Corso di tecnologie e progettazione di sistemi elettrici ed elettronici [2] 978-8820350154

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Corso di tecnologie e progettazione di sistemi elettrici ed elettronici [2]
 978-8820350154

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FAUSTO MARIA FERRI

CORSO DI TECNOLOGIE E PROGETTAZIONE DI SISTEMI ELETTRICI ED ELETTRONICI Per l’articolazione ELETTRONICA degli Istituti Tecnici settore Tecnologico

2 HOEPLI

FAUSTO MARIA FERRI

CORSO DI TECNOLOGIE E PROGETTAZIONE DI SISTEMI ELETTRICI ED ELETTRONICI Per l’articolazione ELETTRONICA degli Istituti Tecnici settore Tecnologico VOLUME SECONDO

EDITORE ULRICO HOEPLI MILANO

UN TESTO PIÙ RICCO E SEMPRE AGGIORNATO Nel sito www.hoepliscuola.it sono disponibili: •  materiali didattici integrativi; •  eventuali aggiornamenti dei contenuti del testo.

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STRUTTURA DELL’OPERA Il Corso di Tecnologie e progettazione di sistemi elettrici ed elettronici è destinato al secondo biennio (voll. 1 e 2) e al quinto anno (vol. 3) degli Istituti Tecnici settore Tecnologico. È articolato in tre volumi e rispetta nei suoi contenuti i nuovi programmi ministeriali del corso Tecnologie e

progettazione di sistemi elettrici ed elettronici per l’articolazione Elettronica. Ogni volume è strutturato in moduli didattici, ordinati secondo un percorso didattico di progressivo affinamento delle capacità progettuali e al tempo stesso indipendenti per rendere possibile l’adozione di percorsi

didattici differenziati, adatti al profilo delle singole classi e all’impostazione che l’insegnante intende dare al corso. Le esercitazioni proposte partono da progetti di semplice esecuzione e diventano via via concettualmente più complesse e aderenti alle realtà professionali.

Contenuti del primo volume

Contenuti del secondo volume

Contenuti del terzo volume

Il primo volume, suddiviso in dieci moduli, ha l’obiettivo di: n fornire competenze di base relative ai dispositivi elettronici passivi e di progettazione delle apparecchiature elettroniche digitali; n saper utilizzare gli strumenti di disegno e progettazione CAD; n saper progettare impianti elettrici civili, con particolare attenzione alle normative e alle problematiche legate alla sicurezza; n approfondire la conoscenza di economia e organizzazione aziendale e delle principali teorie e strumenti per la gestione dei processi aziendali utilizzando strumenti di pianificazione informatici.

Il secondo volume, suddiviso in sette moduli, approfondisce lo studio: n delle competenze di base relative ai dispositivi elettronici attivi e di progettazione delle apparecchiature elettroniche digitali e analogiche; n dei microprocessori, microcalcolatori, controllori programmabili e le loro principali applicazioni (domotica, sistemi SCADA); n dell’ingegnerizzazione dei progetti elettronici, analizzando i principali metodi applicati nella progettazione e realizzazione dei circuiti stampati utilizzando strumenti informatici (CAD); n degli aspetti di progettazione legati alla sicurezza, alla qualità e alla manutenzione di un prodotto elettronico.

Il terzo volume, suddiviso in quattordici moduli, ha l’obiettivo di: n fornire le competenze di base sui principali trasduttori e attuatori utilizzati nelle apparecchiature elettroniche; n acquisire competenze nelle tecniche di ingegnerizzazione del progetto delle apparecchiature elettroniche; n approfondire la conoscenza degli aspetti progettuali delle apparecchiature elettroniche analogiche e digitali considerando le esigenze ambientali, di innovazione, di costo e di marketing; n saper valutare i costi aziendali e determinare il prezzo di vendita dei prodotti, in particolare di quelli elettronici; n conoscere i principali contratti di lavoro, diritti, doveri e tutele dei lavoratori, le principali norme di sicurezza sul lavoro.

Struttura dell’opera

III

GUIDA GRAFICA AL TESTO MODULI Il testo del secondo volume è strutturato in 7 moduli completi e indipendenti, suddivisi in capitoli. All’apertura di ogni modulo sono evidenziati i prerequisiti e gli obiettivi di conoscenze e competenze che fondano il suo studio. Alla fine del modulo viene proposta la sintesi degli argomenti che sono stati sviluppati. Il modulo termina con le verifiche. CAPITOLI Il capitolo inizia con il richiamo dei concetti chiave. Il testo è corredato di note a margine che spiegano le sigle e i termini scientifici e tecnici (glossario). Disegni, fotografie, estratti da cataloghi e tabelle riassuntive dei dati fondamentali migliorano la comprensione e la memorizzazione; gli esempi traducono la teoria in pratica dei problemi e del calcolo. Le parti dedicate alle conoscenze fondamentali sono accompagnate da schede di applicazioni con esercitazioni finali. Alla fine dei paragrafi più significativi del capitolo, un elenco di domande aiuta l’autoverifica dell’apprendimento.

collegamento al sito Internet apertura modulo disegni e tabelle dei dati tecnici

COMPLETA IL VOLUME un accurato indice analitico fondamentale e rapido strumento di ricerca degli argomenti trattati.

apertura di capitolo e concetti chiave

acronimi e domande di antoverifica

indice analitico

IV

Guida grafica al testo

CONTENUTI DEL SECONDO VOLUME Nel sito www.hoepliscuola.it sono disponibili: n i testi dei capitoli: Giunzione PN; Metodi di fabbricazione dei diodi, transistor bipolari, JFET e MOSFET; Sistemi CAD: OrCAD, CIRCAD e Eagle; Il personal computer; Microcalcolatori della famiglia ST62; Esercitazioni e applicazioni di elettronica digitale e analogica; n testi di approfondimento; in particolare, il sistema CAD: OrCAD/PCBII e i linguaggi di programmazione Visual BASIC e SQL; n disegni e software sviluppato nel testo; n tabelle tecniche, simboli grafici e forme dei contenitori JEDEC; n set delle istruzioni dei microprocessori trattati nel testo; n elenco dei siti Internet delle principali aziende produttrici di dispositivi e apparecchiature elettroniche; n link di collegamento ai fogli tecnici e alle note applicative dei principali dispositivi elettronici; n glossario; n acronimi utilizzati nel testo; n bibliografia.

schede di applicazioni

verifiche di fine modulo

esempi applicativi

sintesi degli argomenti del modulo

Guida grafica al testo

V

Indice

MODULO A Fisica di base dei semiconduttori

1

CAP 1 Giunzione PN SINTESI

DEL

MODULO

2

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore CAP 2 Diodi a semiconduttore 1. Diodo a giunzione 2. Diodo Zener 3. Diodo Schottky 4. Diodo PIN 5. Diodo tunnel 6. Varistori 7. Diodi Gunn e diodi a effetto valanga 8. Sigle di identificazione utilizzate dai dispositivi a semiconduttore

5 5 12 16 16 18 19 20 22

CAP 3 Transistor a giunzione bipolare 1. Configurazione e funzionamento dei transistor bipolari 2. Caratteristiche elettriche 3. Rappresentazione grafica 4. Classificazione e applicazioni 5. Configurazioni circuitali particolari

25 25

CAP 4 Transistor a effetto di campo 1. Transistor a effetto di campo a giunzione (JFET) 2. Transistor a giunzione metallosemiconduttore (MESFET) 3. Transistor a gate isolato (MOSFET) 4. MOSFET di potenza 5. Dispositivi di potenza CMD 6. Transistor unigiunzione (UJT)

VI

4

Indice

29 36 37 39 41 42 48 50 56 63 63

CAP 5 Circuiti integrati a LSI: memorie a semiconduttore 1. Caratteristiche delle memorie a semiconduttore 2. Classificazione delle memorie a semiconduttore 3. Memorie RAM 4. Memorie ROM 5. Memorie PROM 6. Memorie EPROM 7. Memorie EEPROM 8. Memorie NV-RAM 9. Memorie Flash 10. Memorie sequenziali SINTESI DEL MODULO VERIFICHE

66 66 70 75 82 85 87 91 93 95 95 101 105

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

106

CAP 6 Circuiti stampati 1. Processi di fabbricazione 2. Metodi di collaudo 3. Materiali per la realizzazione 4. Circuiti stampati flessibili

107 110 114 115 117

CAP 7 Metodi di assemblaggio delle apparecchiature elettroniche 1. Montaggio di una scheda a circuito stampato 2. Saldatura 3. Tecniche di saldatura 4. Tecnica del montaggio superficiale

119 119 125 129 131

CAP 8 Progettazione e realizzazione 137 dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati 1. Fasi di lavoro 138 2. Fase di raccolta della documentazione 140 necessaria per la realizzazione dei master

3. Tipi di montaggio dei componenti 4. Dimensioni dei circuiti stampati 5. Disposizione dei componenti sulla scheda 6. Elementi che formano il circuito stampato 7. Artwork 8. Materiali per il disegno dei master e loro utilizzo 9. Artmaster 10. Controlli e verifiche del master 11. Disegni per il montaggio della scheda a circuito stampato 12. Photomaster 13. Costi di fabbricazione 14. Sistemi CAD/CAE per la realizzazione dei disegni di fabbricazione 15. Sistemi CAD commerciali

142 143 145

CAP 9 Guida al sistema Cad: OrCAD®/Layout

184

CAP 10 Guida al sistema CAD: CIRCAD®. Layer

185

CAP 11 Guida al sistema CAD: Eagle®. Layout e Autorouter

186

SINTESI DEL MODULO VERIFICHE

149 154 157 159 161 162 170 170 171 182

187 190

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

191

CAP 12 Amplificatori operazionali 1. Caratteristiche elettriche 2. Sorgenti di errore negli amplificatori operazionali 3. Sorgenti di rumore esterne 4. Simbolo grafico e sigla commerciale dell’amplificatore operazionale 5. Criteri di scelta degli amplificatori operazionali per un progetto elettronico 6. Accorgimenti pratici nell’uso degli operazionali 7. Amplificatori 8. Limitatori 9. Comparatori

192 194 198

10. Generatori di forme d’onda 11. Oscillatori sinusoidali 12. Filtri elettrici 13. Generatore di onde triangolari 14. Convertitori 15. Applicazioni non lineari Applicazioni SINTESI DEL MODULO VERIFICHE

226 231 233 239 240 244 247 253 255

MODULO E Controllori programmabili

257

CAP 13 Struttura del PLC 1. Configurazione del PLC 2. Memorie del PLC

258 260 261

CAP 14 Programmazione e funzioni del PLC 1. Funzioni del PLC 2. Linguaggi e fasi della programmazione 3. Linguaggi di programmazione 4. Valutazione delle prestazioni dei PLC e modalità di installazione Applicazioni

264 264 265 266 276 277

CAP 15 Programmable Automation Controller (PAC)

281

CAP 16 Domotica: la casa del futuro 1. Vantaggi di un sistema KNX 2. Realizzazione di un progetto domotico 3. Normativa europea di riferimento SINTESI DEL MODULO VERIFICHE

284 287 288 291 292 294

MODULO F

201 203

Dispositivi elettronici programmabili

295

205

CAP 17 Microprocessori 1. Organizzazione di un microcalcolatore 2. Classificazione delle memorie 3. Cenni di programmazione 4. Microprocessori a 16 bit 5. Organizzazione dell’area di memoria 6. Microprocessore INTEL 8086

296 297 298 302 305 307 308

208 210 221 223

Indice

VII

7. Interfaccia programmabile per periferiche 8255A 8. Temporizzatore/contatore programmabile 8253

329

CAP 18 Processori di segnali digitali (DSP)

334

CAP 19 Software per l’automazione: i sistemi Scada

337

CAP 20 Personal computer CAP 21 Microcalcolatori a chip singolo 1. Microcalcolatori PIC 2. Architettura del PIC16F84A 3. Porte di I/O del PIC16F84A 4. Struttura interna del PIC16F84A 5. Registri nella RAM del PIC16F84A 6. Organizzazione logica del PIC16F84A 7. L’assemblatore 8. Il temporizzatore interno del PIC16F84A 9. Interruzioni 10. EEPROM dei dati 11. Watchdog 12. Reset del microcalcolatore 13. Sistema di sviluppo 14. Programmatore per PIC16F84A Applicazioni CAP 22 I microcalcolatori. La famiglia di microcalcolatori ST62 SINTESI DEL MODULO VERIFICHE

VIII

323

Indice

341 342 344 348 350 353 356 358 360 364 366 369 371 372 373 382 393 403

404 408

MODULO G Programmazione elettronica e sicurezza CAP 23 Manutenzione e qualità del prodotto elettronico 1. Affidabilità e tasso di guasto 2. Manutenzione 3. Prove ambientali 4. Qualità del prodotto 5. Sicurezza CAP 24 La Direttiva macchine. La sicurezza come criterio di progettazione 1. Interazione macchina-operatore 2. Imballaggio delle apparecchiature 3. Il posto di lavoro 4. Sicurezza e affidabilità dei sistemi di comando 5. Comandi di avviamento 6. Comandi di arresto 7. Selettore modale di funzionamento 8. Guasto del circuito di alimentazione 9. Stabilità 10. Rottura durante il funzionamento 11. Ulteriori rischi 12. Manutenzione della macchina 13. Metodi per la valutazione dei rischi 14. Metodi per l’identificazione dei pericoli 15. Metodi per la stima dei rischi 16. Dichiarazione di conformità e marcatura CE 17. Fascicolo Tecnico della Costruzione 18. Manuale con le istruzioni per l’uso SINTESI DEL MODULO VERIFICHE Indice analitico

409

410 410 413 415 416 418 419 420 422 422 422 425 426 427 428 428 428 429 431 432 432 433 437 438 440 442 444 448

MODULO

A

Fisica di base dei semiconduttori CAP 1 GIUNZIONE PN

Concetti chiave cap. 1

         

Affinità elettronica Barriera di potenziale Capacità di diffusione Capacità di transizione Corrente di deriva Corrente di diffusione Diffusione allo stato solido Effetto valanga Effetto Zener Estrazione di portatori minoritari

          

Giunzione epitassiale Lavoro di estrazione Mascheratura Metallizzazione Resistenza termica Tensione di breakdown Tensione di giunzione Tensione di soglia Tensione diretta Tensione inversa Zona di svuotamento

MODULO A Fisica di base dei semiconduttori

1

SINTESI DEL MODULO A CAPITOLO

1

La giunzione PN è costituita da regioni di semiconduttore nelle quali la distribuzione non uniforme delle impurità produce un cambiamento, di solito brusco, da materiale di tipo P a materiale di tipo N. — Nella zona di tipo P predominano le impurità accettrici, per cui vi è una concentrazione predominante di lacune; nella zona di tipo N predominano le impurità donatrici, per cui si ha una concentrazione predominante di elettroni. I due gradienti di concentrazione comportano che gli elettroni e le lacune che si trovano nei pressi della zona di giunzione tendano a diffondere nella zona adiacente. — Il flusso di diffusione delle cariche attraverso il piano della giunzione crea uno squilibrio di carica sia nella zona di tipo P sia nella zona di tipo N: nella zona di tipo P si crea una zona caricata negativamente, in quella di tipo N si crea una zona caricata positivamente. — Lo squilibrio di carica determina una barriera di potenziale vicino al piano della giunzione. Il campo elettrico, associato alla barriera di potenziale, è diretto dalla zona di tipo N verso quella di tipo P, e pertanto si oppone al moto di diffusione dovuto ai gradienti di concentrazione degli elettroni e delle lacune (elettroni dalla zona di tipo N verso la zona di tipo P) e a quello delle lacune dalla zona di tipo P verso la zona di tipo N. — La tensione della barriera di potenziale della giunzione è detta anche tensione di soglia Vp. — Se si applica una tensione fra i terminali della giunzione si ottengono due comportamenti diversi. Se la tensione applicata fa sì che la barriera di potenziale aumenti, la tensione applicata è detta inversa. Applicando invece una tensione di polarità opposta (detta tensione diretta) si ha una riduzione della barriera di potenziale sulla giunzione. Tale riduzione favorisce il fenomeno della diffusione dovuto al gradiente di concentrazione. Analizzando la caratteristica corrente-tensione di una giunzione PN si nota che la corrente aumenta rapidamente quando la giunzione è polarizzata in modo diretto in quanto aumentano i portatori maggioritari che possono superare la ridotta barriera di potenziale. La corrente inversa è di piccola entità e pressoché costante. La variazione dell’ampiezza dell’altezza della barriera viene chiamata tensione di giunzione Vj. — Se la tensione applicata è concorde con quella che avviene spontaneamente per effetto della diffusione (tensione inversa) la diffusione viene ulteriormente ostacolata. Si genera uno squilibrio fra le due correnti, in quanto la corrente di diffusione diminuisce mentre aumenta la corrente di deriva. — La corrente inversa in un diodo a giunzione è piccola ed essenzialmente indipendente dalla tensione inversa. Quando però la tensione inversa diventa abbastanza grande da superare un valore detto tensione inversa di rottura, tutti i diodi presentano una zona di funzionamento nella quale può passare una forte corrente. Questa tensio-

2

MODULO A Sintesi

ne nei diodi a giunzione va da pochi volt a qualche centinaio. — Questo comportamento della giunzione può essere causato dal meccanismo della moltiplicazione a valanga o dall’effetto Zener, causati entrambi dall’aumento del valore del campo elettrico nello strato di carica spaziale all’aumentare della tensione inversa. — Il comportamento della giunzione è molto sensibile alle variazioni di temperatura. La corrente del diodo varia in modo notevole al variare della temperatura perché dipende linearmente dalla tensione termica VT = KT/q, che è presente nel termine esponenziale, e dalla variazione della corrente di saturazione I0 dovuta alla variazione della concentrazione dei portatori minoritari. Il comportamento dinamico della giunzione è determinato dal comportamento capacitivo dovuto alle variazioni di carica attribuibili, l’una, al dipolo presente nella regione di transizione (capacità di transizione CT), l’altra, alle cariche mobili che attraversano la giunzione per diffusione (capacità di diffusione CD). Per effettuare le interconnessioni, il sistema metallo-semiconduttore deve possedere caratteristiche elettriche tali da mostrare il minor valore resistivo in entrambe le direzioni per un ampio intervallo di temperatura (contatto ohmico). Se la metallizzazione costituisce un elemento essenziale del dispositivo elettronico, il contatto metallo-semiconduttore deve consentire il passaggio della corrente in una sola direzione; in questo caso si realizza una barriera Schottky il cui comportamento è simile a quello della giunzione PN. La maggior parte dei dispositivi a semiconduttore viene realizzata utilizzando la tecnologia di diffusione planare. Questa tecnologia, partendo da pezzi di silicio omogeneo, consente di pervenire a giunzioni PN e zone a differente conducibilità di dimensioni geometriche ben definite, e di connetterle ai terminali o a contatti. — Poiché il tipo di conducibilità è determinato dalla concentrazione netta delle impurità, è possibile ottenere un semiconduttore (per esempio di tipo N) convertendo un semiconduttore di tipo P mediante l’aggiunta di impurità donatrici. Questa operazione è detta compensazione. — Il metodo di diffusione allo stato solido si basa sulla possibilità di sciogliere nel cristallo di silicio, piccole quantità di impurità trivalenti o pentavalenti, a seconda del tipo di inversione di conducibilità desiderata. — La concentrazione delle impurità che si possono sciogliere nel cristallo sono limitate dal basso valore della loro solubilità solida; con questo metodo si possono ottenere concentrazioni comprese fra i 1018 e i 1020 cm–3, che corrispondono a frazioni di impurità comprese fra lo 0,001% e lo 0,1%. Gli atomi di impurità si muovono per diffusione nel reticolo del cristallo. Tale movimento viene misurato attraverso un coefficiente di diffusione: quanto maggiore è il suo

valore, più profonda sarà l’area del cristallo interessata all’inversione di conducibilità. — Nella pratica produttiva i dispositivi vengono realizzati effettuando le diffusioni di impurità non su tutta l’area del substrato, ma solo su aree geometricamente ben definite. L’area non interessata alla diffusione viene mascherata tramite uno strato di biossido di silicio (SiO2) che agisce da isolante elettrico e scherma il semiconduttore dalle impurità. — Lo strato di ossido, oltre alle funzioni descritte, assolve anche il compito di proteggere la superficie del semiconduttore dall’azione degli agenti inquinanti che modificherebbero le sue caratteristiche. In questo caso si dice che lo strato di ossido rende passiva la superficie; ciò spiega perché dopo ogni diffusione si provvede, tramite una nuova ossidazione, a ricreare lo strato d’ossido. Le aree in cui si vuole effettuare la diffusione vengono definite utilizzando una tecnica di mascheramento basata su metodi litografici. In alcune realizzazioni il rivestimento di ossido viene oggi sostituito con il nitruro di silicio (Si3N4). Rispetto al biossido di silicio questa sostanza presenta una capacità protettiva superiore e un’elevata costante dielettrica, inoltre può essere depositata a bassa temperatura. — L’impiantazione ionica è una tecnica recente che permette di effettuare il drogaggio a temperatura ambiente tramite un bombardamento ionico della superficie del cristallo; gli atomi droganti penetrano nel reticolo e vanno a sostituirsi agli atomi di silicio. — La profondità di penetrazione degli ioni nel cristallo dipende dall’energia con cui questi colpiscono la superficie del wafer. Tale energia viene regolata attraverso gli anodi acceleratori, mentre la concentrazione del drogante viene regolata agendo sul tempo di esposizione del wafer all’azione del raggio ionico. — Un contenitore per dispositivi elettronici discreti o per chip di circuiti integrati (più dispositivi discreti assemblati su un unico substrato) costituisce, nella sua forma più ele-

mentare, un adattatore di dimensioni. In pratica, esso fa da ponte tra le piccole e ravvicinate piazzole di contatto poste sulla superficie del chip e la rete di connessioni di più grandi dimensioni definite sulle piastre di supporto per livelli di montaggio a più alta gerarchia. Fra i vari tipi di contenitori, uno dei più comuni è il modello DIL (Dual-In-Line) realizzato mediante una capsula rettangolare di materiale plastico o ceramico, con una fila di terminali lungo ciascuno dei due lati maggiori. I terminali sono distanziati di un passo costante di 2,54 mm (0,1"). — Il contenitore a doppia fila di terminali sfrutta convenientemente lo spazio occupato sulla piastra solo nel caso di chip che integrano circuiti con un numero limitato di terminali, ma diviene ingombrante in presenza di numerosi terminali. Il contenitore DIL più lungo è provvisto di 64 piedini disposti in doppia fila, e risulta troppo allungato e troppo largo in quanto è necessario aumentare lo spazio all’interno del contenitore per consentire l’interconnessione dei terminali con le piazzole di contatto del chip. — Una certa tecnologia di montaggio è utile solo se è possibile rimuovere efficientemente il calore generato all’interno del chip. Il parametro che misura la capacità di raffreddamento che caratterizza un contenitore per dispositivi a semiconduttore è la sua resistenza termica, definita dal rapporto tra la differenza di temperatura esistente tra la sorgente di calore (il chip) e l’ambiente, e il flusso di calore che attraversa il contenitore. In condizioni di funzionamento normali il flusso di calore deve uguagliare la potenza dissipata dal chip. L’unità di misura della resistenza termica è il grado centigrado su watt (°C/W). — Per poter essere utilizzato per l'incapsulamento di un dispositivo elettronico, un materiale plastico deve: avere un buon adattamento del coefficiente di dilatazione termica con quello del silicio; non interagire chimicamente con il silicio; avere una buona aderenza con i terminali esterni; essere caratterizzato da un basso assorbimento di vapor acqueo; presentare in condizioni di alta umidità un rigonfiamento trascurabile.

MODULO A Sintesi

3

MODULO

B

Dispositivi elettronici a semiconduttore CAP 2

DIODI A SEMICONDUTTORE

CAP 3

TRANSISTOR A GIUNZIONE BIPOLARE

CAP 4

TRANSISTOR A EFFETTO DI CAMPO

CAP 5

CIRCUITI INTEGRATI A LSI: MEMORIE A SEMICONDUTTORE Prerequisiti    

Concetti fondamentali della teoria quantistica della materia. Meccanismi di conduzione elettrica nei materiali semiconduttori. Funzionamento della giunzione PN. Processo di fabbricazione dei semiconduttori.

Obiettivi Conoscenze     

Dispositivi elettronici a semiconduttore più importanti. Identificazione del tipo di semiconduttore mediante la sigla di denominazione. Principali parametri statici e dinamici dei semiconduttori. Principali tecnologie di fabbricazione dei semiconduttori. Importanza delle variazioni dei parametri caratteristici al variare delle grandezze ambientali (temperatura, luminosità ecc.) e sfruttamento di queste variazioni per ottenere componenti particolari (diodo Zener, Schottky, PIN, varistori ecc.).

Competenze  Saper valutare i parametri dei dispositivi elettronici a semiconduttore ricavati dai fogli tecnici dei costruttori.  Saper mettere in relazione il funzionamento dei principali dispositivi con la configurazione circuitale che li utilizza.  Saper realizzare le principali configurazioni circuitali che impiegano dispositivi a semiconduttore discreti.  Saper riconoscere i vari tipi di memoria a semiconduttore e saperli usare correttamente.

4

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

CAP 2

DIODI A SEMICONDUTTORE

Concetti chiave  Tempo di    

immagazzinamento Tempo di recupero diretto Tempo di recupero inverso Tensione di soglia Tensione inversa di rottura

1 2 3 4 5 6 7

8 Sigle di identificazione utilizzate dai dispositivi a semiconduttore

Diodo a giunzione Diodo Zener Diodo Schottky Diodo PIN Diodo tunnel Varistori Diodi Gunn e diodi a effetto valanga

Metodi di fabbricazione dei diodi a giunzione

Il diodo è un dispositivo a due terminali che sfrutta le proprietà del semiconduttore che lo costituisce. I diodi possono essere realizzati sfruttando le proprietà del semiconduttore (diodi a punta di contatto) o una giunzione ottenuta con opportune operazioni di drogaggio del semiconduttore (diodi a giunzione).

1 DIODO A GIUNZIONE Il diodo a giunzione (o rettificatore) conduce facilmente in una sola direzione, mentre blocca la conduzione nell’altra. Per ottenere la conduzione di un diodo occorre che l’anodo sia a un potenziale superiore a quello del catodo. La piena conduzione si ottiene quando la differenza di potenziale, o tensione, supera un valore detto di soglia. La curva della figura 2.1 mostra la caratteristica tensione-corrente di un diodo generico. Fig. 2.1 Caratteristica voltamperometrica di un diodo a giunzione.

Æ ID

ID (mA)

Vg

A

K

VAK (V)

(mA)

Principio di funzionamento Il principio di funzionamento di una giunzione è stato già esaminato nel Vol. 2, Mod. A, Cap. 1, scaricabile dal sito Internet. In questo paragrafo ci limiteremo ad alcuni brevi cenni utilizzando il modello a cariche. Quando in un cristallo semiconduttore drogato di tipo N (cariche maggioritarie negative) si crea, con un opportuno processo tecnologico, una zona drogata di tipo P (cariche maggioritarie positive), nella zona di giunzione si manifesta una corrente di diffusione; in tale zona si ha quindi un processo di ricombinazione di cariche positive e negative, e le due zone in prossimità della giunzione vengono svuotate delle cariche elettriche libere.

CAP 2 Diodi a semiconduttore

5

Di conseguenza, le cariche fisse della struttura atomica generano un campo elettrico che tende a opporsi al movimento delle cariche maggioritarie e a favorire quello delle cariche minoritarie. Quando, a causa del processo di svuotamento, il campo elettrico fisso raggiunge un valore tale per cui riesce, creando una corrente di deriva formata da cariche minoritarie, a bilanciare l’effetto di diffusione, il movimento delle cariche libere della zona N e della zona P si arresta. Nella zona di giunzione del semiconduttore esiste una zona di svuotamento (o di carica spaziale) priva di cariche elettriche libere, e quindi di portatori di carica disponibili per creare una corrente elettrica  ( Fig. 2.2a). Al campo elettrico è associata una tensione detta barriera di potenziale. Applicando al semiconduttore un generatore di tensione esterno che generi un campo elettrico esterno tale da favorire il movimento delle cariche maggioritarie (polarizzazione diretta: zona P più positiva della zona N), il semiconduttore viene percorso da una corrente elettrica  ( Fig. 2.2b). La differenza di potenziale applicata per fare scorrere una corrente elettrica nella giunzione deve prima vincere l’effetto della barriera di potenziale. Il valore di tensione che permette l’inizio della conduzione nella giunzione viene detto tensione di soglia. Se invece si rende la zona di tipo P più negativa della zona di tipo N, il campo elettrico agisce ostacolando ulteriormente il movimento delle cariche maggioritarie, per cui la conduzione viene sostenuta dalle sole cariche minoritarie. I valori di corrente misurabili sono dell’ordine dei nano e microampere  ( Fig. 2.2c).

Figg. 2.2a, b, c Modello di una giunzione PN: a. giunzione in equilibrio; b. polarizzazione diretta; c. polarizzazione inversa.

==

lacune p maggioritarie i minoritarie elettroni P maggioritari I minoritari zona di svuotamento

+ P

N

+ -

catodo N

+ 2.2b

P

N

RL

VCC 2.2a

+ -

P anodo

+

RL

VCC 2.2c

Caratteristiche elettriche I parametri caratteristici di un diodo sono: — IF, che è la corrente diretta continua; — IF(AV), che è la corrente diretta media; — IFM, che è la corrente diretta massima di picco a regime; — IFRM, che è la corrente diretta massima di picco ripetitiva; — VF, che è la tensione diretta (tensione di soglia); — VR, che è la tensione inversa continua; — VRM, che è la tensione inversa massima di picco; — V(BR), che è la tensione inversa a cui si verifica il fenomeno del breakdown; — PF(AV), che è la potenza media; — PFM, che è la potenza massima; — Rth, che è la resistenza termica (°C/W).

6

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

trr – reverse recovery time

tfr – forward recovery time

ts – storage time

Figg. 2.3a, b, c Tempi di commutazione di un diodo: a. schema elettrico del circuito di prova; b. segnali di ingresso; c. caratteristiche di commutazione della corrente circolante e della tensione applicata al diodo.

La tensione di soglia rappresenta il valore di tensione diretta oltre cui la corrente circolante nel diodo assume valori apprezzabili; dipende dal materiale con cui il diodo è stato realizzato e dalla tecnologia utilizzata per fabbricarlo. Vale circa 0,1 ∏ 0,2 V se il diodo è al germanio, e circa 0,5 ∏ 0,7 V se è al silicio. I materiali semiconduttori più comunemente usati per costruire diodi a giunzione sono: silicio, germanio, arseniuro di gallio (GaAs). Quando il diodo viene impiegato come elemento di commutazione, diventano importanti i suoi tempi di commutazione nel passaggio dallo stato di conduzione a quello di interdizione e viceversa  ( Figg. 2.3a, b, c): si definiscono, rispettivamente, tempo di recupero inverso (trr) e tempo di recupero diretto (tfr). Particolare importanza riveste il passaggio del diodo dallo stato di conduzione a quello di interdizione. Quando la tensione di ingresso si inverte, la corrente non cessa di colpo, ma inverte la sua direzione perché in entrambe le zone sono presenti accumuli di portatori di carica minoritari che per un certo tempo, detto tempo di immagazzinamento (ts), sostengono la corrente che poi diminuisce esponenzialmente tendendo al valore della corrente inversa di saturazione (Io). R ID

Vi

D

VD

ID E1 R

2.3a

trr t I0

0 E – 2 R Vi

ts

VD E1 0,6

0

t

0

– E2 2.3b

t

– E2 2.3c

I fogli tecnici forniscono in genere il tempo di recupero inverso, definito dall’intervallo di tempo compreso fra l’istante in cui la corrente inverte il suo senso e l’istante in cui raggiunge un valore prossimo alla corrente di saturazione inversa. L’intervallo di commutazione dallo stato di interdizione a quello di saturazione è molto basso e viene definito dal tempo di recupero diretto. Questo ritardo è provocato dai portatori maggioritari, che impiegano un certo tempo ad attraversare la giunzione e a creare la situazione di piena conduzione diretta; ciò avviene a causa del tempo di salita non nullo del segnale di ingresso e della presenza di una capacità di giunzione nel diodo.

CAP 2 Diodi a semiconduttore

7

Fig. 2.10 Forme costruttive dei diodi a giunzione. DO 201 AD

M 471

P 600

DO 7

DO 5

DO 35 F 126

DO 220 AB

F 126

DO 27

Fig. 2.11 Diodo di potenza.

DO 27A

— fissatori (clamping) che consentono di fissare uno degli estremi di variazione di un segnale a una determinata tensione di riferimento  ( Fig. 2.12b); — elementi di blocco per impedire la conduzione in particolari rami di un circuito; — elementi circuitali per realizzare moltiplicatori di tensione; — rivelatori di particolari forme d’onda o potenziali.

Figg. 2.12a, b Circuito: a. limitatore; b. fissatore.

Vi C

R D + Vref

Vi

DO 5/1

DO 4

CB 150

0

Vi Vo

Vref 0 Vo

t

D

Vi

Vref

+

R

Vo

t

Vo

Vref 2.12a

2.12b

0

t

Configurazioni particolari In molte applicazioni circuitali i diodi vengono interconnessi in modo da realizzare delle particolari tipologie. L’industria ha assecondato le esigenze di semplicità, di compattezza e di maggiore affidabilità dei progettisti elettronici introducendo sul mercato, oltre ai singoli componenti discreti, anche dei dispositivi multipli che contengono al loro interno più dispositivi già interconnessi fra loro, così da semplificare il progetto e la costruzione dell’apparecchiatura elettronica.

10

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

2 DIODO ZENER Quando viene polarizzato direttamente, questo tipo di diodo si comporta come un normale diodo a giunzione; se invece è polarizzato inversamente, una volta raggiunta la tensione inversa di rottura entra in conduzione mantenendo costante la tensione ai suoi terminali  ( Fig. 2.18). IAK

Fig. 2.18 Caratteristica voltamperometrica di un diodo Zener.

I

A

K VZ Vg

VAK

Principio di funzionamento I fenomeni che avvengono all’interno di una giunzione PN polarizzata inversamente sono stati ampiamente descritti (Vol. 2, Mod. A, Cap. 1, scaricabile dal sito Internet). La giunzione PN, polarizzata inversamente, può essere portata da una condizione di non conduzione a uno stato di forte conduzione innescando il fenomeno della moltiplicazione a valanga (o effetto Zener). Se il drogaggio è leggero, il diodo a giunzione presenta tensioni di rottura dell’ordine delle decine o centinaia di volt, e la corrente inversa è dovuta sostanzialmente all’effetto valanga. Se il drogaggio è invece forte, le tensioni di rottura possono essere anche di pochi volt. In questo caso la corrente di rottura inversa è dovuta all’effetto Zener: il campo elettrico è molto forte e lo strato di carica spaziale è estremamente sottile, per cui, durante la diffusione, le cariche restano troppo poco tempo nella zona di carica spaziale per poter generare una corrente inversa, per effetto valanga, apprezzabile. Entrambi i meccanismi che abbiamo descritto (effetto valanga e Zener) non sono distruttivi o irreversibili; è infatti sufficiente ridurre al di sotto del valore critico di innesco la tensione inversa applicata perché il meccanismo di rottura si arresti e il diodo riprenda il comportamento normale. Le forti correnti e le forti tensioni associate al fenomeno della rottura inversa devono essere attentamente valutate, dal momento che è necessario non surriscaldare la giunzione per non danneggiare il diodo in modo irreversibile. La tecnologia utilizzata per fabbricare i diodi Zener dipende dal campo di impiego. I diodi realizzati con la tecnologia planare sono in genere diodi a bassa potenza o diodi a valanga, mentre quelli ottenuti per diffusione sono adatti alle applicazioni in media e alta potenza.

12

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

Rappresentazione grafica Simbolo grafico e lettera di identificazione

Il simbolo grafico è simile a quello del diodo normale, ma con qualche modifica nella riga indicante il catodo. Il cerchio che racchiude il simbolo è opzionale  ( Fig. 2.24). Per identificare il diodo Zener si usa la sigla VR o la lettera D  ( Fig. 2.25).

Fig. 2.24 Simboli grafici di un diodo Zener.

D1 5.6V 1/2W

Fig. 2.25 Identificazione di un diodo Zener.

2.24

Sigla commerciale e tipo di contenitore

2.25

Il catodo del diodo Zener viene di norma identificato, nei diodi di bassa potenza, da un anello colorato, nei diodi di potenza viene invece contrassegnato l’anodo con il segno “+”. Un metodo utilizzato da qualche costruttore per identificare i diodi Zener (diverso da quelli che saranno descritti nel paragrafo 8) fa uso di una stampigliatura sul contenitore dove viene indicata la tensione di breakdown.

ESEMPIO 1 IDENTIFICAZIONE DI UN DIODO ZENER

BZX C6V8 vuol dire: diodo Zener Vz = 6,8 Vdc con tolleranza del 5%.

Applicazioni I diodi Zener vengono di solito impiegati come: — stabilizzatori di tensione; — sorgenti di tensioni di riferimento; — limitatori di tensione. Il circuito di polarizzazione di un diodo Zener dev’essere progettato in modo da impedire il superamento della massima potenza nominale di dissipazione.

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4. 5.

Descrivi brevemente il principio di funzionamento di un diodo. Quali sono le grandezze elettriche caratteristiche di un diodo? Descrivi il principio di funzionamento del ponte di Graetz. Come si comporta un diodo Zener quando viene polarizzato inversamente? Definisci le principali grandezze elettriche che caratterizzano un diodo Zener.

CAP 2 Diodi a semiconduttore

15

3 DIODO SCHOTTKY

Fig. 2.26 Diodo Schottky.

I diodi a barriera di Schottky sono costituiti da una barriera rettificante metallo-semiconduttore ottenuta depositando un metallo (alluminio) su un materiale semiconduttore, di tipo P o N, per mezzo di sistemi di evaporazione, di sputtering o di placcatura. Nella giunzione metallo-semiconduttore  ( Vol. 2, Mod. A, Cap. 1, scaricabile dal sito Internet) i portatori maggioritari (gli elettroni) nel metallo presentano un tempo di vita estremamente basso, per cui la commutazione (passaggio dalla conduzione diretta a quella inversa e viceversa) avviene in tempi brevissimi: meno di 1 ns. + Il materiale utilizzato di solito è di tipo N su uno strato epitassiale N dello spessore di 0,5 ÷ 1 mm. Lo spessore e la concentrazione delle cariche determinano le caratteristiche del diodo. I diodi Schottky sono realizzati su wafer di silicio con metallizzazioni in alluminio e in platino, oppure utilizzando substrati di arseniuro di gallio. La caratteristica corrente-tensione è analoga a quella dei diodi al silicio; la tensione di soglia è però minore (circa 0,35 V).

Fig. 2.27 Diodo Schottky: parametri elettrici caratteristici (fonte: Sprague).

Fig. 2.28 Simbolo grafico del diodo Schottky.

TTL

– Transistor-transistor logic S

– Schottky LS

– Low Schottky

Durante la conduzione diretta, nella giunzione metallo-semiconduttore non si verifica accumulo di portatori di carica di minoranza in eccesso; ciò significa che quando si inverte la tensione di polarizzazione non vi è nessuna corrente inversa, e perciò il tempo di recupero inverso è ridottissimo (trr @ 50 ps). La figura 2.26 mostra la tipica forma costruttiva dei diodi Schottky, mentre la figura 2.27 presenta un breve elenco dei principali parametri caratteristici. La velocità di commutazione del diodo Schottky è estremamente elevata ed è stata utilizzata nei circuiti integrati logici TTL per incrementare la velocità di commutazione della serie standard, creando le serie S e LS. La figura 2.28 mostra il simbolo grafico di un diodo Schottky.

4 DIODO PIN PIN

– P-Insulator-N

16

I diodi PIN sono utilizzati come rettificatori nelle applicazioni in cui è richiesta una tensione di rottura inversa elevata e, contemporaneamente, una modesta resistenza serie per mantenere bassa la caduta di tensione sul diodo. La resistenza serie del diodo (determinata dai contributi della resistenza delle zone drogate e di quella dei contatti ohmici) assume,

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

nei dispositivi fortemente drogati come sono quelli che presentano valori di tensione inversa elevati, valori significativi. Se ne deduce che tensioni di rottura inverse elevate e bassa resistenza serie rappresentano due esigenze di progetto che, nei normali diodi, sono in antitesi. I diodi PIN sono costituiti da una struttura ibrida formata da una zona di materiale semiconduttore ad alta resistività intrinseca interposta fra una zona P e una zona N. In realtà, lo stato intermedio non è e non può essere perfettamente intrinseco in quanto, comunque, impurità provenienti dalle due zone tenderanno a migrare in esso. Quando un diodo PIN viene polarizzato direttamente, i portatori iniettati dalle zone P e N aumentano la concentrazione dei portatori di carica nella zona intrinseca, e quindi ne diminuiscono la resistività, e se lo spessore di questo strato è sufficientemente piccolo, si comporta praticamente come un cortocircuito; se esso, invece, viene polarizzato inversamente, le poche cariche presenti nello strato intrinseco vengono richiamate nelle due zone P e N, per cui la sua resistività aumenta. In pratica, variando il valore della polarizzazione, si può modulare la conducibilità della zona intrinseca. Il diodo PIN si comporta come una resistenza controllata in corrente  ( Fig. 2.29). RF

Fig. 2.29 Andamento del valore resistivo di un diodo PIN al variare della corrente.

kW

100 W

10 W

10 mA 100 mA

1 mA

10 mA

IF

La figura 2.30 mostra un tipico package per diodo PIN; la figura 2.31 mostra il suo simbolo grafico.

Fig. 2.30 Contenitore (package) di un diodo PIN.

chiusura ermetica metallo su metallo

wafer silicio planare copertura in lega Fe-Ni-Co

contatto in oro

ceramica (allumina) base in molibdeno

lega Fe-Ni-Co chiusura ermetica metallo-ceramica Fig. 2.31 Simbolo grafico del diodo PIN.

0

1

2

chiusura ermetica metallo su metallo

scala (mm)

CAP 2 Diodi a semiconduttore

17

5 DIODO TUNNEL Nelle giunzioni fortemente drogate, l’effetto Zener si può verificare anche con tensioni inverse molto ridotte (persino prossime allo zero). La rottura di Zener fa sì che la tensione inversa applicata al dispositivo faccia circolare una forte corrente inversa, e che il dispositivo manifesti una conduttanza elevata. Applicando una tensione positiva di pochi decimi di volt si annulla l’effetto Zener, si riduce la corrente a mano a mano che la tensione aumenta (e di conseguenza si ha una diminuzione del campo elettrico) e la corrente nella giunzione diminuisce. L’ulteriore aumento della tensione diretta produce una forte iniezione di cariche minoritarie e un conseguente aumento della corrente diretta. I dispositivi elettronici che sfruttano questa proprietà sono detti diodi tunnel. La figura 2.32 mostra la caratteristica corrente-tensione del diodo tunnel, che presenta una zona di conduttanza incrementale negativa (pendenza negativa) sfruttata in molte applicazioni circuitali.

Fig. 2.32 Caratteristica corrente-tensione di un diodo tunnel.

A

K

I (A) punto diretto

punto di picco IP

punto di valle IV VP

VV

VPP VAC (V)

La figura 2.33 mostra i simboli grafici utilizzati per rappresentare il diodo tunnel. Quest’ultimo è caratterizzato da piccola capacità di giunzione (< 1 pF), da tempo di commutazione molto ridotto (dell’ordine dei ps), da dissipazione di potenza bassa e da elevata stabilità parametrica al variare della temperatura.

Diodo backward Fig. 2.33 Simboli grafici del diodo tunnel.

18

Il backward è un particolare tipo di diodo tunnel; in esso la corrente di picco ha un valore molto più basso. Tale caratteristica viene ottenuta operando opportunamente sul profilo di drogaggio del diodo tunnel. La caratteristica corrente-tensione del diodo backward comporta bassa corrente diretta ed elevata corrente inversa, al contrario di quanto avviene per i normali diodi a giunzione  ( Figg. 2.34a, b).

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

I

Fig. 2.34 Diodo backward: a. simbolo grafico; b. curva caratteristica correntetensione.

b a

a curva corrente-tensione di un diodo backward b curva corrente-tensione di un diodo tunnel

VAK

I

A

2.34a

K

2.34b

6 VARISTORI Il diodo a capacità variabile (varicap diode o varactor) sfrutta la dipendenza dalla tensione inversa dell’effetto capacitivo che si manifesta in prossimità della giunzione di un diodo  ( Vol. 2, Mod. A, Cap. 1, scaricabile dal sito Internet). La capacità della giunzione è dovuta alla presenza delle cariche di segno opposto presenti ai bordi della zona di svuotamento, separate da un dielettrico costituito dallo stesso semiconduttore; le variazioni della tensione inversa di polarizzazione provocano l’allargamento o il restringimento della zona di svuotamento, e di conseguenza una variazione della capacità. La seguente relazione permette di valutare il valore della capacità per valori di tensione inversa lontani dal valore di rottura: C=

3

K V

N 2.1

Il dispositivo viene quindi utilizzato nei circuiti elettronici come capacità variabile in modo non lineare. I diodi varicap forniscono variazioni note di capacità entro una gamma prestabilita di valori della tensione inversa, solitamente tali variazioni sono comprese tra 10 e 50 pF, per una variazione di tensione compresa fra 1 e 20 V. La figura 2.35 (a p. seguente) mostra la curva caratteristica capacità-tensione inversa di un diodo varicap; essa ci permette di dedurre che al crescere della tensione inversa la capacità del diodo varicap diminuisce. Il circuito equivalente di un diodo varicap è mostrato nella figura 2.36; esso tiene conto della capacità della giunzione (Cj), della resistenza della zona di carica spaziale (Rj) e della resistenza della parte restante del diodo e dei contatti metallici (Rs) Il comportamento del diodo può essere descritto definendo il coefficiente di merito Q (la resistenza Rj alle alte frequenze può essere trascurata): Q=

1 w ⋅ C j ⋅ Rs

N 2.2

CAP 2 Diodi a semiconduttore

19

100,0

capacità (pF)

Fig. 2.35 Curva caratteristica capacità-tensione di un diodo varicap.

10,0

1,0 0,1

1,0

10,0

100,0

tensione inversa (V)

I diodi varicap possono essere utilizzati per sintonizzare circuiti ad alta frequenza (agendo sulla loro polarizzazione inversa) per modificare la capacità dell’elemento reattivo di un oscillatore; sono efficaci fino a frequenze di alcune centinaia di MHz e vengono comunemente impiegati nelle apparecchiature commerciali come i sintonizzatori per la televisione e i ricevitori a modulazione di frequenza. La figura 2.37 è il simbolo grafico del diodo varicap. Fig. 2.36 Circuito equivalente di un diodo varicap.

Rj Rs Cj

Fig. 2.37 Simbolo grafico del diodo varicap.

2.36

2.37

7 DIODI GUNN E DIODI A EFFETTO VALANGA

TED

– Transferred electron device TEO

– Transferred electron oscillator

20

I diodi Gunn sono dispositivi a resistenza negativa; si tratta di una caratteristica dovuta alla struttura della banda energetica di taluni materiali semiconduttori in presenza di elevati campi elettrici. La mobilità degli elettroni della banda di conduzione superiore di un materiale semiconduttore diminuisce a mano a mano che ci si sposta verso quelle superiori. Il trasferimento delle cariche (in genere elettroni) dalle bande di conduzione inferiori a quelle superiori avviene, in presenza di un forte campo elettrico, per effetto delle collisioni nella struttura cristallina. Questo fenomeno dipende dalle irregolarità dovute alle impurità inevitabilmente presenti nella struttura. Il trasferimento delle cariche provoca una riduzione della corrente via via che la tensione aumenta, producendo, in questo caso, un tratto a resistenza negativa sulla curva corrente-tensione  ( Fig. 2.38). I diodi Gunn sono conosciuti anche con le sigle TED e TEO (che derivano dal loro principio di funzionamento). I materiali utilizzati, di solito l’arseniuro di gallio e il fosfuro di indio, devono essere caratterizzati da purezza elevata e uniformità. Lo strato

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

Fig. 2.38 Caratteristica velocità delle carichecampo elettrico di un diodo Gunn.

velocità 2 10-7 (cm/s)

attivo è molto sottile (pochi micrometri) e viene ottenuto utilizzando tecniche di crescita epitassiale. I diodi Gunn presentano una figura di rumore bassa e vengono per lo più utilizzati in apparecchiature che operano nel campo di frequenze delle microonde da 8 a 18 GHz per realizzare oscillatori a riflessione. 2,5 2,0

tipo N T = 450 K InP

1,5 1,0

GaAs

0,5 0

20 10 30 campo elettrico (kV/cm)

Diodi IMPATT IMPATT

– Impact avalanche transit-time diode

Fig. 2.39 Modello bidimensionale di un diodo IMPATT a giunzione PN in condizione di polarizzazione inversa.

Nei diodi a effetto valanga, o diodi IMPATT, l’effetto valanga è prodotto da un forte campo elettrico applicato a una giunzione PN, o da una barriera Schottky polarizzata inversamente. La figura 2.39 mostra il modello bidimensionale del diodo, che è formato da due regioni: — una zona ristretta (regione P) nella quale la moltiplicazione delle cariche per urto (impatto), dovuto alla ionizzazione, provoca l’effetto valanga; — una regione di migrazione (drift zone) nella quale le cariche si muovono con una velocità indipendente dal campo elettrico e dove non c’è impatto da ionizzazione. V

RB zona a valanga

WA

P+

WD

+

zona di trascinamento (drift zone)

N

N+

zona di svuotamento silicio a bassa resistività

Wsc

silicio a bassa resistività

Ai capi del diodo si rileva uno spostamento di fase tra la tensione ai suoi capi e la corrente che vi circola. Questo slittamento di fase è dovuto al

CAP 2 Diodi a semiconduttore

21

ritardo di fase provocato dalla moltiplicazione delle cariche (tempo di risposta) e al tempo di transito finito delle lacune che si spostano nella zona di drift. Insieme, queste due componenti danno luogo a uno spostamento di fase di 180° fra tensione e corrente. I diodi IMPATT sono realizzati impiegando l’arseniuro di gallio, per frequenze fino a 30 GHz, e il silicio, che offre un rendimento migliore, per le frequenze superiori. Le loro prestazioni dipendono dal profilo di drogaggio: si fa in modo che l’effetto valanga si manifesti in una zona del semiconduttore ben definita, così da ottimizzare la disposizione del campo elettrico nella zona di drift. Questi profili prendono il nome dall’andamento del drogaggio stesso, per esempio: high-low, low-high-low, double-drift ecc. La figura 2.40 mostra il profilo di drogaggio del tipo low-high-low di un diodo IMPATT. ~ 0.2 mm

Fig. 2.40 Profili di drogaggio di un diodo IMPATT low-high-low. p+

n+

~ 7 2 1016/C3

tipo N

tipo P ,1 mm

,1 mm

Diodi TRAPATT TRAPATT

– Trapped plasma avalanche transit-time diode

Dal diodo IMPATT è stato derivato il diodo TRAPATT, dispositivo che presenta una struttura simile all’IMPATT: è diverso il livello del drogaggio fra la giunzione e l’anodo, che non varia bruscamente ma in modo graduale. Rispetto al diodo IMPATT, quello TRAPATT presenta una velocità di deriva (drift rate) bassa, un tempo di transito più lungo, una minore dissipazione di potenza; inoltre, poiché la caduta di tensione sul diodo è più bassa, il TRAPATT si presta alle applicazioni che operano in regime impulsivo. I diodi IMPATT e TRAPATT sono impiegati nelle realizzazioni degli oscillatori per microonde in varie soluzioni circuitali quali quella coassiale o quella a guida d’onda.

8 SIGLE DI IDENTIFICAZIONE UTILIZZATE DAI DISPOSITIVI A SEMICONDUTTORE Le norme riguardanti le sigle dei dispositivi a semiconduttore prescrivono tre metodi diversi. Il primo metodo (codice americano EIA-JEDEC standard RS 370-A) consiste in un prefisso seguito da un numero di serie di due o tre cifre e talvolta da un’ulteriore lettera (A, B).

22

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

I prefissi utilizzati sono i seguenti: 1N 2N 3N 4N-6N

ESEMPIO 2 SIGNIFICATO DEL PREFISSO E DEL NUMERO DI SERIE

per il semiconduttore con una giunzione (diodo) per il semiconduttore con due giunzioni (transistor) per il semiconduttore con tre giunzioni per i dispositivi optoelettronici

Il numero di serie identifica il singolo componente e la lettera aggiuntiva identifica alcune particolari proprietà del componente, per esempio la tensione di collettore massima in un transistor.

1N4148: diodo a giunzione al silicio 2N2222: transistor di segnale 3N98: transistor JFET 4N25: optoaccoppiatore Il secondo metodo (codice europeo ProElectron) utilizza due (usi commerciali) o più lettere (usi professionali) seguite da un numero di serie. La prima lettera identifica il materiale semiconduttore (con una o più giunzioni) utilizzato per produrre il dispositivo. A B C D R

germanio silicio arseniuro di gallio antimoniuro di indio elementi fotosensibili e generatori di Hall

La seconda lettera identifica il tipo di dispositivo. A diodo ad alta velocità, diodo di rivelazione B diodo a capacità variabile (varactor, varicap) C transistor per applicazioni in bassa frequenza D transistor di potenza per applicazioni in bassa frequenza E diodo tunnel F transistor per applicazioni in alta frequenza G componente multiplo che contiene dispositivi differenti tra loro H diodo rivelatore per campi magnetici K generatore di Hall in circuito magnetico aperto L transistor di potenza per applicazioni in alta frequenza

M generatore di Hall in circuito magnetico chiuso N fotoelemento, fotoaccoppiatore P rivelatore di radiazioni (fotodiodi, fototransistor) Q generatore di radiazioni (diodo led, laser) R dispositivo di commutazione controllato a impulsi (tiristore di piccola potenza) S transistor di commutazione di piccola potenza T dispositivo di commutazione di potenza controllato a impulsi: Scr di potenza, triac U transistor di potenza per commutazione X diodo moltiplicatore Y diodo rettificatore di potenza (booster) Z diodo Zener

CAP 2 Diodi a semiconduttore

23

La terza lettera indica che il componente individuato dalla seconda lettera viene impiegato in applicazioni professionali. A F L O T W

triac (seconda lettera R o T) emettitori e ricevitori per fibre ottiche (seconda lettera G, P o Q) laser per applicazioni senza fibre ottiche (seconda lettera G o Q) optoisolatore con triac (seconda lettera R) diodo led bicolore (seconda lettera Q) diodo soppressore di transienti (seconda lettera Z)

Nella sigla dei diodi Zener la lettera C indica una tolleranza del 5%, la lettera D una tolleranza del 10% e la lettera V la virgola. Il numero di serie identifica il dispositivo.

ESEMPIO 3 INDIVIDUAZIONE DEL DISPOSITIVO DAL NUMERO DI SERIE

BY254 BA244 BC327 BD144 BF224 BT158-400 BU406 BZX79C5V6

diodo raddrizzatore diodo PIN transistor transistor di potenza transistor per applicazioni in alta frequenza Triac transistor di potenza per commutazione diodo Zener con Vz = 5,6 V con tolleranza del 5%

Il terzo metodo è stato codificato dalle industrie giapponesi (JIS) per identificare i transistor; il codice è composto dalla sigla 2S seguita da una lettera e da un numero di serie. I significati della lettera sono i seguenti: A B C D

transistor PNP per applicazioni in alta frequenza transistor PNP per applicazioni in bassa frequenza transistor NPN per applicazioni in alta frequenza transistor NPN per applicazioni in bassa frequenza

ESEMPIO 4 METODO JIS

24

2SC380 transistor NPN ad alta frequenza

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

CAP 3

TRANSISTOR A GIUNZIONE BIPOLARE

Concetti chiave  Modulazione della    

larghezza di base Guadagno di corrente in base comune Coefficiente di amplificazione Area di sicurezza (SOA) Effetto di breakdown secondario

BJT

– Bipolar junction transistor

1 Configurazione e funzionamento dei transitor bipolari 2 Caratteristiche elettriche 3 Rappresentazione grafica 4 Classificazione e applicazioni

5 Configurazioni circuitali particolari Verifica dell’efficienza e tecniche di fabbricazione

I transistor vengono classificati sulla base di alcune caratteristiche quali: — il tipo di conduzione (unipolari o bipolari); — il processo tecnologico di fabbricazione (a lega, a diffusione, planare, planare-epitassiale); — il tipo di applicazione più adatto alle sue caratteristiche (di segnale, per alte frequenze, per microonde, di potenza). In questo capitolo esamineremo i transistor bipolari BJT. Nel capitolo 4 esamineremo i transistor a effetto di campo e unigiunzione.

1 CONFIGURAZIONE E FUNZIONAMENTO DEI TRANSISTOR BIPOLARI I transistor bipolari (BJT) sono costituiti da due giunzioni PN ottenute dal cristallo di un semiconduttore drogato in modo opportuno. Se ne realizzano due configurazioni: NPN  ( Fig. 3.1a) e PNP  ( Fig. 3.1b). Figg. 3.1a, b Modello del transistor bipolare: a. NPN; b. PNP.

base

collettore

collettore

N

P

P

base

P

N

emettitore

emettitore 3.1a

N

3.1b

La zona di semiconduttore comune è denominata base (B), le altre due zone sono denominate, rispettivamente, emettitore (E) e collettore (C). Queste due ultime zone, pur essendo dello stesso tipo, manifestano proprietà e caratteristiche geometriche, fisiche ed elettriche differenti.

CAP 3 Transistor a giunzione bipolare

25

La giunzione fra emettitore e base è detta giunzione di emettitore, mentre quella fra base e collettore è detta giunzione di collettore. La figura 3.2 mostra la struttura reale di un transistor bipolare realizzato con la tecnologia planare e il suo modello bidimensionale che sarà di seguito utilizzato per spiegare il funzionamento del dispositivo. Fig. 3.2 Il transistor NPN reale e il suo modello bidimensionale (quote in mm; disegno non in scala).

E emettitore B base C collettore

E

15

1 3 2

ossido di silicio

B

P++ N+

Concentrazioni: 19 C sub > 10 cm 3 16 C epi > 10 cm 3 P++

E

P

strato epitassiale

P+

substrato

C

N+

Aree delle giunzioni: 4 2 A jeb ~ ~ 10 cm 3 2 A jbc ~ ~ 10 cm P

C

B

Principio di funzionamento

Il processo di conduzione del transistor è principalmente dovuto al flusso dei portatori minoritari attraverso entrambe le giunzioni. Per la sua descrizione faremo riferimento al funzionamento di un transistor PNP, ma essa è valida, in modo duale, anche per il transistor NPN (Fig. 3.3). P++

Fig. 3.3 Modello a portatori di carica di un transistor PNP. i lacune I elettroni

N+

+_

P

_ +

emettitore

collettore

+

+

VBB

RB

VCC

RC

base

Quando la giunzione di emettitore è polarizzata direttamente, le cariche maggioritarie delle due zone tendono a diffondere attraverso di essa. Le lacune presenti nella zona di emettitore (più drogata rispetto alla zona di base) vengono iniettate nella base, dove sono minoritarie, con lo stesso

26

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

meccanismo già descritto per il diodo a giunzione  ( Cap. 2). La base è estremamente sottile (pochi micrometri), per cui solo un parte delle lacune, che in questa zona sono minoritarie, si ricombina: quasi tutte giungono nella zona dello strato di carica spaziale della giunzione di collettore. Qui il campo elettrico è favorevole al movimento delle lacune, che vengono iniettate nella zona di collettore. Se la giunzione di collettore è polarizzata inversamente non si ha iniezione dei portatori maggioritari, e la corrente di collettore è dovuta alle sole lacune. La corrente di collettore è quindi controllata dalla tensione diretta fra base ed emettitore, che determina la polarizzazione diretta sulla giunzione di emettitore. Il dispositivo realizza un guadagno di potenza poiché la tensione e la corrente di base sono molto piccole e consentono di controllare una corrente di collettore elevata.

Comportamento fisico interno Si dice che un transistor opera in zona attiva quando ha la giunzione di emettitore polarizzata direttamente e quella di collettore polarizzata inversamente. Il modello di funzionamento del transistor PNP che abbiamo descritto in precedenza concentra la sua attenzione sul movimento delle lacune dalla zona di emettitore verso la zona di collettore, trascurando il movimento delle cariche maggioritarie della zona di base (di tipo N, elettroni) verso la zona di emettitore. Questa approssimazione può essere accettata in quanto la zona di emettitore è più drogata di quella di base, per cui la forte asimmetria delle concentrazioni fa sì che il flusso attraverso la zona di carica spaziale sia dovuto principalmente alle lacune provenienti dalla zona di emettitore. La corrente di base sostiene sia la ricombinazione delle cariche minoritarie (lacune) nella zona di base, sia la corrente di diffusione degli elettroni (cariche maggioritarie) attraverso la giunzione di emettitore; il suo valore è basso perché la zona di base è molto sottile, il tempo di vita dei portatori assume un valore elevato e il forte drogaggio della zona di emettitore impedisce agli elettroni della zona di base di contribuire in modo significativo all’incremento della corrente circolante. Il flusso delle cariche fra emettitore e collettore avviene in modo normale (longitudinale) al piano delle due giunzioni e dipende essenzialmente dalla tensione sulla giunzione di emettitore, mentre è indipendente da quella applicata alla giunzione di collettore. Una piccola riduzione dell’altezza della barriera di potenziale mette a disposizione un gran numero di portatori maggioritari per l’iniezione. La concentrazione di portatori in eccesso ai bordi della zona di carica spaziale aumenta esponenzialmente con la tensione diretta applicata sulla giunzione. La corrente è invece indipendente dalla tensione applicata sulla giunzione di collettore per la stessa ragione per cui la corrente inversa è indipendente dalla tensione inversa applicata a un diodo (per valori superiori a KT/q). La barriera di potenziale alla giunzione di collettore è abbastanza elevata per bloccare interamente il flusso dei portatori dalle regioni nelle quali sono in maggioranza verso quelle ove sono in minoranza, mentre il campo elettrico rimuove tutte le cariche minoritarie. La velocità di questa

CAP 3 Transistor a giunzione bipolare

27

rimozione dipende solo dal ritmo di arrivo al limite di separazione fra base e collettore, ed è quindi indipendente dalla forza del campo. È perciò giustificata l’affermazione che non vi è dipendenza fra corrente e tensione inversa. Si tratta comunque di un’approssimazione valida solo per il modello adottato: in realtà l’aumento della tensione inversa base-collettore fa allargare la zona di carica spaziale nella base, che si restringe. Questo effetto è denominato modulazione della larghezza di base. Nella struttura del transistor i portatori maggioritari (elettroni nel transistor PNP) non possono essere forniti alla base attraverso lo strato di carica spaziale della giunzione di collettore perché la zona P del collettore non è in grado di fornire che pochissimi elettroni, che invece possono essere forniti dal contatto della regione di base e pertanto fluiscono in modo parallelo rispetto ai piani della giunzione. Per distinguerla da quella longitudinale, dovuta alle cariche minoritarie, la corrente dovuta ai portatori maggioritari che scorre nella zona di base viene detta corrente trasversale. La figura 3.4 presenta, in modo schematico, il flusso dei portatori e la composizione delle singole correnti che fluiscono in un transistor PNP.

Fig. 3.4 Flusso dei portatori e composizione delle correnti di un transistor PNP.

Quello della figura 3.5a è il diagramma a bande di energia relative a un transistor ideale PNP. Il primo diagramma mostra la condizione di equilibrio che si instaura nel dispositivo interconnettendo fra loro i tre terminali (emettitore, base e collettore). Il potenziale elettrostatico fra le varie regioni si modifica in modo tale da bilanciare i flussi delle lacune e degli elettroni dovuti ai gradienti di concentrazione. Se si applicano le tensioni di polarizzazione alla struttura, in modo tale da far operare il transistor nella zona attiva (la giunzione di emettitore è polarizzata direttamente e quella di collettore inversamente), il diagramma a bande si modifica come nella figura 3.5b. Analizzando il diagramma si può rilevare che il moto delle lacune coincide con quello descritto utilizzando il modello bidimensionale delle cariche: la polarizzazione diretta fa sì che molte lacune siano iniettate nella base N; poiché la base è stretta, la maggior parte delle lacune raggiunge la giunzione di collettore dove, per effetto del campo elettrico, vengono trascinate nella zona P del collettore. Non tutte le lacune iniettate riescono a raggiungere la giunzione di collettore, ma si ricombinano con elettroni nell’attraversare la zona di base.

28

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

emettitore Figg. 3.5a, b Diagramma a bande di energia per un transistor PNP: a. equilibrio; b. polarizzazione diretta della giunzione di emettitore e polarizzazione inversa della giunzione di collettore.

base

collettore EC

EF EV

3.5a

E

P++

N+

P

C VBC = – 5 V

B VBE = – 0,5 V

EC EFp EV

VCE = – 5 V

EFn

VBE = – 0,5 V EFp 3.5b

2 CARATTERISTICHE ELETTRICHE Le principali caratteristiche elettriche dei transistor bipolari sono: — IBmax, corrente di base massima (A); — ICmax, corrente di collettore massima (A); — VCEO, tensione collettore-emettitore massima o di breakdown (V); — VCBO, tensione collettore-base massima (V); — VBEO, tensione base-emettitore massima (V); — PD, potenza massima dissipabile in funzione della temperatura (W); — hFE, guadagno di corrente statico; — ß e hfe, guadagno di corrente dinamico; — VCesat, tensione collettore-emettitore di saturazione (V); — fT, frequenza di taglio (MHz); — Rthja, resistenza termica giunzione-ambiente (°C/W); — Rthjc, resistenza termica giunzione-contenitore (°C/W); — Tjmax,. temperatura di lavoro massima della giunzione (°C); — tempi di commutazione; vengono descritti vari parametri che sono spiegati in modo particolareggiato a p. 65.

Limiti fisici di funzionamento La corrente di collettore massima, la tensione di breakdown, la tensione base-emettitore massima e la potenza massima dissipabile sono valori limite che dipendono dalle caratteristiche tecnologiche

CAP 3 Transistor a giunzione bipolare

29

del transistor (materiali impiegati, tecnologia costruttiva). Poiché questi parametri non devono essere mai superati, il costruttore li fornisce per la maggior parte senza riferirli a una particolare condizione di misura; in fase di progetto e di dimensionamento il progettista dovrà accertarsi che non si verifichino condizioni che facciano superare tali valori. Un elenco dei principali parametri che caratterizzano i transistor bipolari è riportato nella tabella 3.1. Tabella 3.1 Limiti massimi dei principali parametri che caratterizzano i transistor bipolari LIMITI DI CORRENTE

IC(max) ICM(max)

corrente continua massima di collettore massima corrente impulsiva sopportabile dal dispositivo, nelle condizioni di misura LIMITI DI TENSIONE

BVEBO V(BR)EBO BVCBO BVCEO BVCER BVCES BVCEX

tensione di rottura della giunzione base-emettitore. Misurata a collettore aperto per una corrente IE prefissata tensione di rottura della giunzione base-collettore per una IC prefissata a emettitore aperto tensione di rottura della giunzione collettore-emettitore a base aperta per una IC prefissata tensione di rottura della giunzione collettore-emettitore con una resistenza R prefissata connessa alla base e per una IC prefissata tensione di rottura della giunzione collettore-emettitore per una IC prefissata con base ed emettitore cortocircuitati tensione di rottura della giunzione collettore-emettitore per una IC prefissata con la giunzione base-collettore polarizzata inversamente LIMITI TERMICI

PD(max) Tj(max)

potenza massima dissipabile a temperatura ambiente temperatura massima della giunzione

La corrente di collettore che circola nel transistor è data da una frazione rilevante della corrente di emettitore a · IE e dalla corrente inversa ICBO; quest’ultima, che rappresenta la corrente che circola fra la base e il collettore misurata con il terminale di emettitore aperto, nei transistor al silicio varia fra 1 nA e 1 mA alla temperatura di 25 °C. IC = a ◊ IE + ICBO

hFE – DC current gain

N 3.1

Il coefficiente a è detto coefficiente di amplificazione in base comune e varia da 0,90 a 0,99. Il rapporto fra la corrente di collettore IC e la corrente di base IB viene chiamato guadagno di corrente in continua (hFE): hFE =

IC IB

N 3.2

Il valore tipico del guadagno hFE è compreso fra 100 e 1000. Generalmente, il comportamento elettrico del dispositivo viene descritto utilizzando anche famiglie di curve caratteristiche che consento-

30

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

Da queste caratteristiche è possibile valutare il valore del guadagno hFE. Dall’analisi delle curve si deduce che questo valore è pressoché indipendente dal valore della VCE, mentre è fortemente influenzato dal valore della corrente di collettore. La curva della figura 3.12 mostra la relazione che intercorre fra guadagno e corrente di collettore. La caratteristica di trasferimento tensione base-emettitore corrente di collettore è mostrata nella figura 3.13: qualitativamente la curva è simile a quella di ingresso. Fig. 3.12 Andamento del guadagno di corrente hFE al variare della corrente di collettore.

h FE

72781 e VCE = 5 V Tamb = 25 °C

600 Group C

Fig. 3.13 Caratteristica di trasferimento IC – VBE. 400 Vg tensione di soglia ICEO corrente residua di collettore a base aperta (IB = 0) ICES corrente di saturazione (per VBE = 0)

IC(mA) Group B

200

Group A

VBE

ICES

I C = I CESe Vt dove: VT = 26 mA a 25 °C

0 0,01

0,1

1

10

IC (mA)

3.12

0,1 3.13

ICEO

VBE(V)

0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 Vg

La frequenza di taglio fT e il prodotto guadagno per larghezza di banda consentono di valutare il comportamento in frequenza del transistor. Il valore della frequenza di taglio è influenzato dal valore della corrente di collettore; tale dipendenza viene descritta per mezzo di una curva caratteristica  ( Fig. 3.14).

Potenza dissipabile La resistenza termica giunzione-collettore viene utilizzata per valutare la temperatura raggiunta dalla giunzione durante il funzionamento. Il suo valore dipende dal tipo di contenitore e dalla tecnologia utilizzata per costruire il transistor. La massima potenza dissipabile diminuisce all’aumentare della temperatura secondo la curva di riduzione (o di derating) mostrata nella figura 3.15. La pendenza della curva, a meno del segno, è data dal reciproco della resistenza termica giunzione-contenitore del transistor, 1/Rthjc.

Tempi di commutazione Il transistor viene utilizzato anche come elemento binario. In un transistor bipolare NPN è possibile interrompere la conduzione annullando la corrente di base (interdizione) oppure ottenere la piena conduzione (saturazione) inviando in base una corrente maggiore o uguale a quella di base di saturazione.

CAP 3 Transistor a giunzione bipolare

33

tON – turn-on time

tOFF – turn-off time

— tempo di commutazione diretta (tON), dato dalla somma del tempo di salita e del tempo di ritardo; — tempo di commutazione inversa (tOFF), dato dalla somma del tempo di discesa e del tempo di immagazzinamento. +VCC

Figg. 3.16a-d Forme d'onda relative al processo di commutazione di un transistor NPN: a. schema elettrico del circuito di prova; b. segnale di ingresso; c. caratteristica di commutazione della corrente di collettore; d. caratteristica di commutazione della corrente di base.

iC iB

RC

RB

Vi

GND

3.16a

Vi V2

V1

t1

t2

t

3.16b

iC ICsat 0,9 ICsat

0,1 ICsat t1 td tr

t

t2 ts

tr tOFF

tON 3.16c

iB V2 RB

V1

t1

t2

t

RB 3.16d

La tabella 3.2 mostra i tempi di commutazione tipici di alcuni transistor bipolari di potenza.

CAP 3 Transistor a giunzione bipolare

35

Tabella 3.2 Elenco dei principali tempi di commutazione che caratterizzano alcuni transistor bipolari SIGLA

DESCRIZIONE

tr td ton = td + tr tf ts toff = tf + ts

Tempo Tempo Tempo Tempo Tempo Tempo

di di di di di di

salita ritardo accensione discesa immagazzinamento spegnimento

UM

BUW32 BUX48B MJE13006

ms ms ms ms ms ms

0,15 0,35 0,5 0,8 1,5 2,3

0,3 0,25 0,6 0,85

0,7 0,7 3,0 3,7

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4. 5.

Quali sono le due configurazioni possibili per realizzare i transistor bipolari? Descrivi il principio di funzionamento di un transistor bipolare. Quali sono i parametri elettrici caratteristici di un transistor bipolare? Disegna la caratteristica di uscita (qualitativa) di un transistor bipolare e identifica in essa la zona di saturazione, quella di interdizione e quella attiva. Quali sono i tempi di commutazione che descrivono il comportamento dinamico del transistor utilizzato come elemento di commutazione?

3 RAPPRESENTAZIONE GRAFICA Simbolo grafico e lettera di identificazione

Figg. 3.17a, b Simbolo grafico dei transistor bipolari: a. transistor NPN; b. transistor PNP. Fig. 3.18 Identificazione di un transistor BJT.

Sigla commerciale e tipo di contenitore

TO

– Transistor outline SOT

– Small outline transistor

36

Il transistor viene rappresentato con un simbolo grafico che evidenzia i tre terminali. Una freccia posta su un terminale indica il verso della corrente e il terminale emettitore  ( Figg. 3.17a, b). Il transistor viene identificato con la lettera Q  ( Fig. 3.18). C

B

C

E 3.17a

Q1 BC337

B

E 3.17b

3.18

La sigla viene stampigliata sul contenitore e la sua interpretazione è già stata descritta  ( Cap. 2, Par. 8). I contenitori dei transistor sono realizzati con materiali plastici oppure in metallo. Le forme del contenitore sono molto varie e dipendono dalla potenza dissipabile e dalle prestazioni in frequenza desiderate. La figura 3.19 mostra i più comuni contenitori di tipo plastico; la figura 3.20 descrive quelli di tipo metallico. I contenitori sono contraddistinti dalla sigla TO seguita da un numero di serie composto da 1, 2 o 3 cifre (TO-3, TO-5, TO-220 ecc.). I contenitori miniaturizzati sono codificati con la sigla SOT (SOT-32, SOT-93 ecc.).

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

stor NPN e PNP complementari: lo sono, per esempio, il transistor 2N1711 (NPN) e il 2N2905 (PNP), il BD139 (NPN) e il BD140 (PNP). In base alla potenza dissipata i transistor bipolari sono classificati come nella tabella 3.3. Tabella 3.3 Classificazione dei transistor bipolari in base alla potenza dissipata POTENZA

Piccola (low power small signal transistor) Media (medium power transistor) Alta (power transistor)

PD

IC

SIGLE

1,5 V

> 1 mA

BC337 BC108 2N3903 2N1711 2N2222 BD140 2N3055 TIP125

In base al campo di utilizzo i transistor vengono classificati come nella tabella 3.4. Tabella 3.4 Classificazione dei transistor bipolari in base all’utilizzo TIPI DI TRANSISTOR

UTILIZZO

Transistor di uso generale (general forniscono prestazioni adatte a un largo spettro purpose transistors) di applicazioni (amplificatori di piccoli segnali, oscillatori, elementi di commutazione) Transistor amplificatore di bassa ten- impiegati per amplificare segnali molto piccoli sione (low level amplifier transistors) quali quelli prodotti dai trasduttori Transistor per amplificatori ad alta ten- possono operare con tensioni elevate e bassi sione (high voltage amplifier transistors) valori di corrente di collettore Transistor per commutazione (switch- progettati per funzionare in commutazione, sono ing transistors) caratterizzati da tempi di commutazione inversa toff molto bassi (dell’ordine dei 10 ns) Transistor per applicazioni in radio caratterizzati da un alto valore della frequenza di frequenza (RF transistors) transizione fT (da 100 kHz a qualche GHz), sono impiegati negli amplificatori, nei mixer e negli oscillatori Transistor di potenza a bassa frequenza (low frequency power transistors)

Applicazioni VHF

– Very high frequency UHF

– Ultrahigh frequency ECL

– Emitter coupled logic

38

Il transistor bipolare viene utilizzato come: — amplificatore; per il trattamento dei segnali audio, video e in radiofrequenza (VHF, UHF, comunicazioni via satellite); — componente di base nei circuiti integrati bipolari sia logici (TTL, ECL) sia analogici (amplificatori operazionali, convertitori); — elemento di commutazione nell’elettronica di potenza;

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

5 CONFIGURAZIONI CIRCUITALI PARTICOLARI Connessione Darlington La connessione Darlington è una configurazione circuitale che trova largo impiego  ( Fig. 3.23). Il transistor Q1 amplifica di hfe1 volte la corrente di base. La corrente di emettitore generata da Q1, che è anche la corrente di base del transistor Q2, viene nuovamente amplificata di hfe2 volte; il guadagno in corrente globale è pari al prodotto dei guadagni dei singoli transistor. Il dispositivo può essere realizzato sia utilizzando componenti discreti sia in forma integrata. Con questa connessione si possono, quindi, ottenere valori di guadagno in corrente molto elevati. Grazie al suo elevato hfe la configurazione Darlington permette di pilotare carichi che richiedono correnti elevate (anche di una decina di ampere) mediante correnti di base modeste che possono essere fornite direttamente dall’uscita di un circuito integrato. I transistor in configurazione Darlington vengono impiegati in applicazioni lineari (transistor dello stadio finale di potenza negli amplificatori audio) e, come elemento di commutazione, nelle applicazioni on-off. In linea generale, questa configurazione circuitale viene utilizzata tutte le volte che si presenta la necessità di disporre di una forte amplificazione di corrente. Esistono anche realizzazioni che raggruppano, in un unico contenitore DIL, 7 ÷ 8 transistor connessi in configurazione Darlington (ULN2004). Questi dispositivi vengono usati in moltissime applicazioni di tipo digitale, dato che il circuito integrato, oltre ai transistor, contiene di solito anche la rete di polarizzazione e i diodi di protezione. Ciò permette di realizzare schede a circuito stampato ad alta densità, di velocizzare il montaggio dei componenti e di aumentare l’affidabilità dell’intera apparecchiatura elettronica. Il simbolo grafico della configurazione Darlington può essere lo stesso dei transistor oppure quello proposto nella figura 3.24. C

Fig. 3.23 Connessione Darlington. B I b1 Q1 Q2

Fig. 3.24 Simbolo grafico di una connessione Darlington tipo NPN.

I e1 3.23

E I e2

NPN DARLINGTON 3.24

Transistor di potenza

SOA

– Safety operating area

Sono definiti di potenza i transistor in grado di dissipare potenze superiori a 1 W. Quando in un progetto si prevede l’utilizzo di un transistor di potenza è necessario definire esattamente le condizioni operative e verificare che il punto di lavoro (tensione applicata e corrente circolante) non superi mai un insieme di valori limite. Questi valori, riportati sulla caratteristica di uscita del transistor, delimitano l’area di sicuro funzionamento o di sicurezza (SOA) nella quale il transistor opera senza inconvenienti.

CAP 3 Transistor a giunzione bipolare

39

CAP 4 Concetti chiave  Modulazione della

larghezza di base  Guadagno di corrente

in base comune  Coefficiente di

amplificazione  Area di sicurezza (SOA)  Effetto di breakdown

secondario FET

– Field effect transistor

JFET

– Junction field effect transistor MESFET

– Metal semiconductor field effect transistor IGFET

– Insulated gate field effect transistor MOSFET

– Metal-oxide semiconductor field effect transistor

CMOS

– Complementary metal-oxide semiconductor

TRANSISTOR A EFFETTO DI CAMPO 1 Transistor a effetto di campo a giunzione (JFET) 2 Transistor a giunzione metallo-semiconduttore (MESFET) 3 Transistor a gate isolato (MOSFET) 4 MOSFET di potenza

5 Dispositivi di potenza CMD 6 Transistor unigiunzione (UJT)

Metodi di fabbricazione dei FET

Il transistor a effetto di campo (FET) è un dispositivo, costituito da un cristallo di semiconduttore drogato (canale) di tipo N o di tipo P, in cui la corrente viene controllata mediante un campo elettrico. La corrente nel semiconduttore è dovuta a un solo tipo di portatori (quelli maggioritari) e scorre fra due terminali detti sorgente (source) e pozzo (drain). Il campo elettrico, applicato tramite un terzo terminale di controllo (gate), ha l’effetto di modificare la conducibilità del canale, e quindi di controllare il flusso di corrente nel canale stesso. Sono transistor a effetto di campo: — i JFET, a giunzione PN; — i MESFET, a giunzione metallo-semiconduttore; — gli IGFET o MOSFET, a gate isolato (ai quali ci si riferisce anche con la sigla MOS). Il transistor JFET modula la conducibilità del canale conduttivo controllando lo spessore della zona di svuotamento di una giunzione PN. Il transistor MOSFET ottiene lo stesso effetto utilizzando il fenomeno dell’induzione elettrostatica mediante l’applicazione di un campo elettrico perpendicolare alla corrente. Con un’opportuna tensione applicata al terminale di controllo (gate) è possibile creare un canale conduttivo fra i terminali di source e di drain richiamando i portatori di carica maggioritaria (tipo enhancement), oppure modificare la loro densità nel canale in modo da modulare la conducibilità dello stesso (tipo depletion). Il transistor FET può essere di dimensioni molto ridotte e il suo processo di fabbricazione è relativamente semplice. Come vedremo, la maggior parte dei circuiti integrati a grande e grandissima scala di integrazione (memorie, microprocessori) è realizzata utilizzando i transistor a effetto di campo. Le loro caratteristiche elettriche (resistenza di ingresso elevata, basso livello di rumore, tempi di commutazione non elevati) ne rendono conveniente l’utilizzo nelle applicazioni di tipo digitale e in quelle di tipo analogico. In campo digitale, per esempio, hanno permesso la realizzazione di famiglie logiche caratterizzate da consumi molto bassi e formate da configurazioni circuitali estremamente semplici, come la famiglia micrologica CMOS. In campo analogico sono utilizzati come stadi di ingresso degli apparati audio e a radiofrequenza. Un altro campo applicativo in cui si sta espandendo l’utilizzo dei transistor MOS è quello del controllo di potenza  ( Vol. 3, Mod. B, Cap. 2) in

CAP 4 Transistor a effetto di campo

41

quanto la potenza da fornire in ingresso per controllare la conduzione del dispositivo è estremamente bassa.

1 TRANSISTOR A EFFETTO DI CAMPO A GIUNZIONE (JFET) Il transistor a effetto di campo a giunzione è costituito da un cristallo di semiconduttore drogato (canale) di tipo N o di tipo P, e da una giunzione PN disposta parallelamente al flusso di corrente nel semiconduttore.

Principio di funzionamento Polarizzando inversamente la giunzione, la zona di svuotamento si allarga nel cristallo modificando la forma geometrica del canale conduttivo e modulandone la conducibilità. Le figure 4.1a, b mostrano i modelli bidimensionali dei transistor JFET a canale N e a canale P. I due terminali collegati al semiconduttore vengono chiamati pozzo o drain (D) e sorgente o source (S), e corrispondono rispettivamente al collettore e all’emettitore del transistor bipolare. Il terminale che consente di controllare la conducibilità del canale conduttivo si chiama porta o gate (G) e corrisponde alla base del transistor bipolare. drain

Figg. 4.1a, b Modello per il transistor JFET: a. canale N; b. canale P.

gate

4.1a

P

N

source

drain

P

gate

4.1b

N

P

N

source

La figura 4.2 mostra la struttura di un JFET a canale N reale, e sono evidenziati tutti i parametri dimensionali che permettono di valutare il valore della resistenza del canale. Per semplificare la struttura non è stata evidenziata la zona ohmica, fortemente drogata, al di sotto dei contatti di source e di drain. Nei transistor bipolari la circolazione della corrente fra emettitore e collettore è modulata dalla corrente di base ed è dovuta a due tipi di cariche: gli elettroni e le lacune; i transistor bipolari sono perciò dispositivi controllati in corrente e bidirezionali. Nei transistor JFET la corrente fra gli elettrodi di source e di drain è controllata dalla tensione inversa applicata all’elettrodo di gate che provvede a modificare, attraverso le variazioni dell’area di svuotamento, la conducibilità del canale, a sua volta determinata da un solo tipo di portatore (elettroni se il canale è di tipo N, lacune se il canale è di tipo P). I transistor a effetto di campo sono quindi dispositivi controllati in tensione e unidirezionali.

42

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

Figg. 4.4a, b, c Funzionamento di un transistor JFET per VGS = 0: a. resistenza costante; b. inizio della saturazione; c. non si ha aumento della corrente di drain.

source di saturazione IDSS  ( Fig. 4.5) e della corrente inversa gate-source della giunzione IGSS, il cui valore è di qualche nanoampere. La zona di rottura o di breakdown viene raggiunta quando la tensione fra drain e source provoca la chiusura completa del canale  ( Fig. 4.4c). I manuali forniscono due parametri: la tensione di rottura drainsource BVDSS, misurata con tensione di gate nulla, e la tensione di rottura della giunzione gate canale BVGSS, ottenuta cortocircuitando il drain e il source in modo che la zona di svuotamento nel canale sia uniforme. Entrambe le tensioni sono di solito dell’ordine di qualche decina di volt. V D = VDsat

VD S

canale

N

G

P+

D

S

D

G

S

P+

N

G

G

D

P+

N

P+

P+

4.4a

V D > VDsat

P+

G

G 4.4c

4.4b

drain current & transconductance vs. gate-source cutoff voltage IDSS, saturation drain current (mA)

5000

20

4000

16 gfs IDSS

12

3000 2000

8 VDS = 15 V VGS = 0 gfs @ f = 1 kHz VGS(off) @ ID = 1 nA

4

0

-1

-2 -3

-4 -5

1000

gfs, forward transconductance (µmhos)

Fig. 4.5 Curva caratteristica della corrente di drain di saturazione e della transcaratteristica rispetto alla tensione gate-source.

-6 -7

VGS, gate-source cutoff voltage (V)

La condizione di interdizione, corrente di drain nulla, viene raggiunta quando si applica una tensione di gate inversa, tale da ostruire il canale conduttivo (condizione di off). La condizione di corrente di drain nulla è solo teorica; in effetti nel canale esiste una corrente di perdita ID(off) di alcuni nanoampere a 25 °C. La tensione alla quale si ottiene l’interdizione di un transistor FET è data dalla tensione di gate VGS(off). Una curva parametrica utilizzata in fase di progetto e di analisi circuitale è la curva di trasferimento o transcaratteristica  ( Fig. 4.6), che pone in relazione la corrente di drain con la tensione di gate, misurata a tensione drain-source costante. I manuali, a causa della dispersione delle caratteristiche, forniscono in genere una famiglia di caratteristiche misurate per diversi valori di VDS.

44

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

transfer characteristic Fig. 4.6 Caratteristica di trasferimento ID – VGS.

ID, drain current (mA)

15

VDS = 15 V

12 TA = +85 °C 9

+25 °C -40 °C

6

3

0

TA = +85 °C +25 °C -40 °C -1,0

-2,0

-3,0

-4,0

VGS, gate-source voltage (V)

La curva può essere approssimata con discreta precisione dalla seguente legge parabolica: Ê VGS ˆ ID = IDSS Á 1 ˜ VGS( OFF ) ¯ Ë

2

N 4.1

La pendenza di questa caratteristica è detta conduttanza mutua del transistor a effetto di campo gfs. I parametri principali sono: — VDSmax, tensione drain-source massima; — IDSmax, corrente di drain massima; — IDSS, corrente drain-source di saturazione; — IGSS, corrente inversa gate-source; — PD, potenza dissipata massima; — VGsmax, tensione di gate-source massima; — VGS(off), tensione di strozzatura o di pinch-off; — VDSS, tensione di rottura o di breakdown; — rDS(on), resistenza drain-source in conduzione; — gm =

DIDS transconduttanza diretta; DVGS

— tempi di commutazione in interdizione e in conduzione; — Rthjc, resistenza termica giunzione-contenitore (°C/W); — Tj, temperatura di lavoro della giunzione (°C). I parametri che esprimono valori massimi indicano i limiti fisici di funzionamento del dispositivo per cui, nel dimensionamento dei circuiti elettronici che li utilizzano, occorre verificare che non siano superati. La figura 4.7 presenta un elenco dei principali parametri. La tensione di strozzatura o di pinch-off è il valore di tensione gate-source alla quale il canale conduttivo si chiude. La tensione di breakdown indica il valore di tensione alla quale si ha la scarica della giunzione per effetto valanga; la transconduttanza diretta è data dal rapporto fra la corrente di drain e la tensione gatesource; la temperatura di lavoro indica il campo di temperatura nel quale si ha un corretto funzionamento del dispositivo; la resistenza termica consente di valutare la temperatura raggiunta dalla giunzione durante il funzionamento; il valore della corrente di gate, seppure

CAP 4 Transistor a effetto di campo

45

Fig. 4.11 Curva caratteristica della capacità di ingresso al variare della tensione di gate-source.

1,5 ID = 100 µA 1,4 VGS = 0 1,3 1,2 1,1 1,0 0,9 0,8 0,7 0,6 0,5 -55 -15 -25

5 capacitance (pF)

rDS (on) , relative to 25 °C value

Fig. 4.10 Curva caratteristica della resistenza rDS(on) al variare della temperatura.

3 Ciss

2 1 0

-65 -105 -145

VDS = 15 V f = 1 MHz

4

T, temperature (°C)

Crss

-1 -2 -3 -4 -5 -6 -7 VGS, gate-source voltage (V)

4.11

4.10

Rappresentazione grafica Simbolo grafico e lettera di identificazione

Il simbolo grafico mette in evidenza il canale conduttore con un tratto in neretto (canale conduttivo fra drain e source) e, con una linea sottile, a esso perpendicolare, il terminale di gate. Una freccia, posta sulla connessione di gate e opportunamente orientata, indica il tipo di canale  ( Figg. 4.12a, b). Per l’identificazione dei transistor JFET si usa la stessa lettera di quelli bipolari: Q.

Sigla commerciale e tipo di contenitore

Secondo la normativa la sigla viene stampata sul corpo del contenitore. I contenitori possono essere di materiale plastico o metallici; i tipi utilizzati sono gli stessi adottati per i transistor bipolari.

Applicazioni D

D

G

G

S 4.12a

S 4.12b

Figg. 4.12a, b Simbolo grafico del transistor JFET: a. canale di tipo N; b. canale di tipo P. Figg. 4.13a, b, c Diodo regolatore di corrente: a. simbolo grafico; b. schema equivalente; c. curva caratteristica correntetensione.

Il JFET presenta un’alta impedenza di ingresso, per cui viene largamente utilizzato come adattatore di impedenza nel collegamento drain comune. Qualche applicazione lo usa anche come elemento di commutazione. La tensione di saturazione è però di circa 1 V, per cui non è utilizzabile per interfacciare direttamente molte famiglie logiche. A causa del basso valore del rapporto corrente di drain-tensione di gate non può essere usato per ottenere alti valori di amplificazione. Quando il JFET viene fatto funzionare tra la zona di strozzamento (pinch-off) e quella di rottura (breakdown) si comporta come una sorgente di corrente: al variare della tensione sul carico la corrente si mantiene costante. Le figure 4.13a, b, c mostrano il simbolo grafico, il circuito equivalente e la curva corrente-tensione di un diodo regolatore di corrente ottenuto con un transistor JFET. + anodo I D (mA)

ID

IF

VAK

Vmin 4.13a

Vmax

VAK (V)

_

catodo 4.13b

4.13c

CAP 4 Transistor a effetto di campo

47

Questi dispositivi sono in grado di erogare correnti costanti comprese fra 200 mA e 5 mA per variazioni molto ampie della tensione applicata (da circa 6 a 100 V).

2 TRANSISTOR A GIUNZIONE METALLO-SEMICONDUTTORE (MESFET) Nei vari campi di applicazione si richiedono dispositivi a semiconduttore dotati di una sempre maggiore velocità di commutazione, che può essere ottenuta miniaturizzando sempre più i dispositivi in modo tale che le distanze percorse degli elettroni siano minime, oppure aumentando la velocità di propagazione (la mobilità) degli elettroni. Il primo metodo è quello seguito dalla tecnologia del silicio, il secondo fa uso di un nuovo composto semiconduttore: l’arseniuro di gallio. I MESFET realizzati utilizzando come materiale di base l’arseniuro di gallio hanno una struttura simile a quella dei transistor JFET descritti nel paragrafo precedente, solo che la giunzione PN è sostituita da una giunzione metallo-semiconduttore  ( Vol. 1, Mod. A, Cap. 3). La loro produzione consiste nel fare crescere uno strato epitassiale di arseniuro di gallio di tipo N su un substrato di arseniuro di gallio ad alta resistività  ( Figg. 4.14a, b). Le metallizzazioni di drain e di source, eseguite utilizzando una lega oro-germanio-platino (AuGePt), sono applicate su due zone, ricavate nello strato epitassiale, fortemente drogate di tipo N + (contatto ohmico); la giunzione di gate metallo-semiconduttore viene creata con le tecniche di mascheratura. La porta (gate) viene realizzata in modo tale che fra il metallo dell’elettrodo e il semiconduttore (giunzione metallo-semiconduttore) sottostante si formi una barriera di Schottky  ( Fig. 4.14a). Quest’ultima si forma quando gli elettroni del metallo hanno un livello energetico molto inferiore a quello degli elettroni del semiconduttore adiacente: tutti gli elettroni che dal semiconduttore passano nel metallo vi restano intrappolati. larghezza di gate barriera Schottky source

drain

gate N+

contatti chimici 4.14a

N

source

N+

gate

Figg. 4.14a, b: a. struttura di un FET a gate singolo in arseniuro di gallio; b. definizione delle dimensioni del gate.

drain

lunghezza di gate

substrato GaAs semisolante 4.14b

Gli elettroni imprigionati nel contatto di gate sono però attratti verso gli atomi donatori (positivi) del semiconduttore sottostante (di tipo N) e restano nei pressi della giunzione (circa 0,1 ÷ 0,3 mm), formando sull’elettrodo una carica superficiale negativa che, a mano a mano che si incrementa, respinge gli elettroni presenti nello strato attivo sotto il

48

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

contatto della porta generando uno strato di svuotamento, cioè una zona dello strato attivo privo di elettroni di conduzione. La profondità dello strato di svuotamento viene controllata mediante la tensione applicata alla porta. Applicando una tensione negativa, il circuito esterno fornisce al contatto della porta un maggior numero di elettroni, per cui si ha un allargamento dello strato di svuotamento nella zona attiva. Aumentando ulteriormente la tensione negativa applicata alla porta, lo strato di svuotamento si allarga fino a estendersi a tutto lo strato attivo del semiconduttore. Il passaggio della corrente fra sorgente e pozzo risulta impedito e il transistor è interdetto. Ovviamente, riducendo la tensione negativa lo strato di svuotamento si riduce e la corrente circolante fra sorgente e pozzo aumenta. La larghezza del canale è molto sottile e i tempi di transito degli elettroni sono estremamente brevi, il che consente al dispositivo di lavorare con frequenze molto elevate. La velocità di entrata in saturazione di un FET all’arseniuro di gallio è due volte maggiore di un corrispondente dispositivo al silicio, per cui è possibile realizzare dispositivi in grado di operare fino a frequenze di 100 GHz. La larghezza di gate è compresa fra 0,25 e 1 mm, e la lunghezza varia da frazioni di millimetro, per i dispositivi a basso rumore, a parecchi millimetri, per i dispositivi di potenza. Introducendo un secondo gate si ottengono transistor con migliori caratteristiche statiche e dinamiche  ( Figg. 4.15a, b, c). La presenza del secondo gate consente poi di realizzare alcune funzioni circuitali in modo integrato. Per esempio, applicando a un gate il segnale emesso da un oscillatore (segnale portante), e all’altro una tensione di controllo (segnale modulante), è possibile ottenere un circuito in grado di miscelare in modo semplice i due segnali generando un segnale modulato. Figg. 4.15a, b, c: a. struttura di un FET a doppio gate; b. rappresentazione simbolica; c. configurazione equivalente realizzata con due JFET.

source

gate gate 1 2

drain strato attivo separazione substrato Si

D G2 G1 S

D G2 G1 S

4.15a

4.15b

4.15c

I FET all’arseniuro di gallio possono essere integrati con gli altri componenti necessari (resistori, condensatori, induttanze) su un unico substrato per formare circuiti integrati monolitici adatti per applicazioni nel campo delle microonde (MMIC).

MMIC

– Monolithic microwave integrated circuit

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4.

Quali sono i tipi di transistor FET? Qual è il principio di funzionamento di un transistor JFET? Da che cosa dipende la conducibilità del canale? Descrivi la caratteristica di uscita del transistor JFET e analizzane le varie zone di funzionamento.

CAP 4 Transistor a effetto di campo

49

3 TRANSISTOR A GATE ISOLATO (MOSFET) È un tipo di transistor che deriva dal transistor JFET. La modulazione della conducibilità del canale conduttivo viene ottenuta per induzione elettrostatica. Il fenomeno che viene sfruttato è quello relativo agli effetti della carica superficiale sul semiconduttore; ne abbiamo già parlato  ( Vol. 1, Cap. 3 ), descrivendolo come un fenomeno indesiderato che si deve eliminare o ridurre intervenendo sulla struttura del dispositivo e modificandone alcune caratteristiche fisico-tecnologiche. Nel MOSFET, invece, i fenomeni di accumulo o di impoverimento delle cariche delle regioni superficiali del semiconduttore sono utilizzati per conferirgli le sue qualità peculiari. Si agisce attraverso il terminale di gate applicando opportune differenze di potenziale per ridurre o accentuare uno dei due fenomeni, modulando quindi la conducibilità dello strato di semiconduttore che si trova al di sotto del contatto di gate.

Principio di funzionamento Il campo elettrico indotto agisce sul cristallo di semiconduttore drogato di tipo P o di tipo N in due modi  ( Figg. 4.16a-d): — creando il canale conduttivo; — sottraendo portatori di carica a un canale conduttivo creato durante il processo di fabbricazione. Figg. 4.16a-d Modello per il transistor MOSFET: a. a riempimento a canale N; b. a riempimento a canale P; c. a svuotamento a canale N; d. a svuotamento a canale P.

source

N+

gate

_ __ __

drain

source

gate

drain

N+

P+

+ ++ ++

P+

P

N

substrato

substrato

4.16b

4.16a source

gate

drain

N+

N

N+

source

gate

drain

P

P+

P+

P

N

substrato

substrato

4.16c

4.16d

Nel primo caso si parla di MOSFET ad arricchimento o riempimento (enhancement); nel secondo caso si parla di MOSFET a svuotamento o impoverimento (depletion). Le due zone che devono essere collegate dal canale conduttivo vengono indicate con gli stessi identificatori uti-

50

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

lizzati per il JFET, cioè drain e source. Il terminale di controllo, detto gate, è separato dal semiconduttore drogato da uno strato di ossido che fa da isolante. Il sistema semiconduttore drogato-strato di ossido-terminale di gate costituisce un condensatore. Nel transistor MOSFET ad arricchimento, applicando una tensione VGS (positiva se di tipo P, negativa se di tipo di tipo N), si richiamano nell’area sottostante lo strato di ossido, per induzione elettrostatica, i portatori di carica, creando uno strato di inversione di carica: il canale conduttivo  ( Fig. 4.17). Le cariche elettriche che formano il canale conduttivo sono le cariche minoritarie contenute nel substrato in cui il transistor è stato ricavato. Queste cariche, prima di formare il canale conduttivo fra drain e source devono eliminare le cariche maggioritarie che si trovano sotto lo strato isolante. La tensione VGS deve quindi superare un valore detto di soglia (VT), che in genere varia fra 1 e 6 V, prima di poter costituire il canale. ID

VDS

Fig. 4.17 MOS ad arricchimento a canale N: conformazione del canale.

VGS

gate

source

drain

-- - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - -

N+

N+

canale indotto strato di inversione P o intrinseco

zona di svuotamento

Per bassi valori di VDS il canale si comporta in modo resistivo; aumentando ulteriormente il valore della tensione VDS applicata, la zona del canale nei pressi della zona di drain si restringe fino a chiudersi a un valore (VDS) detto tensione di strozzamento o di pinch-off  ( Figg. 4.18a, b, c). La distorsione della zona di svuotamento è dovuta all’indebolimento del campo elettrico nella zona di drain determinato dall’aumento di potenziale del drain stesso. Ulteriori aumenti della tensione VDS fanno ancora aumentare la corrente di drain, ma in modo poco sensibile. Se si analizzano le caratteristiche voltamperometriche di uscita ID-VDS tracciate in funzione della VGS si osserva che la conducibilità del canale ( Fig. 4.19). aumenta all’aumentare della VGS stessa  Il funzionamento del MOSFET ad arricchimento a canale P è duale a quello descritto. Il portatore di carica è la lacuna e le tensioni applicate sono invertite di segno. Nel transistor MOSFET a svuotamento la tensione positiva o negativa applicata al gate VGS può, in funzione del tipo di canale (P o N), allontanare oppure richiamare portatori di carica da un canale conduttivo realizzato in fase di fabbricazione  ( Figg. 4.20a, b, c). ( Fig. 4.21), Le caratteristiche voltamperometriche di uscita ID-VDS  tracciate in funzione della VGS, permettono di rilevare che, anche in assenza di una tensione di polarizzazione sul gate (VGS = 0 V) il dispositivo dispone di un canale di conducibilità definita che rende il suo comporta-

CAP 4 Transistor a effetto di campo

51

D RDS

G

CGD RG

CDS

CGS S Fig. 4.26 Capacità parassite di un transistor MOSFET.

La tensione di soglia VGS(th) corrisponde al valore di tensione di gate-source che è in grado di produrre una corrente di drain di valore specificato, solitamente 1 mA. Per consentire un interfacciamento diretto di questi dispositivi con circuiti logici integrati TTL/LSI, vengono commercializzati dispositivi con valori di soglia particolarmente bassi, in modo da poterli portare alla condizione di completa saturazione utilizzando tensioni di gate di soli 4 V (i valori per i MOS normali sono compresi tra 8 e 10 V). I tempi di commutazione variano da 10 a 100 ns, e dipendono di solito dalle capacità parassite di ingresso e di uscita  ( Fig. 4.26). Alle alte frequenze le prestazioni sono limitate soprattutto dalla capacità Cgd.

Rappresentazione grafica Simbolo grafico e sigla di identificazione

Alcune realizzazioni, oltre ai terminali di gate, source e drain hanno un quarto terminale collegato con il substrato nel quale il transistor è realizzato. Le figure 4.27a, b mostrano i due simboli grafici che riproducono il collegamento; le figure rappresentano tutti i tipi di transistor MOSFET, ad arricchimento e a svuotamento, di tipo P e di tipo N, con e senza connessione del substrato. Si possono facilmente distinguere i due modelli di transistor MOSFET: — il modello a svuotamento, che possiede il canale preformato, è disegnato con una riga continua che unisce il source al drain; — il modello a riempimento (che si realizza solo quando si applica la tensione di gate) è disegnato con una linea tratteggiata.

Figg. 4.27a, b Simboli grafici dei transistor MOSFET: a. MOSFET a svuotamento (depletion); b. MOSFET a riempimento (enhancement).

a doppio gate D

D canale N

a doppio gate

SUB

G1 G2

G

G

S

S

S

D

D

D

canale P S

D

G S

SUB

G1 G2 S

SUB

G1 G2

G

D

D

SUB

G1 G2

S

S

4.27a a doppio gate

SUB

G1 G2

G

G

S

S

S

D

D

D

canale P S

G S

S

SUB

G1 G2 S D

SUB

G1 G2

G

D

D

D

D canale N

a doppio gate

SUB

G1 G2 S

4.27b

CAP 4 Transistor a effetto di campo

55

Per l’identificazione dei transistor MOSFET si utilizza la stessa lettera dei transistor bipolari: Q. Sigla commerciale e tipo di contenitore

Secondo la normativa la sigla viene stampata sul corpo del contenitore. I contenitori possono essere di materiale plastico o metallici; i tipi utilizzati sono gli stessi adottati per i transistor bipolari.

Applicazioni Il transistor MOSFET viene usato come elemento di commutazione soprattutto nelle applicazioni con forti correnti e con notevole dissipazione di potenza. L’area di integrazione del tipo N è alquanto ridotta, per cui questo dispositivo consente un’alta scala di integrazione.

+VDD

Q1 MOSFET P

Configurazioni particolari Un tipo di collegamento largamente impiegato nella fabbricazione di elementi di tipo digitale è il CMOS, che si avvale di due transistor MOS: uno a canale P e uno a canale N, collegati in serie  ( Fig. 4.28). Questa configurazione circuitale assorbe potenza dall’alimentatore solo in fase di commutazione; pertanto, il consumo di un circuito che la utilizza dipende essenzialmente dalla frequenza di commutazione e dal numero di elementi che commutano.

uscita ingresso Q2 MOSFET N GND Fig. 4.28 Configurazione CMOS.

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4.

I transistor MOSFET sfruttano per il loro funzionamento l’induzione elettrostatica. In quale modo? Descrivi il principio di funzionamento di un transistor MOS a canale N ad arricchimento (enhancement). Descrivi il principio di funzionamento di un transistor MOS a canale N a svuotamento (depletion). Come si chiama la tensione alla quale si forma il canale in un transistor MOS ad arricchimento?

4 MOSFET DI POTENZA

VMOS

– V-shaped metal-oxide semiconductor DMOS

– Double-diffused metal-oxide semiconductor

56

I transistor MOS di potenza sono particolarmente adatti per commutare correnti di notevole entità. Si tratta di transistor unipolari a canale N ad arricchimento, in grado di sopportare correnti di centinaia di ampere e tensioni di rottura anche di 1 kV; sono quindi in grado di sostituire in modo efficace i corrispondenti transistor bipolari. Attualmente vengono realizzati in due strutture di base: VMOS e DMOS (MOSFET a doppia diffusione). La tecnologia VMOS è stata studiata dalla ditta Siliconix, che attualmente è anche l’unica che ne prosegue lo sviluppo. La tecnologia DMOS viene invece sviluppata da diversi produttori che però adottano differenti sigle commerciali: TMOS (Motorola), HEXFET (International Rectifier), SIPMOS (Siemens), POWERMOS (Philips), ZMOS (Intersil) ecc.

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

Le figure 4.29 e 4.30 mostrano le due strutture VMOS e DMOS: entrambe realizzano il transistor da un substrato fortemente drogato N +, connesso al terminale di drain, su cui viene fatto crescere uno strato epitassiale N debolmente drogato rispetto al substrato; in quest’ultimo, per doppia diffusione, vengono create una zona P (zona del canale) e una zona N + connessa al terminale di source. source

Fig. 4.29 Struttura VMOS.

gate

canale

strato di ossido di silicio

canale

N+

N+

P

P strato epitassiale

N N+

drain

4.29 source

gate canale

drain canale

N+

strato di ossido di silicio

N+ P

P

Fig. 4.30 Struttura DMOS.

substrato

N

strato epitassiale

N+

substrato

4.30

Le due tecnologie differiscono nel modo di realizzare la connessione di gate. Nella tecnologia VMOS, fra le due zone del canale P viene incisa una scanalatura a forma di V, la si ricopre di ossido di silicio e vi si applica la metallizzazione di gate. La tensione di gate controlla la formazione e la larghezza dei due canali laterali che si formano nella zona P, regolando così l’intensità della corrente che scorre in senso verticale fra source e drain. Lo spigolo della V costituisce un punto in cui le cariche si addensano, causando una notevole dissipazione di potenza; questa difficoltà viene superata appiattendo il solco sul fondo. Al fine di ottenere una tensione di

CAP 4 Transistor a effetto di campo

57

UMOS

– U-shaped metal-oxide semiconductor

soglia bassa e di diminuire l’effetto delle capacità parassite (e quindi ottenere velocità di commutazione più elevate), il gate viene costruito con la tecnica del silicio policristallino. Questo tipo di transistor viene denomi( Fig. 4.31). nato UMOS  silicio policristallino

source

Fig. 4.31 Struttura UMOS.

canale

gate canale

strato di ossido di silicio

N+

N+

P

P strato epitassiale

N N+

substrato

drain

Le figure 4.32a, b, c descrivono la tecnica del gate al silicio policristallino. Sulla superficie di un substrato di silicio di tipo N vengono depositati in successione prima uno strato di ossido di silicio e poi uno strato di silicio policristallino. Usando le tecniche fotolitografiche descritte per la tecnologia planare, si ricavano le regioni di source e di drain, e vengono diffuse impurità di tipo P +. Si effettua poi un’ulteriore ossidazione su tutta la superficie, e successivamente si ricavano le finestre di metallizzazione per i contatti di source, drain e gate. Figg. 4.32a, b, c Tecnica di realizzazione del gate policristallino: a. deposizione dello strato di silicio policristallino; b. creazione delle regioni di source e drain; c. ossidazione e metallizzazione dei contatti di source, drain e gate.

silicio policristallino

ossido di silicio

substrato

N 4.32a

P+

P+ N

4.32b source

gate

P+

P+ 4.32c

58

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

drain

N

Il gate policristallino, annegato nella struttura dell’ossido, manifesta una tensione di contatto più bassa rispetto a quella dell’alluminio, per cui i transistor con gate al silicio policristallino sono caratterizzati da tensioni di soglia più basse. Inoltre, il gate non risulta sovrapposto alle regioni di drain e di source, come invece avveniva con la tecnica costruttiva classica, e perciò le capacità parassite sono molto più basse e il dispositivo può commutare velocemente. Nella tecnologia DMOS, anziché praticare l’incisione a forma di V si effettuano la normale deposizione dell’ossido di silicio sulla superficie del cristallo e la successiva metallizzazione e realizzazione del contatto di gate. La tensione di gate provvede alla formazione e al controllo della larghezza del canale conduttivo, che in questo caso è orizzontale. Come evidenzia il modello proposto nella figura 4.30, la corrente circolante ha un moto prevalentemente verticale. Questa caratteristica, che è comune a tutti i transistor MOS di potenza, fa sì che essi siano nella letteratura tecnica indicati con il nome di transistor MOS verticali. Per consentire la circolazione di correnti elevate, su un unico substrato vengono realizzate molte celle come quelle descritte, tutte connesse in parallelo fra loro in modo da ottenere un flusso di corrente meno intenso in ciascuna cella. Come per i transistor UMOS, le ultime versioni dei transistor DMOS utilizzano il gate al silicio policristallino per incrementare la velocità di commutazione del dispositivo. Rispetto agli analoghi dispostivi a tecnologia bipolare, i transistor MOS di potenza: — possiedono una maggiore velocità di commutazione (grazie al fatto che il tempo di immagazzinamento delle cariche minoritarie è nullo, poiché vi sono solo portatori maggioritari); — hanno una frequenza di operazione elevata; — possiedono un’impedenza di ingresso elevata e quindi una bassa corrente di pilotaggio (tipicamente 102 nA); — hanno un rapporto fra corrente di uscita e di ingresso elevatissimo (tipicamente 108 ÷ 109); — hanno caratteristiche di uscita molto lineari; — permettono di controllare potenze elevate (fino a 150 kW) utilizzando potenze di pilotaggio trascurabili; — si interfacciano facilmente con i dispositivi logici delle famiglie logiche TTL e CMOS; — non presentano fenomeni di fuga termica e di secondo breakdown; — possiedono un’elevata affidabilità termica (in quanto la corrente ID tende a diminuire all’aumentare della temperatura); — possono essere collegati in parallelo senza richiedere, come avviene per i transistor bipolari, una resistenza di compensazione (in serie all’emettitore) che distribuisca in modo uniforme la corrente fra i vari elementi. Nella tabella 4.1 sono messi a confronto alcuni parametri caratteristici dei transistor VMOS e DMOS con quelli tipici dei transistor bipolari.

CAP 4 Transistor a effetto di campo

59

Tabella 4.1 Confronto tra i principali parametri dei transistor bipolari, VMOS e DMOS BJT

PARAMETRI

DI POTENZA

VMOS

DMOS

Resistenza di ingresso (kW)

0,1∏100

106 ∏ 108

105 ∏ 108

Amplificazione di potenza

40 ∏ 900

104 ∏ 106

104 ∏ 106

Tempi di commutazione (ns)

50 ∏ 5000

2∏4

5 ∏ 500

Frequenza di taglio (MHz)

< 100

< 400

≥ 1000

Corrente massima (A)

1 ∏ 90

0,15 ∏ 5

1 ∏ 45

Caratteristiche di breakdown

pessime

buone

buone

Caratteristiche elettriche I parametri elettrici fondamentali dei MOSFET di potenza sono gli stessi dei dispositivi MOS a bassa potenza. Il loro comportamento termico è eccellente in quanto la resistenza in conduzione diretta rDS(on) possiede un coefficiente positivo di temperatura  ( Fig. 4.33). Se il transistor si scalda, la resistenza rDS(on) aumenta, facendo diminuire la corrente che attraversa il circuito. Anche un eventuale aumento della densità di corrente localizzato nel canale tenderebbe a far aumentare la temperatura e quindi a far diminuire la corrente di drain; di conseguenza non si possono creare punti caldi nel dispositivo. RON (norm.)

Fig. 4.33 L'andamento della resistenza rDS(on) al variare della temperatura presenta un coefficiente di temperatura positivo.

2

ID = 6 A VGS = 10 V

1,5

1

-50

0

50

100

150 Tj (°C)

L’autocontrollo termico, unito all’estrema velocità di commutazione, permettono l’utilizzo di questi dispositivi con carichi induttivi per il controllo di velocità dei motori. Nel campo lineare i VMOS trovano impiego nei sistemi di amplificazione audio e nella strumentazione. Nei transistor di potenza MOS viene definita un’area di sicurezza SOA delimitata dalla corrente massima di drain IDS(max), dalla tensione di break( Fig. 4.34). Il gradown BVDSS e dalla retta di massima potenza dissipabile  fico, oltre a mostrare il comportamento del transistor in regime continuo, mostra le curve SOA relative al regime impulsivo; notiamo che l’area si allarga al diminuire dell’ampiezza dell’impulso. La figura 4.35 mostra la curva di derating della potenza dissipabile dal componente all’aumentare della temperatura. Le figure 4.36a, b illustrano il simbolo grafico di un VMOS FET; essi evidenziano anche il diodo Zener di protezione che salvaguarda la giun-

60

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

zione gate-source dall’accumulo di cariche statiche, in condizioni di massimo pilotaggio (tipicamente VGS = 10 ÷ 15 V). Il secondo simbolo grafico  ( Fig. 4.36b) si riferisce a un MOSFET di potenza realizzato con il diodo di protezione. ID (A) Fig. 4.34 Area di sicuro funzionamento SOA.

Ptot (W)

8 6

1µs

4 2 S

10

150

IT M LI n) o (

10µs 100µs

RD

8 6

120

1 ms

4 2

D.C.

1

10 ms 100 ms

90

60

8 6

4

Fig. 4.35 Curva di derating.

0,1 1

2

46 8

10

4.34

D

G

S

4.36a D

G

4.36b

S

Figg. 4.36a, b Transistor VMOSFET con diodi di protezione: a. di ingresso; b. di uscita.

30

SGS P476/576 SGS P475/575 SGS P474/574

2

2

4 6 8 100 2

4 6 8

VDS (V)

0

25

4.35

50

75

100

125

Tcase (°C)

Applicazioni I transistor di potenza vengono utilizzati in regime impulsivo a bassa potenza (per l’interfacciamento con porte logiche) e a media ed elevata potenza (per il pilotaggio con alte correnti). Una porta TTL o CMOS può portare alla conduzione o all’interdizione il transistor VMOS senza ricorrere a dispositivi intermedi di interfaccia. La tensione VGS, necessaria per saturare completamente un transistor MOS di potenza, è, nelle realizzazioni normali, di circa 10 V, per cui, di norma, si preferiscono i circuiti CMOS che possono essere alimentati con tensioni di alimentazione fino a 15 V. I dispositivi CMOS forniscono in uscita una corrente molto bassa, per cui il MOS di potenza può commutare molto lentamente  ( Fig. 4.37a). Un incremento della velocità di commutazione si può ottenere utilizzando porte bufferate  ( Fig. 4.37b) in grado di fornire in uscita correnti maggiori (per esempio, i buffer 4049 e 4050). Un ulteriore incremento della velocità di commutazione si può ottenere utilizzando un booster a emitter-follower  ( Fig. 4.37c); il transistor Q1 provvede a caricare la capacità di ingresso del transistor MOS, mentre il transistor bipolare Q2 assorbe quella di scarica; l’entità della corrente di carica è hfe volte più elevata di quella fornita dall’uscita del micrologico CMOS; i due transistor bipolari non vengono mai portati in saturazione per cui la loro commutazione in interdizione (stato off) non è rallentata dal tempo di immagazzinamento e si possono raggiungere tempi di commutazione inferiori al centinaio di nanosecondi (ns). Quando il carico che si vuole commutare è fortemente induttivo (motori, bobine di relè e teleruttori), nel passaggio alla condizione di off del transistor di potenza si manifesta una sovratensione (tensione di flyback) che può portare il punto di funzionamento del transistor al di fuori dell’area di sicurezza (SOA), con la conseguenza di deteriorarlo ed eventualmente distruggerlo.

CAP 4 Transistor a effetto di campo

61

+V

U1A +10 < V DD < +15

3

+V

2 5

U1A 4001

7

U1A 4001

6 U1D

Q1

3

9

Q1 10

U1E 11 GND

12 U1F

GND

4.37a Figg. 4.37a, b, c: a. interfaccia CMOS standardMOSFET; b. interfaccia CMOS bufferatoMOSFET; c. circuito booster per aumentare la velocità di commutazione. CIRCUITO CLAMPER

– Detto anche circuito fissatore, ha la caratteristica di tenere fisso il valore massimo o minimo di un segnale RCD

– Resistenza-capacità-diodo

RC

– Resistenza-capacità RLC

– Resistenza-induttanza-capacità

14

15

R1

1 2

3

Q1

Q3

Q2 GND

GND

4049

4.37b

+V

R1

4

U1C

R1

1 2

+10 < VDD < +15

U1B

GND

GND

4.37c

Nelle figure 4.38a-d sono proposti alcuni circuiti che permettono di controllare gli effetti della sovratensione. Il circuito della figura 4.38a si basa su un diodo di ricircolazione che fornisce alla corrente dell’induttanza un percorso attraverso cui questa corrente si esaurisce. L’efficacia della protezione dipende dal tempo di recupero diretto del diodo, dalle induttanze parassite dei collegamenti e dalla costante di tempo di scarica, che non è breve. Il CIRCUITO CLAMPER della figura 4.38b utilizza un diodo Zener, caratterizzato da una tensione di Zener molto superiore alla tensione di alimentazione, posto in parallelo fra drain e source. Il breve tempo di recupero del diodo Zener, e la notevole potenza da esso dissipabile, fanno esaurire in breve tempo l’energia accumulata nell’induttanza. Il circuito della figura 4.38c mostra una rete di protezione, detta RCD. Il condensatore, durante il normale funzionamento, possiede una carica Vc prefissata; quando il transistor si porta allo stato off, il diodo fornisce un percorso di scarica per la corrente generata dall’induttanza caricando il condensatore; esaurita l’energia accumulata il condensatore si scarica attraverso la resistenza posta in parallelo. Il circuito della figura 4.38d mostra una rete di protezione classica: il circuito smorzatore (snubber) RC. Quando il transistor si interdice, il circuito risulta formato da una rete RLC; lo smorzamento si ottiene dimensionando il gruppo RC in modo tale che la tensione ai suoi capi raggiunga il valore della tensione di alimentazione con un andamento nel tempo molto smorzato, cioè senza oscillazioni. Quando il transistor si porta nello stato on il condensatore C si scarica nel transistor MOS incrementando la

Figg. 4.38a-d Reti di protezione: a. con diodo di ricircolazione; b. clamper con diodo Zener; c. rete di clamper RCD; d. rete smorzatrice RC.

+V

+V

+V

+V

+

GND 4.38a

62

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

GND 4.38b

GND 4.38c

GND 4.38d

corrente di drain e di conseguenza allungando i tempi di commutazione. Fra quelle proposte, questa soluzione è la meno efficiente perché dissipa energia anche nelle fasi di funzionamento (passaggio allo stato on del transistor) che non sono pericolose.

5 DISPOSITIVI DI POTENZA CMD I CMD sono dispositivi di potenza di nuova concezione che al vantaggio dell’elevata impedenza di ingresso, propria dei dispositivi MOS, uniscono quello della bassa tensione di saturazione dei componenti bipolari. La figura 4.39 mostra lo schema equivalente di un tipico dispositivo CMD; in ingresso vi è un transistor MOS di potenza ridotta che pilota un transistor bipolare di potenza. L’area occupata sul chip da un dispositivo CMD è inferiore a quella occupata da un analogo dispositivo MOS, per cui il costo di produzione del CMD risulta inferiore. Le varie case produttrici hanno dato a questi dispositivi nomi commerciali differenti: IGT (General Electric), COMFET (RCA), GEMFET (Motorola). La simbologia grafica dei dispositivi CMD non è stata ancora standardizzata e per il momento si utilizzano i simboli proposti dai vari costruttori  ( Figg. 4.40a, b, c).

CMD

– Conductivity modulated device IGT

– Insulated gate transistor COMFET

– Conductivity modulated FET GEMFET

– Gain enhancement-mode FET

A

Fig. 4.39 Circuito equivalente dei dispositivi CMD.

Figg. 4.40a, b, c Simboli grafici dei dispositivi CMD: a. IGT; b. COMFET; c. GEMFET.

G

K 4.39

4.40a

4.40b

4.40c

6 TRANSISTOR UNIGIUNZIONE (UJT) UJT

– Uni-junction transistor

Il transistor UJT è formato da una sbarretta di semiconduttore drogato di tipo N o di tipo P con una giunzione posta nei pressi di un suo estremo  ( Fig. 4.41). Ha tre terminali, un emettitore e due basi. Il suo comportamento elettrico viene descritto da un modello formato da due resistenze in serie e da un diodo che rappresenta la giunzione PN  ( Fig. 4.42).

Caratteristiche elettriche La caratteristica voltamperometrica del circuito di ingresso del transistor unigiunzione è non lineare e presenta un primo tratto a resistenza positiva, uno a resistenza negativa e un ultimo tratto a resistenza positiva  ( Fig. 4.43). Nelle sue applicazioni tipiche viene sempre polarizzato nella zona a resistenza negativa. Il valore di tensione a cui modifica la sua resistenza

CAP 4 Transistor a effetto di campo

63

B1

N

da positiva a negativa è detto tensione di picco (VP). I limiti ai valori massimi sono gli stessi che abbiamo precisato per gli altri transistor. La tensione VP può essere ricavata dalle caratteristiche voltamperometriche di ingresso oppure utilizzando la seguente formula:

N

VP = h ◊ Vbb + Vd

4.3

dove: E

VP è la tensione di picco h è il rapporto intrinseco, dipende dalle resistenze di interbase (intrinsec stand-off ratio) e ha valore tipico 0,65 ÷ 0,7 Vd è la caduta di tensione diretta sul diodo

P

B2 Fig. 4.41 Modello di transistor unigiunzione.

Finché la tensione VEB1 è inferiore alla tensione VP il diodo è interdetto; appena il diodo entra in conduzione la RBB1 diminuisce rapidamente fino ad assumere un valore di poche decine di ohm, dopodiché la caratteristica assume l’andamento tipico dei diodi. Il transistor unigiunzione è caratterizzato dai suoi parametri dinamici definiti essenzialmente dai tempi di commutazione ton (tempo di turn-on) e toff (tempo di turn-off). I suoi valori tipici sono compresi fra 1 e 2,5 ms e dipendono dalla geometria del layout utilizzato per la sua fabbricazione. VE

Fig. 4.42 Circuito equivalente del transistor unigiunzione.

B2

VP

RBB = RB1 + RB2

R B2 B

E

VV R B1

Fig. 4.43 Caratteristica voltamperometrica di ingresso di un transistor unigiunzione.

B1 4.42

IE0

IP

IV

IE

4.43

Rappresentazione grafica

64

Simbolo grafico e lettera di identificazione

Il simbolo mette in evidenza il canale conduttivo e la posizione della giunzione orientata verso la base due della giunzione e la direzione della corrente  ( Figg. 4.44a, b). Come per gli altri tipi di transistor, per indicarlo si usa la lettera Q.

Sigla commerciale e tipo di contenitore

Secondo la normativa la sigla viene stampata sul corpo del contenitore. I contenitori possono essere di materiale plastico o metallici. I tipi utilizzati sono gli stessi dei transistor bipolari.

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

B2

B2 E

E

B1

B1 4.44a

4.44b

Figg. 4.44a, b Simbolo grafico del transistor unigiunzione: a. con base di tipo N; b. con base di tipo P.

Applicazioni Il transistor unigiunzione viene utilizzato come: — generatore di intervalli di tempo; — oscillatore; — rivelatore di livello di tensione; — elemento fondamentale nei circuiti di innesco per SCR. Le figure 4.45a, b mostrano un tipico circuito impiegato per generare impulsi utilizzabili per pilotare un tiristore (SCR, triac). Il condensatore, inizialmente scarico, si carica con una costante di tempo RC tendendo a raggiungere il valore della tensione di alimentazione. Finché la tensione sul condensatore è tale da mantenere la giunzione del transistor interdetta (VC < VP), la tensione di uscita assume il valore stabilito dal partitore resistivo formato dalla resistenza R1 – RBB – R2.

Figg. 4.45a, b: a. oscillatore a dente di sega con transistor unigiunzione; b. forme d'onda e formule di dimensionamento.

VCC

VC

t2

t1

t1 = RC ln

VP R

R2 E

Q1 VC

C

per: t2 VT), che quindi commuta al livello logico alto. Se invece la giunzione è integra, la tensione di emettitore è superiore a quella di soglia (Vb – Vbe < VT) e l’uscita del comparatore è al livello logico basso. Le PROM in tecnologia MOS sono prodotte con un particolare tipo di transistor NMOS ad arricchimento con doppio gate detto a gate fluttuante (FAMOS o FET MOS). In aggiunta al normale elettrodo di gate, questo transistor è provvisto di un elettrodo non collegato esternamente ma annegato nella zona di biossido di silicio sottostante il gate metallico. I transistor FAMOS sono connessi a matrice con uno schema identico a quello mostrato per la ROM a NMOS  ( Fig. 5.29). gate di controllo gate fluttuante al silicio policristallino biossido di silicio drain

source

N+

N+

substrato P

La programmazione viene effettuata inviando sull’elettrodo di gate metallico esterno impulsi di tensione che provocano la migrazione per effetto tunnel di cariche elettriche sull’elettrodo interno fluttuante. Una volta accumulate, tali cariche si conservano e fanno aumentare la soglia di conduzione del transistor, per cui la tensione necessaria per mandare in con-

86

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

PGM

– Program memory

duzione i transistor che hanno accumulato le cariche risulta maggiore di quella dei transistor che ne sono privi. Un normale livello di tensione applicato alla riga farà condurre solo i transistor a bassa soglia (quelli senza cariche accumulate nel gate fluttuante), collegando a massa le corrispondenti linee di uscita e generando il livello logico basso. Il livello logico alto, per i transistor non in conduzione, viene garantito dall’elemento attivo di carico. L’informazione binaria è quindi legata al valore della tensione di soglia dei FAMOS. Le memorie PROM bipolari hanno capacità di memoria limitate (massimo 2 Kbyte), tempi di accesso dell’ordine di 40 ns e consumi elevati. Le memorie PROM in tecnologia NMOS e HCMOS presentano capacità di memoria elevate (fino a 32 Kbyte), tempi di accesso di circa 200 ns e i bassissimi consumi tipici della famiglia tecnologica. Le procedure di programmazione delle memorie PROM sono indicate dai costruttori nella documentazione tecnica. Sono richieste: — l’applicazione di una tensione elevata (+12,5 V oppure +21 V) a un terminale di ingresso dedicato (in genere indicato con Vpp); — la selezione dell’indirizzo della cella di memoria da programmare; — la configurazione delle linee di uscita con le parole da memorizzare; — l’applicazione di un impulso di circa 10 ms a uno specifico ingresso di controllo di abilitazione (in genere indicato con PGM).

6 MEMORIE EPROM Dal punto di vista strutturale, le EPROM sono identiche alle PROM MOS basate su transistor FAMOS descritte nel precedente paragrafo 5. Questi dispositivi possono annullare la programmazione ad alta soglia del transistor FAMOS rimuovendo la carica accumulata nel gate fluttuante e riducendo così la tensione di soglia al valore normale. L’operazione viene effettuata esponendo il chip all’azione di una radiazione ultravioletta che cede alle cariche elettriche intrappolate nel gate fluttuante una quantità di energia sufficiente a permettere a esse di superare (effetto Compton) la barriera di potenziale che le separa dal substrato, ripristinando lo stato iniziale del cristallo. La cancellazione è possibile perché il contenitore della memoria è provvisto di una finestra in quarzo trasparente alla radiazione ultravioletta  ( Fig. 5.30). La lunghezza d’onda della radiazione ultravioletta da utilizzare è di 2737 Å e può essere generata da una normale lampada di Wood. Il tempo di esposizione dipende dal flusso radiante della lampada e dalla sua distanza dal chip; in genere è dell’ordine di 20 ∏ 30 minuti. Fig. 5.30 Finestra in quarzo di una memoria EPROM.

CAP 5 Circuiti integrati a LSI: memorie a semiconduttore

87

La presenza delle cariche accumulate nel gate fluttuante eleva la tensione di soglia del transistor; di conseguenza, in fase di lettura i transistor non entrano in conduzione, e pertanto sulla linea di uscita, grazie alla resistenza attiva di carico, si rileva un livello logico alto. I transistor privi di carica, dato il basso valore della tensione di soglia, vengono portati in saturazione dal comando di gate, generando un livello logico basso. Fig. 5.36 Schema funzionale della EEPROM 2817A (fonte: Intel).

La EEPROM non programmata ha tutte le celle di memoria al livello logico alto, come le EPROM, per cui la procedura di cancellazione prevede l’accumulo di cariche nel gate fluttuante (per elevare la tensione di soglia del transistor); la procedura di scrittura prevede invece lo svuotamento della carica accumulata dal gate per abbassare la tensione di soglia del transistor e generare in fase di lettura il livello logico basso. La scrittura viene eseguita su un byte per volta; la cancellazione può essere effettuata su ogni singolo byte oppure su tutto il chip senza rimuovere il componente dal circuito perché essa richiede tensioni e correnti modeste, ricavabili dalla normale tensione di alimentazione dell’apparecchiatura. Per questa loro caratteristica di funzionamento, simile a quella delle RAM statiche, le EEPROM sono talvolta definite RAM non volatili. I tempi di accesso variano fra 200 e 450 ns. Le EEPROM funzionano con una tensione di alimentazione singola di +5 V e la massima capacità di memoria è di 8 Kbyte. Il processo di cancellazione-scrittura in EEPROM è relativamente lento, in quanto la memorizzazione di un byte richiede complessivamente un intervallo di tempo che varia da 10 a 20 ms. Sul mercato, negli ultimi tempi, sono state introdotte nuove memorie organizzate in blocchi denominati pagine che possono essere programmati in soli 2,5 s/pagina. Il funzionamento di un’apparecchiatura a microprocessore può essere fortemente penalizzato dal tempo di memorizzazione, soprattutto se il numero di byte da memorizzare è elevato. Di solito il microprocessore, dopo avere avviato il processo di scrittura, non resta in un ciclo di attesa, ma esegue altre operazioni e, a opportuni intervalli di tempo (polling), controlla lo stato logico del segnale RDY/BUSY della EEPROM per stabilire se essa è pronta a ricevere nuove informazioni.

92

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

Naturalmente, il segnale della EEPROM può essere utilizzato per interrompere l’attività del microprocessore al termine del processo di memorizzazione-cancellazione.

Durata di una EEPROM La durata di una memoria EEPROM viene espressa facendo riferimento a due parametri: — il numero di cancellazioni e riscritture per byte (@ 10 000 volte); — l’intervallo di tempo durante il quale i dati restano memorizzati senza cancellarsi (@ 10 anni). Il numero di operazioni di cancellazione-scrittura risulta in realtà inferiore ai valori indicati dai fabbricanti. A ogni cella di memoria EEPROM è associato un gate fluttuante sospeso sopra un tunnel oxide: la memorizzazione delle informazioni avviene a opera di elettroni che attraversano, per effetto tunnel, il sottile strato del tunnel oxide (dal drain verso il gate fluttuante oppure viceversa) e caricano e scaricano il gate fluttuante. Questa struttura presenta una caratteristica negativa, denominata charge trapping: nel tunnel oxide si trovano delle trappole (trap) per elettroni e lacune, le quali, per effetto dei processi di cancellazione-scrittura, finiscono per catturare cariche. Il fenomeno provoca una riduzione progressiva della differenza fra la tensione relativa allo stato di cella scarica e di cella carica (finestra fra le soglie); quando tale differenza diventa troppo piccola, in questa cella la memorizzazione non è più un processo affidabile. Il meccanismo opera in modo diverso per le varie celle: per alcune lo scarto svanisce e si manifesta usura dopo 10 000 processi di cancellazionescrittura, per altre il funzionamento è ancora possibile dopo 100 000 processi. Di conseguenza, può essere garantita l’affidabilità di una EEPROM nel suo insieme solo per 1000 processi, benché in pratica la maggior parte dei singoli componenti fornisca valori di gran lunga migliori.

Applicazioni delle EEPROM Le EEPROM possono essere utilizzate quando il contenuto della memoria, in tutto o in parte, deve essere modificato raramente e con un processo di scrittura relativamente lento: per esempio, una parte del codice di un programma che deve essere occasionalmente modificata, oppure alcuni parametri che configurano il sistema. In un sistema robotizzato una EEPROM può contenere il codice del programma che guida il sistema. Il programma può essere caricato o modificato a distanza da un elaboratore di livello superiore, che attraverso un apposito canale di comunicazione invia e modifica i parametri di lavoro, che comunque non si perderebbero con lo spegnimento del sistema.

8 MEMORIE NV-RAM Una RAM non volatile NV-RAM (o SHADOW RAM) è costituita da una RAM statica a cui è associata, bit per bit, una EEPROM. Le figure 5.37a, b, c mostrano lo schema funzionale della NV-RAM Intel 2004, con capacità di 512 byte.

CAP 5 Circuiti integrati a LSI: memorie a semiconduttore

93

Fig. 5.38 Tipica configurazione di un sistema a microprocessore che impiega una NV-RAM.

tensione di alimentazione Vcc

Vcc

Vcc CPU tensione di rete

POWER FAIL rivelatore della caduta della tensione di alimentazione

INTERRUPT

comando di memorizzazione NV-RAM

9 MEMORIE FLASH Questo tipo di memoria presenta caratteristiche intermedie fra le EPROM e le EEPROM. La fase di cancellazione delle informazioni non è così selettiva da permettere di eliminare una singola cella di memoria, ma può essere effettuata solo per settori (di solito a blocchi di 64 Kbyte) e richiede tempi dell’ordine di qualche millisecondo; questi tempi, però, a mano a mano che la tecnologia progredisce, sono diminuiti e oggi alcuni dispositivi hanno tempi di cancellazione dell’ordine delle centinaia di microsecondi. Il tempo di scrittura è di circa di 6 ms. La capacità di memoria arriva fino a 64 Mbyte, ma sono già state annunciate memorie da 16 Gbyte. In molte applicazioni le memorie Flash hanno sostituito le EEPROM e le RAM con batteria tampone; quest’ultime mantengono il vantaggio di una maggiore velocità di scrittura, ma sono meno affidabili a causa della batteria ricaricabile che deve garantire la permanenza dei dati. Vista la grande capacità di memorizzazione, esse sono anche un’interessante alternativa ai dischi rigidi (non hanno parti in movimento, non sono rumorose, pesano poco). Oggi sono molto utilizzate con i personal computer portatili, le macchine fotografiche digitali, i telefoni cellulari. Per esempio, le memory card utilizzano, al loro interno, memorie Flash.

10 MEMORIE SEQUENZIALI Le memorie di tipo sequenziale sono caratterizzate dal fatto che la lettura e la scrittura sono effettuate in modo seriale e si dividono in: — registri a scorrimento; — memorie ad accoppiamento di carica (CCD); — memorie a bolle magnetiche.

Registri a scorrimento Una memoria sequenziale a scorrimento è costituita da un insieme di elementi bistabili connessi in cascata nei quali, in funzione di una temporizzazione imposta con un segnale di sincronismo (clock), le informazioni

CAP 5 Circuiti integrati a LSI: memorie a semiconduttore

95

FIFO

– First in-First out

vengono lette da un ingresso e trasferite da un elemento bistabile al successivo fino all’uscita. La capacità di memorizzazione e il tempo di accesso dipendono dal numero di celle che compongono il registro. Una delle tecniche più utilizzate per organizzare una memoria sequenziale è la FIFO: il primo dato inserito è anche il primo a essere riletto. Le figure 5.39a, b mostrano lo schema di principio di un semplice registro a scorrimento MSI realizzato con un flip-flop di tipo D; a ogni impulso di clock, il valore logico del flip-flop precedente viene trasferito nel successivo. La figura 5.40 mostra lo schema a blocchi di un componente LSI, un registro FIFO; la memoria è in grado di memorizzare per ogni ciclo di

Figg. 5.39a, b Registro a scorrimento: a. diagramma dei tempi; b. schema logico di principio.

CK t

IN

t

Q0

t

Q1

t

Q2

t

Q3

5.39a

t Q1

Q0 IN

D Q

D Q

D Q

CK

CK

CK

CK

registro a scorrimento 0 1024 bit

D0

D1

D Q

CK MR

5.39b

Fig. 5.40 Registro FIFO.

Q3

Q2

buffer di ingresso

D7

registro a scorrimento 1 1024 bit

registro a scorrimento 7 1024 bit

Q0

buffer di uscita

Q1

Q7

puntatore (scrittura) Si segnale di pronto a ricevere

96

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

blocco di controllo e di temporizzazione

So (lettura) segnale di pronto a trasmettere

clock 8 byte contemporaneamente in otto registri a scorrimento di 1024 bit. Un contatore interno ricorda quanti dati validi sono stati inseriti, e due segnali indicano le situazioni limite di memoria vuota e memoria piena. Lo scorrimento dei dati è controllato da due segnali di clock distinti, uno per la memorizzazione e uno per la lettura dei dati, che quindi possono avvenire a velocità differenti. Due segnali, uno di dato pronto e uno di dato ricevuto, permettono di realizzare memorizzazioni asincrone.

Memorie a trasferimento di carica (CCD) I dispositivi CCD sono memorie miste serie parallelo, utilizzabili come memorie di massa nei sistemi a microprocessore, oppure come registri analogici a scorrimento. L’informazione binaria viene memorizzata mediante l’immagazzinamento di cariche minoritarie in un substrato di semiconduttore drogato, mentre la traslazione è ottenuta con successivi trasferimenti delle cariche. La figura 5.41 mostra la struttura di un registro CCD. Il substrato di silicio monocristallino di tipo N è ricoperto da uno strato di ossido sul quale sono disposti vari elettrodi spaziati in eguale misura l’uno dall’altro. Ciascun elettrodo forma con il sottostante substrato di silicio un condensatore di tipo MOS che potrà, in presenza di una data tensione di polarizzazione, radunare un dato numero di cariche elettriche: il cosiddetto pacchetto di cariche. Fig. 5.41 Struttura di un tipico registro a trasferimento di carica CCD a due fasi con profilo dei pozzi di potenziale. metallo biossido di silicio

segnali di comando per il trasferimento delle cariche

elettrodo di elettrodo di trasferimento immagazzinamento j1 j2

iniezione delle cariche

lettura delle cariche

N+ substrato di silicio tipo N

N+ X

potenziale cariche

pozzo di potenziale

cariche

In assenza di segnale logico gli elettrodi sono tutti al potenziale negativo –V, in modo da allontanare le cariche maggioritarie dalla superficie del semiconduttore. Il livello logico alto ‘1’ viene memorizzato portando il corrispondente elettrodo a un potenziale più negativo degli altri; si crea così un maggior svuotamento di portatori maggioritari e un accumulo di portatori minoritari che migrano dalla zona sottostante l’elettrodo attivato. L’informazione binaria viene quindi a coincidere con l’accumulo di carica al di sotto dell’elettrodo. Naturalmente, l’informazione così memorizzata va perduta quando si toglie il potenziale negativo applicato. La vicinanza degli elettrodi produce un fenomeno di accoppiamento per cui, applicando a questi condensatori opportuni valori di tensione, è possibile trasferire il pacchetto di cariche da un condensatore a quello

CAP 5 Circuiti integrati a LSI: memorie a semiconduttore

97

immediatamente successivo. Affinché il trasferimento delle cariche avvenga sempre nella medesima direzione, si fa in modo che il profilo dei loro pozzi (pozzo di potenziale) sia asimmetrico. L’applicazione di tensioni di clock aventi fasi opposte consente di trasferire ordinatamente le cariche attraverso il dispositivo fino a raggiungere il collettore, dove si potrà effettuare la lettura del segnale trasferito. Le figure 5.42a, b, c mostrano un CCD a due fasi che utilizza due tipi di elettrodo (struttura a doppia metallizzazione) separati dal substrato semiconduttore mediante uno strato di ossido isolante di spessore diverso. Gli elettrodi del primo tipo, detti di immagazzinamento, sono depositati su uno strato sottile di ossido (1 mm), mentre quelli del secondo tipo, detti di trasferimento, sono depositati su uno strato più spesso (1,55 mm), così da isolarli dai primi. Figg. 5.42a, b, c Principio di funzionamento di un CCD a due fasi: a. andamento delle due fasi che fanno funzionare il CCD; b. potenziale nell'istante t; c. potenziale nell'istante t.

elettrodo di trasferimento elettrodo di immagazzinamento

j2 j1 ossido di silicio substrato

j1

x t

j2 t

5.42a

t1

t2

0

x

0

x

potenziale 5.42b

potenziale 5.42c

Dal diagramma si nota che ciascun elettrodo di trasferimento è connesso con il successivo elettrodo immagazzinatore, e che sono pilotati da uno dei due segnali in opposizione di fase (j1 e j2). Il pozzo di potenziale creato dall’unione dei due elettrodi presenta un’asimmetria, in quanto la parte che si trova sotto lo strato di ossido più sottile (elettrodo di immagazzinamento) è molto più profonda di quella che si trova sotto l’elettrodo di trasferimento. Di conseguenza, le cariche andranno a finire nella parte più profonda del pozzo. L’asimmetria crea una barriera di potenziale che impedisce alle cariche di trasferirsi di nuovo verso sinistra. All’istante t1 il segnale della fase j1 è alto e quello della fase j2 è basso: le cariche immagazzinate sotto gli elettrodi collegati alla j2 incominceranno a trasferirsi nei pozzi che si trovano sotto gli elettrodi connessi alla j1. All’istante t2 il segnale della fase j2 è alto mentre quello della fase j1 è basso: le cariche al di sotto degli elettrodi connessi alla fase j2 si trasferiranno sotto gli elettrodi connessi alla fase j1. Nelle transizioni intermedie non si avrà alcun trasferimento di cariche a causa della presenza della barriera di potenziale.

98

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

Se il dispositivo CCD è dedicato all’elaborazione dei segnali analogici, l’iniezione delle cariche sarà di tipo elettrico e il sistema di rivelazione seriale; se il dispositivo è sfruttato per la riproduzione delle immagini l’iniezione delle cariche sarà di tipo ottico e il sistema di rivelazione parallelo  ( Figg. 5.43a, b). Figg. 5.43a, b: a. iniezione delle cariche per via elettrica e lettura delle informazioni per via seriale; b. iniezione delle cariche per via ottica e lettura delle informazioni per via parallela.

segnale elettrico in ingresso

segnale elettrico in uscita seriale

5.43a radiazione luminosa

lettura parallela dei dati

5.43b

SPS

– Serial-parallel-serial

Il meccanismo di trasferimento a due fasi descritto è solo uno di quelli utilizzati: esistono infatti anche sistemi a tre e a quattro fasi. Nel sistema a tre fasi gli elettrodi sono disposti a terne alterne, in modo tale che per ogni ciclo di memorizzazione, composto dalla somma delle tre fasi, tutte le celle di tutta la memoria siano traslate. Dal punto di vista tecnologico i sistemi a tre fasi sono meno complessi e trattano volumi di cariche considerevoli, in realtà, i dispositivi CCD a due fasi sono tecnologicamente complessi e trattano volumi di cariche più ridotti, ma in compenso hanno una densità di impacchettamento elevata. Il funzionamento dei dispositivi CCD, essenzialmente dinamico, è limitato dalle possibilità della ricombinazione elettrone-lacuna, che avviene in qualche decimo di secondo; è quindi necessario rinfrescare le cariche accumulate ogni 4 ms. La frequenza operativa massima di questi dispositivi è tipicamente di qualche megahertz, anche se esistono versioni in grado di raggiungere i 10 MHz. I dispositivi CCD utilizzati come memorie digitali sono organizzati in un set di registri a scorrimento dove l’accesso ai registri è casuale, mentre l’accesso al loro singolo contenuto è seriale. Grazie alle limitate dimensioni della cella sono caratterizzati da grande densità. I tempi di accesso sono elevati e variabili, dato che la memoria è seriale, ma sono sempre molto inferiori a quelli delle altre memorie di massa. Per esempio, rispetto ai secondi dei floppy disk o alle decine di millisecondi dei dischi magnetici, una memoria CCD presenta tempi di accesso compresi fra 100 e 450 ms. Il tempo di latenza media è pari al periodo di scorrimento del registro moltiplicato per N/2, dove N è il numero di celle che formano il registro. La dissipazione di potenza è estremamente bassa (pochi microwatt per bit). La figura 5.44 mostra la memoria CCD integrata tipo TMS 3064. La capacità della memoria è di 64 Kbit organizzati in 16 loop di 4 Kbit ciascuno. Ogni loop è organizzato secondo la configurazione SPS, che prevede che ciascuna cella del registro seriale di ingresso da 32 bit sia connessa con un altro registro seriale di 128 bit, connesso a sua volta, in uscita, a un’altra cella appartenente a un registro seriale di uscita di 32 bit  ( Fig. 5.45).

CAP 5 Circuiti integrati a LSI: memorie a semiconduttore

99

0

LOOP 0 4 Kbyte

0

Fig. 5.44 Struttura e caratteristiche di una memoria CCD TMS 3064 (fonte: Texas Instruments). ingresso dei dati

TMS 3064 - Memoria CCD da 64 Kbyte: 16 loop da 4 Kbyte.

demultiplexer

15

multiplexer

LOOP 15 4 Kbyte

uscita dei dati

15

decodificatore

A3

A2

A1

A0

LOOP a 32 bit LOOP 31 128 bit

LOOP 1 128 bit

LOOP 0 128 bit

Fig. 5.45 Organizzazione serie-parallelo-serie di una memoria sequenziale.

LOOP a 32 bit

Vref

rigeneratore

buffer I/O

DOUT DIN

La figura 5.46 mostra la forma costruttiva di un tipico sensore d’immagine a trasferimento di cariche CCD utilizzato nelle videocamere portatili. Sulla faccia superiore del contenitore, una finestra di quarzo trasparente permette di acquisire l’immagine. Fig. 5.46 Sensore d’immagine a trasferimento di cariche CCD a matrice per videocamere portatili (fonte: Thompson-CSF).

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

100

Qual è la caratteristica principale di una memoria EPROM? Come viene cancellata una memoria EPROM? Che cos’è una memoria OTP? Qual è la caratteristica di una memoria EAROM? Descrivine una possibile applicazione. Che cos’è un transistor FAMOS? Quali sono le memorie sequenziali? Descrivi il funzionamento di una memoria a trasferimento di carica.

MODULO B Dispositivi elettronici a semiconduttore

SINTESI DEL MODULO B CAPITOLO

2

I diodi possono essere realizzati sfruttando le proprietà del semiconduttore (diodi a punta di contatto) o una giunzione ottenuta con opportune operazioni di drogaggio del semiconduttore (diodi a giunzione). — I diodi a giunzione (o rettificatori) conducono facilmente in una sola direzione e bloccano la conduzione nell’altra. — Per ottenere la conduzione di un diodo occorre che l’anodo sia a un potenziale superiore a quello del catodo. La differenza di potenziale applicata per poter fare scorrere una corrente elettrica nella giunzione deve prima vincere l’effetto della barriera di potenziale. Il valore di tensione che permette l’inizio della conduzione nella giunzione viene detto tensione di soglia. — I parametri caratteristici di un diodo sono: la corrente diretta continua; la corrente diretta media; la corrente diretta massima di picco a regime; la corrente diretta massima di picco ripetitiva; la tensione diretta (tensione di soglia); la tensione inversa continua; la tensione inversa massima di picco; la tensione inversa a cui si verifica il fenomeno del breakdown; la potenza media; la potenza massima; la resistenza termica. — I tempi di commutazione del diodo nel passaggio dallo stato di conduzione e quello di interdizione e viceversa si definiscono, rispettivamente, tempo di recupero inverso (trr) e tempo di recupero diretto (tfr). — Quando la tensione di ingresso si inverte, la corrente non cessa di colpo ma inverte la sua direzione, in quanto in entrambe le zone sono presenti accumuli di portatori di carica minoritari che per un dato tempo di immagazzinamento (ts) sostengono la corrente che poi diminuisce esponenzialmente tendendo al valore della corrente inversa di saturazione (Io). Quando vengono polarizzati direttamente i diodi Zener si comportano come normali diodi a giunzione; se invece sono polarizzati inversamente, una volta raggiunta la tensione inversa di rottura entrano in conduzione mantenendo costante la tensione ai terminali. — La giunzione PN, polarizzata inversamente, può essere portata da una condizione di non conduzione a uno stato di forte conduzione innescando il fenomeno della moltiplicazione a valanga (o effetto Zener). Nelle giunzioni fortemente drogate l’effetto Zener può verificarsi anche con tensioni inverse prossime allo zero. — I parametri elettrici caratteristici del diodo Zener sono: la tensione inversa di rottura (di Zener); la corrente diretta massima; la tensione inversa massima; la potenza dissipata o corrente di Zener massima; la resistenza termica; il coefficiente di temperatura assoluto o relativo; la resistenza differenziale. I diodi Schottky sono costituiti da una barriera rettificante metallo-semiconduttore. La caratteristica correntetensione è analoga a quella dei diodi al silicio, ma la tensione di soglia è minore (circa 0,35 V).

— L’elevata velocità di commutazione del diodo Schottky è stata utilizzata nei circuiti integrati logici TTL per incrementare la velocità di commutazione della serie standard creando le serie S e LS. I diodi PIN sono utilizzati come diodi rettificatori nelle applicazioni in cui è richiesta una tensione di rottura inversa elevata e, contemporaneamente, una modesta resistenza serie per mantenere bassa la caduta di tensione sul diodo. In pratica, il diodo PIN si comporta come una resistenza controllata in corrente. La rottura di Zener fa sì che il dispositivo manifesti una conduttanza elevata. Applicando una tensione positiva di pochi decimi di volt si annulla l’effetto Zener, si riduce la corrente via via che la tensione aumenta e la corrente nella giunzione diminuisce. Un ulteriore aumento della tensione diretta produce una forte iniezione di cariche minoritarie e un conseguente aumento della corrente diretta. I dispositivi elettronici che sfruttano questa proprietà sono detti diodi tunnel. I diodi a capacità variabile (varistori) sfruttano la dipendenza dalla tensione inversa dell’effetto capacitivo che si manifesta in prossimità della giunzione di un diodo I diodi Gunn sono dispositivi a resistenza negativa dovuta alla struttura della banda energetica di taluni materiali semiconduttori in presenza di elevati campi elettrici. — Nei diodi IMPATT l’effetto valanga è prodotto da un forte campo elettrico applicato a una giunzione PN, o da una barriera Schottky polarizzata inversamente. Secondo la tecnologia di fabbricazione, i diodi sono classificati in: a diffusione planare ed epitassiali. La tecnologia a lega, utilizzata in passato, è stata abbandonata.

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I transistor bipolari sono costituiti da due giunzioni PN ottenute da un cristallo di un semiconduttore drogato, che danno vita a due configurazioni: PNP e NPN. — La zona di semiconduttore comune è denominata base, le altre due zone sono denominate emettitore e collettore. La giunzione fra emettitore e base è detta giunzione di emettitore, mentre quella fra base e collettore è detta giunzione di collettore. — Le lacune presenti nella zona di emettitore (più drogata rispetto alla zona di base) vengono iniettate nella base, dove sono minoritarie. Poiché la base è estremamente sottile, quasi tutte le lacune giungono nella zona dello strato di carica spaziale della giunzione di collettore. Qui il campo elettrico è favorevole al movimento delle lacune che vengono iniettate nella zona di collettore. — Se la giunzione di collettore è polarizzata inversamente non si ha iniezione dei portatori maggioritari e la corrente di collettore è dovuta alle sole lacune; la corrente di collettore è quindi controllata dalla tensione diretta fra base ed emettitore. In questo modo il dispositivo realizza un guadagno di potenza perché la tensione e la corrente di

MODULO B Sintesi

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base sono molto piccole e consentono di controllare una corrente di collettore elevata. Le principali caratteristiche elettriche dei transistor bipolari sono: la corrente di base massima; la corrente di collettore massima; la tensione di breakdown; la tensione collettorebase massima; la tensione base-emettitore massima; la potenza massima dissipabile in funzione della temperatura; il guadagno di corrente statico; il guadagno di corrente dinamico; la tensione collettore-emettitore di saturazione; la frequenza di taglio; la resistenza termica giunzione-ambiente; la resistenza termica giunzione-contenitore; la temperatura di lavoro massima della giunzione; i tempi di commutazione. — Il transistor viene utilizzato anche come elemento binario. In un transistor bipolare NPN è possibile interrompere la conduzione annullando la corrente di base (interdizione) oppure ottenere la piena conduzione (saturazione) inviando in base una corrente maggiore o uguale a quella di base di saturazione. Il transistor bipolare può essere utilizzato come elemento di commutazione controllato dalla corrente di base. In questo caso il suo comportamento viene evidenziato dai seguenti parametri: tempo di ritardo, tempo di salita, tempo di immagazzinamento, tempo di discesa, tempo di commutazione diretta e inversa. Il transistor viene rappresentato con un simbolo grafico che evidenzia i tre terminali: collettore, base ed emettitore. Una freccia posta su un terminale indica il verso della corrente e il terminale emettitore. Il transistor viene utilizzato come: amplificatore, componente di base nei circuiti integrati bipolari sia logici (TTL, ECL) sia analogici (amplificatori operazionali, convertitori) ed elemento di commutazione nell’elettronica di potenza. La connessione Darlington è una configurazione circuitale che permette di realizzare un guadagno in corrente globale pari al prodotto dei guadagni dei singoli transistor. Il dispositivo può essere realizzato sia utilizzando componenti discreti sia in forma integrata. — Grazie al suo elevato hfe, la configurazione Darlington permette di pilotare carichi che richiedono correnti elevate (anche di una decina di ampere) mediante correnti di base modeste che possono essere fornite direttamente dall’uscita di un circuito integrato. — I transistor in configurazione Darlington vengono impiegati in applicazioni lineari (transistor dello stadio finale di potenza negli amplificatori audio) e, come elemento di commutazione, nelle applicazioni on-off. — I transistor di potenza sono in grado di dissipare potenze superiori a 1 W. Quando in un progetto si prevede l’utilizzo di un transistor di potenza è necessario definire esattamente le condizioni operative e verificare che il punto di lavoro (tensione applicata e corrente circolante) non superi un insieme di valori limite. Questi valori, riportati sulla caratteristica di uscita del transistor, delimitano l’area di sicuro funzionamento o di sicurezza (SOA).

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Il transistor a effetto di campo (FET) è un dispositivo costituito da un cristallo di semiconduttore drogato (canale) di

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MODULO B Sintesi

tipo N o di tipo P, in cui la corrente viene controllata mediante un campo elettrico. La corrente nel semiconduttore è dovuta ai soli portatori maggioritari e scorre fra due terminali detti sorgente (source) e pozzo (drain). Il campo elettrico, applicato tramite un terzo terminale di controllo (gate), ha l’effetto di modificare la conducibilità del canale e quindi di controllarne il flusso di corrente. — Esistono tre tipi di transistor FET: a giunzione PN, JFET, a giunzione metallo-semiconduttore, MESFET, a gate isolato, IGFET o MOSFET (detti anche MOS). — Il transistor JFET modula la conducibilità del canale conduttivo controllando lo spessore della zona di svuotamento di una giunzione PN. Questo transistor presenta tre zone di funzionamento: la zona ohmica, la zona attiva e la zona di breakdown. — Nella zona ohmica (o resistiva) il JFET si comporta come una resistenza la cui sezione dipende dalla tensione gate-source. Il valore della resistenza è dato dal rapporto fra la tensione e la corrente di drain misurata nell’intorno dell’origine con una tensione di gate nulla. Tale valore varia da poche decine a qualche centinaio di ohm ed è minore nei JFET a canale N rispetto a quelli a canale P. — Nella zona attiva del JFET il canale conduttivo si chiude e la corrente di drain satura viene utilizzata quando si vuole ottenere un’amplificazione lineare. — La zona di rottura o di breakdown viene raggiunta nel JFET quando la tensione fra drain e source provoca la chiusura completa del canale. — I parametri principali del JFET sono: la tensione drain-source massima; la corrente di drain massima; la potenza dissipata massima; la transconduttanza diretta; la tensione di gate-source massima; la tensione di strozzatura o di pinch-off; la tensione di rottura o di breakdown; la resistenza drain-source in conduzione; i tempi di commutazione in interdizione e in conduzione; la resistenza termica giunzione-contenitore; la temperatura di lavoro della giunzione. — La tensione di strozzatura o di pinch-off è il valore di tensione gate-source alla quale il canale conduttivo si chiude. La tensione di breakdown indica il valore di tensione a cui avviene la scarica della giunzione per effetto valanga. La transconduttanza diretta è data dal rapporto fra la corrente di drain e la tensione gate-source. La temperatura di lavoro indica il campo di temperatura in cui il dispositivo lavora correttamente. La resistenza termica consente la valutazione della temperatura raggiunta dalla giunzione durante il funzionamento. Il valore della corrente di gate viene considerato in tutti i modelli di calcolo praticamente nullo. I transistor MESFET, realizzati utilizzando come materiale di base l’arseniuro di gallio, hanno una struttura simile a quella dei transistor JFET, ma la giunzione PN è sostituita da una giunzione metallo-semiconduttore. I MOSFET derivano dal transistor JFET. In questi transistor, i fenomeni di accumulo o di impoverimento delle cariche delle regioni superficiali del semiconduttore sono opportunamente sfruttati: si agisce attraverso il canale di gate applicando differenze di potenziale per ridurre o

accentuare uno dei due fenomeni, e così modulando la conducibilità dello strato del semiconduttore che si trova al di sotto del contatto di gate. — Nei MOSFET il campo elettrico indotto agisce sul cristallo di semiconduttore drogato di tipo P o di tipo N creando il canale conduttivo o sottraendo portatori di carica a un canale conduttivo creato durante il processo di fabbricazione. Nel primo caso il transistor MOSFET è detto ad arricchimento o riempimento (enhancement), nel secondo caso a svuotamento o impoverimento (depletion). I transistor MOS di potenza sono transistor unipolari a canale N ad arricchimento in grado di sopportare correnti di centinaia di ampere e tensioni di rottura anche di 1 kV; sono quindi in grado di sostituire in modo efficace i corrispondenti transistor bipolari. — Il comportamento termico dei transistor MOS di potenza è eccellente, in quanto la resistenza in conduzione diretta rDS(on) possiede un coefficiente positivo di temperatura. Se il transistor si scalda, la resistenza rDS(on) aumenta, facendo diminuire la corrente che attraversa il circuito. — L’autocontrollo termico, unito all’estrema velocità di commutazione, permettono l’utilizzo dei MOS di potenza con carichi induttivi per il controllo di velocità dei motori. Nel campo lineare i VMOS trovano impiego nei sistemi di amplificazione audio e nella strumentazione. — Nei transistor di potenza MOS viene definita un’area di sicurezza SOA delimitata dalla corrente massima di drain, dalla tensione di breakdown e dalla retta di massima potenza dissipabile. I CMD sono dispositivi di potenza di nuova concezione che al vantaggio dell’elevata impedenza di ingresso, propria dei dispositivi MOS, uniscono quello della bassa tensione di saturazione dei componenti bipolari. I transistor unigiunzione sono formati da una sbarretta di semiconduttore drogato di tipo N o di tipo P con una giunzione posta nei pressi di un suo estremo Nelle loro applicazioni tipiche questi dispositivi vengono polarizzati nella zona a resistenza negativa. Il valore di tensione alla quale il transistor unigiunzione modifica la sua resistenza da positiva a negativa è detto tensione di picco. — I transistor unigiunzione vengono utilizzati come generatori di intervalli di tempo, oscillatori, rivelatori di livello di tensione, elementi fondamentali nei circuiti di innesco per SCR.

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La memoria a semiconduttore è formata da un insieme di elementi, o celle di memoria, che operano come unità funzionali bistabili. Lo schema circuitale da realizzare e i componenti da utilizzare dipendono dalle proprietà che si vogliono conferire al dispositivo e dalla tecnologia produttiva impiegata. — In funzione del modo in cui i dati vengono immagazzinati e prelevati, le memorie possono essere ad accesso sequenziale e ad accesso casuale (random). Le memorie ad accesso sequenziale sono costituite da un registro a scorrimento del tipo SISO (Serial in-serial out) nel quale le informazioni vengono inserite da un solo terminale di

ingresso e prelevate da un terminale di uscita. Le memorie ad accesso casuale possono accedere a qualsiasi dato direttamente e indipendentemente dal modo in cui esso è stato memorizzato. — Il numero di celle di memoria elementari che vengono lette e scritte contemporaneamente determina le linee di uscita o di ingresso della memoria. Nella letteratura tecnica un gruppo di bit (informazioni binarie elementari) viene indicato con byte. Nelle memorie a semiconduttore il byte può essere formato da uno, quattro o otto bit. L’organizzazione a otto bit è la più diffusa. Dal punto di vista tecnologico, le memorie si suddividono in bipolari e unipolari. Le memorie bipolari sono realizzate con i componenti e i metodi propri dei dispositivi bipolari; sono molto veloci, ma la densità di integrazione sul supporto semiconduttore (chip) è relativamente bassa. Le memorie unipolari utilizzano dispositivi MOS, hanno un basso consumo e possiedono alti valori di capacità. — Un altro criterio di suddivisione delle memorie considera la permanenza delle informazioni in memoria quando viene tolta la tensione di alimentazione: le memorie volatili perdono i dati memorizzati, le memorie non volatili li conservano. Una memoria a semiconduttore che non presenta alcun problema di lettura e di scrittura delle informazioni è la memoria volatile RAM. — Le memorie non volatili sono lette come una qualsiasi memoria RAM. Le informazioni, invece, possono essere scritte o cancellate solo con opportune operazioni che richiedono interventi manuali sul dispositivo o l’applicazione di particolari segnali elettrici. Queste memorie vengono classificate a partire dai metodi utilizzati per scrivere o cancellare le informazioni. Nella memoria ROM la scrittura delle informazioni avviene quando il produttore realizza il collegamento fra le varie celle bistabili che formano il dispositivo. Questa memoria può essere letta ma non scritta dall’utente. La memoria PROM è costruita in modo da permettere all’utente di modificare lo schema dei collegamenti interni degli elementi di memoria e di memorizzare uno stato logico. Poiché l’alterazione del dispositivo è permanente, è possibile una sola programmazione. La memoria EPROM viene scritta con metodi di programmazione simili a quelli impiegati per le memorie PROM. La differenza fra i due dispositivi sta nel fatto che l’alterazione dell’elemento bistabile interno non è definitiva, ma reversibile. Come nel caso delle PROM, per effettuare la programmazione e la cancellazione dei dati memorizzati nella EPROM occorre materialmente rimuovere il dispositivo dalla scheda applicativa e scriverlo e/o cancellarlo con un’apposita apparecchiatura di programmazione o di cancellazione. La memoria EAROM è simile alla EPROM, ma la procedura di cancellazione non è di tipo ottico ma di tipo elettrico. La cancellazione o la scrittura di un dato sono effettuate con segnali elettrici senza rimuovere il dispositivo dalla scheda. I cicli di programmazione e di cancellazione hanno durate dell’ordine dei millisecondi e possono essere esegui-

MODULO B Sintesi

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ti in modo selettivo. Una variante più veloce e a più alta integrazione della EAROM è la EEPROM, che nella letteratura tecnica viene indicata anche come E2PROM. La memoria NV-RAM è formata da una memoria RAM statica e da una EEPROM che possiede la stessa capacità e la stessa organizzazione della RAM. La memoria RAM delle NV-RAM è la parte della memoria che viene usata normalmente quando la tensione di alimentazione è presente. Quando la tensione di alimentazione diminuisce del 10% rispetto al valore nominale, in un tempo di una decina di millisecondi, un apposito comando attiva il trasferimento all’interno della memoria NV-RAM dei dati dalla parte RAM alla parte EEPROM. I dati così memorizzati non sono accessibili all’utente. Quando viene nuovamente applicata la tensione di alimentazione, è possibile, con un segnale di comando, riscrivere i dati memorizzati nella parte EEPROM nella zona RAM. La memoria Flash ha caratteristiche intermedie fra le EPROM e le EEPROM. La fase di cancellazione delle informazioni non è così selettiva da consentire di cancellare una

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MODULO B Sintesi

singola cella di memoria, ma la cancellazione può essere effettuata solo per settori (di solito a blocchi di 64 Kbyte) e richiede tempi che oggi sono dell’ordine delle centinaia di microsecondi. Il tempo di scrittura è di circa di 6 ms. Nelle memorie sequenziali sia la lettura sia la scrittura sono effettuate in modo seriale. Si dividono in registri a scorrimento, memorie a trasferimento di carica (CCD) e memorie a bolle magnetiche. — Un registro a scorrimento è costituito da un insieme di elementi bistabili connessi in cascata nei quali, in funzione di una temporizzazione imposta con un clock, le informazioni vengono lette da un ingresso e trasferite da un elemento bistabile al successivo fino all’uscita. La capacità di memorizzazione e il tempo di accesso dipendono dal numero di celle che compongono il registro. — Nelle memorie a trasferimento di carica (CCD) l’informazione binaria viene memorizzata mediante l’immagazzinamento di cariche minoritarie in un substrato di semiconduttore drogato, mentre la traslazione è ottenuta mediante successivi trasferimenti delle cariche stesse.

MODULO B

VERIFICHE 1. Descrivi il principio di funzionamento ed elenca i principali parametri elettrici di un diodo a giunzione. 2. Quali parametri permettono di descrivere il comportamento di un diodo a giunzione nelle fasi di commutazione? 3. Disegna la curva caratteristica di un diodo Zener ed evidenzia, commentandoli, i principali parametri caratteristici che si possono ricavare dall’analisi della curva. Disegna un circuito applicativo che impieghi un diodo Zener e spiegane il principio di funzionamento. 4. Disegna e descrivi il principio di funzionamento di un ponte di Graetz. 5. Descrivi il principio di funzionamento di un transistor bipolare NPN. Traccia le sue principali curve caratteristiche e discutile evidenziando i valori limite dei vari parametri. 6. Descrivi il principio di funzionamento di un transistor a effetto di campo a canale N ed elenca, descrivendoli brevemente, i suoi principali parametri elettrici. 7. Quali dispositivi a semiconduttore sono identificati dalle seguenti sigle? BY252, 2N2222, 4N11, BD34, BC107, 2SC107, BZX79C12 8. Descrivi le caratteristiche elettriche e tecnologiche delle memorie EPROM. 9. Descrivi il principio di funzionamento del transistor FAMOS e le sue principali applicazioni. 10. Come funziona una memoria CCD? Quali sono le sue principali applicazioni?

MODULO B Verifiche

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MODULO

C

Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati CAP 6

CIRCUITI STAMPATI

CAP 7

METODI DI ASSEMBLAGGIO DELLE APPARECCHIATURE ELETTRONICHE PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DEI DISEGNI DI FABBRICAZIONE DEI CIRCUITI STAMPATI GUIDA AL SISTEMA CAD: OrCAD®/Layout

CAP 8 CAP 9 CAP 10

GUIDA AL SISTEMA CAD: CIRCAD®. Layer

CAP 11

GUIDA AL SISTEMA CAD: Eagle®. Layout e Autorouter Prerequisiti    

Norme del disegno tecnico e interpretazione di uno schema elettronico. Principali tipi di contenitore per componenti elettronici ed elettromeccanici. Caratteristiche dei materiali isolanti e conduttori. Uso del personal computer in ambienti DOS e Windows.

Obiettivi Conoscenze       

Progetto e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati. Caratteristiche tecniche di un circuito stampato. Impiego di un circuito stampato in funzione del campo e dell’ambiente d’uso. Progetto di circuiti stampati con caratteristiche tecniche di alta qualità. Tecniche di montaggio e loro utillizzo in base a criteri tecnico-economici. Analisi e valutazione delle tecniche di saldatura. Problemi di progetto legati alla tecnologia di produzione dei circuiti stampati e strumenti di elaborazione automatica oggi disponibili.

Competenze  Saper progettare e realizzare i disegni di fabbricazione dei circuiti stampati con la tecnica manuale e con quella computerizzata.

 Saper utilizzare un sistema CAD per la realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati a differenti livelli di complessità e di interfacciamento.

 Saper progettare e realizzare circuiti professionali poco complessi, affidabili, collaudabili e manutenibili.

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MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

CAP 6

CIRCUITI STAMPATI 1 Processi di fabbricazione 2 Metodi di collaudo

3 Materiali per la realizzazione 4 Circuiti stampati flessibili

Concetti chiave  Circuito stampato  Metallizzazione PCB

– Printed circuit board THT

– Trough hole technology SMT

– Surface mounted technology

 Fotoincisione  Incisione con maschera

Il circuito stampato (PCB) è costituito da un supporto isolante piano su cui sono incollati i conduttori che attuano i collegamenti elettrici fra i componenti elettronici richiesti dalla configurazione circuitale realizzata  ( Fig. 6.1). Il montaggio dei componenti elettronici sul circuito stampato può avvenire con due tecniche: 1. a foro passante o a inserzione (THT); 2. a montaggio superficiale (SMT).

Fig. 6.1 Circuito stampato.

Parleremo della tecnologia a montaggio superficiale nel capitolo 7, paragrafo 4. Nella tecnologia a foro passante i componenti vengono collegati ai conduttori infilando i reofori del dispositivo in appositi fori praticati nel supporto della scheda (board). Il reoforo si fissa meccanicamente e si collega elettricamente per mezzo di una saldatura  ( Fig. 6.2).

Fig. 6.2 Connessione di un componente elettronico con una piastra a circuito stampato.

Prima della lavorazione, la scheda si presenta come una lastra di supporto, isolante e piana, su cui aderiscono uno o due fogli di rame elettrolitico. I conduttori che attuano le connessioni desiderate si ricavano operando un’asportazione selettiva del rame. L’immagine delle connessioni da realizzare viene ottenuta utilizzando una tecnica di riproduzione fotografica

CAP 6 Circuiti stampati

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che permette di ottenere prodotti finali molto uniformi grazie al processo di fabbricazione automatizzato e alla ripetitività del processo di stampa. L’uniformità del prodotto finale offre la possibilità di semplificare notevolmente le procedure di collaudo dei circuiti elettronici e di adottare tecniche automatizzate di montaggio e di saldatura dei componenti. Per realizzare un circuito stampato occorre eseguire un certo numero di disegni di fabbricazione (master) che riproducono esattamente, in negativo, i percorsi dei conduttori che si vogliono realizzare sulla piastra. La prima lavorazione da attuare, qualora sia richiesta, è la riduzione del disegno nella scala 1:1. L’alta densità dei circuiti elettronici costringe il disegnatore a realizzare i disegni di fabbricazione utilizzando la scala 2:1 o 4:1; l’uso di una scala maggiorata consente infatti di minimizzare l’effetto di un errato posizionamento delle piazzole o delle tracce sul disegno, e comunque facilita sia l’esecuzione del progetto del circuito stampato (artwork) sia l’esecuzione del disegno vero e proprio (artmaster). L’asportazione selettiva dello strato di rame può essere effettuata con metodi meccanici, usando apposite macchine operatrici, oppure per fotoincisione, per deposizione, per stampa serigrafica. Tipi di circuito e destinazioni

Figg. 6.3a, b, c Circuiti stampati: a. monofaccia; b. a due facce; c. multistrato.

I circuiti stampati  ( Figg. 6.3a, b, c) possono essere: — monofaccia; — a due facce; — multistrato (fino a 16 strati).

rame collante substrato 6.3a

6.3b

6.3c

Il circuito stampato monofaccia ha il foglio di rame depositato solo su un lato del supporto isolante. Il collegamento elettrico dei componenti viene effettuato saldando i reofori dei componenti ai conduttori. Se il collegamento dev’essere riportato sul lato senza foglio di rame occorre utilizzare rivetti o ponticelli realizzati con fili elettrici  ( Fig. 6.4). Questo tipo di circuito stampato è usato solo quando il circuito elettronico da realizzare è molto semplice: con pochi componenti e con pochi o nessun riporto fra le due facce della piastra; è quindi indicato soltanto per applicazioni elettroniche di tipo civile da realizzare in grandissima serie e a basso costo. Fig. 6.4 Collegamento di un componente elettronico con un circuito stampato monofaccia.

Il circuito a due facce ha il foglio di rame depositato su entrambe le facce e il collegamento fra i due lati viene ottenuto per mezzo di una lavorazione particolare (metallizzazione) che, mediante un processo di deposizione

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MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

elettrolitica, crea un percorso conduttivo fra le due superfici  ( Fig. 6.5). I fori così trattati sono detti fori metallizzati (via). Questo tipo di circuito stampato è quello utilizzato da tutte le utenze professionali e industriali. Fig. 6.5 Collegamento di un componente elettronico con un circuito stampato a due facce.

PAL

– Programmable array logic EPLD

– Erasable programmable logic device GAL

– Generic array logic

Il circuito stampato multistrato consiste di più supporti isolanti separati fra loro da fogli di rame. Le piste di connessione ricavate nei vari strati sono collegate con quelle degli altri strati e con i reofori dei componenti mediante processi di metallizzazione. Per realizzare questi circuiti stampati occorre disegnare una maschera per ogni strato. Gli stampati multistrato consentono di ottenere circuiti con elevata densità di componenti sulla scheda e di collocare schermi elettrostatici fra le diverse facce del circuito stampato stesso. Poiché le tecniche di realizzazione sono molto complesse, a questa tecnologia di fabbricazione si ricorre solo quando si hanno particolari esigenze di impiego. Il problema di realizzare prodotti industriali difficilmente copiabili è una delle specifiche di progetto imposte in molti campi di applicazione. Esistono infatti società specializzate in reverse engineering che, sfruttando i vuoti legislativi, riproducono schede e apparati elettronici sviluppati da altre ditte senza neppure preoccuparsi di modificarle, ma semplicemente copiandole. Un modo per scoraggiare questa pratica è quello di realizzare il proprio circuito applicativo con una tecnologia costosa, in modo tale che l’alto costo del materiale renda non remunerativo il prodotto copiato. Se, oltre al circuito multistrato, si utilizzano anche componenti elettrici custom (PAL, EPLD, GAL, Gate array ecc.), cioè microcircuiti personalizzati, la convenienza dell’operazione di reverse engineering scompare completamente. Il costo di una piastra multistrato è molto più elevato di quello di una piastra a doppia faccia e tende a crescere esponenzialmente con l’aumentare degli strati. Per i circuiti utilizzati in applicazioni professionali si esegue anche una placcatura dei conduttori con una lega di stagno-piombo per migliorare la loro conducibilità e saldabilità. Sui connettori a innesto ricavati sullo stesso circuito stampato talvolta viene eseguita una doratura, si deposita cioè, sulle piste di rame, un sottile strato d’oro che impedisce l’ossidazione dei contatti. Se si vuole utilizzare una tecnica di saldatura automatizzata a onda di stagno si deve ricoprire tutta la superficie della scheda, a esclusione delle piazzole dove si desidera effettuare la saldatura, con una vernice protettiva di colore verde: in fase di saldatura l’onda di stagno si depositerà solo in questi punti. Per facilitare il montaggio dei componenti elettronici sul lato componenti della scheda (sempre utilizzando il metodo serigrafico) si deposita una maschera del layout, che riproduce il contorno degli ingombri e gli identificatori dei componenti che devono essere montati. Questa maschera in genere viene realizzata con una vernice di colore bianco o giallo.

CAP 6 Circuiti stampati

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1 PROCESSI DI FABBRICAZIONE Per costruire un circuito stampato esistono sostanzialmente due tecnologie: — la tecnologia sottrattiva, basata sull’eliminazione della parte di superficie conduttiva che non serve per la realizzazione dei conduttori; — la tecnologia additiva, basata sulla realizzazione dei percorsi conduttivi per deposizione elettrochimica su un supporto isolante. Il metodo più seguito nella produzione dei circuiti stampati è di tipo sottrattivo, e precisamente la fotoincisione. Un altro metodo basato sullo stesso principio della fotoincisione, ma meno preciso, è l’incisione con maschera.

Fotoincisione La fotoincisione consente di ottenere percorsi conduttivi molto sottili e ben definiti con tolleranze di lavorazione inferiori a 0,1 mm. Il processo di produzione  ( Fig. 6.6) inizia con la riduzione in scala 1:1 e con la riproduzione fotografica del disegno (pattern) realizzato con trasferibili e nastrini adesivi opachi o con un sistema di riproduzione (plotter o stampante) guidato da un computer mediante un programma CAD. Fig. 6.6 Diagramma di flusso del processo di lavorazione di un circuito stampato.

magazzino dei materiali

1

taglio delle lastre

asportazione del dry film

timbratura

deposizione galvanica dello strato di SnPb

stabilizzazione del materiale

doratura (se richiesta)

satinatura

stampa della maschera del solder resist

foratura

stampa della maschera del layout

metallizzazione chimica e galvanica

taglio e scontornatura della scheda

laminazione del dry film

controllo elettrico della scheda

esposizione controllo e sviluppo

collaudo finale della scheda

incisione

1

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MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

Il materiale viene prelevato da un magazzino nel quale la temperatura e l’umidità sono attentamente controllate per prevenire l’insorgere di difetti di fabbricazione durante il processo produttivo. Le lastre sono poi tagliate in formati standard che, rispettando le specifiche del cliente, ne permettono la manipolazione automatica e consentono l’impressione di più circuiti stampati finali sulla stessa lastra (detta quadrotto); mentre si effettuano le varie lavorazioni, sui bordi della lastra si lascia libera un’area che serve per effettuare i controlli e i collaudi successivi. In seguito sulle piastre viene effettuata la timbratura (numero o sigla) in modo tale che l’intero lotto di produzione sia facilmente individuabile e possa essere accompagnato dalla documentazione relativa al ciclo di lavoro. Il materiale è poi sottoposto a un processo di stabilizzazione termica in forni a temperatura costante e a un processo di satinatura con il quale la superficie di rame della piastra viene meccanicamente ripulita delle impurità superficiali dovute a depositi di grasso e di ossidi. La sequenza delle successive lavorazioni della piastra è la seguente. 1. La piastra di rame viene forata seguendo le indicazioni fornite dal disegno; in genere quest’operazione è eseguita su più schede contemporaneamente con metodi manuali, semiautomatici o a controllo nu– merico  ( Fig. 6.7). Fig. 6.7 Stazione di foratura a controllo numerico.

2. Se richiesto, si esegue la metallizzazione dei fori con metodo elettrochimico. Dapprima si attivano le superfici con palladio metallico in sospensione colloidale, poi si procede con un bagno di rame chimico dove il sale di rame, a mano a mano che viene ridotto in rame metallico, si deposita sulle pareti dei fori. Dall’esito di questa operazione dipende la capacità conduttiva dei vari strati e quindi il buon esito della lavorazione, per cui, terminato il processo, le piastre sono subito sottoposte a un verifica molto attenta. In genere si effettua anche una deposizione elettrochimica per aumentare lo spessore dello strato di metallo nei fori metallizzati. 3. Si esegue la laminazione del dry film, ossia si sensibilizza la piastra di rame depositando sulla sua superficie, in una camera ad aria filtrata, uno strato di emulsione sensibile all’azione della luce ultravioletta (photoresist).

CAP 6 Circuiti stampati

111

Fig. 6.10 Impianto per l’incisione dei circuiti stampati (fonte: ELMI).

8. Si effettua la deposizione elettrochimica di uno strato di lega stagno-piombo sulla superficie della scheda per migliorarne la conducibilità e la saldabilità e aumentare lo spessore dei fori metallizzati (25 mm). 9. Si effettua la doratura dei connettori a innesto (se sono presenti e se la lavorazione è richiesta dal committente); protetta con materiali adesivi nelle parti estranee al trattamento, la piastra viene sottoposta a bagni chimici a base di sali di nichel e oro. 10. Seguono le usuali operazioni di lavaggio e controllo. 11. Si provvede ad applicare lo strato di vernice epossidica protettiva (solder resist,Fig. 6.11). Il solder mask è una pasta di colore verde, caratteristica dei circuiti stampati professionali, che viene utilizzata per permettere la saldatura con mezzi automatici e per aumentare l’isolamento elettrico fra le piste. Il metodo di applicazione più utilizzato è quello serigrafico; per schede ad alta densità di componenti si utilizza invece il solder mask fotografico. 12. Si effettua la serigrafia del disegno riproducente lo schema di distribuzione dei componenti sulla scheda, completi dei loro simboli di identificazione (maschera del layout). 13. Si effettuano le lavorazioni meccaniche finali: taglio e scontornatura della scheda. Le operazioni 8-11 non sono strettamente necessarie per cui, nelle applicazioni non professionali, possono essere omesse; nel caso di circuiti a doppia faccia, le operazioni 1-7 devono essere ripetute per entrambe le facce. Fig. 6.11 Impianto per l’applicazione del solder resist (fonte: OMR).

CAP 6 Circuiti stampati

113

Incisione con maschera L’incisione con maschera è un’operazione simile al processo serigrafico e consiste nell’applicare direttamente sulla superficie di rame della scheda una pellicola protettiva tipo smalto. Dopo l’essiccazione la piastra viene immersa nell’acido che rimuove il rame non protetto dalla vernice. La vernice protettiva viene eliminata con un’operazione di lavaggio. Questo metodo è di rapida esecuzione ed è più economico della fotoincisione, ma è meno preciso e fornisce circuiti di qualità inferiore.

Metodo additivo Con questo metodo il percorso conduttivo viene realizzato sul supporto isolante mediante un processo di deposizione elettrogalvanico. È un processo che implica costi di fabbricazione più elevati del processo di fotoincisione, ma consente di ottenere alte densità di impacchettamento dei dispositivi sulla scheda. Vi si ricorre quando la scheda dev’essere impiegata in ambienti con un’alta percentuale di umidità.

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4. 5.

Che cos’è un circuito stampato? Come vengono classificati i circuiti stampati? Che cos’è e a che cosa serve un foro metallizzato? Quali sono i due processi più comuni utilizzati per fabbricare i circuiti stampati? Descrivi il processo di lavorazione di un circuito stampato monofaccia.

2 METODI DI COLLAUDO Durante il processo di fabbricazione i circuiti stampati vengono sottoposti a una serie di test di qualità che controllano: — la centratura dei fori sulle piazzole; — la metallizzazione dei fori; — lo spessore dei conduttori; — l’integrità delle piste; — l’esistenza di eventuali interconnessioni indesiderate dovute a incisione difettosa o a sbavature avvenute durante la deposizione della placcatura stagno-piombo. Le verifiche dei circuiti stampati possono essere effettuate manualmente con lenti o con tecnologie di collaudo automatizzato  ( Figg. 6.12 e 6.13). Fig. 6.12 Difetti di fabbricazione di un circuito stampato rilevati con una lente.

Fig. 6.13 Impianto per il controllo di qualità automatico di un circuito stampato.

6.12

6.13

114

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

3 MATERIALI PER LA REALIZZAZIONE Supporto isolante Per essere utilizzato come supporto di un circuito stampato, un materiale deve possedere le seguenti caratteristiche: — lavorabilità, laminabilità e resilienza meccanica buone; — buona resistenza meccanica alla compressione, alla trazione e al taglio; — non infiammabilità e, possibilmente, autoestinguibilità; — costante dielettrica bassa per ridurre gli effetti capacitivi tra le facce opposte; — elevata rigidità dielettrica per garantire un buon isolamento tra le facce opposte; — insensibilità agli agenti chimici utilizzati nei processi di fabbricazione; — resistenza alle diverse temperature raggiunte durante le operazioni di saldatura; — elevata stabilità dimensionale. I materiali più frequentemente utilizzati sono: — le resine fenoliche, di colore giallo e di bassa qualità; — la vetronite (fibre di vetro impregnate in resine epossidiche), che presenta buone qualità elettriche e meccaniche; ha un colore verde-azzurro tipico del vetro. Gli spessori dei supporti isolanti sono normalizzati: 0,2 0,5 0,8 1,0 1,2 1,3 1,6 2,0 2,4 3,2 4,0 5 mm. Lo spessore di norma utilizzato è di 1,6 mm. I materiali sono forniti in lastre quadrate o rettangolari di 1 ÷ 1,5 m2; i più usati sono: — il G10-84, un materiale epossidico; — l’FR4-74, un materiale epossidico vetroso autoestinguente. La costante dielettrica er di questi materiali è compresa fra 4,4 e 4,8.

Strato conduttivo Il rame elettrolitico che riveste la superficie del supporto isolante ha uno spessore, fissato dalle norme, di 35, 70, e 105 mm. Lo spessore più utilizzato è quello di 35 mm. Particolare importanza riveste il tipo di collante impiegato per far aderire il foglio di rame al supporto isolante. Le sue principali caratteristiche devono essere: — purezza elevata (resistività uniforme in ogni punto della superficie del laminato); superficie piana e uniforme esente da difetti come abrasioni, graffi, ossidazioni; spessore uniforme; — resistenza all’azione degli agenti chimici che agiscono sulla piastra durante le operazioni di fabbricazione; — capacità di mantenere il potere adesivo anche quando la temperatura sale a valori elevati durante le operazioni di saldatura.

Prodotti impiegati per l’incisione Per l’incisione dei circuiti stampati si possono utilizzare: — percloruro ferrico; — persolfato di ammonio; — cloruro di rame.

CAP 6 Circuiti stampati

115

Il percloruro ferrico viene utilizzato in soluzione acquosa (250 ÷ 500 g per litro d’acqua) soprattutto in campo artigianale e hobbistico in quanto costa relativamente poco ed è di facile reperibilità. La soluzione assume una caratteristica colorazione gialla; le norme consigliano di indossare guanti e occhiali protettivi nel corso delle operazioni che ne contemplano l’impiego. Il tempo di incisione è dell’ordine di 10 ÷ 15 minuti a temperatura ambiente, ma diminuisce molto se la soluzione è calda. L’agitazione della piastra a circuito stampato o l’azione di una pompa che spruzza la soluzione su di essa velocizzano e migliorano la qualità dell’incisione. La soluzione, via via che viene impiegata, tende a saturarsi allungando i tempi di incisione e peggiorando la qualità della lavorazione. Il persolfato di ammonio viene utilizzato in soluzione acquosa (250 g per litro d’acqua) e ha caratteristiche simili al percloruro ferrico. Per favorirne l’azione si aggiunge, durante il mescolamento, cloruro di mercurio (6,8 g per litro d’acqua). Il cloruro di rame viene utilizzato nei processi produttivi industriali riscaldato (a 50 °C). Con questo prodotto si ottengono incisioni veloci e di buona qualità, inoltre, è possibile rigenerarlo aggiungendo alla soluzione acido cloridrico. Il contatto accidentale con uno qualsiasi di questi prodotti richiede un pronto e abbondante lavaggio con acqua della parte contaminata e una successiva visita medica, soprattutto se al danno sono interessati gli occhi. Tutti questi prodotti corrodono e rovinano con macchie indelebili quasi tutte le fibre tessili naturali e artificiali, per cui devono essere manipolati con abiti da lavoro adatti.

Tecniche di produzione A livello industriale le singole piastre non sono realizzate separatamente, ma per blocchi di lavorazione. Due sono i metodi impiegati: 1. si fanno più copie del master del circuito da realizzare su un’unica piastra di vetronite di 24" di lato; le varie lavorazioni sono effettuate contemporaneamente su tutte le schede, che saranno separate solo alla fine del processo; talvolta la separazione avviene dopo avere collaudato il circuito stampato, o addirittura dopo che su di esso sono stati montati i componenti elettronici; 2. si utilizzano piastre separate, ciascuna delle quali contiene una riproduzione del master; le schede sono poi sottoposte alle varie lavorazioni separatamente o a pacchetti. La prima tecnica, preferita per la produzione in grande serie, richiede che il disegnatore ottimizzi la forma e le dimensioni del circuito stampato in modo tale che la sua area possa essere utilizzata nel modo più razionale possibile. Il miglior risultato viene ottenuto quando da ogni piastra di vetronite si ricava il maggior numero possibile di circuiti con la minor perdita di materiale, e questo per contenere il costo unitario del circuito stampato, secondo le inderogabili esigenze della produzione industriale. La seconda tecnica, quella della lavorazione a singole schede, viene impiegata nella realizzazione di circuiti stampati per prototipi e per produzioni in piccole serie (poche centinaia di pezzi).

116

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

4 CIRCUITI STAMPATI FLESSIBILI

Un circuito flessibile comprende un insieme di conduttori realizzato su disegno del progettista dell’apparecchiatura supportato da un sottile isolante flessibile. È quindi un dispositivo di interconnessione adatto a collegare elettricamente tra loro vari sottoinsiemi e componenti di un apparato elettronico  ( Fig. 6.14).

Fig. 6.14 Circuito stampato flessibile.

FEB

– Fluorinated ethylene propylene

Lo strato conduttivo viene realizzato per elettrodeposizione o con nastri metallici. Il materiale più utilizzato è il rame ma sono impiegati anche l’alluminio, il nichel e le leghe rame-nichel. I materiali di supporto più utilizzati sono: poliestere, fibra di vetro, vetronite, mylar, resine poliammidiche e teflon (FEB). Sulla superficie dei conduttori è applicato uno strato protettivo isolante lasciando scoperte solo le aree che saranno usate per l’inserimento di ulteriori componenti. Lo strato protettivo accresce la robustezza meccanica del circuito, ricopre i conduttori, conferendo loro una maggiore protezione ambientale e, posizionando i conduttori nella zona neutra fra la base isolante e lo strato protettivo, minimizza ogni tensione meccanica indotta dalle flessioni.

Applicazioni dei circuiti flessibili La costruzione sottile e laminare rende i circuiti flessibili particolarmente adatti per gli impieghi in cui i cavi di interconnessione sono soggetti a sollecitazioni dinamiche, come accade ai collegamenti della testina di stampa di una stampante con la piastra elettronica di comando, nonché in tutti i casi in cui la flessibilità dell’interconnessione è necessaria durante le fasi di assemblaggio e di manutenzione. I vantaggi offerti da un’interconnessione realizzata con un circuito stampato flessibile toccano vari aspetti della progettazione di un apparecchiatura. Un vantaggio evidente è la riduzione del peso e del volume occupato rispetto a un’analoga connessione in cavo. La flessibilità della connessione consente, inoltre, un accesso più agevole ai vari componenti del sistema, favorendo le operazioni di manutenzione. Il circuito stampato flessibile si presenta come un componente originale progettato per un’applicazione particolare, con proprietà e caratteri-

CAP 6 Circuiti stampati

117

stiche (capacità, impedenza, diafonia ecc.) standardizzate e ripetibili, che garantiscono cablaggi altamente affidabili. Il circuito può essere realizzato in modo che sia possibile utilizzarlo con un solo orientamento, evitando così errori di cablaggio e facilitandone il montaggio. Il cablaggio effettuato con i circuiti flessibili è più rapido, accurato e facile di quello a filo.

Layout e progetto La decisione sull’impiego di un circuito flessibile in un’apparecchiatura dovrebbe essere effettuata valutando le caratteristiche e le condizioni ambientali di impiego, studiando i metodi di assemblaggio che possono essere utilizzati e stimando, in base alla quantità di apparecchiature da produrre, il rapporto costo/prezzo. La progettazione del circuito comporta la valutazione del percorso ottimale dei conduttori e la realizzazione del disegno di produzione con una tecnica manuale o automatica (con un sistema CAD). Le tecniche grafiche e i condizionamenti progettuali (spessore delle piste, aree di sgombro, distanze di isolamento fra conduttori) sono gli stessi imposti al progettista dai circuiti stampati rigidi.

Caratteristiche costruttive I laminati isolanti più usati per la produzione di circuiti flessibili sono: — i film a poliestere; — i film poliammidici. Il poliestere, materiale termoplastico che rammollisce a 130 °C, è utilizzato in tutte le applicazioni in cui sono preponderanti le connessioni elettromeccaniche, contatti a pressione, terminali piegati, e non le connessioni saldate. Trova largo impiego nelle applicazioni commerciali quali i pannelli di controllo per lavatrici, i pannelli di bordo per automobili, i calcolatori elettronici. Il film poliammidico, materiale estremamente inerte, può essere incollato al rame con un adesivo, in genere una resina epossidica modificata o acrilica. Le eccellenti proprietà elettriche di questo materiale rendono i circuiti stabili dal punto di vista dimensionale, con una temperatura massima di funzionamento di 120 ∏ 150 °C, in rapporto del tipo di adesivo utilizzato. Al contrario dei film a poliestere, quelli poliammidici possono resistere per breve tempo anche a temperature di 300 °C, per cui è possibile effettuare saldature, manuali o automatiche, senza particolari precauzioni. Questi sistemi possono essere dotati di fori metallizzati e laminati insieme per formare circuiti multistrato compatibili con i circuiti laminati in fibra di vetro; si realizzano in questo modo circuiti combinati rigido/flessibile. Il film poliammidico viene utilizzato nelle applicazioni di tipo professionale, negli elaboratori elettronici, nelle telecomunicazioni (militari e avioniche).

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3.

118

A quali prove di collaudo viene sottoposto un circuito stampato? Che cos’è un circuito stampato flessibile? Quali vantaggi offre un circuito stampato flessibile rispetto a uno rigido?

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

CAP 7 Concetti chiave  Dispositivo SMD  Saldatura a onda  Tecnica di montaggio superficiale

METODI DI ASSEMBLAGGIO DELLE APPARECCHIATURE ELETTRONICHE 1 2 3 4

Montaggio di una scheda a circuito stampato Saldatura Tecniche di saldatura Tecnica del montaggio superficiale

1 MONTAGGIO DI UNA SCHEDA A CIRCUITO STAMPATO Il montaggio di una scheda elettronica richiede quattro lavorazioni: 1. piegatura dei terminali dei componenti elettronici assiali; 2. ribaditura e taglio dei terminali; 3. inserzione dei componenti elettronici nella scheda; 4. saldatura dei componenti elettronici. Ciascuna di queste operazioni può essere effettuata sia con apparecchiature automatiche sia con una procedura manuale. In un ciclo di lavorazione, solo alcune operazioni possono essere automatizzate (per esempio, la piegatura dei componenti e le operazioni di saldatura), le altre vengono eseguite manualmente (per esempio, l’inserzione dei componenti). L’esecuzione completamente manuale di un montaggio elettronico serve solo per: — costruire circuiti di prova e apparecchiature elettroniche prodotte in piccolissima serie; — effettuare modifiche o riparazioni. Il montaggio manuale di una scheda richiede che sul circuito stampato sia stata realizzata la maschera serigrafica che illustra la posizione di ciascun componente  ( Fig. 7.1). Fig. 7.1 Maschera serigrafica del layout di un circuito stampato.

CAP 7 Metodi di assemblaggio delle apparecchiature elettroniche

119

Fig. 7.4 Zoccoli portaintegrati.

Fig. 7.5 Metodi utilizzati dai costruttori di zoccoli portaintegrati per indicare l’orientamento del microcircuito.

Fig. 7.6 Attrezzatura utilizzata per effettuare l’assemblaggio delle schede elettroniche.

un normale contenitore DIL, per cui può sostituire sul circuito stampato il componente elettronico. Il collegamento del dispositivo elettronico con i conduttori del circuito stampato viene fatto successivamente inserendo il dispositivo nello zoccolo (Fig. 7.4). L’inserimento dello zoccolo sul circuito stampato nasconde il disegno serigrafico della disposizione dei componenti, ma l’informazione riguardante l’orientamento dei dispositivi può comunque essere mantenuta montando gli zoccoli in modo tale da far coincidere il riferimento presente sul corpo dell’accessorio con il pin 1 del circuito integrato  ( Fig. 7.5). In questo modo, anche in assenza del disegno che illustra l’orientamento dei componenti è possibile (per esempio quando si effettua una riparazione) dedurre la corretta posizione del componente da inserire. Il montaggio manuale delle schede richiede anche l’utilizzo di una serie di accessori che facilitano la manipolazione durante le operazioni di inserzione e di saldatura. L’attrezzatura standard che permette di realizzare produzioni di piccola serie è costituita da un supporto meccanico rettangolare incernierato su due lati opposti  ( Fig. 7.6). Su questo rettangolo possono scorrere due aste fra le quali viene fissata la scheda da montare. Dopo l’inserimento dei componenti si applica al supporto della scheda un coperchio al cui interno è posta un’imbottitura in gommapiuma che, pressando leggermente i componenti elettronici, li mantiene in posizione. A questo punto la scheda viene ribaltata facendo ruotare la struttura meccanica attorno ai perni; con un saldatore a mano si eseguono tutte le saldature e con un tronchese si tagliano tutti i reofori sporgenti. Si ribalta poi nuovamente la struttura, si toglie il coperchio e si continua la lavorazione, oppure si toglie la scheda montata e la si sostituisce con un nuovo circuito stampato.

Piegatura dei terminali dei componenti Questa operazione preliminare è indispensabile per tutti i dispositivi che hanno i terminali di uscita disposti assialmente. La distanza minima (misurata dal bordo esterno del contenitore) alla quale il terminale può essere piegato va cercata sui fogli tecnici del singolo dispositivo. Il problema tecnico dovrebbe già essere stato analizzato e risolto in fase di studio e di progetto del disegno di fabbricazione del circuito stampato; in ogni caso l’angolo di piegatura dev’essere scelto in modo tale che l’operazione meccanica non danneggi il collegamento del reoforo con il dispositivo elettronico. L’operazione di piegatura dei terminali dei componenti elettronici può essere effettuata: — in automatico, con macchine piegatrici  ( Fig. 7.7); — a mano. La piegatura a mano viene eseguita con una normale pinza, oppure con attrezzi speciali che permettono di piegare tutti i componenti con lo stesso passo. La piegatura automatica a macchina offre il vantaggio della rapidità di esecuzione e, per volumi di lavorazione consistenti, dei costi modesti; risulta anche molto uniforme e questo rende l’operazione di inserzione più rapida. I componenti elettronici destinati ad alimentare le macchine piegatrici sono assemblati su nastri  ( Fig. 7.8) contenuti in scatole o messi su rulli  ( Figg. 7.9a, b).

CAP 7 Metodi di assemblaggio delle apparecchiature elettroniche

121

Nel montaggio manuale dei componenti elettronici, solo raramente il taglio dei reofori di collegamento viene effettuato prima della saldatura perché l’operazione, che ovviamente va fatta sul lato saldature, presenta problemi pratici. I terminali, quando vengono tagliati, possono ricadere sul circuito stampato, per cui, prima di procedere all’esecuzione delle saldature, è necessario rimuovere tutti gli spezzoni. Inoltre, se i terminali sono tagliati troppo corti è necessario procedere alla sostituzione del componente difettoso, allungando i tempi di lavorazione. L’operazione è invece utile se i terminali sono stati ripiegati, in quanto l’orientamento non perpendicolare dei reofori ostacola le operazioni di saldatura manuale. Se la saldatura viene effettuata in automatico si procede sempre al taglio dei reofori. Come ogni lavorazione, l’operazione di taglio viene eseguita a volte da macchine automatiche che tagliano i reofori nella misura giusta prima che vengano inseriti nel circuito stampato.

Inserzione dei componenti nel circuito stampato L’inserzione dei componenti in una scheda a circuito stampato può avvenire sia manualmente sia in modo automatico. Nel secondo caso l’operazione è gestita completamente da un calcolatore che provvede a raccogliere, da uno o più magazzini, i componenti già sagomati e orientati  ( Fig. 7.11). Fig. 7.11 Impianto per l’inserimento automatico dei componenti. Il lato posteriore della macchina è occupato dal serbatoio di alimentazione dei componenti elettronici.

Le figure 7.12 e 7.13 mostrano le teste di posizionamento di una macchina per l’inserzione automatica. La lavorazione manuale richiede invece che un operatore prelevi i componenti da un magazzino e li inserisca nel circuito stampato  ( Fig. 7.14). Le successive fasi del ciclo di produzione dipendono dal metodo di lavorazione utilizzato. Il ciclo più semplice prevede che lo stesso operatore inserisca i componenti nella scheda ed effettui poi manualmente l’operazione di saldatura e di taglio dei terminali sporgenti dalla piastra; tale situazione può essere economicamente conveniente solo in fase di sviluppo di un circuito di prova, perché il tempo necessario per ogni operazione non viene ottimizzato e tutto il ciclo è in genere oneroso.

CAP 7 Metodi di assemblaggio delle apparecchiature elettroniche

123

7.12 Fig. 7.12 Testa di posizionamento di un impianto per l’inserimento automatico dei componenti (fonte: Philips). Fig. 7.13 Impianto a testa multipla che manipola più schede contemporaneamente (fonte: Philips).

Fig. 7.14 Montaggio manuale.

124

7.13

Il ciclo di lavorazione per lotti suddivide le varie fasi tra più operatori, ognuno dei quali inserisce solo alcuni tipi di componente ma su molte schede contemporaneamente. Una volta completato il cablaggio, il circuito viene inviato alle stazioni di saldatura automatiche o manuali. Se la saldatura è eseguita manualmente, è quasi sempre necessario effettuare l’operazione per lotti; infatti, una volta inseriti sulla scheda, non tutti i componenti hanno la stessa altezza, per cui, quando la scheda con i componenti inseriti viene ribaltata per eseguire le operazioni di saldatura, è difficile mantenerli tutti nella posizione corretta. Il ciclo di lavorazione della scheda deve quindi prevedere che vengano montati prima tutti i componenti più bassi e poi quelli più alti. Una corretta sequenza di montaggio dovrebbe coinvolgere, nell’ordine, i seguenti componenti: 1. i diodi di segnale; 2. le resistenze da 1/4 W e i condensatori assiali di bassa capacità; 3. gli zoccoli per circuiti integrati; 4. i circuiti integrati; 5. i transistor; 6. i condensatori voluminosi; 7. i connettori e gli accessori meccanici. Poiché l’operazione di inserzione dei componenti è in genere affidata a personale non qualificato che, in caso di necessità, non è in grado di prendere decisioni autonomamente, il montaggio dei componenti elettronici viene spesso guidato proiettando una serie di diapositive o microfilm che evidenziano qual è il componente interessato all’operazione di inserzione e la sua la posizione nella scheda. Terminata l’inserzione di un dato componente, l’operatore fa avanzare il proiettore visualizzando una nuova diapositiva con una nuova informazione. Se il magazzino che alimenta il posto di lavoro è automatizzato, si possono sincronizzare le due operazioni e fornire all’operatore, contemporaneamente, il componente da inserire e la diapositiva informativa. Un’attenta valutazione della sequenza di inserzione dei componenti può rendere questa operazione più veloce e quindi meno costosa dal punto di vista economico.

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4.

Quali operazioni comporta il montaggio di una scheda elettronica a circuito stampato realizzata con la tecnica dei componenti a inserzione? Quando viene utilizzata la tecnica del montaggio manuale? A che cosa servono le operazioni di ribaditura e di taglio dei terminali? Descrivi un ciclo di lavorazione a lotti.

2 SALDATURA La saldatura è un processo mediante il quale due oggetti metallici vengono resi solidali. L’operazione viene eseguita riscaldando entrambi gli oggetti e aggiungendo un materiale di apporto, a basso punto di fusione, che, fondendosi, si infiltra per capillarità fra i metalli da collegare (brasatura dolce). Nelle applicazioni elettroniche la saldatura ha due scopi: — stabilire un contatto meccanico rigido e stabile nel tempo fra i percorsi elettrici (cavi elettrici, piste di un circuito stampato) e i terminali dei componenti elettronici; — stabilire la continuità elettrica fra le varie parti del circuito. Il materiale di apporto utilizzato nelle applicazioni elettroniche è in genere una lega di stagno-piombo che fonde a bassa temperatura. Il punto di fusione della lega dipende dal rapporto esistente fra i due elementi che formano la lega: per esempio, una lega con il 63% di stagno e il 37% di piombo fonde a 183 °C. L’esigenza di ricorrere a una lega metallica con un basso punto di fusione deriva dal fatto che il collante utilizzato per fare aderire la lamina di rame al supporto del circuito stampato si danneggia se viene riscaldato in modo eccessivo. La lega stagno-piombo più utilizzata nelle applicazioni elettroniche è formata dal 60% di stagno e dal 40% di piombo. A questi componenti vengono aggiunti, in piccole quantità, altri elementi, per esempio l’antimonio, per conferire alla lega una maggiore resistenza meccanica. La normativa RoHS, emessa nel 2002/95/CE e adottata dalla Comunità europea nel 2003, è anche nota come direttiva Pb-free o Lead-free (esente da piombo); essa pone severi limiti all’uso del piombo e di altre sostanze quali mercurio, cromo esavalente, cadmio ecc. In campo elettronico, l’abolizione del piombo nelle saldature richiede investimenti costosi nelle catene di montaggio (oltre alle perdite delle scorte di magazzino che non rispettano la normativa RoHS) e per i produttori di componenti elettrici ed elettronici che devono rivedere sia le procedure di utilizzo di materiali alternativi, sia le procedure di collaudo. Le leghe più comuni lead-free hanno una temperatura di fusione da 5 °C a 20 °C più alta rispetto alle più comuni leghe stagno-piombo (Sn60/PB40 ha il punto di fusione a 183 °C e Sn63/PB37 ha il punto di fusione a 188 °C). Una temperatura di saldatura più alta provoca un maggiore stress ai

CAP 7 Metodi di assemblaggio delle apparecchiature elettroniche

125

Fig. 7.15 Filo di saldatura.

componenti elettronici e al materiale costituente il circuito stampato e può determinarne una minore affidabilità. Alcuni paesi tendono, quindi, per ora, a esentare i prodotti elettromedicali e di telecomunicazione dalla legislazione abrogativa. In sostituzione delle leghe a base di piombo si usano l’argento (in applicazioni che vengono a contatto con il cibo) o leghe basate su antimonio, rame, stagno, bismuto, indio, zinco, manganese. Due terzi dei prodotti giapponesi vengono saldati a onda con una lega ternaria costituita da stagno-argento-rame. Ricerche più recenti utilizzano leghe quaternarie come: Sn-3,5Ag-0,74Cu-0,21Zn (punto di fusione: 217-220 °C), e Sn-3,5Ag-0,85Cu-0,1Mn (punto di fusione: 211-215 °C). I terminali dei componenti e le piazzole del circuito stampato sono ricoperti da uno strato di ossido che di norma impedisce alla lega di formare con i metalli da unire quel legame molecolare che conferisce alla saldatura le sue caratteristiche meccaniche ed elettriche. Per questo nella lega saldante vengono inglobati una resina organica, che ne incrementa le caratteristiche di bagnabilità, e un attivatore, che dissolve gli ossidi. L’attitudine di una superficie solida a essere saldata con la tecnica della brasatura dolce è chiamata bagnabilità. Il materiale di apporto viene realizzato in forma di filo a sezione circolare. Il flussante è inglobato all’interno della lega sotto forma di anime cilindriche disposte attorno al suo asse  ( Fig. 7.15). Durante la saldatura i due metalli da unire vengono riscaldati contemporaneamente a una temperatura superiore al punto di fusione della lega saldante. Il flussante inglobato nel filo di saldatura diventa attivo a una temperatura inferiore a quella di fusione della lega, per cui la sua azione detergente si esercita sulle due superfici metalliche da unire prima che la lega saldante sia fusa. A fusione avvenuta, la lega sposta il flussante e bagna le superfici metalliche formando la lega molecolare. Quando il filo di saldatura si è fuso, si toglie l’elemento riscaldante e si lascia raffreddare la giunzione. In questa fase dell’operazione le due superfici metalliche non si devono muovere; nel caso contrario la lega, solidificandosi, cristallizza rendendo la giunzione più fragile e con un’elevata resistenza elettrica. In una saldatura bene eseguita,  ( Fig. 7.16) la superficie dev’essere liscia e brillante (e a forma concava) e il materiale di apporto equamente distribuito sulle due superfici metalliche unite dalla giunzione. Troppo materiale di apporto, la presenza di grumi, la forma convessa e l’opacità della superficie sono chiari indici di una pessima saldatura.

Fig. 7.16 Saldatura. A substrato isolante B piazzola, pista C materiale di apporto D terminale del componente da saldare

126

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

D

A

A

B C

C

B

Le figure 7.17a-f mostrano le forme e i difetti più comuni delle saldature. Figg. 7.17a-f Forme caratteristiche delle saldature: a. saldatura corretta; b. saldatura povera di materiale di apporto; c. eccesso di materiale di apporto; d. vuota; e. cavità, soffiatura; f. saldatura non realizzata.

7.17a

7.17b

7.17c

7.17d

7.17e

7.17f

Tipi di saldatore L’attrezzo usato per eseguire le saldature nelle applicazioni elettroniche è il saldatore, che è costituito dalle parti seguenti  ( Fig. 7.18): — impugnatura in materiale termoplastico isolata elettricamente e termicamente; — corpo in acciaio inossidabile che sporge dall’impugnatura; — elemento riscaldante elettrico incapsulato in un involucro di ceramica isolante; — estremità attiva, la punta, costituita da un cilindro di rame cavo che entra nel corpo di acciaio inossidabile; il fissaggio può essere a vite o a innesto; — cavo di alimentazione. 1

Fig. 7.18 Forma costruttiva del saldatore.

13

14 15

1 2 3 4 5 6 7 8

3

11

17

7

4 2

9

16

5

6

punta saldante in rame rivestito di Fe, Ni e Cr alloggiamento punta foglio esterno di mica naturale foglio interno di mica naturale conduttore con rivestimento in amianto tre viti autofilettanti DIN 7981 flangia marchiata in acciaio rivestita di nichel impugnatura di plastica rinforzata con fibre di vetro 9 connettore di plastica tripolare

10 8

12

10 vite di plastica per passacavo 11 passacavo 12 cavo di alimentazione 3 3 0,5 di 1600 mm di lunghezza 13 vite fermapunta 14 avvolgimento resistenza tra fogli naturali di mica, contenuti in involucro di ceramica 15 ceramica 16 tubo di acciaio inossidabile esterno 17 connessione protettiva

La punta del saldatore può avere varie forme (Figg. 7.19a-e). La scelta della punta dipende dal tipo di saldatura che si deve effettuare. In genere le punte grosse sono usate per saldare cavi di grosse dimensioni o, nei circuiti stampati, gabbie metalliche di schermo elettromagnetico. Quelle di piccole dimensioni sono invece impiegate nei lavori di precisione.

CAP 7 Metodi di assemblaggio delle apparecchiature elettroniche

127

7.19a 7.19b 7.19c 7.19d 7.19e Figg. 7.19a-e Forme costruttive delle punte per saldatore: a. piatta; b. lunga; c. piatta; d. rotonda smussata; e. lunga conica.

Fig. 7.20 Portasaldatore.

Fig. 7.21 Saldatore a temperatura controllata.

128

Le punte dei saldatori sono in rame rivestito con metalli più resistenti come il nichel o l’acciaio. A differenza delle vecchie punte di solo rame, questo tipo di punta rivestita è molto resistente e non si altera durante le operazioni di saldatura. Affinché le punte conservino integralmente le loro proprietà, è necessario sottoporle a periodiche pulizie utilizzando una spugna umida. È sconsigliabile usare abrasivi in quanto si rischia di rimuovere il rivestimento di nichel scoprendo il rame sottostante, che al contatto con l’ossigeno atmosferico si ossida. Esistono due tipi di saldatori: — a riscaldamento continuo; — a temperatura controllata. Il saldatore a riscaldamento continuo è sempre collegato alla tensione di rete e la temperatura sulla punta non viene mai controllata. Durante l’uso si raffredda perché deve cedere un po’ del suo calore alle due parti da unire e portare al punto di fusione il filo di saldatura, mentre durante il periodo di non utilizzo si surriscalda; per contrastare questa tendenza, negli intervalli di inattività si può appoggiare il saldatore a supporti che dissipano il calore eccedente (Fig. 7.20). I saldatori a riscaldamento continuo sono classificati in base al valore di potenza che sono in grado di sviluppare. Per le applicazioni elettroniche i valori di potenza più utilizzati sono: — 10 ∏ 15 W per lavorazioni di precisione; — 20 ∏ 25 W per usi generici; — 60 W per usi speciali e soprattutto per il fissaggio di particolari meccanici. Una stazione di saldatura, per essere bene equipaggiata, deve prevedere per ogni saldatore utilizzato anche una serie completa di punte di varia forma e dimensione. Scegliendo la punta in funzione del tipo di saldatura che si deve effettuare è possibile migliorare la qualità del lavoro e incrementare la velocità dell’esecuzione. La tensione di alimentazione dei saldatori è in genere quella di rete: 220 Vac. I saldatori di bassa potenza, realizzati per funzionare a corrente continua a bassa tensione, trovano impiego nel campo della manutenzione, in quanto non sempre, dove c’è la necessità di fare una riparazione, è possibile disporre della tensione di alimentazione di rete. Nei saldatori a temperatura controllata la temperatura della punta viene controllata sia durante l’uso sia durante le fasi di non utilizzo  ( Fig. 7.21). Le saldature risultano più omogenee e la temperatura della punta può essere adattata alle differenti caratteristiche dei vari componenti elettronici da collegare. Al controllo della temperatura della punta provvede un circuito elettronico che commuta la tensione di alimentazione fornita all’elemento riscaldante. La temperatura viene rilevata con un termistore NTC; il valore di soglia di accensione e spegnimento viene fissato tramite un potenziometro di regolazione che consente di adattare in modo continuo la temperatura d’intervento del circuito di comando.

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

3 TECNICHE DI SALDATURA Saldatura manuale

Fig. 7.22 Dissaldatore manuale a pompetta.

Fig. 7.23 Uso del saldatore.

La saldatura manuale di un componente elettronico viene eseguita con un saldatore e un filo di saldatura. In base al tipo di saldatura che si vuole effettuare, per lavorare in modo rapido ed efficiente bisogna scegliere il saldatore di potenza adeguata e con la punta di forma adatta. Il saldatore non deve però essere troppo potente, soprattutto quando si collegano componenti elettronici, perché un eventuale surriscaldamento può danneggiarli in modo permanente o degradarne le caratteristiche elettriche. Il filo di saldatura dev’essere scelto in base al tipo di lega e alla sezione. Un filo troppo grosso impedisce un’adeguata regolazione della quantità di materiale da apportare alla giunzione, e una quantità eccessiva di materiale d’apporto può provocare cortocircuiti o l’unione di piazzole adiacenti. Quando ciò accade è necessario sospendere l’operazione di saldatura e rimuovere il cortocircuito con appositi dissaldatori a pompetta, che eliminano lo stagno in eccesso  ( Fig. 7.22). L’uso di un filo saldante di sezione sottile obbliga a lavorare più lentamente; se poi non si dispone di un alimentatore a rocchetto automatico per il rifornimento del filo di saldatura, ma si lavora con spezzoni di filo, l’operazione va continuamente interrotta per rifornirsi di filo saldante. Per ottenere una buona saldatura occorre far in modo che la punta del saldatore riscaldi contemporaneamente sia la piazzola posta sul circuito stampato sia il reoforo del componente  ( Fig. 7.23). Dopo un breve riscaldamento (quindi, non contemporaneamente) si aggiunge il filo saldante nella quantità adeguata. Una volta che la goccia di materiale di apporto si è depositata sul terminale e sulla piazzola, si toglie la punta del saldatore. La giunzione va lasciata raffreddare per irraggiamento e convezione, senza forzarne il raffreddamento soffiando aria sulla saldatura.

Saldatura automatica La saldatura automatica viene eseguita dopo avere inserito tutti i componenti nella piastra del circuito stampato. La giunzione fra le due superfici metalliche (terminale del componente e piazzola del circuito stampato) viene ottenuta riscaldandole e trasferendo la lega saldante sul punto di giunzione, in pratica con lo stesso procedimento della saldatura manuale. L’unica differenza è che l’operazione viene completamente controllata da una macchina che automaticamente effettua la saldatura di tutte le giunzioni senza richiedere l’intervento dell’operatore. Saldatura a onda

La saldatura a onda è il più diffuso dei metodi di saldatura automatica e consiste nel pompare attraverso un ugello la lega saldante fusa, in modo che formi un’onda. La piastra da saldare scorre sopra l’onda di lega saldante fusa su un convogliatore rettilineo e viene bagnata dalla lega fusa  ( Fig. 7.24). Il tempo di contatto della superficie della piastra con l’onda dipende dalla velocità di scorrimento della piastra: il contatto dura pochi secondi, sufficienti però a realizzare una buona saldatura. La parte della lega che non è utilizzata per effettuare la giunzione ricade nel pozzetto.

CAP 7 Metodi di assemblaggio delle apparecchiature elettroniche

129

1

Fig. 7.24 Saldatura a onda. 2

3

5

4

6 7 4” -7”

9 8 1 2 3 4 5 6

11

12

10

aree interessate all’onda saldante zona di preriscaldamento area di contatto variabile area di uscita area di post-riscaldamento direzione di spostamento della scheda a circuito stampato

7 8 9 10

linea di riferimento placca frontale pozzetto contenente la lega saldante sezione di attraversamento decrescente risultante dal movimento della piastra 11 lega saldante 12 placca posteriore regolabile

La qualità di una saldatura a onda dipende essenzialmente: — dalla forma dell’onda; — dalla durata del contatto fra l’onda e la piastra; — dalla superficie della piastra interessata alla saldatura in ogni istante. Prima di effettuare la saldatura, la saldatrice a onda  ( Fig. 7.25) esegue un’operazione di flussatura della piastra, che comporta l’applicazione di un flussante sulla sua superficie. La piastra viene in seguito preriscaldata per attivare il flussante, allo scopo di disossidarla, di aumentarne la bagnabilità e di evitare che lo sbalzo termico impresso dal processo di saldatura alla piastra possa danneggiare il supporto della scheda a circuito stampato o il collante della lamina di rame. Il preriscaldamento viene effettuato per irraggiamento (piastra calda) o per convezione (aria calda) sul lato del circuito stampato in cui si deve eseguire la saldatura. Fig. 7.25 Saldatrice a onda professionale (fonte: ELMI).

130

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

Per saldare a onda una piastra a circuito stampato è necessario avere depositato sulla parte di superficie non interessata all’operazione una vernice epossidica protettiva (solder resist) per evitare che l’onda della lega fusa crei connessioni (cortocircuiti) non desiderate. La realizzazione di un circuito stampato con la tecnica di saldatura a onda impone il rispetto di una serie di vincoli che riguardano sia la disposizione dei componenti sulla piastra sia le dimensioni e la posizione delle tracce di collegamento. La tecnica di saldatura a onda viene largamente utilizzata nell’industria perché consente di effettuare un numero elevatissimo di saldature in breve tempo e impiegando pochissimo personale. Il prodotto risultante è uniforme e di qualità costante. Escludendo i circuiti di prova e quelli di piccolissima serie (10 ∏ 20 pezzi), tutti i montaggi industriali vengono realizzati con questa tecnica, la cui larga diffusione è dovuta al costo non molto elevato delle attrezzature necessarie, accessibili anche alle aziende di dimensioni medio-piccole. La saldatura dei componenti elettronici sulle piastre a circuito stampato è una lavorazione che, come la fabbricazione dei circuiti stampati già descritta  ( Cap. 6) viene effettuata da ditte specializzate che lavorano con le migliori attrezzature e con costi molto ridotti.

4 TECNICA DEL MONTAGGIO SUPERFICIALE Nei paragrafi precedenti abbiamo descritto le principali tecnologie di assemblaggio elettronico con riferimento ai componenti provvisti di terminali di connessione a inserzione. Attualmente viene sempre più utilizzata un’altra tecnica di assemblaggio: quella a montaggio superficiale (SMT). I componenti elettronici ed elettromeccanici utilizzati in questo tipo di assemblaggio sono, dal punto di vista elettrico e funzionale, perfettamente identici a quelli impiegati nella tecnica a inserzione: ciò che cambia è il tipo di contenitore usato per incapsulare il dispositivo  ( Figg. 7.26a, b). Figg. 7.26a, b Dispositivi a montaggio superficiale.

7.26a

7.26b

SMD

– Surface mounted device

Il contenitore dei dispositivi SMD è più piccolo dell’analogo dispositivo con il contenitore a inserzione diretta. Paragonando dispositivi analoghi, la tecnica a montaggio superficiale consente di ridurre del 30 ∏ 50% (per una stessa applicazione circuitale) la superficie di circuito stampato occupata. Questo, però, rende impraticabile il montaggio manuale su scheda dei componenti a montaggio superficiale SMD, e obbliga ad automatizzare tutto il ciclo di produzione SMD. Grazie a tale automazione, le apparecchiature elettroniche sono prodotte con tutti i vantaggi della grande serie, e l’affidabilità e uniformità del prodotto finale sono garantite dal processo di lavorazione automatico.

CAP 7 Metodi di assemblaggio delle apparecchiature elettroniche

131

7.27a

7.27b Fig. 7.27a, b: a. assemblaggio di un circuito integrato DIL a inserzione; b. assemblaggio di un circuito integrato a montaggio superficiale.

Le figure 7.27a, b mostrano i metodi di montaggio legati alle due tecnologie per lo stesso tipo di componente. Con i dispositivi a montaggio superficiale è possibile realizzare circuiti stampati più densi e perciò più complessi; le connessioni realizzabili per unità di area sono quindi più numerose di quelle ottenibili con la tecnica tradizionale  ( Fig. 7.28). Anche i fori da eseguire sul circuito stampato si riducono drasticamente perché si devono realizzare solo i fori di interconnessione dei segnali. I terminali dei dispositivi SMD sono molto corti, per cui le capacità e le induttanze parassite assumono valori ridotti. Per questa ragione questi dispositivi sono in genere preferiti a quelli a inserzione in tutte le applicazioni di tipo analogico che devono utilizzare segnali di alta frequenza. Nei dispositivi digitali il dispositivo SMD ha un tempo di propagazione più uniforme e più breve per tutti i segnali di uscita.

Fig. 7.28 Circuito stampato a montaggio superficiale.

L’assemblaggio realizzato con la tecnica a montaggio superficiale è anche meno sensibile all’effetto di urti e vibrazioni e può essere schermato contro i disturbi elettromagnetici in modo più semplice ed efficace. Per tale motivo questa tecnica si è affermata soprattutto nelle applicazioni aeronautiche e in quelle militari. La saldatura dei componenti SMD alla piastra del circuito stampato viene effettuata depositando sulla superficie della stessa, nei punti di contatto, una pasta collante-saldante che li tiene fermi nella posizione desiderata; un successivo riscaldamento fonde la lega saldante, vincola i componenti alla piastra e li collega elettricamente alle piazzole del circuito stampato. Le sequenze di lavorazione corrispondenti alle tre tecniche di montaggio che descriviamo di seguito sono riassunte nella figura 7.29. La tecnica di montaggio descritta si riferisce a un circuito stampato che utilizza solamente componenti SMD montati su un solo lato e viene utilizzata prevalentemente nella fabbricazione dei circuiti ibridi su substrato ceramico  ( Vol. 3). Nelle apparecchiature elettroniche, però, viene utilizzata spesso una tecnica mista che impiega contemporaneamente, su un circuito stampato, sia componenti a inserzione sia componenti a montaggio superficiale.

132

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

Fig. 7.29 Fasi delle tecniche di montaggio superficiale SMD.

COMPONENTI SMD MONTATI

COMPONENTI A INSERZIONE

COMPONENTI A INSERZIONE

SOLO SU UN LATO

SUL LATO COMPONENTI

SUL LATO COMPONENTI E COM-

E COMPONENTI SMD

PONENTI SMD

SUL LATO SALDATURE

SU ENTRAMBI I LATI

inizio del processo

inizio del processo

inizio del processo

applicazione della pasta saldante

inserimento e ripiegatura dei componenti a inserzione

applicazione della pasta saldante

posizionamento del dispositivo SMD

ribaltamento del circuito stampato

posizionamento del dispositivo SMD

trattamento termico per indurre l'adesivo (se necessario)

applicazione della pasta saldante

trattamento termico per indurre l’adesivo (se necessario)

saldatura per rifusione

posizionamento del dispositivo SMD

saldatura per rifusione

pulizia e controllo della scheda

trattamento termico per indurre l'adesivo (se necessario)

pulizia e controllo della scheda

ribaltamento del circuito stampato

ribaltamento del circuito stampato

saldatura di tutta la scheda

applicazione della pasta saldante sul lato saldature

pulizia e controllo della scheda

posizionamento del dispositivo SMD trattamento termico per indurire l’adesivo (se necessario) saldatura a onda pulizia e controllo della scheda

La tecnica mista di montaggio prevede che i componenti a inserzione siano montati su un lato del circuito stampato (di solito, il lato componenti) e che quelli SMD siano montati sull’altro (lato saldature). Questo processo di montaggio è ampiamente utilizzato nell’industria elettronica e rappresenta, dal punto di vista del rapporto costo/prestazione, un’ottima soluzione tecnica che produce manufatti caratterizzati da un elevato grado di affidabilità. Quando il numero dei componenti SMD da montare su un circuito stampato diventa molto grande è possibile montare su entrambi i lati della scheda, ma si tratta di un processo molto più complesso di quelli descritti in precedenza e che genera prodotti meno affidabili. La saldatura dei componenti SMD è un processo tecnologico delicato, da eseguire con molta attenzione: la pasta adesiva dev’essere dosata in quantità sufficiente da garantire che il componente resti fermo durante il processo di saldatura. Nelle figure 7.30a-d sono mostrate le forme tipiche delle saldature realizzate con componenti SMD che utilizzano contenitori plastici PLCC.

CAP 7 Metodi di assemblaggio delle apparecchiature elettroniche

133

Tabella 7.1 Tipi di guasto generati dal processo di saldatura dei componenti SMD GUASTO

SORGENTE

CAUSA

Saldatura carente

– piazzola troppo piccola

– – – –

– terminale del componente – applicatore della pasta saldante

superficie ossidata ugello dell’alimentatore ostruito pasta saldante insufficiente consistenza della pasta saldante

Saldatura in eccesso

– applicatore della pasta saldante

– diametro dell’ugello – consistenza della pasta saldante

Saldatura mancante

– piazzola troppo piccola – terminale del componente – applicatore della pasta saldante

– – – –

Penetrazione della lega saldante sotto la piazzola

– piazzola troppo piccola – applicatore della pasta saldante

– superficie ossidata – formula della pasta saldante contenente una quantità insufficiente di argento

ATE

– Automatic test equipment

Figg. 7.30a-d Forme caratteristiche delle saldature con componenti SMD: a. corretta; b. debole (piazzola contaminata); c. secca (piazzola ossidata); d. saldatura non realizzata (terminale rialzato).

superficie ossidata ugello dell’alimentatore ostruito pasta saldante insufficiente consistenza della pasta saldante

Nella tabella 7.1 sono elencati i principali tipi di guasto generati dal processo di saldatura di dispositivi SMD e la loro possibile causa. L’ispezione visuale delle saldature dei componenti SMD è molto difficile e del tutto inaffidabile, perciò il controllo viene effettuato con macchine in automatico (ATE). Anche questa tecnica presenta però degli inconvenienti. Il principale è il fatto che una scheda così prodotta costa molto di più di una analoga realizzata con componenti a inserzione. Inoltre, l’alta densità dei componenti sul circuito stampato provoca una maggiore dissipazione di potenza, e il calore prodotto viene poi scambiato con l’ambiente circostante in modo meno efficiente rispetto al montaggio tradizionale, in quanto lo spazio esistente fra i vari dispositivi è estremamente ridotto. Il problema della dissipazione del calore deve essere attentamente valutato quando si progetta il layout della scheda. lega saldante (menisco)

terminale

piazzola supporto del circuito stampato 7.30a

7.30b

7.30c

7.30d

Un altro problema è dato dalla normazione, che non è stata ancora completamente definita, per cui non sempre componenti identici, ma prodotti da differenti costruttori, sono intercambiabili. Il problema deve essere valutato attentamente quando si disegnano i master del circuito stampato: essendo tutto il ciclo di lavorazione automatico, non sono possibili interventi di adattamento se non modificando la programmazione delle macchine operatrici. Ovviamente questi interventi hanno un costo che potrebbe essere evitato o ridotto effettuando scelte oculate in sede di progettazione ed esecuzione dei disegni di fabbricazione.

134

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

Fig. 7.35 Dispositivi a montaggio superficiale in contenitore Gull wing e PLCC.

GULL WING

PLCC

7.35

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

136

In che cosa consiste l’operazione di saldatura e per quale scopo viene effettuata? Descrivi i diversi tipi di saldatore per le applicazioni elettroniche. Come si effettua una buona saldatura manuale? Descrivi il processo di saldatura a onda. In che cosa si differenzia la tecnica di montaggio superficiale da quella a inserzione? Quali sono i vantaggi offerti dalla tecnica SMT? Che differenza funzionale c’è tra un dispositivo SMD e uno tradizionale? Quali sono i problemi tecnici da affrontare per realizzare un circuito stampato SMD?

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

CAP 8 Concetti chiave      

Master Piazzola Pista Artwork Artmaster Sbroglio delle connessioni

Figg. 8.1a, b Film fotografico per la realizzazione di un circuito stampato: a. lato componenti; b. lato saldature

8.1a

PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DEI DISEGNI DI FABBRICAZIONE DEI CIRCUITI STAMPATI 1 Fasi di lavoro 2 Fase di raccolta della documentazione necessaria per la realizzazione dei master 3 Tipi di montaggio dei componenti 4 Dimensioni dei circuiti stampati 5 Disposizione dei componenti sulla scheda 6 Elementi che formano il circuito stampato 7 Artwork

8 Materiali per il disegno dei master e loro utilizzo 9 Artmaster 10 Controlli e verifiche del master 11 Disegni per il montaggio della scheda a circuito stampato 12 Photomaster 13 Costi di fabbricazione 14 Sistemi CAD/CAE per la realizzazione dei disegni di fabbricazione 15 Sistemi CAD commerciali

La tecnica di realizzazione dei circuiti elettronici basata sull’utilizzo del circuito stampato ha sostituito il vecchio metodo del cablaggio filare, che ormai trova applicazione solo nei laboratori durante la fase di studio e di realizzazione dei circuiti di prova o nella costruzione del circuito prototipo. Per costruire un circuito stampato occorre il disegno: — dello schema delle connessioni o master  ( Figg. 8.1a, b); — dello schema della disposizione dei componenti; — del piano di foratura; — del dettaglio delle lavorazioni meccaniche da eseguire sulla piastra (scontornature, intagli); — degli eventuali dettagli di fabbricazione del circuito stampato; — del montaggio sulla scheda a circuito stampato di un dispositivo elettronico o elettromeccanico (può essere in assonometria o in esploso); — dei punti di saldatura (questo disegno serve per fare la maschera serigrafica per il solder resist, che consente di deporre in modo selettivo la vernice protettiva sulla scheda); — della maschera della disposizione dei componenti (questo disegno verrà stampato con il metodo serigrafico sulla superficie della scheda); — della connessione della scheda alle altre parti dell’apparato elettronico; — dell’installazione della scheda nel contenitore dell’apparato elettronico che la utilizza.

8.1b

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

137

Una volta che il disegno è stato riprodotto e ridotto, eventuali errori di impostazione o esecuzione del progetto sono quasi impossibili da correggere, e di conseguenza i costi da sostenere per ripararli sono sempre molto gravosi. In ogni caso, un intervento successivo sul disegno richiede lo spostamento di piazzole o la correzione delle piste difettose, tutte operazioni che allungano i tempi di progettazione e di sviluppo di un progetto e, se il disegno è stato realizzato con la tecnica manuale, quasi sempre compromettono la qualità del prodotto. Ogni errore o dimenticanza, ogni scelta costruttiva compiuta in questa fase della lavorazione, influenzeranno sia i tempi necessari per la realizzazione del circuito sia il costo finale dell’apparecchiatura. Lo studio dei disegni di fabbricazione e della documentazione di supporto necessaria per le successive operazioni di montaggio del circuito stampato, devono quindi essere fatti da un disegnatore che possieda una buona conoscenza: — delle tecniche di produzione dei circuiti stampati, per poter valutare, durante l’esecuzione del disegno, le restrizioni imposte dal processo di lavorazione; — della tecnica di assemblaggio dei componenti elettronici sulla scheda (a foro passante o a montaggio superficiale) e di quella utilizzata per il cablaggio della scheda nel contenitore dell’apparecchiatura; — di tutte le caratteristiche elettriche e meccaniche dei componenti utilizzati e utilizzabili, con particolare attenzione, per esempio, ai componenti elettromeccanici (interruttori, trasformatori ecc.) che vengono costruiti, a parità di caratteristiche, con dimensioni e ingombri notevolmente differenti. La posizione degli accessori elettromeccanici (guidaschede, estrattori, zoccoli per circuiti integrati e transistor ecc.) va attentamente studiata tenendo conto anche delle loro tolleranze di fabbricazione.

1 FASI DI LAVORO L’esecuzione dei disegni di fabbricazione di un circuito stampato attraversa più fasi.

138



Fase 1. Acquisizione dello schema elettrico, della lista dei componenti, delle informazioni complete sui dettagli costruttivi e di impiego della scheda e dell’apparecchiatura in cui la scheda sarà inserita.



Fase 2. Scelta della tecnologia costruttiva (a foro passante o a montaggio superficiale).



Fase 3. Acquisizione delle dimensioni del circuito stampato con l’esatta indicazione delle tolleranze di fabbricazione. La forma e le dimensioni della scheda sono determinate dal tipo di contenitore (rack normalizzato, sagoma non a norma) e dal tipo di cablaggio adottato per collegare la scheda alle altre parti dell’apparecchiatura elettronica (a fili, a connettore).



Fase 4. Ricerca delle esatte dimensioni di ingombro di tutti i componenti per determinare l’area della scheda che essi occuperanno e, di conseguenza, stabilire se le dimensioni che si desidera assegnare al circuito stampato sono sufficienti.

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati









Scelta del fattore di scala



Fase 5. Contemporaneamente alla fase 4 si cercherà di individuare, sulle maschere per layout, il simbolo grafico che riproduce perfettamente, o almeno con una precisione accettabile, gli ingombri dei singoli componenti. In sede di stesura del disegno preparatorio (artwork), tale ricerca consente di disegnare correttamente, dal punto di vista dimensionale, ogni dispositivo, e perciò di realizzare un disegno di riferimento attendibile. Se si utilizza un CAD, la ricerca consisterà nell’individuare, fra quelli disponibili nella libreria del programma, il simbolo che corrisponde al componente; se questo simbolo non esiste, il disegnatore provvederà a crearlo con un programma di editor e poi a inserirlo nella libreria. Fase 6. Analisi dello schema elettrico del circuito e sua suddivisione in unità funzionali, o blocchi. Per ciascun blocco, preferibilmente non troppo complesso, il disegnatore dovrà individuare il percorso esatto dei vari segnali e gli elementi che impongono restrizioni alla disposizione dei componenti sulla scheda, o che richiedono modalità di montaggio o di regolazione particolari. L’operazione successiva consisterà nel calcolare l’area di ingombro dei dispositivi che fanno parte di ogni singolo blocco. Fase 7. Individuazione della posizione di ogni blocco nell’area utile della scheda. Questa scelta dev’essere fatta tenendo conto di tutte le restrizioni fissate dal progettista, quali la posizione predeterminata di alcuni dispositivi elettronici, la distribuzione del peso dei componenti, la presenza di connettori o di fori per il fissaggio meccanico. Questa operazione consente anche di valutare, prima di iniziare lo studio e la realizzazione dei disegni del circuito stampato, se esistono vincoli circa la scelta della posizione da assegnare ai componenti. Fase 8. Disegno dei vari componenti di ogni blocco nell’area della scheda che, con le operazioni indicate nella precedente fase 5, è stata loro assegnata, e disegno del percorso ottimale dei collegamenti utilizzando come supporto di riferimento una griglia normalizzata (o una sua buona riproduzione fotostatica o eliografica) e una maschera per layout che riproduca le sagome degli ingombri. Di solito questo studio viene eseguito nella stessa scala del master. Fase 9. Disegno del master vero e proprio utilizzando materiali di alta qualità e stabili dal punto di vista dimensionale. Il master viene eseguito nelle scale (elencate in ordine di preferenza) 2:1/4:1/1:1. Si adottano queste scale perché sono quelle in cui sono prodotti i trasferibili e le attrezzature da disegno. L’esigenza di eseguire i disegni con un fattore di scala deriva dalla necessità di ridurre al minimo, in fase di realizzazione, gli effetti delle eventuali imprecisioni. L’uso di un fattore di scala richiede che tutte le quote lette sui manuali tecnici, relative ai dispositivi in uso, siano raddoppiate o quadruplicate; per quanto riguarda gli ingombri, si possono utilizzare maschere realizzate già con le quote in scala. La scala 2:1 è quella più utilizzata perché, nella maggior parte dei casi, fornisce i risultati migliori a costi contenuti e impiega, per i fogli da disegno, formati facilmente manipolabili. La scala 1:1 può essere adottata se: — il circuito da realizzare è semplice e monofaccia;

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

139

— la spaziatura tra le piste e tra i componenti è relativamente grande; — non esistono problemi di allineamento delle piazzole; — non è richiesto il rispetto di tolleranze troppo strette. Questa scala può quindi essere usata solo per prototipi semplici, da realizzare in tempi brevi e con tecniche artigianali, oppure quando il master viene eseguito con tecniche automatiche tramite elaboratore elettronico, con un plotter asservito che garantisce un errore di trascinamento minimo. La scala 4:1 non viene usata molto spesso in quanto richiede fogli da disegno di grande formato e piani di lavoro di superficie eccessiva. Inoltre, la gamma di trasferibili, maschere e attrezzi da disegno è, per questa scala, limitata. Un altro elemento che circoscrive la possibilità di usare fattori di scala molto grandi è rappresentato dalle dimensioni contenute dei film commerciali e dei piani di lavoro delle macchine che effettuano le riduzioni. La scala 4:1 può essere adottata se: — gli errori devono essere ridotti al minimo; — le dimensioni devono essere estremamente precise; — le tolleranze di lavorazione sono molto strette.



Fase 10. Se il disegno è stato eseguito con una tecnica manuale (nastrini) bisogna controllare i collegamenti realizzati (in relazione alle connessioni indicate sullo schema elettrico) e l’esecuzione del master. Occorre anche verificare che tutti i nastrini e le piazzole siano stati posizionati correttamente e che abbiano aderito perfettamente al foglio da disegno, sostituendo quelli che non offrono garanzie di tenuta. Il tempo necessario per realizzare un master è per il 60% dedicato alle fasi 1-7; il restante 40% è dedicato alla realizzazione del disegno preparatorio e del master vero e proprio, e al suo controllo.

2 FASE DI RACCOLTA DELLA DOCUMENTAZIONE NECESSARIA PER LA REALIZZAZIONE DEI MASTER Sottolineiamo l’utilità di compilare una lista di controllo che aiuti a verificare se le informazioni ricevute dal tecnico che ha realizzato il progetto dell’apparecchiatura sono sufficienti per realizzare i disegni di fabbricazione del circuito stampato. Questa fase è importante perché il rischio di trascurare, o di sottovalutare, alcuni particolari che successivamente possono rilevarsi importanti, è molto alto. Come abbiamo già detto, la tecnica di assemblaggio dei circuiti elettronici basata sui circuiti stampati non consente errori perché la densità dei componenti e la complessità dei collegamenti condizionano fortemente i tempi necessari per la realizzazione. Inoltre, l’eventuale modifica dei disegni comporta costi elevati e in genere si risolve nel rifacimento dell’intero disegno. La documentazione fornita dal progettista dell’apparecchiatura dovrebbe contenere: — lo schema circuitale disegnato correttamente e perfettamente leggibile; — la lista dei componenti con i riferimenti di identificazione che coincidono con quelli usati sullo schema elettrico, e con tutte le indicazio-

140

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati



— — — — — LED

– Light emitting diode

— —





ni del valore nominale dei componenti, delle loro caratteristiche tecnologiche, dei particolari meccanici o elettrici per la loro localizzazione sulla scheda; i fogli tecnici dei dispositivi da utilizzare per effettuare controlli e verifiche e per reperire ulteriori informazioni; sono dati importanti per il disegnatore quelli che riguardano le caratteristiche dimensionali dei componenti (talvolta, per facilitare il lavoro del disegnatore, in nota allo schema elettrico compaiono informazioni del tipo: “Tutte le resistenze sono da 1/4 W”; “Tutti i transistor sono di tipo TO-5”; “Tutti i condensatori sono del tipo ceramico a disco”); le dimensioni della scheda correttamente quotata con l’indicazione di tutte le tolleranze di fabbricazione; l’eventuale indicazione dei fori necessari per l’installazione della scheda con le quote e la tolleranza di fabbricazione ammessa; l’indicazione dello spazio disponibile in altezza; le quote di eventuali zone di sgombro per accessori (quali guidaschede, irrigiditori, estrattori, componenti che devono essere regolati); l’indicazione della presenza di componenti con localizzazione sulla scheda predeterminata (quali display, diodi LED, organi elettromeccanici, resistori variabili); l’indicazione della possibilità che fra qualche dispositivo si abbiano accoppiamenti parassiti (mutue induttanze); l’indicazione di eventuali restrizioni sui metodi di assemblaggio della scheda (quali la schermatura di alcuni componenti o l’impiego di tecniche di cablaggio che richiedono l’uso di isolatori); questa informazione è della massima importanza poiché una restrizione dimenticata può comportare il rifacimento, in qualunque fase della lavorazione, dell’intero disegno; l’indicazione dell’eventuale presenza di componenti di notevoli dimensioni (o peso) che devono essere assicurati alla scheda con particolari tecniche di fissaggio, oppure collocati sulla scheda in particolari posizioni per evitare che eventuali urti o vibrazioni ne provochino il distacco o generino fratture nel supporto isolante; l’indicazione dell’eventuale presenza di componenti che richiedono l’uso di un dissipatore di calore (in questo caso occorre conoscere le esatte dimensioni, il modo in cui viene assemblato con il componente e come l’insieme viene montato sulla scheda).

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4. 5.

Quali disegni sono necessari per la produzione di un circuito stampato? Quali conoscenze tecniche bisogna possedere per realizzare un circuito stampato professionale? Di che cosa bisogna tenere conto nel posizionare gli accessori elettromeccanici? Descrivi brevemente le fasi di realizzazione manuale dei disegni di fabbricazione di un circuito stampato. Indipendentemente dalla tecnica esecutiva scelta (manuale o CAD), prima di iniziare la realizzazione dei disegni di fabbricazione di un circuito stampato bisogna disporre della documentazione completa del progetto. Di quali documenti e/o informazioni dovrebbe essere composta?

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

141

3 TIPI DI MONTAGGIO DEI COMPONENTI In ambiente industriale una scheda viene montata mediante macchine automatiche e processi di saldatura a onda  ( Cap. 7). L’impiego di macchine per il cablaggio automatico dei componenti presuppone che il disegno sia stato eseguito con precisione e accuratezza, in modo da rendere facilmente programmabili le macchine piegatrici e assemblatrici. Per facilitare la programmazione è necessario: — che tutti i fori coincidano con le intersezioni della griglia di precisione  ( Fig. 8.2); — che tutti i componenti dimensionalmente omogenei abbiano lo stesso interasse; — che l’orientamento dei dispositivi sia solo orizzontale o verticale  ( Fig. 8.3).

Fig. 8.2 Uso della griglia tarata per posizionare un componente elettronico.

L’omogeneità dimensionale dei componenti, la regolarità e la precisione della disposizione permettono di ridurre i tempi di programmazione e di riattrezzamento delle macchine, riducendo i costi di realizzazione. Questa considerazione sottolinea l’importanza delle scelte che il disegnatore compie durante la stesura del circuito stampato: scelte errate o non adatte possono produrre, per volumi di produzione medio-grandi, perdite economiche molto elevate. I dispositivi elettronici sono inseriti in contenitori che permettono due tipi di montaggio: 1. in orizzontale; 2. in verticale. Il montaggio orizzontale conferisce grande stabilità ed efficienza ai collegamenti, anche quando il circuito stampato è inserito in apparecchiature soggette a urti e vibrazioni. Inoltre, questo montaggio è semplice e rende il dispositivo più agevolmente accessibile sia per il controllo sia per la sostituzione.

Fig. 8.3 Posizionamento corretto dei componenti.

Il montaggio verticale rende possibile una maggiore densità dei componenti sulla scheda, ma pone maggiori problemi in fase di montaggio e di col-

142

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

Fig. 8.4 Condensatore di grande capacità con terminale di stabilizzazione meccanica.

laudo. Molti conduttori restano scoperti, e ciò impone scelte di cablaggio che aumentano i costi di realizzazione dell’apparecchiatura. Talvolta, quando la scelta è obbligata, vengono usati componenti particolari (quali resistenze con reofori coperti da vernice isolante) oppure si infilano i reofori in particolari guaine isolanti o si usano separatori isolanti di plastica. Vengono montati verticalmente solo i dispositivi a questo predisposti dal costruttore, per esempio i condensatori elettrolitici di grande capacità, che in genere possiedono anche dei reofori aggiuntivi per favorire la stabilità meccanica del componente  ( Fig. 8.4). Tutti i componenti che hanno o dimensioni rilevanti o un peso significativo devono essere saldamente ancorati alla scheda tramite fili di guardia o con accessori appositi prodotti da ditte specializzate. Tali ancoraggi devono essere posti in modo che la loro azione si opponga alla forza che tende a spostare o a muovere il componente  ( Figg. 8.5a, b). Il passo di montaggio dei componenti, cioè l’interasse fra i reofori, è ricavabile dai data sheet, che in genere forniscono le informazioni che elenchiamo di seguito. Se il componente viene montato orizzontalmente (assiale): — la lunghezza massima del corpo del dispositivo; — la distanza minima per il punto di piegatura, che rappresenta la quota minima misurata dal corpo del dispositivo alla quale è possibile piegare il reoforo senza danneggiare il componente per effetto della lavorazione meccanica o del calore prodotto durante le operazioni di saldatura  ( Figg. 8.6a, b).

Figg. 8.5a-b Accessori per l’ancoraggio dei dispositivi a una scheda elettronica: a. filo di arresto; b. fascetta di arresto.

L min

L min

8.6a 102

8.5a Figg. 8.6a, b Valori minimi della lunghezza dei terminali dei componenti: a. assiali; b. radiali.

L max

L min

passo 8.5b

8.6b

Se il componente viene montato verticalmente (radiale): — il passo fra i reofori; — la lunghezza minima dei reofori che garantisce la dissipazione del calore sviluppato durante la saldatura dei componenti.

4 DIMENSIONI DEI CIRCUITI STAMPATI Non esiste una vera e propria normalizzazione delle dimensioni di ingombro dei circuiti stampati. In genere, esse sono imposte dal tipo di contenitore prescelto, dal modo in cui verrà fissata la scheda e dal metodo di cablaggio adottato.

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

143

La forma, nella maggior parte dei casi, è rettangolare  ( Fig. 8.7). Talvolta vengono scelte sagome diverse, soprattutto nell’ambito delle apparecchiature elettroniche per applicazioni civili, per ridurre i costi di assemblaggio. In questi casi il fissaggio della scheda viene affidato al supporto del circuito stampato stesso, che va a incastrarsi in apposite fessure o supporti ricavati nel contenitore, generalmente di plastica. Se nella sagoma della scheda viene ricavato un connettore a pettine, quest’ultimo dev’essere quotato esattamente con l’indicazione delle tolleranze di lavorazione  ( Fig. 8.8). Fig. 8.7 Forme caratteristiche delle schede a circuito stampato.

Fig. 8.8 Quotatura di un connettore a pettine.

In ambito industriale e professionale, la diffusione della tecnica di progetto modulare ha favorito l’introduzione di alcuni formati che rappresentano uno standard per i costruttori di contenitori. La tecnica di progetto modulare è quella che divide l’apparecchiatura elettronica in più unità funzionali realizzate su schede separate e poi interconnesse con appositi circuiti stampati o con tecniche cablate. Numerose ditte realizzano contenitori armonizzati con le norme UNIRACK 19¢¢ (CEI, fasc. 34). Il formato delle schede inserite in questi rack è detto Eurocard (con dimensioni di 100 ¥ 160 mm); esiste anche una serie detta Doppio Eurocard (con dimensioni 160 ¥ 233,4 mm). Ci sono produttori che vendono schede video per monitor, schede controller per motori in corrente continua, schede a microprocessori, schede con convertitori analogici digitali ecc.

144

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

Quotatura di una scheda Le quote sono attribuite sulla base di segni grafici di riferimento inseriti nel disegno. Tali segni, che non devono essere allineati, possono essere collocati internamente o esternamente all’area della scheda, e in posizione tale da essere facilmente individuati  ( Fig. 8.9). L’esatta indicazione delle quote aiuta anche il fotografo a effettuare riduzioni fotografiche precise.

F

D

E

Fig. 8.9 Quotatura di una scheda: posizione dei punti di riferimento.

G

A

B

C

PCB

installazione

chassis 1,9 mm Fig. 8.10 Passo dei distanziatori per il cablaggio di una scheda a circuito stampato.

Le quote sono fornite in genere in millimetri, integrate dall’indicazione della tolleranza con segno positivo e negativo; questa indicazione è necessaria nei casi in cui ci sia un’alta densità dei conduttori sulla scheda in prossimità dei suoi bordi. L’adozione di tolleranze di lavorazione troppo strette incrementa i costi di fabbricazione perché fa aumentare, durante il processo di lavorazione, l’incidenza degli scarti. Le tolleranze sulle dimensioni di taglio hanno particolare importanza in tutte le applicazioni in cui il fissaggio della scheda, o la sua messa in opera, dipendono esclusivamente dalla sua precisione dimensionale (per esempio, nelle schede che devono essere poste in contenitori di sagoma particolare, oppure nel caso di schede Eurocard che devono poter essere infilate e sfilate facilmente dai guidaschede del rack a 19¢¢. Per quanto riguarda le quote dimensionali del bordo esterno, non è necessario indicare tolleranze troppo restrittive quando il fissaggio della scheda è eseguito tramite fori di montaggio posti su di essa: la scheda sarà infatti mantenuta staccata dal corpo del contenitore mediante appositi distanziatori  ( Fig. 8.10). In questi casi assumono invece grande importanza le quote di localizzazione e il diametro dei fori di montaggio della scheda.

5 DISPOSIZIONE DEI COMPONENTI SULLA SCHEDA La disposizione dei componenti su un circuito stampato deve tener conto di un insieme di fattori che riguardano sia il processo di fabbricazione del circuito, sia il successivo montaggio e collaudo delle schede. Il progettista deve innanzitutto garantire che le sue scelte consentano un funzionamento corretto dell’apparecchiatura nelle condizioni ambientali previste e con i segnali di ingresso e uscita conformi alle specifiche di progetto. CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

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Riportiamo di seguito una lista di controllo e verifica (checklist) che può essere tenuta come riferimento durante lo sviluppo del progetto: 1. a ogni reoforo di qualsiasi componente deve corrispondere un foro sul circuito stampato provvisto della piazzola per la saldatura, che ne consente sia il collegamento elettrico sia il fissaggio meccanico alla scheda; 2. tutti i fori (e di conseguenza le piazzole) vanno posti nei punti di intersezione della griglia; 3. se il montaggio è effettuato con componenti a inserzione e non a montaggio superficiale, tutti i componenti devono essere posti sullo stesso lato della scheda; 4. la localizzazione dei dispositivi, sia elettronici sia elettromeccanici, dev’essere tale da facilitarne il montaggio, lo smontaggio, l’ispezione e il riconoscimento; 5. lo smontaggio di un dispositivo dev’essere possibile senza che l’operazione comporti quello di altri componenti: questi ultimi devono poter essere montati in modo da non coprire i reofori di quelli adiacenti  ( Fig. 8.11); Fig. 8.11 Disposizione sbagliata dei componenti sulla scheda. Il componente più piccolo può essere smontato solo dopo avere rimosso uno degli altri due.

6. tutti i componenti che possiedono una polarizzazione (condensatori elettrolitici, diodi), o che hanno una direzione di cablaggio privilegiata (circuiti integrati, transistor) vanno disposti sulla scheda con lo stesso orientamento e allineati con regolarità, se possibile in senso sia orizzontale sia verticale; il passo va tenuto costante per tutti i componenti omogenei (resistenze da 1/4 W, condensatori di disaccoppiamento) allo scopo di rendere possibile l’automazione delle operazioni di piegatura e di inserzione dei componenti  ( Fig. 8.12). Fig. 8.12 Scheda elettronica con posizionamento regolare e orientato in direzioni privilegiate di cablaggio dei dispositivi.

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Fig. 8.13 Rappresentazione di dispositivi che richiedono aree del circuito stampato prive di componenti per consentire, ad esempio, di effettuare una regolazione con un attrezzo.

Figg. 8.14a, b, c Sistemi di ancoraggio dei componenti: a. clips; b. filo di guardia; c. collante.

La regolarità e la localizzazione orientata dei dispositivi, che evidenziano ogni errore di inserzione, garantiscono un miglior sfruttamento della superficie del circuito stampato, rendono più agevoli sia le operazioni di montaggio sia quelle di verifica e, particolare non trascurabile, portano a un risultato esteticamente più gradevole. Gli organi di comando e di controllo regolabili, una volta che siano stati montati sulla scheda, devono essere facilmente accessibili; il disegnatore prevederà le aree di sgombro  ( Fig. 8.13) necessarie per l’utilizzo degli attrezzi con cui si effettua la regolazione (di regola il cacciavite); 7. potenziometri, trimmer, condensatori variabili devono essere montati e collegati in modo che la grandezza che controllano aumenti ruotando il cursore in senso orario; 8. per prevenire eventuali cortocircuiti accidentali occorre provvedere all’isolamento dei componenti che hanno superfici in tensione (contenitore o elemento dissipatore di alcuni tipi di transistor o di SCR); 9. vanno evitati i concatenamenti di campi magnetici e in loro presenza si devono adottare i sistemi di schermatura più opportuni; 10. il supporto isolante della scheda, oltre a essere la base su cui sono depositati i conduttori di rame, è anche il supporto che deve sostenere, dal punto di vista meccanico, il peso dei componenti che vi devono essere montati; occorre quindi distribuire con oculatezza i vari pesi sulla scheda in modo che nel supporto non si generino tensioni che potrebbero portare alla rottura della scheda o generare in essa microfratture che potrebbero interrompere in qualche caso la continuità dei collegamenti elettrici; 11. i collegamenti devono essere realizzati in modo da resistere alle condizioni di impiego previste; l’apparecchiatura potrebbe infatti essere sottoposta a urti, vibrazioni e sollecitazioni meccaniche causate, per esempio, da una pressione esercitata su un deviatore o su un pulsante montati direttamente sul circuito stampato, oppure a vibrazioni dovute alla macchina operatrice controllata dall’apparecchiatura (per esempio, una pressa o una macchina per maglieria). A questi inconvenienti si può parzialmente ovviare utilizzando fili di ancoraggio (o speciali collanti) che assicurino più saldamente il corpo del componente al circuito stampato  ( Figg. 8.14a, b, c);

8.14a

8.14b

8.14c

12. eventuali ponticelli di collegamento devono essere isolati, corti e posti sul lato componenti  ( Figg. 8.15a, b); 13. se esistono elementi che necessitano di disperdere il calore prodotto durante il loro normale funzionamento mediante dissipatori di calore, vanno determinate esattamente le dimensioni e le modalità di fissaggio al dissipatore, e del dissipatore al circuito stampato; que-

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

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ste scelte vanno fatte con notevole attenzione perché un errore di valutazione può comportare il completo rifacimento del progetto del circuito stampato; 14. se taluni componenti sono soggetti a variazioni sensibili delle loro caratteristiche al variare della temperatura (e se tali variazioni sono tali da compromettere l’operatività stessa dell’apparecchiatura), è necessario collocarli il più lontano possibile da ogni sorgente di calore; Figg. 8.15a, b Ponticelli: a. vista dall’alto; b. vista di fronte. 8.15a

8.15b

15. la disposizione dei componenti sulla scheda dev’essere tale da permettere l’agevole effettuazione delle misurazioni; eventuali punti di misura devono essere posizionati in modo che tra un punto e l’altro sia possibile inserire la sonda o il puntale dello strumento di misura; la posizione migliore è quella che permette un facile accesso al punto di misura quando la scheda è inserita nell’apparecchiatura e, se esistono più punti, è preferibile che siano disposti in linea retta  ( Figg. 8.16a, b); Figg. 8.16a, b Punti di misura: a. vista dall’alto; b. vista di fronte.

TP1

TP2

8.16a

TP3

TP1

TP2

TP3

8.16b

16. i collegamenti di massa, per minimizzare l’insorgenza di cadute di tensione che ne comprometterebbero l’efficienza come punto di riferimento per il potenziale, devono essere realizzati con piste di sezione adeguate; 17. la larghezza delle piste dev’essere opportunamente dimensionata, per cui occorre disporre i componenti in modo adeguato; 18. la distanza tra le piste, e tra queste e le piazzole, dev’essere compatibile con il metodo di fabbricazione utilizzato; occorre quindi verificare che la localizzazione dei componenti non sia tale da richiedere una riduzione della larghezza delle connessioni o interspazi fra le stesse incompatibili con i valori delle grandezze elettriche scambiate; 19. se i componenti vanno disposti molto vicini fra loro, è necessario calcolare con precisione il diametro minimo dell’anello della piazzola, che deve comunque essere tale da garantire le caratteristiche elettriche e meccaniche della connessione; 20. i conduttori devono essere disposti in modo da ridurre l’effetto di eventuali accoppiamenti induttivi o capacitivi; 21. la lunghezza delle piste di collegamento non rappresenta una restrizione (se si escludono alcune applicazioni speciali per i circuiti analogici), ma rappresenta una limitazione severa nei circuiti digitali che richiedono percorsi brevi, in genere inferiori ai 200 mm.

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6 ELEMENTI CHE FORMANO IL CIRCUITO STAMPATO Piazzole

Fig. 8.17 Forme geometriche delle piazzole.

DIP

– Dual in-line package

Piazzole di collegamento

La piazzola di collegamento ha sul circuito stampato due funzioni: una elettrica e una meccanica. La funzione elettrica realizza la continuità della superficie conduttiva dalla linea di collegamento al reoforo del dispositivo elettronico; la funzione meccanica assicura il dispositivo al supporto della scheda. È evidente che entrambe le funzioni sono essenziali per il funzionamento del circuito e richiedono che la larghezza dell’anello della piazzola sia tale da soddisfare le esigenze sia meccaniche sia elettriche. L’anello dovrebbe avere una larghezza minima di 2,5 mm; una larghezza troppo esigua non assicurerebbe, qualora il ciclo di lavorazione della scheda prevedesse un processo di metallizzazione dei fori, il buon esito della lavorazione. Inoltre, la foratura viene in genere eseguita su gruppi di più schede: un anello di spessore troppo sottile limiterebbe la lavorazione a poche schede, incrementando i costi di fabbricazione del circuito stampato. Se i fori non sono metallizzati, la resistenza meccanica della piazzola è inferiore, e in questo caso è sempre utile aumentare lo spessore dell’anello. L’area dell’anello della piazzola deve essere dimensionata in modo tale da favorire la dispersione del calore che si produce durante l’operazione di saldatura. Poiché la foratura costituisce una componente rilevante del costo di produzione della scheda a circuito stampato è estremamente importante normalizzare il diametro dei fori. Infatti, per ogni foro di differente diametro è necessario riattrezzare la macchina operatrice e cambiare l’utensile, e queste operazioni incidono sul costo del circuito  ( Par. 13). Le piazzole sono in genere rotonde, quadrate o ovali  ( Fig. 8.17). La forma più utilizzata è quella rotonda; quelle di forma ovale sono per lo più utilizzate per i circuiti integrati perché agevolano il passaggio delle piste. Le quadrate sono usate soprattutto per indicare l’orientamento particolare di alcuni componenti e per aumentare la superficie della piazzola; sono anche preferite, data la loro regolarità geometrica, dai sistemi di disegno basati su calcolatori (come i CAD). Alcuni dispositivi elettronici richiedono particolari insiemi di piazzole a interasse standard che vengono prodotte già assemblate per consentire trasferimenti precisi e rapidi. Configurazioni tipiche sono quelle per circuiti integrati DIP e per transistor di varie dimensioni e tipo di contenitore. Le piazzole di collegamento (via) si differenziano dalle precedenti in quanto hanno solo una funzione elettrica, vengono cioè realizzate solo per trasportare una connessione elettrica da un lato all’altro della scheda del circuito stampato. Viene quindi a mancare la funzione meccanica di ancoraggio dei componenti. Il collegamento elettrico fra i due lati della scheda è realizzato mediante il processo di metallizzazione del foro. I diametri del foro e dell’anello della piazzola possono essere più piccoli di quelli di connessione in quanto è sufficiente assicurare la sola connessione elettrica fra i due lati della scheda. Questo tipo di collegamento viene largamente usato nelle applicazioni digitali, che in genere richiedono connessioni complesse.

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

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Larghezza delle linee di collegamento Sui circuiti stampati si tende a porre un gran numero di dispositivi elettronici, e il disegnatore difficilmente riesce a rispettare le prescrizioni sulla larghezza dei conduttori imposte dalle norme. Come indicazione generale consigliamo di non prevedere mai conduttori con larghezza inferiore ai 0,30 mm. Le linee di collegamento su una scheda possono essere: — di segnale; — per correnti elevate. Le linee di collegamento di segnale sono in genere percorse da basse correnti, per cui l’unica vera limitazione alla larghezza della pista viene data dal processo di fabbricazione. È inoltre opportuno che il disegnatore unifichi la larghezza delle piste, rendendo il disegno più gradevole e le sue caratteristiche elettriche più uniformi. Le linee di collegamento per correnti elevate (o di potenza) devono essere dimensionate in funzione sia della corrente che vi circola, e quindi delle variazioni di temperatura provocate dall’effetto Joule, sia delle cadute di tensione causate dalla resistenza elevata offerta da conduttori troppo stretti. Come indicazione di carattere generale si può suggerire di dimensionare la pista in modo tale che la temperatura non superi i 20 °C, mentre per il calcolo della resistenza dei conduttori si può usare la formula: R=r

L A

N 8.1

dove: R L A r Fig. 8.18 Fori di collegamento tra i due lati di un circuito stampato a due facce (via).

è la resistenza della pista in W è la lunghezza della pista in m è la sezione della pista (larghezza per spessore) in mm2 è la resistività specifica del rame elettrolitico ricotto (0,0172 W mm2/m)

Se una pista di potenza dev’essere trasferita da un lato all’altro della scheda è opportuno utilizzare più fori di collegamento  ( Fig. 8.18).

Distanza fra i conduttori

IEC

– International electrotechnical commission (Commissione elettrotecnica internazionale) MIL-STD

– Norme militari standard dell’esercito degli Stati Uniti

150

Un buon disegno deve consentire la fabbricazione del circuito stampato secondo i valori di tolleranza richiesti. Un parametro che condiziona la scelta del processo di fabbricazione è la distanza fra i conduttori, che quindi dev’essere calcolata in modo appropriato. Linee di collegamento parallele e troppo vicine possono rendere difficile l’operazione di rimozione del fotoresist depositato fra le piste durante il processo di fabbricazione, nonché l’applicazione della vernice epossidica di protezione (solder) contro le sbavature prodotte durante la saldatura dei componenti sulla scheda. Vi sono poi motivi di natura elettrica che sconsigliano l’uso di piste troppo ravvicinate: per esempio, se le tensioni applicate ai conduttori sono elevate si possono generare scariche superficiali fra gli stessi. I valori della distanza fra i conduttori in funzione delle tensioni applicate sono ( Fig. 8.19). stabiliti dalle norme IEC 326 e MIL-STD-275 

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

Se alle piste si applica la tensione di rete (fino a 250 Vac), la distanza tra le piste, per ragioni di sicurezza e isolamento, dev’essere maggiore di 3 mm. Per tensioni maggiori occorre raddoppiare questo valore. Come indicazione di massima si può affermare che lo spazio tra due linee di collegamento non deve mai essere inferiore alla larghezza delle piste stesse. Fra conduttori adiacenti, e fra conduttori paralleli ma posti sui lati opposti dello stampato, si creano capacità parassite di circa 3 ÷ 5 pF/cm. Questi valori di capacità sono particolarmente significativi se il circuito stampato deve supportare circuiti elettronici che lavorano con segnali ad alta frequenza.

Realizzazione di superfici conduttive estese Una superficie conduttiva estesa è utilizzata in un circuito elettronico come: — punto di riferimento per il potenziale; — linea di ritardo; — linea di ritorno per forti correnti; — schermo elettrostatico; — dissipatore di calore. I piani di terra sono largamente usati nelle applicazioni di tipo analogico; dato lo spazio occupato, il loro eventuale utilizzo va previsto sin dall’inizio dello studio del circuito. Un tempo le superfici estese venivano realizzate sovrapponendo su un lato, per qualche millimetro, uno o più nastri crespati neri di larghezza adeguata. Se si vuole collegare alla superficie estesa un dispositivo elettronico, tale metodo presenta un grave inconveniente: proprio perché la superficie è estesa, durante le operazioni di saldatura del reoforo si verifica una rapida dispersione del calore che raffredda la saldatura. Un modo per superare l’inconveniente è quello di utilizzare per il collegamento del componente una piazzola collegata alla superficie estesa da due o più conduttori, ma separata da essa da un anello  ( Figg. 8.20a, b). La superficie estesa può essere realizzata in modo veloce utilizzando una pellicola rossa inattinica autoadesiva che può facilmente essere sagomata con le normali lame da disegno. Figg. 8.20a, b Realizzazione dei collegamenti con aree estese: a. metodo scorretto; b. metodo corretto.

8.20a

8.20b

Registri per i bordi del circuito stampato I bordi del circuito stampato vengono individuati sul disegno con appositi segni grafici situati in modo tale che il profilo interno del simbolo coincida con il bordo esterno della piastra. È sconsigliabile segnare il

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MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

bordo della scheda con una linea continua per tutta la sua lunghezza perché, oltre a complicare le operazioni di taglio, si rischia di realizzare connessioni non desiderate su connettori, o tra piste situate vicino ai bordi della scheda. Se le operazioni di taglio della scheda sono affidate a macchine operatrici automatiche a controllo numerico (CN), si preferisce fissare, internamente o esternamente alla scheda, un foro origine, e quotare rispetto a esso le coordinate degli angoli della scheda  ( Fig. 8.21). È opportuno comunque, anche se non è indispensabile, evidenziare i bordi della scheda. Fig. 8.21 Quotatura di una scheda con il metodo delle coordinate.

X2,Y2

X1,Y1 pad X5,Y5

master

X0,Y0 X4,Y4

foro origine

X3,Y3

Registri per l’allineamento dei fogli da disegno

8.22a

La necessità di allineare più fogli da disegno apparirà con maggiore evidenza in seguito, quando descriveremo i metodi utilizzabili nell’esecuzione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati. Per il momento è sufficiente ricordare che i circuiti stampati richiedono un disegno per ogni lato, e che evidentemente i due disegni devono essere perfettamente sovrapponibili per ottenere l’assoluto allineamento fra le piazzole di collegamento poste sui due lati. Per guidare questa operazione si posizionano sul foglio tre simboli di riferimento non allineati, eseguiti con linee molto sottili e precise  ( Figg. 8.22a, b).

Registri per la riduzione fotografica 8.22b Figg. 8.22a, b Simboli grafici da utilizzare per allineare i fogli da disegno: a. forma semplice; b. forma più complessa (più precisa).

I registri per la riduzione fotografica sono utilizzati per indicare le dimensioni che il master deve avere dopo le operazioni di riduzione. La scheda possiede almeno due indicazioni: una per la larghezza e una per la lunghezza. Talvolta, se lo si ritiene necessario, si fornisce anche la quota di una diagonale. La tolleranza in riduzione è molto stretta: tipicamente pari a ± 0,05 mm. Il simbolo grafico utilizzato è a forma di T, e sulla linea di quotatura si riporta la scritta “RIDURRE A xxx mm ± yyy”, dove xxx rappresenta la quota in millimetri e yyy la tolleranza di lavorazione  ( Fig. 8.23). Questi riferimenti per la riduzione del disegno vanno ripetuti su tutti i fogli del disegno di fabbricazione del circuito stampato.

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

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RIDURRE A 100 ± 0,5

Fig. 8.23 Registri per la riduzione fotografica.

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4.

Quali sono i principali metodi utilizzati per il montaggio dei componenti elettronici? Quali criteri si devono seguire nel disporre i componenti sulla superficie di un circuito stampato? Quali sono gli elementi che compongono un circuito stampato? (Definisci le loro principali caratteristiche e funzioni). In base a quali criteri viene dimensionata la larghezza di una pista di connessione?

7 ARTWORK L’artwork è un disegno, preparato dal disegnatore in fase di studio e di progettazione del circuito stampato, che mostra la disposizione dei componenti sulla scheda e il percorso, tracciato in modo non rigoroso, delle interconnessioni. Poiché il disegnatore lo traccia velocemente (quasi completamente a mano libera), rappresenta un master di prova. L’artwork viene eseguito su un normale foglio da disegno utilizzando come riferimento una griglia di precisione tarata in decimi di pollice. La scala viene scelta fra le seguenti: 2:1/4:1/1:1. La più usata è la scala 2:1. I vari componenti vengono posizionati sulla scheda tenendo conto di tutte le prescrizioni e le limitazioni descritte in precedenza. Esistono sostanzialmente due modi di procedere nella stesura del disegno. Il primo modo consiste nel focalizzare l’attenzione sui collegamenti e non sul dispositivo, per cui il disegnatore realizza un primo dispositivo e poi, nella posizione che ritiene più adatta, ne disegna un secondo, li unisce con linee di collegamento, aggiunge un nuovo componente, esegue le connessioni ecc. Questa tecnica porta a generare disegni non sempre ordinati, ma che soddisfano le specifiche di progetto che riguardano le connessioni. Il secondo modo consiste nel sistemare sulla scheda tutti i componenti e successivamente realizzare tutte le connessioni. Questa tecnica non consente di determinare a priori la lunghezza dei conduttori ma porta a generare disegni dei circuiti stampati con disposizioni molto regolari ed esteticamente gradevoli. Nella maggior parte delle applicazioni il risultato migliore si ottiene adottando nei vari punti del circuito una tecnica mista: si disegnano, cioè, quattro o cinque dispositivi, e poi si realizzano le connessioni; se si è soddisfatti si ripete l’operazione, altrimenti si corregge la precedente. Le con-

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MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

nessioni realizzate sono solo quelle di segnale: le tensioni di alimentazione, i riferimenti di terra, i collegamenti ai connettori e alle morsettiere sono indicati scrivendo il numero del reoforo nel cerchio della piazzola. Il disegnatore che inizia focalizzando la sua attenzione sui collegamenti deve avere una buona esperienza e una chiara visione delle dimensioni di ogni componente del circuito, oltre alla capacità di leggere e interpretare correttamente lo schema elettrico. In questo modo egli può sviluppare la disposizione dei componenti e dei collegamenti di ogni blocco tenendo conto dei componenti dei blocchi adiacenti, nonché degli ingombri dei dispositivi non ancora inseriti nel disegno. Questa tecnica porta a generare linee di collegamento semplici a prezzo di una disposizione poco uniforme dei componenti sulla scheda. Il disegnatore che inizia dalla disposizione sulla scheda di tutti i componenti ottiene un’esecuzione più rapida e sicura perché la sua attenzione è concentrata solo su di essa. I problemi nascono, però, quando si realizzano le connessioni fra le varie parti, che possono risultare alquanto difficoltose e talvolta inaccettabili (per esempio, linee di collegamento troppo lunghe, troppo strette, troppo ravvicinate ecc.). Quali requisiti deve avere una buona scheda a circuito stampato?

Quando si può affermare che una scheda è migliore di un’altra? In genere non è possibile rispondere in modo univoco a questa domanda perché, come abbiamo visto, gli aspetti e i problemi che devono essere affrontati e risolti durante lo studio sono tanti, e ogni scelta coinvolge e obbliga a ridiscutere le scelte già compiute. Sicuramente si possono individuare alcune caratteristiche irrinunciabili, e che comunque devono essere rispettate: — si devono realizzare tutti i collegamenti fra i vari dispositivi elettronici mostrati sullo schema elettrico; — la lunghezza delle linee di collegamento dev’essere ragionevolmente breve (cosa particolarmente importante nel caso dei circuiti digitali); — i componenti non devono uscire dall’area assegnata in fase di dimensionamento del blocco. I circuiti digitali utilizzano quasi esclusivamente circuiti integrati. La parte circuitale a componenti discreti in un progetto digitale è sempre alquanto limitata, e la tendenza attuale è quella di eliminarla ogniqualvolta è possibile. La tecnologia microelettronica offre al progettista componenti sempre più complessi ma in grado di sostituire interi circuiti applicativi con alta affidabilità. La densità dei componenti elettronici montati su una scheda elettronica è quindi molto elevata, per cui il disegno di fabbricazione dev’essere preciso e accurato, e deve tenere conto del fatto che il circuito digitale lavora in alta frequenza e pertanto richiede determinate accortezze costruttive e di progetto. L’elevato numero di componenti montati sulle schede digitali obbliga il progettista ad adottare particolari accorgimenti nella scelta dei percorsi delle linee di collegamento. Una tecnica che permette di collegare, con relativa facilità e con un certo ordine, vari dispositivi digitali è quella consistente nel tracciare i percorsi seguendo il metodo cartesiano  ( Fig. 8.24). Il metodo richiede che le linee di collegamento siano tutte parallele, verticali o orizzontali. Tutti i collegamenti verticali vengono eseguiti su un lato del circuito stampato e gli orizzontali sull’altro. Il collegamento fra

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

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Fig. 8.24 Master per circuito stampato realizzato con piste di collegamento che seguono un sistema di riferimento cartesiano.

i due lati viene assicurato dalle piazzole dei reofori dei componenti o da fori di collegamento. Qualsiasi conduttore (e quindi anche le piste di collegamento realizzate sul circuito stampato) presenta resistenza e induttanza proprie  ( Fig. 8.25). La resistenza del conduttore può essere ridotta aumentandone la sezione, e in genere nei circuiti digitali non crea particolari problemi. L’induttanza può invece determinare condizioni che impediscono il funzionamento dell’apparecchiatura. In un circuito digitale la commutazione degli stati logici avviene generando un brusco ed elevato assorbimento di corrente che percorre le linee di alimentazione. La tensione di autoinduzione in ciascuna linea è data dalla seguente formula:

L

R +VCC

IC L

R GND

Fig. 8.25 La linea di alimentazione di un circuito digitale può essere considerata formata da una resistenza in serie a un’induttanza.

+VCC

R

L IC

GND

R

U = – L (di/dt)

+

C

L

Fig. 8.26 Collegamento del condensatore di disaccoppiamento sulla linea di alimentazione di un circuito integrato.

156

N 8.2

I fronti di commutazione, cioè le velocità di variazione dei livelli logici, sono molto ripidi, per cui anche con modesti valori di induttanza la tensione di autoinduzione può provocare sensibili fluttuazioni della tensione di alimentazione. La famiglia logica TTL è in grado di tollerare uno scostamento del ± 5 ÷ 10% dal valore nominale della tensione di alimentazione; se le fluttuazioni provocano il superamento di tali limiti il circuito digitale non può funzionare. Un’attenuazione delle conseguenze di questo inconveniente può essere ottenuta ponendo in parallelo alla tensione di alimentazione un condensatore  ( Fig. 8.26). In questo caso l’impedenza della linea di alimentazione è data dalla radice quadrata del rapporto fra l’induttanza della linea e il valore del condensatore. Questa impedenza può quindi essere minimizzata riducendo il valore dell’induttanza o aumentando quello del condensatore, che però non può essere aumentato al di sopra di un certo valore sia per il costo del componente, sia per il comportamento elettrico non eccelso dei condensatori di grande capacità alle alte frequenze. Il valore del condensatore di disaccoppiamento di solito è di 0,1 ÷ 1 mF. L’altro parametro sul quale si può agire per ridurre l’impedenza della linea è il valore dell’induttanza. Il metodo migliore è quello di dispor-

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

re le linee di alimentazione in modo tale che più linee risultino in parallelo, riducendo così l’induttanza totale. Per ottenere questo risultato è necessario connettere le linee di alimentazione in modo da formare un banco o una griglia di alimentazione. Fig. 8.27 Banco o griglia di alimentazione.

GND +5 V

lato componenti lato saldature

+ 8.28a

8.28b

+

Figg. 8.28a, b Posizionamento del condensatore di disaccoppiamento: a. non corretto; b. corretto.

La figura 8.27 mostra come si devono disporre le linee di alimentazione su un circuito stampato a due facce per minimizzare l’effetto dell’induttanza della linea: la linea della tensione di alimentazione viene posta su una faccia del circuito stampato, quella del riferimento di massa sull’altra. Nei circuiti stampati a multistrato il problema si risolve attribuendo a ogni linea di alimentazione un piano di segnale (strato) distinto. Il condensatore di disaccoppiamento può essere posto su tutti i circuiti integrati oppure ogni due o tre dispositivi. Se per le linee di alimentazione non si adotta la struttura a griglia, è comunque necessario montare il condensatore di disaccoppiamento molto vicino al terminale di massa del circuito integrato, in modo da minimizzare l’induttanza della linea. Le figure 8.28a, b mostrano come posizionare in modo corretto il condensatore di disaccoppiamento.

8 MATERIALI PER IL DISEGNO DEI MASTER E LORO UTILIZZO Con l’avvento dei circuiti integrati a MSI, la densità di occupazione della superficie di un circuito stampato è diventata molto elevata. I materiali utilizzati per i master devono pertanto essere di ottima qualità. Questi disegni vengono ridotti e fotografati, per cui devono essere realizzati su materiali stabili dal punto di vista dimensionale, cioè non soggetti ad alterazioni in larghezza o lunghezza per effetto delle variazioni di temperatura e di umidità.

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

157

La tecnica manuale, di realizzazione dei master con l’inchiostro, è oggi completamente abbandonata ed è ormai impiegata solo in campo hobbistico. Rimane comunque utile che il tecnico che si accosta per la prima volta alle problematiche connesse alla realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati realizzi alcuni circuiti con questa tecnica. Tale attività gli consentirà di acquisire e accumulare velocemente la capacità di valutare le dimensioni, gli spazi e gli ingombri dei componenti elettronici, di effettuarne il posizionamento sul circuito stampato in modo efficiente, esteticamente gradevole e tecnicamente corretto, e in seguito di utilizzare i sistemi CAD in modo rapido, efficace e professionale. Un master può essere eseguito utilizzando penne con inchiostro nero opaco, penne con inchiostro indelebile, oppure nastrini e trasferibili autoadesivi. I pennarelli a inchiostro indelebile richiedono le stesse attrezzature delle penne a inchiostro e producono disegni con contrasto e definizione dei simboli alquanto bassi. La tecnica che utilizza invece i trasferibili autoadesivi fornisce disegni ad alto contrasto dei simboli  ( Fig. 8.29). Fig. 8.29 Fotografia che illustra il modo corretto di utilizzare il materiale da disegno.

Un tempo l’esecuzione del master era estremamente lenta perché per tracciare le linee e i simboli era necessario aspettare che l’inchiostro si asciugasse. Inoltre, quando si dovevano disegnare grandi superfici conduttive il contrasto che si riusciva a ottenere era molto scadente. Negli ultimi anni questa tecnica che impiega l’inchiostro ha avuto un rilancio grazie all’esecuzione automatica dei master con plotter grafici asserviti a elaboratori che ne permettono lo studio e il tracciamento automatico. Uso dei nastri autoadesivi

I nastri autoadesivi usati nel disegno dei master sono di due tipi: — nastro crespato nero; — nastro in poliestere rosso e blu. Il nastro crespato nero è prodotto con un materiale flessibile che permette di realizzare, nell’esecuzione del disegno, percorsi curvilinei. Il nastro in poliestere rosso e blu è invece più rigido e può quindi seguire solo percorsi rettilinei. I nastri vengono tagliati usando coltelli per disegno dotati di lame affilate e di forma apposita.

158

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

I conduttori devono avere la stessa larghezza in modo da non creare problemi durante le operazioni di saldatura: conduttori di sezione diversa comporterebbero infatti tempi di saldatura diversi. La sagoma della linea di collegamento è particolarmente importante perché l’adesione del conduttore di rame al supporto della scheda è resa problematica dall’utilizzo di piste eccessivamente sottili o con angoli troppo pronunciati  ( Fig. 8.30). Il percorso dev’essere sempre il più breve possibile  ( Figg. 8.31a, b). NO

Fig. 8.30 Curve e collegamenti effettuati con curvature inferiori ai 90°.

Figg. 8.31a, b Traiettorie di collegamento fra le piazzole: a. metodo sconsigliato; b. metodo raccomandato.

8.30



8.31a

8.31b

Queste regole sono seguite anche con la sbrogliatura automatica effettuata con sistemi CAD.

9 ARTMASTER L’artmaster è l’insieme dei disegni di fabbricazione del circuito stampato. Fotografati e ridotti in scala 1:1, tali disegni servono per produrre i film (photomaster) utilizzati dal fabbricante per realizzare il circuito. D’ora in poi, quando nel testo ci riferiremo ai disegni di fabbricazione useremo il termine inglese master. I metodi per disegnare i master sono tre: 1. a due fogli; 2. a un foglio; 3. a tre fogli. Il metodo a due fogli prevede che sul primo foglio vengano disegnate tutte le piazzole e i collegamenti del lato componenti, sul secondo, in corrispondenza con l’altro foglio, tutte le piazzole e i collegamenti del lato saldature. Si ottengono così due disegni che saranno utilizzati per ottenere il film per il lato componenti e quello per il lato saldature. Questa tecnica di realizzazione del master comporta un precisione e un’accuratezza di esecuzione elevate, poiché le piazzole trasferite sui due disegni devono corrispondere perfettamente  ( Fig. 8.32). Il metodo a un solo foglio prevede che vengano tracciate sullo stesso lato del foglio sia le piazzole sia i collegamenti di entrambi i lati. Il lato componenti viene distinto dal lato saldature utilizzando nastri di colore diverso: il rosso per il primo lato (componenti) e il blu per il secondo; le piazzole sono contrassegnate con trasferibili neri. I film necessari per la

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

159

realizzazione del circuito stampato sono ricavati con appositi filtri che separano i due disegni quando viene effettuata la riproduzione fotografica, che dovrà avvenire nelle stesse condizioni ambientali per tutti i disegni  ( Figg. 8.33a, b). Eventuali scritturazioni sono eseguite con trasferibili colorati affinché vengano riprodotte solo sul lato desiderato. LATO COMPONENTI

Fig. 8.32 Metodo a due fogli.

piazzola

nastro

LATO SALDATURE

Figg. 8.33a, b Metodo a un foglio con nastri rossi e blu: a. nastri posti su entrambi i lati del foglio; b. nastri posti solo su un lato.

LATO COMPONENTI piazzola nera

nastro rosso

LATO COMPONENTI piazzola nera nastro blu nastro rosso

nastro blu LATO SALDATURE

LATO SALDATURE 8.33b

8.33a

L’uso di nastri rigidi in poliestere rosso e blu presenta però alcuni inconvenienti rispetto al nastro crespato nero: essendo rigido, è difficile da tagliare, richiede una maggiore attenzione quando lo si utilizza su un foglio da disegno in poliestere e non può essere piegato senza generare distorsioni sulle tracce. L’impiego di nastri rigidi consente però di ottenere una perfetta definizione del bordo delle piste. Il metodo ha inoltre il grosso pregio di non richiedere alcuna registrazione delle piazzole perché tutti i film vengono ricavati dallo stesso foglio. Quando si ricorre al metodo a tre fogli da disegno, si destina il primo foglio alle sole piazzole (padmaster), il secondo alle sole piste del lato componenti e il terzo alle piste del lato saldature  ( Figg. 8.34a, b). Per ricavare i due film che verranno utilizzati per la fabbricazione del circuito stampato, prima di effettuare le operazioni di riduzione e di fotoriproduzione, si dovrà sovrapporre il disegno delle piazzole, prima a quello delle connessioni del lato componenti e poi a quello del lato saldature. Durante l’esecuzione tutt’e tre i fogli dovranno essere accuratamente allineati. Un metodo preciso e affidabile per ottenere un buon allineaFigg. 8.34a, b Metodo a tre fogli: a. il lato saldatura viene disegnato senza invertire il padmaster; b. il lato saldatura viene disegnato invertendo il padmaster.

scritte

scritte LC

PADMASTER

PADMASTER

LS

LS scritte

scritte 8.34a

160

LC

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

8.34b

mento dei fogli consiste nell’usare una barra di precisione fissata al tavolo da disegno. La barra è provvista di una serie di pioli nei quali vengono posizionati dei fogli da disegno in poliestere opportunamente preforati. Un altro metodo consiste nel dotare i tre disegni di appositi segni grafici di registrazione posizionati opportunamente sul foglio da disegno. Di solito si utilizzano tre punti di riferimento non allineati. Se il disegno è eseguito con scarsa accuratezza, quando si ricava il fotomaster può accadere che non tutte le connessioni siano realizzate correttamente e che questo provochi un disallineamento fra il disegno delle piazzole e quello dei collegamenti, con la conseguenza, se il difetto non viene immediatamente rilevato, di ottenere circuiti stampati difettosi. Il vantaggio più evidente del metodo di esecuzione a tre fogli è di avere sempre lo stesso riferimento per le piazzole, le quali risulteranno sempre perfettamente allineate. Oggi, nella produzione industriale, i master e la documentazione sono realizzati con i sistemi CAD, per cui la fase di studio dell’artwork viene a coincidere con l’esecuzione dell’artmaster. Tutti i sistemi CAD possono generare documentazione analoga a quella ottenuta con i tre metodi manuali che abbiamo descritto. La maggior parte delle applicazioni richiede la realizzazione di un circuito a doppia faccia disegnato con il metodo a due fogli.

10 CONTROLLI E VERIFICHE DEL MASTER Qualunque sia il metodo utilizzato dal disegnatore per eseguire i disegni di fabbricazione, sul disegno finito è necessario effettuare una serie di controlli e di verifiche riguardanti sia l’aspetto legato all’esecuzione dei disegni sia l’aspetto generale della realizzazione, cioè del rispetto di tutte le specifiche di progetto.

Lista di controllo e di verifica Se è stato usato il metodo di realizzazione a due fogli occorre verificare che l’allineamento delle piazzole sia corretto e preciso. Se è stato usato il metodo di realizzazione a tre fogli occorre controllare: — che tutti i collegamenti siano stati eseguiti; — che i segni di registrazione siano precisi e posizionati correttamente. In ogni caso, qualsiasi sia stato il metodo seguito, bisogna controllare che tutti i nastri che realizzano i collegamenti ricoprano esattamente la piazzola senza ostruirne il foro e senza essere eccessivamente corti. La lista di controllo (checklist) che segue è stata scritta utilizzando la forma interrogativa: il disegnatore risponderà alle domande accertandosi che le risposte siano sempre affermative. 1. I diametri delle piazzole sono stati scelti in modo da garantire una connessione elettrica sicura e un fissaggio meccanico dei componenti soddisfacente? 2. La larghezza delle tracce è stata correttamente dimensionata rispetto alla corrente che vi deve circolare? 3. La distanza fra piazzole e conduttori, e fra i vari conduttori, è corretta per tutti i collegamenti?

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

161

4. La quotatura delle varie parti della scheda è accurata e completa? 5. Eventuali particolari tolleranze di fabbricazione sono state quotate esattamente? 6. È stato posizionato e quotato il sistema di riferimento per il taglio della scheda? 7. Le piazzole dei componenti sono state tutte poste nei punti di intersezione della griglia normalizzata? 8. Il passo di montaggio dei componenti omogenei è costante? 9. L’orientamento dei componenti polarizzati e di quelli con una direzione di montaggio predeterminata è uguale per tutti i dispositivi? 10. La disposizione dei componenti sulla scheda è ordinata e simmetrica? 11. Tutti i componenti regolabili sono connessi in modo che la grandezza regolata aumenti con una rotazione oraria del cursore. La regolazione è agevole? 12. Le caratteristiche del materiale del supporto utilizzato sono state indicate in nota sul disegno? 13. Tutti i riferimenti del disegno per la riproduzione fotografica e per la realizzazione delle lavorazioni meccaniche sono stati correttamente eseguiti e quotati? 14. È stata chiaramente indicata la scala utilizzata per la realizzazione del disegno? 15. Sono state scritte tutte le sigle di identificazione o di serie della scheda su entrambi i suoi lati? 16. Eventuali lavorazioni meccaniche particolari, quali intagli, scantonature e sagomature, sono state correttamente disegnate e quotate?

11 DISEGNI PER IL MONTAGGIO DELLA SCHEDA A CIRCUITO STAMPATO La documentazione necessaria per il montaggio di una scheda a circuito stampato include: – un disegno che mostra la posizione e gli ingombri delle parti elettroniche e meccaniche sulla scheda dal lato componenti; — una lista dei componenti elettronici e meccanici necessari per produrre la scheda; la lista può essere scritta su fogli allegati al disegno o annotata sul disegno stesso; — tutti i disegni e le note, di carattere generale o specifico, che rendono possibile la fabbricazione della scheda e il controllo e la verifica del montaggio (piano di foratura, dettagli di fabbricazione, parti meccaniche ecc.).

Disegno della posizione e degli ingombri dei componenti sulla scheda

Il disegno, tracciato nella stessa scala del master, rappresenta la tecnica di assemblaggio dei componenti elettronici e meccanici sulla scheda. I componenti sono disegnati nella posizione e nella forma che assumono dopo che sono stati assemblati. Ogni componente è disegnato nelle sue dimensioni reali, di solito con l’aiuto di una maschera per layout. Ricordiamo che la fase di ricerca e di adattamento delle dimensioni del componente a quelle dei simboli della maschera deve avvenire simultaneamente allo studio del master di prova. Questo disegno viene eseguito su un foglio da

162

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

disegno normalizzato usando la griglia tarata come riferimento e allineando su questa il master di prova o il lato componenti del master definitivo. Nel disegno si usano i simboli rappresentanti gli ingombri dei componenti, aggiungendo poi tutti i riferimenti di identificazione. Questi ultimi devono coincidere con quelli usati sullo schema elettrico. L’identificazione di ogni componente della scheda con il corrispondente simbolo dello schema elettrico è molto importante in quanto sia il montaggio sia, in seguito, il collaudo della scheda, ne risulteranno facilitati. Si devono aggiungere anche tutte le altre informazioni necessarie per il montaggio dei componenti, come l’indicazione delle polarità e il loro esatto orientamento. Se i componenti verranno montati su entrambi i lati della scheda, occorre realizzare due disegni per il montaggio: uno per lato. Sul disegno si deve inoltre riportare il numero di serie della scheda con l’indicazione del livello di revisione. Talvolta si rende necessario aggiungere altri disegni che mostrino la scheda, in proiezione o in assonometria, anche da viste diverse da quella dall’alto. Questi disegni particolari possono essere utili per fornire le seguenti informazioni: — la massima altezza dei componenti, informazione importante se lo spazio fra le schede nel contenitore non può essere cambiato oppure se, in fase di acquisto, si deve cambiare il fornitore di un componente verticale che, a parità di valori per le caratteristiche elettriche, potrebbe avere caratteristiche meccaniche molto differenti; — la quotatura dello spessore della scheda, informazione particolarmente importante nel caso del connettore a pettine che viene ricavato dal supporto della stessa piastra; — il dettaglio costruttivo o il posizionamento particolare di un dispositivo sulla scheda; — i dati sul montaggio o l’orientamento di qualsiasi attrezzatura di tipo meccanico che debba essere installata sulla scheda; — l’evidenziazione degli eventuali collegamenti cablati da realizzare (ponticelli) in modo che siano facilmente individuabili.

Lista dei componenti

DO

– Diode outline

Questo elenco, compilato ordinando le sigle di identificazione in ordine alfabetico e numerico, si presenta sotto forma di una tabella contenente, in genere, le seguenti informazioni: — sigla di identificazione (la stessa che compare nello schema elettrico); — sigla di riferimento della ditta costruttrice o commerciale (se esiste); — sigla di identificazione del contenitore (TO-5, DIP 14, DO-7); — descrizione del componente: (valore nominale, tolleranza, grandezze elettriche caratteristiche e caratteristiche tecnologiche); — altre note d’uso presso la singola ditta utilizzatrice che favoriscono le operazioni di prelievo del dispositivo dal magazzino o quelle di acquisto da parte degli uffici commerciali. La lista può essere compilata elencando i singoli dispositivi o raggruppando quelli omogenei (per esempio: tutte le resistenze da 1 kW 1/4 W ± 5% a impasto di carbone), elencando i riferimenti di identificazione e aggiungendo un numero che ne rappresenta la quantità utilizzata  ( Tab. 8.1).

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

163

Tabella 8.1 Lista dei componenti N.

SIGLA

1 2 1 5 1 16 1 1

R1 R2 R3 R21 R15 R16 R1 R1

resistenza resistenza resistenza resistenza resistenza resistenza potenziometro trimmer

120 W 2,2 kW 10 kW 1 MW 1 KW 100 W 10 kW 22 kW

1W 1/4 W 1/2 W 1/4 W 2W 5W 250 mW 250 mW

5% 5% 5% 10% 5% 5% 10% linear 10% log

2

NW1

rete resistiva

8 ¥ 47 kW

125 mW

5%

1 2 1 1 5

C1 C2 C3 C4 C5

condensatore condensatore condensatore condensatore condensatore

1 mF 1000 mF 100 mF 100 nF 1 nF

25 V 35 V 35 V 400 V 50 V

tantalio elettrolitico elettrolitico poliestere ceramico

4 1 1 1 14

D1 D2 D34 D13 D4

diodo al silicio diodo Zener diodo al germanio ponte a diodi diodo led

1N4007 BZX83C15 OA95 W04 LD 41-11

500 mW

1N965A [JEDEC]

rosso

diametro 0,5 mm

8

OPT1

optoisolatore

MOC3020

3 2 1 1

Q1 Q2 Q3 Q4

transistor NPN transistor PNP SCR Triac

2N2222 BC327 1R106D1 TAG 740/600

40 A, 600 V

1 3 1 1 2 2

U1 U3 U4 U32 U7 U22

IC IC IC IC IC IC

mA 7805 MC1458 AD561 74LS00 4011 2764

regolatore di tensione amplific. operazionale 10 bit ADC 4 porte NAND 4 porte NAND memoria EPROM

10

F1

fusibile

2A

250 V

1

LS1

altoparlante

8W

0,2 W

1

K1

relè

12 V

1A

1

J1

connettore

2

S1

1 1 1 1

164

DESCRIZIONE

LIN LIN LIN TTL CMOS MOS

rapido

uno scambio

per circuito stampato

Sub-D 9 poli

maschio

terminali diritti

interruttore

1A

uno scambio, una via

a levetta

T1

trasformatore

220 V/12 V

Y

quarzo piezoelettrico

1 MHz

dissipatore zoccolo per c.i.

per contenitori TO-3 DIL 14 pin

250 V

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

10 VA

Disegno del piano di foratura Questo piano è un disegno che fornisce la posizione e il diametro di ogni foro sulla piastra del circuito stampato. Può essere realizzato seguendo due metodi.



mil – millesimi di pollice: 1 in = 2,54 cm = 25,4 mm 1 mil = 0,001 in = 0,0254 mm

Un primo metodo è basato sull’uso di una griglia di precisione tarata in decimi di pollice. I fori vengono indicati con un segno grafico apposito: un cerchio contenente una piccola croce nei punti di intersezione della griglia. Il diametro di ogni foro è quotato, in millimetri, compilando una tabella che localizza il singolo foro attraverso due coordinate cartesiane misurate da un unico punto origine situato sulla scheda  ( Figg. 8.35a, b). Questo metodo, impiegato quando la foratura viene fatta con sistemi automatici programmabili, permette di semplificare la programmazione. Per esempio, i fori dei componenti con passo tra i reofori standard (come il contenitore per circuiti integrati DIL) possono essere quotati fornendo la posizione di uno solo di essi. Questa tecnica richiede che il disegnatore abbia posto tutte le piazzole nei punti di intersezione della griglia e che tutte le quote siano in pollici (mil) e non in millimetri. Inoltre, l’esecuzione del disegno deve essere precisa sia in fase di stesura del master sia in quella del piano di foratura.

Figg. 8.35a, b Piano di foratura: a. diagramma cartesiano; b. tabella di foratura. O: punto di origine

Y

X

8.35a



X

Y

Ø

(mil)

(mil)

(mm)

3

40

0,8

3

70

0,8

3

100

0,7

3

120

0,7

4

110

0,7

8.35b

Un metodo più semplice utilizza, per la localizzazione dei fori sul circuito stampato, lo stesso master prodotto per realizzare i collegamenti. I fori vengono centrati sul foro centrale della piazzola disegnata sul master. La quotatura si realizza ricavando una copia del master, preferibilmente il padmaster, meglio se in scala 1:1, e tracciando, con una penna di un colore che evidenzi le scritte, dei percorsi continui chiusi che racchiudono tutti i fori dello stesso diametro. La quota del diametro può essere indicata direttamente nell’area circoscritta oppure identificando l’area con una sigla e poi compilando una tabella (diagramma di foratura) composta dalle sigle e dalle quote  ( Fig. 8.36). Non è opportuno quotare tutti i fori sul disegno: conviene usare annotazioni del tipo “Tutti i fori non quotati sono da 0,8 mm” che semplificano e migliorano la leggibilità del disegno. Il secondo metodo è poco costoso e produce una maschera di foratura sufficientemente precisa. Se poi il master è stato realizzato con la tecnica a tre fogli (rosso e blu), o se esiste il master delle piazzole, la precisione del posizionamento è assoluta.

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

165

Fig. 8.36 Piano di foratura riferito al padmaster (tutti i fori non quotati sono da 0,8 mm).

La quota del foro dovrebbe essere già stata calcolata quando è stata effettuata la scelta del diametro della piazzola. Il disegnatore, a questo punto del suo lavoro, deve solo riportare i dati del diametro ricavandoli dalla tabella compilata precedentemente. Ricordiamo che il diametro del foro deve essere tale da permettere l’agevole inserzione del reoforo del dispositivo e da mantenere, durante le operazioni di saldatura, il componente nella posizione prevista. Calcolo del diametro del foro

Ricordiamo brevemente come si calcola il diametro del foro di un componente: — individuata la sigla commerciale del dispositivo elettronico, se ne ricercano sui fogli tecnici le caratteristiche meccaniche; — si legge il valore del diametro massimo del reoforo o, preferibilmente, il diametro del foro con la sua tolleranza di fabbricazione, e vi si aggiunge un gioco che può variare da 0,1 a 0,5 mm in funzione delle dimensioni di ingombro del componente; — si compila una tabella che indica per ogni tipo di componente (resistenze da 1/4 W, resistenze da 1 W, transistor, circuiti integrati DIL ecc.) il diametro minimo e il diametro massimo e, in base all’analisi di questi dati, si compila l’ultima colonna della tabella inserendo il valore del diametro del foro normalizzato  ( Tab. 8.2). I fori normalizzati più usati sono (in mm): 0,8/1/1,2/1,5/2.

Tabella 8.2 Metodo di calcolo per la normalizzazione del diametro dei fori TIPO DI COMPONENTE

DIAMETRO

GIOCO

DIAMETRO DEL FORO

DEL TERMINALE

DIAMETRO DEL FORO NORMALIZZATO

Resistenza da 1/4 W Condensatore ceramico Condensatore polarizzato ad alta capacità Contenitore DIL per circuiti integrati Microinterruttori DIP-switch Zoccolo per circuiti integrati Interruttori per circuito stampato Connettore 32 + 32 poli

166

(mm)

(mm)

(mm)

(mm)

0,6 0,5 1,0 0,29 0,6 0,35 1,0 0,9

0,2 0,2 0,2 0,4 0,2 0,3 0,2 0,25

0,8 0,7 1,2 0,69 0,8 0,65 1,2 1,15

0,8 0,8 1,2 0,8 0,8 0,8 1,2 1,2

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

Ricordiamo che in certi fogli tecnici lo stesso costruttore suggerisce il valore ottimale del diametro normalizzato da usare con il suo dispositivo. Il disegnatore deve uniformare i vari diametri dei fori cercando di rendere la foratura della scheda omogenea, in modo che durante il processo di fabbricazione il cambio degli utensili venga minimizzato e quindi si ottenga un beneficio in termini di velocità di esecuzione e di costo di realizzazione. Per i reofori di forma non cilindrica la quota da considerare è quella della diagonale di lunghezza massima. In nota al disegno del piano di foratura si deve indicare anche qual è il tipo di laminato da usare per la realizzazione del circuito stampato e quali devono essere le sue caratteristiche meccaniche ed elettriche. Ulteriori informazioni devono essere fornite per il foglio di rame e per il tipo di lavorazione che su di esso dev’essere effettuata: per esempio, il suo spessore e la deposizione della lega stagno-piombo.

Disegno dei dettagli di fabbricazione Questo disegno fornisce le informazioni necessarie per la realizzazione del circuito stampato. Tali informazioni riguardano: — le dimensioni della scheda (larghezza, lunghezza e spessore) e il tipo di materiale da utilizzare come supporto; — lo spessore del foglio di rame (in micron); — il tipo di lega Sn-Pb da usare nelle operazioni di saldatura; — la quotatura delle eventuali sagome necessarie (per esempio, dei connettori a pettine) accompagnata dal loro disegno in proiezione; — la quotatura delle lavorazioni meccaniche particolari (scantonature o incavi di registrazione) accompagnata dal loro disegno in proiezione; — le tolleranze di lavorazione per ogni quota. UNI

– Ente nazionale italiano di unificazione

Molte di queste informazioni sono fornite nel disegno con l’annotazione a margine, che viene eseguita scrivendo la frase: “NOTA n. 1”, seguita dalla descrizione del modo in cui un’operazione dev’essere effettuata o del tipo di materiale da utilizzare. Nel riquadro di intestazione di questo disegno dev’essere chiaramente indicato sia il suo numero di serie sia il suo livello di revisione.

Disegno delle parti meccaniche dell’apparecchiatura Gli elementi che costituiscono la parte meccanica di un’apparecchiatura elettronica sono: — il pannello frontale; — il telaio di supporto su cui viene montata la scheda; — la scatola o il contenitore delle varie parti dell’apparecchiatura; — il pannello posteriore.

Fig. 8.37 Rappresentazione in esploso di un montaggio elettronico.

I disegni sono realizzati in scala normale, con l’indicazione delle quote e delle lavorazioni da effettuare secondo le norme UNI, del tipo di materiale da utilizzare e delle tolleranze di lavorazione. Il disegno può essere eseguito in proiezione ortogonale, in assonometria o in esploso (Fig. 8.37). La rappresentazione in assonometria viene disegnata con tutte le parti dell’apparecchiatura già in opera e permette di mostrarne l’aspetto definitivo.

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

167

La rappresentazione in esploso è una rappresentazione in assonometria ma con i componenti elettronici e meccanici del cablaggio mostrati non in opera, in modo tale da fornire una chiara visione della tecnica di montaggio utilizzata e di come le varie parti si interconnettono.

Maschera per solder resist Le connessioni elettriche e il fissaggio meccanico dei componenti alla scheda realizzata con il metodo del circuito stampato vengono di solito ottenuti per mezzo della saldatura. Durante questa operazione, che può essere manuale o automatica, si possono formare (in seguito a sbavature del filo saldante) interconnessioni indesiderate. Per proteggere la scheda da tale inconveniente, e dall’azione degli agenti chimici e fisici, si utilizza una vernice epossidica che ricopre l’intera superficie del circuito stampato escludendo solo i punti nei quali si deve effettuare la saldatura. Per effettuare questa lavorazione occorre preparare un disegno che distingua le aree che non devono essere ricoperte dalla vernice (le aree delle piazzole) dalle altre: tale disegno è detto maschera per solder resist  ( Fig. 8.38) e può essere realizzato con varie tecniche che dipendono dal metodo usato per disegnare il master. Fig. 8.38 Maschera per solder resist.

Il disegno della maschera evidenzia l’area delle piazzole: cioè l’area del circuito stampato che non va ricoperta di vernice isolante. Affinché l’operazione di saldatura possa avvenire senza inconvenienti, occorre che quest’area sia leggermente più ampia di quella effettivamente occupata dalla piazzola. Se il disegno del master è stato realizzato con il metodo a tre fogli si può realizzare la maschera per il solder resist usando il padmaster. Il tecnico che esegue la fotografia deve semplicemente riprendere il padmaster leggermente fuori fuoco, in modo da aumentare un po’ l’area delle piazzole. Successivamente, con una penna a inchiostro inattinico si oscurano sul film tutti i fori delle piazzole. Il film può essere usato per costruire il telaio serigrafico per la deposizione della vernice.

Maschera per la serigrafia della disposizione dei componenti Nelle realizzazioni professionali, per facilitare le operazioni di montaggio e di ispezione della scheda viene depositata su di essa, con il metodo serigrafico, una maschera riproducente la disposizione dei componenti

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MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

 ( Fig. 8.39). Tutte le scritte di identificazione di questi ultimi devono essere le stesse utilizzate nello schema elettrico. La vernice usata è di solito di colore bianco, ma talvolta si impiega anche il colore giallo. Fig. 8.39 Maschera per la serigrafia del layout dei componenti.

Il disegno viene eseguito nella stessa scala dei disegni del master, riferendosi al lato componenti. Il disegnatore lo esegue in modo che sia facilmente leggibile e che i componenti non coprano, una volta montati sulla scheda, le loro scritte di identificazione o quelle dei componenti adiacenti. Tali indicazioni possono essere modificate se esistono limitazioni di spazio oppure richieste esplicite del committente (per esempio, la segretezza). L’utilizzo di scritte facilmente leggibili e interpretabili è importante per le operazioni di sostituzione dei componenti, che devono restare chiaramente individuati sulla scheda dopo che ne sono stati rimossi. Le scritte di identificazione inseribili sul disegno non sono solo quelle di riferimento allo schema elettrico, ma possono anche servire per: — identificare i punti di misura; — segnalare particolari problemi di utilizzo o di sicurezza (per esempio, “CAUTION HIGH VOLTAGE”); — indicare il numero di serie e di revisione; -— numerare i reofori dei connettori (in genere, il primo e l’ultimo); — mostrare l’orientamento dei componenti o la polarizzazione attraverso la numerazione di reofori particolari; — evidenziare l’orientamento dei reofori in quei componenti che devono essere montati in modo non usuale a causa delle specifiche esigenze tecniche dell’applicazione; — caratterizzare la scheda attraverso il logotipo della ditta. Per quanto riguarda i circuiti integrati, l’orientamento può essere indicato: — numerando i pin (in genere viene data la posizione del pin 1); — ricavando nel profilo dell’ingombro del componente un incavo che riproduce quello presente sul contenitore; — mettendo un trattino o un cerchio nero nella posizione del pin 1; — usando una piazzola di tipo diverso per il pin 1 (per esempio, quadrata). Particolare importanza rivestono i ponticelli realizzati sulla scheda, che va configurata per ottenere prestazioni di tipo funzionale diverse dalle soluzioni circuitali implementate su di essa, un risultato che in genere richiede all’utilizzatore di collegare con fili alcun punti del circuito stampato (questi punti devono essere identificati in modo chiaro e univoco).

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L’indicazione del numero di serie e, soprattutto del livello di revisione della scheda, è estremamente importante quando, in fase di collaudo, si opera con applicazioni simili. Esse, infatti, non devono essere confuse, e inoltre dev’essere sempre possibile associare la scheda alla documentazione. Le scritte di identificazione sulla scheda sono indispensabili ogniqualvolta la sua documentazione cartacea di supporto è di difficile reperibilità per il tecnico che deve effettuare su di essa un’operazione di taratura o di riparazione.

12 PHOTOMASTER Il photomaster è una riproduzione in scala 1:1 del disegno, o dei disegni, che costituiscono il film utilizzato dal fabbricante dei circuiti stampati. Può essere positivo o negativo: nel primo caso il disegno viene riprodotto su sfondo bianco, nel secondo su sfondo nero. In genere questo film è realizzato dalla ditta che fabbrica il circuito stampato. Tutte le operazioni di fabbricazione del circuito stampato dipendono dalla qualità di questo film, che quindi deve essere realizzato con cura e attenzione. Sul film devono essere eseguiti i controlli di planarità; si deve verificare che la riduzione sia stata effettuata correttamente lungo entrambi gli assi: qualsiasi distorsione, infatti, rende il circuito meno affidabile in quanto le distanze degli interasse dei componenti e la distanza fra le linee di collegamento risultano alterate. Una cattiva riproduzione del disegno di fabbricazione vanifica completamente il lavoro del disegnatore e genera circuiti stampati inutilizzabili. Il photomaster e tutte le attrezzature serigrafiche sono, di norma, restituite dal fabbricante del circuito stampato al committente, che ne è per legge l’unico proprietario. È quindi responsabilità di quest’ultimo, e in genere di chi ha curato l’esecuzione della documentazione, conservare il photomaster e tutti gli altri film in modo che non si danneggino. Ricordiamo che i disegni originali non mantengono le loro caratteristiche a lungo: dopo circa un anno dalla realizzazione i disegni dei master non sono più utilizzabili per la riproduzione fotografica. È quindi consigliabile riporre i film in contenitori piani, non piegarli o arrotolarli, e conservarli in ambienti in cui la temperatura sia compresa fra 0 e 40 °C.

13 COSTI DI FABBRICAZIONE I costi di fabbricazione di un circuito stampato sono influenzati dalle scelte del disegnatore. Gli errori di valutazione o le restrizioni impostegli in sede di progetto sono i fattori che incrementano i costi. Un breve elenco degli errori più comuni è il seguente: — fori troppo piccoli; — quote con tolleranze troppo strette; — conduttori troppo sottili; — alta densità dei conduttori; — piazzole con spessore anulare molto stretto;

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MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

— uso di materiali di supporto di tipo, o con caratteristiche dimensionali (per esempio lo spessore), particolari; — effettuazione di lavorazioni aggiuntive, quali argentature o dorature di connettori; — incompletezza dei disegni, sia nella quotatura sia nella precisione della realizzazione, che obbliga il fabbricante del circuito stampato a operare ritocchi sui film del master. Ricordiamo infine che molti produttori ricavano più schede da un unico pannello di vetronite di 24¢¢ di lato per effettuare un’esecuzione cumulativa di alcune operazioni del processo di fabbricazione (per esempio, la foratura delle piastre). È evidente che, in questo caso, la forma e la dimensione della scheda incidono pesantemente sul numero di schede che si possono lavorare contemporaneamente e sulla quantità di materiale di scarto.

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Che cos’è l’artwork? Nei circuiti stampati a due o più facce è bene che le piste abbiano sui vari lati un orientamento particolare. Quale? Perché? Quali sono le principali tecniche di sbrogliatura delle connessioni di un circuito stampato? Nei circuiti stampati per circuiti integrati digitali si posizionano dei condensatori nei pressi dei terminali di alimentazione. A quale scopo? Con quali tecniche viene realizzato l’artmaster? Perché è necessario normalizzare il diametro dei fori delle piazzole? Quali caratteristiche tecniche di un circuito stampato incidono di più sul suo costo di produzione?

14 SISTEMI CAD/CAE PER LA REALIZZAZIONE DEI DISEGNI DI FABBRICAZIONE CAD

– Computer aided design (progetto assistito dal computer)

Il progetto sviluppato con un sistema CAD non migliora per il solo fatto che i disegni di fabbricazione o la documentazione sono stati realizzati elettronicamente invece che con un processo manuale. La validità del progetto rimane sempre sotto la responsabilità del disegnatore: sono le sue capacità e la sua esperienza a guidare la macchina, che in effetti gli offre solo la possibilità di creare, cancellare, stampare, rivedere, controllare, memorizzare i disegni con grande facilità e senza alcuno sforzo fisico. Anche i sistemi più evoluti, dotati di intelligenza artificiale, danno il loro massimo contributo nella memorizzazione delle informazioni trasmesse dal progettista, che avrà anche il vantaggio di poterle riutilizzare in ogni successivo progetto. Studi recenti hanno calcolato che un nuovo prodotto elettronico ha un ciclo di vita commerciale di circa tre anni, per cui è necessario che il tempo che intercorre fra la sua ideazione e la sua commercializzazione sia il più ridotto possibile. I sistemi CAD attualmente accessibili permettono di soddisfare questa richiesta del mercato, e questo risultato spiega i motivi della forte crescita economica e commerciale del settore CAD/CAE.

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

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In generale, lo scopo di un sistema CAD è quello di aumentare la produttività e di migliorare la qualità della documentazione prodotta, riducendo i tempi di sviluppo di un’applicazione elettronica. La tipica stazione CAD che prendiamo a riferimento nella nostra analisi utilizza una serie di pacchetti software integrati ed effettua la progettazione di un circuito stampato (PCB) generando, nell’ordine: — lo schema elettrico del circuito da realizzare; — la definizione delle caratteristiche della scheda (dimensioni, forme, aree inutilizzabili per il tracciamento delle piste); — il piazzamento dei componenti; — la sbrogliatura delle connessioni; — la documentazione necessaria per la fabbricazione del circuito stampato. Il sistema CAD trasforma le informazioni fornite dallo schema elettrico in scelte geometriche e topologiche che determinano il piazzamento dei componenti sul circuito stampato e la successiva realizzazione delle connessioni elettriche. Il grado di complessità della scheda gestibile da un sistema CAD dipende essenzialmente dalla potenza di calcolo dell’elaboratore utilizzato. Un sistema CAD basato su un personal computer è generalmente in grado di gestire schede che contengono un centinaio di componenti con piani di segnale (strati) molto limitati. Molti sistemi CAD offrono programmi che verificano la congruenza fra le informazioni progettuali, contenute nello schema elettrico, e quelle utilizzate nei disegni dei processi di fabbricazione, contenute nel circuito stampato, segnalando le eventuali differenze. I sistemi CAD più evoluti assistono il disegnatore in due operazioni fondamentali: 1. il piazzamento dei componenti sulla piastra del circuito stampato; 2. la sbrogliatura delle connessioni. Entrambe le operazioni possono essere eseguite sia manualmente sia automaticamente, ma è opportuno tenere presente che nessun sistema di piazzamento o di sbrogliatura automatico genera un circuito stampato completamente soddisfacente dal punto di vista dell’ingegnerizzazione del prodotto, per cui l’intervento del disegnatore, in interazione con l’elaboratore, è sempre necessario. Sono l’esperienza e le capacità del disegnatore, e le scelte che egli compie durante l’esecuzione del programma di piazzamento o di sbroglio, che determinano la qualità del prodotto finale.

Libreria La libreria di un sistema CAD per la realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati deve possedere le seguenti informazioni: — sigla di identificazione del componente; — attribuzione dei segnali ai terminali (pin) del contenitore; — descrizione delle caratteristiche geometriche e topologiche del contenitore. Anche la libreria per la realizzazione dei disegni di fabbricazione, come quella per il disegno degli schemi elettronici, può essere modificata e aggiornata utilizzando specifici programmi di editing.

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MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

Per effettuare la sbrogliatura di un circuito stampato è necessario che tutti i componenti utilizzati siano presenti nella libreria in quanto il programma di sbrogliatura automatico utilizza queste informazioni per effettuare le connessioni. È quindi importante che la libreria sia molto vasta e che comprenda la maggior parte dei dispositivi elettronici. Una libreria carente costringe il disegnatore a interrompere le operazioni di sviluppo del progetto per creare la base dati del componente mancante; di conseguenza i tempi di esecuzione del disegno si allungano diminuendo l’efficienza complessiva del sistema CAD.

Griglia di riferimento La griglia di riferimento è un reticolo formato da linee orizzontali parallele e da linee verticali parallele e spaziate uniformemente. La spaziatura fra le linee, che determina la risoluzione della griglia, viene espressa in pollici o in millesimi di pollice (mil). Valori tipici di risoluzione delle griglie di riferimento utilizzate per la sbrogliatura dei circuiti stampati sono: 0,05¢¢ (50 mil), 0,025¢¢ (25 mil), 0,020¢¢ (20 mil), 0,0125¢¢ (12,5 mil). La griglia di riferimento è utilizzata dal sistema CAD come riferimento per piazzare i componenti, per tracciare le piste e per compiere tutte le operazioni di verifica e di controllo. È quindi evidente che la risoluzione della griglia condiziona in modo determinante la qualità del disegno, e che il disegnatore deve sceglierla con attenzione.

Piazzamento dei componenti sulla scheda L’uso dell’algoritmo di piazzamento dei componenti sulla scheda richiede al disegnatore l’elenco dei componenti. Questo elenco può essere ricavato direttamente dallo schema elettronico (disegnato con lo stesso sistema CAD o con altri) utilizzando uno specifico programma che estrae la lista dei collegamenti (netlist) dallo schema. Se un tale programma di generazione automatica delle netlist non è previsto dal sistema CAD, o se i due sistemi utilizzati sono incompatibili, la lista delle connessioni dev’essere inserita dal disegnatore attraverso la tastiera del calcolatore. Il piazzamento dei componenti sulla scheda può essere eseguito manualmente, automaticamente e iterativamente, ma prima il disegnatore deve definire i parametri meccanici e topologici dei componenti utilizzati. I principali sono i seguenti: — dimensioni e forma del circuito stampato; — larghezza delle piste; — dimensioni e forma delle piazzole; — numero dei piani di segnale (numero di strati del circuito stampato); — dimensioni e diametro delle piazzole dei fori passanti; — angolo di cambiamento di direzione delle tracce (libero, 45°, 90°); — aree del circuito che non devono essere attraversate da piste oppure occupate da componenti. Nei sistemi CAD le informazioni possono coinvolgere anche la strategia di piazzamento dei componenti, ma in questo caso vanno precisati i valori minimi o massimi di alcuni parametri elettrici e meccanici. Un elenco

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dei parametri che influenzano la strategia di piazzamento e di sbrogliatura è il seguente: — lunghezza massima delle connessioni; — numero massimo di fori passanti; — tensione di isolamento massima fra conduttori, piazzole e piani di segnale; — minima distanza fra le piste e fra piste e piazzole; — risoluzione della griglia di piazzamento e di sbrogliatura; — direzione preferenziale (orizzontale o verticale) da attribuire a particolari segnali quali la linea della tensione di alimentazione e quella della massa. La potenza di elaborazione dei vari pacchetti CAD è misurata dal campo di variabilità dei parametri che abbiamo elencato. Nei sistemi meno costosi: — il disegnatore ha a sua disposizione pochi tipi di piazzole; — il disegnatore ha a sua disposizione un numero limitato di spessori per le tracce; — i cambiamenti di direzione delle tracce possono avvenire solo con angoli fissi (0°/45°/90°); — il numero dei piani di segnale è molto limitato (massimo 4). Se il piazzamento può essere eseguito solo manualmente, tutte le scelte devono essere effettuate dall’operatore, che dovrà affidarsi completamente alla propria esperienza per ottenere il piazzamento migliore. Ma anche se il piazzamento è completamente automatico non sempre il calcolatore genera un prodotto accettabile dal punto di vista dell’ingegnerizzazione. Il piazzamento iterativo permette di utilizzare entrambe le tecniche (manuale e automatica). Durante un piazzamento iterativo il disegnatore può interrompere quello automatico, inserire modifiche e/o cambiarne la strategia di lavoro e riabilitare la procedura automatica. Attraverso una serie di iterazioni è possibile ottenere un piazzamento ottimale dei componenti sulla scheda, che potrà successivamente essere modificato nella fase di sbrogliatura qualora le connessioni si rivelino di difficile realizzazione. Molti sistemi CAD dispongono di una funzione che permette di valutare la qualità di un piazzamento effettuando tutte le connessioni previste, ossia collegando, per mezzo di linee rette, tutti i punti che devono essere interconnessi e generando due diagrammi di connettività. Il diagramma di connevità mostra, per mezzo di due istogrammi (uno verticale e uno orizzontale), la densità delle connessioni lungo i due assi della scheda  ( Fig. 8.40). Analizzando i due diagrammi, e osservando la complessità dei collegamenti rettilinei (airlines), il disegnatore può verificare se esistono punti della scheda in cui la densità delle piste è eccessiva (in inglese ratnested: nido di topo). Se sulla scheda non si evidenzia alcun punto in cui la densità delle piste è eccessiva si può tentare di effettuare la sbrogliatura della scheda; se il tentativo fallisce si possono riposizionare sulla scheda i componenti elettronici finché i diagrammi di connettività non assumono una forma accettabile. Per ridurre la densità delle connessioni si può agire sia sulla spaziatura dei componenti sia sul loro orientamento.

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MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

Un buon piazzamento dei componenti su una scheda a circuito stampato è caratterizzato da: — lunghezza delle piste molto breve per evitare problemi di temporizzazione nei segnali e per semplificare e velocizzare le operazioni di sbroglio; — dispositivi collocati sulla scheda mantenendo il massimo allineamento possibile, per cui i collegamenti saranno eseguiti di preferenza a piste con traiettoria rettilinea; — minor numero possibile di fori passanti e di piani di segnale (strati della piastra). Fig. 8.40 Airlines e diagrammi di connettività.

Le prime due specifiche riguardano le caratteristiche elettriche della piastra a circuito stampato, la terza ne condiziona in larga parte il costo. Qualche sistema CAD dispone di specifici programmi che, una volta terminati il piazzamento e la sbrogliatura della scheda, rielaborano il circuito stampato ottimizzando il numero degli attraversamenti fra i suoi diversi strati, e cioè il numero dei fori di collegamento.

Piazzamento automatico dei componenti sulla scheda Per poter effettuare un piazzamento automatico dei componenti occorre fornire le seguenti informazioni: — lista delle connessioni; — esatta identificazione di tutti i componenti in modo tale che il programma sia in grado di ricavare dalla libreria tutte le informazioni sia sull’attribuzione dei segnali ai pin del contenitore, sia sulle caratteristiche topologiche e dimensionali dei componenti; — risoluzione della griglia di riferimento; questa scelta va fatta con molta attenzione perché tutte le operazioni di piazzamento e di sbrogliatura sono effettuate riferendosi a essa;

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— assegnazione della posizione corretta a tutti i componenti, che devono essere piazzati in punti del circuito stampato determinati da esigenze legate alle tecniche di produzione o alle condizioni di impiego della scheda (trimmer, diodi led, connettori); — identificazione di tutti i dispositivi che richiedono particolari specifiche di cablaggio; per esempio, il circuito che genera un segnale di clock in un sistema digitale dev’essere posizionato accanto al quarzo che ne determina la frequenza. Terminata la fase di definizione delle regole, per effettuare il piazzamento automatico si possono seguire due strategie: 1. si collocano tutti i componenti sulla scheda e poi si cerca, analizzando i diagrammi di connettività, di ottimizzare i collegamenti scambiando quando è possibile, nei componenti MSI e LSI, i terminali dei componenti (pin swapping), oppure scambiando, nei componenti SSI, le porte logiche (gate swapping); 2. si colloca il componente che dev’essere maggiormente connesso e si aggiungono gli altri componenti verificando continuamente che il diagramma delle connessioni e il loro piazzamento rispettino le specifiche di progetto assegnate. I sistemi più moderni operano anche con la tecnica della pianificazione a blocchi (floor planning), che rispetta l’organizzazione funzionale del progetto. Questa tecnica prevede che l’area della scheda sia suddivisa in modo tale che a ogni insieme funzionale (contatore, comparatore, amplificatore ecc.) sia attribuito una zona della scheda. Il suo impiego consente di ridurre i tempi di esecuzione dell’elaborazione dell’algoritmo di piazzamento perché ogni insieme funzionale può essere definito con poche variabili.

Sbrogliatura delle connessioni La sbrogliatura (routing) di una scheda a circuito stampato consiste nel tracciare sul foglio da disegno i percorsi delle piste di connessione fra le varie piazzole di collegamento dei terminali dei componenti inseriti nello schema. La posizione delle piazzole è definita durante la fase di piazzamento dei componenti elettronici ed elettromeccanici sulla scheda, per cui il programma di sbrogliatura non fa altro che realizzare le connessioni utilizzando le informazioni fornite dallo schema elettrico o dalla lista delle connessioni. Il programma di sbroglio può eseguire i collegamenti utilizzando differenti strategie per ottimizzare il percorso di connessione. L’algoritmo più impiegato è quello a labirinto basato sull’analisi dei fattori di costo (cost based). Il costo di una connessione è un indice numerico che viene attribuito a ogni possibile percorso di collegamento fra due punti del circuito. Sono considerate costose le seguenti operazioni: — tracciare una pista da un punto sorgente dirigendosi nella direzione opposta rispetto alla posizione del punto di arrivo; — inserire un foro di collegamento; — effettuare una connessione verticale su un piano di segnale a direzione prevalentemente orizzontale; — predisporre l’intersezione con una pista già tracciata.

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MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

L’algoritmo di sbroglio a labirinto ricerca il percorso di collegamento, comunque tortuoso, fra due punti di una scheda valutando tutti quelli possibili. A ogni movimento della traccia sulla griglia di riferimento il programma attribuisce un indice numerico; la somma di questi indici costituisce il costo della connessione. Fra i percorsi che realizzano il collegamento, il programma sceglierà poi quello che implica il costo minore. Operazioni di sbrogliatura automatica (autorouting)

Quando usa un algoritmo di sbrogliatura si devono compiere le seguenti operazioni: 1. definizione della griglia di sbrogliatura; 2. lettura della lista delle connessioni da effettuare; la lista può essere estratta direttamente dallo schema elettrico con un apposito programma di gestione CAD, oppure è l’operatore che le inserisce manualmente (in questa fase del progetto il disegnatore deve fornire anche tutte le informazioni che riguardano i componenti che richiedono particolari precauzioni d’uso; può trattarsi di definire, per esempio, lo spessore delle piste, o particolari valori della tensione di isolamento o la distanza (clearance) minima da mantenere fra le piste o le piazzole); 3. definizione delle regole e dell’ordine di successione con cui le connessioni devono essere realizzate durante la sbrogliatura della scheda; 4. sbrogliatura di ogni connessione seguendo le regole fissate in precedenza e tracciando le piste di collegamento seguendo la griglia di sbrogliatura prescelta e utilizzando il criterio del minor costo. I programmi di sbrogliatura automatica eseguono le connessioni già realizzate ogniqualvolta una nuova connessione non è realizzabile o comporta un costo eccessivo. Quando si deve eseguire una connessione che genera un cortocircuito fra due piste, il programma può reagire in due modi: fermando il processo di sbrogliatura con la segnalazione all’operatore della situazione di conflitto mediante un cursore oppure, in contrasto con la lista di connessione, realizzando l’intersezione delle piste. Nel primo caso l’operatore interverrà modificando manualmente alcune connessioni già tracciate, oppure modificando il piazzamento dei componenti e ripristinando poi il processo di sbrogliatura automatica. Nel secondo caso sarà lo stesso algoritmo di sbrogliatura che, nei passi di sbroglio successivi, tenterà di rimuovere il cortocircuito, oppure sarà ancora l’operatore che, terminata la sbrogliatura, eliminerà manualmente le intersezioni rimaste. L’operazione di sbrogliatura automatica è in genere effettuata in più passi, ciascuno dei quali tende a ottimizzare alcune caratteristiche del circuito stampato, quali, per esempio, la direzionalità delle connessioni, l’allineamento dei componenti, il numero dei fori di collegamento. Le caratteristiche principali di un programma di sbrogliatura sono: — la velocità di esecuzione del processo; — la percentuale di realizzazione delle connessioni; — la qualità del prodotto risultante; — la facilità d’uso; — il costo.

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

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La velocità con cui viene realizzata la sbrogliaura di un circuito stampato dipende dal numero dei componenti da connettere e da quello dei piani di segnale presenti nel circuito. Operazioni di sbrogliatura manuale

Il metodo di sbrogliatura manuale delle connessioni del circuito stampato è caratteristico dei sistemi CAD a basso costo. In genere questi pacchetti software richiedono che l’operatore utilizzi uno strumento di data entry (tastiera, mouse ecc.) e precisi, di volta in volta, quale connessione vuole effettuare marcando i suoi punti di inizio e fine. La connessione è realizzata automaticamente da una funzione di router che, cercando il percorso ottimale, traccia la pista sul foglio elettronico. L’operatore deve quindi valutare la traiettoria della pista tracciata dal programma e, se lo ritiene opportuno, modificarla con gli appositi comandi di editing. L’operazione di sbrogliatura viene poi ripetuta per tutte le connessioni.

Programmi di gestione di un sistema CAD

DRC

– Design rule check

Il pacchetto di programmi CAD in genere prevede anche alcuni programmi di utilità (utility programs) che permettono di effettuare una serie di verifiche e controlli sul progetto generato dagli algoritmi di piazzamento e di sbrogliatura. Un particolare programma DRC verifica anche la congruità funzionale tra il lavoro effettuato dal programma di piazzamento e di sbrogliatura e le regole fissate dal progettista in fase di impostazione. I migliori programmi software possono eseguire questo programma in linea (on-line) per cui le informazioni vengono date all’operatore durante la fase di piazzamento e di sbrogliatura; l’operatore può così iterativamente intervenire e rimuovere le cause di errore modificando i parametri di collaudo e verifica, oppure modificando il piazzamento dei componenti. Nei sistemi a basso costo si può utilizzare questo programma solo fuori linea (off-line), a operazioni di sbrogliatura concluse. Durante la sbrogliatura della scheda il programma può aver operato delle modifiche sullo schema elettrico originale. Per esempio, alcune porte logiche possono essere state scambiate oppure lo scambio ha coinvolto intere funzioni logiche MSI (part swapping): occorre quindi modificare la documentazione del progetto e annotare le variazioni intervenute. I sistemi CAD più potenti sono dotati di programmi di utilità che aggiornano tutta la documentazione realizzata ogniqualvolta in una fase del lavoro viene modificato un qualsiasi dato di identificazione del circuito. Per esempio, la modifica della sigla di identificazione di un componente nello schema elettrico provoca la correzione della lista sia delle connessioni sia dei componenti; uno scambio di porte all’interno di un circuito logico durante la fase di sbrogliatura fa sì che lo stesso scambio sia effettuato sullo schema elettrico del circuito (back annotation) ecc.

Documentazione prodotta dal sistema CAD Al termine dell’elaborazione elettronica, un sistema CAD produce la seguente documentazione  ( Figg. 8.41a-f): — gli schemi elettrici del circuito elettronico, o dei circuiti elettronici; — la lista dei componenti (part list o component list); — la lista dei segnali e dei collegamenti (netlist);

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MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

Figg. 8.41a-f Disegni di fabbricazione del circuito stampato e schema elettrico di un alimentatore stabilizzato eseguiti con un sistema CAD: a. schema elettrico; b. lato componenti; c. lato saldature; d. layout; e. solder mask, lato componenti; f. piano di foratura.

8.41a

8.41b

8.41c

8.41d

8.41e

8.41f

— la pellicola o disegno riproducente i disegni di fabbricazione del circuito stampato (master); — la pellicola o disegno riproducente sia la disposizione dei componenti sulla scheda sia tutti i riferimenti di identificazione; — la pellicola o disegno per la maschera di saldatura (solder resist), che riproduce le piazzole di collegamento che non devono essere ricoperte dalla vernice protettiva; — i disegni tecnici, a due e tre dimensioni, degli aspetti costruttivi della piastra a circuito stampato, le tecniche di montaggio dei componenti elettronici, il cablaggio della scheda montata nel contenitore dell’apparecchiatura; — i file di dati (in genere sono espressi in codice ASCII e memorizzati su un supporto magnetico); questi file sono utilizzati per trasferire i dati raccolti ed elaborati dal sistema CAD alle macchine operatrici che compiranno le varie lavorazioni di produzione del circuito stampato o per guidare il montaggio dei componenti sulla scheda; — i file di dati che trasferiscono le informazioni elaborate dal sistema CAD alle apparecchiature che eseguono il collaudo automatico delle schede (ATE); si tratta di informazioni topologiche che permettono alla macchina che effettua le prove di collaudo di disporre le sonde (di solito, un letto di punte) nelle posizioni opportune della scheda per applicare i segnali di stimolo e per raccogliere i segnali di uscita.

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

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Software CAD di simulazione Le tecniche di analisi circuitale effettuate mediante sofisticati programmi di simulazione si sono molto diffuse negli ultimi tempi a causa della sempre maggiore complessità delle schede a circuito stampato e dell’elevata scala di integrazione dei componenti elettronici. Inoltre, lo sviluppo di un prototipo hardware è molto oneroso dal punto di vista economico e del tempo necessario per produrre sia la documentazione sia il circuito vero e proprio. Un ulteriore impulso allo sviluppo di queste tecniche è stato dato dall’introduzione dei microcircuiti semicustom. Questi dispositivi sono costituiti da un certo numero di circuiti logici di base che possono essere interconnessi secondo le specifiche di progetto fornite al costruttore del dispositivo dall’utilizzatore. Lo schema di connessione di questi circuiti è deciso dall’utilizzatore, per cui non esistono fogli tecnici che definiscono le caratteristiche elettriche statiche e dinamiche. È quindi necessario che il circuito venga completamente collaudato prima di iniziare il processo di fabbricazione perché ogni errore di valutazione di qualche parametro di progetto genererà un microcircuito inutilizzabile. L’operazione di collaudo, non esistendo il dispositivo reale, può essere compiuta solo con programmi che permettano di effettuarne la simulazione elettronica, meccanica o termica. La simulazione di un circuito elettronico, dal punto di vista dei parametri elettrici, permette di analizzarne il comportamento statico e dinamico: è possibile, per esempio, analizzarne il comportamento quando i parametri delle grandezze che costituiscono le specifiche del progetto assumono valori limite. La stessa prova condotta per via hardware, a causa delle difficoltà di far funzionare il circuito in condizioni limite, sarebbe di difficile se non impossibile realizzazione. Questi controlli possono essere effettuati con circuiti elettronici sia di tipo analogico sia di tipo digitale. La simulazione di un circuito presuppone che il sistema possieda una libreria contenente, oltre alle normali informazioni topologiche riguardanti i componenti elettronici, anche un modello matematico del dispositivo che descriva il comportamento elettrico e i valori significativi dei principali parametri elettrici (valore minimo, tipico e massimo). I programmi di simulazione permettono di collaudare un circuito simulando tutta la strumentazione normalmente utilizzata in laboratorio per effettuare le operazioni di misura e di collaudo di un’apparecchiatura elettronica. L’elaborazione elettronica delle misure permette, al contrario delle prove hardware di laboratorio, di definire con maggior precisione i parametri di prova, di archiviare le varie prove effettuate e di operare confronti e calcoli sulle tabelle di dati generati dal programma di collaudo durante le prove. I risultati delle elaborazioni possono essere forniti in forma numerica (tabelle di dati) o in forma grafica (curve di risposta o diagrammi temporali). Alcuni programmi di simulazione permettono di analizzare il comportamento elettrico e le caratteristiche termiche di un circuito stampato. L’analisi del comportamento elettrico dei circuiti stampati per applicazioni digitali tende a verificare che le linee di collegamento realizzate sul circuito non producano ritardi tali da alterare la corretta temporizzazione dei segnali logici. Un’altra importante verifica effettuata con i

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MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

programmi di simulazione riguarda la resistenza di isolamento esistente fra le piste e le piazzole del circuito stampato. L’analisi termica tende a verificare che non sussistano problemi di accumulo di calore e di stress termico dovuti al posizionamento dei componenti sulla scheda. Nella tabella 8.3 sono elencate le fasi principali di un progetto di disegni di fabbricazione di un circuito stampato professionale complesso. Tabella 8.3 Fasi di un progetto PCB professionale CATTURA

ANALISI DEL PROGETTO PROGETTO DEL CIRCUITO

DEGLI SCHEMI

– librerie di simboli logici – reti di segnale

CIRCUITALE

– ERC/DRC controllo delle regole elettriche e geometriche

STAMPATO

– libreria dei componenti fisici – scelta automatica

ANALISI DEL CIRCUITO

– controllo delle connessioni – documentazione effettuate – elenco dei materiali – controllo geometrico – master photoplottato

– base dati gerarchico – simulazione logica

dei contenitori

dei componenti

– parametri logico/

e del piazzamento

e della scheda

temporali – estrazione della lista di connessione

– simulazione analogica – analisi della

– sbroglio automatico

temporizzazione – simulazione di

iterativo – parametri fisici

guasto/generazione dei vettori di test

COSTRUZIONE DEL PCB

STAMPATO

– analisi termica – analisi delle interferenze elettromagnetiche (EMI) – retroannotazione degli schemi elettrici

– nastri per macchine a controllo numerico – nastri per le macchine per l’inserzione dei componenti – nastri per le macchine di collaudo automatico (ATE)

Sistemi CAE CAE

– Computer aided engineering (ingegneria assistita dal computer)

I sistemi CAE sono in grado di gestire, con un insieme di pacchetti software specializzati, tutti gli aspetti di un progetto elettronico: cattura dello schema elettronico, produzione dei disegni di fabbricazione, simulazione del circuito elettronico e del comportamento elettrico e termico del circuito stampato. Queste funzioni sono possibili perché i sistemi CAE accedono a un’unica base dati contenente tutte le informazioni che riguardano ogni componente elettronico. Queste informazioni sono le seguenti: — simbolo grafico; — coordinate dei vari terminali e dimensioni di ingombro del contenitore; — corrispondenza fra nome del segnale e numero del terminale; — descrizione parametrica delle principali caratteristiche elettriche del componente (tempo di ritardo, potenza dissipabile massima ecc.). Un’importante opzione presente nei sistemi CAE più sofisticati permette di trasferire i disegni sviluppati con il sistema CAD ai programmi di trattamento dei testi (word processor) più diffusi. In questo modo è possibile produrre la documentazione tecnica che integra nel testo la parte grafica e iconografica. La figura 8.42 mostra l’elaborazione prodotta da un sistema CAE che lavora in ambiente Windows. Il sistema, collegato ad apparecchiature di misura che hanno stimolato in modo opportuno il circuito, ha individuato un guasto sulla scheda a circuito stampato. Il progettista può osservare contemporaneamente, in più finestre, lo schema elettrico, il master del circuito stampato e una fotografia che riproduce il layout della scheda.

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

181

limitazioni nel numero di simboli utilizzabili e nell’ampiezza delle librerie disponibili. I due applicativi, descritti nei capitoli 10 e 11, sono CirCAD® della Holophase e Eagle® della CADSoft. Questi programmi consentono di realizzare schemi e circuiti, adatti alle esigenze sperimentali di un laboratorio didattico. Tutti questi software permettono la realizzazione di circuiti stampati di notevole complessità e si inseriscono in pacchetti software sofisticati, che danno la possibilità di simulare in modo molto avanzato le caratteristiche dei circuiti stampati realizzati. Per esempio, si può analizzare, mediante specifici algoritmi di simulazione, il comportamento del circuito stampato dal punto di vista termico o della compatibilità elettromagnetica o della robustezza meccanica ecc. I software CirCAD e Eagle sono molto diffusi fra gli appassionati di elettronica e radiantistica in quanto le due case produttrici mettono a disposizione sul proprio sito Internet delle versioni del software, liberamente scaricabili, che consentono la realizzazione di circuiti stampati di piccola e media complessità, supportando il progetto con librerie di estensione sufficiente a coprire i dispositivi elettronici più comuni. Ciò rende possibile la realizzazione di circuiti stampati che soddisfano pienamente le esigenze di un hobbista e di molte esercitazioni di laboratorio. Per applicazioni professionali è invece necessario acquistare i pacchetti software completi per poter sfruttare tutte le potenzialità dei prodotti in un ottica di economicità, efficacia ed efficienza del processo di produzione.

CAP 8 Progettazione e realizzazione dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati

183

CAP 10 GUIDA AL SISTEMA CAD: CirCAD®. Layer 1 2 3 4 5 6

Caratteristiche tecniche di CirCAD Le funzionalità di CirCAD Stampa e generazione dei file di fabbricazione Disegnare una scheda a circuito stampato Creazione di una libreria Esercizi

Concetti chiave  Annotazione  Design rule check

 Libreria  Netlist

MODULO C Disegno di fabbricazione dei circuiti stampati

185

SINTESI DEL MODULO C CAPITOLO

6

Il circuito stampato (PCB) è costituito da un supporto isolante piano su cui sono incollati i conduttori che attuano i collegamenti elettrici fra i componenti richiesti dalla configurazione circuitale realizzata. Il montaggio dei componenti elettronici sul circuito stampato può avvenire con la tecnica a inserzione (o foro passante) oppure con la tecnica a montaggio superficiale. — I circuiti stampati possono essere: monofaccia, a due facce, multistrato (fino a 16 strati). Il monofaccia ha il foglio di rame depositato su un lato del supporto isolante. Il circuito a due facce ha il foglio di rame depositato su entrambe le facce e il collegamento fra i due lati è ottenuto con una lavorazione particolare (metallizzazione), che crea un percorso conduttivo fra le due superfici. Il circuito stampato multistrato consiste di più supporti isolanti separati da fogli di rame. — Per costruire un circuito stampato esistono due tecnologie: la sottrattiva, con la quale viene eliminata la parte di superficie conduttiva che non serve per la realizzazione dei conduttori, e l’additiva, con la quale i percorsi conduttivi sono realizzati per deposizione elettrochimica su un supporto isolante. Durante il processo di fabbricazione i circuiti stampati vengono sottoposti a test di controllo della centratura dei fori sulle piazzole, della metallizzazione dei fori, dello spessore dei conduttori, dell’integrità delle piste, dell’esistenza di interconnessioni dovute a incisione difettosa. Per essere usato come supporto nella realizzazione di un circuito stampato, un materiale deve possedere: buona lavorabilità, laminabilità e resilienza meccanica; resistenza meccanica alla compressione, alla trazione e al taglio; costante dielettrica bassa; rigidità dielettrica; insensibilità agli agenti chimici utilizzati nei processi di fabbricazione; resistenza alle temperature delle operazioni di saldatura; stabilità dimensionale; non dev’essere infiammabile e, possibilmente, dev’essere autoestinguibile. — Secondo le norme, il rame elettrolitico che riveste la superficie del supporto isolante deve avere uno spessore di 35 mm. Un circuito flessibile comprende un insieme di conduttori ed è supportato da un sottile isolante flessibile. È adatto a collegare elettricamente tra loro più sottoinsiemi e componenti di un apparato elettronico. — Lo strato conduttivo viene realizzato per elettrodeposizione o con nastri metallici. Il materiale più utilizzato è il rame. — I materiali di supporto più utilizzati sono: poliestere, fibra di vetro, vetronite, mylar, resine poliammidiche e teflon (FEB).

CAPITOLO

7

Il montaggio di una scheda elettronica richiede quattro lavorazioni: piegatura dei terminali dei componenti elettronici assiali; ribaditura e taglio dei terminali; inserzione

dei componenti elettronici nella scheda; saldatura dei componenti elettronici. Ciascuna di queste operazioni può essere effettuata con procedura automatica oppure manuale. — La piegatura a mano viene eseguita con una normale pinza o con attrezzi speciali che permettono di piegare tutti i componenti con lo stesso passo. La piegatura automatica offre i vantaggi della rapidità di esecuzione e, per volumi di lavorazione consistenti, costi modesti. Risulta anche molto uniforme, e ciò rende l’operazione di inserzione più rapida. — La ribaditura viene effettuata per mantenere i componenti nella corretta posizione di montaggio. Viene fatta per mezzo di una pinza stretta sul terminale del componente che localmente aumenta l’area del reoforo oppure ripiegando i terminali con attrezzi o con macchine piegatrici speciali. Con la saldatura due oggetti metallici vengono resi solidali. L’operazione viene eseguita riscaldando entrambi gli oggetti e aggiungendo un materiale di apporto, a basso punto di fusione, che fondendosi si infiltra per capillarità fra i metalli da collegare (brasatura dolce). — Nelle applicazioni elettroniche la saldatura serve a stabilire un contatto meccanico rigido e stabile fra i percorsi elettrici e i terminali dei componenti elettronici, e a stabilire la continuità elettrica fra le varie parti del circuito. — L’attrezzo usato per eseguire le saldature nelle applicazioni elettroniche è il saldatore. Il più diffuso dei metodi di saldatura automatica è la saldatura a onda, che consiste nel pompare attraverso un ugello la lega saldante fusa in modo tale che formi un’onda. La piastra da saldare scorre sopra l’onda e viene bagnata dalla lega saldante fusa. La tecnica di assemblaggio a montaggio superficiale (SMT) è attualmente la più utilizzata. Usa componenti elettronici ed elettromeccanici perfettamente identici, dal punto di vista elettrico e funzionale, a quelli impiegati nella tecnica a inserzione, ma cambia il contenitore usato per incapsulare il dispositivo, che è più piccolo di quello dell’analogo dispositivo con il contenitore a inserzione diretta. — La tecnica a montaggio superficiale consente di ridurre del 30 ÷ 50% la superficie di circuito stampato occupata, rendendo possibile realizzare circuiti stampati più densi, e perciò più complessi; con connessioni più numerose di quelle ottenibili con la tecnica tradizionale. — Il piccolo contenitore dei componenti SMD rende impraticabile il montaggio manuale su una scheda di componenti, ed è sempre necessario automatizzare tutto il ciclo di produzione SMT. La saldatura dei componenti SMD alla piastra del circuito stampato viene effettuata depositando sulla sua superficie, nei punti di contatto, una pasta collante-saldante che li tiene fermi nella posizione desiderata; un successivo riscaldamento fonde la lega saldante, vincola i componenti alla piastra e li collega elettricamente alle piazzole del circuito stampato.

MODULO C Sintesi

187

— L’ispezione visuale delle saldature dei componenti SMD è difficile e assolutamente inaffidabile, perciò il controllo di qualità viene effettuato con macchine di controllo automatico.

CAPITOLO

8

Per costruire un circuito stampato occorre realizzare: lo schema delle connessioni (o master) e della disposizione dei componenti; i disegni tecnici del piano di foratura, delle lavorazioni meccaniche da eseguire sulla piastra, dei dettagli di fabbricazione del circuito stampato, del montaggio del dispositivo elettronico o elettromeccanico, dei punti di saldatura per realizzare la maschera serigrafica, della disposizione dei componenti, della connessione della scheda alle altre parti dell’apparato elettronico, dell’installazione della scheda nel contenitore dell’apparato elettronico che la utilizza. La fase di raccolta della documentazione necessaria è fondamentale per la realizzazione dei master e per la loro riuscita. In questa fase è utile preparare una lista di controllo che aiuti a verificare se le informazioni ricevute dal tecnico che ha realizzato il progetto dell’apparecchiatura sono sufficienti per realizzare i disegni di fabbricazione del circuito stampato. I dispositivi elettronici sono inseriti in contenitori che permettono due tipi di montaggio: in orizzontale e in verticale. Il montaggio orizzontale conferisce grande stabilità ed efficienza ai collegamenti, anche quando il circuito stampato è inserito in apparecchiature soggette a urti e vibrazioni. Il montaggio verticale rende possibile una maggiore densità dei componenti sulla scheda, ma pone maggiori problemi in fase di montaggio e di collaudo. Per questo motivo vengono montati verticalmente solo i dispositivi a questo predisposti dal costruttore, per esempio i condensatori elettrolitici di grande capacità. In genere, le dimensioni di ingombro dei circuiti stampati sono imposte dal tipo di contenitore prescelto, dal modo in cui verrà fissata la scheda e dal metodo di cablaggio adottato. La forma, nella maggior parte dei casi, è rettangolare, ma vengono anche scelte sagome diverse, soprattutto nell’ambito delle apparecchiature elettroniche per applicazioni civili, per ridurre i costi di assemblaggio. — La tecnica di progetto modulare divide l’apparecchiatura elettronica in più unità funzionali realizzate su schede separate e poi interconnesse con appositi circuiti stampati o con tecniche cablate. Numerose ditte realizzano contenitori in armonia con le norme UNIRACK 19¢¢. Il formato delle schede che vengono inserite in questi rack è detto Eurocard (con dimensioni di 100 ¥ 160 mm); esiste anche una serie detta Doppio Eurocard (con dimensioni 160 ¥ 233,4 mm). La disposizione dei componenti su un circuito stampato deve tener conto di un insieme di fattori che riguardano sia il processo di fabbricazione del circuito, sia il successivo montaggio e collaudo delle schede. Il progettista, con le sue scelte, deve garantire il funzionamento corretto dell’apparecchiatura nelle condizioni ambientali previste e con i segnali di ingresso e uscita conformi alle specifiche di progetto. L’area dell’anello della piazzola deve essere dimensio-

188

MODULO C Sintesi

nata per favorire la dispersione del calore che si produce durante l’operazione di saldatura. Poiché la foratura costituisce una componente rilevante del costo di produzione della scheda a circuito stampato, è estremamente importante normalizzare il diametro dei fori. Infatti, per ogni foro di differente diametro è necessario riattrezzare la macchina operatrice e cambiare l’utensile, e queste operazioni incidono sul costo del circuito. L’artwork è un disegno, preparato in fase di studio e di progettazione del circuito stampato, che mostra la disposizione dei componenti sulla scheda e il percorso delle interconnessioni. Con l’avvento dei circuiti integrati a MSI, la densità di occupazione della superficie di un circuito stampato è diventata molto elevata. I materiali utilizzati per i master devono pertanto essere di ottima qualità. Questi disegni vengono ridotti e fotografati, per cui devono essere realizzati su materiali non soggetti ad alterazioni in larghezza o lunghezza per effetto delle variazioni di temperatura e di umidità. L’artmaster è l’insieme dei disegni di fabbricazione del circuito stampato, fotografati e ridotti in scala 1:1. Serve per produrre i film (photomaster) che il fabbricante usa per realizzare il circuito stampato. Qualunque sia il metodo utilizzato dal disegnatore per eseguire i disegni di fabbricazione, sul disegno finito è necessario effettuare una serie di controlli e di verifiche riguardanti sia l’aspetto legato all’esecuzione dei disegni sia l’aspetto generale della realizzazione, cioè il rispetto di tutte le specifiche di progetto. La documentazione necessaria per il montaggio di una scheda a circuito stampato include un disegno della posizione e degli ingombri che le parti elettroniche e meccaniche hanno sulla scheda dal lato componenti; una lista dei dispositivi elettronici e meccanici necessari per produrre la scheda elettronica; le note di carattere generale o specifico che rendono possibile la fabbricazione della scheda e il controllo del montaggio. — Il disegno della disposizione dei componenti è tracciato nella stessa scala del master. I componenti sono disegnati nella posizione e nella forma che assumono dopo che sono stati assemblati. Il photomaster è una riproduzione in scala 1:1 del disegno, o dei disegni, che costituiscono il film utilizzato dal fabbricante dei circuiti stampati. Può essere positivo o negativo: nel primo caso il disegno viene riprodotto su sfondo bianco, nel secondo su sfondo nero. In genere il film è realizzato dalla ditta che fabbrica il circuito stampato: tutte le operazioni di fabbricazione del circuito stampato dipendono dalla sua qualità. — Il photomaster e tutte le attrezzature serigrafiche sono, di norma, restituite dal fabbricante del circuito stampato al committente, che per legge ne è l’unico proprietario. È sua responsabilità, e in genere di chi ha curato l’esecuzione della documentazione, conservare il photomaster e tutti gli altri film in modo che non si danneggino. I costi di fabbricazione di un circuito stampato sono influenzati dalle scelte del disegnatore. Gli errori di valutazione o le restrizioni imposte in sede di progetto li fanno

aumentare. I sistemi CAD più evoluti assistono il disegnatore nel piazzamento dei componenti sulla piastra del circuito stampato e nella sbrogliatura delle connessioni. Entrambe le operazioni possono essere eseguite sia manualmente sia automaticamente. — Nessun sistema di piazzamento o di sbrogliatura automatico genera un circuito stampato completamente soddisfacente dal punto di vista dell’ingegnerizzazione del prodotto, per cui l’intervento del disegnatore è sempre necessario. Sono l’esperienza e le capacità del disegnatore, e le scelte che egli compie durante l’esecuzione del programma di piazzamento o di sbroglio, che determinano la qualità del prodotto finale.

CAPITOLO

9

La lista di connessione (netlist) descrive i componenti e i nodi utilizzati in uno schema e contiene inoltre le seguenti informazioni: nomi di footprint, composizione di componenti multipli, nomi dei componenti, nomi dei nodi, i pin appartenenti a ciascun nodo, proprietà dei nodi dei pin e dei componenti. La lista delle connessioni deve essere creata con il programma OrCAD Capture. L’ambiente di sviluppo dei disegni di fabbricazione del circuito stampato utilizza tre finestre: — la finestra di lavoro, in cui viene sviluppato l’artwork del circuito stampato; — il gestore delle librerie, che permette di visualizzare, modificare e creare footprint (moduli contenuti nelle librerie); sullo schermo sono visualizzate due finestre affiancate: in quella di sinistra, Library manager, si selezionano le librerie che contengono i footprint che si vogliono manipolare, mentre in quella di destra appare la rappresentazione grafica del footprint; — la registrazione di sessione (Session Log) che elenca tutti gli eventi intervenuti durante le varie fasi dell’elaborazione; essa permette di ricostruire le operazioni compiute e i loro effetti e consente di risolvere gran parte dei problemi che si incontrano nella sessione di lavoro. Il nome di default per questo file è Layout.log e può essere letto da un qualsiasi editor di testo come Notepad. La realizzazione dei disegni di fabbricazione di una scheda a circuito stampato richiede una serie di operazioni: definizione della scheda; creazione degli ostacoli; posizionamento dei componenti; sbrogliatura della scheda; inserimento di testi; generazione dei disegni di fabbricazione della scheda. Le librerie del programma mettono a disposizione più di 3000 footprint per componenti che coprono la maggior parte dei contenitori utilizzati per incapsulare i principali dispositivi elettronici, tuttavia, può succedere che un particolare dispositivo, di solito elettromeccanico, non sia rappresentato in modo adeguato, in questo caso il disegnatore deve realizzare un footprint personalizzato. — I file che contengono le librerie utilizzano l’estensione .LBB. I codici di tutti i footprint sono elencati in file in formato .PDF forniti insieme al programma dalla casa costruttrice. È possibile inoltre scaricare dal sito Internet della casa costruttrice librerie costantemente aggiornate.

CAPITOLO

10

Un sistema CAD completo deve essere in grado di: catturare lo schema elettrico di un’apparecchiatura; estrarre da esso le informazioni riguardanti le parti di librerie utilizzate e le interconnessioni; realizzare automaticamente i disegni di fabbricazione del circuito stampato creando i file necessari per la loro realizzazione mediante Photoplotter (file Gerber) o di pilotare in modo automatico le macchine di foratura; verificare, utilizzando programmi di simulazione, il funzionamento dell’apparecchiatura. Il programma CirCAD è in grado di attivare un progetto completo, cioè cattura dello schema elettrico, realizzazione del circuito stampato, gestione delle librerie dei componenti elettronici; Il programma CirCAD consente di usare funzioni di editing semplici e immediate; generare output grafici: stampa (con stampanti ad aghi, a getto di inchiostro e laser), plotter e output di fabbricazione per i photoplotter Gerber o di collaudo e testing utilizzando i programmi di CAM processor integrati nel pacchetto. Permette anche la conversione in importazione (import) o esportazione (export) dei dati nei formati dei CAD più diffusi; di integrarsi perfettamente e in modo automatico con le funzioni di progetto dei disegni di fabbricazione dei circuiti stampati e di sbroglio automatico delle piste e di stampare utilizzando i driver di stampa del sistema operativo.

CAPITOLO

11

I pacchetti software CAD rendono le operazioni di progetto e di disegno più efficienti ed efficaci; possono svolgere molte operazioni di controllo e verifica gestendo in modo efficiente la fase di sbroglio, sia in modo manuale sia automatico (autoroute), del layout dei circuiti stampati (Board). Utilizzando il pacchetto CAD sviluppato dalla Eagle, il disegnatore fin dalla fase di selezione dei vari elementi del disegno (resistenze, condensatori, circuiti integrati, connettori ecc.) deve caratterizzare il dispositivo associando al simbolo il contenitore (package) adatto. In questo modo, terminato, controllato e verificato, il disegno dello schema può generare la lista dei collegamenti (netlist) completa delle informazioni necessarie per la realizzazione dei disegni di fabbricazione del circuito stampato, cioè dei master, dei piani di foratura delle varie maschere serigrafiche ecc. Ogni azione di Eagle viene attivata da una stringa di comando. L’utente utilizza un’interfaccia di tipo Windows e pertanto non deve digitare le righe di comandi ma si limita ad attivarli cliccando su icone raggruppate in barre di strumenti o voci del menu. I comandi utilizzano nella loro azione dei valori parametrici che la orientano. I comandi, se non vengono variati dall’utente utilizzando apposite finestre di dialogo, utilizzano dei valori di default preimpostati. Il programma genera output grafici (stampa, plotter) e output di fabbricazione (Gerber) o di collaudo e testing utilizzando i programmi di CAM processor integrati nel pacchetto.

MODULO C Sintesi

189

MODULO C

VERIFICHE 1. Descrivi le parti che compongono un circuito stampato evidenziandole le caratteristiche, meccaniche, tecnologiche ed elettriche. 2. Descrivi il processo di fabbricazione dei circuiti stampati mediante fotoincisione, precisando nel dettaglio le caratteristiche di ogni operazione e i materiali impiegati. 3. Che cos’è un circuito stampato flessibile? Quali sono le sue caratteristiche tecnologiche e in quali apparecchiature elettroniche viene di norma impiegato? 4. Quali sono le principali operazioni che si devono effettuare per montare una scheda a circuito stampato? 5. Descrivi un circuito stampato evidenziando per ogni elemento che lo compone (piazzole, via, linee di connessione ecc.) sia la funzione che realizza sia le specifiche tecniche che lo caratterizzano. 6. Descrivi la procedura di realizzazione dei disegni di fabbricazione di un circuito stampato. Esponi, inoltre, le principali caratteristiche di ciascun tipo di disegno (artwork, master, piano di foratura ecc.). 7. In che cosa si differenzia la procedura di realizzazione manuale dei disegni di fabbricazione di un circuito stampato da quella automatizzata con un sistema CAD? Quali vantaggi offre? 8. Descrivi le caratteristiche della tecnica di cablaggio che impiega i dispositivi a montaggio superficiale, evidenziandone i pregi e i difetti. 9. Qual è la funzione del diagramma delle connettività nel programma di realizzazione dei disegni di fabbricazione di un circuito stampato OrCAD/Layout? Come si usa?

190

MODULO C Verifiche

MODULO

D

Dispositivi elettronici analogici CAP 12

AMPLIFICATORI OPERAZIONALI Prerequisiti  Disegno, analisi e interpretazione di uno schema elettronico.  Teoria delle reti elettriche.  Uso della strumentazione di base (multimetro, oscilloscopio, generatore di funzione ecc.).

Obiettivi Conoscenze  Caratteristiche elettriche, statiche e dinamiche degli amplificatori operazionali.  Principali configurazioni circuitali che utilizzano gli amplificatori operazionali.  Interpretazione dei parametri forniti dal costruttore sui fogli tecnici.

Competenze  Saper progettare e realizzare le apparecchiature elettroniche che utilizzano gli amplificatori operazionali.  Saper selezionare l’amplificatore operazionale più adatto a una certa applicazione.  Saper collaudare i circuiti elettronici che utilizzano gli amplificatori operazionali.  Saper disegnare, analizzare e collaudare con la strumentazione adatta i circuiti analogici.

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

191

CAP 12

AMPLIFICATORI OPERAZIONALI

Concetti chiave  Guadagno di tensione

in anello aperto  Guadagno di tensione

in modo comune  Larghezza di banda  Rapporto di reiezione

in modo comune  Slew rate  Tensione di offset

1 2 3 4

Caratteristiche elettriche Sorgenti di errore negli amplificatori operazionali Sorgenti di rumore esterne Simbolo grafico e sigla commerciale dell’amplificatore operazionale 5 Criteri di scelta degli amplificatori operazionali per un progetto elettronico 6 Accorgimenti pratici nell’uso degli operazionali 7 Amplificatori 8 Limitatori 9 Comparatori 10 Generatori di forme d’onda 11 Oscillatori sinusoidali 12 Filtri elettrici 13 Generatore di onde triangolari 14 Convertitori 15 Applicazioni non lineari Applicazione 1: Circuito di condizionamento per un trasduttore di temperatura Applicazione 2: Voltmetro con indicatore a led Applicazione 3: Circuito di controllo della tensione di carica di una batteria Applicazione 4: Controllo di temperatura Applicazione 5: Amplificatore con circuito silenziatore Applicazione 6: Generatore di forme d’onda 8038 Applicazione 7: Controllo di velocità di un motore in corrente continua L’amplificatore operazionale (OA) è una configurazione circuitale realizzata in forma integrata che presenta le seguenti proprietà: — guadagno di tensione differenziale molto elevato (maggiore di 10 000); — alto valore di impedenza di ingresso (più di 10 MW); — basso valore di impedenza di uscita (meno di 250 W); — elevata larghezza di banda; il circuito può elaborare senza attenuazione anche segnali di frequenza elevata; — possibilità di utilizzare resistenze di retroazione molto elevate senza che nel circuito si inneschino fenomeni di oscillazione spontanea.

OA

– Operational amplifier

Fig. 12.1 Amplificatore operazionale. _

_

+

V1

+

V2

Vo = Avol · (V2 – V1)

192

VO

L’amplificatore operazionale più comune presenta due ingressi differenziali e un’unica uscita; i due ingressi sono detti, rispettivamente, invertente e non invertente. Il segnale di uscita dell’amplificatore operazionale sarà in fase con il segnale applicato all’ingresso non invertente e in opposizione con quello applicato all’ingresso invertente. L’amplificatore accresce la differenza tra i segnali presenti ai suoi due ingressi. La figura 12.1 mostra il simbolo grafico utilizzato per rappresentare un amplificatore operazionale: l’ingresso invertente è identificato dal segno meno (“-”), quello non invertente dal segno più (“+”).

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

CMRR

– Common mode rejection ratio

BW

– Band width

PRINCIPI DI KIRCHHOFF

– Stabiliscono le relazioni tra correnti elettriche e differenza di potenziale nei circuiti a regime continuo

L’amplificatore tende ad amplificare anche una tensione di modo comune che presenti un’ampiezza pari alla media delle due tensioni applicate ai suoi ingressi. L’uscita generata da questa tensione è indesiderata e il costruttore fornisce al tecnico un parametro, detto rapporto di reiezione in modo comune (CMRR), che permette di valutarne l’influenza sul segnale di uscita. Tale rapporto è un indice dell’attitudine del circuito a non amplificare la tensione in modo comune, per cui il suo valore dev’essere il più alto possibile. Quando il comportamento di un circuito che utilizza un amplificatore operazionale controreazionato dipende dalla sola rete di reazione, l’amplificatore operazionale può essere considerato ideale. Le caratteristiche dell’amplificatore operazionale ideale sono: — guadagno di tensione differenziale in anello aperto infinito (Avol = •); — impedenza di ingresso infinita (Zi = •); — impedenza di uscita nulla (Zo = 0); — larghezza di banda infinita (BW = •); — rapporto di reiezione in modo comune infinito (CMRR = •); — insensibilità alle variazioni di temperatura. L’analisi e il progetto con circuiti operazionali possono essere effettuati applicando la teoria della controreazione oppure utilizzando i PRINCIPI DI KIRCHHOFF. Se l’amplificatore può essere considerato ideale, l’analisi e il progetto dei circuiti applicativi diventano più semplici; infatti, possiamo dedurre dal precedente elenco delle caratteristiche che: — non esiste differenza di potenziale fra i due ingressi; — non circola nessuna corrente verso i due ingressi; — la tensione di uscita è nulla quando la tensione di ingresso è, a sua volta, nulla. Gli ingressi degli amplificatori operazionali, grazie all’elevato valore dell’impedenza, non caricano i dispositivi che li pilotano, per cui il dimensionamento dei componenti che determinano le caratteristiche della configurazione circuitale realizzata risulta molto semplificato. La bassa resistenza di uscita (Ro Æ 0) fa sì che l’uscita dell’amplificatore operazionale possa essere assimilata a un generatore di tensione per il quale il segnale è indipendente dal valore del carico; i calcoli di dimensionamento possono quindi essere fatti senza tener conto dei circuiti a valle dell’amplificatore. Gli amplificatori operazionali possono essere facilmente collegati in cascata per ottenere funzioni circuitali complesse. È difficile realizzare amplificatori operazionali che presentino contemporaneamente alti valori di guadagno e una larghezza di banda elevata senza che ciò comporti una forte generazione di calore. La dissipazione di questo calore per convezione richiede l’adozione di contenitori metallici, quali il TO-3, che incidono sia sui costi di fabbricazione sia su quelli di installazione dell’utente. In realtà, quasi tutti gli amplificatori non di potenza utilizzano contenitori DIL di tipo plastico, che possono dissipare solo pochi milliwatt. Gli amplificatori operazionali commerciali sono quindi suddivisi in due categorie: 1. quelli con elevato guadagno e banda passante stretta; 2. quelli con basso guadagno e banda passante estesa.

CAP 12 Amplificatori operazionali

193

1 CARATTERISTICHE ELETTRICHE Gli amplificatori operazionali possono essere  ( Figg. 12.2a, b): — ad alimentazione singola, fino a qualche decina di volt; — ad alimentazione duale, da ± 5 a ± 18 V per quelli normali, e valori maggiori (40 ÷ 60 V) per quelli di potenza.

Figg. 12.2a, b Amplificatore operazionale con tensione di alimentazione: a. singola; b. duale.

_ + V2

VO

VCC

_ V1

+ V2

12.2a

GBW

VCC

V1

VO

VEE

12.2b

Le principali caratteristiche elettriche che definiscono il comportamento degli amplificatori operazionali sono: — guadagno di tensione in anello aperto Avol; — guadagno di tensione in modo comune Acm; — rapporto di reiezione in modo comune (CMRR); — resistenza di ingresso Ri; — resistenza di uscita Ro; — prodotto guadagno in anello aperto ¥ larghezza di banda (GBW = Avol ¥ BW).

– Gain-bandwidth product

Tutti questi parametri sono definiti per un certo valore della temperatura (in genere 25 °C) e della tensione di alimentazione, per esempio ± 15 Vdc. Queste grandezze di solito deviano in modo non lineare dal valore nominale fornito nella tabella di descrizione, per cui il costruttore fornisce varie curve caratteristiche che permettono di valutare il comportamento dei parametri più importanti. Una curva particolarmente interessante è quella che mostra l’andamento del guadagno in anello aperto Avol in funzione della frequenza del segnale di ingresso  ( Fig. 12.3). Importante per ottenere un corretto comportamento del dispositivo è anche la curva di dissipazione di potenza in funzione della temperatura. Il guadagno di tensione in anello aperto Avol è dato dal rapporto fra la tensione di uscita e quella di ingresso in assenza di reazione, mentre il guadagno di tensione in modo comune Acm è dato dal rapporto fra la tensione di uscita e quella di ingresso in modo comune. Il guadagno di tensione in anello aperto e la tensione di ingresso in modo comune variano al variare delle tensioni applicate fra le alimentazioni del circuito integrato; il loro valore può essere ricavato dalle curve caratteristiche delle figure 12.4a, b. Il guadagno di tensione in anello aperto così elevato fa sì che applicando in ingresso a un amplificatore operazionale (AO) un segnale di bassissimo livello (pochi mV) la tensione di uscita assuma un valore elevatissimo positivo (negativo) se la differenza fra i segnali di ingresso è positiva (negativa). La dinamica del segnale di uscita, in realtà, è limitata e dipende dalla tensione di alimentazione. L’escursione della tensione di

194

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

140 guadagno ad anello aperto (dB)

Fig. 12.3 Curva caratteristica del guadagno ad anello aperto in funzione della frequenza.

VCC = ± 15 V Ta = 25 °C

120 100

80 60 40 20 0 1

10

1k

100

10 k

100 k

1M

10 M

frequenza (Hz)

Figg. 12.4a, b Curve caratteristiche del guadagno in anello aperto e della tensione di ingresso in modo comune in funzione della tensione tra le alimentazioni (fonte: Motorola): a. voltage gain vs supply voltage for mA741C/E; b. input common mode voltage range vs supply voltage for mA741C/E.

uscita fra i due valori estremi, detti di saturazione, è descritta da una curva caratteristica che pone in relazione la tensione di uscita picco-picco con quella applicata fra i terminali di alimentazione  ( Fig. 12.5). Il CMRR è dato dal rapporto fra i guadagni di tensione in anello aperto e in modo comune; questo parametro misura la sensibilità dell’amplificatore alla differenza fra i segnali di ingresso, ignorando la componente comune a entrambi. La risposta in frequenza dell’amplificatore operazionale dev’essere la più ampia possibile, affinché esso sia in grado di amplificare i segnali in alta frequenza e di rispondere con la necessaria rapidità ai segnali che cambiano rapidamente nel tempo (segnali a gradino, onda quadra, onde triangolari). 16

TA = 25 °C open loop voltage gain (dB)

100 95 90 85 80 75

common mode voltage range (⫾V)

105

14 12 10

70

8 6 4 2 0

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 12.4a

0 °C ⱕ TA ⱕ 70 °C

supply voltage (⫾V)

5 12.4b

10

15

20

supply voltage (⫾V)

CAP 12 Amplificatori operazionali

195

40 peak-to-peak output swing (6V)

Fig. 12.5 Curva caratteristica della tensione di uscita picco-picco in funzione della tensione fra le alimentazioni per mA741C/E (fonte: Motorola).

36 32 28 24 20 16 12 8 4 0 5

10

15

20

supply voltage (6V)

Nella tabella 12.1 sono messi a confronto i valori reali e ideali dei parametri di alcuni amplificatori operazionali. Nei fogli tecnici, subito dopo la descrizione delle principali caratteristiche del componente vengono elencati numerosi parametri che indicano i valori massimi applicabili all’amplificatore operazionale: — il campo di variazione della tensione di alimentazione (supply range); — la potenza massima dissipabile; — la tensione di ingresso differenziale di potenziale (differential input range), che è la massima differenza di potenziale applicabile fra i due ingressi dell’amplificatore operazionale; — il campo di variazione massimo per le tensioni di ingresso (input voltage range); — la durata massima del corto circuito in uscita (output short circuit duration). Tabella 12.1 Confronto tra comportamento ideale e comportamento reale degli amplificatori operazionali SIGLA

IDEALE

LM741

LM318

TL081

Avol



200 ◊ 103

200 ◊ 103

200 ◊ 103

Resistenza di ingresso

Ri



2 MW

3 MW

1012 W

Resistenza di uscita

Ro

0

75 W

10 W

1 ∏ 10 W

Prodotto guadagno per larghezza di banda

GBW



1 Mhz

15 MHz

4 MHz

Rapporto di reiezione in modo comune

CMRR



95 dB

100 dB

100 dB

PARAMETRO

Guadagno di tensione in anello aperto

Altri parametri significativi degli amplificatori operazionali sono finalizzati al tipo di applicazione e sono: — la corrente di polarizzazione degli ingressi (IBIAS); — la corrente assorbita dall’alimentazione (IS); — la corrente di corto circuito (ICC). Sono anche definiti vari parametri che servono per qualificare e quantifi-

196

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

2 SORGENTI DI ERRORE NEGLI AMPLIFICATORI OPERAZIONALI La tensione di uscita di un amplificatore operazionale differisce da quella calcolata o prevista in base ai calcoli eseguiti prendendo a riferimento il componente ideale; si tratta di differenze riconducibili a errori di tre tipi: 1. di calcolo; 2. statici; 3. dinamici. Gli errori di calcolo sono imputabili al valore finito dei parametri dell’amplificatore operazionale reale, per il quale non è valida l’ipotesi secondo cui il comportamento dell’amplificatore controretroazionato dipende dalla sola rete di reazione.

Errori statici Gli errori statici sono dovuti alla presenza, all’interno del circuito, di generatori di tensione e di corrente che modificano il valore dell’uscita in regime permanente. I principali parametri per valutare l’errore statico sono: — la tensione di offset (VOS) che occorre applicare fra gli ingressi per ottenere una tensione di uscita nulla  ( Fig. 12.7b); — la corrente di polarizzazione di ingresso (IBIAS), data dalla media aritmetica delle due correnti di ingresso; il suo effetto è ridotto al minimo quando i due ingressi presentano la stessa impedenza di ingresso; — la corrente di offset di ingresso (IOS) che è la differenza fra le due correnti di polarizzazione quando la tensione di uscita è nulla. Figg. 12.7a, b Effetto della tensione di offset sul segnale di uscita: a. ingresso; b. uscita.

+10,05 V uscita

ingresso +

+1 V

10 V

0,5 V tensione di offset

+ 0V

0V _

t

t _

–1 V –9,95 V 12.7a

12.7b

Le figure 12.8a, b mostrano gli effetti della tensione di offset e della corrente di polarizzazione sulla tensione di uscita generata da due amplificatori operazionali connessi nella configurazione invertente e non invertente. L’effetto dei generatori di tensione o di corrente di errore può essere compensato in due modi: — aggiungendo un circuito esterno che squilibri gli stati differenziali di ingresso; — aggiungendo un generatore di tensione o corrente esterno che controbilanci l’effetto di quelli di errore.

198

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

R2 Figg. 12.8a, b Influenza della tensione di offset e della corrente di polarizzazione sulla tensione di uscita degli amplificatori operazioni connessi in configurazione invertente e non invertente: a. amplificatore invertente; b. amplificatore non invertente.

R1

+

R3

Vs 12.8a

Rin ≅ R1 dell’ AO tensione di errore per R3 = R1 // R2

_

Rin

Rs

GND

GND R2 R1

GND Rs

U1

V2

2

LM741

7

_

6

V1

3

1

+

5

VO

4

–VEE Fig. 12.9 Amplificatore operazionale: circuito di compensazione.

Rs 10 kW), bisogna preferire un amplificatore operazionale caratterizzato da basso valore di corrente di polarizzazione (bias current), optando per un BI-FET con ingressi a JFET o per uno a tecnologia bipolare ma espressamente progettato per avere bassi valori di corrente di polarizzazione. Per un amplificatore operazionale con ingressi a JFET la corrente di polarizzazione IBIAS è dell’ordine di una decina di picoampere. Nelle applicazioni a frequenze audio l’errore dovuto all’offset diventa poco importante, mentre diventa prioritario ridurre al minimo il rumore in uscita. A tale scopo il progettista può utilizzare bassi valori di impedenza nel circuito, limitare l’ampiezza della banda di frequenza trasmessa dal circuito, oppure scegliere un amplificatore operazionale progettato per minimizzare gli effetti del rumore. Per ulteriori informazioni sulle tecniche di riduzione del rumore vedi il paragrafo 3.

6 ACCORGIMENTI PRATICI NELL’USO DEGLI OPERAZIONALI Uno dei principali problemi che si verificano quando si effettuano misure con l’oscilloscopio su un circuito che utilizza amplificatori operazionali è la capacità di shunt (60 pF) verso terra che la sonda di misura introduce, causando la riduzione della larghezza di banda e l’attenuazione dei segnali di alta frequenza. Questo problema è molto evidente nei nodi che presentano un elevato valore di impedenza e quando si utilizzano le sonde passive. Per eliminare questo inconveniente è necessario scegliere sonde con ingressi a FET che riducono la capacità a un valore molto basso (1,5 pF). Nei sistemi elettronici che combinano circuiti analogici e digitali nello stesso contenitore e in spazi ristretti si manifestano problemi di accoppiamento che coinvolgono le masse dei due circuiti messe in comune. Il problema può essere parzialmente attenuato realizzando i collegamenti di massa nel modo indicato nella figura 12.18: il circuito digitale, quello analogico e quello di potenza seguono percorsi separati e sono connessi insieme in un solo punto di massa. Un altro accorgimento consiste nell’utilizzare cavetti accoppiati attorcigliati fra loro (twisted pairs).

208

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

Fig. 12.18 Percorsi dei collegamenti di massa in un sistema elettronico che contiene circuiti digitali, analogici e di potenza.

+15 VDC R2 _ _

Rs

+ alimentatore per i circuiti analogici

+

R1

RL

Vs power ground + analog ground

_ +

GND

–15 VDC

+5 VDC

+

alimentatore per i circuiti digitali GND

digital ground

EDS

– Electrostatics discharge

Nella realizzazione pratica bisogna prevedere il cablaggio di condensatori di bypass da 100 nF, posizionati in modo tale da risultare il più possibile vicini ai terminali di alimentazione del circuito analogico allo scopo di fornire sorgenti di energia locale (charge reservoirs) che alimenteranno in alta frequenza e nei transitori l’operazionale, nonché per ridurre gli impulsi spuri (glitch) sulle linee di alimentazione e di terra. I circuiti che operano con bassi livelli di segnale devono essere protetti con schermi di materiale magnetico ad alta permeabilità per prevenire accoppiamenti con frequenze di rumore indesiderato superiori ai 100 Hz. L’alimentazione attraverso un accoppiamento capacitivo con l’avvolgimento del trasformatore genera un rumore di linea (power line noise) che può essere ridotto avvolgendo il trasformatore in uno schermo elettrostatico. Ricordiamo inoltre che gli amplificatori operazionali sono sensibili alle scariche elettrostatiche (ESD); proprio questo fenomeno, che non viene quasi mai tenuto nella giusta considerazione, è spesso la causa di un gran numero di misteriosi guasti ai circuiti integrati. Il disturbo elettromagnetico può essere causato da induttori (per esempio, avvolgimento di un relè) suscettibili di generare una sovratensione letale per i circuiti integrati ubicati nelle vicinanze, o connessi con piste o fili che si trovano nello stesso contenitore. Un problema particolarmente grave, che dev’essere ben gestito soprattutto quando si realizza un circuito stampato, è quello delle basse correnti di ingresso (dell’ordine dei picoampere) degli amplificatori opera-

CAP 12 Amplificatori operazionali

209

zionali con ingressi a JFET. Una corrente di 1 pA che percorre una resistenza di 15 TW genera una caduta di tensione di 15 V; ciò significa che un materiale di solito considerato isolante, se viene percorso anche da una bassissima corrente diventa quasi un cortocircuito. Questo problema risulta evidente quando la connessione viene realizzata su un circuito stampato: tra due piste di un circuito stampato poste a una distanza di 0,05 in (1,27 mm), che corrono parallele, vi è una resistenza a 125 °C di 1011 W; con una tensione di 15 V, fra le due piste può fluire una corrente di 150 pA. A causa di queste correnti superficiali il circuito analogico può assumere un comportamento strano e imprevedibile. Il problema può essere attenuato utilizzando i cosiddetti anelli di guardia (guard ring), che consistono in piste di rame che sul circuito stampato cerchiano i nodi più sensibili; questi anelli vengono connessi a massa (o a un livello di tensione) in modo tale da ridurre la differenza di potenziale fra l’anello di guardia e il nodo interno da proteggere. Per esempio, un nodo non invertente viene protetto connettendo l’anello di guardia al punto a più bassa impedenza della rete di reazione che riporta il segnale in ingresso. Un’ultima, importante raccomandazione è quella di non connettersi ai terminali con pinzette o coccodrilli in plastica perché per questi bassi valori di corrente (picoampere) la plastica è un conduttore e quindi può causare accoppiamenti indesiderati; si dovrebbero utilizzare sonde in teflon. Nella realizzazione di circuiti con amplificatori operazionali una particolare cura va posta nella scelta dei componenti passivi (resistori, potenziometri, condensatori): le tolleranze devono essere appropriate, i componenti molto stabili nel tempo, i coefficienti di temperatura adeguati alle derive termiche ammesse nel campo di variabilità prevista per la temperatura.

7 AMPLIFICATORI È definito amplificatore un circuito in grado di accrescere, di una quantità prestabilita, l’ampiezza di un segnale elettrico senza alterarne la forma. Gli amplificatori sono classificati in base alla grandezza elettrica amplificata (amplificatori di tensione, di corrente, di potenza) e alla potenza trasferita dal generatore al carico (amplificatori di segnale, di potenza). Le caratteristiche di funzionamento di un amplificatore sono definite confrontando il segnale ottenuto in uscita con quello applicato in ingresso. L’insieme di queste caratteristiche è genericamente indicato come risposta dell’amplificatore. I suoi elementi fondamentali sono: — il guadagno, che è il rapporto fra la grandezza in uscita e quella applicata all’ingresso dell’amplificatore; — la risposta in fase, che indica l’andamento dello spostamento di fase del segnale di uscita rispetto a quello di ingresso; — la risposta in frequenza, che mostra l’andamento del guadagno al variare della frequenza del segnale sinusoidale d’ingresso; è definita dalla larghezza di banda (BW) misurata come differenza tra le frequenze di taglio  ( Fig. 12.19); — il tempo di salita di un impulso, che è il tempo di transizione impiegato dall’uscita per passare dal 10 al 90% del valore finale, quando viene applicato un impulso in ingresso  ( Fig. 12.20).

210

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

Fig. 12.19 Risposta in frequenza di un amplificatore.

A A 0,9 A

A A 0,707 A

0,1 A Fig. 12.20 Tempo di salita.

fti 12.19

fts

f

tempo di salita

t

12.20

Le principali anomalie di funzionamento presentate dagli amplificatori sono la distorsione, il rumore e il ronzio. La distorsione si manifesta quando il segnale riprodotto in uscita non ha la stessa forma di quello in ingresso, ed è causata dalla relazione non lineare fra segnale d’uscita e segnale d’ingresso e dalla limitazione della banda dell’amplificatore. Il comportamento non lineare dell’amplificatore e il guadagno incostante a tutte le frequenze fanno sì che non tutte le armoniche del segnale di ingresso vengano amplificate in modo uguale, per cui il segnale di uscita (costituito dalla somma di tutte le singole componenti armoniche amplificate) risulta, nella forma, diverso da quello di ingresso. La distorsione, prodotta dalla non linearità degli elementi attivi e dalla risposta in frequenza degli amplificatori, può essere ridotta utilizzando apposite reti di controreazione. Il rumore ha origine nel moto statistico degli elettroni nelle resistenze e nei transistor. Queste fluttuazioni generano una piccola tensione di rumore di pochi microvolt. Il ronzio è un segnale che si manifesta in uscita ed è in genere dovuto alla tensione di alimentazione; assume valori significativi solo se il segnale di ingresso è molto debole. Gli amplificatori di potenza vengono utilizzati per fornire una potenza di notevole entità a un carico. La potenza erogata può andare dai pochi watt di un amplificatore audio alle centinaia o migliaia di watt richiesti dai trasmettitori radio. L’uscita di un amplificatore per audiofrequenze è utilizzata per pilotare un dispositivo elettroacustico dopo aver provveduto a un adattamento di impedenza per rendere massima la potenza trasferita al carico e la risposta in frequenza. Gli amplificatori di potenza sono catalogati per classi di funzionamento: A, AB, B, C  ( Vol. 3).

Amplificatore invertente con amplificatore operazionale Un amplificatore invertente ha la tensione di uscita in opposizione di fase con la tensione in ingresso. La figura 12.21 mostra lo schema elettrico dell’amplificatore e le equazioni di dimensionamento. Il guadagno di tensione in anello aperto Avol assume in tutti gli amplificatori operazionali valori elevati, per cui il dimensionamento viene effettuato mediante la formula ridotta. Il valore della resistenza R2 dev’essere molto più basso di quello della resistenza di ingresso Rin dell’amplificatore operazionale, per evitare che nel nodo invertente si formi un partitore di corrente. Gli operazionali con ingresso a JFET o MOS presentano valori di resi-

CAP 12 Amplificatori operazionali

211

stenza di ingresso Rin così elevati che possono tollerare qualsiasi valore di R2. Inoltre, la resistenza R2 si pone in parallelo alla resistenza di carico, per cui deve assumere un valore tale da non richiedere all’amplificatore operazionale una corrente di uscita maggiore di quella massima ammissibile: VO max < IO max R2 // RC L’errore dovuto alle correnti di offset in un amplificatore invertente  ( Fig. 12.8) può essere minimizzato anche in presenza di una resistenza R1 di valore elevato scegliendo un operazionale con una corrente di polarizzazione molto bassa, come quella degli amplificatori operazionali con ingressi a JFET. Valori tipici di R1 sono compresi fra 1 kW e 100 kW per gli AO con ingressi bipolari, e fra 10 kW e 10 MW per quelli a JFET. La resistenza R3 serve per equilibrare la corrente di polarizzazione. La sua presenza è necessaria se le resistenze R1 e R2 assumono valori elevati. L’amplificatore invertente proposto può realizzare amplificazioni in anello chiuso molto elevate pur mantenendo l’impedenza di ingresso entro valori medi. Nella figura 12.21, in basso, è proposto uno schema alternativo di amplificatore invertente che permette di ottenere elevati valori di amplificazione in anello chiuso pur mantenendo l’impedenza di ingresso entro valori medi.

Fig. 12.21 Configurazioni circuitali e formule di dimensionamento degli amplificatori invertenti.

Schema elettrico

Amplificatore di tensione

Vo R2 =− ⋅ VI R1

R2 +Vcc 2 _ 7

R1

3 +

VI R3

Io

6

4

VO

−Vee

RL

3

VI R5

+

−Vee R3

con R1 >> Rs

Rin = R1 se R3 Rs

R5 =

R1 ⋅ R2 R1 + R2

se

R3 > Rs) si calcola: R2 = 100 kΩ R3 = 9 kΩ 8,2 kΩ 10 kΩ DATI Vo = 1000 VI

Rs = 1 kΩ DIMENSIONAMENTO si pone: R1 = 10 kΩ (R1 >> Rs) R3 = 100 kΩ si calcola: R2 = 100 kΩ R5 = 9 kΩ 8,2 kΩ 10 kΩ

Note A: guadagno ad anello aperto dell’amplificazione operazionale (> 1000); Rs: resistenza del generatore di ingresso.

212

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

Se gli offset a temperatura ambiente vengono annullati con appositi circuiti esterni  ( Figg. 12.9 e 12.10) mediante una procedura di taratura apposita, nel dimensionamento si devono considerare solo gli effetti delle derive termiche. La deriva termica della tensione di uscita misurata entro un campo di variazione della temperatura di 70 °C è pari a: R2 ˆ ◊ DVos + R2 ◊ DIos Voff = Ê 1 + Ë R1¯

N 12.2

Nei manuali tecnici le variazioni DVos e DIos non sono sempre riportate, ma in alternativa sono forniti i valori massimi validi entro un certo campo di temperatura. La scelta dei valori normalizzati da attribuire alle resistenze dell’amplificatore invertente può agevolmente essere fatta con la tabella 12.2, che presenta i rapporti fra resistenze normalizzate della serie E12 con tolleranza al 10%. Individuato il rapporto di amplificazione o attenuazione desiderato, si può determinare la coppia di resistori che lo approssima con il minore errore; il valore di resistenza così ottenuto va poi moltiplicato per un coefficiente (un multiplo di dieci) per ottenere i valori della resistenza nella scala desiderata (di solito in kW). Tabella 12.2 Rapporti fra resistori appartenenti alla serie normalizzata E12 (tolleranza 10%) TUTTI I POSSIBILI RAPPORTI FRA RESISTENZE RIFERITE A:

RESISTENZE AL

10%

R1

R2

1,2

1,5

1,8

2,2

2,7

3,3

3,9

4,7

5,6

6,8

8,2

1,0

0,833

0,667

0,556

0,455

0,370

0,303

0,256

0,213

0,179

0,147

0,122

1,2

1,0

0,800

0,667

0,545

0,444

0,364

0,308

0,255

0,214

0,176

0,146

1,5

1,25

1,0

0,833

0,682

0,556

0,455

0,385

0,319

0,268

0,221

0,183

1,8

1,56

1,20

1,0

0,818

0,667

0,545

0,462

0,383

0,321

0,265

0,220

2,2

1,83

1,47

1,22

1,0

0,815

0,667

0,564

0,468

0,393

0,324

0,268

2,7

2,25

1,80

1,50

1,23

1,0

0,818

0,692

0,574

0,482

0,397

0,329

3,3

2,75

2,20

1,83

1,50

1,22

1,0

0,846

0,702

0,589

0,485

0,402

3,9

3,25

2,60

2,17

1,77

1,44

1,18

1,0

0,830

0,696

0,574

0,476

4,7

3,92

3,13

2,61

2,14

1,74

1,42

1,21

1,0

0,839

0,691

0,573

5,6

4,67

3,73

3,11

2,55

2,07

1,70

1,44

1,19

1,00

0,824

0,683

6,8

5,67

4,53

3,78

3,09

2,52

2,06

1,74

1,45

1,21

1,0

0,829

8,2

6,83

5,47

4,56

3,73

3,04

2,48

2,10

1,74

1,46

1,21

1,0

Amplificatore non invertente con amplificatore operazionale L’amplificatore non invertente della figura 12.22 genera un segnale di uscita che è in fase con quello di ingresso. Questa configurazione circuitale va usata in tutte le applicazioni in cui è richiesta un’elevata impedenza di ingresso.

CAP 12 Amplificatori operazionali

213

L’uscita dell’amplificatore operazionale ha come resistenza in uscita quella offerta dal parallelo fra la resistenza di carico e la resistenza totale fornita dalla somma delle resistenze in serie R1 e R2; per mantenere inalterate le caratteristiche di generatore di tensione ideale dell’uscita, la resistenza complessiva R1 + R2 non dev’essere troppo bassa rispetto alla resistenza di carico. Se la resistenza R3, che serve per riequilibrare le correnti di polarizzazione, viene omessa, si dovrà scegliere una sorgente di segnale Rs la cui resistenza sia eguale al parallelo fra R1 e R2.

Fig. 12.22 Configurazioni circuitali e formule di dimensionamento degli amplificatori non invertenti. Schema elettrico

Amplificazione di tensione VO R2 = 1+ VI R1

R2

R1 R3 VI

2 _ 3 +

+Vcc 7

Resistenza di ingresso Rin = Rcm

Resistenze di compensazione R3 =

R1 ⋅ R2 R1 + R2

tale che 6

4 −Vee

Io VO

per ingressi • bipolari 10 MΩ • MOS 1500 MΩ

RL

Esempio DATI VO = 11 VI Rs = 1 kΩ

R3 > Rs

amplificatore non invertente

Note Rcm: resistenza in modo comune dell’amplificatore operazionale; Rs: resistenza del generatore di ingresso.

Le figure 12.23a, b propongono due modi diversi di disporre i componenti discreti attorno al simbolo dell’amplificatore operazionale per realizzare un amplificatore non invertente. U1

Figg. 12.23a, b Due possibili modi di rappresentazione circuitale dell’amplificatore non invertente: a. modo che evidenzia il segnale di ingresso; b. modo che evidenzia la rete di controreazione.

VI R1

R2

+ _

VO

U1 R2

_ VO VI

+ R1

12.23a

12.23b

Sommatore invertente e non invertente Entrambi i circuiti generano in uscita un segnale che è pari alla somma dei segnali di ingresso amplificati della quantità imposta dal rapporto fra la resistenza di controreazione e la resistenza posta sul terminale di ingresso. Nel circuito sommatore invertente l’uscita è in opposizione di fase, mentre in quello non invertente l’uscita è in fase.

214

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

Fig. 12.24 Configurazioni circuitali e formule di dimensionamento dei sommatori invertenti e non invertenti.

La figura 12.24 mostra le configurazioni circuitali tipiche dei sommatori invertenti e non invertenti. La figura 12.25 mostra un circuito sommatore in cui al segnale di ingresso viene sommata una tensione dell’ordine dei millivolt che, opportunamente regolata, annulla l’effetto dell’errore in uscita dovuto alla tensione di offset. La rete di resistenze R1-R2-R3 dev’essere calcolata in modo tale che la tensione di uscita Vreg sia dello stesso ordine di grandezza della tensione di offset. Amplificazione di tensione

Schema elettrico

R4

R1

V1

2

7

3 +

R5 = R1 // R2 // R3 // R4

VO V 1 V 2 V 3⎞ = R2 ⋅ ⎛⎝ + + R3 R4 R5 ⎠ VI

R1 // R2 = R3 // R4 // R5

R1, R2, R3 >> Rs

Io 6

4

R3

V3

VO V 1 V 2 V 3⎞ = − R4 ⋅ ⎛⎝ + + R1 R2 R3 ⎠ VI

+Vcc _

R2

V2

Resistenze di compensazione

VO

−Vee

RL

R5

amplificatore invertente

R2

R1 R3 V1 R4 V2

2

+Vcc _

3 +

7

Io 6

4 −Vee

VO

RL

R5 V3

amplificatore non invertente

Fig. 12.25 Circuito sommatore utilizzato per compensare la tensione di offset.

+Vcc VO = – R4

R2 100 k

R1 100 k

Vreg = ±

Vreg

R3 100

VI ± Vreg R5

100 12 = ± 12 mV 100 · 103

R4 100 k

–Vee GND

+12 V

R5 10 k

2 _

VI

7 6

3 +

GND

VO

4 –12 V

CAP 12 Amplificatori operazionali

215

La tensione del generatore vale: Vreg = ±

N

R3 ◊ VCC R2

12.3

dove: VCC è la tensione di alimentazione simmetrica, che nello schema proposto vale VCC = ± 12 Vdc

Inseguitore di tensione a guadagno unitario L’amplificatore di tensione a guadagno unitario (voltage follower) viene ricavato dal circuito base dell’amplificatore non invertente annullando la resistenza di controreazione (R2 = 0) ed eliminando la resistenza verso massa (R1 = •). Le figure 12.26a, b mostrano le due configurazioni circuitali tipiche degli inseguitori di tensione. Questa configurazione circuitale presenta la più grande banda passante che sia possibile ottenere da un amplificatore operazionale, un elevato valore di impedenza di ingresso (per cui non altera il segnale in ingresso) e un basso valore di impedenza di uscita; viene utilizzata per disaccoppiare circuiti in cascata in modo da semplificare il dimensionamento del circuito in esame. Questi circuiti, quando sono realizzati con dispositivi dedicati, vengono indicati nella letteratura tecnica come buffer. Figg. 12.26a, b Configurazioni circuitali e formule di dimensionamento degli inseguitori di tensione: a. senza compensazione della corrente di polarizzazione; b. con compensazione della corrente di polarizzazione.

VO = VI ZI = Rcm

+Vcc 2 _

7 6

3 +

VI

4

VO

U1 LM741

non compensa la corrente di polarizzazione

–Vee 12.26a R

VO = VI ZI = Rcm

+Vcc 2 _

7 6

VI

R

12.26b

3 +

4

U1 LM741

VO

compensa la corrente di polarizzazione se R = Rs

–Vee

Amplificatore differenziale La tensione di uscita di un amplificatore differenziale è proporzionale alla differenza fra le tensioni applicate ai due ingressi riferite al potenziale di massa (terra). La figura 12.27 mostra lo schema dell’amplificatore differenziale e le relative formule di dimensionamento. L’errore di offset dovuto alle correnti di polarizzazione è minimo quando le resistenze R1, R2, R3 e R4

216

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

DIA

– Differential instrumentation amplifier

Fig. 12.27 Configurazioni circuitali e formule di dimensionamento dell’amplificatore differenziale.

sono uguali. Le resistenze utilizzate per realizzare questa configurazione circuitale hanno in genere una tolleranza dell’1%. La figura 12.28 mostra un particolare tipo di amplificatore differenziale: quello per strumentazione (DIA). Un amplificatore per strumentazione è un blocco circuitale che amplifica la tensione differenziale di ingresso e presenta un alto valore di impedenza per entrambi gli ingressi, sia invertente sia non invertente; ciò assicura che il guadagno dell’amplificatore non sia influenzato dalla resistenza serie Rs del generatore di segnale applicato all’ingresso. Le caratteristiche di base dell’amplificatore per strumentazione sono: — alta impedenza di ingresso e bassa impedenza di uscita; — bassa tensione di fuori zero (offset); — alta linearità; — guadagno stabile; — capacità di eliminare la tensione in modo comune presente agli ingressi. Tensione di uscita

Schema elettrico R2

R1

2

V2 R3 V2 R4

VO =

+Vcc _

7

3 +

4 −Vee

se VO

R4 ⎞ R2 R4 V2 − ⎛⎝ V1 − V2 × R3 + R4 ⎠ R1 R3 + R4

R2 R2 ⎞ R4 V1 V2 − VO = ⎛⎝ 1 + × R1 R1⎠ R3 + R4

Io 6 U1 LM741

Resistenza di ingresso se

R1 R3 = R2 R4

allora ZI = R1

R2 R1 R3 = allora VO = (V2 − V1 ) R1 R2 R4

RL

se R1 = R2 = R3 = R4 allora VO = V2 – V1

amplificatore differenziale

+V Fig. 12.28 Amplificatore differenziale per strumentazione.

VI1

3

7

+

6 2 _

4

+V

R3 1%

–V

R1

R4 1%

2 _

7 6

R2 1% R2 1%

3 +

VO

4 –V

+V 2 _

7 6

VI2

3 +

4

R3 1% R4 1% R4 R2 1+ R3 R1 Zi = Rcm

VO =

–V GND

(VI 2 – VI 1 )

CAP 12 Amplificatori operazionali

217

PGIA

– Programmable gain instrumentation amplifier

Queste proprietà lo rendono adatto ad amplificare con alti valori di guadagno i segnali a basso livello prodotti da molti tipi di trasduttori; sensori quali le termocoppie e le sonde biologiche producono segnali differenziali di uscita a basso livello sovrapposti a una tensione di polarizzazione in modo comune, che questo tipo di amplificatore può eliminare. Quando il guadagno dell’amplificatore per strumentazione è programmabile, esso è indicato nella letteratura tecnica con la sigla PGIA. L’amplificatore differenziale della figura 12.27 presenta alcuni seri inconvenienti: le impedenze di ingresso sono differenti fra loro e di basso valore, e l’amplificazione è difficilmente regolabile in quanto è problematico mantenere uguali i valori delle resistenze. Per mantenere la costanza dei rapporti (R1/R2 = R3/R4) è necessario variare contemporaneamente i valori delle coppie di resistenze. A tale scopo si potrebbe utilizzare un potenziometro doppio con albero di comando in comune, ma la precisione ottenibile, a causa delle elevate tolleranze dei potenziometri, è molto bassa. Nell’amplificatore per strumentazione  ( Fig. 12.28), l’amplificazione è regolata variando la resistenza R1, che è anche l’unico dispositivo non simmetrico del circuito. La resistenza di ingresso è elevatissima perché gli ingressi sono connessi direttamente a quelli non invertenti. Il CMRR dell’amplificatore dipende dalla costanza del rapporto delle resistenze (R1/R2 = R3/R4), costanza che viene ottenuta utilizzando resistori con una tolleranza di fabbricazione molto bassa: non più dell’1%. Un’ottima scelta progettuale consiste nel sostituire resistori discreti con resistori appartenenti a un’unica rete resistiva integrata con tolleranza di fabbricazione dell’1% e con identico coefficiente di temperatura, in modo che eventuali variazioni di temperatura non alterino la costanza dei rapporti e mantengano costante il CMRR. Se tutte le resistenze di ingresso presentano lo stesso valore, la tensione di uscita è pari al doppio della tensione differenziale di ingresso. Gli amplificatori per strumentazione sono realizzati anche in forma integrata. Questi microcircuiti sono ottimizzati per preamplificare il segnale di ingresso di basso livello in presenza di rumore in modo comune, e nelle apparecchiature professionali sono da preferire a quelli realizzati con componenti discreti. Il guadagno degli amplificatori IA monolitici varia da 1 a 1000 ed è regolabile mediante una sola resistenza variabile esterna.

Amplificatore con amplificatori operazionali ad alimentazione singola La figura 12.29 propone un circuito ad alimentazione singola in grado di amplificare un segnale in corrente alternata applicato in ingresso. L’amplificatore operazionale è alimentato con una tensione singola + VCC, per cui il segnale di uscita può variare senza distorsioni solo con un’ampiezza pari a VCC; il segnale può dunque avere, al massimo, un’ampiezza pari a VCC /2. I condensatori di disaccoppiamento in ingresso (C1) e in uscita (C2) permettono la trasmissione della sola componente alternata del segnale di ingresso, che viene amplificata del rapporto R2/R1 e sfasata di 180°. Il partitore R3/R4 provvede a polarizzare il segnale alternato di ingresso in modo tale che esso possa avere la massima dinamica possibile, cioè pari a VCC /2. Il valore dei condensatori di disaccoppiamento dipende dalle frequenze di taglio imposte.

218

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

R2

Fig. 12.29 Amplificatore disaccoppiato in corrente alternata ad alimentazione singola.

+V

C1

R1

VI

_

C2 VO

+V + GND

R3

U1 LM318

R4

GND

NOA

– Norton operational amplifier

La figura 12.30 mostra l’applicazione di un particolare circuito operazionale detto amplificatore di Norton (NOA). In questo tipo di amplificatore operazionale, che funziona ad alimentazione singola, la tensione di uscita è proporzionale alla differenza delle correnti applicate agli ingressi. L’amplificatore di Norton più utilizzato è LM3900 della National Semiconductor che contiene, in un contenitore DIL a 14 pin, quattro amplificatori.

Fig. 12.30 Amplificatore di segnale in corrente alternata con amplificatore di Norton.

R2

+V

C1

R1

VI

_

C2 VO

+V +

R3

U1 LM3900

GND

Per ottenere una dinamica pari a VCC /2 occorre ricavare, utilizzando il principio della sovrapposizione degli effetti, il valore della tensione di uscita, valore che dipende dalla corrente che circola nel morsetto non invertente, controllata dalla resistenza R3. Senza segnale in ingresso la corrente I- è: I- =

VO R2

I+ =

VCC R3

N 12.4

-

+

Considerando l’amplificatore ideale, si ha che I = I , per cui è possibile ottenere un segnale VO = VCC /2, pari alla massima dinamica possibile del segnale, solo se: R3 = 2 ◊ R2

N 12.5

CAP 12 Amplificatori operazionali

219

Amplificatori non lineari Figg. 12.31a, b Configurazioni circuitali e formule di dimensionamento degli amplificatori non lineari: a. amplificatore logaritmico per segnali di ingresso positivi; b. amplificatore logaritmico per segnali di ingresso negativi. K⋅T = 26 mV (a 25 °C) q

K T q Is

costante di Boltzmann temperatura (in gradi assoluti) carica dell’elettrone corrente inversa

I non lineari amplificano il segnale di ingresso secondo una legge non lineare, un funzionamento ottenuto utilizzando nella rete componenti di tipo non lineare. Le figure 12.31a, b mostrano, con le relative equazioni di dimensionamento, due amplificatori non lineari: quello logaritmico e quello antilogaritmico. Per amplificare segnali d’ingresso negativi è sufficiente sostituire il transistor bipolare NPN con uno del tipo PNP: al posto del bipolare NPN, l’amplificatore logaritmico che amplifica i segnali di ingresso negativi utilizza un transistor del tipo PNP. Questi circuiti sono utilizzati per l’elaborazione analogica dei segnali per ottenere le funzioni matematiche ln x, log x, elevamento a potenza, divisione e moltiplicazione, nonché per elaborare segnali che variano entro un campo di valori molto esteso (da pochi microvolt a qualche decina di volt). Mediante l’amplificazione logaritmica si opera una compressione dei valori tale che per ogni decade (..., 0-1, 10-100, 100-1000, ...) di variazione della tensione di ingresso viene generata una variazione costante della tensione di uscita.

Q1

R

VI

R

_ VO +

U1

R1

VI K⋅T ⋅ ln VO = − q R ⋅ ISQ

VI

Q1

_ VO +

U1

R1

per β > 50

VO = − R ⋅ ISQ ⋅ e

VI K ⋅T q

per β > 50

D

R D

R

VI

VO +

_

VI

_ U1

VI K⋅T ⋅ ln VO = − q R ⋅ ISD

VO +

U1

VO = − R ⋅ ISD ⋅ e

VI K ⋅T q

R1

R1 12.31a

12.31b

L’amplificatore antilogaritmico che amplifica segnali di ingresso positivi è ottenuto sostituendo il transistor bipolare NPN con uno del tipo PNP. Questi circuiti presentano una notevole deriva termica della corrente inversa del diodo o del transistor. Inoltre, le variazioni della corrente inversa sono alquanto limitate, soprattutto nella realizzazione con il diodo a giunzione. Prestazioni circuitali di buona qualità si ottengono con particolari microcircuiti ibridi studiati per ottimizzare le caratteristiche di questo tipo di dispositivo, che comprendono, nella configurazione circuitale, anche elementi atti a compensare le derive termiche. L’industria realizza parecchi tipi di microcircuiti ibridi per l’elaborazione analogica dei segnali, al cui interno sono utilizzati, come operatori fondamentali, amplificatori logaritmici e antilogaritmici. I circuiti di più largo impiego sono: moltiplicatori, divisori, elevatori a potenza, estrattori di radici, calcolatori di logaritmi e antilogaritmi, misuratori del valore efficace di una tensione.

220

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

8 LIMITATORI Un circuito limitatore (clipper) può agire per saturazione, per interdizione o per deformazione. I limitatori per saturazione operano deformando la forma d’onda al di sopra di un valore prestabilito, oppure impedendo che l’ampiezza del segnale da limitare superi il livello di tensione imposto. Un circuito limitatore sfrutta, in genere, la caratteristica di trasferimento non lineare dei dispositivi elettronici; il tipo più semplice è ottenuto usando i diodi a semiconduttore o diodi Zener. Le figure 12.32a-e mostrano alcuni tipici circuiti limitatori realizzati con componenti passivi e le relative forme d’onda. Figg. 12.32a-e Configurazioni circuitali e formule di dimensionamento dei limitatori passivi: a. limitazione della tensione positiva di uscita mediante diodo Zener; b. limitazione delle tensioni positiva e negativa di uscita mediante diodo Zener; c. limitazione delle tensioni positiva e negativa di uscita mediante diodi a giunzione; d. limitazione della tensione positiva di uscita mediante un diodo Zener e un diodo a giunzione; e. raddrizzatore.

VI t R VI

VO D

VZ

VO

t

12.32a R VI

D1

+ VZ +VS

VO

VI

– VZ –VS

D2

t

12.32b R VI

+VO

D1

D2 VO

+VS –VS

12.32c

t

R VO

D1 VI

+VZ +VS

VO

t

D2 12.32d D2 VO VI 12.32e

VO

R t

Quello della figura 12.32a è un semplice circuito limitatore realizzato con un diodo Zener posto in parallelo al carico in uscita. La resistenza R serve per polarizzare il diodo Zener in modo corretto. Quando la tensione di ingresso è inferiore alla tensione di Zener, il segnale viene trasmesso in uscita invariato; quando la tensione di Zener viene superata, il diodo

CAP 12 Amplificatori operazionali

221

entra in conduzione e la tensione di uscita resta costante. Il circuito della figura 12.32b è simile al precedente, ma la limitazione è estesa anche ai valori negativi del segnale di ingresso. Gli stessi circuiti possono essere realizzati utilizzando anche diodi a giunzione che, se al silicio, sono caratterizzati da una caduta di tensione di soglia di circa 0,7 V, per cui possono essere utilizzati per limitare la tensione di uscita. Nel circuito della figura 12.32c la tensione di uscita varia fra - 0,7 e + 0,7 V. Il circuito della figura 12.32d mostra come sia possibile elevare la tensione di Zener connettendo in serie uno o più diodi a giunzione. Il circuito della figura 12.32e mostra il comportamento di un circuito di limitazione a interdizione realizzato con un diodo a giunzione che conduce solo quando è polarizzato direttamente. Con quest’ultimo circuito, detto raddrizzatore, viene eliminata la tensione negativa presente in ingresso. Il comportamento di ogni circuito è descritto con un diagramma cartesiano che mostra la relazione esistente fra il segnale applicato in ingresso e quello misurabile all’uscita del circuito limitatore. Le figure 12.33a-d mostrano alcuni circuiti limitatori utilizzati con le principali configurazioni degli amplificatori operazionali per limitare il valore della tensione di uscita. Come nelle figure 12.32a-e, la limitazione avviene alla tensione Vz quando si utilizza il solo diodo Zener, alla tensione di Zener incrementata dalla tensione di soglia del diodo a giunzione quando esso è polarizzato direttamente. I quattro circuiti non differiscono, nel loro comportamento, da quelli presentati nelle figure 12.32a-e. Il circuito della figura 12.33d effettua il raddrizzamento della tensione di ingresso; in uscita si avrà la semionda positiva invertita e amplificata. Quando, infatti, in ingresso si applica una tensione positiva, il diodo D2 entra in conduzione e il diodo D1 è interdetto. Osserviamo che la configurazione circuitale risultante è quella dell’amplificatore non invertente, per cui il circuito amplifica il segnale di ingresso (– R2/R1). Quando il segnale di ingresso è negativo, il diodo D2 si interdice, il diodo D1 entra in conduzione e l’amplificazione di tensione si annulla. Il comportamento di ogni circuito è descritto con un diagramma cartesiano che mostra la relazione esistente fra il segnale applicato in ingresso e quello misurabile all’uscita del circuito limitatore.

Figg. 12.33a-d Configurazioni circuitali e formule di dimensionamento dei limitatori attivi: a. amplificazione del segnale di ingresso negativo; b. limitazione del segnale di uscita positiva e negativa; c. amplificazione e limitazione del solo segnale negativo; d. amplificazione del segnale di ingresso positivo. D1

D1 VI

R2 VI

R1

R2

t

+V _

VI VO

+ 12.33a

VO +VZ –VS

VO + t

–V D2

+V _

VO –VS

D1

R1

12.33b

t

–V R2

VI

D1 R2 VI

R1

t

+V VI

_ VO +

12.33c

222

–V

R1

VO

+V _

D2 VO

VZ1 VZ2

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

+ t

12.33d

–V

t

9 COMPARATORI Un comparatore genera un’uscita di tipo binario. La tensione di uscita può assumere solo due valori, che dipendono dalla relazione di ampiezza esistente tra due segnali applicati ai suoi ingressi analogici. Se il circuito comparatore è costruito con un amplificatore che possiede un guadagno di tensione molto elevato, è sufficiente una piccola differenza tra i segnali di ingresso per fare in modo che la tensione in uscita raggiunga uno dei due valori di saturazione del dispositivo. La differenza di tensione minima tra gli ingressi che fa commutare il dispositivo rappresenta un indice della sensibilità del comparatore. Tale sensibilità viene misurata calcolando il rapporto tra la differenza tra i due valori assoluti dell’uscita e il guadagno in anello aperto del comparatore. Questi circuiti forniscono sempre in uscita un’informazione di tipo binario che indica quale dei due segnali applicati agli ingressi è maggiore. Opportunamente limitata e adattata, tale informazione può essere convertita in un segnale compatibile con i livelli logici dei microcircuiti di tipo digitale. L’amplificatore operazionale è particolarmente adatto per la realizzazione del circuito comparatore. Il suo elevato guadagno in anello aperto fa sì che la tensione di saturazione in uscita sia raggiunta anche quando ai suoi ingressi si applica un piccolo segnale (pochi millivolt). Questa proprietà, che rappresenta una limitazione quando l’amplificatore operazionale è usato come amplificatore, è particolarmente utile in questo tipo di applicazione: infatti, quanto più grande è l’amplificazione in anello aperto tanto più piccola è la differenza di tensione in grado di commutare la tensione di uscita e, quindi, tanto maggiore la precisione del comparatore. Un altro importante parametro è il tempo di propagazione, che dev’essere molto basso. I costruttori di amplificatori operazionali hanno progettato microcircuiti particolarmente adatti per questo impiego; nei manuali tecnici essi sono raccolti in una specifica sezione dedicata ai comparatori di tensione (voltage comparators). Questi dispositivi possono essere indifferentemente alimentati con tensioni singole o duali, e possiedono un’elevata velocità di risposta. Di solito il comparatore è utilizzato per paragonare una tensione fissa costante, detta di riferimento, applicata a un suo ingresso, a una tensione variabile applicata all’altro ingresso. Le figure 12.34a, b, c mostrano tre circuiti comparatori. Il circuito della figura 12.34a mostra un circuito comparatore con tensione di riferimento positiva applicata sul terminale non invertente con il relativo diagramma della forma d’onda. L’uscita è a tensione di saturazione positiva, prossima al valore della tensione di alimentazione  ( Fig. 12.4); quando il segnale applicato al terminale invertente supera la tensione di riferimento, la tensione di uscita satura al valore negativo. Questo tipo di comparatore è molto sensibile al rumore  ( Fig. 12.35): un’oscillazione intorno al valore di riferimento provoca una commutazione indesiderata dell’uscita o oscillazioni incontrollate. Il circuito della figura 12.34b, detto comparatore a isteresi o trigger di Schmitt, utilizza come tensione di riferimento applicata al terminale non invertente quella ricavata dalla rete R1-R2. La tensione

CAP 12 Amplificatori operazionali

223

Figg. 12.34a, b, c Configurazioni circuitali e formule di dimensionamento dei comparatori: a. comparatore senza isteresi; b. comparatore con isteresi; c. rivelatore di zero.

VI

R1

VI Vref

VO +VOH

+V _

VO Vref 12.34a

VI

Vref

-VOL

+

-V +V VO

V

+

+V R1

t

-VOL

t

VI

VO +VOH -VOL

R2

R1 12.34b

VI

+ V

-VOL

-V

Vref

VO +VOH

VI V+ V-

VO +VOH

_

R3

VI

+VOH

_

VO -VOL

+

-V 12.34c

t

VI Vref

VO

0

t

VI

t VO +VOH -VOL

t

di riferimento applicata a questo ingresso è funzione del valore della tensione di uscita, per cui si ricavano due valori della tensione di riferimento: R1 R2 ◊ Vref + ◊ VOL VrL = 12.6 R1 + R2 R1 + R2 R1 R2 12.7 ◊ Vref + ◊ VOH R1 + R2 R1 + R2 La differenza fra queste due tensioni è detta isteresi del comparatore e vale: R1 DV = VrH - VrL = (VOH - VOL ) ◊ 12.8 R1 + R2 VrH =

_ VI ~ en

Vref

VO +

GND VI Vref

0

t

VO +Vsat 0

t

–Vsat

Fig. 12.35 Effetto del rumore sovrapposto al segnale di ingresso di un comparatore senza isteresi.

224

N N N

La resistenza di compensazione della tensione di offset è uguale al parallelo fra R2 e R3. Il circuito utilizza quindi due tensioni di riferimento, per cui quando il segnale di ingresso VI è minore della tensione di riferimento VrH (V +), la tensione di uscita è al valore di saturazione positivo VOH. Quando il segnale di ingresso supera tale valore, l’uscita si porta al valore di saturazione negativo, e quindi anche la tensione di riferimento si abbassa al valore VrL (V -). La successiva commutazione si avrà, di conseguenza, a un valore di tensione inferiore a quello precedente. La commutazione riporta l’uscita al valore di saturazione positivo e ripristina la tensione di riferimento al valore alto. Nella letteratura tecnica i valori VrH e VrL sono indicati come tensione di soglia superiore e tensione di soglia inferiore del trigger. Questo circuito è utilizzato: — per rigenerare impulsi; — per trasformare segnali di forma diversa (sinusoidale, triangolare) in segnali rettangolari; — come rivelatore di soglia.

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

10 GENERATORI DI FORME D’ONDA Nella letteratura tecnica, la dizione forma d’onda viene utilizzata per definire l’aspetto grafico di un diagramma che illustra l’insieme dei valori istantanei che una grandezza elettrica assume nel tempo. Le forme d’onda possibili sono infinite, in pratica, però, quelle utili sono solo alcune, idealizzate e descritte attraverso un’equazione matematica (sviluppo in serie di Fourier) che permette al tecnico di simulare il comportamento del circuito. Le forme d’onda possono essere periodiche (o continue) e aperiodiche (o transitorie). Le forme d’onda più utilizzate nei circuiti elettronici sono quelle sinusoidali, quadre, a dente di sega e triangolari  ( Figg. 12.37a-d ). I circuiti elettronici che generano le varie forme d’onda sono detti circuiti generatori o formatori d’onda. Fra questi ricordiamo: i limitatori, i multivibratori, gli oscillatori.

12.37a

12.37b

Multivibratori

12.37c

12.37d Figg. 12.37a-d Forme d’onda: a. sinusoidale; b. quadra; c. a dente di sega; d. triangolare.

Multivibratore astabile

226

I multivibratori costituiscono una classe di oscillatori a rilassamento la cui tensione di uscita può assumere solo due valori distinti. Quelli realizzati con componenti discreti sono formati da due dispositivi elettronici attivi che attraverso una rete di controllo vengono posti nello stato di saturazione (piena conduzione) o in quello di interdizione (conduzione nulla). I multivibratori possono essere di tre tipi: — astabili, caratterizzati da due stati instabili; — monostabili, caratterizzati da uno stato stabile e da uno stato instabile; — bistabili, caratterizzati da due stati stabili. Uno stato è stabile quando il dispositivo mantiene, nel tempo, il suo stato di conduzione o di interdizione. Uno stato è instabile quando resta in uno stato solo per un tempo predefinito e poi, automaticamente, ritorna nell’altro stato stabile. Nelle figure e tabelle che presentiamo successivamente, i multivibratori che impiegano amplificatori operazionali funzionano in regime di saturazione ed è necessario controllare che non venga mai superata la tensione differenziale massima di ingresso del dispositivo. In molte applicazioni occorre anche limitare l’escursione della tensione in uscita con apposite reti di limitazione, per esempio con due diodi Zener. L’accoppiamento fra i due dispositivi elettronici viene effettuato per mezzo di due condensatori. Tale collegamento è intrinsecamente instabile, per cui il circuito commuta dallo stato di interdizione a quello di saturazione automaticamente. Il periodo dell’onda quadra generata è pari alla somma degli intervalli di interdizione, che dipendono direttamente dalle costanti di tempo di carica dei condensatori di accoppiamento. La figura 12.38 propone un multivibratore astabile ottenuto con un amplificatore operazionale. Il multivibratore astabile viene realizzato unendo nello stesso circuito un integratore passivo e un comparatore a isteresi. Inizialmente il condensatore è scarico: la tensione di ingresso è inferiore a quella di soglia superiore VtH del comparatore a isteresi, per cui la tensione

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

di uscita si porta al valore di saturazione VOH. Il condensatore si carica e, dopo un certo tempo t2 che dipende dalla costante di tempo RC, raggiunge la tensione di soglia superiore del trigger VtH, il comparatore commuta e la tensione di uscita si porta al valore di saturazione negativo VOL. VI VtH

Fig. 12.38 Multivibratore astabile.

R

+V U1 2 _ 7 6 3 + 4

+

C

VtL t VO

VO

VOH

−V

t

VOL t1

Vref R1

t2

R2

T

t1 = R ⋅ C ⋅ ln

VOL − VtH VOL − VtL

VtL =

R1 R2 VOL Vref + R1 + R2 R1 + R2

t2 = R ⋅ C ⋅ ln

VOH − VtL VOH − VtH

VtH =

R1 R2 VOH Vref + R1 + R2 R1 + R2

se R1 = R2; VOH = – VOL allora VtH = – VtL =

VO 1 0, 45 = ; il duty−cycle è al 50%; T = 2, 2 ⋅ R ⋅ C; f = 2 T R⋅C

Il condensatore, quindi, si scarica con legge esponenziale in un tempo t1; la tensione sul condensatore raggiunge il valore di quella di soglia inferiore del trigger che commuta in uscita a VOH. Il condensatore ricomincia a caricarsi ripetendo il ciclo. Le figure 12.39a, b mostrano due configurazioni circuitali derivate da quella di base che permettono di variare il duty-cycle della forma d’onda. D1

R2

Figg. 12.39a, b Controllo del duty-cycle di un generatore di onde quadre: a. il periodo dell’onda rimane costante al variare del duty-cicle; b. il periodo dell’onda varia al variare del duty-cicle.

R1

D2

R3

2 +

_

3 +

C

R4

+V U1 LM741 7 6

VO

C

+

R2

D2

_

+V U1 LM741 7 6

VO

4 −V

R3

R5

t2 = ((1 − α) R1 + R2) C ln

D1

3 +

4 −V

per R2 = R3 VOL − VtH t1 = (α R1 + R2) C ln VOL − VtL

12.39a

2

R1

VOH − VtL VOH − VtH

R4

t1 = R1 ⋅ C ⋅ ln

VOL − VtH VOL − VtL

t2 = R2 ⋅ C ⋅ ln

VOH − VtL VOH − VtH

12.39b

CAP 12 Amplificatori operazionali

227

Multivibratore monostabile

Fig. 12.40 Multivibratore monostabile.

Il multivibratore monostabile presenta in uscita uno stato stabile e uno stato instabile, per cui un dispositivo si trova in saturazione e uno in interdizione. Il circuito passa dallo stato stabile allo stato instabile quando in ingresso viene applicato un impulso che provoca la transizione del segnale di uscita. Il circuito rimane nello stato instabile per un tempo determinato, in genere, dalla costante di tempo di carica di un condensatore, dopodiché l’uscita ritorna allo stato stabile. La figura 12.40 mostra un multivibratore monostabile, realizzato con un amplificatore operazionale, completo delle relative formule di dimensionamento. +V C1

7

2 _

VI

VI

U1 LM741 6

R1

VO

3

Vref

+

t VO +V

4 –V

t

–V t1 C2

R2

se + V = –V t1 = R2 · C 2 · ln

Multivibratore bistabile

Fig. 12.41 Multivibratore bistabile.

2·V Vref

Il multivibratore bistabile presenta due stati stabili. Ogni dispositivo può restare indefinitamente nello stato di conduzione o, alternativamente, di interdizione. La commutazione da uno stato all’altro avviene applicando in ingresso un impulso di ampiezza e durata opportune. La figura 12.41 mostra un multivibratore bistabile realizzato con un amplificatore operazionale. C1

2

VI R1

_

3 +

+V 7

6

VI VO

4 –V

R2

U1 LM741

R3

t VO +V –V

t

Generatore di impulsi Il generatore di impulsi è un circuito elettronico che genera un segnale di uscita di forma impulsiva, cioè un segnale che è caratterizzato da una brusca variazione di tensione da zero a un valore finito (ampiezza dell’impulso), che rimane costante per un breve periodo (durata dell’impul-

228

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

so), e dal successivo, brusco ritorno al valore nullo. Se il valore di tensione raggiunto è positivo, l’impulso viene definito positivo, altrimenti viene definito negativo. Per realizzare un generatore di impulsi si ricorre a circuiti multivibratori che generano onde rettangolari di breve durata. Questa soluzione viene utilizzata soprattutto con i circuiti digitali in cui la commutazione avviene solamente su un fronte della transizione del segnale di ingresso. Il multivibratore monostabile permette di ottenere un solo impulso in uscita (one-shot), quello astabile una serie di impulsi di periodo pari alla sua frequenza di oscillazione (free-running). Il progetto di un generatore di impulsi deve tenere conto di una serie di parametri: forma, ampiezza, durata, tempo di salita e di discesa dell’impulso. I circuiti derivatori permettono di ottenere un impulso nel modo più semplice. Questi circuiti sono adatti per realizzare circuiti di trigger, infatti la forma d’onda in uscita è caratterizzata da un ripido fronte seguito da un lento ritorno alle condizioni iniziali. I circuiti derivatori sono ottenibili sia con un circuito L-R sia con un circuito C-R alimentati con un generatore d’onde rettangolari; l’impulso che si origina a ogni transizione è positivo per le transizioni positive e negativo per quelle negative  ( Figg. 12.42a, b). C

Figg. 12.42a, b Circuiti derivatori: a. impulsi positivi e negativi; b. impulsi solo positivi.

R

IN

OUT

R

T = ___ L

IN

L R1

t VO

OUT t

C

R2

IN

VI

= R.C

OUT

= (R1 + R2) . C

12.42a R1

C

R2

IN

VI D

OUT t

R1

IN

C

R2

VO

D

R3

t

OUT

12.42b

CAP 12 Amplificatori operazionali

229

La tensione di uscita inizialmente è pari all’ampiezza del gradino di tensione di ingresso e poi decresce secondo la legge:

N

VO = V ◊ e - t ◊ t

12.9

dove: VO è la tensione di uscita V è l’ampiezza della tensione a gradino di ingresso t è la costante di tempo; t = R · C per il circuito C-R e t = L/R per il circuito L-R t è il tempo L’uscita approssima nel modo migliore la derivata rispetto al tempo della tensione di ingresso quando il coefficiente t assume valori molto piccoli. L’impiego di un diodo rettificatore o limitatore permette di rendere la forma d’onda in uscita unidirezionale.

Generatore di impulsi di tensione a dente di sega Un generatore di tensione a dente di sega abbastanza lineare è ottenibile con il circuito di principio mostrato nella figura 12.43. Fig. 12.43 Modello ideale di un circuito generatore di un segnale a dente di sega.

+V

+V

R

R

S1 OFF

S1 ON 0

S1

C

t

S1

C

VC

GND

Fig. 12.44 Generatore a dente di sega che utilizza un transistor UJT.

230

GND

0

t

Il generatore di tensione (+ V) carica la capacità C tramite la resistenza R con costante di tempo RC; l’interruttore a bassa resistenza viene chiuso quando la tensione sul condensatore raggiunge l’ampiezza massima del dente di sega. L’interruttore del circuito di principio viene sostituito dal transistor unigiunzione, e l’ampiezza del dente di sega è fissata dalla sua ( Fig. 12.44). tensione Vp (tensione di soglia)  Inizialmente il condensatore è scarico. Alimentando il circuito, il condensatore si può caricare attraverso la resistenza R1, in quanto la giunzione del transistor è polarizzata inversamente e quindi non si ha conduzione nella base del transistor. Quando la tensione sul condensatore raggiunge la tensione di soglia Vp, il transistor presenta una resistenza emettitore-base negativa, che decresce rapidamente, e il condensatore si può scaricare rapidamente verso massa attraverso una linea a bassa resistenza. Sulla resistenza R3 è possibile misurare un impulso. Quando il condensatore si è scaricato, il ciclo ricomincia e continua poi a ripetersi finché il circuito viene alimentato.

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4. 5.

Come vengono classificati i circuiti multivibratori? Descrivi il principio di funzionamento di un multivibratore astabile. Descrivi il principio di funzionamento di un multivibratore monostabile. Descrivi il principio di funzionamento di un multivibratore bistabile. Descrivi un circuito generatore di impulsi.

11 OSCILLATORI SINUSOIDALI Gli oscillatori generano tensioni o correnti in uscita che variano periodicamente nel tempo. L’energia necessaria per il loro funzionamento viene prelevata da un alimentatore in corrente continua. Gli oscillatori sinusoidali sono ricavati da amplificatori che funzionano in modo instabile. La condizione di instabilità è ottenuta retroazionando l’amplificatore, cioè riportando in ingresso una parte del segnale di uscita. Se, alla frequenza di oscillazione, il prodotto del guadagno dell’amplificatore senza retroazione per il fattore di retroazione è uguale all’unità, in uscita si ha una tensione sinusoidale anche in assenza del segnale di ingresso. Se, invece, è inferiore all’unità, le oscillazioni tendono a smorzarsi fino a cessare. Se, infine, è superiore all’unità, le oscillazioni tendono a esaltarsi e a saturare l’amplificatore, per cui l’ampiezza del segnale di uscita risulta limitata dai valori di saturazione. La condizione che esprime matematicamente la condizione di oscillazione (per il criterio di Barkhausen) è la seguente: ßA=1 Essendo quest’ultima un’espressione vettoriale, essa si traduce in due equazioni scalari: modulo fase

|ßA|=1 F = 0° (2 p, 4 p, ...)

Oscillatori a sfasamento La figura 12.45a mostra, con le relative formule di dimensionamento, un oscillatore a sfasamento realizzato con un amplificatore operazionale in configurazione non invertente. L’amplificatore a sfasamento, mediante una rete di almeno tre celle R-C, provvede a sfasare in anticipo di 180° il segnale di uscita che viene riapplicato all’ingresso dell’amplificatore. Il circuito oscillerà alla frequenza a cui la rete di celle R-C sfasa il segnale di 180°. Deve essere: R1 > 12 R

N 12.10

Alla resistenza R1 si può porre in serie un termistore NTC che stabilizza l’ampiezza dell’onda generata in uscita. All’aumentare dell’ampiezza del segnale di uscita, per effetto del riscaldamento generato dalla maggiore corrente circolante, la resistenza del termistore diminuisce, riducendo il guadagno dell’oscillatore e quindi l’ampiezza del segnale di uscita. Questo tipo di oscillatore viene utilizzato per generare onde sinusoidali con frequenza da pochi hertz a centinaia di hertz.

CAP 12 Amplificatori operazionali

231

Oscillatori a ponte

PTC

– Positive temperature coefficient

Gli oscillatori a ponte utilizzano un amplificatore che non sfasa il segnale in uscita, mentre la rete di reazione è formata da un ponte di impedenze che, alla frequenza di equilibrio, presenta le tensioni sulle diagonali in fase. Poiché un ponte in equilibrio presenta una tensione di uscita nulla, il ponte va progettato in modo che sia leggermente squilibrato, ma mantenendo la condizione di fase nulla fra le tensioni sulle diagonali. La figura 12.45b mostra lo schema di un oscillatore a ponte di Wien, che utilizza impedenze formate da gruppi R-C. La stabilità del circuito può essere migliorata impiegando, al posto di R1, un termistore NTC, oppure, al posto di R2, un termistore con coefficiente di temperatura positivo (PTC, lampada al tungsteno). Le figure 12.45a, b mostrano due circuiti identici ma con una differente disposizione dei componenti discreti attorno all’elemento attivo dell’oscillatore.

Figg. 12.45a, b Oscillatori sinusoidali: a. oscillatore a sfasamento; b. oscillatore a ponte di Wien.

R1 C

C

C

R

2 _

+V 7

3 +

R

4

6

VO

U1 LM741

fO =

−V

12.45a

R1

R3

C1

2 _

+V 7

3 + R2

C2

R4

4 −V

R4

6 VO U1 LM741 layout a)

R3 2 _

+V U1 LM741 7 6

3 +

VO

4 −V

C2

1 (Hz) 2⋅π ⋅ 3 ⋅ R⋅C

R2

R1

12.45b

C1 layout b)

1 (Hz) 2 ⋅ π ⋅ R1 ⋅ R2 ⋅ C 1 ⋅ C 2 R3 = 2 ⋅ R4 se R = R1 = R2 e C = C1 = C2 fO =

fO =

1 (Hz) 2⋅π ⋅ R⋅C

Oscillatori a cristallo Gli oscillatori a cristallo impiegano come elemento reattivo un quarzo piezoelettrico: un cristallo che ha la proprietà di entrare in vibrazione quando è sottoposto all’azione di una tensione alternata. Il dispositivo elettromeccanico è realizzato usando il cristallo come dielettrico di un condensatore. Le frequenze di risonanza possono variare da poche centinaia di hertz a qualche milione. Il fattore di merito del quarzo è molto elevato e stabile

232

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

Y1

+V + C1 GND GND

U1

-V

VO C2

GND

Fig. 12.46 Oscillatore con quarzo piezoelettrico.

nel tempo. Il circuito elettrico equivalente del quarzo è formato da un condensatore e da un’induttanza. Entro un ristretto campo di frequenze esso si comporta come un’induttanza, al di fuori di tale campo si comporta come una capacità. La figura 12.46 mostra un oscillatore ricavato dall’oscillatore di Colpitts, nel quale il quarzo ha sostituito l’induttanza presente nel ramo di reazione. L’oscillatore oscillerà a una frequenza compresa fra quelle a cui il quarzo si comporta da induttanza; la stabilità in frequenza delle oscillazioni è garantita dal fatto che una pur piccola variazione di frequenza comporta una forte variazione di impedenza del quarzo, con una conseguente variazione del guadagno in anello che ripristina il valore di frequenza iniziale (| ß·A = 1 |).

12 FILTRI ELETTRICI I filtri elettrici sono reti elettriche che operano un’attenuazione selettiva dei segnali elettrici di ingresso. Il loro comportamento in frequenza è descritto graficamente da una curva attenuazione-frequenza e analiticamente da un’equazione, detta funzione di trasmissione, data dal rapporto fra i segnali sinusoidali di uscita e quelli di ingresso. La sua analisi permette di ottenere una descrizione del comportamento dell’attenuazione e della fase del filtro in funzione della frequenza. La banda di attenuazione è formata dall’insieme dei valori di frequenza a cui il segnale di ingresso viene attenuato, quella di trasmissione dai valori di frequenza a cui il segnale di ingresso viene trasferito. In base al tipo di componente sono classificati in: — filtri passivi, quando sono costruiti solo con elementi passivi (resistenze, condensatori, induttanze); — filtri attivi, quando, oltre agli elementi passivi, vi è un elemento attivo, per esempio un transistor o un amplificatore operazionale. In base alle bande di trasmissione e di attenuazione sono invece classificati in: — filtri passa-basso, che trasmettono con attenuazione accettabile tutti i segnali, dalla corrente continua frequenza nulla, fino a un valore di frequenza finita detto frequenza di taglio del filtro; da questo valore di frequenza si ha una forte attenuazione dei segnali; — filtri passa-alto, che trasmettono con sufficiente uniformità in una banda di frequenza superiore alla frequenza di taglio (fino alla massima frequenza da trasmettere); attenuano tutte le componenti che precedono la frequenza di taglio; — filtri passa-banda, che trasmettono senza attenuazione solo le componenti del segnale comprese nella banda di frequenza delimitata da una frequenza di taglio inferiore e una frequenza di taglio superiore; le componenti del segnale al di fuori della banda di trasmissione sono fortemente attenuate; — filtri elimina-banda, che permettono la trasmissione in tutto il campo di variazione delle frequenze, con esclusione di un insieme di valori delimitati dalle frequenze di taglio inferiore e superiore per i quali l’attenuazione è sensibile.

CAP 12 Amplificatori operazionali

233

DECIBEL

(dB)

– Misura il rapporto fra due grandezze omogenee, trasformandolo in una quantità additiva. Date due grandezze omogenee G1 e G2, il loro rapporto espresso in dB vale:

1 2

G1 Rapporto (dB) = 10 log10 —— G2

Le figure 12.47a-d illustrano il comportamento ideale dei vari tipi di filtro. In realtà l’attenuazione aumenta o diminuisce gradatamente all’aumentare della frequenza; la pendenza della retta che approssima questa variazione viene misurata in DECIBEL per ottava e caratterizza il filtro. Il comportamento del filtro approssima in modo migliore quello ideale se, nei pressi della frequenza di taglio, la pendenza della retta è molto elevata. Ciò può essere ottenuto connettendo in cascata più celle filtranti dello stesso tipo.

ft

fi

ft 12.47c

t

fs

t

12.47b

12.47a

Figg. 12.47a-d Caratteristiche ideali dei filtri elettrici: a. passa-basso; b. passa-banda; c. passa-alto; d. elimina-banda.

fs

fi

t 12.47d

I filtri sono utilizzati nelle applicazioni elettroniche per consentire la trasmissione dei segnali desiderati e per attenuare quelli indesiderati, in genere disturbi. Per esempio, nei motori a collettore si applica un condensatore in parallelo ai morsetti per sopprimere i disturbi dovuti alle scintille provocate dalle commutazioni. I filtri possono essere interposti fra due apparecchiature elettroniche per evitare interazioni indesiderate. Un campo di applicazione tipico dei filtri è quello delle apparecchiature per audiofrequenza. Per esempio, le casse acustiche di riproduzione dei suoni utilizzano più altoparlanti. Ogni altoparlante è costruito in modo tale da riprodurre fedelmente solo segnali che operano in bande di frequenza limitate, per cui occorre realizzare un filtro ripartitore di banda (cross over) che separi le varie frequenze contenute nel segnale. Tale filtro sarà composto, nel caso ci siano tre altoparlanti, da: un filtro passa-basso per il canale a bassa frequenza, un filtro passa-alto per il canale ad alta frequenza e un filtro passa-banda per il canale a media frequenza. Le reti utilizzabili per la realizzazione dei filtri, sia passivi sia attivi, dipendono dal tipo di prestazione che si desidera ottenere, dai componenti elettronici impiegati e dal campo di applicazione. È quindi necessario consultare, per avere un’analisi più dettagliata delle formule di progetto, testi specializzati.

234

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

Filtri passivi Nelle figure 12.48a-d vengono mostrate le configurazioni circuitali tipiche di alcuni filtri passivi realizzati sia con reti R-C sia con soli elementi reattivi. I filtri puramente reattivi trasmettono con meno perdite nella banda di trasmissione rispetto al tipo R-C, ma sono, a causa della presenza dell’induttanza, più difficili da realizzare e più costosi. I filtri passivi attenuano sempre il segnale di ingresso, e inoltre risentono del valore della resistenza di carico. Figg. 12.48a-d Filtri passivi: a. passa-basso; b. passa-alto; c. passa-banda; d. elimina-banda.

L

IN

R

OUT

C

IN

C

OUT

12.48a

C

C

IN

OUT

L

IN

R

OUT

12.48b

L1

IN

C1

C2

L2

OUT

12.48c

L1

C1

L2

IN

OUT C2

12.48d

Filtri attivi Le figure 12.49a, b, c e 12.51a, b, c mostrano alcuni filtri attivi realizzati usando come elemento attivo un amplificatore operazionale. La presenza dell’elemento attivo permette di ottenere un segnale di uscita amplificato e un filtro che non risente dell’effetto della resistenza di carico. I filtri possono essere prodotti anche utilizzando come elementi attivi transistor bipolari o JFET. Nei paragrafi successivi descriveremo solo due circuiti fondamentali: quello integratore che si comporta come un filtro passa-basso con atte-

CAP 12 Amplificatori operazionali

235

nuazione di 6 dB per ottava, e quello derivatore che si comporta come filtro passa-alto, sempre con un’attenuazione di 6 dB per ottava. Un filtro passa-banda si può ottenere collegando in cascata un filtro passa-alto e un filtro passa-basso e facendo in modo che le due frequenze di taglio coincidano con quelle inferiori e superiori del filtro passabanda che si vuole realizzare. Un filtro arresta-banda si può ottenere collegando in cascata un filtro passa-basso e un filtro passa-alto e facendo in modo che le due frequenze di taglio coincidano con quelle inferiori e superiori del filtro arresta-banda che si vuole realizzare. Per ottenere filtri con pendenze di attenuazione più elevate occorre ricorrere a configurazioni circuitali più complesse, che richiedono un’analisi più dettagliata. Questa analisi viene più propriamente e pienamente sviluppata nei corsi di Elettronica generale. Consigliamo anche la consultazione dei manuali tecnici specializzati.

Circuito integratore Il circuito integratore è un circuito che esegue sul segnale di ingresso l’operazione matematica di integrazione nel tempo  ( Figg. 12.49a, b, c): VO (t) = -

N

1 ◊ VI (t) ◊ dt R1 ◊ C Ú

12.11

Dal punto di vista della risposta in frequenza, si comporta come un filtro passa-basso e la sua amplificazione decresce di 6 dB per ottava (20 dB per decade). Nella figura 12.49b , che mostra il diagramma di Bode delle attenuazioni, sono stati definiti tutti i principali parametri che caratterizzano questo circuito utilizzato come filtro passa-basso. Se il segnale applicato è un gradino di tensione: VI = 0 VI = E

per t < 0 per t > 0

dove: E è l’ampiezza del gradino di tensione Figg. 12.49a, b, c Filtri attivi (circuito integratore): a. circuito passivo; b. circuito attivo ideale; c. circuito attivo reale.

Con il condensatore inizialmente scarico, la tensione di uscita vale: VO = -

N

VI ◊t R1 ◊ C

12.12

C C

VI

R1

VO C

VI

R1

GND

VI,VO +Vsat 0 −Vsat

−V



236

t

VO

1 VO (t) = − VI (t) ⋅ dt R1 ⋅ C

12.49a

VI

+V _ +

GND

R2

12.49b

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

VI

R1

VO

1 pendenza = − −−−−−−− R1 . C

+V _

VO

+

GND

12.49c

Av(dB) R1 −−− R2 0

−V

w (rad/s) 1 wp = − −−−−−−− R2 . C 1 pendenza = − −−−−−−− R1 . C wp

La tensione di uscita varia quindi linearmente nel tempo; un segnale di questo tipo è detto rampa. Il circuito integratore utilizzato con segnali a gradino è denominato generatore di rampa o integratore di Miller. L’integratore ideale tende a essere molto sensibile ai disturbi a bassa frequenza; per valori di frequenza molto bassi l’amplificazione aumenta rapidamente perché la reattanza capacitiva (per cui l’integratore può saturarsi) diminuisce fino ad annullarsi. Questo inconveniente viene superato  ( Fig. 12.49c) collegando in parallelo al condensatore una resistenza di alto valore (R2), che limita il guadagno alle basse frequenze. L’operazione di integrazione viene effettuata solo con segnali aventi ingresso di frequenza superiore a: f =

1 2 ◊ p ◊ R2 ◊ C

N 12.13

Al di sotto di questa frequenza il circuito si comporta come un normale amplificatore invertente che guadagna R2/R1. Affinché il circuito mantenga in uscita buone caratteristiche di linearità è sufficiente imporre che:

N 12.14

R2 > 10 ◊ R1 VI E

12.50a

t

VO E

Il condensatore utilizzato in un circuito integratore deve essere del tipo a basse perdite, e quindi con un basso angolo di perdita. Le figure 12.50a, b mostrano il comportamento dell’integratore passivo sollecitato da un gradino positivo e da un gradino negativo. Quando si applica un gradino di tensione positivo, il condensatore raggiunge il valore E di carica secondo una legge di tipo esponenziale:

(

VO (t) = E ◊ 1 - e - k ◊ t

)

N 12.15

dove: 12.50b Figg. 12.50a, b Risposta di un circuito integratore passivo a un segnale di ingresso a gradino: a. segnale di ingresso; b. segnale di uscita.

t

VO E k t

è la tensione di uscita è l’ampiezza del gradino di tensione in ingresso è la costante di integrazione 1/(R2 · C) è il tempo

Quando invece si applica un gradino di tensione negativo, il condensatore si scarica secondo la legge esponenziale: VO (t) = E ◊ e - k ◊ t

N 12.16

Circuito derivatore Il circuito derivatore è un circuito che esegue sul segnale di ingresso l’operazione matematica di derivata rispetto al tempo  ( Fig. 12.51a, b, c):

N

d VI (t) 12.17 dt Quando in ingresso viene applicata una rampa di tensione, l’uscita assume un valore costante pari a: R2 ◊ C VI VO = 12.18 T dove: VO (t) = - R2 ◊ C ◊

N

T è il periodo dell’onda in ingresso

CAP 12 Amplificatori operazionali

237

In alta frequenza il segnale di uscita, a causa dell’alto valore presentato dalla reattanza capacitiva, tende ad aumentare fino al valore di saturazione. Il circuito reale  ( Fig. 12.51c) risolve il problema anche se modifica la legge di variazione della tensione di uscita, che assume un andamento esponenziale quando viene sollecitata da un segnale di ingresso a forma di rampa. Quanto più breve è il tempo di salita, tanto migliore è l’approssimazione dell’operazione di derivazione. In pratica il circuito può essere considerato un circuito derivatore solo per frequenze inferiori a: f =

N

1 2 ◊ p ◊ R1 ◊ C

12.19

Per valori superiori a questa frequenza il circuito si comporta come un normale amplificatore invertente che amplifica R2/R1. Valori tipici di R1 vanno da 47 a 330 W, mentre la resistenza di compensazione dell’offset R3 dev’essere uguale a R2. Dal punto di vista della risposta in frequenza il circuito si comporta come un filtro passa-alto e la sua amplificazione aumenta di 6 dB per ottava (20 dB per decade). La figura 12.51b , mostra tutti i principali parametri che caratterizzano questo circuito utilizzato come filtro passa-alto. Figg. 12.51a, b, c Filtri attivi (circuito derivatore): a. circuito passivo; b. circuito attivo ideale; c. circuito attivo reale.

C VO

VI R1 GND

12.51a

R1 VI ,VO +Vsat C

+V

VI

0

_

t

VO

VO

+ GND

–Vsat

–V

VO ( t ) = –R 1 · C ·

12.51b

d VI ( t ) dt

R2

R1

C

+V

VI

_ VO +

12.51c

238

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

VI

GND

–V

13 GENERATORE DI ONDE TRIANGOLARI Il generatore di onde triangolari della figura 12.52 impiega un comparatore a soglia non invertente (con tensione di riferimento nulla) che pilota un integratore la cui uscita è utilizzata come ingresso del comparatore (anello di retroazione). C

2 _

VO VSH

+V U1 7

VO 2 _

6

3

+

+V U2 7 6

R3 4 –V

3

+

R2

Fig. 12.52 Generatore di onde triangolari.

VO

t

VO +V

4 –V

R1

VSL

R1 R2 R1 1 T = = 4 · R3 · C · f R2 t1 = t2 = 2 · R3 · C ·

t

–V t2

t1 T

Se l’uscita del comparatore è alta (VOH) e il condensatore è scarico, l’integratore invertente genera una rampa a pendenza negativa; quando la tensione in ingresso al comparatore raggiunge la tensione di soglia inferiore (VSL), il comparatore commuta e l’uscita si porta al valore di saturazione inferiore (VOL); l’integratore genera una rampa a pendenza positiva. Quando l’ingresso del comparatore raggiunge un valore pari alla tensione di soglia superiore (VSH), il comparatore commuta, l’uscita si porta al valore di saturazione superiore (VOH) e il ciclo si ripete. L’ampiezza dell’onda quadra (Vsq) dipende dall’escursione della tensione di saturazione positiva e negativa dell’amplificatore operazionale, che a sua volta dipende dalla tensione di alimentazione (|+V | + | -V |). L’ampiezza dell’onda triangolare Vtr è data dal rapporto  ( Fig. 12.53): R1 Vtrpp = Vsqpp ◊ 12.20 R2

N

Fig. 12.53 Forme d’onda del generatore d’onda triangolare.

La frequenza di uscita fO viene calcolata con la seguente formula: 1 1 R2 R2 fO = ◊ = ◊ 4 ◊ R3 ◊ C R1 4 ◊ t R1

N

con t = R3 · C, e di conseguenza il periodo TO vale: R1 TO = 4 ◊ t ◊ R2

N

12.21

12.22

Vsqpp

Vtrpp TO

CAP 12 Amplificatori operazionali

239

Per ottenere un’ampiezza dell’onda quadra slegata dal valore della tensione di alimentazione si può aggiungere all’uscita del comparatore un circuito limitatore di ampiezza realizzato con due diodi Zener collegati come mostrato nella figura 12.54. C1 Fig. 12.54 Generatore d’onda triangolare con circuito limitatore dell’ampiezza dell’onda quadra.

2

_

+V 7 U1 6

3 +

4

2 R4

D1

R3 3 +

–V D2

R1

_

+V 7 U2 6

VO

4 –V

R2

La tensione di Zener dei due diodi fissa la tensione di uscita, mentre l’amplificatore operazionale fornisce la corrente di polarizzazione e la resistenza R4 di polarizzazione viene dimensionata mediante la seguente equazione (si ritengono trascurabili le correnti in R2 e R3): R4 =

VOH - VD - VZ IZ

N 12.23

dove: VOH è la tensione di saturazione positiva dell’uscita dell’amplificatore operazionale; dipende dalla tensione di alimentazione e si può leggere su un’apposita curva caratteristica fornita dal costruttore; in prima approssimazione la si può ritenere inferiore di 2 V rispetto alla tensione di alimentazione VOH = VCC - 2 V VD è la tensione di polarizzazione diretta del diodo Zener, che vale circa 0,7 V VZ è la tensione di Zener IZ è la corrente che garantisce una corretta polarizzazione del diodo Zener, e di norma varia tra 5 e 10 mA

14 CONVERTITORI Con gli amplificatori operazionali si possono realizzare due tipi di convertitori: — corrente-tensione (current-voltage converter); — tensione-corrente (voltage-current converter), detti anche generatori di corrente. Il convertitore corrente-tensione  ( Fig. 12.55a) presenta in uscita una tensione che è linearmente dipendente dalla corrente in ingresso. La relazione che lega la tensione di uscita VO alla corrente di ingresso II, vale: VO = R ◊ II

240

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

N 12.24

La figura 12.55b mostra un circuito applicativo che converte la corrente generata nel fotodiodo dalla radiazione incidente in una tensione misurabile in uscita. Il convertitore tensione-corrente fornisce una corrente al carico proporzionale alla tensione di ingresso. Figg. 12.55a, b Convertitore corrente-tensione: a. schema di principio; b. schema applicativo con fotodiodo.

R

R

+V

+V

+

+ VO

II _

VO _

U –V

U

D1 VO = R . II

–V

12.55a

–V

GND

12.55b

Generatori di corrente Le figure 12.57a, b, c mostrano tre configurazioni tipiche dei convertitori tensione-corrente (generatori di corrente): carico senza estremo a massa (charge floating), carico riferito a massa (current source) e carico riferito all’alimentazione (current sink). Il convertitore con carico senza riferimento a massa può essere realizzato sia con un amplificatore invertente  ( Fig. 12.56a) sia con uno non invertente  ( Fig. 12.56b). Figg. 12.56a, b Generatore di corrente con carico non riferito a massa: a. con amplificatore invertente; b. con amplificatore non invertente.

IL

IL

RL

RL +V

R1 VI

+V

+ VO

_

+ GND

U1 R2

VI

-V

VO

_ U1

R1

-V

GND 12.56a

12.56b

Nella figura 12.57a è proposto lo schema di un convertitore tensione-corrente con carico collegato a massa. Se R2 = R3 + R4 e R1 = R5, la corrente generata vale: R2 IO = VI ◊ 12.25 R1 ◊ R4

N

Per utilizzare impedenze di carico di valore elevato conviene scegliere la resistenza R4 molto minore di R3. La figura 12.57b mostra un generatore di corrente di precisione che può essere impiegato con un carico collegato alla tensione di alimentazione positiva. La corrente generata vale: IO =

VI R1

N 12.26

con VI ≥ 0.

CAP 12 Amplificatori operazionali

241

La figura 12.57c mostra un generatore di corrente di precisione che può essere utilizzato con un carico collegato alla tensione di alimentazione negativa. La corrente generata vale:

Figg. 12.57a, b, c Convertitori di corrente: a. con carico riferito a massa; b. con carico riferito alla tensione di alimentazione positiva e segnale di ingresso positivo, Vi ≥ 0; c. con carico riferito alla tensione di alimentazione negativa e segnale di ingresso negativo, Vi ≤ 0.

IO =

N

VI con VI £ 0 R1

12.27

+V

R2 IO

R1 10 k

RL

+V

R1

+V

_

VI

VI +

U1

+ _

Q1 2N3966 G D S

R5

-V

U1 LM741

IO

+ Q2 2N2219

-V

R3

+V

R2 10 k

Q1 2N3966 D S

G

_

VI

-V U1 LM741

GND

R2 10 k

Q2 2N2219

R4 R1 10 k

RL

IO

GND

12.57a

RL

GND

GND 12.57b

12.57c

-V

Tensioni di riferimento In moltissime applicazioni elettroniche è necessario avere una tensione di riferimento (voltage reference) costante nel tempo. Nei circuiti di misura basati sul metodo potenziometrico o su quello a ponte di Wheatstone, la precisione e la stabilità nel tempo, relativamente alle condizioni ambientali, della tensione di riferimento sono di grande importanza per la precisione della misura stessa. Inoltre, tutti i metodi di conversione analogico-digitale, i circuiti a soglia e gli alimentatori stabilizzati necessitano di una tensione di riferimento costante. Le figure 12.58a, b e 12.59a, b mostrano gli schemi elettrici di due generatori di tensioni di riferimento costruiti con amplificatori operazionali. Nelle applicazioni professionali vengono però preferite soluzioni che impiegano microcircuiti monolitici, in quanto il circuito integrato è già provvisto dei circuiti di compensazione dei fenomeni di deriva delle tensioni di uscita causati dalle variazioni di temperatura. Il metodo più semplice per avere una tensione costante al variare del carico è quello di costruire un circuito basato sul funzionamento del diodo Zener: un diodo che quando viene polarizzato inversamente alla tensione di Zener mantiene ai suoi capi una caduta di tensione costante al variare della corrente che lo attraversa. Nelle figure 12.58a, b sono mostrati due circuiti che generano una tensione di uscita positiva. Il circuito della figura 12.58a genera una tensione di uscita maggiore della tensione di Zener e che vale:

242

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

R3 ˆ VO = VZ ◊ Ê 1 + Ë R2 ¯

N 12.28

Il circuito della figura 12.58b genera una tensione di uscita che è minore di quella di Zener, e vale:

N

R3 ˆ VO = VZ ◊ Ê Ë R2 + R3 ¯

12.29

Nelle figure 12.59a, b sono mostrati due circuiti che generano una tensione di uscita negativa. Il circuito della figura 12.59a genera una tensione di uscita maggiore di quella di tensione di Zener (| VO | > | VZ |) e vale: R3 ˆ VO = - VZ ◊ Ê 1 + Ë R2 ¯

N 12.30

Il circuito della figura 12.59b genera una tensione di uscita che è minore di quella di Zener e che vale: VO = - VZ ◊

Figg. 12.58a, b Tensione di riferimento positiva: a. tensione di uscita maggiore di quella del diodo Zener; b. tensione di uscita minore di quella del diodo Zener.

N

R3 R2 + R3

12.31

D1 5,1 V +12 V U1 LM741 R1 GND 1 k

+12 V 2 _ 7 3 +

R1 270

6

R2 10 k

+VO

4

R2 1k

GND

R3 1k

D1 10 V

U1 +12 V LM741 2 _ 7 6 3 + 4

R3 10 k

+VO

GND

GND GND

GND

12.58b

12.58a

Figg. 12.59a, b Tensione di riferimento negativa: a. tensione di uscita maggiore di quella del diodo Zener; b. tensione di uscita minore di quella del diodo Zener.

D1 5,1 V GND R1 GND 1 k

2 _ 3 +

GND 7 6

GND -VO

D1 10 V

R2 U1 1k -12 V LM741 4

R3 1k

R3 10 k R2 10 k

2 _ 3 +

7

6

-VO

U1 4 LM741 -12 V

R1 270 -12 V

GND

12.59a

12.59b

CAP 12 Amplificatori operazionali

243

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Che cosa sono i filtri? Come vengono classificati? Descrivi un circuito integratore. Descrivi un circuito derivatore. Descrivi il principio di funzionamento di un generatore di onde triangolari. Descrivi il principio di funzionamento di un generatore di corrente. Quali caratteristiche elettriche deve avere un generatore di tensioni di riferimento?

15 APPLICAZIONI NON LINEARI Rivelatore di picco Il circuito rivelatore di picco è in grado di rilevare il valore massimo raggiunto dalla tensione in ingresso e di conservare l’informazione. Nelle figure 12.60a, b sono mostrati due circuiti che realizzano la funzione di rivelatori di picco. Figg. 12.60a, b Rivelatore di picco: a. passivo, schema elettrico; b. attivo, schema elettrico e curva caratteristica.

D VI

VO + C GND

12.60a

VI

+V +V _

VO +

VI

+

U1 -V

12.60b

VO

_ D

VO

+ GND

C

U2 VI

-V 0

t

Quello della figura 12.60a è un rivelatore di picco di tensione positiva di tipo passivo. Il diodo, superata la tensione di soglia, entra in conduzione e fa sì che il condensatore si carichi fino al valore massimo del segnale in ingresso; quando la tensione in ingresso diminuisce, il diodo risulta polarizzato inversamente, per cui il condensatore non può scaricarsi e mantiene costante la differenza di potenziale ai capi delle sue armature. Questo circuito richiede potenza al generatore, che deve effettuare la carica del condensatore, e inoltre la tensione di uscita non coincide con il valore massimo del segnale di ingresso a causa della caduta di tensione sul diodo. Anche l’informazione memorizzata viene persa, più o meno rapidamente, attraverso la resistenza di carico che scarica il condensatore. Il circuito della figura 12.60b utilizza due amplificatori operazionali che realizzano due inseguitori di tensione (amplificazione unitaria). L’inseguitore in ingresso elimina l’assorbimento di energia dal generatore, quello in uscita isola il condensatore dalla resistenza di carico; in tal modo il condensatore si scaricherà nel tempo a causa delle sole correnti di perdita. Il condensatore da impiegare in questa applicazione deve essere quindi di ottima qualità (basso angolo di perdita). L’industria produce microcircuiti in grado di compensare tutte le deri-

244

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

ve dovute sia alla temperatura sia alle perdite del condensatore. Quando il tipo di applicazione richiede un rivelatore di picco con elevate caratteristiche di precisione e di accuratezza di campionamento, conviene utilizzare uno specifico microcircuito progettato per questo tipo di applicazione.

Sample-and-hold Un circuito sample-and-hold (campiona e mantieni) legge il valore della tensione in ingresso e lo trasferisce in uscita solo quando viene fornito, su un particolare ingresso, un apposito segnale di controllo. Questo segnale è sempre di tipo binario e compatibile con quasi tutte le principali famiglie logiche TTL e CMOS. Il sample-and-hold trova largo impiego nei moduli di acquisizione dati che devono convertire una grandezza di ingresso di tipo analogico in una grandezza di uscita di tipo digitale. Quando il circuito (a componenti discreti o in forma integrata) compie l’operazione di conversione, richiede che il segnale di ingresso rimanga costante durante l’intera fase. Se il segnale di ingresso varia lentamente la condizione è facilmente soddisfatta, in caso contrario è necessario utilizzare in ingresso un sample-and-hold che, comandato dai segnali di campionamento, ricorda il valore del segnale di ingresso per tutto l’intervallo di tempo necessario per la conversione. La figura 12.61 mostra lo schema simbolico di un circuito sample-andhold; la figura 12.62 mostra il diagramma qualitativo che ne illustra il funzionamento. Per questo circuito, come per il rivelatore di picco, riveste particolare importanza il tipo di condensatore utilizzato, che dev’essere del tipo a basse perdite. Fig. 12.61 Amplificatore sample-and-hold ideale.

+V _

+V

uscita

_ ingresso

+

+

U1 –V

+

U2 –V

CH

GND controllo

Nella valutazione delle prestazioni di un circuito sample-and-hold occorre considerare le seguenti caratteristiche: — il tempo di acquisizione, cioè l’intervallo che trascorre fra il comando di hold e l’effettiva memorizzazione della tensione analogica (acquisition time); — il ritardo di apertura, cioè l’intervallo che trascorre dal momento di campionamento (sample) a quello di hold (aperture delay time); — la velocità di caduta della tensione di uscita (drop voltage), misurata in mV/ms. Sono disponibili molti microcircuiti sample-and-hold realizzati con caratteristiche statiche e dinamiche ottimizzate, per cui in genere è consigliabile utilizzare questi microcircuiti piuttosto che realizzare circuiti a componenti discreti.

CAP 12 Amplificatori operazionali

245

Nella letteratura tecnica (data-sheet e data-book), una sezione è espressamente dedicata alla descrizione e al confronto delle diverse caratteristiche tecniche di questi dispositivi. SAMPLE

Fig. 12.62 Forme d’onda di ingresso e di uscita di un circuito sample-and-hold.

HOLD

uscita analogica

ingresso analogico

tempo di acquisizione

PER FISSARE I CONCETTI 1. 2. 3. 4. 5.

246

Qual è la funzione di un rivelatore di picco? Suggerisci qualche applicazione in cui potrebbe essere utilmente impiegato un rivelatore di picco. Quali sono i parametri che permettono di valutare le caratteristiche di un sample-and-hold? Quale o quali parametri si devono valutare nella scelta di un condensatore impiegato in un circuito sample-and-hold? Qual è il loro valore ottimale? In quali applicazioni viene utilizzato il circuito sample-and-hold?

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

A .1

APPLICAZIONI CIRCUITO DI CONDIZIONAMENTO PER UN TRASDUTTORE DI TEMPERATURA Descrizione del problema Il circuito proposto nella tavola 12.1 mostra un termometro realizzato con un termistore NTC  ( Vol. 1, Mod. B, Cap. 4). Il trasduttore è inserito in un ponte di Wheatstone bilanciato sul valore del termistore misurato alla temperatura ambiente.

Principio di funzionamento Lo schema può essere suddiviso in due unità funzionali: 1. un generatore di tensione costante; 2. un amplificatore differenziale. Alla temperatura ambiente il ponte è bilanciato e la differenza di potenziale fra le due tensioni di ingresso dell’amplificatore differenziale è nulla, per cui anche l’uscita è nulla (a meno dell’errore di offset). La variazione Circuito di condizionamento per un trasduttore di temperatura.

TAVOLA 12.1 8

7

6

5

4

3

2

1

D

D

+12V

R1 330

+12V

2

R8 150k

U1

7 1

R2 18k

_ 6

D1 1N750 4,7V

C

3

R3 820

0,5W

+

+12V LM741

4 5

R6

C

R4 15k

15k -t∞

1% 2

GND GND

U2

7 1

J1

_ 6

GND 3

R7 15k

R5 15k

1%

1%

R9 150k

1 2 3 4

+12V

+ LM741

4 5

GND GND

GND

GND

B

B

A

A

CIRCUITO DI CONDIZIONAMENTO PER UN TRASDUTTORE DI TEMPERATURA Size

A Date: 8

7

6

5

4

Document Number

Rev

TAV. 32.1 Saturday, June 07, 2003 3

Sheet 2

1

1

of 1

CAP 12 Amplificatori operazionali

247

della temperatura provoca uno sbilanciamento del ponte e compare una differenza di potenziale che, come si può verificare utilizzando le formule di progetto mostrate nella figura 12.27, viene amplificata di 10 volte dall’amplificatore differenziale. Il ponte è alimentato da un generatore di tensione costante che genera una tensione di riferimento pari a 200 mV. Il circuito utilizza un diodo Zener per generare la tensione di riferimento costante, un partitore per calibrare la tensione di uscita e un inseguitore a guadagno unitario per disaccoppiare i due circuiti. La tensione di riferimento Vref è data da:

Vref = VZ ¥

820 R3 = 4, 7 ¥ = 204 mV 820 + 18000 R2 + R3

La tabella 12.3 mostra il dimensionamento delle resistenze eseguito mediante un programma scritto con il foglio elettronico. I dati da inserire riguardano: — la tensione di alimentazione; — la tensione desiderata all’uscita del partitore; — il valore della resistenza di pull-up.

Tabella 12.3 Foglio di calcolo per il dimensionamento del partitore resistivo a due resistenze essendo note: la tensione di alimentazione VCC, la tensione intermedia V1, la resistenza di pull-up R1, in assenza di assorbimento di corrente da parte del carico Tensione di alimentazione Tensione

Vcc V1

4,7 0,2

V V

Resistenza

R1

18

KW

Resistenza

R2

0,80

KW

I

0,25

mA

Corrente assorbita

Normalizzazione del valore delle resistenze e valutazione dell’errore Resistenza normalizzata

R2

0,82

KW

Errore

2,50%

Tensione

V1

0,20

V

Errore

2,39%

I

0,25

mA

Errore

–0,11%

Corrente assorbita

248

MODULO D Dispositivi elettronici analogici

CELLA DESCRIZIONE

SIGLA

C12 C14 C22 C24

R2 I V1 I

resistenza corrente assorbita tensione corrente assorbita

FORMULA

= = = =

C9*(1/(C7/C8-1)) C7/(C9+C12) C7*C20/(C9+C20) C7/(C9+C20)

Il foglio elettronico calcola il valore della resistenza collegata verso massa e quello della corrente circolante; il tecnico inserisce nelle caselle sottostanti il valore di resistenza normalizzato e valuta l’errore introdotto; se non è soddisfatto del valore ottenuto può cambiare il valore della resistenza di pull-up e ripetere il ciclo di calcolo. Se sono rispettate le seguenti condizioni: Rf = R8 = R9 R = R4 = R5 = R6 = R7 e la variazione della resistenza d è molto piccola (d < 1), il valore della tensione di uscita VO viene calcolato mediante la seguente formula: VO = Vref ◊

N

d Rf ◊ 2 R

12.32

La figura 12.63 presenta l’elenco dei componenti (Bill of Materials) del circuito proposto. Il circuito è di uso generale e potrebbe essere utilizzato per misurare sforzi e deformazioni sostituendo il termistore, e una o più resistenze del ponte, con estensimetri. Poiché il generatore di tensione proposto presenta una forte deriva termica, in un’applicazione professionale dovrebbe essere sostituito da un microcircuito dedicato (voltage reference) caratterizzato da un coefficiente di temperatura estremamente basso  ( Fig. 12.64). Il microcircuito può generare una tensione fissa, per cui la regolazione è effettuata con partitori di tensione esterni (LM285, LM385) oppure mediante resistenze variabili connesse a terminali dedicati alla regolazione (MC1403, TL431). I riferimenti di tensione sono utilizzati come tensioni di riferimento nelle applicazioni che impiegano convertitori analogici-digitali. Fig. 12.63 Lista dei componenti del circuito di condizionamento.

Revised: Jun, 07 2003 Revision: Jun, 07 2003 18:32:43

CIRCUITO DI CONDIZIONAMENTO PER UN TRASDUTTORE DI TEMPERATURA

TAV. 32.1 Bill of Materials

Page 1

Item

Quantity

Reference

Part

1 2 3 4 5 6 7 8 9

1 1 1 1 1 3 2 1 2

D1 J1 R1 R2 R3 R4, R5, R7 R9, R8 R6 U1, U2

diodo Zener connettore resistenza resistenza resistenza resistenza resistenza termistore IC LIN

1N750 4 morsetti 330 W 18 KW 820 W 15 kW 150 kW 15 kW LM741

4,7 V 200 mW 1/4 W ± 5% a strato 1/4 W ± 5% a strato 1/4 W ± 5% a strato 1/4 W ± 5% a strato 1/4 W ± 5% a strato NTC amplificatore operazionale general purpose

CAP 12 Amplificatori operazionali

249

Voltmetro con indicatore a diodi led.

TAVOLA 12.2 8

7

6

5

4

+12V

3

+12V

D

+12V

+12V

1

1

1

R1 680

2 1

U1

1

4

D2 >3V

5

D3 >2V

D4 >1V

U2A 14

TL431

R5D 330

2

_

3

3

D1 >4V

R4A 1k 1%

D

1

3

1

+

R2 10k

1

+12V

R5C 330

R5B 330

R5A 330

+5V

2

2 2

LM324

R4B 1k

U2B 6

_

1% 13

5

3

LM324

R4C 1k

U2C 9

_

1% 12

10

4

8

LM324

R4D 1k

U2D 13

_

1% 11 B

C

7

12

5

14

+

GND

+

C

+

R3 6,8k

B

LM324

R4E 1k 1% 10

+12V

GND

GND

R6 12k

U2

R7 10k

J2

J1

3 2 1

3 2 1

LM334

4

11

+12V

GND A

A

VOLTMETRO CON INDICATORE A DIODI LED Size

A Date: 8

7

6

5

4

Document Number

Rev

TAV. 32.2 Saturday, June 07, 2003 3

Sheet 2

1

1

of 1

Principio di funzionamento Affinché il circuito dia risultati affidabili è necessario che sia le resistenze del partitore sia gli amplificatori operazionali abbiano le stesse caratteristiche di deriva termica, per cui le resistenze del partitore appartengono tutte a uno stesso dispositivo, una rete resistiva con tolleranza all’1%, e gli AO appartengono tutti allo stesso dispositivo, il microcircuito LM324  ( Fig. 12.65). Le resistenze del partitore suddividono la tensione di riferimento di + 5 V in quattro gradini da 1 V ciascuno, per cui è sufficiente che abbiano tutte lo stesso valore. La tensione di riferimento di + 5 V si ottiene con il dispositivo TL431 della figura 12.64. Nella figura 12.66 viene presentato l’elenco dei componenti del circuito proposto. Il partitore di tensione variabile, connesso mediante il connettore J2 al connettore di ingresso J1, consente di applicare al voltmetro una tensione compresa fra 0 e + 5 V.

CAP 12 Amplificatori operazionali

251

SINTESI DEL MODULO D CAPITOLO

12

L’amplificatore operazionale è una configurazione circuitale realizzata in forma integrata che comporta un guadagno di tensione differenziale molto elevato, un alto valore di impedenza di ingresso, un basso valore di impedenza di uscita, un’elevata larghezza di banda. Il circuito può elaborare senza attenuazione anche segnali di frequenza elevata. — L’amplificatore operazionale più comune presenta due ingressi differenziali e un’unica uscita; i due ingressi sono detti, rispettivamente, invertente e non invertente. Il segnale di uscita dell’amplificatore operazionale è in fase con il segnale applicato all’ingresso non invertente e in opposizione con quello applicato all’ingresso invertente. L’amplificatore amplifica la differenza fra i segnali presenti ai suoi due ingressi. — Le caratteristiche dell’amplificatore operazionale ideale sono: guadagno di tensione differenziale in anello aperto infinito (Avol = •); impedenza di ingresso infinita (Zi = •); impedenza di uscita nulla (Zo = 0); larghezza di banda infinita (BW = •); rapporto di reiezione in modo comune infinito (CMRR = •); insensibilità alle variazioni di temperatura. — La bassa resistenza di uscita (R0 Æ 0) fa sì che l’uscita dell’amplificatore operazionale possa essere assimilata a un generatore di tensione per il quale il segnale è indipendente dal valore del carico; i calcoli di dimensionamento possono quindi essere fatti senza tener conto dei circuiti a valle dell’amplificatore operazionale. Gli errori statici sono dovuti alla presenza all’interno del circuito di generatori di tensione e di corrente che modificano il valore dell’uscita in regime permanente. I principali parametri per valutare l’errore statico sono: la tensione di offset che occorre applicare fra gli ingressi per ottenere una tensione di uscita nulla; la corrente di polarizzazione di ingresso, data dalla media aritmetica delle due correnti di ingresso; la corrente di offset di ingresso, che è la differenza fra le due correnti di polarizzazione quando la tensione di uscita è nulla. — Uno dei parametri più importanti per caratterizzare il comportamento dinamico dell’amplificatore operazionale è la rapidità di risposta (slew rate), che rappresenta la massima velocità di variazione del segnale di uscita e viene definita dal rapporto fra il valore nominale della tensione di uscita generata da un segnale di ingresso a gradino di grande ampiezza e il tempo impiegato per raggiungerlo. Il rumore è un qualsiasi segnale presente all’uscita di un amplificatore operazionale che non sia stato generato dai segnali, in corrente continua o alternata, applicati agli ingressi. Il rumore può essere generato da cause interne o esterne all’amplificatore, e si può manifestare in modo ripetitivo o casuale. Può interessare sia i parametri di tensione sia quelli di corrente, a basse o alte frequenze. Il simbolo grafico utilizzato per gli amplificatori operazio-

nali è a forma di triangolo. I segnali di ingresso sono posti sulla base del triangolo e contrassegnati da un “-”, ingresso invertente, e da un “+”, ingresso non invertente. Il segnale di uscita è disegnato uscente dal vertice del triangolo. La scelta dell’amplificatore operazionale da impiegare in un circuito elettronico dipende dalla configurazione circuitale che deve realizzare la funzione desiderata. Per ottenere una definizione chiara e completa delle prestazioni richieste al circuito occorre definire: i segnali di ingresso, la precisione e l’accuratezza richieste, il carico di uscita e le condizioni ambientali. Nella realizzazione di circuiti con amplificatori operazionali una particolare cura va posta nella scelta dei componenti passivi (resistori, potenziometri, condensatori): le tolleranze devono essere appropriate, i componenti molto stabili nel tempo, i coefficienti di temperatura adeguati alle derive termiche ammesse nel campo di variabilità prevista per la temperatura. L’amplificatore è un circuito in grado di accrescere di una quantità prestabilita l’ampiezza di un segnale elettrico senza alterarne la forma. Gli amplificatori sono classificati in base alla grandezza elettrica amplificata (amplificatori di tensione, di corrente, di potenza) e alla potenza trasferita dal generatore al carico (amplificatori di segnale, di potenza). — Nell’amplificatore invertente la tensione di uscita è in opposizione di fase con la tensione in ingresso. Nell’amplificatore non invertente la tensione di uscita è in fase con quella di ingresso. — I circuiti sommatori generano in uscita un segnale che è pari alla somma dei segnali di ingresso amplificati della quantità imposta dal rapporto fra la resistenza di controreazione e la resistenza posta sul terminale di ingresso. — La tensione di uscita di un amplificatore differenziale è proporzionale alla differenza fra le tensioni applicate ai due ingressi riferite al potenziale di massa (terra). — Gli amplificatori non lineari amplificano il segnale di ingresso secondo una legge non lineare, Sono utilizzati per l’elaborazione analogica dei segnali per ottenere le funzioni matematiche ln x, log x, elevamento a potenza, divisione e moltiplicazione, nonché per elaborare segnali che variano entro un campo di valori molto esteso. Un circuito limitatore (clipper) può agire per saturazione, per interdizione o per deformazione. I limitatori per saturazione operano deformando la forma d’onda al di sopra di un valore prestabilito oppure impedendo che l’ampiezza del segnale da limitare superi il livello di tensione imposto. Un comparatore genera un’uscita di tipo binario. La tensione di uscita può assumere solo due valori che dipendono dalla relazione di ampiezza esistente tra due segnali applicati ai suoi ingressi analogici. I multivibratori costituiscono una classe di oscillatori a rilassamento la cui tensione di uscita può assumere solo due valori distinti. I multivibratori possono essere di tre

MODULO D Sintesi

253

tipi: monostabili, caratterizzati da uno stato stabile e da uno stato instabile; bistabili, caratterizzati da due stati stabili; astabili, caratterizzati da due stati instabili. — Uno stato è stabile quando il dispositivo mantiene, nel tempo, il suo stato di conduzione o di interdizione. Uno stato è instabile quando resta in uno stato solo per un tempo predefinito e poi, automaticamente, ritorna nell’altro stato stabile. — Il generatore di impulsi è un circuito elettronico che genera un segnale di uscita di forma impulsiva, caratterizzato da una brusca variazione di tensione da zero a un valore finito (ampiezza dell’impulso), che rimane costante per un breve periodo (durata dell’impulso), e dal successivo, brusco ritorno al valore nullo. Gli oscillatori sinusoidali sono ricavati da amplificatori che funzionano in modo instabile. La condizione di instabilità è ottenuta riportando in ingresso una parte del segnale di uscita. Se, alla frequenza di oscillazione, il prodotto del guadagno dell’amplificatore senza retroazione per il fattore di retroazione è uguale all’unità, in uscita si ha una tensione sinusoidale anche in assenza del segnale di ingresso. I filtri elettrici sono reti elettriche che operano l’attenuazione selettiva dei segnali elettrici di ingresso. Il loro comportamento in frequenza è descritto graficamente da una curva attenuazione-frequenza e analiticamente da un’equazione, detta funzione di trasmissione, la cui analisi permette di ottenere una descrizione del comporta-

254

MODULO D Sintesi

mento dell’attenuazione e della fase del filtro in funzione della frequenza. — In base al tipo di componente, i filtri elettrici possono essere passivi o attivi; in base alle bande di trasmissione e di attenuazione sono classificati in: filtri passa-basso, passa-alto, passa-banda, elimina-banda. — Il circuito integratore esegue sul segnale di ingresso l’operazione matematica di integrazione nel tempo, mentre il circuito derivatore esegue sul segnale di ingresso l’operazione matematica di derivata rispetto al tempo. Con gli amplificatori operazionali si possono realizzare due tipi di convertitori: corrente-tensione (current-voltage converter) e tensione-corrente (voltage-current converter). Il convertitore corrente-tensione presenta in uscita una tensione linearmente dipendente dalla corrente di ingresso. Il convertitore tensione-corrente, o generatori di corrente fornisce una corrente al carico proporzionale alla tensione di ingresso. Il circuito rivelatore di picco è in grado di rilevare il valore massimo raggiunto dalla tensione in ingresso e di conservare l’informazione. Un circuito sample-and-hold (campiona e mantieni) legge il valore della tensione in ingresso e lo trasferisce in uscita solo quando viene fornito, su un particolare ingresso, un apposito segnale di controllo; questo circuito trova largo impiego nei moduli di acquisizione dati che devono convertire una grandezza di ingresso di tipo analogico in una grandezza di uscita di tipo digitale.

MODULO D

VERIFICHE 1. Come ulteriore sviluppo dell’applicazione 2  ( p. 250): a. verifica il dimensionamento della rete di polarizzazione del riferimento di tensione; b. modifica il circuito aumentando la risoluzione a 0,5 V. 2. Come ulteriore sviluppo dell’applicazione 2  ( p. 250), modifica il dimensionamento della rete di polarizzazione del riferimento di tensione in modo da estendere il campo di misura a variazioni della tensione di ingresso comprese fra 0 e 10 V. 3. Come ulteriore sviluppo dell’applicazione 2  ( p. 250), progetta un circuito prescaler che, applicato all’ingresso del voltmetro proposto nella tavola 33.2, permetta di modificare il campo di misura entro i seguenti campi di variazione della tensione di ingresso: a. la commutazione da una scala all’altra deve avvenire tramite un commutatore elettromeccanico. Nella figura 12.84 è mostrato lo schema di principio del circuito proposto; viene utilizzato un amplificatore in configurazione non invertente in quanto l’alimentazione del circuito è solo positiva;

Fig. 12.84 Schema di principio del circuito di prescaler che impiega un commutatore elettromeccanico.

R2 x 100

99 k

x 10

9k 1k

x2 x1

( )

R2 VO = VI . 1 + --R1

10 k R1 1k

_ _ _

U1A 2 _ 3

9k 1

100 k

VO

+ LM324A

VI

b. la commutazione fra le varie scale potrebbe essere controllata anche tramite un multiplexer analogico digitale 4051 (Fig. 12.85) controllato da un contatore modulo 4 che a ogni impulso scambia le resistenze di reazione modificando il valore dell’amplificazione  ( Fig. 12.86). Nel dimensionamento delle resistenze dell’amplificatore di condizionamento del segnale di ingresso tieni conto della resistenza rON (circa 500 W a 10 V) dell’interruttore analogico.

MODULO D Verifiche

255

MODULO

E

Controllori programmabili CAP 13

STRUTTURA DEL PLC

CAP 14

PROGRAMMAZIONE E FUNZIONI DEL PLC

CAP 15

PROGRAMMABLE AUTOMATION CONTROLLER (PAC)

CAP 16

DOMOTICA: LA CASA DEL FUTURO

Prerequisiti  Uso del personal computer in ambiente DOS e Windows.  Informatica di base.  Conoscenze di base sugli impianti elettrici civili.

Obiettivi Conoscenze Struttura di un controllore programmabile (PLC). Problematiche di progetto con i dispositivi automatici. Come si programma un PLC. Saper valutare le caratteristiche tecniche di un Programmable Automation Controller (PAC).  Principi base della domotica.  Principali applicazioni della domotica.

   

Competenze  Saper scegliere il PLC adatto alla specifica applicazione.  Saper analizzare e realizzare programmi applicativi.  Saper progettare e realizzare semplici applicazioni di domotica.

MODULO E Controllori programmabili

257

CAP 13

STRUTTURA DEL PLC 1 Configurazione del PLC 2 Memorie del PLC Concetti chiave     

PLC

– Programmable logic controller

Fig. 13.1 Schema a blocchi di un PLC.

Memoria di programma Optoisolatori Relè di run Scansione degli ingressi Watchdog timer

Il controllore a logica programmabile (PLC) è un apparato elettronico che può controllare il processo di una macchina o di un impianto industriale  ( Fig. 13.1). Il suo funzionamento è basato su una sequenza di comandi e istruzioni che utilizzano le informazioni fornite agli ingressi (pulsanti, interruttori, tastiere, stato interno del sistema) per comandare gli attuatori di uscita (motori, relè, elettrovalvole). Questo programma è modificabile ed è possibile, utilizzando una struttura hardware standard, scrivere procedure di controllo per gli usi più vari, o modificare un sistema di controllo già realizzato a costi minimi. USCITE

INGRESSI TRASDUTTORI ANALOGICI E DIGITALI

INTERFACCIA HARDWARE

ATTUATORI

SOFTWARE PLC

OPTOISOLAMENTO OTTICO

– Collegamento tra due reti elettriche realizzato utilizzando come trasmettitore un diodo led e un ricevitore fotoelettrico, in modo che tra le due reti non esista alcuna continuità elettrica

258

I PLC sono realizzati con strutture modulari, quasi sempre in rack 19≤ o con moduli proprietari  ( Figg. 13.2a, b). La struttura a modulo permette all’utente di configurare il sistema con il numero e il tipo di interfacciamento di ingresso e di uscita più adatti all’applicazione. La configurazione è poi facilmente modificabile ed espandibile, e consente di realizzare sistemi di controllo complessi, modificabili e manutenibili. La gamma di schede o moduli utilizzabili comprende schede di ingresso e di uscita OPTOISOLATE, analogiche, video, di interfacciamento per il collegamento in rete con altri PLC e con altri elaboratori di supervisione. I PLC sostituiscono i quadri di controllo elettromeccanici, realizzati con relè, temporizzatori, sequenziatori, che presentano problemi di flessibilità e manutenzione con apparecchiature di controllo basate su componenti elettronici dedicati.

MODULO E Controllori programmabili

Un processo produttivo richiede nel tempo modifiche e aggiornamenti continui, per cui il sistema di controllo deve essere flessibile nella sua architettura e deve poter essere modificato con costi minimi. Il PLC possiede entrambe le caratteristiche: è flessibile e può essere riprogrammato. La sua programmazione è effettuata con il personal computer, usando un software di comunicazione appropriato. Diversamente dalle realizzazioni elettromeccaniche, i PLC non hanno organi in movimento per cui presentano un’alta affidabilità.

1 CONFIGURAZIONE DEL PLC Un PLC è costituito da: — un’unità centrale, che contiene i moduli di ingresso e di uscita; — un terminale di programmazione. L’unità centrale è un vero e proprio calcolatore formato da microprocessore, memoria permanente e memoria volatile RAM. La memoria permanente contiene i programmi di interpretazione delle istruzioni scritti nel linguaggio del PLC, e viene realizzata mediante ROM, EPROM ed EEPROM. La memoria volatile RAM contiene le istruzioni del programma di controllo del PLC, che il microprocessore legge ed esegue ciclicamente.

Metodi di scansione degli ingressi e delle uscite La scansione dei dati di ingresso in funzione del tipo di PLC può essere: — sincrona di ingresso e di uscita; — sincrona di ingresso e asincrona di uscita; — asincrona di ingresso e di uscita. Nella scansione sincrona di ingresso e di uscita, all’inizio del ciclo il PLC legge lo stato di tutti gli ingressi delle schede di ingresso e lo memorizza nella memoria RAM. I dati vengono elaborati e i risultati memorizzati nella memoria di uscita, da dove sono trasferiti ai moduli di uscita. Il tempo di risposta del sistema alle variazioni dei segnali di ingresso dev’essere superiore al tempo di scansione (intervallo che trascorre fra la lettura degli ingressi e l’attuazione dell’uscita). Il tempo di scansione tipico dei PLC che adottano questa tecnica di scansione è dell’ordine dei 5 ∏ 10 ms. Nella scansione con lettura sincrona di ingresso e asincrona di uscita, all’inizio del ciclo il PLC effettua una lettura contemporanea degli ingressi, ne acquisisce lo stato e lo memorizza nella memoria di ingresso; i dati vengono poi elaborati e, a mano a mano che l’elaborazione procede e si ottengono risultati parziali, i valori delle uscite vengono aggiornati. Questo tipo di scansione aggiorna le uscite più rapidamente di quella con metodo completamente sincrono. Nella scansione con lettura asincrona di ingresso e di uscita, il ciclo è composto da una sequenza di elaborazione dei dati, emissione del risultato, lettura degli ingressi, aggiornamento delle uscite. I controllori logici che adottano queste tecniche di scansione presentano tempi di risposta molto rapidi. Al termine di ogni scansione i PLC effettuano anche un test di autodiagnosi che rileva i difetti di funzionamento e reagisce disabilitando,

260

MODULO E Controllori programmabili

mediante un dispositivo di sicurezza (relè di run), le uscite, e quindi bloccando il funzionamento dell’apparecchiatura controllata per evitare danni a essa e alle persone. Il relè di run interviene anche tutte le volte che viene a mancare la tensione di alimentazione. Il test di autodiagnosi si basa su un temporizzatore hardware WDT programmato per circa 180 ms per prevenire un blocco dell’elaborazione del programma (per esempio, cicli senza fine causati da errori nella memoria) da parte del microprocessore (CPU) del controllore logico. Il ciclo di scansione, di norma dell’ordine di 60 ms, provvede a ricaricare periodicamente il temporizzatore; se la scansione non viene completata entro 180 ms, l’hardware disattiva le uscite bloccando l’apparecchiatura. Gli esempi che utilizzeremo in questo capitolo e nel successivo si riferiscono a PLC che effettuano la scansione sincrona di ingresso e di uscita.

WDT

– Watchdog timer CPU

– Central processor unit

2 MEMORIE DEL PLC Il sistema di memoria di un PLC può essere suddiviso, in base all’impiego, in tre parti. SISTEMA OPERATIVO

– Insieme di programmi di sistema che integrano e ottimizzano le risorse hardware di un’apparecchiatura programmabile (PLC, computer) e organizzano l’esecuzione del software applicativo



La memoria di sistema contiene il SISTEMA OPERATIVO del PLC, cioè tutte le istruzioni che controllano e guidano il funzionamento dell’unità centrale.



La memoria di programma contiene le istruzioni relative al programma che il PLC deve eseguire per realizzare la funzione di controllo e regolazione desiderata; se i dati sono memorizzati in una RAM (memoria volatile), il PLC deve provvedere al loro mantenimento anche in caso di assenza della tensione di alimentazione (per spegnimento, guasto, interruzione momentanea), ma in genere i sistemi sono dotati di un’alimentazione con batteria tampone. La capacità massima della memoria di programma limita il numero di istruzioni, e quindi la complessità, del programma eseguibile.



La memoria dati è suddivisa in due memorie, quella di ingresso e quella di uscita; la memoria di ingresso contiene lo stato, aggiornato dopo ogni lettura, dei sensori collegati agli ingressi del PLC; dopo ogni scansione il processore scrive nella memoria di uscita, al termine dell’elaborazione, lo stato trasferito all’esterno (alle uscite).

Unità di ingresso e di uscita I moduli di ingresso hanno il compito di adattare le varie sorgenti di informazione, sia analogiche sia digitali (on/off), alle caratteristiche elettriche della memoria di ingresso del PLC. I sensori di ingresso possono essere alimentati in corrente alternata e in corrente continua, e a differenti valori di tensione, mentre il PLC opera con tensioni TTL compatibili (da 0 a + 5 Vdc). Poiché i segnali di ingresso devono essere modificati (ridotti in ampiezza, raddrizzati ecc) per essere letti dal PLC, i moduli di interfacciamento in ingresso devono essere progettati con caratteristiche elettriche e dinamiche adattate al suo tempo di ciclo e tenendo conto delle esigenze di protezione e di sicurezza. Queste ultime vengono garantite da optoisolatori che provvedono a separare galvanicamente i sensori di ingresso dai circuiti interni del PLC.

CAP 13 Struttura del PLC

261

La figura 13.3 mostra alcuni schemi d’interfacciamento. Fig. 13.3 Struttura interna di un PLC.

DISPOSITIVI DI PROGRAMMAZIONE (personal computer, tastiere dedicate)

MEMORIA DI PROGRAMMA

CPU

MEMORIA DATI

ALIMENTATORE UNITÀ CENTRALE

MEMORIA DI MASSA (nastri, dischi)

DAC

– Digital to analogue converter

262

Le schede di ingresso analogico acquisiscono un segnale che varia fra due limiti (per esempio, una tensione compresa fra 0 e 10 V o una corrente che varia fra 0 e 20 mA) convertendolo in un segnale digitale a 8, 10 o 16 bit. Quanto più grande è il numero di bit, tanto maggiore è la precisione della conversione. Le schede analogiche di solito leggono più ingressi mediante un multiplexer che collega ciascun ingresso a un unico convertitore analogico-digitale. In uscita, i dati della memoria devono essere adattati ai diversi attuatori mediante la scheda di interfaccia più adatta. Anche in questo caso vanno garantite le massime condizioni di sicurezza, per cui la connessione tra PLC e circuiti di attuazione avviene mediante optoisolatori. Le figure 13.4a, b mostrano le configurazioni tipiche utilizzate nelle schede di uscita dei PLC. Se il livello della corrente di uscita non è adatto a comandare gli organi attuatori (motori, elettrovalvole ecc.) è possibile utilizzare, per esempio, il contatto della scheda di uscita per comandare un contattore ausiliario  ( Vol. 1, Mod. C, Cap. 7, scaricabile dal sito Internet), che piloterà l’attuatore di potenza elevata. Le schede di uscita analogiche sono costituite da un DAC che converte l’informazione binaria elaborata dall’unità centrale in una tensione analogica. È possibile controllare più uscite utilizzando un demultiplexer analogico che distribuisce l’uscita analogica del DAC a più uscite separate. Le schede di ingresso e di uscita sono in genere organizzate per moduli di 8 o 16 unità e sono protette da eventuali cortocircuiti con fusibili. L’ultima generazione di PLC utilizza anche schede intelligenti, che contengono processori capaci di elaborare parzialmente le informazioni ricevute o da trasmettere, e questo allo scopo di abbreviare il tempo di scansione e accelerare la risposta del PLC.

MODULO E Controllori programmabili

CAP 14

PROGRAMMAZIONE E FUNZIONI DEL PLC

Concetti chiave     

1 2 3 4

Funzioni del PLC Linguaggi e fasi della programmazione Linguaggi di programmazione Valutazione delle prestazioni dei PLC e modalità di installazione Applicazione 1: Automazione di una serranda Applicazione 2: Controllo di qualità in un impianto di imbottigliamento

Codice mnemonico Diagramma e contatti Grafcet Linguaggi simbolici Programmazione on line e off line

La programmazione del PLC per un controllo di processo specifico viene fatta con un’interfaccia uomo-macchina che consente di scrivere, leggere, modificare (editing), controllare (testing), simulare e compilare il programma nella memoria del controllore. Queste operazioni possono essere fatte con terminali portatili dotati di visore che si collegano con l’hardware del PLC, oppure in collegamento con la porta seriale o parallela di un personal computer, ricorrendo a un software di comunicazione adatto. La programmazione può essere fatta in presenza (on line) o in assenza (off line) del PLC; quest’ultima modalità permette di scrivere e simulare il programma a tavolino, e di inviarlo solo successivamente alla memoria interna del PLC. Il programma di gestione del PLC permette anche di archiviare e produrre, in modo semplice e completo, la documentazione di supporto al progetto in studio. Il PLC simula al suo interno alcuni elementi funzionali (contatori, temporizzatori) che nei sistemi cablati sono di solito realizzati con dispositivi e configurazioni circuitali appositi.

1 FUNZIONI DEL PLC Le principali funzioni implementate nei PLC sono le seguenti: — ingressi esterni, considerati dal PLC contatti; — uscite esterne, costituite da relè, transistor, Triac; — uscite di controllo interne, simulate internamente al PLC, possono essere ritentive (mantengono il loro stato in assenza di tensione) o non ritentive (in assenza di tensione tornano alla posizione di riposo); — uscite di controllo speciali, resettano il PLC, disabilitano le uscite (se richiesto), generano segnali periodici; — contatori; — temporizzatori; — registri a scorrimento; — operazioni aritmetiche (somma, sottrazione, moltiplicazione, divisione, estrazione della radice quadrata); — operazioni logiche (AND, OR, NOT); — comparazioni (maggiore, minore, uguale); — conversioni di codice (da BCD a binario e viceversa). Gli elementi funzionali sono identificati mediante un codice numerico o alfanumerico. I codici numerici più utilizzati sono il decimale e l’ottale.

264

MOD E Controllori programmabili

Tabella 14.1 Codici di identificazione degli elementi funzionali di un PLC ELEMENTO FUNZIONALE

CODICE DI IDENTIFICAZIONE

(OTTALE) Ingressi esterni (16)

00 ÷ 07 10 ÷ 17

Uscite esterne (24)

40 ÷ 47 50 ÷ 57 60 ÷ 67

Uscite di controllo ritentive (16)

100 ÷ 107 110 ÷ 117

Uscite di controllo non ritentive (10)

200 ÷ 207 210 ÷ 217

Temporizzatori (10)

TMR00 ÷ TMR07 TMR10 ÷ TMR11

Contatori (8)

CTR00 ÷ CTR07

Registri a scorrimento (2)

SHR00 SHR10

La tabella 14.1 fornisce, a titolo di esempio, una possibile attribuzione di codici per un PLC modulare. Osserviamo che i codici non sono attribuiti in sequenza: alcuni vengono saltati per permettere una successiva espansione del sistema e per identificare in modo più semplice le diverse funzioni.

2 LINGUAGGI E FASI DELLA PROGRAMMAZIONE Il linguaggio di programmazione del PLC può essere: — grafico (diagramma a contatti o ladder, Grafcet, schemi logici); — letterale (equazioni booleane, linguaggi simbolici). Il diagramma a contatti è utilizzato di preferenza dai tecnici con una cultura prevalentemente elettromeccanica perché i simboli grafici e le metodologie di progetto utilizzati sono simili a quelli della realizzazione dei quadri di controllo a relè. Lo schema logico sostituisce la modalità di progettazione con logiche statiche  ( Vol. 2, Mod. A, Cap. 1, scaricabile dal sito Internet) ed è poco utilizzato. I linguaggi simbolici sono preferiti dai tecnici che possiedono una cultura di base informatica.

Fasi della programmazione La programmazione di un PLC richiede una prima fase di studio dell’applicazione (di automazione o di controllo) che porta a definire, in modo chiaro e completo, le specifiche del problema. Nella successiva fase vengono identificati il numero e il tipo di ingressi e di uscite, esterni e interni, e viene descritta l’esatta sequenza temporale delle operazioni da effettuare: 1. si identificano i dispositivi di ingresso e di uscita esterni, i relè interni, i temporizzatori, i contatori e i registri a scorrimento, e a ciascuno di essi si assegna un codice numerico di identificazione;

CAP 14 Programmazione e funzioni del PLC

265

2. si imposta uno schema funzionale che risolva il problema proposto mettendo in corretta sequenza le funzioni richieste; 3. si codifica lo schema funzionale utilizzando il linguaggio caratteristico dell’unità di programmazione in uso (con diagrammi a contatti, schemi logici, equazioni booleane, linguaggi simbolici); 4. si converte il programma sorgente, tramite un programma di traduzione, in istruzioni macchina eseguibili dal PLC; 5. si trasferisce il programma nella memoria del PLC; 6. si verifica e si corregge, se necessario, il programma; 7. si memorizza definitivamente il programma. La struttura descritta è comune a tutti i PLC; alcuni hanno set di istruzioni più ricchi, dotazioni di moduli di ingresso/uscite più complete e complesse, strutture predisposte per la connessione in rete ecc. I set di istruzione e i simboli utilizzati dai diversi costruttori differiscono fra loro, ma una volta che si è compreso il metodo di programmazione e le modalità d’uso di un particolare PLC è facile ampliare e aggiornare la propria esperienza su un particolare prodotto.

3 LINGUAGGI DI PROGRAMMAZIONE Diagrammi a contatti I diagrammi a contatti (ladder) vengono costruiti utilizzando i contatti e le bobine del controllore. I contatti possono assumere solo due posizioni: aperto (circuito aperto, nessuna corrente) e chiuso (circuito chiuso, corrente circolante); sono identificati da un numero di riferimento a cui è associato un numero di contatti interni che dipende dalle caratteristiche del PLC. Quando l’ingresso viene letto  ( Fig. 14.1): — se è aperto, viene associato a tutti i contatti interni con lo stesso numero di riferimento lo stato logico ‘0’ ed essi non vengono azionati (restano nel loro stato, aperti se normalmente aperti, chiusi se normalmente chiusi); — se è chiuso, viene associato a tutti i contatti interni con lo stesso numero di riferimento lo stato logico ‘1’ ed essi vengono azionati e commutano (si chiudono, se sono normalmente aperti, si aprono, se normalmente chiusi). L’INGRESSO È UN CIRCUITO

Fig. 14.1 Codifica dei contatti interni di un PLC.

CONTATTI INTERNI ASSOCIATI AGLI INGRESSI

NA NC

00 01

APERTO

CHIUSO

'0'

'1'

APERTO

CHIUSO

CHIUSO

APERTO

Ogni ingresso del PLC possiede un optoisolatore, per cui le definizioni di ingresso aperto o chiuso si riferiscono allo stato di conduzione o di non conduzione dell’elemento fotorivelatore (fotodiodo o fototransistor), cioè

266

MOD E Controllori programmabili

allo stato interno del PLC. Il diodo emettitore collegato esternamente può essere messo in conduzione sia da un contatto aperto che viene azionato, sia dal non azionamento di un contatto normalmente chiuso. Da ciò si deduce che la logica dei contatti interni del PLC è indipendente dal collegamento e dalla convezione adottata per quelli esterni. Dal punto di vista del PLC, si può dire che il fotodiodo è acceso o spento. I contatti possono essere collegati fra loro in serie, in parallelo, in serie-parallelo e in parallelo-serie. Le bobine del controllore, interne ed esterne, possono essere normalmente diseccitate (ND) o normalmente eccitate (NE); una bobina ND viene eccitata se il percorso di contatti che la precede è chiuso (percorso chiuso); dallo stesso percorso chiuso una bobina NE viene diseccitata. Gli elementi che costituiscono i diagrammi a contatti sono contatti normalmente aperti (NA), contatti normalmente chiusi (NC) e bobine di uscita  ( Fig. 14.2). Fig. 14.2 Simboli grafici utilizzati nei diagrammi a contatti.

00

contatto normalmente aperto (NA)

01

contatto normalmente chiuso (NC)

bobina di uscita

50

Le figure 14.3a, b mostrano un circuito di autoritenuta disegnato con i diagrammi a contatti e ladder. Le linee di alimentazione, orizzontali nel diaFigg. 14.3a, b Circuito di autoritenuta: a. codifica a contatti; b. codifica con diagramma ladder.

flusso logico

+24V

00

flusso di potenza

flusso di potenza

50 00

01 50

flusso logico

50

01

50

14.3a

GND

14.3b

CAP 14 Programmazione e funzioni del PLC

267

gramma a contatti, sono sostituite con due linee verticali nel diagramma ladder. Il flusso di potenza va da sinistra verso destra e il flusso logico dall’alto verso il basso. Una volta redatto, se inserito tramite un programma grafico appropriato il diagramma può essere automaticamente codificato dal programma di traduzione o convertito in un linguaggio simbolico. Nella tabella 14.2 sono rappresentate le principali istruzioni simboliche di vari PLC. La tabella evidenzia la sostanziale similitudine dei codici usati per formare istruzioni da inviare al PLC. Un’istruzione viene scritta nel seguente formato: indirizzo comando dato

Tabella 14.2 Istruzioni di base del linguaggio

TEXAS INSTRUMENTS

TELEMECANIQUE

SPRECHER SCHUH

OMRON

SIEMENS

DATO

Inizio della linea logica con contatto NA

STR

STR

L

L

STRT

LD

STR

L

STR

Codice di ingresso

Inizio della linea logica con contatto NC

STR NOT

STR NOT

LN

LN

STRT NOT

LD NOT

STR NOT

LN

STR NOT

Codice di ingresso

Collegamento in serie con un contatto NA

AND

AND

A

A

AND

AND

U

AND

A

AND

Codice di ingresso

Collegamento in serie con un contatto NC

AND NOT

AND NOT

AN

AN

AND NOT

AND NOT

UN

AND NOT

AN

AND NOT

Codice di ingresso

Collegamento in parallelo OR con un contatto NA

OR

O

O

OR

OR

O

OR

O

OR

Codice di ingresso

Collegamento in parallelo OR con un contatto NC NOT

OR NOT

ON

ON

OR NOT

OR NOT

ON

OR NOT

ON

OR NOT

Codice di ingresso

=

AND STR

Nessuno

Collegamento in serie di due gruppi di contatti

AND LD

Collegamento in parallelo di due gruppi di contatti

OR LD

OR STR Nessuno

Relè di controllo principale che condiziona lo stato delle linee logiche che lo seguono fino all’istruzione EMCR

MCR

MCR

Nessuno

Fine dell’azione del relè di controllo

EMCR

EMCR

Nessuno

OUT

Codice di uscita

END

Fine del programma

Bobina di uscita

OUT

OUT

=

=

Fine del programma

OUT

=

END

Temporizzatori

TMR

T

TR

PT

TIM

T

TMR

Codice del temporizzatore seguito dal ritardo desiderato

Contatori

CNT

C

C

PP

CNT/ CNTR

Z

CTRE

Codice del contatore seguito dal valore di conteggio

SHR

Codice del registro a scorrimento

Registri a scorrimento

268

NATIONAL

LOVATO

HITACHI

KLOCKNER MOELLER

CODICE MNEMONICO

CGE

FUNZIONE

MOD E Controllori programmabili

SHR

Le istruzioni fondamentali permettono di costruire qualsiasi funzione complessa  ( Figg. 14.4 e 14.5). Prima di codificare un diagramma a contatti è utile studiare la loro disposizione e verificare se un loro differente posizionamento può portare a una codifica simbolica più breve e semplice. Fig. 14.4 Principali funzioni simboliche.

00 50

0000 0001

STR OUT

00 50

60

0000 0001

STR OUT

0000 0001 0002

STR AND OUT

0000 0001 0002

STR AND OUT

0000 0001 0002

STR OR OUT

0000 0001 0002

STR OR OUT

0000 0001 0002 0003 0004 0005

STR AND STR AND OR OUT

0000 0001 0002 0003 0004 0005

STR OR STR OR AND OUT

0000 0001 0002 0003 0004 0005

STR AND NOT MCR STR NOT OUT EMCR

01

00

NOT

01 60

02 50

00

00 02 50

01 60

NOT

00 01 60

00 50 01

00 01 50

00 50 01

00

01

02

04

40

00

01

03

04

60

00

01

MCR

>

EMCR

Fig. 14.5 Esempio di codifica di una funzione complessa.

00

01

07

05 40

06

00

02

01

06 60

03

04

NOT

00 01 50

00 01 02 04

STR 40

NOT NOT

00 03 01 04

STR 60

03 41


1

>>

scorrimento a destra

val = flag =

maggiore o uguale

if a > = 10

>

maggiore

if a > 10