è in Academische Gedichte, Leipzig 1782, vol. I, p. 70, dove si legge Güte (bontà) e non Tugend (virtù): «Die Sonne quoll hervor, wie Ruh’ aus Güte quillt». (Giordanetti, p. 454.) 82 Johann Andreas von Segner (Presburgo 1704 - Halle 1777), insegnò matematica e fisica a Göttingen e dal 1755 a Halle. Scrisse di logica, fisica, matematica e medicina. Kant si riferisce alla Einleitung in die Natur-Lehre 17542. Cfr. A. Warda, Immanuel Kants Bücher, Berlin 1922, p. 35. Kant cita nella KrV B 15 i suoi Anfangsgründe der Mathematik, Halle 17732. (Giordanetti, p. 455.) 83 D. Hume, The History of England, London 1778, 6 voll.; traduzione tedesca di Johann Jakob Dusch, Breslau-Leipzig 1762-1771. (Giordanetti, p. 455) 84 L. Euler, Lettres de L. E. à une princesse d’Allemagne, Leipzig 1769-1773. (Giordanetti, pp. 455-456.) 85 Accenno personale all’amico Joseph Green. (Giordanetti, pp. 456 s.) 86 Riferimento a Philipp Dormer Stanhope. (Giordanetti, p. 457.) 87 Kant si riferisce a Carneade, Cicerone, Demostene e Quintiliano (Giordanetti, p. 457.) 88 Cfr. Windelband, AA V 529: Cicerone, [scilicet Catone il vecchio, Ad filium 14, in Catonis fragmenta, ed. H. Jordan, Leipzig 1869, p. 80; Quintiliano, Institutiones oratoriae, XII, 1, 1: «Sit ergo nobis orator, quem constituimus, is, qui a M. Catone finitur, vir bonus dicendi peritus».) 89 Cfr. la lettera di Kant a Theodor Gottlieb von Hippel del 9 luglio 1784. (Giordanetti, p. 457.) 90 Apelle e Anton Raphael Mengs. (Giordanetti, p. 457.) 91 Vari riferimenti di Kant a Epicuro e a Lucrezio in AA. (Giordanetti, p. 457.) 92 Ripresa del Recueil d’observations de medécine des hopitaux militaires di Richard de Hautesierck. (Giordanetti, pp. 457-458). 93 Anonimo, Sphinx und Oedipus: cfr. AA XV 745 e XXV 144. (Giordanetti, p. 458.) 94 Voltaire, Henriade (1728), canto VII, v. 6: «L’un est le doux Sommeil, et l’autre est l’Espérance», in Les Œuvres complètes de Voltaire, a cura di O.R. Taylor, Institut et Musée Voltaire Les Delices, Génève 1970, vol. 2, p. 510. (Giordanetti, pp. 458-459.) 95 KrV A 516, B 544; KpV 204.

NOTE 81-115 96

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Johann Christian Polykarp Erxleben, Anfangsgründe der Naturlehre, Göttingen-Gotha 1772, § 199. (Giordanetti, p. 459.) 97 C. Wolff, Psychologia empirica, § 289; A. Baumgarten, Metaphysica, § 620. (Giordanetti, p. 459). 98 John Locke, An Essay concerning Human Understanding, London 1690. (Giordanetti, p. 459.) 99 Cfr. Windelband AA V 529. Kant si riferisce probabilmente alla p. 253 del testo tedesco, quindi effettivamente al § 58, ma più esplicito in merito era stato nel § 57, alle pp. 237-238. 100 Le civiltà greca e romana. (Giordanetti, p. 459.) 101 Archimede, Euclide e Pitagora. (Giordanetti, p. 459.) 102 AA XXIV 902 ss. (Giordanetti, p. 459.) 103 Riferimento ad Anassagora in Platone, Fedone 98 B-C: «vedo che il mio eroe non si serviva affatto dell’intelletto e non gi attribuiva nessuna causa nell’ordinamento delle cose e ricorreva all’aria, all’etere, all’acqua e ad altre molte e strane cose» (tr. it. di G. Reale, in Tutti gli scritti, Rusconi, Milano 19944, p. 106). (Giordanetti, p. 459.) 104 E. Adickes, Untersuchungen zu Kants physischer Geographie, Tübingen 1911, p. 275. (Giordanetti, p. 459.) 105 Riferimento ad Aristippo. (Giordanetti, p. 459.) 106 Cfr. G. Böhme, Kants Kritik der Urteilskraft in neuer Sicht, pp. 108122: l’espressione di Vitruvio («vedo la traccia di un uomo») è riportata in calce a un’immagine di un’edizione di Euclide. (Giordanetti, p. 459.) 107 Ripresa della distinzione tra deismo e teismo a proposito della natura. (Giordanetti, pp. 459-460.) 108 Gli stoici. (Giordanetti, p. 460.) 109 Vale a dire la rivoluzione francese. (Giordanetti, p. 460.) 110 Baumgarten, Metaphysica, § 98. (Giordanetti, p. 460.) 111 Allusione a Georg Forster e a Johann Friedrich Blumenbach. (Giordanetti, pp. 460-461.) 112 D. Hume, Dialogues Concerning Natural Religion (1779), in Philosophical Works, cit., vol. II, pp. 375 ss.; tr. it. di M. Dal Pra, Dialoghi sulla religione naturale, in Opere filosofiche, cit., vol. II, pp. 775 ss. Kant ebbe a disposizione la traduzione di Johann Georg Hamann, Dialogen die natürliche Religion betreffend, ora in Werke, a cura di J. Nadler, Wien 1949, vol. 3, pp. 245-274 e 463-467. (Giordanetti, p. 461.) 113 Martin Frobenius Ledermüller, Moses Meldelssohn, Charles Bonnet, J.F. Blumenbach. (Giordanetti, pp. 461-462.) 114 Riscontri in Buffon, Maupertuis, Herder. (Giordanetti, pp. 463s.) 115 Johann Friedrich Blumenbach (Gotha 1752 - Göttingen 1840) si laureò in medicina a Göttingen nel 1776 con una tesi dal titolo De generis humani varietate nativa liber. Insegnò storia della medicina e della natura, operò come anatomista, zoologo e fisiologo a Göttingen. Ebbe una posizione di rilievo nella storia dell’antropologia fisica: classificò le razze umane in cinque varietà, stabilì dei criteri oggettivi per l’individuazione dei caratteri fisici e pose le basi analitiche della craniologia. Kant si riferisce a Über den Bildungstrieb, Göttingen 1781, 17892. Come risulta

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NOTE AL TESTO ITALIANO DELLA CRITICA

dal catalogo di A. Warda, Immanuel Kants Bücher, cit., p. 27, Kant era in possesso anche dell’opera Handbuch der Naturgeschichte, Göttingen 1779-1780. (Giordanetti, pp. 462-463.) 116 Cfr. Windelband AA V 529. Blumenbach, Über den Bildungstrieb und das Zeugungsgeschäfte, cit., poi Über den Bildungstrieb, cit., pp. 2425. (Giordanetti, pp. 464-465.) 117 Cfr. Windelband AA V 529-530. Linneo, Systema naturae, Stockholm 176612, vol. I, p. 17: «Politia naturae manifestatur ex tribus naturae regnis simul: quemadmodum enim imperantium causa populi non sunt nati, sed subditorum ordinis servando imperantes constituti, ita vegetabilium causa animalia phytiphaga, phytigorum carnivora, et ex his maiora ob parva, homo (qua animal) ob maxima et singula, sese vero praecipue, saeva mercede conducta tyrannidem exercent, ut proportio cum nitore reipublicae naturae perennet». Carl von Linné (Rashult 1707 - Upsala 1778) studiò a Lund e a Upsala storia naturale, medicina e botanica. Nel 1732, su incarico dell’Accademia delle scienze di Upsala, studiò la vegetazione della Lapponia e pubblicò il resoconto scientifico del suo viaggio nella Flora lapponica (1737) e nella, postuma, Lachesis lapponica (1811). Conseguì il dottorato in medicina in Olanda, a Hardewijk. A Leida pubblicò la prima edizione della sua opera fondamentale, il Systema naturae (1735, 1758-5910, 17889313), come pure Fundamenta botanica (1736), Genera plantarum (1737), Classes plantarum (1738). Insegnò dal 1741 fisica, anatomia e botanica a Upsala. Fu il primo presidente dell’Accademia svedese delle scienze. Si dedicò in particolare al problema della classificazione dei tre regni della natura e soprattutto di quello vegetale. Cominciò con il classificare le piante in base al sistema sessuale, alla struttura e alla disposizione degli stami e dei pistilli. Con la Philosophia botanica (1751) e l’ottava edizione del Systema naturae (1753) introdusse la nomenclatura binomia per le piante (un nome latino per indicare il genere e un aggettivo per identificare la specie). La tassonomia di Linneo si fonda sul postulato della fissità delle specie (tot numeramus species quot a principio creavit infinitum Ens) che venne messa invece in discussione da Buffon con la sua idea della variabilità e degenerazione delle specie (Storia naturale, 1749; Le epoche della natura, 1778) e da Herder con la sua nozione di organismo, di forza organica, che privilegiava lo sviluppo, il mutamento e il dinamismo di tutta la realtà: nella natura nulla «rimane fermo: tutto si sforza e va avanti» (Idee per la filosofia della storia dell’umanità, a cura di V. Verra, Bari 1992, parte I, libro V, capitolo III, p. 79). Nelle sua opere si rinvengono molte considerazioni sull’armonia della natura e sulla perfezione dei disegni divini. (Giordanetti, p. 465.) 118 Cfr. Johann Peter Eberhard e Johann Joachim Winckelmann. (Giordanetti, pp. 465-466.) 119 Petrus Camper, Complementa varia, in «Nova acta academiae scientiarum imperialis Petropolitanae», 1788. (Giordanetti, p. 465.) 120 Rousseau e Henry Home. (Giordanetti, p. 466.) 121 AA XVI 185, Refl. 1989: «Splendida miseria, im Gegensatz mit dem Reichthum, opulentia der Erkenntnis», in italiano nel testo. Cfr. Garroni-Hohenegger, p. 265.

NOTE 116-134 122

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Rousseau e C.I. Castel de Saint-Pierre. (Giordanetti, p. 466.) Rousseau. (Giordanetti, pp. 466-467.) 124 Hume, Home e Sulzer. (Giordanetti, p. 467.) 125 Anassagora. (Giordanetti, p. 467.) 126 Hume. (Giordanetti, p. 467.) 127 Baumgarten, Metaphysica, § 750. (Giordanetti, p. 467.) 128 KrV A 739, B 767. (Giordanetti, p. 467.) 129 L’espressione è ripresa dalla Psychologia empirica, § 506, di Wolff e dalla Metaphysica, § 640, di Baumgarten. (Giordanetti, pp. 467-468.) 130 Il riferimento a Cartesio proviene forse da una sollecitazione di Hermann Samuel Reimarus, Allgemeine Betrachtungen über die Triebe der Thiere, hauptsächlich über ihre Kunsttriebe. Zum Erkenntnis des Zusammenhanges der Welt, des Schöpfers und unser selbst, Hamburg 17622; in ogni caso Kant era in possesso delle Meditationes de prima philosophia e dei Principia philosophiae di Cartesio, cfr. A. Warda, Immanuel Kants Bücher, cit., p. 47. (Giordanetti, p. 468). 131 L. Euler. (Giordanetti, pp. 468-469.) 132 A. Pope e B. Le Bouyer de Fontenelle. (Giordanetti, p. 469.) 133 Consistente documentazione dei luoghi kantiani e degli autori di riferimento. (Giordanetti, p. 469.) 134 Cfr. Windelband AA V 530. Hermann Samuel Reimarus (Amburgo 1694 - 1768), filologo, filosofo e teologo luterano, insegnò lingue orientali al ginnasio di Amburgo. Difese la religione naturale e razionale, in linea con le tendenze tipiche dell’illuminismo, nei confronti delle religioni rivelate. Le sue opere principali sono: Abhandlung von den vornehmsten Wahrheiten der natürlichen Religion (1754); Vernunftlehre, als eine Anweisung zum richtigen Gebrauche der Vernunft in der Erkenntnis der Wahrheit (1756); Allgemeine Betrachtungen über die Triebe der Tiere (1760). I riferimenti di Kant riguardano in particolare la prima e la seconda opera. In questi trattati Reimarus tenta di conciliare, wolffianamente, il sapere razionale con i dettami della fede cristiana, e si rivela come una figura moderata di pensatore che riserva a Dio, inteso come finalità e intelligenza suprema, il compito di realizzare l’armonia dell’universo. Ma c’è anche un altro aspetto di Reimarus: quello di un pensatore che si oppone recisamente alle religioni rivelate e ai loro dogmi. La critica di Reimarus al cristianesimo e alla teologia che ne deriva trova forma, tra il 1745 e il 1768, nella Apologia oder Schutzschrift für die vernünftigen Verehrer Gottes. Lessing pubblicò nei «Beyträge zur Geschichte und Litteratur aus dem Schätzen der Herzoglichen Bibliothek zu Wolfenbüttel», tra il 1774 e il 1778, alcune parti di quest’opera con il titolo Frammenti di un anonimo trovati a Wolfenbüttel, chiamati perciò anche Frammenti di Wolfenbüttel, in cui in particolare sono criticati i miracoli e la religione biblica è interpretata come una sorta di messianismo politico (edizione italiana a cura di F. Parente, I frammenti dell’Anonimo di Wolfenbüttel pubblicati da G.E. Lessing, Napoli 1977). Cfr. G. Lebrun, Kant et la fin de la métaphysique, Paris 1970, pp. 153, 232, 250, 258, 454, 481. (Giordanetti, pp. 469-470.) 123

NOTE AL TESTO ITALIANO DELLA PRIMA INTRODUZIONE 1

Nel cap. III della Dottrina trascendentale del metodo della Kritik der reinen Vernunft, intitolato “L’architettonica della ragion pura” (A 832-851; B 860-879), Kant aveva distinto la critica (definita come una propedeutica) dal sistema della filosofia come conoscenza razionale pura, non derivante da principi empirici: «La legislazione della ragione umana (filosofia) ha due oggetti, la natura e la libertà, e comprende dunque così la legge naturale come la legge morale, in un primo tempo entro due sistemi filosofici separati, che confluiscono alla fine in uno solo. La filosofia della natura si indirizza a tutto ciò che è; la filosofia dei costumi esclusivamente a ciò che deve e s s e r e . L’intera filosofia, inoltre, o è conoscenza che procede dalla ragion pura o conoscenza razionale che deriva da principi empirici. La prima prende il nome di filosofia pura, la seconda di filosofia empirica. La filosofia della ragion pura o è p r o p e d e u t i c a (esercizio preliminare) – che indaga la facoltà della ragione in ordine a qualsiasi conoscenza pura a priori, e si chiama c r i t i c a – o è il sistema della ragion pura (scienza), cioè l’intera conoscenza filosofica (vera o apparente) nella connessione sistematica che riceve dalla sua provenienza razionale pura, e prende il nome di m e t a f i s i c a » (KrV A 840-841; B 868-869; trad. it. di P. Chiodi, cit., p. 628). Questa problematica viene ripresa anche nella seconda sezione dell’introduzione definitiva della Kritik der Urteilskraft. Nella prefazione (p. VI) della KU, Kant porrà in relazione il sistema della critica della ragione pura con il sistema delle facoltà dell’animo. La stessa impostazione si può ritrovare all’inizio della III sezione della Erste Einleitung. Sulla partizione della filosofia si veda anche la Presentazione della Fondazione della metafisica dei costumi e le trascrizioni dei corsi di filosofia morale (AA XXVII): Moral Mongrovius (1782, pp. 1395 ss.) e la Moralphilosophie Collins (1785, pp. 237 ss. ). Cfr. anche la nota 1 a p. 251 della Primera Introducción de la “Crítica del Juicio”, traduzione e introduzione di Nuria Sánchez Madrid, Madrid 2011. 2 Cfr. la Prefazione della Fondazione della metafisica dei costumi e l’Introduzione alle Vorlesungen über die Metaphysik (Pölitz). 3 Il fatto che la filosofia in quanto conoscenza razionale mediante concetti si occupi nella sua parte reale e teoretica degli oggetti della natura presenta la difficoltà di spiegare in che modo questa parte pura abbia comunque a che fare con principi empirici. Ma Kant, al riguardo, nella KrV aveva già spiegato: «Prima di tutto, su che poggia la mia speranza d’una conoscenza a priori (ossia d’una metafisica) di oggetti che risultino dati ai nostri sensi, e quindi a posteriori? Ed in qual modo potremo conoscere la natura delle cose mediante principi a priori, giungendo così a una fisiologia r a z i o n a l e ? Ecco la risposta: all’esperienza

NOTE 1-8

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noi non chiediamo più di quanto sia necessario per d a r c i un oggetto così del senso esterno come dell’interno. Il primo ci è dato attraverso il semplice concetto di materia (estensione impenetrabile e senza vita); il secondo attraverso il concetto d’un essere pensante (nella rappresentazione empirica interna “io penso”). Quanto al resto, nell’intera metafisica degli oggetti dovremo rigorosamente far a meno di tutti i principi empirici che aggiungono al concetto una qualche esperienza e non dovremo dunque fondarci su di essi nel giudicare tali oggetti» (A 847848; B 875-876; trad. it. di P. Chiodi, cit., p. 633). 4 Cfr. Logica (Jäsche), Introduzione, par. 2. 5 Il tono polemico è rivolto alla Philosophia practica universalis mathematica methodo conscripta (Leipzig 1703) di Wolff, ma può essere esteso alla tradizione di scuola che va da Pufendorf a Baumgarten. 6 Kant ritornerà su questa distinzione tra costruzione pura ed empirica dei concetti, come pure sull’argomento della nota finale a questo capoverso, nello scritto, uscito insieme alla KU nella Pasqua del 1790, intitolato Su una scoperta secondo la quale ogni nuova critica della ragion pura sarebbe resa superflua da una più antica. Nella prima sezione dello scritto Kant precisa: «Al fine di prevenire ogni abuso del termine costruzione di concetti, a cui ricorre svariate volte la Critica della ragion pura e per mezzo del quale essa per prima ha distinto con esattezza i modi di procedere seguiti dalla ragione in matematica e in filosofia, possono tornar utili le seguenti precisazioni. In senso generale, si può chiamare costruzione ogni rappresentazione d’un concetto mediante la produzione (spontanea) d’una intuizione che le corrisponda. Se ha luogo attraverso la semplice immaginazione, conformemente ad un concetto a priori, essa vien chiamata pura (è tale quella che il matematico pone a fondamento di tutte le sue dimostrazioni; per questa ragione, sul cerchio descritto sulla sabbia col suo bastone egli, per quanto irregolare possa risultare, riesce a dimostrare così perfettamente le proprietà del cerchio in generale, come se l’avesse inciso sul rame il più esperto degli artisti). Ma se detta costruzione viene eseguita su una qualche materia, la si può chiamare costruzione empirica. La prima la si può anche chiamare schematica, la seconda tecnica. Quest’ultima, in realtà solo impropriamente chiamata costruzione (perché non appartiene alla scienza, bensì all’arte e viene eseguita a mezzo di strumenti), è o geometrica, se ottenuta con l’ausilio di compasso e riga, o meccanica (ad essa sono necessari altri strumenti), come, ad esempio, il tracciato delle sezioni coniche che non siano il cerchio» (Ak VIII, p. 192; trad. it. di G. De Flaviis, in Scritti sul criticismo, Bari 1991, p. 68, nota). Si veda anche il par. 43 della KU e si confronti questa posizione con le teorie di Lambert e di Rüdiger. 7 L’argomento è presente anche nella Risposta a Eberhard (AA VIII, pp. 191-192) e svolto sulla base della comune, al tempo, definizione di «fisica sperimentale», com’è leggibile nell’articolo di D’Alembert presente nell’Enciclopedie. 8 Qui «arte» deriva dal significato greco di techne.

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NOTE AL TESTO ITALIANO DELLA PRIMA INTRODUZIONE

Cfr. Reflexionen 2701, 2709. In questo capoverso, per evitare confusioni nell’uso del termine “pratico”, Kant chiama “tecniche” le proposizioni che riguardano l’esercizio e l’applicazione di una scienza e “pratiche” esclusivamente le proposizioni appartenenti alla filosofia pratica. Su questo argomento Kant ritorna anche nella prima sezione della introduzione definitiva. Nella nota di questo capoverso Kant dichiara poi di aver commesso un errore che derivava appunto dall’esigenza di distinguere le proposizioni pratiche da tutte quelle altre che sono relative all’esercizio delle altre scienze e che si chiamano perciò tecniche. Ma questa precisazione Kant l’aveva già indicata nella Fondazione della metafisica dei costumi, quando aveva scritto che le regole dell’abilità sono imperativi tecnici (cioè propri dell’arte) (BA 44; trad. it. di P. Chiodi, Utet, Torino 1986, p. 74). Questa distinzione ha un lungo sviluppo in Kant. Si può ricordare innanzitutto la Vorlesung Kants über Ethik, pubblicata nel 1924 da Paul Menzer, che raccoglie le lezioni di etica tenute da Kant nel 1775-1781. Nel proemio a queste lezioni che seguono l’esposizione dell’etica di Baumgarten (Initia philosophiae practicae prima, 1760; Ethica philosophica, 1740), la distinzione tra filosofia teoretica e pratica non viene effettuata in base al fine (come può avvenire per esempio in una scienza in cui si può distinguere una parte teoretica e una applicativa: una meccanica teoretica e una pratica), ma in base all’oggetto, per cui «la filosofia pratica è tale non in virtù della forma, ma dell’oggetto di cui si occupa, cioè le azioni e la condotta libere. La sfera teoretica riguarda la conoscenza, quella pratica la condotta. Fatta astrazione dagli obiettivi, la filosofia della condotta è quella che ci offre le regole del retto uso della libertà; e ciò costituisce appunto l’oggetto della filosofia pratica, senza alcun riferimento agli scopi particolari. Come la logica tratta dell’uso dell’intelletto prescindendo dai contenuti, così la filosofia pratica tratta dell’uso del libero arbitrio non badando ai fini, ma in completa indipendenza da essi. La logica ci offre le regole per l’uso dell’intelletto, la filosofia pratica quelle per l’uso della volontà» (trad. it. di A. Guerra, Lezioni di etica, Laterza, Bari 1984, pp. 3-4). In seguito Kant precisa che le regole pratiche sono di tre tipi: regole dell’abilità, della prudenza e della moralità. E poiché ogni regola pratica oggettiva viene espressa da un imperativo, vi sono dunque tre specie di imperativi: dell’abilità, della prudenza e della moralità (trad. it. cit. p. 6). Gli imperativi dell’abilità sono problematici, gli imperativi della prudenza pragmatici, gli imperativi della moralità etici. Gli imperativi problematici dell’abilità «attestano che in una regola risulta indicata una necessità del volere in vista di un fine prescelto. I mezzi sono enunciati assertoriamente, ma i fini sono problematici: per esempio, la geometria pratica contiene imperativi di questo tipo e se, per fare dei casi, si voglia costruire un triangolo, un quadrato o un esagono, si deve procedere secondo regole conseguenti: v’è quindi un fine desiderato secondo mezzi definiti. In conclusione, la geometria, la meccanica e tutte le scienze pratiche in genere contengono imperativi dell’abilità» (ibidem). Ma se la necessità dell’uso dei mezzi è condizionata dal fine 10

NOTE 9-15

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proposto, ciò significa che gli imperativi dell’abilità, pur essendo formulati in modo assertorio, in realtà comandano solo ipoteticamente. Gli imperativi della prudenza prescrivono i mezzi per raggiungere la felicità e sono pertanto chiamati pragmatici. Essi «non comandano sotto una condizione problematica, ma sotto una condizione assertoria, universale e necessaria, presente in ogni uomo. Io non dico: “Supposto che tu voglia essere felice, tu devi agire così e così”; ma, poiché ognuno vuol essere felice, ognuno deve ben osservare quanto è da tutti presupposto. Si tratta di una condizione soggettivamente necessaria; io non dico, infatti: “Tu devi essere felice”, perché allora si tratterebbe di una condizione oggettivamente necessaria, ma dico: “Poiché vuoi essere felice, devi agire così e così”» (ibi, p. 7). L’oggettività è invece raggiunta soltanto nell’imperativo della moralità: «Noi possiamo però concepire ancora un imperativo, per il quale il fine è raggiunto sotto una condizione che non comanda soggettivamente, ma oggettivamene, come appunto è il caso degli imperativi morali […]. L’imperativo morale comanda dunque assolutamente, senza riguardo ai fini» (ibi, pp. 7-8). È in base a queste specificazioni che nella Fondazione della metafisica dei costumi Kant potrà distinguere l’imperativo ipotetico da quello categorico. L’imperativo ipotetico è problematicamente pratico se l’azione è in vista di uno scopo possibile, assertoriamente pratico se l’azione è in vista di uno scopo reale. L’imperativo categorico presenta un’azione oggettivamente necessaria per se stessa a prescindere da qualsiasi scopo ed è perciò apodittico, comanda immediatamente la condotta. Alle regole dell’abilità, ai consigli della prudenza, ai comandi della moralità corrispondono perciò gli imperativi tecnici (propri dell’arte), prammatici (propri del benessere), morali (propri della libera condotta in generale, cioè dei costumi) (Fondazione della metafisica dei costumi, cit., p. 74). 11 La prima Critica aveva già determinato che le facoltà che costituiscono la conoscenza sono sensibilità, immaginazione e intelletto. 12 La designazione di «facoltà superiore» è wolffiana e usata anche da Baumgarten nella Metaphysica, par. 624. Kant invece usa la distinzione inferiore e superiore in basa alla funzione più o meno autonoma che le facoltà svolgevano nel processo conoscitivo, come è attestato nell’Antropologia pragmatica, par. 40. 13 AA XV, p. 439, n. 994. Cfr. lettera a Beck del 4 dicembre 1792. 14 KU Introduzione sez. VIII e par. 17, 72, 78, 80. 15 La stesura originaria di questo paragrafo (depennata fino a «secondo luogo») dice così: «La filosofia, come s i s t e m a reale d e l l a c o n o s c e n z a a priori d e l l a n a t u r a mediante concetti, non acquisisce in tal modo alcuna parte nuova: infatti quella considerazione appartiene alla parte teoretica della filosofia. Ma è la critica della p u r a f a c o l t à d i c o n o s c e r e ad arricchirsi di una parte che sicuramente è quanto mai necessaria, con la quale in primo luogo i giudizi sulla natura, il cui principio di determinazione potrebbe facilmente essere annoverato tra i giudizi empirici, sono separati da questi ultimi e in secondo luogo altri giudizi, che facilmente sono ritenuti r e a l i e come determinazione

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NOTE AL TESTO ITALIANO DELLA PRIMA INTRODUZIONE

degli oggetti della natura, se ne distinguono e sono riconosciuti come f o r m a l i , cioè in quanto regole della mera riflessione sulle cose della natura e non della loro determinazione secondo principi oggettivi». 16 La tricotomia della facoltà dell’animo compare nella lettera a Reinhold del 28 dicembre 1787. 17 Il riferimento è a Leibniz e a Wolff. 18 Queste formule tradizionali riprese da Carl von Linné (17071778) ebbero larga diffusione in K.F. Wolff, J.F. Blumenbach, A. Batsch, P.S. Pallas. 19 Logica in AA IX, p. 15; AA XV, p. 384, n. 876: «Facultas diiudicandi per sensum communem est gustus». 20 Gli esempi tratti dalla psicologia animale sono molteplici. 21 Il riferimento alla scuola aristotelica vale ad esempio per Physica, 193 a 28-193 a 31; 209 a 31-209 b 5; 210 a 5-210 a 9; De caelo, 277 b 29278 a 6; 278 a 13-278 a 15; De generatione et corruptione, 335 a 14-335 a 20; 335 b 5-335 b 7; De anima, 412 a 6-412 a 11; 414 a 4-414 a 14; De generatione animalium, 730 b 8-730 b 19; Metaphysica, 999 b 6-999 b 16; 1029 a 2-1029 a 7; 1055 b 11-1055 b 17; 1060 b 25-1060 b 28; 1077 a 32-1077 a 36. 22 KU par. 58. 23 Cfr. J.G. Sulzer, Allgemeine Theorie der schönen Künste, Leipzig 1771-1774, vol. I; M. Mendelssohn, Morgenstunden, oder Vorlesungen über das Dasein Gottes, Berlin 1785, vol. II, p. 295; A. Baumgarten, Aesthetica, Frankfurt a. d. O. 1750-1758, 2 voll. 24 KU par. 35 e 39. 25 KU par. 22. 26 KpV, parte I, libro I, cap. III. 27 KU parr. 47 e 65; cfr. R. Cudworth, True intellectual System of the Universe, London 1678; J.G. Herder, Plastik. Einige Wahrnehmungen ueber Form und Gestalt, Riga 1778; trad. it. di G. Maragliano, Plastica, Palermo 1994. 28 KU, par. 81. 29 E. Burke, A philosophical Inquiry into the Origins of our Ideas on the Sublime and Beautiful, London 1756, tradotto da Garve nel 1773; cfr. Osservazioni sul bello e sul sublime, 1764.

INDICE DEI NOMI CITATI DA KANT*

INDICE DEI NOMI DELLA KU Anassagora: 274 Antichi: 138, 404 Batteux Charles: 141 Blumenbach Johann Friedrich: 378 Burke Edmund: 128 Camper Petrus: 175, 386 Cicerone Marco Tullio: 218 Colombo Cristoforo: 175

Platone: 273 Policleto: 59 Reimarus Hermann Samuel: 471 Saussure Horace-Bénédict de: 111, 127 Savary Claude-Etienne de: 87 Segner Johann Andreas: 197 Spinoza Baruch: 322, 325, 327, 427 Spinozismo : 325, 373 Voltaire: 228

Democrito: 322 Descartes René: 449

Wieland Christoph Martin: 184

Epicuro: 129, 223, 228, 322,324 Euler Leonhard: 40 INDICE DEI NOMI DELLA EE Federico II: 196 Hume David: 143, 203, 372 Lessing Gotthold Ephraim: 141 Linné Carl von: 383 Locke John: 257

Aristotelica, scuola: 20, Anm. [AA 215] Burke Edmund: 47 [AA 238] Linné Carl von: 20, Anm. [AA 215]

Marsden William : 72 Mirone: 59 Newton Isaac: 183, 184, 338 Omero: 184

* I numeri di pagina indicati sono quelli dell’originale.

GLOSSARIO TEDESCO-ITALIANO

Abbruch, compromettere, pregiudicare, nuocere Aberglaube, superstizione abgezogen, astratto Abgötterei, idolatria abhängig, dipendente ableiten, derivare, dedurre Abriß, sinossi Absicht, intento, intenzione (in Absicht, rispetto a, dal punto di vista di) absichtlich, intenzionale absolut, assoluto Absonderung, astrazione, separazione Abteilung, sezione Achtung, rispetto adäquat, adeguato Affekt, affetto Affektlosigkeit, indifferenza, mancanza di affetto affizieren, influenzare, modificare Aggregat, aggregato Akzidenz, accidente Algebra, algebra all, tutto, ogni Allegorie, allegoria Allgegenwart, onnipresenza allgemein, universale allgemeingültig, universalmente valido Allgemeingültigkeit, validità universale Allgemeinheit, universalità Allheit, totalità Allmacht, onnipotenza Allwissenheit, onniscienza Analogie, analogia analogon, analogo

Analytik, analitica analytisch, analitico Anatomie, anatomia Anblick, vista, visione, veduta Anfang, inizio anführen, condurre, addurre angeben, dare, fornire angemessen, adeguato, commisurato Angemessenheit, adeguatezza angenehm, gradevole anhängend, aderente anhänglich, congiunto Anlage, attitudine (morale), predisposizione (biologica) anmassen (sich), pretendere Anmaßung, presunzione, esigenza Anmerkung, nota Annahme, assunzione annehmen, assumere, ammettere, supporre Annehmlichkeit, gradevolezza Annehmung, accettazione Anordnung, ordinamento Anreiz, stimolo Anschauung, intuizione Anschein, apparenza ansehen, riguardare Ansehung, riguardo Ansicht, veduta ansinnen, esigere, richiedere Anspruch, pretesa, esigenza Anthropologie, antropologia Anthropomorphismus, antropomorfismo Anthropophobie, antropofobia Antinomie, antinomia Antithesis, antitesi antreffen, incontrare, trovare

870 Anweisung, istruzione, direttiva Anwendung, applicazione Anziehung, attrazione apodiktisch, apodittico Apprehension, apprensione Archäologie, archeologia architektonisch, architettonico Argument, argomento Arithmetik, aritmetica Art, specie, modo, tipo Artikulation, articolazione Ästhetik, estetica ästhetisch, estetico Äther, etere Attribut, attributo auffassen, apprendere, concepire Auffassung, apprensione Aufgabe, compito, impegno Aufklärung, illuminismo Auflösung, soluzione, risoluzione aufnehmen, accogliere aufstellen, stabilire Ausdehnung, estensione Ausdruck, espressione Ausführlichkeit, ricchezza di dettagli ausmachen, stabilire, fissare, costituire, comporre aussagen, enunciare äußer, esterno außer, tranne äußerlich, esteriore Autokratie, autocrazia Autonomie, autonomia Bajahung, affermazione Bau, struttura Baukunst, architettura Bedeutung, significato Bedingung, condizione Bedürfnis, bisogno befassen (sich), occuparsi Befolgung, diritto, osservanza befördern, promuovere, propiziare Beförderung, promozione befriedigen, soddisfare Befugnis, autorizzazione, diritto, competenza

GLOSSARIO TEDESCO-ITALIANO

Begattung, accoppiamento, fecondazione Begehrung, desiderio Begehrungsvermögen, facoltà di desiderare Begierde, voglia, brama begreifen, capire, comprendere, afferrare, cogliere Begriff, concetto Behuf (zum), a vantaggio di, in favore di Beifall, approvazione beilegen, accludere, ascrivere beipflichten, approvare, concordare Beispiel, esempio Beistimmung, consenso Beitritt, adesione bekommen, ricevere, ottenere beleben, vivificare, ravvivare Belebung, vivificazione bemerken, notare, avvertire beobachten, osservare Beobachtung, osservazione berechtigen, legittimare, autorizzare Beredheit, eloquenza Beredsamkeit, eloquenza, oratoria beruhen, basarsi Beschaffenheit, costituzione, proprietà costitutiva Beschäftigung, attività Beschauung, visione beschreiben, descrivere Beschreibung, descrizione besondere, particolare, speciale bestehen, sussistere, consistere Bestimmbarkeit, determinabilità bestimmen, determinare bestimmend, determinante Bestimmung, determinazione, destinazione Bestimmungsgrund, principio di determinazione Bestrebung, tensione, sforzo, aspirazione betrachten, considerare, riguardare Betrachtung, considerazione betreffen, concernere, competere

ANWEISUNG

– EINGESCHRÄNKT

Betrübnis, afflizione, tristezza beurteilen, valutare Beurteilung, valutazione Beurteilungsvermögen, facoltà di valutare Bewegung, movimento, moto Beweis, prova, dimostrazione beweisen, provare, dimostrare Beweisgrund, argomento dimostrativo bewirken, produrre effetti Bewunderung, ammirazione bewußt, cosciente, consapevole Bewußtsein, coscienza, consapevolezza bezeichnen, contrassegnare, designare Beziehung, riferimento, relazione Bild, immagine bildend, figurativo Bildhauerkunst, scultura Bildung, formazione Bildungskraft, forza formatrice Bildungstrieb, istinto, impulso formativo Bildwerk, opera d’arte Billigung, approvazione bloß, semplice Boden, territorio, suolo bringen, portare bürgerlich, civile Charackterism, caratterisma Charakter, carattere charakteristich, caratteristico Chiffreschrift, crittografia Contemplation, contemplazione contemplativ, contemplativo Dämonologie, demonologia Dankbarkeit, riconoscenza darlegen, presentare darstellen, esibire Darstellung, esibizione Darstellungsvermögen, facoltà di esibizione dartun, comprovare

871 Dasein, esistenza, esserci Dauer, durata Deduktion, deduzione Definition, definizione Deism, deismo Demonstration, dimostrazione demonstrieren, dimostrare Demut, umiltà, modestia denken, pensare Denkungsart, modo di pensare deutlich, distinto Deutlichkeit, distinzione, chiarezza Dialektik, dialettica Diätetik, dietetica dichten, figurare, poetare, inventare Dichtkunst, arte della poesia dienen, servire Ding, cosa diskursiv, discorsivo disputieren, disputare Disziplin, disciplina Dogmatiker, dogmatico dogmatisch, dogmatico Doktrin, dottrina dunkel, oscuro durchgängig, completo, corrente, comune, esaustivo dynamisch, dinamico edel, nobile Edukt, eduzione, edotto egoistisch, egoistico Ehrbarkeit, onestà Ehrbegierde, desiderio di reputazione Ehrfurcht, terror sacro Eigenschaft, proprietà, qualità eigentlich, proprio eigentümlich, peculiare Eigentümlichkeit, peculiarità Einbildung, immaginazione Einbildungskraft, forza di immaginazione Eindruck, impressione Einfalt, semplicità Einfluß, influenza, influsso eingeschränkt, confinato

872 Einheit, unità einhellig, concorde Einhelligkeit, concordia, concordanza (tra uomini), accordo (tra facoltà), unanimità Einleitung, introduzione Einrichtung, struttura, disposizione Einschachtelung, inscatolamento Einschränkung, limitazione, restrizione einsehen, discernere, scorgere Einsicht, discernimento, perspicuità einstimmig, in accordo Einstimmigkeit, consonanza Einstimmung, accordo, concordanza Einteilung, divisione Einwurf, obiezione einzeln, singolare Ekel, disgusto Ektypon, ectipo Eleganz, eleganza Elementarlehre, dottrina degli elementi Ellipse, ellisse empfänglich, ricettivo Empfänglichkeit, ricettività empfindbar, sensibile, percettibile Empfindelei, sdolcinatezza, sentimentalismo Empfindung, sensazione empirisch, empirico Empirism, Empirismus, empirismo Endabsicht, intento finale endlich, finito Endursache, causa finale Endzweck, fine definitivo entbehrlich, non indispensabile Entgegensetzung, contrapposizione enthalten, contenere Enthusiasmus, entusiasmo entspringen, provenire Entwicklung, sviluppo enzyklopädisch, enciclopedico Epigenesis, epigenesi Erbauung, costruzione, edificazione Erde, terra

GLOSSARIO TEDESCO-ITALIANO

Erdichtung, invenzione erfahren, esperire, avvertire Erfahrung, esperienza erforderlich, richiesto Erfordernis, esigenza erforschen, esaminare, indagare ergänzen, integrare, completare Ergötzung, diletto Erhabene, sublime Erhabenheit, sublimità erkennen, conoscere Erkenntnis, conoscenza, vollständige (cognitio adaequata) Erkenntniskräfte, forze conoscitive Erkenntnisvermögen, facoltà di conoscere (ambito), facoltà conoscitive (intelletto, forza di giudizio, ragione) erklären, spiegare, definire Erklärung, spiegazione, definizione Erklärungsgrund, principio di spiegazione erörtern, esporre, discutere Erörterung, esposizione erreichen, raggiungere, conseguire Erscheinung, fenomeno, apparizione erwarten, prevedere, aspettarsi erweisbar, provabile, dimostrabile erweisen, provare erweislich, dimostrabile erweitern, estendere, ampliare Erweiterung, estensione, ampliamento erzeugen, generare Erzeugung, produzione, generazione Erzieher, educatore Ethikotheologie, eticoteologia Etwas, qualcosa Evolution, evoluzione Ewigkeit, eternità exemplarisch, esemplare Existenz, esistenza Experiment, esperimento exponieren, esporre Exposition, esposizione Fähigkeit, capacità

EINHEIT

– GESETZGEBUNG

fällen, emettere, pronunciare Farbe, colore Farbenkunst, colorito fassen, cogliere faßlich, coglibile Fassungskraft, forza di cogliere Fatalismus, fatalismo Feld, campo Feldmeßkunst, agrimensura Figur, figura figürlich, figurale, in modo figurato Flüssigkeit, liquidità, fluidità Folge, conseguenza, successione folgern, derivare Folgerung, inferenza, conseguenza fordern, esigere, richiedere Form, forma formal, formale formlos, privo di forma Fortgang, sviluppo, processo, procedere Fortpflanzung, riproduzione, propagazione Freiheit, libertà freiwillig, volontario Freude, gioia Frieden, pace Frohsein, letizia, ilarità Fruchbarkeit, fecondità fühlbar, percettibile fühlen, sentire Furcht, timore furchtbar, terribile Fürwahrhalten, tener per vero Ganze, tutto, intero, totalità Gartenkunst, giardinaggio Gattung, genere Gebärdung, gesto Gebet, preghiera Gebiet, dominio Gebot, comandamento, comando Gebrauch, uso Gedanke, pensiero Gedicht, poesia gefallen, piacere Gefühl der Lust und Unlust, sen-

873 timento del piacere e dispiacere Gefühl, sentimento Gegensatz, antitesi, opposizione Gegenstand, oggetto Gegenteil, contrario Geist, spirito Geiz, avarizia Gelehrigkeit, docilità gemäß, conforme gemein, comune Gemeingültigkeit, validità comune gemeiniglich, comunemente Gemeinschaft, comunanza, comunità Gemeinsinn, senso comune Gemeinwesen, essenza comune Gemüth, animo Gemütsart, indole Gemütsbewegung, moto dell’animo Gemütseigenschaft, proprietà dell’animo Gemütskraft, forza dell’animo Gemütsstimmung, disposizione d’animo Gemütsverfassung, condizione d’animo Gemütszustand, stato dell’animo (stato d’animo ha senso psicologico) Genie, genio genießen, godere Genuß, godimento Geographie, geografia Geometer, geometra Geometrie, geometria geometrisch, geometrico Gesang, canto Geschäft, compito, attività, scambio Geschichte, storia Geschicklichkeit, abilità, destrezza Geschmack, gusto Geschmacksurteil, giudizio di gusto gesellig, socievole Geselligkeit, socievolezza Gesellschaft, società Gesetz, legge Gesetzgebung, legislazione

874 gesetzlich, legale, secondo leggi Gesetzlichkeit, legalità gesetzmäßig, conforme alla legge Gesetzmäßigkeit, conformità alla legge Gesinnung, atteggiamento, convinzione Gestalt, forma, figura, configurazione Gestikulation, gesticolazione Gewächsreich, regno vegetale Gewalt, violenza, potestà, potere gewiß, certo Gewißheit, certezza Glaube, fede Glaubenssache, cosa di fede Gleichartigkeit, omogeneità Gleichförmigkeit, regolarità, uniformità Gleichheit, uguaglianza gleichsam, quasi, per così dire Glückseligkeit, felicità Glücksspiel, gioco di fortuna Gott, Dio Gotteslehre, dottrina di Dio, teologia Gottheit, divinità Götzendienst, venerazione Grade, grado Grammatik, grammatica gräßlich, mostruoso, orribile Grenzbestimmung, determinazione del limite Grenze, limite groß, grande Grösse, grandezza, quantità Grössenschätzung, stima della grandezza Groteske, grottesco Grund, fondamento, principio gründen, fondare Grundlage, fondazione Gründlichkeit, fondatezza Grundmaß, misura base Grundsatz, principio fondamentale, tesi, proposizione fondamentale, legge

GLOSSARIO TEDESCO-ITALIANO

gültig, valido Gültigkeit, validità Gunst, favore Gut (das höchste Gut), sommo bene gut, buono halten, tenere handeln, agire Handelsgeist, spirito operativo Handlung, azione, operazione Handwerk, mestiere, artigianato Hang, tendenza, propensione Harmonie, armonia harmonisch, armonico häßlich, brutto Häßlichkeit, bruttezza Hauswirtschaft, economia domestica Heautonomie, eautonomia Heiligachtung, sacro rispetto hergeben, rendere, prestare hervorbringen, produrre Hervorbringung, produzione Heterogeneität, eterogeneità Heteronomie, eteronomia hinreichend, sufficiente höchst, sommo Hoffnung, speranza Homogeneität, omogeneità Humanität, umanità Hylozoismus, ilozoismo Hyperphysik, iperfisica Hypothese, ipotesi hypothetisch, ipotetico Hypotypose, ipotiposi Ideal, ideale Idealism, idealismo Idealität, idealità Idee, idea Idol, idolo Idolatrie, idolatria immanent, immanente Imperative, imperativo Inbegriff, insieme, aggregato Individuum, individuo

GESETZLICH

– LUXUS

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jede, ogni, chiunque jederman, ognuno jederzeit, in ogni tempo jemand, qualcuno jener, quello

dungskraft, Erkenntniskraft, Gemütskraft, Fassungskraft, Lebenskraft, Urteilskraft, Vorstellungskraft, Zeugungskraft) Krieg, guerra Kristallisation, cristallizzazione Kritik, critica Kritiker, critico kritisch, critico Kultur, cultura Kunst, arte Kunstinstinkt, istinto artistico Künstler, artista künstlich, artificiale, ad arte, artistico Kunstprodukt, prodotto artistico Kunstschönheit, bellezza artistica Kunstwerk, opera d’arte

Kaminfeuer, focolare Karikatur, caricatura Kasualität, casualità Kategorie, categoria kategorisch, categorico Kausalität, causalità kennen, avere nozione Kenntnis, cognizione klar, chiaro Klassifikation, classificazione klassisch, classico klein, piccolo Klugheit, prudenza kolossal, kolossalisch, colossale Komposition, composizione Konfiguration, configurazione konsequent, consequenziale, coerente konstitutiv, costitutivo konstruiren, costruire Konstruktion, costruzione Kontemplation, contemplazione kontemplativ, contemplativo Kontinuität, continuità Körper, corpo Körperlehre, dottrina dei corpi körperlich, corporeo Kraft, forza (Bildungskraft, Einbil-

Lachen, riso Lage, sito (situs) Landwirtschhaft, agricoltura Laune, umore launicht, umoristico launig, umorista launisch, lunatico, umorale Leben, vita, vitalità Lebewesen, essere vivente lebhaft, vivace Lebhaftigkeit, vivacità leblos, senza vita lediglich, unicamente Lehnsatz, lemma Lehrart, metodo d’insegnamento Lehrgedicht, poesia Lehrsatz, proposizione didattica Leidenschaft, passione Leitfaden, filo conduttore letzt, ultimo letzter Zweck, fine ultimo Liberalität, liberalità Liebe, amore, compiacenza Logik, logica logisch, logico Lust, piacere Lustgärtnerei, arte dei giardini Luxus, lusso

innere, interno innerlich, interiore insgesamt, nel complesso Instinkt, istinto Intellectus, intelletto intellektuell, intellettuale Intelligenz, intelligenza intelligibel, intelligibile Intentionalität, intenzionalità Interesse, interesse intuitiv, intuitivo Involution, involuzione

876 Macht, potenza Malerei, pittura Manier, maniera mannigfaltig, molteplice, vario Mannigfaltigkeit, molteplicità, varietà Maschine, macchina Maß, misura Maßstab, unità di misura material, materiale Materialismus, materialismo Materie, materia materiell, materiale, tangibile Mathematik, matematica mathematisch-Erhaben, sublime matematico Maxime, massima Mechanik, meccanica mechanisch, meccanico mechanisch/teleologisch, meccanico/teleologico Mechanism, meccanismo meinen, opinare Meinung, opinione Melodie, melodia Menge, quantità Mensch, uomo Menschenverstand, senno Menschheit, umanità Merkmal, nota, carattere merkwürdig, notevole, rilevante Meßkunst, agrimensura Messung, misurazione Metaphysik, metafisica Methode, metodo Methodologie, metodologia Mimik, mimica Mineralien, minerali Misanthropie, misantropia Mischung, mescolanza, miscuglio Mißfallen, dispiacimento Mißgeburt, aborto, deforme mitteilbar, comunicabile Mitteilbarkeit, comunicabilità mitteilen, comunicare Mitteilung, comunicazione mittelbar, mediato

GLOSSARIO TEDESCO-ITALIANO

Mittelglied, termine medio Modalität, modalità Modulation, modulazione Möglichkeit, possibilità Moment, momento Moral, morale moralisch-praktisch, pratico morale Moralität, moralità Motion, mozione Musik, musica Muster, modello Mut, coraggio Nachäffung, contraffazione, scimmiottatura nachahmen, imitare Nachahmung, imitazione nachdenken, riflettere Nachfolge, successione nachfolgen, seguire nachforschen, indagare Nachforschung, indagine, investigazione, esplorazione Nachmachung, copiare Nachsuchung, indagine Nachurtheil, giudizio discorsivo nachweisen, accreditare Naivität, ingenuità Namenerklärung, definizione nominale Natur, natura Naturabsicht, intenzione della natura Naturanlage, predisposizione naturale Naturbegriff, concetto di natura Naturbeschreibung, descrizione naturale Naturbestimmung, destinazione naturale Naturform, forma naturale Naturgeschichte, storia naturale Naturgesetz, legge naturale Naturlehre, dottrina naturale natürlich, naturale Naturphilosophie, filosofia della natura

MACHT

– REFLEKTIEREND

Naturprodukt, prodotto della natura Naturschönheit, bellezza naturale Naturvermögen, facoltà naturale Naturwissenschaft, scienza della natura Naturzweck, fine della natura, fine naturale Nebelsterne, stella nebulosa negativ, negativo Neigung, inclinazione Nexus, nesso Nomothetik, nomotetica nomothetisch, nomotetico Normalidee, idea normale notwendig, necessario Notwendigkeit, necessità Noumenon, noumeno Nutzbarkeit, utilizzabilità nützlich, utile Nützlichkeit, utilità ober, superiore oberste, supremo Objekt, oggetto objektiv, oggettivo, obiettivo Ohnmacht, impotenza Okkasionalism, occasionalismo ontologisch, ontologico Ordnung, ordine Organ, organo Organisation, organizzazione organisch, organico organisieren, organizzare Originalität, originalità Ort, luogo (locus) Pantheismus, panteismo Parabel, parabola Parergon, parergon pathologisch, patologico Pflicht, dovere Phänomen, fenomeno Phantasie, fantasia, immaginazione involontaria Physik, fisica Physikotheologie, fisicoteologia

877 physiologische, fisiologico physisch, fisico Plastik, plastica pluralistisch, pluralistico Pneumatologie, pneumatologia Poesie, poesia positiv, positivo Postulat, postulato postulieren, postulare prädeterminieren, predeterminare Prädikat, predicato Präformation, preformazione pragmatisch, pragmatico praktisch, pratico Prästabilism, prestabilismo Predigt, predica Prinzip, principio privat, privato problematisch, problematico Produkt, prodotto Progression, progressione Propädeutik, propedeutica Proportion, proporzione Psychologie, psicologia psychologisch, psicologico qualifizieren (sich), qualificarsi Qualität, qualità Quantität, quantità Quantum, quanto

adeguarsi,

Rahmen, cornice Rang, funzione rational, razionale Rationalism, razionalismo Raum, spazio real, reale Realism, realismo Realität, realtà Recht, diritto rechtfertigen, giustificare Rechtsgrund, fondamento di diritto Redekunst, retorica Rednerkunst, oratoria reflektieren, riflettere reflektierend, riflettente

878 Reflexion, riflessione Regel, regola regelmäßig, regolare Regelmäßigkeit, regolarità Regierung, governo Regressus, regresso regulativ, regolativo Reich, regno Reihe, serie rein, puro Reiz, attrattiva, grazia Relation, relazione relativ, relativo Religion, religione Revolution, rivoluzione Rezeptivität, ricettività Rhetorik, retorica richtig, giusto, corretto Richtigkeit, giustezza, correttezza Richtmaß, criterio Richtschnur, norma Roman, romanzo Rückblick, visione Rücksicht, prospettiva Rührung, emozione Sache, cosa Satz des Widerspruchs, principio di contraddizione Satz, proposizione, tesi, principio Säulengang, colonnato Schall, vibrazione acustica schätzen, stimare Schätzung, stima Schauspiel, dramma, lavoro teatrale Schein, parvenza Scheinbarkeit, verosimiglianza Schema, schema schematisch/technisch, schematico/tecnico Schematism, schematismo Scheu, terrore Schicklichkeit, convenienza schicklich, conveniente Schlaf, sonno schlechthin, assolutamente schließen, inferire, dedurre

GLOSSARIO TEDESCO-ITALIANO

Schluß, inferenza Schmerz, dolore Schmuck, ornamento, decorazione, orpello schön, bello Schönheit freie und anhängende, bellezza libera ed aderente Schönheit, bellezza Schöpfung, creazione Schranke, confine Schreck, spavento Schwärmen dichterisch, fantasticare poeticamente Schwärmerei, fanatismo, esaltazione schwer, pesante Seele (schöne Seele), anima bella Seelenlehre, dottrina dell’anima Seelenvermögen, facoltà dell’anima Sehnsucht, anelito struggente Sein, essere Selbst, sé, persona Selbstbewußtsein, autocoscienza Selbsterhaltung, autoconservazione Selbstliebe, amore di sé selbstständig, indipendente, autonomo Sinn, senso Sinnenempfindung, sensazione Sinnengenuß, piacere dei sensi Sinnengeschmack, gusto dei sensi Sinnenreiz, attrattiva sensoriale Sinnenschein, parvenza dei sensi Sinnenurteil, giudizio dei sensi Sinnenwahrheit, verità dei sensi Sinnenwelt, mondo sensibile Sinnenwesen, essere sensibile Sinnesart, modo di sentire sinnlich, sensibile Sinnlichkeit, sensibilità Sitten, costumi Sittengefühl, senso morale Sittengesetz, legge morale Sittenlehre, dottrina dei costumi Sittenvorschrift, precetto morale sittlich, morale Sittlichkeit, moralità, eticità Skeptizism, scetticismo

REFLEXION

– UNANGEMESSENHEIT

Sollen, dovere Sparsamkeit, parsimonia Species, specie Spekulation, speculazione spekulativ, speculativo Spezifikation, specificazione Spiel, gioco Spontaneität, spontaneità Sprache, linguaggio Staat, Stato Staatswirtschaft, economia statale starr, rigido Stetigkeit, continuità Stimme, voce stimmen, disporre Stimmung, disposizione Stoff, materiale, materia costitutiva Streben, tendere streiten, discutere Subjekt, soggetto subjektiv, soggettivo Subreption, surrezione Subsistenz, sussistenza Substanz, sostanza Substrat, sostrato subsumieren, sussumere Subsumtion, sussunzione Sukzession, successione Superstition, superstizione Symbol, simbolo symbolisch, simbolico synthetisch, sintetico System, sistema systematisch, sistematico Talent, talento Tanz, danza Tat, atto Tätigkeit, attività Tatsache, cosa di fatto tauglich, idoneo, adatto Tauglichkeit, idoneità Täuschung, illusione Technik, tecnica technisch, tecnico technisch-praktisch, pratico tecnico Teil, parte

879 Teleologie, teleologia teleologisch, teleologico Theism, teismo Theologie, teologia theologisch, teologico theoretisch, teoretico Theorie, teoria Theosophie, teosofia Thesis, tesi Tierreich, regno animale Ton, suono Tonkunst, arte musicale Tonspiel, gioco acustico Totalität, totalità transzendent, trascendente transzendental, trascendentale Trauerspiel, dramma, tragedia Traum, sogno Traumspiel, gioco onirico Traurigkeit, tristezza Trieb, impulso, istinto Triebfeder, movente Tugend, virtù Übereinkommen, convenire, coincidere übereinstimmen, concordare Übereinstimmung, accordo, concordanza Übergang, passaggio überhaupt, in genere Überlegung, riflessione überreden, persuadere, convincere Überredung, persuasione, convinzione überschreiten, oltrepassare, trascendere Überschritt, superamento überschwenglich, eccedente, esaltato übersinnlich, soprasensibile Übertretung, trasgressione Überzeugung, convinzione Umfang, comprensione, estensione, portata unabhängig, indipendente unabsichtlich, inintenzionale Unangemessenheit, inadeguatezza

880 unangenehm, sgradevole Unannehmlichkeit, sgradevolezza unbedingt, incondizionato unbegrenzt, illimitato unbestimmt, indeterminato Undeutlichkeit, mancanza di distinzione Unding, non cosa, assurdità unendlich, infinito unentbehrlich, indispensabile unermesslich, smisurato Unermesslichkeit, smisuratezza unfähig, incapace ungeachtet, malgrado, nonostante ungeheur, mostruoso Unglaube, incredulità Ungleichartigkeit, divergenza Unlust, dispiacere unmittelbar, immediato unmöglich, impossibile Unsinn, nonsenso Unsterblichkeit, immortalità untereinander, l’un l’altro unterhalten, intrattenere unterlegen, inferiore, mettere sotto unterscheiden, distinguere Unterscheidung, distinzione Unterschied, differenza unterschieden, differente Untersuchung, ricerca, indagine, esame unvermeidlich, inevitabile Unvollkommenheit, imperfezione unvollständig, incompleto Unzulänglichkeit, insufficienza, scarsità unzweckmäßig, non conforme al fine Unzweckmäßigkeit, non conformità al fine Üppigkeit, rigoglio, dovizia Urbild, archetipo urbildlich, archetipico Urgrund, fondamento originario Urheber, autore, artefice Urmutter, madre originaria Ursache, causa

GLOSSARIO TEDESCO-ITALIANO

Ursprung, origine ursprünglich, originario Urteil, giudizio Urteil, ästhetisches (giudizio estetico), anschauuendes (giudizio intuitivo, iudicium intuitivum), theleologisches (giudizio teleologico) Urteilskraft, forza di giudizio Urwesen, essere originario vage, vago Veränderung, mutamento Veranlassung, motivo, occasione Verband, vincolo verbinden, collegare, legare Verbindlichkeit, obbligazione, obbligatorietà Verbindung, collegamento, nesso, legame, congiunzione (coniunctio) Vereinbarkeit, unificabilità Vereinbarung, compatibilità vereinigen, unificare, conciliare Vereinigung, unione verfahren, procedere Vergleichung, comparazione vergnügen, soddisfare Vergnügen, Vergnügung, soddisfacimento Verhältnis, rapporto, relazione verknüpfen, connettere Verknüpfung, connessione, nesso verlangen, richiedere vermessen, misurare, presumere Vermittelung, mediazione Vermögen, facoltà, capacità vermutlich, presunto, presumibile Vermutung, congettura Vernunft, ragione Vernunftbegriffe, concetti di ragione Vernünftelei, ragionamento capzioso vernünfteln, raziocinare vernünftelnd, raziocinante Vernunftgebrauch, uso della ragione Vernunftgesetz, legge di ragione vernünftig, razionale

UNANGENEHM

– WISSEN

Vernunftschluss, ragionamento, sillogismo Vernunfturteil, giudizio di ragione Verpflichtung, obbligazione verrichten, compiere, operare verschaffen, procurare, ottenere verschieden, diverso Verschiedenheit, diversità Versinnlichung, presentazione sensibile Verstand, intelletto Verstand, diskursiver (intelletto discorsivo), gemeiner (intelletto comune), gesunder (intelletto sano), intuitiver (intelletto intuitivo) Verstandesbegriff, concetto dell’intelletto verständig, intelligente verständigen, intendere verständlich, intelligibile verstehen, comprendere, intendere, capire versuchen, tentare Verwandlung, trasformazione Verwandtschaft, affinità Verwechselung, scambio, sostituzione verweilen, indugiare verworren, confuso Verworrenheit, opacità Verwunderung, stupore, meraviglia Verzweiflung, disperazione Vollkommenheit, perfezione vollständig, completo, integrale Vollständigkeit, completezza voraussetzen, presupporre Voraussetzung, presupposto, presupposizione vorgeblich, presumibilmente vorläufig, provvisorio vornehmlich, specialmente vornehm, prezioso, distinto Vorrichtung, dispositivo Vorschrift, prescrizione Vorsicht, precauzione vorstellen, rappresentare Vorstellung, rappresentazione

881 Vorstellungsart, specie rappresentativa Vorstellungskraft, forza di rappresentazione Vortrag, esposizione Vorurteil, pregiudizio Vorzug, primato, privilegio, preminenza Wachstum, crescita Wahn, follia, fantasticheria Wahnsinn, follia, mania Wahnwitz, pazzia wahr, vero Wahrheit, verità Wahrnehmung, percezione wahrscheinlich, verosimile Wahrscheinlichkeit, verosimiglianza Wechsel, variazione, cambiamento wechselseitig, vicendevole Wechselwirkung, azione reciproca Weisheit, saggezza Welt, mondo weltbürgerlich, cosmopolitico Weltwesen, ente mondano Werk, opera Werkzeug, strumento Wert, valore Wesen, ente, essere, essenza Widerspruch, contraddizione Widerstand, resistenza, opposizione Widerstreit, contrasto Wille, volontà willen, volere Willkür, arbitrio willkürlich, arbitrario wirken, produrre effetti wirkend, efficiente wirklich, effettivo, reale in atto Wirklichkeit, realtà effettiva, esistenza reale Wirkung, effetto Wirkungsart, tipo di effetto Wirkungsgesetz, legge causale, d’azione, di produzione di effetti wissen, sapere Wissenschaft, scienza

882 Witz, ingegno, arguzia Wohlgefallen, compiacimento wohlgeordnetes Ganze, tutto ben ordinato Wohltätigkeit, beneficenza Wohlwollen, benevolenza Wort, parola Wunsch, auspicio, voglia Würde, dignità Zahl, numero zahlen, contare Zeichnung, disegno Zeit, tempo Zeitbestimmung, determinazione di tempo Zeitfolge, durata Zeitlehre, dottrina del tempo, allgemeine (dottrina generale del tempo) Zergliederung, analisi, scomposizione Zerknirschung, contrizione Zeugungskraft, forza procreativa Ziel, scopo Zierat, fregio, ornamento Zivilisierung, incivilimento Zorn, ira, collera Zufall, caso zufällig, contingente Zufälligkeit, contingenza Zufriedenheit, soddisfazione Zugleichsein, simultaneità Zulänglichkeit, sufficienza zumuten, esigere zusammenfassen, comprendere Zusammenfassung, comprensione zusammenhalten, connettere, congiungere, dare coesione Zusammenhang, connessione, interconnessione, coesione zusammenhängen, connettere coerentemente zusammenhängend, interconnesso, coerente

GLOSSARIO TEDESCO-ITALIANO

Zusammensetzung, composizione Zusammenstellung, riunione, coordinazione zusammenstimmen, armonizzare, acconsentire Zusammenstimmung, armonia Zusammentreffen, concordanza zusammentreffen, concordare Zustand, stato, situazione zuträglich, conveniente Zuträglichkeit, convenienza Zwang, costrizione, coazione Zweck, fine, Zweck der Natur (fine della natura) Zweckbestimmung, finalizzazione Zweckbeziehung, riferimento finale Zweckeinheit, unità finale Zwecklehre, dottrina del fine, physische (dottrina fisica del fine) zwecklos, privo di fine zweckmäßig, conforme al fine Zweckmäßigkeit, conformità al fine, der Natur (conformità della natura al fine), ästhetische (conformità estetica al fine), äussere (conformità esterna al fine), figürliche (conformità figurata al fine), geometrische (conformità geometrica al fine), innere (conformità interna al fine), logische (conformità logica al fine), materiale/formale (conformità materiale/formale al fine), objektive (conformità oggettiva al fine), subjektive (conformità soggettiva al fine), teleologische (conformità teleologica al fine) Zweckverbindung, nesso finale Zweckverknüpfung, connessione finale zweckwidrig, controfinale, contrario al fine Zweifelglaube, fede dubbia

PAROLE CHIAVE Arte (Kunst) “L’arte si distingue dalla natura come il fare (facere) dall’agire o dall’operare in generale (agere), e il prodotto o la conseguenza della prima in quanto opera (opus) da quello della seconda in quanto effetto (effectus)”. Bello (das Schöne) “Secondo le quattro classi della funzione logica del giudicare, il bello viene definito in base alla qualità (Gusto è la facoltà di valutare un oggetto o una specie di rappresentazione mediante un compiacimento, o dispiacimento, senza alcun interesse. L’oggetto di un tale compiacimento si chiama bello), alla quantità (Bello è ciò che piace universalmente senza concetto), alla relazione (La bellezza è la forma della conformità di un oggetto al fine, in quanto essa vi viene percepita senza rappresentazione di un fine), alla modalità (Bello è ciò che viene riconosciuto senza concetto come oggetto di un compiacimento necessario)”. Conformità al fine (Zweckmässigkeit) “Ora, poiché il concetto di un oggetto, in quanto contiene ad un tempo il fondamento della realtà effettiva di questo oggetto, si chiama fine, e l’accordo di una cosa con quella costituzione delle cose che è possibile solo secondo fini si chiama conformità della loro forma al fine, così il principio della forza di giudizio, rispetto alla forma delle cose della natura sotto leggi empiriche in generale, è la conformità della natura al fine nella sua molteplicità. In altri termini, la natura viene rappresentata da questo concetto come se un intelletto contenesse il fondamento dell’unità del molteplice delle sue leggi empiriche”. “La conformità della natura al fine è dunque uno speciale concetto a priori che ha la propria origine esclusivamente nella forza riflettente di giudizio”. “La conformità oggettiva al fine può essere conosciuta soltanto mediante il riferimento del molteplice a un fine determinato, dunque solo mediante un concetto. Perciò già solo da questo è chiaro che il bello, la cui valutazione ha per fondamento una conformità semplicemente formale al fine, cioè una conformità al fine senza un fine, è totalmente indipendente dalla rappresentazione del bene perché quest’ultimo presuppone una conformità oggettiva al fine, cioè il riferimento dell’oggetto a un fine determinato”. “La conformità oggettiva al fine è o quella esterna, cioè l’utilità, oppure quella interna, cioè la perfezione dell’oggetto”.

884

PAROLE CHIAVE

Contingenza (Zufälligkeit) “Il concetto di una cosa di cui ci rappresentiamo l’esistenza o la forma come possibile sotto la condizione di un fine, è inscindibilmente collegato con il concetto di una contingenza di questa cosa (secondo le leggi della natura). Per tale motivo anche le cose della natura che troviamo possibili soltanto quali fini, costituiscono la prova più raffinata della contingenza del mondo come un tutto e sono, sia per l’intelletto comune sia per il filosofo, l’unico argomento valido del fatto che esso dipenda e tragga origine da un essere esistente fuori dal mondo e certamente (per via di quella forma conforme al fine) intelligente: la teleologia non trova dunque alcun compimento risolutivo per le sue indagini se non in una teologia”. Critica (Kritik) “Ora, sapere se anche la forza di giudizio, che nell’ordine delle nostre facoltà conoscitive costituisce un termine medio tra l’intelletto e la ragione, abbia per sé principi a priori; se tali principi siano costitutivi o semplicemente regolativi (e quindi non attestino un proprio dominio); e se essa dia a priori la regola al sentimento del piacere e dispiacere, in quanto termine medio tra la facoltà di conoscere e quella di desiderare (esattamente come l’intelletto prescrive a priori leggi alla prima, e la ragione invece le prescrive alla seconda): ecco ciò di cui si occupa la presente critica della “forza di giudizio”. Questa critica si divide poi in estetica e teleologica: “intendendo con la prima la facoltà di valutare la conformità formale (detta altrimenti anche soggettiva) al fine mediante il sentimento del piacere o dispiacere, e con la seconda la facoltà di valutare la conformità reale (oggettiva) della natura al fine mediante l’intelletto e la ragione”. Esibizione (Darstellung) “Se il concetto di un oggetto è dato, il compito della forza di giudizio, nell’uso di questo concetto per la conoscenza, consiste nella esibizione (exhibitio), cioè nel porre a fianco del concetto un’intuizione corrispondente, sia che ciò accada mediante la nostra forza di immaginazione, come nell’arte, quando realizziamo un concetto concepito precedentemente di un oggetto, che per noi è un fine, o che avvenga mediante la natura nella sua tecnica (come nei corpi organizzati), quando noi, per valutare il suo prodotto, le attribuiamo un nostro concetto di fine; nel qual caso non viene rappresentata una conformità della natura al fine nella forma della cosa, ma il suo stesso prodotto è rappresentato come fine naturale”. Facoltà di conoscere (Erkenntnisvermögen) “Per la facoltà di conoscere è legislativo solo l’intelletto, se essa viene riferita (come

CONTINGENZA

– FORZA DI GIUDIZIO

pur deve accadere se è considerata per sé, senza commistione con la facoltà di desiderare), quale facoltà di una conoscenza teoretica, alla natura, riguardo alla quale soltanto (in quanto fenomeno) ci è possibile dare leggi mediante concetti a priori della natura, che propriamente sono concetti puri dell’intelletto”. Facoltà di desiderare (Begehrungsvermögen) “Per la facoltà di desiderare, quale facoltà superiore secondo il concetto della libertà, è solo la ragione (in cui soltanto ha sede tale concetto) a essere legislativa a priori”. Fine (Zweck) “Se si vuole spiegare che cosa sia un fine secondo le sue determinazioni trascendentali (senza presupporre qualcosa di empirico, come lo è il sentimento del piacere), bisogna dire che un fine è l’oggetto di un concetto, in quanto questo concetto è considerato come la causa di quell’oggetto (come fondamento reale della sua possibilità); e la causalità di un concetto riguardo al suo oggetto è la conformità al fine (forma finalis). Dunque laddove non è semplicemente la conoscenza di un oggetto, ma l’oggetto stesso (la forma o l’esistenza del medesimo), in quanto effetto, che viene pensato come possibile soltanto mediante un concetto di questo effetto, allora si pensa un fine. La rappresentazione dell’effetto è qui il principio di determinazione della sua causa e precede quest’ultima. La coscienza della causalità di una rappresentazione riguardo allo stato del soggetto, per mantenerlo in tale stato, può qui designare in generale ciò che si chiama piacere; invece dispiacere è quella rappresentazione che contiene il principio per determinare lo stato delle rappresentazioni (per respingerle o eliminarle) proprio nel loro opposto”. “Fine definitivo è quel fine che non ne richiede alcun altro come condizione della sua possibilità”. Forza (Kraft) “Un essere organizzato non è dunque semplicemente una macchina, dato che la macchina possiede esclusivamente la forza motrice; tale essere, invece, possiede in sé una forza formatrice e precisamente una forza tale da essere comunicata alle materie che non ne dispongono (esso le organizza): è perciò una forza formatrice che si riproduce e che non può essere spiegata unicamente mediante la sola facoltà di movimento (mediante il meccanismo)”. Forza di giudizio (Urteilskraft) “Nella famiglia delle facoltà conoscitive superiori c’è un termine medio tra l’intelletto e la ragione. È la forza di giudizio, della quale si ha motivo di presumere, per analogia, che potrebbe anch’essa contenere in sé, se non una sua propria legislazione, almeno un suo proprio principio per ricercare

886

PAROLE CHIAVE

leggi, in ogni caso un principio a priori semplicemente soggettivo, il quale, sebbene non gli competa alcun campo degli oggetti come suo dominio, può tuttavia avere un qualche territorio con una costituzione tale per cui potrebbe essere valido appunto solo questo principio”. “Ora, il sentimento del piacere è compreso tra la facoltà di conoscere e quella di desiderare, così come la forza di giudizio è compresa tra l’intelletto e la ragione. È dunque presumibile, almeno in via provvisoria, che anche la forza di giudizio contenga per sé un principio a priori, e che, essendo il piacere o dispiacere necessariamente connesso con la facoltà di desiderare (sia che preceda il principio di questa facoltà, come nel caso della facoltà di desiderare inferiore, sia che solo segua dalla sua determinazione mediante la legge morale, come nel caso della facoltà di desiderare superiore), la forza di giudizio possa effettuare anche un passaggio dalla pura facoltà di conoscere, cioè dal dominio dei concetti della natura, al dominio del concetto della libertà, allo stesso modo in cui essa, nell’uso logico, rende possibile il passaggio dall’intelletto alla ragione”. “La forza di giudizio ha dunque anch’essa in sé, ma solo da un punto di vista soggettivo, un principio a priori per la possibilità della natura con il quale essa prescrive non alla natura (in quanto autonomia), ma a se stessa (in quanto eautonomia), una legge per la riflessione sulla natura, che si potrebbe chiamare la legge della specificazione della natura riguardo alle sue leggi empiriche; una legge che la forza di giudizio non conosce a priori nella natura, ma che ammette, in funzione di un ordine della natura conoscibile per il nostro intelletto, nella divisione che essa opera delle leggi universali della natura, quando vuole subordinare a queste una molteplicità di leggi particolari”. Forza riflettente di giudizio (reflektierende Urteilskraft) “La forza di giudizio in generale è la facoltà di pensare il particolare in quanto compreso sotto l’universale. Se è dato l’universale (la regola, il principio, la legge), allora la forza di giudizio, che sussume sotto di esso il particolare, è determinante (anche quando, come forza trascendentale di giudizio, stabilisce a priori le condizioni secondo le quali soltanto il particolare può essere sussunto sotto quell’universale). Ma se è dato solo il particolare, per il quale essa deve trovare l’universale, allora la forza di giudizio è semplicemente riflettente”. “La forza riflettente di giudizio deve sussumere sotto una legge che non è ancora data e che è dunque di fatto solo un principio della riflessione su oggetti per i quali, oggettivamente, ci manca del tutto una legge o un concetto dell’oggetto che sia sufficiente a fungere da principio per i casi che si presentano. Ora, poiché senza principi non può essere consentito alcun uso delle facoltà conosciti-

FORZA RIFLETTENTE DI GIUDIZIO

– GIUDIZIO ESTETICO E TELEOLOGICO

887

ve, la forza riflettente di giudizio dovrà perciò, in tali casi, servire da principio a se stessa; tale principio, non essendo oggettivo e non potendo porre un fondamento per la conoscenza dell’oggetto che sia sufficiente per questo intento, deve servire come principio semplicemente soggettivo per l’uso conforme al fine delle facoltà conoscitive, cioè per riflettere su una certa specie di oggetti. Dunque, è in riferimento a tali casi che la forza riflettente di giudizio possiede le sue massime, e più precisamente sono massime necessarie in funzione della conoscenza delle leggi della natura nell’esperienza mediante le quali pervenire a concetti, dovessero anche essere concetti della ragione, se essa ha assolutamente bisogno di tali concetti per poter semplicemente imparare a conoscere la natura secondo le sue leggi empiriche”. Genio (Genie) “Genio è il talento (dono naturale) che dà la regola all’arte. Poiché il talento, come facoltà produttiva innata dell’artista, appartiene esso stesso alla natura, ci si potrebbe anche esprimere così: il genio è la predisposizione innata dell’animo (ingenium) mediante la quale la natura dà la regola all’arte”. Giudizio estetico e teleologico (ästhetisches und teleologisches Urteil) “Possiamo ritenere la bellezza naturale come la esibizione del concetto della conformità formale (semplicemente soggettiva) al fine, e i fini naturali come esibizione del concetto di una conformità reale (oggettiva) al fine, e valutiamo la prima mediante il gusto (esteticamente, per mezzo del sentimento del piacere), e la seconda mediante intelletto e ragione (logicamente, secondo concetti)”. “La forza estetica di giudizio è una particolare facoltà per valutare le cose secondo una regola, ma non secondo concetti. La forza teleologica di giudizio non è una facoltà particolare, bensì è solo la forza riflettente di giudizio in generale, in quanto procede, come dovunque nella conoscenza teoretica, secondo concetti, ma riguardo a certi oggetti della natura, secondo principi particolari, quelli cioè di una forza di giudizio semplicemente riflettente e non determinante oggetti; dunque, considerata nella sua applicazione, essa appartiene alla parte teoretica della filosofia e, a causa dei suoi principi particolari che non sono determinanti, come invece deve essere in una dottrina, deve anche costituire una parte speciale della critica; al contrario, la forza estetica di giudizio non dà alcun contributo alla conoscenza dei suoi oggetti e deve quindi venire fatta rientrare solo nella critica del soggetto giudicante e delle sue facoltà conoscitive, in quanto esse sono capaci di principi a priori, qualunque possa poi essere il loro uso (teoretico o pratico), e questa critica è la propedeutica di ogni filosofia”.

888

PAROLE CHIAVE

Gradevole (das Angenehme) “Gradevole è ciò che piace ai sensi nella sensazione. Ogni compiacimento (si dice o si pensa) è anche sensazione (di un piacere). Di conseguenza tutto ciò che piace, proprio perché piace, è gradevole (e secondo i diversi gradi o anche secondo i rapporti con altre sensazioni gradevoli, è grazioso, amabile, dilettevole, delizioso, ecc.). Ora, che il mio giudizio su un oggetto, con il quale lo dichiaro gradevole, esprima un interesse nei suoi confronti, risulta già chiaro per il fatto che attraverso la sensazione tale giudizio suscita la voglia di oggetti simili: di conseguenza, il compiacimento presuppone non il semplice giudizio sull’oggetto, ma il riferimento della sua esistenza al mio stato, nella misura in cui quest’ultimo è affetto da un tale oggetto. È per questo che del gradevole non si dice soltanto che piace, bensì che soddisfa”. Gusto (Geschmack) “La definizione del gusto sulla quale qui ci si basa, è la seguente: esso è la facoltà di valutare il bello. Che cosa però è richiesto, per chiamare bello un oggetto, questo deve scoprirlo l’analisi dei giudizi di gusto. Ho ricercato i momenti di cui si cura questa facoltà nella sua riflessione sulla traccia delle funzioni logiche per giudicare (nel giudizio di gusto infatti è pur sempre contenuto un riferimento all’intelletto). Ho preso in considerazione innanzitutto il momento della qualità, perché il giudizio estetico sul bello riguarda anzitutto questo”. Natura (Natur) “La bellezza autonoma della natura ci svela una tecnica della natura che la rende rappresentabile come un sistema strutturato secondo leggi il cui principio non troviamo in tutta la nostra facoltà intellettiva, cioè quello di una conformità al fine che si riferisce all’uso della forza di giudizio riguardo ai fenomeni, in modo che questi devono essere valutati non solo in quanto appartenenti alla natura nel suo meccanismo privo di un fine, ma anche all’analogia con l’arte. Una tale conformità al fine estende dunque certamente non la nostra conoscenza degli oggetti della natura, ma di sicuro il nostro concetto della natura, cioè come semplice meccanismo, al concetto della natura in quanto arte: il che invita a profonde ricerche sulla possibilità di una tale forma”. Piacere (Lust) “La coscienza della conformità semplicemente formale al fine, nel gioco delle forze conoscitive del soggetto, in occasione di una rappresentazione mediante la quale un oggetto è dato, è il piacere stesso, perché essa contiene un principio di determinazione dell’attività del soggetto in vista del ravvivamento delle sue forze conoscitive, dunque una causalità interna (che è finalistica) in vista della conoscenza in generale, ma senza che sia confinata in

GRADEVOLE

– SIMBOLO

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una conoscenza determinata, e di conseguenza contiene una semplice forma della finalità soggettiva di una rappresentazione in un giudizio estetico. Questo piacere non è nemmeno in alcun modo pratico né come quello derivante dal fondamento patologico della gradevolezza né come quello derivato dal fondamento intellettuale del buono come viene rappresentato. Ma tale piacere ha pur sempre in sé una causalità, cioè quella che permette di mantenere lo stato della rappresentazione stessa e l’impegnarsi delle forze conoscitive senza alcun altro intento”. Sentimento (Gefühl) “Intendiamo con la parola sensazione una rappresentazione oggettiva dei sensi, e per non correre sempre il rischio di essere fraintesi, vogliamo chiamare con il nome, del resto abituale, di sentimento, ciò che deve restare sempre semplicemente soggettivo e che non può in alcun modo costituire una rappresentazione di un oggetto. Il colore verde dei prati compete alla sensazione oggettiva in quanto percezione di un oggetto del senso; ma la sua gradevolezza compete alla sensazione soggettiva, con la quale non viene rappresentato alcun oggetto, e cioè nel sentimento con cui l’oggetto è considerato come oggetto del compiacimento (che non è una sua conoscenza)”. Sentimento del piacere e dispiacere (Gefühl der Lust und Unlust) “Il sentimento del piacere è compreso tra la facoltà di conoscere e quella di desiderare, così come la forza di giudizio è compresa tra l’intelletto e la ragione. È dunque presumibile, almeno in via provvisoria, che anche la forza di giudizio contenga per sé un principio a priori, e che, essendo il piacere o dispiacere necessariamente connesso con la facoltà di desiderare (sia che preceda il principio di questa facoltà, come nel caso della facoltà di desiderare inferiore, sia che solo segua dalla sua determinazione mediante la legge morale, come nel caso della facoltà di desiderare superiore), la forza di giudizio possa effettuare anche un passaggio dalla pura facoltà di conoscere, cioè dal dominio dei concetti della natura, al dominio del concetto della libertà, allo stesso modo in cui essa, nell’uso logico, rende possibile il passaggio dall’intelletto alla ragione”. Simbolo (Symbol) “Ogni ipotiposi (esibizione, subiectio sub adspectum), in quanto rendere sensibile, è duplice: o è schematica, laddove a un concetto colto dall’intelletto viene data a priori la corrispondente intuizione; o è simbolica, laddove a un concetto che solo la ragione può pensare e al quale nessuna intuizione sensibile può essere adeguata, ne viene sottoposta una nei cui confronti il modo di procedere della forza di giudizio è semplicemente analogo

890

PAROLE CHIAVE

a quello che quest’ultima segue nello schematizzare, cioè essa si accorda con il concetto semplicemente secondo la regola di questo modo di procedere e non secondo l’intuizione stessa, di conseguenza semplicemente secondo la forma della riflessione e non secondo il contenuto”. “Tutte le intuizioni che vengono sottoposte a concetti a priori sono dunque o schemi o simboli: i primi contengono esibizioni dirette, i secondi esibizioni indirette del concetto. Gli schemi compiono questa operazione in modo dimostrativo, i simboli per mezzo di una analogia (per la quale ci si serve anche di intuizioni empiriche), in cui la forza di giudizio esegue un duplice compito che consiste, in primo luogo, nell’applicare il concetto all’oggetto di un’intuizione sensibile e poi, in secondo luogo, nell’applicare la semplice regola della riflessione su quella intuizione a un tutt’altro oggetto di cui il primo è solo il simbolo”. Soddisfacimento (Vergnügen) “Tra ciò che piace semplicemente nella valutazione e ciò che soddisfa (piace nella sensazione), esiste, abbiamo mostrato sovente, una differenza essenziale. La seconda cosa non è tale, come la prima, che si possa richiedere a ognuno. Il soddisfacimento (la cui causa potrebbe anche trovarsi in idee) sembra sempre consistere in un sentimento di promozione dell’uomo e di conseguenza anche del benessere corporeo, cioè della salute”. Sublime (das Erhabene) “L’analisi del sublime necessita di una divisione della quale quella del bello non aveva bisogno, cioè la divisione in sublime matematico e sublime dinamico”. “Il sentimento del sublime comporta infatti come carattere proprio un moto dell’animo collegato con la valutazione dell’oggetto, mentre il gusto per il bello presuppone e mantiene l’animo in calma contemplazione; siccome però questo movimento deve essere valutato come soggettivamente conforme al fine (perché il sublime piace), allora tale movimento sarà riferito dalla forza di immaginazione o alla facoltà di conoscere o alla facoltà di desiderare; ma in entrambi i riferimenti la conformità al fine della rappresentazione data deve essere valutata soltanto riguardo a queste facoltà (senza un fine o un interesse): e allora la prima disposizione della forza di immaginazione viene attribuita all’oggetto come una disposizione matematica e la seconda come una disposizione dinamica, e perciò l’oggetto è rappresentato come sublime secondo questo duplice modo di pensare”. “Chiamiamo sublime ciò che è assolutamente grande”. “Ma quando chiamiamo una cosa non solo grande, bensì grande senz’altro, assolutamente, da tutti i punti di vista (oltre ogni comparazione), cioè che è sublime, si vede subito che non permettiamo che per quella cosa venga ricercato un criterio che le sia adeguato all’esterno, ma

SODDISFACIMENTO

– SUBLIME

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solo in essa. È una grandezza che è uguale solo a se stessa. Ne deriva che il sublime non va dunque cercato nelle cose della natura, ma solo nelle nostre idee; ma in quali idee esso risieda, è una questione che deve essere riservata per la deduzione”. “Di conseguenza a doversi chiamare sublime è la disposizione dello spirito prodotta da una certa rappresentazione che impegna la forza riflettente di giudizio, e non l’oggetto”. “Possiamo così aggiungere alle precedenti formule della definizione del sublime anche questa: sublime è ciò che, anche solo a poterlo pensare, dimostra una facoltà dell’animo che oltrepassa ogni unità di misura dei sensi. Bello è ciò che piace nella semplice valutazione (dunque non per mezzo della sensazione del senso né secondo un concetto dell’intelletto). Va da sé che deve piacere senza alcun interesse. Sublime è ciò che piace immediatamente per la sua resistenza opposta all’interesse dei sensi. Entrambi, in quanto definizioni di una valutazione estetica valida universalmente, si riferiscono a fondamenti soggettivi, cioè nel primo caso, della sensibilità, in quanto favoriscono l’intelletto contemplativo, nel secondo caso, contro la sensibilità stessa, sono invece a favore dei fini della ragione pratica, ma entrambi uniti nel medesimo soggetto, sono conformi al fine in riferimento al sentimento morale. Il bello ci prepara ad amare qualcosa, anche la natura, senza interesse; il sublime a stimarlo, perfino contro il nostro interesse (sensibile)”.

BIBLIOGRAFIA

I. IL TESTO DI KANT A1. Edizioni principali della Critica A2. Traduzioni B1. Edizioni principali della Prima introduzione B2. Traduzioni

II. LA DOCUMENTAZIONE RELATIVA AL TESTO 1. Documenti di Kant 2. Epistolari e testimonianze 3. Recensioni

III. STRUMENTI ESSENZIALI PER L’INTERPRETAZIONE DEL TESTO 1. Repertori bibliografici 2. Indici, lessici, strumenti 3. Risorse elettroniche

IV. LA STORIA DELLE INTERPRETAZIONI DEL TESTO DI KANT 1. Guide e commentari 2. Opere di riferimento storico utili per la comprensione del testo kantiano 3. Studi generali riguardanti la terza Critica e la Prima introduzione

I. IL TESTO DI KANT A1. Edizioni principali della Critica Critik der Urtheilskraft, Berlin und Libau, bey Lagarde und Friederich, 1790, pp. LVIII, 476 (ristampa: Erlangen 1985 e London 1994). Critik der Urtheilskraft, Zweyte Auflage, Berlin, bey F.T. Lagarde, 1793, pp. LX, 482. Critik der Urtheilskraft, Dritte Auflage, Berlin, bey F.T. Lagarde, 1799, pp. LX, 482. Critik der Urtheilskraft, ristampa: Frankfurt-Leipzig 1792 (Adickes 71 e Warda 126, 128). Critik der Urtheilskraft, ristampa: Frankfurt-Leipzig 1794. Critik der Urtheilskraft, ristampa: Grätz 1797. Sämmtliche Werke, hrsg. von Karl Rosenkranz und Friedrich Wilhelm Schubert, Leipzig 1838, Bd. 4, pp. 1-395. Werke, sorgfältig revidirte Gesammtausgabe in zehn Bänden, hrsg. von Gustav Hartenstein, Leipzig 1839, Bd. 7, pp. 1-376. Kritik der Urtheilskraft, in Sämmtliche Werke, in chronologischer Reihenfolge, hrsg. von Gustav Hartenstein, Leipzig 1867, Bd. 5, pp. 171-500. Kritik der Urtheilskraft, hrsg. und erläutert von Julius Hermann von Kirchmann, Berlin 1869 (18732); Bd. 9 della Heimanns Philosophische Bibliothek. Kritik der Urtheilskraft, hrsg. von Karl Kehrbach, Leipzig s.d.; prefazione del curatore datata aprile 1878, pp. V-XXIV; nn. 1027-1030 della Reclams Universal-Bibliothek. Kritik der Urteilskraft, hrsg. von Benno Erdmann, Leipzig 1880 (Hamburg-Leipzig 18842). Con apparato critico. Anhang: J. S. Beck’s Auszug aus Kant’s ursprünglichem Entwurf der Einleitung in die Kritik der Urteilskraft 1789 (Riga 1794), pp. 341-373. Kritik der Urteilskraft, hrsg. von Karl Vorländer, con introduzione e indici analitico e dei nomi, Leipzig 1902 (Philosophische Bibliothek, Bd. 39, 19246); ristampa della sesta edizione 1948 (Philosophische Bibliothek, Bd. 39a); 19907, con bibliografia di Heiner Klemme. Kant’s gesammelte Schriften, hrsg. von der Königlich Preußischen Akademie der Wissenschaften, hrsg. von Wilhelm Windelband, Berlin 1908 (19132), vol. V, pp. 165-485; Anmerkungen, pp. 513-547 (512-

I. IL TESTO DI KANT

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544) (ristampa: Berlin 1961, 19692; Paperback: Berlin 1968; Anmerkungen in einem separaten Band, Berlin 1977). Werke, in Gemeinschaft mit Hermann Cohen, Artur Buchenau, Otto Buek, Albert Görland, B. Kellermann, hrsg. von Ernst Cassirer, Berlin 1912-1921; la Kritik der Urteilskraft (1914, ristampa 1922) è a cura di Otto Buek, vol. 5, pp. 233-568; Lesarten, pp. 605-639. Buek assume come edizione di riferimento la seconda (1793). Sämtliche Werke in sechs Bänden, Großherzog Wilhelm-Ernst Ausgabe, hrsg. von Felix Gross, Bd. VI, Leipzig 1921. Werke in drei Bänden, mit Zugrundelegung der Ausgabe der Preußischen Akademie der Wissenschaften, hrsg. und eingeleitet von August Messer, Bd. 2, Berlin, Leipzig s.d. [circa 1925], pp. 571-894. Kritik der Urteilskraft, hrsg. von Heinrich Schmidt, Leipzig 1925 (ristampa dell’edizione di Otto Buek, priva però dell’apparato). Kritik der Urteilskraft, hrsg. von Raymund Schmidt, Leipzig 1930, 1957 e successive (si basa sull’edizione di Karl Kehrbach); nr. 1026-1030 e in seguito come Bd. 355 della Reclams Universal-Bibliothek. Werke in sechs Bänden, hrsg. von Wilhelm Weischedel, Bd. 5, Wiesbaden 1957, Frankfurt am Main 19835 [opere pubblicate contemporaneamente presso la Wissenschaftliche Buchgesellschaft di Darmstadt]. Paperback-Ausgaben: Immanuel Kant, Werke in zwölf Bänden, Bd. 10. Frankfurt am Main 1968 [Theorie-Werkausgabe Suhrkamp; ristampa: suhrkamp taschenbuch wissenschaft 1974 e successive; Register nel Bd. 12]; Immanuel Kant, Werke in zehn Bänden, Bd. 8, Darmstadt 1968 (Sonderausgabe: Darmstadt 1983), pp. 233620. Kritik der Urteilskraft, hrsg. von Gerhard Lehmann, Stuttgart 1963 e successive; nr. 1026-1030/30a/b e in seguito come nr. 1026 della Reclams Universal-Bibliothek. Werke, Schriften zur Ästhetik und Naturphilosophie, hrsg. von Manfred Frank und Véronique Zanetti, Frankfurt am Main 1996, Bd. III, pp. 479-880. Kritik der praktischen Vernunft. Kritik der Urteilskraft, in Die drei Kritiken, hrsg. von Alexander Ulfig, Bd. 2, Köln 1999. Kritik der Urteilskraft, a cura di Wilhem Weischedel, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 2004. Kritik der Urteilskraft, mit einer Einleitung und Bibliographie hrsg. von Heiner F. Klemme, mit Sachanmerkungen von Piero Giordanetti, Hamburg 2001 (Philosophische Bibliothek n. 507). Seconda edizione riveduta, con bilbiografia ampliata e con l’aggiunta di Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, Hamburg 2006 (Philosophische Bibliothek n. 507).

896

BIBLIOGRAFIA

A2. Traduzioni Latino Critice facultatis iudicandi, in Opera ad philosophiam criticam, latine vertit Fredericus Gottlob Born, Lipsiae 1797. Italiano Critica del Giudizio, traduzione di Alfredo Gargiulo 1906, riveduta da Valerio Verra 19604, glossario e indice dei nomi a cura di Valerio Verra 1970, introduzione di Paolo D’Angelo, Bari 1997, 20116. Principii di estetica (Estratti dalla Critica del Giudizio), introduzione e note di Guido De Ruggiero, Bari 1935, 19482. Critica del Giudizio. Antologia, introduzione e scelta di Armando Plebe, Firenze 1969. Frammenti della terza critica, a cura di Giacoma M. Pagano, Napoli 1977. Critica del Giudizio e «Prima introduzione» alla Critica del Giudizio, a cura di Alberto Bosi, Torino 1993 e Milano 1995. Critica della capacità di giudizio, a cura di Leonardo Amoroso, con testo tedesco a fronte, 2 voll., Milano 1995, 19982. Critica della facoltà di giudizio, a cura di Emilio Garroni e Hansmichael Hohenegger, Torino 1999, 20112. Critica del giudizio, a cura di Massimo Marassi, Milano 2004. Inglese Kants Kritik of Judgment, traduzione, con introduzione e note di John Henry Bernard, London 1892; 2ª ed.: Kant’s Critique of Judgement, London 1914. The Critique of Judgement, trad. di James Creed Meredith, Oxford 1952 (Chicago 1952, 198729) [L’opera comprende la traduzione delle due parti di cui si compone la terza Critica pubblicate in volumi ed epoche differenti dallo stesso Meredith: Critique of Aesthetic Judgement, Oxford 1911 e Critique of Teleological Judgement, Oxford 1928]. Critique of Judgment. Including the First Introduction, traduzione e introduzione di Werner S. Pluhar, Indianapolis 1987. Critique of the Faculty of Judgement, (parziale), in Kant. Selections, a cura di Lewis White Beck, New York-London 1988. Critique of the Power of Judgment, a cura di Paul Guyer, traduzione di Paul Guyer e Eric Matthews, Cambridge 2000. Critique of Judgment, traduzione, con introduzione e note di Nicholas Walker e James Creed Meredith, Oxford 2007. Francese Critique du jugement, suivie des Observations sur le sentiment du beau et du sublime, trad. di Jules-Romain Barni, 2 voll., Paris 1846.

I. IL TESTO DI KANT

897

Critique du jugement, trad. di Jean Gibelin, Paris 1928. Critique de la faculté de juger, trad. di Alexis Philonenko, Paris 1965, 19932. Critique de la faculté de juger, trad. di Jean-René Ladmiral, Marc B. de Launay e Jean-Marie Vaysse, in Oeuvres philosophiques, edizione pubblicata sotto la direzione di Ferdinand Alquié, vol. II, Paris 1985. Critique de la faculté de juger, suivi de Idée d’une histoire universelle au point de vue cosmopolitique; et de Réponse à la question: Qu’est-ce que les lumières?, edizione pubblicata sotto la direzione di Ferdinand Alquié, Paris 1989. Critique de la faculté de juger, traduzione, presentazione, bibliografia e cronologia di Alain Renaut, Paris 1995. Spagnolo Crítica del juicio, seguida de las observaciones sobre el asentimiento de lo bello y lo sublime, tradotta dal francese da Alejo García Moreno e Juan Ruvira, con un’introduzione del traduttore francese F. Barni [sic], 2 voll., Madrid 1876. Crítica del juicio, traduzione diretta dal tedesco di Manuel García Morente, 2 voll., Madrid 1914. Crítica del juicio, traduzione di José Rovira Armengol, a cura di Ansgar Klein, Buenos Aires 1961, 19933. Crítica de la facultad de juzgar, traduzione, introduzione, note e indici di Pablo Oyarzún Robles, Caracas 1992. Crítica del discernimiento, a cura di Roberto Rodríguez Aramayo e Salvador Mas, Madrid 2003. Portoghese Crítica da faculdade do juízo, introduzione di António Marques, traduzione e note di António Marques e Valério Rohden, Lisboa 1990 e Rio de Janeiro 1993, 19952. Olandese Kritiek van het oordeelsvermogen, traduzione, introduzione e note di Jabik Veenbaas e Willem Visser, Amsterdam 2009. Svedese Kritik av omdömeskraften, traduzione di Sven-Olov Wallenstein, a cura di Markku Leppäkoski, Stockholm 2003. Rumeno Critica facultăţii de judecare. Prima Introducere la Critica facultăţii de judecare, traduzione, introduzione e apparati di Rodica Croitoru, Bucureşti 2007.

898

BIBLIOGRAFIA

Greco Kritike tes kritikes dynames, traduzione di e a cura di Kostas Androulidakes, Athena 2002.

B1. Edizioni principali della Prima Introduzione Edizioni della Prima Introduzione (estratto di J. S. Beck e successive redazioni) Anmerkungen zur Einleitung in die Critik der Urtheilskraft, in Erläuternder Auszug aus den critischen Schriften des Herrn Prof. Kant auf Anrathen desselben von M. Jacob Sigismund Beck, Riga, Johann Friedrich Hartknoch, 1794, Bd. II, pp. 541-590. Riedizione in Aetas Kantiana, 20/II, Bruxelles 1968 e in Jacob Sigismund Beck, Erläuternder Auszug aus den critischen Schriften des Herrn Prof. Kant von Jacob Sigismund Beck, Bd. II, Bad Feilnbach 2007. Ueber Philosophie überhaupt und über die Kritik der Urtheilskraft insbesondere (1794), in Immanuel Kant’s vorzügliche kleine Schriften und Aufsätze, con note a cura di Friedrich Christian Starke (= Johann Adam Bergk), Leipzig 1833, Bd. II, pp. 223-262. Ueber Philosophie überhaupt, in Immanuel Kant’s Werke, sorgfältig revidirte Gesammtausgabe in zehn Bänden; in Immanuel Kant’s Schriften zur Philosophie im Allgemeneinen zur Logik, hrsg. von Gustav Hartenstein, Leipzig 1838, Bd. I, pp. 131-172. Ueber Philosophie überhaupt, in Immanuel Kant’s sämmtliche Werke, hrsg. von Karl Rosenkranz und Friedrich Wilhelm Schubert, in Immanuel Kant’s kleine logisch-metaphysiche Schriften, hrsg. von Karl Rosenkranz, Leipzig 1838, Bd. I, pp. 579-618. Ueber Philosophie überhaupt, zur Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, in Immanuel Kant’s sämmtliche Werke, in chronologische Reihenfolge, hrsg. von Gustav Hartenstein, Leipzig 1868, Bd. VI, pp. 373-404. Ueber Philosophie überhaupt, zur Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, in Immanuel Kant’s kleinere Schriften zur Logik und Metaphysik, hrsg. und erläutert von Julius Herrmann von Kirchmann, Berlin 1870, pp. 141-176. J. S. Beck’s Auszug aus Kant’s unsprünglichem Entwurf der Einleitung in die Kritik der Urtheilskraft, in Immanuel Kant’s Kritik der Urtheilskraft, hrsg. von Benno Erdmann, Leipzig 1880, pp. 341-373.

I. IL TESTO DI KANT

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Edizioni integrali della Prima Introduzione Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, in Immanuel Kants Werke, im Gemeinschaft mit Hermann Cohen, Artur Buchenau, Otto Buek, Albert Görland, B. Kellermann, hrsg. von Ernst Cassirer, hrsg. von Otto Buek, Berlin 1914, Bd. 5, pp. 177-321. Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, in Sämtliche Werke in sechs Bänden, Großherzog Wilhelm-Ernst Ausgabe, hrsg. von Felix Gross, Leipzig 1921, Bd. V, pp. 171-232. Anhang: Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, in Immanuel Kant, Kritik der Urteilskraft, hrsg. von Heinrich Schmidt, Leipzig 1925, pp. 348-404. Segue l’edizione di Otto Buek del 1914, priva però dell’apparato. Immanuel Kant: Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, nach der Handschrift hrsg. von Gerhard Lehmann, Leipzig 1927. Seconda edizione riveduta e ampliata, Hamburg 1970. Terza edizione riveduta, Hamburg 1977. Quarta edizione con una nuova bibliografia a cura di Thomas Lehnerer, Hamburg (Philosophische Bibliothek 39b) 1990. Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, in Kant’s gesammelte Schriften, hrsg. von der Königlich Preußischen Akademie der Wissenschaften, Bearbeiter: Gerhard Lehmann, Berlin 1942, Bd. XX ( = Kant’s handschriftlicher Nachlaß, Bd. VII), pp. 193-251. Erste Fassung der Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, in Werke in sechs Bänden, hrsg. von Wilhelm Weischedel, vol. 5, Wiesbaden 1957 Frankfurt am Main 19835 (edizione parallela presso: Wissenschaftlichen Buchgesellschaft, Darmsadt). Paperback-Ausgabe: Kant. Werke in zwölf Bänden, Bd. 10, Frankfurt am Main 1968 (= Theorie-werkausgabe suhrkamp; ristampa: suhrkamp taschenbuch wissenschaft 1974 e successive; indice nel Bd. 12); Immanuel Kant. Werke in zehn Bänden, Bd. 8, Darmstadt 1968; Sonderausgabe Darmstadt 1983, pp. 171-232. Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, Faksimile und Transkription, hrsg. von Norbert Hinske, Wolfgang Müller-Lauter und Michael Theunissen, Stuttgart-Bad Cannstatt 1965. Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, in Schriften zur Ästhetik und Naturphilosophie ( = Werke, Bd. III), hrsg. von Manfred Frank und Véronique Zanetti, Frankfurt am Main 1996. Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft, in Immanuel Kant, Kritik der Urteilskraft, mit einer Einleitung und hrsg. von Heiner F. Klemme, mit Sachanmerkungen von Piero Giordanetti, Hamburg 2006, 20092.

900

BIBLIOGRAFIA

B2. Traduzioni Italiano Prima Introduzione alla Critica del Giudizio, a cura di Ermanno Migliorini, Firenze 1968. Prima Introduzione alla Critica del Giudizio, introduzione di Luciano Anceschi, traduzione e note di Paolo Manganaro, Roma-Bari 1969, 19843. Prima Introduzione alla Critica del Giudizio, in Critica del Giudizio, a cura di Alberto Bosi, Torino 1993 e Milano 1995. Prima Introduzione alla Critica del Giudizio, a cura di Francesco Valagussa, Milano-Udine 2012. Inglese Immanuel Kant on Philosophy in General, traduzione, con quattro saggi introduttivi di Humayun Kabir, Calcutta 1935. First Introduction to the Critique of Judgment, traduzione di James Haden, Indianapolis 1965. First Introduction to the Critique of Judgment, in Immanuel Kant, Critique of Judgment, traduzione e introduzione di Werner S. Pluhar e con una prefazione di Mary J. Gregor, Indianapolis-Cambridge 1987, pp. 383-442. First Introduction to the Critique of the Power of Judgment, in Immanuel Kant, Critique of the Power of Judgment, a cura di Paul Guyer, traduzione di Paul Guyer e Eric Matthews, Cambridge 2000. Francese Première Introduction à la Critique de la Faculté de Juger et autres Textes, trad. di Louis Guillermit, Paris 1968, 19975. Première Introduction à la Critique de la Faculté de Juger, trad. di Alexandre J.-L. Delamarre, in Immanuel Kant, Oeuvres philosophiques, edizione pubblicata sotto la direzione di Ferdinand Alquié, vol. II, Paris 1985. Spagnolo La Filosofia como Sistema. Primera Introducción a la Critica del Juicio, trad. di Pedro von Haselberg, Buenos Aires 1948. La Filosofia como Sistema. Primera Introducción a la Critica del Juicio, trad. di Arturo Altmann, Buenos Aires 1969. Primera Introducción a la Critica del Juicio, trad. di José Louis Zalabardo, Madrid 1987. Primera version de la introducción (“La filosofia como un Sistema”), in Immanuel Kant, Critica del Juicio, trad. di Pablo Oyarzún, Caracas 2006, pp. 1-70.

II. LA DOCUMENTAZIONE RELATIVA AL TESTO

901

Primera Introducción de la “Crítica del Juicio”, traduzione e introduzione di Nuria Sánchez Madrid, Madrid 2011. Portoghese Primeira Introdução à Crítica do Juízo, in Duas Introduções à Crítica do Juízo, trad. di Rubens Rodrigues Torres Filho, São Paulo 1974, 19952 (edizione riveduta dal traduttore), pp. 9-91. Rumeno Prima Introducere la Critica facultăţii de judecare, in Immanuel Kant, Critica facultăţii de judecare, traduzione, introduzione e apparati di Rodica Croitoru, Bucureşti 2007. Ceco Úvod ke Kritice soudnosti: první verze, trad. di Jindřich Karásek, Praha 2011. Russo Perwoe wwedenie v Kritiku sposobnosti suschdenija, in Immanuel Kant, Sostchinenija, vol. IV, a cura di Nelly Motroschilkova, Tamara Dlugatsch, Burkhard Tuschling e Uli Vogel, Moskau 2001.

II. LA DOCUMENTAZIONE RELATIVA AL TESTO 1. Documenti di Kant La documentazione di Kant relativa alla Critica si trova principalmente nei seguenti volumi della Akademie-Ausgabe: Vol. IX: Logik-Jäsche, pp. 1-150. Vol. XV: Reflexionen zur Anthropologie. Vol. XVI: Reflexionen zur Logik. Vol. XXIV: Vorlesungsmitschriften. Vol. XXV: Vorlesungsmitschriften.

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BIBLIOGRAFIA

2. Epistolari e testimonianze L’Epistolario di Kant si trova nei volumi X-XIII (l’indice è nel vol. XIII) dell’Akademie-Ausgabe. REICKE RUDOLF, Aus Kants Briefwechsel, Königsberg 1855. Briefwechsel, a cura di H. Ernst Fischer, 3 voll. München 1912-1913. Briefwechsel, Auswahl und Anmerkungen von Otto Schöndörffer, bearbeitet von Rudolf Malter, mit einer Einleitung von Rudolf Malter und Joachim Kopper, Leipzig 19241, Hamburg 19723, 19863 (Philosophische Bibliothek Bd. 52 a/b). LEHMANN GERHARD, Bemerkungen zu dem Brief Kants an Kiesewetter vom 27. März 1790, «Kant-Studien», 55 (1964), pp. 244-249. BAYERER WOLFGANG GEORG, Bemerkungen zu einer vergessenen Reflexion Kants über das “Gefühl der Lust und Unlust”, «Kant-Studien», 59 (1968), pp. 267-272. Briefe, a cura di Jürgen Zehbe, Göttingen 1970. MALTER RUDOLF, Zu Kants Briefwechsel. Verzeichnis der seit Erscheinen des XXIII. Bandes der Akademie-Ausgabe bekannt gewordenen Briefe von und an Kant, «Editio», 2 (1988), pp. 192-204. Epistolario filosofico 1761-1800, a cura di Oscar Meo, Genova 1990. Immanuel Kant in Rede und Gespräch, a cura e con introduzione di Rudolf Malter, Hamburg 1990 (Philosophische Bibliothek vol. 329). STARK WERNER, Nachforschungen zu Briefen und Handschriften Immanuel Kants, Berlin 1993.

3. Recensioni Vengono di seguito indicate le recensioni dei contemporanei alla prima e seconda edizione della Critica. Informazioni più dettagliate si possono trovare nella «German Kantian Bibliography» (1895-1896) curata da Adickes. FEDER J.G.H., «Göttingische Anzeigen von gelehrten Sachen», 114. St., Göttingen 1790, pp. 1137-1147 [Adickes 766 a-c]. Gemeinnützige Betrachtungen der neuesten Schriften welche Religion, Sitten und Besserung des menschlichen Geschlechts betreffen. In Vereinigung mit einer Gesellschaft von Gottesgelehrten verfaßt und herausgegeben von Georg Friedrich Seiler, Beylage XXI, Erlangen 1790, pp. 319-328 [Klemme, p. 475]. «Gothaische gelehrte Zeitungen», 77. und 78. St., Gotha 1790, pp. 710714 e pp. 717-723 [Adickes 767]. «Neue Bibliothek der schönen Wissenschaften und der freyen Künste», vol. 43-44, Leipzig 1791, pp. 20-83 e pp. 39-90 [Adickes 893]. «Oberdeutsche allgemeine Litteraturzeitung», 14. St., Salzburg 1791, pp. 209-219 [Adickes 921].

II. LA DOCUMENTAZIONE RELATIVA AL TESTO

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FEDER J.G.H., «Philosophische Bibliothek», vol. 4, Göttingen 1791, pp. 180-194 [Adickes 331]. SCHULZE G.E., «Allgemeine deutsche Bibliothek», vol. 115, 2. St., Kiel 1793, pp. 398-426 [Adickes 1023]. «Allgemeine Literatur-Zeitung», Nr. 191-193, Jena 1793, pp. 1a-32b [Adickes 277]; recensione alla I e II edizione. «Gothaische gelehrte Zeitungen», 35. St., Gotha 1794, pp. 308-309, [Adickes 1166]; recensione alla II edizione.

III. STRUMENTI ESSENZIALI PER L’INTERPRETAZIONE DEL TESTO 1. Repertori bibliografici Bollettino bibliografico, «Studi Kantiani», (2002-2013). Literatur, «Kant-Studien», 91 (2000), Sonderheft, pp. 216-230. ADICKES ERICH, German Kantian Bibliography, Boston 1896; ristampa: Würzburg 1970. BARALE MASSIMO, Kant heute in Italien, «Kant-Studien», 72 (1981), pp. 97-109. BECK LEWIS WHITE, A Bibliography on Kant’s Ethics, Delaware 1945. BECK LEWIS WHITE, Doctoral Dissertations on Kant Accepted by Universities in the United States and Canada, 1879-1980, «Kant-Studien», 73 (1982), pp. 96-113. BRUGGER WALTER, Scholastische (und an der christlichen Philosophie orientierte) Literatur zu Kant seit 1920 [1905-1955]; in Johannes B. Lotz (a cura di), Kant und die Scholastik heute, cit., pp. 256-274. CAMPO MARIANO / MATHIEU VITTORIO, Kant, in Vittorio Mathieu (a cura di), Questioni di storiografia filosofica, Brescia 1974, vol. III, pp. 9-132. GABEL GERNOT U., Immanuel Kant. Ein Verzeichnis der Dissertationen aus den deutschsprachigen Ländern 1900-1980, Köln 19872. GABEL GERNOT U., Kant. An Index to Theses and Dissertations Accepted by Universities in Canada and the United States 1879-1985, Köln 1989. GUERRA AUGUSTO, Introduzione a Kant, Bari 19884, pp. 303-339. GUYER PAUL, Bibliography, in Ted Cohen / Paul Guyer (a cura di), Essays in Kant’s Aesthetics, cit., pp. 307-332. HEISMANN GÜNTER, Dissertationen zur Kantischen Philosophie 19541976, «Kant-Studien», 70 (1979), pp. 356-381. KLEMME HEINER F., Bibliographie, in Kritik der Urteilskraft, con un’introduzione e bibliografia a cura di Heiner F. Klemme, cit., pp. 471494.

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BIBLIOGRAFIA

LANDAU ALBERT (a cura di), Rezensionen zur Kantischen Philosophie, vol. I (1781-1787), Bebra 1991. LEHMANN KARL H. / HERMANN HORST, Dissertationen zur Kantischen Philosophie [1885-1953], «Kant-Studien», 51 (1959/60), pp. 228257. MALTER RUDOLF, Bibliographie der deutschsprachigen Kant-Literatur 1957-1967, «Kant-Studien», 60 (1969), pp. 234-264 e 540-541 (a p. 234 indice delle precedenti bibliografie). Sono apparsi i seguenti aggiornamenti: Bibliografia 1968, «Kant-Studien», 61 (1970), pp. 536-549. Bibliografia 1969, «Kant-Studien», 62 (1971), pp. 527-542. Bibliografia 1965-1969, in AAVV, Proceedings of the Third International Kant Congress, cit., pp. 16-46. Bibliografia 1970, «Kant-Studien», 63 (1972), pp. 515-534. Bibliografia 1971, «Kant-Studien», 64 (1973), pp. 520-536. Bibliografia 1972, «Kant-Studien», 65 (1974), pp. 491-514. Bibliografia 1973, «Kant-Studien», 67 (1976), pp. 120-140. Bibliografia 1974, «Kant-Studien», 68 (1977), pp. 217-273. Bibliografia 1975, «Kant-Studien», 69 (1978), pp. 472-515. Bibliografia 1976-1978, «Kant-Studien», 72 (1981), pp. 207-255. Bibliografia 1979-1980, «Kant-Studien», 74 (1983), pp. 97-131. Bibliografia 1981, «Kant-Studien», 76 (1985), pp. 480-514. Bibliografia 1982, «Kant-Studien», 78 (1987), pp. 231-258. Bibliografia 1983-1984, «Kant-Studien», 78 (1987), pp. 340-381. Bibliografia 1985, «Kant-Studien», 78 (1987), pp. 498-514. Bibliografia 1986, «Kant-Studien», 79 (1988), pp. 499-517. Bibliografia 1987, «Kant-Studien», 80 (1989), pp. 499-516. Bibliografia 1985-1987, «Kant-Studien», 81 (1990), pp. 117-125. Bibliografia 1988, «Kant-Studien», 81 (1990), pp. 496-517. Bibliografia 1989, «Kant-Studien», 82 (1991), pp. 491-513. Bibliografia 1990, «Kant-Studien», 83 (1992), pp. 487-509. Bibliografia 1991, «Kant-Studien», 84 (1993), pp. 481-510. Bibliografia 1992, «Kant-Studien», 85 (1994), pp. 485-508. MALTER RUDOLF / RUFFING MARGIT, Kant-Bibliographie 1993, «KantStudien», 86 (1995), pp. 487-511. RUFFING MARGIT, Kant-Bibliographie 1994, «Kant-Studien», 87 (1996), pp. 484-511. Bibliografia 1995, «Kant-Studien», 88 (1997), pp. 473-511. Bibliografia 1996, «Kant-Studien», 89 (1998), pp. 465-496. Bibliografia 1997, «Kant-Studien», 90 (1999), pp. 442-473. Bibliografia 1998, «Kant-Studien», 91 (2000), pp. 460-494. Bibliografia 1999, «Kant-Studien», 92 (2001), pp. 474-517. Bibliografia 2000, «Kant-Studien», 93 (2002), pp. 491-536. Bibliografia 2001, «Kant-Studien», 94 (2003), pp. 474-528. Bibliografia 2002, «Kant-Studien», 95 (2004), pp. 505-538. Bibliografia 2003, «Kant-Studien», 96 (2005), pp. 468-501. Bibliografia 2004, «Kant-Studien», 97 (2006), pp. 483-547.

III. STRUMENTI ESSENZIALI PER L’INTERPRETAZIONE DEL TESTO

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Bibliografia 2005, «Kant-Studien», 98 (2007), pp. 487-550. Bibliografia 2006, «Kant-Studien», 99 (2008), pp. 477-524. Bibliografia 2007, «Kant-Studien», 100 (2009), pp. 526-564. Bibliografia 2008, «Kant-Studien», 101 (2010), pp. 487-538. Bibliografia 2009, «Kant-Studien», 102 (2011), pp. 499-540. Bibliografia 2010, «Kant-Studien», 103 (2012), pp. 499-538. Bibliografia 2011, «Kant-Studien», 104 (2013), pp. 499-540. RUFFING MARGIT (a cura di), Kant-Bibliographie 1945-1990, Frankfurt am Main 1999. REICKE RUDOLF, Kant-Bibliographie für die Jahre 1890-1894, in Altpreussische Monatsschrift, NF 32 (1895), pp. 555-612. UEBERWEGS FRIEDRICH, Grundriss der Geschichte der Philosophie. Teil 3. Die Philosophie der Neuzeit bis zum Ende des XVIII. Jahrhunderts, a cura di Max Frischeisen-Köhler e Willy Moog, Berlin 192412, pp. 709-749. WARDA ARTHUR, Die Druckschriften Immanuel Kants (bis zum Jahre 1838), Wiesbaden 1919. WARDA ARTHUR, Immanuel Kants Bücher. Mit einer getreuen Nachbildung des bisher einzigen bekannten Abzuges des Versteigerungskataloges der Bibliothek Kants, Berlin 1922. 2. Indici, lessici, strumenti Kant-Forschungen, a cura di Reinhard Brandt e Werner Stark, Hamburg 1987 ss. Kant-Gesellschaft, Philosophisches Seminar der Universität Mainz. Aggiornamento bibliografico semestrale. «Kant-Studien. Philosophische Zeitschrift der Kant-Gesellschaft», dal vol. 75 (1984) a cura di Gerhard Funke e Rudolf Malter. La rivista, dal vol. 60 (1969), compila periodicamente una bibliografia della letteratura kantiana. «Studi kantiani», I (1988) e anni seguenti. ARNOLDT EMIL, Charakteristik von Kants Vorlesungen über Metaphysik und möglichst vollständiges Verzeichnis aller von ihm gehaltenen oder auch nur angekündigten Vorlesungen, in Gesammelte Schriften, vol. V/2, a cura di O. Schöndörffer, Berlin 1909. BRANDT REINHARD, „Noch“, nicht „nach“; vielleicht „noch nach“, «KantStudien», 98 (2007), p. 399. EISLER RUDOLF, Kant-Lexikon. Nachschlagewerk zu Kants sämtlichen Schriften, Briefen und handschriftlichem Nachlaß, Berlin 1930; ristampa: Hildesheim-Zürich-New York 198910. FAMBACH OSKAR, Die Mitarbeiter der Göttingischen Gelehrten Anzeigen 1769-1836, Tübingen 1976. GIORDANETTI PIERO / STARK WERNER, Band 5: Kritik der Urteilskraft, «Kant-Studien», 91 (2000), Sonderheft, pp. 35-41. HINSKE NORBERT / WEISCHEDEL WILHELM, Kant-Seitenkonkordanz, Darmstadt 1970. KAHN JEAN, Une correction à apporter au texte d’une définition du beau

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IV. STORIA DELLE INTERPRETAZIONI DEL TESTO DI KANT

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INDICE GENERALE SOMMARIO INTRODUZIONE di Massimo Marassi AGGIUNTA ALLA SECONDA EDIZIONE DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE DI KANT NOTA EDITORIALE

V VII XVII XIX XXV

CRITICA DELLA FORZA DI GIUDIZIO

Prefazione alla prima edizione, 1790 Introduzione

3 11

I. II. III.

Della divisione della filosofia, 11 Del dominio della filosofia in generale, 17 Della critica della forza di giudizio come un mezzo per collegare le due parti della filosofia in un tutto, 23 IV. Della forza di giudizio come facoltà legislativa a priori, 29 V. Il principio della conformità formale della natura al fine è un principio trascendentale della forza di giudizio, 33 VI. Del collegamento del sentimento del piacere con il concetto della conformità della natura al fine, 43 VII. Della rappresentazione estetica della conformità della natura al fine, 49 VIII. Della rappresentazione logica della conformità della natura al fine, 57 IX. Della connessione delle legislazioni dell’intelletto e della ragione mediante la forza di giudizio, 63

Divisione dell’intera opera

71

PRIMA PARTE. Critica della forza estetica di giudizio

73

SEZIONE PRIMA. Analitica della forza estetica di giudizio

75

LIBRO PRIMO. Analitica del bello

75

Primo momento del giudizio di gusto, secondo la qualità

75

§ 1 Il giudizio di gusto è estetico, 75 § 2 Il compiacimento che determina il giudizio di gusto è senza alcun interesse, 77

1020

INDICE GENERALE

§ 3 Il compiacimento per il gradevole è collegato con un interesse, 79 § 4 Il compiacimento per il buono è collegato con un interesse, 83 § 5 Confronto delle tre specie specificamente diverse del compiacimento, 89

Secondo momento del giudizio di gusto, cioè secondo la sua quantità

93

§ 6 Il bello è ciò che viene rappresentato senza concetti come oggetto di un compiacimento universale, 93 § 7 Confronto del bello con il gradevole e con il buono mediante la caratteristica indicata, 95 § 8 L’universalità del compiacimento è rappresentata in un giudizio di gusto solo come soggettiva, 97 § 9 Esame della questione se nel giudizio di gusto il sentimento del piacere preceda la valutazione dell’oggetto o se questa preceda quello, 105

Terzo momento dei giudizi di gusto, secondo la relazione dei fini che vi viene presa in considerazione

111

§ 10 Della conformità al fine in generale, 111 § 11 Il giudizio di gusto non ha a fondamento nient’altro che la forma della conformità di un oggetto (o della sua specie rappresentativa) al fine, 113 § 12 Il giudizio di gusto si basa su fondamenti a priori, 115 § 13 Il giudizio puro di gusto è indipendente dall’attrattiva e dall’emozione, 119 § 14 Esempi illustrativi, 119 § 15 Il giudizio di gusto è totalmente indipendente dal concetto della perfezione, 127 § 16 Il giudizio di gusto, con cui un oggetto è dichiarato bello sotto la condizione di un concetto determinato, non è puro, 131 § 17 Dell’ideale della bellezza, 137

Quarto momento del giudizio di gusto, secondo la modalità del compiacimento per l’oggetto § 18 Che cosa sia la modalità di un giudizio di gusto, 149 § 19 La necessità soggettiva, che attribuiamo al giudizio di gusto, è condizionata, 151 § 20 La condizione della necessità, rivendicata da un giudizio di gusto, è l’idea di un senso comune, 151 § 21 Se si possa presupporre fondatamente un senso comune, 153

149

INDICE GENERALE

1021

§ 22 La necessità del consenso universale, che è pensato in un giudizio di gusto, è una necessità soggettiva che, se presupposto un senso comune, viene rappresentata come oggettiva, 155

Nota generale alla prima sezione dell’analitica

157

LIBRO SECONDO. Analitica del sublime

167

§ 23 Passaggio dalla facoltà di valutare il bello a quella di valutare il sublime, 167 § 24 Della divisione di una ricerca sul sentimento del sublime, 173

A. Del sublime matematico

175

§ 25 Definizione nominale del sublime, 175 § 26 Della stima di grandezza delle cose della natura che è richiesta per l’idea del sublime, 181 § 27 Della qualità del compiacimento nella valutazione del sublime, 195

B. Del sublime dinamico della natura

203

Nota generale all’esposizione dei giudizi riflettenti estetici

217

Deduzione dei giudizi estetici puri

245

§ 28 Della natura come di una potenza, 203 § 29 Della modalità del giudizio sul sublime della natura, 211

§ 30 La deduzione dei giudizi estetici sugli oggetti della natura non può essere diretta a ciò che in essa chiamiamo sublime, ma solo al bello, 245 § 31 Del metodo della deduzione dei giudizi di gusto, 247 § 32 Prima peculiarità del giudizio di gusto, 251 § 33 Seconda peculiarità del giudizio di gusto, 255 § 34 Non è possibile alcun principio oggettivo del gusto, 259

§ 35 Il principio del gusto è il principio soggettivo della forza di giudizio in generale, 261 § 36 Del problema di una deduzione dei giudizi di gusto, 263

§ 37 Che cosa propriamente si afferma a priori di un oggetto in un giudizio di gusto?, 267 § 38 Deduzione dei giudizi di gusto, 267 Nota, 269 § 39 Della comunicabilità di una sensazione, 271 § 40 Del gusto come di una specie di sensus communis, 275 § 41 Dell’interesse empirico per il bello, 283

1022

INDICE GENERALE

§ 42 Dell’interesse intellettuale per il bello, 287 § 43 Dell’arte in generale, 297 § 44 Dell’arte bella, 301 § 45 L’arte bella è un’arte in quanto al contempo sembra essere natura, 303 § 46 L’arte bella è arte del genio, 305 § 47 Dilucidazione e conferma della precedente definizione del genio, 309 § 48 Del rapporto del genio con il gusto, 315 § 49 Delle facoltà dell’animo che costituiscono il genio, 319 § 50 Del collegamento del gusto con il genio nei prodotti dell’arte bella, 333 § 51 Della divisione delle belle arti, 335 § 52 Del collegamento delle belle arti in un solo e unico prodotto, 347 § 53 Comparazione del valore estetico rispettivo delle belle arti, 349 § 54 Nota, 357

SECONDA SEZIONE. La dialettica della forza estetica di giudizio

371

§ 55, 371 § 56 Presentazione dell’antinomia del gusto, 373 § 57 Soluzione dell’antinomia del gusto, 375 Nota I, 381 Nota II, 387 § 58 Dell’idealismo della conformità della natura, come pure dell’arte, al fine come unico principio della forza estetica di giudizio, 391 § 59 Della bellezza come simbolo della moralità, 401 § 60 Appendice della dottrina del metodo del gusto, 409

SECONDA PARTE. Critica della forza teleologica di giudizio

415

§ 61 Della conformità oggettiva della natura al fine, 417

CAPITOLO PRIMO. Analitica della forza teleologica di giudizio § 62 Della conformità oggettiva al fine che a differenza di quella materiale è semplicemente formale, 421 § 63 Della conformità relativa della natura al fine a differenza di quella interna, 431 § 64 Del carattere peculiare delle cose in quanto fini della natura, 439 § 65 Le cose, in quanto fini naturali, sono esseri organizzati, 445

421

INDICE GENERALE

1023

§ 66 Del principio della valutazione della conformità interna al fine negli esseri organizzati, 453 § 67 Del principio della valutazione teleologica sulla natura in generale come sistema di fini, 457 § 68 Del principio della teleologia come principio interno della scienza della natura, 465

CAPITOLO SECONDO. Dialettica della forza teleologica di giudizio

473

§ 69 Che cos’è un’antinomia della forza di giudizio?, 473 § 70 Presentazione di questa antinomia, 475 § 71 Preparazione alla soluzione della precedente antinomia, 479 § 72 Dei vari sistemi sulla conformità della natura al fine, 483 § 73 Nessuno dei precedenti sistemi realizza ciò che pretende, 489 § 74 La causa dell’impossibilità di trattare dogmaticamente il concetto di una tecnica della natura è l’inesplicabilità di un fine naturale, 495 § 75 Il concetto di una conformità oggettiva della natura al fine è un principio critico della ragione per la forza riflettente di giudizio, 501 § 76 Nota, 507 § 77 Della peculiarità dell’intelletto umano per cui ci è possibile il concetto di un fine naturale, 517 § 78 Dell’unificazione, nella tecnica della natura, del principio del meccanismo universale della materia con quello teleologico, 529

APPENDICE. Dottrina del metodo della forza teleologica di giudizio § 79 Se la teleologia debba essere trattata come appartenente alla dottrina della natura, 543 § 80 Della necessaria subordinazione del principio del meccanismo a quello teleologico nella spiegazione di una cosa come fine naturale, 545 § 81 Dell’associazione del meccanismo al principio teleologico nella spiegazione di un fine naturale come prodotto naturale, 555 § 82 Del sistema teleologico nei rapporti esterni di esseri organizzati, 561 § 83 Del fine ultimo della natura come sistema teleologico, 573 § 84 Del fine definitivo dell’esistenza di un mondo, cioè della creazione stessa, 583 § 85 Della fisicoteologia, 587

543

1024

INDICE GENERALE

§ 86 Dell’eticoteologia, 599 Nota, 607 § 87 Della prova morale dell’esistenza di Dio, 611 § 88 Limitazione della validità della prova morale, 623 Nota, 635 § 89 Dell’utilità dell’argomento morale, 637 § 90 Del modo del tener per vero in una prova teleologica dell’esistenza di Dio, 643 § 91 Del modo del tener per vero mediante una fede pratica, 655

Nota generale alla teleologia

673

PRIMA INTRODUZIONE CRITICA DELLA FORZA DI GIUDIZIO

ALLA

Della filosofia come un sistema Nota II. Del sistema delle facoltà superiori del conoscere che sta a fondamento della filosofia III. Del sistema di tutte le facoltà dell’animo umano IV. Dell’esperienza come un sistema per la forza di giudizio V. Della forza riflettente di giudizio VI. Della conformità delle forme della natura al fine considerate come altrettanti sistemi particolari VII. Della tecnica della forza di giudizio come fondamento dell’idea di una tecnica della natura VIII. Dell’estetica della facoltà di valutare Nota IX. Della valutazione teleologica X. Della ricerca di un principio della forza tecnica di giudizio XI. Introduzione enciclopedica alla critica della forza di giudizio nel sistema della critica della ragione pura XII. Divisione della critica della forza di giudizio

703 707

APPARATI

815

NOTE AL TESTO TEDESCO NOTE AL TESTO ITALIANO INDICE DEI NOMI CITATI DA KANT GLOSSARIO TEDESCO-ITALIANO PAROLE CHIAVE BIBLIOGRAFIA

817 847 867 869 883 893

I.

713 721 725 729 741 745 749 759 771 781 791 803