Corso di filosofia positiva

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I C L A S S IC I D E L P E N S IE R O

COMTE

M ONDADORI

Augusto Comte

Corso dì filosofia positiva Volume primo Lezioni X LV I-L IV © 2008 Istituto Geografico D e Agostini S.p.A. © Prima edizione 1967 Unione Tipografico-Editrice Torinese La traduzione dei resti è stata curata da: Ezio Zagarese, Marina Maioli, Paola Fiorentini Migliucci Ristampa 1979 Augusto Comte

Corso di filosofia positiva Volume secondo Lezioni LV-LX © 2008 Istituto Geografico De Agostini S.p.A. © Prima edizione 1967 Unione Tipografico-Editrice Torinese La traduzione dei testi è stata curata da: Ezio Zagarese, Marina Maioli, Paola Fiorentini Migliucci Ristampa 1979 Per questa edizione «I Classici del pensiero» © 2008 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano pubblicata su licenza Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino I edizione «I Classici del pensiero» gennaio 2009 www.librimondadori.it

S O M M A R IO

Cronologia di Comte CORSO DI FILO SO FIA POSITIVA a cura di Fran co Ferrarotti

Introduzione di Fran co Ferrarotti

Nota bibliografica Avvertenza dell’autore

Lezioni XLVI-LX

C R O N O L O G IA D I C O M T E

1798 (19 gennaio). Isidore-Augustc-Fran{ois-Marie-Xavicr Comte nasce a Montpellier da famiglia « eminentemente cattolica c monarchica ». Il padre, Auguste-Louis, assolveva alle funzioni di esattore delle im­ poste. La madre, Rosalie Boyer, era donna dalla fede molto viva. 1807 Entra, all’età di nove anni, come allievo interno, nel liceo di Mont­ pellier; fu uno studente molto brillante, soprattutto nelle materie scientifiche, quantunque notevolmente indisciplinato. i8ro A dodici anni, completati gli studi di letteratura, inizia lo studio della matematica, per prepararsi all’esame di ammissione all’École polytechnique di Parigi. 1812 All’età di quattordici anni, in contrasto con le tradizioni familiari, si dichiara libero pensatore e repubblicano. 1813 Sostiene con successo l’esame di ammissione all'École polytechnique di Parigi. Ma, non avendo l'età richiesta per entrare all'École, deve attendere ancora un anno. Durante questo tempo, sostituisce, con successo, il suo professore di matematica, allora malato; Encontre, esercitò sul suo allievo un’influenza decisiva, avviandolo agli studi filosofici. Comte avverti, durante tutta la sua vita, l’influenza di questa iniziazione. 1814 Entra ncll’Écolc polytechnique di Parigi, in cui si distingue per la precocità dell’ingegno. Da questo momento, inizia la lettura di quei pensatori (Fontenelle, Maupertuis, A. Smith, Fréret, Duclos, Diderot, Hume, Condorcet, De Maistrc, De Bonald, Bichat e Gali) che nu­ triranno la sua attività speculativa, orientandolo verso un rinnova­ mento degli studi sociali, con il sussidio del metodo positivo, 1816 Capeggia una rivolta di studenti contro un insegnante; interviene l’autorità governativa che dispone una temporanea chiusura dell’É-

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Cronologia cole. Dopo un breve soggiorno a Montpellier, ritorna a Parigi contro la volontà dei genitori che gli rifiutano ogni sussidio.

1817 Incontra Saint-Simon, di cui diventa, per sette anni, collaboratore c segretario. Tra il giovane Comte, di diciannove anni, ed il filosofo socialista, di cinquantotto, si stabilisce un intimo legame. Più tardi Comte affermerà che il suo incontro con Saint-Simon è stato un danno irreparabile. 1818 Dalla relazione avuta con una matura signora gli nasce una figlia, verso la quale attese a tutti i suoi doveri di padre. 1819 Pubblica la Séparation générale entre les opinions et les désirs. L ’articolo scritto per il giornale « Le Censeur », è riprodotto nella Politique positive, vol. IV, app., p. 1. L ’idea principale è che, in politica, tutti possono avere dei « desideri », ma soltanto i pubbli­ cisti hanno delle « opinioni » motivate. 1820 Pubblica Sommaire appréciation de l'ensemble du passé moderne. Apparso nel giornale « Organisateur », è riprodotto nella Politique positive, vol. IV, app., p. 4. Molto più sviluppato del precedente, contiene un abbozzo della filosofìa della storia e molte delle idee che più tardi verranno riprese e sviluppate. 1821 In una festa nazionale, Caroline Massin conosce il giovane Comte e a lui si lega, pur mantenendo altre relazioni. 1822 Pubblica Plan des travaux scientifiques nécessaires pour réorganiser la société. Stampato in 100 esemplari, è pubblicato in un opuscolo intitolato k Contratto sociale » di H. Saint Simon. Viene pubblicato di nuovo con il titolo Système de politique positive, nel 30 quaderno del « Ca­ téchisme des industriels » di Saint-Simon; è infine riprodotto nella Politique positive, vol. IV, app., p. 47. 1824 (marzo). Comte, dopo essere stato abbandonato da Caroline Massin, si decide a vivere con lei. In occasione della ristampa del Système de politique positive, avviene la rottura definitiva dei rapporti tra Comte e Saint-Simon. 1825(19 febbraio). Sposa Caroline Massin. Il Robinet scrive: « A ll’età di ventisette anni contrasse il triste matrimonio che riempì di tor­ menti e di rimpianti tutto il resto della sua esistenza ». Dopo il matrimonio dà alle stampe il suo quarto lavoro: Considérations phi­ losophiques sur les sciences et les savantes. Pubblicato nei numeri 5, 7, 8 e io del « Producteur », è riprodotto nella Politique positive, vol. IV, app., p. 137.

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1826 (marzo). Appare il quinto lavoro giovanile di Comte: Considéra­ tions sur les pouvoir spirituel. (2 aprile). Comte inizia nella propria abitazione un corso di filosofia. Tra gli auditori vi è Alexandre de Humbolt, Blanville, Poinsot, Fourier, tutte personalità molto note nel mondo della cultura. 11 corso brillantemente iniziato fu ben presto interrotto. Il 24 aprile impazzisce e il corso rimane interrotto. Fuggito di casa ripara a Montmorency, dove viene raggiunto dalla moglie. Durante una gita che facevano presso il lago d’Enghien, mostra i segni della pazzia. La madre accorsa a Parigi, d'accordo con Lamennais, riesce a rego­ larizzare la situazione del figlio, celebrato il matrimonio religioso. La cerimonia fu l’occasione di una nuova crisi. 1827 Muore la figlia. Cambia alloggio c si dà alle lezioni private. 1828 Scrive Examen du traiti de Yirritation de Broussais, per il « Journal de Paris », in cui tratta filosoficamente dell’alienazione mentale, traendo profitto dalle proprie esperienze personali. 1829 (4 gennaio). Ricomincia il suo corso di filosofia, nel suo nuovo ap­ partamento (rue St.-Jacques, 159), lo termina nello stesso anno. (9 dicembre). Replica le stesse conferenze all’Athénée royal, in pre­ senza di numeroso pubblico. 1830 Pubblica il primo volume del Cours de philosophie positive. (Luglio). Scoppia la rivoluzione; i rivolgimenti politici determinano il completo fallimento di Rouen, il primo editore di A . Comte, il che comportò un ritardo nella pubblicazione dell’opera. Convinto sempre piò che per ottenere un effettivo rinnovamento sociale è necessario procedere alla rigenerazione delle masse, fonda 1’« Association polytechnique » che ha per scopo l’istruzione del po­ polo attraverso corsi pubblici c gratuiti. 1832 L ’intervento del suo amico Navier gli procura il posto di ripetitore all’École polytechnique con un trattamento di due mila franchi. 1835 Pubblica il secondo volume del Cours. 1836 All’École, occupa temporaneamente la cattedra di matematica. Con­ temporaneamente, è incaricato di tenere un corso di matematica al­ l’istituto Laville con una retribuzione di tremila franchi. 1837 Ottiene il posto di esaminatore all’École con più di tremila franchi di retribuzione. 1838 Pubblica il terzo volume del Cours. Gli studi sulla filosofìa della storia risvegliano in lui il gusto delle arti. Si perfeziona nella co­ noscenza dell’italiano, dello spagnolo e dell’inglese.

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1839 Pubblica il quarto volume del Couri. 1840 Incontro con Littré, che rimane discepolo fervente ed entusiasta della sua dottrina. 1841 Pubblica il quinto volume del Cours. 1842 Pubblica il sesto volume del Cours. La prima edizione del Cours (1830-1842) è effettuata dall’editore Bachelier (Quai St-Agustin, 55). Nella prefazione personale al sesto volume Comte sferra attacchi violenti contro quanti avevano osteggiato la sua candidatura alla Accademia delle scienze e alla cattedra di professore ordinario all’École polytechnique e in particolare contro Arago. L'editore Bache­ lier, per evitare fastidi, ritiene opportuno far procedere alla pre­ fazione di Comte una propria nota. Comte intenta causa al suo edi­ tore e, quantunque vinta, essa determina delle conseguenze sfavo­ revoli, sia in famiglia che nella sua vita pubblica. Il 1 agosto si se­ para dalla moglie con la quale mantiene per ben otto anni contatti epistolari. 1843 (marzo). Pubblica Traiti ilémentaire de giomitrie analytique, à deux et à trois dimensioni. 1844 Malgrado l'appoggio personale del gen. Soult, direttore della scuola, Comte perde il posto di esaminatore. Grazie all’influenza di J. S. Mill, gli inglesi Grote, Molesworth e Currie gli assegnano un sus­ sidio. Pubblica il Discours sur l ’esprit positif pronunciato all’aper­ tura del corso di astronomia popolare. 1845 Pubblica il Traiti philosophique d'astronomie populaire. (Aprile). Conosce Clotilde de Vaux c se ne innamora come di colei che per « angelica ispirazione » purificava e ampliava il suo pensiero. Da allora non ha altri pensieri che per lei. I loro incontri, due per set­ timana, erano completati da una fitta corrispondenza (180 lettere in un anno). (Dicembre). Comte scrive a S. Mill affinché i suoi connazionali gli rinnovino il sussidio. 1 sussidi non devono essere temporanei, ma permanenti; interrompendoli, i signori inglesi vengono meno ad un preciso « dovere sociale ». Mill comunica il rifiuto. 1846 Comte replica, insistendo nella richiesta, ma ancora una volta le sue richieste cadono nel vuoto. Vive con sussidi offerti da alcuni suoi amici francesi. (5 aprile). Clotilde muore. L ’affetto che Comte nutriva per lei, lungi dallo scemare, si rafforza. Clotilde è tutto per lu i: ogni giorno consacra ore intere al suo ricordo; nei suoi scritti è sempre presente.

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La chiama la « sua vera sposa », la sua « santa compagna », la « ma­ dre della seconda vita », la « vergine positivista », la sua « celeste Clotilde », la « sacerdotessa dell'Umanità », la « mediatrice tra il Grand Etre e il suo grande sacerdote ». 1848 (25 febbraio). Comte emana una Circolare proponente una libera associazione per Vistruzione del popolo in tutto l'Occidente europeo. (8 marzo). Emana una nuova circolare i l fondatore della Società positivista a chiunque desideri incorporarvisi. (Luglio). Pubblica Discours sur l’ensemble du positivisme. (6 luglio). Appello al pubblico occidentale per rammentare l’obbligo di non lasciar morire di miseria il principale organo del positivismo, della grande dottrina della felicità. Il tentativo fallisce. Perde il posto all’istituto Laville. 1849-60 Appare il Calendario positivista. 1849 Littré apre a favore di Comte una sottoscrizione di cui egli stesso assume la direzione. 1850 (7 marzo). Appare il Discours prononcé aux funérailles de BlanvlUe. 1851 Scrive la Bibliothèque positiviste. (Luglio). Pubblica il primo volume del Système de politique positive contenente il Discorso preliminare e Introduzione fondamentale. 1852 Perde il posto di ripetitore all’École. L ’amicizia che univa Comte al suo discepolo Littré si raffredda. Comte ritira a Littré la dire­ zione del sussidio di cui si occupa personalmente. (Maggio). Pubblica il secondo volume del Système de politique po­ sitive. (Ottobre). Pubblica il Catéchisme positiviste o « Sommaria esposi­ zione della religione universale ». (Dicembre). Lettre à sa Majesté le tzar Nicolas. 1853 Pubblica il terzo volume del Système de politique positive. 1854 (Agosto). Pubblica il quarto ed ultimo volume del Sistème de poli­ tique positive. 1855 (Agosto). Scrive l ’Appel aux conservateurs. 1856 Pubblica il primo volume della Synthèse subjective. A questo primo volume avrebbero dovuto seguire il secondo e il terzo dedicati ri­ spettivamente alla Morale positiva e alla Industria positiva. 1857 (5 settembre). Comte muore, « dopo una vita — dice il Robinet — consacrata esclusivamente al servizio dell'umanità ».

IN T R O D U Z IO N E di Franco Ferrarotti

I Perche tradurre Auguste Ccm te? Che senso ha, oggi, il pensiero, filosofico e sociologico insieme, di Comte? Si tratta di un dubbio lecito, che taluno avvertirà come doveroso. Ma è un dubbio infon­ dato : viviamo in tempi che sembrano la vendetta postuma di Comte. La scienza ha colpito in profondità l'immaginazione popolare. Il fisico nucleare, l’ingegnere, il tecnico specializzato sono usciti dal cerchio ristretto del laboratorio di ricerca, sono i nuovi « eroi », i protagonisti di un nuovo tipo di divismo. Si parla di « due cul­ ture », che vanno riunificate; si cercano le condizioni, culturali e psicologiche, per un nuovo umanesimo fondato sulla scienza, una scienza capace di riscoprire e rivalutare le esigenze umane che la muovono e le conferiscono significato universale. È questo il pro­ blema fondamentale di Comte. Tutto questo, non solo allo stato programmatico, ma logicamente esplicitato e portato alle sue conse­ guenze estreme in termini di organizzazione sociale e politica, si trova nell’opera di Comte. Aspetti di quest’opera sono oggi certamente insostenibili, ma se la grandezza di M arx consiste nell’aver correttamente previsto il gi­ gantismo industriale, quella di Comte è nell’aver intuito l’impor­ tanza sociale della scienza, cioè nell’avere esattamente descritto l’av­ vento e le caratteristiche della società industriale come società do­ minata dal calcolo scientifico, organizzata, specialistica, socio-cen­ trica. L ’attualità di Comte è tutta q u i: nell’ aver capito che la scienza non è più da considerarsi come un fatto individuale, come l’opera,

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misteriosa, sospesa fra pratica esoterica e stregoneria, del genio so­ litario, bensì come uno strumento, potentissimo, di analisi e di tra­ sformazione sociale. In Comte la scienza cessa di essere un fatto pri­ vato, e non per nulla i grandi scienziati, nel calendario positivistico, diventeranno i sacerdoti della religione del G rand-Etrc, cioè dell’U ­ manità. L a scienza appare per quella che è : una procedura pub­ blica, come tale vincolante, sottratta ai giudizi, e ai capricci, indivi­ duali. Per Comte, la scienza è la nuova base del consenso sociale. C olui che passa per il fondatore della sociologia, che ha comun­ que la responsabilità d’aver coniato questo termine ibrido c, per alcuni importanti aspetti, decisamente fuorviante, è ossessionato dal disordine, dal crollare di ordini e di idee, dalla confusione organiz­ zativa e politica che vede intorno a sé. Per comprendere l’intento di Comte occorre comprendere l’uomo e il suo tempo. Figura uma­ namente complessa e per certi aspetti patetica, scrittore difficile e pensatore logico, ma prolisso, talvolta pedante fino al ridicolo, Comte è stato fino a tempi recenti vittima di gravi fraintendimenti. Già colpisce la solitudine in cui si trova fra i contemporanei. M arx e Engels si limitano a considerarlo il figlio snaturato di Saint-Simon \ Taine, recensendo la seconda edizione del Court de philosophic po­ sitive, ne mette in luce le deficienze come scrittore assai brillan­ temente, ma con sostanziali ingenerosità. « Fra i cattivi scrittori — nota Taine — è certamente uno dei peggiori; se i primi volumi del suo Corso sono tollerabili, gli ultimi, e in generale nelle opere in cui tratta di politica, religione, storia, eguagliano quanto a bar­ barie i trattati più barbosi (rébarbatifs) della filosofìa tedesca o della filosofia scolastica » ’ . M a non è solo questione di forma. Lasciando cadere le con­ siderazioni stilistiche, infatti, Taine insiste sulle pedanti indicazioni di Comte quanto al nuovo ordine positivo, questa specie di reli­ gione laica, un cattolicesimo senza cristianesimo, come ebbe a dire H uxley (a Catholicism without Christianity), ma con tutto l’arma­ mentario liturgico e sacramentale delle religioni tradizionali. « Tutti sapevano — continua Taine — che Comte, come Fourier e SaintSim on, aveva inventato una religione e una politica; meglio, che 1. Per un giudizio complessivo su Comte, cir. la lettera di Engels del 34 gen­ naio 1895 a Ferdinand Tònnies, cit. in G. Meym , F. Engels, voi. II, p. ssa. 2. Cfr. H. T aine, in Journal dei Débats, 6 luglio 1864.

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aveva elaborato un piano completo, proclamato un D io, istituito un culto, fabbricato un calendario, organizzato un potere spirituale, indicato delle scomuniche ». Non v ’è dubbio che alla fortuna di Comte abbia nuociuto l'entusiasmo, caratteristico dell’utopista, con cui procede alla descrizione fastidiosamente minuta della religione dell’Umanità. Ma a Taine non sfuggono gli aspetti positivi e il merito storico dell’opera di Comte. Contrariamente alle interpretazioni polemiche e schematizzanti della tradizione storiografica idealistica, Taine si rende perfettamente conto della novità che l’impostazione comtiana rappresenta. « Per la prima volta — scrive Taine nel seguito della sua recensione — un uomo ha esaminato che cos’è la scienza, non in generale, come hanno fatto gli altri filosofi, ma secondo le scienze esistenti e effettive, l’astronomia, la meccanica, la geometria, l’ottica. Per questo egli giunge a dire non quello che la scienza potrebbe o dovrebbe essere, bensì quello che essa è di fatto, a quali condi­ zioni essa sorge, quali ipotesi rigetta, di quali precedenti vive, quali linee di sviluppo segue, quale rigore esige, quali certezze comporta. Sono problemi di prim ’ordine, forse i più importanti, poiché la na­ scita e lo sviluppo delle scienze positive è da tre secoli a questa parte l’avvenimento capitale della storia ». Taine vede dunque, ed esprime con grande efficacia, ciò che non potevano vedere i critici idealistici di Comte e del positivismo, data la svalutazione en bloc da essi operata a carico di tutte le scienze, private di valore conoscitivo in senso proprio e ridotte al rango di pseudo-concetti con funzione meramente classificatoria. M a ciò che Taine non riesce a vedere e che è all’origine delle sue perplessità è un punto fondamentale della costruzione comdana. Taine riconosce ¡1 merito di Comte allorché tratta delle scienze in senso non astratto speculativo, ma da conoscitore di prima mano. C iò che non vede è il passaggio dalla concezione concreta, ma meta-specialistica, delle singole scienze, dal punto di vista metodologico e sostanziale, alla visione globale, sinottica del procedimento scientifico nelle sue diffe­ renziate, ma interdipendenti concatenazioni nei vari campi, dai più semplici ai più articolati e complessi, dall’astronomia alla biologia e alla sociologia, e quindi all’approdo finale del pensiero di Comte, cioè alla concezione operativa e intimamente unitaria, totalizzante della scienza come procedura pubblica e pertanto né tradizionale né personale, ma razionale, ossia tale da porsi come valida base del

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consenso, come fondamentale piattaforma intellettuale per la « rigenerazione deH’umanità ». In questa prospettiva, la negazione della psicologia, che tanto scandalizza Taine, ossia la censura fatta valere contro l’anarchia del giudizio individuale, cessa dall'essere una inesplicabile stravaganza dell’inventore genialoide, diventa un corollario inevitabile, che del resto Durkheim farà sostanzialmente proprio. È chiaro d’altro canto che qui siamo di fronte a un uomo che si interroga intorno ai bi­ sogni del proprio tempo. In altri termini, siamo di fronte al fatto, affascinante e insieme misterioso, del maturare di una vocazione: un dato biografico che si salda a una necessità storica e che riconosce nel lavoro per soddisfare tale necessità il proprio compito specifico, la « chiamata », cioè l’occasione per la propria auto-realizzazione. Per capire Comte, di là dai risibili tentativi di mutare i santi del calendario, bisogna tener presente che egli ha alle spalle il mondo torbido e inquieto del periodo post-rivoluzione francese. Il problema che lo ossessiona è il problema della ricostruzione dell'ordine so­ ciale — problema familiare, che colora di sé tutta la tradizione so­ ciologica. M a in Comte $i configura in modo particolare. Si tratta di un ordine aperto sul progresso, cioè di un ordine dinamico, auto­ evolutivo, che garantisce la stabilità, ma non esclude il cambiamento. L a Francia e l’Europa dei primi anni dell’Ottocento appaiono impe­ gnate nella ricerca di un regime politico stabile. Saint-Simon ricorda che l’umanità non è fatta per abitare fra le rovine. A ll’epoca « cri­ tica » della Rivoluzione deve succedere un’epoca « organica ». La crisi rivoluzionaria ha pesato su tutti, anche sul provinciale che vede la luce a Montpellier nel T798, da fam iglia, come dirà nella prefa­ zione personale al Cours de philosophìe positive, « eminentemente cattolica e monarchica », segretario e discepolo, e più tardi acceso an­ tagonista di Saint-Simon, nutrito di pensiero settecentesco — negli anni della sua formazione, insieme con gli empiristi inglesi, studia a fondo Diderot, D ’Alembert, Fontenelle, Turgot c Condorcet — sfor­ tunato aspirante ad una cattedra a pieno tempo neU’insegnamento superiore, in lotta costante con la ristrettezza dei m ezzi finanziari e gli assilli di una vita coniugale agitata. C iò che distingue Comte è il tipo di diagnosi e il tipo di terapia che offre. Per M arx il problema era in radice economico e riguar­ dava l’ assetto proprietario dei mezzi di produzione. Per Proudhon, insieme con l’aspetto economico, aveva larga parte l’aspetto propria­

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mente istituzionale e politico. L ’originalità di Comte consiste nella sua caratteristica insistenza sulla necessità pregiudiziale di una rior­ ganizzazione delle idee. La crisi sociale è per lui essenzialmente una crisi intellettuale. Infatti, argomenta, le istituzioni dipendono dai costumi, e questi, a loro volta, dalle credenze. Occorre dunque in primo luogo comprendere e fissare la legge dell’evoluzione in­ tellettuale deLl’Umanità, quindi stabilire la classificazione e il modo di integrazione delle scienze, infine garantire scientificamente la duplice esigenza da cui dipendono la vita e lo sviluppo della so­ cietà umana, vale a dire quella dell’ordine e quella del progresso.

II Programma indubbiamente ambizioso, ma ciò che in primo luogo colpisce è il suo carattere ferreamente unitario. Il bisogno di unità, di visione globale, sintetica, d’insieme è l’esigenza che caratterizza in maniera marcatissima e inconfondibile il pensiero comtiano, dai primi Opuscules giovanili alla fase intermedia, della maturità, che si esprime nel Cours de philosophic positive e infine alla fase conclu­ siva del suo itinerario intellettuale, che trova il proprio esito nel Système de politique positive. Questo carattere unitario appare inti­ mamente legato a quella che Schumpeter chiamerebbe la « visione originale » di Comte, il suo intuito pre-scientifico, quasi una sorta di illuminazione giovanile che, presso certi pensatori, si riverbera e giustifica il loro lavoro scientifico per tutta una vita. « Avevo ap­ pena compiuto i quattordici anni — scrive Comte — che già pro­ vavo il bisogno fondamentale di una rigenerazione universale, a un tempo politica e filosofica, sotto l’attivo impulso della salutare crisi rivoluzionaria la cui fase principale aveva preceduto la mia nascita... La luminosa influenza di una iniziazione matematica, felicemente sviluppata all ’Ecole Poly technique, mi fece istintivamente presentire la sola via intellettuale che poteva realmente condurre a questo grande rinnovamento. Avendo compreso l’insufficienza radicale di un’istruzione scientifica limitata alla prima fase della positività ra­ zionale,... provai il bisogno, prima ancora di lasciare YEcole, di ap­ plicare alle speculazioni pratiche e sociali la nuova maniera di filo­ sofare che avevo appreso attraverso lo studio delle materie più sem­ plici... 11 senso graduale della vera gerarchia enciclopedica cominciò

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a svilupparsi in me, così come l ’intuizione di un’armonia finale fra le mie tendenze intellettuali e le mie tendenze politiche, prima es­ senzialmente indipendenti anche se egualmente imperiose. Questo equilibrio decisivo risultò infine, nel 1822, nella scoperta fondamen­ tale che m i portò, all’età di ventiquattro anni, a una vera unità men­ tale e al tempo stesso sociale, in seguito sempre più sviluppata e consolidata sotto la costante ispirazione della mia grande legge rela­ tiva all’insieme dell’evoluzione umana, individuale e collettiva » *. Ritroviamo qui, espresso nei termini di un’esperienza autobio­ grafica, il problema che domina gli intellettuali riformatori dell'Ot­ tocento, l’unità dell’essere e del pensare, la coerenza interna che ì vita e pensiero insieme, un pensiero che cessa di essere puro com­ mento, che intende diventare strumento di trasformazione politica c sociale, una vita che non si vuole più scissa rispetto alle proprie convinzioni profonde, ma capace invece di fare storia, senza lacera­ zioni, nel vivo deH’esperienza quotidiana, vivendo già oggi la ri­ voluzione, hic et nunc: problema suggestivo, che da M arx, Saint-Simon, Comte giunge fino alla distinzione di Weber fra etica dei principii ed etica della responsabilità, per risorgere nel problema gram­ sciano del blocco logico-storico e nella problematica di Sartre, diviso fra impegno e disimpegno. L'unificazione delle scienze non è dunque per Comte un’impresa intellettuale fine a se stessa. È la premessa necessaria per una gran­ diosa operazione sociale e politica. Assai più che nella famosa « legge dei tre stati », in base alla quale i manuali ci hanno tradizional­ mente offerto un'immagine monocorde e sostanzialmente distorta di Comte, e qui che va ricercata l’originalità della costruzione comtiana. L a stessa legge dei tre stati ha del resto nella classificazione c nell’integrazione razionale delle scienze il suo necessario comple­ mento. 11 problema è posto da Comte nei primi « opuscoli » — in particolare in Séparation générale entre les opinioni et les d ésin e Som m ane appréciation de l'ensemble du passi moderne — e si precisa quindi nel Cours de philosophie positive. Com e abbiamo più sopra accennato, Comte ritiene che la crisi politica e morale delle società attuali derivi in ultima analisi dall’anarchia intellettuale. 11 nostro male più grave, egli afferma in sostanza, consiste in quelle 3. Cfr. A. C omt», Court de philosophie potitive, Parigi, ed. 1864, p. 7.

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profonde divergenze che attualmente dividono gli spiriti con ri­ guardo a tutte le massime fondamentali, la cui stabilità è la prima condizione di un vero ordine sociale. Fino a che le intelligenze in­ dividuali non avranno aderito a un certo numero di idee generali ca­ paci di formare una dottrina sociale comune, lo stato delle nazioni resterà, a giudizio di Comte, essenzialmente « rivoluzionario » e non comporterà realmente che' soluzioni provvisorie. Se i disordini politici dipendono dairanarchia intellettuale, questa a sua volta deriva dall’eccessiva specializzazione regnante nel campo scientifico. Comte nota acutamente come, se il principio della divi­ sione del lavoro applicato nel campo scientifico ha dato buoni frutti in termini di progresso delle singole scienze, esso ha avuto tutta­ via un prezzo piuttosto alto : infatti, a poco a poco la divisione e la specializzazione delle ricerche furono spinte così lontano da far per­ dere di vista il legame di ogni branca del sapere con il tronco unico da cui si era staccata. L o spirito umano corre il rischio di perdersi in lavori di dettaglio senza avere quella chiara visione unitaria cui tali lavori dovrebbero concorrere.

I li In primo luogo occorre, a giudizio di Comte, unificare il me­ todo della ricerca scientifica. La crisi del suo tempo gli appare no­ tevolmente aggravata dal fatto che le diverse scienze non sono ani­ mate dallo stesso esprit. Nel campo dei fenomeni meccanici, chimici e biologici, il metodo seguito è quello positivo, scoperto e procla­ mato da Cartesio e da Galileo. Esso consiste essenzialmente nel ri­ nunciare alla ricerca delle cause ultime dei fenomeni per limitarsi invece a identificarne e a formularne le leggi mediante l'osservazione sistematica. Leggi, s’intende, di comportamento positivo e per defini­ zione osservabile. Una tendenza metodologica radicalmente con­ trapposta si nota per i fenomeni concernenti la società e la storia. Qui prevale l ’impostazione metafisica, la quale pretende di spiegare le « leggi » invece di limitarsi a stabilirle. Eterogeneità di metodo e conseguente dispersione delle intelligenze sono per Comte le due cause dell’anarchia intellettuale che caratterizza la società moderna. Dal disordine intellettuale deriva il disordine morale. Mancando in­

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fatti un criterio unitario di condotta, le volontà appaiono isolate c i loro sforzi divergenti e inconclusivi. Dal disordine intellettuale e morale degli individui scaturisce il disordine che regna nella società, spingendosi ai limiti estremi. Comte non si stanca di ripetere che una società può sussistere e perpe­ tuarsi nel tempo solo in base a due condizioni fondamentali che egli indica con i termini « ordine » e « progresso ». N ella società mo­ derna queste due condizioni, o prerequisiti funzionali per il sistema sociale, sono nettamente separate; della prima si fa sostenitrice una politica a carattere retrogrado, mentre la necessità della seconda è invocata dalle dottrine anarchiche. Comte vede il primo sintomo dell’anarchia regnante nei sistema politico nel fatto che tutti si ritengono idonei a risolvere le questioni sociali, le quali peraltro, per il loro grado superiore di complessità, devono riuscire le più inaccessibili per chi non abbia una « scrupo­ losa preparazione scientifica ». Quanto gravi sono necessariamente i danni di questa malattia sociale, esclama Comte, « se tutti gli in­ dividui, per quanto inferiore sia la loro intelligenza e malgrado l’as­ senza in molti casi di una preparazione adeguata, sono indistin­ tamente indotti da energici stimoli a risolvere continuamente, con la più deplorevole leggerezza e senza alcuna guida o il minimo freno, le questioni politiche più importanti » *. D ’altro canto, Comte os­ serva come gli uomini di stato vedano con sfavore ogni tentativo di elaborazione teorica delle dottrine sociali. Essi comprendono infatti che l’applicazione di criteri scientifici alle decisioni politiche signi­ ficherebbe una drastica riduzione del loro potere discrezionale, una vittoria del principio razionale sull’espediente e sugli interessi se­ zionali, il predominio del punto di vista spirituale su quello ma­ teriale. Ma secondo Comte è caratteristico della situazione della so­ cietà moderna che il punto di vista materiale domini la vita politica e le sue istituzioni. È un’involuzione che dura da circa tre secoli, ossia da quando il potere spirituale fu abrogato e assorbito dal po­ tere temporale e la soluzione dei problemi sociali fu abbandonata a spiriti dominati dalla preoccupazione degli affari quotidiani. Le istituzioni si sono così accumulate e aggiunte ad altre istituzioni, ma sempre in base agli stessi erronei principii, senza comprendere che 4. A. Comte, Court de philosophie positive, cit., voi. IV, p. 62.

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la malattia non è solo fìsica, ma principalmente intellettuale e mo­ rale. In una situazione siffatta, il disordine e la degradazione poli­ tica non potrebbero non essere al loro culmine. Tanto più, nota Comte, che le intelligenze superiori e le anime nobili sono portate a tenersi in disparte, permettendo che la scena politica venga domi­ nata da persone incompententi, da mediocri e da ciarlatani. La diagnosi politica di Comte dimostra come costoro abbiano suc­ cesso appunto in grazia dell’assenza di autentici principii sociali ge­ nerali; le mezze convinzioni e le misure di mero opportunismo pos­ sono infatti agevolmente essere sostituite le une con le altre a seconda della congiuntura. U n quadro così fosco non giustifica tuttavia, nel­ l’opinione di Comte, alcun pessimismo di fondo, poiché l'anarchia è uno stato patologico, quindi non permanente della società umana. Il problema fondamentale è racchiuso in questa dom anda: com’c possibile riportare l'ordine nel dominio intellettuale? Si tratta innanzi tutto, per Comte, di introdurre l ’unità di me­ todo nel sistema delle scienze, superando la dicotomia fra metodo positivo, adottato dalle scienze naturali, e metodo teologico-metafìsico, ancora dominante nelle scienze sociali. I due metodi appaiono a Comte inconciliabili : « Quando delle leggi naturali hanno potuto es­ sere scoperte, quest’intima continua opposizione non ha tardato a manifestare, sotto ogni riguardo, un’ incompatibilità sempre più ca­ ratteristica tra il predominio della ragione e quello dell’immaginazione, tra lo spirito assoluto e quello relativo » *. Scartata l’ipotesi della conciliabilità dei due metodi e constatata l’insufficienza del me­ todo teologico-metafìsico, non resta che provvedere all’estensione del metodo positivo a tutti gli ordini di fenomeni, specialmente a quelli sociali. Per questa via il metodo positivo acquisterà un carat­ tere universale e renderà possibile la creazione di una « filosofìa po­ sitiva ». M a che cosa intende Comte per « filosofìa » ? E g li usa questo termine « nell’accezione generale che gli davano gli antichi, e in particolare Aristotele, per indicare con esso il sistema generale delle conoscenze umane » *. L a compiuta elaborazione di tale « filosofia po­ sitiva » sarà pertanto possibile solo dopo l’estensione del metodo po­ sitivo ai fenomeni sociali : « In effetti,... si nota una lacuna esscn5. A. C omte, op. ri»., voi. IV, p. 367. 6. A. C omte , op. à i.. Introduzioni, p. un .

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ziale relativa ai fenomeni sociali i quali, benché compresi implici­ tamente fra i fenomeni fisiologici, meritano di formare una cate­ goria a parte sia per la loro importanza sia per la difficoltà inerente al loro studio. È evidente che quest’ordine di fenomeni non è ancora entrato nel dominio della filosofia positiva... Ecco dunque la grande, ma evidentemente la sola lacuna che si tratta di colmare per con­ durre a termine la costituzione della filosofia positiva. Dopo la fìsica celeste, terrestre, organica, si tratta ora di fondare la fìsica sociale » \ L a elaborazione della filosofia positiva è per Comte la condi­ zione per la cessazione dell'anarchia e della dispersione delle intel­ ligenze. Infatti, « la principale proprietà intellettuale dello stato po­ sitivo consisterà certamente nell’attitudine spontanea a determinare e a mantenere una coerenza mentale perfetta, mai esistita in simile grado prima d’o r a ...» '. Non solo: la filosofia positiva consentirà di conoscere i procedimenti logici dello spirito umano e, dal punto di vista del sistema scolastico, rivoluzionerà i metodi educativi, i quali risentono deH'eccessiva specializzazione del sapere. Per un verso, le diverse scienze saranno presentate come i rami di un unico tronco, mentre, dall'altro lato, lo studio delle proposizioni scientifiche ge­ nerali contribuirà ai progressi particolari delle scienze positive. Comte appare misticamente certo che a siffatta rigenerazione sul piano culturale dovrà necessariamente far seguito quella {»litica e mo­ rale. G li spiriti saranno infatti riuniti in una stessa « comunione di principii » e « istituzioni convenienti » ne deriveranno spontanea­ mente senza scosse gravi per la società. Colpisce la svalutazione che Comte compie con tutta naturalezza di fenomeni quali la « questione sociale » e la lotta di classe, che assorbivano quasi esclusivamente l’attenzione dei suoi contemporanei. M a per Comte si tratta di fe­ nomeni passeggeri, di assestamento, che la logica stessa di sviluppo della società industriale si incaricherà di diluire nel tempo e infine di eliminare. I due poteri, spirituale e temporale, saranno distinti e sarà creata una durevole organizzazione che assicurerà nel contempo ordine e progresso. L ’educazione posidva, intanto, andrà sviluppando il sen­ timento della solidarietà, ne farà il cardine deH'insegnamcnto morale, la socialità umana ne uscirà rafforzata. Comte proclama ncn solo 7. A. C omte, op. eit., voi. I, pp. 11-12, 8. A. Comte, ep. eit., voi. VI, p. 518.

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la inutilità, ma la impossibilità delle guerre. La nuova società in­ dustriale che, sulle orme di Saint-Simon, egli ci viene descrivendo, è una società eminentemente solidaristica, socio-centrica, nella quale la guerra è una contraddizione in terminis. L a morale teologico-metafisica era essenzialmente individuale; quella positiva è essenzialmente sociale. « Quando una vera educazione — scrive Comte — avrà convenientemente familiarizzato gli spiriti moderni con le nozioni di solidarietà e di perpetuità che suggerisce spontaneamente, in molti casi, la contemplazione positiva dell’evoluzione sociale, si sentirà profondamente l'intim a superiorità morale di una filosofia che col­ lega ognuno di noi all’esistenza dell’umanità considerata nell’insieme dei tempi e dei luoghi » *. La posizione di Comte emerge da queste scarne considerazioni in piena chiarezza e dotata di notevole coerenza rispetto a quelle dei suoi contemporanei e oppositori, M arx e Proudhon, e del loro comune ispiratore, Saint-Sim on: la crisi della società non è d ’ordine mate­ riale, ma intellettuale. N on si tratta dunque di riformare semplicemente le istituzioni come tali, ma il sistema di idee sul quale pog­ giano. 11 (( male intellettuale » è d ’altro canto duplice : da un lato, la specializzazione delle scienze; dall’altro, la loro eterogeneità me­ todologica. 11 rimedio deve a sua volta essere duplice. Esso consiste infatti nella elaborazione della filosofia positiva c della sociologia. La prima raggruppa le varie scienze e ne fa un corpo unitario c siste­ matico; la seconda incorpora lo studio dei fatti sociali nel sistema delle conoscenze positive, che sono la sua base e che nello stesso tempo essa viene a coronare. Sia dal punto di vista teorico che da quello pratico, la sociologia ha dunque una funzione di fondamen­ tale importanza. Teoricamente, il suo apporto è decisivo per porre termine al disordine intellettuale in quanto consente di studiare i fatti della vita associata servendosi di procedimenti scientifici; pra­ ticamente, essa serve da base scientifica per la rigenerazione della società. Tradizionalm ente, osserva Comte, anticipando la discussione di Mannheim intorno alla possibilità di una « politica scientifica », la politica era stata considerata un’arte; ora è giunto il momento di creare la scienza che corrisponda a tale arte e che sia capace di guidarla.9 9. A. C omte, op. Hi., voi. VI, p. 532.

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IV È interessante a questo punto rilevare come fra il Comte del Court de philosophie positive e il Comte del Système de politique positive non vi sia alcuna sostanziale soluzione di continuità. Se pure con accenti diversi, in ambedue le fasi il problema è identico: si tratta di sostituire al giudizio intuitivo, « artistico », « individuale » e quindi, per Comte, tendenzialmente anarchico, un giudizio fondato scienti­ ficamente sull’analisi positiva dei fatti sociali, rilevati e interpretati mediante l’osservazione. Sono note le obiezioni di derivazione neo-idealistica a tale pre­ supposto metodologico. Esse si possono agevolmente riassumere nel­ l'accusa, non sempre sufficientemente circostanziata, di meccani­ cismo e di ottuso feticismo dei fatti. Un esame non prevenuto dei testi non permette tuttavia di condividerla. È vero, come H ayek ha in più luoghi eloquentemente sottolineato che in Comte rispuntano costantemente l’ingegnere e quel caratteristico esprit polytechnicìen che tende a ridurre ogni fatto, o esperienza umana, agli aspetti su­ scettibili di misurazione precisa, ma da ciò alla condanna in blocco espressa dai neo-idealisti crociani e post-crociani, in nome di una misteriosa, anche se comoda, riduzione dei fatti sociali a « fatti di coscienza », il passo è lungo. La critica di iperfattualismo c di de­ scrittivismo ingenuo che essi muovono alla sociologia in generale e a Comte in modo particolare è in verità il frutto di un pregiudizio. Per Comte è evidente che non basta osservare per osservare scien­ tificamente. Occorrono, diciamo oggi, un quadro concettuale di ri­ ferimento e delle ipotesi di lavoro, chiaramente formulate, da veri­ ficare o da falsificare, che diano senso c direzione alla raccolta dei dati empirici. Comte parla della « guida luminosa » di una teoria. Con riguardo ai fenomeni più complessi, cioè quelli sociali, « senza la luminosa indicazione di una teoria preliminare —- egli scrive — ... l'osservatore non saprebbe neanche, nella maggior parte dei casi, ciò che deve guardare nel fatto che si compie sotto i suoi occhi » 11. Non solo; Comte procede a chiarire come l’osservazione « puramente10 li. 10. Cfr. spccialmente F. A. Have*, The Counterre volution of Science, Glencoe, 1955. Parte II, cap. Ill e cap. VI. li. A. C omte, op. cit., vol. IV, p. a20.

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empirica » sia oziosa in quanto il fatto isolato è in sé privo di si­ gnificato c pertanto inutilizzabile : « Nessun fatto sociale potrebbe avere significato veramente scientifico senza essere immediatamente riavvicinato a qualche altro fatto sociale; puramente isolato, esso resta evidentemente allo stato sterile di semplice aneddoto, capace al più di soddisfare una vana curiosità, incapace di alcun uso ra­ zionale » Ma la questione è complessa e viene da Comte affrontata in tutta la sua portata : se infatti l’osservazione scientifica deve essere diretta da una teoria, la teoria non può sorgere ed essere elaborata che sulla base di osservazioni. Si tratterà di osservazioni impressioni­ stiche, notizie ricavate da interviste volanti, da colloqui aperti, in quella prima fase della ricerca, ricca di spunti, di prime ipotesi c di sorprese, che chiamo la « ricerca di sfondo ». Comte spinge a fondo l’analogia fra fisica naturale e fisica so­ ciale. Per questa ragione egli nota come, per la sociologia come nelle scienze fisiche, l’osservazione vada sempre completata dall’e­ sperimento. Ma occorre distinguere fra esperimento diretto, ossia la creazione di circostanze artificiali nell’osservazione di un fenomeno, ed esperimento indiretto, che consiste nell’esame di casi « patologici », vale a dire di casi in cui le « leggi » fondamentali subiscono pertur­ bazioni o alterazioni, come, per esempio, nel corso delle rivoluzioni sociali e politiche. È questo secondo tipo di esperimento, indiretto e, a rigore, dal punto di vista delle scienze sperimentali, improprio, che caratterizza la ricerca sociologica, non potendo i fenomeni sociali essere artificial­ mente riprodotti in laboratorio o comunque ripetuti, per così dire, in condizioni prestabilite senza essere sostanzialmente alterati. Per questa ragione, che tocca l’essenza stessa dei fenomeni sociali, resperimen to va a sua volta completato dalla comparazione. Essa può ve­ nire sviluppata secondo due modi : a) mediante la comparazione della società umana con le società « in ferio ri» , o anim ali; comparazione, nota Comte, scarsamente feconda dal punto di vista dinamico, poi­ ché nell'animalità non v ’è progresso, mentre appare euristicamente utile dal punto di vista statico, perché serve a individuare e a sta­ bilire le « leggi » più elementari della solidarietà sociale; b) para­ li . A. C o m t e , op ( il ., voi. IV, p. 2 13 .

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gonando sistematicamente i diversi stati coesistenti della società umana nelle diverse parti della terra, considerati nel seno di popolazioni che siano indipendenti le une dalle altre; benché infatti, a giudizio di Comte, l’umanità tenda unitariamente al progresso, le diverse po­ polazioni non si trovano tutte contemporaneamente nello stesso stadio di cultura (civilisation). Questo secondo modo di impostare la comparazione indica un punto debole della costruzione comtiana e può in verità costituire una falla irreparabile con riguardo al suo presunto carattere uni­ tario. Cpmte ne è consapevole c si affretta a notare come l’uso esclu­ sivo del metodo comparativo presenti gravi inconvenienti soprattutto in quanto tende a mostrare gli stati sociali come coesistenti e a far perdere di vista il fatto, per Comte, fondamentale che essi sono essenzialmente successivi: «esso (il metodo comparativo) non può essere usato — prescrive Comte — senza che la sua prima appli­ cazione e la sua interpretazione finale siano costantemente dirette da una preliminare concezione generale — molto generale, indub­ biamente, ma pienamente positiva — dell’insieme dello sviluppo fondamentale dell’umanità » 1S. A correggere gli errori di prospettiva del metodo comparativo provvede il metodo storico-genetico, che Comte descrive come il me­ todo proprio dell’analisi sociologica, il solo in grado di farci com­ prendere la formazione delle « serie sociali », la quale rivela, sulla base dell’insieme dei fatti storici, l’accrescimento continuo di ogni « disposizione » di qualsiasi tipo (fisica, intellettuale, morale, poli­ tica), combinato con il decrescimento indefinito della « disposizione » opposta, da cui dovrà derivare la « previsione scientifica della pre­ valenza finale dell’una e della caduta definitiva dell’altra » u . Non si tratta evidentemente, per Comte, di sancire il predominio di una concezione rigorosamente conseguenziale dello sviluppo sto­ rico, tipica dello storicismo, per cui il susseguente appare automati­ camente spiegato e giustificato dal precedente e la storia stessa, come forza impersonale e astrattamente razionalizzante, viene a porsi come dotata di poteri organizzativi automatici rispetto al carattere fluido c altamente problematico del processo sociale. Comte richiama co­ stantemente, contro ogni possibilità di interpretazione in senso stori-134 13, A. CoMTE, op. (il., voi. IV, p. 235. 14. A. C omte, op. cit., voi, IV, p. 241.

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cistico del metodo storico-genetico, gli elementi strutturali del com­ portamento sociale, relativamente indipendenti rispetto alla variabi­ lità storica. E gli giunge anzi ad affermare, usando termini indub­ biamente fuorviami in quanto mutuati dalla tradizione teologico-metafisica, che nessuna teoria sociale, pur se fondata su una evidente induzione storica, può sussistere qualora si ponga in contraddizione con quelle che dogmaticamente designa come le « leggi della natura umana ». V È appena il caso di sottolineare la distanza che intercorre, dal punto di vista metodologico e teorico-concettuale, fra gli assunti di Comte e le impostazioni odierne della ricerca sociologica. M a non vi può d ’altro canto essere dubbio, a mio giudizio, che i lineamenti essenziali della struttura della spiegazione sociologica così come si trovano fissati nell'opera comtiana restano in piedi. L a struttura della spiegazione sociologica dei fenomeni sociali possiede alcune carat­ teristiche fondamentali che già nell'opera di Comte sono presenti, se pure l'istanza normativa della « rigenerazione dell’umanità » e l’impazienza nell’applicazione operativa di proposizioni teoriche non ancora sufficientemente garantite dal punto di vista empirico lo abbiano da ultimo indotto a confondere fra accertamento, spiega­ zione e precetto. La spiegazione sociologica ha in primo luogo un suo prezzo em­ pirico, ha a che fare con i fatti della realtà effettuale, non può autoalimentarsi daH'interno senza uscire da sé e senza misurarsi con l’imprevedibile realtà empirica della vita culturale, o storica nel senso più lato del termine, pena lo scadere nel formalismo gratuito, pena, in altre parole, la perdita del suo oggetto. Ciò non significa, ov­ viamente, che la ricerca sociologica possa ritenersi soddisfatta di una professione di iper-empirismo, per usare la frase di Gurvitch, o di un mero fattualismo privo di prospettive. 11 contributo ancor vivo di Merton e, su un piano diverso, di Parsons e dei neo-sistematici americani odierni, pur con tutte le limitazioni che si legano alla loro caratteristica sordità al problema della variabilità storica, è appunto da vedersi nel rapporto che essi istituiscono fra schema teorico-con­ cettuale e dato empirico e che appare essenziale per trarre le ricerche di sociologia e delle altre scienze sociali dal punto morto dell’inda­

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gine non orientata, erratica, condannata fin dall’inizio ad accumulare dati senza sapere a quale scopo. In secondo luogo la spiegazione sociologica ha carattere globale. Essa mette a confronto il processo evolutivo dei grandi complessi istituzionali, formalmente codificati o meno, che nel loro insieme costituiscono la sostanza delle società storicamente determinate e cerca di coglierne il rapporto di reciproco condizionamento, i punti di convergenza e di frizione, di complementarità e di conflitto. Il presupposto di base che sottende la spiegazione sociologica è così da vedersi nel postulato fondamentale di una sostanziale congruità fra le parti componenti di qualsiasi sistema sociale, che è tale preci­ samente in grazia di questa unitarietà tendenziale, da non ipostatiz­ zarsi come scontata o data una volta per tutte, ossia perfetta, pena l’immobilità assoluta del sistema e il blocco dello sviluppo storico. Per questa ragione, in terzo luogo, la spiegazione sociologica è essenzialmente anti-riduzionistica. Le sociologie del fattore predo­ minante sono viziate da un intimo meccanicismo che impedisce ad esse di fissare e spiegare la realtà storica come impresa umana, aperta, problematica. Gli schemi analitici che ad esse si richiamano appaiono caratterizzati da una unilateralità, che fa violenza alla pluridimensionalità e alla multilinearità del processo sociale. I loro apparati teorico-concettuali c i criteri esplicativi di cui si valgono sono irri­ giditi in contrapposizioni dilemmatiche: cultura contro economia, personalità contro sistema, struttura contro sovrastruttura, dato bio­ grafico contro standardizzazione nomotetica, storia contro natura. Questi termini indicano certamente delle polarità, ma non delle con­ trapposizioni esclusive, cui ridurre tutta la sostanza sociale dei fe­ nomeni da spiegare. Essi stanno a indicare delle tensioni dialet­ tiche, per le quali avviene, quasi lungo una spirale, la mediazione dinamica fra individuo, gruppo, cultura, struttura, istituzione. Per rendere piena giustizia a Comte e intenderne la perdurante, per quanto parziale, validità per la ricerca sociologica odierna oc­ corre tener presenti questi punti fondamentali, che si collocano in una prospettiva della costruzione sistematica della teoria sociolo­ gica egualmente lontana e dai tours de force delle poderose ricerche empiriche, non guidate peraltro da adeguati schemi teorico-concet­ tuali né da una consapevolezza problematica che le garantiscano rispetto al pericolo del frammentarismo gratuito, e dal formalismo pseudo-sistematico, che gira a vuoto su se stesso limitandosi a co­

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struire modelli in base a categorie astratte, le quali, lungi dall’aìutare la spiegazione della realtà sociale e la comprensione dei suoi aspetti importanti, approdano per lo più alla giustificazione c alla consa' orazione, per così dire, dello status quo. Ora è forse agevole com­ prendere come i critici di Comte, appartenenti alla tradizione sto­ ricistica neo-idealistica, così corrivi nel dismetterne tutta l’opera come inficiata di meccanicismo e di « fattualismo » grezzo, siano in realtà strumentalmente incapaci di afferrarne l’autentico significato c di fis­ sarne il valore seminale rispetto alle scienze sociali odierne. L ’incom­ prensione della natura del discorso scientifico, così caratteristico degli storicisti crociani e post-crociani fino a tempi recentissimi, quella loro boria concettuologica, che li rassicura e conferma nella presunzio­ ne di poter costruire e, anzi, « creare », la realtà sociale senza peraltro averla di fatto accertata, si pongono come un limite e un impedimento oggettivo ad intendere quanto di vivo e di conoscitivamente impor­ tante è presente nel pensiero comtiano di là dalla rozzezza di certe impostazioni meccanicistiche. Ma un’analoga cautela va raccomandata nel valutare le critiche che a Comte vengono mosse ancor oggi dai marxisti e, in generale, dalle posizioni metodologiche e sostanziali che si richiamano al ma­ terialismo storico dialettico. In un recente contributo John F . Laffey vede in Auguste Comte il profeta della riconciliazione e insieme della reazione 15. L ’esigenza di scientificizzare il giudizio politico al fine di ridurre i margini di discrezionalità delle decisioni social­ mente rilevanti, che è resto al fondo delle correnti esperienze di pianificazione e di programmazione economica, sia a Oriente come in Occidente, viene qui presentata come niente più che il prevalere di un orientamento « organico », vale a dire di destra, se non chia­ ramente reazionario. Interpretazioni di questo tipo impongono il ri­ torno ai testi, non per una accettazione acritica, ma per il sereno rie­ same di teorie sostanziali e di assunti metodologici che anche per la ricerca sociologica odierna costituiscono, se non un punto fermo di riferimento, una fonte di ispirazione e di stimolo. F ranco F er r a ro tti

15. Cfr. J. F. L affey, Auguste Comte: Prophet of Reconcii ation and Reaction, in Science and Society, XXIX, 1, inverno 1965, pp. 44-65; vedi contra David Cohen, Comte's Changing Sociology, in The American journal of Sociology, LXXI, z, set­ tembre 1965, pp. 168-177.

N O T A B IB L IO G R A F IC A

T e sti Mancano studi bibliografici anche parziali sull'opera di Comtc. Pos­ siamo comunque suddividere i suoi scritti in:

I. Opéré fondamenUli. Cours de philosophie positive, i* ed.: Paris, Ed. Rouen, 1830-1842; ultima ed. integra: Paris, Société positiviste, 1892. Discours sur l ’esprit positif, I* ed. : Paris, Cariliau-Goeury et V. Dalmont, 1844; rist. in Oeuvres choisies d’A . Comte (vedi Antologie). Discours sur l'ensemble du positivisme, 1* ed. : Paris, L . Mathias, 1848; rist. fin dalla i‘ ed. nel Système de politique positive. Sistème de politique positive, ou Traité de sociologie, instituant la reli­ gion de l’humanité, 1* ed.: Paris, L. Mathias, 1851-1854; ultima ed. integra: Paris, Société positiviste, 1929. Appel aux conservateurs, unica ed. : Paris, A. Comte, 1855.

2. Articoli e opuscoli. Tutti i lavori giovanili, che coprono il periodo 1816-1820, pubblicati nella « Revue Occidentale » dagli esecutori testamentari di Comtc si trovano riuniti nel rarissimo volume a cura di R. Tenterà Mcndcs: Auguste Comte. Evolution originale, Rio de Janeiro, 1913. Molti lavori posteriori al 1820 sono stati ristampati dallo stesso Comtc nei vari volumi del Système de politique positive.

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Nota bibliografica

Un quadro cronologico generale della corrispondenza di A. Comte si trova in fondo al volume: A. C omte, Nouvellet lettres inédites, a cura di Paulo E. de Barredo-Carneiro, nella collezione degli « Archives posi­ tivistes », Paris, 1939. Segnaliamo ancora le raccolte: Lettres à Vaiai ( 18 14 -18 4 4 ), Parigi, 1870. Lettres à f. S. Mill, Parigi, 1899. Tra le scelte antologiche di scritti di Comte pubblicate negli ultimi anni segnaliamo: A. C omte, Oeuvres choisies, a cura di H. Gouhicr, Paris, Aubier, 1943. I d., Sociologie, Textes choisis par Jean Laubin, Paris, P.U.F., 1957.

Politique d'A . Comte, Textes choisis et présentés par Pierre Arnaud, Paris, A. Colin, 1965.

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CO RSO D I F IL O S O F IA

P O S IT IV A

AVVERTENZA DELL’AUTORE In un’epoca di sviamento intellettuale e di incostanza poli­ tica, ogni lunga perseveranza in una direzione rigorosamente invariabile può, senza dubbio, essere giustamente segnalata al pubblico come una specie di garanzia preliminare, non soltanto della sincerità e della maturità dei nuovi princìpi che ne sono la base, ma forse anche della loro rettitudine, della loro consi­ stenza e della loro opportunità; infatti, ai giorni nostri, niente è al tempo stesso così diffìcile, così importante e così raro quanto uno spirito pienamente conseguente. Tale è soprattutto il mo­ tivo per il quale credo di dover qui richiamare specialmente l’avvertenza generale contenuta nel preambolo del primo volu­ me di quest’opera, intorno alla prima manifestazione, già an­ tica e quasi dimenticata, della maggior parte delle concezioni fondamentali che svilupperò a proposito dell’intero rinnova­ mento delle teorie sociali. La prima parte del mio Sistem a d i politica positiva , scritta e stampata nel 1822, all’età di ventiquat­ tro anni, con il titolo primitivo e specifico di P ia n o d ei lavori scientifici necessari per organizzare la società , e ristampato nel 1824, con il suo titolo definitivo e più generale; in séguito le mie Considerazioni filosofiche sulle scienze e g li scienziati , pubbli­ cato alla fine del 1825, nei numeri 7, 8, e io del « Producteur »; c, infine, le mie C o n siderazion i sul potere spirituale , inserite nei numeri 13, 20 e 21 della stessa raccolta settimanale, agli inizi del 1826 hanno, infatti, esposto da lungo tempo, a tutti i pen­ satori europei, i diversi princìpi caratteristici dell’insieme dei

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Avvertenza dell’autore

mici lavori ulteriori sulla filosofia politica*. Ognuno potrà fa­ cilmente convincersene dal paragone diretto di questi antichi scritti con il volume che ora pubblico come ultimo elemento in­ dispensabile del mio sistema generale di filosofìa positiva. Un ritorno così completo e così spontaneo a queste prime ispirazioni della giovinezza, soltanto perfezionate nell’età ma­ tura da una così lunga serie di meditazioni metodiche sull’intero sistema delle nostre concezioni scientifiche, costituisce, a mio avviso, una delle prove più decisive che possano animarmi d’una fiducia veramente ferma nella giustezza fondamentale della di­ rezione che ho intrapreso, e la cui novità deve far sentire il bi­ sogno delle più svariate verifiche. Tutti i giudici competenti condivideranno, spero, la stessa impressione, vedendo, in questo quarto volume e nel seguente, quale consistenza e quale lucidità nuove i miei princìpi essenziali di filosofìa politica traggano naturalmente dalla loro intima connessione con gli indispensa­ bili antecedenti scientifici che io ho loro gradualmente prepa­ rato con i tre primi volumi di questo trattato. Per questo mo­ tivo dovrò sempre felicitarmi d’avere da principio nettamente rifiutato il consiglio irrazionale che, nella loro benevola solle­ citudine, molti uomini eminenti avevano creduto di dovermi dare, di pubblicare prima la parte di questa opera relativa alla scienza sociale. Troppo esclusivamente preoccupati dal desiderio d’attirare sui miei lavori un’attenzione più vicina e più viva, questi amici non avevano capito che, a causa di un così flagrante a. Se scrivessi qui una nota storica sui miei lavori di filosofia politica, dovrei far risalire l’enumerazione precedente fino ad un lavoro impor­ tante pubblicato nel 1820 nell'« Organisatcur » *, e che, sebbene non por­ tasse il mio nome, mi apparteneva. Il cammino generale delle società mo­ derne dall’undicesimo secolo vi è stato esaminato in due articoli distinti, dei quali uno esponeva la decadenza continua dell’antico sistema politico, mentre l'altro spiegava lo sviluppo graduale degli clementi del nuovo si­ stema. Sebbene la mia scoperta della legge fondamentale della successione dei tre stati generali dello spirito umano e della società non fosse ancora compiuta, posso egualmente credere che questo primo schema non sia stato senza qualche influenza sui lavori posteriori di diversi spiriti emi­ nenti relativi alla storia politica dei tempi moderni.1 1. Si tratta dello scritto Summaire eppricialion de ¡ ’ensemble du paesi moderne, Parigi, 1830.

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perturbamento logico, io avrei teso a rovinare anticipatamente i princìpi fondamentali di gerarchia scientifica che meglio ca­ ratterizzano la mia filosofia, e nello stesso tempo mi sarei così radicalmente privato, nello stabilire teorie sociali, dei diversi fondamenti necessari che deve loro offrire l'insieme della filo­ sofia naturale, i quali soltanto, nel nostro tempo di anarchia intellettuale, possono determinare infine, fra tutti i buoni spi­ riti, una comunione reale e durevole. Il lungo periodo già trascorso dalla prima presentazione della mia filosofia politica mi ha spesso procurato conferme di altro genere, e non meno preziose, che devo egualmente indicare qui, per la tendenza incontestabile e incessantemente crescente, seb­ bene fino ad oggi molto parziale, della maggior parte dei pen­ satori contemporanei verso un’analoga filosofia. Nel corso di questi sedici anni1 non si sono mai pubblicate, oso dire, opere politiche di qualche importanza, almeno in Francia, che non abbiano offerto evidenti testimonianze di questa incompleta con­ vergenza, sia che essa sia derivata spontaneamente da una stessa cognizione fondamentale delle nostre principali necessità sociali, cognizione tuttavia ben rara e finora molto vaga, sia che l’in­ fluenza inavvertita o dissimulata dei miei primi lavori abbia, in effetti, contribuito a produrla \ Ma nell’uno e nell’altro caso, a. Non potrei, per esempio, misconoscere questo secondo caso in scrittori che, sforzandosi più o meno felicemente di appropriarsi di una parte delle mie idee filosofiche o politiche, si sono anche testualmente im­ possessati di pagine intere, dimenticando d’altra parte quasi sempre d’in­ dicare un nome che sapevano essere troppo sconosciuto al pubblico. Quelli dei miei lettori che credessero di scoprire qualche analogia tra certe parti di questo volume e diverse opere anteriori, dovranno dunque, per un’equa valutazione, prendere innanzitutto indispensabilmente in considerazione le date precise che ho ricordato. La dimenticanza di tale precauzione po­ trebbe trascinare a gravi ingiustizie verso un filosofo che osa gloriarsi di avere sempre considerato con piena coscienza, e spesso molto generosa­ mente forse, ciascuno dei suoi diversi predecessori, mentre egli stesso non ha sollevato finora il minimo reclamo contro i plagi poco scrupolosi di cui sono stati frequentemente onorati i suoi scritti, le sue lezioni e perfino le sue conversazioni.i. i. Sono gli anni che vanno dalla pubblicazione del Système Je politique po­ sitive (1822) alla pubblicazione della prima mera dell'ultima parie del Cours cit. (»83»)-

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fondamentali e molteplici incocrenze avrebbero potuto, in ge­ nere, chiaramente svelare la mancanza di omogeneità o di originalità d’un simile indirizzo in coloro stessi che all’inizio sembrerebbero averlo meglio seguito. Sebbene tutti gli aspetti essenziali della mia filosofìa sociale abbiano potuto già essere stati afferrati isolatamente da alcune intelligenze, fatto questo che mi autorizza a credere alla sua opportunità, procurandomi certi punti di contatto con le opinioni più opposte, ciononostante io resto, sfortunatamente, ancora il solo finora che possegga nella sua piena efficacia il principio fondamentale del sistema razio­ nale di questa nuova dottrina. Nei confronti di tanti eminenti spiriti che, ai nostri giorni, si sono seriamente occupati del rin­ novamento delle teorie sociali, questa differenza radicale deve, senza dubbio, derivare soprattutto dal fatto che nessuno di essi ha potuto avere, come me, il vantaggio, in qualche modo acci­ dentale, e tuttavia tanto importante, d’essere direttamente po­ sto, per l’insieme della sua educazione, dal solo punto di vista intellettuale da dove si possa oggi scorgere la vera soluzione di questa immensa difficoltà filosofica. La pubblicazione di questo trattato avrà, spero, come risultato più o meno prossimo di far nettamente comprendere a tutte le alte intelligenze l’indispensa­ bile necessità di questa condizione fondamentale, di facilitare loro, nello stesso tempo, i mezzi per soddisfarla, e, di conse­ guenza, di utilizzare quanto prima, a profitto della riorganizza­ zione sociale, tanti lodevoli sforzi, fin qui purtroppo sterili. Parigi, 23 dicembre 1838.

LEZIONE XLVI Considerazioni politiche preliminari sulla necessità e l’ opportunità della fisica sociale, tratte dall’analisi fondamentale dello stato sociale at­ tuale.

In ognuna delle cinque precedenti parti di questo trattato1 l’indagine filosofica si è basata costantemente su uno stato scien­ tifico preesistente e unanimamente riconosciuto, la cui costitu­ zione generale, benché più o meno incompleta fino ad oggi, an­ che riguardo ai fenomeni meno complessi e meglio studiati, sod­ disfa già almeno in linea di principio, anche per i casi più recenti ed imperfetti, alle condizioni fondamentali della po­ sitività, in modo da non esigere qui che un semplice lavoro di valutazione razionale. Questo lavoro, sempre diretto da regole incontestabili, conduce quasi spontaneamente alla indicazione motivata dei principali perfezionamenti ulteriori, destinati so­ prattutto a liberare definitivamente la scienza reale da ogni indi­ retta influenza dell’antica filosofia. Ciò non è più possibile, sfortunamente, in questa sesta ed ultima parte, dedicata allo studio dei fenomeni sociali, le cui teorie non sono ancora uscite, anche negli spiriti più eminenti, dallo stato teologico-metafisico, al quale tutti i pensatori sembrano oggi considerare che debbano essere, per una fatale eccezione, indefinitamente condannate. Senza cambiare natura né scopo, l’operazione filosofica che hoi. i. Il Court de fk'dosofhìe positive, voli. 6, Parigi, 1830-1842, comprendeva le seguenti sezioni: 1) filosofìa matematica; 1) astronomia; 3) fisica; 4) chimica; 5) bio­ logia; 6) fìsica sociale o sociologia.

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osato intraprendere diventa dunque ora più difficile e più ardita, e deve presentare un nuovo carattere: invece di giudicare e mi­ gliorare, si tratta ormai essenzialmente di creare un ordine com­ pleto di concezioni scientifiche, che nessun filosofo precedente ha mai neppure delineato e la cui possibilità non era mai stata neppure esattamente intravista. Tale creazione, anche se fosse più felicemente compiuta, non potrebbe, evidentemente, elevare d’un tratto questa branca com­ plementare della filosofìa naturale, che si riferisce ai fenomeni più complessi, al livello razionale delle diverse scienze fondamentali già costituite, sia pure di quelle il cui sviluppo è meno progredito. Che questa fondazione sia inizialmente spinta al punto non soltanto di constatare, per tutti gli spiriti migliori, la possibilità attuale di concepire e coltivare la scienza sociale alla maniera delle scienze assolutamente positive, ma di sottolineare anche con esattezza il vero carattere filosofico di questa scienza definitiva, e di stabilirne solidamente le basi principali, è senza dubbio tutto ciò che è permesso di tentare ai giorni nostri. Nello stesso tempo, ciò basta essenzialmente, come spero di dimostrare, alle nostre più urgenti necessità intellettuali e anche ai più im­ periosi bisogni della pratica sociale, soprattutto attuale. Così ri­ dotta, l’operazione non è troppo estesa perché io possa accor­ darle tutto lo sviluppo che si conviene ad un’opera la quale deve, prima di tutto, essere consacrata all’insieme della filosofia positiva, in cui questa nuova scienza non potrebbe figurare che come uno degli elementi indispensabili, quello la cui impor­ tanza merita, sotto tanti aspetti, di diventare oggi prevalente. In un trattato specifico di filosofìa politica, io esporrò ulterior­ mente, in maniera diretta e completa, la serie delle mie idee su questo importante argomento, con le diverse spiegazioni che esso esige e senza trascurare le principali applicazioni usuali allo stato transitorio delle società attuali. Dovrò qui limitarmi necessariamente alle considerazioni più generali, tenendomi sem­ pre, il più scrupolosamente possibile, al punto di vista strettamente scientifico, senza propormi altra immediata azione se non la soluzione della nostra anarchia intellettuale, vera sorgente prima dell’anarchia morale, e per conseguenza dell’anarchia po­ litica, di cui così non dovrò direttamente occuparmi.

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Ma l’estrema novità di una simile dottrina renderebbe queste considerazioni scientifiche quasi inintelligibili, e sostanzialmente inefficaci, se la mia esposizione non diventasse in questo volume, nei riguardi di una scienza che mi sforzo di creare, molto più esplicita, e anche più particolare di quanto non abbia dovuto es­ serlo nei volumi precedenti, in cui potevo presupporre il lettore sufficientemente familiarizzato in anticipo con la sostanza dell’argomento. Perciò, ancora prima di entrare metodicamente in argomento, sono obbligato, onde poter mettere lo spirito del let­ tore definitivamente dal punto di vista conveniente, a dedicare preliminarmente questa lezione c la seguente a caratterizzare sommariamente l’importanza reale di una tale operazione filo­ sofica, e l’inutilità radicale dei principali tentativi di cui essa è stata finora l’oggetto indiretto. La lacuna fondamentale che lascia, evidentemente, nel sistema generale della filosofia positiva, il deplorevole stato d’infanzia prolungata nel quale langue ancora la scienza sociale, dovrebbe bastare, senza dubbio, a rendere assolutamente incontestabile per ogni intelligenza veramente filosofica, la necessità di un’impresa destinata ad imprimere finalmente allo spirito umano, già così ben preparato sotto molti altri aspetti, quel grande carattere di unità di metodo e di omogeneità di dottrina, indispensabile alla pie­ nezza del suo sviluppo speculativo, e senza il quale la sua stessa attività pratica non potrebbe avere né abbastanza nobiltà né ab­ bastanza energia. Ma, qualunque sia la profonda gravità intrin­ seca di una tale considerazione, che in verità abbraccia implici­ tamente tutte le altre, gli spiriti migliori sono posti oggi, per quanto riguarda le idee politiche, da un punto di vista troppo su­ perficiale e troppo limitato per diventare capaci di afferrarne immediatamente l’effettiva portata, e trovarvi motivo sufficiente per sostenere, con perseveranza, la lunga e faticosa applicazione che esige necessariamente il graduale compimento di un’opera­ zione così difficile. Nessuna scienza, nel suo stato iniziale, po­ trebbe essere coltivata né concepita separatamente dalla corrispon­ dente arte, come ho già precisato nella quarantesima lezione ‘, in cui abbiamo riconosciuto che una tale aderenza deve essere na­ turalmente tanto più intensa e prolungata quanto più si tratti diI. I. Cours cit., vol. Ili, pp. 278 segg.

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un ordine di fenomeni complesso. Se dunque la stessa scienza biologica, malgrado la sua costituzione più progredita, ci è parsa ancora troppo strettamente legata all’arte medica, bisogna stu­ pirsi dell’abituale tendenza degli uomini di Stato a disdegnare, come sterili teorizzazioni, tutte le speculazioni sociali che non siano immediatamente legate ad operazioni pratiche ? Per quanto cieca possa essere una simile disposizione, si deve, in questo caso, persistervi con ostinazione tanto maggiore quanto più si crede di vedervi la migliore difesa contro la perniciosa invasione di va­ ghe e chimeriche utopie, sebbene anche la più decisiva esperienza abbia certamente con sovrabbondanza provato la grande insuffi­ cienza di questa precauzione così vantata, che non può in nessun modo impedire l’eccesso continuo delle più stravaganti illusioni. Ed onde conformarmi, per quanto lo comporta la natura di que­ st’opera, a ciò che vi è di veramente ragionevole in questa puerile ingiunzione, io credo di dover destinare questa lezione intera­ mente ad alcune spiegazioni preliminari sulla relazione fondamentale e diretta dell’operazione, puramente astratta in appa­ renza, che consiste nell’istituire oggi ciò che ho chiamato la fi­ sica sociale % con il complesso delle principali necessità che il deplorevole stato delle società attuali manifesta così insistente­ mente a tutti gli spiriti seri e chiaroveggenti. Dopo questo chia­ rimento preliminare, sul quale sarò così dispensato dal tornare ulteriormente, tutti i veri uomini di Stato comprenderanno, spero, che, pur non mirando ad alcuna applicazione attuale e particoa. Questa espressione, e quella, non meno indispensabile, di filosofia positiva, sono state coniate, già diciassette anni fa, nei miei primi lavori di filosofia politica l. Sebbene così recenti, questi due termini essenziali sono già stati in qualche modo guastati dagli erronei tentativi d’appropria­ zione di diversi scrittori, i quali non ne avevano affatto capito il vero si­ gnificato, nonostante io ne avessi, fin dal principio, con un uso scrupolosa­ mente invariabile, sottolineato con cura l’accezione fondamentale. Devo soprattutto segnalare questo abuso, riguardo alla prima denominazione, da parte di uno scienziato belga che l’ha adottata, in questi ultimi anni, come titolo di un’opera in cui si tratta tutt’al più di semplice statistica. r. Si riferisce a lavori quali Sommaire appréciation de l ’ensemble du passé moderne cit. e il Système de politique positive, Parigi, 1821, ripubblicato con il titolo di Système de politique positive ou traté de sociologie instituant la religion de Vhumaniti, Parigi, 1852-1854.

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lare, questo grande lavoro non è meno incontestabilmente suscet­ tibile d’una utilità reale e fondamentale. Senza di essa infatti non meriterebbe d’interessare la sollecitudine di coloro che sono preoccupati soprattutto, ed a sì giusta ragione, per l’obbligo, ogni giorno più indispensabile, c in apparenza più difficile, di ri­ solvere infine la grave costituzione rivoluzionaria delle società moderne. Dall’elevato punto di vista nel quale ci hanno gradualmente collocati i primi tre volumi di questo trattato, l’insieme di que­ sta situazione sociale si presenta in tutta la sua chiarezza, e sotto l’aspetto più semplice, come essenzialmente caratterizzato da un’anarchia profonda, c sempre più estesa, quantunque d’altra parte di natura puramente transitoria, di tutto il sistema intellet­ tuale, durante il lungo interregno che doveva derivare dalla deca­ denza sempre crescente della filosofia teologico-mctafisica, per­ venuta, ai nostri giorni, ad un’impotente decrepitezza, e dallo sviluppo continuo, ma ancora incompleto, della filosofia positiva, fin qui troppo limitata, troppo particolare e troppo timida, per impossessarsi finalmente del governo spirituale dell’umanità. È fin là che bisogna risalire per afferrare realmente l’origine effet­ tiva dello stato fluttuante e contraddittorio nel quale vediamo oggi tutte le grandi nozioni sociali, e che, per un’insuperabile neces­ sità, turba così deplorevolmente la vita politica e morale. Ma è anche là soltanto che si può nettamente scorgere il sistema ge­ nerale delle operazioni successive, le une filosofiche, le altre po­ litiche, che devono a poco a poco liberare la società da questa fa­ tale tendenza ad un imminente dissolvimento, e condurla diret­ tamente ad una nuova organizzazione al tempo stesso più pro­ gressiva e più consistente di quella che si è fondata sulla filosofìa teologica. Tale è la proposizione fondamentale la cui inconte­ stabile dimostrazione spero deriverà spontaneamente dall’insieme di questo volume, e che deve essere qui l’oggetto sommario d’un primo schema di spiegazione generale, destinata soprattutto a caratterizzare l’impotenza egualmente radicale delle scuole po­ litiche più opposte, e a constatare l’indispensabile necessità d’in­ trodurre infine in queste lotte tanto vane quanto tempestose uno spirito completamente nuovo, il solo capace, per il suo ascen­ dente gradualmente universale, di guidare le nostre società verso

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il termine definitivo dello stato rivoluzionario che vi si sviluppa incessantemente da tre secoli. L ’ordine ed il progresso, che l’antichità considerava assolu­ tamente inconciliabili, rappresentano sempre più per la natura della civiltà moderna due condizioni egualmente importanti, la cui intima ed indissolubile combinazione caratterizza ormai e la fondamentale difficoltà e la principale risorsa di ogni vero si­ stema politico. Nessun ordine reale può più essere stabilito, né soprattutto durare, se non è pienamente compatibile con il pro­ gresso; nessun grande progresso potrebbe effettivamente com­ piersi, se non tendesse infine all’evidente consolidamento del­ l’ordine. Tutto ciò che sta ad indicare una preoccupazione esclu­ siva dell’ima di queste due necessità fondamentali, a scapito dell’altra, finisce per ispirare alle società attuali una ripugnanza istintiva, poiché misconosce profondamente la vera natura del problema scientifico. Anche la politica positiva sarà soprattutto caratterizzata, nella pratica, dalla sua attitudine talmente spon­ tanea a soddisfare a questa duplice indicazione, che l’ordine ed il progresso vi appariranno direttamente i due aspetti necessa­ riamente inseparabili d’uno stesso principio, secondo la proprietà essenziale già gradualmente realizzata, sotto certi aspetti, per le diverse categorie di idee divenute ora positive. Questo volume nel suo insieme non lascerà, spero, alcun dubbio sull’effettiva estensione alle idee politiche di questo at­ tributo generale del vero spirito scientifico, che rappresenta sem­ pre le condizioni della solidarietà e quelle del progresso come originariamente identiche. Mi basta, in questo momento, indi­ care rapidamente, a questo proposito, la valutazione fondamen­ tale per cui le nozioni reali di ordine e di progresso devono es­ sere, in fisica sociale, così rigorosamente indivisibili quanto lo sono, in biologia, quelle di organizzazione e di vita, da cui, dal punto di vista scientifico, esse evidentemente derivano. Ma lo stato presente del mondo politico è ancora troppo lon­ tano da questa inevitabile conciliazione finale. Infatti il prin­ cipale difetto della nostra situazione sociale consiste, al con­ trario, nel fatto che le idee d’ordine e quelle di progresso sono oggi profondamente separate e sembrano anche necessariamente opposte. Dopo mezzo secolo che la crisi rivoluzionaria della società moderna sviluppa il suo vero carattere, non ci si può

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nascondere che uno spirito essenzialmente retrogrado ha costan­ temente diretto tutti i grandi tentativi in favore dell’ordine, e che i principali sforzi intrapresi per il progresso sono stati con­ dotti da dottrine sostanzialmente anarchiche. Da questo punto di vista fondamentale i reciproci rimproveri che si indirizzano oggi i partiti più opposti non sono, disgraziatamente, che troppo meritati. Tale è il circolo profondamente vizioso nel quale si agita inutilmente l’attuale società e che non ammette altra so­ luzione finale che l’unanime supremazia di una dottrina al tempo stesso progressiva e gerarchica. Le osservazioni in base alle quali ho delineato qui questa importante valutazione sono, per loro natura, sostanzialmente applicabili a tutte le popola­ zioni europee, la cui disorganizzazione è stata realmente co­ mune e al tempo stesso simultanea, quantunque a gradi diversi e con diverse modifiche, e che non potrebbero nemmeno essere riorganizzate indipendentemente le une dalle altre neanche se fossero assoggettate ad un ordine determinato. Tuttavia, dobbia­ mo particolarmente considerare la società francese, non soltanto perché in essa lo stato rivoluzionario si manifesta in maniera più completa c più evidente, ma anche perché, in fondo, mal­ grado alcune apparenze contrarie, è meglio preparata di qua­ lunque altra, sotto tutti i punti di vista importanti, ad una vera riorganizzazione, come preciserò ulteriormente. Per quanto infinita sembri inizialmente la varietà esistente fra tutte le opinioni capaci oggi di una vera attività politica, è facile accorgersi, con attenta analisi, che esse sono, al contrario, cir­ coscritte finora ad una sfera molto ristretta, poiché non consi­ stono realmente che in una variabile mescolanza di due ordini di idee radicalmente opposti, il secondo dei quali, in verità, non costituisce che una semplice negazione del primo, senza alcun dogma particolare e nuovo. La situazione attuale delle società non può, infatti, divenire intelligibile se non in quanto vi si veda il séguito e la fine della lotta generale intrapresa, nel corso dei tre secoli precedenti, per la graduale demolizione dell’antico sistema politico. Ora, da un siffatto punto di vista, ci si accorge ben presto che se, da cinquantanni, la irrevocabile decomposi­ zione di questo sistema ha cominciato a manifestare, con un’evi­ denza sempre crescente, l’imperiosa necessità della fondazione di un nuovo sistema, il sentimento ancora incompleto di questa

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fondamentale necessità non ha per altro suggerito finora nessuna concezione veramente originale, direttamente adatta a questo grande scopo: di modo che le idee teoriche sono oggi rimaste molto inferiori alle necessità pratiche, che, nello stato normale dell’organismo sociale, esse abitualmente sopravanzano, per prepararne un regolare e pacifico soddisfacimento. Di conse­ guenza il principale movimento politico ha dovuto cambiare completamente natura e, da puramente critico, quale sembrava fino ad allora, tendere sempre più a diventare chiaramente or­ ganico; nondimeno, per un’inevitabile conseguenza di questa immensa lacuna filosofica, non ha potuto cessare ancora d’essere sempre unicamente diretto secondo le stesse idee che avevano guidato i diversi partiti durante la lunga lotta precedente e con le quali tutti gli spiriti si erano così profondamente familiariz­ zati. Sostenitori e nemici del vecchio sistema, tutti, per un ine­ vitabile ed impercettibile trapasso, hanno similmente tentato di convertire le vecchie apparecchiature di guerra in strumenti di riorganizzazione, senza sospettare la loro incapacità egualmente necessaria a questa nuova operazione, la cui natura respinge, con la stessa energia, le due specie di princìpi, gli uni come evi­ dentemente retrogradi, gli altri come esclusivamente critici. Non si potrebbe negare che tale non sia fondamentalmente, ancora oggi, il deplorevole stato intellettuale del mondo politico. Tutte le idee d’ordine sono unicamente prese a prestito, fin qui, dall’antica dottrina del sistema teologico e militare, considerato soprattutto nella sua costituzione cattolica e feudale, dottrina che, dal punto di vista filosofico di questo trattato, rappresenta incontestabilmente lo stato teologico della scienza sociale. Pari­ menti, tutte le idee di progresso continuano ad essere dedotte esclusivamente dalla filosofia puramente negativa che, uscita dal protestantesimo, ha preso, nell’ultimo secolo, la sua forma fi­ nale ed il suo sviluppo integrale. Le sue diverse applicazioni sociali, considerate nel loro insieme, costituiscono, in realtà, lo stato metafisico della politica. Le diverse classi della società adot­ tano spontaneamente l’una o l’altra di queste due direzioni op­ poste, secondo la loro naturale disposizione a provare maggior­ mente il bisogno di conservazione o quello di miglioramento. Questa è la causa immediata che separa oggi così profondamente i due principali aspetti della questione sociale, e che così fre­

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quentemente determina, nella pratica, il reciproco annullamento dei divergenti tentativi di cui divengono alternativamente l’og­ getto. Ad ogni nuovo aspetto che il naturale cammino degli avvenimenti mette in luce, nel bisogno fondamentale della no­ stra epoca, si rileva l’invariabile tendenza della scuola reazio­ naria a proporre, come rimedio unico ed universale, la restaura­ zione della corrispondente parte deH’antico sistema politico. Si può osservare altresì la non meno costante disposizione della scuola critica a riferire esclusivamente il male ad una troppo incompleta distruzione di questo sistema, da cui deriva sempre, come inevitabile e uniforme soluzione, il suggerimento di sop­ primere ancor di più ogni potenza regolatrice*. Raramente, è vero, soprattutto oggi, ognuna di queste due dottrine antagoniste si presenta in tutta la sua pienezza ed omogeneità primitiva: a. Non esitando affatto a qualificare qui, con la coscienziosa fermezza d’uno spirito schiettamente scientifico, le due tendenze necessarie, Tuna re­ trograda, l’altra anarchica, delle nostre principali scuole politiche, credo di dover dire, una volta per tutte, quanto io sia lontano dal volerne trarre la più piccola induzione sfavorevole sulle abituali intenzioni dei loro ri­ spettivi sostenitori. Sono profondamente convinto, per principio, che, so­ prattutto in politica, ogni cattiva intenzione è estremamente eccezionale, quantunque la maggior parte degli uomini impegnati nelle lotte sociali siano di solito incapaci di scorgere le più gravi conseguenze reali delle dottrine che vi professano. Ogni partito racchiude, senza dubbio, un pic­ colo numero di ambiziosi i quali, spesso privi di ogni vera convinzione per­ sonale, non si propongono altro scopo essenziale che lo sfruttamento della fede comune a vantaggio della propria affermazione: costoro, all’occorrenza, bisogna saperli combattere ed anche abbatterli. Ma accanto a questa unica eccezione, essendo il lato buono della natura umana il solo che possa consentire associazioni di qualche estensione e durata, nessuna opinione po­ litica potrebbe vivere senza avere come scopo realmente il bene pubblico, qualunque idea se ne formi, d'altra parte limitata ed imperfetta. Cosi, quelli che si accusano oggi più giustamente di tendenza retrograda, certa­ mente non vogliono che rimettere il mondo politico in una situazione ve­ ramente normale, la dove esso sembra loro non essere uscito che per preci­ pitarsi verso l’imminente dissolvimento di ogni ordine sociale. Parimenti coloro che, a loro insaputa, tendono veramente aU’anarchia, non credono di dover obbedire che all’evidente necessità di distruggere infine irrevoca­ bilmente un sistema politico divenuto assolutamente inadatto ormai a di­ rigere la società. Inoltre, l'errore fondamentale degli uni e degli altri non deriva che da una preoccupazione troppo esclusiva di ciascuno dei due tipi di condizioni essenziali il cui insieme costituisce la vera definizione del problema generale della attuale politica.

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esse tendono sempre più ad avere questa esistenza esclusiva so­ lo negli spiriti puramente speculativi. Ma il mostruoso legame che, ai nostri giorni, si tenta di stabilire fra questi princìpi in­ compatibili, e le cui diverse gradazioni caratterizzano le diverse sfumature politiche esistenti, non potrebbe, evidentemente, es­ sere dotato di alcuna virtù estranea agli elementi che lo com­ pongono e non tende, al contrario, in realtà, che a sviluppare la loro reciproca neutralizzazione. È dunque indispensabile, per la giustezza e la precisione della nostra analisi, che la politica teo­ logica e la politica metafìsica siano innanzitutto esaminate cia­ scuna isolatamente e in sé stessa, salvo a considerare in séguito il loro effettivo antagonismo ed a valutare infine le inutili com­ binazioni che ci si è sforzati di stabilire tra di loro. Per quanto perniciosa sia realmente oggi la politica teologica, nessun vero filosofo potrebbe mai dimenticare che la formazione ed il primo sviluppo delle società moderne si sono compiuti sotto la sua benefica tutela, come giungerò, spero, a far degnamente risultare nella parte storica di questo volume. Ma non è meno incontestabile che, da circa tre secoli, la sua influenza è stata, nei popoli più progrediti, essenzialmente retrograda, malgrado i parziali servizi che essa ha potuto ancora rendere. Sarebbe cer­ tamente superfluo soffermarsi qui su discussioni particolari di questa dottrina, per constatare ora la sua grande insufficienza fondamentale, che il naturale corso degli avvenimenti mette ogni giorno così chiaramente in luce. Soltanto la deplorevole assenza di ogni considerazione reale sulla riorganizzazione so­ ciale può spiegare l’assurdo progetto di dare oggi come appog­ gio all’ordine sociale un sistema politico che non ha potuto so­ stenersi esso stesso di fronte al progresso naturale dell’intelli­ genza e della società. Nel séguito di questo volume l’analisi sto­ rica delle trasformazioni successive, che hanno portato gradual­ mente alla completa dissoluzione del sistema cattolico e feudale, dimostrerà, meglio di qualunque argomento diretto, quanto questa decadenza sia ormai radicale ed inarrestabile. La scuola teologica non sa di solito spiegare una tale dissoluzione che con cause quasi fortuite e per così dire personali, al di fuori di ogni ragionevole proporzione con la vastità degli effetti osservati. Oppure, spinta aH’estremo, ricorre al suo solito artificio, c si sforza, con una spiegazione soprannaturale, di collegare questa

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lunga catena di avvenimenti ad una specie di misteriosa fantasia della Provvidenza, che avrebbe escogitato di provocare nell’or­ dine sociale un tempo di prova, l’epoca e la durata del quale, come il carattere, non potrebbero d’altronde essere in alcun modo motivati. Noi ci renderemo conto, invece, dalla considerazione deH’insieme dei fatti storici, che tutti i grandi cambiamenti suc­ cessivamente sperimentati dal sistema teologico e militare hanno, da principio, e via via sempre più, teso costantemente verso l’eli­ minazione completa c definitiva di un regime al quale la legge fondamentale dell’evoluzione sociale assegnavi di necessità un compito semplicemente provvisorio, sebbene assolutamente in­ dispensabile. Sarà, di conseguenza, evidente che tutti gli sforzi diretti alla restaurazione di questo sistema, anche supponendo possibile il loro momentaneo successo, ben lungi dal poter con­ durre la società ad uno stato veramente normale, non potrebbero riuscire che a rimetterla nella situazione che ha provocato la crisi rivoluzionaria, obbligandola a ricominciare con maggior forza la distruzione d’un regime che, già da tempo, ha cessato d’essere compatibile con i suoi progressi principali. Sebbene, per questi motivi, io debba qui scartare ogni controversia a questo riguardo, credo tuttavia necessario segnalare un nuovo aspetto filosofico, che mi sembra indicare il più semplice ed il più si­ curo criterio del valore effettivo d’una qualunque dottrina so­ ciale, e che è più particolarmente decisivo contro la politica teologica. Considerato dal solo punto di vista logico, il problema fon­ damentale della nostra riorganizzazione sociale mi sembra ne­ cessariamente riducibile a questa unica condizione essenziale: la costruzione di una dottrina politica abbastanza razionalmente concepita perché, nell’insieme del suo sviluppo attivo, essa possa sempre essere pienamente conseguente ai suoi princìpi. Nessuna delle dottrine esistenti soddisfa, oggi, sia pure con larga appros­ simazione, a questo grande obbligo intellettuale; tutte conten­ gono, come elementi indispensabili, nel modo che indicherò sommariamente, numerose e dirette contraddizioni sulla maggior parte dei punti essenziali. È soprattutto in ciò che rimane esatta­ mente precisata la loro profonda insufficienza. Si può, infatti, enunciare come principio che la dottrina la quale, relativamente ai diversi problemi fondamentali della politica, avesse apprestato

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soluzioni esattamente concordanti, senza che la progressione delle applicazioni reali la portasse mai a smentirsi, dovrebbe, per questa sola prova indiretta, essere riconosciuta sufficientemente idonea a riorganizzare la società. Infatti questa riorganizzazione intellettuale deve consistere principalmente nello stabilire infine, nel sistema profondamente turbato delle nostre diverse idee so­ ciali, un’armonia reale e durevole. Quand’anche tale rigenera­ zione non si fosse da principio compiuta esattamente che in una sola intelligenza (e bisogna pure che, all’inizio, essa cominci necessariamente così), la sua generalizzazione più o meno pros­ sima non ne resterebbe meno assicurata; infatti il numero degli individui non potrebbe assolutamente aumentare le difficoltà fondamentali della convergenza intellettuale, e non può influire che sul tempo necessario alla sua realizzazione. Avrò cura di segnalare, all’occorrenza, l’eminente superiorità che deve, a que­ sto riguardo, manifestare naturalmente la filosofia positiva, la quale, una volta estesa ai fenomeni sociali, legherà i diversi or­ dini delle idee umane molto più completamente di quanto non abbiano potuto esserlo per altra via. Questa è la regola princi­ pale che, fin dall’inizio dei mici lavori di filosofia politica, m’ha sempre condotto all’esatta valutazione dei miei successivi pro­ gressi verso la concezione di una vera dottrina sociale. È dalla politica teologica che bisognerebbe soprattutto aspet­ tarsi la piena realizzazione di questa grande condizione logica, le cui fondamentali difficoltà sembrano naturalmente annullate da una dottrina che si limita, riproducendo il passato, a coordi­ nare un sistema così nettamente definito da una lunga appli­ cazione, e così pienamente sviluppato in tutte le sue diverse parti essenziali, che sembra necessariamente al sicuro da ogni grave inconseguenza. Così la scuola reazionaria vanta abitual­ mente, come suo attributo caratteristico, la perfetta coerenza delle sue idee contrapposte alle frequenti contraddizioni della scuola rivoluzionaria. Ciononostante, quantunque la politica teo­ logica sia oggi, infatti, per motivi facilmente rilevabili, meno inconseguente della politica metafisica, ¿ fin troppo facile con­ statare ogni giorno la sua tendenza, sempre più accentuata, alle più fondamentali concessioni, assolutamente contrarie a tutti i suoi princìpi essenziali. Senza dubbio, niente è più adatto di un tal ordine di osservazioni a mettere in piena evidenza la prò­

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fonda inutilità attuale d’una dottrina che non possiede affatto, in realtà, la qualità più naturalmente corrispondente alla sua na­ tura. Il vecchio sistema politico si mostra talmente distrutto or­ mai, che i suoi più devoti partigiani ne hanno completamente perduto la vera cognizione generale. Lo si può riconoscere senza difficoltà, non soltanto nella pratica attiva, ma anche negli spi­ riti puramente speculativi, anche i più eminenti, modificati a loro insaputa dall’ineluttabile spinta del loro secolo. Alcuni esem­ pi salienti saranno sufficienti per mostrare all’attento lettore la facile estensione di un tal esame. La dimostrazione sarebbe troppo facile, se, come esigerebbe evidentemente il rigore logico, si considerasse innanzitutto la dottrina reazionaria in rapporto agli elementi fondamentali della civiltà moderna. Non v’è alcun dubbio, infatti, che il continuo sviluppo ed il crescente propagarsi delle scienze, dell’industria e delle stesse arti, siano stati storicamente la principale causa originaria, sebbene latente, della radicale decadenza del sistema teologico e militare, le cui perdite naturali sarebbero sembrate, senza questo fatto, suscettibili d’un possibile risanamento. Oggi, è soprattutto il graduale affermarsi dello spirito scientifico che ci preserva per sempre da qualunque ritorno reale dello spirito teologico, in qualsiasi aberrazione retrograda il corso degli av­ venimenti possa momentaneamente tendere a trascinare la so­ cietà: del pari, dal punto di vista temporale, lo spirito indu­ striale, ogni giorno più esteso e più preponderante, costituisce certamente la garanzia più efficace contro ogni serio ritorno dello spirito militare o feudale. Sebbene le lotte politiche non siano ancora state chiaramente stabilite fra queste due coppie di princìpi, è egualmente tale, in fondo, il carattere attuale del nostro vero antagonismo sociale. Ora, nonostante questa incon­ testabile opposizione, è mai esistito, nello sviluppo moderno della politica teologica, qualche governo o anche qualche scuola tanto reazionaria da osare perseguire realmente o sol­ tanto concepire l’oppressione sistematica delle scienze, delle arti e dell’industria? Eccetto qualche atto isolato e certi spiriti ec­ centrici, che, a grandi intervalli, involontariamente son venuti a scoprirne l'incompatibilità fondamentale, non è evidente, al contrario, che tutti i poteri reputano di buon auspicio l’incorag­

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giare i loro progressi quotidiani? Tale è, senza dubbio, la pri­ ma incoerenza attuale della politica reazionaria, che annulla così, con il naturale sviluppo dei suoi atti quotidiani, i suoi vani progetti generali di ricostruzione d’un passato il cui sentimento fondamentale è ormai involontariamente perduto per tutti gli uomini di Stato. Per quanto sia la meno apparente, questa con­ traddizione dovrebbe sembrare la più fondamentale e la più de­ cisiva, perché-è precisamente la più universale e la più istintiva di qualunque altra. Colui che, ai nostri giorni, ha più fortemente concepito e più vigorosamente perseguito l’involuzione politica, Bonaparte stesso, indipendentemente dalle sue altre incoerenze, non ha forse sinceramente tentato d’erigersi, dopo tanti altri capi della stessa scuola, a protettore dichiarato dell’industria, delle arti c delle scienze? Gli spiriti puramente speculativi non sfuggono affatto maggiormente a questa irresistibile tendenza, sebbene ben più facilmente in grado, per la loro posizione, di isolarsi dal movimento generale. Si analizzino, per esempio, i vani tentativi così frequentemente rinnovati da due secoli, da tante intelligenze eminenti c a volte superiori, di sottomettere, seguendo la formula teologica, la ragione alla fede; sarà facile riconoscerne la costituzione radicalmente contraddittoria, che pone la ragione stessa a giudice supremo di tale sottomissione, la cui intensità e durata dipendono unicamente così da queste decisioni variabili, raramente troppo severe. Il più eminente pen­ satore della scuola cattolica attuale, l’illustre de Maistre ', ha reso egli stesso una testimonianza, clamorosa quanto involontaria, di questa inevitabile necessità della sua filosofia, allorché, rinun­ ciando ad ogni apparato teologico, s'è sforzato, nella sua opera principale, di fondare il ripristino della supremazia papale su semplici ragionamenti storici e politici, ammirevoli, d’altra parte, sotto certi aspetti, invece di limitarsi ad imporli come diritto di­ vino, solo modo pienamente in armonia con la natura d’una simile dottrina, e che un tale spirito, in altra epoca, non avrebbe affatto esitato a seguire esclusivamente, se lo stato generale del­ l’intelligenza umana non ne avesse impedito, anche in lui, la i. Joseph de Maistre, diplomatico francese (1755-1821), anti-rivoluzionario e cat­ tolico intransigente, autore del Dn Pape (1819), la sua opera più importante, e delle 'ìoiréet de Saint-Pitenbaurgs (1809-1821).

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completa supremazia. Una così decisiva conferma deve dispen­ sarci da ogni ulteriore esemplificazione in proposito. Consideriamo ora alcune incoerenze più dirette, e che, quan­ tunque realmente meno profonde, devono naturalmente colpire di più, in quanto mostrano una flagrante contraddizione reci­ proca fra le diverse parti essenziali d’una stessa dottrina. L’at­ tento esame del passato ci offrirà in séguito, a questo proposito, numerose e incontestabili prove, poiché l’effettiva demolizione del vecchio sistema politico è stata operata soprattutto dal vio­ lento antagonismo reciproco dei principali poteri che lo costi­ tuivano. Ma, limitandoci qui, come esige la natura di questo capitolo preliminare, alla semplice osservazione dell’epoca at­ tuale, si può ogni momento constatare, nei diversi settori della scuola reazionaria, un pronunciato stato di diretta opposizione a diversi punti fondamentali della loro comune dottrina. Il più importante caso di questo genere è, senza dubbio, nella strana unanimità che manifesta questa scuola nel consentire alla reale soppressione della base principale del sistema cattolico e feudale, rinunciando alla fondamentale divisione fra il potere spirituale e quello temporale, o, ciò che è lo stesso, accettando lo stato subalterno del primo nei confronti del secondo. È forse la sola importante idea politica sulla quale sono fondamentalmente oggi d'accordo tutti i partiti, quantunque la sana filosofia non possa vedervi che un’aberrazione profondamente funesta, d’al­ tronde momentaneamente inevitabile. A questo riguardo, i re non si mostrano certamente meno rivoluzionari dei popoli; e gli stessi preti, non soltanto nei diversi paesi protestanti, ma anche nelle nazioni rimaste nominalmente cattoliche, hanno così ra­ tificato volontariamente la loro degradazione politica, sia in vista di un ignobile interesse, sia, quanto meno, per un vano spirito di gretto nazionalismo. Come potrebbero allora, gli uni o gli altri, di conseguenza, auspicare la restaurazione contraddittoria d’un sistema che essi hanno così radicalmente misconosciuto? La riunione preventiva di tutte le innumerevoli sètte generate dalla crescente decadenza del cristianesimo dovrebbe costituire, a questo proposito, una indispensabile operazione preliminare. Ora, i progetti effimeri tentati in questo senso, soprattutto in Germania, da alcuni uomini di Stato contemporanei, si sono sempre rapidamente arenati nella cieca, ma insormontabile osti­

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nazione dei diversi governi a conservare il supremo comando del potere teologico, la cui indispensabile centralizzazione di­ veniva ben presto impossibile. A questo riguardo, le brutali il­ logicità di Bonaparte, nei suoi vani sforzi per stabilire l’antico sistema politico, non hanno fatto che riprodurre più vivamente un esempio già molto comune a tanti altri prìncipi. Quando, dopo la sua caduta, i re hanno intrapreso di comune accordo l’istituzione, contro lo sviluppo ulteriore dello stato rivoluzio­ nario, di un alto potere europeo, non hanno affatto pensato alla sia pur minima partecipazione dell’antica autorità spirituale, di cui essi usurpavano completamente l’attributo più legittimo. Questa usurpazione è stata spontaneamente operata in maniera così radicale che questo consiglio supremo s’è trovato composto, in massima parte, di capi eretici, e dominato da un principe scismatico h Questo fatto rendeva evidente a tutti l’impossibilità d’introdurvi, a qualsiasi titolo, il potere papale, come l’abate di Lamennais * aveva altre volte giustamente rilevato, prima della sua conversione rivoluzionaria. Senza dubbio, non è solo ai no­ stri giorni che i re, e gli stessi papi, hanno, sotto molti impor­ tanti aspetti, subordinato direttamente l’applicazione dei loro princìpi religiosi agli interessi immediati del loro dominio tem­ porale. Ma tali incoerenze, oltre ad essere diventate oggi più numerose e più profonde, si presentano soprattutto come ben più decisive, mostrando a qual segno il pensiero fondamentale del vecchio sistema politico abbia cessato di prevalere in coloro stessi che con più ardore si sono apprestati alla chimerica restau­ razione, come si è potuto vedere, in tante importanti occasioni contemporanee, per esempio nei riguardi della Grecia, della Polonia ecc. Questo spirito di incocrenza e di divisione della scuola rea­ zionaria s’è spesso manifestato ai nostri giorni, ad ogni vero osservatore, sotto forme molte varie, ma egualmente significa­ tive, sia nei trionfi parziali e momentanei della politica teolo­ gica, sia nelle sue sconfitte. Per un partito così orgoglioso della1 1. Allusione o allo zar di Russia Alessandro I (1777-1815) guida del congresso di Vienna (1815) o al re d'Inghilterra. 2. Félicité Robert Lamennais, pensatore francese (1782-1854), dapprima conserva­ tore. nella seconda fase del suo pensiero divenne l’iniziatore del cattolicesimo li­ berale.

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sua pretesa coesione, il possesso del potere doveva senza dubbio riunire naturalmente tutte le sfumature secondarie verso la rea­ lizzazione fondamentale d’una dottrina di cui tanto s’erano vantate la coesione e romogcneità. Non abbiamo forse visto, al contrario, per lunghi anni, le più profonde scissioni esplodere successivamente tra le suddivisioni sempre più numerose di que­ sto partito trionfante, e servire infine da strumento immediato per la sua caduta politica? Malgrado l'intima ed evidente rela­ zione delle loro cause, i sostenitori del cattolicesimo e quelli della feudalità non si sono forse violentemente separati? Tra questi ultimi, i difensori dell’aristocrazia e quelli della monar­ chia non si sono forse reciprocamente combattuti? In una pa­ rola, questo breve periodo non ha forse successivamente ripro­ dotto, sotto i nostri occhi, la manifestazione effettiva, inconte­ stabile benché sommaria, degli stessi essenziali princìpi di di­ scordia e di decomposizione i quali, lentamente sviluppati nei secoli precedenti, avevano realmente determinato l’irrevocabile dissoluzione del sistema teologico e feudale? Se, per un’impos­ sibile ipotesi, un successo analogo venisse a rinnovarsi, non temo di affermare che, malgrado questa esperienza formale, verrebbero a prodursi necessariamente scissioni ben più profonde, e più subitanee, in seno al partito reazionario. Ciò avverrebbe per l’inevitabile influsso dell’incompatibilità ogni giorno più completa e meglio sentita dello stato sociale attuale con l’antico sistema politico, il cui vero pensiero generale tende anche sem­ pre più a scomparire e ad annullarsi completamente nei suoi più zelanti partigiani. Più la politica teologica trova oggi da svilup­ parsi e da applicarsi, più genera inconciliabili suddivisioni, dis­ simulate dal vago consenso accordato ai suoi princìpi generali, in quanto sono contenuti nello stato speculativo: questo è, dal punto di vista scientifico, il sintomo ordinario di ogni teoria incompa­ tibile con i fatti. Dopo che la memorabile scossa del 1830 ha fatto passare il partito reazionario alla semplice condizione di oppositore, la sua radicale incoerenza s’è manifestata in un’altra maniera non meno decisiva, la quale, senza essere veramente nuova, non era mai stata fino ad allora così completamente caratterizzata. Du­ rante il corso degli ultimi tre secoli, questo partito, quand’era ridotto alla difensiva, ricorse naturalmente più d’una volta ai

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principi essenziali della dottrina rivoluzionaria, senza indietreg­ giare davanti al pericolo finale d'una così mostruosa incoerenza. Si poté osservare, per esempio, la scuola cattolica invocare for­ malmente il dogma della libertà di coscienza a proposito dei suoi correligionari d’Inghilterra, e soprattutto d’Irlanda ecc., pur continuando a reclamare l’energica repressione del prote­ stantesimo in Francia, in Austria ecc. Quando, nel nostro se­ colo, la coalizione dei re ha voluto infine sollevare seriamente l’Europa contro l’intollerabile dominio di Bonaparte, essa ha solennemente reso la testimonianza meno equivoca della impo­ tenza della dottrina reazionaria e dell’energia della dottrina cri­ tica. Infatti ha rinunciato in questa fondamentale circostanza a servirsi della prima per invocare unicamente la seconda, ch’essa riconosceva così involontariamente la sola capace oggi di eser­ citare un’azione reale sulle popolazioni civili, senza cessare non­ dimeno, con la più strana contraddizione, di avere come scopo ulteriore la restaurazione finale dell’antico sistema politico. Ma questa implicita testimonianza della definitiva decrepitezza della politica teologica non può essere, in nessun’epoca, così completa e così decisiva come appare oggi, quando la scuola retrograda, sforzandosi di sistematizzare a suo uso Tintero corpo della dot­ trina critica, tenta, sotto i nostri occhi, come estrema ri­ sorsa, l’inutile resurrezione del regime cattolico e feudale con l’aiuto degli stessi princìpi che hanno effettivamente contribuito a distruggerlo, e di cui essa non esita affatto a ratificare specula­ tivamente le più anarchiche conseguenze. D’altra parte un si­ mile sovvertimento non appare motivato che da un semplice cambiamento sopravvenuto nel personale della monarchia, senza che il vero carattere del movimento politico principale fosse sta­ to, del resto, in alcun modo modificato. Coloro che presiedono a questa singolare metamorfosi passano per gli abili per eccel­ lenza del partito del quale essi sottolineano così categoricamente l’abdicazione politica ed anche, sotto certi aspetti, la degrada­ zione morale*! a. Poiché le idee letterarie, convenientemente analizzate, possono of­ frire un riflesso fedele ed istruttivo dello stato generale dello spirito umano in ogni epoca, ritengo opportuno indicare qui, come un’utile e nuova ve­ rifica di questa inconseguenza caratteristica dei partiti attuali, la contrad-

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Dopo tali osservazioni, che ognuno può a suo piacimento prolungare, sarebbe certamente inutile fermarsi più a lungo a constatare qui l’impotenza radicale d’una dottrina che, assolu­ tamente contraria all’attuale civiltà, contiene d’altra parte oggi tanti elementi direttamente contrari ai suoi stessi princìpi fon­ damentali, e non può nemmeno unire, in realtà, né nella buona né nella cattiva sorte, i suoi diversi partigiani, sebbene essa offra loro, nel passato, il tipo meglio definito, la cui assidua contem­ plazione sembrerebbe dover prevenire ogni grave divergenza. Si sa che de Maistre ha rimproverato al grande Bossuet, e, sotto certi riguardi, a giusta ragione, soprattutto per ciò che concerne la Chiesa gallicana, d’aver seriamente misconosciuto la vera natura politica del cattolicesimo; non sarebbe difficile, come ho già detto sopra, far anche notare, nel celebre autore de II Papa, molte incoerenze, se non analoghe, almeno equivalenti. E si pretenderebbe di riorganizzare le società moderne in base a una teoria tanto decrepita da non essere più compresa, già da tempo, nemmeno dai suoi interpreti più illustri I dittoria corrispondenza che si può osservare tra i due campi opposti in letteratura ed in politica. Ognuno si ricorda che il romanticismo si intro­ dusse in Francia, all’inizio di questo secolo, sotto gli auspici della scuola cattolico-feudale, la quale considerò per lungo tempo una specie d’obbligo di partito il preconizzare le piò incredibili aberrazioni degli innovatori letterari. Invece la scuola rivoluzionaria difendendo, al contrario, con ar­ dore la vecchia legittimità classica, tentò anche piu d’una volta di met­ terla sotto la ridicola protezione delle norme ufficiali. Senza dubbio tale errore non cercava altro, d’ambo le parti, che la letteratura romantica si manifestasse all'inizio come essenzialmente votata alla rappresentazione dei tempi cristiani c feudali, mentre la letteratura classica sembrava esclusi­ vamente consacrata alla antichità pagana e repubblicana. Questo parallelo superficiale, completamente indipendente dal vero carattere fondamentale di ogni sistema letterario, è stato tuttavia sufficiente perché, gli uni in onore t gli altri per avversione al cattolicesimo, si siano egualmente resi conto dell’evidente incoerenza di un tal giudizio, paragonato ai princìpi generali d’autorità assoluta o di libertà indefinita di cui si sforzavano ri­ spettivamente di stabilire la supremazia politica. La divisione delle idee letterarie comincia ad effettuarsi indubbiamente in maniera piò conforme alle leggi ordinarie dell'analogia, in questo senso almeno che l’anarchia po­ litica cessa ora di ripudiare l'anarchia letteraria. Ma il modo primitivo, d'altra parte così recente, non lascia tracce del tutto sufficienti ancora per fare risaltare la realtà dell’osservazione precedente.

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Sottoponendo, a sua volta, la politica metafìsica ad un tal giudizio, bisogna prima di tutto non perdere mai di vista che la sua dottrina, sebbene esclusivamente critica, e perciò pura­ mente rivoluzionaria, non ha meno meritato per lungo tempo la qualifica di progressiva, in quanto ha infatti presieduto ai principali progressi politici compiuti nel corso degli ultimi tre secoli, e che dovevano essere essenzialmente negativi. Soltanto questa dottrina poteva definitivamente distruggere un sistema che, dopo aver diretto i primi sviluppi dello spirito umano e della società, tendeva in séguito, per la sua natura, a perpetuare indefinitamente il loro stato iniziale. Anche il trionfo politico della scuola metafisica doveva costituire, come per ogni ordine di idee, un’indispensabile preparazione dell’avvento sociale della scuola positiva, alla quale è riservato esclusivamente il compito di por termine all’epoca rivoluzionaria attraverso la fondazione definitiva d’un sistema altrettanto progressivo che regolare. Se, considerato in senso assoluto, ciascuno dei dogmi che compon­ gono la dottrina critica non può manifestare infatti che un ca­ rattere direttamente anarchico, la parte storica di questo volume dimostrerà chiaramente che, considerato alla sua origine, e limi­ tato al vecchio sistema, contro il quale fu sempre evidentemente istituito, esso stabilisce, al contrario, una condizione necessaria, quantunque semplicemente provvisoria, d’una nuova organiz­ zazione politica, fino all’apparizione della quale la pericolosa attività di questo apparato distruttivo non può né deve intera­ mente cessare. Per una necessità tanto evidente quanto deplorevole, inerente alla nostra debole natura, il passaggio da un sistema sociale ad un altro non può mai essere diretto e continuo; esso presuppone sempre, almeno per qualche generazione, una specie d’interre­ gno più o meno anarchico, il cui carattere e la cui durata dipen­ dono dalla intensità e dall’estensione del rinnovamento da ope­ rare: i più sensibili progressi politici si riducono allora essen­ zialmente alla graduale demolizione del vecchio sistema, sem­ pre anticipatamente minato nei suoi diversi fondamenti princi­ pali. Questo preliminare rovesciamento è non soltanto inevita­ bile, per la sola forza degli antecedenti che lo motivano, ma an­ che assolutamente indispensabile, sia per permettere agli ele­ menti del nuovo sistema, che finallora s’erano lentamente svi­

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luppati in silenzio, di accogliere a poco a poco le stretture politi­ che, sia ancora al fine di stimolare alla riorganizzazione con l’e­ sperienza degli inconvenienti dell’anarchia. Oltre a questi incon­ testabili motivi, facili da valutare oggi, una nuova considerazio­ ne, puramente intellettuale, che devo qui indicare più precisamente, mi sembra atta a mettere in più perfetta evidenza l’ob­ bligatorietà diretta di tale cammino, perché dimostra che, senza questa preliminare distruzione, lo spirito umano non potrebbe nemmeno elevarsi nettamente al concetto generale del sistema da costituire. La debole portata della nostra intelligenza e la brevità della vita intellettuale paragonata alla lentezza dello sviluppo sociale tengono la nostra immaginazione, soprattutto riguardo alle idee politiche, a causa della loro superiore complessità, sotto la più stretta dipendenza deH’ambiente effettivo nel quale attualmente viviamo. Anche gli utopisti più chimerici, che credono d’essersi liberati completamente da ogni condizione di realtà, subiscono, a loro insaputa, questa insormontabile necessità, riflettendo sem­ pre fedelmente con le loro fantasticherie lo stato sociale contem­ poraneo. A maggior ragione, la concezione d’un vero sistema politico, radicalmente diverso da quello che ci circonda, deve oltrepassare i limiti fondamentali della nostra debole intelligen­ za. Lo stato d’infanzia e d’empirismo nel quale la scienza so­ ciale ha languito costantemente Ano ad oggi ha dovuto d’altra parte contribuire senza dubbio a rendere imperioso e soprattutto più stretto questo obbligo naturale. Così, anche a considerare le rivoluzioni sociali nelle loro semplici condizioni intellettuali, la demolizione molto avanzata del sistema politico precedente co­ stituisce evidentemente un indispensabile preambolo, senza il quale gli spiriti più eminenti non potrebbero accorgersi chiararamentc della vera natura caratteristica del nuovo sistema, com­ pletamente dissimulata dallo spettacolo prevalente dell’antica organizzazione. Inoltre, anche supponendo sormontata questa prima difficoltà, la ragione pubblica non potrebbe familiariz­ zarsi abbastanza con questa nuova concezione per secondarne la realizzazione graduale con la sua inevitabile partecipazione. Il più profondo ingegno di tutta l’antichità, il grande Aristotile, è stato egli stesso talmente dominato dal suo secolo che non ha potuto concepire una società che non fosse necessariamente fon­

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data sulla schiavitù, la cui irrevocabile abolizione è nondimeno cominciata qualche secolo dopo di lui. Una così decisiva verifica deve fare sufficientemente valutare il dominio effettivo di tale obbligo generale, che la storia delle scienze manifesta d’altra parte palesemente con tanti incontestabili esempi, anche nei con­ fronti di idee molto più semplici delle idee politiche. Queste diverse considerazioni fondamentali sono, per la loro natura, in special modo applicabili alla immensa rivoluzione sociale in mezzo alla quale viviamo, e della quale rinsieme delle precedenti rivoluzioni non ha realmente costituito che un indi­ spensabile preliminare. Se il rinnovamento non ha mai potuto essere fino a questo momento così profondo né così esteso, in che modo la società avrebbe potuto sottrarsi a questa condizione di rovesciamento preliminare, che essa aveva precedentemente subito in trasformazioni molto meno importanti? Senza dubbio, sarebbe stato molto preferibile che la caduta dell’antico sistema politico fosse stata ritardata fino al momento in cui il nuovo si­ stema sarebbe stato pronto a succedergli immediatamente, pre­ venendo ogni discontinuità organica. Ma questa utopistica sup­ posizione è troppo palesemente contraddittoria con le più evi­ denti condizioni della natura umana, per meritare un qualche serio esame. Se, nonostante la demolizione quasi interamente compiuta, le menti più eminenti non distinguono ancora che in una vaga oscurità il vero carattere della riorganizzazione so­ ciale, che accadrebbe mai quando il vecchio sistema in pieno vi­ gore dovesse immediatamente interdire una qualsiasi valutazio­ ne d’un tal avvenire! È evidente, invece, che una lotta più in­ tensa e più prolungata contro il regime anteriore ha dovuto comportare uno sviluppo più energico cd una concentrazione più sistematica dell’azione rivoluzionaria, direttamente collegata infine, per la prima volta, ad una completa dottrina di negazione metodica e continua di ogni governo regolare. Tale è la sorgente necessaria e pienamente legittima della dottrina critica attuale; dalla quale si può scorgere chiaramente la vera spiegazione ge­ nerale, sia degli indispensabili servizi che questa dottrina ha reso finora, sia degli ostacoli principali ch’essa pone ora alla riorganizzazione finale delle società moderne. Studiato nella sua origine storica, ognuno di questi diversi dogmi principali non costituisce realmente, come mostrerò più

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avanti, che il risultato transitorio della corrispondente decadenza del vecchio ordine sociale, del quale questa astratta sistematiz­ zazione ha dovuto, per una reazione naturale, accelerare di mol­ to il naturale dissolvimento da allora irrevocabilmente tracciato. Sfortunatamente, il carattere precipuo di tale operazione filoso­ fica, e soprattutto lo spirito metafisico che ha dovuto presiedere al suo compimento, dovevano gradualmente condurre a conside­ rare assoluta una dottrina che il suo scopo indispensabile rendeva così evidentemente relativa al solo sistema che essa doveva di­ struggere. Se questo gran lavoro critico potesse ricominciare oggi, forse non sarebbe impossibile, intraprendendolo dal punto di vi­ sta positivo, costruire in effetti la dottrina rivoluzionaria, conser­ vandole con cura tutta la sua energica efficacia contro il vecchio ordine sociale, senza erigerla ad ostacolo sistematico d’ogni qual­ siasi organizzazione. Spero, almeno, di riuscire a dimostrare che questa dottrina può ormai essere così concepita ed utilizzata, in un’intenzione organica, c nondimeno senza alcuna incoeren­ za, per tutto il periodo d’attività più o meno indispensabile che dovrà restarle ancora fino alla formazione sufficientemente de­ lineata del nuovo sistema politico. Ma lasciamo agli spiriti gros­ solani la puerile soddisfazione di biasimare ingiustamente la condotta politica dei nostri padri, pur profittando dei progressi indispensabili che noi dobbiamo alla loro energica perseveranza, i soli che possono oggi permetterci di concepire più razional­ mente la politica moderna nel suo insieme. Uno spirito metafi­ sico, e perciò assoluto, doveva necessariamente dirigere la for­ mazione effettiva della dottrina rivoluzionaria e antiteologica, poiché, senza la preliminare supremazia di questa dottrina, la nostra intelligenza non avrebbe mai potuto mettersi realmente dal punto di vista positivo, secondo la mia teoria fondamentale del vero sviluppo generale della ragione umana. Infine, per una considerazione più particolare e più diretta, soltanto questo ca­ rattere inevitabilmente assoluto, Impresso inizialmente ai dogmi critici, poteva sviluppare abbastanza la loro energia fondamen­ tale da renderli capaci di conseguire pienamente il loro scopo, lottando con successo contro la potenza allora così forte che re­ stava ancora al vecchio sistema politico. Infatti, se si fosse ten­ tato fin qui di subordinare a condizioni qualsiasi l’applicazione reale dei princìpi critici, dal momento che queste condizioni

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non potevano essere prese dal nuovo ordine sociale, la cui vera natura generale è ancor oggi essenzialmente indeterminata per le più grandi intelligenze, è evidente che simili restrizioni, di conseguenza derivate unicamente dall’ordine esistente, avreb­ bero inevitabilmente prodotto l’annullamento politico della dot­ trina rivoluzionaria. Tale è, dopo un sommario esame, il modo fondamentale secondo cui l’indispensabile negazione del regime teologico e feudale ha dovuto spontaneamente convertirsi in ne­ gazione sistematica di ogni ordine veramente regolare. Ma, per quanto una tale spiegazione sia soddisfacente dal punto di vi­ sta logico, nondimeno questa deplorevole necessità finale oggi ne determina le più perniciose conseguenze, che, dissimulate naturalmente fintanto che la lotta contro il vecchio sistema ha dovuto rappresentare il principale oggetto della politica attiva, si manifestano, con una gravità sempre crescente, non appena questo sistema è abbastanza distrutto da permettere e nel con­ tempo esigere l’elaborazione diretta del sistema nuovo. È così che, per un’abusiva sebbene inevitabile esagerazione, la metar fisica rivoluzionaria, dopo aver realizzato, con la demolizione del regime teologico e feudale, un indispensabile compito pre­ liminare nello sviluppo generale delle società moderne, tende ormai sempre più, in virtù della spinta che ha dovuto impri­ mere allo spirito di anarchia, ad impedire radicalmente l’istitu­ zione finale di questo stesso ordine politico, del quale la sua necessaria protezione ha tanto preparato finora il salutare av­ vento. Quando il corso naturale degli avvenimenti ha portato così naturalmente una qualsiasi dottrina a diventare direttamente ostile al suo primitivo scopo, un tal sovvertimento costituisce, senza dubbio, il sintomo meno equivoco della sua prossima ed inevitabile decadenza, oppure esso annuncia, almeno, che la sua attività deve ben presto cessare d’essere prevalente. Già sappia­ mo che la politica teologica o reazionaria, che non ha che pre­ tese d'ordine, è diventata oggi, in verità, tanto essenzialmente perturbatrice, sebbene in un’altra maniera, quanto la politica metafisica o rivoluzionaria. Se dunque questa, la cui sola qua­ lità fondamentale non ha potuto essere che quella di servire fin qui da strumento generale al progresso politico, costituisce ora un ostacolo diretto al principale sviluppo sociale, questa duplice dimostrazione sarà certamente la più idonea a mettere in piena

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evidenza la necessità fondamentale di rimpiazzare ormai, con una dottrina veramente nuova, due dottrine più o meno scadute, ciascuna delle quali testimonia cosi la sua finale impotenza a raggiungere realmente lo scopo stesso che essa s’era troppo esclu­ sivamente proposto. Poiché questa considerazione è molto grave soprattutto nei riguardi della politica metafisica, la sola che me­ riti oggi una seria discussione, essendo l’unica ad aver cercato di produrre un’apparenza di sistema nuovo, credo di dover qui fermare in particolare l’attenzione del lettore su questo punto principale, il cui chiarimento deve gettare una luce tanto in­ dispensabile, sebbene semplicemente provvisoria, sul vero carat­ tere fondamentale della società attuale. Sotto qualunque aspetto lo si consideri, lo spirito generale della metafisica rivoluzionaria consiste sempre nell’erigerc siste­ maticamente in stato normale e permanente la situazione necessa­ riamente eccezionale e transitoria che doveva svilupparsi presso le più progredite nazioni, dopo che l’impotenza del vecchio ordine politico a dirigere ormai il movimento sociale aveva cominciato a diventare incontestabile, fino alla manifestazione sufficiente­ mente caratterizzata d’un ordine nuovo. Considerata nel suo insieme, questa dottrina, per un capovolgimento diretto e totale delle più fondamentali nozioni politiche, presenta, per sua na­ tura, il governo come il nemico necessario della società. Contro di esso la società deve costituirsi con cura in stato continuo di sospetto e sorveglianza, disposta incessantemente a restringere sempre più la sua sfera d’attività, onde evitare le usurpazioni di quello, e tendendo finalmente a non lasciargli altre attribuzioni reali che le semplici funzioni di polizia generale, senza alcuna essenziale partecipazione alla suprema direzione dell’azione col­ lettiva e dello sviluppo sociale. Ma, nonostante l’esattezza evi­ dente di tale valutazione, la dottrina critica sarebbe troppo im­ perfettamente giudicata se questa sistematica negazione di ogni vero governo, dopo essere stata vista come una conseguenza ine­ vitabile della decadenza dell’antico regime, non fosse conside­ rata anche come una condizione temporaneamente indispensa­ bile alla piena efficacia della lotta che doveva preparare l’avvento del nuovo regime, come spiegherò in particolare analizzando in séguito quest’ultima fase storica dell’evoluzione sociale. È senza dubbio molto deplorevole che, per soddisfare sufficientemente a

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questa condizione preliminare, lo spirito umano sia stato portato a concepire come assoluta e indefinita una dottrina che, dac­ ché non è più esclusivamente impiegata nella demolizione del­ l’antico ordine politico, tende sempre più a divenire un osta­ colo diretto per ogni vera riorganizzazione. Ciononostante, que­ sto grave inconveniente deve sembrare, dal punto di vista filo­ sofico, sfortunatamente inseparabile dalla nostra debole natura. Non soltanto tale carattere è dovuto spontaneamente derivare dallo stato metafisico nel quale la nostra intelligenza era allora chiusa; ma inoltre un’operazione sociale, la cui realizzazione doveva richiedere due o tre secoli, sarebbe potuta, anche nello stato più progredito della ragione pubblica, non passare per as­ soluta e definitiva, agli occhi della gente? Infine ciò che bisogna soprattutto considerare è che, senza tale attributo, la metafisica rivoluzionaria sarebbe stata necessariamente impotente a sod­ disfare convenientemente al suo compito essenziale contro l’an­ tico sistema politico. Infatti, essendo la vera natura del nuovo sistema profondamente sconosciuta, se ogni potenza direttrice non fosse stata, per una specie di dogma formale, completamente negata al governo, sarebbe stata, in realtà, inevitabilmente con­ servata o restituita ai poteri stessi che si trattava di distruggere, poiché essi soli pretendevano ad una simile attribuzione, senza che si potesse ancora concepire alcuna migliore maniera di eser­ citarla. Considerando ora la dottrina critica da un altro punto di vista più particolare, è evidente che il diritto assoluto del libero esame, o il dogma della illimitata libertà di coscienza, costituisce il suo principio più esteso e più fondamentale, soprattutto non separan­ done le più immediate conseguenze, relative alla libertà di stampa, di insegnamento o di qualunque altro modo d’espres­ sione e di comunicazione delle opinioni umane. È essenzialmente per questo che tutte le intelligenze, qualunque siano le loro vane intenzioni speculative, hanno oggi realmente aderito, in maniera più o meno esplicita, allo spirito generale della dottrina rivoluzionaria, del quale esse fanno così, le une consapevolmente, le altre in contraddizione con le loro proprie teorie, un uso spon­ taneo e continuo. Il diritto individuale di esame sovrano su tutte le questioni sociali doveva troppo adulare l’orgogliosa de­ bolezza della nostra intelligenza, perché i più sistematici con-

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scrvatori dell’antico regime sociale potessero essi stessi resistere a tale allettamento, c si rassegnassero ad essere solo umili e sot­ tomessi, in mezzo a spiriti completamente abbandonati all’irre­ sistibile progresso della loro completa emancipazione. Così, il contagio rivoluzionario è divenuto esso stesso, sotto questo fon­ damentale aspetto, veramente universale, e costituisce uno dei principali caratteri dei costumi sociali propri del secolo attuale. Nella vita quotidiana i più zelanti partigiani della politica teo­ logica non si mostrano ora, di solito, meno disposti degli avversari a giudicare esclusivamente secondo il loro personale giudizio, risolvendo con non minore arditezza e leggerezza i dibattiti più difficili e senza testimoniare una maggiore defe­ renza reale verso i loro veri superiori intellettuali. Anche quelli che, con i loro scritti, si costituiscono difensori filosofici del go­ verno spirituale, non riconoscono, in fondo, come i rivoluzionari che attaccano, altra vera autorità suprema se non quella della loro ragione, la cui irritabile infallibilità è sempre pronta ad insor­ gere contro ogni contraddizione, anche se dovesse emanare dai poteri ch’cssi lodano di più. Segnalo di preferenza nel partito reazionario questa invasione generale dello spirito critico, che caratterizza la dottrina rivoluzionaria propriamente detta, al fine di far meglio risaltare l’estensione e la gravità di tale situa­ zione delle intelligenze. Storicamente considerato, il dogma dell’assoluto e indefinito diritto universale d’esame non è realmente, come dirò a suo tempo, che la consacrazione, sotto la forma viziosamente astratta comune a tutte le concezioni metafisiche, dello stato transitorio di libertà illimitata in cui lo spirito umano è stato spontanea­ mente messo, per una necessaria conseguenza dell’irrevocabile decadenza della filosofia teologica, e che deve naturalmente du­ rare fino all’avvento sociale della filosofia positiva*. Originando a. Mi sia permesso, a questo proposito, di rammentare qui sommaria­ mente, potendo essere ancora utile, in che maniera giudicavo questo dogma, nel 1822, nell’introduzione al mio Sistema di politica positiva: « Non v’è adatto libertà di coscienza in astronomia, in fìsica, in chimica, e nella stessa fisiologia, nel senso che ognuno troverebbe assurdo non cre­ dere con fede ai princìpi stabiliti in queste scienze dai competenti. Se in politica accade diversamente, è unicamente perché, essendo caduti i vec­ chi princìpi, e non essendo i nuovi ancora formulati, non vi sono affatto,

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questa assenza effettiva di regole intellettuali, esso ha, per una inevitabile reazione, potentemente concorso ad accelerare e a propagare il moto di decomposizione finale dell’antico potere spirituale. Questa formula non poteva mancare d’essere assoluta, poiché non si poteva allora in nessun modo supporre quale fosse il termine necessario che il cammino generale della ragione umana doveva assegnare allo stato transitorio ch’essa consacrava e che sembra rappresentare ancora oggi, per tanti spiriti illumi­ nati, uno stato definitivo. D’altra parte, è qui molto evidente che, fatta astrazione dalla manifesta impossibilità d’una tale va­ lutazione, questo carattere assoluto era strettamente indispensa­ bile perché tale dogma potesse soddisfare, con energia suf­ ficiente, il suo scopo rivoluzionario. Poiché, se fosse stato neces­ sario subordinare il diritto d’esame a restrizioni qualsiasi, lo spi­ rito umano le avrebbe necessariamente tratte dai soli princìpi che poteva realmente concepire, cioè da quelli stessi dell’antico sistema sociale la cui indispensabile distruzione sarebbe stata così direttamente preclusa dall’operazione filosofica che non aveva altro scopo essenziale se non quello di facilitarla. Meglio si analizzerà questa fase singolare del nostro sviluppo sociale, più si sarà convinti, credo, che, senza la conquista e l’uso di questa illimitata libertà di pensare, nessuna vera riorganizzazione poteva essere preparata, poiché i princìpi che devono presiedervi non avrebbero potuto nemmeno essere indagati in precedenza, se i filosofi non avessero esercitato, in tutta la sua pienezza, il di­ ritto d’esame. D’altra parte, se anche il pubblico non si fosse attribuita la stessa facoltà, la discussione fondamentale, che deve inevitabilmente precedere e determinare il trionfo effettivo di questi princìpi, sarebbe divenuta assolutamente impossibile. Quando tali princìpi saranno stati così stabiliti, la loro irresisti­ bile superiorità tenderà a far rientrare infine il diritto d’esame propriamente parlando, in questo intervallo, princìpi stabili ». Dopo avere innanzitutto, come avevo previsto, colpito vivamente i pregiudizi rivo­ luzionari, un siffatto giudizio ha intanto contribuito, anche allora, a disin­ gannare un gran numero di spiriti ben disposti, i quali, fino a quel mo­ mento, non avevano affatto sentito convenientemente la necessità d’una nuova dottrina sociale, e consideravano il trionfo completo della politica negativa o metafisica come il termine definitivo della rivoluzione gene­ rale delle società moderne.

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nei suoi limiti veramente normali e permanenti, i quali consi­ stono, in generale, nel discutere, in convenienti condizioni in­ tellettuali, il legame reale delle diverse conseguenze con le re­ gole fondamentali uniformemente rispettate. Fino ad allora, le stesse idee, che saranno più tardi effettivamente destinate a sot­ toporre le intelligenze ad una esatta disciplina continua, formu­ lando le basi essenziali del nuovo ordine sociale, non possono dapprima manifestarsi che a titolo universale di semplici pen­ sieri individuali, prodotti in virtù del diritto assoluto d’esame, poiché la loro legittima supremazia non può ulteriormente de­ rivare che dal consenso volontario con il quale il pubblico le con­ sacrerà, col risultato finale della più libera discussione. Ogni altra maniera di procedere alla riorganizzazione spirituale sa­ rebbe necessariamente illusoria, e potrebbe essere molto perico­ losa, se, nella vana speranza di sollecitare, con una politica del tutto materiale, l’istituzione d'una siffatta unità, si pretendesse d’assoggettare a regole arbitrarie l’esercizio del diritto d’esame, prima che lo spontaneo sviluppo della ragione pubblica avesse gradualmente stabilito i princìpi corrispondenti. Verso tale aber­ razione funesta deve troppo spesso trascinare oggi, in tutti i par­ titi politici, la mediocrità intellettuale unita all’inquietudine del carattere, animata dall’orgoglioso possesso momentaneo d’un qualsiasi potere. Il séguito di questo volume mi offrirà natural­ mente occasioni reiterate di chiarire sempre più l’insieme del mio pensiero su questo importante argomento: ma credo di averlo già abbastanza nettamente caratterizzato perché anche i lettori meno attenti non possano essere in alcun modo colpiti dal mio giudizio generale sul dogma rivoluzionario della libertà illimitata di coscienza, senza il trionfo del quale questo trattato sarebbe stato evidentemente impossibile. Questo grande principio della dottrina critica è stato finora salutare ed anche indispensabile e lo è tuttora, per diversi es­ senziali aspetti. Tuttavia, esaminandolo dal punto di vista vera­ mente filosofico, non si potrebbe dubitare che non soltanto esso non possa in alcun modo costituire un principio organico, come s’è dovuto credere all’inizio per l’illusione naturale d’una lunga abitudine, ma che tenda anche direttamente ormai a porre sem­ pre più un ostacolo sistematico ad ogni vera riorganizzazione sociale, da quando la sua attività distruttiva non è più essenzial­

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mente assorbita dalla demolizione, ora quasi compiuta, del­ l’antico ordine politico. In un caso qualunque, sia privato, sia pubblico, lo stato d’esame non potrebbe essere evidentemente che provvisorio, indicando la condizione di spirito che precede e prepara una decisione finale, verso la quale tende incessante­ mente la nostra intelligenza, anche quando rinuncia ad antichi princìpi per formarsene dei nuovi. Prendere l’eccezione per re­ gola, al punto da erigere ad ordine normale e permanente l’in­ terregno passeggero che accompagna inevitabilmente tali tra­ passi, significa certamente misconoscere le più fondamentali ne­ cessità della ragione umana, la quale ha bisogno soprattutto di punti fissi, i soli capaci di riunire utilmente i suoi sforzi spon­ tanei, e nella quale, perciò, lo scetticismo momentaneamente prodotto dal passaggio più o meno difficile da un dogmatismo ad un altro, costituisce una specie di perturbazione insana che non potrebbe prolungarsi senza gravi pericoli al di là dei limiti naturali della crisi corrispondente. Esaminare sempre, senza mai decidersi, sarebbe quasi considerato follia nella vita privata. Come potrebbe la consacrazione dogmatica di tale disposizione, in tutti gli individui, costituire la perfezione definitiva del­ l’ordine sociale, riguardo a quelle idee la cui stabilità è insieme molto più essenziale e ben altrimenti difficile da stabilire*? Non è, al contrario, evidente che tale tendenza è, per sua natura, ra­ dicalmente anarchica, per il fatto che, se essa potesse indefini­ tamente durare, impedirebbe ogni vera organizzazione spiri­ tuale? Chiunque si riconoscerebbe, senza difficoltà, naturalmente incapace, a meno d’una speciale preparazione, a formulare ed anche a giudicare nozioni astronomiche, fisiche, chimiche, ecc., destinate ad entrare nella circolazione sociale, e tuttavia nessuno esita a farle presiedere, con tutta fiducia, alla direzione generale delle corrispondenti operazioni; il che significa, sotto diversi aspetti, che il governo intellettuale è già effettivamente deli­ neato. Le nozioni più importanti e più delicate, quelle che per a. «N é l’individuo né la specie», dicevo, nel 1826, nelle mie Conside­ razioni sul potere spirituale, « sono destinali a consumare la loro vita in un'attività sterilmente ragionativa, dissertando continuamente sulla con­ dotta che devono tenere. £ all 'azione che è essenzialmente chiamata la massa degli uomini, salvo una frazione impercettibile, principalmente vo­ tata per natura alla contemplazione ».

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la loro complessità superiore sono necessariamente accessibili ad un minor numero d’intelligenze, e presuppongono una pre­ parazione più faticosa e più rara, resteranno dunque esse sole abbandonate aH’arbitraria e variabile decisione degli spiriti meno competenti? Una così spiacevole anomalia non potrebbe certa­ mente essere considerata permanente, senza tendere direttamente al dissolvimento dello stato sociale, per la divergenza sempre crescente delle intelligenze individuali, abbandonate esclusivamente ormai al disordinato impulso dei loro diversi stimoli na­ turali, o nell’ordine d’idee più vago e più fecondo di aberra­ zioni capitali. L ’inerzia speculativa comune alla maggior parte degli spiriti, e forse anche, in un certo grado, il saggio ritegno del buon senso comune, tendono, senza dubbio, a restringere molto questo sviluppo spontaneo dei fuorviamenti politici. Ma queste deboli influenze che, allorquando l’orgoglio individuale non è fortemente stimolato, possono spesso prevenire il ridicolo progresso di un’attività impotente, devono essere, al contrario, abitualmente insufficienti a sradicare la vana pretesa d’ognuno ad erigersi sempre ad arbitro supremo delle diverse teorie so­ ciali; pretesa che ogni uomo sensato biasima il più sovente negli altri, facendo eccezione, sotto una forma più o meno esplicita, per la propria sola competenza personale. Ora, una simile dispo­ sizione basterebbe evidentemente, anche facendo astrazione da ogni aberrazione attiva, ad impedire radicalmente la riorganiz­ zazione intellettuale, con l’opporsi alla convergenza effettiva de­ gli spiriti, che non potrebbero essere finalmente riuniti senza la volontaria rinuncia della maggior parte di essi al diritto assoluto d’esame individuale, anche riguardo ad argomenti superiori alla loro vera portata, e la cui natura esige tuttavia, più imperiosa­ mente che in qualunque altro caso, una comunione reale e sta­ bile. Che avverrà dunque, tenendo conto d’altra parte dell’in­ fluenza diretta degli inevitabili sviamenti prodotti dall’ambizione sfrenata di tante intelligenze incapaci e mal preparate, ciascuna delle quali risolve a suo piacimento, senza alcun controllo reale, le più complicate ed oscure questioni, non potendo nemmeno supporvi le principali condizioni che esigerebbe naturalmente la loro elaborazione razionale? Queste diverse aberrazioni, che si combattono reciprocamente, tendono, è vero, a scomparire, in conseguenza stessa della libera discussione, ma sempre dopo

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aver esercitato distruzioni più o meno estese, c soprattutto non scompaiono che per far posto a nuove stravaganze non meno pericolose, la cui successione naturale sarà inesauribile: di modo che l’esito finale di tutte queste varie dispute è sempre l’uniforme aumento dell’anarchia intellettuale. Nessun’associazione, pur avendo un compito specifico e temporaneo, e pur limitata ad un piccolissimo numero d’in­ dividui, potrebbe realmente sussistere senza un certo grado di fiducia reciproca, al tempo stesso intellettuale e morale, fra i suoi diversi membri, ciascuno dei quali prova il continuo bisogno d’una quantità di nozioni alla cui formazione deve restare estraneo, e che non può ammettere che basandosi sulla testimonianza altrui. Per quale incredibile eccezione questa con­ dizione elementare d’ogni società, cosi chiaramente verificata nei più semplici casi, potrebbe essere eliminata per l’associazione totale della specie umana, cioè quella in cui il punto di vista individuale è più profondamente separato dal punto di vista collettivo, e in cui ogni membro dev’essere generalmente il meno adatto, sia per natura, o per posizione, ad intraprendere una giusta valutazione delle massime generali indispensabili al buon andamento della sua attività personale? Qualunque sviluppo in­ tellettuale si possa mai supporre nella massa degli uomini, è dunque evidente che l’ordine sociale sarà sempre necessariamente incompatibile con la libertà permanente lasciata ad ognuno, senza la preliminare realizzazione di una condizione razio­ nale, dì rimettere ogni giorno in discussione, senza fine, le basi stesse della società. La tolleranza sistematica non può esistere, e non è realmente mai esistita, che per le opinioni ritenute indifferenti o dubbie, come prova la pratica stessa della poli­ tica rivoluzionaria, nonostante la sua proclamazione assoluta della libertà di coscienza. Nei popoli presso i quali questa po­ litica si è veramente fermata all’arrestarsi del protestantesimo, le innumerevoli sètte religiose nelle quali si è diviso il cristia­ nesimo sono, ognuna presa a sé, troppo impotenti per preten­ dere ad un vero dominio spirituale. Tuttavia, sui diversi punti di dottrina o di disciplina che sono loro rimasti comuni, la loro intolleranza non è certamente meno tirannica, soprattutto negli Stati Uniti, di quella tanto rimproverata al cattolicesimo. Al­ lorché, per un’illusione dapprima inevitabile, ma il cui intero

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rinnovamento è ormai impossibile, la dottrina critica è stata, all’inizio della rivoluzione francese, unanimamente ritenuta or­ ganica, si sa con quale terribile energia i capi naturali di questo grande movimento hanno tentato di ottenere l’assenso generale, volontario o forzato, ai dogmi essenziali della filosofia rivolu­ zionaria, allora ritenuta la sola base possibile dell’ordine sociale e, per ciò stesso, al di sopra di ogni radicale discussione. Nel séguito di questo volume avrò frequenti occasioni di tornare su tale argomento, in modo da definire nettamente i limiti normali del diritto d'esame, sia in ciò che essi hanno di comune con tutti gli stati possibili della società umana, sia soprattutto in ciò che concerne le condizioni speciali d’esistenza dell’ordine sociale proprio della civiltà moderna. Mi basti qui, per riassumere som­ mariamente l’analisi precedente, ricordare che, da molto tem­ po, il buonsenso politico ha chiaramente formulato il primo bisogno d’ogni organizzazione reale, con questo ammirevole assioma della Chiesa Cattolica : « In necessariis unitas, in dubiti libertas, in om nibus charitas » ‘. Tuttavia, questa bella massima si limita evidentemente a porre il problema, segnalando lo scopo generale verso il quale ogni società deve tendere a suo modo. Essa non può, in sé stessa, suggerire mai alcuna idea della vera soluzione, cioè di princìpi capaci di costituire infine questa in­ dispensabile unità, che sarebbe necessariamente illusoria, se non risultasse innanzitutto da una libera discussione fondamentale. Sarebbe certamente superfluo analizzare qui con altrettanta cura tutti gli altri dogmi essenziali della metafisica rivoluziona­ ria, che il lettore attento sottoporrà ora, senza difficoltà, con un procedimento simile ad un analogo giudizio, in maniera da con­ statare chiaramente in tutti i casi, come ho fatto nei riguardi del principio più importante: la consacrazione assoluta d’un aspetto transitorio della società moderna, secondo una formula, eminentemente salutare, ed anche strettamente indispensabile, quando la si applica conformemente al suo scopo storico, alla sola demolizione del vecchio sistema politico, ma che, trasportata a sproposito alla concezione del nuovo ordine sociale, tende ad impedirlo radicalmente, conducendo alla indefinita negazionel. l. Sentenza dì origine incerta attribuita da alcuni a S. Agostino, da altri a Me­ lamene c, con maggiore probabilità, a Rupertus Meldenius (scc. xvn).

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di ogni vero governo. Ciò è soprattutto vero per il dogma del­ l’uguaglianza, il più essenziale ed il più attivo dopo quello che ho esaminato, e che d’altra parte è in relazione necessaria con il principio della libertà illimitata di coscienza dal quale doveva evidentemente derivare la proclamazione, immediata quantun­ que indiretta, dell’eguaglianza più fondamentale, quella delle intelligenze. Applicato all’antico sistema, questo dogma ha fi­ nora felicemente secondato lo sviluppo naturale della civiltà mo­ derna, presiedendo allo scioglimento finale della vecchia clas­ sificazione sociale. Senza questo indispensabile antecedente, le forze destinate a diventare in séguito gli elementi d’una nuova organizzazione non avrebbero potuto prendere tutto lo slancio conveniente e soprattutto non potevano acquisire il carattere di­ rettamente politico che era dovuto mancar loro fino a quel mo­ mento. L’assoluto non era qui meno necessario, nella duplice accezione di questo termine, che nel caso precedente, poiché se ogni classificazione sociale non fosse stata innanzitutto sistema­ ticamente negata, le vecchie corporazioni dirigenti avrebbero spontaneamente conservato la loro supremazia, per l’impossi­ bilità in cui ci si doveva trovare di concepire altrimenti la classifi­ cazione politica, di cui noi non abbiamo, ancora oggi, alcuna idea sufficientemente precisa, veramente appropriata al nuovo stato della civiltà. È dunque soltanto in nome della completa eguaglianza politica che è stato possibile fin qui lottare con suc­ cesso contro le vecchie disuguaglianze, le quali, dopo avere a lungo secondato lo sviluppo delle società moderne, avevano fi­ nito, nella loro inevitabile decadenza, col diventare realmente oppressive. Ma tale opposizione costituisce naturalmente il solo scopo progressivo di questo dogma energico, che tende, a sua volta, ad impedire ogni vera riorganizzazione, allorquando, prolungata oltre misura la sua attività distruttiva, per mancanza d’una conveniente alimentazione, si dirige ciecamente contro le basi stesse d’una nuova classificazione sociale. Poiché, qualun­ que ne possa essere il principio, questa classificazione sarà cer­ tamente inconciliabile con questa pretesa eguaglianza, che per tutti gli spiriti preparati non potrebbe in verità significare oggi che il necessario trionfo delle disuguaglianze sviluppate dalla civiltà moderna su quelle di cui lo stato iniziale della società aveva dovuto fino a quel momento mantenere la supremazia. Senza

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dubbio, ogni individuo, qualunque sia la sua inferiorità, ha sem­ pre il diritto naturale, a meno d'una condotta antisociale molto pronunciata, d’aspettarsi da tutti gli altri lo scrupoloso adempi­ mento continuo dei riguardi generali che sono dovuti alla di­ gnità dell’uomo, ed il cui insieme, ancora molto imperfettamente valutato, costituirà di giorno in giorno il principio più comune della morale universale. Ma, nonostante questo grande obbligo morale, che non è mai stato direttamente negato, dall’abolizione della schiavitù, è evidente che gli uomini non sono né uguali fra di loro, né equivalenti, e non potrebbero perciò possedere nell’associazione diritti identici, ad eccezione, ben inteso, del diritto fondamentale, necessariamente comune a tutti, del libero sviluppo dell’attività personale, una volta convenientemente di­ retta. Per chiunque abbia studiato in modo adeguato la vera na­ tura umana, le differenze intellettuali e morali sono certamente ben più pronunciate, fra i diversi organismi, delle semplici di­ suguaglianze fisiche, le quali preoccupano tanto la massa degli osservatori. Ora, il progresso continuo della civiltà, lungi dall’avvicinarci ad una eguaglianza chimerica, tende, al contrario, per sua natura, a sviluppare estremamente queste differenze fon­ damentali, mentre attenua molto l’importanza delle distinzioni materiali, che dapprima le tenevano compresse. Questo dogma assoluto dell’eguaglianza prende dunque un carattere essenzial­ mente anarchico, e si leva direttamente contro il vero spirito della sua istituzione primitiva, non appena, cessando di vedervi un semplice dissolvente transitorio del vecchio sistema politico, lo si concepisca anche come perennemente applicabile al siste­ ma nuovo. Lo stesso giudizio filosofico non presenta maggiori difficoltà nei confronti del dogma della sovranità popolare, seconda con­ seguenza generale, non meno necessaria, del principio fondamentale della libertà illimitata di coscienza, così finalmente tra­ sferita dall’ordine intellettuale a quello politico. Non soltanto questa nuova fase della metafìsica rivoluzionaria era inevitabile come proclamazione diretta dell’irrevocabile decadenza dell’an­ tico regime; ma essa era indispensabile anche per preparare l’av­ vento ulteriore d’una nuova costituzione. Fintanto che la natura di quest’ordine finale non era abbastanza conosciuta, i popoli moderni non potevano comportare che istituzioni puramente

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provvisorie, le quali dovevano attribuirsi l’assoluto diritto di cambiare a volontà. In mancanza di ciò, dal momento che tutte le restrizioni derivano di conseguenza dall’antico sistema, la sua supremazia sarebbe venuta a trovarsi, per ciò soltanto, mantenuta, e la grande rivoluzione sociale sarebbe neces­ sariamente fallita. Soltanto la consacrazione dogmatica della so­ vranità popolare ha dunque potuto permettere la libera succes­ sione preliminare dei diversi tentativi politici che, allorquando il rinnovamento intellettuale sarà sufficientemente progredito, sfoceranno infine nella instaurazione d’un vero sistema di go­ verno, capace di fissare regolarmente, al riparo da ogni arbitrio, le condizioni permanenti e la normale estensione delle diverse sovranità. Seguendo tutt’altro procedimento, questa riorganiz­ zazione politica esigerebbe direttamente la utopistica partecipa­ zione disinteressata degli stessi poteri che essa deve distruggere per sempre. Ma valutando, in modo appropriato, l’indispensabile compito transitorio di questo dogma rivoluzionario, nessun ve­ ro filosofo potrebbe misconoscere oggi la fatale tendenza anar­ chica di tale concezione metafisica, quando, nella sua appli­ cazione assoluta, essa s’oppone ad ogni istituzione regolare, con­ dannando inesorabilmente tutti i superiori ad un’arbitraria di­ pendenza dalla moltitudine degli inferiori, per una specie di trasferimento ai popoli di quel diritto divino tanto rimpro­ verato ai re. Infine, lo spirito generale della metafisica rivoluzionaria si manifesta in maniera essenzialmente analoga allorquando si considera anche la dottrina critica nelle relazioni internazionali. Sotto quest’ultimo aspetto, la sistematica negazione di ogni vera organizzazione non è certo meno assoluta, né meno evidente. Essendo, in questo caso, la necessità dell’ordine ben più equi­ voca e più nascosta, si può anche rilevare che la mancanza di ogni potere regolatore è stata più ingenuamente proclamata qui che per qualunque altro riguardo. Per l’annullamento politico dell’antico potere spirituale, il principio fondamentale della li­ bertà illimitata di coscienza ha dovuto ben presto determinare il dissolvimento spontaneo dell’ordine europeo, il cui manteni­ mento costituiva direttamente la più naturale attribuzione del­ l’autorità papale. I concetti metafisici di indipendenza e di iso­ lamento nazionale e, di conseguenza, di non intervento reci­

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proco, che non furono inizialmente che la formulazione astratta di questa situazione transitoria, han dovuto, in maniera più evi­ dente che per la politica interna, presentare il carattere assoluto senza il quale avrebbero allora necessariamente mancato il loro scopo principale, e lo mancherebbero essenzialmente ancora og­ gi, fin quando la sufficiente manifestazione del nuovo ordine sociale non venisse a rivelare in base a quale legge le diverse na­ zioni debbano essere finalmente riunite. Fino a tale momento, ogni tentativo di coordinamento europeo, essendo inevitabil­ mente guidato dal vecchio sistema, tenderebbe realmente a que­ sto assurdo risultato, di subordinare la politica dei popoli più civili a quella delle nazioni meno progredite, le quali, a questo riguardo, avendo conservato tale sistema in uno stato di minore decomposizione, si troverebbero così naturalmente messe a capo di tale associazione. Non si potrebbe dunque apprezzare mai abbastanza l’ammirevole energia con la quale la nazione fran­ cese ha conquistato infine, con tante eroiche abnegazioni, il diritto indispensabile di trasformare a suo piacimento la politica interna, senza assoggettarsi ad alcuna dipendenza esterna. Que­ sto isolamento sistematico costituiva evidentemente una condi­ zione preliminare della rigenerazione politica, poiché, in ogni altra ipotesi, i diversi popoli, nonostante il loro ineguale progres­ so, avrebbero dovuto essere simultaneamente riorganizzati, ciò che sarebbe certamente chimerico, sebbene la crisi sia, in fondo, dovunque omogenea. Ma non resta meno incontestabile, a tale riguardo, come per i precedenti, che la metafìsica rivoluzio­ naria, consacrando per sempre questo spirito assoluto della na­ zionalità esclusiva, oggi tende direttamente ad impedire lo svi­ luppo della riorganizzazione sociale, privata così di uno dei suoi principali caratteri. In questo senso tale concezione, se potesse prevalere decisamente, condurrebbe a far retrocedere la po­ litica moderna al di sotto di quella del medioevo, nell’epoca stessa in cui, in virtù d’una similitudine ogni giorno più pro­ fonda e più completa, i diversi popoli civili sono necessariamente chiamati a costituire finalmente un’associazione, insieme più estesa e più regolare di quella che un tempo fu imperfettamente delineata dal sistema cattolico e feudale. Così, sotto questo aspet­ to, come sotto tutti gli altri, la politica metafisica, dopo la sua indispensabile influenza per preparare l’evoluzione definitiva

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delle società moderne, costituirebbe ormai, con una applicazione cieca c smisurata, un ostacolo diretto alla realizzazione reale di questo grande movimento, presentandolo come indefinitamente limitato ad una fase puramente transitoria, già sufficientemente percorsa. Per completare qui Tesarne preliminare della dottrina rivo­ luzionaria, non mi resta più che applicarvi sommariamente il criterio logico-che già ci ha fatto valutare, per sé stessa, la dot­ trina reazionaria o teologica, cioè a constatare la sua incoerenza radicale. Quantunque questa incoerenza sia oggi ancora più profonda e più manifesta che nel primo caso, essa deve nondimeno essere considerata necessariamente meno decisiva nei confronti della metafisica rivoluzionaria, non soltanto in quanto una formazio­ ne recente la rende naturalmente più giustificabile in essa, ma soprattutto perché un tal difetto non impedisce essenzialmente a questa dottrina di adempiere, con sufficiente energia, il suo compito puramente critico, il quale non esige affatto, in grande misura, quella esatta omogeneità di princìpi che è indispensabile ad ogni scopo veramente organico. Nonostante profondi dissensi, i diversi avversari dell’antico sistema politico hanno potuto, du­ rante il corso dell’operazione rivoluzionaria, unirsi facilmente contro di esso, per quanto lo esigeva successivamente ogni de­ molizione parziale: è stato loro sufficiente concentrare la di­ scussione sui soli punti che dovevano allora essere comuni a tutti, rinviando a dopo il loro successo le contestazioni relative agli sviluppi ulteriori della dottrina critica. Questa scomposi­ zione è impossibile in un’operazione organica, ogni parte della quale deve sempre essere considerata in séguito alla sua rela­ zione fondamentale con l’insieme. Ciononostante, questo stesso modo di valutazione logica, che sopra ha così chiaramente ca­ ratterizzato l’inutilità fondamentale della politica teologica, può anche, appropriatamente usata, manifestare non meno sensibil­ mente l’insufficienza e la sterilità attuali della politica metafi­ sica. Infatti, se, per il loro scopo rivoluzionario, le diverse parti di quest’ultima possono essere dispensate da una perfetta coe­ renza reciproca, evidentemente è almeno necessario che l’insie­ me della dottrina non diventi mai direttamente contrario al pro­ gresso stesso che esso doveva preparare e che non tenda a man­

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tenere le basi essenziali del sistema politico che si proponeva di distruggere. Infatti, sotto l’uno o l’altro aspetto, l’incoerenza, spinta così fino al rovesciamento dell’operazione primitiva, ri­ leverebbe incontestabilmente l'inattitudine finale d’una dottrina, così gradualmente condotta dal corso naturale delle sue applica­ zioni sociali a rivestire un carattere direttamente ostile allo spi­ rito stesso della sua istituzione. Ora, è facile mostrare che tale è, in effetti, a questo duplice titolo, il vero stato presente della metafisica rivoluzionaria. Consideriamola innanzitutto giunta al suo culmine, quando, durante la fase più acuta della Rivoluzione francese, c dopo aver ricevuto tutto il suo sviluppo sistematico, essa ottenne mo­ mentaneamente una completa supremazia politica, essendo con­ siderata, per una necessaria illusione, tale da dover presiedere alla riorganizzazione sociale. In questa epoca, breve ma de­ cisiva, la dottrina rivoluzionaria manifesta, con tutta la sua ca­ ratteristica energia, un’omogeneità ed una consistenza molto notevoli, che essa ha poi irrevocabilmente perduto. Ora, è pre­ cisamente allora che, non dovendo più intellettualmente lottare contro l’antico sistema, essa sviluppa anche, nella maniera me­ no ambigua, il suo spirito radicalmente ostile ad ogni vera rior­ ganizzazione sociale, c finisce anche per porsi violentemente in contrasto diretto col movimento fondamentale della civiltà mo­ derna, fino a diventare, a questo riguardo, molto retrograda. Essendo state sufficientemente esaminate sopra le cause essen­ ziali di questa inevitabile contraddizione finale, basterà ora ricordare, in poche parole, le principali testimonianze effettive di questa tendenza necessaria della metafìsica rivoluzionaria ad ostacolare direttamente il progresso naturale anche di questo stesso nuovo sistema sociale del quale essa era inizialmente de­ stinata a preparare l’avvento politico. Tale opposizione s’era già apertamente manifestata fin dal­ l’epoca stessa dell’elaborazione filosofica di questa dottrina, che si può vedere dappertutto uniformemente dominata dallo strano concetto metafisico d’un preteso stato di natura, tipo primordiale ed invariabile di ogni stato sociale. Questo concetto, radical­ mente contrario ad ogni vera idea di progresso, non è affatto particolare al potente sofista che ha più di tutti partecipato, ncll'ultimo secolo, al coordinamento definitivo della metafisica ri­

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voluzionaria. Esso appartiene egualmente a tutti i filosofi che, in diverse epoche e in diversi paesi, hanno spontaneamente con­ corso senza alcun accordo a quest’ultimo progresso dello spirito metafisico. Rousseau non ha fatto in realtà, con la sua pressante dialettica, che sviluppare fino in fondo la comune dottrina di tutti i metafisici moderni, rappresentando, sotto i diversi aspetti fondamentali, Io stato di civiltà come una degenerazione inevi­ tabilmente crescente di questo primo tipo ideale. Si vede anche, dall’analisi storica, come mostrerò più avanti, che tale dogma costituisce realmente la semplice trasformazione metafìsica del famoso dogma teologico della degradazione necessaria della spe­ cie umana a causa del peccato originale. Comunque sia, bisogna forse stupirsi che, partendo da un simile principio, la scuola rivoluzionaria sia stata portata a concepire ogni riforma politica come essenzialmente destinata a ristabilire il più completamente possibile questo inqualificabile stato primitivo? Ora, ciò non si­ gnifica forse, in realtà, organizzare sistematicamente un regresso universale, sebbene con intenzioni eminentemente progressive!1 Le effettive applicazioni sono state perfettamente conformi a questa costituzione filosofica della dottrina rivoluzionaria. Non appena è stato necessario procedere aH’integrale sostitu­ zione del regime feudale e cattolico, lo spirito umano, invece di considerare l’insieme dell’avvenire sociale, s’è rivolto soprattut­ to ai ricordi imperfetti d’un passato molto lontano, sforzandosi di sostituire a questo sistema caduco un sistema ancora più antico, e, a questo proposito, più decrepito, ma anche, per ciò stesso, più vicino al tipo primordiale. In odio ad un cattolicismo troppo arretrato, si è tentato di istituire una specie di politeismo metafisico, al tempo stesso che, per un altro regresso non meno caratterizzato, si tendeva a sostituire l’ordine politico del medioevo con il regime, così radicalmente inferiore, dei Greci e dei Romani. Gli elementi stessi della civiltà moderna, i soli germi possibili d’un nuovo sistema sociale, sono così stati infine minacciati dalla supremazia politica della metafisica rivo­ luzionaria. Selvagge, ma energiche invettive hanno allora diret­ tamente condannato il progresso industriale ed artistico delle società moderne, in nome della virtù e della semplicità primi­ tive. Infine, lo spirito scientifico stesso, unico principio d’una vera organizzazione intellettuale, non è stato, malgrado i suoi

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eminenti servigi, completamente al riparo da questa esplosione anarchica e retrograda, perché tendeva ad istituire, secondo la formula allora in uso, un’aristocrazia di luminari, incompatibile quanto ogni altra col ristabilimento dell’eguaglianza originaria*. Inutilmente la scuola metafisica ha presentato poi simili conse­ guenze come risultati eccentrici, c in qualche modo fortuiti, della politica rivoluzionaria. La filiazione è, al contrario, pienamente normale e necessaria, e non potrebbe mancare di realizzarsi di nuovo, se, per un concorso di avvenimenti ormai impossibile, questa politica avesse mai una simile supremazia. Questa ten­ denza contraddittoria, e nondimeno irresistibile, al regresso so­ ciale, in vista d’un più perfetto ritorno allo stato primitivo, è talmente inerente alla politica metafisica che ai nostri giorni le nuove sètte effimere di metafisici, i quali hanno più orgogliosa­ mente biasimato l’imitazione rivoluzionaria dei tipi greci e ro­ mani, non hanno potuto evitare di riprodurre involontariamente, in grado molto più pronunciato, lo stesso difetto fondamentale, sforzandosi di ricostituire, in maniera ancora più sistematica, la confusione generale fra il potere temporale e il potere spirituale, e preconizzando, come ultimo termine della perfezione sociale, una specie di ristabilimento della teocrazia egiziana o ebraica, fondata su un vero feticismo, inutilmente dissimulato sotto il nome di panteismo. Dopo che le aberrazioni fondamentali determinate dal mo­ mentaneo trionfo della metafisica rivoluzionaria hanno comin­ ciato essenzialmente a discreditarla, la sua incoerenza caratteri­ stica s’è manifestata soprattutto sotto un’altra forma non meno decisiva, in quanto la dottrina critica è stata inevitabilmente con­ dotta a proclamare essa stessa l’invariabile conservazione delle basi generali dell’antico sistema politico, del quale essa aveva di­ strutto per sempre le principali condizioni d’esistenza. Ci si è a. Fra tante deplorevoli testimonianze di tale aberrazione fondamen­ tale, nessuna m’è mai parsa più tristemente determinante di quella del­ l'esecrabile condanna del grande Lavoisier1, la quale basterà, anche nella più lontana posterità, a caratterizzare questa fatale fase del nostro stato rivoluzionario.i. i. Antoine Laurent Lavoisier, scienziato francese (1743-1794), accusato dai rivo­ luzionari per la sua amministrazione quale jermier ginirat, fu condannato a morte e giustiziato.

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potuti accorgere fin dal principio di tale tendenza, poiché la politica metafisica non è, in fondo, che una semplice emana­ zione della politica teologica, che essa doveva dapprima soltanto modificare. Ciascuno dei diversi riformatori che si sono succe­ duti negli ultimi tre secoli, spingendo più lontano dei suoi pre­ decessori lo sviluppo dello spirito critico, aveva nondimeno sem­ pre inutilmente preteso, come si sa, d’assegnargli limiti immu­ tabili, in realtà incessantemente retrocessi, ricavati dai princìpi stessi dell’antico sistema, del quale nessuno di essi aveva, in verità, consapevolmente perseguito la distruzione totale, per quanta energia in effetti vi mettesse. È del pari evidente che l’insieme dei diritti assoluti che costituisce la base usuale della dottrina rivoluzionaria si trova garantito, in ultima analisi, da una specie di consacrazione religiosa, reale per quanto vaga, senza la quale questi dogmi metafisici sarebbero necessaria­ mente alla mercé d’una discussione continua, che compromet­ terebbe molto la loro efficacia. È ancora invocando, con una formula sempre più generale, i princìpi fondamentali dell’antico sistema politico, che si è effettivamente proceduto alla successiva demolizione delle istituzioni, sia spirituali, sia temporali, desti­ nate a realizzarne l’applicazione: ed infatti riconosceremo, dal punto di vista storico, che questo regime è stato essenzialmente demolito dall’inevitabile conflitto dei suoi principali elementi. Da questo necessario cammino è dovuto gradualmente risul­ tare, nell’ordine intellettuale, un cristianesimo sempre più svi­ lito o semplificato, e ridotto infine a quel teismo vago ed impotente che, per un assurdo parallelo di termini, i metafisici hanno qualificato come religione naturale, come se ogni reli­ gione non fosse necessariamente soprannaturale. Pretendendo di dirigere la riorganizzazione sociale in séguito a questa strana e vana concezione, la scuola metafisica, nonostante la sua finalità puramente rivoluzionaria, ha dunque sempre implicitamente aderito, e sovente anche, oggi soprattutto, sotto una forma molto esplicita, al principio più fondamentale dell’antica dottrina po­ litica, che rappresenta l’ordine sociale come fondato, necessaria­ mente, su una base teologica. Tale è ora la più evidente e perni­ ciosa incocrenza della metafisica rivoluzionaria. Forte d’una si­ mile concessione, la scuola di Bossuet e di de Maistre avrà sem­ pre una incontestabile superiorità logica sugli irrazionali detrai-

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tori del cattolicesimo, i quali, proclamando il bisogno d’una or­ ganizzazione religiosa, le negano tuttavia tutti gli elementi in­ dispensabili alla sua realizzazione sociale. Per questa inevitabile acquiescenza, la scuola rivoluzionaria si unisce infatti oggi alla scuola reazionaria per impedire direttamente una vera riorganiz­ zazione delle società moderne, il cui stato intellettuale preclude essenzialmente, e sempre più, ogni politica teologica, come lo spirito di questo trattato deve già aver fatto presentire. La ba­ nale proclamazione della pretesa necessità di tale politica deve essere ormai considerata realmente equivalente ad un’incontesta­ bile dichiarazione d’impotenza nei riguardi del problema fon­ damentale della civiltà attuale. Qualunque siano le apparenze, non si potrebbe evitare di riconoscersi così doppiamente incom­ petenti, sia per la mediocrità deirintelligenza, sia per la scarsa energia del carattere. Sotto tale aspetto, la società dovrebbe sem­ brare perennemente condannata all’anarchia intellettuale che la caratterizza oggi, poiché, se da una parte tutti gli spiriti sem­ brano ammettere il bisogno d’un regime teologico, tutti, d’altra parte, s’accordano ancora più decisamente a respingere irrevoca­ bilmente le sue principali condizioni d’esistenza. Non è strano ed anche vergognoso, che coloro che sono condotti dalla loro incoerenza politica così necessariamente all’eterna consacra­ zione del disordine si sforzino ancora, con vane ed inconve­ nienti declamazioni, di gettare una specie d’infamia morale sulla sola via razionale che resta ormai aperta ad una vera riorganiz­ zazione, con l’avvento sociale della filosofia positiva? A quale titolo le diverse dottrine, sia teologiche, sia metafisiche, delle quali la più estesa e varia esperienza ha sì chiaramente testimo­ niato l’impotenza radicale, oserebbero condannare l’applica­ zione dell’unico procedimento intellettuale che la politica non abbia ancora sperimentato? Sarà perché tale procedimento ha già felicemente riorganizzato, con soddisfazione universale, tutti gli altri ordini delle concezioni umane*? a. Se, a nome di coloro che concepiscono la riorganizzazione sociale senza il minimo intervento teologico, io dovessi qui recriminare contro tali declamazioni, non sarebbe forse impossibile spiegare talvolta, con una certa verosimiglianza, un così strano concorso proibitivo di tante opinioni, d’altra parte incompatibili con la tendenza spontanea dei diversi spiriti che oggi profittano dell’incertezza c della confusione delle idee sociali per im-

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Questo carattere di incoerenza generale, che, distruggendo il vecchio sistema, pretende tuttavia di mantenerne le basi essen­ ziali, non è neirapplicazione temporale della metafisica rivolu­ zionaria meno marcato che nel suo sviluppo spirituale. Esso si manifesta soprattutto con una tendenza evidente alla conserva­ zione diretta, se non dello spirito feudale propriamente detto, almeno dello spirito militare, che ne costituisce la vera origine, Il passeggero trionfo della politica metafisica, momentaneamente ritenuta tale da dover esclusivamente presiedere alla riorga­ nizzazione sociale, aveva, è vero, innanzitutto determinato, nella nazione francese, un ammirevole slancio di generosità univer­ sale, che metteva ormai al bando ogni diretta tendenza militare, Ma non v’era in ciò che una vaga cognizione del vero problema sociale, senza avere in vista la soluzione reale. In séguito al grande spiegamento d’energia difensiva che ha dovuto esigere il mantenimento del movimento progressivo contro la coalizione armata delle forze retrograde, questo sentimento primitivo, che non era in verità diretto da alcun principio, è presto scomparso sotto lo sviluppo sistematico della più pronunciata attività mi­ litare, con tutti i suoi caratteri più oppressivi. Quante volte, nel corso delle nostre lotte politiche, la scuola rivoluzionaria, mal­ grado le sue intenzioni progressive, distratta dalla frivola preoc­ cupazione d’un interesse parziale o momentaneo, non ha dovuto rimproverarsi d’aver esaltato la guerra, che costituisce per al­ tro oggi la sola causa seria atta ad impedire e a rallentare gra­ vemente il movimento fondamentale delle società moderne I La dottrina critica è, infatti, così poco contraria allo spirito mili­ tare, principale base temporale dell’antica organizzazione poli­ tica, che il minimo sofisma basterà perché essa direttamente ne impedisca l'inevitabile decadimento universale, quando gli in­ teressi rivoluzionari le sembreranno esigerlo. Si è per esempio pedire alla filosofia positiva di produrre un chiarimento finale, che, dis­ sipando per sempre profonde illusioni, dovrà necessariamente detroniz­ zarne molte importanti celebrità, e rendere ormai molto più difficile la con­ quista d’una vera supremazia intellettuale. Ma, senza negare compietamente la realtà di questo accordo involontario in un piccolo numero di spiriti, è evidentemente ben più razionale considerarlo come il risultato necessario ed impensato della nostra situazione intellettuale, come ho spie­ gato nel testo.

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immaginato a questo proposito, in questi ultimi tempi, lo spe­ cioso pretesto di regolarizzare con la guerra l’azione necessaria delle nazioni più progredite sulle meno progredite, cosa che potrebbe condurre ad un conflitto universale, se la natura della civiltà moderna non ponesse per fortuna ostacoli insormontabili al libero, graduale sviluppo di tale aberrazione. Simili tranelli, inizialmente escogitati dalla scuola reazionaria, sono, ordinaria­ mente, con l’aiuto di qualche facile precauzione, avidamente accolti dalla scuola rivoluzionaria, che sembra così disposta essa stessa a secondare spontaneamente il ristabilimento del sistema politico contro il quale essa ha sempre lottato. Quand’anche un’intelligente analisi dei dibattiti quotidiani non constatasse direttamente questa evidente incoerenza, basterebbe, mi sembra, al fine di caratterizzarla chiaramente, considerare gli strani sfor­ zi tentati ai nostri giorni, con un sì deplorevole successo mo­ mentaneo, dalle diverse sezioni della scuola rivoluzionaria, per riabilitare la memoria di colui che, nei tempi moderni, ha più fortemente perseguito il regresso politico, consumando un im­ menso potere alla vana restaurazione del sistema militare c teo­ logico. Del resto, segnalando qui, come dovevo, questo spirito d’incoerenza retrogrado, mi parrebbe ingiusto non indicare anche, nella parte più progredita della scuola rivoluzionaria, un’ultima specie di contraddizione, che molto l’onora, essendo, in realtà, eminentemente progressiva. Si tratta soprattutto dell’importante principio della centralizzazione politica, la cui grande necessità non è oggi ben compresa che da questa scuola, malgrado l’evi­ dente opposizione di tale concetto ai dogmi d’indipendenza c d’isolamento che costituiscono lo spirito della dottrina critica. Da questo punto di vista essenziale, i ruoli sembrano essere or­ mai direttamente invertiti fra le due dottrine principali che si disputano ancora così inutilmente la supremazia politica. Con le sue superbe pretese d'ordine e d’unità, la dottrina reazionaria sostiene decisamente la dispersione dei focolai politici, nella se­ greta speranza di impedire più agevolmente la decadenza del­ l’antico sistema sociale nelle popolazioni più arretrate, preser­ vandole dall’influenza preponderante dei centri generali di ci­ viltà. La politica rivoluzionaria al contrario, ancora giustamente fiera d’avere un tempo presieduto all’immensa concentrazione

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di forze di cui aveva avuto bisogno, in Francia, la lotta decisiva contro la coalizione degli antichi poteri, dimentica le sue mas­ sime corruttrici per raccomandare con energia questa sistematica subordinazione dei focolai secondari ai principali. Questo fatto, dopo avere, in mezzo al disordine universale, assicurato per sempre il libero sviluppo del progresso sociale, diviene natural­ mente in séguito un così prezioso aiuto della vera riorganizza­ zione, che da quel momento può essere inizialmente limitata ad una popolazione scelta. In una parola, solo la scuola rivoluzio­ naria ha capito che lo sviluppo continuo dell’anarchia intellet­ tuale e morale esigeva, necessariamente, per prevenire un’immi­ nente disgregazione generale, una concentrazione crescente del­ l’azione politica propriamente detta. Con simile insieme di considerazioni preliminari sulla valu­ tazione generale della metafìsica rivoluzionaria, la sua insuffi­ cienza fondamentale non potrebbe ora essere contestata. Senza dubbio, dopo l’uso attivo e continuo che lo spirito umano aveva dovuto farne, durante il corso degli ultimi tre secoli, per operare la demolizione graduale dell’antico sistema politico, esso non poteva assolutamente dispensarsi dall’applicarla inizialmente an­ che alla riorganizzazione sociale, quando questa distruzione, sufficientemente avanzata, è venuta a rivelarne la necessità. Ogni altra maniera di procedere sarebbe stata, in questo periodo, cer­ tamente chimerica. Ma questa naturale illusione, che solo una teoria allora impossibile avrebbe potuto prevenire, non può più ormai essere essenzialmente riprodotta, perché il libero sviluppo effettivo di tale applicazione ha dovuto manifestare a tutti gli spiriti, con un’impressione incancellabile, la natura puramente anarchica e l’infiuenza direttamente reazionaria della dottrina critica, quando la sua energia distruttiva non è stata più assor­ bita dalla lotta fondamentale che costituì sempre il solo scopo che le si addicesse. Questo duplice esame preliminare della politica teologica e della politica metafisica, quantunque molto sommario, basta qui per caratterizzare nettamente la necessaria insufficienza di cia­ scuna di esse, anche nei confronti del loro scopo esclusivo, mo­ strando che ormai, e sempre più, la seconda non soddisfa af­ fatto meglio, in realtà, le principali condizioni del progresso, di quanto la prima quelle dell’ordine. Ma la loro rispettiva valuta-

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zíone rimarrebbe ancora essenzialmente incompleta, se, dopo averle separatamente analizzate, noi non considerassimo breve­ mente il singolare antagonismo che il corso naturale degli av­ venimenti ha finito per stabilire fra loro, e la cui spiegazione, impossibile in ogni altra maniera, deriverà spontaneamente dalle basi qui sopra indicate, in modo da chiarire di più la vera posi­ zione generale della questione sociale attuale. Si può facilmente riconoscere oggi che, nonostante la loro op­ posizione radicale, la scuola reazionaria e la scuola rivoluziona­ ria, per una irresistibile necessità, tendono in realtà a sostenere reciprocamente la loro vita politica, in virtù stessa della loro neutralizzazione reciproca. Da mezzo secolo, clamorosi trionfi successivi hanno permesso ad ognuna di esse di sviluppare libe­ ramente ia propria vera tendenza c, perciò, l’hanno infine con­ dotta a constatare irrevocabilmente la sua impotenza fondamen­ tale a raggiungere realmente lo scopo generale che persegue l’istinto delle società attuali. Quantunque semplicemente empi­ rica, questa duplice convinzione è ora divenuta talmente pro­ fonda e universale, che ormai oppone ostacoli insormontabili all’assoluta supremazia politica dell’una o dell’altra scuola, le quali non possono più aspirare che a successi tanto precari quanto incompleti. Così condotta a dubitare quasi in egual misura, quan­ tunque per motivi diversi, della supremazia assoluta di ciascuna di esse, la ragione politica, in mancanza d’un punto di appog­ gio più razionale e più efficace, impiega di volta in volta ogni dottrina a contenere l’indefinita invasione dell’altra. Quand’an­ che lo sviluppo naturale dei bisogni sociali sembri determinare momentaneamente una inclinazione definitiva in favore del­ l’una delle due politiche, il pericoloso avvio che essa ben presto prende non tarda a provocare spontaneamente un inevitabile ritorno proporzionale alla politica antagonista, che inutilmente s’era creduta morta per sempre. Questa deplorevole struttura oscillatoria della nostra vita sociale si protrarrà necessariamente fino a che una dottrina reale e completa, tanto veramente orga­ nica quanto progressiva, non venga infine a permettere di rinun­ ciare a questa pericolosa ed insufficiente alternativa, soddisfa­ cendo, in maniera diretta e simultanea, ai due aspetti essenziali del grande problema politico. Allora soltanto le due opposte dottrine tenderanno insieme a sparire irrevocabilmente davanti

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ad una nuova concezione, che si presenterà direttamente come più idonea ai loro scopi rispettivi. Ma, prima di questo termine, avendo ciascuna di esse come principale utilità pratica l’impedire il trionfo assoluto dell’altra, esse continueranno a costituire, nonostante ogni apparenza contraria, due inseparabili elementi del movimento politico fondamentale, che può oggi essere ca­ ratterizzato soltanto dalla loro comune partecipazione, indispen­ sabile quantunque insufficiente. Quante volte, nel deplorevole corso delle nostre lotte con­ temporanee, il partito rivoluzionario e il partito reazionario, accecati da un successo passeggero, hanno creduto d’avere annientato per sempre l’influenza politica dei loro avversari, senza che i fatti abbiano nondimeno mai cessato di smentire ben presto clamorosamente queste frivole illusioni! Lo strepitoso trionfo della dottrina critica ha forse impedito, dopo pochi anni, la completa riabilitazione della scuola cattolico-feudale, che ci si era inutilmente lusingati d’aver distrutto? Parimenti, la rea­ zione involutiva perseguita da Bonaparte con tanta energia, non ha finalmente determinato un ritorno universale alla scuola ri­ voluzionaria, la cui irrevocabile limitazione era stata cosi enfa­ ticamente celebrata? Dopo queste due prove decisive, lo svi­ luppo continuo della nostra situazione politica non ha successi­ vamente riprodotto, su scala minore, la continua manifestazione, più o meno evidente, ma sempre incontestabile, di questa du­ plice necessaria tendenza? È chiaro, infatti, dal punto di vista filosofico, che la metafisica rivoluzionaria, in virtù del suo fine puramente critico, avrebbe dovuto perdere oggi, per mancanza d’alimento, la sua principale attività politica, dopo che, essendo l’antico sistema abbastanza demolito per poter pensare alla pos­ sibilità di un suo ristabilimento, l’attenzione generale ha do­ vuto portarsi soprattutto verso una riorganizzazione definitiva, divenuta ogni giorno più urgente. Ma poiché questa riorganiz­ zazione è stata finora sempre realmente concepita, per man­ canza di nuovi princìpi, in base alla stessa dottrina teologica, la filosofia negativa viene ad adempiere, come per il passato, un indispensabile compito sociale, opponendosi al pericoloso pro­ gresso di questa politica involutiva. Parimenti, senza i giustifi­ cati allarmi che ispira la supremazia assoluta della politica rivo­ luzionaria di precipitare la società verso un’imminente anarchia

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materiale, l’antica dottrina sarebbe oggi universalmente discre­ ditata, e ridotta ad una semplice esistenza storica, da quando il regime corrispondente non è più, in fondo, ormai né compreso né voluto, neanche dai suoi pretesi partigiani. Le due dottrine sono dunque in realtà applicate ora, l’una quanto l’altra, con una iniezione principalmente negativa, essendo destinate a neu­ tralizzarsi a vicenda, ciò che è dovuto sembrare fin qui il solo modo possibile di prevenire le disastrose conseguenze che por­ terebbe naturalmente la totale supremazia di una di esse. Tuttavia è importante rilevare anche, in ultimo luogo, che ognuna di queste dottrine opposte costituisce direttamente un indispensabile elemento della nostra strana situazione politica, concorrendo all’impostazione generale del problema sociale, pre­ sentato dall’una sotto l’aspetto organico, e dall’altra dal punto di vista progressivo, nonostante che l’opposizione così stabilita fra i due grandi aspetti della questione debba tendere eminen­ temente a dissimularne la vera natura. Nel deplorevole stato attuale delle idee politiche, è evidente che la completa soppres­ sione della dottrina reazionaria, se fosse possibile realizzarla, farebbe subito sparire i pochi concetti d’ordine reale che le no­ stre intelligenze hanno ancora conservato in politica, e che si ri­ feriscono tutti inevitabilmente all’antico sistema sociale. In senso inverso, non si può meglio constatare che, senza la dottrina ri­ voluzionaria, tutte le idee di progresso politico, per quanto va­ ghe siano oggi, sparirebbero necessariamente sotto l’oscura su­ premazia dell’antica filosofia. In fondo, poiché ciascuna delle due dottrine è certamente impotente ormai a perseguire real­ mente il suo scopo esclusivo, la loro efficacia pratica si limita essenzialmente, sotto questo aspetto, a conservare nella società attuale, quantunque in maniera imperfetta, il duplice sentimento dell’ordine e del progresso. Benché l’assenza d’ogni principio veramente atto a realizzare tale duplice indicazione fondamen­ tale debba singolarmente soffocare questo vago sentimento, la sua perpetua conservazione, in un modo qualsiasi, non ne costituisce meno un’indispensabile necessità preliminare, per ri­ cordare incessantemente, sia ai filosofi, sia al pubblico, le vere condizioni della riorganizzazione sociale, che la nostra debole natura sarebbe altrimenti così disposta a misconoscere. Si può dunque, sotto tale aspetto, considerare la questione come con-

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sistcnte nel formare una dottrina che sia al tempo stesso più organica della dottrina teologica, e più progressiva della dottrina metafisica, i soli tipi attuali di questo duplice carattere, e la cui considerazione simultanea c, a questo titolo, inevitabile, fino alla completa soluzione di questo grande problema. Senza dubbio l’antico sistema politico non deve essere in al­ cun modo imitato nella concezione del regime appropriato ad una civiltà così profondamente differente. Ma il costante rife­ rimento all’ordine antico non è meno strettamente indispensa­ bile, essendo il solo che possa indicare gli attributi essenziali di ogni vera organizzazione sociale, obbligando l’avvenire a rego­ lare quasi tutto ciò che aveva regolato il passato, quantunque con altro spirito, e in maniera più perfetta. La concezione ge­ nerale del sistema teologico e militare mi sembra anche, in con­ seguenza della sua inevitabile decrepitezza, più dimenticata oggi di quanto non esigessero, a questo proposito, le necessità reali della nostra intelligenza, soprattutto in ciò che concerne la di­ visione fondamentale tra il potere spirituale c il potere tempo­ rale, troppo poco considerata dai più eminenti filosofi della scuola cattolica. Sarà compito dei filosofi positivi di restaurare, a loro uso ideale, in séguito ad uno studio approfondito del passato, ciò che il movimento generale della civiltà moderna ha dovuto sottrarre irrevocabilmente alla vita reale. L’indispensabile influenza della filosofia rivoluzionaria nell’obbligare oggi le concezioni sociali a prendere un carattere ve­ ramente progressivo è divenuta talmente evidente, che non esige più ormai alcuna discussione. Prescrivendo, con un’irresistibile energia, di rinunciare completamente all’antico sistema politico, essa mantiene, in seno alla società attuale, un prezioso stimolo, senza il quale la nostra inerzia speculativa si limiterebbe presto a proporre, come soluzione finale del problema, vane modifiche del regime decaduto. Non abbiamo visto tuttavia i diversi poteri contemporanei protestare spesso contro queste condizioni necessarie, dichiarando con amarezza che i princìpi rivoluzionari rendevano ormai impossibile ogni governo? Questa banale pro­ testa è stata anche dottamente ripetuta da parecchie combriccole speculative le quali, fiere d’aver infine cominciato ad intrave­ dere a stentò la tendenza anarchica della dottrina rivoluziona­ ria, hanno creduto, nel loro cieco orgoglio, di dover proclamare

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la sua immediata distruzione come base sufficiente di riorganiz­ zazione sociale, senza rendersi conto che, per ciò soltanto, esse provocavano necessariamente, contro la loro stessa intenzione, la supremazia politica della scuola reazionaria. Da qualunque parte venga, ogni dichiarazione del genere equivale realmente oggi ad una confessione solenne d’impotenza politica. Essendo la dottrina rivoluzionaria la sola che possa porre con efficacia fin qui Tuna delle due classi di condizioni fondamentali del problema sociale, non si potrebbe, a questo riguardo, più inge­ nuamente confessare una incompetenza radicale, che ostinan­ dosi inutilmente a negare a questa dottrina una simile attribu­ zione; scartarla, sarebbe voler risolvere il problema astraendo dalle sue condizioni essenziali. Non potrebbe esistere che un unico mezzo per arrivare più tardi ad eliminarla realmente, realizzando meglio di essa lo scopo principale che s’è proposto, e che essa sola ancora, nonostante i suoi immensi inconvenienti, persegue ora con una certa efficacia. In ogni altra maniera, le recriminazioni assolute contro la filosofia rivoluzionaria alla fine cadranno sempre davanti all’invincibile attaccamento istin­ tivo della società attuale a princìpi che, da tre secoli, hanno di­ retto tutti i suoi progressi politici, e che essa considera, giusta­ mente, come i soli atti a formulare oggi le indispensabili condi­ zioni generali del suo sviluppo ulteriore. Ognuno dei dogmi essenziali che compongono questa dottrina costituisce, in effetti, un’indicazione necessaria alla quale deve soddisfare, sotto pena di nullità, ogni reale tentativo di riorga­ nizzazione sociale, a patto tuttavia che si smetta di prendere un vago enunciato del problema per una vera soluzione. Così con­ siderati, questi principi ricordano, per motivi diversi, la consa­ crazione politica di certi fondamentali obblighi di morale uni­ versale, che la scuola reazionaria, nonostante le sue vane pretese, doveva essenzialmente misconoscere, poiché il regime che essa proclama ha da tempo perduto la facoltà di soddisfarli. In questo senso, il dogma fondamentale del libero esame fa sì che real­ mente la riorganizzazione spirituale derivi da un’azione pura­ mente intellettuale, determinando alla fine una discussione com­ pleta, un consenso volontario ed unanime, senza alcun inter­ vento eterogeneo di poteri materiali per affrettare, con una inop­ portuna perturbazione, questa grande evoluzione filosofica. Si­

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milmente, nell’ordine temporale, soltanto il dogma della ugua­ glianza e quello della sovranità popolare possono imporre ener­ gicamente oggi alle nuove classi e ai nuovi poteri l’imperioso dovere, così facilmente dimenticato, di non svilupparsi ed eser­ citarsi che a profitto del pubblico, invece di tendere allo sfrut­ tamento delle masse per interessi individuali. Queste diverse moralità politiche, che un tempo l’antico sistema osservò neces­ sariamente durante la sua maturità, non sono mantenute ormai con una qualche efficacia che dalla dottrina rivoluzionaria, la cui inevitabile decadenza comincia anche, da questo punto di vista, a diventare molto deplorevole finché il suo compito a questo riguardo non è meglio adempiuto. Fino a questo mo­ mento, la sua soppressione, se fosse possìbile, sarebbe somma­ mente pericolosa, perché abbandonerebbe senza controllo le so­ cietà attuali alle diverse tendenze oppressive che si ricollegano spontaneamente all’antico sistema politico. Se, per esempio, il dogma assoluto del libero esame potesse improvvisamente spa­ rire, non saremmo noi, per ciò soltanto, immediatamente abban­ donati all’oscuro dispotismo dei creatori o dei restauratori di religioni, presto condotti, dopo un infruttuoso proselitismo, ad impiegare le più tiranniche misure per stabilire materialmentt la loro vana unità retrograda ? Ed è così anche sotto ogni altro aspetto. Niente dunque potrebbe autorizzare le cieche invettive così frequentemente dirette ai nostri giorni contro la filosofia rivo­ luzionaria, da tanti governanti e dottori che non possono per­ donare alla società attuale di non ratificare passivamente le loro irrazionali imprese. Se questa filosofia dovesse veramente im­ pedire ogni organizzazione reale, il male sarebbe allora incura­ bile, poiché la sua influenza fondamentale costituisce oggi un fatto compiuto, e non può cessare gradualmente che per lo sviluppo stesso di questa riorganizzazione, le cui vie essa era soprattutto destinata a preparare e facilitare. Misticamente con­ cepita in un senso assoluto e indefinito, la dottrina critica senza dubbio manifesta, per sua natura, una tendenza necessariamente anarchica, che qui sopra ho caratterizzato a sufficienza. Sarebbe nondimeno assurdo esagerare questo fondamentale inconvenien­ te al punto da erigerlo ad ostacolo assolutamente insuperabile Si ha un bel deplorare oggi, in nome dell’ordine sociale, Tener

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già sempre distruttiva dello spirito d’analisi e d’esame; questo spirito non è meno eminentemente salutare, poiché obbliga a produrre, per presiedere alla riorganizzazione intellettuale e morale, una filosofìa veramente in grado di sopportare con glo­ ria l’indispensabile prova decisiva d’una discussione approfon­ dita, liberamente prolungata fino alla completa convinzione della ragione pubblica. A questa condizione fondamentale niente po­ trebbe ormai sottrarci, fortunatamente, per quanto penosa essa debba sembrare alla maggior parte di coloro che trattano ora la questione sociale. Soltanto tale filosofia potrà ulteriormente as­ segnare a questo spirito analitico i veri limiti razionali che ne devono prevenire gli abusi, stabilendo, nell’ordine delle idee sociali, la distinzione generale, già precisamente caratterizzata per tutte le altre concezioni positive, fra il dominio del ragio­ namento e quello della pura osservazione. Per quanto costretta dal corso naturale degli avvenimenti a dirigere il suo progresso politico in base a una dottrina essen­ zialmente negativa, come ho spiegato, la società attuale non ha mai rinunciato alle leggi fondamentali della ragione umana; essa saprà bene, a suo tempo, usare i diritti stessi che questa dottrina le conferisce per mettersi di nuovo nei vincoli d’una vera organizzazione, quando i princìpi ne saranno stati infine concepiti e valutati. Lo stato di completa libertà, o piuttosto di non governo, sembra oggi necessario, molto giustamente, solo per permetterle una scelta conveniente, che essa non ha potuto pensare ad interdirsi. Se qualche spirito eccentrico crede che il diritto d’esame imponga il dovere di non decidersi mai, la ra­ gione pubblica non potrebbe perseverare in una tale aberrazione; e, da parte sua, l’indecisione prolungata non prova realmente altro che l’assenza ancora persistente dei princìpi atti a condurre a termine la deliberazione, e fino all’avvento dei quali il dibat­ tito non potrebbe, in effetti, essere chiuso senza compromettere pericolosamente l’avvenire sociale. Parimenti, nell’ordine tem­ porale, attribuendosi il diritto generale, provvisoriamente indi­ spensabile, sebbene in fondo anarchico, di scegliere e variare a proprio piacere le istituzioni ed i poteri atti a dirigerla, la so­ cietà attuale non ha affatto preteso di assoggettarsi all’esercizio indefinito di questo diritto, che, cessando d’essere necessario, le sarebbe diventato nocivo. Avendo così voluto soltanto procurarsi

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una facoltà essenziale, ben lungi dall’imporre un qualunque ostacolo ai suoi progressi ulteriori, essa non potrebbe esitare a sottomettere le sue scelte alle regole fondamentali destinate a garantirne l’efficacia, quando infine tali condizioni saranno state realmente scoperte e riconosciute. Fino ad allora quale misura più saggia potrebbe effettivamente adottare, nell’interesse stesso dell’ordine futuro, del tenere liberamente aperta la carriera politica, senza alcun inutile assoggettamento preliminare, che potesse molestare lo sviluppo ancora ignorato del nuovo sistema sociale? A qual titolo i vani detrattori assoluti della politica ri­ voluzionaria condannerebbero una simile situazione, senza pro­ durre alcun concetto veramente idoneo a prepararne la fine de­ finitiva ? Del resto, quando questa fine sarà venuta, chi oserebbe seriamente contestare alla società il diritto generale di dimettersi regolarmente dalle sue provvisorie attribuzioni, allorché avrà trovato infine gli organi particolari destinati ad esercitarle con­ venientemente ? Nonostante tante amare recriminazioni contro l’attitudine sempre ostile della dottrina rivoluzionaria, non è, al contrario, evidente che ai nostri giorni i popoli hanno di solito troppo avidamente accolto le minime parvenze di prin­ cìpi di organizzazione, alle quali, per una premura funesta, essi volevano sacrificare, senza sufficienti motivi, diritti che sem­ brano loro soltanto onerosi? I nostri contemporanei non hanno, a questo riguardo, piuttosto ben meritato da parte dei veri filo­ sofi, in molte occasioni fondamentali, il rimprovero d’una fidu­ cia molto esagerata, troppo favorevole a pericolose illusioni, invece della diffidenza sistematica, così aspramente criticata da coloro che, forse, sentono segretamente la loro impotenza radi­ cale a sostenere una vera discussione? Così, la dottrina rivolu­ zionaria, lungi dall’opporre insormontabili ostacoli alla riorga­ nizzazione politica delle società moderne, costituisce, in realtà, in maniera ancora più evidente e più diretta di quanto non fac­ cia, da parte sua, la dottrina reazionaria, l’indicazione d’un or­ dine indispensabile di condizioni generali, che non devono mai essere dimenticate, nel compimento di tale operazione. Tale è dunque il circolo profondamente vizioso nel quale lo spirito umano si trova oggi chiuso riguardo alle idee sociali, obbligato ormai, per mantenere in maniera anche molto imper­ fetta la posizione veramente integrale del problema politico, ad

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impiegare simultaneamente due dottrine incompatibili, che non potrebbero condurre ad alcuna soluzione reale, e ciascuna delle quali, provvisoriamente indispensabile, ha nondimeno bisogno d'essere contenuta faticosamente daU’antagonismo dell'altra. Questa biasimevole situazione che, per sua natura, tenderebbe a perpetuarsi indefinitamente, non potrebbe ammettere altro ri­ sultato filosofico che Funiforme supremazia d’una nuova dot­ trina, destinata, col riunire infine in una comune soluzione le condizioni d’ordine e di progresso, ad assorbire irrevocabilmente i due concetti opposti, soddisfacendo meglio di ciascuna d’esse, e senza la minima inconseguenza, a tutte le diverse necessità intellettuali delle società attuali. La dottrina critica, ed in séguito quella reazionaria, hanno successivamente esercitato un domi­ nio molto forte e quasi assoluto, durante il primo quarto di se­ colo trascorso dall’inizio della Rivoluzione Francese; ma questa duplice esperienza è stata sufficiente a constatare per sempre la radicale impotenza dell’una c dell’altra nei confronti della rior­ ganizzazione sociale, sempre così inutilmente intrapresa. Per­ tanto, nella seconda parte di questo mezzo secolo, le due dottrine hanno definitivamente perduto la loro attività preponderante; malgrado il loro necessario antagonismo, esse hanno dovuto par­ tecipare, quasi in egual misura, alla direzione quotidiana dei di­ battiti politici, dove l’una fornisce tutte le idee essenziali di go­ verno e l’altra i princìpi d’opposizione. Ad intervalli sempre più ravvicinati, la società, seguendo un cammino più razionale, ac­ corda alternativamente a ciascuna d’esse una supremazia par­ ziale e momentanea, secondo che il corso naturale degli avve­ nimenti faccia temere maggiormente l’oppressiva decrepitezza dell’antico sistema o l’imminenza dell’anarchia materiale. Que­ ste frequenti fluttuazioni che caratterizzano il nostro tempo sono sovente attribuite, negli individui, alla corruzione o alla debo­ lezza umane, che esse devono, in effetti, potentemente stimolare; ma non potendo questa spiegazione, evidentemente troppo li­ mitata, applicarsi alla società presa in blocco, la quale per altro non sembra meno incostante, bisogna riferire soprattutto tale tendenza alla causa più profonda e più generale che ho indicato. Bisogna inoltre riconoscere che, anche nei casi privati, simili cambiamenti devono essere sovente il risultato involontario di una nuova posizione, suscettibile di far ricordare più in particolare

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il bisogno d’ordine o quello di progresso, troppo isolatamente sentiti in un’epoca in cui così poshi spiriti comprendono real­ mente l’insieme del nostro stato politico. Quale organo proprio e spontaneo di queste deplorevoli oscillazioni, una terza opi­ nione, essenzialmente stazionaria, ha dovuto gradualmente in­ terporsi tra la dottrina reazionaria e quella rivoluzionaria, for­ mata in qualche maniera, senza alcuna concezione diretta, dai loro avanzi comuni. Nonostante la natura ibrida e la costitu­ zione contraddittoria di questa opinione intermediaria, bisogna pure storicamente qualificarla anche come dottrina, poiché essa trova oggi tanti enfatici dottori, che si sforzano di presentarla come il tipo finale della filosofia politica. Umile e passiva sotto l’impetuoso slancio dello spirito rivoluzionario, ed anche du­ rante la reazione involutiva che le successe, essa ha in séguito ottenuto a poco a poco, senza sforzo, per il discredito crescente delle due dottrine antagoniste, la supremazia così attiva che comporta il suo carattere equivoco. Da un quarto di secolo essa occupa principalmente, e sempre più, per le diverse sètte che vi si ricollegano, tutta la scena politica, presso tutti i popoli pro­ grediti. I più opposti partiti sono stati gradualmente costretti, per conservare la loro attività, ad adottare uniformemente le sue formule caratteristiche, al punto da dissimulare spesso, per gli osservatori mal preparati, la vera natura del conflitto sociale, che nondimeno continua ancora, per necessità, a sussistere uni­ camente, in mancanza d’un elemento mobile veramente nuovo, fra lo spirito rivoluzionario e lo spirito reazionario. Quantun­ que questi due motori non cessino d’essere i soli princìpi attivi delle diverse scosse politiche, nondimeno il risultato finale dei loro opposti impulsi torna essenzialmente, di solito, all’uniforme accrescimento della dottrina mista e stazionaria, la cui suprema­ zia universale, quantunque provvisoria, è ormai incontestabile. Questa evidente supremazia, che irrita, senza istruirle, le due scuole attive, costituisce, a mio avviso, il sintomo più carat­ teristico della comune riprovazione, con cui la ragione pubblica, dopo le nostre grandi esperienze contemporanee, tende sempre più a colpire definitivamente i princìpi assoluti della dottrina reazionaria e di quella rivoluzionaria, malgrado l’inevitabile contraddizione, precedentemente spiegata, che, nondimeno, l’ob­ bliga sempre a impiegarli speculativamente, sforzandosi di neu­

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tralizzarli gli uni con gli altri. Niente può indicare meglio di un simile sintomo la perfetta opportunità attuale dei saggi filo­ sofici destinati a staccare realmente le società moderne da questa precaria situazione, col produrre infine direttamente i princìpi essenziali d’una vera riorganizzazione politica. Una simile ela­ borazione, impraticabile sotto il dominio, oppressivo o trasci­ nante, dell’una o dell’altra delle due filosofie antagoniste, non è divenuta possibile che dopo che una dottrina equivoca, inter­ dicendo per sua natura ogni preoccupazione esclusiva, ha per­ messo d’afferrare il duplice carattere fondamentale del proble­ ma sociale, tutti gli aspetti del quale non avevano potuto fino a quel momento essere simultaneamente presi in considerazio­ ne. Al tempo stesso, questa dottrina ibrida serve naturalmente di guida alla società attuale per mantenere, in maniera tanto precaria quanto penosa, ma la sola provvisoriamente possibile, ¡’ordine materiale indispensabile al compimento di questa gran­ de operazione filosofica, e senza la quale la transizione generale sarebbe radicalmente impedita. Tale è il duplice compito, fon­ damentale, per quanto necessariamente transitorio, che adempie oggi la scuola stazionaria, nella grande evoluzione finale delle società moderne. Forse la nostra debole natura esige in effetti, per sviluppare pienamente questa indispensabile influenza, che i capi di questa scuola si sentano animati da una assoluta fiducia nel trionfo definitivo della loro dottrina, sebbene quest’illusione sia certamente molto meno necessaria, e perciò meno scusabile, di quanto non abbia spiegato riguardo alla dottrina rivoluzio­ naria, dove l’abbiamo vista assolutamente inevitabile. Ma, co­ munque sia, questo grande servigio è in realtà profondamente alterato da un errore tanto fondamentale, da tendere a consa­ crare, come tipo immutabile dello stato sociale, la deplorevole transizione che compiamo oggi. Sarebbe, certamente, ben superfluo insistere qui sull’applica­ zione specifica a questa dottrina intermediaria del nostro uni­ versale criterio logico, fondato sulla considerazione d’incoerenza. Per la natura d’una simile dottrina, è evidente che l’incoerenza vi si trova, di necessità, direttamente eretta a principio, di maniera ch’essa deve esservi spontaneamente ancora più pro­ fonda e più completa che nelle due dottrine estreme. A loro riguardo, le incoerenze radicali che abbiamo indicato sopra

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sono soltanto il risultato effettivo del loro disaccordo fondamen­ tale con lo stato presente della civiltà; ma qui esse sono imme­ diatamente insite nella costituzione propria di questo strano si­ stema. La politica stazionaria fa palesemente professione di man­ tenere le basi essenziali dell’antico regime, mentre impedisce radicalmente, con un insieme di precauzioni metodiche, le sue più indispensabili condizioni d’esistenza reale. Parimenti, dopo una solenne adesione ai princìpi generali della filosofia rivoluzio­ naria, i quali costituiscono la sua sola forza logica contro la dot­ trina, reazionaria, essa si affretta di prevenirne regolarmente il progresso effettivo, suscitando alla loro applicazione quotidiana ostacoli faticosamente supposti. In poche parole, questa politica così fieramente sdegnosa di utopie, si propone direttamente oggi la più chimerica di tutte le utopie, volendo fissare la società in una situazione contraddittoria tra il regresso e la rigenerazione, con una vana valutazione reciproca tra l’istinto dell’ordine c quello del progresso. Non possedendo alcun principio proprio, essa è unicamente alimentata dai prestiti opposti che prende si­ multaneamente dalle due dottrine antagoniste. Pur conoscendo l’inettitudine fondamentale di ciascuna di esse a dirigere con­ venientemente la società attuale, la sua conclusione finale con­ siste nell’applicarle insieme e d’accordo. Senza dubbio tale teoria serve utilmente alla ragione pubblica come organo provvisorio per impedire la pericolosa supremazia assoluta dell’una o dell’al­ tra filosofia; ma, per una necessità non meno evidente, essa tende direttamente a prolungare, per quanto possibile, la loro doppia esistenza, prima base indispensabile dell’azione oscillante che la caratterizza. Così questa dottrina mista, che, considerata nel suo scopo transitorio, concorre, con una necessaria influenza, sopra spiegata, a preparare le vie definitive della riorganizza­ zione sociale, costituisce, al contrario, quando la si considera come definitiva, un ostacolo diretto a questa riorganizzazione, sia facendone misconoscere la vera natura, sia tendendo a per­ petuare senza sosta le due opposte filosofie che oggi la ostacolano in egual misura. Possiamo sperare in una qualche vera soluzione del duplice problema sociale, da parte di una dottrina alterna­ tivamente condotta, nella sua quotidiana applicazione, a consa­ crare sistematicamente il disordine in nome del progresso e il regresso, o una equivalente immobilità, in nome dell’ordine?

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Nella parte storica di questo volume spiegherò naturalmente l’analisi fondamentale del complesso del tutto particolare di con­ dizioni sociali, che per l’Inghilterra, a causa del cammino carat­ teristico del suo sviluppo politico, ha dovuto procurare alla mo­ narchia parlamentare, tanto proclamata dalla dottrina mista, una solidità assolutamente eccezionale, la cui fine inevitabile è nondimeno ormai imminente, come indica sempre più l’espe­ rienza contemporanea. Questo esame, che sarebbe qui fuori posto, metterà, spero, in piena evidenza l’errore fondamentale dei filosofi e degli uomini di stato, i quali, in base al giudizio vago o superficiale d’un caso unico e passeggero, hanno così vanamente proposto e perseguito, come soluzione finale della grande crisi rivoluzionaria delle società moderne, l’uniforme trapianto, sul continente europeo, d’un regime essenzialmente locale, quindi irrevocabilmente privato dei suoi più indispensa­ bili appoggi, e soprattutto del protestantesimo organizzato, che in Inghilterra ha costituito la sua principale base spirituale. Solo lo stato primitivo in cui languisce ancora la scienza fondamentale dello sviluppo sociale permette di comprendere come una simile aberrazione abbia potuto oggi trascinare un gran numero di spi­ riti colti. Ma questo deplorevole ascendente dovrà farci attribuire, a suo luogo, un’estrema importanza all’ulteriore discussione di questo unico aspetto specioso della dottrina stazionaria, che un’esatta analisi storica caratterizzerà spontaneamente, consta­ tando la profonda inutilità intrinseca di questa metafìsica costi­ tuzionale sul peso e l’equilibrio dei diversi poteri, in séguito ad una equilibrata valutazione di questo stesso stato politico che serve di base ordinaria a tali finzioni sociali. Del resto, tanti grandi sforzi intrapresi, da un quarto di se­ colo, per radicare in Francia, e presso gli altri popoli ri­ masti nominalmente cattolici, quella specie di compromesso transitorio tra lo spirito reazionario e quello rivoluzionario, senza tuttavia che questo vano regime abbia potuto ancora acqui­ sire, tranne che nella sua terra natale, alcuna profonda consisten­ za politica, basterebbe qui, senza dubbio, in mancanza d’una di­ mostrazione diretta, a verificare chiaramente, in maniera deci­ siva, sebbene empirica, l’impotenza radicale di simile dottrina nei riguardi della grande questione sociale. Questa pretesa so­ luzione non arriva evidentemente, in realtà, che a far passare la

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malattia dallo stato acuto a quello cronico, tendendo a renderla incurabile, attraverso la consacrazione assoluta ed indefinita dell’antagonismo transitorio che ne costituisce il principale sintomo. Secondo il suo vero scopo, una simile politica è necessariamente condannata a non aver mai un carattere veramente schietto, on­ de poter diventare indifferentemente reazionaria o rivoluziona­ ria, senza mai essere con forza né l’una né l’altra, seguendo gli impulsi alternati che risultano spontaneamente dal corso gene­ rale degli avvenimenti, dei quali ella subisce passivamente Tirresistibile influenza. Il suo principale merito è d’aver riconosciuto la duplice po­ sizione fondamentale del problema sociale; essa ha avvertito, in linea di principio, quanto sia importante conciliare oggi le con­ dizioni dell’ordine con quelle del progresso. Ma, non avendo apportato in realtà, all’esame della questione, alcuna idea nuo­ va, destinata alla soddisfazione simultanea di questi due grandi bisogni sociali, la sua soluzione pratica degenera inevitabilmente in un egual sacrificio dell’una a favore dell'altro. Nei riguardi dell’ordine, infatti, essa è innanzitutto costretta, per sua natura, a rinunciare essenzialmente a ristabilire un vero ordine intellet­ tuale e morale, in rapporto al quale essa non dissimula affatto la sua inevitabile incompetenza. Ora, così limitata alla semplice con­ servazione d'un ordine puramente materiale, la posizione gene­ rale di questa politica deve ben presto trovarsi radicalmente falsata, obbligata a lottare continuamente contro le conseguenze naturali d’un disordine del quale essa ha direttamente sanzio­ nato il principio essenziale. Questo fatto la riduce, di solito, a non poter agire che nell’istante stesso in cui il pericolo è diven­ tato imminente e, perciò, spesso insuperabile. D’altro canto, questa importante funzione rimane di competenza naturale del­ la sovranità, unico potere ancora veramente attivo dell'antico sistema politico, soprattutto in Francia, e intorno al quale ten­ dono essenzialmente a collegarsi oggi tutti i residui spirituali e temporali. Ora, l’equilibrio sistematico, istituito dalla metafi­ sica stazionaria, pur proclamando il potere regio come princi­ pale base di governo, lo circonda metodicamente di difficoltà sempre crescenti. Tali difficoltà, restringendo sempre più la sua attività, finirebbero addirittura per spogliarlo gradualmente del­ l’energica autorità che esige oggi la realizzazione effettiva d’un

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tale scopo, se il corso naturale dell’evoluzione sodale non do­ vesse prevenire l’intero sviluppo di questa contraddittoria costi­ tuzione * che vuole il regime antico ma non le sue più evidenti necessità politiche, e che ha già condotto, in più d’una impor­ tante occasione, fino a negare dogmaticamente ai re la scelta veramente libera dei loro primi esecutori. Le condizioni di pro­ gresso non sono in fondo intese da questa politica parlamen­ tare in maniera più soddisfacente di quelle del vero ordine. Poiché, non applicando alla soluzione alcun principio proprio e nuovo, le difficoltà che, nell’interesse dell’ordine, essa è costretta a porre allo spirito rivoluzionario, sono tutte necessariamente derivate dall’antico sistema politico, e perciò, tendenti inevita­ bilmente a prendere un carattere più o meno reazionario e op­ pressivo, secondo la spiegazione fondamentale, qui sopra enun­ ciata, della dottrina critica. Lo si constata facilmente, per esem­ pio, riguardo alle restrizioni abituali della libertà di scrivere, del diritto d’elezioni, ecc., restrizioni sempre ricavate dalle irrazionali condizioni materiali, che, eminentemente arbitrarie, per loro natura, opprimono e soprattutto irritano ad un grado più o meno pronunciato, senza che lo scopo che ci si propone sia mai sufficientemente raggiunto. In tal modo la moltitudine degli esclusi è necessariamente molto più colpita di quanto non possa essere soddisfatto il piccolo numero di coloro ai quali si applicano privilegi così viziosamente motivati. Ogni più particolare esame della dottrina mista o stazionaria, che è, in verità, solo un’ultima fase generale della politica metafisica, sarebbe qui prematuro, c d’altra parte essenzialmente inutile. Dal punto di vista in cui lo spirito del lettore deve essere a. Questa situazione transitoria è stata ai nostri giorni molto felice­ mente formulata dalla celebre massima di Thiers : « Il re regna c non go­ verna » ‘ . L ’immenso credito, così rapidamente ottenuto con questa sottile formula metafisica, testimonia nel contempo e l’irrevocabile decadenza dello spirito monarchico c la natura eminentemente transitoria d’un re­ gime fondato su una tale inconseguenza politica, che non è peraltro che una esatta espressione sommaria di ciò che si chiama oggi lo spirito costi tuzionale. i. Frase pubblicata dal Thiers nel numero del « National » del iB gennaio 1830, con la quale riassumeva il programma del partito nazionale.

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adesso posto, è evidente che la riorganizzazione finale delle so­ cietà moderne non potrebbe essere affatto diretta da una teoria così precaria e così subalterna. Questa teoria non può, in fondo, che regolarizzare la lotta politica fondamentale, tendendo a perpetuarla e, nella sua utilità momentanea, non si propone, in realtà, che questo compito puramente negativo, sempre d’al­ tronde molto imperfettamente realizzato, d’impedire cioè ai re di regredire, di popoli di far rivoluzioni. Qualunque importanza possa avere questo incontestabile servigio, una simile rigenera­ zione non si realizzerà senza dubbio con semplici impedimenti. Questa analisi fondamentale dei tre sistemi di idee che pre­ siedono oggi a tutte le discussioni politiche, ha ormai messo in luce sufficientemente, sotto aspetti diversi, ma ugualmente in­ contestabili, la loro comune impotenza radicale a dirigere la riorganizzazione sociale, impotenza di giorno in giorno più sen­ tita dai migliori intelletti, nonostante la evidente necessità sopra detta, che, d’altra parte, esige provvisoriamente l’impiego si­ multaneo di queste tre dottrine, fino al loro uniforme assorbi­ mento definitivo da parte di una nuova filosofia, capace di sod­ disfare contemporaneamente, con uno stesso principio, le diffe­ renti condizioni generali del problema attuale. Per completare tale valutazione preliminare, in modo da manifestare me­ glio l’urgente opportunità di tale filosofìa, ci resta ora da carat­ terizzare sommariamente i principali pericoli sociali che deri­ vano inevitabilmente dal deplorevole prolungarsi d’un simile stato intellettuale, e che tendono, per loro natura, ad aggravarsi di giorno in giorno. Sarebbe stato ingiusto quanto prematuro considerarli prima che si fosse potuto afferrare spontaneamente la partecipazione diretta e costante della metafisica rivoluzio­ naria, della metafisica reazionaria e della metafisica stazionaria. Quantunque le due ultime scuole si accordino spesso, a questo riguardo, per addebitare soprattutto alla prima, come causa immediata della crisi, il biasimo principale, è nondimeno evi­ dente che lo sviluppo continuo delle perniciose conseguenze dell’anarchia intellettuale, e perciò morale, debba loro essere ugualmente imputato. Infatti, per quanto radicalmente impo­ tenti a scoprire il rimedio, esse concorrono d’altronde, non me­ no direttamente della loro antagonista, all’indefinito prolungarsi del male, del quale impediscono la vera cura. La profonda di­

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scordanza che esiste oggi tra il cammino generale dei governi e il movimento fondamentale delle società è da addebitarsi, sen­ za dubbio, tanto allo spirito viziosamente ostile della politica dirigente quanto alla tendenza a finalità anarchica delle opinioni popolari. Sotto i diversi aspetti che esamineremo, la perturba­ zione sociale non deriva, in realtà, meno dai re che dai popoli, con questa differenza aggravante contro i primi, che la soluzione regolare sembrerebbe dover emanare da essi. La più universale conseguenza di questa fatale situazione, il suo risultato più diretto e più funesto, sorgente prima di tutti gli altri disordini essenziali, consiste nell’estensione sempre cre­ scente, e già preoccupante, dell’anarchia intellettuale, ormai constatata da tutti i veri osservatori, malgrado l’estrema diver­ genza delle loro opinioni speculative sulla sua causa e sulla sua conclusione. È qui soprattutto che è importante togliere razio­ nalmente alla politica rivoluzionaria l’onere della responsabilità troppo esclusiva che ci si sforza di addebitarle e che, normal­ mente, essa stessa accetta con troppa facilità. Senza dubbio, que­ sta anarchia deriva immediatamente dallo sviluppo continuo del diritto assoluto del libero esame, dogmaticamente conferito a tutti gli individui dal principio fondamentale della dottrina critica. Ma, come ho precedentemente detto, poiché il diritto d’esame non implica, per se stesso, la mancanza necessaria di ogni decisione stabile e comune, se ciononostante l’applicazione di questo dogma produce oggi tali effetti, ciò è dovuto essenzial­ mente al fatto che non esistono ancora princìpi capaci di rea­ lizzare infine la convergenza fondamentale delle intelligenze; e fino alla loro venuta, questo disordine deve inevitabilmente persistere. Ora, per quanto la dottrina rivoluzionaria, per una smisurata estensione, tenda direttamente, come non ha esitato a mostrare francamente, a perpetuare, in maniera quasi indefi­ nita, questa assenza di princìpi di unione, mi sembra nondimeno che tale lacuna debba essere ancora più giustamente rimprove­ rata alla politica stazionaria, la quale pretende che non sia ne­ cessario occuparsi di tale ricerca, che di fatto ostacola. Tale la­ cuna va rimproverata soprattutto alla dottrina reazionaria che, con una proposizione veramente derisoria, osa proclamare oggi, come sola soluzione possibile dell’anarchia intellettuale, il chi­ merico ripristino sociale degli stessi vani princìpi la cui inevi­

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tabile decrepitezza è stata la prima causa di questa anarchia. Queste due ultime dottrine tenterebbero dunque inutilmente ormai, agli occhi imparziali d’una sana filosofìa, d’eludere la responsabilità, ogni giorno più imminente e più grave, che deve anche far pesare su di esse il pernicioso prolungamento di un di­ sordine che sarebbe molto ingiusto attribuire esclusivamente alla dottrina che sembra costituirne la causa immediata e costante. Comunque sia, si tratta ora di considerare soprattutto in sé stesse le conseguenze effettive d’una situazione generale alla quale concorrono inevitabilmente, ciascuno a suo modo, i tre sistemi di idee tra i quali il mondo politico è oggi così deplo­ revolmente diviso. Senza il motivo di equità che lo ha segnalato, importerebbe poco esaminare a qual punto questo evidente disordine degli spiriti debba essere imputato ad una istigazione diretta, o ad una repressione radicalmente erronea. In virtù della loro maggiore complessità, e per conseguenza anche del loro più intimo contatto con l’insieme delle passioni umane, le questioni sociali dovrebbero per loro natura, ancora più scrupolosamente di tutte le altre, rimanere concentrate in poche intelligenze scelte, che la più forte educazione prelimi­ nare, convenientemente seguita da studi diretti, gradualmen­ te preparato a perseguirne con successo la difficile elabora­ zione. Tale è almeno, a questo riguardo, con piena evidenza, il vero stato normale dello spirito umano, per il quale ogni altra situazione costituisce realmente, durante le epoche rivoluzio­ narie, una specie di caso patologico più o meno pronunciato, d’altronde provvisoriamente inevitabile ed anche indispensabile, come ho spiegato. Quali devono dunque essere i profondi danni di questa malattia sociale in un tempo in cui tutti gli individui, per quanto possa essere inferiore la loro intelligenza, e nonostan­ te l’assenza spesso totale di una preparazione conveniente, sono indistintamente incitati, dai più energici stimoli, a risolvere con­ tinuamente, con la più deplorevole leggerezza, senza alcuna guida e senza il minimo freno, le più fondamentali questioni politiche! Invece d’essere sorpresi dalla spiacevole divergenza gradualmente prodotta dall’universale propagazione, da mezzo secolo, di questa anarchica tendenza, non bisognerebbe piuttosto ammirare il fatto che, grazie al buon senso naturale ed alla mo­ derazione intellettuale dell’uomo, il disordine non sia fin qui

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più completo, e che sussista qua e là ancora qualche vago punto di unione sotto il dissolvimento, nondimeno sempre crescente, delle massime sociali! Il inale è già arrivato al punto che tutte le opinioni politiche, quantunque uniformemente ricavate dal triplice fondo generale che ho analizzato, assumono oggi un carattere essenzialmente individuale, per le innumerevoli sfumature che comporta il miscuglio vario dei tre ordini di prin­ cìpi erronei. Ad eccezione dei momenti di slancio in cui le diver­ genze radicali possono essere momentaneamente dissimulate du­ rante il perseguimento comune d’uno scopo passeggero, del quale ciascuno dei presunti coalizzati conserva d’altronde di solito la segreta speranza di effettuare da solo la realizzazione, diventa ora sempre più impossibile far veramente aderire anche un pic­ colo numero di spiriti ad una professione di fede politica un po’ esplicita, in cui il tono vago e l’ambiguità d’un linguaggio artificioso non cerchino di produrre l’apparenza illusoria d’un concorso che non potrebbe esistere. Ora, è importante segna­ lare, quale evidente conferma di quanto ho detto sull’uguale partecipazione inevitabile delle tre dottrine principali alla pro­ duzione di questo disordine intellettuale, che questa universale deviazione degli spiriti attuali non è, certamente, meno pronun­ ciata nel campo puramente stazionario, e fin nel campo reazio­ nario, come ho già mostrato, che in quello rivoluzionario pro­ priamente detto. Ciascuno dei tre partiti, nei propri momenti di sincerità, ha anche spesso deplorato, con una profonda ama­ rezza, la contraddizione più intensa dalla quale esso si credeva particolarmente condizionato, mentre i suoi avversari non erano, in verità, meglio divisi: infatti la principale differenza fra di loro consiste realmente, sotto questo aspetto, in ciò, che cia­ scuno sente più vivamente le proprie miserie. Nei paesi in cui questa decomposizione intellettuale è stata regolarmente consacrata, dall’origine dell’epoca rivoluzionaria al sedicesimo secolo, dalla supremazia politica del protestante­ simo, le deviazioni, senza essere meno intense, nonostante la loro uniformità teologica, sono state ancora più numerose che altro­ ve, poiché lo spirito umano, allora più vicino alla sua nascita, ha soprattutto profittato della sua nascente emancipazione per darsi ciecamente alla discussione indefinita delle opinioni reli­ giose, che sono necessariamente le più vaghe, e perciò le più

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discordanti di tutte, quando una energica autorità spirituale noi ne comprima incessantemente il loro progresso divergente. Nosun paese ha verificato questa inevitabile tendenza meglio degli Stati Uniti dell’America del Nord, dove il cristianesimo s’è dissolto in parecchie centinaia di sètte, radicalmente discordanti, che si suddividono ogni giorno di più in opinioni già quasi in­ dividuali, la cui classificazione sarebbe tanto difficoltosa quanto inutile, e alle quali tendono d’altronde a mescolarsi oggi innu­ merevoli dissidenze politiche. Ma le nazioni abbastanza ben pre­ parate dal l’insieme dei loro antecedenti per aver essenzialmente evitato, come in Francia soprattutto, l’arresto ingannevole del protestantesimo, e presso le quali lo spirito umano ha potuto così, con una transizione più precisa e più rapida, passare diret­ tamente dallo stato completamente cattolico allo stato chiara­ mente rivoluzionario, non potevano anch’esse sfuggire all’ine­ vitabile anarchia intellettuale, necessariamente inerente ad ogni esercizio prolungato del diritto assoluto del libero esame indi­ viduale. Solamente che le aberrazioni, senza essere certamente meno antisociali, vi hanno preso, per ciò stesso, un carattere mol­ to meno vago, che vi deve almeno impedire la riorganizzazione finale. Poiché queste deviazioni, il cui campo è d’altronde inesauribile, tendono ogni giorno a sparire sotto i colpi d’una insufficiente discussione, per essere ben presto rimpiazzate da nuove stravaganze, può essere utile conservare qui il ricordo preciso di alcune delle principali che non sono affatto, a mio avviso, le più gravi, e che scelgo soprattutto per la loro più spiccata attualità. Mi basti dunque enumerare successivamen­ te, invocando la testimonianza di tutti gli osservatori bene informati, e senza dare, del resto, alcuna importanza all’ordine di queste indicazioni: i) la strana proposizione economica di sopprimere l’uso delle monete, e, per conseguenza, di portare così la società, in vista del progresso, al tempo degli scambi di­ retti; 2) il progetto di distruggere le grandi capitali, centri prin­ cipali della civiltà moderna, come imminenti focolai di corru­ zione sociale; 3) l’idea di un massimo di salario giornaliero, fis­ sato anche ad un tasso molto modico, che in nessun caso i be­ nefìci reali di una qualsiasi industria potrebbero superare; 4) il principio più sovversivo ancora, e nondimeno molto dogmatica­ mente esposto ai nostri giorni, di una rigorosa uguaglianza di

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retribuzione abituale tra tutti i lavori possibili; 5) infine, in una classe di nozioni politiche la cui evidenza più marcata sembre­ rebbe dover prevenire ogni fondamentale illusione, i pericolosi sofismi dei nostri filantropi sull’abolizione assoluta della pena capitale, in nome d’un vano paragone metafisico dei più indegni delinquenti con semplici malati. Tutte queste diverse aber­ razioni e tante altre analoghe, o ancora più pronunciate e più nocive, si producono d’altra parte quotidianamente allo stesso titolo universale delle opinioni meglio elaborate e più capaci di concorrere utilmente alla riorganizzazione sociale, senza che nessuno dei partiti attuali possa, a questo riguardo, stabilire real­ mente fra i suoi membri la minima disciplina intellettuale, quan­ d’anche si senta più compromesso, agli occhi della ragione pub­ blica, da simili errori. Non bisogna credere, inoltre, che tali stravaganze siano oggi essenzialmente riservate ad alcuni spiriti eccentrici o squilibrati, come le più normali epoche hanno fre­ quentemente prodotto. Ciò che caratterizza più nettamente, sotto questo aspetto, l’assenza totale di princìpi generali veramente atti a dirigere convenientemente i nostri pensieri politici, è la deplorevole universalità di questa tendenza anarchica, della fu­ nesta disposizione anche delle più normali intelligenze a lasciarsi trascinare, spesso per il solo impulso dì una vanità molto biasi­ mevole, all’apologià momentanea dei più perniciosi paradossi. Un tale spettacolo non mi è mai sembrato più spiacevole che allorquando lo si può osservare, come la nostra quotidiana espe­ rienza insegna anche troppo, negli spiriti dediti alla cultura abi­ tuale di qualcuna delle scienze positive. Nonostante ciò, essi non sono, a questo riguardo, affatto trattenuti dallo strano contrasto che naturalmente dovrebbe offrir loro quella scupolosa saggez­ za, della quale essi sono così giustamente fieri, verso le più piccole questioni della filosofia naturale, paragonata alla fri­ vola presunzione con la quale essi non temono di risolvere, sorvolandoli, come la gente comune, senza alcuna preparazione razionale, i più importanti e più difficili soggetti che siano ac­ cessibili alla ragione umana. Poiché questa malattia è arrivata fino alle intelligenze che, oggi, sono incontestabilmente le me­ glio disciplinate, niente potrebbe senza dubbio manifestare qui con più energia la sua allarmante estensione attuale.

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L ’inevitabile risultato generale d’una simile epidemia cro­ nica ha dovuto essere, per un’evidente necessità, la demolizione graduale, ora quasi totale, della morale pubblica, la quale, poco fondata, per la maggioranza degli uomini, sul sentimento di retto, ha bisogno soprattutto che le abitudini siano costantemente dirette daH’uniforme consenso delle volontà individuali a re­ gole invariabili e comuni, adatte a fissare, in ogni grave occa­ sione, la vera nozione di bene pubblico. Tale è la natura emi­ nentemente complessa delle questioni sociali, che, anche senza alcuna intenzione sofistica, il prò ed il contro possono esservi sostenuti, su quasi tutti i punti, in maniera estremamente plau­ sibile; poiché non vi è istituzione di sorta, per quanto indispen­ sabile in fondo possa essere, che non presenti, in realtà, gravi inconvenienti, gli uni parziali, gli altri passeggeri; e, in senso inverso, la più stravagante utopia offre sempre, come si sa, qual­ che incontestabile vantaggio. Ora, la maggior parte degli intel­ letti sono, senza dubbio, troppo esclusivamente occupati, sia a causa della loro limitatezza, sia, forse ancora più frequente­ mente, a causa di qualche passione esclusiva, per essere vera­ mente capaci d’abbracciare simultaneamente i diversi aspetti es­ senziali del problema. Come potrebbero dunque astenersi dal condannare successivamente quasi tutte le grandi massime della morale pubblica, i cui difetti sono, di solito, molto evidenti, men­ tre i loro motivi principali, per quanto realmente molto più de­ cisivi, sono talvolta profondamente nascosti, fino a quando un’e­ satta analisi, spesso molto delicata, non li abbia messi in piena luce ? Ecco soprattutto ciò che deve dare ogni vero ordine morale necessariamente incompatibile con la vagabonda libertà degli spi­ riti attuali, se essa potesse indefinitamente persistere, poiché la maggior parte delle regole sociali destinate a diventare usuali non potrebbero essere, senza perdere ogni efficacia, abbandonate alla cieca ed arbitraria decisione d’un pubblico incompetente. L’in­ dispensabile convergenza delle intelligenze suppone dunque, preliminarmente, la rinuncia volontaria e motivata della mag­ gior parte di esse al loro diritto assoluto d’esame, al quale esse si faranno premura, senza dubbio, di rinunciare spontaneamente, non appena avranno infine trovato organi degni d’esercitare con­ venientemente la loro vana supremazia provvisoria. Se una tale condizione è ormai evidente riguardo alle nozioni scientifiche

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di minore importanza, potrebbe essere seriamente contestata riguardo ai soggetti più difficili, e che esigono anche una mag­ giore unità? Fino a che la loro realizzazione non sia sufficiente­ mente compiuta, le idee effettive di bene pubblico, degenerate in una vaga filantropia, resteranno sempre abbandonate, come si vede oggi, alia più perniciosa fluttuazione, che tende diretta­ mente a levar loro ogni vera forza contro gli energici impulsi di un egoismo vivamente stimolato. Nel triste corso quotidiano delle nostre lotte politiche, gli uomini più giudiziosi e più one­ sti sono naturalmente portati ad accusarsi reciprocamente di follia o di depravazione, in séguito alla vana opposizione dei loro princìpi sociali; d’altra parte, in ogni grave necessità, le massime politiche più contrarie si trovano abitualmente soste­ nute da partigiani che devono sembrare egualmente raccoman­ dabili: come l’influenza continua di questo duplice spettacolo, essenzialmente incompatibile con qualsiasi convinzione profonda c stabile, potrebbe, alla lunga, lasciar sussistere, sia in coloro che vi partecipano, sia anche in coloro che l’ammirano, una vera moralità politica? In verità, questa corruzione pubblica è stata sensibilmente ritardata, ai nostri giorni, dalla supremazia stessa della dottrina rivoluzionaria, alla quale le altre due dottrine la imputano, di solito, in modo così ingiustamente esclusivo. Infatti il partito rivoluzionario, a causa del suo carattere progressivo, ha dovuto essere, più d’ogni altro, animato da vere convinzioni, insieme profonde ed attive, le quali, qualunque ne fosse l’oggetto, do­ vevano tendere spontaneamente a contenere ed anche a com­ primere l’egoismo individuale. Tale proprietà s’è soprattutto svi­ luppata durante la memorabile fase d’illusione sopra caratteriz­ zata, in cui la metafisica rivoluzionaria è stata, per un con­ senso unanime, momentaneamente concepita come direttamente destinata a riorganizzare le società moderne. Allora, infatti, si realizzarono, sotto l’energico impulso di questa dottrina, le più ammirevoli abnegazioni sociali delle quali possa onorarsi la sto­ ria contemporanea, nonostante ogni invettiva reazionaria o sta­ zionaria. Ma, dopo che tale primitiva illusione ha dovuto ten­ dere gradualmente a dissiparsi definitivamente e dopo che la dottrina critica ha così perduto la sua principale autorità, le con­ vinzioni che vi si riferiscono hanno dovuto trovarsi proporzionai-

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mente attutite, soprattutto a causa dell’inevitabile mescolanza, ogni giorno più intima, con la politica stazionaria ed anche con la politica reazionaria, come ho precedentemente spiegato. Quan­ tunque queste convinzioni siano, in verità, meno deboli e meno sterili ancora oggi, soprattutto nella gioventù, di quelle che ispi­ rano comunemente le altre due dottrine, esse hanno nondimeno ormai una troppo scarsa energia effettiva per compensare suffi­ cientemente l’azione distruttiva che caratterizza la metafisica ri­ voluzionaria, anche nei confronti dei suoi partigiani; di modo che questa filosofia contribuisce ora, in realtà, quasi quanto cia­ scuna delle sue due antagoniste, al dilagare spontaneo della cor­ ruzione politica. La morale privata dipende fortunatamente da molte altre condizioni generali che non dalle opinioni saldamente stabilite. Nei casi più usuali, il sentimento naturale vi parla, senza dub­ bio, ben più fortemente che nei confronti delle relazioni pubbli­ che. Inoltre, il mitigarsi continuo dei nostri costumi in séguito ad un più diffuso sviluppo intellettuale, causato da un gusto più comune, ed anche da una più giusta cognizione delle diverse arti, e il miglioramento graduale delle condizioni in séguito ai progressi sempre crescenti della industria umana, hanno do­ vuto potentemente controbilanciare, a questo riguardo, le in­ fluenze disorganizzatrici. Bisogna d’altronde rilevare che que­ ste influenze, prima concentrate sulla vita politica propriamente detta, non hanno dovuto manifestarsi che molto più tardi, e con una minore intensità, nei confronti della morale domestica o personale, le cui regole ordinarie, infine, di una più facile di­ mostrazione possono, per loro natura, sopportare, fino a un certo punto, anche senza immediati pericoli, la libera irruzione delle analisi individuali. Tuttavia, è ormai venuto il tempo in cui queste inevitabili aberrazioni, finora essenzialmente dissimulate, cominciano a sviluppare eminentemente la loro pericolosa at­ tività. Dalla prima evoluzione dello stato rivoluzionario, questa azione deleteria sulla morale propriamente detta s’era già an­ nunciata con un grave colpo all'istituto fondamentale del ma­ trimonio, che la facoltà del divorzio avrebbe profondamente alterato in tutti i paesi protestanti, se la decenza pubblica e il buon senso individuale non vi avessero finora abbastanza attutito

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la perniciosa influenza delle deviazioni teologico-metafisichc. Ma tuttavia la morale privata non poteva, come ho indicato, essere realmente attaccata, in maniera diretta e continuata, se non dopo il dissolvimento quasi totale della morale pubblica. Oggi che un tal preliminare è di certo sufficientemente realizzato, l'azione distruttiva minaccia immediatamente, con una intensità sempre crescente, la morale domestica e la morale personale, primo fondamento necessario di tutti gli altri. Sotto qualunque aspetto la si consideri, sia riguardo alle relazioni dei sessi, a quelle delle età, o a quelle delle condizioni, è chiaro che gli elementi neces­ sari di ogni sociabilità sono ormai, e devono essere sempre più, direttamente compromessi da una discussione corrosiva, non do­ minata da veri princìpi, e che tende a mettere in discussione, senza alcuna soluzione possibile, anche le più piccole idee di dovere. La famiglia che, in mezzo alle fasi più agitate della tempesta rivoluzionaria, era stata, salvo qualche attacco acces­ sorio, essenzialmente rispettata, si è trovata, ai nostri giorni, radicalmente assalita nella sua duplice indispensabile base, l’ere­ dità e il matrimonio, da sètte insensate *, le quali, sognando la riorganizzazione, non hanno saputo, nella loro superba medio­ crità, sviluppare realmente che la più pericolosa anarchia. Noi abbiamo visto anche il principio più generale e più comune della semplice morale individuale, la subordinazione necessaria delle passioni alla ragione, direttamente negato da altri pretesi rinno­ vatori, i quali, senza fermarsi aH’espcrienza universale razional­ mente sanzionata dallo studio positivo della natura umana, han­ no tentato, al contrario, di stabilire, come dogma fondamentale della loro morale rigenerata, il sistematico dominio delle pas­ sioni. L’attività spontanea di queste non è loro sembrata senza dubbio abbastanza incoraggiata dalla semplice demolizione fi­ losofica delle barriere fino ad allora destinate a contenerne l’im­ petuoso progresso, poiché hanno creduto, inoltre, di doverla sviluppare artificialmente con l'applicazione continua dei più energici stimoli. Queste diverse aberrazioni speculative sono già a. Noi abbiamo visto soprattutto una setta effimera, nei suoi vani pro­ getti di rigenerazione o piuttosto di dominio universale, offrire, per alcuni anni, all’attento osservatore, con un concorso di aberrazioni che si era creduto fino ad allora impossìbile, la strana conciliazione fondamentale della più licenziosa anarchia col più degradante dispotismo.

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abbastanza penetrate nella vita sociale, perché sia oggi diventato lecito ad ognuno crearsi una sorta di facile merito delle sue passioni anche più disordinate, più animali: se tale eccesso po­ tesse persistere, gli stomachi insaziabili finirebbero prababilmente per inorgoglirsi anche della propria voracità. Vanamente la scuola reazionaria si sforza ancora di addebi­ tare esclusivamente alla scuola rivoluzionaria la responsabilità generale di questo nuovo ordine di deviazioni, del quale essa stessa non è realmente meno colpevole, a causa della sua cieca e irrazionale ostinazione a proclamare, come sole basi intellet­ tuali della socialità, princìpi la cui irrevocabile impotenza at­ tuale non è mai stata così evidente come in questo caso. Poiché, se i concetti teologici dovessero veramente costituire, nell’av­ venire come nel passato, gli immutabili fondamenti della mo­ rale universale, donde deriva il fatto che essi hanno oggi per­ duto ogni forza reale contro simili eccessi? Non sarebbe ormai un circolo profondamente vizioso puntellare dall’inizio, con vani e laboriosi artifici, i princìpi religiosi, affinché possano in séguito, così destituiti di ogni potere intrinseco e diretto, servire come punti di appoggio all’ordine morale? Ogni potenza so­ ciale non manifesta necessariamente la sua efficacia generale, con l’indispensabile prova preliminare della sua estensione? Nessun compito veramente fondamentale potrebbe dunque ap­ partenere a credenze che non hanno potuto esse stesse resistere allo sviluppo universale della ragione umana, la cui maturità non finirà senza dubbio per ricostruire gli impedimenti oppres­ sivi che la sua adolescenza aveva eliminato per sempre. È im­ portante anche rilevare infine, a questo riguardo, che le diverse aberrazioni precedentemente segnalate sono state sempre con­ cepite, ai nostri giorni, da ardenti restauratori di teorie religiose, violentemente esasperati contro ogni filosofia veramente posi­ tiva, la sola adatta ormai a comprimere effettivamente il pro­ gresso naturale delle loro deviazioni. Si sarebbe potuto, da lungo tempo, constatare anche la giustezza necessaria d’una osserva­ zione analoga, riguardo ad aberrazioni simili d’origine pura­ mente protestante. Lungi dal poter fornire oggi basi reali alla morale propriamente detta, domestica o personale, le credenze religiose tendono sempre più, a dire il vero, a divenirle doppia­ mente nocive, sia opponendosi alla sua edificazione su basi più

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solide, presso quelle menti, ogni giorno più numerose, che queste credenze non possono più dominare, sia anche per il fatto che, a coloro che sono loro meno infedeli, questi princìpi appaiono naturalmente troppo vaghi per comportare una grande efficacia pratica senza l’attivo intervento continuo deH’autorità sacerdotale. Questa è ormai essenzialmente assorbita, nelle po­ polazioni più progredite, dalla difficile cura della propria con­ servazione, al punto da non osare più, generalmente, compromet­ tere, con una intempestiva repressione, il debole credito che essa ancora ne ricava. Fra le intelligenze un po’ preparate, l’espe­ rienza quotidiana non mostra infatti, che la morale usuale degli uomini rimasti sufficientemente religiosi non è affatto superiore oggi, malgrado l’anarchia intellettuale, a quella della maggio­ ranza degli spiriti evoluti? La principale tendenza pratica delle credenze religiose non consiste forse, spesso, nella vita sociale attuale, neH’ispirare soprattutto alla maggioranza di coloro che le conservano con qualche energia un odio istintivo ed insor­ montabile contro tutti coloro che se ne sono liberati, senza che ne derivi d’altra parte alcuna emulazione realmente utile alla società? Così, per la morale privata, come prima per la morale pubblica, le principali distruzioni, sia indirette che dirette, che esercita ora l’anarchia intellettuale, devono essere, dopo un ma­ turo esame, almeno altrettanto severamente imputate tanto alla filosofìa stazionaria e soprattutto a quella reazionaria, quanto alla stessa filosofia rivoluzionaria, che ne è abitualmente la sola accusata. Comunque sia, è fin troppo evidente che tutte le diverse dottrine attuali sono, per diversi motivi, quasi egualmente impotenti, per loro natura, sotto l’uno e l’altro aspetto, ad op­ porre un qualche freno energico allo sviluppo continuo dell’egoi­ smo individuale, che si imbaldanzisce sempre più oggi nel recla­ mare direttamente, in nome dell’universale anarchia delle intelli­ genze, il libero eccesso delle passioni, anche delle meno sociali. Conseguenza necessaria e diretta di un tal disordine, viene ora, come secondo carattere generale della nostra situazione fon­ damentale, la corruzione sistematica, ormai eretta ad indispen­ sabile mezzo di governo. Qui, dove la loro duplice partecipa­ zione abituale è certamente la più immediata ed anche la più evidente, la scuola stazionaria e la scuola reazionaria non potreb­ bero giungere a far ricadere esclusivamente sulla scuola rivolu­

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zionaria una responsabilità comune. Le tre dottrine concorrono necessariamente, sebbene inegualmente, a questo vergognoso ri sultato, contribuendo, ciascuna a suo modo, all’assenza di ogn; vera convinzione politica, come ho spiegato. Per quanto deplo revole sia evidentemente un simile obbligo, bisogna oggi sapervi riconoscere senza sotterfugi un'inevitabile conseguenza di quello stato intellettuale in cui l’impotenza e il discredito delle idee ge­ nerali, divenute incapaci di sollecitare un qualche atto reale, non lasciano più altra risorsa quotidiana, per ottenere effettivamente l’indispensabile concorso degli individui al mantenimento pre­ cario d’un ordine comune, che un appello più o meno imme­ diato a interessi puramenti personali. Non capita quasi mai che simile influenza trovi da esercitarsi su uomini veramente animati da convinzioni profonde. Raramente la natura umana, anche nei caratteri meno elevati, si avvilisce abbastanza da comportare un sistema di condotta politica in opposizione reale con qualsiasi forte convinzione: tale contrasto finirebbe presto per paraliz­ zare essenzialmente le facoltà del soggetto. Nell’ordine scienti­ fico, in cui le vere convinzioni filosofiche sono oggi più comuni e meglio evidenti, la corruzione attiva non è molto praticabile, quantunque gli animi non siano certamente, di solito, di una tempra più energica*. Così, salvo qualche anomalia abbastanza rara, bisogna evidentemente attribuire soprattutto allo stato in­ deciso e fluttuante, nel quale l’anarchia intellettuale mantiene abitualmente oggi tutte le idee sociali, l’estensione rapida e fa­ cile di una corruzione che muta facilmente a suo piacimento le mezze convinzioni, vaghe e insufficienti, che presenta ormai, sempre più esclusivamente, il mondo politico attuale. Non sol­ tanto questo disordine degli spiriti permette lo svilupparsi della corruzione politica, ogni largo uso della quale sarebbe incompa­ tibile con convinzioni reali e comuni; ma si deve pure confes­ sare che esso la esige necessariamente, come unico mezzo ca­ pace di determinare ora una certa convergenza effettiva, di cui l’ordine sociale, per quanto materialistico fosse divenuto, non a. Il caso più decisivo a questo riguardo è quello, abbastanza frequente ai nostri giorni, degli scienziati che uniscono la più odiosa incostanza po­ litica ad un'invariabile perseveranza filosofica, nonostante le più potenti tentazioni, nelle loro opinioni anti-religiose, poiché, senza dubbio, solo queste si baserebbero in essi su vere convinzioni.

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potrebbe far senza completamente. Si può dunque annunciare con sicurezza l’imminente estensione continua di questo vergo­ gnoso processo, fintanto che l’anarchia intellettuale tenderà sem­ pre a distruggere gradualmente ogni forte convinzione politica. Tale spiegazione non potrebbe, senza dubbio, completamente assolvere i governi attuali dalla pericolosa preferenza che, nella loro cieca e meschina sollecitudine, essi concedono abitualmente all’impiego smisurato di simile mezzo. Poiché l’assoluto disde­ gno, cosi stupidamente sistematico, che essi affettano di solito contro ogni teoria sociale, e i numerosi impedimenti, sia invo­ lontari sia calcolati, con i quali essi si sforzano, in questo cam­ po, di circondare oggi lo spirito umano, invece di incoraggiare il suo progresso, tendono evidentemente in maniera diretta a perpetuare questo stato transitorio, precludendo la sola soluzione che esso comporta. D’altra parte, così obbligati a subire questa immorale necessità, i nostri governi l’aggravano ancora nella esecuzione, subordinando quasi sempre l’uso di questo mezzo alla sola soddisfazione immediata dei loro particolari interessi, senza alcun vero richiamo al pubblico interesse, la cui conside­ razione generale essi non temono di sacrificare apertamente alla semplice cura della propria conservazione. Nondimeno, nono­ stante questi torti incontestabili, è evidente che lo sviluppo gra­ duale del sistema di corruzione politica debba essere oggi impu­ tato tanto ai governati quanti ai governanti; non soltanto nel senso che, se gli uni vi ricorrono, gli altri l’accettano, ma so­ prattutto per il fatto che il loro stato intellettuale comune ne rende l’uso disgraziatamente inevitabile. Nelle loro reciproche relazioni quotidiane, gli individui considerano ormai veramente solide ed efficaci solo le cooperazioni determinate dall’interesse privato: essi non potrebbero dunque, senza incoerenza, rim­ proverare ai governi una condotta analoga per assicurarsi il concorso abituale di cui hanno bisogno, in un’epoca in cui il disordine delle idee impedisce quasi sempre di vedere precisamente in che consista realmente l’interesse pubblico; le due spe­ cie di azioni devono necessariamente comportare procedimenti simili, salvo la sola differenza d’intensità. A qualunque per­ turbazione, anche materiale, la società si trovi attualmente esposta, non si potrebbe dubitare, mi sembra, da un approfon­ dito studio di questa agitata situazione, che i disastri sarebbero

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abitualmente ancora molto più gravi se le divergenze individuali non fossero contenute, a un certo grado, dall’influenza diretta degli interessi personali, per mancanza di ogni altra via più sod­ disfacente e sicura. Per quanto molto comune e precario, per quanto esso non possa garantire il presente senza compromettere gravemente l’avvenire, simile mezzo ha nondimeno l'inconte­ stabile vantaggio di costituire un risultato spontaneo della situa­ zione alla quale s’applica; poiché la causa fondamentale che ob­ bliga oggi all’impiego momentaneo della corruzione politica 1 anche quella che, sotto un altro aspetto, ne ha permesso lo svi­ luppo; di modo che, per un’evidente armonia, questa corruzione cesserà d’essere possibile su vasta scala, non appena la società comincerà a poter comportare una migliore disciplina. Fino ad allora, si può contare sull'inevitabile accrescimento naturale di questo miserabile espediente, come testimonia incontestabilmente una costante esperienza in tutti i popoli sottomessi ad una lunga pratica di ciò che si chiama oggi regime costituzionale o rap preservativo, sempre forzato ad organizzare una certa disciplina materiale in mezzo ad un profondo disordine intellettuale, t, per conseguenza, morale. I giudici imparziali hanno soltanto il diritto d’esigere che i governi attuali, invece di subire con una specie di gioia questa fatale necessità, e di lasciarsi ciecamente trascinare dall’attrattiva che deve rappresentare, per la pigrizia e la mediocrità, l’uso smodato di questa risorsa, si sforzino or­ mai, al contrario, di favorire metodicamente in maniera conti­ nua, con i diversi mezzi di cui dispongono, la grande elabora­ zione filosofica, al termine della quale le società moderne potran­ no finalmente instradarsi per vie migliori. Per comprendere, a questo riguardo, in tutta la loro vera portata, le tristi esigenze della nostra epoca, è necessario non limitare la nozione generale del sistema di corruzione politica alle sole influenze puramente materiali che si usa considerar« oggi; bisogna comprendervi indistintamente, come indica la sua definizione razionale, i diversi modi di qualsiasi tipo con i quali si tenta di fare predominare i motivi d’interesse privato nelle questioni d’interesse pubblico. Così considerato, questo sistema sembrerà molto più esteso, e insieme ben più pericoloso, di quan­ to non si pensi comunemente. Non faccio soltanto allusione al­ l’impiego delle distinzioni onorifiche, che tutti gli osservatori

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assennati hanno già l’abitudine di aggiungere come capace di determinare spesso, attraverso lo stimolo della vanità, una cor­ ruzione ancora più efficace e più attiva della venalità diretta. Ma si tratta qui soprattutto di quell’azione ben altrimenti profonda, essenzialmente propria ai tempi attuali, con la quale l’insieme delle istituzioni politiche concorre interamente, in maniera più o meno immediata, a sviluppare e a soddisfare, in tutti gli in­ dividui dotati di una qualche energia, le diverse specie di ambi­ zioni. Da questo fondamentale punto di vista, non meno che da tutti i precedenti, lo stato presente della società è eminente­ mente corruttore. Nel tempo stesso che l’anarchia intellettuale ha dissolto tutti i pregiudizi pubblici destinati a contenere il progresso delle pretese private, l’irrevocabile annullamento del­ l’antica classificazione sociale ha parimenti soppresso le diverse barriere che si opponevano all’eccesso delle ambizioni individua­ li, ormai indistintamente chiamate, in nome del progresso, alla più completa estensione politica. Trascinati da questa irresisti­ bile tendenza, i governi hanno dovuto sforzarsi gradualmente di soddisfarvi sempre più, moltiplicando oltre misura le diverse funzioni pubbliche, rendendone ogni giorno l’accesso più faci­ le, e sostituendo i titolari il più frequentemente possibile. Ce­ dendo dapprima alla necessità, essi hanno in séguito spontanea­ mente tentato di convertirla, con uno sviluppo artificiale e si­ stematico, in una risorsa generale, che poteva permettere di interessare alla propria conservazione la maggior parte degli ambiziosi attivi, associati così allo sviluppo nazionale. Sarebbe d’altra parte inutile insistere qui sui pericoli evidenti che pre­ senta, per la sua natura, un simile espediente politico, considerato anche unicamente dallo stretto punto di vista dell’interesse par­ ticolare dei governi; poiché esso deve necessariamente provocare pretese più numerose di quante non possa soddisfarne, c, per conseguenza, sollevare, contro il regime stabilito, passioni ben altrimenti intense di quelle che l’appoggiano. Si comprende, inoltre, che l’applicazione di questo procedimento tende natu­ ralmente a svilupparlo, in maniera in qualche modo indefinita, che potrebbe essere limitata solo dall’avvento di una vera rior­ ganizzazione sociale. A considerare, per esempio, l’insieme delle scelte fatte, da mezzo secolo, anche per le più eminenti funzioni politiche, la maggior parte dei nostri ambiziosi non

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devono, infatti, conservare anche qualche ragionevole speranza d’ottenere, a loro volta, un innalzamento così motivato? Una si­ mile speranza, convenientemente nutrita da tutti gli uomini po­ litici, costituisce anche con evidenza uno dei principali artifici pratici abitualmente impiegati dai governi per mantenere oggi un certo ordine fattivo. La metafisica rivoluzionaria ha, senza dubbio, direttamente fornito, come ho già spiegato, la causa di corruzione universale che ha finito per rendere necessario questo pericoloso regime, Ma tutte le nostre scuole politiche partecipano inevitabilmente, ciascuna a suo modo, al suo sviluppo continuo. Quanto alla po­ litica stazionaria, che dirige principalmente oggi l’azione rego­ lare, essa consacra innanzitutto, ancora più formalmente della dottrina critica stessa, questa situazione transitoria come il tipo indefinito della perfezione sociale; prendendo i mezzi per il fine, essa erige, per esempio, l’eguale ammissione di tutti gli in­ dividui a tutte le funzioni pubbliche, a scopo finale del movi­ mento generale delle società moderne. Infine, con una influenza che le è essenzialmente propria, essa aggrava direttamente la tendenza corruttrice dell’epoca attuale, legando sempre più le vane condizioni d’ordine che si sforza di istituire al semplice possesso della fortuna, considerata anche senza alcun riguardo al modo qualsiasi di acquisizione effettiva. Per ciò che concerne la politica reazionaria, è facile constatare che, nonostante le sue orgogliose pretese di purezza morale, essa non è oggi realmente meno corruttrice delle sue due antagoniste, come l’esperienza ha, senza dubbio, ampiamente testimoniato. Il genere particolare di corruzione che le appartiene soprattutto consiste nell’ipocrisia sistematica, di cui ha avuto tanto bisogno dopo che la decom­ posizione del regime cattolico-feudale è diventato abbastanza profonda da non comportare, per la maggior parte degli spi­ riti più colti, che convinzioni deboli ed incomplete. Dall’inizio dell’epoca rivoluzionaria al sedicesimo secolo, si è potuto consta­ tare lo sviluppo, principalmente nell’ordine religioso, di questo sistema d’ipocrisia sempre più elaborato, che consentiva agevol­ mente, in maniera più o meno esplicita, l’emancipazione reale di tutti gli intelletti d’una certa portata, alla sola condizione, al­ meno tacita, di aiutare a prolungare la sottomissione delle masse:

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tale fu, principalmente, la politica dei Gesuiti*. Così la scuola reazionaria ha realmente subito, a questo riguardo, da più tempo di qualunque altra, e sotto una forma che non c, certamente, meno pericolosa, la fatalità comune propria al nostro stato so­ ciale. Sarebbe possibile, in linea di principio, che una politica qualunque non dovesse necessariamente ricorrere maggiormente alla corruzione, a misura che è più direttamente opposta al mo­ vimento generale della società che pretende di reggere? Risulta dunque, dairinsieme di queste spiegazioni, che l’ob­ bligo di mantenere una certa disciplina materiale, nonostante l’as­ senza di ogni vera organizzazione spirituale, ha dovuto condurre la politica ad impiegare sempre più, come mezzo provvisorio, indispensabile per quanto funesto, la corruzione sistematica, d’altra parte spontaneamente derivata dall’anarchia intellettuale. In mancanza di autorità morale, l’ordine materiale esige neces­ sariamente o l’uso del terrore, o il ricorso alla corruzione: ora, quest’ultimo mezzo, oltre ad essere oggi il solo suscettibile di qualche durata, presenta, senza dubbio, dopo uno scrupoloso esame, minori inconvenienti, perché meglio adatto alla natura delle società moderne, che permette alla violenza solo successi molto passeggeri. Ma, pur riconoscendo, dal punto di vista scien­ tifico, ciò che vi è d’inevitabile e d’involontario, a questo ri­ guardo, nella politica attuale, è impossibile non deplorare, con una certa amarezza, la profonda cecità che impedisce oggi ai diversi poteri sociali di facilitare per quanto possibile l’evolu­ zione intellettuale e morale, la sola che potrà dispensare infine da un espediente così degradante e così insufficiente. Sembra, al contrario, che gli uomini di Stato di tutti i partiti si siano ora messi d’accordo per interdire, con tutte le loro forze, questa unica via di salvezza, colpendo indistintamente con uno stupido assoluto rimprovero, ogni elaborazione delle teorie sociali. Tut­ ti. Questo machiavellismo teologico ha dovuto perdere radicalmente vigore allorquando il propagarsi del movimento filosofìa» l’ha finalmente obbligato, come si vede oggi, ad estendere gradualmente tale privilegio a tutti gli spiritti attivi. Ne è derivata infatti quella specie di mistificazione reciprocamente universale, in cui, nelle stesse classi meno colte, ognuno riconosce la religione indispensabile per gli altri, sebbene superflua a sé stesso. Tale è, in fondo, lo strano risultato definitivo di tre secoli d'una laboriosa resistenza al movimento fondamentale della ragione umana 1

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tavia questa comune aberrazione non costituisce essa stessa, come dimostrerò, che una nuova conseguenza generale, non meno ne­ cessaria e caratteristica delle precedenti, dello stato presente delle popolazioni più civili. Il terzo sintomo essenziale della nostra situazione sociale con­ siste infatti nella supremazia sempre crescente del punto di vi­ sta puramente materiale e immediato nei confronti di tutte le questioni politiche. Manifestando con un’incontestabile evidenza la profonda insufficienza delle diverse teorie attuali, Pesperienza contemporanea ha disgraziatamente sviluppato, per una reazione inevitabile, un’irrazionale ripugnanza assoluta, oggi quasi una­ nime, contro ogni sorta di teorie sociali. Non si tratta qui sol­ tanto dell’antagonismo generale e spontaneo fra la pratica e la teoria, semplicemente aggravato dallo stato primordiale nel qua­ le languisce ancora la scienza sociale, secondo una spiegazione ricordata all’inizio di questo capitolo. La funesta tendenza che voglio segnalare è insieme più particolare e più profonda, es­ senzialmente inerente alla situazione transitoria delle società attuali. Dall’origine stessa dell’èra rivoluzionaria, tre secoli fa, essa ha cominciato a farsi sentire, nella maniera meno equivoca, non appena, essendo stato il potere spirituale dappertutto annul­ lato o assorbito dal potere temporale, tutte le alte speculazioni sociali hanno dovuto essere per tal motivo sempre più abbondanti ormai a spiriti essenzialmente dominati dalla preoccupazione continua degli affari quotidiani. Questa indicazione storica basta qui a far comprendere che i popoli e i re hanno parimenti con­ corso alla supremazia graduale di simile atteggiamento, neces­ sariamente comune a tutte le nostre diverse scuole politiche, che, a questo riguardo, meritano oggi, sebbene per motivi diversi, rimproveri quasi equivalenti. Dopo aver riconosciuto che la crisi fondamentale della so­ cietà attuale deriva soprattutto, in ultima analisi, dall’anarchia intellettuale, la cui risoluzione, da parte d’una idonea filosofia, costituisce così la prima necessità del nostro tempo, non si po­ trebbe troppo deplorare questa razionale unanimità del mondo politico, che, mettendo al bando le ricerche speculative, tende direttamente ad interdire il solo risultato che possa finalmente comportare una simile situazione. Mezzo secolo dopo che la riorganizzazione sodale è stata così vanamente intrapresa, que­

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sta falsa via ha condotto ad un gran numero di prove successive, che, nonostante la loro insufficienza sperimentale constatata, so­ no state sempre rinnovate con la stessa erronea intenzione. Invece di occuparsi innanzitutto delle dottrine relative al nuovo ordine sociale, ed in séguito dei costumi corrispondenti, ci si è unica­ mente limitati alla costruzione diretta delle isituzioni definitive, in un tempo in cui lo stato dello spirito umano indica con tanta evidenza la sola possibilità di istituzioni puramente provvisorie, ridotte agli scopi più indispensabili e che non hanno altra pre­ tesa d’avvenire che quella di facilitare, per quanto possibile, l’e­ voluzione intellettuale e morale che dovrà determinare infine una vera rigenerazione politica. Tutta l’elaborazione qualificata di costitutività è di conseguenza essenzialmente consistita, in realtà, nello spezzettare più o meno gli antichi poteri politici, ncll’organizzare minuziosamente fra essi antagonismi fattivi e complicati, nel renderli anche sempre più precari e amovibili, sottomettendoli sempre di più ad elezioni temporanee, ecc.; ma senza mai aver cambiato, in fondo, per mancanza di una vera dottrina sociale, la natura generale dell’antico regime, né lo spi­ rito che presiede al suo mantenimento. In una parola, ci si è soprattutto preoccupati di contenere metodicamente i diversi poteri così conservati, a rischio di annullarli, e si è continuato a lasciare assolutamente indeterminati i princìpi destinati a diri­ gere la loro effettiva applicazione. Questo lavoro secondario e irrazionale, nel quale anche l’unica divisione politica veramente importante era stata assolutamente scartata, è stato in séguito pomposamente battezzato col nome di costituzione, e votato per sempre all’eterna ammirazione della posterità! Sebbene la du­ rata media di queste pretese costituzioni non sia stata finora che di dieci anni al massimo, ogni nuovo regime, nonostante che il suo primo titolo fosse sempre l’insufficienza radicale del pre­ cedente, non ha mai mancato fin qui d’imporre, a sua volta, sotto pene più o meno gravi, l’uniforme obbligo d’una fiducia generale nel suo trionfo assoluto ed indefinito. È così che tutti questi vani brancolamenti empirici, la cui successione, qualun­ que ne sia l’invariabile monotonia, sarebbe, per sua natura, ine­ sauribile, hanno manifestato costantemente una deplorevole ef­ ficacia nell’ostacolare profondamente la vera riorganizzazione sociale, sia sviando le forze dello spirito umano in puerili que­

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stioni di forma politica, sia impedendo direttamente, anche a mezzo di interdizione legale, le speculazioni e le discussioni filosofiche che devono finalmente rivelare i princìpi essenziali di questa riorganizzazione. Per questa duplice influenza il principale carattere della malattia è stato dissimulato il più possibile, ed ogni soluzione graduale e pacifica è divenuta quasi impraticabile. Come possono certi spiriti, dominati da un’aber­ razione così volutamente sistematica, illudersi al punto da cre­ dersi esenti da ogni pregiudizio speculativo, e come osano met­ terne a, bando con sdegno l’elaborazione razionale, quando essi stessi perseguono la più pericolosa e la più assurda di tutte le utopie politiche, la costruzione diretta d’un sistema generale di governo che non si fonderebbe su nessuna vera dottrina so­ ciale! Un simile atteggiamento sarebbe, infatti, inesplicabile oggi senza l’oscuro ascendente della filosofia metafisica che sna­ tura c confonde profondamente tutte le nozioni politiche, come faceva un tempo durante il suo momentaneo trionfo negli aitò ordini di concezioni umane. Questa vana preponderanza metafìsica delle considerazioni puramente materiali, così abusivamente ritenute pratiche, poi­ ché conducono ad inattuabili finzioni, non è soltanto nociva, in maniera diretta, al principale progresso politico delle società moderne : essa presenta anche, ciò che dovrebbe interessare mag­ giormente i governi, gravi ed imminenti pericoli per l’ordine propriamente detto, come è facile riconoscere sommariamente. Ne deriva effettivamente la tendenza universale a riferire uni­ formemente tutti i mali politici all’imperfezione delle istituzioni, invece di attribuirli soprattutto alle idee ed ai costumi sociali, che sono oggi il centro fondamentale della malattia principale. Da ciò, gli sforzi successivi, sempre essenzialmente sterili, che abbiamo visto finora, e che rivedremo, senza dubbio, troppo spes­ so ancora, per cercare indefinitamente il rimedio alle alterazioni sempre più profonde delle istituzioni e dei poteri esistenti, senza che l’inutilità dei tentativi anteriori illumini mai sufficiente­ mente gli spiriti così fuorviati. A tali spiriti la minima modifica nuova ispirerà facilmente, quando il male sarà più vivamente sentito, un cieco ardore verso il rinnovo funesto di tentativi ana­ loghi: tanto sono deboli ed infruttuose, soprattutto in politica, le lezioni così vantate della semplice esperienza, quando i risili-

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tati non sono chiariti da un’analisi veramente razionale. Non si crederà, senza dubbio, che io abbia l’intenzione di condannare qui ogni modifica politica propriamente detta, anche prossima, prima dell’epoca finale in cui l’insieme del sistema politico do­ vrà essere interamente rigenerato, in séguito all’applicazione graduale d’una nuova dottrina sociale, quando questa dottrina sarà stata convenientemente elaborata. Modifiche più o me­ no profonde all’ordine politico attuale diverranno prima ine­ vitabili ed anche indispensabili, non fosse che per rendere quest’ordine più progressivo e meglio compatibile con l’evolu­ zione fondamentale, sebbene non si debba dare, d’altra parte, a queste trasformazioni provvisorie, un’importanza preponderante, e si debba soprattutto con cura impedire che vengano distolte dallo scopo principale. Ma queste stesse modifiche, per essere pienamente conformi al loro vero scopo finale, dovranno essere sempre dirette da una prima elaborazione filosofica dell’insieme della questione sociale. A maggior ragione, la loro considera­ zione esclusiva, o solamente preponderante, deve essere oggi con­ siderata come costituente direttamente un’irrazionale sovversione della vera soluzione generale. È d’altra parte incontestabile, a mio avviso, che questa er­ ronea preoccupazione per le istituzioni propriamente dette, a pregiudizio delle dottrine pure, oltre a quanto ha ora di evi­ dentemente prematuro, generi pure altri errori più fondamen­ tali e permanenti, conducendo, anche nell’avvenire sociale, a re­ golare indefinitamente con l’ordine temporale ciò che dipende soprattutto dall’ordine spirituale. A causa dell’aberrazione fatale che, da tre secoli, ha fatto universalmente trascurare questa fon­ damentale distinzione, i diversi governi europei hanno portato l’inevitabile pena della loro cieca partecipazione allo stabilirsi d’una simile confusione; divenendo di conseguenza egualmente responsabili di tutti i mali delle società, da qualunque sorgente essi fossero realmente derivati. Disgraziatamente, questa illusio­ ne è ancora più nociva alla società stessa, a causa dei perturba­ menti e delle delusioni più o meno gravi che vi causa oggi fre­ quentemente. Questo pericolo non è mai stato tanto evidente e pronunciato quanto nei riguardi degli attacchi violenti ed anar­ chici, le cui discussioni contemporanee hanno così sovente mi­ nacciato l’istituzione fondamentale della proprietà. Dopo avere

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innanzitutto analizzato con attenzione queste critiche declama­ torie, tutti gli spiriti colti dovranno convenire, almeno mi sem­ bra, che gli inconvenienti tanto rimproverati a questa istituzione presentano, malgrado la manifesta esagerazione di simili la gnanze, un’incontestabile realtà, la quale merita che ci si occupi convenientemente di porre rimedi, per quanto lo comporta la natura essenziale dello stato sociale moderno. Ma essi ricono­ sceranno anche che i principali rimedi sono necessariamente di competenza diretta delle opinioni e dei costumi senza che le re­ golamentazioni politiche propriamente dette siano suscettibili di una qualunque efficacia veramente fondamentale. Infatti tutto si riduce soprattutto ai pregiudizi ed alle abitudini pubbliche che, dopo una saggia valutazione filosofica deU’insieme dell’ar­ gomento, devono abitualmente dirigere, nell’interesse sociale, l’esercizio effettivo della proprietà, in qualsiasi mani essa risiedi Si vede così quanto sia profondamente perturbatrice, e nel con­ tempo vana e cieca, questa tendenza universale degli spiriti at­ tuali a riferire tutto alle istituzioni politiche, invece d’aspettarsi soprattutto dalla riorganizzazione intellettuale e morale ciò che essa sola può dare. Gli stessi rilievi potranno applicarsi alle ana­ loghe critiche dirette ai nostri giorni contro l’istituzione del ma­ trimonio, ed in diversi altri casi d’importanza maggiore. Dap­ pertutto sarà facile riconoscere quanto sia assurdo e funesto que­ sto puerile spirito regolamentare che, unicamente occupato del­ l’ordine materiale, tenderebbe al sovvertimento sociale della so­ cietà per apportare, ad ogni costo, ad un inconveniente parziale o mal valutato, un rimedio essenzialmente illusorio. Tale è non dimeno, a questo riguardo, la disposizione così unanime delle intelligenze attuali che i governi, prendendo parte essi stessi al comune errore, non sanno abitualmente comprimerne il perico­ loso progredire se non soffocando bruscamente la discussione, non appena comincia a diventare allarmante; ma questo brutale espe­ diente, sebbene possa essere provvisoriamente indispensabile, non potrebbe certamente bastare : esso si limita evidentemente a rin­ viare la difficoltà senza risolverla in alcuna maniera, o piuttosto aggravandola considerevolmente. Così, per quanto riguarda l’ordine, come per il progresso, vi sono gravi ed imminenti pericoli, gli uni indiretti, gli altri di retti, nell’allucinazione fondamentale che regna oggi con uni

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così deplorevole universalità sulla vera natura della malattia so­ ciale, considerata come esclusivamente fìsica, mentre è soprat­ tutto morale. Mentre la teoria è principalmente in difficoltà, poi­ ché nessun concetto sociale è oggi saldamente stabilito, lo spirito umano, distolto da questo primo scopo essenziale, è compietamente assorbito dall’unica considerazione della pratica, dove la sua azione, sprovvista di ogni guida razionale, diventa, di neces­ sità, profondamente perturbatrice. È soprattutto l’influenza di questa aberrazione generale che sminuisce sempre più, in realtà, la politica attuale, in modo da non permettere che una molto imperfetta e precaria soddisfazione, sia all’ordine, sia al progres­ so, le cui vere vie sono cosi direttamente misconosciute. Dacché le modifiche principali delle antiche istituzioni sono state invano introdotte o sperimentate, senza che il malessere fondamentale abbia cessato di farsi sentire, le idee immediate del progresso politico tendono ormai a restringersi gradualmente a miserabili sostituzioni di persone, non dirette da un vero piano, il che co­ stituisce, per così dire, la più vergognosa degradazione politica, tendendo d’altra parte a precipitare evidentemente la società in un’inesauribile successione di catastrofi inutili. Parimenti, quan­ to all’ordine puramente materiale, il solo del quale ci si occupa oggi, il suo mantenimento abituale si trova affidato ad un po­ tere considerato ostile e continuamente indebolito da un siste­ matico antagonismo, il cui sviluppo spontaneo non va a vantag­ gio, il più spesso, che dello spirito d’anarchia, al quale ogni cam­ biamento politico apre, di solito, nuove vie legali. La cieca preoc­ cupazione esclusiva del punto di vista quotidiano non permette più abitualmente il concorso effettivo dei diversi agenti princi­ pali d’un simile meccanismo, se non nel momento stesso in cui l’apparizione diretta dell’anarchia materiale viene a sospendere momentaneamente le loro vane contestazioni le quali, dopo ogni tempesta, riprendono ben presto il loro corso inevitabile, fino a quando questa disorganizzazione continua determina infine una catastrofe, che nessuno, molto spesso, ha previsto, per quanto imminente essa sia dovuta sembrare ad ogni chiaroveggente os­ servatore, Tali sono senza dubbio necessariamente le conseguen­ ze generali dell’irrazionale atteggiamento che circoscrive oggi sempre più il campo delle combinazioni politiche alle sole con­ siderazioni materiali ed immediate, eliminando ogni larga spe-

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dilazione d’avvenire sociale. Si può così giudicare chiaramente se l’analisi filosofica, che rappresenta l’anarchia intellettuale co­ me la principale causa originaria della nostra malattia sociale, sia in effetti sprovvista d’utilità reale c diretta come osano pre­ tendere i vani detrattori d’ogni teoria politica. Un quarto aspetto generale, conseguenza e complemento na­ turale dei tre precedenti, finisce di caratterizzare l’insieme ne­ cessario della nostra deplorevole situazione sociale, mostrando che la classe di coloro ai quali tale situazione tende spontanea­ mente a conferire oggi la principale influenza politica deve es­ sere, di solito, profondamente incompetente, ed anche essen­ zialmente contraria ad una vera riorganizzazione; di modo che un’ultima illusione fondamentale delle società attuali, e non certo la meno fatale, consiste nell’attendere inutilmente alla soluzione del problema, da parte di coloro stessi che non possono essere adatti se non ad ostacolarlo inevitabilmente. Da una prima valutazione di questo argomento, si vede in­ nanzitutto agevolmente, in base alle varie spiegazioni precedenti, che la demolizione graduale di tutte le massime sociali, e, nello stesso tempo, la diminuzione continua dell’azione politica, ten­ dono necessariamente sempre più, nei diversi partiti attuali, ad eliminare da tale carriera gli animi elevati e le intelligenze superiori, per abbandonare soprattutto il mondo politico al na­ turale dominio del ciarlatanismo e della mediocrità. L ’assenza di ogni concezione precisa e larga dell’avvenire sociale oggi non permette molti progressi se non alla più volgare ambizione, a quella che, sprovvista di ogni scopo veramente politico, cerca istintivamente il potere, non per far più utilmente prevalere i suoi generali punti di vista, ma unicamente come mezzo per soddisfare il più spesso possibile una ignobile avidità, e qualche volta, nei casi meno sfavorevoli, un puerile bisogno di comando. In nes­ suna altra epoca, senza dubbio, la mediocrità presuntuosa ed intraprendente ha potuto mai avere fortune così favorevoli e così estese. Fintanto che veri princìpi sociali non presiederanno sia alla direzione dell’azione politica, sia alla valutazione del suo abituale svolgimento, il più assurdo ciarlatanismo potrà sempre, per la magnificenza delle sue promesse, ottenere, in una società sofferente, priva di ogni speranza razionale, un certo successo momentaneo, malgrado l’evidente inutilità delle svariate espe­

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rienze precedenti. Il provvisorio livellamento, che non ha altro scopo finale che di permettere il libero avvento graduale dei veri organi ulteriori del nuovo sistema sociale, non serve ancora, in realtà, che a mettere in auge successivamente effìmere combric­ cole, le quali vengono, di volta in volta, a testimoniare, agli occhi del pubblico, la loro profonda insufficienza politica, senza che questa sovrabbondante conferma possa mai eliminare nuovi analoghi competitori, la cui successione sarebbe naturalmente inesauribile. D'altro lato, la dispersione legale delazione poli­ tica, la neutralizzazione sistematica dei diversi poteri, sempre preoccupati della difficile cura della loro conservazione attuale, e, infine, i cambiamenti personali divenuti sempre più frequenti, tutto questo concorso di impedimenti, sia calcolati, sia sponta­ nei, non deve allontanare con disgusto ogni nobile e razionale ambizione, quasi sicura in anticipo che le si impedirà la pie­ nezza e la continuità dell’ascesa, indispensabile all’utile realiz­ zazione dei suoi piani generali? Tuttavia, non bisogna esage­ rare, a questo riguardo, né l’intensità né il pericolo degli osta­ coli che simile situazione presenta alla vera soluzione delle no­ stre fondamentali difficoltà. Infatti questo stesso stato di semi­ convinzioni e di semi-volontà* che riguarda la nostra anarchia intellettuale e morale, tende, d’altro lato, a facilitare in special modo e primariamente il trionfo universale d’una vera concezio­ ne sociale, la quale, una volta infine prodotta, non dovrà lottare contro alcuna resistenza veramente attiva, fondandosi con forza su serie convinzioni. Fin da oggi questo abbattimento quasi uni­ versale dello spirito e del carattere politico, questa dispersione e questa divergenza quasi indefinita delle diverse influenze so­ ciali contribuiscono senza dubbio molto al mantenimento del­ l’ordine materiale, il quale, nonostante i pericoli propri del nostro tempo, presenterebbe probabilmente poche gravi difficoltà ad una politica razionale, veramente atta ad annullare gli sforzi, anche preparati di comune accordo dalle diverse combriccole po­ litiche, con la supremazia spontanea dell’azione adatta d’un asa. In questi ultimi tempi mi sembra che Guizot abbia molto bene afferrato quest’ aspetto della nostra situazione sociale, ch’egli ha caratteriz­ zato, con una giustezza veramente notevole, dicendo: « A i nostri giorni l’uomo vuole fiaccamente, ma desidera immensamente ».

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sennato governo, al quale sono già prodigate abitualmente tanti risorse materiali. Sarebbe cadere in una ridicola esagerazione dipingere le società attuali come accoglienti, di preferenza, il ciar­ latanismo e le illusioni politiche: niente giustificherebbe un simili rimprovero, poiché, finora, la scelta d’una saggia soluzione non è stata loro mai permessa. Quando sarà possibile, si vedrà se l’at­ trattiva involontaria delle promesse ingannevoli, e la forza na­ turale delle abitudini precedenti, impediscane* in effetti al nostro secolo di mettersi per questo nuovo cammino con un ardori unanime e continuo, del quale esso ha già dato, al più piccolo apparire d’una simile soluzione, tanti incontestabili sintomi. Tuttavia rimane incontestabile, in base alle osservazioni qui sopra fatte, che lo stato presente delle società moderne tendi spontaneamente a mettere la guida abituale del movimento po­ litico nelle mani meno adatte a condurlo saggiamente verso il suo vero termine necessario. Questo fondamentale inconvenienti data realmente dall’origine storica della situazione rivoluziona­ ria, e non ha fatto oggi che svilupparsi sempre più con essi, man mano ch’essa si caratterizzava maggiormente. Ma, dando, a questo riguardo, un colpo d’occhio generale all’insieme della storia intellettuale, è facile, mi pare, riconoscere senza incertezza che, durante gli ultimi tre secoli, i più eminenti spiriti, portati soprattutto per le scienze, hanno di solito essenzialmente tra scurato la politica, ciò che era lungi dall’accadere nell’antichità, e nel medioevo. A causa di simile disposizione, ormai tanto evi dente quanto possibile, accade dunque naturalmente che le que­ stioni più profondamente difficili e più gravemente urgenti sia­ no oggi abbandonate alle intelligenze meno competenti e peggio preparate. Sarebbe inutile, senza dubbio, insistere maggiormente qui sulla tendenza diretta di tale risultato ad impedire il più possibile la vera riorganizzazione finale delle società moderne. Onde precisare, per quanto possibile, questa indispensabile osservazione, basta ora aggiungere, con una più particolare ana­ lisi, che la direzione intellettuale del mondo politico attuale ri­ siede ormai essenzialmente, soprattutto in Francia, nella duplice classe, spontaneamente omogenea, dei legisti e dei metafisici, oppure, per maggior esattezza, degli avvocati e dei letterati. Con un ulteriore esame storico mostrerò come, fino all’avvemo dell; Rivoluzione Francese, il sistema generale della politica metafisica

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dalla sua nascita al medioevo, aveva avuto principalmente per organi regolari, da una parte le università, daH’altra le grandi corporazioni giudiziarie; e mentre le prime costituivano, così distintamente quanto lo comportava la natura equivoca di que­ sto regime spurio, una sorta di potere spirituale, le altre posse­ devano più particolarmente il potere temporale. Da mezzo se­ colo, questa fondamentale costituzione, essenzialmente visibile ancora nel resto dell’Europa, ha subito, in Francia, senza pe­ raltro cambiare affatto natura, un’importante trasformazione ge­ nerale, la quale, malgrado il ringiovanimento momentaneo che essa imprime ad una tal politica, tende nondimeno, in fondo, a diminuire la sua consistenza sociale e ad accelerare il suo irrevo­ cabile dissolvimento. I giudici sono stati ormai rimpiazzati da­ gli avvocati ed i dottori propriamente detti da semplici letterati : è sempre lo stesso ordine di idee, una stessa metafisica, ma con organi più subalterni. Ogni uomo, per così dire, che sappia te­ nere una penna in mano, qualunque siano d’altra parte i suoi veri precedenti intellettuali, può aspirare oggi, sia nella stampa, sia nella cattedra metafisica, al governo spirituale d’una società che non gli impone alcuna condizione razionale o morale: il seggio è vacante, ognuno è incoraggiato a mettercisi a sua volta. Parimenti, colui che, dopo un sufficiente esercizio, ha svi­ luppato una perniciosa attitudine particolare a dissertare, con una uguale apparenza di abilità, pro o contro un’opinione o un provvedimento qualunque, è solo per questo ammesso a concor­ rere in seno ai più eminenti poteri politici, alla direzione imme­ diata e suprema dei più gravi interessi pubblici. È così che qua­ lità puramente secondarie, le quali non potrebbero avere impiego utile, né veramente morale, se non per la loro intima subordina­ zione continua a veri princìpi, sono oggi diventate incredibil­ mente preponderanti : l’espressione scritta od orale, tende a de­ tronizzare il concetto. In un’epoca di convinzioni indecise e fluttuanti, sono stati naturalmente necessari organi caratterizzati dall’incertezza delle loro abitudini intellettuali e dall’abituale mancanza di opinioni stabili. Questa armonia generale dev’es­ sere ben profonda e ben spontanea per essersi così rapidamente e così completamente sviluppata, e ciò non soltanto nei riguardi di un’unica dottrina politica, ma uniformemente in tutte le scuole attuali, nonostante la loro estrema opposizione; poiché è

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chiaro oggi, nonostante vane pretese, che la politica reazionari non si trova meno esclusivamente diretta, di solito, da avvocati e letterati, divenuti così i protettori dei loro antichi maestri, di quanto non Io siano, a loro volta, la politica stazionaria e la po litica rivoluzionaria, dal che deriva questa ultima modifica dello stato metafisico, come spiegherò più tardi. Comunque sia, se una simile fase non dovesse essere necessariamente passeggera, co­ stituirebbe, mi sembra, la più vergognosa degenerazione sociale, poiché investirebbe per sempre di supremazia politica classi cosi evidentemente votate, per loro natura, alla subalternità, in ogni ordine veramente normale. Mettendo così in prima linea i talenti di eloquio o di stile, la società fa oggi, per le più fondamentali questioni che essa possa mai agitare, ciò che nessun uomo seasato oserebbe abitualmente tentare nei riguardi dei suoi più pic­ coli affari personali. Ci si deve allora stupire che, per una si­ mile disposizione, essa tenda sempre più a costituire il completo dominio dei sofisti e dei declamatori? Per quale strana incoc­ renza si può così frequentemente deplorare la loro perniciosi influenza, dopo aver quasi esclusivamente aperto loro, con l’u­ nanime sollecitazione dei più contrari partiti, tutte le grandi vie politiche? Questa sommaria indicazione basta qui per mostrare chiaramente a quale funesto grado il cammino radicalmente di­ fettoso seguito finora nell’elaborazione intellettuale della rior­ ganizzazione sociale è stato spontaneamente aggravato, in realtà, dalla scelta profondamente irrazionale degli organi corrispon­ denti. Quantunque l’irresistibile ascendente d’una dottrina vera­ mente adattata allo stato presente della civiltà debba necessaria­ mente sormontare un simile ostacolo, come tutti gli altri, non sarà nondimeno uno dei suoi minori imbarazzi pratici il dover lottare così contro la preminenza provvisoria delle classi attual­ mente in possesso della pubblica fiducia. Si può, tuttavia, con­ tare sulla scarsa coesione dei diversi elementi generali d’un po­ tere così vagamente costituito per assecondare, a causa della loro inevitabile discordia, il progresso naturale del sistema finale; l’influenza politica degli avvocati, per quanto preponderante og­ gi essa sia, sarà senza dubbio rovinata ancora più facilmente di quanto non lo sia stata quella dei giudici, quando potrà essere infine convenientemente attaccata direttamente nei suoi fonda­ menti essenziali.

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Questo sommario esame dei principali tratti caratteristici della situazione sociale ha sufficientemente confermato l’analisi fon­ damentale, qui sopra spiegata, dei diversi elementi generali che la costituiscono; gli effetti si sono successivamente mostrati in piena armonia con quanto le cause dovevano far prevedere. Noi possiamo già ritenere come sufficientemente dimostrato che nes­ suna delle dottrine politiche esistenti contiene soluzioni possi­ bili alla grande crisi delle società moderne: abbiamo riconosciuto, inoltre, che ora ognuna di esse, per vie che le sono assolutamente proprie, tende necessariamente a far predominare atteggiamenti intellettuali, tanto meschini quanto irrazionali, direttamente con­ trari alla natura del problema, anche nei riguardi dell’intento troppo esclusivo che essa particolarmente persegue. È d’altra parte evidente che i sentimenti sviluppati rispettivamente da queste diverse dottrine non sono, in generale, più soddisfacenti delle idee corrispondenti. Innanzitutto, ogni dottrina, quantun­ que riunisca molto imperfettamente i suoi sostenitori, ispira loro inevitabilmente una violenta antipatia generale contro ogni altra scuola, della quale essi non potrebbero senza incocrenza rico nosccre i meriti particolari. Solo una dottrina veramente razio naie e completa potrà, conservando la sua indipendente origina­ lità, ispirare ulteriormente atteggiamenti più equi e più conci­ lianti. Ma bisogna inoltre rilevare soprattutto, a questo propo sito, che, se una qualunque di queste dottrine politiche, e la dot­ trina rivoluzionaria più d’ogni altra, in quanto determinante at­ tive convinzioni, profonde per quanto parziali, può sviluppare in animi elevati, sentimenti veramente generosi di diverse na­ ture, da un’altra parte, non è, disgraziatamente, meno certo che, nel popolo, ognuna di esse tenda moralmente ad esercitare, in diverse maniere, un’influenza antisociale molto pronunciata. Cosi, la politica rivoluzionaria deriva senza dubbio la sua prin­ cipale forza morale dallo slancio, molto legittimo per quanto spesso esagerato, che essa ha la proprietà d’imprimere all’atti­ vità individuale: nondimeno, anche indipendentemente da un indisciplinabile orgoglio così sollevato, non si può non ricono­ scere che la sua temibile energia non si basi anche, in parte, sulla sua particolare tendenza allo sviluppo spontaneo e continuo di quei sentimenti di odio e di invidia contro ogni superiorità so­ ciale, il cui sfogo, libero o contenuto, costituisce una specie di

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stato di rabbia cronica, molto comune ai nostri giorni, anche io individui di eccellenti qualità naturali, nei quali esso aggrava molto l’irrazionale influenza, già così perniciosa, d'una dispo­ sizione di spirito troppo esclusivamente critica. Parimenti, la politica reazionaria, sempre meno compatibile con le vere con­ vinzioni in ogni intelligenza un po’ preparata, tende direttamente, malgrado le sue vane pretese morali, a sviluppare emi­ nentemente quelle disposizioni alla servilità e alla ipocrisia, di cui il suo passeggero regno ci ha offerto tante clamorose testimo­ nianze. Infine, la politica stazionaria, oltre l’implicita sanzione che la sua dottrina di neutralizzazione accorda necessariamente ai difetti simultanei delle due estreme dottrine, esercita anche, in maniera più particolare, un’influenza morale non meno disa­ strosa, per l’appello più diretto che non può evitare di fare, nella sua applicazione continua, agli istinti di egoismo e di corru­ zione. La vana opposizione delle nostre diverse scuole politiche non è dunque meno perniciosa dal punto di vista morale che da quello intellettuale: all’uno e all’altro riguardo, esse tendono egualmente a stornare la società dalle vere vie d’una riorganiz­ zazione finale. Se, considerate dal punto di vista intellettuale, esse concorrono a sviluppare l’anarchia, non è meno incontesta­ bile che, da quello morale, esse spingono insieme alla discordia. Le une, nell’esclusivo interesse della propria conservazione po­ litica, invece di comprimere, nelle classi dirigenti, una tendenza all’egoismo e alla divisione, troppo preponderante oggi, si sfor­ zano di darle artificialmente una spinta innaturale, osando pre­ sentare loro i proletari come selvaggi pronti a sopraffarle; al tem­ po stesso, per una reazione funesta quantunque inevitabile, le altre cercano di precipitare ciecamente le masse contro i veti capi naturali, senza l’indispensabile cooperazione dei quali esse non potrebbero affatto operare i miglioramenti fondamentali che devono così legittimamente perseguire nella loro condizioni sociale. È così che, per un disastroso concorso, tutti i partiti at­ tuali tendono, in diversi sensi, ad eternare, aggravandola inces­ santemente, la dolorosa situazione sociale dei popoli più civili. Tali conclusioni preliminari devono produrre innanzitutto un’ansietà profondamente penosa intorno al risultato reale che può infine comportare una simile situazione. Non bisogna stu­

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pirsi troppo che spiriti generosi ed eminenti, ma irrazionali e soprattutto mal preparati, siano stati qualche volta condotti og­ gi, dalla visione troppo esclusiva di un simile spettacolo, ad una sorta di disperazione filosofica circa l’awenire sociale, che do­ veva loro sembrare rapidamente trascinato da un’invincibile fa­ talità, sia verso un tenebroso ed irrevocabile dispotismo, sia so­ prattutto verso un’indefinibile ed imminente anarchia, sia infine verso una deplorevole alternativa periodica dall'uno aU’altro stato. Un’analisi poco approfondita dell’epoca attuale, e dei suoi precedenti immediati deve infatti ispirare analoghi timori, di­ rigendo una rilevante attenzione sul movimento di disfacimento che vi si scopre necessariamente molto più evidente di quello di rigenerazione. Lo studio di questo volume produrrà, con piena evidenza spero, in ogni lettore attento e convenientemente disposto, la consolante convinzione che, per una progressione contraria, la cui realtà non è meno incontestabile, l’élite della specie umana come risultato necessario e finale del complesso delle sue diverse evoluzioni anteriori, giunge oggi all’avvento diretto dell’ordine sociale meglio adatto alla sua natura. Ciò avverrà a questa sola condizione indispensabile, che gli elementi essenziali, già preesistenti, di una simile organizzazione defini­ tiva, siano ormai, malgrado gli ostacoli che presenta la loro di­ spersione attuale, irrevocabilmente riuniti in un sistema generale da una filosofìa politica veramente degna di questa fondamen­ tale missione. Non si tratta, in questo momento, per completare questa introduzione, che di far presentire qui quale debba essere necessariamente il carattere intellettuale di questa salutare fi­ losofia, il cui sviluppo dogmatico sarà in séguito gradualmente esposto. Ora, questa prima indicazione appare, mi sembra, con una evidente spontaneità, dalla grande dimostrazione preliminare che ho dato in questo lungo preambolo. È sufficiente perciò ora orientare per sempre la mente del lettore dal punto di vista ge­ nerale che caratterizza questo trattato, e che avevo dovuto qui momentaneamente mettere da parte per effettuare, con la do­ vuta efficacia, questa indispensabile escursione preliminare nel dominio ordinario della politica propriamente detta. Poiché, avendo la filosofia teologica e quella metafisica esse soltanto li­ beramente intrapreso finora la riorganizzazione politica delle

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società moderne, in modo da constatare pienamente, in base all’insieme delle precedenti spiegazioni, e per via sperimentale, e con un’analisi razionale, la loro profonda intrinseca inutilità nei riguardi di un tale scopo, ne segue evidentemente: o che il problema non comporterebbe realmente alcuna soluzione, ciò che sarebbe assurdo pensare; o che non ci resti se non ricorrere alla filosofia positiva, poiché lo spirito umano ha ormai inutil­ mente esaurito, in tentativi più che numerosi, tutte le altre vie intellettuali, a meno che non pervenga a creare un quarto modo fondamentale di filosofare, utopia troppo stravagante per meri­ tare la minima discussione. D’altra parte, l’insieme dei tre primi volumi di questo trattato ci ha chiaramente provato, nella piò completa e decisiva maniera che, nella sua graduale evoluzione, e soprattutto durante il corso degli ultimi tre secoli, questa filo­ sofia positiva ha successivamente operato, con l’unanime sod­ disfazione finale del mondo intellettuale, la riorganizzazione totale dei diversi ordini anteriori di concezioni umane. Queste concezioni un tempo erano durate così a lungo, e qualcuna fino ad epoca molto recente, in uno stato perfettamente equivalente a quello che si deplora oggi, a buon diritto, nei riguardi delle idee sociali, e, prima d’un tale rinnovamento, erano general­ mente considerate, dall’opinione contemporanea, come indefi­ nitamente condannate, per la loro natura, a non poterne uscire. Ora, in che modo una filosofia che non è certamente né anar­ chica né reazionaria per quanto riguarda nozioni astronomiche, fisiche, chimiche, ed anche biologiche, diverrebbe necessaria­ mente, per un improvviso e strano sovvertimento, Tuna o l’altra, nei riguardi dei soli concetti sociali, se ella può esservi conve­ nientemente applicata? A qual titolo, d’altronde, quest’ultima categoria d’idee potrebbe essere razionalmente esentata da tale applicazione, che ha gradualmente compreso fin qui tutte le ca­ tegorie meno complesse, compresa quella che più immediata­ mente ci si avvicina? O non sarebbe piuttosto possibile che, nel suo inevitabile sviluppo continuo, il metodo positivo finisse per estendersi anche, necessariamente, a quest’ultimo complemento naturale del suo dominio fondamentale? Così, mettendo insieme le conclusioni sociali già motivate in questo discorso dal risultato filosofico generale del complesso dei tre volumi precedenti, si vede che l’analisi politica e l’analisi scientifica concorrono direi-

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tamente con un’incontestabile spontaneità a dimostrare che la filosofia positiva, convenientemente completata, è la sola capace oggi di presiedere realmente alla riorganizzazione finale delle società moderne. Per quanto profonda sia la convinzione che mi costringe a modo mio a portare a termine questa grande impresa filosofica, io tengo molto a separare con cura anticipatamente questo principio fondamentale, che mi pareva già abbastanza incontestabile, dal modo effettivo di realizzazione che tento in questo volume, affinché, anche quando un simile tentativo fosse in fondo condannato, la ragione pubblica non ne traesse alcuna sfavorevole induzione nei confronti di un metodo che è il solo in grado di operare presto o tardi la salvezza intellettuale della società, e si limitasse soltanto a prescrivere, a più fortunati suc­ cessori, tentativi più efficaci nella stessa direzione. In tutti i campi e soprattutto in questo caso, il metodo è ancora più im­ portante della stessa dottrina. È per questo che, prima di termi­ nare questa lunga introduzione, credo di dover sommariamente presentare, a tale riguardo, alcune ultime considerazioni preli­ minari. Ogni parallelo diretto e particolare di questa nuova filosofia politica con le attuali teorie sociali sarebbe qui essenzialmente prematuro, fino a quando il suo vero spirito generale non abbia potuto essere sufficientemente caratterizzato. Se non ho man­ cato il mio scopo, man mano che la filosofìa positiva si svilup­ perà gradualmente nel corso di questo volume, la sua superiorità necessaria e crescente su ogni altra maniera di trattare queste questioni si manifesterà naturalmente sempre più agli occhi del­ l’attento lettore, senza esigere quasi mai alcun paragone formale. Nondimeno, continuando ancora ad eliminare provvisoriamente ogni valutazione scientifica propriamente detta, e restando sem­ pre dal punto di vista puramente politico, il solo conveniente a questa introduzione, io credo di dovere, da questo momento in­ dicare, al fine di meglio sottolineare lo scopo finale diretto ma generale di tale operazione filosofica, il suo rapporto necessario con il duplice bisogno fondamentale della nostra epoca. L’inevitabile graduale ascendente di una simile dottrina so­ ciale deriverà soprattutto dalla sua perfetta coerenza logica nell’insieme delle sue applicazioni, proprietà eminentemente carat­ teristica, della quale non potrei abbastanza raccomandare la

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preponderante considerazione, essendo capace, meglio di ogni altra, di legare intimamente il punto di vista politico e quello scientifico. Direttamente applicata allo stato presente della ci­ viltà, la politica positiva ne abbraccerà simultaneamente tutti gli aspetti essenziali, e farà infine cessare questa deplorevole oppo­ sizione attuale, sopra considerata, fra i due ordini generali di necessità sociali, il cui comune soddisfacimento dipenderà di conseguenza da uno stesso principio. Non soltanto la politica contemporanea prenderà ormai da ciò, in tutte le sue diverse parti, un carattere omogeneo e razionale, che sembra oggi asso­ lutamente impossibile: ma inoltre si riconoscerà, spero, con piena evidenza, che la stessa concezione, che avrà completamente coordinato il presente, l’avrà anche profondamente collegato all’insieme del passato, in modo da stabilire direttamente uni esatta armonia generale nel sistema totale delle idee sociali, fa­ cendo spontaneamente risaltare l’uniformità fondamentale delli vita collettiva dell’umanità. Infatti questa concezione non potrà, per sua natura, essere trasportata allo stato sociale attuale, se non dopo aver preliminarmente subito la prova generale, noi meno decisiva che indispensabile, di spiegare, dallo stesso punto di vista, il susseguirsi continuo delle principali trasformazioni precedenti della società. È importante qui notare questa nuova condizione, senza la quale nessuna vera filosofia politica po­ trebbe evidentemente esistere, c che, tuttavia, è così profonda­ mente trascurata da tutte le scuole attuali. Non è unicamente, infatti, come si crede di solito, la dottrina critica che merita necessariamente un simile rimprovero, non occupandosi essen­ zialmente del passato se non per comprendere, in una cieca ripro­ vazione comune, tutti i periodi precedenti all’epoca rivoluziona­ ria. La scuola reazionaria stessa, malgrado le sue vane pretese al riguardo, e sebbene abbia dato una certa spiegazione, d’altra parte molto vaga ed arbitraria, dell*insieme del passato, si mo­ stra oggi completamente impotente a prolungare la sua teoria storica fino al solo punto in cui ella potrebbe acquisire una vera importanza politica legando il presente al passato. Incorrendo, in senso inverso, nel medesimo biasimo generale che essa im­ puta giustamente alla sua antagonista, si limita a deprecare uni­ formemente la situazione fondamentale delle società moderni da tre secoli, la quale non le sembra comprensibile che sup­

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ponendo l’umanità arrivata, non si sa come, ad una specie di mania cronica, incurabile a meno di un miracoloso intervento speciale della Provvidenza*. Questa subordinazione razionale dell’umanità ad una stessa legge fondamentale di sviluppo con­ tinuo, che rappresenta l’evoluzione attuale, quale che ne sia l’importanza preponderante, essendo il risultato necessario del susseguirsi graduale delle precedenti trasformazioni, costituirà certamente una proprietà esclusiva e spontanea della nuova filo­ sofia politica che si limiterà, a questo riguardo, ad estendere in­ fine ai fenomeni sociali lo spirito generale che già domina riguar­ do tutti gli altri fenomeni naturali. Per finire di valutare somma­ riamente la coerenza e l’omogeneità che dovranno inevitabil­ mente caratterizzare questa filosofia, è sufficiente rilevare, in ultimo luogo, che, al tempo stesso in cui essa stabilirà così, sia nel presente, sia nel passato, il più perfetto legame nell’intero si­ stema delle diverse nozioni sociali, collegherà tale sistema, in maniera tanto diretta quanto indissolubile, all’insieme totale della filosofia naturale, che, completata da questa indispensabile estensione, realizzerà ormai uno stato permanente e definitivo d’unità intellettuale fino ad allora essenzialmente chimerico. In esso tutti i diversi ordini principali di concezioni umane, irrevocabilmente subordinati ad uno stesso metodo fondamen­ tale, presenteranno, nei confronti di tutti i possibili fenomeni, un insieme razionale di leggi omogenee, che una rigorosa gerara. Questo caratteristico atteggiamento della scuola cattolica attuale non m’c mai parso più decisivo che osservandolo neH’illustre de Maistre, la cui eminente superiorità filosofica non ha potuto preservarlo da questa fon­ damentale incoerenza, necessariamente inerente alla sua dottrina. Ogni assennato lettore deve essere rimasto vivamente impressionato, a questo proposito, dallo strano contrasto che presentano la forza c la precisione veramente ammirevoli con le quali l'autore del Du Pape ha chiarito lo spirito fondamentale della politica del Medio Evo, paragonate all'incoercnza e alla frivolezza della sua irrazionale valutazione degli ultimi tre secoli, nei quali la società gli sembrava subire bruscamente una trasformazione assolutamente imprevista ed inconcepibile, senza alcuna radice anteriore. Il tono generale dell'autore, fino ad allora grave e solenne, diviene ben presto sdegnoso e violento : infine, un’opera che ha cominciato con Tanalisi razionalissima delle condizioni necessarie di ogni ordine spirituale finisce deplorevolmente, con una invocazione formale, puerile quanto mi­ stica, alla vergine Maria I

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chia scientifica non cesserà di coordinare esattamente. Sebbene la considerazione di questa solidarietà necessaria debba, senza dubbio, sembrare soprattutto scientifica, ho peraltro ritenuto in­ dispensabile segnalarla da questo momento, a causa della po­ tente influenza con la quale un simile legame tende evidente­ mente a secondare l’ascendente graduale della nuova filosofia politica. Infatti la politica positiva troverà così spontaneamente, in tutti gli spiriti, un punto d’appoggio generale, la cui impor­ tanza non può che accrescersi, e che servirà di base naturale al suo progresso universale. Nello stato irrazionale e disordinato delle nostre idee politiche, non si può affatto sospettare oggi quale sarebbe ben presto l’irresistibile energia di un movimento filosofico, nel quale l’intero rinnovamento della scienza sociale sarebbe diretto da questo stesso spirito la cui superiorità è una­ nimemente riconosciuta nei riguardi di tutte le altre categorie di nozioni reali. Tale è dunque la principale proprietà che deve caratterizzare questa nuova filosofia politica. È soprattutto così che, anche ne­ gli spiriti più ribelli, essa dovrà necessariamente trovare certi punti, più o meno estesi, di vero contatto, da dove il suo omo­ geneo sviluppo saprà sempre far apparire, in maniere diverse, una sufficiente rigenerazione intellettuale, adattandosi, senza ri­ pugnanza e senza sforzo, alle speciali convenienze di ogni caso principale. Essa sola può oggi veramente parlare ad ogni classe sociale, ad ogni partito politico, il linguaggio più adatto a far penetrare una vera convinzione, c mantenere nondimeno, al ri­ paro da ogni alterazione, l’insuperabile originalità elevata del suo carattere fondamentale. Solo essa può, essendo esente da de­ bolezze come da incoerenze, e abbracciando da un punto di vi­ sta sufficientemente elevato l’insieme della questione sociale, ren­ dere spontaneamente, a ciascuna delle più opposte scuole, una esatta giustizia per i suoi reali servigi, sia antichi sia recenti. Nessun’altra dottrina potrebbe ora, ricordando con autorità ad ogni partito il fine proprio del quale si onora, prescrivere abi­ tualmente l’ordine in nome del progresso ed il progresso in no­ me dell’ordine; in maniera che i due tipi di esortazioni si forti­ fichino l’un l’altro, invece di tendere ad annullarsi reciproca­ mente, come si vede ancora, per l’irrazionale opposizione che la politica stazionaria stabilisce necessariamente fra loro. Scevra

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d'altronde di tutti i diversi torti precedenti, questa nuova poli­ tica non deve temere alcun rimprovero di tirannia involutiva, né d’anarchia rivoluzionaria. Non la si potrà accusare che di no­ vità: essa risponderà innanzitutto con l’evidente insufficienza di tutte le teorie esistenti, ed in séguito ricordando che, da due se­ coli, lo stesso spirito positivo non cessa, sotto altri aspetti, di for­ nire incontestabili prove della sua necessaria supremazia \ Considerata soprattutto in rapporto all’ordine, la politica po­ sitiva non avrà mai bisogno, senza dubbio, d’alcuna apologia di­ retta, per chiunque avrà sufficientemente valutato, in base alle parti precedenti di questo trattato, quale è, a tale riguardo, la tendenza necessaria d’una simile filosofìa, a qualunque categoria d’idee essa si applichi. La scienza reale, considerata dal punto di vista più elevato non ha, infatti, altro scopo generale che stabilire e fortificare incessantemente l'ordine intellettuale che, non lo si rammenta mai abbastanza, è la prima base indispensabile di ogni altro vero ordine. Sebbene non sia qui il luogo conveniente per trattare direttamente questa questione fondamentale, riservata ad un ulteriore momento, non posso astenermi daH’indicare a. Essendo il solo finora posto da questo punto di vista di filosofia po­ litica, mi si perdonerà, spero, per questo motivo, di citare qui la mia espe­ rienza personale. Profondamente imbevuto, molto presto, come dovevo dapprima essere, di spirito rivoluzionario, considerato in tutta la sua portata filosofica, io non temo nondimeno di confessare, con sincero riconoscimento, c senza in­ correre in nessuna giusta accusa di incoerenza, la salutare influenza che la filosofia cattolica, malgrado la sua natura evidentemente reazionaria, ha in séguito esercitato sul normale sviluppo della mia filosofìa politica, soprat­ tutto con il celebre trattato Du Pape, non soltanto facilitandomi, nei miei lavori storici, un giusto esame generale del Medio Evo, ma anche richia­ mando maggiormente la mia attenzione diretta su condizioni d’ordine emi­ nentemente applicabili allo stato sociale attuale, quantunque concepite per un altro stato. Io credo, del pari, d’avere già sufficientemente provato, con il carattere generale di questo lungo discorso preliminare, che la politica positiva può essere pienamente equa verso la politica reazionaria e quella rivoluzionaria, senza far loro alcuna inutile concessione di princìpi, c senza che tale disposizione nuoccia alla fermezza del suo linguaggio più che alla precisione delle sue vedute. Quantunque Io spirito positivo debba ne­ cessariamente assoggettarsi in primo luogo a spiegare tutto, esso non po­ trebbe precludersi un’esatta valutazione finale, tanto più decisiva quanto meglio motivata.

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quanto il disordine ripugni profondamente allo spirito scienti­ fico propriamente detto, il quale gli è certamente molto più con­ trario, per sua natura, dello stesso spirito teologico, come sanno oggi tutti coloro che hanno un po’ approfondito l’una c l’alto filosofia. Per quanto riguarda le idee politiche, l’esperienza ha ormai sufficientemente provato che soltanto il metodo positivo può oggi disciplinare realmente intelligenze divenute sempre piò ribelli all’autorità delle ipotesi metafisiche, come all’impiego delle finzioni teologiche. Non vediamo forse, al contrario, questo stes­ so spirito attuale, così inutilmente accusato di tendere alio scetti­ cismo assoluto, accogliere sempre, con avida premura, la minima apparenza di dimostrazione positiva, anche quando essa è ancora prematura? Perché dovrebbe accadere altrimenti nei confronti delle nozioni sociali, in cui il bisogno d’invariabilità deve essere certamente ancor meglio sentito, se, in effetti, esse possono, in fondo, essere dominate anche dallo spirito positivo ? Il sentimento fondamentale delle leggi naturali invariabili, fondamento prima­ rio d’ogni idea di ordine, relativamente a fenomeni qualunque, potrebbe non avere più la stessa efficacia filosofica, non appena, completamente generalizzato, s’applicherà anche ai fenomeni so­ ciali, ormai ricondotti a simili leggi? La politica positiva è certamente la sola capace di frenare con­ venientemente lo spirito rivoluzionario, poiché essa sola può, senza debolezze ed incocrenze, rendergli un’esatta giustizia, e circoscrivere razionalmente entro i suoi veri limiti generali la sua indispensabile influenza. Fintanto che questo spirito non è attaccato, come si vede oggi, che in maniera essenzialmente as­ soluta, sotto l’ispirazione della filosofia reazionaria, con la quale la politica stazionaria, priva di ogni principio proprio, coincide allora necessariamente, esso resiste spontaneamente a queste vane recriminazioni che, per quanto legittimo possa esserne il fon damento parziale, non potrebbero neutralizzare l’irresistibile bi­ sogno che prova ora la nostra intelligenza di ricorrere a questa energica spinta, secondo la teoria precedentemente stabilita. Ma non può più essere così quando la nuova filosofia, pur manife­ stando il suo carattere eminentemente organico, si mostrerà spontaneamente ancora più idonea della filosofia rivoluzionaria stessa a sbarazzare finalmente la società da ogni qualsiasi traccia dell’antico sistema politico. Soltanto allora la tendenza anarchi­

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ca dei princìpi puramente rivoluzionari potrà essere direttamente combattuta, nel nome stesso della rivoluzione generale, con un successo veramente decisivo, che finirà per determinare gradual­ mente l’intero assorbimento della dottrina rivoluzionaria attuale, il cui principale compito politico sarà ormai meglio espletato dalla filosofia positiva. Indipendentemente da questi servigi immediati, la causa del­ l’ordine deve trarre anche, da una simile filosofia, vantaggi che, per essere meno diretti o meno salienti, non sono affatto di mi­ nore importanza politica. Tale sarà, innanzitutto, una pari valu­ tazione scientifica della vera natura delle diverse questioni so­ ciali, che tanto dovrà contribuire alla pacificazione fondamentale, rinviando alla riorganizzazione intellettuale e morale. A questa riorganizzazione si riferiscono essenzialmente molti argomenti delicati, che possono solo mantenere, in seno alla società, una profonda irritazione, pericolosa quanto sterile, quando ci si ostina a ricollegarli soprattutto alla riorganizzazione politica propriamente detta, come ho precedentemente spiegato. Avendo messo in piena evidenza che lo stato presente delle società mo­ derne non potrebbe immediatamente comportare, necessaria­ mente, che istituzioni puramente provvisorie, la politica positiva tenderà spontaneamente così a sviare dai diversi poteri esistenti, e, a maggior ragione, da qualsiasi loro titolare, l’attenzione esa­ gerata che ancora accorda loro l’opinione generale, per concen­ trare, al contrario, tutti gli sforzi principali su un saggio rinno­ vamento fondamentale delle idee sociali e, per conseguenza, dei pubblici costumi. Gli spiriti colti non potrebbero temere d’altra parte che questa indispensabile diversione razionale, il cui ter­ mine è nettamente definito, possa giammai degenerare in una totale indifferenza politica, poiché tale dottrina, incompatibile con ogni vano prestigio, non si è in alcun modo interdetta la elaborazione diretta delle istituzioni propriamente dette, nei cui confronti la sua attività si dirigerà necessariamente dal momento in cui essa potrà acquisire una vera importanza. Fino ad allora, oltre al fatto che la prospettiva finale d’una completa rigenera­ zione politica sarà spontaneamente sempre ricordata, questa dot­ trina si sforzerà anche, in secondo luogo, di imprimere alle istituzioni stabilite le diverse modifiche che potranno essere ne­ cessarie purché, invece di ostacolare esse secondino, per quanto

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possibile, l’evoluzione intellettuale e morale. Ma, mentre soddisferanno a questa indispensabile condizione, i poteri provvisori, qualunque sia la loro organizzazione, verranno notevolmente ad aumentare la loro sicurezza effettiva a causa dell’influenza na­ turale della politica positiva, la sola capace di fare abitualmente sentire ai popoli che, nello stato attuale delle loro idee, nessun cambiamento politico potrebbe offrire un’importanza veramente capitale, mentre le perturbazioni più o meno gravi che ne deri­ vano, oltre ai propri inconvenienti, hanno al contrario necessa­ riamente una funesta tendenza ad ostacolare lo sviluppo sponta­ neo della soluzione finale, sia perché esse ne dissimulano mo­ mentaneamente l’indispensabile bisogno continuo, sia perché ne distolgono l'attenzione pubblica. Si deve anche notare che lo spirito eminentemente relativo della filosofia positiva, malgrado la sua invariabile unità, dovrà gradualmente dissipare, a pro­ fitto evidente dell’ordine generale, questa disposizione assoluta, meschina quanto irrazionale, comune alla politica teologica ed a quella metafisica, la quale le porta incessantemente a voler uniformemente realizzare, in tutti gli stati possibili della civiltà, i loro rispettivi tipi di immutabili governi e che, per esempio, ha portato anche a non concepire, ai nostri giorni, altro mezzo fondamentale di civilizzare Taiti che con l’aiuto d’una impor­ tazione banale del protestantesimo e del regime parlamentare‘I Considerando, sotto lo stesso aspetto, un’influenza meno pro­ nunciata ma più permanente della politica positiva, si può ri­ conoscere, in secondo luogo, che, anche a riguardo dei mali politici incurabili, essa tende potentemente, per sua natura, a consolidare l’ordine pubblico, con lo sviluppo razionale d’una saggia rassegnazione. La politica metafìsica, che considera l’a­ zione politica come necessariamente indefinita, non potrebbe comportare un simile atteggiamento, la cui influenza abituale, sebbene costituisca una virtù puramente negativa, offre un aiuto così indispensabile, sotto ogni aspetto, contro il doloroso destino dell’uomo. Quanto alla rassegnazione religiosa, e soprattutto cri­ stiana, essa non è, in verità, malgrado tanti enfatici elogi, se non un prudente temporeggiamento, che fa sopportare le disgrazie i. Nell'anno in cui Coirne scriveva queste pagine (1838) la Ftancia ottenevi alcuni diritti sull’ isola, ma l’influenza polìtico-religiosa rimaneva ancora britannici

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presenti in vista di una ineffabile felicità futura. Non può, evi­ dentemente, esistere vera rassegnazione, cioè una disposizione permanente a sopportare con costanza, e senza alcuna speranza di una ricompensa qualsiasi, mali inevitabili, se non in conse­ guenza d’un profondo sentimento delle leggi invariabili che reg­ gono tutti i diversi generi dei fenomeni naturali. È dunque esclusivamente alla filosofìa positiva che si riferisce un simile atteggiamento, a qualunque soggetto si applichi, e, per conse­ guenza, anche ai mali politici. Se mai ve ne fossero che la scien­ za politica non potesse convenientemente raggiungere, e non credo se ne possa dubitare, essa potrà, almeno, come nei con­ fronti delle fatalità non meno penose della vita individuale, met­ tere sempre in piena evidenza la loro incurabilità necessaria, in modo da calmare abitualmente i dolori che essi producono con l’assidua convinzione delle leggi naturali che li rendono insupe­ rabili. A causa della sua maggiore complessità, il mondo poli­ tico deve essere certamente regolato ancora peggio del mondo astronomico, di quello fisico, del chimico o del biologico. Da cosa dipende dunque che le imperfezioni radicali della condi­ zione umana, contro le quali siamo sempre pronti ad insorgere con indignazione sotto il primo aspetto, ci trovano, al contrario, essenzialmente calmi e rassegnati sotto tutti gli altri, quantun­ que esse non vi siano meno pronunciate e meno spiacevoli ? Non si potrebbe dubitare, mi sembra, che questo strano contrasto si riferisca soprattutto al fatto che la filosofia positiva ha po­ tuto sviluppare finora il nostro sentimento fondamentale delle leggi naturali solo nei riguardi dei fenomeni più semplici, il cui studio più facile ha dovuto innanzitutto perfezionarsi. Quando la stessa condizione intellettuale sarà stata infine soddisfatta an­ che relativamente ai fenomeni sociali, essa vi produrrà necessa­ riamente conseguenze analoghe, facendo penetrare nella ragione pubblica i germi salutari d’una consapevole rassegnazione poli­ tica, generale o particolare, provvisoria o indefinita. Sarebbe conoscere ben poco le leggi essenziali della natura umana il ne­ gare sistematicamente l’efficacia necessaria d’una simile convin­ zione abituale, per concorrere, in alto grado, alla pacificazione fondamentale, calmando la vana inquietudine che ispira troppo spesso il chimerico risanamento dei mali politici veramente ine­ vitabili. Nessuno spirito giusto temerà d'altronde che una stupida

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apatia possa mai risultare da questa rassegnazione razionale, che non ha affatto il carattere passivo della rassegnazione religiosa, Poiché una simile filosofia non impone una sottomissione abi­ tuale che alla necessità pienamente dimostrata, e prescrive, al contrario, il nobile esercizio diretto dell’attività umana, non ap­ pena l’analisi del soggetto permetta di sperare in una qualsiasi vera efficacia. Per caratterizzare infine con un ultimo tratto definitivo li tendenza naturale della nuova filosofia politica al consolidamento generale dell’ordine pubblico, devo aggiungere qui, che, prima ancora d’aver potuto finalmente stabilire una qualche teoria sociale, essa tenderà direttamente, con la sola influenza del me­ todo, a riportare le intelligenze attuali ad uno stato veramente normale. Infatti, imponendo alla cultura generale delle questioni politiche una serie necessaria di condizioni scientifiche, la cu: indispensabile razionalità non possa dar luogo ad alcun sospetto d’arbitrio, essa avrà, per ciò stesso, dissipato il principale di sordine, che consiste soprattutto nell’accesso illimitato che k politica attuale apre forzatamente, in questo campo, agli spiriti più comuni e meno preparati. La semplice estensione alla cate­ goria dei fenomeni sociali della mia gerarchia scientifica fondamentale presenta subito un potente mezzo di disciplina intellet­ tuale, come ho indicato nel primo volume di questo trattato1, manifestando, con una piena evidenza, adatta a soggiogare fi­ nalmente lo spirito più ribelle, la lunga e difficile elaborazione preliminare che esige, per sua natura, ogni indagine razionale dei soggetti sociali. Tale indagine non potrebbe comportare un successo veramente scientifico che se fatta da intelletti molto temprati, degnamente preparati, quanto al metodo o alla dot­ trina, da uno studio preliminare sufficientemente approfondito di tutte le altre branche successive della filosofia positiva, per trattare convenientemente le ricerche più complesse che la no stra ragione possa intraprendere. Sarebbe certamente inutile il sisterc di più sulla spiegazione diretta di una influenza cosi evidente, che sarà d’altronde spontaneamente esaminata, pa diversi motivi, nel séguito di questo volume. Questa sommari indicazione è sufficiente, senza dubbio, perché, sotto tale aspeno I. Court cit., vol. I, Parigi, 1830.

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fondamentale, come sotto i diversi aspetti precedenti, la tenden­ za eminentemente organica della nuova filosofia politica non possa essere seriamente contestata da nessuno di coloro che han­ no studiato con qualche cura il vero spirito generale dell’epoca attuale. Dovevo qui preoccuparmi di segnalare soprattutto, essendo più frequentemente misconosciuta, questa proprietà fondamen­ tale della politica positiva di potere essa sola oggi sviluppare spontaneamente, con una energica e feconda efficacia, il sen­ timento fondamentale dell’ordine, sia pubblico, sia anche pri­ vato, che lo stato presente dello spirito umano abbandona ne­ cessariamente alla difettosa ed insufficiente protezione della po­ litica stazionaria e di quella reazionaria, in questo senso iden­ tiche. Relativamente al progresso, l’attitudine, molto meno con­ testata, di una simile filosofia non esige, in questo momento, spiegazioni così estese. Poiché, a qualunque soggetto si applichi, lo spirito positivo si mostra sempre, per sua natura, direttamente progressivo, essendo incessantemente occupato ad accrescere il cumulo delle conoscenze ed a perfezionarne il legame: così gli esempi usuali d’incontestabile progresso sono soprattutto presi oggi dalle diverse scienze positive. Dal punto di vista sociale, l’idea razionale del progresso, quale si comincia a concepirla, cioè di sviluppo continuo, con tendenza inevitabile e perma­ nente verso uno scopo determinato, deve essere certamente attri­ buita, come avrò occasione di spiegare specialmente nella lezio­ ne seguente, all’influenza inosservata della filosofia positiva. Infatti essa è la sola capace di togliere irrevocabilmente questa grande nozione dallo stato vago e fluttuante nel quale si trova ancora, assegnando nettamente lo scopo necessario del pro­ gresso e il suo vero cammino generale. Sebbene il primo passo in avanti del senso del progresso sociale sia certamente dovuto in parte al cristianesimo, in virtù della sua solenne proclama­ zione d’una superiorità fondamentale della legge nuova sulla vecchia, è nondimeno evidente che la politica teologica, proce­ dendo da un tipo immutabile, del quale soltanto un passato or­ mai lontano offre la sufficiente realizzazione, deve essere oggi considerata come radicalmente incompatibile con ogni vera idea di progresso continuo, e manifesta, al contrario, come ho già mostrato, un carattere profondamente retrogrado. La politica

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metafisica, dogmaticamente considerata, presenterebbe, in un grado quasi altrettanto pronunciato, per gli stessi motivi essen­ ziali, un’analoga incompatibilità, se la coesione molto inferiore delle sue dottrine non la rendesse ben più accessibile allo spirito generale del nostro tempo. Si può rilevare infatti che le idee di progresso non hanno veramente cominciato a preoccupare viva­ mente la ragione pubblica che da quando la metafisica rivolu­ zionaria ha perduto il suo primitivo ascendente. È dunque es­ senzialmente alla politica positiva che è ormai riservato lo svi luppo- generale dell’istinto progressivo, come quello dell’istinto organico. La sola idea di progresso che sia realmente propria alla po­ litica rivoluzionaria consiste nella piena e continua estensioni della libertà, cioè, in termini più positivi, nel progresso graduale delle facoltà umane; il che costituisce soprattutto un concetto negativo, ricordando essenzialmente una soppressione crescenti delle diverse resistenze. Ora, anche in questo senso ristretto; l’evidente superiorità della politica positiva non potrebbe, mi sembra, essere contestata. Infatti la vera libertà non può consi­ stere, senza dubbio, che in una sottomissione razionale alla solo supremazia, convenientemente constatata, delle leggi fondamen­ tali della natura, al riparo da ogni arbitrario potere personale. La politica metafisica ha inutilmente tentato di consacrare eoa il suo dominio, onorando col nome di legge qualsiasi decisione, così spesso irrazionale e disordinata, delle assemblee sovrane, qualunque fosse la loro composizione, decisioni d’altronde con­ cepite, per ima finzione fondamentale che non può cambiare la loro natura, come una fedele manifestazione di volontà popolari. Ma tutto questo culto metafìsico di entità costituzionali non po­ trebbe oggi veramente dissimulare la tendenza profondamente arbitraria che caratterizza necessariamente ogni filosofìa non po­ sitiva. Fintanto che i fenomeni politici non saranno, come tutti gli altri, collegati ad invariabili leggi naturali e fintanto che continueranno ad essere essenzialmente riferiti a qualsivoglia volontà, sia divina, sia anche umana, l’arbitrio non potrebbe es­ sere in verità escluso dai diversi regolamenti sociali; c, per con­ seguenza, nonostante tutti gli artifìci costituzionali, la libertà ri­ marrà forzatamente illusoria e precaria, a qualunque volontà si pretenda d’altronde di dare la nostra quotidiana obbedienza. Ri­

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tornerò, naturalmente più tardi, su questa importante conside­ razione. Ma non è evidente fin d’ora che la libertà assoluta, della quale la metafisica rivoluzionaria ha dotato oggi la nostra intel­ ligenza, non le serva finalmente, in realtà, che per correre inces­ santemente da un’aberrazione all’altra, sotto l’ardito ascendente, momentaneamente irresistibile, degli spiriti meno competenti? Soltanto la politica positiva potrà, stabilendo veri princìpi so­ ciali, impedire infine questo deplorevole sviamento, e sostituire sempre più il dominio delle convinzioni reali a quello delle vo­ lontà arbitrarie; in modo che, per questo come per tanti altri riguardi, il bisogno del progresso e quello dell’ordine saranno spontaneamente fusi nella comune soddisfazione. Questa nuova filosofia sociale è talmente adatta, per la sua natura, a realizzare oggi il completo soddisfacimento di tutti i voti legittimi che può formulare la politica rivoluzionaria, che essa sola potrà anche portare a termine convenientemente l’ope­ razione critica che ne costituisce l’oggetto principale, facendo gradualmente sparire, senza alcuna speranza di ritorno, tutto quanto ancora resta dell’antico sistema politico, del quale non deve infine rimanere che l’inalterabile ricordo d’una indispen­ sabile partecipazione all’evoluzione fondamentale dell’umanità. Finora questa grande lotta ha dovuto essere, come ho già indi­ cato, palesemente diretta dalla metafisica rivoluzionaria, sem­ plicemente secondata dallo sviluppo graduale e dal crescente pro­ pagarsi dello spirito positivo. Ma in verità quest’ultimo progresso naturale della ragione umana dava solo un’irresistibile potenza alla dottrina che così le serviva quale organo provvisorio, e la cui debole consistenza logica sarebbe stata, senza un simile ap­ poggio, incapace di un così grande successo. Tutto ciò si capisce con evidenza quando si rilegge oggi, a sangue freddo, la frivola e debole argomentazione sofistica che caratterizza quasi tutti gli scritti filosofici dell’ultimo secolo. Al punto decisivo al quale la lotta è ora arrivata, non potrebbe essere irrevocabilmente completata che dall’intervento diretto e preponderante della fi­ losofia positiva. Infatti, dal punto di vista logico, che finalmente predomina, la critica rivoluzionaria oggi è certamente impotente a rovesciare il sistema filosofico, troppo profondamente coordi­ nato, della scuola reazionaria, la quale, in ogni regolare discus­ sione, l’avrebbe ben presto portata a convenire che essa mette

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d’accordo i princìpi essenziali del regime antico, rifiutandone lt più indispensabili conseguenze, come ho spiegato : così lo spirito rivoluzionario sussiste, soprattutto ora, a causa di una sollecita, zione più o meno diretta di passioni che tendono d’altra parte a smorzarsi gradatamente. Soltanto la scuola positiva, la sola completamente conseguente, e perciò la sola, in fondo, vera­ mente progressiva, rendendo d’altra parte, senza la minima al­ terazione dei suoi princìpi, una precisa giustizia filosofica a cia­ scuna delle dottrine attuali, potrà fermare radicalmente il cam­ mino reazionario, perturbatore anche se sterile, della scuola cat­ tolica, ponendo direttamente, in presenza dello spirito religioso, nell’ordine delle idee sociali, il suo eterno antagonista, lo spirito scientifico, che l’ha già ridotto, in tutte le altre categorie intellet­ tuali, alla più irrevocabile nullità, come credo d’avere più che abbondantemente provato neH’insieme degli altri tre volumi di questo trattato. Questa influenza accessoria si eserciterà sponta­ neamente, in modo da non disturbare il corso generale dell’ope­ razione principale, come si vede d’ordinario nei riguardi d’una qualunque scienza, la cui azione critica, per energica che sia, non è mai che una conseguenza collaterale del suo sviluppo organica In verità, lo spirito positivo non potrà così togliere per sempre allo spirito teologico ogni influenza politica, senza che la stessa con danna non comprenda anche, necessariamente, lo spirito meta fisico, il quale, nonostante la sua rivalità, non è affatto, dal punto di vista scientifico, essenzialmente distinto da quello. Ma questi duplice esclusione simultanea non sarebbe senza dubbio che un gran vantaggio di più, sia per il progresso che per l’ordine, al tempo stesso compromessi oggi dalla supremazia momentanea de­ gli avvocati non meno che dalla vana opposizione dei preti. Considerando infine la causa generale del progresso politica dal più esteso punto di vista pratico, non si potrebbero miscono scere le potenti risorse, necessarie sebbene indirette, che la nuova filosofia politica deve gradualmente presentare al miglioramento fondamentale della condizione sociale delle classi inferiori, il che costituisce certamente la più grave difficoltà della politica con­ temporanea. La politica rivoluzionaria, la sola che ha servito di organo finora a questa parte del problema sociale, non ha potuto considerarla ancora che dal punto di vista insurrezionale. Tutu la sua soluzione si riduce essenzialmente d’altra parte a spostare

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le difficoltà, aprendo artificialmente un’uscita più o meno larga alle più attive ambizioni popolari; ed è anche ciò che progetta, a sua imitazione, la politica stazionaria, con l’esagerata circospe­ zione che abitualmente la caratterizza. Ma questo irrazionale espediente, qualunque sia la sua necessità provvisoria, lascia evi­ dentemente del tutto intatta la questione principale. Infatti tale soddisfazione, procurata ad un piccolo numero d’individui, abi­ tualmente diventati così i disertori della loro classe, non potreb­ be, alla lunga, in nessun modo placare le giuste lamentele delle masse, la cui condizione generale non riceve così alcun decisivo miglioramento, a meno che non si vogliano chiamare con que­ sto nome le speranze, chimeriche per la maggior parte degli in­ dividui, che trattengono incessantemente l’esca derisoria di que­ sta specie di gioco ascensionale, non meno ingannatore di qua­ lunque altro gioco. È anche incontestabile che, sviluppando de­ sideri smisurati, la cui comune soddisfazione è impossibile, con lo stimolare la tendenza, già troppo naturale oggi, al declassnmento universale, non si scarica cosi il presente che aggravando di molto l’avvenire, suscitando nuovi e poderosi ostacoli ad ogni vera riorganizzazione sociale. Tale è peraltro, nei riguardi di questo importante argomento, l’uniforme pensiero dei dottori attuali. Coloro che, ai nostri giorni, hanno più di tutti qualifi­ cato d’anarchia questa inutile soluzione, sono caduti, a questo proposito, nella più strana incocrenza, d’altra parte molto pe­ ricolosa, perseguendo ancora maggiormente il metodo stesso che essi condannavano, con l’inqualificabile proposito di sopprimere direttamente ogni proprietà reale; come se questa assurda utopia potesse, del resto, apportare al male qualche rimedio durevole. Poiché la maggioranza della nostra specie è evidentemente de­ stinata, per un’insuperabile fatalità, a restare per sempre com­ posta di uomini che vivono in maniera più o meno precaria, dei frutti successivi d'un lavoro quotidiano, è chiaro che il vero pro­ blema sociale consiste, a questo riguardo, nel migliorare la con­ dizione fondamentale di questa immensa maggioranza, senza declassarla in alcun modo e senza turbare l’indispensabile econo­ mia generale. Ma tale maniera di concepire la questione è esclu­ sivamente riservata, per la sua natura, alla politica positiva, con­ siderata come presiedente alla classificazione finale delle società moderne. Sebbene lo sviluppo d’una simile ricerca diretta sia in­

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compatibile con la natura essenzialmente speculativa di questo trattato, non dovrei tuttavia trascurare qui l’accenno sommario d’un punto di vista tanto importante. Dissipando irrevocabil­ mente ogni vano prestigio, e rassicurando completamente 1: classi dirigenti contro ogni invasione dell’anarchia, solo la nuovi filosofìa potrà utilmente dirigere la politica popolare propria mente detta, indipendentemente dalla sua duplice efficacia n» turale, sopra indicata, sia per stornare dall’ordine puramente p litico ciò che dipende dall’ordine intellettuale e morale, sia pe ispirare, nei confronti di mali assolutamente incurabili, usi saggia e ferma rassegnazione. Si vedrà d’altronde facilmente, nel corso di questo volume, che questa filosofìa, spingendo ne cessariamente a capo del movimento sociale uomini capaci i cu diritti legittimi sono quasi altrettanto misconosciuti oggi quanto quelli dei proletari, tende, collegando naturalmente le teste con le braccia, ad imprimere alla causa comune un carattere di gran­ dezza speculativa e di consistente unità, che deve potentemente contribuire al suo successo finale, c che non potrebbe essere rea lizzato altrimenti. Ogni più particolare indicazione s’allontane­ rebbe essenzialmente dallo spirito speculativo di quest’opera. Avrò, del resto, nel séguito di questo volume, molte occasioni naturali per far sentire direttamente che la riorganizzazione spi rituale, interponendo abitualmente, tra gli operai ed i loro cap, una comune autorità morale, indipendente quanto illuminata, offrirà più tardi la sola base regolare d’una pacifica ed equa con ciliazione generale dei loro principali conflitti, quasi abbando­ nati oggi alla brutale disciplina d’un antagonismo puramente materiale. Per quanto imperfetti debbano essere ancora i diversi giudizi generali che ho tratteggiato, essi sono nondimeno sufficienti, al­ meno mi sembra, a fare presentire le principali proprietà politi­ che che devono necessariamente caratterizzare la filosofia posi­ tiva, indifferentemente considerata in relazione all’ordine o al progresso. È così che questa nuova filosofia sociale, malgrado la sua severa valutazione razionale dei differenti partiti esistenti, può naturalmente trovare, in ognuno di essi, un incontestabile accesso generale, mostrandosi adatta a creare mezzi più efficaci al raggiungimento del rispettivo scopo che troppo esclusivamente ognuno persegue. Una tale politica, convenientemente applicata,

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potrà utilizzare, neirinteresse della riorganizzazione finale, al comune profitto del suo graduale ascendente, tutti gli avveni­ menti importanti che comporta lo stato presente della società, prima ancora che le sia minimamente stato possibile intervenire. Sia che, in un momentaneo successo, ogni partito manifesti più profondamente la sua insufficienza sociale; sia, al contrario, che nella disperazione d’una grave sconfitta, si mostri più disposto ad accogliere nuovi mezzi d’azione politica; sia infine che una specie di torpore universale metta più a nudo l’insieme dei bi­ sogni sociali, la nuova filosofia potrà sempre raggiungere oggi un certo risultato generale, per fare uniformemente penetrare, con un’opportuna applicazione quotidiana, il suo insegnamento fondamentale. Tuttavia bisogna, a mio avviso, rinunciare essenzialmente in anticipo, da questo punto di vista, ad ogni vera conversione della scuola reazionaria, integralmente considerata. Salvo felici anomalie individuali, che sono sempre possibili, e che potranno oggi stesso diventare più frequenti, esiste, fra la filosofia teolo­ gica e quella positiva, soprattutto riguardo alle idee sociali, un contrasto troppo fondamentale perché la prima possa mai ap­ prezzare sufficientemente la seconda, malgrado l’attitudine ben constatata di questa a meglio soddisfare al comune bisogno d’una vera riorganizzazione. Qui, come in ogni altro caso, la teologia scomparirà necessariamente davanti alla fisica, ma senza potersi trasformare, sotto la sua guida, al di là della sua attuale modi­ ficazione. Bisogna d’altra parte riconoscere, a questo proposito, che non è in generale l’ordine che oggi la scuola reazionaria per­ segue, ma soltanto un ordine unico ed invariabilmente precon­ cetto, al quale si ricollegano soprattutto o particolari abitudini dello spirito, o anche l’istinto degli interessi particolari: al di fuori della sua esclusiva utopia, tutto gli sembra egualmente di­ sordinato e, perciò, profondamente indifferente. La politica sta­ zionaria gli ha anche giustamente rimproverato, ai nostri giorni, di prestare direttamente ai più perniciosi tentativi di disordine un colpevole appoggio momentaneo, nella vana speranza di spin­ gere cosi, con più energia, alla restaurazione ulteriore del suo dominio, che essa si lusingherebbe di fare di conseguenza accet­ tare dalla società, come sola via di salvezza contro una immi­ nente anarchia materiale. Nella sua pretesa devozione all’ordine

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generale, la scuola reazionaria ha dunque frequentemente tra­ dito la sua disposizione prevalente a desiderare il mezzo piutto­ sto che lo scopo stesso. Ma la scuola stazionaria, nella quali l’amore dell’ordine, senza essere forse, in fondo più disinteres­ sato, è certamente, ciò che è soprattutto importante, infinita mente più imparziale, a causa della sua stessa mancanza carat­ teristica di princìpi propri e stabili, offrirà spontaneamente, a questo riguardo, alla nuova filosofia politica, l’accesso generali al quale essa non potrebbe ragionevolmente pretendere presso la scuola reazionaria. Sebbene le vane finzioni metafisiche della politica costituzionale o parlamentare tendano oggi ad allonta­ nare dannosamente dalla vera soluzione, esse non hanno potuto felicemente acquisire, nel continente europeo, un’autorità ab­ bastanza grande da impedire a questa filosofia di fare utilmente intendere la sua voce razionale ad una scuola così francamente disposta, come è, certamente, in generale, la scuola stazionaria, a stabilire finalmente, nelle società moderne, un ordine vera­ mente stabile, indipendentemente dai princìpi da cui derivi. Si può dunque sperare così d’agire utilmente, ad un certo grado, su questa parte essenziale del mondo politico attuale. Nondimeno, non devo nascondere qui che la scuola pura­ mente rivoluzionaria mi sembra essere oggi la sola sulla qualt la politica positiva possa esercitare direttamente un’azione vera mente capitale; infatti, malgrado tutti i suoi gravi inconvenienti, che certamente non ho affatto nascosto, soltanto questa scuola ha ora un carattere essenzialmente progressivo, il quale, a di spetto di tutti i suoi pregiudizi, le tiene lo spirito sempre aperto a nuove ispirazioni politiche. La nuova politica perseguirà il suo scopo principale, l’intera eliminazione del regime antico, molto spontaneamente, ed in maniera molto più efficace, seb­ bene soltanto semplicemente accessoria. Tutto ciò che le sut dottrine racchiudono di provvisoriamente indispensabile sarà naturalmente assorbito dalla politica positiva, pur respingendo per sempre le tendenze anarchiche alle quali, qualunque eoa se ne possa dire, la scuola rivoluzionaria ha già smesso di an­ nettere speciale importanza, alla sola condizione, di conseguenza pienamente soddisfatta, del progresso effettivo. Infine, quantun­ que l’antico sistema sia certamente abbastanza distrutto ora è

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permettere e da esigere addirittura l’elaborazione diretta della vera riorganizzazione sociale, si può nondimeno prevedere age­ volmente che il corso naturale degli avvenimenti, che non sem­ pre aspetta le nostre lente preparazioni filosofiche, determinerà, più o meno prossimamente, sia in virtù stessa del nostro stato intellettuale, sia a causa degli errori commessi dai governi at­ tuali, nuove manifestazioni pratiche della dottrina rivoluziona­ ria. Di questa indicherò in séguito i principali caratteri che, sin d’allora, disgraziatamente inevitabili, diventeranno forse anche relativamente indispensabili, per togliere radicalmente, alla fa­ tale apatia della nostra vana intelligenza, qualsiasi speranza di soddisfare, senza alcun bisogno di scoperte fondamentali, alle condizioni essenziali del problema sociale, con quella chimerica ricostruzione dell’antica filosofia politica, che costituisce oggi la banale risorsa di tanti spiriti incompetenti. Senza intervenire di­ rettamente in tali conflitti, se non per utilizzare gli insegnamenti, che essi fanno nascere, la politica positiva, che li avrà previsti, non potrebbe pretendere di turbare gli ultimi atti di supremazia della metafisica rivoluzionaria. Del resto, questa nuova filosofia, essenzialmente destinata, per sua natura, ad imprimere un progresso più completo a tutte le diverse facoltà reali della nostra intelligenza, non potrebbe, senza dubbio, tendere, in nessuna epoca, ad atrofizzare una così importante disposizione generale quale quella che costituisce lo spirito critico propriamente detto. Pur subordinandolo ormai irrevocabilmente allo spirito organico, essa gli offrirà direttamen­ te, come dirò a suo luogo, nuovi e grandi scopi politici, ben al­ trimenti interessanti della fastidiosa riproduzione attuale delle satire filosofiche deH’ultimo secolo. Invece di continuare, a solo profitto degli avvocati, una monotona guerra contro la influenza sacerdotale, lo spirito critico prenderà, senza dubbio, un’attività ben più completa e più incisiva, e al tempo stesso più utile, al­ lorché, in base ai princìpi generali della filosofìa positiva, in­ traprenderà la demolizione simultanea di ogni potenza metafi­ sica o teologica. Inoltre, i veri elementi definitivi del nuovo sisistema sociale si presteranno anche troppo, essi stessi, soprat­ tutto all’inizio, come tutti i poteri nascenti, ad un ampio eserci­ zio diretto, e più o meno continuo, dello spirito satirico, il cui

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inevitabile controllo potrà esercitare una felicissima influenza secondaria sullo sviluppo graduale del carattere politico che dcvt infine appartenere a ciascuno d’essi. Non si può dunque dubi­ tare, in base a tale insieme di motivi principali, che la nuova fi­ losofia sociale possa giustamente sperare oggi di trovare, per motivi diversi, sicuri punti d’appoggio naturali nei settori più avanzati della scuola rivoluzionaria propriamente detta. Qualun­ que siano tuttavia, anche in questa scuola, le disposizioni favo­ revoli che possono offrirle le diverse parti del mondo politico attuale, questi aiuti accessori, molto indeboliti d’altra parte da una inevitabile opposizione di dottrine, non potrebbero eviden­ temente dispensare, in alcuna maniera, questa filosofia dal con­ tare soprattutto direttamente sulla sua superiorità scientifica, prima e costante sorgente della sua graduale autorità. Una filosofia sociale che, prendendo la scienza reale come base generale indispensabile, chiama immediatamente oggi lo spirito scientifico a rigenerare il mondo politico, sembra, a pri­ ma vista, dover soprattutto attendere, se non un’attiva cooperazione, almeno incoraggiamenti energici e costanti da parte del la classe scelta che essa tende spontaneamente ad elevare per gradi ad una cosi eminente posizione fondamentale. Devo qui cao didamente confessare che, nei miei primi lavori di filosofia pò litica, io ho essenzialmente condiviso quest’illusione molto na­ turale, su cui solo una lunga esperienza personale mi ha in sé­ guito penosamente disingannato. L ’indifferenza politica della maggior parte degli scienziati attuali, per quanto veramente in­ credibile, in un tempo in cui le questioni sociali sono le più interessanti e le più urgenti di tutte, mi sembrerebbe dipendere principalmente dal profondo disgusto intellettuale che deve, in­ fatti, ispirare loro innanzitutto il carattere vago ed arbitrario dd metodi che presiedono ancora a tali ricerche, di contro alla per fetta razionalità dei procedimenti scientifici. Ma, nonostante l’in­ contestabile influenza di questa prima causa, un esame ulteriore mi ha poi gradatamente condotto a riconoscere altri motivi, al tempo stesso meno onorevoli e più forti, in base ai quali questa nuova filosofia deve contare molto poco sulle disposizioni favo­ revoli degli scienziati attuali, se non debba addirittura temere,

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sotto certi aspetti, la loro resistenza più o meno aperta, parziale d'altronde o momentanea, alla ascesa politica della loro classe*. Oltre alla comune partecipazione fondamentale di tutte le di­ verse classi della società all’anarchia intellettuale e morale che caratterizza così profondamente la nostra epoca, ognuna di esse ha anche la sua maniera di manifestare più particolarmente le proprie tendenze anarchiche. È ciò che fanno innanzitutto gli scienziati di oggi con gli inutili conflitti quotidiani che sorgono tra di loro a proposito delle rispettive attribuzioni, ogni volta che una stessa questione, che interessi contemporaneamente più bran­ che principali della filosofia naturale, solleva dibattiti senza soluzione, che testimoniano chiaramente l’assenza di ogni vera disciplina scientifica. Qualunque sia l’importanza molto signi­ ficativa di questa prima considerazione, l’anarchia scientifica si rivela oggi tuttavia, in maniera ben più caratteristica e perico­ losa, con l’unanime avversione dei nostri scienziati contro ogni sorta di generalizzazioni, con la loro esclusiva predilezione, dannosamente presa a sistema, per le specializzazioni sempre più particolarib. Non è questo il luogo adatto a porre in modo apa. Credo di dover notare qui un tratto veramente caratteristico, ben atto a mostrare fino a qual deplorevole grado questa classe, malgrado il vano orgoglio della maggior parte dei suoi membri, è oggi priva di ogni profondo sentimento della sua vera dignità sociale. I nostri legislatori metafisici hanno introdotto da qualche anno nella legge elettorale fran­ cese una strana disposizione che ammette la qualifica di accademico da computarsi ormai in cento franchi nel censo elettorale, salvo a completare in moneta il resto della capacità Ora, gli scienziati non hanno, certamen­ te, affatto testimoniato, allora né poi, la minima tendenza a respingere con indignazione tale decisione legislativa, per la quale ogni scienziato equivale politicamente alla metà d'un comune elettore: essi avrebbero piuttosto indirizzato solenni ringraziamenti agli avvocati per la concessione di questa cortesia di cui la maggior parte ha profittato normalmente. b. Questa avversione per generalizzazioni e questa pronunciata osti­ lità per qualsiasi generaiizzatorc, in qualunque maniera possa procedere, derivano anche, in molti scienziati attuali, da un segreto istinto d’egoismo, che credo di dover, con l'abituale franchezza, caratterizzare qui in poche parole, pur avvertendo d’altra parte che esso non potrebbe, per sua natura,

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t. Una rendita di 200 franchi era richiesta per godere del diritto elettorale se condo la legge costituzionale del 14 agosto 1830.

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propriato la grande questione filosofica della vera armonia fon damentale che deve regnare tra lo spirito del generale e quelle del particolare, e la cui esatta valutazione non può costituire che una delle principali conclusioni finali di questo trattato. Nella nalisi storica dello sviluppo intellettuale avremo ben presto oca sione di valutare più direttamente lo specioso paradosso, graduai mente elaborato durante gli ultimi due secoli, che permette oggi a tanti spiriti mediocri di farsi anche un facile merito scientifico mai esercitare, anche oggi, che una influenza puramente accessoria, pan fonata alla grande causa intellettuale indicata nel testo. La filosofia naturale è gii lontana adesso da quei tempi primitivi così ben descritti da Fontenelle, quando la prudenza paterna credeva d dover con cura interdire la carriera scientifica, che allora non poteva con portare essenzialmente che vere vocazioni, più o meno pronunciate. Pa­ che le organizzazioni ben caratterizzate sono, nella natura umana, emi nentemente eccezionali, e poiché nessuna classe potrebbe essere composti principalmente da anomalie, è stato ben necessario, man mano che L scienza, sviluppandosi, acquistava maggior importanza sociale, ch'usi desse accesso ad intelligenze più comuni. Accade dunque oggi, ed ormi accadrà senza dubbio sempre più, a causa anche degli incoraggiameni d’altra parte così utili, prodigati alle diverse scienze particolari, che le vo cazioni reali divengano, proporzionalmente, sempre meno numerose nel mondo scientifico, il quale tende sempre più a comporsi, per la maggia parte, d’individui poco eminenti, che hanno scelto questa professione coi» una qualunque altra, ed i cui lavori, senza potere mai imprimere alcun impulso fondamentale alla scienza, mantengono onorevolmente ¡I sue stato presente, con alcuni utili graduali miglioramenti. Ora, costoro scprai tutto devono essere abitualmente accaniti, in maniera più assoluta, conce ogni filosofia generale, soprattutto positiva, non soltanto in virtù di uno spirito più gretto che impedisce loro di afferrarne la portata reale, ai anche a causa della sua inevitabile influenza per ridurre, al loro giusto valore, i loro lavori ordinari. Infatti l’avvento delle generalizzazioni verimente positive non permetterà più di attribuire una grande importara alle ricerche particolari tranne nei rari casi in cui esse tenderanno dimu mente a determinare grandi progressi, il che renderà necessariamente beo più difficile l’accesso alle principali posizioni scientifiche, alle quali !t effimere individualità potranno così pretendere sempre di meno, essendo fi­ nalmente da allora regolarmente assoggettate a veri ed inevitabili giudizi Da costoro, principalmente, proviene il banale pretesto preso da improprie generalizzazioni, come se tutte le specializzazioni fossero abitualmente buone e come se non fosse soprattutto compito degli intellettuali di di­ stinguere con capacità a questo riguardo, secondo la loro funzione » cialc di guide razionali deU’opinione pubblica, ch'essi così abbandonano, contro la loro propria intenzione, ai soli metafisici.

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dell’eccessiva restrizione delle loro occupazioni quotidiane, in no­ me di quella strana organizzazione del lavoro, incidentalmente segnalata nel secondo volume, la quale stabilisce minuziosamente i quadri rispettivi delle minime specializzazioni, senza lasciare aicun posto determinato allo studio dei rapporti generali, essen­ zialmente abbandonato alle digressioni accidentali dei diversi scienziati, che le coltiverebbero, a titolo di passatempo, senza alcuna preparazione adatta. Diventerà di conseguenza inconte­ stabile che questo preteso principio costituisce un’irrazionale si­ stematizzazione metafisica, tendente a consacrare, come assoluta c indefinita, la situazione transitoria della nostra intelligenza durante il primo stadio della filosofia positiva, in cui lo spirito del particolare dovrebbe, in effetti, necessariamente regnare, fi­ no a quando la positività non fosse successivamente penetrata in tutti gli ordini di fenomeni naturali, condizione ormai suffi­ cientemente adempiuta. Comunque sia, devo qui indicare con esattezza, a questo riguardo, solo la semplice considerazione politica, che impone, con tanta evidenza, Tindispensabile obbligo d’una completa generalizzazione ad ogni filosofia che aspiri realmente al governo morale dell’umanità. È per questa unica qualità, come ho detto, già spesso, che la filosofia teologica e la metafisica, nonostante l’insufficienza e la decrepitezza incon­ testabile, prolungano ancora la loro inutile supremazia politi­ ca, Fintanto che la filosofia positiva non adempirà convenien­ temente questa condizione fondamentale, non potrebbe uscire dal suo stato presente di subalternità politica. L’esperienza quo­ tidiana non mostra forse, soprattutto in ciò che concerne le misure o le scelte dirette oggi dagli scienziati, tutte le volte, in­ somma, che lo spirito di insieme diviene, ad un qualunque gra­ do, direttamente indispensabile, che persone intelligenti comple­ tamente estranee alla scienza, ma che abitualmente considerano le cose da un punto di vista generale, sono in fondo più adatte degli scienziati specializzati, anche al genere di governo che sembrerebbe più in particolare dovere esclusivamente apparte­ nere a questi? E inoltre non si potrebbe negare che l’imperfe­ zione ordinaria dell’insegnamento scientifico miri principalmente oggi a questo allontanamento dallo spirito del generale, fatto questo del quale i nostri scienziati si inorgogliscono con una così funesta cecità. È dunque evidente che, per questa irrazionale

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disposizione, contribuiscono essi stessi, per quanto possibile, j mantenere direttamente la loro subalternità politica. I loro sen­ timenti sociali sono d’altra parte ordinariamente all’altezza delle loro idee. Scartando abitualmente la considerazione prevalente degli interessi materiali, e sviluppando la facoltà di afferrate rapidamente le diverse reazioni sociali, la cultura delle scienze positive sembrerebbe dovere, per sua natura, tendere potente mente a contenere, in coloro che vi si dedicano, il progresso continuo dell’egoismo individuale. Troppo spesso essa non sti­ ve oggi, al contrario, che a renderlo più sistematico e, per eoa seguenza, forse più corruttore. Ora, questa insensatezza passeg­ gera deriva senza dubbio principalmente dalla mancanza d’ideo generali negli scienziati odierni, che non hanno d’altra parte, a questo riguardo, altro vero torto che negarne dogmaticamento l’indispensabile necessità. Ogni speranza di qualsiasi cooperazione da parte loro, sb attiva sia passiva, alla fondazione d’una vera filosofia politici, con la conveniente estensione del metodo positivo allo studio fondamentale dei fenomeni sociali, deve dunque essere oggi o senzialmente abbandonata. Quelli fra loro che cominciano a ma­ nifestare una certa ambizione politica finora preferiscono quasi sempre mettersi semplicemente al servizio dei poteri e dei par tifi esistenti, salvo a non essere, come capita il più spesso, che puri strumenti per gli avvocati e gli altri metafisici; invece di tentare una nuova politica, veramente idonea allo spirito scien­ tifico, ma che obbligherebbe ad allontanarsi dalla comune abitu­ dine : gli scienziati rimasti speculativi sono forse abitualmente meno inaccessibili ancora ai suggerimenti generali della filo» fia positiva. Il progresso politico di questa filosofia potrebbe essere energicamente secondato, nel mondo degli scienziati, sal­ vo felici eccezioni individuali, solo dalle giovani intelligenze, il cui ardore naturale per le concezioni generali non è stato an cora affatto spento dall’influenza prolungata dei diversi pregiu­ dizi inerenti ad ogni specialità esclusiva. In questo senso, le di­ verse istituzioni di alto insegnamento scientifico, che tendono ad introdurre sempre più nella società attuale, molto al di là dei normali bisogni delle professioni scientìfiche, una giovinezzì

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profondamente imbevuta di spirito positivo, costituiscono a mio avviso una delle più preziose risorse che il passato ci abbia con­ servato per arrivare gradualmente alla riorganizzazione finale delle società moderne. Tali sono, in Francia, le scuole di medi­ cina, e soprattutto il nostro Politecnico, in virtù della sua emi­ nente positività, e malgrado il suo carattere incompleto. Una simile considerazione ha tanto più importanza in quanto, qua­ lunque siano, dal punto di vista filosofico, gli incontestabili in­ convenienti degli scienziati attuali, è nondimeno innegabile che lo spirito positivo, che ora si tratta di estendere alla politica, po­ trebbe essere, in generale, convenientemente sviluppato, come ho così spesso dimostrato, solo in coloro che, a tempo opportu­ no, abbiano ricevuto una profonda educazione scientifica, ciò che non può affatto verificarsi oggi che per i giovani destinati innanzitutto alle diverse specialità scientifiche, salvo qualche ano­ malia molto rara, sulla quale non bisogna contare. Questa considerazione sommaria dei principali punti d’ap­ poggio, che lo stato presente del mondo sociale può offrire all’im­ pulso rigeneratore della nuova filosofia politica, completa in mo­ do sufficiente l’indicazione generale, che dovevo delineare in questa lunga ma indispensabile introduzione, dello scopo fon­ damentale di una simile filosofia, per far fronte alle più gravi necessità della nostra epoca. Mettendo definitivamente lo spirito del lettore al punto di vista conveniente, e dandogli prima una specie di programma razionale dell’insieme delle condizioni da soddisfare, il grande lavoro che ho appena compiuto, quantun­ que soltanto preliminare, dovrà, spero, facilitare e nel contempo abbreviare di molto l’operazione principale. Soprattutto esso ne garantirà la completa efficacia politica, che, senza tale preambolo generale, sarebbe sostanzialmente sfuggita alla maggior parte degli spiriti attuali, le cui abitudini politiche sono generalmente così superficiali e irrazionali. I più sdegnosi uomini di Stato non potrebbero mettere in dubbio che la teoria che tentiamo di co­ struire direttamente sia veramente suscettibile di una grande uti­ lità pratica, poiché è ora dimostrato che il bisogno fondamentale delle società attuali è, per sua natura, eminentemente teorico, e che, di conseguenza, la riorganizzazione intellettuale, e perciò morale, deve necessariamente precedere e dirigere la riorganiz-

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zazione politica propriamente detta1. Tuttavia, dopo aver in pii mo luogo stabilito per soddisfare la giusta esigenza degli spiriti attuali, con tutta la cura che si conviene, questa grande ed inli ma correlazione, è opportuno ora tornare irrevocabilmente al punto di vista strettamente scientifico di questo trattato, e di perseguire lo studio generale dei fenomeni della fisica sociali nelle disposizioni tanto semplicemente speculative quanto in quelle che presiedono già alla cultura abituale delle altre sciai» fondamentali, non avendo altra ambizione intellettuale che quella di scoprire le vere leggi naturali d’un ultimo ordine di fenomca. I rapporti generali tra la teoria c la pratica, soprattutto in politi» saranno, nel séguito di questo volume, come ci si deve aspettare, diretta­ mente sottoposti ad un'analisi razionale. Io devo solo indicar qui, a questa proposito, che, nella politica, come in ogni altro caso, ogni confusione, • semplicemente ogni aderenza troppo stretta, tra la teoria c la pratica, t ugualmente funesta a tutte e due, ostacolando lo sviluppo della prima c li sciando che la seconda si agiti senza guida. Si deve pure riconoscere chci fenomeni sociali, a causa della loro maggiore complessità, devono esigot un maggiore intervallo intellettuale che in ogni altro soggetto scientifico, tra le concezioni speculative, per positive che possano essere, c la loro fi naie realizzazione pratica. La nuova filosofia sociale deve dunque difen­ dersi con cura dalla tendenza, troppo comune oggi, che la porterebbe) mischiarsi attivamente al movimento politico propriamente detto, il qualr deve soprattutto restare per essa un soggetto permanente di fondamentali osservazioni, dove essa non deve intervenire che per compiere la sua mit sionc generale di alto insegnamento. Nondimeno, la profonda confusioni che regna ora fra il governo spirituale e quello temporale non potrebbe senza dubbio, permettere sempre alla scuola positiva d’astenersi da ogni partecipazione diretta, sia nei diversi poteri costituiti, sia, in seno ai par­ titi esistenti, alla gestione quotidiana degli affari generali, non fosse eh per far meglio prevalere la sua fondamentale influenza. Ma questa scuoi) dovrà scrupolosamente vegliare a che questa incontestabile utilità non serva involontariamente di motivo abituale al vano errore d'ambizioni mal concepite. Infatti tale preoccupazione attiva e continua delle opera­ zioni quotidiane tende direttamente, soprattutto ai nostri giorni, ad im­ pedire o ad alterare ogni concezione veramente razionale del complesso del movimento sociale, a meno che una grande elaborazione preliminari dei veri principi politici non prevenga questa perniciosa fluttuazione ir alcune intelligenze privilegiate, che agirebbero esse stesse senza dubbio ancora piu saggiamente, sia per se, sia per la loro causa, conservando un) posizione puramente filosofica, almeno nella misura in cui la libera sedi) della loro particolare maniera d’influenza politica potesse esser loro per­ messa, il che, lo confesso, non è forse oggi sempre facoltativo.

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ni, estremamente notevole, e che non è mai stato così esami­ nato; senza la supremazia, ormai continua, d’una tale intenzio­ ne, la nostra operazione filosofica necessariamente fallirebbe. Nondimeno, prima di procedere in maniera diretta, mi rimane ancora da considerare sommariamente, nella lezione seguente, i principali sforzi filosofici già tentati per costituire la scienza sociale, e la cui valutazione generale deve «ottimamente tendere, soprattutto a causa delle abitudini attuali, a meglio caratteriz­ zare, sotto diversi aspetti essenziali, la natura e lo spirito di quest’ultima branca fondamentale della filosofia positiva.

LEZIONE XLVII Esame sommario dei principali tentativi filosofici intrapresi finora pe la costituzione della scienza sociale.

Il grado supcriore di complessità, di specializzazione, e nella stesso tempo di interesse, che caratterizza necessariamente i fe­ nomeni sociali, paragonati a tutti gli altri fenomeni naturali, per­ sino a quelli della vita individuale, costituisce, senza dubbio, in base ai princìpi generali di gerarchia scientifica stabiliti nell’in­ sieme di questo trattato, la principale causa dell’imperfeziont molto più accentuata che deve presentare il loro studio, a cui lo spirito positivo non potrebbe evidentemente avere alcun accessi razionale senza aver preventivamente cominciato a padroncf giare lo studio di tutti i fenomeni più semplici. Ciò non è stato realizzato convenientemente che ai nostri giorni, in virtù dell’importante rivoluzione filosofica che ha dato vita alla fisi» logia cerebrale, come ho già spiegato alla fine del volume pre­ cedente *. Ma, indipendentemente da questo motivo principale, già sufficientemente indicato, e che d’altra parte diverrà ben presto argomento d’una valutazione diretta, credo di dover co­ minciare, da questo momento, a segnalare una nuova conside­ razione, eminentemente adatta a spiegare, in maniera del tutto particolare, perché lo spirito umano non ha potuto finora fon dare la scienza sociale su basi veramente positive. Questa consi derazionc consiste nel fatto che, per la natura di tale studio, bI. I. Court cit., voi. III. p. 767 segg.

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nostra intelligenza non poteva realmente, prima dell’epoca at­ tuale, fondarsi su un insieme di fatti abbastanza esteso da indi­ rizzare convenientemente le sue speculazioni razionali riguar­ danti le leggi fondamentali dei fenomeni sociali. Spiegando sommariamente, all’inizio di quest’opera, l’invin­ cibile necessità logica che fa sempre esclusivamente dipendere il primo progresso speculativo di una qualunque dottrina dal­ l’impiego naturale d’un metodo puramente teologico, ho già sufficientemente indicato, anche nei riguardi dei fenomeni più semplici, l’impossibilità generale di formare originariamente il sistema di osservazioni atto a servire da base immediata ad ogni teoria positiva (cfr. la prima lezione). Ora, i fenomeni sociali, oltre che la loro partecipazione evidente e più pronunciata a que­ sto obbligo comune, presentano, sotto tale aspetto, questo carat­ tere eminentemente speciale: che la loro esistenza non poteva, all'inizio, essere abbastanza sviluppata da comportare una qua­ lunque osservazione veramente scientifica, anche quando lo spi­ rito umano fosse stato allora convenientemente preparato. In ogni altro soggetto, a causa dell’immutabile perpetuità dei fe­ nomeni, le osservazioni razionali non erano dapprima impossi­ bili che a causa dell’assenza, a lungo inevitabile, d’osservatori ben disposti. Ma, per un’eccezione evidentemente propria della scienza sociale, e che in particolare ha dovuto contribuire a pro­ lungare il suo stadio iniziale, è chiaro che gli stessi fenomeni sono stati a lungo privi della pienezza e della varietà di sviluppo indispensabile alla loro ricerca scientifica, facendo astrazione dalle condizioni che gli osservatori devono soddisfare. Senza un lento e faticoso progresso naturale dello stato sociale in una gran parte del genere umano, e fino a quando il corso naturale dell’evoluzione sociale non avesse gradualmente condotto a mo­ difiche abbastanza profonde e abbastanza generali della civiltà primitiva, questa scienza doveva trovarsi necessariamente priva di ogni base sperimentale veramente sufficiente. Questa evidente considerazione ci servirà più tardi a mettere più nettamente in evidenza l’indispensabile compito della filosofìa teologica nel dirigere i primi progressi dello spirito umano e della società. Ma qui non dobbiamo impiegarla che per meglio precisare gli ostacoli inevitabili che hanno dovuto tanto ritardare la forma­ zione d’una vera scienza sociale.

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Ogni discussione diretta e precisa della vera portata di que­ sto ostacolo fondamentale sarebbe per ora fuori luogo. Quando sarà venuto il momento d’effettuare, in uno dei capitoli succcssivi, questa esatta determinazione, mostrerò, spero, con assoluta evidenza, che, in séguito a tale obbligo, valutato con attenzione, la scienza sociale non ha cominciato a diventare possibile che basandosi proprio sull’analisi razionale deU’insieme dello svi­ luppo operato fino ad oggi nc\Y élite del genere umano, dovendo essere insufficiente ogni passato meno esteso. È così che le con­ dizioni relative alla successione stessa dei fenomeni coincideran­ no, in maniera tanto rigorosa quanto naturale, con quelle gii abbastanza stabilite daU’insieme dei tre precedenti volumi, rela­ tivamente alla preparazione deH’osservatore in séguito alla pre­ ventiva elaborazione delle branche meno complicate della filo­ sofia positiva, per designare, senza alcuna grave incertezza, il secolo attuale come l’epoca necessaria della formazione definitivi della scienza sociale, finora essenzialmente impossibile. Quantunque non sia qui il luogo di intraprendere convenien temente quest’importante dimostrazione, io credo di dover fare nondimeno una considerazione molto adatta a far già prevedere tale spiegazione, mostrando come la salutare scossa generali data alla nostra intelligenza dalla Rivoluzione Francese sia stali infine indispensabile per permettere lo sviluppo di speculazioni al tempo stesso abbastanza positive ed estese nei riguardi dei fe­ nomeni sociali. Fino ad allora, infatti, le tendenze fondamentali dell’umanità non potevano essere abbastanza decisamente carat­ terizzate per diventare, anche nei filosofi più eminenti e meglio disposti, l’oggetto d’una valutazione pienamente scientifica, atta a dissipare per sempre ogni grave fluttuazione. Fin tanto che il sistema politico, che, gradualmente modificato, aveva sempre presieduto allo sviluppo precedente della società, non era stato ancora così direttamente attaccato nel suo insieme da manife­ stare in maniera evidente l’impossibilità di perpetuare la sua supremazia, la nozione fondamentale di progresso, prima base necessaria di ogni vera scienza sociale, non poteva in alcun modo acquisire la fermezza, la precisione e la generalità senza le qual il suo scopo scientifico non avrebbe potuto essere conveniente­ mente realizzato. In breve, lo scopo essenziale del movimento sociale non era stato fino ad allora sufficientemente determinato,

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e perciò le speculazioni sociali si trovavano sempre radicalmente ostacolate da vaghe c chimeriche concezioni di movimenti oscil­ latori o circolari, i quali, anche oggi mantengono ancora, in tanti spiriti eminenti, ma mal preparati, una deplorevole esita­ zione, riguardo alla vera natura del progresso umano. Ora, la scienza sociale potrebbe veramente esistere, fin tanto che si ignori in che cosa consista questo progresso fondamentale? Il fatto stesso dello sviluppo generale, del quale una simile scienza deve studiare le leggi principali, può allora essere essenzialmente contestato; infatti, da tale punto di vista, l’umanità deve sem­ brare indefinitamente condannata ad un’arbitraria successione di fasi sempre identiche, senza sperimentare mai alcuna trasfor­ mazione veramente nuova e definitiva, gradualmente diretta verso uno scopo esattamente determinato dall’insieme della no­ stra natura. Ogni idea di progresso sociale era necessariamente interdetta ai filosofi dell’antichità, per mancanza di osservazioni politiche abbastanza complete ed estese. Nessuno di essi, anche tra i più eminenti e saggi, si è potuto sottrarre alla tendenza, allora tanto universale quanto spontanea, a considerare direttamente lo stato sociale contemporaneo come assolutamente inferiore a quello dei tempi precedenti. Questa inevitabile disposizione era tanto più naturale e legittima in quanto l’epoca di questi lavori filo­ sofici coincideva essenzialmente, come spiegherò in séguito, con quella della necessaria decadenza del regime greco o romano. Óra, questa decadenza che, considerando l’insieme del passato sociale, costituisce certamente un vero progresso, in quanto pre­ parazione indispensabile al regime più progredito dei tempi po­ steriori, non poteva essere in alcun modo giudicata in questa maniera dagli antichi, che non potevano immaginare una simile successione. Ho già indicato, nella precedente lezione, il primo schema generale del concetto, o piuttosto del sentimento, di pro­ gresso dell’umanità, come all’inizio necessariamente dovuto al cristianesimo il quale, proclamando direttamente la superiorità fondamentale della legge di Gesù su quella di Mosè, aveva na­ turalmente formulato quest’idea, fino a quel momento scono­ sciuta, d’uno stato più perfetto che sostituisse definitivamente uno stato meno perfetto, preliminarmente indispensabile fino ad

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una determinata epoca \ Sebbene il cattolicesimo così non abbii fatto, senza dubbio, che servire da organo generale allo sviluppc naturale della ragione umana, questo prezioso compito costituirà egualmente sempre, agli occhi imparziali dei veri filosofi, uoc dei più bei titoli per la nostra imperitura riconoscenza. Ma, in­ dipendentemente dai gravi inconvenienti del misticismo e della vaga oscurità, che sono inerenti ad ogni impiego qualsiasi dei metodo teologico, tale schema sarebbe certamente insufficiente a costituire una qualche valutazione scientifica del progresso so ciale. Infatti questo progresso così si trova necessariamente chiù so dalla formula stessa che lo proclama, poiché esso è assoluti mente limitato, nella maniera più assoluta, al solo avvento de: cristianesimo, al di là del quale l’umanità non potrebbe fare ui passo. Ora, poiché l’efficacia sociale di ogni qualsiasi filosofi: teologica è oggi e per sempre essenzialmente esaurita, è evidente che questo concetto presenta ormai, in realtà, un carattere emi­ nentemente reazionario, come ho già dimostrato, a confermi di una incontestabile esperienza, che non cessa d’essere compiuta sotto i nostri occhi. Da un punto di vista puramente scientifico, si comprende facilmente che la condizione di continuità costi tuisce un elemento indispensabile della nozione definitiva del progresso dell’umanità, nozione che rimarrebbe necessariamente impotente a dirigere l’insieme razionale delle speculazioni » ciali, se rappresentasse il progresso come limitato, per sua naturi, ad uno stato determinato, da lungo tempo raggiunto. Per questi diversi motivi, si può, da questo momento, capi« a prima vista, che la vera idea di progresso, sia parziale, sii totale, appartiene in modo esclusivo e necessariamente, alla filoa. È opportuno, mi pare, notare qui che questa grande nozione ap particne essenzialmente al cattolicesimo, dal quale il protestantesimo l’ha in séguito derivata in maniera molto imperfetta, ed anche fondamenta! mente erronea, non soltanto a causa del suo ricorso comune ed irrazio naie ai tempi della Chiesa primitiva, ma anche in virtù della sua ten­ denza continua, più cieca ancora c non meno pronunciata, a proporre se prattutto per guida ai popoli moderni la parte piu arretrata e pericolosi delle Sacre Scritture, quella cioè che concerne l'antichità giudaica. Si a d'altra parte che il maomettanesimo, prolungando, a suo modo, la stesa nozione, non ha fatto che tentare, a questo proposito, come per tanti altri, senza alcun miglioramento reale, una grossolana imitazione, evidente­ mente priva d'ogni vera originalità.

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sofia positiva, che nessun’altra, a questo riguardo, potrebbe sup­ plire. Solo questa filosofia potrà rivelare la vera natura del pro­ gresso sociale, cioè caratterizzare il termine finale, mai com­ pletamente realizzabile, verso il quale essa tende a dirigere ro­ manità, e a far conoscere nel contempo il cammino generale di questo sviluppo graduale. Tale attribuzione è già precisamente verificata dall’origine del tutto moderna delle sole idee di pro­ gresso continuo che abbiano oggi un carattere veramente razio­ nale, e che si riferiscono soprattutto allo sviluppo effettivo delle scienze positive, da cui esse sono naturalmente derivate. Si può anche rilevare che il primo prospetto soddisfacente del progres­ so generale appartiene ad un filosofo essenzialmente guidato dallo spirito matematico, il cui sviluppo, come ho così spesso spiegato, aveva dovuto precedere quello per tutt’altra maniera più complesso dello spirito scientifico. Ma, senza annettere a questa personale osservazione un’esagerata importanza, è incon­ testabile che soltanto la cognizione del progresso delle scienze ha potuto ispirare a Pascal questo ammirevole aforisma, per sem­ pre fondamentale: « Tutta la successione degli uomini, durante il lungo susseguirsi dei secoli, deve essere considerata come un sol uomo, che sempre sussiste, e che continuamente impara » \ Su quale altra base poteva prima fondarsi un simile punto di vista? Qualunque abbia dovuto essere l’immediata efficacia di questo primo tratto di luce, bisogna nondimeno riconoscere che le idee di progresso necessario e continuo non hanno cominciato ad acquisire una vera consistenza filosofica c a provocare vera­ mente un certo grado d’attenzione pubblica, se non in séguito al­ la memorabile controversia con la quale ha avuto inizio, con tanto scalpore, l’ultimo secolo, sul parallelo generale fra gli antichi c i moderni. Questa solenne discussione, la cui importanza è stata finora poco compresa, costituisce, a mio avviso, un vero avveni­ mento, d’altra parte convenientemente preparato, nella storia universale della ragione umana la quale, per la prima volta, osa­ va così proclamare infine direttamente il suo progresso fonda­ mentale. Ora, sarebbe senza dubbio inutile fare espressamente rilevare che soprattutto lo spirito scientifico animava i princi-1 1. Pascal, Préface pour le traité du vide , frammenio di un'opera sut vuoto ri* trusta in abbozzo.

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pali capi di questo grande movimento filosofìa), e costituiva di solo tutta la forza reale della loro argomentazione generale, malgrado l’erroneo indirizzo che essa aveva d’altronde per altri ri­ guardi; si noti anche che i loro più illustri avversari, con una ben decisa contraddizione, ostentavano di preferire il cartesiinesimo all’antica filosofìa. Per quanto sommarie debbano essere tali indicazioni, esse sono senza dubbio sufficienti a caratterizzare incontestabilmente l’origine evidente del nostro concetto fondamentale di progresso umano che, spontaneamente derivato dallo sviluppo graduali delle diverse scienze positive, vi trova ancora oggi i suoi fonda menti più stabili. Da questa necessaria sorgente, questo grandi concetto ha sempre teso, nel corso dell’ultimo secolo, ad esten­ dersi anche sempre di più al movimento politico della società Tuttavia quest’ultima estensione, come ho appena indicato, noi poteva acquisire alcuna vera importanza specifica, prima che l’energico impulso determinato dalla Rivoluzione Francese non fosse venuto a manifestare in modo precipuo la tendenza neces saria dell’umanità verso un sistema politico, ancora troppo va gannente caratterizzato, ma, prima di tutto, radicalmente dific rente dal sistema antico. Nondimeno, per indispensabile che sia stata tale condizione preliminare, essa è certamente ben lontani dall’essere sufficiente, poiché, per sua natura, si limita essenzial mente a dare una semplice idea negativa del progresso sociale. È unicamente alla filosofìa positiva, convenientemente comple­ tata dallo studio dei fenomeni politici, che appartiene il com­ pito di terminare ciò che essa sola ha veramente cominciato, rappresentando, nell’ordine politico come in quello scientifico, il susseguirsi integrale delle trasformazioni precedenti dell’uma­ nità come l’evoluzione necessaria e continua d’uno sviluppo ine­ vitabile e spontaneo, il cui indirizzo finale e cammino generale sono esattamente determinati da leggi assolutamente naturai. L’impulso rivoluzionario, senza il quale questo gran lavoro sa­ rebbe stato certamente illusorio ed anche impossibile, non j» trebbe, evidentemente, dispensarne a nessun titolo. È anche en­ denté, come ho spiegato nel capitolo precedente, che una supre­ mazia troppo prolungata della metafisica rivoluzionaria tende ormai, in diversi modi, ad impedire direttamente ogni sano con cetto di progresso politico. Comunque sia, non ci si deve pii

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meravigliare ora se il concetto generale del progresso sociale è ancora essenzialmente vago ed oscuro, e, perciò, radicalmente incerto. Anche le idee sono scarsamente progredite oggi su que­ sto argomento fondamentale, perché una confusione fondamen­ tale che, da un punto di vista veramente scientifico, deve sem­ brare estremamente grossolana, non ha ancora affatto cessato di dominare abitualmente la maggioranza degli spiriti attuali: vo­ glio parlare di quel sofisma universale, che le più piccole no­ zioni di filosofia matematica dovrebbero presto risolvere, e che consiste nel considerare un accrescimento illimitato. Tale sofi­ sma, per la vergogna del nostro secolo, serve quasi sempre di base alle sterili controversie che vediamo giornalmente prodursi sulla tesi generale del progresso sociale. Se l’insieme delle diverse riflessioni che ho esposto è potuto inizialmente sembrare un allontanamento reale dall’argomento particolare della lezione attuale, si deve ora comprendere quanto direttamente e necessariamente vi si riferisca. Avendo così spie­ gato prima l’impossibilità fondamentale di costituire fino ad oggi la vera scienza dello sviluppo sociale, la nostra valutazione generale di ogni tentativo, di conseguenza eminentemente pre­ maturo, di cui questa grande fondazione ha potuto essere l’og­ getto, si troverà naturalmente molto semplificata e abbreviata, o in maniera da non richiedere qui che una sommaria indica­ zione riguardo al principale carattere filosofico dei lavori corri­ spondenti. Ora, l’analisi precedente, sebbene semplicemente de­ lineata, è già sufficiente a mostrare con evidenza, a questo pro­ posito, che le condizioni propriamente politiche hanno, in ge­ nerale, esattamente coinciso con le condizioni puramente scien­ tifiche, in maniera da ritardare essenzialmente fino ai nostri giorni, con il loro concorso spontaneo, la possibilità di stabilire infine la scienza sociale su basi veramente positive. L ’influenza necessaria di questo duplice ostacolo è, per sua natura, talmente determinata che si estende, senza sforzo, con una precisione ri­ levante, fino alla generazione attuale, la quale, essendo la sola educata sotto l’impulso pienamente efficace della crisi rivolu­ zionaria, può infine trovare, per la prima volta, nell’insieme del passato sociale, una base sufficiente d’indagine razionale. Al tempo stesso, può essere convenientemente preparata ad as­ soggettare direttamente al metodo positivo lo studio generale

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dei fenomeni sociali, in virtù dell’introduzione preliminare delle spirito positivo in tutte le altre branche fondamentali della filo sofia naturale, ivi compreso lo studio dei fenomeni intellettuali e morali, la cui positività nascente non data che dall’inizio A questo secolo. Poiché il soddisfacimento di queste due impoi tanti condizioni era evidentemente indispensabile, sarebbe ccr tamente inutile e inopportuno intraprendere qui una critica pai ticolareggiata dei tentativi filosofici il cui successo doveva essere cosi necessariamente impossibile. Sarebbe il caso di dimostrare espressamente l’inutilità radicale degli sforzi intellettuali desti­ nati a Costituire direttamente la scienza sociale, prima ch’csu potesse poggiare su una base sperimentale sufficientemente estesa, e senza che la nostra intelligenza potesse essere abbastanza a zionalmente preparata? Gli sviluppi secondari che potrebbe util­ mente comportare un argomento così evidente sarebbero certa mente incompatibili con lo scopo principale di quest’opera. De­ vo dunque, a questo proposito, limitarmi a caratterizzare cosi, con una rapida esposizione, l’errore essenziale inerente a ciascuni di queste diverse operazioni filosofiche, il che, verificando in par­ ticolare il giudizio generale che ne abbiamo dato anticipatamente, servirà d’altra parte a meglio manifestare in seguitola vera natura d’una impresa ancora essenzialmente intatta. Sebbene, in base alle indicazioni precedenti, non si tratti af­ fatto di delincare qui, neanche a grandi tratti, la storia generale dei lavori successivi dello spirito umano relativamente alla scien­ za sociale, non credo nondimeno di dovermi astenere dal men zionare innanzitutto il nome del grande Aristotile, la cui me­ morabile Politica costituisce, senza dubbio, una delle più emi­ nenti produzioni dell’antichità, produzione che, del resto, hi fornito fin qui il tipo generale della maggior parte dei lavori ul­ teriori sullo stesso argomento. I motivi fondamentali qui sopri esposti sono, per loro natura, eminentemente applicabili ad uni opera in cui non poteva ancora penetrare alcuna cognizione delle tendenze progressive dell’umanità, né il minimo prospetto delle leggi naturali della civiltà, e che doveva essere essenzialmente dominata dalle discussioni metafisiche sul principio e la formi di governo : sarebbe, certamente, del tutto superfluo insistere, in qualunque maniera, su un caso così evidente. Ma, in un’epoci in cui Io spirito positivo, appena nascente, non aveva ancora co

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Blindato a manifestarsi debolmente che nella sola geometria, e allorquando, al tempo stesso, le osservazioni politiche erano necessariamente ristrette ad uno stato sociale quasi uniforme e puramente preliminare, considerato anche in una popolazione molto limitata, è veramente prodigioso che l’intelligenza umana abbia potuto produrre, su tale argomento, un trattato cosi pro­ gredito ed il cui spirito generale si allontana forse meno da una vera positività che in qualunque altro lavoro di questo padre immortale della filosofia. Si rilegga, per esempio (e, anche oggi, gli spiriti colti possono ancora farlo con buon risultato), la per­ spicace analisi con la quale Aristotile ha così vittoriosamente rifiutato le pericolose fantasticherie di Platone e dei suoi imita­ tori sulla comunità dei beni; e vi si riconosceranno agevolmente testimonianze tanto numerose quanto incontestabili d’una retti­ tudine, d’una sagacia e d’una forza che, in simili materie, non sono mai state superate finora, e raramente furono mai egua­ gliate. Tuttavia, non bisogna dimenticare che questa interessante valutazione sarebbe, per sua natura, essenzialmente estranea allo scopo principale di quest’opera. È troppo evidente, in séguito alle nostre precedenti spiegazioni, che la vera scienza sodale non potrebbe essere che d’istituzione moderna, e addirittura di origine recentissima, perché convenga qui fermarsi di più su qualsiasi lavoro dell’antichità, non fosse che per rendere un ri­ spettoso omaggio al primo progresso del genio umano su que­ sto importante argomento, e malgrado l’evidente influenza che questa memorabile elaborazione primitiva ha profondamente esercitato sull’insieme ulteriore delle meditazioni filosofiche. In virtù del duplice motivo generale sopra enunciato, sarà completamente superfluo menzionare in modo speciale questi diversi lavori successivi, d’altra parte sempre uniformemente condotti sul tipo d’Aristotile, semplicemente sviluppati dal na­ turale accumulo di nuovi materiali classificati press’a poco se­ condo gli stessi princìpi. Questi tentativi filosofici non possono cominciare ad occuparci in questa sede che a partire dall’epoca in cui, da una parte, la supremazia definitiva dello spirito posi­ tivo nello studio razionale dei fenomeni meno complessi ha po­ tuto permettere di comprendere realmente in che consistono, in generale, le leggi naturali, c dove, d’altra parte, il vero concetto fondamentale del progresso umano, sia parziale sia totale, ha

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preso infine gradualmente qualche consistenza reale. Ora, il concorso di queste due indicazioni, convenientemente valutale, non permette aiiatto di risalire più lontano della metà dell’ulcmo secolo. La prima e più importante serie di lavori che si pre­ senta come direttamente destinata a costituire infine la scienza sociale e allora quella del grande Montesquieu, dapprima od suo trattato sulla politica romana, e soprattutto in séguito nd suo Spirito delle leggi. Ciò che caratterizza, a mio avviso, la principale forza di que­ sta memorabile opera, in maniera da testimoniare incontestabil­ mente l’emmente superiorità del suo illustre autore su tutti! filosofi contemporanei, è la prevalente tendenza che si fa dap­ pertutto sentire a concepire ormai i fenomeni politici come altrettanto necessariamente assoggettati ad invariabili leggi ni turali quanto tutti gli altri fenomeni. Tale disposizione è cosi nettamente pronunciata, fin dall’inizio, in queU’ammirevole a pitolo preliminare l, dove, per la prima volta dopo il progresso iniziale della ragione umana, l’idea generale di legge si trovi infine direttamente definita, nei riguardi di tutti i soggetti pos sibili, anche politici, secondo funiforme accezione fondamen­ tale che la nostra intelligenza si era già abituata ad attribuirlo nelle più elementari ricerche positive. Qualunque sia l’impor­ tanza di questa innovazione capitale, la sua origine filosofici non potrebbe essere misconosciuta, poiché deriva evidentemente dall’intera generalizzazione finale d’una nozione incompleta che il progresso continuo delle scienze aveva dovuto gradualmente rendere molto familiare a tutti gli spiriti progrediti, come spon­ tanea conseguenza dell’impulso decisivo che aveva prodotto, un secolo prima, il grande insieme dei lavori di Cartesio, di Gì lilei e di Keplero, e che i lavori di Newton avevano così felice­ mente avvalorato. Ma questa incontestabile filiazione non deve alterare in alcun modo l’originalità caratteristica della conce­ zione di Montesquieu; infatti tutte le persone intelligenti sanno oggi che è soprattutto in simili estensioni fondamentali che con sistono realmente i progressi principali della nostra intelligenza. Bisogna stupirsi piuttosto che un simile passo abbia potuto essere concepito, in un tempo in cui il metodo positivo non ab I. M ontesquieu, Lo Spirilo delle leggi, trad. it.. 2* ediz., 1965, pp. 55-58.

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bracciava ancora che i più semplici fenomeni naturali, senza essere convenientemente penetrato nello studio generale degli esseri viventi, e senza essere neanche, per la verità, divenuto sufficientemente prevalente nei riguardi dei fenomeni puramente chimici. Questa ammirazione necessaria non potrà che accre­ scersi avendo anche presente il secondo aspetto elementare so­ pra segnalato, c considerando che la nozione fondamentale del progresso umano, prima base indispensabile d’ogni vera legge sociologica, non poteva avere, per Montesquieu, né la precisio­ ne, né la consistenza, né soprattutto la generalità completa che ha potuto farle acquistare in séguito la grande scossa politica sotto il cui impulso noi oggi pensiamo. In un’epoca in cui gli spiriti più eminenti, essenzialmente preoccupati di vane utopie metafisiche, credevano ancora alla potenza assoluta e indefinita dei legislatori, armati di un’autorità sufficiente, per modificare a volontà lo stato sociale, quanto bisognava essere avanti rispetto al proprio secolo, per osar considerare, con una così imperfetta preparazione, i diversi fenomeni politici come regolati sempre, al contrario, da leggi completamente naturali, la cui esatta cono­ scenza avrebbe dovuto necessariamente servire di base razionale ad ogni saggia speculazione sociale, finalmente adatta a guidare utilmente le combinazioni pratiche degli uomini di Statol Disgraziatamente, le stesse cause generali che danno origine con tanta evidenza a quest’incontestabile preminenza filosofica di Montesquieu su tutti i suoi contemporanei, fanno egualmente comprendere in maniera non meno evidente l’inevitabile impos­ sibilità di ogni successo reale in un’impresa così infinitamente prematura, quanto al suo scopo principale, le cui condizioni pre­ liminari più essenziali, sia scientifiche sia politiche, erano allora così lontane da una sufficiente realizzazione. È anche troppo noto, infatti, che il progetto fondamentale di Montesquieu non è stato affatto realizzato nell’insieme dell’esecuzione del suo la­ voro, il quale, malgrado l’eminente merito di certi particolari, essenzialmente non si allontana dalla comune natura dei diversi lavori precedenti, c non tarda affatto, in verità, a risalire, come questi, al modello primitivo del trattato di Aristotile, del quale egli non ha potuto d’altra parte assolutamente eguagliare, te­ nendo conto del tempo, la razionale composizione. Dopo aver riconosciuto, in linea di principio generale, la subordinazione

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necessaria dei fenomeni sociali ad invariabili leggi naturali, non si constata più nel corso dell’opera, che i fatti politici vi siami in realtà, in qualche modo ricondotti al minimo prospetto é queste leggi fondamentali : ed anche lo sterile accumulo di Caio Luscino Fabrizio, generale romano, console nel aBa a. C.

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dell’insieme di questo capitolo, correggere sufficientemente, in generale, le più gravi deviazioni dal vero punto di vista storico, da cui del resto Bossuet si è, a mio avviso, molto meno allonta­ nato, spontaneamente richiamato all’unità ed alla continuiti dalla natura stessa del suo grande disegno. D’altronde, il conca­ tenamento necessario di questo sistema con il precedente e eoo il successivo si troverà naturalmente caratterizzato qui appresso, soprattutto nella considerazione della transizione finale dal re­ gime politeistico al regime monoteistico, nella quale il genio di Bossuet ha così giustamente intravisto l’alta ed indispensabile partecipazione della dominazione romana. Nei confronti dei due tipi essenziali, l’uno intellettuale, l’al­ tro sociale, del politeismo militare, ho giudicato opportuno, per maggior chiarezza, avvicinarmi di più alle forme della valuta­ zione concreta. Ma è importante per il nostro scopo principale riconoscere direttamente che non mi sono affatto allontanato, in fondo, dal carattere astratto indispensabile a tale operazione, secondo le spiegazioni preliminari del capitolo precedente. In­ fatti i nomi greco e romano non distinguono qui essenzialmente società incidentali e particolari; essi si riferiscono soprattutto a situazioni necessarie e generali, che si potrebbero definire astrattamente solo con locuzioni troppo complicate. Dato che l’antichità aveva dovuto naturalmente presentare una grande varietà di popoli militari in cui, a causa dei motivi sopra in­ dicati, il vero regime teocratico non aveva potuto prendere piede sufficientemente, doveva avvenire, di necessità, in certi casi, che lo spirito militare, sebbene dominante, non potesse tra­ sformarsi in un vero sistema di conquista, in maniera da favo­ rire lo sviluppo intellettuale, in virtù delle cause locali e sociali sopra esaminate; mentre, in altri casi, con l’aiuto di influenze analoghe, ma inverse, questo sistema ha potuto, al contrario, svilupparsi adeguatamente. Ora, ognuna di queste due soluzioni estreme, alla lunga, diveniva naturalmente esclusiva, che fosse mentale o politica : se è evidente che, per sua natura, il sistema di conquista non poteva essere pienamente seguito se non in una sola popolazione preminente, non è, in fondo, meno certo, da un altro lato, che il movimento spirituale determinato, compa­ tibile con tale periodo sociale, potesse verificarsi sufficientemen­ te solo in un centro unico, salvo la semplice propagazione

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successiva, troppo spesso confusa con la produzione principale. Più si mediterà sull’insieme di questo grande panorama, meglio si capirà che, in questo doppio sviluppo dell 'élite dell’umanità, niente d’importante è stato, in realtà, essenzialmente fortuito, nemmeno i luoghi o i tempi, che i nomi riassumono. Quanto ai luoghi, ho già considerato più sopra la loro influenza gene­ rale sul carattere peculiare della civiltà greca : essa non è stata minore, quantunque inversa, per l’altra evoluzione. Evidente­ mente i due movimenti, politico e intellettuale, dovevano ope­ rare su terreni sufficientemente lontani, senza però esserlo trop­ po, affinché, all’origine, l’uno non fosse assorbito o snaturato dall’altro, e che tuttavia essi fossero suscettibili, dopo uno svi­ luppo rispettivo abbastanza grande, di compenetrarsi, in modo da convergere ugualmente verso il regime monoteistico del me­ dioevo, che vedremo emergere necessariamente da questa memo­ rabile combinazione. Relativamente ai tempi, è facile capire che l’evoluzione mentale della Grecia doveva inevitabilmente precedere di qualche secolo l’estendersi della dominazione ro­ mana, la cui affermazione prematura l’avrebbe ostacolata, per la compressione dell’attività indipendente da cui essa doveva risultare: e se invece l'intervallo fosse stato troppo lungo, la fun­ zione di propagazione universale e di applicazione sociale, così naturalmente riservata alla conquista, non sarebbe stata possì­ bile, poiché questo movimento originale, la cui durata doveva essere allora molto limitata, si sarebbe trovato in fln di vita al­ l'epoca stessa della comunicazione4. Da un altro lato, quando a. Se potessi insistere oltre su tale esame, come mi sarà permesso nel trattato speciale annunciato nel volume precedente, sarebbe possibile spie­ gare, per così dire, con una differenza dì pochi secoli e pochi gradi, l’epoca e la scena di questo doppio movimento umano. Si dimostrerebbe, per esempio, rispetto alla posizione dei due centri principali, l’uno intel­ lettuale, l'altro politico, l’influenza necessaria della situazione marittima, che doveva essere favorevole al primo c contraria al secondo, proprio a causa degli ostacoli che essa oppone direttamente allo sviluppo puramente militare, soprattutto all'inizio, c delle facilità che essa presenta per le co­ municazioni stimolanti, tanto mentali che industriali. Da un. altro lato, la sede della preponderanza militare non doveva essere troppo lontana dal mare, poiché il sistema di conquista non poteva evidentemente com­ pletarsi che con la supremazia marittima, anche se non avrebbe potuto inizialmente svilupparsi opportunamente, cioè per gradi saggiamente con-

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il primo Catone insisteva sull’espulsione dei filosofi, il pericolo politico inerente al contagio metafisico era senza dubbio già sicuramente passato, poiché l’impulso romano era allora trop­ po rilevante per essere veramente alterabile da tale contatto; ma se, al contrario, questo contatto permanente fosse stato suffi­ cientemente possibile due o tre secoli prima, esso sarebbe stato certamente incompatibile con il libero e puro sviluppo dello spi­ rito di conquista. Più si approfondisce lo studio generale della nazione romana, più si comprende che essa era veramente destinata, come ha così bene espresso il suo poeta, al predominio universale, scopo esclu­ sivo e costante dei suoi lunghi sforzi graduali. Sorta, come le altre popolazioni militari, da una base necessariamente teocra­ tica, essa si è, come loro, liberata finalmente da questo regime iniziale con la memorabile espulsione dei suoi re, pur mante­ nendo questo primo spirito politico in misura sufficiente per conservare alla propria organizzazione una consistenza altrove impossibile, e tuttavia pienamente compatibile con il movimento guerriero, per la preponderanza fondamentale della casta sena­ toriale, base di questo ammirevole edificio, in cui il potere sacerdotale si era intimamente subordinato al potere militare. Quantunque questa corporazione di capi ereditari, ugualmente saggi ed energici, non abbia sempre ceduto spontaneamente al popolo o all’esercito, sotto la spinta che lo indirizzava con par­ ticolare insistenza verso il sistema di conquista, essa vi è stata di solito trascinata dalla marcia naturale degli eventi. In gene­ rale, la formazione ed il perfezionamento della costituzione in­ terna, come anche l’estensione graduale della dominazione ester­ na, sono essenzialmente dipese, volta per volta, l’una dall’altra, molto più che da una misteriosa superiorità di intenti e di con­ catenati, che con l’espansione continentale, l'unica sufficientemente con­ tinua. Mettendo insieme razionalmente quest'importante dato con altre con­ dizioni analoghe, sia locali che sociali, sicuramente non si sarebbe molto lontani dal potere, in qualche modo, ricostruire a priori l’insieme dei de­ stini rispettivi di Atene, di Roma, e anche di Cartagine. Ma queste detti minazioni troppo particolari, divenute allora essenzialmente concrete, nuocerebbero qui alla nostra operazione fondamentale, a parte gli ampi sviluppi che esse richiederebbero, assolutamente al di là di qualsiasi eoo venienza attuale.

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dotta dei capi sìngoli o collettivi, a parte la naturale influenza delle personalità politiche, alle quali era aperto un grande av­ venire. Il successo è soprattutto dipeso, in primo luogo, dall’e­ satta convergenza di tutti i sistemi fondamentali di educazione, di direzione e di esecuzione verso un unico scopo omogeneo e continuo, accessibile più di qualsiasi altro a tutte le menti c an­ che a tutti i cuori : in secondo luogo, è risultato dal cammino saggiamente graduale della progressione; infatti, vedendo questa nobile repubblica impiegare tre o quattro secoli a stabilire soli­ damente la sua potenza in un raggio di venti o trenta leghe, verso l’epoca stessa in cui Alessandro sviluppava, in pochi anni, il suo meraviglioso dominio, si può facilmente intuire la sorte di ognuno dei due imperi, quantunque l’uno abbia d’altronde utilmente preparato, per quanto concerne l’Oriente, il futuro avvento dell’altro. Infine, il sistema generale di condotta, ben presto stabilito, e sempre seguito scrupolosamente, nei confronti delle nazioni successivamente soggiogate, non è stato meno im­ portante ai fini di questo grande risultato, a causa dell’ammire­ vole principio di incorporazione progressiva che lo caratterizza­ va, in luogo dell’avversione istintiva per lo straniero che accom­ pagnava ovunque altrove lo spirito militare. Se il mondo, che haresistito a tante altre pressioni, si è lasciato sottomettere dalla dominazione romana, andandole, a volte, persino incontro, sen­ zanemmeno fare grandi sforzi per evitarla, ciò è dovuto al nuo­ vo spirito di aggregazione vasta e completa che la contraddi­ stingueva. Quando si fa il raffronto tra il comune comporta­ mento di Roma nei confronti dei popoli conquistati, o piuttosto incorporati, con gli orrìbili tormenti ed i capricci insultanti che gli Ateniesi, in altri casi così affabili, prodigavano frequente­ mente ai loro tributari dell’Arcipelago, ed a volte anche ai loro alleati, si capisce bene che questa seconda nazione si affretta a sfruttare, a qualsiasi prezzo, una preponderanza che non ha nulla di stabile, mentre la prima si avviava con sicurezza alla supremazia universale. Da quell’epoca in poi, l’insieme dell’e­ voluzione politica non ha mai più potuto manifestarsi così pie­ namente e così unitariamente, allo stesso tempo fra le masse e fra i capi, rispetto allo scopo corrispondente. Quanto all’evolu­ zione morale, il suo progresso generale era in perfetta armonia, sottotutti gli aspetti importanti, con tale fine. Ciò è vero parti­

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colarmente per quanto concerne la morale personale, allora così attentamente coltivata, secondo lo spirito fondamentale di tutti l’antichità che favoriva tutto ciò che poteva rendere l’uomo più adatto alla vita guerriera. Nella morale domestica, il miglioramento, quantunque meno evidente, non è meno reale, in con fronto alle società greche, in cui i più eminenti personaggi per­ devano frequentemente la maggior parte del loro tempo in mez­ zo alle cortigiane; mentre invece, fra i Romani, la considera­ zione sociale delle donne e la loro legittima influenza erano certamente molto aumentate, quantunque la loro esistenza mo­ rale fosse, allo stesso tempo, ridotta più severamente che a Sparta, ad esempio, per ciò che richiede il loro vero fine, dato che le differenze caratteristiche dei due sessi, invece di scomparire, si sviluppavano progressivamente, secondo la legge specifica d'evo­ luzione : del resto, la semplice introduzione generale dei nomi di famiglia, sconosciuti ai Greci, basterebbe a confermare chiara mente che lo spirito domestico non aveva subito alcun declino. Infine, per la morale sociale stessa, nonostante la crudeltà e la durezza troppo diffuse nei confronti degli schiavi, freddamente paragonati agli animali nella vita normale, come esprime così ingenuamente il prudente Catone, e nonostante l’istinto feroce manifestato ed alimentato dall’orribile natura dei divertimenti abituali, non si può tuttavia misconoscere, in base alle indica­ zioni precedenti, che essa si sia allora notevolmente perfezionata, in merito al sentimento fondamentale del patriottismo, così mo­ dificato e nobilitato dalle migliori disposizioni verso i vinti, che si avvicinavano molto di più alla carità universale, ben presto eretta dal monoteismo a vero termine dello sviluppo morale. In una parola, in questa memorabile nazione, ancor più che inal­ cun altro caso dell’antichità, la morale è stata veramente, intutti i sensi, dominata dalla politica, la cui considerazione diretta po irebbe farla quasi esattamente immaginare. Nato per coman­ dare al fine di assimilare, destinato ad eliminare irrevocabilmen­ te, per il suo universale ascendente, la sterile attività guerrieri che minacciava di prolungare all’infinito la decomposizione del­ l’umanità in fazioni avverse, concordi solo nel respingere lo svi­ luppo comune della civiltà fondamentale, questo nobile popolo, nonostante le sue immense imperfezioni, ha certamente manife­ stato, in larga misura, l’insieme delle qualità più adeguate a tale

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missione che, non potendosi piu riprodurre né di conseguenza permettere un nuovo fulgore analogo, renderà necessariamente eterno il suo nome, per quanto possa prolungarsi la vita politica della nostra specie. Persino in fatto di evoluzione intellettuale, sebbene dovesse essere solo secondaria, esso non è mancato alla propria vocazione, quando è giunto il momento di svilupparla sottoquesto nuovo aspetto; essa non poteva allora consistere, in effetti, se non nel continuare e nel propagare il movimento men­ taleimpresso dalla civiltà greca : ora, in questo compito seconda­ rio, ma indispensabile, esso ha mostrato uno zelo lodevole, di moltosuperiore alle puerili gelosie che, persino a questo riguardo, completavano lo spirito di divisione dei Greci; qualunque sia stata d’altronde l’inevitabile inferiorità delle proprie imitazioni, salvo unristretto numero di eccezioni eminenti, di cui la più caratte­ ristica consiste nel genere storico, al quale l’insieme della sua si­ tuazione doveva più particolarmente chiamarlo. La decadenza stessa di questa nazione conferma, decisamente, tale valutazione, poiché essa ha essenzialmente seguito il compimento principale della sua missione caratteristica. Quando la dominazione romana ha raggiunto infine tutta l’estensione di cui era capace, questo vasto organismo, avendo perduto il solo movimento che l’ani­ mava, non ha tardato a dissolversi gradatamente, producendo una degradazione morale senza pari, poiché mai potrebbe esi­ stere una tale assenza di scopo e di princìpi, assieme ad una si­ mile condensazione di mezzi, sia di potere sia di ricchezza. Il passaggio simultaneo dalla repubblica aH'impero, sebbene eviden­ temente dettato da questa nuova situazione, che trasformava or­ mai l’estensione in conservazione, non costituiva affatto una vera riorganizzazione, ma soltanto un modo graduale di distruzione cronica di un sistema che, così fortemente organizzato per la conquista, non poteva senza dubbio cambiare subitamente di destinazione, e doveva perire invece di rigenerarsi. È chiaro, ineffetti, che gli imperatori, veri capi del partito popolare, non apportavano alcun nuovo principio di ordine, e non facevano che completare l’inevitabile abbassamento continuo della casta senatoriale, sulla quale tutto poggiava, ma il cui potere era irre­ vocabilmente perduto, non avendo più alcun fine permanente. Quando il grande Cesare, uno degli uomini più insigni che la nostra specie possa vantare, soccombette sotto il concorso spon­

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taneo del fanatismo metafisico con l’ira aristocratica, questo omi­ cidio celebre, insensato quanto odioso, non cambiò realmente nulla di essenziale nella situazione fondamentale: le sue orri­ bili conseguenze immediate riuscirono soltanto ad innalzare quali capi del popolo contro il senato uomini molto meno adatti al dominio del mondo; senza che i diversi cambiamenti successivi, frequentemente reiterati fino alla completa estinzione del sistema, abbiamo mai permesso, anche dopo i più indegni imperatori, il ritorno momentaneo dell’organizzazione veramen­ te romana, tanto la sua esistenza era intimamente legata allo svi­ luppo graduale della conquista. Dopo avere così caratterizzato sufficientemente i tre tipi essen­ ziali del regime politeistico dell’antichità, e determinato somma­ riamente la partecipazione necessaria e successiva di ognuno di essi all’operazione fondamentale che il politeismo doveva com­ piere per l’insieme dell’evoluzione umana, ci resta unicamente, per completare del tutto questa grande valutazione intellettuale e sociale, da spiegare rapidamente la tendenza spontanea di tutto il sistema a produrre finalmente l’ordine monoteistico del medio­ evo. Ciò, oltre che l’indispensabile transizione all’epoca seguente, ci permetterà di capire ancor meglio questo secondo stato teolo­ gico, mettendo direttamente in evidenza Io scopo definitivo verso il quale dovevano convergere, ognuna a suo modo, le sue varie fasi, e senza la cui considerazione permanente la sua nozione ge­ nerale resta necessariamente vaga e confusa in una certa misura; in una parola, resta assoluta invece di divenire relativa. Sotto l’aspetto puramente intellettuale, la filiazione è evidente e poco contestata, a causa della destinazione necessaria e continua della filosofia greca a servire gradatamente, fin dalla sua prima origine, da organo attivo alla decadenza irrevocabile del politei­ smo, al fine di preparare spontaneamente sempre più l'inevitabile avvento del monoteismo. L’unica rettificazione fondamentale che richiedono, a questo riguardo, le opinioni accettate oggi da tutte le menti illuminate, consiste nel riconoscere, in questa importante rivoluzione speculativa, l’infiuenza, latente ma indispensabile, dello sviluppo caratteristico, quantunque nascente, dello spirito positivo, di cui ho più sopra spiegato l’intima partecipazione per imprimere profondamente a questa filosofia, spesso all’insaputa dei suoi promotori, la natura intermediaria che, volendo cessare

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di essere puramente teologica senza poter ancora divenire real­ mente scientifica, costituisce lo stato metafisico, considerato come una sorta di malattia cronica transitoria, propria di questa fase indispensabile della nostra evoluzione mentale, individuale o col­ lettiva; infatti solo l’impressione, dapprima vaga e confusa, del­ l'esistenza necessaria delle leggi naturali, allora suscitata dalla pri­ ma impostazione razionale delle verità geometriche ed astrono­ miche, le uniche conoscenze reali già accessibili, ha potuto dare infine una vera consistenza filosofica alla disposizione universale al monoteismo, spontaneamente prodotta dal progresso continuo dello spirito di osservazione, il cui sviluppo particolare, sebbene empirico, doveva involontariamente manifestare a chiunque suf­ ficiente similitudini c relazioni fra i fenomeni per tendere a re­ stringere sempre più l’attualità e la particolarità dell’intervento soprannaturale che, in tal modo gradualmente concentrato, si av­ vicinava sempre più alla semplificazione monoteistica, fino ad al­ lora troppo sgradita al carattere incoerente delle concezioni pri­ mitive. Una generalizzazione iniziale delle concezioni teologiche, 10base al primo esercizio spontaneo dello spirito di osservazione daparte della massa degli uomini, aveva dapprima determinato 11 passaggio fondamentale dal feticismo al politeismo, come ho spiegato nel capitolo precedente : una generalizzazione nuova, in séguito ad uno sviluppo più vasto, doveva ugualmente condurre, intempo debito, e ancor più irresistibilmente, vista la minore dif­ ficoltà del cambiamento, a concentrare gradualmente, e a ridurre infine, per quanto possibile, l’azione soprannaturale, con la tran­ sizione analoga di quest’ultimo al monoteismo propriamente det­ to. Se l’instabilità, l’isolamento e la discordanza, necessariamente proprie delle osservazioni primordiali, non comportavano af­ fitto, in origine, l’unità teologica, che doveva allora sembrare assurda, era ugualmente impossibile che l’intelligenza, sufficien­ temente coltivata, non finisse col ribellarsi alla contraddizione diretta e generale che doveva sempre più presentarle la moltitu­ dine disordinata di queste capricciose divinità, confrontate allo spettacolo, di giorno in giorno più stabile e più regolare, che l’uomo cominciava poco a poco a vedere nell’insieme del mondo esterno. Abbiamo precedentemente osservato, a titolo di elemento es­ senziale del politeismo adeguatamente elaborato, un dogma gè-

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nerale, eminentemente atto a facilitare direttamente questa grande fase di transizione, la credenza indispensabile al destino, considerato come il dio proprio dell’invariabilitá, e il cui campo effettivo doveva, di conseguenza, aumentare incessantemente, a spese di quelli di tutte le altre divinità, divenute sempre più subalterne, man mano che l’esperienza accumulata svelava pro­ gressivamente alla ragione umana la permanenza fondamentale dei rapporti naturali. Questa, rimasta in un primo tempo ne­ cessariamente celata ad una indagine troppo isolata e troppo concreta, doveva inevitabilmente finire col determinare un’irre­ sistibile convinzione, base primordiale ed unanime di un nuovo regime mentale, pienamente maturo ormai per l'élite dell'uma­ nità, come sarà dimostrato dal séguito della nostra valutazione storica. Non si può non riconoscere tale modo principale di tran­ sizione, se si riflette che la provvidenza dei monoteisti non è altro, in realtà, che il destino dei politeisti, avendo ereditato a poco a poco le diverse attribuzioni preponderanti delle altre di­ vinità e al quale, in sostanza, si è solo dovuto dare spontanea­ mente un carattere più determinato e più concreto, in armonia con l’estensione ormai più attiva, in luogo del carattere troppo vago che esso aveva fino ad allora conservato, secondo la teoria indicata alla fine del capitolo precedente. Infatti il monoteismo assoluto, come lo intendono i nostri deisti metafisici, dopo la decadenza radicale della filosofia teologica, vale a dire rigoro­ samente ridotto ad un unico essere soprannaturale, senza alcun intermediario fra esso e l’uomo, costituisce certamente una pura utopia, non realizzabile e incapace di fornire la base di un vero sistema religioso, suscettibile di essere realmente efficace, da un punto di vista intellettuale, morale o, a maggior ragione, so­ ciale. Ogni trasformazione essenziale è quindi veramente con­ sistita, in generale, nel disciplinare e nel moralizzare l'innume­ revole moltitudine di divinità, subordinandola direttamente, in maniera regolare e permanente, alla suprema preponderanza di una volontà unica, che assegnava, a suo piacere, il compito di ogni agente più o meno subalterno; è così che le masse intendono il monoteismo, ed esse debbono certamente capirlo meglio di quanto non possa fare la sottigliezza dei dotti, in quanto essoè destinato soprattutto a loro, ed il loro istinto respinge giusta­ mente, considerandola sterile, l’idea di un dio senza ministri di

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alcun genere. In questa luce, il passaggio si è evidentemente ve­ rificato con la graduale trasformazione del dogma iniziale del destino in provvidenza, secondo la spiegazione precedente, sotto l'influenza crescente dello spirito metafìsico. Indipendentemente dai motivi principali sopra elencati, che assegnavano naturalmente alla filosofìa greca l’iniziativa essen­ ziale di tale elaborazione, quantunque ovunque più o meno pre­ parata, si può aggiungere accessoriamente l’armonia spontanea di questo spirito metafìsico, sempre caratterizzato dal dubbio si­ stematico e dall’indecisione delle vedute, con la tendenza gene­ rale dello stato sociale corrispondente. In conseguenza delle con­ dizioni fondamentali precedentemente esaminate rispetto al re­ gime greco, l’educazione, essenzialmente militare, non adeguata aduna esistenza reale che non poteva esserlo abbastanza, la na­ tura, necessariamente vaga e fluttuante, della politica abituale, latendenza contenziosa che divideva incessantemente quelle po­ polazioni allo stesso tempo simili e avverse, tutto quell’insieme di disposizioni continue doveva rendere lo spirito greco molto accessibile alla metafisica, che, appena giunto il momento, le ha aperto la carriera più conforme ai suoi gusti dominanti. Se fosse stato possibile, al contrario, che lo sviluppo metafìsico si ef­ fettuasse prima a Roma, esso vi avrebbe necessariamente trovato laripugnanza universale che doveva, a questo riguardo, sponta­ neamente ispirare la profonda influenza elementare prodotta dalla considerazione permanente di un grande fine comune, net­ tamente determinato e sempre omogeneo. Tale influenza è a lun­ gosopravvissuta alle cause che l’avevano fatta nascere, poiché Ro­ ma, una volta padrona del mondo, e non avendo più che da pro­ pagare c da disseminare l’evoluzione generale, non ha mai ve­ ramente partecipato all’elaborazione metafisica, malgrado le sol­ lecitazioni continue dei retori e dei sofisti greci, le cui lotte non poterono determinare per lo più che una specie di interesse tea­ trale. Nel suo primo sorgere, questa filosofia, come ho notato più sopra, pare essersi gradualmente sviluppata fino al punto da osare direttamente concepire, seppure in modo molto vago ed oscuro, per la rigenerazione futura deH’umanità, una specie di governo puramente razionale, sotto la direzione suprema di tale otalaltra metafìsica; come lo dimostrano tante utopie dell’epo­

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ca, d’altronde più o meno chimeriche, che, per vari secoli, con­ vergono tutte verso tale scopo, malgrado la loro discordai!» fondamentale. Ma, man mano che ci si occupava di più di ap­ plicare la filosofia morale alla condotta reale della società, l’im­ potenza organica, radicalmente inerente allo spirito puramente metafisico, doveva spontaneamente manifestarsi sempre più, in modo da fare unanimemente risaltare la necessità di accettate essenzialmente il monoteismo, attorno al quale circolavano tutte le speculazioni principali, e che doveva istintivamente costituire, agli occhi delle diverse scuole, la sola base allora possibile di una convergenza ardentemente cercata, e allo stesso tempo l’unico punto d’appoggio di una vera autorità spirituale, oggetto di tanti sforzi. Così si possono vedere, verso l’epoca in cui la domina­ zione romana aveva infine raggiunto la sua maggiore estensione, le varie sètte filosofiche, animate da un fervore più puramente teologico che nei due o tre secoli precedenti, applicarsi unani­ memente, sebbene non in modo concertato, a sviluppare ed a pro­ pagare la dottrina del monoteismo, come fondamento intellet­ tuale della vita sociale universale. Dato che la scienza reale na­ sceva appena nei confronti dei più semplici soggetti di specula­ zione astratta, e dato che la 'metafisica non poteva, alla prova, organizzare altro che il dubbio più assoluto, bisognava ovviamen­ te tornare alla teologia, di cui invano si era sperata l’eliminazione prematura, per coltivarne infine sistematicamente, in base al principio del monoteismo, le proprietà eminentemente sociali. Verso tale disposizione dovettero allora convergere spontanea­ mente le menti e gli animi migliori, ma che certamente nonin­ dicano che la stessa soluzione debba essere oggi riprodotta per una situazione intellettuale e sociale radicalmente diversa, quan­ tunque similmente anarchica. Del resto sarebbe inutile spiegare formalmente, a questo riguardo, l’estrema influenza felicemente esercitata dalla sola estensione effettiva della dominazione ro­ mana, sia organizzando spontaneamente vaste comunicazioni in­ tellettuali, sia soprattutto facendo direttamente risaltare, con il contrasto sterile dei diversi culti in tal modo ravvicinati, la ne­ cessità sempre più evidente di sostituire a questi una religione omogenea, che non poteva risultare che da un monoteismo più o meno pronunciato, l’unico dogma sufficientemente generale

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per convenire simultaneamente a tutti gli elementi di quella im­ mensa agglomerazione di popoli. Questa memorabile rivoluzione, la più grande che la nostra specie dovesse subire fino a quella attuale, deve anche apparire, e ancor più chiaramente, dal punto di vista direttamente sociale, un risultato non meno necessario della fusione spontanea del[influenza greca con l’influenza romana, all’epoca determinata della loro sufficiente compenetrazione, alla quale Catone si era invano opposto. Considerando da questo punto di vista l’insie­ me di questa inevitabile fusione, l’analisi sociologica spiega fa­ cilmente la tendenza comune, apparentemente così paradossale, dei diversi clementi di questo grande dualismo storico verso l’in­ troduzione fondamentale di un potere spirituale distinto ed in­ dipendente dal potere temporale, quantunque nessuno di essi ne ebbe certamente l’idea, ed ognuno perseguisse soprattutto lo sviluppo o il mantenimento del proprio dominio esclusivo: in modo che la soluzione è naturalmente dipesa dal loro necessario antagonismo. È incontestabile, in effetti, che la temeraria ambi­ zione speculativa delle sètte metafìsiche, come ho indicato più sopra, aveva osato sognare un predominio assoluto, sia temporale che spirituale, che avrebbe affidato la direzione abituale ed im­ mediata, non solo delle opinioni e dei costumi, ma anche degli atti e degli affari pratici, ai filosofi, divenuti, in tutti i sensi, capi supremi. La concezione di una divisione regolare fra il governo morale ed il governo politico sarebbe stata allora del tutto pre­ matura, e non è divenuta possibile che molto più tardi, quando la marcia naturale degli eventi l’aveva già sufficientemente de­ lineata: in orìgine, i filosofi non vi pensavano più di quanto notivi pensassero gli imperatori; e forse questa grande illusione, quantunque altamente chimerica, era ancora indispensabile per alimentare adeguatamente il loro ardore speculativo, sempre così precario, nella nostra debole natura intellettuale, soprattutto in untempo in cui, troppo vicina alla sua culla per essere sufficien­ temente radicata, essa non poteva trovare attorno a sé che un’ali­ mentazione propria troppo poco soddisfacente: comunque sia, il fatto è certo, ed è ciò che ci basta. L ’influenza filosofica era quindi, per sua natura, necessariamente costituita in insurrezio­ ne, latente ma continua, contro un sistema politico ove tutti i poteri sociali erano essenzialmente concentrati nelle mani dei

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capi militari. Benché i filosofi non aspirassero in realtà che ad una specie di teocrazia metafisica, chimerica quanto pericolosa, tuttavia è naturale che i loro sforzi perseveranti, senza fortuna­ tamente aver potuto raggiungere tale scopo, abbiano concorso direttamente alla reazione ulteriore del potere spirituale mono­ teistico. La sola esistenza permanente liberamente tollerata, Era le popolazioni greche, di una classe di pensatori indipendenti, che, senza alcuna missione regolare, si proponevano spontanea­ mente, agli occhi stupiti ma soddisfatti del pubblico e dei ma­ gistrati, per servire abitualmente da guide intellettuali e morali, sia nella vita individuale che nella vita collettiva, diveniva evi­ dentemente un germe effettivo di potere spirituale futuro, com­ pletamente separato dal potere temporale. Tale è, sotto l’aspetto sociale, il modo specifico di partecipazione della civiltà greca alla grande fondazione successiva, indipendentemente dall’uifluenza intellettuale che abbiamo appena esaminato. Da un al­ tro lato, quando Roma conquistava gradualmente il mondo, essa non contava affatto di rinunciare al regime, principale base della sua successiva grandezza, che rendeva la corporazione dei capi militari direttamente padrona di tutto il potere sacerdotale; e tuttavia essa concorreva in tal modo spontaneamente, nel modo più decisivo, a preparare la formazione imminente di un potere spirituale completamente indipendente dal potere temporale; io­ fatti l’estensione stessa di tale dominio doveva mettere semprepiù in luce l’impossibilità di mantenervi sufficientemente solidali le parti così diverse e così lontane, con una semplice centralizza­ zione temporale, per quanto essa potesse essere spinta ad una tirannica intensità. Inoltre, poiché la realizzazione essenziale del sistema di conquista, faceva ormai passare necessariamente l'at­ tività militare dal carattere offensivo al carattere difensivo, que­ sta immensa organizzazione temporale non poteva più avere uno scopo sufficiente, e tendeva pertanto a dividersi in numerosi principati indipendenti, più o meno vasti, che non avrebbero più lasciato alcun legame profondo e durevole fra le diverse se­ zioni, se la loro unione non fosse stata mantenuta o rinnovati dall’avvento spontaneo del potere spirituale, l’unico suscettibile di divenire veramente comune, senza una mostruosa autocrazia. Tale è, per la verità, come spiegherò direttamente nel prossimo capitolo, l’origine essenziale del feudalesimo del medioevo, trop­

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po superficialmente attribuito all’invasione germanica. Infine, risulterebbe ancora, evidentemente, dal felice sviluppo della do­ minazione romana, il bisogno, sempre più sentito, di una mo­ rale veramente universale, capace di unire adeguatamente po­ poli che, pur costretti ad una vita comune, erano però portati ad odiarsi dalla loro morale politeistica: ora, questo grande bi­ sogno era, da un altro lato, anche spontaneamente accompa­ gnato, secondo le nostre precedenti spiegazioni, dalla disposi­ zione, sia intellettuale sia morale, indispensabile alla sua succes­ siva soddisfazione, poiché i sentimenti e le vedute di questi no­ bili conquistatori si erano gradatamente elevati e generalizzati, di pari passo al loro successo. Con questa triplice influenza, il movimento politico non aveva quindi necessariamente concorso meno del movimento filosofico a fare uscire spontaneamente dall'insieme dell’evoluzione politeistica dell’antichità l’organizr zazione spirituale che costituisce il principale carattere del me­ dioevo, e di cui l’uno tendeva soprattutto a mettere in risalto la caratteristica di generalità, quanto l’altro la caratteristica di mo­ ralità. Sarebbe superfluo esaminare qui la correlazione evidente di queste due tendenze fondamentali, vale a dire l’attitudine esclu­ siva del monoteismo a servire da base a tale organizzazione : ciò che ci resta da considerare a questo proposito, dopo l’insieme delle spiegazioni, per il momento sufficienti, del capitolo at­ tuale, apparterrà naturalmente alla prossima lezione. Ma per finire di dimostrare che, contrariamente all’opinione corrente dei nostri filosofi, nessun elemento importante è fortuito in quest’ammirevole rivoluzione, di cui l’epoca e le conseguenze potrebbero essere razionalmente previste da una saggia combi­ nazione delle varie considerazioni precedenti, aggiungerò sol­ tanto che l’esame particolare di questa corrispondenza può es­ sere facilmente spinto fino a determinare da quale provincia ro­ mana doveva inevitabilmente cominciare lo sviluppo direttamenteorganico, risultato, in tempo opportuno, da questo grande dualismo, quando esso è potuto essere sufficientemente elaborato, dalla compenetrazione dei suoi diversi elementi. Infatti questa iniziativa immediata e decisiva doveva necessariamente apparte­ neredi preferenza alla parte dell’impero che, da un lato, era più particolarmente preparato al monoteismo, così come all’esisten­

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za abituale di un potere spirituale indipendente, e che, da un altro lato, in virtù di un nazionalismo più intenso e più radicato, doveva provare maggiormente, dal momento della sua annessio­ ne, gli inconvenienti dell’isolamento, e capire meglio la neces­ sità di farlo cessare, senza tuttavia rinunciare alla sua fede carat­ teristica, e tendendo anzi a propagarla universalmente. Da tutte queste caratteristiche è impossibile non riconoscere la vocazione, ugualmente peculiare e spontanea, della piccola teocrazia ebrai­ ca, derivazione accessoria della teocrazia egizia, e forse anche caldea, da cui essa proveniva molto probabilmente in virtù di una specie di colonizzazione eccezionale della casta sacerdotale, le cui classi superiori, da tempo giunte al monoteismo per il loro sviluppo mentale, hanno potuto essere portate a istituire, a titolo di asilo o di tentativo, una colonia completamente monoteisti­ ca1. In essa, nonostante l’avversione permanente della popola­ zione inferiore per un’istitiv-ione così prematura, il monoteismo ha però dovuto conservare un’esistenza faticosa, ma pura e di­ chiarata, almeno dopo aver acconsentito a perdere la maggior a. Persino in seno alla teocrazia politeistica più completa, gli uomini superiori, oltre alla loro tendenza intellettuale al monoteismo, più sopra spiegata, debbono provare, per quest’ultimo stato della filosofìa teologia, una specie di predilezione istintiva, a causa delle sue potenti risorse, chi vedremo presto, per assicurare l’ indipendenza della classe sacerdotale nei confronti della classe militare; mentre invece questa deve, per motivi ana­ loghi, ma inversi, preferire involontariamente il politeismo, molto piti compatibile con la propria supremazia, secondo la teoria stabilita più sopra. In base alla segreta influenza, durata a lungo, di queste intime di­ sposizioni, è quindi facile capire che i preti egiziani, e poi caldei, hanno potuto essere impegnati, o forse costretti, a tale tentativo di colonizzazione monoteistica, nella duplice speranza di svilupparvi meglio la civiltà sa­ cerdotale con la più completa sottomissione dei guerrieri, e di organizzale un rifugio sicuro per i membri della loro casta che fossero minacciati dalie frequenti rivoluzioni interne della madrepatria. Quantunque la natura delle mie opere non mi permetta di sviluppare adeguatamente tale spie­ gazione speciale del giudaismo, non dubito che questa nuova apertura storica, conseguenza delio scudio diretto ed approfondito dcU’iosienK dell'argomento, secondo la mia teoria fondamentale dell'evoluzione umana, potrà essere sufficientemente confermata dalla sua applicazione detta­ gliata all’analisi generale di questa strana anomalìa, se tale valutazione venisse intrapresa un giorno da un filosofo che avesse questa nuova vi suale razionale.

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parte dei suoi detti nella celebre separazione delle dieci tribù. Fino all'epoca della grande assimilazione romana, questa parti' colanti caratteristica era riuscita essenzialmente solo ad isolare più profondamente questa popolazione anormale, a causa proprio del vano orgoglio che, in base alla superiorità della sua credenza, ne esaltava lo spirito superstizioso di nazionalismo esclusivo che abbiamo riconosciuto come caratteristico di tutte leteocrazie. Ma questa particolarità si trova fortunatamente uti­ lizzata, facendo spontaneamente emergere, da questa trascurata parte dell’impero, concorrente, a modo suo, al movimento to­ tale, i primi elementi diretti della rigenerazione universale. Per manifestare meglio la portata della mia teoria fondamentale, ho creduto di dover caratterizzare razionalmente persino questa ini­ ziativa, ma non si deve tuttavia dimenticare che se anche questa valutazione secondaria dovesse essere tanto contestata quanto a mepare evidente, essa non altererebbe affatto il fondo essenziale dell’argomento, già sufficientemente spiegato. Dall’insieme delle cause intellettuali e sociali che abbiamo visto dominare questo grande movimento comune dell'élite dell’umanità, si comprende facilmente come, in mancanza dell’iniziativa ebraica, l’evoluzio­ ne generale non sarebbe stata priva di altri organi che le avreb­ bero necessariamente impresso una direzione radicalmente iden­ tica, trasferendo soltanto a certi libri, forse persi oggi, la con­ sacrazione che è stata applicata ad altri. Infine, si può ancora spiegare facilmente l’estrema lentezza di quest’immensa rivoluzione, nonostante l’intensità e la varietà delle influenze fondamentali, considerando la profonda concen­ trazione dei vari poteri sociali che caratterizza il regime politei­ stico dell’antichità, in cui si doveva cambiare tutto quasi allo stessotempo. Ciò che il sistema romano racchiudeva di teocratico si ritrova allora in prima linea, anche dopo che il compimento della conquista aveva dovuto tendere a dissipare essenzialmente le condizioni primordiali della fisionomia energicamente mar­ cata che aveva contraddistinto il suo periodo attivo. Si può, da questo punto di vista, considerare che i cinque o sei secoli che separano gli imperatori dai re costituiscono, neH’insieme della durata, molto più lunga, generalmente propria delle teocrazie antiche, una specie di immenso episodio militare, in cui il carat­ tere guerriero aveva dovuto cancellare, nella casta dominante,

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il carattere sacerdotale, dopo di che quest’ultimo ha dovuto ri­ prendere il suo ascendente originario, fino all’intera dissoluzione del sistema. Ma l’operazione stessa eseguita durante questo lungo intervallo aveva allora necessariamente sviluppato germi di una distruzione prossima, seguita da una inevitabile rigenerazione; ciò che non avviene in altre teocrazie, ove intervalli analoghi, anche se meno lunghi, possono essere osservati. Comunque sia, si capisce ora come questa specie di restaurazione spon­ tanea del primo regime teocratico, per la verità radicalmente svigorito, abbia dovuto naturalmente riprodurre l’accanito istinto conservatore che gli è proprio, nonostante la scarsa stabilità per­ sonale dei poteri effettivi, in conseguenza dell’inevitabile abbas­ samento della casta senatoriale rispetto al capo, essenzialmente elettivo, del partito popolare. Questa confusione intima e conti­ nua fra il potere spirituale ed il potere temporale, che costituiva lo spirito fondamentale del sistema, spiega facilmente perché gli imperatori romani, anche i più saggi ed i più generosi, non han­ no mai potuto capire, più di quanto non lo farebbero oggi gli imperatori cinesi, la rinuncia volontaria al politeismo, eoo li quale essi avrebbero giustamente temuto di concorrere essi stessi alla demolizione imminente di tutto il loro governo, fin quando la conversione graduale della popolazione al monoteismo di­ stiano non ebbe costituito spontaneamente una nuova influenzi politica, che permetteva, e poi esigeva persino la conversione fi­ nale dei capi, che terminava l’evoluzione preparatoria, ed impo­ stava il nuovo regime, con un sintomo decisivo della potenza reale ed indipendente del nuovo potere spirituale, che nc doveva essere la molla principale. Tale è la valutazione fondamentale dell’insieme del politei­ smo antico, successivamente considerato, in maniera razionale sebbene sommaria, nelle proprietà essenziali, intellettuali o so­ ciali, che lo caratterizzano astrattamente, e quindi nelle diverse manifestazioni necessarie del regime corrispondente; in modo da determinare infine la sua tendenza totale a produrre sponta­ neamente la nuova fase teologica che, nel medioevo, dopo aver essenzialmente realizzato tutta l’ammirevole efficacia sociale di cui tale filosofia era suscettibile, ha reso possibile, e persino indi­ spensabile, l’avvento successivo della filosofìa positiva, come si tratta ora di spiegare. In questa vasta e difficile elaborazione, più

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ancora che in rutto il resto della mia operazione storica, ho do­ vuto ridurre per quanto possibile un’esposizione il cui svi­ luppo particolare mi era vietato, limitandola principalmente a semplici asserzioni metodologiche, sufficientemente complete e soprattutto sufficientemente collegate affinché il mio pensiero nonfosse mai equivoco, senza potermi fermare ad alcuna dimo­ strazione formale, di cui la più breve avrebbe richiesto un com­ plesso di prove del tutto incompatibile con la natura di questo trattato, come anche con i suoi limiti necessari. Evidentemente costretto a continuare a procedere così, bisogna quindi, una volta per tutte, avvertire direttamente il lettore che qui mi debboaccontentare della semplice proposizione esplicita del nuo­ vosistema di vedute storiche che risultano dalla mia teoria fon­ damentale dell’evoluzione umana, affinché questa teoria divenga pienamente giudicabile, ma senza che mi sia concesso di farne anche il confronto generale con l’insieme dei fatti conosciuti, confronto che devo essenzialmente riservare al lettore, e solo in base al quale egli potrà opportunamente pronunciarsi sul prin­ cipale valore reale di questa nuova filosofia storica.

LEZIONE LIV Valutazione generale deU’ultimo stato teologico dell’umanità. Età monoteistica. M odificazione radicale del regim e teologico e mi­ litare.

Dopo l’indispensabile periodo di assimilazione iniziale, suf­ ficientemente raggiunto attraverso il graduale estendersi della dominazione romana, secondo le spiegazioni del precedente ca­ pitolo, il regime monoteistico era necessariamente destinato a completare l’evoluzione provvisoria dell'¿lite umana, dando mo­ do alla filosofia teologica, il cui declino intellettuale stava per iniziare, di mostrare la sua vera forza nell’iniziare l’uomo ad una nuova vita sociale sempre più conforme alla sua vocazione autentica. Ed è per questo che, qualunque siano effettivamente le qualità spirituali del monoteismo, dobbiamo, prima di esami­ narle, procedere alla valutazione razionale della sua influenza sociale, che più profondamente lo contraddistingue, seguendo un cammino inverso di quello fatto per l’analisi fondamentale del sistema politeistico. Per quanto l’etica sociale del monoteismo si riferisca più alla morale che alla politica, la sua maggiore forza morale è dipesa sempre dalla sua esistenza politica; dob­ biamo perciò determinare innanzitutto i veri attributi politici di quest’ultimo regime teologico. In quest’importante valutazione, come nelPinsieme dello stu­ dio storico, possiamo naturalmente tralasciare di fare la distin­ zione generale che abbiamo dovuto fare, nel precedente capitolo, tra la valutazione astratta delle diverse caratteristiche essenziali

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del sistema in esame e la successiva analisi dei vari metodi da seguire per la sua effettiva realizzazione; il che ci permette di abbreviare notevolmente la nostra operazione attuale senza pe­ raltro nuocere al raggiungimento del nostro scopo principale. Infatti, nonostante la notevole conformità di qualsiasi tipo di monoteismo, non solo quanto ai dogmi teologici, ma anche quan­ toai precetti morali, compreso il maomettismo e quello che ine­ sattamente viene chiamato cattolicesimo greco, è solo al vero cat­ tolicesimo, detto giustamente cattolicesimo romano, che spet­ tava il compito, in Europa Occidentale, di racchiudere in sé sufficienti caratteristiche del regime monoteistico del quale non dovremo quindi esaminare gli altri aspetti specifici*. Infine, dato che la fondamentale introduzione di un potere spirituale, per­ fettamente indipendente e distinto dal potere temporale, ha certo costituito nel medioevo l’attributo principale di tale sistema politico, dobbiamo innanzitutto valutare rapidamente quest’im­ portante creazione sociale, dalla quale poi passeremo facilmente ad un giudizio generale sull’organizzazione temporale corri­ spondente. 11 monoteismo, per la sua stessa natura, tende sempre neces­ sariamente a provocare una modifica radicale dell’antico organi­ smosociale, permettendo e persino determinando una sufficiente uniformità di credenza, che implica l’estensione dello stesso si­ stema teologico a popolazioni abbastanza numerose per non poter essere raggruppate sotto un unico governo temporale; donde risulta, nella classe sacerdotale, un aumento simultaneo a. Il termine cattolicesimo mi sembra sotto ogni aspetto preferibile al termine cristianesimo, non solo perché piò espressivo nel distinguere

nettamente il vero regime monoteistico da tutte le organizzazioni vaghe, socialmente inesistenti e persino pericolose, con le quali lo si è troppo spesso confuso, ma specialmente perché tale termine è piò razionale in quanto, senza menzionare il fondatore come nel maomettismo o buddi­ smo, ccc., si riferisce direttamente ai suo grande attributo di universalità, condizione essenziale dell'organizzazione spirituale, c che quantunque sia stata raggiunta solo in modo imperfetto dal cattolicesimo, è pur sem­ pre il concetto piò idoneo sul quale basarsi per valutarlo. Tutti certa­ mente sanno cosa sia un cattolico, mentre nessuna mente qualificata po­ trebbe oggi vantarsi di capire cosa sia un cristiano, il quale rientra nel centinaio di variazioni incoerenti che separano il luterano primitivo dal puro deista attuale.

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di solidità c di prestigio, suscettibile di servire da base alla sua indipendenza politica, che era incompatibile con l’inevitabile di­ spersione della influenza religiosa del regime politeistico, come ho già notato nel capitolo precedente. Nonostante questa sua tendenza caratteristica, una lunga e penosa elaborazione di fat­ tori diversi è stata necessaria perché il monoteismo potesse final­ mente realizzare, in una società adeguatamente preparata, un tale perfezionamento dell’organizzazione primitiva, e, come ho già spiegato, ciò fu reso possibile per merito dell’incontro dello sviluppo progressivo della potenza romana con la filosofia greca. Abbiamo persino riconosciuto che la filosofia greca non si fece mai un’idea esatta del vero scopo sociale verso il quale, a sua insaputa, tendeva naturalmente, dato che, nello sforzo ostinato verso la costituzione di una potenza spirituale propria, essa non intendeva assolutamente stabilire, tra i due poteri, una separa­ zione razionale, ancora troppo incompatibile con lo spirito po­ litico dell’antichità; ma essa perseguiva una mera utopia, tanto pericolosa quanto chimerica, quando preconizzava, come tipo sociale, una specie di teocrazia metafisica, che avrebbe affidato ai filosofi le redini di tutti gli affari umani. Tuttavia, tutte le utopie, soprattutto quando provengono da un concorrere di fatti così unanimi e così continui, non solo indicano necessariamente un certo bisogno sociale più o meno palese, ma preannunciano l’avverarsi più o meno prossimo di un mutamento politico de­ stinato a soddisfarlo; infatti, persino nei suoi sogni più audaci, lo spirito umano non può allontanarsi del tutto dalla realtà, e le sue libere speculazioni sono, nell’ordine politico, più limi­ tate che altrove, data la maggiore complicazione dei suoi feno­ meni; tanto che, dopo il compiersi di ogni fase sociale, vi si può in genere riconoscere il precorrere di concetti utopistici da tempo accettati, che posseggono già le caratteristiche fondamentali, an­ che se profondamente nascoste, e talvolta alterate, dall’inevitabile impasto con nozioni più o meno contrarie alle leggi fondamen­ tali della nostra natura individuale e sociale. Si può quindi fa­ cilmente constatare che l’istituzione del cattolicesimo ha realiz­ zato, nel medioevo, nella misura in cui lo permetteva allora lo stato mentale dell’umanità, ciò che nelle concezioni politiche delle varie scuole filosofiche poteva veramente servire sul piano pratico, prendendo da ciascuna, con molta saggezza, le caratte­

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ristiche più originali, c respingendo spontaneamente tutti i con­ cetti assurdi e nocivi che svisavano radicalmente la loro appli­ cazione sociale; nonostante la ingiusta accusa troppo spesso mossa ancora oggi al sistema cattolico, di avere cercato di costituire una teocrazia pura, di cui riconosceremo fra breve, e senza la mini­ ma incertezza, la necessaria incompatibilità con il vero spirito fondamentale di un tale regime. Per quanto l’intelligenza debba esercitare necessariamente un’influenza sempre più pronunciata sulla condotta generale de­ gli affari umani, individuali e sociali, la sua supremazia politica, sogno dei filosofi greci, è una pura utopia, direttamente contra­ ria, come ho osservato nel precedente capitolo, alla economia reale della nostra natura cerebrale, in cui l’attività mentale è generalmente tanto meno vitale dell’attività affettiva. Nessun potere umano, anche il più grossolano e il più ristretto, potrebbe interamente fare a meno dell’appoggio spirituale, dato che ciò che viene chiamato, in politica, una forza vera e propria, non può risultare che da un determinato concorrere di individualità, la cui formazione spontanea presuppone l’inevitabile esistenza, nonsolo di alcuni sentimenti comuni, ma anche di opinioni suf­ ficientemente convergenti, senza le quali nessuna associazione potrebbe perdurare, nemmeno se poggiasse su di una sufficiente conformità di interessi. Ciononostante è tanto più palese il fatto che l’ascendente sociale principale non potrebbe mai appartenere all'attività mentale più elevata, allo stesso tempo troppo sottova­ lutata c poco capita per ottenere dal volgo un giusto grado di ammirazione e gratitudine. La massa degli uomini, prevalente­ mente destinata all’azione, simpatizza più con le organizzazioni di mediocre intelligenza, ma in genere più attive, che non con quelle puramente speculative, nonostante la profonda preminen­ za spirituale di queste ultime, spesso misconosciuta appunto per la loro elevatezza. Inoltre, la gratitudine universale deve orien­ tarsi spontaneamente di preferenza verso i servizi capaci di sod­ disfare immediatamente l’insieme delle esigenze umane, tra cui quelli dell’intelligenza, qualunque sia la loro incontestabile real­ tà, sono lungi dall’essere al primo posto, come ho già stabilito nel terzo volume di questo trattato, È indubbio che i maggiori successi pratici, militari o industriali, esigono, per loro natura, minor sforzo intellettuale della maggioranza dei lavori teorici

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di una certa importanza, senza voler risalire alle speculazioni estetiche, scientifiche o filosofiche più importanti; tuttavia essi ispireranno sempre non solo un interesse maggiore ed una più perfetta gratitudine, ma anche una stima più sentita ed una più profonda ammirazione. Quali che siano, in realtà, nella vita umana, individuale e soprattutto sociale, gli immensi benefici deH’intelligenza, da cui dipende, in ultima analisi, il progresso continuo dell’umanità, la partecipazione spirituale per ogni ri­ sultato conseguito abitualmente è troppo indiretta, lontana ed astratta per poter essere valutata giustamente senza un’analisi più o meno complessa, che la stragrande maggioranza degli uo­ mini, anche colti, non sa effettuare con prontezza e chiarezza sufficienti per suscitare un immediato entusiasmo paragonabile alFimprcssione violenta così spesso provocata dai benefìci im­ mediati, anche se in fondo meno importanti e più facilmente ottenibili, dell’attività pratica. Persino nel campo scientifico e filosofico, i concetti più generali, e in particolare quelli che di­ rettamente si riferiscono al metodo, nonostante la loro superio­ rità finale, non solo quanto al merito intrinseco ma anche quanto all’utilità effettiva, o sono del tutto disprezzati o non richiamano affatto sui loro sublimi ideatori la considerazione personale che scoperte di minore importanza riescono invece a suscitare. Que­ sto è stato dolorosamente provato in tutte le epoche della uma­ nità dai principali fautori della grande evoluzione dello spirito: da Aristotile a Cartesio, a Leibniz ecc. Nulla senza dubbio è più adatto di questo concetto a dare la diretta riprova della radicale assurdità del cosiddetto regno assoluto dello spirito, che tantofu ricercato dai filosofi greci e dai loro moderni imitatori. In tal modo si può chiaramente capire che sotto l’influenza reale di tale principio sociale, apparentemente tanto attraente, la mag­ giore autorità politica, in questo caso usurpata con troppa faci­ lità da intelligenze mediocri, ma prudenti, non potrebbe assolutamente appartenere ai pensatori più eminenti, la particolare su­ periorità dei quali può essere adeguatamente apprezzata soloin séguito al compimento della loro nobile missione; essi infatti sono di solito aiutati, nel risoluto perseverare della loro ammire volc e spontanea abnegazione, dal profondo, ma personale con­ vincimento della loro intima preminenza e dalla assoluta fede nella inevitabile influenza futura che essi avranno sulle sorti gt-

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aerali dell’umanità. Tali nozioni di statica sociale, capitali per quanto elementari, che vengono direttamente dedotte dall’esatta conoscenza della nostra natura fondamentale, possono essere av­ valorate utilmente dalla considerazione particolare della estrema brevità della nostra vita, di cui ho rilevato nel cinquantunesimo capitolo l’influenza generale sulla necessaria imperfezione del nostro organismo politico. È facile infatti comprendere che una longevità maggiore, senza peraltro portare nessun rimedio alla radicale imperfezione della nostra economia, tenderebbe certamente a permettere nella ipotesi da noi esaminata, una migliore classificazione sociale delle intelligenze, aumentando il numero dei casi, in effetti tanto rari, in cui i pensatori di primissimo or­ dine possono, dopo un sufficiente sviluppo, essere apprezzati come si conviene mentre sono ancora in vita e prima che il loro genio venga a spegnersi del tutto. A prima vista, l’esistenza generale delle antiche teocrazie sem­ bracostituire una diretta eccezione, unica ma essenziale, alla fon­ damentale necessità da noi stabilita, dato che la superiorità intel­ lettuale sembra formare immediatamente, per lo meno all’imzio, lafonte generale della principale autorità politica. Tuttavia, senza voler ritornare sulle spiegazioni del capitolo precedente, è evi­ dente che questo genere di anomalia, in fondo più apparente che reale, dipendeva necessariamente da un curioso convergere di influenze diverse, il riprodursi delle quali non fu possibile in nessuna età ulteriore dell’evoluzione umana. Infatti, oltre all’in­ fluenza più intensa dei terrori religiosi, è facile scorgere che in questa organizzazione primordiale, ciò che si riferiva alla supre­ mazia politica deirintclligenza, dipendeva innanzitutto dall’im­ pressione violenta e irripetibile che dovevano produrre i primi risultati utili del progresso spirituale, e in secondo luogo dalla tendenza prevalentemente pratica delle operazioni mentali cor­ rispondenti, in virtù della concentrazione fondamentale delle di­ verse funzioni sociali che, come abbiamo visto, caratterizzava l’impero della casta sacerdotale; l’operare speculativo di quest’ultima, ridotta al solito a quel minimo necessario per conservare giorno per giorno la sua autorità, veniva riassorbita interamente dallo svolgersi delle consuete attività mediche, amministrative, industriali, ecc. che essa si vantava di anteporre a qualsiasi altra occupazione più astratta, tanto che il merito intellettuale era ben

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lungi dal costituire la base essenziale della sua supremazia so­ ciale; il che sarebbe d’altronde del tutto contrario alla natura di un regime in cui tutte le funzioni erano necessariamente ere­ ditarie, per quanto tale ereditarietà non avesse ancora quegli in­ convenienti sostanziali che ebbe, in séguito, come ho spiegato nel capitolo precedente. Quando il carattere veramente specula tivo cominciò ad accentuarsi, il che potè verificarsi dapprima solo presso i filosofi greci, la classe dei pensatori, come è noto, non raggiunse mai una prevalenza politica, nonostante gli sforzi perseveranti. È quindi ovvio che, lungi dal poter guidare direttamente la vita umana individuale e sociale, lo spirito è unicamente desti­ nato, nella vera economia della nostra invariabile natura, a mo­ dificare più o meno profondamente, per mezzo di una azione consultiva o preparatoria, il naturale dominio della potenza materiale o pratica, sia essa militare o industriale. Ora, consi­ derando sotto un altro aspetto tale inconfutabile necessità, la si troverà certamente molto meno spiacevole di quanto un esame superficiale possa far immaginare, dato che le stesse cause ge­ nerali che la fanno apparire inevitabile, la mettono anche inar­ monia abbastanza permanente con l’insieme dei nostri veri bi­ sogni essenziali. In primo luogo, la giustizia soffre molto meno di tale compromesso generico di quanto potrebbero farlo sup­ porre le lamentele esagerate, spesso amare e declamatorie, della maggioranza dei filosofi, in merito alla pretesa imperfezione ra­ dicale della ripartizione delle classi sociali, di solito del tutto conformi alle prescrizioni più imperiose della nostra immutevole natura. Le memorabili riflessioni di Pascal a tale proposito, per quanto attribuite comunemente ad una intenzione profonda­ mente ironica, dànno in sostanza una precisa valutazione gene­ rale dell’indispensabile necessità di questa disposizione elemen­ tare per il mantenimento giornaliero dell’armonia sociale, che verrebbe di continuo turbata da inconciliabili pretese, che a va­ lutarle farebbero incorrere in un giudizio difficile, lento ed il­ lusorio, se, come abbiamo già visto, lo specioso principio sulla superiorità mentale potesse da solo stabilire, in modo inappel­ labile, i ceti effettivi. Tale ordine reale tanto deprecato torne­ rebbe, tutto sommato, a prendere quale metro abituale di valu­ tazione politica la diretta considerazione della utilità particolare

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tdimmediata sia individuale sia sociale. Ora, nonostante la estre­ ma limitatezza di questo principio, e per quanto la sua assoluta affermazione debba considerarsi estremamente oppressiva e pe­ ricolosa, esso costituisce, per la stessa sua natura, Tunica base solida per una reale classificazione umana. Nella vita sociale, infatti, come nella vita individuale, la ragione è in genere molto piùnecessaria della genialità; eccetto qualche caso d’importanza capitale, ma molto raro, in cui la massa generale delle idee usuali richiede qualche rielaborazione o impulso particolare che, una volta compiuti per merito dell’intervento di un pensatore emi­ nente, provvederanno a lungo alle esigenze giornaliere dell’ap­ plicazione pratica, come si può vedere studiando attentamente ogni fase del nostro sviluppo, in cui dopo una pausa spontanea, ma indispensabile della preponderanza che gli è consueta, il semplice buonsenso riprende naturalmente le redini del governo umano. Come lo spirito speculativo è il solo capace di preparare convenientemente, con la meditazione astratta, i vari mutamenti essenziali che successivamente si compiono, altrettanto è, per sua natura, radicalmente inadatto alla quotidiana amministrazione delle faccende comuni, al punto che le famose parole del grande Federico sulla incapacità politica dei filosofi*, lungi dal dover essere considerate una ingiusta derisione, indicano invece una valutazione profonda, saggia quanto energica, delle vere condi­ zioni elementari di qualsiasi economia sociale. Le considerazioni speculative sono, e debbono essere per loro natura, troppo astratte cd indirette e lontane dalla realtà perché le menti prettamente contemplative possano essere idonee al governo abituale, che quasi sempre richiede operazioni specifiche, rapide ed attuali. Sottotale aspetto le disposizioni morali concorrono perfettamente con quelle mentali poiché il carattere eminentemente specula­ tivo è e deve essere per necessità poco preoccupato della realtà presente e particolare, ciò che al contrario costituirebbe certa­ mente una tendenza molto erronea nella direzione ordinaria de­ gli affari umani, individuali o sociali. Ora, da un altro punto di vista, le intelligenze essenzialmente filosofiche non potrebi. Allude ad un pensiero abbastanza frequente in Federico II di Prussia, che con­ siderava con insofferenza le intrusioni dei « philosophes » nel campo della politica. Cfr. il secondo Testamento politico (1768) 0 la lettera a Voltaire del 29 settembre 1775.

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bero essere condannate ad attenersi costantemente al punto di vista pratico, senza che il loro sviluppo divenga impossibile, co­ me naturalmente avviene nel regime teocratico puro, a danno dell’umanità. Si potrebbe aggiungere come motivo intellettuale secondario, che i filosofi, anche i maggiori, sono stati troppo spesso portati ad allontanarsi involontariamente dallo spirito d’insieme, che è l’attributo principale dell’autentico spirito poli­ tico : infatti, nonostante il consueto sforzo che essi fanno per con­ servare pienamente la visuale generale di cui sono soliti vantarsi, essi sono spesso soggetti ad un tipo particolare di limitatezza mentale, che consiste nel portare molto avanti l’analisi teorica di un unico aspetto sociale, tralasciando quasi del tutto gli altri, anche nei casi in cui una decisione ragionevole dipende direttamente dalla loro saggia ponderazione reciproca. Questa tenden­ za, già teoricamente nociva, può diventare pericolosissima in campo pratico. Quanto a quei pochi che, seguendo l’autentica vocazione della filosofìa, non perdono mai di vista nelle varie speculazioni la giusta valutazione dell’insieme reale, la filosofia positiva dovrà contribuire a renderli meno rari, poiché essi non si lamentano se il dominio supremo degli affari umani non ap­ partiene alla filosofia, dato che sanno spiegarsi l’impossibilità ed il pericolo di quella utopia greca, di cui l’interregno intellettuale ha permesso il moderno rinnovamento, con la ripresa delle di­ vagazioni politiche, a cui accennerò nel prossimo capitolo. L’u­ manità quindi non onorerà mai abbastanza, quali principali fau­ tori di tale progresso, queste menti eccezionali che, irresistibil­ mente trascinate da un’imperiosa finalità speculativa, estetica, scientifica o filosofica, consacrano nobilmente la loro vita al compito di pensare per l’intera specie; non sarà mai troppa la sollecitudine con cui essa proteggerà queste preziose esistenze, così diffìcilmente sostituibili, e che costituiscono la ricchezza inestimabile della nostra specie; essa non asseconderà mai suf­ ficientemente la loro altissima missione, sia offrendo tutte le ne­ cessarie facilitazioni per il loro lavoro, sia accettando pienamente la loro vitale influenza; dovrà però evitare di affidar loro la di­ rezione esclusiva dei suoi affari quotidiani alla quale la loro na­ tura caratteristica li rende per necessità assolutamente inadatti Tali sarebbero dunque, a questo riguardo, le indicazioni fon damentali del buon senso, a non considerare che i semplici mo­

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tivi attitudinali, presumendo dapprima che il cosiddetto regno dello spirito possa essere suficientemente compatibile con lo svi­ luppo vero e proprio dell’attività intellettuale. È facile quindi riconoscere come, per una necessaria conseguenza della nostra estrema perfezione mentale, tale dominio chimerico, oltre ad avere conseguenze direttamente perturbatrici per la vita pratica, tenderebbe inevitabilmente ad estinguere, fin nella sua più lim­ pida sorgente, il generale decorso del progresso dell’umanità, atrofizzando sempre più quello stesso processo speculativo cui, con tanta imprudenza, si sarebbe cercato di subordinare ogni cosa. Infatti, non esiste in tutta la filosofia naturale un principio più generale e più ovvio di quello che ci indica, sia per lo spi­ rito sia per il fìsico, ed anche maggiormente, l’indispensabile bisogno di ostacoli atti a provocare la nascita reale di forze qual­ siasi. Questa insormontabile necessità si manifesta tanto più evi­ dentemente nell’ordine sociale, trattandosi di forze spontanea­ mente dotate di minore energia propria; questo importante prin­ cipio deve dunque applicarsi soltanto alla forza intellettuale, certamente la meno intensa delle nostre facoltà caratteristiche, chenella maggioranza degli uomini non richiede di per sé quasi nessuno sviluppo diretto, aspirando anzi spesse volte, al ripo­ so assoluto dopo ogni minimo sforzo continuato. Lo studio giornaliero della vita individuale conferma chiaramente che Fat­ tività mentale non vi è abitualmente mantenuta che dalle con­ tinue esigenze dei vari bisogni umani, la soddisfazione imme­ diata dei quali non è possibile per fortuna senza uno sforzo duraturo; e questa attività si spegne in genere sotto l’influenza prolungata di circostanze troppo favorevoli, o, almeno, dege­ nera allora in uno sterile e vago esercizio, la realtà del quale è molto dubbia, e di solito viene stimolata solo dal frivolo incita­ mento di una vanità puerile. Nelle menti veramente speculative, lo sviluppo mentale persiste con tanta più efficacia, sia indivi­ duale sia sociale, dopo che questo primordiale e grossolano sti­ molo cessa di farsi sentire, ma è soprattutto perché l’economia effettiva della società vi sostituisce naturalmente un incentivo abituale più nobile, ispirando loro inevitabilmente una tendenza legittima verso un ascendente sociale che necessariamente si sot­ trae di continuo a questo instancabile inseguimento: questa è, in effetti, la vera sorgente degli sforzi intellettuali più elevati.

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Ora, è evidente che questa preziosa sorgente rischierebbe di pro­ sciugarsi in breve tempo se l’intelligenza potesse giungere vera­ mente alla vana supremazia politica di cui esaminiamo qui il principio ideale. Lo spirito, destinato alla lotta e non al dominio, non è naturalmente abbastanza energico, nemmeno negli orga­ nismi più felicemente dotati, per poter resistere a lungo alla de­ leteria influenza di tale trionfo : esso tenderebbe necessariamente ad una funesta-atrofìa graduale, allo stesso tempo senza meta e senza impulso, se, lungi dal modificare un ordine indipendente e che gli resiste costantemente, esso non dovesse far altro che contemplare con ammirazione l’ordine di cui sarebbe creatore ed arbitro. Distolta quindi radicalmente dal suo vero compito, l’intelligenza, anziché occuparsi nobilmente, come è la sua na­ tura, di soddisfare i bisogni individuali e sociali, verrebbe ad avere solo un’influenza negativa atta a sostenere, contro i più giustificati attacchi, il possesso della sua mostruosa dominazio­ ne, seguendo così la traiettoria finale di tutte le teocrazie vere e proprie. Questa deplorevole conclusione diverrebbe naturalmente più imminente dato che, in questa ipotesi, abbiamo già visto che il principale potere sarebbe lungi dall’appartenere alle più alte intelligenze; ora, lo spirito sprovvisto di moralità e di benevo­ lenza dei pensatori mediocri è incline ad utilizzare le proprie capacità per scopi sistematicamente egoistici, anche quando non ha bisogno di difendere ad ogni costo la propria supremazia so­ ciale. La profonda antipatia e l’instancabile invidia che tanto hanno perseguitato quasi tutti i grandi spiriti speculativi, che hanno onorato ed onorano la razza umana, non sono mai sorte dalla massa, che è invece incline nei loro riguardi ad un’ammi­ razione sincera per quanto sterile : esse non sono nemmeno de­ rivate il più spesso dai poteri politici propriamente detd, sempre pronti a tutelare lo sviluppo spirituale, anche se temono una certa rivalità di ascendente sociale. È quindi prevalentemen­ te in seno alla stessa classe contemplativa che sorsero di so­ lito gli ignobili e odiosi intralci creati istintivamente al genio dalla gelosa mediocrità di rivali impotenti, che non sanno con­ cepire altro mezzo efficace per conservare il predominio che han­ no saputo usurpare, diversamente che ostacolando con qualunque mezzo il pieno sviluppo della vera superiorità, da cui si sentono sempre intimamente offesi. Nulla quanto questa triste ed incon­

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futabile osservazione permette senza dubbio di vedere chiara­ mente quanto sarebbe nocivo al libero impulso dell’intelligenza umana la chimerica utopia del regno dello spirito, tanto folle­ mente inseguita dai filosofi greci, ad eccezione del grande Ari­ stotile, e ripresa da molti imitatori moderni senza che vi sia per questi ultimi la scusante di uno stato sociale caratterizzato dalla confusione elementare tra i diversi poteri. È evidente infatti che, lungi dall’avere costituito una vera supremazia sociale della in­ telligenza, si sarebbe ottenuto soltanto un regime in cui la classe sovrana si limiterebbe ad adoperare le proprie forze per compri­ mere lo sviluppo mentale della massa in modo che, come avvie­ oe nelle teocrazie degeneri, l’abbrutimento generale le consen­ tisse di mantenere la propria autorità spirituale, la quale, priva di stimolo sufficiente, si sarebbe lasciata presto andare all’apatia che la nostra debole natura speculativa tende incessantemente a produrre e a radicare sempre più. Se, nonostante le immeri­ tate accuse, i poteri politici non miravano di solito ad impedire sistematicamente lo sviluppo intellettuale, lo si doveva tra l’altro al fatto che la vera preponderanza politica veniva concepita in modo da non poter mai appartenere alla superiorità mentale, di cui non si temeva quindi di incoraggiare direttamente lo svi­ luppo universale. Ho pensato di dover particolarmente insistere su questa spie­ gazione preliminare, che naturalmente riprenderò in un altro capitolo, dato il grande pericolo politico che deriva oggi dal so­ fisma dell’assoluto predominio della capacità intellettuale, da quando la nozione rivoluzionaria e fondamentale della confu­ sione fra i due poteri principali ha dominato provvisoriamente, con deplorevole unanimità, l’insieme reale della filosofia poli­ tica oggi diffusa, cui deve attribuirsi la responsabilità della scom­ parsa di qualsiasi idea che potesse costituire una via d’uscita che non fossero le due ugualmente funeste che portano, la prima alla oppressione dell’intelligenza, la seconda alla chimerica sua supremazia politica. Ogni vero filosofo dovrebbe capire degna­ mente quanto importi distruggere o prevenire per quanto è pos­ sibile tali aberrazioni, il cui aspetto plausibile deve renderle an­ cor più nocive, e che tendono a trasformare la sola forza capace di rigenerare radicalmente ¡’umanità in universale principio di perturbazione sociale. È questa la ragione per cui l’inevitabile

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digressione statica che abbiamo fatto, anche se pare allontanarci momentaneamente dallo scopo principale, costituisce per il se­ guito del nostro lavoro dinamico una luminosa preparazione, che ci eviterà la lunga e faticosa analisi di importanti chiarimenti; inoltre, serve anche, secondariamente, a calmare il timore pue­ rile, ma naturale, di un dispotismo teocratico che ispira agli spi­ riti d’oggi qualsiasi idea di riorganizzazione spirituale nel siste­ ma politico delle società moderne. Riprendendo ora direttamente il corso generale della nostra operazione storica, dobbiamo considerare il discorso precedente che mirava a valutare anticipatamente l’insieme delle difficoltà fondamentali che il regime monoteistico aveva da sormontare nel medioevo, dando un’idea della nuova costituzione sociale dell 'élite umana. Nel medioevo infatti, il maggior problema politico, pur evitando del tutto le pericolose fantasticherie della filosofia greca sulla sovranità deH’intelligenza, consisteva nel dare una regolare e giusta soddisfazione al desiderio irresistibile e spontaneo di ascendenza sociale, manifestato dall’attività spe­ culativa con tanta energia nei secoli che seguirono l’inizio del suo sviluppo. Infatti, una volta sviluppata, questa nuova potenza non poteva non tendere istintivamente, e sempre con maggiore vigore, al governo dell’intera umanità, per quanto fosse stata tenuta, fin dal suo apparire, al di fuori di qualsiasi ordine legale, tanto che covava uno stato di insurrezione latente, ma intimoe continuo, sia nel regime greco, sia, in maniera più marcata, nel periodo romano. Fu quindi necessario, anziché continuare la deplorevole lotta tra uomini di azione e uomini di pensiero, che doveva sempre più debilitare a vicenda gli elementi più preziosi della civiltà umana, organizzare fra loro una conciliazione du­ ratura che trasformasse quell’antagonismo in una utile rivalità, volta alla maggiore soddisfazione dei bisogni sociali più impor­ tanti, dando modo a ciascuna di queste due grandi forze di rien­ trare regolarmente a far parte dell’insieme del sistema politico, in modo da restare distinte tra loro pur essendo necessariamente convergenti. È questo quindi l’immenso ostacolo, oggi ancora in parte incompreso, che il cattolicesimo ha saputo sormontare nel medioevo in modo naturale ed ammirevole, riuscendo final­ mente ad istituire in mezzo a tante difficoltà quella fondamentale separazione tra potere spirituale e potere temporale, che la filo­

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sofiapura, a dispetto degli attuali pregiudizi, farà sempre più coooscere come il più grande perfezionamento fino ad oggi rag­ giunto delle teorie generali di organizzazione sociale, e ragione principale della superiorità della politica moderna su quella an­ tica. È indubbio che questa memorabile conclusione sia stata ini­ zialmente empirica e conseguente aH'equilibrio elementare che hogià analizzato nel capitolo precedente, e che il suo concetto filosofico sia nato soltanto molto tempo dopo, in séguito ad ana­ lisi di fatti avvenuti. Ciò è esattamente quanto avviene per le vere grandi soluzioni politiche, dato che la politica razionale veramente suscettibile di dirigere o illuminare il graduale de­ corso delle operazioni attive non è ancora mai esistita. Inoltre, lanatura inevitabilmente teologica dell’unica filosofìa che allora potesseservire da principio a tale istituzione, dovette alterare pro­ fondamente il suo carattere e diminuire persino la sua efficacia, facendola partecipare necessariamente al destino del tutto prov­ visorio di una filosofia di cui l’antica supremazia intellettuale doveva declinare irrimediabilmente, soprattutto a partire da quell’epoca, Questa correlazione costituisce infatti la causa principale della momentanea ma violenta ripugnanza che i nostri intelletti moderni sentono per questa creazione preziosa del genio politico dell’umanità, ma che, una volta compiuta, sotto una qualsiasi forma non può più, qualunque sia la sorte che avrà il suo prin­ cipio filosofico, perdersi del tutto, e deve per forza penetrare nel costume e nelle idee di coloro che sistematicamente la respinge­ vano, fin quando, costruitasi razionalmente secondo una filosofia piùperfetta e duratura, possa costituire, per un prossimo futuro, la base principale per una riorganizzazione moderna. È d’al­ tronde chiaro che gli attribuiti religiosi della classe speculativa, data l'importanza preponderante che naturalmente dovevano avere fino al perdurare delle credeaze, tendevano a nascondere epersino ad assorbire le funzioni intellettuali e morali. L ’indi­ rizzo sociale dello spirito e del sentimento interessava solo co­ me mezzo di paragone della salvezza eterna delle anime, di mo­ do che la meta chimerica doveva, sotto molti aspetti, nuocere allo scopo reale. L'autorità, quasi illimitata, che la fede prestava naturalmente agli unici interpreti della volontà e delle decisioni divine, non poteva non incrementare di continuo nel potere ecclesiastico quelle esagerazioni abusive e quelle viziose usurpa­

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zioni di diritto a cui l’ambizione naturale tanto la predisponeva, dato il carattere essenzialmente impreciso ed assoluto delle dot­ trine fondamentali, che nessun concetto razionale frenava nel­ l’ambito dei vari poteri umani. Questi principali inconvenienti, inevitabili a quei tempi e con quei mezzi, non hanno profonda­ mente influito che suH’imminente e rapida decadenza di tale co­ stituzione, come vedremo più avanti; essi hanno nociuto all’ope­ razione principale senza farla abortire del tutto, sia per quanto concerne l’immediata funzione generale del progresso della evo­ luzione umana, sia per quanto riguarda l’influenza indiscutibile di un precedente atto ed un ulteriore miglioramento dell’orga­ nismo sociale; questo duplice aspetto dovremmo considerarlo ora per poter procedere alla sua valutazione approssimativa. Gli scopi e i limiti di questo trattato non mi consentono altro che un abbozzo molto imperfetto di quanto vorrei dire a tale pro­ posito e non ho molta speranza di far capire al lettore la pro­ fonda ammirazione sorta in me nel corso delle mie meditazioni filosofiche per questa economia generale del sistema cattolico del medioevo, che sempre più dovrà considerarsi il capolavoro po­ litico della saggezza umana*; in merito a questo importante ar­ gomento, sono costretto a rimandare tutti gli sviluppi principali al trattato speciale di filosofia politica che ho, a più riprese, a. Sono nato nel cattolicesimo; ma la mia filosofìa è ormai sufficien­ temente caratterizzata perché nessuno possa attribuire a tale incidente la mia predilezione sistematica per il perfezionamento generale che l’orga­ nismo sociale nel medioevo aveva ricevuto dall’ascendente politico della filosofìa cattolica. Per dire il vero vi sarebbero, penso, importanti van­ taggi nel concentrare oggi le discussioni sociali tra spirito cattolico e spi­ rito positivo: gli unici che ora possano lottare con buoni risultati per sta­ bilire su basi diverse una vera organizzazione, eliminando, di comune accordo, la metafìsica protestante il cui intervento serve solo a generare sterilì ed interminabili controversie radicalmente contrarie a qualsiasi sano concetto politico. Ma l’universale infiltrazione, anche negli intelletti più aperti di oggi, di una tale vana e versatile filosofìa, e persino il modo assai limitato con cui oggi il cattolicesimo viene compreso dai suoi più eminenti sostenitori, non permettono più di sperare in un miglioramento autentico, nemmeno se la scuola positivista, oggi da me solo rappresen­ tata, fosse già abbastanza formata politicamente.

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già annunciato, limitandomi ora a semplici considerazioni me­ todiche che ogni lettore dovrà verificare sulla base dell’aspetto universale trattato alla fine del capitolo precedente \ Senza al­ cuna esagerazione, oggi si può veramente dire che il cattolice­ simo non ha potuto ancora essere giudicato dal punto di vista filosofico, dato che è stato studiato o da individui che ne hanno fatto un panegirico assoluto, più o meno condannati nei riguardi del cattolicesimo ad una specie di inevitabile fanatismo, o da dechi detrattori che non potevano prevederne la elevata desti­ nazione sociale. Spettava alla scuola positivista, per quanto ciò possa parere strano, dare finalmente un equo e definitivo giu­ dizio sul cattolicesimo, valutando secondo una sana teoria ge­ nerale, la sua partecipazione autentica ed indispensabile alla evoluzione fondamentale deirumanità. Solo questa scuola, li­ beratasi dalle credenze monoteistiche, politeistiche e feticistiche, potrà apportare una imparzialità intelligente alla precisa valuta­ zione delle loro influenze sull’insieme dei nostri destini. Sia le istituzioni rilevanti sia che gli uomini superiori infatti non pos­ sono essere giudicati prima che si compia completamente la loro missione. Il genio, prevalentemente sociale, del cattolicesimo è con­ sistito soprattutto nel costituire un potere puramente morale, in­ dipendente e distinto dal potere politico vero e proprio, che fa­ cesse penetrare gradualmente la morale nella politica, cui fino aquel momento essa era sempre stata subordinata, come ho spie­ gato nel capitolo precedente. Questa tendenza fondamentale, allo stesso tempo risultato ed agente del progresso continuo della vita sociale dell’umanità, è sopravvissuta necessariamente all’inevitabile decadenza del sistema di cui era stata fautrice, in modo da caratterizzare con sempre maggiore energia, nonostante le varie ». Nell’attesa di questa ulteriore pubblicazione, i lettori che volessero avere subito più ampie delucidazioni, che qui non posso dare, potranno riferirsi alla mia opera sopra citata sul potere spirituale che fu raccolta in una pubblicazione settimanale del 1826, intitolata « Il Produttore », ed esattamente nell'ultima parte di quest’opera apparsa nel n- 21. Per quanto vi considerassi soprattutto il moderno potere spirituale e non quello medioevale, vi si ritrova un’analisi razionale delle varie attribuzioni fon­ damentali di quest’ultimo, che potrebbero chiarire, da questo punto di vista, l’insieme attuale della nostra valutazione storica.

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perturbazioni accessorie e passeggiere, più profondamente di qua­ lunque altra diversità fondamentale, la radicale superiorità della civiltà moderna su quella antica. Fin dalla nascita, e molto pri­ ma che la sua costituzione potesse essere sufficientemente for­ mata, la potenza cattolica aveva assunto spontaneamente un at­ teggiamento sociale altrettanto lontano dalle folli pretese politi­ che della filosofìa greca, quanto dal degradante servilismo dello spirito teocratico, prescrivendo direttamente con la sua sacra au­ torità, la costante sottomissione nei riguardi di tutti i governi, mentre con la stessa elevatezza sottometteva quegli stessi governi alle massime più rigorose della morale universale di cui curava la conservazione attiva. Sia presso i Romani prima, sia presso i guerrieri nordici poi, questa nuova potenza, per quanto am­ biziosa la si potesse ritenere, mirava a modificare gradualmente, con la sua influenza morale, un ordine politico preesistente e per­ fettamente indipendente, senza poter aspirare al predominio esclusivo, salvo incidentali aberrazioni di trascurabile importanza storica. Esaminando oggi, con imparzialità del tutto filosofica, l’insieme delle importanti contestazioni, tanto frequenti nel medio­ evo, tra i due poteri, si riconosce subito che furono quasi sem­ pre di difesa da parte del potere spirituale, il quale, proprio quando ricorreva alle sue armi più temibili, non faceva altro che lottare nobilmente per conservare la necessaria indipendenza al compimento della sua missione più importante, senza, nella mag­ gior parte dei casi, potervi riuscire interamente. Il tragico de­ stino dell’illustre arcivescovo di Canterbury 1 e tanti altri casi si­ mili, anche se meno noti, provano chiaramente che nelle sue battaglie spesso controverse, il clero aveva a quei tempi l’unico scopo di proteggere contro qualsiasi usurpazione temporale la libera scelta normale dei suoi funzionari. Il che ci appare oggi la pretesa più legittima e modesta cui la Chiesa ha dovuto rinun­ ciare ovunque, ancor prima della sua decadenza formale. Qual­ siasi teoria razionale sulla delimitazione delle due potenze do­ vrà, credo, venir dedotta dal principio generale insito nella na­ tura stessa del soggetto verso il quale converge sempre, in modo l. Thomas Beck«, arcivescovo di Canterbury (1108-1170), gran cancellieri di Enrico II, assassinato nella cattedrale di Canterbury,

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piùo meno apprezzabile, lo svolgersi spontaneo di tutti gli eventi umani, ma che ñno ad ora nessuno era mai riuscito a cogliere; il potere spirituale essendo prettamente volto alla « educazione » e il potere temporale all’« azione». Dal significato sociale di questi due termini si deduce che, l’influenza di questi due poteri, nei sistemi in cui essi sono veramente divisi, deve essere sovrana per quanto riguarda la destinazione propria, consultiva per quan­ toriguarda la missione particolare dell’altra, conformemente alla naturale coordinazione delle funzioni corrispondenti nei riguardi del nuovo ordine sociale, come spiegherò nel cinquantasettesimo capitolo quando finiremo il nostro esame storico. Si avrà certa­ mente una idea abbastanza completa dei principali incarichi or­ dinari del potere spirituale in ciascuna nazione se, a questo gran­ de attributo elementare della educazione, prima base essenziale della potenza assoluta, si aggiunga l’influenza indiretta, ma con­ tinua sulla vita attiva che ne costituisce allo stesso tempo l’inevi­ tabile conseguenza e l’indispensabile complemento, ricordando, nella pratica sociale, agli individui e alle classi, i princìpi che l'educazione aveva elaborato per l’ulteriore indirizzo della loro vera condotta, evitando o rettificando le varie deviazioni riguardo alle capacità di impiego di questa forza morale. Le sue più gene­ rali funzioni sociali, che nel medioevo consistevano principal­ mente nel regolamento morale delle relazioni internazionali, si riducono ad una specie di prolungamento naturale della stessa destinazione primordiale; poiché risultano naturalmente dalla graduale estensione di un sistema di educazione a popoli troppo lontani e diversi gli uni dagli altri, per non richiedere altrettanti governi temporali, indipendenti, e distinti tra loro. Ciò li avreb­ belasciati abitualmente senza regolari legami politici, se, in virtù della funzione comune, che lo rende simultaneamente concitta­ dino di tutti questi vari popoli, il potere spirituale non avesse, sia pure involontariamente, ottenuto presso di loro quel giusto prestigio universale che gli consentiva, se necessario, di essere il più adatto mediatore e l’arbitro più legittimo delle loro contro­ versie, ed in altri casi, il promotore razionale delle loro attività collettive. Avendo quindi rese sistematiche tutte le attribuzioni spirituali con l’aiuto di un unico princìpio, quello educativo, dovremmo ora poter abbracciare con un’unica visuale filosofica, l’insieme di questo ampio complesso; il lettore potrà riconoscere

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facilmente senza doversi soffermare su nessuna discussione par­ ticolare, che, come ho già prcannunciato, la potenza cattolica lungi dal poter essere tacciata, come spesso accade, di usurpa­ zione d’autorità temporale, al contrario non ha ottenuto da que­ sta l’intera libertà di esercizio che avrebbe richiesto il quotidiano compimento del suo nobile scopo, nemmeno ai tempi del suo maggiore splendore politico: dalla metà circa dell’undicesimo secolo alla fine del tredicesimo. Il che doveva attribuirsi sia a quanto vi era di prematuro per quell’epoca in tale importante innovazione sociale, sia soprattutto alla natura troppo imper­ fetta dell’incerta e malferma dottrina che ne costituiva la prima base. Posso quindi assicurare che ai giorni nostri i filosofi catto­ lici, a loro insaputa troppo interessati dai nostri giudizi rivolu­ zionari, che portano a giustificare in anticipo tutti i rimedi del potere temporale contro il potere spirituale, sono stati in genere troppo timidi, compreso il più energico fra tutti loro, nella di­ fesa storica di tale istituzione, dato che questa situazione irrisolvibilc imponeva loro l’obbligo, tanto diffìcile da adempiere quanto da evitare, di preconizzare in modo assoluto una politica che non avrebbe potuto né dovuto essere altro che temporanea e relativa, e di cui nessuno di loro avrebbe osato proporre oggi il ritorno, vietato dalla logica dei loro princìpi. Comunque sia, questi ostacoli non hanno potuto impedire del tutto al cattolice­ simo di compiere, sin dal medioevo, la sua alta missione prov­ visoria per l’evoluzione fondamentale della umanità: né di dare al mondo finalmente, con la sua sola presenza, l’esempio incan­ cellabile, abbastanza noto, nonostante la breve durata della sua efficacia, della felice influenza capitale che può esercitare sul perfezionamento generico della nostra vita sociale l’introduzione adeguata del vero potere spirituale di cui tutti i filosofi dovreb­ bero oggi sentire la necessità : di riorganizzarne cioè l’istituzione su basi intellettuali più dirette, più durature e più estese. La classe speculativa senza poter assorbire interamente l’a­ scendente politico, come avviene nelle teocrazie, e senza dover rimanere al di fuori dell’ordine sociale, come avvenne nel regime greco, cominciò ad assumere il carattere generale che le è pro­ prio secondo le immutevoli leggi della natura umana, e che la stessa classe speculativa dovette in séguito sviluppare sempre di più, seguendo il progredire sia dell’intelligenza che della vita

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sociale. Fin d’allora essa s’impose, in seno alla società, un atteg­ giamento di osservatrice calma e illuminata, senza rimanere per­ tanto indifferente al quotidiano andamento pratico, cui personal­ mente non poteva partecipare altro che indirettamente con la sua influenza morale. Di modo che, costretta per sua stessa na­ tura nella corrente della economia generale, di cui le necessità concrete non potevano trovare miglior consigliera, essa si tro­ vava autorevolmente idonea per parlare a ciascuno in nome di tutti, per ricordare energicamente nella vita attiva agli individui calle classi e persino alle nazioni l’astratto concetto del bene co­ mune, man mano cancellato dalle innumerevoli divergenze mo­ rali ed intellettuali, nate dallo sviluppo sempre più discorde delle operazioni parziali. Sin da allora, apparve un primo accenno di separazione tra teoria e pratica, nell’ordine delle idee sociali, co­ me era già successo con esito più o meno felice per tutte le altre nozioni più semplici; i princìpi politici cessarono di essere co­ struiti man mano che la pratica lo richiedeva: le necessità so­ dali poterono essere fino ad un certo punto saggiamente consi­ derate in anticipo, in modo da preparare in silenzio un appa­ gamento meno tempestoso, senza che questa preoccupazione dovesse turbare immediatamente l’ordine effettivo. Infine, un certo sviluppo legittimo è stato in tale modo imposto allo spi­ rito di miglioramento sociale e persino di perfezionamento po­ litico. La vera politica incominciò sin da allora ad assumere dal lato intellettuale un respiro più ampio, più saggio e più razio­ nale, che non era ancora mai esistito e che probabilmente si sa­ rebbe manifestato con più evidenza, dato lo spirito fondamen­ tale di questa grande istituzione, se la filosofia sfortunatamente teologica che ovviamente era costretta ad usare, non avesse do­ vuto ridurre e persino alterare tale sua qualità. Dal lato morale non v’è dubbio che questa ammirevole mo­ difica dell’organismo sociale abbia mirato direttamente a svi­ luppare negli ultimi ceti della popolazione, che ne hanno su­ bito sufficientemente la salutare influenza, un senso profondo di dignità e di elevatezza fino a quel momento del tutto sconosciu­ to, per il solo fatto che la morale universale così costituita, rico­ nosciuta all'unanimità al di sopra e all’infuori della politica vera cpropria, autorizzava il cristiano più dubbioso a ricordare, quan­

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do era il caso, anche al signore più potente le inflessibili prescri­ zioni della dottrina comune, base prima della obbedienza e del rispetto che fin d’allora si condizionava alla sola funzione, in­ vece di riferirsi alla persona : come ebbi a dire nella mia opera del 1826 *. Nell’antica economia sociale ciò era interdetto alle classi in­ feriori, la regola morale derivava in genere dalla stessa autorità attiva che doveva poi usufruire del suo insegnamento pratico quale inevitabile conseguenza della confusione totale fra i due poteri elementari. Dal punto di vista puramente politico è evi­ dente che questa opportuna rigenerazione sociale ha raggiunto l’utopia dei filosofi greci usufruendo del suo contenuto di utilità c razionalità, e rigettando invece le folli e pericolose aberrazioni. Essa costituì per quanto possibile, in seno ad un ordine intera­ mente basato sull’origine, sulla ricchezza e sul valore militare, una classe immensa e potente, dove la superiorità intellettuale e morale era consacrata principalmente all’ascendente reale e che la condusse spesso alle più alte cariche di una tale gerarchia, tanto che lo stesso sistema ha potuto conservare interamente il suo pieno vigore. La capacità delle nostre spiegazioni prelimi­ nari sarebbe stata profondamente perturbante o oppressiva se la società fosse stata interamente affidata — seguendo il folle sogno dei Greci — al suo stesso sistema; poteva invece sin d’allora, data questa parziale apertura così conforme alla sua natura, costituire una guida indispensabile al progresso comune. Sarebbe super­ fluo insistere sui vantaggi troppo evidenti derivanti dalla sepa­ razione dei poteri per avere, senza incorrere nell'anarchia, un solido punto d’appoggio per tutte le legittime proteste che coin­ volgevano la corporazione speculativa, traendo il suo maggiore ascendente dalla considerazione che destava nella popolazione con i suoi servizi di prevenzione sociale. Questa considerazione non resse a lungo e, indipendentemente dairestinguersi della fede, avendo il clero perso la sua indipendenza e avendo a sua volta bisogno di protezione, scomparve rapidamente, perdendo così quel famoso patronato che aveva esercitato con tanta utilità sulle masse ai tempi della sua maturità politica. Nessun filosofo rifiuterebbe oggi di riconoscere sul piano internazionale l’evi1 1 . Considérations sur le pouvoir spirituel dt.

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dente influenza dell’organizzazione spirituale su di una esten­ sione territoriale indefinita, laddove sussisteva una sufficiente eguaglianza di civiltà suscettibile di regolari rapporti continui ed abituali, mentre l’organizzazione temporale non poteva per sua stessa natura uscire da limiti molto più ristretti senza incorrere in una intollerabile tirannia, la stabilità della quale era insoste­ nibile. Né è meno vero che la gerarchia papale costituì nel me­ dioevo il legame usuale tra varie nazioni europee, e ciò dopo che la dominazione romana ebbe perso il potere di tenerle sufficien­ temente unite. Da questo punto di vista, l’influenza cattolica deve essere giudicata, come fece notare de Maistre, non solo per il bene che fece ma soprattutto per il male imminente che segre­ tamente evitò, e che per l’appunto e più difficilmente valuta­ bile; ma su questo argomento posso sorvolare e indirizzare sem­ plicemente il lettore alla memorabile opera di questo illustre pensatore '. Se, per abbreviare, valutiamo qui il significato politico di questa organizzazione, seguendo questo indirizzo, abbastan­ za preciso per determinare l’intero sistema, possiamo stabi­ lire esattamente sia la superiorità che i difetti del cattolice­ simo, confrontato generalmente con i due regimi che lo prece­ dettero e lo seguirono. L ’organizzazione cattolica riuscì ad ab­ bracciare una parte di territorio geograficamente c demografica­ mente molto più vasta di quanto non fece il dominio romano; quest’ultimo, costruito con il primitivo sistema della città singo­ la, e costretto in séguito ad ingrandirsi con rannessione forzata, necessitando così di una maggiore compressione che alla fine di­ venne insostenibile e terminò con l’allontanamento eccessivo delle parti limitrofe dal centro in cui erano concentrati i poteri. Benché il cattolicesimo sin d’allora si trovasse in piena decaden­ za, quando India ed America furono colonizzate esso vi penetrò senza alcun sforzo. Se la medesima penetrazione territoriale fosse stata proposta anche al più ambizioso dei Romani egli l’avrebbe considerata solo un sogno chimerico. D’altra parte è sintomatico che il cattolicesimo, nonostante la sua tendenza universale, abbia potuto assimilare, anche nel periodo del suo massimo splendore, t, Db Maistìì, Du Pape, lib. Il, Du Pape dans ton rappart avec let ¡ouverainetét mporellci.

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solo una minima parte del mondo civile. Infatti prima ancora che la sua costituzione fosse abbastanza solida, il monoteismo musulmano gli tolse una parte rilevante di proseliti di razza bianca e, alcun secoli dopo il monoteismo bizantino, che nono­ stante una ingannevole e solo appartente similitudine dogmatica differisce dal cattolicesimo quasi quanto il maomettismo, distolse metà del mondo romano dal suo predominio. Queste restrizioni, per nulla casuali e profondamente utili, debbono essere conside­ rati dal punto di vista filosofico quale inevitabile conseguenza della formazione vaga ed arbitraria delle credenze teologiche, le quali quando riescono — se pur con fatica — e organizzano una pericolosa quanto artificiosa costrizione intellettuale, non potrebbero, d’altra parte, estendersi indefinitamente, non po­ tendo mai determinare una sufficiente convergenza mentale tra popolazioni troppo numerose e distanti le une dalle altre, e che solo una filosofia prettamente positiva potrebbe un giorno riawicinarc in una comunione duratura, qualunque sia l’estensione a cui potrebbe giungere la nostra specie, e ci aguriamo di poterlo dimostrare in maniera incontestabile con la complessiva analisi storica. Dopo la sommaria caratterizzazione del grande destino so­ ciale del potere cattolico, è indispensabile, per completare la va­ lutazione politica del cattolicesimo, considerare rapidamente le principali condizioni di vita senza le quali esso, come tutti i mo­ noteismi, non sarebbe stato capace di compiere un compito po­ litico e neppure la sua missione puramente morale, che dovremo studiare ulteriormente e che costituisce senza alcun dubbio l’o­ pera più utile ed ammirevole la cui felice influenza sul destino totale della nostra specie durerà imperitura, nonostante l’inevi­ tabile decadenza della sua origine intellettuale. Per quanto succinta possa essere l’analisi delle condizioni in­ dispensabili alla sopravvivenza sociale del cattolicesimo, credo di dovere sottolineare la divisione razionale di queste condizioni in due classi essenziali, secondo la loro natura statica o dinamica, le prime conseguenza dell’organizzazione della gerarchia cattoli­ ca vera e propria, le altre raggiungimento di questa meta fondamentale. Consideriamo innanzi c soprattutto le prime, il cui vero carattere molto pronunciato e facilmente valutabile è stato

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negli ultimi tre secoli oscurato dalla critica nazionale dei prote­ stanti, prima, e dai deisti poi; questi ultimi si ostinarono con puerilità per ricondurre questo organismo cristiano all’epoca del suo stadio primitivo, come se le istituzioni umane dovessero re­ stare indefinitamente allo stato iniziale invece di considerare la loromaturità, sebbene il germe più sensibile si racchiuda proprio all'epoca del loro primo sviluppo, come del resto è stato chiara­ mente dimostrato dai filosofi cattolici. Esaminando rapidamente, da un punto di vista prettamente filosofico, l’insieme della costi­ tuzione ecclesiastica, non ci si deve meravigliare del forte ascen­ dente politico avuto nel medioevo da una potenza così organiz­ zata e superiore a tutto ciò che l’aveva preceduta. Fondata diret­ tamente sui valori intellettuali e morali, che costituirono a lungo il principio abituale della sua elevata superiorità, mobile e salda nella stessa misura, legata profondamente alle sue varie parti, senza costrizioni però riguardo alle attività autonome, fino a quando il suo sistema predominò, questa ammirevole gerarchia ispirò anche i componenti meno favorevoli con un giusto senso di superiorità, talvolta forse troppo sprezzante nei confronti di organismi grossolani che dovevano farne parte temporalmente c chepoggiavano su di una origine corrotta dalla ricchezza e dalla vocazione militare. Liberatasi parzialmente dalle troppo imper­ fette forme della sua prima origine, l’organizzazione cattolica attribuì, da un lato, un principio elettivo ed una piena estensione fino allora del tutto sconosciuta alla sua scelta, sempre ristretta nelle antiche repubbliche ad una casta prestabilita, c l’estese a partire da quel momento a tutta la società senza precludere nem­ meno i ceti più bassi, che notoriamente hanno dato molti car­ dinali e persino dei papi; d’altro lato, sotto un aspetto meno considerato ma non meno importante, essa ha radicalmente per­ fezionato la natura di questo principio politico rendendolo più razionale per il solo fatto che ha sostituito in sostanza, al proce­ dimento inverso, l’efTettiva scelta degli inferiori da parte dei su­ periori, cosa che fino a quel momento valeva solo per il potere temporale, senza per questo misconoscere la giusta influenza con­ sultiva che dovevano conservare in certi casi i beni comuni e le legittime pretese dei sottomessi. La caratteristica procedura del­ l’elezione alla suprema dignità spirituale dovrà considerarsi sem­ pre, penso, un autentico capolavoro di maturità politica se le sue

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garanzie di stabilità e di preparazione si trovano ad essere più sicure di quanto lo sarebbero con l’espediente empirico della ere­ ditarietà, mentre la maturità ed il vantaggio della scelta, in quan­ to dipendono da un tale procedimento, saranno naturalmente favorite dalla grande saggezza degli elettori e dalla facoltà, accu­ ratamente predisposta, di lasciar sorgere, da tutti i ceti della ge­ rarchia, la capacità più idonea a presiedere al governo ecclesia­ stico dopo l'indispensabile noviziato attivo: insieme di pre­ cauzioni veramente magnifiche e pienamente in armonia con l’estrema importanza di questa funzione in cui i filosofi catto­ lici hanno posto la chiave fondamentale di qualsiasi sistema ecclesiastico. Si deve anche riconoscere l’alta portata politica di questo si­ stema fino al suo tramonto; queste istituzioni monastiche, oltre agli incontestabili servigi intellettuali, costituivano certamente anche uno degli elementi più indispensabili di questo immenso organismo. Nate spontaneamente dall’impellente bisogno di usci­ re il più possibile dalla dissipazione e dalla eccessiva corruzione del mondo contemporaneo, bisogno che provavano all’origine del cristianesimo gli spiriti più contemplativi, queste istituzioni spe­ ciali, note oggi per gli abusi occorsi durante la decadenza, furono in genere la culla necessaria in cui vennero elaborati, con molto anticipo, i più importanti concetti cristiani, dogmatici e pratici Il loro fondamentale regime divenne poi permanente apprendi­ stato della classe speculativa di cui i membri più attivi venivano spesso a ritemprare l’energia e la purezza del loro carattere trop­ po indine a trasformarsi con i contatti temporali giornalieri. D’altra parte, la formazione e la riforma degli ordini offrivanoal genio politico di quell’epoca una via d’uscita elementare e fortu­ nata ed un utile esercizio che non potrebbe più essere apprezzato dopo l’inevitabile decadenza di questo vasto sistema provvisorio di organizzazione spirituale. Questo sistema non avrebbe potuto acquisire e tanto meno conservare, visto da un lato politico più generale, una influenza simile nel riguardo delle relazioni eu­ ropee in cui l’attributo di generalità gli era indispensabile e che sarebbe stato irrimediabilmente assorbito dallo spirito di nazio­ nalismo al quale ogni clero locale era incline, se questa milizia contemplativa molto più preparata, data la sua stessa natura, di un punto di vista prettamente universale, non ne avesse sempre

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riprodotto spontaneamente il pensiero diretto dando l’esempio di una indipendenza che doveva essergli più facile. La prima condizione di efficienza propria a tutte le forme di sistemi politici che ho segnalato nella costituzione cattolica consi­ steva soprattutto nell’educazione saldissima e particolare che ve­ niva impartita al clero e che era rivolta a rendere il genio eccle­ siastico superiore a qualsiasi altro non solo per conoscenza, ma anche per attitudine politica. I difensori del cattolicesimo con­ temporaneo, valendosi giustamente del contenuto intellettuale di questa forma educativa, la avvalorarono come l’unica che fosse alla pari con la filosofìa generale allora ancora prevalentemente metafìsica, ma non tennero conto sufficientemente di un nuovo fattore di capitale importanza che doveva dare un’impronta so­ stanziale al destino sociale di questa educazione, anche senza dare uninsegnamento esplicito, cioè la storia, che era allora compresa tragli studi ecclesiastici di alto livello, e che si riferiva solamente alla storia della Chiesa. Considerando l’incontestabile filiazione che, soprattutto nei primi tempi, ricollegò intimamente il cattoli­ cesimo da un lato con il regime romano, e dall’altro con la filoso­ fia greca, e persino, attraverso il giudaismo con le più antiche teocrazie, e tenendo conto della ingerenza sempre maggiore del cattolicesimo nelle vicende umane più importanti, si capisce facil­ mente che, dopo il periodo dì piena maturità, al tempo dal grande Ildebrando *, la storia della Chiesa — in quell’epoca — tendesse a sostituire una specie di storia basilare della umanità dal punto di vista sociale. La limitatezza di una simile visuale era felicemente compensata da una unità di concetto e di composizione da cui palesemente derivava e non poteva essere ottenibile diversamente. Non ci si deve quindi meravigliare, se l’origine filosofica delle speculazioni storiche universali sia dovuta alla parte più no­ bile del genio del cattolicesimo moderno. Sarebbe inutile rile­ vare qui [’evidente superiorità politica che l’abitudine ad un tale ordine di studi e di meditazioni dava ai pensatori ecclesiastici in mezzo ad una aristocrazia temporale ignorante che aveva unica­ mente interesse alla propria storia genealogica o al massimo a qualche incoerente cronaca provinciale o nazionale. Per quantol. l. Ildebrando di Soana (1024-1085), divenuto papa col nome di Gregorio VII, celebre per le riforme introdotte nella disciplina ecclesiastica.

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la decadenza intellettuale e sociale del cattolicesimo si trovi in­ discutibilmente in uno stadio assai avanzato, questo caratteri­ stico privilegio si fa ancora sentire in certi momenti, dato che nessun’altra classe può finora meglio adempiere a questa alta funzione filosofica. È, infatti, probabile, che negli alti ranghi della gerarchia, si continuino a trovare più che altrove meati elevate che riescano naturalmente a porsi al centro delle vicende umane, anche se la decadenza politica delle loro corporazioni non consente loro di manifestare e neppure di coltivare questa proprietà. Per quanto sommaria possa essere questa valutazione, non tralasccrò di rilevare un ultimo aspetto dell’alta filosofia politica che i più illustri difensori del sistema cattolico non po­ tevano cogliere chiaramente e che fino ad oggi è rimasto essen­ zialmente inosservato. Si tratta di una felice disciplina basilare con cui il cattolicesimo, ai tempi del suo splendore, ha potutocon successo diminuire fino all’impossibile i pericoli politici dello spi­ rito religioso, limitando sempre di più il diritto alle ispirazioni soprannaturali, che nessuna dominazione spirituale fondata sulla dottrina teologica, rinuncerebbe a consacrare quale principio, ma che l’organizzazione cattolica ha sminuito ed intralciato note­ volmente con le sagge ed energiche prescrizioni d’uso di cui non si capirebbe l’importanza se non confrontandole con il regime precedente e — in una qualche misura — seguente. Questa pre­ cisa tendenza teologica con indeterminate ed arbitrarie influenze individuali o sociali era incoraggiata nel regime politeistico che inventava direttamente la divinità pronta a proteggere ad arte un qualsiasi pensiero ispirato. Il monoteismo, pur avendo ridotto l’estensione e modificato l’esercizio dell’ispirazione soprannatu­ rale, ha lasciato un’influenza pericolosissima, come lo testimo nia l’esempio degli Ebrei, di solito invasati da profeti la cui mis­ sione era in parte riconosciuta, pur essendo considerata irregola­ re. Il cattolicesimo, sistema necessario e degno di uno stadio men­ tale più progredito, ha limitato, via via, con saggezza il diritto d’ispirazione soprannaturale, conferendo a questo un caratteredi eccezionalità, e limitandolo esclusivamente a casi molto rari, e ciò ad intervalli sempre maggiori, sottoponendolo infine a severi controlli di autenticità, sia si trattasse di laici che del clero stesso, essendo quest’ultimo oltre tutto condizionato da una organiz­ zazione ieratica. L ’uso regolare continuo dell’idea soprannatu­

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rale venne ridotto non appena tutte le comunicazioni divine furono, per principio, riservate alla suprema autorità ecclesiasti­ ca. L’infallibilità papale, tanto aspramente criticata, costituì quin­ di, a dire il vero, un grandissimo passo avanti, sia dal lato intel­ lettuale che da quello sociale, e fu una necessità palese per il re­ gime teologico, in cui, secondo de Maistre, non formava real­ mente che la condizione religiosa della giurisdizione finale senza di che le inesauribili contestazioni quotidiane, provocate da dot­ trine tanto dubbiose, avrebbero continuato a turbare la società. Togliendo al sommo pontefice questa indispensabile prerogativa, 10spirito inconseguente del protestantesimo, lungi dal sopprime­ reil diritto di ispirazione divina, facilitava invece la sua estensio­ ne, facendo retrocedere lo sviluppo progressivo dell’umanità. Datoche la cosiddetta riforma consisteva nel volgarizzare sempre di più questa mistica facoltà, finendo così per individualizzarla, 11 che non avrebbe mancato di creare grandissima confusione in­ tellettuale e sociale, se la simultanea decadenza della teologia non avesse, con le sue rudimentali e pure apprezzabili tracce, evitato il suo sviluppo spontaneo. Riconoscendo, d’altra parte, questa importante proprietà generale del monoteismo cattolico, il lettore accorto avrà notato che essa è una evidente conferma della pro­ posizione capitale di filosofia storica, già stabilita nel capitolo precedente, che nel passaggio dal politeismo al monoteismo lo spirito religioso ha subito un effettivo indebolimento intellet­ tuale: vediamo infatti il cattolicesimo costantemente preoccupato nella vita reale, personale e collettiva, di estendere man mano il campo consueto della saggezza umana a svantaggio di quello estesissimo della ispirazione divina. Essendomi occupato sufficientemente dei princìpi filosofici autentici, che devono guidare un esame approfondito delle con­ dizioni generali dell’esistenza sociale del cattolicesimo, non mi soffermerò a considerare le altre istituzioni speciali, qualunque siastata la loro importanza per lo sviluppo e il mantenimento di questo grande organismo. Quindi non mi preoccuperò di spie­ gare l’importanza che, sotto questo aspetto, presentò l’uso spon­ taneo di una specie di lingua sacra, con la conservazione del la­ tino nella corporazione sacerdotale, dopo la cessazione di questo come lingua volgare; se pure non vi siano dubbi che tale mezzo costituì un vero aiuto per la potenza cattolica, sia aH’interno che

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all’esterno del suo sistema, facilitando la sua comunicativa e con­ centrazione, ritardando invece l’inevitabile epoca in cui lo spirito critico individuale avrebbe demolito questo nobile edificio so­ ciale le cui fondamenta intellettuali erano in condizioni tanto precarie. Costretto a rinviare questa e altre analoghe considera­ zioni al trattato speciale già annunciato, debbo però rilevare due altre condizioni importanti : morale la prima, politica la seconda, le quali, pur essendo meno fondamentali di quella ap­ pena descritta, sono però entrambe indispensabili per il completo sviluppo del cattolicesimo, e dovettero risultare spontaneamente dalla sua completa maturità. Sia l’una che l’altra furono imposte dal carattere particolare dell’epoca e del sistema, più che dalla fisionomia generale dell’organizzazione spirituale: distinzione importante che deve prevalere nella loro valutazione filosofica, altrimenti confusa ed incoerente. La prima consiste nella istituzione veramente capitale del ce­ libato ecclesiastico che fu a lungo ostacolato e venne finalmente stabilito dal potente Ildebrando; in séguito venne giustamente considerata una delle basi più essenziali della disciplina sacerdo­ tale. Sarebbe superfluo ricordare in questa sede i motivi abba­ stanza noti che, inerenti alla sana valutazione generale della na­ tura umana, spiegano la sua inevitabile influenza sul migliore assolvimento intellettuale e sociale delle funzioni spirituali. Evi­ teremo anzi di indagare direttamente o indirettamente, se que­ sta istituzione conviene al nuovo potere spirituale destinato a rior­ ganizzare la società moderna. Questa questione delicata sarebbe prematura e pericolosa, ed è inutile considerarla; potrebbe venire risolta solamente, in seguito ad una esperienza graduale e abba­ stanza approfondita, con questo stesso potere, già quasi costitui­ to, secondo l’esempio del cattolicesimo, anche se molto prima di quest’ultimo. La necessità indispensabile di una manipolazione così importante nei riguardi del cattolicesimo, è facilmente com­ prensibile, nonostante i numerosi sofismi protestanti o filosofici e indipendentemente dalle condizioni che, a questo proposito, im­ poneva l’adempimento quotidiano delle principali funzioni mo­ rali del clero, e in primo luogo quella della confessione. Consi­ derando i sistemi politici nazionali o europei sarà sufficiente immaginare una società in cui una gerarchia cattolica senza h istituzione del celibato non avrebbe ottenuto né conservato, nem­

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meno ai tempi del suo maggiore splendore, l’indipendenza so­ ciale e la libertà di spirito necessari al compimento della grande missione provvisoria del cattolicesimo. La tendenza universale afavorire la inevitabile ereditarietà di tutte le funzioni, ad ecce­ zione di quella ecclesiastica, avrebbe sicuramente portato il clero ad imitare esempi di tanta importanza, come risulta dalla razio­ nale analisi delle disposizioni contemporanee, se la felice isti­ tuzione del celibato non l’avesse preservato, qualunque fosse l'influenza del nepotismo. Una sana valutazione del nepotismo faapparire ancor più chiaramente la necessità di combattere ener­ gicamente questa naturale tendenza, che, se fosse prevalsa, avreb­ becancellato completamente la separazione tra i due poteri ele­ mentari con la graduale trasformazione dei vescovi in baroni, cdei preti in cavalieri, metamorfosi che i papi riuscirono a stento adevitare. Non è stata sufficientemente apprezzata la coraggiosa innovazione apportata dal cattolicesimo nell’organismo sociale, con la definitiva soppressione delPereditarietà sacerdotale, pro­ fondamente radicata nell’economia di tutta l’antichità, non solo sotto il regime teocratico propriamente detto, ma anche presso i Greci, come presso i Romani, ove le varie funzioni pon­ tificali di qualche importanza costituivano necessariamente il patrimonio esclusivo di poche famiglie privilegiate o, almeno, di una certa casta. L ’elezione, del resto molto circoscritta, ot­ tenne solo più tardi una parte puramente secondaria, con con­ cessioni graduali, più apparenti che reali. Se questi precedenti fossero stati compresi meglio, si sarebbe capito anche l’impor­ tanza e la difficoltà deU’immenso servizio reso dal cattolicesimo quando, ponendo le basi del principio del celibato ecclesiastico, mise finalmente una barriera insormontabile a questa predispo­ sizione universale, l’abolizione irrevocabile della quale, in me­ rito a funzioni così importanti, costituì veramente lo sforzo più determinante contro un sistema di casta già minacciato da altre parti dalla spontanea e graduale influenza di una così radicale modifica. Forse nessun’altra considerazione è altrettanto adatta i dimostrare quanto il sistema cattolico fosse in anticipo sulla società sulla quale doveva agire. Non saprei astenermi, a questo proposito, dal segnalare inci­ dentalmente l’inconseguenza e la leggerezza dei soliti avversari ciechi i quali, da un lato, facendo confusione tra il regime cat­

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tolico e quello perfettamente opposto delle teocrazie antiche, hanno mosso al cattolicesimo rimproveri aspri sulla istituzione del celibato ecclesiastico orientato invece, data la sua natura par­ ticolare, a rendere del tutto impossibile la teocrazia pura, garan­ tendo così in modo particolare il legittimo accesso di tutti i ceti sociali alla dignità sacerdotale. Quanto all’altra condizione particolare, ma sussidiaria, deiresistenza politica del cattolicesimo nel medioevo, essa si fonda sulla necessità irritante, ma indispensabile, di un principato tem­ porale sufficientemente esteso, dipendente permanentemente dal centro dell’autorità spirituale, al fine di meglio garantire la sua piena indipendenza europea. Per il nuovo potere intellettuale e morale destinato a dirigere la moderna riorganizzazione sociale, l’esame di tale condizione sarebbe indubbiamente ancor più ozioso, oltre che prematuro e ancor più fuori luogo, di quello della condizione precedente. Ma nei confronti del cattolicesimo, questa necessità è indiscutibile, considerando la natura partico­ lare deU’organismo e il suo scopo principale, come pure la sua vera relazione politica con le potenze in seno alle quali è sorto ed ha vissuto. Nato, come oggi troppo spesso si dimentica, io uno stato sociale in cui i due poteri elementari erano sostanzial­ mente confusi, il sistema cattolico sarebbe stato rapidamente as­ sorbito, o piuttosto politicamente annullato dalla preponderanza temporale, se la sede della sua autorità centrale fosse stata fissata in una particolare giurisdizione, il cui capo non avrebbe tardato, seguendo l’inclinazione primitiva alla concentrazione di tutti i poteri, a sottomettere il papa, come una specie di cappellano; a meno di non contare ingenuamente sulla esistenza di una serie continua di sovrani comparabili al grande Carlomagno, che com­ prendessero, cioè, il vero spirito dell’organizzazione europea nel medioevo e fossero quindi sempre spontaneamente disposti a ri­ spettare adeguatamente e a proteggere degnamente l’alta indipendenza pontifìcia. Sebbene la filosofìa teologica, una volta giunta allo stato monoteista, tenda naturalmente, secondo le no­ stre spiegazioni precedenti, a determinare la separazione dei due poteri, essa è necessariamente ben lontana dal poterlo fare eoo l’energia, la spontaneità e la precisione che dovranno certamente caratterizzare, in questo senso, la filosofìa positiva, come indi­ cherò più tardi; tanto che la sua influenza, forte ma vaga, non

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poteva fare a meno, a questo proposito, come è stato chiara­ mente confermato da tanti altri esempi di un vano monoteismo, del soccorso continuo delle condizioni puramente politiche, che determinarono l’esigenza di una certa sovranità territoriale, che abbracciasse una popolazione abbastanza vasta per essere, all’occorrenza, provvisoriamente auto-sufficiente, in modo da offrire unrifugio sicuro a tutti i vari membri di quella immensa gerar­ chia, in caso di collisione parziale, ma intensa, con le forze tem­ porali che, altrimenti, li avrebbero sempre tenuti in una troppo stretta dipendenza locale. La sede speciale di quell’eccezionale principato era d’altronde strettamente connessa alla sua destina­ zione, dato che il centro dell’autorità più generale, la sola desti­ nata ormai ad agire simultaneamente su tutti i punti del mondo civilizzato, doveva evidentemente risiedere in quella città unica, la sola adatta a legare, tramite un’ammirevole continuità attiva, il vecchio ordine all’ordine nuovo, in conseguenza delle abitu­ dini profondamente radicate che, da vari secoli, vi facevano con­ ferire, da ogni parte, i pensieri e le speranze sociali, come de Maistre ha fatto capire molto bene quando dice che, nel celebre trasferimento a Bisanzio, Costantino fuggiva sia moralmente dalla Chiesa sia politicamente dai barbari. Ma, del resto, l’indi­ scutibile necessità di quella aggiunta temporale alla suprema di­ gnità ecclesiastica non ne deve far dimenticare i gravi inconve­ nienti, essenzialmente inevitabili, sia per la stessa autorità sacer­ dotale, che per la parte dell’Europa riservata per questo motivo ad una specie di anomalia politica. La purezza ed anche la di­ gnità del carattere pontifìcio si trovavano costantemente esposte aduna incombente alterazione, a causa della confusione perma­ nente delle alte attribuzioni proprie del papato con le operazioni secondarie di un governo provinciale; quantunque proprio in conseguenza, almeno in parte, di tale discordanza, il papa ab­ bia, in realtà, sempre regnato assai poco a Roma, anche nei pe­ riodi di maggior splendore del cattolicesimo, non potendo com­ primere sufficientemente le fazioni delle principali famiglie, i cui meschini conflitti hanno spesso sfidato e compromesso la sua autorità temporale; tuttavia ¡’indispensabile dignità di quel gran­ de carattere politico, e la sua generalità caratteristica, ne hanno indubbiamente sofferto, a causa dell’ascendente troppo esclusivo che dovevano in tal modo gradatamente esercitare le ambizioni

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italiane, e che, dopo aver favorito in un primo tempo lo svi­ luppo del sistema, ha poi notevolmente contribuito ad accele­ rarne la disorganizzazione, con le inevitabili rivalità che deve aver suscitato a lungo andare: sia dall’uno che dall’altro punto di vi­ sta, il capo spirituale dell’Europa ha finito col trasformarsi oggi in un piccolo principe italiano, elettivo, mentre tutti i suoi vicini sono ereditari, ma comunque preoccupato in sostanza, come tutti loro, e forse anche più di loro, del precario mantenimento della sua dominazione locale. Quanto all’Italia, sebbene il suo sviluppo intellettuale, e anche morale, sia stato notevolmente accelerato da queirinevitabile privilegio, essa vi ha perso essenzialmente la sua nazionalità politica: infatti i papi non potevano, senza sna­ turarsi totalmente, estendere sull’Italia intera il loro dominio temporale, azione che del resto l’Europa avrebbe unanimamente impedito. Ciononostante il papato non doveva permettere che si formasse, attorno al suo speciale territorio, alcuna grande sovra­ nità italiana, senza compromettere gravemente la sua indispen­ sabile indipendenza. La dolorosa fatalità determinata da questo conflitto fondamentale costituisce certamente una delle più de­ plorevoli conseguenze della condizione di esistenza che abbiamo appena esaminato, e che ha richiesto, in un certo senso, sotto un aspetto fondamentale, il sacrificio politico di una parte così pre­ ziosa e così interessante della comunità europea, agitata ormai da dieci secoli, da impotenti sforzi per costituire un’unità na­ zionale, ovviamente incompatibile, secondo questa spiegazione, fino ad oggi trascurata, con l’insieme del sistema politico fon­ dato sul cattolicesimo. Dovevo qui caratterizzare distintamente le principali condi­ zioni di esistenza politica del cattolicesimo, che, di natura so­ stanzialmente statica, concernono direttamente la sua organizza­ zione specifica, poiché esse non sono affatto riconosciute da tutte le nostre varie scuole dominanti, che nella loro inettitudine fi­ losofica non sanno immaginare una soluzione sociale che nonsia fondata sull’antica base teologica, e tuttavia rifiutano sostan­ zialmente a tale economia i mezzi fondamentali più indispensa­ bili alla sua efficacia reale, come ho indicato nel volume prece­ dente e come il séguito della nostra analisi storica spiegherà spon­ taneamente. Le condizioni veramente dinamiche, relative alla potenza inevitabile, che doveva assicurare al cattolicesimo losvol-

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gimenlo continuo della sua funzione sociale, sono, di per se, troppo manifeste e, in effetti, troppo poco contestate in genere, per richiedere un esame altrettanto esteso. Potremo quindi, per quanto le concerne, limitarci, a questo proposito, all’analisi som' maria della grande funzione elementare dell’educazione gene* râle che, secondo un chiarimento precedente, costituisce neces­ sariamente la più importante azione del potere spirituale, ed il fondamento primitivo di tutte le sue altre operazioni, fra le quali basterà considerare in séguito quella che, nella vita adulta, do­ veva divenire la conseguenza più naturale e inevitabile per la direzione morale del comportamento privato. Quale che sia l’interesse filosofico che debbano certamente presentare molte altre considerazioni analoghe, come, per esempio, l’esame dell’influenza politica particolare che doveva procurare alla gerarchia cattolica l’esercizio quotidiano dei suoi rapporti naturali, simul­ taneamente, con ogni parte del mondo civilizzato, soprattutto inun periodo in cui le diverse potenze temporali vivevano so­ stanzialmente isolate, sono evidentemente costretto, a causa del­ l'indispensabile restrizione della nostra analisi storica, a lasciare al lettore tutti gli sviluppi del genere. La maggior parte dei filosofi, anche cattolici, per mancanza di una prospettiva abbastanza ampia, hanno solo parzialmente capito l’immensa e felice innovazione sociale gradatamente ap­ portata dal cattolicesimo, quando esso ha direttamente organiz­ zato un sistema fondamentale di educazione generale, intellet­ tuale e soprattutto morale, estesa rigorosamente a tutte le classi della popolazione europea, senza eccezione, nemmeno nei con­ fronti degli schiavi. Se un’abitudine radicata non ci rendesse es­ senzialmente scettici verso questa ammirevole istituzione, per cui siamopiù colpiti solo dal carattere retrogrado che indubbiamente essapresenta oggi dal punto di vista veramente filosofico adatto allo studio razionale delle rivoluzioni successive dell’umanità, capiremmo tutti facilmente l'alto valore sociale di tale migliora­ mentopermanente, partendo dal regime politeistico, che condan­ nava invariabilmente la massa della popolazione ad un inevita­ bileabbrutimento, non limitato agli schiavi, la cui preponderanza numerica è del resto ben nota, ma esteso anche alla maggior parte degli uomini liberi, essenzialmente privati di qualsiasi istruzione regolare, ad eccezione dell’influenza spontanea favo-

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revolé allo sviluppo delle belle arti, e di quella che doveva pro­ durre altresì il sistema delle feste pubbliche, completato dai gio­ chi scenici : è chiaro, in effetti, che, neH’antichità, solo l’educa­ zione puramente militare, esclusivamente limitata, per la sua stessa natura, agli uomini liberi, poteva essere adeguatamente or­ ganizzata, e lo era in realtà nel modo più perfetto. Tali prece­ denti, giudiziosamente valutati, impedirebbero, senza dubbio, l’ignoranza del grande progresso elementare realizzato dal cat­ tolicesimo, che imponeva spontaneamente ad ogni credente, con irresistibile autorità, il dovere rigoroso di ricevere, e anche di procurare per quanto possibile, il beneficio dell’istruzione reli­ giosa che raggiungeva l’individuo fin dai suoi primi passi e, do­ po averlo preparato alla sua funzione sociale, lo seguiva assidua­ mente in tutto il corso della sua vita attiva per riportarlo costan­ temente alla giusta applicazione dei suoi princìpi fondamentali, con un insieme ammirevolmente combinato di esortazioni diret­ te, generali o speciali, di esercizi individuali o comuni, e di segni materiali che convergevano organicamente verso l’unità di im­ pressione. Riportandosi opportunamente a quei tempi, non si tar­ derà a capire che, anche dal punto di vista intellettuale, questi modesti capolavori di filosofia usuale, che costituivano la base dei catechismi volgari, erano allora, in realtà, quanto di meglio la filosofia potesse fornire sul piano pratico per quanto ci deb­ bano ormai sembrare arretrati; infatti contenevano ciò che la filosofia teologica propriamente detta, giunta allo stato mono­ teistico, poteva offrire di più perfetto, a meno di non uscire ra­ dicalmente da tale regime mentale, ciò che era certamente an­ cora del tutto chimerico: l’unica filosofia un po’ più avanzata, in questo senso, che già esisteva, era, come abbiamo visto, pura­ mente metafìsica e, pertanto, necessariamente impropria, per la sua natura antiorganica, a penetrare utilmente nella circolazione generale ove, in base all’esperienza pienamente decisiva dei se­ coli precedenti, essa non avrebbe evidentemente potuto istituire che un funesto scetticismo universale, incompatibile con ogni vero governo spirituale dell’umanità; quanto ai preziosi rudi­ menti scientifici gradatamente elaborati nell’immortale scuoti di Alessandria, essi erano, senza alcun dubbio, troppo deboli, troppo isolati e troppo astratti, per poter penetrare, in qualsiasi misura, in una simile educazione comune, anche se Io spiritofon-

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dimenale del sistema non li avesse implicitamente respinti. Più si scruterà l’insieme di questa memorabile organizzazione, più si resterà colpiti dalla irrazionale e profonda ingiustizia che pre­ senta la cicca accusa assoluta, tanto ripetuta contro il cattolice­ simo, di avere, senza distinzione di epoche, sempre teso a sof­ focare lo sviluppo popolare deH’intelligenza umana, di cui fu per tanto tempo, al contrario, il promotore più efficace: il rim­ provero banale del protestantesimo, alla saggia proibizione della Chiesa romana relativa alla lettura indiscreta e volgare dei li­ bri sacri ripresi dal giudaismo, non dovrebbe essere servilmente riprodotto dai filosofi imparziali che, non essendo trattenuti, come i dottori cattolici, da un rispetto forzato per questa pe­ ricolosa abitudine, potrebbero francamente proclamare i gravi inconvenienti, intellettuali e sociali, radicalmente inerenti a tale pratica che, nata dal bisogno logico di creare al monoteismo una continuità indefinita, tendeva, nella maggior parte degli spiriti ordinari, ad erigere a tipo sociale la nozione retrograda di una antica teocrazia, così contraria alle vere necessità sostanziali del medioevo. L’esatta interpretazione generale dei fatti mostra al­ lora, anzi, net clero cattolico, una disposizione costante a fare universalmente penetrare tutti i lumi che esso stesso aveva rice­ vuto, ben lungi dall’imitare, a questo proposito, la concentra­ zione sistematica propria del regime veramente teocratico: ed eraquesta una conseguenza inevitabile della divisione fondamen­ tale dei due poteri elementari che, nell’interesse stesso della sua legittima dominazione, portava questa gerarchia a stimolare ovunque un certo grado di sviluppo intellettuale, senza il quale la sua potenza generale non avrebbe potuto trovare un punto d’appoggio sufficiente. Del resto, non stiamo per ora valutando direttamente la portata mentale e neanche morale, che natural­ mente esamineremo in seguito, del sistema generale dell’educa­ zione cattolica, di cui dobbiamo adesso considerare soprattutto la grande influenza politica che esso procurava necessariamente alla gerarchia sacerdotale e che doveva evidentemente risultare dall’ascendente spontaneo che tendono a conservare indefinita­ mente i direttori primitivi di qualsiasi educazione reale, quando essa non sia limitata alla semplice istruzione; ascendente imme­ diatoe generale, inerente a questa grande funzione sociale, a pre­ scindere dal carattere specificamente sacro dell’autorità spiri­

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tuale nel medioevo e dai terrori superstiziosi che vi erano attri­ buiti. Ereditando simultaneamente, fin dall’origine, l’empirica saggezza delle teocrazie orientali e gli ingegnosi studi della filo­ sofia greca, il clero cattolico ha dovuto in séguito applicarsi ine­ vitabilmente, con tenace perseveranza, all’esatta investigazione della natura umana, individuale o sociale, che esso ha realmente approfondito nei limiti in cui possono farlo le osservazioni irrazionali, dirette o interpretate da vane concezioni teologiche o metafisiche. Ora, tale conoscenza, ove la sua superiorità gene­ rale era indiscutibile, doveva decisamente favorire l’ascendente politico del clero, dato che in qualunque stato della società, essa costituisce naturalmente, necessariamente, la prima base intel­ lettuale diretta di un potere spirituale; le altre scienze, infatti, non possono ottenere, in questo senso, un’efficacia reale se non con la loro indispensabile influenza razionale sull’estensione ed il miglioramento di queste speculazioni, politicamente prepon­ deranti, relative all’uomo ed alla società. Bisogna infine concepire l’istituzione, veramente capitale, della confessione cattolica come destinata a regolarizzare una im­ portante funzione elementare del potere spirituale, al tempo stes­ so conseguenza inevitabile e complemento necessario della carat­ teristica fondamentale che abbiamo appena considerato: infatti, da un lato, è impossibile che i direttori reali della gioventù non divengano spontaneamente, in qualche misura, i consiglieri abi­ tuali della vita adulta; e, dall’altro, senza tale corollario dell’influenza morale, l’efficacia sociale delle loro operazioni primitive non potrebbe essere sufficientemente garantita, dato che sono essi soltanto a sorvegliare l’applicazione quotidiana dei principi di comportamento che essi hanno insegnato : del resto, sarebbe stato evidentemente assurdo che quest’istituzione avesse conser­ vato indefinitamente le forme puerili, e persino rischiose, ricor­ date daH’etimologia di tale denominazione, e che aveva dovuto mantenere fino a quando la gerarchia potè essere sufficientemente organizzata. Niente può caratterizzare l’irrevocabile decadenza dell’antica organizzazione spirituale meglio della negazione sistematica, così ampiamente diffusasi negli ultimi tre secoli, tb una condizione di esistenza, così semplice c così evidente, o il disuso spontaneo, non meno significativo, di un costume così adatto ai bisogni elementari della nostra natura morale,

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come il confidarsi c il farsi guidare, che in teoria potevano es­ sere adeguatamente soddisfatti solo dalla subordinazione volon­ taria di ogni credente ad una guida spirituale, liberamente scelta eallo stesso tempo in grado di dare utili consigli e quasi sempre incapace, a causa della sua posizione disinteressata, ma non in­ differente, di abusare di una fiducia che costituiva l’unica base, costantemente libera, di una tale autorità personale. Se si rifiuta, infatti, al potere spirituale una simile influenza consultativa sulla vita umana, quale vera caratteristica sociale potrebbe rimanergli che non potesse essere ancor più giustamente contestata ? I po­ tenti effetti morali di quella bella istituzione, che purificava tra­ mite l’ammissione e correggeva tramite il pentimento, sono già stati così bene analizzati dai filosofi cattolici, che siamo fortuna­ tamente dispensati dal dare qui una speciale spiegazione di una funzione che ha tanto utilmente sostituito la pura e semplice di­ sciplina, al tempo stesso precaria e fastidiosa secondo la quale, sottoil regime politeistico, il magistrato si sforzava invano di re­ golare i costumi con arbitrarie prescrizioni, in virtù della confu­ sione fondamentale dei due ordini di poteri umani. Non dobbia­ mo considerarla, ora, che come una condizione indispensabile di esistenza politica inerente al governo spirituale, quali ne siano la natura c il principio, e senza la quale esso non potrebbe suffi­ cientemente adempiere alla sua funzione caratteristica, che trova inessa simultaneamente le sue informazioni elementari ed i suoi primi strumenti morali. I gravi abusi che essa ha prodotto, anche ai più bei tempi del cattolicesimo, devono essere imputati più che all'istituzione in sé, astrattamente concepita, alla natura vaga ed assoluta della filosofìa teologica, l’unica suscettibile, necessa­ riamente, di costituire allora la base molto imperfetta, sia mo­ ralmente che mentalmente, dell’organizzazione spirituale. Ri­ sultava necessariamente, infatti, da tale situazione, l’inevitabile obbligo di quel diritto, in realtà quasi arbitrario nonostante le migliori regole di assoluzione religiosa, a proposito del quale le più legittime proteste non potrebbero impedire l’impellente biso­ gno pratico di quella facoltà continua, senza la quale, all’imme­ diatopericolo dell’individuo e della società, un solo errore capitale avrebbe costantemente determinato un’irrevocabile disperazione, lecui conseguenze abituali avrebbero ben presto teso a convertire

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quella salutare disciplina in un principio di incalcolabili pertur­ bazioni. L’insieme delle considerazioni precedenti dovrebbe bastare a dare un quadro generale dell’aspetto politico del cattolicesimo, relativamente alle condizioni fondamentali del governo spiritua­ le, condizioni, che, per la loro stessa natura, debbono sempre ma­ nifestarsi, in misura e in forma variabile, in ogni vera organizza­ zione morale, distinta, qualunque ne sia il principio. Per appro­ fondire la conoscenza di questo grande organismo del medioevo, in modo da capire le reali esigenze, sia della sua esistenza pas­ sata sia della sua vana restaurazione posteriore, ci restano an­ cora da segnalare, sotto un punto di vista più particolare, le sue principali condizioni puramente dogmatiche, per far capire che le credenze teologiche secondarie, oggi comunemente conside­ rate socialmente indifferenti, erano tuttavia indispensabili alla piena efficacia politica di quel sistema artefatto e complesso, di cui l’ammirevole, ma passeggierà unità risultava faticosamente dalla laboriosa convergenza di una moltitudine di influenze ete­ rogenee, tanto che una sola di esse, profondamente avviata, ten­ deva a comportare naturalmente un’inevitabile disorganizzazio­ ne totale, anche se graduale. Abbiamo già riconosciuto, a questo proposito, alla fine dello scorso capitolo, che il puro monoteismo, come lo sognano i no­ stri deisti, sarebbe al tempo stesso inattuabile e sterile; e ogni filosofo imparziale che tenterà opportunamente di misurare, per così dire, la dose fondamentale di politeismo che il cattolicesimo ha dovuto necessariamente conservare regolarizzandola secondo il proprio principio, riconoscerà che essa fu, in genere, ristretta alle esigenze inevitabili intellettuali o sociali, del vero spirito teo­ logico. Ma dobbiamo inoltre considerare nel cattolicesimo i piò importanti fra i vari dogmi accessori che, derivati più o meno spontaneamente, dalla concezione teologica caratteristica, ne han­ no costituito soprattutto degli sviluppi collaterali più o meno in­ dispensabili all’intera realizzazione del suo grande scopo prov­ visorio per l’evoluzione sociale dell’umanità. La tendenza, estremamente vaga e mobile, che caratterizza spontaneamente, anche allo stato monoteista, le concezioni teo­ logiche, dovrebbe per necessità compromettere profondamente la loro efficacia sociale, esponendo in maniera quasi indefinita,

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nella vita reale, i precetti pratici dei quali esse sono la base di modificazioni essenzialmente arbitrarie, determinate dalle di­ versepassioni umane, se questo immediato pericolo continuo non fosse regolarmente scongiurato da una attiva sorveglianza fon­ damentale del potere spirituale corrispondente. Ciò spiega per­ ché la sottomissione spirituale, evidentemente indispensabile, incerta misura, ad ogni organizzazione del governo morale dell'umanità, aveva bisogno di essere molto più intensa sotto il re­ gime teologico di quanto non dovrà essere, come indicherò in séguito, sotto il regime positivo, ove la natura delle dottrine porta ad una convergenza pressoché sufficiente, e richiede, di conse­ guenza, un ricorso molto meno specifico e meno frequente al­ l’autorità interpretativa o direttrice. Allo scopo di costituire e di mantenere l’unità necessaria alla sua finalità sociale, il cattolice­ simo ha quindi dovuto contenere per quanto possibile lo sviluppo individuale, inevitabilmente discordante, dello spirito religioso, erigendo direttamente la fede più assoluta a dovere principale del cristiano; infatti, senza tale base, tutti gli altri obblighi morali avrebbero perso il loro unico punto d’appoggio. Se questa evi­ dente necessità del sistema cattolico tendeva realmente, secondo l’accusa banale, a fondare l’impero del clero molto più di quello della religione, la scuola positiva, con la piena indipendenza che lacaratterizza e che non potevano manifestare i filosofi cattolici riguardo ai vizi radicali delle proprie dottrine, non deve temere di riconoscere oggi pienamente che questa sostituzione tanto cri­ ticata doveva essere, in fondo, vantaggiosa per la società; infatti la principale utilità pratica della religione doveva consistere, al­ lora, in realtà, nel permettere l’esaltazione provvisoria di una no­ bile corporazione speculativa, particolarmente adatta, come ho spiegato, per la natura stessa della sua organizzazione, a diri­ gere felicemente, nel suo periodo di ascesa, le opinioni e i co­ stumi, sebbene fosse condannata ad una irrevocabile decadenza, non dai difetti essenziali della propria costituzione, ma precisamente, al contrario, dalla inevitabile imperfezione di tale filo­ sofia, il cui ascendente mentale e sociale doveva essere puramente provvisorio, come sarà dimostrato irrefutabilmente, mi auguro, dal resto di questo volume. D’ora in poi questa indispensabile considerazione generale dovrà sempre dominare ogni analisi ve­ ramente razionale del cattolicesimo, tanto dal punto di vista pu­

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ramente dogmatico quanto dal punto di vista direttamente poli­ tico; è l’unica che possa portare a capire il vero carattere di certe credenze, indubbiamente pericolose, ma imposte dalla natura o dalle esigenze del sistema, c che finora non hanno mai potuto essere giudicate da un punto di vista filosofico; essa deve infine sottolineare l'importanza capitale che tante intelligenze superiori davano in passato a certi speciali dogmi, che un esame superfi­ ciale porta oggi a proclamare inutili allo scopo finale, ma che, in fondo, erano in genere intimamente legati alle esigenze reali sia dell’unità ecclesiastica che dell’efficacia sociale. Nel trattato speciale già promesso, tale spirito filosofico spie­ gherà facilmente l’indiscutibile necessità relativa, intellettuale o sociale, dei dogmi più aspramente criticati del cattolicesimo, i quali, proprio a causa di quell’intimo obbligo, hanno più effet­ tivamente contribuito in modo notevole alla sua decadenza, su­ scitando ovunque grande ripugnanza, sia mentale sia morale. Alla luce di quanto ho detto, si può facilmente concepire, per esempio, la disposizione fondamentale, tanto indispensabile quanto dolorosa, che imponeva direttamente la fede cattolica come condizione rigorosa della salvezza eterna, e senza la quale, in effetti, è evidente che nulla avrebbe potuto contenere la diver­ genza spontanea delle credenze teologiche, salvo il ricorrere co­ stantemente ad un intervento temporale piuttosto illusorio: c ciononostante, questa fatale prescrizione, che conduce inevita­ bilmente alla dannazione di tutti gli eterodossi, compresi quelli involontari, ha dovuto senza dubbio giustamente provocare, più di qualsiasi altro, al momento dell’emancipazione, una profonda ed unanime indignazione; infatti non vi è forse nulla di più adatto a confermare, sotto il profilo morale, la finalità puramente provvisoria così chiaramente inerente, sotto il profilo mentale, a tutte le dottrine religiose, allora gradatamente portate a con­ vertire un antico principio di amore in un motivo finale di odio insormontabile, come si vedrebbe sempre più, dopo la disper­ sione delle credenze, se la loro attività sociale non tendesse infine verso una estinzione totale e comune. Il famoso dogma della condanna originale dell’umanità intera che, moralmente, è ancor più radicalmente rivoltante del precedente, costituiva anch'essc

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un elemento necessario della filosofìa cattolica, non soltanto in rapporto alla spiegazione teologica delle miserie umane, che ne ha riprodotto, in tanti altri sistemi religiosi, il germe essenziale, ma anche in particolare, per motivare convenientemente la ne­ cessità generale di una redenzione universale, sulla quale riposa tutta l’economia della fede cattolica. Sarebbe ugualmente facile riconoscere che l’istituzione, così aspramente criticata, del pur­ gatorio fu, al contrario, molto felicemente accolta nella pratica sociale del cattolicesimo, quale indispensabile correttivo fonda­ mentale dell’eternità delle pene future: altrimenti, infatti, l’etcrnità, senza la quale le prescrizioni religiose non potevano es­ sere efficaci, avrebbe evidentemente determinato spesso o un abbandono funesto, o una paurosa disperazione, entrambi ugual­ mente pericolosi per l’individuo come per la società, e fra i quali il genio cattolico è riuscito a organizzare questa ingegnosa via d’uscita, che permetteva di graduare immediatamente, con scru­ polosa precisione, l’applicazione effettiva del procedimento reli­ gioso alle convenienze di ogni caso reale; nonostante gli inevita­ bili successivi abusi di un espediente tanto arbitrario, vi si deve vedere una delle condizioni usuali imposte dalla natura del si­ stema, come ho indicato più sopra relativamente al diritto di assoluzione. Fra i dogmi più speciali, un esame analogo mette­ rebbe in piena evidenza la necessità politica del carattere intima­ mente divino attribuito al primo fondatore, reale o ideale, di quel grande sistema religioso, in conseguenza della relazione profonda, incontestabile, sebbene finora male interpretata, di una simile concezione con l’indipendenza radicale del potere spiri­ tuale, così spontaneamente posto sotto una propria inviolabile autorità, invisibile, ma presente; mentre invece, nell’ipotesi aria­ na, il potere temporale, rivolgendosi immediatamente alla prov­ videnza comune, doveva essere assai meno disposto a rispettare 0 libero intervento del corpo sacerdotale, di cui il capo mistico era allora molto meno eminente. Non ci si può fare oggi una giusta idea delle immense difficoltà di ogni genere che ha dovuto cosi a lungo combattere il cattolicesimo per organizzare infine la separazione fondamentale dei due poteri elementari; c, di conseguenza, si colgono solo imperfettamente le diverse risorse che quella grande lotta ha richiesto, e fra le quali figura, in pri­ mo luogo, una tale apoteosi, che tendeva ad esaltare notevol*

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mente la dignità della Chiesa agli occhi dei re, mentre d’altro canto, una rigorosa unità religiosa avrebbe troppo favorito, in senso inverso, la concentrazione dell’ascendente sociale; perciò la storia ci manifesta, in maniera molto variata e decisiva, la segreta predilezione persistente della maggior parte dei re del­ l’epoca per l’eresia di Ario *, in cui il loro istinto di dominazione sentiva confusamente un potente mezzo per diminuire l’indi­ pendenza pontificale e favorire la preponderanza sociale c l’au­ torità temporale. 11 celebre dogma della presenza reale, che, nono­ stante la sua stranezza mentale, non costituiva, in fondo, che una specie di prolungamento spontaneo del dogma precedente, comportava evidentemente, in sommo grado, la stessa efficacia politica, attribuendo all’ultimo prete un potere quotidiano di mi­ racolosa consacrazione, che doveva renderlo altamente rispetta­ bile a capi il cui potere materiale, qualunque ne fosse l’esten­ sione, non poteva mai aspirare ad operazioni tanto sublimi: in una parola, oltre allo stimolo sempre nuovo che la fede doveva continuamente riceverne, tale credenza rendeva il ministero ec­ clesiastico più indiscutibilmente indispensabile; mentre invece con delle concezioni più semplici ed un culto meno speciale, i magistrati temporali, che tendevano sempre alla supremazia, avrebbero facilmente concepito il pensiero di fare sostanzialmente a meno dell’intervento sacerdotale, alla sola condizione di una vana ortodossia, come la decomposizione graduale del cristiane­ simo ha dimostrato sempre più nel corso degli ultimi tre secoli. Se, dopo aver considerato l’insieme dogmatico del cattolicesimo, si sottoponesse ad una analisi analoga il culto propriamente detto, che non ne era che una conseguenza necessaria ed una inevita­ bile manifestazione permanente, vi si troverebbe in modo più o meno marcato, oltre ad alcuni importanti mezzi morali di azione individuale e di unione sociale, un’analoga finalità po­ litica che basterà indicare qui rapidamente nella sua pratica più importante; senza parlare poi di quei memorabili sacramentila cui successione graduale, disposta molto razionalmente, doveva ricordare solennemente ad ogni credente, nei maggiori momenti f. Ario (256-336), prete oriundo della Libia, fu l'esponente principale della dot­ trina che vedeva resistenza di un essere intermedio, strumento per mezzo del quale Dio tutto opererebbe. La dottrina di Ario fu definita eretica nel Concilio di Nicea (335).

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della sua vita, e in tutto il suo corso regolare, lo spirito fondamentale del sistema universale, tramite segni particolarmente adattati al vero carattere di ogni situazione. Da un punto di vista mentale, la messa cattolica offre, indubbiamente, un aspetto assai poco soddisfacente, dato che la ragione umana non potrebbe ve­ dervi, in realtà, altro che una specie di operazione magica, con­ clusa con il compimento di una pura evocazione, reale, sebbene mistica: ma, al contrario, dal punto di vista sociale, vi si deve riconoscere, a mio avviso, una felicissima invenzione dello spi­ rito teologico, destinata a realizzare la soppressione universale ed irrevocabile dei sanguinosi e atroci sacrifìci del politeismo, realizzando, in virtù di un sublime sotterfugio, quel bisogno istintivo del sacrifìcio, che è necessariamente inerente ad ogni regime religioso, e che soddisfa così ogni giorno, al di là di qual­ siasi possibilità precedente, l’immolazione volontaria della più preziosa vittima immaginabile. Per quanto imperfette debbano necessariamente essere indi­ cazioni tanto sommarie sui diversi articoli essenziali del dog­ ma e del culto cattolico, il cui esame più approfondito sarebbe ora fuori luogo, esse basteranno, mi auguro, a far capire, a tutti i veri filosofi, la natura e l’importanza di un tal ordine di con­ siderazioni in attesa dell’analisi ulteriore precedentemente an­ nunciata. Più si approfondirà, in questo spirito positivo, lo studio generale del cattolicesimo nel medioevo, più ci si spie­ gherà l’enorme interesse, non meno sociale che mentale, che ispiravano allora universalmente tante memorabili controversie, da cui intelligenze insigni hanno saputo gradatamente creare l’ammirevole organizzazione cattolica, anche se una critica su­ perficiale le faccia oggi considerare, in genere, indifferenti allora quanto lo sono poi naturalmente diventate dopo l’inevitabile de­ cadenza del sistema corrispondente. Gli infaticabili sforzi di tanti illustri dottori o pontefici per combattere l’arianesimo, che ten­ devano necessariamente a rovinare l’indipendenza sacerdotale, le loro lotte, altrettanto capitali, contro il manicheismo, che mi­ nacciava direttamente l’economia fondamentale del cattolicesi­ mo, volendo sostituire il dualismo all’unità, e molti altri dibat­ titi giustamente celebri, non erano certo allora più sprovvisti di scopo serio e profondo, anche politico, delle contestazioni più agitate dei nostri giorni, e che sembreranno forse, in un avvenire

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meno lontano, altrettanto strane a filosofi incapaci di discer­ nere i gravi interessi sociali dissimulati dalle tesi mal concepite da cui il nostro secolo è inondato. Una mediocre conoscenza della storia ecclesiastica dovrebbe certamente confermare questa massima evidente della sana filosofia che stabilisce direttamente l’assoluta impossibilità che simili controversie, ardentemente per­ seguite, per vari secoli, dalle migliori intelligenze contempora­ nee, ed ispirando la più viva sollecitudine a tutte le nazioni ci­ vilizzate, fossero del tutto prive di significato reale, mentale o sociale : e, in effetti, gli storici cattolici hanno giustamente no­ tato che tutte le eresie di qualche importanza erano abitualmente accompagnate da gravi aberrazioni morali o politiche, la cui fi­ liazione logica sarebbe quasi sempre facile da stabilire, sulla base di considerazioni analoghe a quelle che ho appena indicato per i casi principali. Questo è quindi solo un abbozzo incompleto al quale devo per ora limitarmi per poter dare un esatto giudizio di questo immenso ed ammirevole organismo, eminente capolavoro poli­ tico della saggezza umana, elaborato gradualmente attraverso dieci secoli con sistemi diversi ma sempre coerenti, dal grande san Paolo, che ne concepì all’inizio lo spirito generale, fino al­ l’energico Ildebrando, che ne coordinò tutta la struttura sociale, mentre in questo grande intervallo lo sviluppo universale esigeva il potente concorso intellettuale e morale, tanto diverso e tanto vivace, di tutti quegli uomini superiori che onoravano allora la nostra specie, Agostino, Ambrogio, Girolamo, Gregorio, ed al­ tri; i quali, nella loro unanime tendenza a riconoscere la fun­ zione di un’unità generale, sebbene spesso ostacolati dall’om­ brosa e volgare mediocrità dei re, furono quasi sempre alta­ mente assecondati da tutti i sovrani dotati di un vero genio poli­ tico, come l’immortale Carlo Magno, l’illustre Alfredo ‘ ed altri. Dopo avere così tratteggiato il regime monoteista del medioevo per quello che riguarda l’organizzazione spirituale, che ne co­ stituiva il principale fondamento, diventa ora più semplice pro­ cedere in un modo sommario, ma largamente sufficiente, al-I. I. Alfredo ¡1 Grande (849-901), re degli Anglo-Sassoni, celebre per le sue Tino* sui Danesi e autore di un Codice di leggi.

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Tesarne filosofico dell’organizzazione temporale corrispondente, di modo che, venendo ad essere completa l’analisi politica di quel regime, possiamo cominciare a considerarlo soprattutto da un punto di vista puramente morale, e quindi nel suo aspetto intellettuale. I numerosi tentativi che sono stati fatti sinora per dare un giudizio filosofico sull’aspetto temporale del medioevo gli hanno sempre lasciato un carattere essenzialmente fortuito, attribuendo una smisurata influenza alle invasioni germaniche, dalle quali sembrerebbe perciò derivare esclusivamente. Era quindi molto importante, per una sana filosofia politica, correggere a fondo questa irrazionale concezione, che tende ad interrompere del tutto, in uno dei suoi lati più importanti, l’indispensabile con' tinuità della grande serie sociale. Ora, questa correzione generale risulta con felice naturalezza, come cercherò di spiegare, dalla nostra teoria fondamentale dello sviluppo sociale, seguendo la quale, si potrebbero quasi costruire a priori i principali attributi distintivi di quel regime, dal sistema romano, modificato dall’in­ fluenza cattolica, la cui penetrazione graduale, ormai pienamente motivata daH’insieme delle nostre valutazioni precedenti, non ha più nulla di accidentale : si può quindi almeno riconoscere con una certa facilità che, senza le invasioni, l’importanza dei diversi antecedenti avrebbe da sola naturalmente costituito, in Occidente, verso quell’epoca, un sistema politico essenzialmente analogo al sistema feudale propriamente detto. Per la verità, una logica meno esigente potrebbe suggerire l'idea che si possa togliere a questo grande spettacolo storico il carattere fortuito che lo snatura nelle concezioni attuali, limi­ tandosi, con un procedimento molto più semplice, ma molto meno soddisfacente, a dimostrare che quelle memorabili inva­ sioni successive, lungi dall’essere in qualche modo accidentali, non erano che il risultato necessario dell’espansione finale del dominio romano. Sebbene questo elemento non sia in sé stesso sufficiente al nostro scopo principale, conviene tuttavia rilevarlo subito a titolo di chiarimento accessorio e preliminare a propo­ sito dell’organizzazione temporale del medioevo. Ora, appli­ cando convenientemente i principi stabiliti nel capitolo prece­ dente sui limiti che necessariamente incontrava al suo espandersi progressivo l’impero romano, non è difficile riconoscere, in li­

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nea generale, che questo impero era inevitabilmente ostacolato da una parte dalle grandi teocrazie orientali, troppo lontane c soprattutto troppo poco adatte per la loro natura ad essere com­ pletamente assimilate; dall’altra, soprattutto in Occidente, dai popoli cacciatori o pastori, i quali, non avendo ancora una di­ mora veramente stabile, non potevano propriamente essere con­ quistati; in modo che, verso l’epoca di Traiano o degli Antonini, l’impero aveva essenzialmente conquistato tutta l’estensione reale che poteva mantenere e che sarebbe ben presto stata sconvolta da un’irresistibile reazione. Nel secondo caso, che è naturalmente il più importante, a proposito di questa reazione, è chiaro in­ fatti che uno stato completamente agricolo e sedentario è indi­ spensabile per i vinti come per i vincitori, perché un sistema di conquista si dimostri efficace; vi sfuggono, infatti, a meno di essere completamente distrutte, tutte le popolazioni nomadi, sem­ pre disposte, nelle loro sconfitte, a cercare altrove un rifugio si­ curo, dal quale tentare, in séguito, di tornare al loro punto di partenza, con tanta più decisione quanto più saranno state gra­ dualmente respinte. Stando a questo inevitabile meccanismo, cosi ben spiegato da Montesquieu, le invasioni, sebbene meno si­ stematiche, non furono in realtà più accidentali delle conqui­ ste che le avevano provocate; poiché questo essere gradual­ mente respinti, complicando sempre di più le condizioni di vita dei popoli nomadi, doveva finire con l’affrettare molto il loro trapasso spontaneo alla vita agricola; e quindi il modo più sem­ plice per farlo doveva essere senza dubbio, invece della faticosa organizzazione che sarebbe stata necessaria per stabilirsi nei loro rifugi così poco adatti, di impadronirsi, in zone adiacenti all’impero, di territori più favorevoli e già preparati, essendo i possessori di queste terre sempre più incapaci di resistere ad una energica pressione, proprio a causa dell’estensione dei loro do­ mini. Lo svolgersi di questa inevitabile reazione non fu, in realtà, meno graduale dell’azione che l’aveva provocata, c non la si giudica ordinariamente altrimenti che in séguito ad una disposi­ zione irrazionale a non considerare se non le invasioni del tutto riuscite : un’analisi coscienziosa mostra, al contrario, che queste invasioni erano cominciate di fatto, su larga scala, molti secoli pri­ ma che Roma avesse acquisito il suo più alto ascendente sull'Eu­ ropa : ma non avevano ottenuto successi permanenti che dopoil

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crescente spossarsi dell'energia romana, con il definitivo allarga­ mento dell’Impero. Un tale stato di cose, tendenzialmente pro­ gressivo, era a quei tempi un risultato così naturale della gene­ rale situazione politica, che aveva aperto la strada, molto prima del v secolo, ad irresistibili concessioni via via più importanti, sia attraverso il reclutamente diretto dei barbari nelle armate romane, sia con l’abbandono volontario di alcune province con la condizione naturale di contenere i nuovi occupanti. Sebbene per quello che riguarda la filosofìa, la nostra attenzione debba concentrarsi specialmente sulla parte « migliore » dell’umanità, come ho chiarito all’inizio di questo volume, era però necessario mettere qui in evidenza, almeno sommariamente, questa im­ mensa ed importantissima reazione che, essendo molto più va­ stae durevole di quanto non si pensi comunemente, suscitò, nel medioevo, la più grande fioritura permanente delle attività mi­ litari, come spiegherò più avanti. Paragonando nel loro insieme l’ordine feudale c quello ro­ mano è facile osservare che, nonostante l'inevitabile prolungarsi di un regime essenzialmente militare, questo sistema aveva su­ bito dovunque, durante il medioevo, una trasformazione essen­ ziale, conseguenza naturale della nuova situazione del mondo civilizzato, e fonte temporanea di cambiamenti universali nel­ l'organizzazione sociale. Appare chiaro, infatti, come le attività militari, sebbene ancora molto importanti, andassero perdendo sempre di più il loro carattere eminentemente offensivo, che fino adallora avevano conservato, per assumere gradualmente un at­ teggiamento puramente difensivo; come è già possibile desu­ mere dalle osservazioni abituali di tutti gli storici coscienziosi sull’evidente contrasto, proprio dell’organizzazione feudale, tra un pronunciatissimo atteggiamento difensivo e una scarsa effi­ cacia offensiva. Senza dubbio il cattolicesimo ha potentemente influenzato questa felice trasformazione, partecipandovi in senso generale, come in séguito farò notare: ma non avrebbe potuto determinarla completamente, se non fosse stata prima di tutto il risultatonaturale dell’insieme di fatti antecedenti, almeno quanto il cattolicesimo stesso, al sorgere del quale essa era d’altra parte indispensabile fino ad un certo grado. Ora, non si può dubitare che questo cambiamento radicale fosse prodotto necessariamen­ te daH'estensione stessa del dominio romano; poiché, quando

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finalmente l’azione di conquista ebbe toccato il suo culmine mas­ simo, fu necessario che gli sforzi militari fossero rivolti alla con­ servazione, divenuta il solo fatto essenziale, e sempre più grave­ mente minacciato dalla crescente pressione di quei paesi che non erano stati conquistati, e come ho spiegato prima, sarebbe dif­ ficile concepire una necessità più irrevocabile. Questa è dunque la causa, eminentemente naturale, del nuovo carattere generale assunto allora dall’organizzazione temporale, il quale, secondo un principio evidente, cessa di presentare aspetti accidentali. Da questa differenza fondamentale deriva infatti che l’organizza­ zione sociale, sempre essenzialmente militare, avendo dovuto adattarsi a questa nuova necessità, dovette subire gradualmente la trasformazione che distingue meglio, nell’opinione comune, il sistema feudale propriamente detto, lasciando sempre più pre­ valere la dispersione della forza politica in un agglomerato di terre sempre più difficili da conservare, mentre il suo scopo prin­ cipale aveva cessato di esistere: poiché una di queste tendenze non è meno conveniente alla difesa, dove ciascuno deve escrdtare una partecipazione diretta, speciale e attuale, di quanto l'al­ tra non lo sia alla conquista che esige, al contrario, la subordi­ nazione profonda e continua di tutte le operazioni parziali all’impulso che dirige. È così che ogni capo militare impegnato nella difesa territo­ riale, la qual cosa non imponeva abitualmente un'attività soste­ nuta, fu spinto naturalmente a crearsi un potere quasi indipen­ dente su quella parte del territorio che avrebbe dovuto difen­ dere, con l’aiuto di guerrieri che si appoggiavano al suo potere, governare i quali costituiva giornalmente la sua principale oc­ cupazione sedentaria, a meno che l’estendersi della sua potenza non gli avesse già permesso di ricompensarli con piccole con­ cessioni dello stesso tipo, in qualche caso suscettibili a loro volta di essere ulteriormente suddivise, secondo lo spirito gene­ rale del sistema. A parte quindi le invasioni germaniche, si puì facilmente riconoscere nel sistema schiettamente romano, dopo la completa espansione dell’impero, questa tendenza elementare allo smembramento totale del vecchio potere, attraverso gli sfora molto pronunciati della maggior parte dei governatori, allo scopo di conservare in maniera indipendente le loro cariche territo­ riali, e persino per assicurarsi direttamente un’eredità che costi­

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tuiva il naturale prolungamento ed il pegno più sicuro di tale indipendenza. Questa tendenza si fa sentire chiaramente fino nei territori dell’impero d’Oriente, da tanto tempo preservati da in­ vasioni veramente preoccupanti. La memorabile azione di cen­ tralizzazione temporanea, della quale Carlo Magno fu così giu­ stamente designato a divenire il nobile organo, doveva essere il risultato naturale, ma passeggierò, della forza generale del costu­ me feudale, che ratificava, con l’atto più decisivo, la separazione politica dell’Occidente dall’impero, da allora irrimediabilmente relegato in Oriente, e preparava in modo diretto l’ulteriore ed uniforme diffusione del sistema feudale, senza potere d’altra parte trattenere in séguito la tendenza dispersiva che ne costi­ tuiva lo spirito. Infine, anche l’ultimo attributo tipico dell’ordine feudale, quello che concerne la radicale modifica della sorte degli schiavi, risulta necessariamente e con altrettanta evidenza da questo fon­ damentale cambiamento della situazione militare, che provo­ cherà spontaneamente la trasformazione graduale dell’antica schiavitù in vera e propria servitù, trasformazione così felice­ mente rafforzata e perfezionata sotto l’influenza del cattolicesi­ mo, come presto farò notare. Già il Dunoyer 1 nell’utile e co­ scienzioso lavoro pubblicato nel 1825 ha per primo giustamente apprezzato, in una buona nota storica, l’importante migliora­ mento che la condizione degli schiavi aveva indirettamente ot­ tenuto attraverso le conseguenze dell’espansione della domina­ zione romana, la quale, allontanando e restringendo sempre di piùi luoghi utili alla tratta degli schiavi, sempre necessariamente esterni all’impero, doveva renderla a poco a poco più difficile c rara, e infine quasi impossibile. Ora è evidente che il venire a mancare della più importante fonte di rifornimento, riducendo il commercio degli schiavi ai soli movimenti interni, doveva ne­ cessariamente tendere a trasformare la schiavitù in servitù, tro­ vandosi fin da allora ogni famiglia involontariamente portata a dare un maggior valore alla conservazione indefinita degli schia­ ri ereditari, il ricambio abituale dei quali non era più veramente facoltativo; in poche parole, la fine della tratta esterna doveva 1. Barthclem y-Charlts-Picrrt-Joseph D un oyer (178 G 18 6 2 ), econom ista, autore di Di k libtrld du travidi.

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ben presto trascinare anche il commercio all’interno; e come conseguenza, gli schiavi, oramai definitivamente attaccati alla casa o alla terra divenivano dei veri servi, salvo l’indispensabile complemento morale di un tale cambiamento attraverso l'incvitabile intervento del cattolicesimo. Per quanto sommarie pos­ sano sembrare queste indicazioni, la loro natura c così semplice e chiara che saranno sufficienti, io spero, a dimostrare irrefuta­ bilmente a tutte le persone di buon senso questa proposizione veramente importantissima di filosofia storica, che, sotto i tre aspetti essenziali attraverso i quali l’organizzazione temporale del medioevo può essere meglio caratterizzata, doveva, in modo necessario, avverarsi naturalmente, indipendentemente dalle in­ vasioni e dalla nuova situazione generale, determinata, nel mon­ do romano, dal definitivo completamento del sistema di conqui­ sta finalmente giunto ad un limite insormontabile : in modo che il feudalismo ne sarebbe ugualmente nato, senza nessuna diffe­ renza essenziale, anche se le invasioni non avessero avuto luogo, cosa che d’altra parte era assolutamente improbabile. La loro reale influenza, dunque, si è fatta sentire principalmente solo sull’istituzione più o meno precoce di questo regime inevitabile; ora, da questo punto di vista molto secondario, è difficile giudi­ carla correttamente, perché è chiaro che doveva essere al tempo stesso favorevole e negativa, essendo da un lato i barbari senza dubbio meglio disposti dei romani a questa nuova politica, della quale le loro guerre continue dovevano d’altro canto ostacela« lo sviluppo; così che non oserei stabilire definitivamente scio slancio iniziale sia stato in tal modo accelerato o ritardato; que­ stione d’altra parte, in sé stessa molto poco importante e quasi oziosa, dal momento che abbiamo riconosciuto la fondamentale spontaneità del sorgere del nuovo ordine temporale, e, inoltre, la necessità di tale causa accessoria, il che, evidentemente, basta già a dissipare tutta questa apparenza accidentale e fortuita che dissimula ancora alle menti migliori il vero carattere della gran­ de trasformazione sociale. Al fine di chiarire meglio tale natu­ ralezza, dovevo prima di tutto giudicare adeguatamente i prin­ cipali attributi temporali del sistema politico proprio al medio­ evo, astraendo completamente dalle influenze spirituali corri­ spondenti e limitandomi a constatare, per ciascuno di essi, h sua filiazione, diretta e necessaria, dalla sola tendenza naturale

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di tutti i fatti generali antecedenti. Ma, per completare vera­ mente questa concezione ancora elementare, bisogna ora inse­ rirvi l’essenziale intervento del cattolicesimo, che, essendo allora profondamente incorporato al costume c persino alle istituzioni, ha tanto contribuito ad imprimere all’organizzazione feudale il carattere che la distingue, sviluppando e perfezionando i prin­ cipi essenziali che nascevano dalla nuova situazione sociale. Que­ sta partecipazione complementare era, evidentemente, ancora meno accidentale della tendenza principale: fatto che d’altra parte conduce talvolta ad esagerarne la reale influenza, mettendo quasi esclusivamente in rapporto ad essa la formazione del nuo­ vo regime, indipendentemente da qualsiasi movimento tempo­ rale; mentre, in generale, l’azione spirituale può, per sua natura, agire efficacemente solo su elementi preesistenti e al seguito di disposizioni anteriori e naturali. I risultati essenziali non possono, da questo punto di vista, essere attribuiti principalmente alle invasioni germaniche, perché quella inevitabile influenza le aveva certamente precedute: dalla sua origine chiaramente ro­ mana essa tendeva di necessità a modificare sempre più l’ordine sociale in modo conforme alla nuova situazione dell’Impero. Si­ tuata prevalentemente per la sua stessa natura, in una posizione dalla quale era allora possibile cogliere nel migliore dei modi l'insieme degli avvenimenti, la corporazione spirituale, sebbene la sua stessa organizzazione fosse poco sviluppata, aveva d’al­ tronde già previsto l’irresistibile necessità di queste invasioni e si era da molto tempo nobilmente preparata a moderarne, al momento dell’urto, l’impeto selvaggio, sforzandosi, con corag­ giose missioni, di conquistare in anticipo alla fede comune que­ ste forti popolazioni, presso le quali tuttavia il cattolicesimo si era la maggior parte delle volte arrestato allo stato di arianesi­ mo, a causa dei motivi politici notati prima. Nonostante questo frequente ostacolo, così difficile da evitare e fonte continua di gravi imbarazzi, la storia mostra chiaramente in molte occasioni importanti come il cattolicesimo intervenisse spesso e felicemente conla sua influenza a prevenire o attenuare i pericoli delle con­ tinue invasioni; senza parlare poi del chiaro appoggio che i vinti avrebbero quasi sempre trovato dopo la conquista in un clero potente, il quale attraverso molti secoli dovette essere reclutato inogni luogo principalmente tra loro, e che senza dubbio era

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sempre intimamente disposto, sia per lo spirito stesso dell'isritimone, sia per il suo interesse ad un dominio tutto morale, a contenere, per quanto possibile, la brutale autorità dei vincitori. Stando a questo aspetto della cosa, ed al precedente, è difficile stabilire esattamente se le invasioni abbiano in realtà accelerato o ritardato l'inarrestabile slancio naturale del feudalesimo: per­ ché se da un lato l’energia morale e la rettitudine intellettuale di queste popolazioni primitive erano certamente più adatte, in fondo, una volta superati i primi ostacoli, a ricevere l’azione della Chiesa, di quanto non lo fossero lo spirito sofistico ed i co­ stumi corrotti degli indeboliti romani, dall’altro, il loro stato mentale, da principio troppo alieno dal monoteismo, ed il loro profondo disprezzo per la razza conquistata dovevano costituire gravi ostacoli all’efficacia della civilizzazione cattolica. Co­ munque, qualunque sia la soluzione di questo problema secon­ dario, praticamente non risolvibile, ma fortunatamente abba­ stanza ozioso, dobbiamo ormai analizzare l’influenza del catto­ licesimo e la sua partecipazione essenziale al graduale sviluppo dell’organismo feudale, esaminando quest’ultimo sotto ciascuno dei tre aspetti fondamentali già descritti, riguardo ai quali le principali tendenze temporali sono ormai chiare, astraendo, na­ turalmente da ogni possibile mutamento. Per ciò che riguarda il primo di questi tre attributi generali, abbiamo già riconosciuto, nel capitolo precedente, la necessaria tendenza del monoteismo a secondare in modo diretto la trasfor­ mazione graduale del primitivo sistema di conquista in un siste­ ma essenzialmente difensivo, soprattutto quando una sana sepa­ razione dei due poteri elementari permette la realizzazione d’uo simile fatto, altrove contenuto e dissimulato a causa di un’errata concentrazione dei poteri stessi. Sarebbe inutile soffermarsi qui a constatare questa tendenza permanente nel cattolicesimo, in un momento in cui doveva manifestarsi naturalmente al piùalto grado, dato che lo spirito della sua stessa istituzione, l’msitme della sua organizzazione e persino la sua particolare ambizione lo spingevano fortemente a riunire, per quanto possibile, le di­ verse nazioni cristiane in una sola famiglia politica, sotto la gui­ da regolare della Chiesa. Sebbene tale nobile influenza sia stati ostacolata dai costumi bellicosi dell’epoca, è probabile, stando

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allagiusta osservazione di de Maistre ‘, che abbia impedito molte guerre, delle quali le sagge meditazioni del clero eliminavano subito le cause; è anche facile d’altra parte immaginare che, aparte ogni obiezione di principio o sentimento, la Chiesa do­ veva in generale considerare la guerra come una diminuzione del proprio ascendente abituale sui capi temporali; se la discon­ tinuità periodica che era allora riuscita ad imporre, come prin­ cipio, alle operazioni militari, fosse potuta essere rispettata a sufficienza, avrebbe profondamente contenuto lo slancio guer­ riero, incompatibile con tali intermittenze. Tutte le grandi spe­ dizioni, essenzialmente comuni a tutti i popoli cattolici, mal­ grado uno solo ne avesse preso ordinariamente l’iniziativa, fu­ rono, in fondo, realmente difensive, e sempre destinate a mettere un termine, repressivo o preventivo, alle invasioni successive, che tendevano a divenire abituali: tali furono soprattutto le guerre di Carlo Magno, prima contro i Sassoni, poi contro i Sa­ raceni, e, più tardi, le stesse crociate, unico modo decisivo di fermare l’invasione del maomettismo, e che, guardato sotto que­ stoimportante punto di vista, sono in generale pienamente riu­ scite, come de Maistre ha giudiziosamente notato. Il secondo carattere essenziale dell’organizzazione feudale, cioè lo spirito generale di decomposizione primitiva dell’autorità temporale in piccole sovranità territoriali gerarchicamente su­ bordinate tra di loro, è stato possentemente secondato dal catto­ licesimo, che ha tanto influito, da una parte, sulla trasforma­ zione universale dei benefìci vitalizi in feudi ereditari, e, da un’altra parte, sulla coordinazione definitiva dei princìpi corre­ lativi di obbedienza e protezione, base essenziale di una tale disciplina sociale. Sotto il primo aspetto, è evidente che il catto­ licesimo, che aveva radicalmente escluso dal suo seno qualunque eredità di funzioni, non ha potuto, al contrario, favorire questa ereditarietà temporale né per uso, né per spirito di categoria; ha dovuto essere essenzialmente guidato da un sentimento profon­ do, benché confuso, delle vere necessità sociali nel medioevo. La costituzione della Chiesa aveva fatto, come ho spiegato, una i. Di Maistm, D u Pape, lib. 1, cap. XIII.

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larga parte politica ai diritti legittimi della capacità; bisognava, nello stesso tempo, che le condizioni della stabilità fossero suf­ ficientemente garantite, nelPinteresse finale del destino total« del sistema. Ora, tale fu a quel tempo l’effetto principale del­ l’ereditarietà feudale, per quanto oppressiva sia diventata ulte­ riormente. In seguito sia della separazione fondamentale dei due poteri che riservava al clero le combinazioni politiche più dif­ ficili, sia della grande trasformazione militare sopra esposta, che semplificava molto la maggior parte delle operazioni di guerra, ogni capo di famiglia feudale doveva ordinariamente essere capace per dirigere, in seguito ad una educazione spe­ ciale, allora essenzialmente domestica, l’esercizio della sua au­ torità territoriale : ciò che importava soprattutto era, senza dub­ bio, attaccarlo al suolo, trasmettergli, con piena efficacità, le tra­ dizioni politiche, soprattutto locali, ispirargli presto i sentimenti ed i costumi corrispondenti alla sua posizione futura, interes­ sarlo spontaneamente, nella maniera più intima alla sorte dei suoi inferiori, vassalli o servi; niente di tutto ciò poteva essere ancora realizzato senza l’ereditarietà, la cui proprietà essenziale, sensibile, anche oggi, nonostante la differenza di bisogni e delle situazioni, consiste certamente nella preparazione morale di riascuno al suo destino sociale. È così che il cattolicesimo è stato portato a favorire sistematicamente lo spirito di casta con un’ul­ tima consacrazione parziale, nettamente limitata all’ordine tem­ porale, e la cui natura, puramente provvisoria, risultava neces­ sariamente dalla sua contraddizione radicale con l’insieme della costituzione cattolica, come ho già indicato. Quanto a una saggia regolamentazione generale dei reciproci obblighi delle prebende feudali, l’alta partecipazione del cattolicesimo vi appare in modo troppo evidente perché sia necessario sof­ fermarvisi in un così rapido schema: qualsiasi sia l’interesse che possa offrire un preciso giudizio filosofico su questa ammi­ revole combinazione, troppo poco compresa ai nostri giorni, tra l’istinto d’indipendenza ed il sentimento di abnegazione, e che, praticamente sconosciuta a tutta l’antichità, sarebbe da sola suf­ ficiente a provare la superiorità sociale del medioevo, duranteil quale ha tanto contribuito ad elevare la dignità morale della natura umana, per la verità solo presso un piccolo gruppo di

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famiglie privilegiate, ma destinate a divenire in seguito l’esem­ pionaturale di tutte ie altre classi, a misura che si compiva la loro graduale emancipazione. Infine, la necessaria influenza del cattolicesimo appare in ma­ niera irrefutabile a proposito della trasformazione generale della schiavitù in servitù, nella qual cosa consiste l’ultimo essenziale attributo del feudalesimo. La tendenza generale del monotei­ smo a modificare profondamente la schiavitù, almeno miglio­ randoil comportamento dei padroni, si avverte perfino nell’isla­ mismo, nonostante la confusione essenziale che ancora vi persiste tra i due grandi poteri sociali. Tale tendenza doveva dunque essere estremamente pronunciata nel sistema cattolico che, non limitandosi ad un semplice precetto morale, per quanto severa­ mente raccomandato, interponeva direttamente tra il padrone e loschiavo o il signore ed il servo, una salutare autorità spirituale, parimenti rispettata da tutti e due, e continuamente disposta a ricondurli ai loro doveri reciproci. Nonostante la decadenza at­ tuale del cattolicesimo, è possibile osservare, persino al giorno d'oggi, tracce incontestabili di questa qualità, paragonando in generale la sorte degli schiavi negri dell’America protestante a quelli dell’America cattolica, dato che la superiorità di quest’ultima, a tale proposito, è completamente riconosciuta da tutti gli esploratori imparziali, sebbene, d’altra parte, il clero romano noa sia purtroppo estraneo alla nascita di questa grande aber­ razione moderna, tanto contraria aH’insieme della sua dottrina c della sua costituzione. Fin dal suo primo slancio sociale la potenza cattolica non ha smesso di tendere, sempre e dapper­ tutto, con infaticabile perseveranza, ad una completa abolizione della schiavitù, che, completato il sistema di conquista, aveva cessato di essere un’indispensabile condizione d’esistenza politica cdaveva finito con l’ostacolare completamente qualsiasi sviluppo sociale: c chiaro, d’altronde, che questa elementare tendenza ha dovuto talvolta venire nascosta e perfino cancellata dalla quan­ titàdi ostacoli propri ad alcuni popoli cattolici. Bisogna inoltre pensare al grande istituto della cavalleria co­ mead una realizzazione per sua natura spontanea d'un ammi­ revole riassunto permanente dei tre caratteri essenziali, sui quali completiamo qui un sommario giudizio nell’organizzazione tem­

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porale del medioevo. Quali che fossero gli abusi che abitual­ mente la circondavano, è impossibile disconoscere la sua gran­ dissima utilità sociale, dato che il potere centrale non aveva la capacità di mettere ordine direttamente nell’organizzazione della nuova società. Sebbene il monoteismo musulmano non sia stato estraneo, persino prima delle crociate, ad uno sviluppo graduale di queste nobili associazioni, correttivo naturale di una insuffi­ ciente protezione degli individui, appare tuttavia evidente che la loro libera nascita è un prodotto spontaneo dello spirito ge­ nerale del medioevo, sul quale è impossibile non riconoscere so­ prattutto la salutare influenza, chiara o nascosta, del cattolicesi­ mo, che tentava di convertire un semplice sistema di educazione militare in un potente strumento sociale. L ’organizzazione lipica di queste memorabili associazioni nelle quali, fino alla com­ pleta estinzione del sistema feudale, il merito vinceva sulla na­ scita e persino sulla più alta autorità, fu potentemente assecon­ data dalla sua generale conformità allo spirito del cattolicesimo, sebbene agli inizi, come tutti gli altri elementi del feudalesimo, avesse avuto un’origine puramente temporale. Tuttavia, mal­ grado la cavalleria costituisca in generale una delle più lampanti manifestazioni dell’innegabile superiorità sociale del medioevo sull’antichità, non bisogna dimenticare di segnalare brevemente il pericolo capitale che una delle sue principali diramazioni do vette costituire per l’insieme di questo grande edificio politicoe, soprattutto, per l’ammirevole divisione fondamentale dei due poteri sociali. Tale pericolo sorse all’inizio quando i bisogni spe­ ciali delle crociate determinarono la formazione regolare di que­ gli ordini eccezionali della cavalleria europea, nei quali il carat­ tere monastico era unito intimamente al carattere militare, al fine di meglio adattarsi alle particolari necessità della loro im­ portante destinazione. Infatti appare chiaro che una combina­ zione così contraria allo spirito e alle condizioni del sistema in generale doveva spingere direttamente questi cavalieri, appena lo scopo particolare di un organismo così fuori dal comune fosse stato raggiunto, ad abbandonarsi ad una mostruosa ambizione, facendoli sognare di una nuova fusione dei due poteri primi, Così andò, agli inizi, la celebre storia dei templari, della quale la nostra teoria dà, infine, in modo naturale, una reale e completa spiegazione; infatti quest’ordine famoso deve ormai riguardarsi

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come un’associazione istintivamente creata, per la sua stessa na­ tura, in forma di congiura permanente, minaccia insieme per il ree per il papa; i quali, nonostante i loro litigi abituali seppero alla fine riunirsi per la sua distruzione. È questo, mi sembra, il solo grave pericolo politico che abbia corso l’ordine sociale del medioevo, il quale, con la sua rimarchevole corrispondenza con laciviltà contemporanea, si è in qualche modo tenuto in piedi quasi sempre col suo stesso peso, fino a che questa somiglianza fondamentale si è abbastanza mantenuta. Per quanto rapida abbia dovuto essere in questo luogo la valutazione sommaria che sto terminando di dare, sarà sufficiente, io spero, a mostrare, in un ultimo risultato generale, il medioevo come la culla nacessaria delle società moderne, considerate solo sotto il loro aspetto tem­ porale. È da questo punto, infatti, che ha direttamente avuto inizio la trasformazione graduale della vita militare in vita in­ dustriale, il che costituisce, a tale riguardo, il più importante ca­ rattere elementare della civiltà moderna, che fu certamente il fine sociale al quale tese Pinsieme della politica europea, all’in­ terno ed all’esterno, durante tutto il medioevo : poco importa, d’altra parte, che le conseguenze generali siano state sentite o no daquelli stessi che maggiormente contribuirono a determinarle; poiché, data la superiore complessità dei fenomeni politici, la maggior parte di coloro che vi parteciparono non può avere coscienza della loro reale efficacia, tanto spesso diversa dai piani meglio preparati, soprattutto a misura che la società si estende csi generalizza. È chiaro che nell’ordinamento europeo la prin­ cipale attività militare fu destinata, durante il medioevo, a porre insormontabili barriere al desiderio di invasioni, che, prolungan­ dosi indefinitamente, minacciava d’arrestare Io sviluppo sociale; e questo necessario risultato fu completamente raggiunto solo quando i popoli del nord e dell’est furono infine obbligati dalla difficoltà di trovare altrove nuove dimore, a mettere in atto nei loro stessi territori, per sfavorevoli che fossero, il definitivo tra­ passoalla vita agricola e sedentaria, moralmente garantita, inol­ tre, dalla loro generale conversione al cattolicesimo. Così, ciò che l’azione romana aveva cominciato per la grande e preliminare evoluzione dell’umanità, assimilando i popoli civilizzati, l’azione feudale l’ha degnamente compiuto, consolidando per sempre

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tale indispensabile assimilazione, per il solo fatto di spingere irresistibilmente i barbari a civilizzarsi anche loro. Osservato nell’insieme della sua durata, il sistema feudale ha preso la guerra come fatto difensivo, e dopo averla sufficiente­ mente sviluppata in questa sua nuova natura, ha compreso la necessità di abolirla completamente, salvo che per bisogni ec­ cezionali, lasciandola perciò senza il suo abituale alimento, per il modo stesso, pienamente soddisfacente, nel quale il sistemi aveva saputo realizzare il suo nobile mandato sociale. NcH’organizzazione puramente nazionale, la sua influenza necessaria concorse essenzialmente ad un pari risultato generale; sia con­ centrando l’attività militare in una casta sempre più ristretta, l’autorità protettrice delta quale diveniva così compatibile conlo slancio industriale della popolazione laboriosa, per quanto mi serabile dovesse da principio essere la sua esistenza subalterna; sia modificando anche sempre più negli stessi capi il carattere guerriero che, all’inizio essenzialmente difensivo, doveva tra­ sformarsi poco a poco, per mancanza di un’occupazione conti nua, in quello del grande proprietario terriero, pronto a diven­ tare semplicemente il direttore supremo dì un vasto sfruttamento agricolo, almeno quando non generava in cortigiano. 11 grande risultato universale che avrebbe caratterizzato necessariamente sotto ogni aspetto questa economia era dunque, in una parola, l'inevitabile abolizione finale della schiavitù e della servitù, ed in seguito l’emancipazione civile della classe industriale, quando il suo sviluppo fu abbastanza avanzato, come indicherò in sé­ guito particolarmente. Avendo così convenientemente preparato, per il nostro fine principale, l’importante e diffìcile valutazione politica, prima spirituale, poi temporale, del regime monoteista del medioevo nel suo complesso, il vero carattere del quale era rimasto finora sempre misconosciuto, non ci resta ora che osservare l’analisi fondamentale, esaminando sommariamente la sua ammirevole influenza morale, ed infine la sua efficacia intellettuale troppo poco compresa. Essendo senza alcun dubbio lo scopo finale preponderante dd cattolicesimo la stabilizzazione nella società della morale univer­ sale, sembrerebbe da principio che l’esame di questa importante funzione debba seguire immediatamente quello desorganiza

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zione del cattolicesimo, senza attendere che l’ordine temporale corrispondente sia stato direttamente considerato. Ma, nonostante questa incontestabile relazione, ritardando di proposito un tal giudizio morale fino a che l’insieme della valutazione politica possa essere convenientemente completata, ho voluto porre que­ stavalutazione sotto la sua reale luce storica, facendo così sentire che essa deve essere ravvicinata soprattutto al complesso sistema dell’organizzazione politica propria al medioevo, e non esclusivamente ad uno solo dei suoi due elementi essenziali, seppure fon­ damentale o persino preponderante, che doveva essere, d’altra parte, sotto questo riguardo, la sua indispensabile partecipazione. Se il cattolicesimo è riuscito per la prima volta a realizzare una vera costituzione morale dell’umanità, garantendo alla mo­ rale, con irresistibile autorità, l’ascendente sociale conveniente alla sua natura, non c’è dubbio, d’altra parte, che l’ordine feu­ dale, riguardato come un semplice risultato naturale della nuova situazione sociale, secondo le spiegazioni precedenti, ha imme­ diatamente introdotto i preziosi princìpi basilari di un’alta mo­ ralità che erano suoi e senza i quali l’azione del cattolicesimo non avrebbe potuto completamente riuscire, sebbene proprio questo li abbia in séguito ammirevolmente sviluppati e perfezio­ nati. Non dimenticando mai che il cattolicesimo stesso, secondo la nostra teoria, era come il feudalesimo la conseguenza neces­ saria dell’insieme degli antecedenti, la felice armonia che ha re­ gnato, sotto questo aspetto, tra questi due grandi elementi so­ ciali non esagererà a detrimento dell’una l’influenza dell’altro, attribuendo unicamente al cattolicesimo una rigenerazione mo­ rale, nella quale esso è dovuto essere solo l’organo attivo e ra­ zionale di un progresso naturalmente portato dalla nuova fase generale che allora raggiungeva l’evoluzione sociale dell’umanità. È chiaro infatti che la morale puramente militare e nazionale, sempre subordinata alla politica, che aveva dovuto caratterizzare, come abbiamo stabilito, l’economia sociale di tutta l’antichità inmodo che la sua inevitabile destinazione provvisoria si com­ pisse, doveva tendere in séguito necessariamente a trasformarsi per sua natura in una morale più pacifica ed universale, l’ascen­ dente politico della quale sarebbe divenuto sempre più grande, dopo che questa operazione preliminare fosse stata conveniente­ mente realizzata, con la completa espansione finale del sistema

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di conquista, ormai radicalmente mutato in sistema difensivo. Ora, la gloria sociale del cattolicesimo, quella che gli meriterà la riconoscenza eterna dell’umanità, mentre le altre credenze teologiche non esisteranno più se non nelle memorie storiche, è consistita soprattutto nello sviluppare e regolarizzare, per quanto possibile, questa felice tendenza naturale che non sarebbe stato in suo potere di suscitare : sarebbe esagerare, nel modo più sba­ gliato, l’influsso generale, purtroppo così debole, di qualsiasi dottrina sulla vita reale, individuale e sociale, attribuire ad essa la proprietà di modificare ad un tale punto i modi essenziali della vita umana. Immaginiamo un cattolicesimo trapiantato in­ tempestivamente, a causa di un cieco proselitismo od un’irrazio­ nale imitazione, tra popoli che non abbiano ancora completato tale evoluzione preparatoria; privata di queste basi indispensa­ bili, la sua influenza sulla società sarà del tutto sprovvista di quella grande efficacia morale che tanto ammiriamo nel medio­ evo; e l’islamismo ne offre un esempio del tutto decisivo, poiché la sua morale, altrettanto pura, in principio, di quella del cri­ stianesimo, dalla quale in gran parte è stata tratta, è molto lon­ tana dall’aver prodotto gli stessi risultati pratici, su una popola­ zione troppo poco progredita, che non aveva potuto conveniente­ mente assoggettarsi a questa temporanea preparazione fondamentale, e che veniva così a trovarsi prematuramente chiamata, senza la necessaria spontaneità, ad un monoteismo ancora inop­ portuno. Rimane dunque incontestabile che il giudizio morale sul medioevo non deve essere filosoficamente indirizzato dalla sola considerazione dell’ordine spirituale, escludendo quello tem­ porale; e che è necessario prima di tutto evitare accuratamente qualsiasi discussione oziosa su una vana preminenza di questi due elementi sociali, altrettanto inseparabili che indispensabili, ciascuno dei quali ha, sotto questo importantissimo aspetto, una propria influenza, chiaramente determinata in principio, seb­ bene troppo intimamente mescolata all’altra perché se ne possa fare sempre un’esatta e reale partizione. Un errore molto più fondamentale, le conseguenze pratiche del quale perfino oggi sono infinitamente più gravi, e che sfor­ tunatamente è nello stesso tempo più diffuso e più radicato, na sce, a questo proposito, da una tendenza irrazionale, detenni nata o sostenuta dalla scuola metafisica sia protestante sia deista,

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edattribuisce l’efficacia morale del cattolicesimo essenzialmente alla sua dottrina, astraendo dalla sua organizzazione vera e pro­ pria, che, al contrario, si sforza di rappresentare come fonda­ mentalmente negata per sua natura a tale destinazione. I diversi motivi sociali attraverso i quali ho già chiarito le più importanti condizioni generali di questa organizzazione devono evidente­ mente difenderci dal ricadere su tale opinione falsa e pericolosa, così radicalmente negata prima, poiché tali motivi erano tratti soprattutto dalla realizzazione di quel fine morale; d’altra parte, gli esempi veramente decisivi non mancherebbero per provare inmodo irrefutabile questa rettifica preliminare, senza parlare nemmeno dell'islamismo, che ho citato, nel quale l’assenza di una conveniente organizzazione spirituale si complica a causa dell’inettitudine di fondo di una popolazione mal preparata; sa­ rebbe sufficiente, a questo scopo, menzionare il preteso cattoli­ cesimo greco, o piuttosto bizantino, che, a causa della durata eccessiva dell’impero, non avendo potuto permettersi una vera costituzione distinta e particolare del potere spirituale, s’è tro­ vato, nonostante la più grande conformità di dottrina, teologica e morale con il vero cattolicesimo, e la somiglianza iniziale delle popolazioni corrispondenti, costantemente colpito da profonda sterilità morale; c se qui fosse possibile darne un esatto giudizio filosofico, esso confermerebbe certamente con un lampante con­ trasto la correttezza innegabile dei princìpi precedentemente sta­ biliti. Più si mediterà questo importante argomento, e più ci si convincerà, oso affermarlo, che la grande efficacia morale del cattolicesimo è dipesa essenzialmente dalla sua costituzione so­ ciale, ed è derivata in modo molto accessorio dall’influenza vera e propria, diretta della sola dottrina, esaminata astrattamente, qualsiasi cosa ne dica la critica metafìsica. Per quanto pura po­ tesse essere la sua morale (e chi predicò mai con successo spon­ taneo una morale veramente impura?) tale dottrina non sarebbe riuscita, nella vita reale, che a creare formule impotenti accom­ pagnate da pratiche superstiziose, senza l’attivo e continuo inter­ vento di un potere spirituale convenientemente organizzato e sufficientemente indipendente, nel quale consisteva di necessità il più grande valore sociale di questo sistema religioso. 11 misero ascendente naturale deH’intelligenza sulle nostre passioni fa di ciò un pericolo fondamentale e necessariamente comune, in gra-

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do minore o maggiore, a tutte le dottrine qualsiasi ; niente di­ mostra meglio, in generale, l’indispensabile bisogno morale ili una vera organizzazione spirituale; ma tale bisogno nasce più particolarmente, come ho già chiarito, per le dottrine teologiche, a causa deH’incertczza e dell’incoerenza che le caratterizzano naturalmente; c che, lungi dal permettere che tali dottrine ispi­ rino direttamente una determinata condotta, le rendono, nel­ l’uso, indefinitamente modificabili ed a discrezione di qualsiasi forte tendenza, fino a potere persino ratificare le più mostruose aberrazioni pratiche, come è stato provato da tanti esempi lam­ panti, da quando l’emancipazione religiosa ha cominciato ad essere abbastanza avanzata. Prima di procedere direttamente ad un sano giudizio sull’alta influenza morale propria al monotei smo del medioevo, era necessario riportare alla memoria distin­ tamente queste nozioni preliminari, in modo che tale influenza possa essere in seguito collegata senza sforzo alla sua fonte prin­ cipale; e prevenendo, per quanto possibile, una deviazione filo­ sofica troppo comune ai nostri giorni. Per tali ragioni, io devo inoltre perfezionare, o meglio completare, questa importante ana­ lisi iniziale, facendo ancora precedere il giudizio diretto dall’esat­ ta definizione particolare delle forme essenziali dell’efficacia mo­ rale della dottrina cattolica, astraendo in séguito dall’organizzazione corrispondente, il cui intervento continuo, ormai incontesta­ bile, sarà sempre implicitamente sottinteso in quello che seguid. A questo proposito, la discussione fondamentale, al giorno d’oggi strettamente collegata ai maggiori interessi dell’umanitá, consiste nel decidere, in generale, se l’azione morale del cattoli­ cesimo, durante il medioevo, risultasse soprattutto dalla caratte­ ristica, allora esclusivamente inerente alla sua dottrina, di servire da organo indispensabile all’organizzazione regolare di alcune opinioni che erano naturalmente comuni, il potere pubblico delle quali, una volta stabilito, era necessariamente dotato, proprio per la sua universalità, di un irresistibile ascendente morale; oppure se, seguendo l’ipotesi più comune, i risultati reali siano essenzial­ mente dovuti alle profonde sensazioni di speranza ed ancor più di timore, relative alla vita futura, che il cattolicesimo si era im­ pegnato a coordinare e fortificare con maggior cura ed abilità di qualsiasi altra religione, sia anteriore ad esso sia posteriore, pro­ prio per il fatto che aveva giudiziosamente evitato di formulare

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alcunché di dogmatico su questo argomento, lasciando all’im­ maginazione interessata di ciascun credente la visione dettagliata delle pene e delle ricompense promesse, con una tattica ben più efficace ed adattata alle necessita individuali, di quanto avrebbe permesso, per esempio, nella religione musulmana, l’immuta­ bile contemplazione di una prospettiva banale, per quanto feli­ cemente fosse stata scelta. Questo grave problema che, oserei dire, non è mai stato chiaramente impostato, non potrebbe es­ sere risolto attraverso l’esame dei casi ordinari, nei quali le due tendenze hanno dovuto evidentemente coesistere sempre durante tuttoil regno del cattolicesimo; cosa che induce, a meno di farne un'analisi amplissima e spesso anche molto difficile, ad attribuire non di rado all’una ciò che appartiene all’altra, seguendo la di­ sposizione più profonda della nostra intelligenza; come lo testi­ moniano con numerosi esempi le discussioni scientifiche, su ar­ gomenti perfino tanto più semplici. Una sana logica, dunque, indica la necessità di esprimere un’opinione, soprattutto tenendo conto di questi casi più o meno eccezionali, nei quali le glandi influenze che dobbiamo comparare si sono trovate opposte una all’altra, per una discordanza anomala e molto precisa tra pre­ giudizi comuni e prescrizioni religiose, normalmente concordi : queste debbono essere evidentemente le sole circostanze nelle quali l’osservazione diretta possa veramente risultare definitiva, senon si vuole cadere in contraddizione formale con un prin­ cipio già definito. Ora, sebbene simili occasioni siano per loro natura molto rare, soprattutto a proposito di argomenti abba­ stanza importanti, uno studio sociologico giudizioso potrebbe indicarne alcune, nelle diverse età del cattolicesimo, assoluta­ mente irrefutabili, che adempiono in modo naturale e conve­ niente a tutte le condizioni indispensabili per la dimostrazione storica di questo capitale aforisma di statica sociale : i pregiudizi comuni sono abitualmente più forti dei precetti religiosi, qua­ lunque sia l’antagonismo che si stabilisce tra queste due forze morali, finora quasi sempre convergenti. Il mio illustre precur­ sore, Io sfortunato Condorcet, che mi pare l’unico ad avere compieso adeguatamente tale problema, ha citato soprattutto un esempio estremamente decisivo, che credo di dover qui riportare, siaper la sua grande importanza sociale, sia perché l’opposizione delle due forze vi si notava in modo molto evidente: è il caso

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comune del duello, che, ai tempi del migliore cattolicesimo, es­ sendo imposto dalle leggi militari, spingeva così frequentemente tanti più cavalieri a sfidare le più gravi condanne della religio­ ne; mentre (al fine di completare con una contraddizione non meno significativa questa acuta osservazione) vediamo al giorno d’oggi il duello scomparire spontaneamente a poco a poco, solo a causa del graduale estendersi del costume industriale nonostan­ te la completa decadenza, in pratica, delle proibizioni teologiche, Questo unico, ma importantissimo esempio, al quale devo limi tarmi sarà sufficiente, spero, per suggerire ai lettori molte altre verifiche analoghe e più o meno evidenti, di un principio che d’altra parte è in pieno accordo con una reale conoscenza della natura umana, e che ci spingerà sempre nei casi veramente gra­ vi, a sfidare un pericolo lontano, per quanto grande possa essere, piuttosto di rischiare sul momento l’inevitabile biasimo di una opinione pubblica molto arretrata e molto umana. Per quanto a prima vista nulla sembri poter controbilanciare la potenza del terrore religioso, relativo com’è ad un futuro indefinito, è in­ dubbio, tuttavia, che per conseguenza stessa di questa eternità, molte anime forti, quali ne sono sempre esistite, e soprattutto nel medioevo, senza nemmeno contestare la realtà di questa pro­ spettiva futura, vi si sono segretamente adattate fino a non far­ sene più condizionare nei loro impulsi dominanti; e ciò perché l’eternità del dolore, altrettanto intellegibile che quella del pia­ cere, non riesce nella nostra immaginazione a conciliarsi con la ben nota disposizione di ogni vita animale a convertire in indif­ ferenza qualsiasi sentimento continuato. Milton ha un bel con­ sumare il suo genio poetico nel dipingerci i dannati trascinati alternativamente, con infernale raffinatezza, dal lago di fuoco allo stagno ghiacciato; l’idea del bagno russo fa ben presto se­ guire il sorriso al primo moto di orrore, e ricorda che la potenza dell’abitudine può raggiungere persino lo stesso cambiamento, per quanto brusco possa essere, appena esso diviene frequente. La reale portata di un simile giudizio apparirà, nonostante la sua apparenza paradossale, se si considera che la stessa energia che porta ai grandi crimini può nello stesso modo spingere ad af­ frontare tali ostacoli, non mancando d’altra parte il tempo di prepararsi gradualmente al lontano momento in cui si realizze­ ranno, dovesse pure questo momento non venire mai sfiorato da

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alcuna grave incertezza, cosa del tutto impossibile. Quanto alle anime comuni, è chiaro che la speranza mai abbandonata di un'assoluzione finale, che costituiva come ho già spiegato, un’in­ dispensabile e basilare condizione dell’esistenza pratica del cat­ tolicesimo, doveva spesso essere sufficiente, nelle circostanze na­ turalmente meno critiche nelle quali esse si trovavano ordinaria­ mente, ad ispirare loro il facile coraggio di violare momentanea­ mente i precetti religiosi; mentre non avrebbero potuto, senza uno sforzo ben più grave, affrontare direttamente l’opinione pubblica nei casi di divergenze molto pronunciate. Senza continuare ad insistere su questo argomento, ormai abbastanza chiaro per il nostro scopo principale, possiamo a questo punto osservare che laforza morale del cattolicesimo ha dovuto tenere essenzialmen­ te, persino nell’epoca del suo massimo fervore, e per tutto il tempo che poté sufficientemente dominare, alla propria predi­ sposizione, del resto necessaria, a costituirsi spontaneamente in regolare organo di opinioni comuni, che con la loro irresistibile universalità trovarono nuova e continua energia nella loro stessa riproduzione, attiva e sistematica, da parte di un clero indipen­ dente e rispettato; mentre le considerazioni puramente relative allavita futura non poterono avere in alcun tempo, a paragone, che un’influenza molto accessoria sulla vita reale. Al di là del­ l'utilità storica di questa analisi preliminare in una buona valu­ tazione generale dell’influenza morale del cattolicesimo, il let­ tore dovrebbe già senza dubbio presentire l’estremo interesse fi­ losoficoche essa acquisterà ben presto quando saremo giunti gra­ dualmente all’esame diretto dello stato attuale dell’umanità; du­ rante il quale, in séguito a questo preambolo, dovremo subito spiegare come l’evoluzione intellettuale, sebbene finisca per dis­ sipare senza pietà tutte queste emozioni teologiche, è ben lon­ tana, tuttavia, dal diminuire in realtà le garanzie morali debor­ dine sociale, perché sviluppa immediatamente la forza insor­ montabile dell’opinione pubblica attraverso un incontestabile pri­ vilegio della filosofia positiva, che verrà a quel proposito conve­ nientemente descritto. L’ammirevole opera di rigenerazione della morale umana che durante il medioevo il cattolicesimo, in modo graduale, ha suf­ ficientemente compiuto, o almeno convenientemente abbozzato, consistette soprattutto, stando ai nostri accenni precedenti, nel­

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l’attribuire finalmente alla morale per quanto possibile, la su­ premazia sociale fino ad allora sempre congiunta alla politica, facendo giustamente prevalere i bisogni più generali e più co­ stanti sulle necessità particolari e variabili, attraverso la consi­ derazione preponderante delle condizioni elementari dell’esisten­ za umana; di quelle condizioni che, immutabili nella loro natura ma sempre più sviluppate, sono inevitabilmente comuni a tutti gli stati sociali ed a tutte le situazioni individuali; e le esigenze fondamentali delle quali, formulate da una dottrina universale, determinavano così la missione speciale del potere spirituale, destinato essenzialmente a farle rispettare in modo continuo nella vita reale, individuale e sociale; cosa che supponeva prima di tutto la sua completa indipendenza dal potere politico propria mente detto. Senza dubbio, come spiegherò più avanti, la filo­ sofia eminentemente teologica, sulla quale doveva allora contare questa sublime operazione sociale, ne ha, sotto diversi aspetti im­ portanti, alterato molto la purezza e perfino gravemente com­ promesso l’efficacia; sia perché i concetti vaghi di questa filoso­ fia, nonostante tutte le precauzioni della saggezza sacerdotale, influenzavano forzatamente le prescrizioni morali che vi erano connesse; sia anche a causa del dominio morale molto arbitrario che ne doveva risultare per i gruppi dirigenti, senza il quale, tuttavia, l’assoluto inerente ai precetti religiosi li avrebbe resi ve­ ramente impraticabili; sia, infine, in seguito ad una specie di con­ traddizione interna che doveva implicitamente ostacolare una dottrina la quale si proponeva soprattutto di coltivare il senti­ mento sociale, ma sviluppando sin dall’inizio un egoismo esorbi­ tante, anche se ideale; perché non concepiva il più piccolo bene se non in vista di ricompense infinite, in modo che la preoccu­ pazione continua della salvezza individuale finiva per neutraliz­ zare direttamente la corrispondenza reale di un felice e commo­ vente attaccamento unanime all’amore di Dio. Ma, per quanto incontestabili siano tutti questi diversi e grandi inconvenienti, erano tuttavia inevitabili e allora non impedirono il realizzarsi di una rigenerazione che non poteva cominciare altrimenti, pur dovendo poi proseguire e perfezionarsi su migliori basi intel­ lettuali. È così che, attraverso una giusta valutazione comparativa dei diversi bisogni dell’umanità, la morale è stata infine degnamente

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postaalla testa delle necessità sociali, nell'idea che tutte le facoltà comuni della nostra natura non debbano mai costituire altro che dei mezzi più o meno efficaci, sempre subordinati a quel grande scopo fondamentale della vita umana, direttamente consacrato dauna dottrina universale, giustamente posta ad esempio di tutti gli atti reali, individuali e sociali. Bisogna per la verità ricono­ scere che vi era in fondo, come spiegherò fra poco, qualcosa di intimamente ostile allo sviluppo intellettuale, nel modo col quale lospirito cristiano concepiva la supremazia sociale della morale, sebbene questa opposizione sia stata di molto esagerata; ma il cattolicesimo, nel suo periodo di forza, contenne naturalmente taletendenza, per il fatto stesso che aveva scelto il principio della capacità individuale come base della sua stessa costituzione ec­ clesiastica: tale disposizione elementare, il pericolo filosofico della quale non doveva manifestarsi che ai tempi della decadenza del sistema cattolico, non cancellava affatto la giustizia fonda­ mentale di questa saggia decisione sociale, che subordinava ne­ cessariamente lo spirito stesso alla moralità. Gli intelletti sempre piùnumerosi che, pur non essendo in realtà eccezionali, hanno raggiunto, soprattutto attraverso la cultura, un grado medio di elevazione, sono sempre segretamente insorti, in specie al gior­ no d’oggi, contro questo ostacolo salutare che impaccia la loro smisurata ambizione; ciononostante esso continuerà eternamente arafforzarsi attraverso una profonda riconoscenza, nonostante le difficoltà dovute ad una tale antipatia mal dissimulata, sia dalla massa sociale, a difesa della quale è stato concepito, sia dal vero genio filosofico che ne potrà sempre convenientemente dimo­ strare l’immutabile necessità. Sebbene una reale superiorità in­ tellettuale sia per certo la più rara e la più preziosa di tutte, è tuttavia impossibile negare che, persino negli individui eccezio­ nali nei quali si trova molto pronunciata, essa non può realiz­ zarsi con sufficiente slancio, quando non sia subordinata ad un’alta moralità, a causa della scarsa energìa relativa alle fa­ coltà spirituali, nell’insieme della natura umana. Privato di que­ staindispensabile condizione permanente, il genio, supponendo che possa svilupparsi del tutto, cosa molto difficile, degenere­ rebbe immediatamente in strumento secondario di un’angusta addisiazione personale, invece di perseguire quel grande scopo sociale che solo può offrirgli un campo ed un alimento degno di

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lui : da quel momento, se è un genio filosofico, non si preoccu­ perà che di ordinare sistematicamente la società secondo le pro­ prie inclinazioni; se è scientifico, si limiterà a concezioni su­ perficiali, suscettibili di procurare alla svelta successi facili c produttivi; se è artistico, produrrà opere non coscienziose, aspi­ rando, a tutti i costi, ad una rapida ed effimera popolarità; in­ fine, se è industriale, non cercherà affatto invenzioni impor­ tanti, ma solo innovazioni lucrose. Questi deplorevoli risultati che, inevitabili per uno spirito mancante di direzione morale, pur neutralizzando completamente il valore sociale del genio stesso, non potrebbero annullarlo del tutto, devono evidente­ mente essere ancora più deleteri in uomini di secondo piano o mediocri e con una minore spontaneità : nel qual caso l’intelli­ genza, che dovrebbe servire essenzialmente solo a perfezionare la previsione, la valutazione e la soddisfazione dei veri bisogni principali dell’individuo e della società, finisce più spesso, nel suo vano potere, col suscitare una vanità asociale o col rafforzare assurde pretese di dominare il mondo in nome di una capacità che, moralmente svincolata da qualsiasi impegno di utilità ge­ nerale, diviene di solito ugualmente nociva alla felicità privata ed al bene pubblico, come si può vedere fin troppo bene al giorno d’oggi. Per chiunque abbia fatto una vera e fondamentale analisi della natura umana, l’amore universale, come è conce­ pito dal cattolicesimo, supera l’importanza dell’intelligenza stes­ sa nella normale economia della nostra esistenza individuale o sociale, perché l’amore utilizza spontaneamente, a favore di dascuno e di tutti, perfino le minime facoltà mentali; mentre l'e­ goismo matura o paralizza le migliori disposizioni in quel caso molto più perturbatrici che utili per una vera felicità, sia privata che pubblica. La profonda saggezza del cattolicesimo, ponendo poi la morale al di sopra di tutta l’esistenza umana, al fine di dirigerne e controllarne senza sosta gli atti più comuni, ba dun­ que stabilito con certezza il principio più importante della vita sociale; il quale, sebbene temporaneamente scosso o oscurato da pericolosi sofismi, risorgerà sempre alla fine con crescente evi­ denza dallo studio sempre più approfondito della nostra vera natura, soprattutto quando il positivismo razionale avrà natural­ mente dissipato, a questo proposito, le tenebre metafisiche.

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Del resto, considerando sotto questo aspetto, come anche sotto altri più definiti, la valutazione morale del cattolicesimo, non bisogna mai dimenticare che, in seguito all’indipendenza della morale dalla politica organizzata attraverso la grande separazione tra il potere spirituale ed il potere temporale, la dottrina morale ha dovuto fin d’allora comporsi essenzialmente di una serie di esempi destinati soprattutto non a formare immediata­ mente la pratica reale, ma piuttosto a definire i fini, sempre più omeno ideali, ai quali la nostra condotta doveva cercare di av­ vicinarsi sempre di più. La natura e la destinazione di questi tipi morali sono del tutto analoghe a quelle dei tipi scientifici o estetici, i quali, in qualsiasi lavoro condotto razionalmente, ser­ vono da guida indispensabile alle nostre diverse concezioni e la necessità dei quali si fa sentire nelle più semplici operazioni umane, perfino quelle industriali. Sotto questo aspetto è stato completamente misconosciuto lo spirito generale della morale cattolica in modo da non poterne dare che falsi giudizi filo­ sofici, quando se ne sia rimproverata irragionevolmente la pre­ tesa esagerazione dei suoi più importanti precetti : il che equi­ varrebbe, per esempio, a criticare un pittore sulla perfezione chi­ merica dei suoi modelli interiori. È chiaro, in generale, che qual­ siasi modello deve oltrepassare la realtà che gli corrisponde poiché deve costituire i limiti ideali, al di sotto dei quali la pratica sa­ rebbe eccessiva, ancor più nelPordine morale che in quello intel­ lettuale, cosa che non impedisce affatto, nell’uno e nell’altro caso, la loro utilità fondamentale, sempre che siano convenien­ temente costruiti; condizione che l’idea stessa di lim ite , come è stata fissata dalla geometria, al giorno d’oggi è adattissima a de­ finire. L’istinto filosofico del cristianesimo ha fatto sì che esso adempisse spontaneamente, e nel modo più felice, a questa con­ dizione indispensabile, spingendolo a far passare, per una mag­ giore efficacia pratica, i suoi modelli morali dallo stato astratto allostato concreto; prova veramente decisiva che, in un soggetto qualsiasi, rivelerebbe subito l’effettiva esagerazione della conce­ zione iniziale. Per questo, i primi filosofi che hanno delineato il cattolicesimo si sono compiaciuti naturalmente, nell’applica­ zione del loro genio sociale, di concentrare gradualmente su co­ lui al quale rapportavano la fondazione primordiale del sistema, tutta la perfezione che potevano concepire nella natura umana,

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in modo da poterlo in séguito additare alla imitazione univer­ sale ed attiva, mirabilmente adatto, per quei tempi, alla dire­ zione morale dell’umanità, nel quale, in qualsiasi caso, i più mi­ seri ed i più forti, potevano ugualmente trovare un esempio ge­ nerale di condotta; modello sublime, ammirevolmente comple­ tato anche dalla concezione, ancora più ideale, che rappresenta per la donna la più felice conciliazione mistica della purezza con la maternità. Tutte le diverse e fondamentali parti della morale universale hanno ricevuto dal cattolicesimo miglioramenti enormi che non possono essere qui particolarmente menzionati, c per una giusta valutazione dei quali posso d’altra parte provvisoriamente rinviare ai filosofi cattolici, soprattutto a Bossuet e a de Maistre, i quali li hanno in generale giudicati giustamente. Io devo per ora limitarmi ad una rapida indicazione dei più importanti pro­ gressi delle tre parti che compongono l’insieme della morale: quella individuale prima, poi quella familiare ed infine quella sociale, seguendo la divisione stabilita nel cinquantesimo ca­ pitolo. Consacrando l’unanime dottrina dei filosofi precedenti, il cattolicesimo ha giustamente considerato le virtù individuali co­ me la base prima di tutte le altre, per il fatto che offrono l'eser­ cizio più naturale e decisivo per ottenere un energico dominio della ragione sulle passioni, dal quale dipende tutto il perfezio­ namento morale. Perciò non bisogna credere che fossero ineffi­ caci, dal punto di vista dell’utilità sociale, soprattutto al medio­ evo, quelle pratiche artificiali per le quali gli uomini si impo­ nevano volontariamente delle privazioni sistematiche, e che, no­ nostante la loro apparente inutilità, costituiscono gli adatti e per­ manenti sostegni dell’educazione morale \ Del resto, le virtù a. Le pratiche igieniche imposte dal cattolicesimo, oltre alla loro uti­ lità indiretta per mantenere salutari abitudini di sottomissione morale e di sacrifici volontari, sono direttamente legate all'azione generale del sistema sull’insieme della nostra natura, la cui straordinaria importanza non è più dubbia per le menti acute, e che una sana filosofìa dovrà un giorno sottomettere ad una scria disciplina razionale, destinata a rea­ lizzare, con l’illuminata approvazione della ragione pubblica, la completa efficacia, fisica e morale, di questo potente mezzo del perfezionamento umano.

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solamente individuali cominciarono allora ad essere concepite direttamente nella loro funzione sociale, mentre gli antichi le raccomandavano soprattutto a titolo di prudenza all’individuo considerato isolatamente; la filosofia positiva perseguirà sempre più questa importante trasformazione che tende ad eliminare l’arbitrio di una saggezza privata dalle abitudini nelle quali l’individuo è ben lontano dall’essere il solo interessato. L ’umiltà, tinto rimproverata a questa parte elementare della morale catColica, costituisce, al contrario, un precetto importantissimo, il valore reale del quale non resta legato solamente a questi tempi d’orgogliosa oppressione, che ne hanno meglio mostrato la ne­ cessità, ma riconduce, in generale, ai veri bisogni morali della natura umana, nella quale non bisogna mai temere che l’orgo­ glio e la vanità vengano troppo schiacciati; la nuova filosofìa morale confermerà e porterà persino ad un alto grado di per­ fezione questo importante precetto, estendendolo spontaneamente finoagli strati più alti dell’intelletto, sebbene essa stessa apra loro le più vaste possibilità; perché niente è più adatto degli studi positivi, per poco che siano convenientemente approfonditi c fi­ losoficamente concepiti, a fare continuamente giudicare in tutti i sensi, la scarsa portata della nostra intelligenza, qualunque sia li nobile fierezza razionale che deve d’altra parte ispirarci una soddisfacente scoperta della verità. Ma io devo soprattutto se­ gnalare, a proposito di questo primo ordine di prescrizioni mo­ rali, un’ultima innovazione essenziale, felicemente introdotta dal cattolicesimo, c della quale la filosofia metafisica ha fatto mi­ sconoscere il grande valore sociale: intendo dire la riprovazione generale del suicidio, della quale gli antichi, indifferenti alla propria vita come a quella degli altri, si erano spesso fatti un mostruoso onore, o, per lo meno, una troppo frequente risorsa, più di una volta dai loro filosofi imitata, invece che biasimata. Questa pratica antisociale doveva senza dubbio diminuire spon­ taneamente con il predominio del costume militare, ma è certa­ mente una delle glorie morali del cattolicesimo di averne fatta un’energica condanna; l’importanza della quale, temporanea­ mente dimenticata a causa della nostra anarchia intellettuale, sarà sempre e di sicuro riconfermata da un’esatta analisi dei bi­ sogni morali della società umana. Più la vita futura perde ne­ cessariamente in forza morale, più diventa importante, eviden­

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temente, che tutti gli individui siano, per quanto possibile, attac­ cati in modo invincibile alla vita, senza poterne eludere le dolo­ rose conseguenze con una catastrofe inopinata, che lascia a cia­ scuno la pericolosa facoltà di annullare a suo piacimento razione indispensabile che la società conta di esercitare su di lui; in modo che, dopo aver tenuto conto dei motivi puramente umani, il suicidio sarà un giorno altrettanto severamente riprovato sottoI regime positivo, come del tutto contrario ai tratti fondamentali della natura umana. L ’atteggiamento morale del cattolicesimo si è manifestato so­ prattutto nella felice organizzazione della morale familiare, fi­ nalmente posta al suo giusto livello, invece di venire assorbita dalla politica, come era abitudine di tutta l’antichità. Con la se­ parazione fondamentale tra l’ordine spirituale e l’ordine tempo­ rale e con il regime che a questa corrispondeva, si fu spinti, nel medioevo, a sentire che la vita domestica doveva essere ormai li più importante per la massa degli uomini, eccetto il piccolo nu­ mero di quelli che la loro natura eccezionale ed i bisogni deUa società dovevano chiamare in modo preminente alla vita poli­ tica, alla quale gli antichi avevano sacrificato ogni cosa, nonpren­ dendo in considerazione che gli uomini liberi tra popolazioni composte soprattutto di schiavi. La cura e l’importanza che il cattolicesimo ha dato alla morale familiare hanno avuto tanti ri­ sultati ammirevoli che sarebbe impossibile farne qui un riassunto sommario. Io non mi fermo dunque qui a considerare le felici conseguenze generali causate alla famiglia dall’intervento conti­ nuo dell’influsso cattolico, che penetrava naturalmente nei rappor­ ti più intimi, dove, senza tirannia, sviluppava gradualmente una giusta coscienza dei reciproci doveri : e tuttavia sarebbe per esem­ pio di grande interesse osservare, più di quanto non lo si faccia, come il cattolicesimo, pur consacrando nella maniera più solenne l’autorità paterna, abbia completamente abolito il dispotismo quasi assoluto che la caratterizzava tra gli antichi, e che, findalla nascita, si manifestava tanto frequentemente con l’assassinio o l’abbandono dei neonati, fatti ancora permessi nei paesi non mo­ noteisti. Costretto qui da limiti inevitabili, mi accontenterò di indicare quanto ha rapporto con il fatto più fondamentale, a proposito del quale, dopo una profonda valutazione, tutti i ven filosofi finiranno col riconoscere ben presto, nonostante le nostre

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gravi aberrazioni attuali, che nulla di essenziale resta da fare, se non consolidare e completare quello che il cattolicesimo ha così felicemente cominciato. Nessuno contesta più, ormai, che abbia essenzialmente migliorato la condizione sociale delle don­ ne, e tuttavia nessuno ha notato come esso ha completamente tolto loro qualsiasi partecipazione alle funzioni sacerdotali, per­ iinonella costituzione degli ordini monastici, nei quali le ha am­ messe. Occorre aggiungere, inoltre, per rafforzare questa im­ portante osservazione, che esso ha, per quanto possibile, inter­ dettoalle donne anche il trono in tutti i paesi nei quali era poli­ ticamente abbastanza influente per farlo, modificando, in vista dellacapacità, l’ereditarietà puramente teocratica, sulla quale pri­ ma la casta dominava in modo assoluto. Tali restrizioni incon­ testabili devono far capire che il miglioramento operato dal cat­ tolicesimo per ciò che riguarda le donne è consistito soprattutto nel concentrarle più che mai nella loro esistenza essenzialmente domestica, nei garantire la giusta libertà della loro vita interiore enel consolidare la loro situazione, consacrando l’indissolubilità fondamentale del matrimonio; mentre persino tra i Romani la possibilità del ripudio alterava gravemente, a scapito della donna, il regime di piena monogamia. Vanamente si discute di pericoli eccezionali o secondari, la realtà dei quali è molto discutibile, per contestare questo indispensabile criterio di stabilità, così fe­ licemente congeniale, in generale, ai veri bisogni della nostra natura, nella quale la volubilità non è meno perniciosa per i sen­ timenti che per le idee, e senza la quale la nostra breve esistenza si consumerebbe in un seguito interminabile ed illusorio di de­ plorevoli tentativi, in cui la tendenza tipica dell’uomo di modi­ ficarsi secondo ogni situazione veramente immutabile verrebbe del tutto negata, nonostante la sua estrema importanza negli in­ dividui poco notevoli, che compongono l’immensa maggioranza. L'obbligo di adattare la propria vita ad una insormontabile ne­ cessità, lungi dal nuocere veramente alla felicità dell’uomo, al contrario, ne costituisce, di solito, per poco che questa necessità siatollerabile, una delle più indispensabili condizioni, prevenendo ocontenendo l’incostanza delle nostre idee e l’incertezza dei no­ stri disegni. Essendo la maggior parte degli individui molto più adatti a seguire una condotta, i dati fondamentali della quale sia­ noindipendenti dalla loro volontà, piuttosto che a scegliere con­

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venientemente quella che dovrebbe tenere, è facile riconosce« ebe la nostra più grande felicità morale è legata a situazioni che non hanno potuto essere scelte, come quella, per esempio, di esse­ re padre e figlio. Esaminando, nel capitolo seguente, i gravi colpi che il protestantesimo ha tentato di dare alla fondamentale isti­ tuzione del matrimonio cattolico, avrò modo di far intendere molto meglio come la pericolosa facoltà di divorziare, lungi dal migliorare tale situazione per un reale vantaggio dei due sessi, tenderebbe, se potesse veramente penetrare nel costume moderno, a divenire un rapido regresso morale; lasciando troppa liberti agli appetiti più forti, la repressione continua dei quali, combi­ nata con la legittima soddisfazione, aumenterà necessariamente con il compiersi dell’evoluzione umana, come ho dimostrato pri­ ma, alla fine del volume precedente. Chiudendo per sempre le donne nella vita domestica, il cattolicesimo ha d’altra parte le­ gato così intimamente i due sessi, che, con le usanze sviluppatesi sotto la sua influenza, la sposa acquista necessariamente un di­ ritto imperscrittibile, e persino indipendente dalla sua stessa con­ dotta, che le consente di partecipare, senza dover nemmeno agi­ re, non solamente a tutti i vantaggi sociali di colui che l’ha scelta una volta, ma, per quanto possibile, alla considerazione che lo circonda; e sarebbe difficile immaginare una disposizione pratica che favorisca di più il sesso necessariamente dipendente. Lungi dal tendere a una chimerica emancipazione, e ad un'u­ guaglianza non meno vana che oggi si sognano, la civiltà, svi­ luppando invece le differenze dei due sessi tanto quanto tutte le altre, come ho dimostrato nel capitolo precedente, toglie sem­ pre di più alle donne tutte quelle funzioni che potrebbero di­ stoglierle dalla loro vocazione domestica. Il miglior modo di giudicare, a questo proposito, la reale tendenza universale, è di esaminare ciò che accade nelle classi elevate della società, dove le donne hanno potuto seguire più facilmente il loro destino, e quindi devono, di conseguenza apparire come una specie di mo­ dello naturale, al quale si rifaranno in séguito, per quanto e pos­ sibile, tutti gli altri modi di vivere; si coglie così direttamente una legge generale dell’evoluzione sociale per quanto riguarà i sessi, che consiste nel liberare sempre di più la donna da qual­ siasi occupazione estranea alle sue funzioni domestiche; in modo, per esempio, che si arrivi un giorno a rifiutare, come una ver­

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gogna per l’uomo in tutte le classi sociali, cosa che accade già nelle più avanzate, la pratica dei lavori pesanti per le donne, or­ mai dedicate dovunque in modo sempre più esclusivo, ai loro nobili e tipici attributi di mogli e di madri. Sebbene io non pos­ sa qui nemmeno abbozzare tutta la serie particolare di osserva­ zioni sociali adatte a confermare in modo inconfutabile questo pnneipio generale, cosi conforme, d’altronde, ad una reale co­ noscenza della nostra natura, ma che potrebbe essere dimo­ strato solo nel mio trattato di filosofìa politica, spero tuttavia che queste rapide indicazioni, per quanto incomplete, saranno già sufficienti per fare sentire agli spiriti migliori che, al di fuori di questa tendenza elementare, ancora da perfezionare e com­ pletare in tutte le comuni classi della società moderna, non pos­ sono esistere, in realtà, altri mezzi efficaci per migliorare la condizione della donna, se non quelli che nascono naturalmente dal rigenerarsi dell’educazione umana, per ambedue i sessi e sotto l'ascendente della filosofia positiva. Considerando infine la morale sociale propriamente detta, è certo qui superflua la constatazione della influenza enorme del cattolicesimo nel cambiamento del patriottismo, forte ma sel­ vaggio, che aveva animato gli antichi, attraverso il sentimento piùelevato dell’umanità o della fraternità universali, così felice­ mente volgarizzato sotto il dolce nome di carità. Senza dubbio, ianatura della dottrina e le antipatie religiose che ne risultavano, restringevano molto, in realtà, questa ipotetica universalità di amore, di solito essenzialmente limitata alle popolazioni cristia­ ne; ma, entro questi confini, i sentimenti di fraternità dei diversi popoli venivano potentemente sviluppati, oltre che dalla fede co­ mune che ne costituiva il principio, dalla loro uniforme subor­ dinazione abituale ad uno stesso potere spirituale; i membri del quale, nonostante la loro propria nazionalità, si sentivano natural­ mente concittadini di tutta la cristianità. È stato giustamente no­ tatoche il miglioramento delle relazioni europee, il perfeziona­ mento del diritto internazionale e le condizioni più umane im­ poste gradualmente alla guerra stessa, risalgono infatti a questa epoca, nella quale l’infiuenza cattolica legava di fatto tutte le parti dell'Europa. NeH’ordinamento interno di ciascuna nazione, i doveri generali che si riallacciano a questo grande principio cattolico della fraternità o della carità universali, e che oggi han-

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no perduto temporaneamente la loro grande efficacia, solo in séguito all’inevitabile decadenza del sistema teologico che li im­ poneva, tendevano gradualmente a divenire, per la loro stessa natura, il mezzo meno imperfetto per rimediare, per quanto possibile, soprattutto per ciò che riguarda la ripartizione della ricchezza, agli inconvenienti inseparabili dallo stato sociale; ai quali, con cieca imitazione degli antichi, si cerca oggi una vana soluzione con misure puramente materiali o politiche, impotenti quanto tiranniche e capaci di portare alle più gravi perturbazioni sociali. È chiaro, in linea di principio, che la sola separazione ra­ gionevole dei due poteri, stabilendo un’alta indipendenza della morale dalla politica, può permettere, nel futuro come nel pas­ sato, di imporre a ciascuno, senza pericolo per l’economia tem­ poranea della società, l’obbligo imperioso, ma puramente mo­ rale, di impegnare direttamente la propria fortuna e tutti gli altri possibili vantaggi relativi alla propria posizione, nell'assi­ stenza dei propri simili; mentre la filantropia metafìsica non ha potuto trovare finora a questo proposito, altra soluzione pratica se non quella di creare prigioni per coloro che chiedono pane. Questa fu dunque la benefica fonte di tante opere ammirevoli destinate a sollevare in vario modo le miserie umane, che la po­ litica metafisica ha avuto lo strano coraggio di condannare, nel nome di una pretesa scienza di economia politica, mentre al contrario non resta ancora, al giorno d’oggi, che di estenderle c perfezionarle organizzandole; istituzioni completamente scono­ sciute nelPantichità e tanto più straordinarie in quanto furono costituite quasi sempre con i doni volontari di una munificenza privata, alla quale la cooperazione pubblica si univa raramente. Sviluppando al più alto grado compatibile con l'imperfezione basilare della filosofia teologica il sentimento universale della solidarietà sociale, il cattolicesimo non ha dimenticato quello dell’eternità, che ne costituisce per sua natura rindispensabile complemento, unendo tutti i tempi come tutti i luoghi, cosa che ho già dimostrato altrove. Tale era lo scopo generale del grande sistema di commemorazione regolare, così felicemente costruito dal cattolicesimo in una giudiziosa imitazione del politeismo. Se questo soggetto potesse venire qui esaminato a sufficienza, sa­ rebbe semplice far ammirare le sagge precauzioni prese dal cat­ tolicesimo, e di solito rispettate, perché la beatificazione, rim­

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piazzando l’apoteosi, raggiungesse meglio il suo più grande fine sociale, evitando le vergognose degenerazioni alle quali una com­ pleta confusione dei due poteri elementari aveva trascinato, in tempodi decadenza, i Greci e soprattutto i Romani, in modo che questa nobile ricompensa non è stata quasi mai elargita se non aduomini più o meno degni, eminenti o utili, sia moralmente sia persino intellettualmente; sempre scelti, con completa impar­ zialità, in tutte le classi sociali, dalle più alte alle più basse. È d'altra parte evidente che il sistema positivista adempierà na­ turalmente a questa funzione importantissima con molta più per­ fezione e libertà, perché potrà estenderla ordinariamente non soloa tutti i modi possibili deH’attività umana, ma anche a tutti i tempi e tutti i luoghi, senza venire arrestato da alcun meschino dissenso dottrinale, perché, sola capace di raccogliere veramente l'insieme continuo di tutta l’umanità nella sua grande unità, al­ trettanto completa quanto irrefutabile, la sua filosofìa è esclusi­ vamente adatta a riconoscere ed a glorificare ogni reale parte­ cipazione all’evoluzione della nostra specie. La necessità di dan­ nareOmero, Aristotele, Archimede ccc. doveva essere certo molto dolorosa per qualsiasi filosofo cattolico, cionondimeno, era im­ posta severamente dalla natura imperfetta del sistema: non c’è che il positivismo che possa tutto apprezzare, senza nulla com­ promettere. Queste indicazioni brevi e sommarie dovrebbero disporre il lettore a capire, in séguito ai princìpi già dimostrati, rimmensa rigenerazione morale compiuta dal cattolicesimo durante il me­ dioevo, per quanto lo permetteva il carattere di quella fase so­ cialeed il tipo di filosofia che è stato costretto ad usare; tanto che il suo disegno immortale ha chiarito a sufficienza la vera natura di questa grande operazione, Io spirito generale che la dominava e le principali condizioni da rispettare in modo che rimase da ricostruire, con una filosofìa più reale e più stabile, solo rinsieme fondamentale di questo ammirevole edificio. Ormai, per com­ pletare convenientemente il giudizio sul sistema monoteistico, l’analisi sociale del quale, prima politica, poi morale, è così ter­ minata, non ci resta che valutare infine in modo generale le sue vere caratteristiche intellettuali, delle quali i due capitoli se­ guenti mostreranno le grandi conseguenze sociali; conseguenze che, prolungandosi fino alla nostra epoca, la riallacciano di fatto

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a quella culla necessaria di qualsiasi civiltà moderna. È facile dedurre infatti, daH’insieme di considerazioni già esposte in que­ sto capitolo, come l’importanza preponderante della missione so­ ciale, che abbiamo riconosciuto a tale sistema, abbia dovuto per molto tempo trattenere lo sviluppo diretto delle sue qualità in­ tellettuali, che non hanno potuto manifestarsi pienamente, se non con le loro ulteriori conseguenze quando questo sistema, eminentemente transitorio, era già in piena decomposizione po­ litica. Questo fatto ha impedito una giusta definizione generale di tali caratteri intellettuali, la vera origine prima dei quali ri­ sultava troppo poco delineata, sebbene tutti i movimenti spiri­ tuali dei tempi moderni risalgono incontestabilmente, come spie­ gherò, a quei tempi memorabili, così irrazionalmente chiamati tenebrosi da una vana critica metafisica, della quale il protestan­ tesimo fu il primo organo. La nostra teoria spiega facilmente il ritardo considerevole del movimento intellettuale corrispondente al sistema monoteistico del medioevo, senza esigere che, misconoscendo a questo pro­ posito le vere caratteristiche di un tale sistema, lo si sospetti di una decisa antipatia verso il progresso dello spirito umano; cosa incompatibile con la sua natura, e che non poté essere vera, nemmeno ad un livello molto inferiore di quanto non lo si creda comunemente; se non nella sua epoca di accentuata decadenza, quando, attaccata da ogni parte, era quasi interamente occupata nella difficile cura della propria conservazione, come dimostrerò nel capitolo successivo. D’altra parte, appare evidente che è stata molto esagerata, a questo proposito, l’infiuenza delle invasioni germaniche, quando si è attribuito soprattutto a loro il notevole rallentamento dell’evoluzione intellettuale, durante gran parte del medioevo; perché questo ritardo aveva certamente preceduto di molti secoli quegli sconvolgimenti politici. Due osservazioni storiche, ugualmente decisive, l’una di tempo, l’altra di luogo, l’esattezza delle quali è incontestabile come la loro importanza, indicano la via della vera spiegazione di questo notevole fenome­ no, finora così mal compreso; poiché da una parte il preteso risve­ glio di un’intelligenza che, sebbene avesse dovuto cambiare la direzione della sua attività, non si era mai intorpidita, e cioè in realtà l’intensificarsi dell’attività intellettuale, seguì immediata­ mente l’epoca di piena maturità del regime cattolico, neH’xi

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secolo, c si completò durante il periodo del suo maggiore pre­ stigio sociale; e dall’altra, fu nel centro stesso di tale periodo di prestigio, e quasi sotto gli occhi della suprema autorità sacerdo­ tale, che si manifestò tale intensificarsi, dato che è impossibile disconoscere nel medioevo, la straordinaria superiorità deH’Italia, sotto qualsiasi aspetto la si consideri, filosofico, scientifico, arti­ stico ed anche industriale; doppio indizio inconfutabile della ca­ pacità del cattolicesimo di assecondare in quel tempo, lo svi­ luppo generale dello spirito umano. Uno studio approfondito del precedente ritardo dell’evoluzione intellettuale mostra con chiarezza che era dovuto alla preponderante ed importante ope­ razione di base che consisteva nell’organizzare gradualmente il regime monoteista del medioevo, di cui la lunga c difficile ela­ borazione aveva certo dovuto assorbire in modo quasi esclusivo, e fino a quando fu sufficientemente completata, le maggiori forze intellettuali, attirando più di qualsiasi altro argomento l'attenzione e la stima pubbliche : in modo che la guida provvi­ soria dell’attività intellettuale propriamente detta veniva lasciata alle cure di menti non eccezionali, di solito pochissimo incorag­ giate, in un periodo nel quale d’altra parte, lo stato generale della nostra evoluzione spirituale non poteva fare in nessun campo progressi immediati di grande portata e non permetteva altro che la conservazione essenziale dei risultati già ottenuti, accom­ pagnata dai miglioramenti secondari. Questa è la spiegazione semplice e razionale di tale apparente anomalia, che non pre­ suppone, come si vede, negli uomini, nelle istituzioni e negli avvenimenti alcuna tendenza decisa, sistematica o involontaria, alla compressione dello spirito umano; che accorda di fatto il principio naturale alla necessità di applicare sempre le migliori capacità alle azioni richieste, in ogni epoca, dalle più grandi necessità della vita umana, e che certamente allora non poteva offrire nulla di più degno dell’interessamento maggiore di tutti i pensatori, che lo sviluppo progressivo delle istituzioni cattoli­ che. Quando il sistema pervenne infine, sotto Ildebrando, alla sua piena maturità sociale, e dopo che le principali difficoltà re­ lative alla sua applicazione politica furono sormontate, per quan­ to almeno permetteva la natura dei tempi e delle dottrine, il movimento intellettuale, il quale, nonostante ciò che se ne è detto, nonera mai stato interrotto un solo istante, riprese naturalmente

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una nuova attività; ed esigendo a sua volta in modo sempre più deciso, l’impiego delle migliori capacità e l’attenzione universale realizzò gradualmente gli immensi progressi che valuteremo nella cinquantaseiesima lezione. L ’influenza che si attribuisce co­ munemente agli Arabi a proposito di questa memorabile ripresa è stata di certo molto esagerata, sebbene abbia realmente raffor­ zato alquanto lo slancio naturale che cominciava a notarsi, Del resto, anche questo influsso meno importante, se conveniente­ mente studiato, perde quel carattere essenzialmente accidentale che ancora conserva per i migliori intelletti, quando si osservino direttamente i principali caratteri dell’evoluzione araba. Sebbene Maometto “ abbia cercato in un tentativo di imitazione, troppo poco razionale, d’organizzare il monoteismo in una nazione che non vi era predisposta convenientemente né sul piano spirituale né su quello temporale, e sebbene con questo tentativo non sia stato capace di ottenere in modo sufficiente i principali risultati sociali che sono propri ad una tale trasformazione, né, soprat­ tutto, quella divisione fondamentale dei due poteri elementari che deve caratterizzarla nei casi veramente riusciti, e nonostante che questo memorabile sconvolgimento non sia potuto perciò sfociare direttamente se non nella più mostruosa concentrazione politica, con la costituzione d’una specie di teocrazia militare, tuttavia le caratteristiche intellettuali del monoteismo non potero­ no esservi interamente annullate, si svilupparono ugualmente con tanta rapidità, quanto la stessa assoluta imperfezione del regime corrispondente ne aveva reso facile il buon esito; senza che ci fosse bisogno della lunga e penosa elaborazione che era stata ne­ cessaria al cattolicesimo e lasciando fin dall’inizio naturalmente disponibili le principali capacità spirituali per una cultura pu­ ramente intellettuale, i cui germi si erano già naturalmente de­ positati, per l’anteriore tendere del movimento filosofico verso i’oriente, dopo che l’occidente era stato assorbito dallo sviluppo a. Seguendo i precetti logici stabiliti all'inizio di questo volume, noi non possiamo qui considerare l’ islamismo che in relazione alla più im­ portante evoluzione sociale, allora essenzialmente giù avvenuta in occi­ dente. L'importanza fondamentale che ha avuto per l’oriente è di tutt’alcra natura, e, più spesso, molto favorevole al nascere delle civiltà corrispondenti, soprattutto in India, e ancora di più nelle grandi isole malesi.

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del sistema cattolico. E così gli Arabi si sono trovati a figurare con onore in questa specie d’interregno occidentale, senza che il loro intervento sia stato però del tutto indispensabile per ope­ rare il trapasso generale, ed essenzialmente spontaneo, dall’evo­ luzione greca alla nostra evoluzione moderna. L ’insieme di queste considerazioni spiega dunque, in un modo pienamente soddisfacente, perché il regime monoteistico del medioevo do­ veva sviluppare così in ritardo le sue più importanti qualità in­ tellettuali, il cui inevitabile e naturale ritardo non può negarne la realtà e l’importanza; ma prova al tempo stesso che, a causa duna coincidenza necessaria, qui di seguito dettagliatamente motivata, quest’ultima influenza fondamentale non ha potuto diventare in sostanza efficace se non quando la decadenza gene­ rale del sistema era già davvero iniziata. Così, una valutazione diretta deve essere naturalmente rinviata ai due capitoli seguenti, destinati ad esaminare sia questa disorganizzazione graduale, sia l’elaborazione progressiva dei nuovi elementi sociali; doppia grande serie di risultati necessari all’azione generale d'un simile sistema, sebbene la sorgente reale ne sia ancora ignota. Questi sono i motivi più evidenti che ci obbligano qui ad indicare so­ lamente, e nel modo più sommario, il principio generale di que­ sta influenza intellettuale, sotto ciascuno dei quattro aspetti es­ senziali che le sono propri. Dal punto di vista filosofico propriamente detto, l’atteggia­ mento intellettuale del cattolicesimo è tanto importante quanto mal valutato. Abbiamo già preso in esame l’estrema importanza sodale del memorabile sistema di educazione universale che il cattolicesimo giunse ad organizzare finanche nelle classi più bas­ se delle popolazioni europee; tentativo del resto compiuto ono­ revolmente, dietro il suo esempio, dal monoteismo di Maometto. Ora, per quanto imperfetta debba oggi sembrare la filosofia pu­ ramente teologica che veniva così ad essere volgarizzata, essa ha, in un ordine intellettuale, esercitato per lungo tempo una influenza assai benefica sullo sviluppo mentale della massa delle nazioni civili, fin d’allora regolarmente assoggettate, in modo continuo o con periodica frequenza, ad una certa azione spiri­ tuale perfettamente adatta alla loro situazione, ed anche capace di sollevare le idee al di sopra del circolo chiuso di una vita ma­ teriale, e di purificare i sentimenti comuni; non si può sufficien­

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temente apprezzare l’utilità d’un tale fatto se non attraverso il confronto dei casi in cui esso non accade, senza essere sostituito in altro modo. L ’efficacia di questo insegnamento elementare doveva essere in quel tempo tanto più grande in quanto diffon­ deva nozioni salutari, sebbene empiriche, sulla natura mo­ rale dell’uomo, c anche un certo schema, vago e limitato ma sotto alcuni aspetti reale, della valutazione storica dell’umanità, naturalmente connessa con la storia generale della chiesa. È pure evidente che in questo modo il grande concetto filosofico del progresso umano ha cominciato a crescere universalmente, per quanto insufficiente o inesatto dovesse allora essere, in sé­ guito agli sforzi spontanei del cattolicesimo per dimostrare la sua fondamentale superiorità sui diversi sistemi che l’avevano preceduto e che d’altra parte non mancavano spesso di essere mal valutati; tutti coloro che sanno convenientemente misurare le difficoltà e le condizioni che si incontrano nell’abbozzare un pri­ mo schema, soprattutto in un tale periodo e su un tale tema, ca­ piranno, spero, il valore di questa felice intuizione iniziale, mal­ grado la sua estrema ed inevitabile imperfezione. Infine, non si può dubitare che l’influenza dell’educazione cattolica, fornendo a ciascun individuo il mezzo e, in un certo senso, il diritto di giudicare tutti gli atti umani individuali o collettivi, per mezzo di una dottrina fondamentale, in armonia con la divisione gene­ rale dei due poteri fondamentali, abbia ulteriormente con­ corso a sviluppare lo spirito universale di preoccupazione sociale che caratterizza i popoli moderni, e che non poteva normalmente esistere tra popolazioni subordinate, fino a che durò la confu­ sione dei due poteri; sebbene questo spirito, del quale molto in­ giustamente è stata dimenticata l’origine, dovesse d’altra parte essere trattenuto dall’indispensabile disciplina intellettuale che prescriveva imperiosamente la natura vaga ed arbitraria della fi­ losofìa teologica. A queste grandi proprietà, relative in modo particolare alle masse, bisogna prima di tutto aggiungere, per gli spiriti colti, il libero sviluppo che il regime cattolico ha quasi sempre permesso, a parte qualche contrasto passeggierò, alla fi­ losofia metafisica ordinariamente minacciata dal politeismo, e che il cattolicesimo ha tanto protetto, nonostante la tendenza che avrebbe presto mostrato a sconvolgere completamente quel siste­ ma, sotto il quale è di certo cominciato il suo estendersi più di­

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retto alle questioni morali e sociali, come spiegherò. Per rendere del tutto irrefutabile questa disposizione liberale del cattolicesi­ mo, sarebbe sufficiente rammentare l’ammirevole accoglienza, del resto giustamente meritata, che seppe fare il medioevo, tanto criticato, alla parte più avanzata della filosofìa greca, cioè alla dottrina del grande Aristotile, che di sicuro fino ad allora era stato infinitamente meno apprezzato, perfino tra i Greci. In se­ condo luogo è necessario anche notare l’immenso servizio filo­ sofico, reso spontaneamente dal sistema cattolico alla ragione umana, in virtù della sua divisione fondamentale dei due poteri sociali, che, guardata da un punto di vista intellettuale, costituiva un'indispensabile condizione iniziale per la futura formazione di una vera scienza sociale, attraverso la felice separazione ra­ zionale, che le risultava, tra la teoria e la pratica politica, senza la quale gli studi sociali non avrebbero mai potuto darsi uno slancio indipendente, se non sotto la vana forma di utopie più omeno chimeriche; e sebbene questa ultima qualità non abbia potuto prendere una forma definitiva se non ai nostri giorni, io erotenuto tuttavia a segnalare con riconoscenza la sua vera fonte, leconseguenze troppo lontane e troppo nascoste della quale non vengono quasi mai riallacciate alla loro vera origine, nemmeno daquelli stessi che li utilizzano di più. L’influenza puramente scientifica del cattolicesimo non fu di certo meno salutare della sua azione filosofica. Senza dubbio, il monoteismo stesso non è del tutto compatibile con il senso ra­ zionale della fondamentale invariabilità delle leggi naturali, per­ chéverrebbe sempre ad essere compromesso in un modo, se non reale, almeno virtuale, da qualsiasi soggezione teologica dei di­ versi fenomeni a volontà onnipotenti, per quanto le si possa supporre regolari a causa dei progressi della vera scienza; e, di­ fatti, ad un certo livello dello sviluppo umano, la dottrina mo­ noteistica costituisce il solo ostacolo essenziale all’irresistibile con­ vinzione che un’esperienza molto prolungata a questo proposito finisce col suggerire universalmente, come abbiamo dovuto con­ statare già frequentemente nelle diverse parti di questo trattato, ecome ben presto avrò modo di dimostrare storicamente. Ma, durante il medioevo, essendo la nostra intelligenza ancora di certomolto lontana da una simile situazione, il regime monotei­ stico, lungi dal comprimere lo sforzo scientifico di allora, do­

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veva invece felicemente incoraggiarlo, liberandolo infine in modo naturale da tutti gli impacci che il politeismo gli aveva creato da ogni parte; poiché qualsiasi tentativo scientifico non aveva potuto fino ad allora essere perseguito, a parte lo slancio iniziale della semplice speculazione matematica, senza colpire, in modo più o meno pericoloso, le spiegazioni teologiche che si estendevano, per così dire, ai minimi dettagli di tutti i fenomeni; mentre il monoteismo, concentrando l’azione soprannaturale, lasciava fi­ nalmente allo spirito scientifico libero accesso a questi studi se­ condari per i quali non doveva scontrarsi con una dottrina reli­ giosa, a patto che essi rispettassero le formule, sin d’allora vaghe e generali, che li riguardavano; anzi, esso poteva perfino soste­ nerli attraverso la tendenza religiosa ad una sincera ammira­ zione particolare della saggezza della provvidenza, che non eser­ citò, se non più tardi, un influsso retrogrado o immobile. Al punto già raggiunto dalla nostra grande dimostrazione storia, mi sembra superfluo spiegare espressamente che il regime mo­ noteista, paragonato al precedente, costituisce una diminuzione intellettuale molto pronunciata dello spirito religioso, come il sistema politeista l’aveva operata, a suo tempo in quello idola­ tra: questa progressione appare ormai evidente. Oltre alle grandi restrizioni che, già precedentemente descritte ad altro scopo, il cattolicesimo ha accuratamente imposto allo spirito di ispirazione divina, è ugualmente chiaro con la soppressione spontanea degli oracoli e delle profezie, dai quali l’antichità era sommersa, e at­ traverso il carattere sempre più eccezionale imposto alle appa­ rizioni ed ai miracoli, che il cattolicesimo al tempo della sua maggior potenza, si sforzò nobilmente a spese dello spirito teo­ logico, d’allargare il dominio all’inizio così angusto della ragione umana, per quanto lo poteva permettere la natura stessa della dottrina che era alla base della sua potenza sociale. Da tutte que­ ste qualità incontestabili, e senza parlare d’altra parte delle evi­ denti facilitazioni che la vita sacerdotale doveva offrire all’edu­ cazione intellettuale, è facile dedurre la felice influenza che il sistema monoteista del medioevo dovette esercitare sulla nasciti delle scienze naturali di allora, e che verrà particolarmente ana­ lizzato nella cinquantaseiesima lezione: sia attraverso la crea­ zione della chimica fondata sulla concezione iniziale di Aristo­ tele sui quattro elementi, c sostenuta da potenti fantasie, chr

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sole potevano a quei tempi stimolare sufficientemente lo speri­ mentalismo nascente; sia con i notevoli progressi dell’anatomia, tanto limitata durante tutta l’antichità, nonostante i primi inco­ raggiamenti spontanei che ho segnalato nel capitolo precedente; siaanche con lo sviluppo progressivo delle speculazioni matema­ tiche precedenti e delle conoscenze astronomiche che vi si allac­ ciavano, sviluppo allora tanto preciso quanto Io permetteva es­ senzialmente lo stato della scienza, come avrò modo di spiegare, ccaratterizzato da due grandi miglioramenti correlativi, la na­ scita dell’algebra, a titolo di branca distinta dall’antica matema­ tica*, c quella della trigonometria, presso i Greci troppo imper­ fetta e limitata per i crescenti bisogni dell’astronomia. Quanto all’influenza estetica del sistema monoteista del me­ dioevo, sebbene si sia sviluppata, come le due precedenti, so­ prattutto nel periodo immediatamente successivo, è tuttavia im­ possibile misconoscerne la grande portata, se si riflette sull’enor­ meprogresso della musica e dell’architettura in quell’epoca me­ morabile. Fu allora, infatti, che l’arte del canto acquistò un nuovo carattere fondamentale, con l’introduzione delle note mu­ sicali e con lo sviluppo dell’armonia, che vi è, d’altra parte, stret­ tamente legata; lo stesso avvenne, ed in modo anche più notevole per la musica strumentale, che, in quei tempi di pretesa bar­ barie, acquistò ammirevolmente in estensione, con la creazione del suo organo più completo e potente; è certamente superfluo a. Nessuno ignora la felice innovazione dei numeri fatta nel medio(to, od la partecipazione incontestabile del cattolicesimo a questo im­ portante progresso dell’aritmetica. Un notevole studioso di geometria che si occupa, con altrettanto successo che modestia, della vera storia della matematica (M. Chasles '), ha molto utilmente confermato, in questi ul­ timi tempi, con una dotta discussione particolareggiata a proposito di quel memorabile cambiamento, l’intuizione razionale che doveva spie­ gare naturalmente la saggia teoria dello sviluppo umano, provando che bisogna soprattutto vedervi non un’importazione dall’India attraverso gli Arabi, ma un semplice risultato naturale del movimento scientifico an­ teriore del quale c facile seguire il progredire graduale verso quel risul­ tato, attraverso le modifiche successive, e partendo dalle annotazioni pri­ mitive di Archimede e degli astronomi greci.I. I. Michel Chasles, matematico francese (1793-1880), noto per gli studi sulla geotnitiii pura, che trattò senza il sussidio del calcolo.

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far notare in queste due acquisizioni l’evidente partecipazione dell’influenza cattolica. La sua efficacia non è meno notevole nel progresso generale dell’architettura, da un punto di vista este­ tico; indipendentemente dalla nuova direzione presa dall’edili­ zia comune, a causa del cambiamento che si stava verificando gradualmente nel modo di vivere sociale, poiché, attraverso il costume cattolico e feudale, rapporti personali ed abituali anda­ vano sostituendosi all’isolamento caratteristico della vita intima degli antichi, ed in conseguenza sorgeva spontaneamente un ti­ po di abitazione più adatta a facilitare i contatti individuali, Mai i pensieri ed i sentimenti della nostra natura morale hanno po­ tuto riversarsi in una così perfetta espressione monumentale, co­ me in quella realizzata allora da tanti ammirevoli edifici reli­ giosi; che, nonostante l’inarrestabile deperire delle credenze loro legate, ispireranno sempre, a tutti i veri filosofi, una stupenda emozione di profonda simpatia sociale. Il politeismo, il cui culto si svolgeva tutto fuori dei templi, non poteva evidentemente giun­ gere ad una tale perfezione, necessariamente possibile solo ad un sistema che organizzasse una dottrina universale, perfezio­ nata dall’abitudine continua alla meditazione individuale; anche a questo proposito, come per le scienze, si è molto esagerato parlando di influenza di importazione araba, che è invece spie­ gabile con facilità in questo come nell’altro caso; poiché il mo­ noteismo musulmano, avendo provato naturalmente gli stessi bisogni essenziali, manifestò tendenze parallele, sebbene la sua totale mancanza di originalità renda, in generale, molto sospetta sotto tutti e due gli aspetti la sua pretesa priorità di perfeziona­ mento; che, del resto, è ugualmente spiegabile per entrambi i casi, in ciò che ha di reale, attraverso la maggiore facilità del suo slancio intellettuale, già caratterizzato nella sua principale causa politica. Per ciò che riguarda la poesia sarebbe sufficiente nomi­ nare il sublime Dante per constatare in modo lampante l'atteg­ giamento immediato del sistema che stiamo considerando, nono­ stante il notevole ritardo dovuto in modo particolare, in questo caso, alla lunga e penosa elaborazione della lingua moderna; d'altra parte, il carattere troppo instabile e troppo ambiguo dello stato sociale di allora presentava gravi ostacoli allo slancio delle più profonde impressioni poetiche, che non potevano trovarvi una ispirazione sufficiente, diretta e spontanea: abbiamo gii ri­

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conosciuto tino in fondo, nel capitolo precedente, le caratteristi­ che molto migliori che, a tale proposito, il politeismo mantiene lino ad ora tanto che i grandi geni non hanno ancora potuto li­ berarne la poesia moderna. Del resto un’analisi dell’epoca suc­ cessiva che, in questo ed in tutti gli altri settori non ha fatto se nonsviluppare gradualmente le idee nate nel medioevo, finirà di confutare in modo particolareggiato tutti i dubbi che potrebbero ancora sussistere. Considerando infine il movimento intellettuale impresso da questo sistema sociale sotto l’aspetto meno elevato e più univer­ sale, cioè lo sforzo industriale, dobbiamo ancora rimandare la sua analisi, così evidentemente riservata alle epoche successive, agli inizi dell’emancipazione individuale. Ma non si potrebbe dubitare, in linea di principio, che il più grande miglioramento realizzabile nell’industria umana, consisteva in una saggia e gra­ duale abolizione della servitù, accompagnata dalla liberazione progressiva dei comuni propriamente detti, compiuta allora sotto ia felice tutela di quel regime, come spiegherò più tardi, c che costituì la base necessaria di tutti gli immensi successi posteriori. Noi dovremo soprattutto notare, quando il nostro cammino in­ tellettuale ci condurrà direttamente ad una tale analisi, il nuovo carattere generale, che è già utile segnalare qui, e che l’industria umana dovette assumere sempre di più in fondamentale armo­ niacon quella origine; cioè la tendenza graduale ad un’econo­ mia degli sforzi umani progressivamente sostituiti dalle forze esterne, delle quali gli antichi facevano in realtà così scarso uso. Questa tipica sostituzione, fonte principale dell’ammirevole slan­ cio dell’industria moderna, risale certamente a quell’epoca me­ morabile, durante la quale non fu solamente ispirata dall'in­ fluenza, ancora troppo debole, dello studio razionale della na­ tura, divenuto in séguito tanto importante a questo proposito; essodovette invece nascere principalmente dai nuovi stimoli so­ ciali, diretti quanto energici, e creati, in questo campo, dalla po­ sizione importantissima, fino ad allora inaudita, nella quale il mondo cattolico e feudale si sistemava sempre meglio in seguito all’emancipazione individuale dei lavoratori diretti, e che tende­ vaevidentemente ad imporre, con un crescente ascendente, una dura necessità generale di risparmiare i motori umani, utiliz­ zando più a fondo i diversi agenti fisici, animati, o perfino inor­

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ganici; questo tentativo appare evidente, fin dall’inizio, per molte invenzioni meccaniche, la storia delle quali è ormai troppo lon­ tana; tra le tante, i mulini ad acqua e soprattutto a vento, Non c’è dubbio che resistenza in generale della schiavitù costituisca per gli antichi, ancora più dell’estrema imperfezione delle loro reali conoscenze, l’ostacolo principale ad un vasto impiego delle macchine, la necessità delle quali non poteva essere abbastanza compresa, finché era possibile disporre, per l’esecuzione dei di­ versi lavori materiali, d’una provvista quasi inesauribile di forza muscolare intelligente. È perciò che il legame necessario che tiene insieme i diversi aspetti delPesistenza umana, individuale e so­ ciale, rende impossibile qualsiasi storia dell’umanità puramente industriale, concepita separatamente dalla sua storia universale, come ho dimostrato in generale nel quarantottesimo capitolo. Del resto non è difficile sentire, in questo caso, come in tanti altri già messi in evidenza, che allora fosse indispensabile l’in­ tervento attivo e continuo della disciplina cattolica per tratte­ nere o correggere l’azione deleteria della dottrina teologica che, soprattutto allo stadio monoteista, tende spontaneamente a proi­ bire qualsiasi grande modificazione industriale del mondo esta­ ño, facendovi scorgere una specie di attentato sacrilego alla fede ottimista nella provvidenza, che si è sostituita al fatalismo poli­ teista ; tale funesta conseguenza naturale dello spirito religioso avrebbe ostacolato profondamente, a quell’epoca, lo slancio in­ dustriale, senza la perseverante saggezza del sacerdozio cattolico. Queste rapide intuizioni sono sufficienti per ora a descrivere sommariamente le grandi caratteristiche intellettuali del sistema monoteista del medioevo, in attesa che i loro ulteriori e più im­ portanti risultati possano venire convenientemente giudicati, e che già dovrebbero naturalmente mettere in evidenza l’ingrata ingiustizia di questa frivola filosofia che conduce, per esempio, a qualificare irrazionalmente come barbaro e tenebroso il secolo memorabile nel quale rifulsero contemporaneamente, nei diversi settori nel mondo feudale e cattolico, San Tommaso d’Aquino, Alberto il Grande ’, Ruggero Bacone, Dante ed altri; l’analisi es­ senziale di questo sistema, essendo stata fatta prima in modoI. I. Alberto il Grande (1193-1280), vescovo di Ratisbona, filosofo, alchicniita t teologo scolastico.

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conveniente per ciò che riguarda gli attributi sociali, sia politici, sia morali, che lo definiscono meglio di altri, ed avendo così raggiunto quella completezza generale che le mancava, non re­ sta, ormai, per finire questo grande e difficile esame, che di in­ dicare in modo più diretto il principio fondamentale dell’inevi­ tabile decadenza di questo sistema eminentemente transitorio; il cui destino inevitabile, nell’insieme dell’evoluzione umana, doveva essere di preparare, sotto la sua benefica tutela il disfaci­ mento graduale dello stato puramente teologico e militare, ed il sorgere progressivo dei nuovi elementi di un ordine che sa­ rebbe stato definitivo, come apparirà nei due capitoli che se­ guono. In qualsiasi direzione si esamini l’organizzazione del medio­ evo, uno studio abbastanza approfondito metterà sempre in luce lasua natura puramente provvisoria, ripresentando gli sviluppi stessi, che per la sua missione aveva dovuto secondare, come pri­ mecause fondamentali della sua inevitabile e prossima caduta. Nella costituzione cattolica e feudale il regime teologico e mili­ taresi era essenzialmente modificato, per quanto era possibile al suo spirito particolare ed alle sue reali condizioni di esistenza, inmodo da poter proteggere e facilitare lo slancio universale, elementare ma fin da allora preciso, verso una vita positiva e industriale: i cambiamenti generali non avrebbero potuto an­ dare oltre, senza provocare di necessità l’abbandono definitivo di questo primo sistema sociale. Sarà qui sufficiente constatare inmodo sommario questa invincibile spinta verso le principali disposizioni, spirituali e temporali, di tale costituzione. Quanto all’ordine spirituale, il carattere semplicemente prov­ visorio che noi sappiamo, dalla mia teoria dell’evoluzione uma­ na, essere proprio d’ogni dottrina teologica, era certamente più pronunciato nel monoteismo che in qualsiasi altra fase religiosa, per la ragione stessa che l’estremo concentramento vi aveva ri­ dotto, per quanto possibile, come ho già provato, lo spirito teo­ logico propriamente detto, che non avrebbe più potuto subire nuove modifiche senza snaturarsi completamente e senza per­ dere, poco a poco, ma irrevocabilmente, il suo ascendente so­ dale: mentre, d’altra parte, l’azione più vasta e più rapida che questo ultimo stadio teologico dell’umanità permetteva, special­ mente allo spirito positivo, non solo tra gli uomini colti, ma

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anche nella massa delle popolazioni civilizzate, non avrebbe man­ cato di determinare ben presto quei cambiamenti. Un vano c superficiale giudizio fa credere al giorno d’oggi, in séguito alla decadenza stessa del sistema religioso, le cui reali esigenze non sono più abbastanza sentite, che il monoteismo avrebbe potuto ancora sussistere in modo da poter perfino servire sempre da base morale ail’ordine sociale, nello stato di estrema semplificazione astratta al quale, dopo il medioevo, l’influenza metafisica lo ave­ va gradualmente portato; ma questa chimera filosofica viene qui confutata dall’inizio del nostro esame dell’organizzazione catto­ lica, nel quale abbiamo riconosciuto quanto fosse veramente in­ dispensabile alla sua efficacia sociale ciascuna delle sue numerose condizioni di esistenza, talmente legate, che la mancanza di una sola avrebbe trascinato nella caduta tutto l’edificio, nonostante sia stata implicitamente stabilita la natura precaria e transitoria della maggior parte di esse. Lungi dall’essere radicalmente ostile allo sviluppo intellettuale, come è stato fin troppo asserito, sotto la sola impressione, del resto esagerata, dei tempi della decadenza, il cattolicesimo lo ha, al contrario, altamente secondato, proprio come ho già spiegato: ma non ha potuto né dovuto veramente incorporarlo; ora, se quello slancio a lui esterno, sotto la semplice tutela del cattolicesimo, è stato effettivamente molto favorevole all’evoluzione mentale e persino indispensabile ai suoi progressi di allora, ha però determinato in séguito, giunto ad un certo livello, una irrefrenabile spinta d’uscire gradualmente da quel regime provvisorio, il cui destino si era così essenzialmente com­ piuto. Tale è stato dunque in fondo, il grande compito spirituale evidentemente transitorio, del cattolicesimo : preparare sotto un regime teologico, gli elementi del regime positivista. Altrettanto è accaduto, in realtà, nell’ordine morale propriamente detto, d’altra parte intimamente collegato al primo : perché, costituendo una dottrina morale pienamente indipendente dalla politica, e persino posta più in alto di essa, il cattolicesimo ha fornito in modo diretto a tutti gli individui un principio fondamentale per la valutazione sociale degli atti umani, che, nonostante le leggi puramente teologiche che sole potevano permetterne la prima in­ troduzione, doveva tendere, necessariamente, a riallacciarsi sem­ pre di più alla preponderante autorità della semplice ragione umana, a misura che l’uso stesso di tale dottrina faceva penetrare

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gradualmente i veri motivi dei suoi principali precetti. Questo avrebbe dovuto certamente avvenire ben presto, se non tra le masse volgari, almeno tra gli spiriti colti, poiché nulla è sicu­ ramente più suscettibile, per sua natura, d’essere finalmente ap­ prezzato, che le prescrizioni morali attraverso una esperienza sufficiente, così che l’influenza teologica, prima indispensabile a tale scopo, divenne di fatto inutile, una volta compiutasi la suaopera iniziale, ed infine perfino odiosa, astraendo da qualsiasi ripugnanza mentale causata dai gravi colpi, fin da allora accusati con crescente sensibilità, che le principali condizioni dell’esi­ stenza di un tale regime, dovevano dare necessariamente ai più nobili sentimenti della nostra natura, quelli stessi che il cattoli­ cesimo $i sforzava felicemente di far prevalere, come ho già in­ dicato sotto molti aspetti importanti. AI fine di stabilire convenientemente il vero principio gene­ rale della inevitabile decadenza, dapprima intellettuale e quindi sociale, del monoteismo cattolico, bisogna ora riconoscere che il primo germe di questa dissoluzione aveva preceduto perfino lo sviluppo iniziale del cattolicesimo, poiché risaliva direttamente alla grande divisione storica, valutata nel capitolo precedente, dell’insieme dei nostri concetti fondamentali di filosofia natu­ rale e morale, relativi gli uni al mondo inorganico, gli altri al­ l'uomo sociale e morale. Questa separazione importantissima, eflettuata dai filosofi greci poco prima della fondazione del mu­ seodi Alessandria ', nel quale fu palesemente consacrata, ha co­ stituito, come ho già spiegato, la prima condizione logica di tutti i successivi progressi, permettendo il movimento indipendente della filosofia inorganica, allora pervenuta allo stadio metafisico propriamente detto, le cui speculazioni più semplici potevano venire perfezionate più rapidamente, senza nuocere tuttavia al­ l'operazione sociale eseguita simultaneamente dalla filosofìa mo­ rale; la quale, rimasta ancora, per la maggiore complicazione degli argomenti che trattava, allo stadio puramente teologico, si occupava molto meno di una perfezione astratta delle proprie dottrine, e preferiva mettere in atto, per quanto possibile, attra­ verso il sistema monoteista, Le qualità dei concetti teologici perl. l. Il musco di Alessandria venne fondalo nel ni sec. a. C. sotto Tolomeo [j6;-i8j i. C.).

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civilizzare il genere umano. Persino oggi, nonostante i venti se­ coli e più che sono passati, quella memorabile separazione non ha completamente perso la sua efficacia filosofica e sociale, seb­ bene debba ben presto finire nella sua essenza, perché non co­ stituisce, in se stessa, un’operazione abbastanza razionale da so­ pravvivere definitivamente a quella destinazione provvisoria cht ben presto sarà raggiunta ; se, almeno, il grande lavoro che io ho osato intraprendere otterrà il suo scopo principale, conducendo la filosofia naturale a divenire infine morale e politica, per ser­ vire da base intellettuale alla riorganizzazione sociale; cosa che completerebbe di certo il grande piano filosofico abbozzato da Aristotele, in totale opposizione al sistema platonico, come spie­ gherò a suo tempo. Qualunque sia la riuscita finale, ancora pre­ matura, è tuttavia incontestabile che quella divisione, osservata da un punto di vista storico, si manifestò direttamente, sin dalla sua origine, attraverso una rivalità tipica, sempre più pronun­ ciata, e subito passata dalle dottrine agli uomini, tra lo spirito metafisico, così penetrato nel dominio della filosofia naturale, al quale si riallacciavano necessariamente rudimentali nozioni scientifiche, e la cui influenza crescente aveva determinato al­ l’inizio, come si dice nel capitolo precedente, tale separazione, e lo spirito teologico, che, essendo il solo capace di dirigere al­ lora una vera organizzazione, restava l’arbitro supremo del mon­ do morale e sociale: questa rivalità, persino prima della nascita del cattolicesimo, aveva provocato scontri memorabili, nei quali l’ascendente sociale della filosofia morale era spesso riuscito a comprimere i tentativi di progresso intellettuale della filosofia naturale, a determinare la causa prima del lento procedere della scienza, spiegato più sopra. Nessun esempio potrebbe di certo essere più adatto a definire esattamente un tale conflitto fondumentale nel sistema di quell’epoca intellettuale, che quello ten­ tato vanamente da uno spirito eminente e coltivato come sant*Agostino per controbattere i ragionamenti matematici, allora già comuni tra i partigiani della filosofia naturale, degli astro­ nomi di Alessandria sulla sfericità della terra e sulla necessiti dell’esistenza degli antipodi; contro i quali uno dei più illustri fondatori della filosofia cattolica sollevava così ostinatamente le più puerili obiezioni, oggi abbandonate perfino dalle intelligenze più mediocri; si confronti questo caso definitivo con quello che

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ho segnalato nel capitolo precedente, a proposito delle aberra­ zioni astronomiche di Epicuro, e si capirà quanto fosse interiore ctotale la separazione, molto vicina all’odio, tra la filosofia na­ turale e quella morale. Fino a che la penosa e lenta elaborazione del sistema cattolico non ebbe progredito abbastanza, l’impotenza organica, che noi abbiamo riconosciuto essere propria allo spirito metafìsico, non gli permise nonostante il suo sforzo continuo, di lottare con vantaggio contro il dominio inevitabile dello spirito teologico, speculativamente meno avanzato. Ma, sebbene il cat­ tolicesimo abbia onorevolmente tentato in séguito di rendere eterna una chimerica conciliazione tra due filosofìe così poco de­ finite, è evidente che lo spirito metafisico, che, a dire il vero, aveva prima presieduto, come si dice nel cinquantaduesimo ca­ pitolo, alla grande trasformazione dell’idolatria in politeismo, e che, soprattutto, aveva appena guidato il passaggio dal politei­ smo al monoteismo, non poteva annullare la propria influenza modificatrice al momento stesso nel quale otteneva il massimo invigore ed estensione; tuttavia, poiché non vi era più nulla al di lì del monoteismo, a meno di evadere completamente dallo stato teologico, cosa che allora sarebbe stata del tutto impossi­ bile, l’azione della metafisica divenne dunque, ed in séguito sem­ pre di più, essenzialmente distruttiva, tesa a combattere, con la suaanalisi antisociale, all’insaputa, del resto, della maggior parte dei suoi propagatori, le principali condizioni di esistenza del sistema monoteista. Questo inevitabile risultato è stato raggiunto più presto e più sicuramente quando l’organizzazione cattolica èparsa finalmente completata, in quanto essa accelerava ancora di più, secondo le nostre spiegazioni anteriori, il movimento in­ tellettuale nel suo insieme, i cui diversi progressi, persino scien­ tifici, dovevano soprattutto tornare ad onore ed a profitto dello spirito metafisico, che pareva dirigerli, sebbene non potesse es­ serne altro che il semplice organo filosofico, fino a che lo spi­ rito positivo fu finalmente abbastanza definito da questi suc­ cessi graduali per poter combattere direttamente contro l’intero sistema della filosofia primitiva; il che fece da principio, nello studio dei fenomeni più semplici, e poi, poco a poco, attaccando tutti gli altri a causa della loro crescente complicazione, cosa che fu possibile solo in un tempo di molto posteriore a quello che noi consideriamo, come spiegherò più avanti. Era dunque inevi­

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tabile che il cattolicesimo, il quale dalla sua nascita e persino in un certo qual modo prima di essa, aveva di necessità lasciato fuori dal proprio sistema, sebbene sotto una tutela generica, gli slanci intellettuali più avanzati, fosse colpito gradualmente da un antagonismo distruttore, appena, per lo stabilizzarsi al­ meno provvisorio, delle condizioni puramente sociali, quelle in­ tellettuali divennero a loro volta di fatto le più importanti per l’avanzare continuo dell’evoluzione umana, e causa essenziale di una inevitabile decadenza, dalla quale possiamo assicurare san preservato naturalmente, poiché riposa per sua natura, sulla com­ pletezza del movimento spirituale. Sebbene questa inevitabile disgregazione del regime monoteista abbia da principio aumen­ tato l’ascendente della metafisica, una simile rivoluzione nonpo­ teva alla fine giungere che al trionfo inevitabile dello spirito po­ sitivo, secondo la teoria fondamentale descritta alla fine del vo­ lume precedente; poiché le vie della filosofia gli sono state aperte proprio di là, con questa prima vittoria importantissima della filosofia naturale su quella morale. Io ho dimostrato, infatti, in diverse parti di questo trattato che, dal punto di vista scientifico più elevato e, in séguito, anche secondo le più importanti valu­ tazioni storiche, la filosofìa positiva è caratterizzata soprattutto da una tendenza costante a procedere dallo studio generale del mondo esterno a quello deH’uomo, mentre il cammino inverso è tipico della filosofìa teologica (confrontate soprattutto a questo proposito la quarantesima e cinquantunesima lezione); così ogni corrente filosofica che, sviluppatasi dapprima nelle speculazioni inorganiche fosse giunta direttamente a modificare attraverso esse il sistema primitivo delle speculazioni morali e sociali, pre­ parava veramente, per una fatalità ineluttabile, l'ulteriore im­ pero della positività razionale, quali che fossero le vane pretese di dominio indefinito deH’intelligenza umana, concepite allora dagli organi provvisori di un tale progresso. È così che le neces­ sità essenziali dello spirito positivo dovettero coincidere a lungo con gli interessi principali dello spirito metafìsico, nonostante il loro antagonismo radicale, istintivamente contenuto, finché il regime monoteista non venne sconvolto. La ragione generale dell’inevitabile dissoluzione intellettuale del cattolicesimo consiste dunque, in séguito a questa dimostra­ zione, ed in conformità con il nostro primo enunciato, nel fatto

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che, non avendo potuto né dovuto assimilare intimamente il mo­ vimento intellettuale, è stato necessariamente e finalmente su­ perato da esso; e non potè fin d’allora mantenere il suo predomi­ nioche perdendo il carattere progressista, tipico di ogni sistema nel periodo dell’ascesa, per acquisire sempre più il carattere profondamente stazionario, e addirittura eminentemente retro­ grado, che lo distingue in modo così deplorevole al giorno d’og­ gi. Una valutazione superficiale deH’economia spirituale delle società umane ha potuto da prima, in verità, far pensare che questa decadenza intellettuale potesse conciliarsi con un prolun­ gamento indefinito della preponderanza della morale, sulla quale il cattolicesimo doveva credere di vantare diritti speciali; grazie all'eccellenza, generalmente riconosciuta, del proprio sistema in questo campo, i cui precetti saranno sempre rispettati profonda­ mente da tutti i veri filosofi, nonostante la passeggierà seduzione delle nostre aberrazioni anarchiche. Un’analisi approfondita de­ ve ben presto dissolvere una simile illusione, facendo capire, in linea di principio, che l’influenza morale è legata alla superiorità intellettuale, senza la quale non potrebbe esistere stabilmente; poiché evidentemente solo attraverso una trasposizione mentale molto precaria, gli uomini accordano abitualmente la loro fidu­ cia, per più gelosi interessi della loro vita reale, a delle menti di cui non terrebbero nessun conto, dovendole consultare sulle più semplici questioni speculative. La morale universale, della quale il cattolicesimo dovette essere all’inizio l’organo indispen­ sabile, non può costituire per lui una proprietà esclusiva, se esso haormai perduto lo spirito di farla prevalere, nell’economia so­ ciale: ma forma necessariamente un prezioso patrimonio tra­ smesso dai nostri antenati a tutta l’umanità; il suo prestigio ap­ parterrà quindi a coloro che sapranno meglio consolidarlo, com­ pletarlo c applicarlo, quali che siano i loro princìpi intellettuali. Sebbene la ragione umana abbia dovuto prendere in prestito molto dall’astrologia, come dall’alchimia, essa non è certo, per tali acquisizioni, rimasta irrevocabilmente legata alla loro sorte, appena ha potuto ricondurre a basi migliori quegli importanti risultati: lo stesso avverrà per tutti i progressi morali o politici, realizzati dapprima dalla filosofia teologica, che non potrebbero perirecon essa; a condizione che ci si occupi di farli incorporare

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da qualche altro organismo spirituale, sotto la direzione generale della filosofìa positiva come spiegherò più avanti. Considerata temporaneamente, la decadenza inevitabile del regime medioevale viene messa in evidenza da un principio tal­ mente chiaro, che non occorrono qui spiegazioni estese come quelle che ho terminato di esporre sull’ordine spirituale, ad ec­ cezione dello sviluppo particolare che, a questo proposito, pre­ senterà il capitolo successivo. Sotto qualsiasi aspetto si esamini, in effetti, il sistema feudale, di cui sono state precedentemente stabilite le tre caratteristiche generali, con la sua natura essen­ zialmente transitoria, appare subito nel modo meno equivoco. Quanto al suo scopo principale, l’organizzazione difensiva delle società moderne, esso avrebbe potuto mantenere la propria im­ portanza solo fino a quando le invasioni fossero state sufficien­ temente contenute, attraverso il passaggio finale dei barbari alla vita agricola e sedentaria nelle loro regioni; passaggio sanzionato e consolidato, nei casi più favorevoli, dalla loro graduale con­ versione al cattolicesimo, che li immetteva sempre più nel siste­ ma universale. Via via che questo grande risultato veniva rag­ giunto, l’attività militare perdeva necessariamente, in mancanza di una larga applicazione sociale, l’importanza necessaria che aveva fino ad allora mantenuto, prima durante la conquista ro­ mana, e, in séguito, con il sistema difensivo feudale, riguardo alla guerra, diventata di giorno in giorno più eccezionale, e tendendo infine a sparire del tutto almeno per un'élite dell’uma­ nità, per la quale la vita industriale, in principio così secondaria, stava raggiungendo contemporaneamente un vigore ed un’esten­ sione sempre crescente, senza essere però divenuta ancora politi­ camente dominante, come spiegherò presto. La destinazione pu­ ramente provvisoria di ogni sistema militare era dovuto essere molto meno notevole sotto il precedente regime, sebbene comun­ que incontestabile, a causa della necessaria lentezza che era stata indispensabile al sorgere graduale del dominio romano: un si­ stema solamente difensivo non avrebbe potuto evidentemente ri­ chiedere un così lungo periodo di tempo. Questo carattere tran­ sitorio è ancora più incontestabile a proposito della disgre­ gazione generale del potere temporale in sovranità parziali, che abbiamo considerato come la seconda particolarità essenziale del feudalesimo, e che non poteva in nessun modo non essere

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ben presto sostituito da una nuova centralizzazione, verso la quale tutto si sarebbe mosso, come lo si capirà dal capitolo suc­ cessivo, appena gli scopi di quel regime fossero stati raggiunti. La stessa cosa accade, infine, per l’ultimo tratto caratteristico, la trasformazione della schiavitù in servitù, poiché la schiavitù è per natura uno stato di cose che può durare solo in condizioni favorevoli, mentre la servitù propriamente detta, non poteva es­ sere, nel sistema generale della civilizzazione moderna, se non imasituazione particolare, subito modificata dal nascere contem­ poraneo di comunità industriali, e che non aveva altro scopo so­ cialese non quello di guidare gradualmente i lavoratori alla com­ pleta emancipazione individuale. Per tutte queste ragioni si può asserire senza esagerazioni, che meglio il feudalesimo adempiva al suo ufficio, importantissimo, anche se temporaneo, per l’in­ siemedell’evoluzione umana, e più ingigantiva la sua prossima di­ sgregazione, come abbiamo già visto per il cattolicesimo; tutta­ via, le circostanze esterne, niente affatto accidentali, prolunga­ rono in modo molto ineguale, nei diversi paesi europei, la ne­ cessaria durata di questo sistema; la cui forza politica resistette meglio nelle varie terre di frontiera sociale della civiltà cattolico­ feudale, e cioè in Polonia, Ungheria, eccetera, per quanto ri­ guarda le invasioni puramente tartare o scandinave, e persino, sotto alcuni aspetti, in Spagna c nelle grandi isole del Mediter­ raneo, in Sicilia, soprattutto, con le invasioni arabe; distinzione che è molto utile fare qui, alla sua origine, e che troverà, prose­ guendo la nostra valutazione storica, un’applicazione interessante, del resto quasi sempre implicita, seguendo le condizioni logiche del nostro lavoro. La spiegazione precedente, per quanto som­ maria sia stata, si completa naturalmente indicando, come per l'ordine spirituale, la classe particolarmente destinata a diri­ gere in modo immediato il decadimento ininterrotto del feu­ dalesimo, che non doveva né poteva compiersi, all’inizio, at­ traverso l’intervento politico della classe industriale, sebbene il suoavvento sociale costituisse proprio l’ultimo stadio di quel pro­ cesso, Allorigine questa classe era probabilmente troppo subal­ terna e troppo preoccupata del proprio sforzo interno, per po­ tersi interessare direttamente della grande lotta temporale, che fu quindi condotta per forza di cose dagli uomini di legge, la cui influenza politica era stata aumentata sempre più e sponta­

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neamente dal sistema feudale in séguito al decrescere d:lle atti­ vità militari, come spiegherò nel capitolo seguente. Essi sotto effettivamente rimasti fino ad ora gli strumenti più immediati dell’azione temporale, sebbene lo scopo più importante di questa abbia essenzialmente cambiato natura, da quando la sua missio­ ne provvisoria è stata in parte conclusa, in modo da mettere or­ mai pienamente in evidenza, ed in modo progressivo, l’incapa­ cità organica che caratterizza gli uomini di legge come i filosofi metafisici, ugualmente costretti, in politica ed in filosofia, ad ope­ rare semplici modifiche critiche, senza poter mai creare qual­ cosa di nuovo. Concludendo infine questa lunga e difficile valutazione fon­ damentale del regime monoteista proprio del medioevo, non cre­ do di dovermi astenere dal far notare, a questo punto, una im­ portante riflessione filosofica, che si potrà sviluppare in séguito, e nata spontaneamente dall'insieme del nostro esame storico del sistema cattolico, che era alla base di questo ammirevole organi­ smo. Se si considera con attenzione la durata totale del cattolice­ simo, si è infatti subito colpiti dalla sproporzione, veramente anomala, che presenta il tempo eccessivamente lungo della sua lenta elaborazione politica, paragonato alla breve vita dell'intera sua potenza sociale, immediatamente seguita da una rapida ed inevitabile decadenza; poiché un organismo la cui crescita si è protratta per dieci secoli, in realtà non si è mantenuto alla testa del sistema europeo, che per due secoli circa, da Gregorio VII, che lo completò, a Bonifacio V ili, sotto il quale il declino politi­ co era già decisamente cominciato, mentre i cinque secoli seguenti mostrano una cronica agonia, sempre meno attiva; cosa che deve di certo apparire del tutto in opposizione sia con le leggi generali della longevità ordinaria degli organismi sociali, nei quali la du­ rata della vita, come negli organismi umani, deve essere propor­ zionata a quella dello sviluppo; sia all’ammirevole superiorità in­ trinseca che distingueva una tale economia, della quale ho messo in evidenza sotto tanti aspetti gli importanti attributi. La solaso­ luzione possibile di questo grande problema storico, che fino ad ora non è mai stato posto filosoficamente, consiste nel credere, in senso radicalmente inverso alle nozioni abituali, che ciò che avreb be dovuto necessariamente perire in tal modo, nel cattolicesimo, era la dottrina c non l’organizzazione, la quale è stata temporanea­

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mente sconvolta solo in séguito alla sua inevitabile ed elementare aderenza alla filosofìa teologica, destinata a soccombere gradual­ mente davanti all’irresistibile emancipazione della ragione uma­ na; mentre lo stesso sistema convenientemente ricostruito su basi intellettuali più estese e nello stesso tempo più stabili, dovrà alla fine presiedere all’indispensabile riorganizzazione delle società moderne, a parte le differenze essenziali che naturalmente cor­ rispondono all’estrema diversità delle dottrine fondamentali; a meno di supporre, cosa di certo contraddittoria nel complesso di leggi della nostra natura, che gli sforzi immensi di tanti grandi uomini, secondati dalla perseveranza e dalla sollecitudine delle nazioni civilizzate nella creazione di questo capolavoro politico della saggezza umana, debbano poi andare perduti per la parte migliore dell’umanità, ad eccezione di risultati, importantissimi maprovvisori, immediatamente legati ad esso. Tale spiegazione generale, già chiaramente motivata dalla serie di considerazioni fatte in questo capitolo, verrà sempre più confermata dal resto del nostro lavoro storico, del quale essa costituirà naturalmente la più importante conclusione politica.

LEZIONE LV Valutazione generale dello stato metafisico delle società moderne: epoca critica o di transizione rivoluzionaria. Crescente disorganiz­ zazione, all’inizio spontanea, quindi sempre più sistematica, del complesso del regime teologico e militare.

Paragonando attentamente nel loro insieme i due capitoli pre­ cedenti, il lettore attento avrà potuto ormai verificare spontanea­ mente, e nel modo più preciso, che, in maniera conforme alla no­ stra teoria fondamentale dell’evoluzione umana, il regime poli­ teistadell’antichità aveva davvero costituito, sotto tutti gli aspetti, lafase più completa e più durevole del sistema teologico c mi­ litare, considerato in tutta la sua durata, mentre il sistema mo­ noteista del medioevo, sebbene introdotto necessariamente dallo sviluppo stesso della situazione precedente, doveva naturalmente caratterizzare l’ultimo periodo essenziale, e la forma meno stabi­ le, di quel regime di cui era destinato a preparare gradualmente l'inevitabile decadenza e la sostituzione finale. Nonostante l’im­ menso ascendente che lo spirito teologico sembra da princi­ pio conservare nell’organizzazione cattolica, quando la si con­ sideri isolatamente, noi abbiamo dimostrato con piena evidenza, che esso aveva in effetti subito, sotto tutti i riguardi, una di­ minuzione enorme ed irreparabile, non solo in rapporto alla propria innegabile superiorità tra le pure teocrazie primitive, ma persino alla sua stessa abituale supremazia nei confronti del politeismo greco e romano. L’ammirevole tendenza del cattolicesimo a sviluppare, per quanto possibile, le proprietà civilizzatrici del monoteismo, non poteva minimamente inope-

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dire tale inevitabile decadere, nello stesso tempo mentale e so­ ciale, fin da allora sanzionato di fatto da un’involontaria e per­ sistente disposizione ad allargare progressivamente il dominio, una volta tanto ristretto, della ragione umana, liberando sempre di più dalla tutela teologica le nostre concezioni e le nostre abi­ tudini, da principio sottomesse in modo uniforme, fin nei loro minimi dettagli, al suo potere quasi esclusivo. Nello stesso modo abbiamo riconosciuto, per ciò che riguarda la questione tempo­ rale, che, per quanto potente possa sembrare l’attività militar: del medioevo, paragonandola a quella di epoche successive, nel passaggio dallo stato romano a quello feudale, lo spirito guer­ riero aveva dovuto subire un cambiamento fondamentale nella sua influenza politica e morale il cui primitivo potere sarebbe ormai diminuito rapidamente, sia a causa dei continui ostacoli posti necessariamente dalla natura generale del sistema monotei­ sta, sia perché l’importanza dello scopo difensivo, l’unico che gli restava, appariva temporanea e gradualmente decrescente. È dun­ que solamente nell'antichità che bisogna porre la reale durata del pieno ascendente o del libero sforzo della filosofìa puramente teologica, e dell’attività francamente militare, allo sviluppo delle quali tutto allora naturalmente concorreva: ambedue, infatti, ricevettero durante tutto il medioevo, gravi attacchi che sareb­ bero stati seguiti ben presto da un’inevitabile decadenza. Noi abbiamo perfino constatato, nel capitolo precedente, che la va­ lutazione totale più esatta del regime monoteista, proprio a que­ sta fase transitoria dell’evoluzione sociale, consiste dopo tuttonel concepirlo come il risultato di un primo, grande tentativo del­ l’umanità di costruire direttamente e generalmente un sistema razionale e pacifico. Sebbene tale tentativo troppo prematuro ab­ bia essenzialmente fallito il suo scopo principale, sia a causa di una situazione ancora molto sfavorevole, sia, soprattutto, in séguito alla totale insufficienza della sola filosofia che avrebbe potuto condurre allora una simile operazione, esso ha tuttavia guidato felicemente la parte migliore dell’umanità nella sua gran­ de trasformazione finale, sia affrettando la disgregazione natu­ rale del sistema teologico e militare, sia assecondando il sorgere spontaneo dei principali elementi di un nuovo sistema; in modo da permettere, infine, l’immediata e riuscita ripresa dellopen immensa della riorganizzazione fondamentale, quando questi

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duepreparativi fossero stati completati in modo conveniente, co­ me possiamo chiaramente constatare che comincia a verificarsi oggi, tra i popoli più responsabili. Partendo dal punto veramente notevole al quale è giunta or­ mai la nostra valutazione storica, lo studio generale di una tale trasformazione deve ora costituire l'oggetto essenziale di ogni ulteriore analisi, al fine di giudicare con esattezza, sotto tutti e due gli aspetti, le diverse ed inevitabili conseguenze degli im­ pulsi scaturiti naturalmente, durante il medioevo, dall’insieme del regime cattolico c feudale, e diretti alla rigenerazione totale delle civiltà umane. Questa parte finale della nostra grande di­ mostrazione, mi sembra che esiga assolutamente, per sua natura, la divisione razionale di una simile esposizione in due ordini diversi, chiaramente distinti per chiunque abbia colto con esat tczza lo spirito del nostro lavoro precedente, sebbene di neces­ sità coesistenti c perfino profondamente solidali; uno, essenzial­ mente critico o negativo, destinato a descrivere la graduale di­ struzione del sistema teologico e militare, sotto il crescente in­ flusso dello spirito metafisico; l’altro, nettamente organico, e re­ lativo all’evoluzione progressiva dei diversi elementi principali del sistema positivo. La lezione attuale sarà dedicata particolar­ mente alla valutazione del primo, e quella seguente al secondo. Nonostante l’intima connessione evidente di questi due moti si­ multanei di distruzione e ricostruzione sociali, si eviterebbe dif­ ficilmente una confusione quasi inestricabile, e molto pregiudi­ zievole all’analisi definitiva della situazione attuale, insistendo a porre avanti due ordini di considerazioni ormai abbastanza radicalmente diversi, tanto che io non esito, dopo scrupolosa ri­ flessione, a giudicare la loro divisione metodica come un arti­ ficio scientifico veramente indispensabile al successo finale del­ l'intero corso della nostra operazione storica; infatti questi due tipi di sviluppo, il legame necessario dei quali non può affatto alterarne la naturale indipendenza, non furono, in realtà, né abitualmente concepiti con lo stesso spirito e per lo stesso scopo, nécomunemente diretti dagli stessi organi. Per ciò che riguarda, invece, le diverse fasi anteriori della storia dell’umanità, non sa­ rebbe stato, al contrario, affatto necessario o conveniente stu­ diare cosi separatamente i due movimenti elementari, opposti, ma sempre convergenti, dai quali l’organismo sociale, come

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quello individuale, è costantemente agitato; poiché Ì vari cam­ biamenti, che si susseguirono in quei tempi, non potevano es­ sere tanto profondi da esigere o comportare l’uso di un simile accorgimento, il cui impiego sarebbe di conseguenza finito nel dissimulare la vera origine degli eventi. Le rivoluzioni precedenti, senza fare eccezione nemmeno per la più importante di tutte, il passaggio dal sistema politeista a quello monoteista, non erano state, in fondo, che modifiche più o meno gravi del sistema teo­ logico fondamentale, la tipica natura del quale restava essen­ zialmente immutata; il movimento crìtico ed il movimento or­ ganico, sebbene veramente diversi, non potevano dunque essere, d'ordinario, abbastanza distinti ed indipendenti da divenire ra­ zionalmente separabili, se non spingendo l’analisi sociologica fino ad un livello di precisione che sarebbe ora fuor di luogo, se­ guendo le prescrizioni logiche del quarto volume. Nel passaggio graduale di ciascuna forma teologica alla successiva, lo spirito umano poteva non solamente combinare con facilità la distru­ zione dell’una con l’elaborazione dell’altra, ma doveva persino esservi spinto naturalmente, senza considerare le tendenze indi­ viduali e particolari verso l’una o l’altra parte di questa opera­ zione filosofica. Ma, al contrario, lo svincolarsi del tutto dal si­ stema teologico e il passare al sistema decisamente positivo, si sarebbe svolto molto diversamente, perché si tratta della più pro­ fonda rivoluzione, prima di tutto mentale ed infine sociale, che la nostra specie possa subire in tutta la sua esistenza. Per la na­ tura stessa di questa grande transizione, il movimento critico, divenuto, attraverso tanti secoli, molto pronunciato, vi si distin­ gue talmente dal movimento organico, per molto tempo appena percettibile, che nonostante il loro legame fondamentale ciascu­ no di essi può essere valutato solo con uno studio particolare e diretto. La vastità e la difficoltà di una simile trasformazione con­ dussero allora gradualmente e per la prima volta lo spirito uma­ no a dirigere il suo sforzo rivoluzionario a seguire una dottrina assoluta di negazione sistematica, il cui innegabile ascendente tende a far completamente dimenticare il vero risultato finale di tutta la crisi, che sembra così consistere nell’applicazione com­ pleta e nel predominio continuo di questa dottrina necessaria­ mente temporanea, cosa che la maggior parte dei filosofi mo­ derni ha pensato tanto erratamente. Sarebbe dunque impossibile

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evitare che la semplice nozione del movimento organico venisse completamente assorbita dal giudizio, fin d’ora molto più note­ vole e preciso del movimento critico, solo se, nella valutazione razionale degli ultimi cinque secoli della nostra civiltà, si stabi­ lisse di fare, tra due studi tanto diversi, una divisione metodica. Ciò che rende pienamente facoltativo l’impiego razionale di un simile artificio sociologico, è la natura altamente astratta della nostra elaborazione storica, come risulta dalle spiegazioni gene­ rali all’inizio di questo volume; perché in un lavoro storico che avesse.veramente un carattere concreto, una divisione ideale tra fenomeni contemporanei c interdipendenti, non sarebbe legit­ tima; mentre, al contrario, è pienamente compatibile con un’a­ nalisi astratta dell’evoluzione sociale, se la si riconosce utile a chiarire l'argomento, cosa che, nel caso attuale, mi pare assolu­ tamente incontestabile, e ci si limita perciò ad estendere allo stu­ diodella vita collettiva un diritto scientifico già da molto tempo accolto nello studio della vita individuale. Un ritorno sufficiente all’esatta valutazione logica della differenza fondamentale tra la storia astratta e la storia concreta condurrà naturalmente il let­ tore a liberarsi senza difficoltà daH’incertczza che potrebbe sus­ sistere a tale proposito. Del resto, lo spirito filosofico di questo trattato è senza dub­ bioormai abbastanza evidente, perché l’aver sostenuto l’impiego di questo artificio sociologico non porti mai il lettore a miscono­ scere la necessaria interdipendenza di quei due movimenti si­ multanei, la cui evidente connessione, eretta a principio dall’in­ sieme dei concetti scientifici e logici del quarto volume, è stata, di fatto, già da prima chiarita dalle nostre spiegazioni storiche, esoprattutto, risulta naturalmente dalla lezione precedente, che ha infine mostrato il regime monoteista del medioevo come la sorgente diretta di entrambi i movimenti. Tuttavia, allo scopo di prevenire, per quanto è possibile, le involontarie deviazioni alle quali potrebbe indurre temporaneamente, a questo proposito, un talesistema di valutazione, non è inutile ricordare qui, prima di tuttoe in generale, l’obbligo fondamentale di avere sempre pre­ sente l’intima correlazione effettiva di questi due ordini di fe­ nomeni sociali, sempre procedendo, per maggior chiarezza, al­ l'analisi separata di ciascuno di essi. Ora è certo evidente che questi due movimenti eterogenei, nonostante la loro assoluta

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spontaneità, hanno provocato costantemente mutue reazioni mol­ to violente per rafforzarsi ed accelerare il reciproco corso. La cre­ scente disgregazione, spirituale o temporale dell’antico sistema sociale non poteva seguitare a compiersi senza facilitare nello stesso tempo lo sforzo graduale degli elementi che le corrispon­ devano nel nuovo sistema, eliminando gli ostacoli principali che incontrava; in egual modo, in senso inverso, lo sviluppo pro­ gressivo dei nuovi elementi sociali doveva, non meno natural­ mente, garantire un importante accrescimento di energia all’a­ zione rivoluzionaria, e soprattutto rendere i suoi risultati più chiaramente irrevocabili. Questa doppia relazione costante non è incontestabile solamente da quando l’antagonismo dei due si­ stemi ha cominciato ad essere tanto tipico e diretto; essa era, in fondo, altrettanto reale, anche se più difficilmente valutabile, mentre la lotta si svolgeva in modo indiretto e molto vagamente precisato, sotto la guida immediata ed esclusiva dello spirito me­ tafisico propriamente detto. Nessuno al giorno d’oggi potrebbe negare la grande influenza che ebbe successivamente la disor­ ganizzazione del regime teologico e militare dopo il medioevo, nel secondare lo sviluppo scientifico e industriale della civiltà moderna, la cui nascita spontanea è perfino stata spesso mal giu­ dicata, essendo stata attribuita a questa necessaria considerazione una esagerata ed irrazionale importanza. Ma la reazione inversa, per quanto molto meno nota fino ad ora, non è, in effetti, meno provata e importante. Il séguito di questo lavoro fornirà ben pre­ sto al lettore innumerevoli occasioni importantissime perché senta naturalmente che lo sviluppo dello spirito positivo, persino prima d’intervenire esplicitamente, poté solo dare una vera con­ sistenza all’ascendente graduale dello spirito metafisico sullo spi­ rito teologico; senza tale influenza, questa lotta continua, invece di tendere ad un vero rinnovarsi della filosofia, non avrebbe po­ tuto condurre che a vane ed interminabili discussioni, poi­ ché, non potendo lo spirito metafisico, per sua natura, comple­ tare la successiva distruzione della filosofìa teologica, se non attraverso la propria tipica attitudine a distruggere le conseguen­ ze in nome dei princìpi, esso dovette necessariamente ricono­ scere sempre le basi intellettuali, almeno le più generali, di que­ sta stessa filosofia, della quale stava minando in modo essenziale l’efficacia sociale, la cui decadenza mentale non sarebbe così sem­

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brata mai completa e irrevocabile. Ancora oggi è perché in generale l'influenza filosofica dello spirito positivo non è stata ben valutata, che si conservano troppo spesso illusioni tanto disastrose sull’indefmita perpetuità d’un regime teologico con­ venientemente modificato, come avrò modo di spiegare ulte­ riormente. È anche possibile nell’ordine temporale, fare osser­ vazioni essenzialmente equivalenti e di certo non meno chiare, sull'azione importantissima che lo slancio crescente dello spirito industriale ha compiuto per rendere assolutamente irrevocabile, nell era moderna, la naturale diminuzione dello spirito militare, sebbene questo antagonismo non sia stato finora quasi mai di­ retto: in mancanza di una base generale, la rivalità politica tra gli uomini di legge ed i militari si sarebbe potuta prolungare in­ definitamente, senza arrivare mai ad un vero cambiamento di sistema; è il dominio universale della vita industriale che, solo, ii ormai sentire istintivamente a tutti gli uomini di buon senso l'incompatibilità radicale di qualsiasi regime militare con la na­ tura tipica della civilizzazione attuale. Queste sommarie indicazioni sono già sufficienti per dare conveniente risalto, in generale, al legame permanente e neces­ sario dei due movimenti, eterogenei ma convergenti, l'uno cri­ tico, l’altro organico, che dobbiamo ormai analizzare separatamente, prevenendo così il solo grave inconveniente filosofico di questa indispensabile divisione metodologica; cioè la tendenza a dissimulare l’intima connessione di queste due serie di feno­ meni sociali. Possiamo dunque intraprendere l’esame che costi­ tuisce l'oggetto di questo capitolo, procedendo da principio alla valutazione razionale della crescente disorganizzazione del si­ stema teologico e militare durante gli ultimi cinque secoli. Sebbene il carattere essenzialmente negativo di questa grande operazione rivoluzionaria debba naturalmente, ispirare, per quel periodo, una specie di ripugnanza filosofica, tuttavia lo spirito generale della mia teoria fondamentale dell’evoluzione umana, eparticolarmente l’insieme delle spiegazioni che la riguardano e che si trovano nel capitolo precedente, dovrebbero già aver dis­ sipato naturalmente quanto vi è di antiscientifico in una simile disposizione, lasciando intuire che, nonostante le profonde aber­ razioni ed i deplorevoli disordini che la distinguono, questa fase sociale fa tuttavia, a suo modo, da intermediario indispensabile

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ed inevitabile nella lenta e penosa marcia dell’evolversi umano. Considerato allo stadio cattolico e feudale, il sistema teologico c militare era già, in fondo, come abbiamo visto, volto ad una im­ minente decadenza, senza che nulla potesse salvarlo da una pros­ sima e rapida distruzione radicale; ora, d’altro canto, l’evoluzione naturale e diretta dei nuovi elementi sociali cominciava appena allora a prendere una forma definita senza però che la loro fon­ damentale tendenza politica venisse sospettata, fino al momento in cui una lunga ed ulteriore elaborazione avrebbe gradualmente rivelato la capacità che era in essi di fornire basi solide ad una vera riorganizzazione, capacità tanto mal valutata anche al gior­ no d’oggi, dalle migliori intelligenze. Sarebbe dunque stato in contraddizione con le leggi naturali del movimento sociale, se il passaggio da un sistema all’altro fosse avvenuto attraverso una sostituzione immediata, evitando ogni discontinuità organica, anche se tutti i poteri umani avessero generosamente acconsen­ tito al chimerico sacrificio delle loro attitudini più naturali e dei loro interessi più legittimi. Cosi le società moderne non poterono evitare in nessun modo di trovarsi, durante molti secoli ed in maniera sempre più evidente, in una situazione veramente ec­ cezionale, ma di necessità transitoria, nella quale il progresso politico più importante era, per un bisogno sempre crescente, essenzialmente negativo; mentre l’ordine pubblico veniva man­ tenuto attraverso una resistenza sempre più retrograda: due ca­ ratteristiche al giorno d’oggi molto evidenti. Quanto all’inevita­ bile ruolo che il movimento disgregatore avrebbe dovuto rico­ prire durante tutta l’evoluzione delle società moderne, l’ho già indicato, spiegando, fin dall’inizio del volume precedente, gli scopi essenziali della dottrina rivoluzionaria, che è infine di­ venuta l’organo principale di questa serie di operazioni. Oltre alla sua potente influenza, di cui si è già parlato, nel secondare lo slancio naturale dei nuovi elementi sociali, attraverso la sop­ pressione degli antichi ostacoli, la sua efficacia politica, e persino filosofica, è consistita soprattutto nel rendere non solo possibile, ma anche inevitabile, un vero cambiamento di sistema; sia mo­ strando sempre più la totale insufficienza della vecchia organiz­ zazione, sia dissipando gradualmente le inevitabili difficoltà che impediscono naturalmente alla nostra debole intelligenza per­ fino il solo concetto di una vera rigenerazione, come ho spie-

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gato nel quarantaseiesimo capitolo. Non c’è dubbio che, senza lasalutare spinta di questa energia critica, l’umanità languirebbe ancora sotto quel regime provvisorio, il quale, dopo essere stato indispensabile alla sua infanzia, cercò di prolungare questa in­ definitamente, conservando il proprio potere, nonostante che or­ nai i suoi fini principali fossero stati raggiunti. Si deve anche riconoscere che, per compiere fino in fondo la sua opera, il mo­ vimento critico aveva bisogno di essere spinto, soprattutto intel­ lettualmente, fino al suo limite naturale; perché, senza una com­ pleta abolizione dei vari pregiudizi, religiosi o politici, della vec­ chia organizzazione, la nostra apatia sociale e mentale si sarebbe limitata a cercare una soluzione facile ma illusoria, accontentan­ dosi d’imporre al primitivo sistema delle vane modifiche inca­ paci di offrire una sufficiente e durevole soddisfazione ai nuovi bisogni dell'umanità. Sebbene una simile emancipazione non possa costituire, senza dubbio, che una condizione puramente negativa, non si può tuttavia fare a meno di considerarla, anche il giorno d’oggi, come un preambolo rigorosamente necessario aqualsiasi onesta speculazione filosofica a proposito di una vera riorganizzazione sociale, come avrò ben presto modo di mo­ strare. Sarebbe dunque superfluo insistere ancora per dissipare, aquesto proposito, la naturale ripugnanza che ispira, in tutti i casi, uno spettacolo di distruzione; ognuno può fin d’ora sentire abbastanza bene l’importanza capitale, anche se transitoria, di questogrande movimento critico, un’esatta valutazione del quale ciriallaccia, d’altra parte, in maniera così intima e diretta ad uno studio generale della situazione in cui si trova la parte più avan­ zata dell’umanità. Questa disorganizzazione crescente è bene esaminarla con esattezza a partire da un periodo anteriore a quello comunemente scelto dai migliori filosofi, i quali, a causa di un’analisi errata nonfanno quasi mai risalire una tale ricerca storica più indietro del xvi secolo. Il suo punto di partenza, che è necessario qui in­ dicare al fine di prevenire, per quanto possibile, speculazioni vaghe ed incerte, è facilmente situabile seguendo la teoria fon­ damentale del capitolo precedente sugli scopi principali del si­ stemamonoteista, considerato come il fatto che doveva costituire, per sua natura, l’ultima fase essenziale del regime teologico e militare. È facile riconoscere, infatti, che, dalla fine del secolo

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xui, la costituzione cattolica e feudale aveva, secondo le sue reali capacità e sotto tutti gli aspetti più importanti, portato a termine abbastanza bene il suo compito indispensabile ma passeggierò nelPinsiemc dell’evoluzione umana; e che, nello stesso tempo, le condizioni necessarie per la sua esistenza politica erano già state alterate in modo grave ed irreparabile, preannunciando chiaramente un imminente disastro; cosa che convince a ripor­ tare al principio del xiv secolo la vera origine storica di questo immenso lavoro rivoluzionario, al quale tutte le classi della so­ cietà hanno fin da allora costantemente partecipato, ciascuna a suo modo. Per ciò che riguarda l’ordine spirituale, il celebre pontificato di Bonifacio Vili caratterizza perfettamente il pe­ riodo inevitabile nel quale il potere cattolico, dopo avere nobil­ mente compiuto, in relazione ai tempi e ai mezzi che aveva, la sua grande missione sociale con lo stabilire per la prima volta politicamente una morale universale, come ho già detto, fu por­ tato istintivamente ad oltrepassare con grave errore i propri li­ miti, tentando di costituire un chimerico ed assoluto dominio per un interesse isolato, in un modo che sollevò di necessità la gene­ rale resistenza, giusta quanto temibile. Mentre, d’altra parte, ave­ va già cominciato a mostrare largamente la propria totale incapa­ cità a dirigere in realtà un movimento intellettuale, la cui im­ portanza andava sempre aumentando nel sistema generale della civiltà moderna. L ’imminente decadenza naturale del cattolice­ simo era anche annunciata fin dall’inizio del xiv secolo, da gravi sintomi precursori, come un rilassamento quasi generale del Yero spirito sacerdotale ed una intensità crescente delle tendenze ere­ tiche. Questi due gravi indizi di disgregazione interiore furono combattuti in maniera efficace, in principio, dalla memorabile istituzione degli ordini francescani e domenicani, tanto saggia­ mente organizzati, fin da un secolo prima, a tale scopo, e che bisogna considerare, infatti, come il più potente mezzo di rifor­ ma e di conservazione compatibile con la natura di quel sistema; ma la loro forza preservatrice doveva ben presto esaurirsi, e la loro necessità, unanimamente riconosciuta, non poteva infine che far risaltare ancora di più la vicina ed inevitabile decadenza di un regime, per il quale il loro aiuto era stato vano. Nello stesso tempo, i mezzi violenti introdotti in quel periodo su grande scala, per estirpare le eresie costituivano di fatto uno dei segni

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più sicuri di quella fatalità insormontabile; e poiché nessun do­ minio spirituale può evidentemente riposare, in ultima analisi, altro che nel consenso volontario delle menti, qualsiasi notevole ricorso spontaneo alla forza materiale deve essere considerato come l’indizio più certo di una decadenza vicina e già sentita. Da tutti questi diversi motivi è dunque facile dedurre che il sistema cattolico cominciò ad essere scosso in modo definitivo durante il xivsecolo, quando fu colpito soprattutto nei suoi aspetti essenziali. Nello stesso modo nell’ordine temporale, anche la costituzio­ ne feudale cominciò allora a decadere naturalmente, in modo graduale ma inarrestabile, avendo ormai raggiunto i suoi più im­ portanti scopi militari, che sono stati descritti nel capitolo prece­ dente. Poiché l’ammirevole sistema difensivo che distingue Pattivita guerriera del medioevo aveva comportato successivamente due serie importantissime di sforzi essenziali per potreggere con­ venientemente il primo nascere della civiltà moderna; dapprima contro le invasioni troppo prolungate dei selvaggi politeisti del nord, e poi contro l’imminente invasione del monoteismo mu­ sulmano. Per quanto grandi abbiano potuto essere gli ostacoli che presentava la prima operazione, nella quale il più grande uomo del medioevo trovò un così nobile modo di impiegare la propria energia infaticabile, la seconda lotta doveva essere, per sua natura, molto più difficile e più lenta; poiché il cattolicesimo, che era la principale forza motrice universale di quell’epoca memorabile forniva, nel primo caso, un mezzo efficacissimo per rafforzare ì successi militari, attraverso la possibilità di convertire le nazioni politeiste; mentre, al contrario, la stessa forza fondamentale si opponeva, nel secondo caso, a qualsiasi riconciliazione finale a causa dell’incompatibilità radicale che esisteva tra i due tipi di monoteismo, i quali aspiravano similmente c di necessità, ad un dominio universale, seppure con caratteri c mezzi essenzialmente differenti. Le crociate, a parte i loro molti e importanti risultati secondari o indiretti — che sono stati troppo particolarmente va­ lutati e persino indipendentemente dalla grande influenza di­ retta che ebbero allora nello stringere meglio i legami dei diversi popoli europei, affidando loro un’attività collettiva abbastanza prolungata — costituivano soprattutto, per loro natura, l’unico mezzo decisivo per salvare l’evoluzione occidentale dal terribile proselitismo musulmano, da allora ricacciato praticamente in

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Oriente, dove la sua azione avrebbe veramente ottenuto progres­ sivi risultati. Ma un simile procedimento non poteva evidentemente venir applicato con un successo duraturo se non dopo che fossero completamente cessate le migrazioni settentrionali, in séguito ad una conveniente combinazione di energica resistenza e sagge concessioni; ecco perché la principale difesa del cattoli­ cesimo contro l’islamismo divenne lo scopo preciso e preponde­ rante dell’attività militare durante i due secoli di piena maturità del sistema politico medioevale. Tuttavia, nonostante le inquietu­ dini, gravi ma passeggiere, che l’estendersi in Occidente delle armi musulmane suscitò ulteriormente, fino al diciassettesimo secolo, è chiaro che quella grande operazione difensiva era già in sostanza conclusa alla fine del secolo xm, e se tendeva a con­ tinuare abusivamente ciò avveniva solo per il cieco impulso delle abitudini contratte prima; a parte naturalmente l’azione regolare, per tanto tempo così utile, di un’ammirevole istituzione spe­ ciale, fortunatamente consacrata solo a consolidare di continuo quel grande risultato, per mantenere il quale non era più neces­ sario ormai l’intervento permanente della massa delle popola­ zioni cristiane. L ’organizzazione feudale, dunque, a quell’epoca aveva già adempiuto al suo compito più importante relativo al­ l’evoluzione generale delle società moderne; in séguito a ciò, lo spirito militare che la caratterizzava, privato gradualmente del suo grande fine di protezione e conservazione, tendeva a divenire sempre più profondamente uno spirito perturbatore, soprattutto a misura che il papato perdeva la sua autorità europea, come mo­ strerò più avanti. È così che la decadenza temporale del regime del medioevo, come anche quella spirituale, ha dovuto necessa­ riamente mostrare, per motivi della stessa natura, verso il prin­ cipio del xiv secolo, un chiaro carattere di irrevocabilità, che il suo corso naturale non aveva potuto manifestare fino a che era rimasta a quel regime qualche funzione indispensabile da adem­ piere nel sistema della nostra organizzazione. La sua energia militare ha, senza dubbio, reso per molto tempo ancora im­ portanti anche se parziali servigi, per garantire la nazionalità dei principali popoli europei; ma è importante notare che questi vari servigi erano più che relativi a paragone dei disordini che Io stesso prolungarsi smisurato di una simile attività suscitava dovunque e sempre di più, e che prima venivano contenuti cs-

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scnzialmente dalla maggiore importanza di un più nobile fine comune. Precisando così il reale punto di partenza del grande movimento di disgregazione del quale stiamo iniziando la valu­ tazione filosofica, sia dal punto di vista spirituale, sia da quello temporale, si vede come la disorganizzazione continua della co­ stituzione cattolica e feudale, ultima fase generale del sistema teologico e militare, divenga sensibile all’epoca stessa nella quale, dopoche la sua missione fondamentale era stata compiuta, il suo ascendente politico tendeva ormai ad ostacolare sempre più l’e­ voluzione finale delle società moderne; cosa che garantisce as­ solutamente la piena razionalità di una simile determinazione. Per venire ora analizzata in modo veramente scientifico, que­ sta immensa operazione rivoluzionaria dei cinque ultimi secoli deveessere prima di tutto accuratamente divisa in due parti suc­ cessive, molto chiaramente distinte dalla loro stessa natura, seb­ bene fino ad oggi siano state sempre confuse; la prima, che comprende il quattordicesimo e quindicesimo secolo e nella quale il movimento critico è essenzialmente spontaneo ed involonta­ rio, senza la partecipazione regolare e risolutiva di alcuna dot­ trina sistematica; la seconda, che abbraccia i tre secoli seguenti, nella quale la disgregazione, divenuta più profonda e più deci­ siva, si compie ormai sotto l’influenza crescente di una filosofia formalmente negativa, che si estende a poco a poco a tutte le no­ zioni sociali di qualche importanza; così che appare perfetta­ mente fin d’allora la tendenza generale delle società moderne ad un totale rinnovamento, il vero principio del quale resta fon­ damentalmente avvolto in una vaga indeterminazione. Questa indispensabile distinzione farà una viva luce io spero nell’insieme, ancora tanto mal valutato, di quei tempi memorabili, che costituiscono il legame diretto della nostra situazione attuale con lo svolgersi delle fasi anteriori dell’umanità. Per quanto potente sia stata storicamente l’efficacia distrut­ tiva della dottrina critica propriamente detta, le si attribuisce, di solito, un’influenza esagerata; idea che diventa profondamente irrazionale quando se ne faccia dipendere in maniera esclusiva la completa disgregazione dell’antico sistema sociale, come sono d'accordo nel fare al giorno d’oggi d’abitudine sia i difensori sia gli avversari di questo sistema. Il vero spirito filosofico di­ mostra invece chiaramente, così mi sembra, che, lungi dall’avcr

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potuto produrre essa stessa una tale decadenza, questa dottrina ne è divenuta invece il necessario risultato, non appena la natu­ rale disgregazione ebbe raggiunto un certo grado, che sarà stabi­ lito più avanti; poiché, in qualsiasi altra ipotesi, l’origine reaie della teoria rivoluzionaria sarebbe evidentemente incomprensi­ bile, sebbene la sua reazione inevitabile sia in seguito divenuta in­ dispensabile alla completa realizzazione di quella fase, e soprat­ tutto alla specifica indicazione del suo risultato finale, come spiegherò ben presto. Oltre al fatto che una simile valutazione comune spinge chiaramente di là da ogni possibilità l’influenza politica dell’intelligenza, essa costituisce anche, per la sua natura, una specie di circolo vizioso. Di conseguenza l’insieme dell’epo­ ca rivoluzionaria non può venir concepito razionalmente, se non in quanto la formazione e lo sviluppo della dottrina critica ven­ gano considerati come preceduti e determinati da uno stadio avan­ zato di decadenza assolutamente naturale, la qual cosa è neces­ sario valutare dapprima in modo sommario, seguendo l’ordine indicato più avanti. Nulla potrebbe confermare meglio la dimostrazione fatta nel capitolo precedente sulla natura eminentemente transitoria della costituzione cattolica e feudale del medioevo, che l’irreparabile rovina di un simile organismo, causata unicamente dal conflitto tra i suoi organi principali al di fuori di qualsiasi attacco sistema­ tico, durante i due secoli che hanno seguito l’epoca stessa del suo più grande splendore. È possibile infatti riconoscere facil­ mente come quel memorabile sistema contenesse, sotto molti aspetti e per la sua caratteristica struttura, i germi di un’interna disgregazione, i disordini della quale vennero solamente sospesi o dissimulati fino a che il comune fine sociale potè mantenere tra le diverse parti, come abbiamo spiegato prima, e attraverso la sua generale preminenza, una combinazione necessariamente temporanea. Può essere sufficiente, per ora, valutare le cause più universali di quella imminente disgregazione naturale, conside­ rando prima di tutto sotto questo punto di vista la divisione po­ litica più generale tra i due grandi poteri del sistema, e, in sé­ guito, la principale suddivisione di ciascuno di essi. Sotto il primo aspetto, è incontestabile che l’ammirevole isti­ tuto di un potere spirituale distinto ed indipendente dal potere temporale, per quanto indispensabile sia dovuto essere al rea­

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lizzarsi della particolare evoluzione che era riservata al medio­ evoe per quanto immenso sia stato il miglioramento da esso ap­ portato alla teoria fondamentale dell’organismo sociale, come ha già provato, doveva in séguito divenire un inevitabile prin­ cipio attivo di decomposizione per il regime stesso che gli cor­ rispondeva, a causa della fatale incompatibilità che, fin dall’ori­ gine, regnava più o meno apertamente tra le due autorità; sia per lo stato di civilizzazione troppo poco adeguato ad un così grande progresso, sia per la totale incapacità dell’unica filosofia clic poteva allora presiedervi. Ho fin dall’inizio chiarito, nei due capitoli precedenti, che il monoteismo è, per sua natura, in opposizione più o meno pronunciata con il predominio delle attività militari; a meno che, per un’anomalia contraria al ca­ rattere essenziale di questa fase teologica, esso non si costituisca, secondo il sistema musulmano, mantenendo la primitiva con­ centrazione dei due poteri; e, persino in questo caso, il politei­ smoè necessariamente molto più adatto ad uno sviluppo intenso esostenuto del sistema militare. Ma sotto il vero regime mono­ teista, nel quale la generale separazione tra il governo morale cdil governo politico diventa il fatto principale, esiste inevita­ bilmente una specie di contraddizione interna, diretta sebbene implicita, tra quella caratteristica e la natura ancora militare del­ l’organizzazione temporale corrispondente, data la naturale ten­ denza verso la più completa unità di potere, che è sempre dello spirito guerriero, persino dopo l’importantissimo mutamento su­ bito in quei tempi a causa della necessaria trasformazione del sistema di conquista in sistema essenzialmente difensivo. È so­ prattutto per questo che la grande separazione dei poteri, nono­ stante la sua straordinaria utilità immediata, deve essere consi­ derata, per quell’epoca, come un tentativo assolutamente prema­ turo, la cui riuscita completa e durevole dipenderà solo dallo svi­ luppo finale delle società moderne, perché l’attività industriale, divenuta alla fine la più importante, rimarrà per sua natura, la solacompatibile con il normale rafforzarsi di quella fondamen­ tale divisione. Inoltre, se lo spirito feudale in quanto militare, era naturalmente ostile a quella caratteristica del sistema, biso­ gna riconoscere che, da un altro lato, anche lo spirito cattolico, inquanto teologico, tendeva con altrettanta energia, ad alterarla radicalmente in senso inverso, spingendo regolarmente l’auto­

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rità sacerdotale a passare quel limiti vaghi ed empirici che non erano stati mai realmente sottoposti ad alcun principio razionale. Una divisione veramente sistematica, della quale ho già messo in evidenza il principio generale, potrà un giorno essere piena­ mente accettata dalle due potenze elementari, (non consideran­ do le difficoltà secondarie legate all’inevitabile conflitto delle pas­ sioni umane) solo attraverso il futuro ascendente della filosofia positiva così congeniale a quella divisione perché segue le vere leggi deH’organismo sociale, come avrò modo di far notare par­ ticolarmente in séguito. Al contrario, fino a che lo spirito resta dominante, appare chiaro che la tripla natura eminentemente vaga, arbitraria e tuttavia assoluta, che caratterizza di necessità le diverse concezioni religiose non permetterebbe di porre, a questo proposito, nessun freno intellettuale e morale capace di dominare gli stimoli ostinati dell’orgoglio e le naturali illusioni della vanità; ragion per cui sotto tale regime, l’effettiva separa­ zione dei due poteri è stata soprattutto empirica, fin dalla mutua indipendenza delle rispettive origini, mantenuta in séguito dal continuo antagonismo, secondo le spiegazioni del capitolo pre­ cedente. La disciplina mentale particolarmente rigorosa e addi­ rittura oppressiva che queste stesse caratteristiche essenziali do­ vettero rendere sempre più indispensabile, allo scopo di mante­ nere in modo tanto precario quanto penoso, la necessaria unità, dovette d’altronde rafforzare molto l’inevitabile tendenza del do­ minio sacerdotale ad usurpare il potere in tutti i sensi. Infine, sebbene la maggior parte dei filosofi abbiano, a questo proposito, attribuito un’influenza molto esagerata al potere temporale del supremo pontificato, poiché questa eccezionale sovranità non ha avuto una grande importanza se non al tempo in cui il sistema cattolico era già in piena decomposizione politica, non bisogna tuttavia tralasciare una tale considerazione, anche se secondaria, perché essa ha concorso, in tutti i tempi sia pur in modo accesso­ rio, a sviluppare nei papi la loro naturale disposizione a confon­ dere completamente i diversi poteri sociali. Tale era dunque, in breve e sotto tutti gli aspetti essenziali la migliore natura del regime medioevale, che Io spirito feudale e lo spirito cattolico, i quali ne costituivano i due elementi generali, tendevano neces­ sariamente, ciascuno a suo modo, l’uno, a causa di una civiliz­ zazione ancora troppo imperfetta, l’altro, in séguito ad una filo­

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sofia troppo errata, a distruggere radicalmente la fondamentale divisione che caratterizzava sopra ogni altra cosa quella memo­ rabile istituzione, i cui scopi puramente transitori non potrebbero essere verificati in modo più evidente che attraverso un contrasto tanto decisivo. Dunque non è affatto la naturale disgregazione di quel regime a partire dal xiv secolo, che dovrebbe ugualmente stupirci, ma piuttosto la sua durata effettiva fino a quell’epoca, senon fosse stata già sufficientemente spiegata, sia dallo sforzo troppo esiguo dei nuovi elementi sociali, sia dalla realizzazione fino ad allora incompleta del suo compito fondamentale sebbene temporaneo, per l’insieme dell’evoluzione sociale, come appare dalle nostre precedenti dimostrazioni. Conclusioni analoghe si otterranno considerando poi la prin­ cipale suddivisione di ognuno dei due grandi poteri, lo spirituale eil temporale, e cioè i corrispondenti rapporti tra l’autorità cen­ trale e le autorità locali. È facile accorgersi, a questo riguardo, che l'armonia interna di ciascun potere non poteva essere più stabile della loro reciproca combinazione. Non vi è dubbio che, nell’ordine spirituale, la gerarchia catto­ lica, nonostante la grande superiorità della sua energica organiz­ zazione, contenesse necessariamente, per la natura del sistema, i germi naturali di una inevitabile dissoluzione interiore, indipen­ dente da qualsiasi ostilità diretta, per ciò che riguarda le relazioni generali tra la suprema autorità sacerdotale ed i diversi cleri na­ zionali. Tali discordanze interne dovevano certamente oltrepassa­ re di molto le comuni perturbazioni elementari che universal­ mente, per l’imperfezione deU’umanità, sono inseparabili da qual­ siasi istituzione, poiché esse avevano in quel tempo l’intensità ed il carattere proprio del regime teologico corrispondente. Gli im­ mensi sforzi compiuti a quell’epoca con tanta perseveranza dagli uomini più progrediti per mettere in atto, a tutto vantaggio della civilizzazione moderna, ogni mezzo per mantenere l’ordine che sia compatibile col monoteismo, meriteranno sempre, e a mag­ gior ragione, la rispettosa ammirazione dei veri filosofi, in quanto unsimile atteggiamento non è conforme alla natura delle dottrine teologiche, soprattutto dopo la separazione, d’altronde indispen­ sabile, tra le due potenze fondamentali. Sebbene si attribuisca ingiustamente alle opinioni religiose una tendenza imperiosa a determinare ed a mantenere l’unione intellettuale e morale, è

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certo clic lo spirito teologico, nella sua situazione mentale pre­ supposta da una regolare istituzione del monoteismo, e persino prima che il più forte ascendente di questo sia potuto essere minacciato direttamente, non può veramente condurre ad un grado soddisfacente di unità, senza l’intervento penoso e conti­ nuo di una disciplina artificiale molto rigorosa, e ben presto più o meno oppressiva, il cui mantenimento diventerà gradualmente incompatibile sia con le eccessive pretese di coloro che la diri­ gono, sia con l’esagerata resistenza di coloro che la subiscono; tutto ciò risulta evidentemente dal carattere vago ed arbitrario, e di conseguenza necessariamente discordante, di una simile fi­ losofia liberamente ed attivamente coltivata. Prima che un tale principio fondamentale di disgregazione potesse produrre, come indicherò più avanti, la disorganizzazione finale di questa filo­ sofia, esso aveva già da principio esercitato la sua influenza ine­ vitabile nel tentativo, durato a lungo, di turbare profondamente l’insieme della gerarchia cattolica, quando le resistenze parziali potevano acquistare una reale importanza attraverso la sponta­ nea concentrazione in opposizioni nazionali, sotto la naturale protezione dei rispettivi poteri temporali. Le stesse cause fondamentali che, come appare nel capitolo precedente, avevano limi­ tato tanto, in realtà, l’estensione territoriale del cattolicesimo, agivano allora, da quest’altro punto di vista, per disgregare la sua costituzione interna, persino indipendentemente da qualsiasi dissenso dogmatico. Nel paese che, seguendo la giusta e unanime valutazione dei più importanti filosofi cattolici, fu per tutta la durata del medioevo il principale sostegno del sistema ecclesia­ stico, il clero nazionale si era sempre attribuito, quasi fin dalle origini e verso la suprema autorità sacerdotale, privilegi spe­ ciali che i papi hanno spesso dichiarato con ragione, ma senza successo, essenzialmente contrari al complesso delle condizioni nelle quali si svolgeva l’esistenza politica del cattolicesimo; e questa opposizione non era certo meno reale, se pure meno chia­ ramente formulata, tra i popoli più lontani dal centro pontificio. Il papato, d’altra parte, tendeva, in senso inverso ma con altret­ tanta intensità, ad una spontanea rottura di questo indispensa­ bile stato di subordinazione, attraverso una crescente disposi­ zione a centralizzare in modo eccessivo; la qual cosa, divenendo sempre più vantaggiosa esclusivamente per le ambizioni italiane,

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doveva giustamente sollevare dovunque energiche ed ostinate suscettibilità nazionali. Queste sono dunque le due tensioni con­ tinue che, anche prima di qualsiasi scisma dottrinale, lavoravano di fatto a disgregare l’unità interna del cattolicesimo, dividen­ dolo, in contrasto col suo vero spirito fondamentale, in chiese nazionali indipendenti. È chiaro che questo principio di disgrega­ zione equivale essenzialmente, in un ordine di relazioni più par­ ticolari, a quello precedentemente descritto per le combinazioni politiche più generali, essendo il risultato ancora più evidente, nondelle influenze più o meno accidentali, ma della natura stes­ sa di quel sistema, considerato soprattutto nei suoi fondamenti intellettuali tanto imperfetti e nonostante l’ammirevole superiori­ tàdella sua struttura, già valutata nel capitolo precedente. Sotto entrambi gli aspetti, questa naturale disorganizzazione fu suffi­ cientemente contenuta fino a che il sistema non ebbe raggiunto il suo massimo sviluppo e realizzato in modo conveniente la sua grande missione temporanea. Ma nulla poteva in séguito impe­ dire un’imminente disgregazione, quando, con il compimento essenziale di quelle due condizioni, la considerazione di un sco­ po comune cessò necessariamente di essere tanto preponderante da impedire la naturale discordanza dei diversi elementi. Ho creduto di dovere qui descrivere direttamente, in modo particolare, se pure sommario, questa decomposizione interna della gerarchia cattolica, perché la naturalezza con la quale av­ venne è stata fino ad ora erroneamente giudicata, in séguito al­ l’illusione molto comprensibile, che nasce da un sentimento esa­ gerato della perfezione di quella economia ammirevole nella quale nessuno aveva potuto ancora distinguere in modo conve­ niente gli eminenti attributi dovuti al grande genio politico dei suoi nobili fondatori, dalle imperfezioni radicali, legate alla na­ tura di quell’età sociale, combinata con quella della filosofia che lecorrispondeva, e che non poteva permettere a questa immensa creazione se non un destino precario e temporaneo. Ma fortu­ natamente siamo dispensati da un simile studio deirorganizzazione temporale, (’antagonismo fondamentale della quale tra il potere centrale del trono ed i poteri locali delle diverse classi della gerarchia feudale è stato generalmente molto bene valutato da diversi filosofi e soprattutto da Montesquieu, in modo che non necessita qui un ulteriore esame, se non per ciò che più

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avanti riguarderà i suoi risultati principali. La riconciliazione tentata dall’ordine feudale propriamente detto tra le due ten­ denze contraddittorie all’isolamento ed alla concentrazione che in esso erano ugualmente consacrate, non poteva evidentemente avere se non un’esistenza imperfetta e passeggierà, che non avreb­ be potuto sopravvivere al suo scopo puramente temporaneo, e che avrebbe di necessità affrettato la naturale rovina di quell’eco­ nomia, sia che l’uno o l’altro dei due elementi acquistasse gra­ dualmente un’inevitabile preponderanza, seguendo la distinzione spiegata più avanti. Tre riflessioni generali meritano di essere fatte ora a propo­ sito di questa disgregazione spontanea che, sotto tanti aspetti, caratterizza in modo perfetto il regime medioevale. La prima, già indicata, consiste nel vedere una conferma decisiva del giu­ dizio fondamentale dato nel capitolo precedente sulla natura essenzialmente transitoria di questa fase estrema del sistema teo­ logico e militare. Si può così facilmente comprendere come tutto debba sembrare radicalmente contraddittorio e profondamente incomprensibile nello studio sociale del medioevo, se ci si ostina a giudicare un tale regime secondo lo spirito assoluto della filo­ sofia politica al giorno d’oggi dominante; mentre, al contrario, tutto vi si ordina naturalmente e si spiega senza sforzo attraverso la concezione razionale di un compito indispensabile, ma di ne­ cessità limitato, nel complesso dell’evoluzione umana. In secondo luogo, l’attitudine particolare di questo regime a secondare gran­ demente lo sforzo diretto dei nuovi elementi sociali appare tanto chiaramente da quella disgregazione naturale, quanto la sua ca­ ratteristica tendenza a permettere la graduale disorganizzazione finale del sistema teologico e militare. Perché i diversi conflitti permanenti, che abbiamo prima giudicato, erano per la loro natura estremamente adatti a facilitare e persino a stimolare un simile sforzo, come spiegherò più espressamente nel capitolo se­ guente, interessando in modo diretto ciascuno dei diversi poteri antagonisti allo sviluppo continuo delle nuove forze sociali e par­ ticolari della civilizzazione moderna, per il bisogno di trovarvi importanti ausiliari nelle loro reciproche contestazioni. Bisogna, infine, considerare questa disgregazione spontanea come un ca­ rattere veramente distintivo del regime cattolico e feudale, nel senso che essa vi era molto più profondamente rilevata che in

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qualsiasi altro regime anteriore. Soprattutto nell’ordine spirituale, dove tuttavia la coerenza era ancora più perfetta, c cosa note­ vole, così mi sembra, che i primi fattori della disorganizza­ zione del cattolicesimo siano sempre ed ovunque usciti dal seno stesso del clero cattolico; mentre il passaggio dal politeismo al monoteismo non ha mai presentato nulla di analogo a causa di quella confusione dei due poteri che caratterizzava il regime po­ liteista dell'antichità. Questo è, in generale, il destino puramente provvisorio della filosofia teologica, la quale, a misura che si per­ feziona intellettualmente e moralmente, diviene sempre meno consistente e meno durevole, come testimonia perfettamente l’esa­ me comparativo delle sue principali fasi storiche; perché l’ido­ latria primitiva era veramente più stabile e radicata del politei­ smostesso, il quale, a sua volta, ha certamente superato il mono­ teismo sia in vigore intrinseco sia in durata effettiva, cosa che, stando ai normali princìpi, deve naturalmente costituire un pa­ radosso inesplicabile, mentre la nostra teoria, al contrario, lo ri­ solve con facilità, mostrando naturalmente che il progresso na­ zionale delle concezioni teologiche dovette consistere in una con­ tinua diminuzione d’intensità. Una considerazione eccessiva di quella notevole decadenza spontanea che caratterizza l’insieme del regime medioevale po­ trebbe da principio far pensare che la disorganizzazione neces­ saria di questo regime avrebbe potuto essere interamente lasciata al suo corso naturale fino a che i nuovi elementi sociali si fossero abbastanza sviluppati per intraprendere una lotta diretta e deci­ siva, senza il pericoloso intervento speciale di una dottrina cri­ tica costruita formalmente in sistema di negazione assoluta c quindi in modo da evitare essenzialmente gli immensi imbarazzi che ne sono nati. Ma un simile giudizio sarebbe tanto errato, in senso inverso, quanto l’ipotesi ordinaria, più sopra rettificata, la quale, esagerando al di là di ogni possibilità, il reale potere di questa filosofia negativa, ne fa derivare in modo esclusivo tutta la decadenza dall’istituzione cattolica e feudale, indipendente­ mente da qualsiasi disgregazione spontanea. Perché quest’ultima, puressendo precedente, sarebbe rimasta di necessità insufficiente, se, giunta ad un certo livello (descritto più avanti), il suo progre­ dire non avesse infine preso a grado a grado un carattere sistema­ tico, rigorosamente indispensabile alla vera riuscita generale di

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una simile elaborazione sociale. Non solo la dottrina critica e rivoluzionaria ha evidentemente contribuito molto ad accelerare ed a propagare la disorganizzazione naturale del regime medio­ evale, e, di conseguenza, deH’insieme del sistema teologico e militare del quale costituiva l’ultima fase essenziale, ma il suo scopo principale, nel quale non poteva essere sostituita in alcun modo, è consistito soprattutto nel servire allora da organo ne­ cessario al crescente bisogno di un’intera riorganizzazione socia­ le, mostrando l’impotenza sempre più completa dell’antico si­ stema a dirigere il movimento fondamentale della civilizzazione moderna e rendendo assolutamente irrevocabile quella naturale decadenza; la quale, senza tutto ciò, avrebbe teso naturalmente a suggerire la grande soluzione politica come una semplice re­ staurazione, nonostante essa divenisse sempre più chimerica. Persino nelle loro lotte più intense, le diverse forze cattoliche e feudali conservavano naturalmente un rispetto sincero e profondo per tutti i princìpi essenziali dell’istituzione generale, senza so­ spettare la portata finale dei gravi colpi che avrebbero indiretta­ mente ricevuto da simili contrasti; in modo che questo sponta­ neo antagonismo si sarebbe potuto prolungare quasi indefinita­ mente, senza caratterizzare la radicale decadenza del regime corrispondente, fino a che nulla di sistematico fosse venuto a mi­ schiarsi per consacrare, con una formula negativa corrispondente, ciascuna delle successive perdite dell’antico regime, divenute così irreparabili. Un esame superficiale potrebbe per esempio far con­ fondere, da principio, l’audace spoliazione delle chiese francesi e germaniche a vantaggio dei cavalieri di Carlo Martello, con l’avida usurpazione dei beni ecclesiastici da parte dei baroni in­ glesi del sedicesimo secolo; e, tuttavia, la prima non era, in fondo, che una perturbazione grave, ma momentanea, ben presto se­ guita da una facile e larga riparazione, mentre l’altra tendeva veramente alla rovina irrevocabile dell’organizzazione cattolica; ora, questa differenza capitale tra due provvedimenti material­ mente analoghi risulta soprattutto dal fatto che il primo, scevro di qualsiasi principio di ostilità, non costituiva che un violento espediente finanziario, dovuto al timore, forse esagerato, di una imminente necessità pubblica; mentre il secondo si riallaccia se­ riamente ad una dottrina formale di disorganizzazione sistema­ tica della gerarchia sacerdotale. Così che, sotto tutti gli aspetti e

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adiversi livelli, la filosofia negativa o rivoluzionaria dei tre ul­ timi secoli, pur non potendo essere da principio che una semplice conseguenza generale della nuova situazione sociale, frutto della dissoluzione spontanea del vecchio regime, doveva in séguito eser­ citare un’indispensabile azione per imprimere a questa avanzata naturale un carattere davvero decisivo, adatto a mettere in evi­ denza il bisogno crescente di una rigenerazione finale; fino ad allora, invece, mentre la decadenza puramente politica o anche morale non si estendeva affatto direttamente ai princìpi intel­ lettuali dell’antica istituzione, le alterazioni successive, per quanto gravi potessero essere, in séguito ai diversi conflitti parziali, erano sempre necessariamente suscettibili di rettifiche sufficienti alla riuscita dei conflitti inversi. Senza l’influenza necessaria di questa dottrina critica, i popoli moderni avrebbero consumato indefinitamente la loro migliore energia politica in un perico­ loso quanto sterile prolungamento degli antagonismi del medio­ evo, tra gli elementi di un sistema già essenzialmente scosso e tendente da allora a divenire sempre più ostile allo sviluppo ulte­ riore dell’evoluzione sociale. Poiché, nonostante la sua finale im­ potenza a dirigere ormai il movimento dell’umanità, quel sistema conservava naturalmente le sue pretese di supremazia, fintanto che non gli veniva direttamente negata; in modo che nessuna vera riorganizzazione poteva essere tentata e nemmeno conce­ pita, fino a che una simile operazione di sgombero non fosse stataconclusa. Quali che siano i perturbamenti ai quali dette luo­ goquesta indispensabile operazione preliminare, sarebbe d'altron­ deingiusto non riconoscere che essa ne prevenne comunque mol­ ti altri, fino allora diffìcilmente valutabili, ponendo un termine veramente decisivo al susseguirsi indefinito delle agitazioni in­ testine dell’antico sistema sociale. Questo doveva dunque essere il principale diretto compito della dottrina critica, che solo la disgregazione spontanea dell’istituzione cattolica e feudale ren­ deva possibile, senza potere in alcun modo supplirvi. Quanto al­ l'ipotesi che la decadenza finale del regime monoteista si sarebbe potuta compiere in un modo essenzialmente calmo, senza la ne­ cessità di un intervento attivo e prolungato di una simile dot­ trina, attraverso la sola opposizione naturale dei nuovi elementi sociali, questa non è altro che una pura utopia filosofica, del tutto inconciliabile con il reale avanzare della civiltà moderna;

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poiché, dopo il loro primo slancio durante il medioevo, lo spinto scientifico e l’attività industriale, lungi dall’essere immediata­ mente adattabili ad uno scopo politico, che allora avrebbe finito solo con l’impacciare il loro particolare impeto, non potevano nemmeno svilupparsi convenientemente, se non quando il siste­ ma teologico e militare fosse stato sufficientemente scosso, come spiegherò in modo particolare nel capitolo seguente, e nonostan­ te la loro influenza sociale dovesse diventare, in séguito, e so­ prattutto al giórno d’oggi, la migliore garanzia contro qualsiasi vana restaurazione. L’inevitabile avvento di questa filosofia ne­ gativa non è a sua volta più difficile da dimostrare della sua in­ dispensabile cooperazione nell’evoluzione delle società moderne. Soprattutto fermandosi, come possiamo fare noi in questo mo­ mento, alla prima delle due fasi essenziali, che distinguerò in séguito, e che finisce con la disorganizzazione radicale dell’isti­ tuzione cattolica da parte del protestantesimo propriamente det­ to, è facile capire come dovesse nascere spontaneamente a tempo debito, dalla natura stessa del regime monoteista. Da principio, il monoteismo introduce sempre necessariamente in seno alla teologia un certo spirito individuale di esame e di discussione per il solo fatto che le credenze meno importanti non vi possono essere definite particolarmente come nel politeismo, del quale i minimi dettagli erano fissati dogmaticamente fin dall’inzio. È per questo che qualsiasi sistema monoteista deve naturalmente procurare alle intelligenze un primo stadio normale di libertà filosofica, non fosse che per determinare il modo più adatto per amministrare la potenza soprannaturale in ogni caso particolare. Anche lo spirito di eresia teologica, evidentemente estraneo al politeismo, fu costantemente inseparabile da ogni monoteismo, a causa delle inevitabili divergenze che produce questa libera at­ tività speculativa di fronte a concezioni essenzialmente vaghe ed arbitrarie. Ma questa tendenza universale del monoteismo, che lo stesso islamismo lascia chiaramente intravedere, doveva rice­ vere evidentemente dal cattolicesimo il suo più importante im­ pulso, come ho già indicato nel capitolo precedente, a causa della divisione fondamentale delle due potenze che ne costitui­ scono il carattere essenziale, poiché una tale divisione provocava direttamente l’estendersi regolare delle abitudini di libero esame dalle discussioni puramente teologiche fino alle questioni vera­

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mente sociali, per constatarvi in séguito le legittime applica­ zioni particolari della dottrina comune. Sebbene questa influenza necessaria si sia fatta più o meno sentire durante tutto il corso del medioevo, Iti disgregazione naturale del regime corrispon­ dente ha dovuto soprattutto provocarne un forte accrescimento, in séguito all’uso più continuo e più impegnativo di una simile libertà intellettuale nel doppio conflitto generale, valutato più sotto, che ha naturalmente disorganizzato il sistema cattolico, da attraverso la lotta dei diversi poteri temporali contro il potere spirituale, sia per l’opposizione dei cleri nazionali al pontificato centrale. Tale è in realtà la primitiva origine, di certo assoluta­ mente inevitabile, di questo appello al libero esame individuale, che caratterizza essenzialmente il protestantesimo, prima fase generale della filosofia rivoluzionaria. I dottori che sostennero per tanto tempo contro i papi l’autorità dei re, o le corrispondenti resistenze delle chiese nazionali alle decisioni romane, non po­ tevano certamente evitare di attribuirsi, in modo sempre più sistematico, un diritto personale aH’esame, che per sua natura, senza dubbio non poteva restare limitato all’infinito tra tali in­ telligenze né a simili applicazioni. Esso, infatti, estendendosi in séguito naturalmente per un’invincibile necessità, sia mentale sia sociale, a tutti gli individui ed a tutte le questioni, ha gradual­ mente portato alla distruzione radicale, prima della disciplina cattolica, poi della sua gerarchia, ed infine del dogma stesso. Una così evidente filiazione non necessita qui di altre spiegazio­ ni, a parte quelle che l’uso ulteriore di essa farà ben presto capire inmodo implicito. Quanto al carattere di questa filosofia transitoria, il cui inter­ vento crescente durante i tre ultimi secoli è stato dimostrato ine­ vitabile quanto indispensabile, è chiaramente determinato dalla natura stessa del fine che noi riconosciamo, e che poteva essere soddisfatto solo da una dottrina sistematica di negazione asso­ luta, estesa successivamente alle principali questioni morali e so­ ciali, come ho già spiegato a sufficienza, se pure per altri scopi, sindall'inizio del volume precedente. È quanto la ragione pub­ blica ha essenzialmente accettato da molto tempo, in modo im­ plicito, ma irrecusabile, consacrando, con riconoscimento una­ nime, la denominazione molto espressiva di protestantesimo; la quale, benché limitata ordinariamente al primo stadio di questa

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dottrina, non per questo si adatta di meno aH’insiemc della filo­ sofìa rivoluzionaria. In effetti, tale filosofia, dopo il semplice luteranesimo primitivo, fino al deismo del secolo passato, c senza nemmeno far eccezione per quello che si chiama l’atei­ smo sistematico, che ne costituisce la fase estrema1, non c mai stata altro, storicamente, che una protesta crescente e sempre più metodica, contro le basi intellettuali dell’antico ordine sociale, estesa in séguito, come conseguenza necessa­ ria della sua natura assoluta, a qualsiasi tipo di organizzazione. Per quanto gravi siano i pericoli ai quali espone questo spirito di radicale negazione, bisogna vedervi una condizione {onda­ mentale della grande trasformazione intellettuale c sociale che avrebbe alla fine diretto quella filosofia. Perché, nelle diverse rivoluzioni anteriori, che consistevano sempre e solo in modifi­ che più o meno profonde dello stesso sistema primordiale, la comprensione umana poteva sempre subordinare essenzialmente la distruzione di qualsiasi forma antica, all’istituzione di una forma nuova, della quale intravedeva più o meno chiaramente il carattere principale, in modo da evitare una situazione esclu­ sivamente critica: ora, invece, non era più possibile che avvenisse la stessa cosa per questa rivoluzione finale, destinata a compiere a. Sebbene una tale fase finale della filosofia metafisica sia per cià stesso, se si segue la nostra teoria, la più prossima allo stadio positivo c in tal modo formi, soprattutto al giorno d’oggi, un’ultima preparazione indispensabile al vero sistema definitivo della comprensione umana, un giudizio superficiale o maldisposto può solo far confondere con la filosofia positiva una dottrina altamente negativa, di necessità più transitoria di qualsiasi altra, e che condanna, in modo assoluto e dogmatico, qualsiasi cooperazionc essenziale delle credenze religiose all'evoluzione generale dell'umanità; quando la filosofia positiva, al contrario, assegna loro ra­ zionalmente, secondo la sua legge più fondamentale, un compito ini­ ziale c per molto tempo indispensabile sotto tutti gli aspetti, sebbene prov­ visorio. II prevalere di un simile sistema, col sostituire in pratica il culto della natura e quello del creatore, organizzando una specie di panteismo metafìsico, dal quale lo spirito potrebbe facilmente regredire alle diverse fasi successive del sistema teologico più o meno modificato, in modo da creare ben presto una situazione ancora più lontana, in realtà, dal vero regime positivo, di quanto non lo sia lo stadio puramente cattolico. Ho creduto conveniente aggiungere di sfuggita questa particolare spiegazione, che si indirizza in modo esclusivo a giudici in buona fede; quanto agli altri, è evidentemente superfluo interessarsene.

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il più completo rinnovamento, non solo sociale, ma da principio soprattutto mentale, che offre l’insieme completo dell’evoluzione umana. L’obbligo indispensabile più sopra descritto, di eseguire oalmeno di preparare l’operazione critica molto tempo prima chei nuovi elementi sociali potessero essere abbastanza elaborati da indicare spontaneamente, anche con una vaga approssima­ zione generale, la vera tendenza definitiva dell’umanità, portava evidentemente a concepire la distruzione del vecchio ordine in vista di un avvenire assolutamente indeterminato. Per necessa­ ria conseguenza di questa situazione senza precedenti, i princìpi critici non potevano certamente acquistare tutta l’energia con­ veniente al loro scopo, se non divenendo infine essenzialmente assoluti. Se condizioni qualsiasi avessero dovuto essere sempre imposte ai diritti di negazione dei quali essi pretendevano l’eser­ cizio sistematico, non potendo esse ancora avere alcun rappor­ to col nuovo sistema sociale (la natura del quale resta persino oggi nota in modo imperfetto), sarebbero state forzatamente ispirate dall’organizzazione stessa che si trattava di distrug­ gere, dalla quale sarebbe risultato l’insuccesso più completo di questa indispensabile operazione rivoluzionaria. Devo qui limitarmi a riallacciare il principio generale di questa impor­ tante spiegazione all’insieme del nostro giudizio storico: quanto ai suoi sviluppi più essenziali, essi sono già stati sufficientemente indicati nel quarantaseiesimo capitolo, sebbene sotto un aspetto unpoco diverso; la partecipazione particolare dei diversi dogmi critici al loro scopo comune sarà d’altra parte storicamente pre­ cisata più avanti, almeno in modo implicito. Il profondo carat­ tere di ostilità e di diffidenza sistematiche, infestato sempre più da questa filosofìa negativa verso ogni forma di potere, la sua tendenza istintiva ed assoluta al controllo ed alla limitazione delle varie potenze sociali sono ormai abbastanza motivati, sia nella loro origine inevitabile, sia nel loro fine necessario perché il lettore attento possa facilmente supplire alle spiegazioni se­ condarie che sono obbligato a scartare a tale proposito. Al fine di completare in modo conveniente questo giudizio astratto sul cammino fatto in generale dalla dottrina critica o rivoluzionaria degli ultimi tre secoli, non mi resta che spiegare sommariamente la divisione necessaria del suo sviluppo essen­ ziale in due grandi fasi successive, che dividono questo memo-

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rabile periodo storico in due parti non molto diverse. Nella pri­ ma, che comprende le diverse forme essenziali del protestante­ simo propriamente detto, il diritto individuale d’esame, sebbene largamente dichiarato, resta tuttavia sempre contenuto nei limiti più o meno estesi della teologia cristiana, e, di conseguenza, lo spirito di discussione corrosiva, accessorio secondario del dogma, si getta quindi a distruggere, nel nome stesso del cristianesimo, l’ammirevole sistema della gerarchia cattolica, che ne costituiva socialmente la sola realizzazione fondamentale; è in questo che il carattere inconseguente, inerente all’insieme della filosofia ne­ gativa, si rivela più decisamente pronunciato, per la costante pre­ tesa a riformare il cristianesimo, distruggendo completamente le più indispensabili condizioni per la sua esistenza politica. La seconda fase è legata essenzialmente ai diversi progetti di deismo più o meno puro, propri a quella che viene chiamata volgarmente la filosofia del xvm secolo, sebbene la sua formazione metodica si sia svolta realmente verso la metà del secolo precedente; il di­ ritto d’esame vi è, all’inizio, riconosciuto come indefinito, ma si pensa veramente di potere, di fatto, contenervi la discussione metafisica nei limiti più generali del monoteismo, le cui basi in­ tellettuali sembrano da principio indistruttibili, sebbene siano a loro volta rovesciate facilmente, prima della fine di questo pe­ riodo, per mezzo di un necessario prolungamento della stessa elaborazione critica negli spiriti più emancipati, il disordine in­ tellettuale viene cosi diminuito notevolmente, a causa dell’estendersi uniforme dell’analisi distruttiva, ma l’incoerenza sociale diviene, se possibile, ancora più sensibile, in séguito alla ten­ denza invincibile a fondare per sempre la rigenerazione politica su una serie esclusiva di semplici negazioni, le quali non potreb­ bero dare altro risultato se non un’anarchia generale. È lecito d’altra parte pensare che il socinianesimo abbia offerto natural­ mente il mezzo storico per passare dall’una all’altra fase. Del re­ sto, anche il solo giudizio precedente fa subito risaltare, mi sem­ bra, la necessaria formazione di ciascuna di esse quanto la loro filiazione spontanea; perché, se da un lato lo spirito d’esame non poteva evidentemente all’inizio arrogarsi il diritto di un esercizio indefinito, e doveva imporsi preliminarmente alcuni limiti che facilitassero la sua ammissione, è chiaro, d’altra parte, che questi limiti, sebbene posti sempre come assoluti, non potevano essere

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eternamente rispettati, e che persino il primo uso del diritto di discussione aveva dovuto portare a tali divagazioni o pertur­ bazioni religiose, che le intelligenze più forti dovevano alla line provare un bisogno pressante, nello stesso tempo intellet­ tualee sociale, di liberarsi interamente di un ordine di idee tanto arbitrario e discordante, divenuto in quel modo del tutto con­ trario al suo vero scopo iniziale. La distinzione generale tra que­ ste due fasi è talmente indispensabile che, malgrado la loro na­ turale estensione, sotto forme diverse, ma politicamente equiva­ lenti, a tutti i popoli dell’Europa occidentale, esse non ebbero tuttavia la stessa sede principale, come avrò modo di mostrare piùavanti. Dovette esistere tra loro anche una differenza molto pronunciata per quanto riguarda la partecipazione più o meno importante, sebbene sempre solamente accessoria, dei nuovi ele­ menti sociali. Perché lo spirito positivo era da principio certo troppo poco sviluppato, concentrato in intelligenze troppo ecce­ zionali e troppo isolate, e nello stesso tempo, ristretto ad argo­ menti troppo limitati, per essere capace di esercitare qualche no­ tevole influenza nell’effettivo avvento del protestantesimo; il quale ha dovuto, al contrario, accelerare il suo stesso slancio; mentre nella seconda fase il suo potente intervento, sebbene quasi sempre indiretto, si fa sentire distintamente, procurando spon­ taneamente all’analisi antiteologica una consistenza razionale che altrimenti non avrebbe potuto avere, e che sarebbe infine rima­ sta la base principale della sua futura efficacia. Queste sono le diverse considerazioni fondamentali che do­ vevo fare qui sommariamente sul cammino necessario ed i le­ gami naturali dei diversi gradi essenziali del grande movimento di disgregazione totale, prima spontaneo, poi sistematico, che ca­ ratterizza soprattutto l’evoluzione politica delle società moderne durante gli ultimi cinque secoli, teso alla completa distruzione dell’istituto cattolico e feudale, ultimo stato generale dell’orga­ nismo teologico e militare. Così viene ad essere già sufficientemente spiegato, in linea di principio, il profondo interesse di tanti uomini eminenti e la simpatia istintiva delle masse popo­ lari per questa lunga e memorabile elaborazione che, nonostante la sua natura essenzialmente rivoluzionaria, costituiva tuttavia un preambolo strettamente necessario alla rigenerazione finale dell’umanità. Il suo corso graduale non dovette in effetti incon­

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trare opposizioni veramente importanti se non a causa del le­ gittimo timore di un completo sconvolgimento sociale, ispirato naturalmente dai suoi diversi progressi caratteristici, c che soli potevano dare una reale energia alla resistenza dei vecchi poteri, essi stessi, d’altra parte, spontaneamente trascinati, a loro insa­ puta, a partecipare, in modi più o meni diretti, alla perturba­ zione universale. I capi, volontari o involontari, che diressero successivamente questo immenso movimento nello stesso tempo filosofico e politico, si trovarono necessariamente c quasi sempre, soprattutto dopo il sedicesimo secolo, in una situazione generale estremamente difficile, che dovrebbe far giudicare con particolare indulgenza l’insieme delle loro azioni, essendo costretti in modo sempre più contraddittorio e tuttavia irresistibile, a soddisfare ugualmente i bisogni di ordine e di progresso; i quali, benché allo stesso modo imperiosi, tendevano a divenire gradualmente quasi inconciliabili. Durante tutto questo periodo, bisogna rite­ nere che la grande capacità politica consistesse soprattutto nel per­ seguire, con infaticabile saggezza, diretta da una felice valuta­ zione istintiva della reale situazione sociale, la distruzione com­ pleta del vecchio ordine, pur evitando, per quanto possibile, gli anarchici disordini, continuamente in agguato, verso i quali ten­ devano spontaneamente le concezioni critiche che dovevano presiedere a quella disorganizzazione, in modo da trarre final­ mente una vera utilità sociale da quello stesso spirito di inconse­ guenza logica che li caratterizzava costantemente. Questa abilità fondamentale, nell’uso politico della critica metafisica non era certo, tenuto conto dei tempi, né meno importante né meno de­ licata di quella così ingiustamente ammirata nell’epoca prece­ dente, per ciò che riguarda la salutare applicazione sociale della dottrina teologica, la cui amministrazione, se mal diretta, poteva divenire ugualmente funesta, seppure in altre maniere. Nello stesso tempo, l’estrema imperfezione logica di questa filosofia negativa, uscita tuttavia sempre vittoriosa alla fine del dibattiti essenziali che provocava e sosteneva continuamente, è perfetta­ mente adatta a verificare il suo accordo interiore con i principali bisogni della situazione sociale corrispondente; poiché facendo una diversa ipotesi, il suo effettivo successo sarebbe inspiegabile, a meno di non ricorrere all’assurdo espediente di parecchi filo­ sofi retrogradi, spinti, daH’insufficienza completa delle loro teo­

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rii storiche, ad immaginare seriamente, a questo proposito, una specie di delirio cronico e universale, che sarebbe nato miraco­ losamente dopo tre secoli nell 'élite dell’umanità. Noi non pos­ siamo dunque più considerare ormai l’insieme di questo famoso movimento critico, se non vedendolo sempre, non come una semplice perturbazione accidentale, ma come uno degli stadi necessari della grande evoluzione sociale, quali che siano d’al­ tronde i gravi pericoli ai quali trascina oggi l’esclusivo ed irra­ tionale prolungamento di esso. Prima di spingere oltre l’analisi generale di quella operazione permezzo di un buon giudizio storico sui suoi principali risultati definitivi, è ora indispensabile stabilire in modo particolare, an­ chese sommario, quali fossero veramente i suoi organi essenziali, Lacui natura differenziatrice dovette influire molto sulla realiz­ zazione della fase rivoluzionaria, che è stata ora astrattamente descritta. Avendo quei diversi organi dovuto esercitare la loro più vasta attività sociale in un tempo nel quale l’assorbimento crescente del potere spirituale da parte del potere temporale costituiva di [attoil principale carattere politico, la divisione generale tra que­ sti due poteri non può essere tracciata molto nettamente, e, in principio, sembra perfino impossibile da seguire, sebbene la si ritrovi sempre a priori sotto una forma qualsiasi in tutti gli aspetti fondamentali della civiltà moderna. Ma, con un’analisi più profonda, diviene facile riconoscere storicamente, in mezzo alle diverse forze sociali che hanno presieduto alla transizione rivoluzionaria degli ultimi cinque secoli, la divisione naturale indue classi del tutto diverse, nonostante la loro intima affinità, quella di metafisici e quella di giuristi; la prima, che costituisce inrealtà l’eleinento spirituale e la seconda, l’elemento temporale di questa specie di regime misto ed equivoco che corrispondeva aduna situazione sempre più contraddittoria ed essenziale, tutte e due destinate, al momento giusto, come spiegherò, a liberarsi spontaneamente dei rispettivi elementi dell’antico sistema; l’una, dalla potenza cattolica, l'altra dall’autorità feudale, ponendosi inséguito gradualmente di fronte ad essi in una rivalità ostile, sebbene per molto tempo poco importante. Il loro sforzo co­ mune comincia a diventare notevole al tempo stesso del maggiore splendore del regime monoteista e soprattutto in Italia, la quale,

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durante il corso del medioevo, ha sempre grandemente prece­ duto sotto tutti gli aspetti, anche sociali, il resto dell’occidente, e nella quale si nota effettivamente dal xn secolo l’importanza rapidamente crescente, non solo dei metafìsici, ma anche dei giu­ risti, principalmente nelle libere città della Lombardia e della Toscana. Ma queste forme nuove non avrebbero potuto tuttavia sviluppare i loro veri caratteri distintivi, se non nelle grandi lotte intestine, descritte più avanti, che costituivano la parte spon­ tanea del movimento di disgregazione, e nelle quali il loro in­ tervento necessario avrebbe posto le naturali basi della potenza eccezionale che ha conferito loro, fino a questo punto, la dire­ zione immediata del nostro progresso politico. È soprattutto in Francia che un tale sviluppo mi sembra almeno allora dover essere particolarmente analizzato, perché più chiaro e più com­ pleto che altrove, vista l’influenza ben distinta e tuttavia solidale che vi ottennero simultaneamente le università ed i parlamenti, principali organi permanenti, sia dell’azione dei metafisici, su del potere dei giuristi. Devo infine, per maggior chiarezza av­ vertire fin d’ora che ciascuna di queste due classi si suddivide, per la sua struttura, in due corporazioni molto diverse; una es­ senziale e primitiva, l’altra, accessoria e secondaria: e cioè, i me­ tafisici, in dottori propriamente detti ed in semplici letterati; i giuristi, in giudici ed avvocati (astraendo naturalmente dalla gente di toga di minore importanza). Durante la parte più lun­ ga dell’esistenza politica di questo tipo di regime transitorio, la prima corporazione di ciascuna classe era di necessità la più im­ portante, senza di che il comune potere non avrebbe potuto acqui­ stare né conservare alcuna reale consistenza; e perciò anche noi dobbiamo tenerla presente quasi esclusivamente, considerando l’altra una forza puramente ausiliaria. È solo ai nostri giorni che quest’ultima ha acquistato a sua volta, e in tutti e due i casi, un certo ascendente, come spiegherò nel cinquantasettesimo capitolo, annunciando di fatto l’ultimo termine di questa singolare anoma­ lia politica. Da questi diversi chiarimenti preliminari è ormai fa­ cile concepire in modo palese l’avvento necessario c lo scopo naturale di quelle due forze modificatrici; nonostante l’oscurità c la confusione che offre da principio lo studio generale di un regime così ambiguo.

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Quanto all’elemento spirituale che, persino in questo caso, resta il più caratteristico, le nostre spiegazioni anteriori permet­ tono di capire facilmente il predominio sociale che dovette gra­ dualmente acquisire lo spirito metafisico nel periodo più avanti indicato, ed il suo compito naturale nel grande trapasso rivolu­ zionario, tralasciando di considerare per ora la notevole influen­ za che ebbe contemporaneamente sullo slancio nascente dello spirito scientifico e che verrà convenientemente valutata nel ca­ pitolo seguente. In séguito alla divisione veramente fondamen­ tale della filosofia greca in filosofia morale e filosofia naturale, che ha sempre dominato fino ad ora il movimento intellettuale dell'élite dell’umanità, e che ho già definito storicamente nella cinquantatreesima lezione, lo spirito metafisico ha presentato congiunte due forme estremamente diverse e in graduale anta­ gonismo, in accordo con quella divisione; la prima, della quale Platone deve essere considerato l’organo principale, molto più vicina allo stadio teologico, e rivolta piuttosto a modificarlo che a distruggerlo; la seconda, che ha come prototipo Aristotele, molto più prossima, al contrario, allo stadio positivo, e realmente tesa a liberare l’intelletto umano da qualsiasi tutela teologica propriamente detta. La prima fu, per sua natura, critica essen­ ziale solo verso il politeismo, del quale perseguì attivamente la distruzione completa; essa presiedette soprattutto, come ho già mostrato, all’organizzazione graduale del monoteismo, che, una volta costituito, determinò spontaneamente la fusione finale di questo primo spirito metafisico con lo spirito puramente teolo­ gico, proprio di questa ultima fase essenziale della filosofia reli­ giosa. L’altra, invece, rivolta all’inizio principalmente allo studio generale del mondo esterno, dovette essere a lungo, nella sua applicazione, accessoria rispetto alle concezioni sociali, necessa­ riamente c costantemente critica in séguito alla combinazione interna e permanente della sua tendenza antiteologica con la sua radicale impotenza a produrre da sola una qualche istituzione. Èquest’ultimo spirito metafisico che prese naturalmente la dire­ zione intellettuale del grande movimento rivoluzionario che stiamo giudicando. Limitata di fatto dal predominio platonico, mentre le migliori intelligenze erano occupate soprattutto nel­ l’organizzazione del sistema cattolico, come appare nelle spiega­ zioni del capitolo precedente, questa tendenza aristotelica, che

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non aveva mai smesso di coltivare e di ingrandire in silenzio i suoi domini inorganici, dovette cercare di ottenere, a sua volta, un più grande ascendente filosofico, allargandosi al mondo mo­ rale e persino sociale, appena questa immensa operazione poli­ tica, finalmente terminata, lasciò naturalmente il dominio ai bi­ sogni dello slancio puramente razionale. È così che, dal xu se­ colo, sotto la più grande supremazia sociale del regime mono­ teista, il trionfo crescente della scolastica costituì realmente il primo agente generale della distruzione radicale della potenza e della filosofia teologiche, per quanto paradossale possa da prin­ cipio sembrare questa qualità di emancipazione attribuita a una dottrina oggi così ciecamente calunniata. La consistenza poli­ tica di questa nuova forza spirituale, sempre più separata e ben presto rivale del potere cattolico, sebbene all’inizio fosse stata emanata proprio da esso, appariva dalla sua naturale attitudine ad impadronirsi gradualmente dell’alta istruzione pubblica, nelle università, che, da principio destinate quasi esclusivamente al­ l’educazione ecclesiastica, dovevano in séguito abbracciare neces­ sariamente tutti i rami essenziali della cultura intellettuale. Va­ lutando, da questo punto di vista storico, l’opera di san Tom­ maso d’Aquino e anche lo stesso poema di Dante, è facile capire che questo nuovo spirito metafisico aveva allora invaso essenzial­ mente tutti gli studi intellettuali e morali dell’individuo, e co­ minciava anche ad allargarsi direttamente alle speculazioni so­ ciali, in modo che testimoniava già la sua tendenza inevitabile ad affrancare definitivamente la ragione umana dalla tutela pu­ ramente teologica. Con la famosa canonizzazione del grande dottore scolastico, ottenuta d’altronde legittimamente con gli eminenti servigi politici, i papi mostrarono di essere stati loro stessi involontariamente trascinati verso le nuove posizioni men­ tali, e la loro ammirevole abilità nell’mcorporare, per quanto possibile, tutto ciò che non era loro manifestamente ostile. Co­ munque sia, il carattere antiteologico di una tale metafisica non si manifestò, per molto tempo, se non attraverso la direzione più sottile e l’energia più pronunciata che impresse da pricipio allo spirito degli scismi e delle eresie, necessariamente inseparabile, ad un grado qualsiasi, da tutta la filosofia monoteista, come farò notare più avanti. Ma le grandi lotte decisive del xiv e del xv secolo contro la potenza europea dei papi e contro la suprema­

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zia ecclesiastica del secolo pontificale, riuscirono infine a pro­ curare naturalmente una larga e durevole applicazione sociale aquesto nuovo spirito filosofico; il quale, avendo già raggiunto la piena maturità speculativa, doveva ormai tendere soprattutto apartecipare in modo crescente ai dibattiti politici, il che, per sua natura, era sempre più negativo per la vecchia organizza­ zione spirituale, e persino, con una conseguenza involontaria, ulteriormente corrosivo per il potere temporale corrispondente, del quale essa aveva da principio tanto facilitato il sistema di invasione. Questa è l'incontestabile filiazione storica che, fino allo scorso secolo, ha posto naturalmente, in tutto il nostro oc­ cidente, la potenza metafisica delle università alla testa del mo­ vimento di disgregazione, non solo fino a che è rimasto sponta­ neo, ma anche in séguito, quando è divenuto sistematico, come appare dalle nostre spiegazioni anteriori. Sarebbe inutile insistere ancora qui su tale argomento ormai abbastanza chiaro, salvo che per la valutazione ulteriore dei principali risultati di questo gran­ demovimento, che spanderà indirettamente una nuova luce nclrinsieme dell’analisi precedente. Considerando ora l’organizzazione temporale corrispondente, èfacile stabilire storicamente l’ultima correlazione naturale, sia per le dottrine, come per le persone, tra le classi dei metafisici e dei giuristi. Perché, prima di tutto è evidentemente attraverso 10studio del diritto e principalmente del diritto ecclesiastico, che 11 nuovo spirito filosofico della fine del medioevo penetrò gra­ dualmente nel campo delle questioni sociali, e in secondo luogo, fu l'insegnamento del diritto a costituire fin da allora la parte capitale delle attività universitarie, oltre al fatto che furono pro­ prio gli studiosi di diritto canonico derivati, non meno diretta­ mente degli scolastici, dal sistema cattolico, a formare sponta­ neamente, soprattutto in Italia, il primo ordine di giuristi sog­ getto ad un’organizzazione distinta e regolare. L ’affinità di que­ ste due forze sociali era talmente pronunciata, che si potrebbe persino, esagerandone la valutazione, essere tentati di vedere i giuristi come una specie di metafisici passati dallo stato specula­ tivo a quello attivo, cosa che porterebbe a disconoscere errata­ mente la loro vera origine diretta. Un esame più completo mo­ stra infatti subito la loro reale provenienza storica, come una emanazione spontanea della potenza feudale, della quale essi

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furono destinati dovunque, all’inizio, a facilitare le funzioni giu­ diziarie con interventi sempre più necessari, sebbene per molto tempo subordinati. Oltre all’influcnza generale della loro educa­ zione essenzialmente metafisica, i giuristi ebbero, fin dalle ori­ gini, un atteggiamento più o meno ostile alla potenza cattolica, in séguito alla crescente opposizione nata spontaneamente presso le varie corti di giustizia civili, sia signorili, sia soprattutto reali, contro i tribunali ecclesiastici, già possessori riconosciuti della maggior parte delle giurisdizioni importanti. Perciò, qualunque fosse il ramo dei due grandi poteri tempo­ rali al quale si unì questa nuova forza ausiliaria (ciò che dovette variare secondo i luoghi), come avrò occasione di spiegare più avanti, essa fu dovunque animata, persino a sua insaputa, da una profonda e perseverante antipatia, d’altronde più o meno dissi­ mulata, per l’insieme dell’organizzazione cattolica, che era la base principale, da tutti i punti di vista, del sistema politico me­ dioevale. È così che nel seno stesso di quel sistema, ed al tempo del suo maggior ascendente, doveva nascere poco a poco un se­ condo elemento politico, del tutto distinto dai diversi poteri co­ stituenti, che, malgrado la sua posizione subordinata, avrebbe ben presto esercitato un’influenza capitale nella crescente disor­ ganizzazione del regime. Si ha, normalmente, un’idea molto falsa dell’esistenza politica dei giuristi durante il medioevo e nell’epoca moderna a causa di un’errata confusione con gli uo­ mini di lettere dell’antichità, sia giuristi sia oratori, poiché nel­ l’organizzazione romana, anche nella decadenza, queste funzioni non potevano in realtà dar luogo alla formazione di una classe distinta e secondaria, essendo, per loro natura, solo un eserci­ zio più o meno passeggierò per gli uomini di stato, essenzial­ mente militari, che componevano la casta dirigente, o di quelli che per i loro servizi vi erano accolti. Nell’insieme dell'evolu­ zione umana, questa singolare potenza dei giuristi doveva costi­ tuire un fenomeno estremamente eccezionale, riservato unica­ mente, per la sua natura, allo stato transitorio del medioevo, e destinato senza dubbio a sparire per sempre quando il grande movimento di disgregazione, dal quale solo poteva conseguire il suo destino sociale, sarebbe stato infine del tutto completato dalla riorganizzazione finale dei popoli più progrediti, come mostrerò nel cinquantasettesimo capitolo. Comunque sia, questa seconda

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forza nuova doveva dal suo canto, come la forza metafisica, cre­ scere naturalmente nell’epoca stessa del più grande splendore del sistema che sarebbe stata chiamata ben presto a disorganizzare con continui perturbamenti. Il suo naturale progresso dovette essere allora facilitato in modo particolare dalle vaste operazioni difen­ sive che abbiamo già riconosciuto essere proprie a quel grande periodo, e soprattutto in séguito alle crociate che, tenendo a lungo lontani i feudatari, dovevano aumentare di molto l’importanza politica degli uomini di legge, È certo tuttavia che la potenza sociale dei giuristi, come quella dei metafisici, sarebbe sempre rimasta subordinata, se le grandi lotte intestine del xiv e del xv secolo non fossero in séguito venute necessariamente ad offrire alla loro comune azione disgregatrice il più vasto campo di utile esercizio. È allora, sia per gli uni sia per gli altri, il vero mo­ mento del trionfo; se non il più esteso, almeno il più soddisfa­ cente ed il più adatto alla reale natura di essi, poiché la loro am­ bizione politica era a quel tempo necessariamente in armonia con la loro utile influenza nel corrispondente avanzare dell’evo­ luzione umana; è infatti, per le due classi, l’età delle grandi in­ telligenze e dei nobili caratteri. Tra gli sforzi istintivi che ten­ tarono a quell’epoca, e soprattutto verso la fine di essa, le grandi corporazioni giudiziarie, e principalmente i parlamenti francesi, per consolidare a sufficienza la loro nuova posizione politica, credo di dover qui segnalare particolarmente la celebre istitu­ zione della venalità delle cariche, che non è mai stata convenien­ temente giudicata nelle sue vere prospettive storiche a causa del carattere assolutista della filosofia dominante. Esaminandola alla luce delle nostre spiegazioni anteriori, secondo i suoi rapporti conil fine generale di quel potere transitorio, essa doveva allora costituire evidentemente, nonostante i suoi immensi abusi ulterio­ ri, una delle condizioni più indispensabili alla consistenza politica della potenza giudiziaria; non solo come lo ha sentito Monte­ squieu, e cioè perché garantiva ancora di più la propria legit­ timaindipendenza dalla forza rapidamente crescente dei governi temporali dai quali derivava, ma soprattutto, perché tentava di ritardare per quanto possibile, per un motivo profondo e ancora ignorato, la propria inevitabile disgregazione naturale, col fatto stesso che un simile uso si opponeva energicamente a quell’abituale assalto alle cariche giudiziarie da parte degli avvocati, che

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avrebbe infine disgregato essenzialmente una simile organizza­ zione come indicherò nel cinquantasettesimo capitolo e che, sopravvenuto prematuramente, le avrebbe certamente impedito di proseguire con reale efficacia la propria missione. Per il resto, quando questo nuovo elemento sociale ebbe assecondato con suc­ cesso i fortunati sforzi dei re per liberarsi dal controllo europeo dei papi, e in séguito i tentativi non meno efficaci delle chiese nazionali contro la supremazia pontificale, la sua esistenza po­ litica ebbe di fatto realizzato, per quanto possibile, la grande operazione temporanea che le era riservata nell’evoluzione fon­ damentale delle società moderne, a parte l’indispensabile sorve­ glianza che sarebbe stata necessaria per conservare in modo per­ manente i diversi risultati raggiunti contro le reazioni sempre minacciate dei resti della vecchia organizzazione: l’importante intervento dei giuristi, prima descritto, nella lotta prolun­ gata tra i due rami del potere temporale aveva d’altra parte rag­ giunto, verso la stessa epoca, il suo scopo principale, e non po­ teva svolgersi ormai che come una semplice continuazione. Tut­ tavia, noi ci accorgeremo ben presto che questa azione parlamen­ tare ha esercitato ancora a suo modo, persino tra i popoli catto­ lici, un’influenza molto notevole, nel primo periodo, già de­ scritto, del movimento di disgregazione, divenuto sistematico. Questa partecipazione continua, sotto le forme che le sono pro­ prie, si fa sentire distintamente anche nel periodo successivo, se pure con intensità decrescente e abbandonando gradualmente la direzione temporale dell’operazione rivoluzionaria, da allora por­ tata rapidamente verso il suo scopo finale, come spiegherò in seguito. Alla fine di questi due giudizi generali sugli organi necessari al grande trapasso critico del quale tentiamo lo studio storico, credo di dover sommariamente far notare, secondo la nostra teo­ ria fondamentale, la completa incapacità di queste due forze mo­ dificatrici ad istituire una propria organizzazione durevole, no­ nostante entrambi questi elementi avessero una naturale ten­ denza ad accaparrarsi indefinitamente la supremazia sociale, a misura che la loro comune azione distruggeva la forza dell’an­ tico potere. Questa impotenza caratteristica, del resto più o meno sentita, che riduce infallibilmente simili influenze politiche ad un semplice fatto rivoluzionario deriva soprattutto daH'impos-

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sibiliti di queste due classi di produrre realmente princìpi che fossero loro propri e che permettessero di presiedere, in un mo­ do durevole e regolare, all’alta direzione degli affari umani. Il loro spirito comune, essenzialmente critico per sua natura, co­ meabbiamo doppiamente riconosciuto, è adatto solo a modificare unregime preesistente, per mezzo di alterazioni graduali e distrut­ tive la cui forza politica non è effettivamente completa se non durante le crisi, necessariamente passeggiere e relative alle fasi piò ardite del movimento di disgregazione. In tempi diversi la loro supremazia prolungata avrebbe portato inevitabilmente ad una imminente distruzione dello stato sociale : così, noi abbiamo con­ statato che se il progresso politico, in quanto naturalmente ne­ gativo, è dovuto essenzialmente ad esse dal xiv secolo in poi, l’indispensabile mantenimento dell’ordine pubblico deve essere rapportato soprattutto all’azione di resistenza degli antichi po­ teri, ai quali apparteneva ancora abitualmente la suprema dire­ zione sociale, se pure sempre più limitata da modifiche rivolu­ zionarie. Ciascuna di queste due forze portava in qualche modo l'impronta incancellabile della sua origine necessariamente su­ balterna, in séguito alla sua invariabile sottomissione spontanea al princìpi più fondamentali di quel regime del quale distrug­ geva le più importanti condizioni di esistenza. Non solo questa incocrenza radicale non poteva permettere che i metafisici ed i giuristi dominassero a lungo, ma anzi essa impediva loro persino di presiedere al completamento finale dell’operazione rivoluzio­ naria, perché la loro tendenza è sempre di consacrare, per così dire, con una mano ciò che distruggono con l’altra. Se una si­ mile incoerenza è provata nei metafisici per ciò che riguarda la filosofia teologica, della quale rispettano le principali basi intel­ lettuali, pur necessariamente negandole i suoi più potenti mezzi sociali, essa non è in fondo meno pronunciata nei rapporti tem­ porali dei giuristi con il potere militare; poiché le loro dottrine, non potendo trovare da sole alcun nuovo scopo fondamentale per l’attività umana, sanzionano inevitabilmente l’antica prepon­ deranza delle attività militari, a meno di convertire, con un’aber­ razione che certo non potrebbe diventare né popolare né dure­ vole, soprattutto nelle società moderne, l’azione stessa del go­ vernare in una specie di fine comune permanente. È in séguito a tali caratteri naturali che queste due forze secondarie, quando

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credono di aver costituito saldamente, nel modo più esclusivo, la loro supremazia politica, si trovano ben presto involontaria­ mente portate a reintegrare, più o meno esplicitamente l’una l’autorità teologica, l’altra la potenza militare, sotto la protezione delle quali acconsentono a porsi di nuovo abitualmente, perché in fondo sono coscienti, a causa dei loro vani sforzi di dominare direttamente, che questa situazione normale, la sola conveniente alla loro essenza, è l’unica che può prolungare realmente la loro esistenza sociale; questa finirà infatti necessariamente appena il sistema teologico e militare avrà finalmente perso del tutto, per­ sino come idea, il suo dominio primordiale, cosa che spiegherò nel cinquantasettesimo capitolo, come risultato finale dell’imieme del nostro studio storico. Avendo ormai sufficientemente studiato, nella lezione attuale, l’immenso movimento rivoluzionario delle società moderne, pri­ ma nella sua caratteristica natura e nel suo progresso fondamen­ tale, poi nei suoi organi necessari, dobbiamo ora procedere ad esaminare in modo diretto come si concluse essenzialmente, se­ guendo il concatenarsi razionale dei quattro aspetti principali che ho creduto dover distinguere in un tale fenomeno per ana­ lizzarlo convenientemente; dei quali, i primi tre non possono essere per loro natura che puramente preliminari, e Tultimo co­ stituisce necessariamente l’oggetto essenziale di questo capitolo. Considerando prima di tutto il periodo della decadenza spon­ tanea, dobbiamo evidentemente esaminare in esso, prima di ogni altra cosa, la disorganizzazione spirituale, non solo perché fu la prima a mostrarsi, ma soprattutto perché era al tempo stesso la più complessa e la più decisiva; quella che, col solo prolungarsi della sua influenza avrebbe inevitabilmente provocato la deca­ denza finale di tutta l’istituzione, della quale la costituzione cat­ tolica era certamente, da tutti i punti di vista, la base più impor­ tante, sia intellettuale che sociale. Sotto questo importantissimo aspetto, il primo periodo si divide naturalmente in due epoche quasi uguali, causate dalle due grandi lotte descritte più sopra, le quali dovevano congiuntamente produrre quella disgregazione, prima con gli sforzi unanimi dei re per abolire la potenza euro­ pea del papa, e poi con i tentativi di insubordinazione delle chic se nazionali contro la supremazia romana. Nonostante l’evidente e reciproca affinità di queste due operazioni contemporanee,

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l'una mi sembra caratterizzare principalmente il quattordicesimo secolo, a partire dall’energica reazione di Filippo il Bello, ben presto seguita dalla famosa traslazione del sacro seggio ad Avi­ gnone, la qual cosa nella sua lunga durata, non fu che una specie di onorevole prigionia politica; mentre l’altra, a sua volta, di­ venne importante verso il xv secolo, prima a causa del famoso scisma, che fu la conseguenza di quello strano cambiamento di sede, e poi, soprattutto, per l’impulso decisivo dato dal celebre concilio di Costanza, nel quale le diverse chiese frazionate mo­ strarono così energicamente la loro unione naturale contro l’ordine centrale. È facile capire come la seconda serie di tentativi nonpotesse ottenere un successo totale, se non quando la prima fosse completamente terminata: poiché ai diversi cleri non era possibile seguire con efficacia la tendenza istintiva alla na­ zionalizzazione, se non ponendosi sotto il comando supremo dei loro rispettivi capi temporali, cosa che rendeva necessario checostoro si fossero già emancipati dalla tutela papale. Di tutte legrandi imprese rivoluzionarie, sia volontarie sia involontarie (laqual cosa, in politica, è di pochissima importanza) queste due iniziali operazioni debbono, a mio avviso, essere giudicate, per­ finoal giorno d’oggi, come le più importanti; poiché hanno di­ strutto le principali fondamenta del regime monoteista medioevale, ultima fase essenziale, non lo rammenterò mai abbastanza, del sistema teologico e militare, provocando allora il completo assorbimento del potere spirituale da parte del potere temporale. Proseguendo, con cieca avidità, questa usurpazione, nella va­ na speranza di consolidare indefinitamente la propria supre­ mazia, i re non si accorsero che così ne distruggevano natural­ mente, per un avvenire inevitabile, le vere basi intellettuali c morali, colpendo in modo radicale la stessa autorità spiri­ tuale dalla quale in seguito attesero, in maniera quasi puerile, una consacrazione ormai sempre più illusoria, che in passato non aveva potuto avere grande efficacia, se non provenendo da unpotere del tutto indipendente. Nello stesso modo, i vari cleri divisi, spinti a nazionalizzarsi per sfuggire agli abusi del cen­ tralismo romano, non si rendevano conto che, loro malgrado, in quel modo Elaboravano grandemente alla irrevocabile de­ gradazione della dignità ecclesiastica, sostituendo al loro unico capo naturale l’autorità eterogenea ed arbitraria di una folla di

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poteri militari, che d’altra parte essi avrebbero considerato spi­ ritualmente subordinati, in modo da costituire da allora ogni chiesa in uno stato sempre più oppressivo di dipendenza poli­ tica, come risultato finale di tanti energici sforzi verso un’ir­ razionale indipendenza. Del resto, l’inevitabile azione di questa doppia serie di ostilità sul carattere generale del papato, non con­ tribuì certo meno, a suo modo, a modificare fondamentalmente la costituzione cattolica. Perché, a partire dalla metà del xiv se­ colo, quando l’emancipazione dei re appariva già imminente agli occhi chiaroveggenti dei papi, specialmente in Francia e in Inghilterra, mentre la nazionalizzazione del clero vi si manife­ stava in modo lampante con la premura che aveva abitualmente nel secondare le misure restrittive contro il sacro seggio, si nota facilmente una tendenza fortemente pronunciata del papato ad occuparsi ormai del suo regno temporale, che fino ad allora non gli aveva ispirato se non una sollecitudine molto accessoria, ma che ormai stava diventando sempre più la sola parte reale del suo potere politico. Prima della fine del xv secolo, l’antico capo supremo del sistema europeo si era così gradualmente trasfor­ mato in sovrano eleggibile di una piccola porzione d’Italia; egli aveva essenzialmente rinunciato all'azione generale e continua sui diversi governi temporali, per occuparsi soprattutto del pro­ prio ingrandimento territoriale, che inizia da quest’epoca, e an­ che di procurare, per quanto possibile, la dignità reale alle nu­ merose serie di famiglie pontifìcie, in modo da far quasi rim­ piangere la mancanza dell’ereditarietà, fino a che l'aberrazione del nepotismo potè esservi abbastanza contenuta. Ora, questa totale degenerazione del grande carattere europeo del potere pa­ pale in un carattere solamente italiano non poteva, a sua volta, che provocare inevitabilmente la completa disorganizzazione del papato, che in quel modo aveva allora implicitamente rinunciato alle sue più nobili caratteristiche politiche, e, di conseguenza, perdeva la sua principale autorità sociale, divenendo un elemento sempre più estraneo nella costituzione reale dei popoli moderni, Questa dovette essere la prima origine storica dello spinto essen­ zialmente retrogrado che in séguito continuò a prosperare nella politica del cattolicesimo, le cui tendenze erano state per tanto tempo progressive. È dunque in questo modo che tutti i diversi elementi essenziali del sistema politico del medioevo concorsero

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spontaneamente, ciascuno nella sua maniera, all’inevitabile de­ cadenza del potere spirituale, che ne costituiva soprattutto la for­ za e la nobiltà. È chiaro, con ciò, che quel primo disgrega­ mento decisivo si era in realtà quasi compiuto, se pure in forma implicita, sia per l’abbassamento politico dei papi, sia per le na­ zionalizzazioni consecutive dei diversi cleri, all’epoca dell’avrcntodel protestantesimo, al quale lo si attribuisce comunemente, eche ne fu, al contrario, il risultato; qualunque sia stata in sé­ guito l'alta influenza intellettuale e sociale della necessaria rea­ zione che produsse la sua sistematica sanzione di quel disgre­ gamento, come abbiamo spiegato prima. Sebbene tale grande decadenza fosse certamente indispen­ sabile quanto inevitabile, come ho già detto, ha tuttavia aperto da allora una lacuna immensa neH’insieme dell’organismo eu­ ropeo, i cui diversi elementi, divenendo quasi estranei gli uni agli altri, si trovarono da allora abbandonati alle naturali diver­ genze, senza alcun freno ordinario, che non fosse Pincerto equi­ librio materiale determinato dal loro stesso antagonismo. All’e­ pocastessa che noi prendiamo in considerazione, questa crescente decadenza dell’antico potere europeo si fa sentire gravemente, mi sembra, nelle lotte, accanite quanto frivole, degli stati prin­ cipali, e soprattutto nella lunga e deplorevole contestazione tra la Francia e l'Inghilterra, dove già la fine dell’autorità con­ ciliatrice dei papi è tristemente segnata dai loro sforzi fre­ quenti, vani ma onorevoli, per la pacificazione dell’Europa. Sen­ za dubbio, la sufficiente realizzazione del grande sistema di guerre difensive del medioevo doveva allora, in mancanza di un fine conveniente, rendere sempre più perturbatrice un’eccessiva attività militare, la quale, per sua natura, sarebbe sopravvissuta di molto ai suoi scopi più importanti. L ’ascendente sociale trop­ poprolungato di una casta militare, ormai essenzialmente priva di scopi importanti, costituisce, in effetti, il vero principio uni­ versale e naturale che ebbe a determinare durante questi due secoli, lo strano carattere della maggior parte delle spedizioni guerriere, così lontane dall’offrire l’alto interesse sociale delle guerre precedenti e persino il potente interesse morale delle guerre religiose del secolo successivo. Ma per quanto inevitabile dovesse allora essere questo sconvolgimento europeo, le conseguenze im­ mediate sarebbero certamente state meno gravi se, per una fatale

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coincidenza, che d’altra parte non poteva essere completamente impedita, essa non fosse avvenuta durante l’impotente declino dell’influenza politica che, fino ad allora, aveva regolarizzato l’insieme delle relazioni internazionali. Due secoli prima, il pa­ pato avrebbe evidentemente lottato con forza ed efficacemente contro questo principio generale di disordini, e pur senza poter migliorare il corso naturale della situazione sociale, ne avrebbe di certo diminuito gli effetti disastrosi. Questo caso mi sembra uno dei più adatti per far capire ai ciechi partigiani deH’ottiinismo politica la grande irrazionalità della loro dottrina metafisica; perché qui vediamo l’autorità europea dei papi morire, in un tempo nel quale avrebbe ancora potuto rendere all’umanità ser­ vigi politici pienamente conformi alla sua destinazione naturale, e incompatibili solo con la sua caducità attuale. Simile im­ potenza verifica d’altra parte, nella maniera meno equivoca, il carattere essenzialmente temporaneo che è inerente all’esistenza del potere cattolico in generale; il quale, ancora tanto vicino alla sua età d’oro, si trova tuttavia forzato, malgrado la sua sincera volontà, a mancare il suo principale scopo politico, non a causa di ostacoli accidentali, ma per l’avanzare continuo del proprio prematuro disgregamento. Valuteremo più avanti l’espediente provvisorio con l’aiuto del quale la politica moderna si è sforzata ulteriormente, per quanto possibile,/di riempire in qualche modo, sempre insufficiente, questa importantissima lacuna, La disorganizzazione naturale dell’ordine temporale del me­ dioevo, sebbene essa fosse già molto attiva nel xm secolo, non poteva avere conseguenze veramente decisive fino a quando il potere cattolico, che costituiva il legame più importante di tale regime, avesse conservato tutta la sua integrità sociale. Ma, a mi­ sura che procedeva il disfacimento spirituale che abbiamo studia­ to, quella disgregazione temporale prendeva un carattere sempre più irrevocabile; essa tendeva ormai evidentemente alla totale sovversione della costituzione feudale, ultima fase essenziale del governo militare, alternandovi radicalmente l'equilibrio caratte­ ristico dei due elementi principali, la forza centrale del trono e la forza locale della nobiltà, di cui l’una prima della fine del se­ colo xv era stata, in realtà, quasi completamente assorbita dal­ l’altra, mentre quella incorporava anche il potere spirituale. Quest’inevitabile spostamento derivava dal fatto che quella costitu-

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zionc transitoria aveva infine assolto sufficientemente, come ab­ biamo visto, il suo compito più importante nell’evoluzione fon­ damentale delle società moderne, il cui slancio industriale, sem­ pre più pronunciato, indicava già la loro necessaria antipatia contro l’antica preponderanza dello spirito guerriero. Sebbene le lotte, così intense e numerose, che ho descritto, debbano sul prin­ cipio sembrare, per quell’epoca, del tutto contraddittorie con il decrescere naturale del regime militare, la natura stessa di queste guerre, essenzialmente perturbatrici, tendeva a rovinare la con­ siderazione sociale della casta dominante, il cui cieco ardore bel­ lico, da allora ordinariamente privo di ogni utile applicazione, diveniva sempre più contrario al grande movimento di civilizza­ zione che aveva protetto all’inizio. È sempre, infatti, per tutte le istituzioni umane, spirituali o temporali, segno sicuro della loro fine irrevocabile, il vederle volgersi spontaneamente contro il loro scopo primitivo; l'organizzazione feudale, destinata so­ prattutto, per sua natura, a contenere il sistema di invasione, de­ cretò necessariamente la propria estinzione totale, appena si eresse dovunque come principio d'espansione. Ai tempi stessi che noi studiamo, la famosa istituzione dell’esercito permanente, nata all’inizio in Italia, luogo nel quale allora tutto cominciava, ma ben presto propagatasi in occidente, e sviluppatasi principal­ mente in Francia, costituisce una testimonianza incontestabile ed una potente garanzia di quella disgregazione totale del re­ gime temporale del medioevo, mostrando da una parte la ripu­ gnanza crescente al prolungarsi della servitù feudale tra popo­ lazioni già più industriali che militari, e rompendo, dall’altra, i legami universali della disciplina feudale, ormai sostituita dalla subordinazione particolare di una classe molto circoscritta verso i capi i quali, non essendo più esclusivamente feudali, cercavano necessariamente di privare gradualmente l’antica casta militare del suo attributo piu particolare. Farò notare, del resto, nel ca­ pitolo seguente, la felice influenza di una tale innovazione neli’assecondare in modo diretto lo slancio della vita industriale. Nel caso più naturale e più comune, di cui la Francia ci dà il miglior esempio, la disgregazione naturale del potere tempo­ rale, causata dall’antagonismo eccessivo dei suoi due elementi essenziali, avvenne necessariamente a vantaggio della forza centralizzatrice contro le forze locali. Lo spirito fondamentale della

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costituzione feudale permette di prevedere che, quasi dovunque, l’equilibrio generale di queste due potenze sarebbe stato rotto per colpa dell'aristocrazia, dati i numerosi mezzi, anche regolari, che un simile regime offriva al potenziamento spontaneo del trono. Questa opinione è al giorno d’oggi troppo conosciuta perché io vi debba insistere. Ma devo, però, sottolineare a questo proposito, una nuova e importante considerazione, che deriva da un acco­ stamento generale delle due decadenze contemporanee del potere temporale e del potere spirituale. Poiché la prima, in effetti, co­ me abbiamo visto, si verificava evidentemente di necessità con­ tro il potere centrale, senza di che non ci sarebbe stata rivolu­ zione, bisognava bene che l’altra, per un’indispensabile compen­ sazione, avvenisse normalmente in senso inverso, senza di che la rivoluzione avrebbe degenerato in un disastro universale, dal quale l’Europa moderna è stata particolarmente salvata per mez­ zo della concentrazione temporale nella monarchia. Mentre l’a­ narchia politica, pericolo sovrastante la grande fase rivoluzio­ naria, poteva così venire essenzialmente evitata, bisogna ricono­ scere che, sotto un altro aspetto, il movimento generale di di­ sgregazione raggiungeva in quel modo il suo scopo principale in maniera molto più completa e soprattutto molto più caratteri­ stica, che se gli sviluppi temporali fossero, al contrario, avvenuti normalmente a favore dell’aristocrazia. Nonostante ognuno dei due elementi avesse naturalmente tentato in modo irrazionale, come vedremo, di ricostruire dopo il proprio trionfo e sotto il proprio ascendente 1’insieme dell’antico regime, questa impresa sarebbe stata molto più pericolosa se compiuta dall'aristocrazia che non dalla monarchia; l’estinzione finale del sistema militare c teologico ne sarebbe rimasta ben altrimenti ostacolata, come anche lo slancio politico delle nuove forze sociali, come spie­ gherò in modo più particolare nel cinquantasettesimo capitolo. Appare chiaro da queste spiegazioni che la tendenza della di­ sgregazione feudale verso l’ascendente politico dell’aristocrazia piuttosto che del trono costituì, nella disorganizzazione univer­ sale che stiamo studiando, un caso straordinariamente eccezio­ nale, del quale l’Inghilterra offre l’esempio più importante. Ma tuttavia è molto importante prenderlo in considerazione al gior­ no d’oggi, perché fa prevedere la cieca irrazionalità di quel pe­ ricoloso empirismo che pretende di limitare il grande movimento

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europeo adeniforme trapianto del regime transitorio particolare dell'evoluzione inglese. Paragonata a quella di quasi tutto il re­ stodell'Europa, e soprattutto della Francia, essa presenta, fin da­ gli ultimi secoli del medioevo, una differenza capitale ed eviden­ te, che ha necessariamente esercitato, sull’insieme degli sviluppi ulteriori, un’influenza molto pronunciata, incompatibile con qual­ siasi vana imitazione politica, come spiegherò in seguito. È suf­ ficiente, per il momento, notare questa irrecusabile differenza effettiva, che è attestata spontaneamente da tutta la storia mo­ derna e che costituisce il primo tratto essenziale del caratteristico isolamento della politica inglese. Una simile anomalia mi sem­ bra debba attribuirsi soprattutto all’azione combinata di due con­ dizioni particolari: la situazione insulare e la doppia conquista; la prima dovette in generale rendere lo sviluppo sociale dell’Ingfiilterra sempre più adatto a seguire, meglio di qualsiasi altro e senza complicazioni esterne, il cammino che gli era proprio; la seconda invece suscitò la coalizione aristocratica contro la mo­ narchia, che la conquista normanna aveva fatto da principio pri­ meggiare grandemente, come appare in modo chiaro, parago­ nando, per esempio, nel x i i secolo, la potenza reale in Francia e in Inghilterra; in più le inevitabili conseguenze di quella con­ quista eccezionale favorivano la combinazione naturale della le­ ga aristocratica con le classi industriali, costituendo tra loro, a causadella nuova posizione subordinata della nobiltà sassone, un prezioso intermediario naturale, che altrove non sarebbe potuto esistere\ Ma noi non dobbiamo ora iniziare su questo argomento una discussione particolare, evidentemente contraria alle prescrizioni logiche stabilite all’inizio di questo volume contro qualsiasi im­ portante introduzione di ricerche concrete nella nostra elabora­ zione storica, il cui carattere essenzialmente astratto deve essere scrupolosamente mantenuto. Del resto, coloro che volessero in­ traprendere una spiegazione veramente razionale di quella fa­l. ll. L’avanzare dell'evoluzione politica in Scozia, così diversa da quella dell'Inghilterra, mi sembra confermare particolarmente questa spiegazione generale, mostrando come l’influenza particolare della doppia conquista abbia veramente predominato, in questo caso, persino su quella dell'iso­ lamento insulare, comune ad entrambe le popolazioni.

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mosa anomalia politica dovranno, in primo luogo, dare all’osser­ vazione stessa del fenomeno tutta la sua estensione reale, ces­ sando di considerarlo, come si fa fin troppo spesso, strettamente legato all'Inghilterra, sebbene esso vi sia stato, senza dubbio, più particolarmente notevole; vediamo tuttavia che lo sviluppo politico della Svezia, e, molto tempo prima, quello di Venezia, offrono, su questo punto, lo spettacolo di un movimento analogo. Questi sono i diversi risultati principali della decadenza na­ turale che portò gradualmente il regime cattolico e feudale a quel grado di disorganizzazione, realizzatosi essenzialmente in ogni luogo, in maniera più o meno esplicita, verso la fine del secolo xv, poiché il potere spirituale era ormai stato irrevocabilmente assorbito da quello temporale e uno dei due elementi generali di quest’ultimo era divenuto completamente subordinato all’al­ tro, in modo che l’insieme di questo immenso organismo rimase da allora totalmente concentrato intorno ad una sola potenza attiva, di solito la monarchia, sulla quale quasi unicamente ri­ posava l’ulteriore destino dell’intero sistema, il cui disfacimento cominciava a diventare di necessità sistematico. Abbiamo in séguito diviso razionalmente questa fase defini­ tiva del grande movimento rivoluzionario in due epoche prin­ cipali, una solamente protestante, l’altra essenzialmente deista, secondo il carattere più completo e decisivo che acquisisce gra­ dualmente la filosofia negativa. Consideriamo successivamente, nella prima, da principio gli effetti politici immediati e poi la sua influenza filosofica ulteriore. Nel primo caso, appare in modo chiaro che la riforma del xvi secolo non fu veramente, in gene­ rale, che una consacrazione esplicita ed irrevocabile della situa­ zione delle società moderne, come risultato finale del decadi­ mento naturale, che riconosciamo proprio dei due secoli prece­ denti, soprattutto per ciò che concerne la disorganizzazione del potere spirituale, base fondamentale del vecchio regime. È ne­ cessario capire, inoltre, per completare questa valutazione, che i comuni risultati politici si sono in fondo, realizzati in modo quasi equivalente, malgrado le gravi differenze intellettuali, che sono divenute sensibili solo molto tempo dopo, e cioè, sia tra i popoli divenuti nominalmente cattolici, sia tra quelli diventati ostensibilmente protestanti, gli uni e gli altri sono allora passati definitivamente, rispetto all’ordine sociale del medioevo, ad uno

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stato egualmente rivoluzionario, a parte la naturale differenza nel modo di manifestarlo. Perché, non lo spiegherò mai abba­ stanza, nell’intero susseguirsi dei disgregamenti avvenuti dal­ l’inizio del xiv secolo, il primo ed il più decisivo è certamente consistito nella distruzione delFindipendenza del potere spiri­ tuale, subordinato dovunque al potere temporale. Ora questa per­ turbazione capitale, principio essenziale di tutte le altre, è stata, come abbiamo détto, davvero comune a tutto l'occidente euro­ peo, prima della fine del xv secolo; è attraverso di essa che, in ogni punto importante di questo grande teatro sociale, tutte le forze più varie hanno da allora istintivamente partecipato, come ho dimostrato, al carattere rivoluzionario dei tempi moderni, senza eccezione nemmeno per i re o i nobili, e neanche per i preti ed i papi stessi. Quando Enrico V ili si divise da Roma, Carlo V e Francesco I non erano, a dir la verità, meno separati di lui. Considerando l’insieme del protestantesimo è chiaro che la soppressione della centralizzazione papale e l’assoggettamento nazionale dell’autorità spirituale alla potenza temporale costitui­ sconoin esso i soli punti importanti comuni a tutte le sètte, i soli che siano rimasti intatti, in mezzo ad innumerevoli variazioni. La celebre operazione di Lutero, nonostante il suo inizio folgo­ rante, si ridusse immediatamente a consacrare fondamentalmente quel primo grado di decadimento della costituzione cattolica; infatti, non toccò il dogma se non in modo molto accessorio, rispettò persino essenzialmente la gerarchia e alterò gravemente solo la disciplina. Ora, se si analizzano politicamente questi ul­ timi cambiamenti veramente caratteristici, si vede che essi con­ sistettero soprattutto nell’abolizione del celibato ecclesiastico e dellaconfessione universale; e cioè precisamente nelle misure che, oltre alla vivace adesione spontanea delle passioni umane, per­ fino in seno al sacerdozio, sembravano allora le più adatte, per la loro natura, a consolidare la precedente rovina dell'indipen­ denza sacerdotale, alla quale questi due appoggi erano eviden­ temente necessari. Questo scopo primitivo del protestantesimo spiega facilmente la sua nascita particolare tra i popoli più lon­ tani dal centro cattolico, sui quali, in séguito, le tendenze, sem­ pre più italiane del papato durante i due secoli precedenti do­ vevano farsi sentire più penosamente.

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Secondo questa incontestabile valutazione dei fatti, non si può più dubitare che i popoli cattolici abbiano partecipato real­ mente, quanto i protestanti, alla prima trasformazione rivoluzio­ naria, a parte la differenza delle forme e la diversità di mezzi, che sono poco importanti per i risultati \ Non solamente in Francia, ma anche in Spagna, in Austria, e altrove, i re, senza arrogarsi apertamente una vana e ridicola supremazia spirituale, erano già certamente, ai tempi di Lutero, e per i loro rispettivi cleri, capi non meno assoluti e non meno indipendenti dal potere papale, di quanto non lo divenissero poi i prìncipi protestantib. Ma il movimento luterano, soprattutto, giunto alla fase cal­ vinista, esercitò ben presto a tale proposito e in modo indiretto, un’influenza tanto importante quanto inevitabile, disponendo sempre di più il sacerdozio cattolico alla volontaria accettazione di un simile assoggettamento politico, per il quale esso aveva a. Un incidente notevole, oggi troppo dimenticato, mi sembra molto adatto a confermare in modo diretto questo accostamento fondamentale, suggerito dalla mia teoria storica, perché chiarisce la tendenza spontanea del sovrani cattolici a ricorrere qualche volta agli stessi mezzi essenziali dei princìpi protestanti, per garantire la radicale distruzione dell'indipen­ denza politica del clero. Vediamo infatti l’imperatore Ferdinando che fa proporre diverse volte, sebbene senza successo, al concilio di Trento da ambasciatori speciali l’usanza del matrimonio per i preti, cosa che avrebbe certamente portato, nell’applicazione, ad abolire anche la confessione. Questi due elementi della riforma luterana hanno spesso trovato, nel seno stesso del cattolicesimo, ferventi sostenitori, assolutamente convinti, del resto, di non cessare affatto, per questo, di appartenere alla chiesa universale. b. Sebbene questa tendenza universale alla nazionalizzazione del clero sia stata naturalmente molto meno sviluppata in Italia che in qualsiasi altro posto, tale era, tuttavia, la situazione fondamentale dei popoli mo­ derni, che si è potuta notare una simile trasformazione rivoluzionaria persino in tutte quelle popolazioni italiane, il cui stato politico aveva uo carattere stabile abbastanza pronunciato. Soprattutto la costituzione ve­ neziana ne offre un rappresentativo esempio, con l’isolamento e la dipen­ denza in cui tiene il clero nazionale rispetto al potere temporale, dopo il trionfo definitivo dell'aristocrazia sul potere ducale nel xiv secolo; in modo da organizzare, sotto la vana apparenza di una rispettosa ortodossia, una specie di religione di stato, ancora più distinta, forse, dal vero cattolicesimo, di quanto non fosse, in séguito, il nostro gallicanesimo propriamente detto.

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conservato fino ad allora, sebbene invano, la sua antica ripu­ gnanza, e nel quale al contrario, doveva ormai vedere l'unica garanzia efficace per la propria esistenza sociale, di fronte alla pressione sempre più vigorosa dello spirito universale di eman­ cipazione dalla religione. È solo in questa epoca di decadenza che comincia di fatto, tra l’influenza cattolica ed il potere reale, queH’interna spontanea coalizione di interessi sociali, il cui at­ teggiamento generale, all’inizio indifferente, ma ben presto re­ trogrado, verso lo sviluppo finale della civiltà moderna è stato così mal a proposito attribuito, da tanti illogici detrattori, all’età d’oro del cattolicesimo, che invece fu per tanto tempo caratteriz­ zata, come abbiamo già spiegato, da un nobile ed energico anta­ gonismo contro tutte le potenze temporali. Sarebbe d’altronde superfluo provare che questa opposizione crescente al continuo progresso dell’evoluzione umana, lungi dall’essere propria del cattolicesimo gallicano, o spagnolo, o altro, appartenga in modo molto più radicale e pronunciato, al luteranesimo anglicano, o svedese, ecc., il quale, perfino nel ricordo storico, non è mai stato concepito in stato di reale indipendenza, essendo stato, al contra­ rio, istituito espressamente, fin dall’inizio, in vista di una condi­ zione di soggezione eterna. Comunque sia, dopo il suo universale asservimento politico, la chiesa cattolica, ormai del tutto incapace di assolvere ai suoi alti compiti sociali, e vedendo dovunque il suo potere morale limitato alla vita individuale, a parte un resi­ duo di influenza sulla vita domestica, è inevitabilmente portata, da allora, ad occuparsi soprattutto, in modo sempre più esclu­ sivo, della conservazione, sempre più difficile, della propria esi­ stenza, configurandosi istintivamente sempre più come l’indi­ spensabile ausilio permanente della monarchia, intorno alla quale dovevano gradualmente concentrarsi, per una tendenza spontanea, tutti i più disparati resti del regime monoteista del medioevo, in quanto essa era ormai l’unico elemento capace di una energica attività politica. Si capisce del resto facilmente co­ me questa inevitabile coalizione dovesse alla fine diventare peri­ colosa sia per il cattolicesimo che per il potere monarchico, per ciascuno dei quali essa costituiva naturalmente una specie di cerchio vizioso, allo stesso tempo mentale e sociale, presentando come appoggio ciò che aveva invece bisogno di essere sostenuto. Il cattolicesimo rovinava cosi il suo credito popolare, rinunciando

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evidentemente, con questa irragionevole soggezione, al suo an­ tico ed importantissimo compito politico, a parte la vana osten­ tazione di qualche rara predica ufficiale, che la più sublime elo­ quenza non poteva impedire di essere essenzialmente declama­ toria, e, soprattutto, completamente inoffensiva per il potere che la riguardava, per quanto errate potessero essere abitualmente le azioni di questo. Nello stesso tempo, la monarchia era portata a legare, in modo sempre più stretto, il complesso dei suoi de­ stini politici ad un sistema di dottrine e di istituzioni che dove­ vano gradualmente suscitare profonde ed unanimi ripugnanze, sia intellettuali che morali, e che era già dovunque votato, in vari modi, ad una imminente e completa dissoluzione. Questa lunga e deplorevole fase della disorganizzazione fi­ nale del cattolicesimo è stata, fin dal suo inizio, sistematizzata principalmente dalla grande e caratteristica istituzione della Compagnia di Gesù1; la quale, eminentemente retrograda per natura, fu allora fondata particolarmente, con mirabile istinto politico, per servire da organo centrale della resistenza generale del cattolicesimo direttamente minacciato di distruzione, a cau­ sa dello sforzo crescente dell emancipazione spirituale. Appare chiaro, infatti, dalle nostre spiegazioni anteriori, che il papato, sempre più assorbito, dal secolo precedente, dagli interessi c dalle cure del suo regno temporale, non era nemmeno più adatto, in realtà, a dirigere in modo conveniente questa immensa opposi­ zione attiva della quale avrebbe spesso senza dubbio sacrificato i bisogni essenziali alle esigenze della sua particolare situazione. Così i capi quasi sempre eminenti di quella potente corporazio­ ne si stostituirono spontaneamente da allora, sotto titoli mode­ sti, ai papi stessi, per organizzare una sufficiente e continua con­ vergenza tra i vari sforzi parziali che il grande movimento di disgregazione sradicava istintivamente separandoli sempre più. Non c’è dubbio, mi sembra, che senza una simile centralizza­ zione, di solito abituale quanto energica, l’azione, o piuttosto la resistenza del cattolicesimo non avrebbe potuto offrire, nel corso dei tre ultimi secoli, alcuna reale consistenza politica. Ma, nono­ stante gli straordinari servigi parziali, sia all’interno sia all’ester­ no, non si può negare ancora che l’insieme della politica deii. i . La Compagnia di Gesù fu fondata Del 1534 da Ignazio di Loyola.

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gesuiti, per le necessarie conseguenze della sua ostilità fondamen­ tale verso l’evoluzione fìnale deH’umanità, dovesse avere un ca­ rattere al tempo stesso eminentemente corruttore e radicalmente contraddittorio. Da un lato, in effetti, il suo miglior mezzo di successo consisteva veramente nel cercare di interessare, per quanto possibile, qualsiasi influenza sociale, spirituale o tem­ porale, alla conservazione o alla restaurazione dell’organismo cattolico, persuadendo tutte le menti illuminate, con la tacita ri­ serva di una segreta emancipazione personale, che il rafforza­ mento.della loro potenza esigeva, in generale, da parte loro, una certa partecipazione permanente, sia attiva sia passiva, ai tenta­ tivi di ogni genere, destinati a mantenere il volgo sotto la tutela sacerdotale. Ora, una simile combinazione politica non poteva evidentemente avere, per sua natura, che un successo molto pre­ cario, limitato solo al tempo nel quale l’emancipazione teologica era ancora abbastanza concentrata: con la sua inevitabile e ultenore diffusione, quel processo, al principio odioso, è diventato, ai nostri giorni, essenzialmente ridicolo, finendo con l’organiz­ zare una specie di mistificazione universale, nella quale ognuno dovrebbe essere nello stesso tempo, c per lo stesso scopo, ingan­ natore ed ingannato. In secondo luogo, gli sforzi indispensabili di quell’intelligente corporazione, al fine di acquistare o di con­ servare la direzione, sempre più esclusiva, dell’istruzione pub­ blica, l’hanno trascinata dovunque a concorrere essa stessa poten­ temente al crescente propagarsi dei movimenti intellettuali, at­ traverso l’insegnamento continuo che nonostante l’estrema im­ perfezione si sarebbe cionondimeno ben presto rivoltato, sia tra gli allievi, sia tra gli stessi maestri, contro lo scopo iniziale di questo contraddittorio sistema. Le celebri missioni all’estero, così abilmente dirette, in generale, dalla Compagnia di Gesù, le sole cheabbiano mai avuto un reale successo sociale, presentano, sotto questo aspetto, un contrasto fortemente analogo, sebbene meno netto, per l’omaggio involontario che una simile politica era in questo modo costretta a rendere, sopra tutto per ciò che riguarda lescienze, a quello stesso sviluppo intellettuale delle società mo­ derne, del quale si sforzava di combattere, in Europa, le inevi­ tabili conseguenze ; mentre, all’estero, si onorava giustamente di attingervi le basi principali del suo ascendente spirituale, utiliz­ zato in séguito per introdurre credenze che prima si sentiva

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forzata ad allontanare o dissimulare. Sarebbe d'altra parte su­ perfluo insistere qui sui pericoli evidenti che doveva presen­ tare a questa istituzione una posizione tanto eccezionale nel com­ plesso dell'organismo cattolico, nel quale il sentimento naturale della superiorità del suo alto e particolare destino stimolava pro­ fondamente un’attiva e permanente gelosia di tutte le altre con­ gregazioni religiose, da allora gradualmente private di tutti i loro attributi più importanti e reali, e la cui invincibile antipatia ha più tardi neutralizzato nel seno stesso del clero cattolico, co­ me sappiamo, il rimorso che doveva causargli la perdita irrepa­ rabile di un simile sostegno. Questo è dunque l'unico sforzo veramente grande che ha po­ tuto tentare il cattolicesimo moderno contro l’irresistibile pro­ gresso del movimento di decadenza generale, organizzando, per quanto possibile, il mantenimento e la restaurazione della costi­ tuzione cattolica, sotto la comune direzione dei gesuiti, con la protezione particolare della monarchia spagnola, ormai divenuta il migliore appoggio naturale di questa politica, perché meglio preservata delle altre da contatti con gli eretici. Il celebre con­ cilio di Trento non poteva infatti avere, da questo punto di vista, se non un risultato esclusivamente negativo, che l’istinto dei papi pare aver presentito, come appare dalla loro profonda ri­ pugnanza a riunire ed a prolungare quell’impotente assemblea; la quale, nella sua lunga e coscienziosa revisione del sistema cat­ tolico nel suo insieme non ha potuto altro che constatare, con sterile ammirazione, la perfetta solidarietà, al tempo stesso intel­ lettuale e sociale, di tutte le sue parti importanti, e ha dovuto da allora, nonostante una predisposizione assai conciliante, giun­ gere alla dolorosa conclusione che non era possibile consentire ad alcuna delle concessioni, giudicate in quel tempo necessarie per la pace universale. Ogni saggia riflessione storica su questo argomento finirà, non temo di asserirlo, con il riconoscere, come ho già detto all’inizio di questo capitolo, che tutto lo sforzo es­ senziale di riforma, di cui l’organismo cattolico era veramente capace senza snaturarsi, era già stato tentato nel miglior modo tre secoli prima, esaurendosi ben presto, dalle due istituzioni, intellettuali e politiche, dei francescani e dei domenicani. Così, la vana formula popolare che, dal principio del xv secolo indi­ cava il maggior desiderio della cattolicità per l’universale rinno­

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vamento della chiesa, non costituiva, in fondo, che una manife­ stazione involontaria dell’ascendente naturale che lo spirito cri­ tico andava allora acquistando dovunque, in séguito al conti­ nuo progredire del movimento generale di disgregazione. Già irrevocabilmente trascinato verso la propria totale dissoluzione, il sistema cattolico non poteva più, a quell’epoca, apportare altra trasformazione che non fosse questa organizzazione, ormai ab­ bastanza descritta, della sua attiva e continua resistenza all’ulterio­ re evoluzione della parte migliore dell’umanità. È così che il cat­ tolicesimo, ormai ridotto, in Europa, a formare né più né meno che un partito, arrivò dovunque a perdere non solo la facoltà, ma anche la semplice volontà, di adempiere convenientemente al suo antico compito sociale. Assorto da allora neirinteressc, sempre più esclusivo, della propria conservazione, si è visto spesso trascinare nella sua interna solidarietà con la corona, ad ispirare o sanzionare le misure più contrarie al suo vero spirito partico­ lare; come fin troppo lo testimonia, per esempio, la storia com­ pleta del più esecrabile attentato politico che sia mai stato com­ messo. Con questi deplorevoli ricorsi alla forza materiale, di­ venuti tuttavia inevitabili, dopo il completo subordinamento del­ l'autorità cattolica al potere reale, il sistema di resistenza non fa­ ceva che constatare sempre più la sua impotenza intellettuale e morale, accelerando indirettamente la decadenza che tentava di frenare. In poche parole, l’insieme della scena politica ha preso, da quel tempo, il carattere essenziale che ha mantenuto fino ai nostri giorni; da Filippo II a Bonaparte, è sempre, salvo la dif­ ferenza naturale delle circostanze e dei mezzi, la stessa lotta fon­ damentale tra l’istinto retrogrado dell’antica organizzazione e lo spirito di progresso negativo, proprio alle nuove forze sociali; non vi è altra differenza essenziale, se non che quella situazione era allora assolutamente inevitabile, mentre al giorno d’oggi conserva erroneamente la stessa fisionomia solo in séguito alla mancanza di una filosofia veramente appropriata alla fase attuale dell’evoluzione generale, come dimostrerà naturalmente il sé­ guito della nostra elaborazione storica. Senza dubbio, questa tendenza retrograda sempre più pro­ nunciata non ha impedito alla gerarchia cattolica di imprigio­ nare, dopo il xvi secolo, molti uomini illustri, sia intellettual­ mente che moralmente, sebbene il numero ne sia diminuito con

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rapidità, a causa dell’istintiva ripugnanza che spesso provavano persone superiori. Ma la degenerazione sociale del cattolicesimo si nota sempre involontariamente nei personaggi stessi che lo hanno più convenientemente rappresentato in questo periodo finale. Specialmente nel campo intellettuale, non si può certo far altro che ammirare in Bossuet uno dei più sublimi pensatori che abbiano onorato la nostra specie, e forse la più potente intel­ ligenza dei tempi moderni, dopo Cartesio e Leibniz. Tuttavia, la sua vita, nel complesso, mi sembra molto adatta, sotto tutti gli aspetti, a dimostrare, nel modo più espressivo, l’irrevocabile di­ sorganizzazione della costituzione cattolica, sia per la deplore­ vole condizione logica di un simile spirito, che le esigenze con­ temporanee condannano, nonostante l’intima ripugnanza della sua devozione al papa, a difendere in modo dogmatico le incon­ seguenze gallicane ed a giustificare in modo preciso la moderna subordinazione della chiesa al trono; sia anche per quell’esistenza politicamente sottoposta, che riduce alla vana condizione di pa­ negirista ufficiale dei principali agenti di Luigi XIV, uno che, al tempo di Gregorio VII o di Innocenzo III sarebbe stato unanimamente riguardato come il loro degno successore nell’energico antagonismo dell’altare verso il trono. Non si può dunque guar­ dare al grande genio filosofico di Bossuet come a un vero prodot­ to del cattolicesimo, la cui sconfitta politica fu, al contrario, essen­ zialmente sfavorevole al suo libero estro, che sarebbe stato senza dubbio più completo per l’umanità e più soddisfacente per un simile spirito, se la sua posizione sociale avesse potuto essere quella di un pensatore indipendente, al modo di Cartesio e di Leibniz; mentre, nel medioevo, il sistema cattolico aveva invece potentemente concorso allo sviluppo normale delle grandi intel­ ligenze che lo rappresentarono, fornendo loro allo stesso tempo un campo d’azione ed una situazione conveniente. Anche l’or­ dine morale merita, sebbene ad un livello naturalmente minore, un giudizio essenzialmente analogo, applicabile persino ai tipi più nobili dei quali la Chiesa si è onorata nel suo declino univer­ sale, durante gli ultimi tre secoli. Per quanto giusta sia, per esem­ pio, la venerazione che deve ispirare sempre il commovente ri­ cordo delle virtù sublimi di san Carlo Borromeo e di san Vincen-

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zodc’ Paoli la loro infaticabile carità, illuminata quanto arden­ te, non aveva, in fondo, nessun carattere, ascetico o politico, che lariallacciasse esclusivamente al cattolicesimo, come nelle epoche passate; eccettuato il modo in cui si manifestavano, simili na­ ture potevano ormai ottenere la possibilità di uno sviluppo equi­ valente anche in altre sette religiose e perfino al di fuori di qual­ siasi credenza teologica. Del resto, non bisogna credere che lo spirito generale di re­ sistenza, più o meno attiva, aH’emancipazione intellettuale, ed il corrispondente carattere di ipocrisia più o meno sistematica, delle classi dirigenti siano stati, dopo il xvi secolo, particolari al cattolicesimo; essi si ritrovano anche nel protestantesimo, in mo­ do, in fondo non meno reale, sebbene sotto altre apparenze, do­ vunque esso abbia ottenuto la preminenza politica; infatti po­ teva mantenere le sue qualità progressiste in modo essenziale, solo fino a quando fosse rimasto all’opposizione, il solo stato pienamente conveniente alla sua natura; passato al governo, avrebbe dovuto ben presto divenire radicalmente ostile ad un ulteriore sviluppo della ragione umana. Se questo istinto retro­ grado del cattolicesimo moderno, evidentemente contrario alla sua stessa costituzione, prese un certo vantaggio solo per l’avan­ zare inevitabile della disorganizzazione del vecchio potere spiri­ tuale o del suo asservimento graduale al potere temporale, come avrebbe potuto il protestantesimo, che faceva di questa irrazio­ nale soggezione una specie di principio fondamentale, evitare leconseguenze del proprio legale trionfo? L ’ortodossia anglicana, per esempio, sebbene così rigorosamente imposta al volgo, per le necessità politiche del sistema che le corrispondeva, poteva inrealtà dar luogo normalmente a delle convinzioni molto pro­ fonde ed a un rispetto davvero sincero tra quei lo rd i, le cui de­ cisioni in parlamento ne avevano tanto spesso arbitrariamente modificato i diversi articoli, c che dovevano ufficialmente con­ cepire il regolamento stesso della loro fede come uno degli at­ tributi essenziali della loro casta ? Quanto all’opporsi con la forza contro ogni ulteriore sforzo dello spirito di emancipazione, fu, per il cattolicesimo, solo una conseguenza inevitabile della sual. l. S. Vincenzo de" Paoli, sacerdote francese (1576-1660), celebre per la sua cariti, fondatore di ordini religiosi e di istituzioni di cariti.

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disorganizzazione moderna; mentre, per il protestantesimo era, al contrario, necessariamente legata alla sua natura in generale, a causa dell’interiore confusione tra le due discipline che esso consacrava, e si sarebbe mostrata appena il suo effettivo potere si fosse sufficientemente affermato, come una lunga esperienza ha dovunque dimostrato fin troppo. Queste due conseguenze non si sono fermate solo alla fase primitiva del protestantesimo, con­ siderata in rapporto a tutte le forme posteriori, attraverso lo spi­ rito dispotico del luteranesimo, sia anglicano che germanico; esse hanno caratterizzato nello stesso modo anche le sètte nelle quali la disorganizzazione spirituale era più avanzata4, non appena il potere passò, anche per poco tempo, nelle loro mani; come lo testimoniano tanti deplorevoli esempi, adatti a fare esattamente apprezzare il preteso spirito di tolleranza delle dottrine che su­ bordinano l’ordine spirituale a quello temporale. A proposito di questo sistema di resistenza che distingue il cattolicesimo moderno, bisogna infine notare soprattutto che, lungi dairessere stato, come si crede al giorno d’oggi, unica­ mente nocivo per l’evoluzione sociale corrispondente, esso ha costituito, al contrario, uno dei due elementi essenziali dell’antagauismo generale che dominò la progressione politica, durante tutto il corso dei tre ultimi secoli. Non parlo solo della sua azio­ ne continua per mantenere l’indispensabile ordine pubblico, che, allora come oggi, era sottoposto alla forza di resistenza del vec­ chio regime, nonostante il suo carattere più o meno retrogrado, dato che le tendenze progressive non potevano essere altro che a. Senza far anticipazioni poco a proposito sul secondo periodo dd movimento critico, mi sembra utile far qui notare, a questo proposito, che lo stesso deista Rousseau è stato spinto a proporre, nella sua opera più dogmatica, lo sterminio legale di tutti gii atei come una delle condizioni essenziali dell’ordine politico che aveva concepito; quanto ai suoi disce­ poli, essi hanno fin troppo dimostrato la loro naturale disposizione a mettere in atto quella massima, sempre a causa del dogma dell’asservimento generale del potere temporale; il che, a mio avviso, è la più im­ portante fonte della maggior parte delle aberrazioni che seguirono, e, su questo argomento, spinge naturalmente a sostituire la persuasione con la violenza. i. J.-J. Roussnu, Contrai social, eap. XVII, a.

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eminentemente negative; questo importante argomento è stato già trattato a sufficienza nel primo capitolo del volume prece­ dente, al quale rinvio il lettore, invitandolo ad applicare a quel passato, con motivi plausibili, ciò che vi riguarda il presente; poiché, sotto questo aspetto, la situazione sociale ha compietamente conservato, fino ad ora, quella natura che aveva mani­ festato nel xvi secolo. Con una considerazione più particolar­ mente adatta alla prima fase della dottrina eretica, vorrei far sentire agli spiriti -veramente filosofici i vantaggi essenziali, al tempo stesso intellettuali e politici, che l’evoluzione finale del­ l'umanità ha tratto da questa attiva opposizione del cattolicesi­ mo al propagarsi spontaneo del movimento protestante. Nel­ l'ordine puramente intellettuale è evidente che questo primo slancio incompleto dello spirito d’investigazione in virtù delle mezze soddisfazioni che da principio procura alla ragione uma­ na, tende a ritardare, in séguito, la sua vera emancipazione, so­ prattutto tra il volgo, lusingando direttamente la naturale iner­ zia della nostra orgogliosa intelligenza. Succede pressappoco lo stessodal punto di vista politico, quando vediamo il protestante­ simo apportare alla vecchia organizzazione modifiche che, no­ nostante la loro radicale insufficienza, mantengono per lungo tempo una funesta illusione sulla necessaria tendenza delle so­ cietà moderne verso una vera rigenerazione fondamentale. Così, le nazioni protestanti dopo avere superato in diversi modi, con i progressi sociali, i popoli ancora cattolici, sono in séguito rimamasti, nonostante le apparenze contrarie, essenzialmente arretrati per lo sviluppo finale del movimento rivoluzionario, come ve­ dremo più avanti. Se quel primo trionfo del protestantesimo fosse diventato universale, cosa che fortunatamente era impossi­ bile, non c’è dubbio, mi sembra, che avrebbe impedito finora l’estendersi completo del grande fenomeno della decadenza, che stiamo studiando; in séguito a ciò, la situazione sociale, senza essere veramente meno tempestosa di quanto non sia ai nostri giorni, si troverebbe certamente ben più lontana, sotto tutti gli aspetti, dalla sua soluzione generale; che, in una simile ipotesi, sembrerebbe dipendere dalla conservazione indefinita del vecchio organismo nello stato di semi-putrefazione consacrato dalla po­ litica protestante. La necessaria resistenza del cattolicesimo ha dunque involontariamente esercitato, in generale, un’azione sa­

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lutare nello stato definitivo, sia intellettuale sia politico, di tutto il movimento rivoluzionario, trattenendo in modo naturale il suo inevitabile slancio fino a che è divenuto sufficientemente rilevante. Paragonando sotto questo aspetto, i diversi casi princi­ pali, è facile capire come il più favorevole dovesse essere vera­ mente quello della Francia, dove il lievito protestante era da principio penetrato a sufficienza per spingere immediatamente verso l’emancipazione spirituale, senza poter tuttavia ottenervi un potere legale, che avrebbe gravemente ostacolato ed alterato Tintero sviluppo successivo. Quando la degradazione cattolica arrivò fino all’espulsione violenta dei protestanti, tale provvedi­ mento dovette avere, a diversi livelli parziali, deplorevoli conse­ guenze politiche, soprattutto per ciò che riguardava il progresso industriale; ma non presentò alcun pericolo essenziale per la più importante evoluzione sociale, la quale, al punto che aveva allora raggiunto ne fu molto più accelerata che rallentata. Dopo aver così convenientemente esaminato la prima fase ge­ nerale della dottrina critica nel suo scopo più diretto ed impor­ tante, per ciò che riguarda la dissoluzione politica dell’antica costituzione spirituale, è facile descrivere sommariamente la sua inevitabile influenza sulla disorganizzazione temporale, che con­ tinuava a progredire, come risultato permanente del decadi­ mento spontaneo che abbiamo riconosciuto proprio ai due secoli precedenti. Abbiamo già dimostrato implicitamente, a tale propo­ sito, la tendenza generale dell'epoca a completare in modo siste­ matico quella operazione preliminare, concentrando in maniera regolare tutti gli antichi poteri sociali intorno all’elemento tempo­ rale predominante, sia che, come in Francia e quasi dovunque, esso fosse la potenza reale o, al contrario, fossero le forze ari­ stocratiche, per un’anomalia particolare dell'Inghilterra e di qual­ che altro paese, come ho già spiegato. In entrambi i casi, l'unico elemento rimasto attivo si trovò da allora investito di un potere dittatoriale permanente veramente notevole la cui stabilizzazione, ritardata dai problemi religiosi, non divenne tuttavia pienamente caratteristica da tutti i punti di vista, se non durante la seconda metà del xvm secolo; e che, nonostante fosse stato costituito ec­ cezionalmente, si prolungò essenzialmente fino ai nostri giorni, nello stesso tempo della corrispondente situazione sociale, al fine di dirigere il sistema politico, durante tutto il resto del grande

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trapasso critico, data la profonda cd evidente incapacità orga­ nica, che abbiamo dimostrato, degli agenti particolari di questo trapasso. Non si può dubitare che questa lunga dittatura, reale o aristocratica, non fosse la conseguenza inevitabile e al tempo stesso l’indispensabile correttivo della disorganizzazione spiri­ tuale, che senza di ciò, avrebbe certamente spinto alla rovina universale le società moderne ; noi riconosceremo d’altra parte, nel capitolo seguente, la sua felice e necessaria influenza nell’affrettare contemporaneamente lo sforzo spontaneo dei nuovi ele­ menti sociali, e persino nel secondare, fino ad un certo punto, il loro avvento politico. Paragonando convenientemente * i due mondi opposti che vi abbiamo distinto, si può stabilire con facilità, in generale, e nono­ stante l’anglomania cronica dei nostri comuni pubblicisti, la su­ periorità fondamentale del modo normale, o francese, sul modo eccezionale, o inglese; sia per quanto concerne la totale disgre­ gazione dell’antico sistema sociale, sia per la completa riorganiz­ zazione che deve succedergli; senza tuttavia disconoscere, sotto entrambi i punti di vista i reali vantaggi di ciascuno dei due sistemi. Per il primo aspetto, il solo che rientra in questo capi­ tolo, è chiaro, infatti, come ho già lasciato intravedere, che l’in­ sieme del regime medioevale fu condotto ad uno stadio molto a. Un'irrazionale valutazione dello sviluppo sociale comparato della Francia r delPInghilterra ha spesso portato, ai nostri giorni, a vane concezioni storiche, essenzialmente contrarie all’insieme di quei due pas­ sati dal medioevo in poi. Esistono, a tale proposito, tra questi due popoli, differenze talmente radicali che, studiandovi progressivamente gli stati successivi della monarchia e dell'aristocrazia, un buon metodo compa­ rativo deve cercare di cogliere in uno, non l’analogo, ma l’inverso di quello che osserva nell'altro, sostituendo l’ascesa e la decadenza di cia­ scuno di questi due elementi temporali con quella del suo antagonista. Attraverso questo contrasto continuo, si noterà sempre un’esatta corrispon­ denza tra le due storie, che, per vie equivalenti anche se opposte, cammi­ nano nello stesso modo durante tutto il corso degli ultimi cinque secoli verso la completa dissoluzione del sistema teologico e militare. Conce­ pito cosi, un simile accostamento storico può diventare veramente fecondo di preziose indicazioni politiche; mentre, al contrario, fino ad ora non è quasi mai servito, almeno in Francia, se non a confondere molto la mag­ gior parte delle questioni sociali, con un’errata interpretazione dei fatti, legata soprattutto alla mancanza di qualsiasi giusta teoria fondamentale sull'evoluzione generale dell’umanità.

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più vicino alla sua completa estinzione con la soluzione, francese, di una dittatura reale, piuttosto che con quella inglese, con la dittatura aristocratica; ciononostante, queste due generazioni contemporanee hanno sempre, per una strada o per l'altra, rotto irrevocabilmente il grande equilibrio feudale; inoltre l’inevita­ bile contatto politico di queste popolazioni doveva tendere na­ turalmente, in séguito, a livellare le due operazioni negative, Tuna complementare dell’altra nella distruzione dell’intero si­ stema. Da principio, essendo l'elemento reale evidentemente più indispensabile per un simile sistema, che non quello nobiliare, ne derivò che la monarchia poté, in Francia, far molto meglio a meno dell'aristocrazia, che non questa di quella in Inghilterra, in modo che il potere aristocratico fu necessariamente più sotto­ mano in Francia che non il potere reale in Inghilterra. Si «pi­ sce inoltre che, nonostante il comune predominio finale, più avanti descritto, dello spirito retrogrado o almeno conservatore delle due dittature, la forza di resistenza della monarchia fran­ cese, da allora politicamente isolata, nel mezzo di una popola­ zione vivamente spinta all’emancipazione mentale e sociale con­ tro la successiva evoluzione della civiltà moderna, dovette essere molto minore, che non l'attiva opposizione dell’aristocrazia in­ glese, intimamente legata, per una lunga ed anteriore solidarietà, con il resto della popolazione. Inoltre, il principio delle caste, la vera base temporale dell’antica costituzione, è stato, senza dub­ bio, ben altrimenti distrutto, quando la sua applicazione essen­ ziale si è dovuta limitare in Francia, ad una sola famiglia ecce­ zionale, per quanto eminente fosse la sua posizione, che non re­ stando consacrato, come in Inghilterra, da un gran numero di famiglie distinte, il cui continuo rinnovarsi tendeva incessante­ mente a ringiovanirle, senza che quelle aggregatesi più recente­ mente fossero necessariamente le meno oppressive. Qualunque sia l’orgoglio che ispira naturalmente all’oligarchia inglese il suo antico compito storico di mettere e togliere i re, il raro eser­ cizio di un tale privilegio non poteva di certo alterare tanto lo spirito generale dell’organizzazione temporale, quanto l’audace facoltà permanente di creare a piacere dei nobili, di cui i nostri re si sono appropriati non meno anticamente, e che divenne in­ finitamente più usuale; al punto stesso di rendere la nobiltà qua­ si ridicola già fin dall’inizio della fase rivoluzionaria che esami-

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diamo. Per completarne in modo conveniente la valutazione bi­ sogna ora notare, come indicano in modo evidente i fatti, che, passata dallo stato di opposizione a quello di governo, la metafi­ sica protestante non si è mostrata affatto contraria in nessun luogo, e meno che mai in Inghilterra, allo spirito di casta, che ha perfino cercato, con una operazione retrograda, di restaurare completamente, reintegrandoci, per quanto possibile, il carattere sacerdotale che la filosofia cattolica le aveva tolto in maniera ra­ dicale. Limitandoci, a tale proposito, a segnalare il caso più im­ portante e più caratteristico, vediamo, per esempio, il genio cat­ tolico, con intenzione evidentemente opposta allo spirito di casta e preoccupato del problema della capacità, respingere sempre direttamente, soprattutto in Francia, l’avvento delle donne alla funzione reale o perfino feudale- mentre il protestantesimo uf­ ficiale in Inghilterra, in Svezia e altrove, consacra pienamente resistenza politica delle regine e persino delle nobili; questo strano contrasto doveva d’altronde sembrare ancora più decisivo, in quanto la politica protestante aveva dovunque già investito solennemente il trono della dignità di un vero c proprio papato nazionale. La stabilizzazione generale, da principio spontanea e quindi sistematica, della dittatura temporale che ho descritto, doveva essere a lungo ostacolata da una prima influenza politica del protestantesimo, che si fece ugualmente sentire, in modo inverso, ma equivalente, su due modi essenziali che abbiamo paragonato. Sebbene per l’insieme delle conseguenze il protestantesimo abbia senza dubbio accelerato, alla fine, la disorganizzazione totale dell’antico sistema sociale, bisogna tuttavia riconoscere che nei diversi casi importanti, la sua azione iniziale tese spontaneamente piuttosto a ritardare di molto la decadenza temporale, procuran­ do nuove forze a quello dei due elementi principali che la fase anteriore del movimento rivoluzionario aveva già destinato a soccombere. Questa conseguenza si è verificata nel modo più na­ turale, in Inghilterra e negli altri casi analoghi, in séguito al ca­ rattere pontificale che il trono vi aveva appena acquisito e che, pur senza riuscire ad ispirare convinzioni molto profonde, era tuttavia di natura tale, da compensare, all’inizio, tra le masse il preliminare declino di quella potenza la quale da allora acqui­ stò per quasi un secolo, un predominio eccezionale, successiva

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fonte delle più gravi complicazioni politiche, quando venne l’ine­ vitabile momento del ritorno naturale di quella società al suo normale progredire. II protestantesimo determinò contempora­ neamente nel continente, e persino in Scozia, ma soprattutto in Francia, una situazione equivalente, sebbene inversa, fornendo necessariamente alla nobiltà mezzi nuovi per la resistenza al cre­ scente potere dei re; e, per adattarsi convenientemente a quella apparente varietà di scopi temporali, gli bastò di prendere par­ ticolarmente, in questo secondo caso, la forma presbiteriana o calvinista, che era la più adatta allo stato di opposizione, in luogo della forma episcopale o luterana, che corrispondeva allo stato di governo. Da tutto ciò, prima una violenta repressione o un'agi­ tazione convulsa, prodotte da quella delle due forze che voleva riparare in questo modo alla sua decadenza anteriore; e poi, conseguenze esattamente reciproche, quando l’elemento antago­ nista tende a riconquistare la sua antica preponderanza; la massa della popolazione continuava d’altra parte a non intervenire an­ cora, come nelle lotte precedenti, se non a titolo di semplice ap­ poggio naturale, la cui cooperazione, tuttavia, sempre più indi­ spensabile, annuncia già, sebbene confusamente, imminenti ten­ denze personali. Questa è, mi sembra, al tempo stesso l’esatta valutazione e la spiegazione generale delle memorabili agitazioni sociali che, in due fasi necessarie, si svolsero rispettivamente in Francia ed in Inghilterra, ed ebbero luogo ugualmente in tutto il resto deiroccidente europeo, dalla metà circa del xvi secolo fino a quella del xvm. È senza dubbio superfluo insistere per far comprendere al lettore illuminato come l’insieme dei fatti sto­ rici confermi realmente, perfino in Francia, questa importante indicazione spontanea della nostra teoria sociologica. Ci si spiega così facilmente la completa impopolarità che, salvo in qualche località secondaria, ha sempre circondato il calvinismo francese; all’inizio essenzialmente accolto dalla nobiltà come un potente mezzo per ricuperare, nei confronti del trono, la sua antica in­ dipendenza feudale, ed in séguito, decisamente respinto dal vec­ chio istinto antiaristocratico della massa popolare; la quale cosa è dimostrata soprattutto dall’ammirevole resistenza del buon senso parigino alle seduzioni democratiche della dottrina pre­ sbiteriana.

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Non mi sembra inutile segnalare qui un'appendice naturale egenerale, sebbene accessoria e passeggierà, della fase temporale cheho appena giudicato, segnalando in essa un tentativo politico diretto, necessariamente infruttuoso, da parte degli organi spe­ ciali del trapasso critico, per la riuscita di quell’antagonismo fi­ nale contro il predominio, ormai in apparenza assoluto, dell’ele­ mento temporale che era rimasto alla fine predominante. Vedia­ mo, infatti, i metafisici ed i giuristi, che avevano sempre tanto efficacemente secondato il suo trionfo, sfogarsi, contemporanea­ mente in Francia ed in Inghilterra, a restringere a vantaggio della propria classe quello stesso potere che avevano cercato di rafforzare per sempre contro il suo antico rivale e del quale essi temevano giustamente, fin d’allora, la tendenza inevitabile ad invasioni infinite, non appena questa mancanza di avversari l’avesse condotto a sdegnare l’intervento ulteriore dei suoi an­ tichi agenti, che questa nuova situazione dovesse rendere d’al­ tronde più esigenti. Questi sono i fatti che spiegano facilmente i tentativi contem­ poranci dei parlamenti francesi contro l’autorità reale, che vo­ gliono controllare nella scelta dei ministri, e dei più importanti capi della Camera dei Comuni d’Inghilterra che vogliono subor­ dinarle la camera dei lords, sia prima, sia dopo la morte di Carlo . Anche se questi sforzi prematuri, in mancanza di pro­ fonde basi popolari, non potevano evidentemente ottenere alcun successo durevole, né ostacolare in modo essenziale il necessario avvento della dittatura corrispondente, tanto efficacemente so­ stenuta dal complesso della situazione sociale, era tuttavia neces­ sario descriverli rapidamente, perché confermano esattamente l’indicazione iniziale della tendenza spontanea dei giuristi e dei metafisici a dirigere ormai da soli il grande movimento politico, nel quale non avevano fino ad allora figurato se non come sem­ plici appoggi, per quanto importante e persino indispensabile fosse stato altre volte il loro continuo intervento. Infine, per completare convenientemente un esatto giudizio storico sulla grande dittatura temporale che abbiamo preso in considerazione, non mi resta se non indicare lo spirito generale che essa sviluppò finalmente dovunque, dopo aver rafforzato a sufficienza il suo ascendente politico, a parte le diversità dei mez­

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persino le ineguaglianze di grado, richiesti dalle relative situazioni sociali; spirito comune e definitivo che venne da al­ lora giudicato il più conforme alla sua vera natura fondamentale. Ora, è facile vedere, a questo proposito, nei due casi essenziali che più avanti distinguerò, come l’elemento temporale che rima­ neva predominante cercasse sempre di reintegrare l’esistenza so­ ciale del suo antico antagonista; il quale, da parte sua, alla fine accettava in forma più o meno esplicita, un’eterna sottomissione politica. Niente era certo più naturale di una simile conver­ sione, data l’iniziale somiglianza di origine, di casta e di educazione, che esisteva naturalmente tra il re e l’aristocrazia e che doveva necessariamente condurli ad un’intima unione, ap­ pena le rivalità di prestigio avrebbero smesso di contenerne le in­ fluenze permanenti. Il potere predominante aveva già fatto pre­ sentire chiaramente questa tendenza nuova, nel modo col quale stava allontanando i suoi antichi alleati, nel breve periodo acces­ sorio che ho messo in luce e che costituisce storicamente una spe­ cie di trapasso normale tra le ultime lotte essenziali dei due ele­ menti temporali, ed il pacifico piegarsi dell’uno all’altro, dive­ nuto ormai sempre più forte. Ciascuna delle due forze è da al­ lora giunta, in séguito al suo stesso trionfo politico, a svelare spontaneamente e nel modo più preciso, il vero motivo fondamentale delle sue vecchie concessioni democratiche, quasi sem­ pre dovute soltanto agli interessi della propria ambizione, piut­ tosto che ad una vera inclinazione popolare, come prova il fatto che, da allora in poi, ha sempre impiegato il suo potere finale a profitto del suo antico avversario e contro il suo invariabile al­ leato. Tale è stato, dopo il suo predominio definitivo, l’atteggia­ mento generale dell’aristocrazia inglese verso il trono, ormai po­ sto sotto la sua tutela sempre più affettuosa; tale è stata, a partite da Luigi XIV, la predilezione reciproca c crescente della mo­ narchia francese per la nobiltà finalmente del tutto asservita’; zi e

a. D ’altronde, questa conseguenza finale, tanto evidente in Luigi XIV. delle tendenze della monarchia francese verso gli antichi nemici politici, ha concorso a completare il movimento già in atto di disgregazione feu­ dale, attraverso il crescente svilimento che doveva necessariamente colpi« la nobiltà in séguito a tale trasformazione definitiva degli antichi cap> feudali francesi, volontariamente ridotti ormai, dopo tante lotte, alla eoo

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secondo caso, per sua natura, molto più pronunciato del primo, a causa di una più profonda depressione precedente e di una meno pericolosa restaurazione attuale, come abbiamo spiegato più sopra. Sebbene, in linea di principio, il calcolo diriga certa­ mente meno la vita pubblica che quella privata, simili cambia­ menti vengono attribuiti troppo spesso a profondi disegni, men­ tresono dovuti sia da una parte, che dall’altra, all’attrazione in­ volontaria delle affinità naturali, salvo l’ulteriore influenza di ri­ flessioni relative all’utilità della nuova alleanza come mezzo per resistere al movimento rivoluzionario, che doveva da allora di­ ventare ben presto sistematico. Vediamo così riprodursi per la seconda volta, e in modo senza dubbio molto meno scusabile, seppure quasi ugualmente inevitabile, la fatale illusione che, al momento in cui il potere spirituale era stato assorbito da quello temporale, aveva portato quest’ultimo a confondere un peso con un sostegno; più la disgregazione avanzava, più questo errore capitale diventava pericoloso e grossolano. Quest’ultima trasfor­ mazione merita qui molta più attenzione, in quanto pone nei suoi veri termini naturali la disorganizzazione spontanea della fase precedente, prolungatasi di necessità anche in questa fino a che, con il conflitto universale dei diversi elementi essenziali del vecchio regime, i vari resti di quel sistema furono infine riu­ niti intorno ad un unico elemento, rimasto ormai l’unico attivo, dopo aver successivamente assorbito o assoggettato tutti gli altri, operazione terminata completamente solo all’epoca che conside­ riamo ora, e a partire dalla quale vediamo la decadenza che, assumendo un nuovo carattere, tende direttamente e sempre più verso una rivoluzione decisiva, essenzialmente impossibile prima che il conflitto disgregatore avesse raggiunto il suo scopo defi­ nitivo, Infine, è in questo modo che la dittatura temporale, reale o aristocratica, mentre si completava con la fine degli ultimi an­ tagonismi, prese da allora un carattere essenzialmente retrogra­ do, che non aveva potuto svilupparsi chiaramente prima che essa avesse perfezionato la disfatta di un elemento più direttamente ostile allo scopo finale delle società moderne. È dunque solo da dizione più o meno vile di cortigiani nel vero senso della parola', tuttavia così pochi fra loro si sono saputi conservare con un giusto senso della loro dignità aristocratica.

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quel momento che bisogna considerare realmente compiuta, per quanto possibile, l’intera organizzazione universale, sotto forme diverse, del sistema di resistenza più o meno retrograda, abboz­ zata in modo primitivo da Filippo II, con il continuo suggeri­ mento dei gesuiti, contro l’insieme del quale puntava ora diret­ tamente lo spirito rivoluzionario, ben presto giunto alla sua pieni maturità soprattutto in Francia; sulla quale dovremo, da questo momento, concentrare ogni studio importante e ulteriore del grande movimento di disgregazione. Dopo la sua completa stabilizzazione, la dittatura temporale, della quale ho appena terminato l’esame fondamentale, alterò in modo grave, necessariamente a scapito dell’antico sistema so­ ciale, il carattere e l’esistenza propri al potere corrispondente, passato così dallo stato primitivo di semplice elemento ad avere un ascendente universale, che non poteva convenire alla sua na­ tura reale. I re, da principio semplici capi guerrieri del medio­ evo, dovevano essere senza dubbio sempre più incapaci di eser­ citare veramente le immense funzioni che avevano gradualmente conquistato a tutti gli altri poteri sociali. A causa di ciò, quasi all’inizio di questa centralizzazione rivoluzionaria, vediamo sor­ gere dovunque spontaneamente a poco a poco una nuova forza politica, il potere ministeriale propriamente detto, essenzialmente estraneo al vero regime medioevales il quale, sebbene derivato e secondario, diviene sempre più indispensabile alla nuova posi­ zione del trono e, in conseguenza, tende ad acquistare un’im­ portanza sempre più separata e persino indipendente. Luigi XI è, mi sembra, in Europa l’ultimo re che abbia veramente go­ vernato da solo il complesso degli affari del trono, nonostante le varie pretese di alcuni tra i suoi successori; e, quali che fossero le sue famose capacità politiche, egli avrebbe certamente provato il bisogno di avere veri ministri e non semplici agenti, se la disgregazione del vecchio sistema, e, di conseguenza, la fora. Questa idea generale non conosce eccezioni veramente importino, se non quella che riguarda il grande Federico. Ma quest’unica anomalia, relativa ad uno stato formato da poco, ed all’uomo piò eminente che ah bia regnato dopo Carlo Magno, non potrebbe evidentemente alterare ir nessun modo, la fondamentale esattezza di una simile osservazione sul l’insufficienza crescente della capacità reale nei tempi moderni, mentre li grande dittatura temporale vi si andava gradualmente completando.

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mazione della dittatura reale, fossero state allora così avan­ zate come lo divennero due secoli dopo. Un giudizio superfi­ ciale può dunque solo, per esempio, far attribuire soprattutto a cause puramente personali l’elevata posizione del grande Ri­ chelieu, derivata essenzialmente da questa nuova situazione po­ litica; persino prima di quest’ammirevole ministro, e principal­ mente dopo di lui, uomini di capacità molto inferiori alle sue hanno ottenuto un’autorità non meno reale e forse ancora più vasta, quando il loro carattere si è trovato sufficientemente a livello con la loro posizione. Ora, una tale istituzione è neces­ sariamente la confessione involontaria di una specie di impo­ tenza radicale da parte di un potere che, dopo aver assorbito tutte le funzioni politiche, è portato ad abdicare spontaneamente alla direzione effettiva di esse, in modo da alterare gravemente, sia la sua dignità sociale, che la sua indipendenza; nel cinquan­ taseiesimo capitolo indicherò d’altra parte l'ulteriore destino che è probabilmente riservato a questa singolare creazione, co­ me mezzo regolare di trapasso politico verso la riorganizzazione finale. Questo naturale decrescere dell’autorità reale in seguito al suo stesso trionfo appare caratteristico soprattutto se si con­ sidera la sua estensione fino alle funzioni militari stesse, princi­ pale attributo naturale di quella autorità. Vediamo infatti do­ vunque, e soprattutto in Francia, dal x v i i secolo, i re che rinun­ ciano essenzialmente, nonostante le vane dimostrazioni ufficiali, all’effettivo comando dell’esercito, che evidentemente diveniva sempre più incompatibile con l’insieme del loro nuovo carattere politico. Del resto, sebbene solo per maggior chiarezza io abbia pensato di dover qui indicare particolarmente quelfindebolimento nella sola dittatura reale, in cui era più notevole, bisogna riconoscere che non è, in fondo, meno applicabile, a parte la diversità nel modo di manifestarsi, alla stessa dittatura aristocra­ tica, come risultato necessario di una simile situazione. Quale sia, per esempio, l’orgogliosa pretesa dell’oligarchia inglese al­ l’alta ed esclusiva direzione del suo sistema politico, essa non è stata meno spinta della monarchia francese, e quasi nella stessa epoca, ad affidare sempre più le sue funzioni principali a mini­ stri presi al di fuori, e anche a scegliere abitualmente nelle caste inferiori i vari capi delle operazioni militari, sia terrestri sia ma­ rittime; solamente, essa poté dissimulare meglio queste due nuo­

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ve necessità, incorporando con rassegnazione e talvolta persino con abilità, gli organi estranei che era costretta a prendere in pre­ stito, per il senso involontario della propria insufficienza. Quasi un secolo prima, l’aristocrazia veneziana aveva già subito una simile diminuzione politica, in séguito ad una situazione si­ mile, sebbene meno pronunciata. Tali sintomi generali dovevano confermare direttamente il destino altamente precario della dittatura temporale, che, dai due punti di vista principali, non poteva essere veramente mo­ tivata, se non neH’imminente bisogno sociale di una resistenza sufficiente e centrale contro il disastro universale al quale ten­ deva sempre più lo sviluppo continuo del grande movimento di disgregazione che studiamo. Riguardate sotto un altro aspetto, queste osservazioni conducono anche a misurare il progresso ca­ pitale che faceva, in questa nuova fase rivoluzionaria, la de­ cadenza generale dello spirito militare, manifestatasi subito, nella fase precedente, con il comune sostituirsi dell’esercito perma­ nente alle antiche milizie feudali, come ho detto più sopra. È chiaro, infatti, che la rinuncia dei re al comando effettivo, e la nascita contemporanea del potere ministeriale, tanto spesso eser­ citato dai personaggi estranei alla guerra, doveva tendere a su­ bordinare sempre di più la professione delle armi, che la sua stessa specializzazione aveva già colpito con una disistima cre­ scente in confronto alla sua supremazia feudale, le cui formule ufficiali non facevano ormai altro che riprodurre vanamente il lontano ricordo, decantato ancora oggi dall’arretrata abitudine della folla degli oratori politici, che non hanno ancora capito, a questo proposito, i profondi mutamenti delle società europee fin dal xrv secolo. Quando l’impressione troppo limitata delle grandi guerre moderne tende a produrre una pericolosa illusione sulla decadenza continua del regime e dello spirito militare, non saprei consigliare un metodo migliore per dissiparla, che quello di condurre un minuzioso esame comparativo su questo argo­ mento fra le società attuali e quelle dell’antichità, o anche del medioevo; questo sarà sempre sufficiente per dimostrare natural­ mente, senza la minima incertezza, la vera direzione dell'evolu­ zione umana sotto questo punto di vista. Affinché questo con­ fronto sia abbastanza decisivo, non è neppure necessario esten­ derlo all’intensità, alla molteplicità e soprattutto alla continuità

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delle rispettive guerre, né alla partecipazione effettiva dell’insieme della popolazione; ci si può limitare, circoscrivendola il più semplicemente possibile, a mettere a confronto, da una parte e dall’altra, la posizione abituale e la normale potenza dei capi mi­ litari. Già Machiavelli, all’inizio del xvi secolo, aveva giusta­ mente fatto notare, sebbene con intenzioni molto poco filosòfi­ che, l’esistenza precaria e dipendente dei generali modernil, ri­ dotti alla condizione di semplici agenti di un’autorità civile sem­ pre più ombrosa, paragonata al potere quasi assoluto ed inde­ finito del quale godevano, soprattutto a Roma, gli antichi ge­ nerali durante tutta la durata delle operazioni, e che, in effetti, era indispensabile alla libera azione del sistema di conquista. Ora, ciò che Machiavelli credeva essere una specie di anomalia passeggierà, particolare degli Stati italiani, e soprattutto di Vene­ zia, che ne dava l’esempio da quasi un secolo, è al contrario, divenuta, in séguito, in modo sempre più pronunciato, la situa­ zione normale di tutti gli stati europei, senza eccezione per i più estesi ed i più potenti; in essi, sotto ogni forma politica, i capi della guerra, ormai profondamente subordinati al potere civile, sono stati di solito assoggettati, malgrado i più importanti ser­ vigi resi, ad una specie di sistema continuo di sospetto e di sorve­ glianza, spesso spinto fino a derubarli dell’altra direzione delle spedizioni di qualche importanza, offensive e persino difensive, quasi sempre decise, non solo nella concezione, ma anche nella parte importante dell’esecuzione, da ministri non militari. Le vane lamentele di Machiavelli a questo proposito sarebbero sen­ za dubbio ripetute anche dai nostri guerrieri, se l’opinione dei militari avesse conservato la sua antica importanza politica, poi­ ché una simile situazione è molto poco favorevole ad un successo abituale delle spedizioni; ma queste sterili recriminazioni non hanno impedito, da tre secoli, ed impediranno probabilmente ancora meno nell’avvenire, lo sviluppo continuo delle nuove abi­ tudini, determinate naturalmente dal graduale rinnovamento delle opinioni e del costume sociale, e, d’altra parte, tacitamente ratificate dalla libera adesione quotidiana dei generali stessi, ai quali le tanto penose condizioni abituali non hanno impedito mai fino ad ora di sollecitare, come meglio possono, il comandoi. i. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, II, cap. XXXIH.

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degli eserciti moderni. Niente è dunque più adatto di un simile cambiamento, al tempo stesso spontaneo ed universale, per far grandemente risaltare la natura antimilitarista delle società mo­ derne, per le quali la guerra costituisce necessariamente uno stato sempre più eccezionale, i cui brevi e rari periodi non offrono, nemmeno nella loro durata, se non un interesse sociale sempre più accessorio, salvo che per la classe particolare e sempre più circoscritta, che vi si dedica esclusivamente. Questa innegabile constatazione è chiaramente confermata da un attento studio delle grandi guerre che riempiono, quasi senza intervallo, la memorabile epoca che noi analizziamo, seb­ bene la loro esistenza sia stata di sovente invocata per contestare la dottrina storica sulla decadenza continua della spirito mili­ tare. Del resto, un esame approfondito sulla vera natura politica di queste guerre mostra in modo preciso come esse cessassero, in generale, di venire provocate essenzialmente, come nel periodo precedente, dall’esuberanza feudale delle attività militari, dopo la diminuzione dell’autorità europea dei papi. Si possono vera­ mente attribuire, in linea di principio, al prolungarsi di quel­ l'impulso, soltanto le famose guerre della prima metà del xvi secolo, durante la rivalità di Francesco I e Carlo V, in séguito all’invasione francese in Italia; il diffondersi naturale del siste­ ma degli eserciti permanenti e le nuove risorse, procurate do­ vunque dallo sviluppo industriale, spiegano d’altra parte, natural­ mente, la maggiore importanza di queste spedizioni; e bisogna ancora riconoscere, nonostante l’illusione dovuta ad un residuo di influenza dei costumi cavallereschi, che quella guerra diven­ ne ben presto essenzialmente difensiva da parte della Francia, che lottava energicamente per mantenere la propria nazionalità, contro le pericolose pretese di Carlo V ad una specie di monar­ chia universale. Comunque sia, l’azione politica del protestan­ tesimo non mancò affatto di rendere, da questo punto di vista, un servizio fondamentale alla successiva evoluzione della parte migliore dell’umanità, impedendo completamente ogni sforzo vasto e continuato dello spirito di conquista, con la preoccupa­ zione dei disordini interni e fornendo naturalmente un nuovo scopo ed un diverso corso alle attività militari, da allora coin­ volte nella grande lotta sodale tra il sistema di conservazione c l’istinto progressista; e non dimentico, d’altra parte, la tendenza

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antimilitarista del costume protestante, in quanto capace di di­ scussione e di libero esame individuale, evidentemente incompa­ tibili con le normali condizioni della disciplina di guerra; la accantono espressamente in modo provvisorio, allo scopo di pren­ der: in considerazione solo le influenze più generali, comuni a tutti gli stati europei. È dunque in quest’epoca che bisogna col­ locare la vera origine delle guerre rivoluzionarie propriamente dette, in cui la guerra esterna si complica più o meno con la guerra civile, nell’interesse profondo di un importante principio sociale, che tende a determinare la partecipazione più o meno attiva di tutti gli uomini convinti, per quanto pacifiche siano le loro abituali inclinazioni ; in modo che l’energia militare vi si trova forse intensa e molto sostenuta, senza cessare però di co­ stituire un semplice mezzo, e senza indicare alcuna predilizionc generale per la vita guerriera. Ora, un’analisi abbastanza appro­ fondita dimostrerà chiaramente, mi sembra, che tale nuovo ca­ rattere riconosciuto all’unanimità non si trova solamente nelle lunghe guerre che agitarono l’Europa dalla metà circa del xvi se­ colo, fino a quella del xvm, senza eccezione neppure per la cele­ bre guerra dei Trenta Anni; ma mostrerà invece che una simile natura appartiene anche essenzialmente, in modo in fondo non meno reale, sebbene meno esplicito, alle guerre, ancora più este­ se, che riempirono in séguito la seconda metà di quest’ultimo secolo, e perfino l’inizio del seguente, fino alla pace di Utrechtl. Inquesta ulteriore serie di guerre, l’ambizione delle conquiste è senza dubbio intervenuta come, del resto, in quella che precede, e forse di più, dato raffievolirsi naturale, da entrambe le parti, del primo fervore religioso e politico; ma si attribuisce comune­ mente ad essa, a tale proposito, un’influenza importantissima che invece dovette essere solo accessoria. Come le guerre ante­ riori, anche queste portano in realtà profondamente l’impronta rivoluzionaria, in quanto sono legate soprattutto al prolungarsi della lotta universale tra il cattolicesimo ed il protestantesimo; lotta divenuta allora, da principio, offensiva da parte della Fran­ cia, dove si era concentrata l’azione cattolica dopo l’indeboli­ mento della Spagna, fino alla crisi inglese del 1688, ed, in sé­ guito, difensiva, quando l’azione protestante poté essere, a sua 1. Fu stipulata net 1713 e pose line alla guerra di successione spagnola.

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volta, raccolta intorno a Guglielmo d’Orange in séguito all’u­ nione spontanea dell’Olanda con l’Inghilterra. Durante la mag­ gior parte del x v i i secolo, le guerre cambiarono ancora natura a causa deH’unanime risoluzione dei diversi stati europei a man­ tenere infine Ì due sistemi antitetici nella loro effettiva situazione, per occuparsi ormai congiuntamente dello sviluppo industriale, la cui importanza sociale diveniva sempre più preminente: da allora, le attività militari furono essenzialmente subordinate agli interessi commerciali, come mostrerò nel capitolo seguente, fino all’avvento della rivoluzione francese, dove, dopo una grande aberrazione guerriera, diffìcile da evitare, lo spirito militare co­ minciò a subire un’ultima trasformazione essenziale, che descri­ verò nel cinquantasettcsimo capitolo, e che segna, ancora più nettamente di qualsiasi altra, la sua inevitabile decadenza finale. Il graduale compiersi degli importanti cambiamenti tempo­ rali che noi ricolleghiamo alla disorganizzazione radicale del re­ gime militare, fu operato specialmente da una nuova classe, poco numerosa, ma molto importante, che sorse spontaneamente in Europa, quasi al principio del grande movimento di disgrega­ zione universale, e che, a poco a poco, vi acquistò giustamente una grande importanza politica, la qual cosa spiegherò sommaria­ mente: è facile capire che si tratta dei diplomatici. Essenzialmente estranea al vero regime medioevale, questa classe così moderna è sorta spontaneamente, all’inizio, dalla decandenza europea della costituzione cattolica, che ne creò la necessità, dovendosi supplire in qualche modo, per quanto possibile, ai legami politici che il potere comune del papato aveva mantenuto regolarmente fino ad allora tra i diversi stati, per la qual cosa esso stesso fornì i pri­ mi elementi, permettendo di usare molti uomini intelligenti e attivi, posti naturalmente, nel modo più razionale e dal punto di vista sociale nelle posizioni più elevate, senza tuttavia essere militari : si può notare, infatti, che i diplomatici sono per molto tempo stati presi in prestito dal clero cattolico, tra quei suoi membri che, istintivamente persuasi della crescente sconfitta del­ la loro istituzione, si mostravano disposti a utilizzare altrove, in modo più reale, anche se meno importante, le eminenti capacità1 1. Guglielmo d'Orange (1650-1702), chiamato al irono d'Inghilterra nel 168S, diede inizio alla monarchia costituzionale.

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politiche che avevano coltivato. Dopo che la grande dittatura temporale, monarchica od oligarchica ha preso il suo carattere definitivo, questa classe è stata, in apparenza, principalmente aristocratica, come l’alto sacerdozio; ma questa intrusione nobi­ liare non poté tuttavia snaturare il suo spirito eminentemente progressista, in cui la capacità è sempre, sotto vane formule uffi­ ciali, posta veramente al primo posto tra gli attributi individuali; senza dubbio, non ci fu, in Europa, durante tutti gli ultimi tre se­ coli, una classe così completamente libera da qualsiasi pregiudizio politico, e forse anche filosofico, in virtù della superiorità natu­ rale del suo punto di vista abituale. Comunque sia, è chiaro che questa classe così eminentemente civile, nata e cresciuta insieme col potere ministeriale propriamente detto e del quale costituisce una specie di appendice naturale, ha dovunque cercato di spoglia­ resempre più i militari delle loro antiche funzioni politiche, per ridurli alla condizione di semplici strumenti, più o meno pas­ sivi, dei disegni concepiti e diretti dal potere civile, il cui predo­ minio finale è stato tanto secondato dalla diplomazia; tutti san­ no, infatti, che nell’antichità e persino, sotto molti aspetti, du­ rante il medioevo, i negoziati di pace o di alleanza erano abitual­ mente riguardati come un naturale complemento del comando militare, come evidentemente esigeva un libero e normale espan­ dersi del sistema guerriero, soprattutto allo stato offensivo; non si può dubitare che la classe diplomatica non abbia immediata­ mente concorso, con particolare efficacia, alla decadenza conti­ nuata del regime e dello spirito militare, togliendo da allora ir­ revocabilmente ai generali una parte così preziosa delle loro ori­ ginali funzioni; cosa che spiega facilmente l’istintiva antipatia che è sempre esistita presso i moderni, sotto forma più o meno espressa, tra i ranghi superiori delle due classi. Quest’ultimo ordine di osservazioni ci conduce naturalmente a completare infine la valutazione sociologica della grande dit­ tatura temporale, che ha completato del tutto la decomposizione spontanea del medioevo, considerando gli sforzi che essa dovette (are, dopo la propria stabilizzazione, per riempire, nel modo meno imperfetto, l’immensa lacuna che aveva lasciato di neces­ sità, nel sistema politico dell’Europa, l’irrevocabile e crescente decadenza dell’autorità universale dei papi. Un simile bisogno si era manifestato, come ho già spiegato, fin dall’inizio della fase

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rivoluzionaria del xiv secolo, poiché è precisamente con l’aboli­ zione di quel potere generale, seguita dalla corrispondente di­ spersione politica, che il movimento di disgregazione è comin­ ciato dovunque. Ma le grandi lotte che assorbirono in séguito principalmente l’attenzione degli elementi temporali, destinati a divenire preponderanti, fecero inevitabilmente aggiornare la sola soluzione possibile per quella difficoltà fondamentale che comportava la regolarizzazione sistematica del semplice antago­ nismo materiale tra i diversi stati europei; cosa che implicava evidentemente la preliminare cessazione dei diversi disordini in­ terni ed il sufficiente stabilizzarsi della dittatura temporale nella quale sarebbero finiti. Quando queste condizioni indispensabili si furono realizzate convenientemente, secondo il corso naturale degli avvenimenti più avanti descritti, la diplomazia si occupò dovunque, con ardore infaticabile, e sostenuta dal degno senti­ mento dell’importanza della propria missione, ad istituire equa­ mente un simile equilibrio, la cui attuale necessità era divenuta veramente irrefutabile, da quando la divisione quasi uguale del­ l’Europa tra il cattolicesimo ed il protestantesimo aveva eviden­ temente fatto cadere ogni illusione, se ne potevano ancora sus­ sistere, sulla riorganizzazione normale di un vero organismo eu­ ropeo, in séguito alla completa restaurazione dell’antico legame spirituale. In questo modo la diplomazia segnò nobilmente, col grande trattato di Vestfalia l, il suo principale intervento nel si­ stema della civiltà moderna, con un generoso spirito di pacifi­ cazione universale e permanente, della quale la memorabile uto­ pia del buon Enrico IV aveva già dato i primi sintomi caratteri­ stici. Senza dubbio, la soluzione diplomatica è, come principio, estremamente inferiore, come avrò modo più avanti di spiega­ re particolarmente, all’antica soluzione cattolica, l’unica che, per sua natura, sia veramente razionale; poiché l’organismo in­ ternazionale può ancora meno dell’organismo nazionale privará di una base intellettuale e morale, e non potrebbe di conseguenza riposare mai sul semplice antagonismo fisico; il quale, in effetti, nel caso che noi consideriamo, non poté avere alcuna consistenza reale, e non presentò, in verità, che un’utilità molto problematica; I. la realtà furono due trattati firmati nel 1648, l’uno 1 Munster, 1'altro a Osnabrück, che chiusero la guerra dei trent'anni.

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se poi un tale equilibrio non è addirittura servito spesso come pretesto plausibile allo slancio perturbatore delle grandi ambi­ zioni politiche. Ma sarebbe certamente ingiusto ed irrazionale giudicare da una situazione normale un espediente destinato es­ senzialmente ad una soluzione rivoluzionaria, che, secondo que­ sto giudizio relativo, ha almeno concorso e concorre ancora fi­ no ad un certo grado, a mantenere, tra i diversi stati europei, l’idea abituale di una qualche organizzazione, per quanto vaga ed insufficiente ne sia la concezione; fino a che la comune rior­ ganizzazione spirituale, che sola può completare la grande fase rivoluzionaria, venga spontaneamente a dare una base veramente generale, sulla quale una nuova e più alta diplomazia possa in­ fine realizzare la costruzione graduale della repubblica europea, presentita ugualmente dall’anima del nobile re Enrico e dal ge­ nio del grande filosofo Leibniz; i quali, partiti da punti così diversi, e seguendo strade tanto opposte, non potrebbero, senza dubbio essersi incontrati in questo modo su di una pura chimera sociale, come spiegherò nel cinquantasettesimo capitolo. Questi sono i diversi aspetti generali sotto i quali dovevo qui considerare sommariamente, durante il periodo protestante pro­ priamente detto, l’avanzare continuo della disgregazione tempo­ rale; la quale non ha fatto, in séguito, che prolungarsi natural­ mente nella stessa direzione, senza alcun carattere veramente nuovo di qualche importanza, durante il periodo deista, fino al­ l’avvento della Rivoluzione francese, cosa che ci dispenserà essen­ zialmente dal tornarvi sopra per tutto il resto dell’attuale lezione. In questo modo, infine, viene ad essere completato il giudizio, tanto difficile e complesso, sull’immensa portata politica della prima fase necessaria della disgregazione sistematica del vecchio sistema sociale, precedentemente analizzato per quanto riguarda la decadenza spirituale. Dovevo senza dubbio, per questo dop­ pioaspetto, insistere particolarmente suH’affermazìone razionale di un tale punto di partenza, che ha influito tanto sull’intero corsodel grande movimento rivoluzionario e che tuttavia non è mai stato fino ad ora convenientemente valutato, nonostante gli studi innumerevoli ai quali ha dato luogo, a causa dei tre di­ fetti dì razionalità, elevazione ed imparzialità, che presentano di solito queste concezioni contraddittorie, sia storiche, sia po­ litiche, i vari autori delle quali, protestanti o anche deisti non

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sanno vedere che una sola faccia dell’argomento, o le amman­ tano tutte di un cieco disdegno. Ma questa analisi fondamentale, ormai esattamente ricongiunta al nostro studio storico, ci per­ mette di terminare, con molta più chiarezza e rapidità al tem­ po stesso, l’esame generale del periodo protestante propria­ mente detto, prendendo infine in considerazione, nel seguire l’ordine indicato all’inizio, la sua alta influenza intellettuale. Noi trarremo d’altra parte un vantaggio non meno essenziale dalla spiegazione importantissima che abbiamo elaborato, passando in séguito alla valutazione diretta dell’ultima fase necessaria del movimento di decomposizione, nel quale potremo, con una si­ mile base, concentrare la nostra attenzione quasi esclusivamente sulla dispersione mentale che la caratterizzò soprattutto, senza nuocere tuttavia aU’integrità della nostra concezione finale, re­ lativa al sistema totale delle diverse operazioni rivoluzionarie dopo il xiv secolo. Oltre all’azione politica propria al protestante­ simo, e che, in realtà, consiste soltanto nei diversi risultati gene­ rali, diretti o indiretti, che sono già stati esaminati, esso è necessa­ riamente servito come primo organo sistematico per lo spirito universale di emancipazione, preparando essenzialmente la dis­ soluzione radicale, aU’inizio intellettuale ed infine sociale, che l’antico sistema avrebbe sùbito durante il periodo successivo. Per quanto l’effettiva formazione e soprattutto lo sviluppo della dot­ trina critica propriamente detta non possano essergli direttamente attribuiti, esso ne ha tuttavia stabilito all’inizio le basi principali, sulle quali una filosofia negativa più completa e più pronunciata ha potuto in séguito costruire facilmente il complesso delia me­ tafisica rivoluzionaria, destinata a caratterizzare a suo modo, la riuscita finale del grande movimento di disgregazione. È soprat­ tutto in questo modo che la divisione protestante ha creato una situazione intermedia, realmente indispensabile, anche se molto passeggierà, allo sforzo più importante della ragione umana. Per facilitare sotto quest’ultimo aspetto, la valutazione gene rale del protestantesimo, possiamo riguardare l’intero sistema della dottrina critica, come se fosse essenzialmente riducibile al dogma assoluto ed indefinito del libero esame individuale, che ne è certamente il principio universale. Fin dall’inizio del quarto volume, ho esposto su questo argomento considerazioni precise, applicabili per la loro natura, sia al passato sia al presente, e

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dalle quali risulta che tutti gli altri dogmi essenziali della filo­ sofia rivoluzionaria, non sono, in realtà, che semplici conse­ guenze politiche di quel dogma fondamentale, il quale ha gra­ dualmente innalzato ogni intelligenza individuale ad arbitro su­ premo di tutte le questioni sociali. È chiaro, infatti, che una si­ mile libertà di pensiero conduce naturalmente alla libertà di par­ lare, di scrivere, e persino di agire secondo le proprie convin­ zioni personali, senza altre riserve sociali, che quelle relative ad undurevole equilibrio dei diversi individui. Nello stesso modo, questa specie di sovranità morale attribuita a ciascuno, conside­ rata simultaneamente in tutti i cittadini, e non potendo ammet­ terealtra restrizione legittima che quella del numero, finisce ne­ cessariamente con la sovranità politica della moltitudine e col creare e distruggere a suo gradimento ogni tipo di istituzione. Una simile supremazìa delFindividuo presuppone d’altra parte evidentemente il concetto corrispondente dell’uguaglianza uni­ versale, così spontaneamente proclamata nell’ordine mentale, nel quale gli uomini, in realtà differiscono più profondamente gli uni dagli altri. Infine, dal punto di vista internazionale, non si può dubitare che un simile dogma non conduca, ancora più di­ rettamente, a consacrare l’indipendenza assoluta, o il completo isolamento politico di ciascun popolo. Appare chiaro, dunque, sotto tutti gli aspetti, che le diverse nozioni essenziali della me­ tafisica rivoluzionaria costituiscono, in realtà, semplici applica­ zioni sociali, o, piuttosto, le diverse manifestazioni necessarie di quell'unico principio del libero esame individuale, dal quale possono tutte derivare spontaneamente. Avrò modo di far capire più avanti che una simile derivazione generale è altrettanto sto­ rica che logica, poiché ognuna delle sue conseguenze politiche ne è stata effettivamente prodotta, appena il corso naturale de­ gli avvenimenti ha diretto l’attenzione pubblica verso il corri­ spondente aspetto sociale. In séguito a questa evidente e preliminare concentrazione, che dovevo qui ricordare sommariamente, non si può discono­ scere l’innegabile attitudine del protestantesimo a gettare le pri­ mefondamenta della filosofia rivoluzionaria, proclamando diret­ tamente il diritto individuale di ciascuno al libero esame di qual­ siasi questione, malgrado le irrazionali restrizioni che si è poi sempre sforzato di porre a tale proposito. Oltre al fatto che que-

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ste diverse restrizioni erano, per loro natura, successivamente rifiutate da nuove sètte, bisogna notare che la loro stessa incon­ seguenza ha da principio facilitato l’ammissione universale del principio generale la cui completa e immediata promulgazione fu per molto tempo agitata dalle coscienze; le quali, al contrario, rassicurate dalla primitiva conservazione delle principali creden­ ze, non lottavano più contro l’attrazione quasi irresistibile, che presenta naturalmente alla nostra orgogliosa intelligenza la li­ bera interpretazione personale della fede comune. È soprattutto in questo modo che il protestantesimo doveva indirettamente estendere la propria influenza intellettuale tra i popoli stessi che non lo avevano affatto ostensibilmente adottato, e che, tuttavia, non potevano senza dubbio giudicarsi indefinitamente meno adatti degli altri all’emancipazione religiosa, i più grandi risul­ tati filosofici della quale erano loro riservati in modo partico­ lare, come vedremo ben presto. Ora, rinoculazione universale dello spirito critico non poteva di certo operarsi in forma più decisiva, poiché, dopo aver audacemente discusso le opinioni più rispettate ed i poteri più sacri, poteva forse la ragione umani arretrare davanti ad una qualche massima o istituzione sociale, quando l’analisi corrosiva l’avesse naturalmente trovata sulla sua strada ? Questo primo passo è dunque il più importante di tutti quelli relativi alla formazione graduale della dottrina rivoluzio­ naria, la quale, se avesse la fantastica possibilità di regredire per essere riportata allo stato iniziale, non potrebbe mancare á ri­ trovarvi naturalmente il principio necessario di una serie equi­ valente di nuove ed analoghe conseguenze. Una giusta valuta­ zione storica di questa universale base della filosofìa negativa, propria all’ultima fase generale del grande movimento di di­ sgregazione consiste essenzialmente nel collegarlo sotto tutti gli aspetti alla disorganizzazione spontanea che l’aveva preceduto, come abbiamo già spiegato. Da questo punto di vista, il solove­ ramente conforme all'insieme dei fatti, il principio del libero esame, non sarebbe stato all’inizio, nel xvi secolo, che un sem­ plice risultato naturale della nuova situazione sociale, creati gradualmente dai due secoli precedenti. È chiaro, infatti, che questa libertà intellettuale costituisce, per sua natura, una dispo­ sizione puramente negativa c non può rapportarsi realmente che alla consacrazione sistematica dello stato di non-governo, sp-

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tintamente derivato, per gli spiriti moderni, dalla crescente di­ sgregazione dell’antica disciplina mentale, fino al successivo sor­ geredi nuovi legami spirituali. Se questo dogma non fosse stato, all’inizio, la semplice proclamazione astratta di un tale patto ge­ nerale, la sua apparizione di fatto sarebbe sicuramente incomprensibile, sebbene esso abbia dovuto in séguito avere un grande effetto sull’estensione della decadenza religiosa che l’aveva pro­ dotto. Il diritto alesarne individuale ha questo di veramente caratteristico, che niente potrebbe impedirne il naturale esercizio quando una volontà sufficiente ha potuto infine formarsi, salvo la difficoltà di manifestarsi esteriormente, cosa ben presto eli­ minata da una conveniente contemporaneità di desideri. Ora, lo sviluppo, sempre imminente di una volontà così conforme alla natura umana, può essere certamente trattenuto solo dal perma­ nente influsso di energiche convinzioni anteriori, delle quali il suo stesso avvento presuppone sempre il preliminare indeboli­ mento. Tale è, senza dubbio, il cammino naturale di quella di­ sposizione mentale, ribelle tanto alla provocazione quanto all’in­ terdizione, al di fuori di condizioni normali di opportunità, e che ha dato luogo a molti giudizi sbagliati, nei quali il sintomo vienepreso per la causa, ed il risultato per il principio. Nel caso attuale, abbiamo già pienamente riconosciuto che le lunghe di­ scussioni del xiv secolo sul potere europeo dei papi, e quelle del secolo seguente sull’indipendenza delle due chiese nazionali dal centro romano avevano naturalmente suscitato, in tutti i popoli cristiani, un vasto c spontaneo esercizio del diritto d’esame indi­ viduale, molto prima che il dogma potesse esserne formulato sistematicamente, in modo da privare fin da allora Finsieme delle antiche credenze della loro principale energia sociale. La procla­ mazione luterana non ha dunque fatto, in verità, se non esten­ dere solennemente a tutti i credenti un privilegio che i re ed i dottori avevano ampiamente usato, e che si propagava natural­ mente sempre più in tutte le altre classi. È così che lo spirito ge­ neraledi discussione, inerente ad ogni monoteismo, e soprattutto al cattolicesimo, aveva grandemente preceduto, in tutta l’Europa, l’appello diretto del protestantesimo. È d’altra parte evidente, infatti, che la divisione luterana sia per la disciplina, sia per la ge­ rarchia e persino per il dogma, non abbia prodotto, in realtà, alcuna innovazione che non fosse già stata ripetutamente propo­

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sta molto tempo prima; in modo che il successo di Lutero, dopo tanti altri riformatori venuti prematuramente, fu dovuto in modo essenziale aH’opportunità di un tale sforzo, finalmente preparato a sufficienza dall’universale disorganizzazione spontanea del si­ stema cattolico, come abbiamo già detto; la quale cosa spiega il propagarsi rapido e facile di tale definitiva esplosione. Conside­ rando più da vicino questa nuova situazione generale, è facile capire come l’irrevocabile subordinazione del potere spirituale a quello temporale, che ne costituiva dovunque il carattere piu o meno esplicito, doveva provocarvi particolarmente la diffusione inevitabile dello spirito di emancipazione personale, degradando del tutto, per mezzo di un errato assoggettamento, le sole auto­ rità alle quali si era potuto fino ad allora riconoscere il diritto legittimo di disciplinare le intelligenze, e che si trovavano orma spinte ad una specie di abdicazione spontanea della loro antica supremazia intellettuale, consentendo così a subordinare le loro decisioni a potenze temporali evidentemente incompetenti. Una volta passate di fatto nelle mani dei re, le antiche funzioni in­ tellettuali del potere cattolico non potevano venire seriamente rispettate e dovevano ben presto cedere allo sforzo generale verso la liberazione spirituale, alla quale gli stessi capi temporali cer­ cavano di non imporre altre efficaci restrizioni, oltre quelle ri­ guardanti l’immediata conservazione dell’ordine materiale. Ora, tale era certamente, in modo più o meno pronunciato, la situa­ zione comune di tutte le popolazioni cristiane al momento del­ l’apparizione del protestantesimo; il quale, formulando il princi­ pio del libero esame individuale, non poté che consacrare siste­ maticamente uno stato di cose preesistente, alla formazione del quale tutte le influenze sociali avevano concorso spontaneamente durante i due secoli precedenti. Questa spiegazione naturale sull’inevitabile affermazione del principio fondamentale della dottrina critica, è anche adatta a chiarire quanto il suo intervento continuo fosse ormai divenuto indispensabile all’ulteriore evoluzione della parte migliore del­ l’umanità. Per giudicare saggiamente tale destinazione, non bi­ sogna considerarla in modo assoluto, né rapportare a una situa­ zione normale ciò che doveva unicamente applicarsi ad uno stato straordinariamente eccezionale; è evidente che bisogna invece paragonarla sempre alla fase sociale corrispondente, della quale

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noi abbiamo già esattamente definito il carattere essenziale; qual­ sia» altro modo di esaminarla non porterebbe che ad un giudi­ zio inesatto e declamatorio, privo di qualsiasi realtà storica. Da questo punto di vista relativo, il solo che sia veramente confor­ me allo spirito generale della filosofia positiva, Finsieme della dottrina critica va considerato in quanto costituisce il correttivo necessario dell’inevitabile dittatura temporale, nella quale ab­ biamo visto finire dovunque, a parte la diversità delle manife­ stazioni, l’universale e spontaneo disgregamento del sistema teo­ logico e militare. È chiaro, infatti, che senza un simile antago­ nismo, questa eccezionale concentrazione di tutti gli antichi po­ teri intorno, al più importante elemento temporale sarebbe ben prestodegenerata in un tenebroso dispotismo, il cui spirito retro­ grado, divenuto da allora predominante in modo assoluto, avreb­ be cercato di fatto di soffocare qualsiasi sforzo intellettuale e sociale sotto il dominio oppressivo di un’autorità assoluta; la quale, per sua natura, non avrebbe più potuto concepire altro mezzo di disciplina mentale che la repressione materiale. Quali che siano gli immensi pericoli ai quali avrebbe potuto portare l’inevitabile abuso della dottrina rivoluzionaria, si può comun­ que facilmente spiegare Tinvincibilc attaccamento istintivo che dovette gradualmente ispirare alle popolazioni europee, a misura che quella glande dittatura, monarchica o aristocratica, finiva di rafforzarsi, come abbiamo visto prima, poiché tale dottrina tra divenuta ormai l’organo necessario del più grande progresso sociale, che doveva allora restare essenzialmente di tipo negativo. Per quanto non sia questo il luogo nel quale giudicare partico­ larmente la sua influenza reale nel secondare lo slancio diretto dei nuovi clementi sociali, è tuttavia evidente, senza anticipare, a questo proposito, il capitolo seguente, che, per l’ascendente quasi assoluto del quale essa aveva investito lo spirito di indivi­ dualismo, era diventata altamente adatta a quella preparazione elementare, il cui effettivo sviluppo non poteva all’inizio derivare che dal libero sforzo dell’energia personale, industriale, artistica, o scientifica, in séguito al corrispondente indebolirsi dell’antica disciplina, fin da allora incapace a dirigere più a lungo una si­ mile opera sociale. Con questa adesione spontanea, sotto forme più o meno implicite, ai dogmi principali della filosofia nega­ tiva, i popoli europei non hanno dunque ceduto unicamente,

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durante gli ultimi tre secoli, alle potenti seduzioni democratiche di una simile dottrina, come la scuola retrograda, al giorno d’oggi, ha così superficialmente proclamato, senza poter in alcun modo spiegare come mai questa seduzione tante volte tentata non aveva potuto fin ad allora ottenere un simile successo. Essi furono infatti guidati, a loro insaputa, dal sentimento naturale delle condizioni fondamentali, adatte alla nuova situazione delle società moderne, che era il risultato necessario del grande movi­ mento rivoluzionario, c che era già notevole dopo il xiv secolo e stava finendo in un’immensa dittatura temporale, della quale solo un antagonismo radicale poteva impedire l’oppressivo pre­ potere. In verità, perché questa importante spiegazione storica non degeneri in una vana concessione allo spirito di parte, bi­ sogna anche tener presente, in senso inverso, che la resistenza più o meno retrograda, propria di quest’ultima concentrazione politica, costituiva per tutte c due le parti, allora come oggi, al di là del proprio inevitabile avvento, un elemento non meno in­ dispensabile in una simile situazione come unico mezzo efficace per contenere sufficientemente le imminenti perturbazioni anar­ chiche, verso le quali avrebbe sempre trascinato l’esagerato ascen­ dente dell’impulso rivoluzionario. In poche parole, queste due grandi anomalie, entrambe proprie alla fase finale del movimento generale di disgregazione, sono realmente inseparabili Tuna dall’altra e devono costantemente essere valutate soprattutto in vista della loro mutua opposizione, che costituisce storicamente il più importante scopo sociale di ciascuna di esse. Ugualmente iniziato con la disorganizzazione spontanea, l’espandersi deh l’una doveva, ih séguito, richiamare naturalmente e provocare l’equivalente accrescimento dell’altra ; perché, se la reale ener­ gia dei princìpi critici teneva evidentemente soprattutto al loro carattere assoluto di negazione sistematica, solo il rispetto cieco per tutti i propri precedenti poteva, nello stesso modo, fornire alla potenza resistente un solido punto d’appoggio contro le in­ novazioni, essenzialmente estranee a qualsiasi idea di reale or­ ganizzazione; atteggiamento comune pienamente conforme, d'al­ tra parte, allo spirito ugualmente assoluto delle due filosofie an­ tagoniste, teologico o metafisico, la cui totale estinzione non po­ trà essere che simultanea. È così che, con una restrizione sempre crescente della loro azione politica, i governi moderni hanno

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abbandonato sempre più la direzione effettiva dei movimenti so­ ciali, e tendono a ridurre gradualmente il loro principale inter­ vento al solo mantenimento dell’ordine materiale, da allora sempre più difficile da conciliare con lo sviluppo continuo del­ l'anarchia intellettuale e morale. Nella sua indispensabile consa­ crazione dogmatica di una simile situazione politica, la dottrina rivoluzionaria non ebbe altro torto, d’altronde inevitabile, che di accettare come stato normale e indefinito una fase essenzial­ mente eccezionale e transitoria, alla quale simili massime erano perfettamente adatte. Sebbene il protestantesimo abbia potuto, all’inizio, solo ab­ bozzare esplicitamente la formazione astratta dei princìpi critici, èimportante notare, fin dall’origine, il loro spontaneo estendersi attraverso lo svolgimento necessario di quella situazione fonda­ mentale tra le stesse nazioni cattoliche, dove doveva in séguito operarsi la loro elaborazione più decisiva, come vedremo ben presto. Senza che il dogma del libero esame individuale vi fosse ancora proclamato solennemente, lo spirito universale di discus­ sione, sia teologica, sia sociale, non vi si era, in fondo, meno sviluppato, sotto forme distinte, ma equivalenti, in séguito alle lotte dei due secoli precedenti; e la sua direzione generale non era, in realtà, meno violenta nell’attiva disgregazione intellet­ tuale del vecchio sistema politico. Le principali differenze che esistono veramente, a questo proposito, tra i due tipi di popola­ zioni europee, derivano soprattutto, in quell’epoca, dal fatto che, non essendo la dittatura temporale altrettanto legalmente rico­ nosciuta negli stati cattolici, l’azione critica non aveva bisogno, all'inizio, di esservi così diretta come tra i popoli protestanti. Ma una valutazione attenta la nota già con piena evidenza, persino prima che questa dittatura vi si fosse completamente organiz­ zata, Non solo si vede allora il cattolicesimo involontariamente spinto a ratificare esso stesso il principio del libero esame, in­ vocandolo solennemente in favore della fede cattolica, violente­ mente oppressa dovunque il protestantesimo aveva ufficialmente prevalso; bisogna anche riconoscere che, nel seno stesso del clero cattolico, i’uso spontaneo di un simile diritto era già effettiva­ mente comparso con particolari eresie, non meno contrarie di quelle protestanti, alla conservazione reale dell’antico regime intellettuale. Possiamo qui limitare questa nuova serie di osser­

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vazioni alla nazione che, dal xvn secolo, costituiva il principale sostegno del sistema cattolico contro il suo imminente invecchia­ mento universale. Vediamo allora, infatti, sorgere in Francia la famosa eresia del giansenismo, che fu, in realtà, quasi altret­ tanto nociva dello stesso luteranesimo per l’antica costituzione spirituale. Attraverso oscure controversie teologiche, questa nuova eresia diveniva profondamente pericolosa, offrendo spontanea­ mente alle vecchie inconseguenze gallicane un punto di incontro dogmatico, senza il quale non avrebbero ancora potuto acqui­ stare una consistenza sufficientemente decisiva, ma che invece elevava ormai veramente quel dissenso ad una specie di prote­ stantesimo francese, ardentemente sostenuto da una parte po­ tente e rispettata del clero nazionale, e posto naturalmente, come altrove, sotto l’attiva protezione delle corporazioni giuridiche. Non c’è dubbio, mi sembra, che questa dottrina si sarebbe uf­ ficialmente convertita anch’essa in una vera religione nazionale, se il successivo slancio della pura filosofia negativa non avesse trascinato in séguito gli spiriti francesi molto al di là di una si­ mile elaborazione protestante. La tendenza anticattolica del gian­ senismo mi sembra perfettamente caratterizzata dalla sua radi­ cale e continua antipatia contro la sola corporazione che da al­ lora, come ho già spiegato, aveva compreso realmente e difeso abilmente il cattolicesimo, e lo scioglimento della quale, fatto veramente tipico, fu più tardi deciso soprattutto dallo spirito giansenista. Da un lato, il penetrare di questo spirito tra grandi filosofi ed eminenti poeti che non possiamo certo in nessun mo­ do sospettare di inclinazioni rivoluzionarie, indica chiaramente quanto esso fosse allora adatto alla situazione fondamentale delle intelligenze. Credo anche di dover descrivere sommariamente un’altra ere­ sia spontanea del cattolicesimo francese, la quale senza avere li grande importanza politica della precedente, produce tuttavia una testimonianza non meno decisiva della completa universalità delle tendenze dissidenti, causata dall’uso naturale del diritto individuale al libero esame. È facile indovinare che si tratta del quietismo, il cui carattere filosofico mi sembra molto notevole, perché presenta, sotto alcuni aspetti, una prima protesta solenne, diretta quanto ingenua, della nostra costituzione morale contro

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l'insieme della dottrina teologica \ È infatti da questa particolare protesta che tale eresia poté trarre quella specie di consistenza cheottenne allora per poco tempo, e che forse conserva ancora incerte nature, il cui sviluppo intellettuale è rimasto troppo ar­ retratorispetto allo sviluppo morale. Qualsiasi disciplina morale, (ondata su una filosofìa puramente teologica, esige necessaria­ mente, senza eccettuare il cattolicesimo stesso, come ho già detto nel capitolo precedente, un appello continuo ed eccessivo allo spirito di puro egoismo, se pure riguardo ad interessi immagi­ nari, la quotidiana preoccupazione dei quali assorbe naturalmente ogni sollecitudine di ciascun vero credente, al quale qualsiasi altra considerazione non può certamente mancare di apparire ordinariamente molto secondaria. Questa supremazia religiosa della salvezza personale costituisce senza dubbio, come ha detto Bossuet, una indispensabile condizione generale perché qualsiasi morale teologica abbia una certa efficacia sociale che altrimenti finirebbe, in realtà, col consacrare una vaga e pericolosa inerzia; essa è perfettamente adatta a quello stato di infanzia della na­ turaumana che l’effettiva attrazione della filosofia corrispondente presuppone esservi dal punto di vista intellettuale. Ma, anche se inevitabile, un tale carattere non mostra, in modo meno diretto edirrefutabile, uno dei vizi fondamentali di una simile filosofia, che tende ad atrofizzare necessariamente, per mancanza di un esercizio adatto, la parte più nobile del nostro organismo mo­ rale; quella, proprio, la cui minima energia naturale esige pre­ cisamente la più attiva e sistematica educazione, dopo un suffi­ ciente sforzo disinteressato di tutti gli affetti migliori. Ora que­ stoì, in verità, il nuovo aspetto più importante, col quale l’erea. La notevole coincidenza, a proposito di questa singolare eresia, del giudizio filosofico di Leibniz con la sentenza definitiva decretata dal papa, in seguito alla illuminante trattazione di Bossuet, offre d’altra parte un primo esempio importante di quella naturale convergenza che, nonostante una intera opposizione dogmatica, tendeva a radunare, finalmente, nella maggior parte delle applicazioni sociali, il vero spirito filosofico e il vero spirito cattolico, per un giusto sentimento comune, razionale o istintivo, dei bisogni reali dell'umanità. Sotto il crescente predominio della filosofia positiva, simili coincidenze dovranno, senza dubbio, divenire molto più frequenti ed estese, come credo di aver già naturalmente dimostrato per diversi aspetti essenziali, da quando tratto in questo luogo delle que­ stioni sociali.

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sia del quietismo è giunta involontariamente ad additare l’ine­ vitabile imperfezione delle dottrine teologiche, ed a sollevare im­ mediatamente contro di esse i più ammirevoli sentimenti umani, cosa che avrebbe certamente dato allora una grande importanza a quella divisione, se una simile protesta non fosse stata, a quel­ l’epoca, assolutamente prematura, e intravista molto più dal cuore, che dallo spirito del suo amabile ed immortale assertore, Prendendo in considerazione anche il risultato effettivo di quella memorabile controversia, un saggio giudizio storico non può finire che col confermare, con giudici imparziali, l’innegabile verità del capitale rimprovero rivolto così direttamente all’in­ sieme della filosofia teologica, obbligando l’illustre dissidente a riconoscere solennemente che in quel modo aveva attaccato, suo malgrado, una delle più importanti condizioni per l’esistenza del sistema religioso; il che fornisce, d’altra parte, una nuova e particolare conferma dell’irrevocabile decadenza generale di un sistema già tanto mal compreso dai suoi più puri ed eminenti difensori. Per completare sufficientemente questa sommaria valutazione storica dell’universale abbozzo preliminare della dottrina cri­ tica propriamente detta, fatto sotto l’impulso, diretto o indiretto, della divisione protestante, è importante, infine, far notare le alte funzioni provvisorie di morale sociale, delle quali questa dottrina si è allora trovata naturalmente investita, in séguito a quella specie di abdicazione spontanea, che il cattolicesimo aveva fatto implicitamente. Da quando il potere spirituale aveva perso irrevocabilmente la sua antica indipendenza politica, sottomet­ tendosi sempre più all’elemento temporale predominante, come, ho già detto, il cattolicesimo tendeva dovunque a degenerare es­ senzialmente in servile strumento di una dominazione reazio­ naria e non riusciva più a conservare che insignificanti vesti­ gia della propria dignità sociale. La sua dottrina morale, In ap­ parenza identica, ma da allora completamente privata dell'ener­ gia politica che ne aveva costituito, durante il medioevo, la più grande forza, non aveva più, in fondo, efficacia reale, che contro i deboli, ai quali prescriveva di solito una sottomissione sempre più passiva verso qualsiasi potenza; della quale, invece, proclamava altamente i diritti assoluti, senza avere ormai la for­ za di insistere anche sui doveri, e nello stesso tempo non sapeva

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affatto utilizzare sistematicamente i suoi vizi nel semplice inte­ resse dell’esistenza sacerdotale. Questo nuovo spirito di accondi­ scendenza servile per tutte le potenze temporali, che all’inizio riguardava solo i re, doveva poi estendersi gradualmente, nei diversi casi di relazioni sociali, a forze sempre più basse, e di conseguenza, moltiplicare dovunque il suo influsso corruttore, divenuto così sempre più basso, al punto di attaccarsi spesso anche alia morale domestica. Che, nonostante la sua ammirevole perfezione politica, l’organismo cattolico, in séguito alla radicale insufficienza della filosofia teologica che ne costituiva la base intellettuale, non abbia potuto evitare, secondo la teoria esposta nel capitolo precedente, di arrivare infine ad un simile degrada­ mene sociale: questa spiegazione razionale, scartando le vane considerazioni personali, alle quali si usa riportare soprattutto quell'immensa decadenza, non altera affatto le conseguenze ne­ cessarie dell’effettiva situazione e le rende, al contrario, più evi­ dentemente insormontabili. Ora, è chiaro che la dottrina critica dovette, come risultato generale di questo nuovo stato di cose, ereditare provvisoriamente eminenti funzioni morali, alle quali il cattolicesimo aveva essenzialmente rinunciato; poiché i prin­ cìpi critici erano allora i soli adatti a ricordare, con sufficiente energia, i diritti reali di coloro, ai quali la morale ufficiale non sapeva più parlare che di dovere. Questa è, infatti, l’evidente tendenza, e solo troppo esclusiva o assoluta, di ognuno di questi diversi princìpi, considerato nel suo aspetto morale; come ho già dettonel quarantaseiesimo capitolo, per ciò che concerne l’epoca attuale, ma in modo ugualmente applicabile a tutto l’insieme della seconda fase generale del grande movimento rivoluziona­ rio, che stiamo studiando. È così che il dogma fondamentale della libertà di coscienza ricordava, a suo modo, il grande ob­ bligo morale, stabilito in origine dal cattolicesimo, ma che esso aveva in séguito tanto completamente abbandonato da non im­ piegare che le sole armi spirituali al rafforzamento di opinioni qualsiasi. Lo stesso accade, di conseguenza, nell’ordine pura­ mente politico, nel quale il dogma della sovranità popolare in­ dicava energicamente la profonda sottomissione morale di tutti i poteri sociali alla considerazione permanente dell’interesse co­ mune, fin da allora troppo sacrificato dalla dottrina cattolica al solo prestigio dei grandi; allo stesso modo, il dogma dell’ugua­

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glianza risollevava naturalmente la dignità universale della na­ tura umana, ignorata dallo spirito di casta, già privo del suo an­ tico indirizzo sociale e ormai sciolto da ogni regolare freno mo­ rale; infine, il dogma dell’indipendenza nazionale poteva ispi­ rare solo, dopo la dissoluzione dei legami cattolici, un rispetto efficace per l’esistenza dei piccoli stati, e imporre alcune restri­ zioni morali allo spirito di conquista materiale. Sebbene questo grande incarico morale non abbia potuto essere assolto allora, se non in modo molto imperfetto, dalla dottrina critica, alla quale il suo carattere necessariamente ostile impediva, nell’applicazione, di divenire sufficientemente abituale, la sua capacità esclusiva di mantenere, durante tutto il corso degli ultimi tre secoli, un certo contatto reale con le principali condizioni morali dell’umanità, risulta evidentemente incontestabile, eccettuando l’irregolarità dei modi d’altra parte rigorosamente prescritta dalla natura ecce­ zionale di una simile situazione sociale. Mentre la dittatura tem­ porale impiantava definitivamente il sistema di resistenza sul­ l’impiego continuo della forza materiale convenientemente or­ ganizzata, era giunto il momento che lo spirito rivoluzionario, solo organo possibile allora per il progresso rivoluzionario, ri­ corresse finalmente alle tendenze insurrezionali, in modo da evi­ tare sia l’avvilimento morale, sia la degradazione politica, ri quali questa situazione avrebbe portato le società moderne, fino al lontano inizio di una vera riorganizzazione, l’unica capace di risolvere infine quel deplorevole antagonismo. La nostra valutazione storica dell’insieme della dottrina cri­ tica, abbozzata dal protestantesimo con il principio fondamen­ tale del libero esame individuale, sarebbe facilmente confermata dallo studio particolare, posto in questo luogo, delle diverse fasi successive che hanno gradualmente portato alla dissoluzione si­ stematica dell’antica organizzazione spirituale; perché vi si nota quasi sempre che quei dissensi teologici, allora così decisivi, non sono essenzialmente che la riproduzione, sotto forme nuove, delle principali eresie dei primi secoli del cristianesimo, che ave­ vano dovuto all’inizio annullarsi davanti all’irresistibile prestigio dell’unità cattolica. Invece di illuminare i filosofi della scuola retrograda, questo accostamento, mal osservato e interpretato, non ha fatto che conservare le loro vane illusioni su una chime­ rica restaurazione delle antiche istituzioni. Ma, dal punto di vi-

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su di questo trattato è, al contrario, evidente, che tale contrasto generale tra la caduta delle eresie primitive ed il successo dei loro moderni equivalenti, conferma essenzialmente l’opposizione delle une e la conformità delle altre alle principali tendenze delle situazioni sociali corrispondenti, come avevamo già detto. Sem­ pre e dovunque, lo spirito eresiarca è necessariamente più o me­ no aderente al carattere vago ed arbitrario di ogni filosofia teo­ logica; ma questo spirito viene, in realtà, trattenuto o stimolato, in séguito alle esigenze variabili della situazione sociale; tale è l’unica spiegazione razionale evidentemente adattabile a quella specie di grande paradosso storico. Pur evitando di ingaggiare qui un esame particolare delle di­ versefasi del protestantesimo, devo tuttavia segnalare brevemente al lettore il principio storico dal quale potrà penetrare nella va­ lutazione graduale, da principio così confusa e disordinata, di quella quantità di sètte eterogenee, ognuna delle quali aveva pietà della precedente e orrore della seguente, secondo la deca­ denza più o meno avanzata del sistema teologico. È sufficiente distinguere, a tale proposito, tre gradi essenziali, sempre succes­ sivi, attraverso i quali l’antico organismo religioso è stato com­ pletamente rovinato; prima di tutto nella disciplina, poi nella gerarchia e infine nel dogma stesso, che ne era l’anima; poiché, anche se ciascuna grande divisione protestante produceva simul­ taneamente questa tripla alterazione, tuttavia affettava soprat­ tutto uno di questi caratteri, per riuscire a distinguersi abba­ stanza dallo sforzo precedente. Arriviamo così a riconoscere tre fasi consecutive, chiaramente rappresentate dai nomi dei loro rispettivi personaggi principali : Lutero, Calvino e Socino *, i qua­ li, nonostante il breve intervallo cronologico che li divide, in realtà ottennero solo a notevole distanza una certa influenza sociale, c, comunque, solo quando la protesta precedente era stata già convenientemente realizzata. È chiaro, infatti, che la prima divisione luterana non portò che insignificanti modifiche al dogma e rispettò perfino essenzialmente e dovunque la gerar­ chia, a parte la consacrazione solenne di queU'asservimento po­ litico del clero, che sarebbe rimasto implicito tra i popoli catto-i. i. Fausto Socino (1539-1604), fondatore con Lelio Socino di una setta detta indie degli Anri-tnoittri che negava la maggior parte dei dogmi cristiani.

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lici; Lutero non ha infatti rovinato che la disciplina ecclesiastica, per meglio adattarla, come ho già spiegato, a quella servile tra­ sformazione. Così, questa prima disorganizzazione, con la quale il sistema cattolico restava il meno alterato, costituisce, in realtà, la sola forma sotto la quale il protestantesimo abbia mai potuto costituirsi provvisoriamente in una vera religione di stato, al­ meno nelle grandi nazioni indipendenti. Il calvinismo, abboz­ zato all’inizio dal celebre curato di Zurigo l, venne in séguito ad aggiungere, alla disorganizzazione iniziale, quella della gerar­ chia, che manteneva l’unità sociale del cattolicesimo; continuan­ do, d’altra parte, ad apportare al dogma cristiano modifiche semplicemente secondarie, sebbene più vaste delle precedenti, Questa seconda fase, che non può evidentemente convenire se non ad una situazione di pura opposizione, senza compor­ tare alcuna apparenza organica durevole, mi sembra aver co­ stituito da allora la vera posizione normale del protestantesimo, se si può così qualificare una simile anomalia politica, perché lo spirito protestante vi si sviluppò nel modo più conveniente alla sua natura eminentemente critica, che ripugna all’inerte rego­ larità del Luteranesimo ufficiale. Infine, la ribellione antitrinita­ ria, o sociniana, completò naturalmente i due primi attacchi alla disciplina ed alla gerarchia, aggiungendovi finalmente quello alle principali credenze che distinguevano il cattolicesimo da qualsiasi altro monoteismo; la sua origine italiana, quasi sotto gli occhi del papa, annunciava già apertamente la futura ten­ denza degli spiriti cattolici a spingere la disgregazione teologica molto più avanti dei loro precursori protestanti, come vedremo ben presto. Questa ultima scissione universale era, evidentemente, per sua natura, la sola veramente decisiva contro ogni speranza di una restaurazione cattolica; ma, per questa stessa ragione, il protestantesimo si avvicinava troppo al semplice deismo mo­ derno, perché questa fase estrema potesse restare sufficientemente caratteristica di un simile trapasso metafisico, di cui il presbite­ rianesimo rimane il più puro organo speciale. Dopo questa de­ rivazione principale, non c’è più, in realtà, da distinguere, tra le numerose sètte posteriori, alcuna importante e nuova differenzi per uno studio razionale dell’evoluzione moderna, salvo, tut-i. i. Si tratta di Ulrich Zwìngli, 14S4-1531.

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tavia, la famosa protesta generale che tentarono direttamente i quaccheri contro lo spirito militare deirantico regime sociale, quando la disorganizzazione spirituale completata infine dal compiersi delle tre operazioni precedenti, portò naturalmente a sistematizzare anche, a sua volta, la disgregazione temporale. Hogià messo in evidenza, più sopra, l’antipatia naturale del pro­ testantesimo a qualsiasi stadio, per qualunque tipo di costitu­ zione guerriera che non poté mai sanzionare, se non momenta­ neamente, durante lotte intraprese per mantenere o far trionfare ¡propri princìpi; ma è chiaro che la celebre setta degli amici, nonostante le sue ridicolaggini e ciarlatanerie, dovette servire da organo particolare ad un tale atteggiamento, che la mette al di sopra di tutte le altre sètte protestanti nello sforzo maggiore per il grande movimento rivoluzionario. Allo scopo che la nostra razionale esposizione di un modo conveniente di tratteggiare questo primo abbozzo effettivo del­ l'insieme della dottrina critica rimanga sempre nella linea sto­ rica, credo di dovervi aggiungere, in ultimo luogo, una impor­ tante considerazione supplementare, per prevenire la disposi­ zione troppo sistematica con la quale, mio malgrado, il lettore potrebbe considerare questo lavoro. È soltanto, infatti, per con­ trasto con la fase primitiva, sempre essenzialmente spontanea, del movimento di disgregazione, che la fase protestante può es­ sere descritta come veramente sistematica, in quanto diretta so­ prattutto seguendo dottrine riformatrici, invece del semplice con­ flittonaturale degli antichi elementi politici; ma la completa si­ stematizzazione della filosofìa negativa, per quanto, almeno, ne è suscettibile, non poté compiersi veramente che nella fase dei­ sta, esaminata più sotto, e della quale una simile operazione avrebbe costituito il principale attributo. Sotto il protestantesimo propriamente detto, l’eleborazione graduale dei princìpi critici dovette restare principalmente empirica ed effettuarsi in séguito, nel mezzo delle variazioni religiose, per la spinta istintiva di una situazione fondamentale sempre .più rivoluzionaria, a misura che il corso generale degli avvenimenti faceva particolarmente risaltare ciascuna delle facce essenziali del bisogno di distruzione radicale, c, di conseguenza, sollecitava nuove applicazioni poli­ tiche del dogma del libero esame individuale, base intellettuale di tutta quella serie di massime corrosive. In questo senso, il solo

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strettamente storico, non si può isolare lo studio di queste ope­ razioni intellettuali da quello delle diverse rivoluzioni corrispon­ denti, che a loro dettero luogo nella realtà, o almeno, senza le quali esse non avrebbero mai potuto ottenere una grande in­ fluenza sociale a causa deH’estrema incoerenza logica che ab­ biamo visto esser propria a simili concezioni, nelle quali si ten­ deva a rigenerare l’antica organizzazione, distruggendo sempre più le varie condizioni indispensabili alla sua effettiva esistenza. Ma, proprio in seguito a questo inevitabile carattere comune, quelle esplosioni politiche, per quanto intensa o prolungata sia potuta essere la loro azione successiva, non sarebbero mai dive­ nute del tutto decisive, tanto da provare in modo irrevocabile la tendenza finale delle società moderne ad un completo rinnova­ mento, in quanto non erano affatto state precedute da una pre­ parazione critica veramente completa e sistematica, cosa che ebbe luogo solo nella fase seguente. È per ciò che dobbiamo limitarci, qui, a segnalare sommariamente queste rivoluzioni esclusivamente protestanti, le quali, astraendo dalla loro importanza lo­ cale o passeggierà, non potevano essere che semplici pream­ boli della grande scossa finale, che avrebbe veramente caratteriz­ zato la necessaria riuscita del movimento generale dell’umanità, come spiegherò nel cinquantasettesimo capitolo. La prima di queste rivoluzioni preliminari è quella che libera completamente l’Olanda dal giogo spagnolo; e resterà sempre memorabile, come un’alta manifestazione primitiva della forza della dottrina cri­ tica, che diresse l’insurrezione di un piccolo paese contro la più potente monarchia europea. È a questa lotta veramente eroica che bisogna riportare la prima elaborazione regolare di quella dottrina politica; ma essa dovette limitarsi ad abbozzare partico­ larmente solo il dogma della sovranità popolare e quello dell’iftdipendenza nazionale, che i giuristi coìlegarono ben presto alta loro naturale concezione del contratto sociale, seguendo le est genze naturali di quel caso, in cui l’organizzazione interna non doveva essere modificata che accessoriamente, mentre il princi­ pale bisogno rivoluzionario consisteva soltanto nello spezzare un legame esteriore, divenuto profondamente oppressivo. Un ca­ rattere più generale, più completo ed anche più decisivo, una tendenza più pronunciata verso la rigenerazione sociale dell'u­ manità distinguono in séguito nobilmente, nonostante l’insucces­

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sonecessario, la grande rivoluzione inglese; non la piccola rivolu­ zione aristocratica e anglicana del 1688, oggi così ridicolmente lodata, e che non doveva soddisfare se non un bisogno locale, ma la rivoluzione democratica e presbiteriana dominata dalla grande naturaa deiruomo di stato più progredito del quale il protestantesimo si onora. L'abbozzo primitivo della dottrina critica nel suo complesso dovette ricevere il suo principale completamento naturale parti­ colarmente con l’elaborazione diretta del dogma deH’uguagUaaza, fino ad allora appena accennato, e che non aveva certo potuto risaltare abbastanza dalle tendenze calviniste della nobiltà fran­ cese; mentre lo si vede concretarsi finalmente in modo chiaro, sottoquella memorabile spinta, partendo dal concetto metafisico sullostato di natura, antica emanazione della teoria teologica re­ lativa alla situazione umana prima del peccato originale. Non si può dubitare, infatti, che questa rivoluzione non sia consistita, soprattutto storicamente, nello sforzo generoso, ma prematuro, che fu tentato allora con tanta energia per indebolire politica­ mente l’aristocrazia inglese, principale elemento temporale del­ l'antico nazionalismo; la caduta della monarchia sotto il proteta, Gli ammiratori fanatici di Bonaparte sdegnerebbero, al giorno d’oggi, un paragone politico tra lui e il grande Crotnwell, che ritengono inferiore al loro sublime eroe, per il quale non vedono altro degno confronto sto­ rico che Carlo Magno o Cesare. Tuttavia, persino prima che le risonanze contemporanee siano spente per l’uno, come lo sono ormai per l’altro, la posterità illuminata farà senza dubbio una grande differenza defini­ tiva tra la dittatura eminentemente progressista di Cromwell, che si sfor­ zava di migliorare l’organizzazione inglese molto al di là di quanto allora fosse possibile, e la tirannia, squisitamente retrograda, di Bonaparte; il quale intraprendeva, con grande dispendio, c dopo tanti altri governanti empirici, una vana restaurazione, in Francia, del regime feudale e teologico, senza nemmeno comprenderne lo spirito e le condizioni. Quanto al pa­ rallelo militare, che offre, d’altronde, un interesse molto secondario, co­ loro che volessero farlo saggiamente, dovrebbero, prima di tutto prendere in giusta considerazione l’esiguità dei mezzi usati da Cromwell, tenendo conto dell’importanza e della stabilità dei risultati ottenuti, in confronto al mostruoso consumo di uomini che fu indispensabile alla maggior parte dei successi napoleonici, se si eccettua la sua prima spedizione.1 1. Allude a Oliver Cromwell (1599 1658) che capeggiò la rivoluzione inglese del 1(41-1(4;.

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forato fu, al contrario, a paragone con l’audace soppressione della Camera dei L o r d i , un incidente secondario, del quale i tempi avevano spesso prodotto l’equivalente, e che non ha mai troppo preoccupato gli spiriti francesi, se non a causa di irrazio­ nali abitudini ad errati accostamenti storici, come ho già detto. È essenzialmente in questo modo che una simile scossa sociale, sebbene politicamente non riuscita, a causa dell’insufficiente pre­ parazione intellettuale che la ispirava, manifestò in realtà, nella serie generale delle operazioni rivoluzionarie, il principale sin­ tomo precursore della grande rivoluzione francese o europea, la sola destinata ad essere decisiva, come spiegherò a suo tempo. Bisogna poi riallacciare a questa serie preliminare di esplosioni politiche una terza rivoluzione, la cui vera natura non fu meno esclusivamente protestante delle due precedenti, sebbene il suo avvento cronologico, ritardato naturalmente dalle particolari cir­ costanze di questo ultimo caso, la faccia di solito porre abusiva­ mente in uno stadio più avanzato del movimento generale di disgregazione. La rivoluzione americana, alla quale non si deve alcuna importante e nuova elaborazione di dottrine critiche, non poté essere, infatti, sotto tutti gli aspetti, che una pura estensione comune delle due altre rivoluzioni protestanti, le cui conse­ guenze politiche vi furono sviluppate ulteriormente da un na­ turale concorso di condizioni favorevoli, alcune locali, alcune so­ ciali, e particolari a quella applicazione di princìpi. All’inizio, essa si limita evidentemente a riprodurre, sotto nuove forme, la rivoluzione olandese; nel suo slancio finale, prolunga la rivolu­ zione inglese, che realizza per quanto lo permette il protestan­ tesimo. Sotto entrambi gli aspetti, una saggia filosofìa non per­ mette di considerare socialmente decisiva una rivoluzione che, sviluppando oltre misura gl’inconvenienti propri all’insieme della dottrina critica, non è riuscita finora se non a consacrare, più profondamente che in ogni altro luogo, la totale supremazia politica dei metafisici e dei giuristi, presso una popolazione nella quale innumerevoli culti incoerenti prelevano ordinariamente, senza alcun vero scopo sociale, tributi molto superiori al bilan­ cio attuale di qualsiasi clero cattolico. Così questa colonia uni­ versale, nonostante i grandi vantaggi temporali della sua situa­ zione presente, deve venire considerata, in fondo, veramente molto più lontana, sotto tutti gli aspetti, da una reale riorganiz-

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azione sociale, che non i popoli dai quali deriva, dai quali dovrà ricevere, a tempo opportuno, la rigenerazione finale e la cui ini­ ziativa filosofica non potrebbe mai appartenerle; quali che siano, al giorno d’oggi, le puerili illusioni relative alla pretesa superio­ rità politica di una società, nella quale i diversi elementi essen­ ziali della civilizzazione moderna sono ancora così imperfetta­ mente sviluppati, a parte l’attività industriale, come indicherò piùparticolarmente nel capitolo successivo. Il nostro studio ge­ nerale di questo abbozzo preliminare della dottrina rivoluziona­ ria non sarebbe del tutto sufficiente, se, dopo aver giudicato la scossa intellettuale del protestantesimo in modo conforme al suo principale scopo sociale, noi non accordassimo infine un’atten­ zione sommaria, ma separata, alla considerazione storica delle inevitabili aberrazioni che la accompagnarono in modo secon­ dario. Bisogna, in effetti, vedere chiaramente la vera origine co­ mune di queste caratteristiche deviazioni, prima di tutto intel­ lettuali, poi morali, che, sviluppate soprattutto nel periodo se­ guente, e essenzialmente prolungatesi fino ai nostri giorni, di­ venendo temibilmente più gravi, traggono sempre la loro ori­ gine reale dalla pericolosa posizione spirituale, consacrata dal protestantesimo, nella quale la libertà speculativa viene procla­ mata per tutti, senza che nessuno possa stabilire solidamente dei principi adatti a dirigerne l’uso in maniera conveniente. Del re­ sto, qui è necessario evidentemente ridurre questo esame alle aberrazioni per così dire normali, cioè a quelle che furono una conseguenza naturale ed universale della situazione generale, evi­ tando accuratamente di fermarsi sulle anomalie locali o passeggiere, messe in evidenza con cieca parzialità dalla maggior parte dei filosofi cattolici, mentre il loro equivalente si potrebbe ritro­ vare all’età d’oro del cattolicesimo stesso, a causa della tendenza piùo meno inevitabile di qualsiasi dottrina teologica a favorire spontaneamente il disordine intellettuale, e, di conseguenza, mo­ rale. La più antica e la più funestai perché anche la più radicata edunanime di queste aberrazioni necessarie, consiste certamente nel pregiudizio fondamentale che, seguendo il cammino meta­ fisicoabituale, e consacrando uno stato eccezionale con un dogma assoluto ed immutabile, condanna indefinitamente l’esistenza politica di qualsiasi potere spirituale, distinto ed indipendente

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dal potere temporale. Avendo già convenientemente giudicato l’inevitabile avvento della dittatura temporale, che costituisce il principale carattere politico dell’epoca rivoluzionaria nel suo insieme, non ho bisogno di fermarmi di nuovo ora per far ca­ pire come una simile concentrazione, in seguito alla sua stessi irregolarità, fosse perfettamente adatta alla natura di quel tra­ passo, che, al contrario, non avrebbe potuto compiersi, se la uni­ ficazione avesse potuto farsi a favore del potere spirituale, cosa che del resto era del tutto impossibile. Ma questa dimostrazione dell’indispensabile utilità di una simile dittatura durante tuttoil periodo che consideriamo, sia per distruggere l’antico regime, sia per Telementare elaborazione del nuovo, non altera affatto quella, svolta nel capitolo precedente, sull’immenso perfeziona­ mento portato alla teoria universale dell’organismo sociale dalla fondamentale divisione delle due potenze, eterno onore del cat­ tolicesimo; né essa può escludere la conclusione generale che na­ scerà spontaneamente dal complesso dei due capitoli seguenti, sulla necessità ancora più pronunciata di tale grande divisione politica nell’ordine finale, al quale tendono le società moderne. Così, questo pregiudizio rivoluzionario deve essere considerato come la più deplorevole conseguenza, se pure la più inevitabile, del carattere assoluto inerente alle concezioni metafisiche, che le spinge a stabilire dei princìpi indefiniti in séguito a fatti tempo­ ranei; perché una simile disposizione costituisce realmente, al giorno d’oggi, uno dei più gravi ostacoli per qualsiasi vera rior­ ganizzazione sociale, che dovrà senza dubbio, come dovette la disorganizzazione precedente, cominciare dall'ordine spirituale, come dimostrerò ulteriormente. Ciò che rende particolarmente pericolosa questa aberrazione fondamentale, fonte necessaria della maggior parte delle altre, è la sua spaventosa universalità durante gli ultimi tre secoli, in séguito alla essenziale uniformità della àtuazione sociale corrispondente, come abbiamo già spiegato. Do­ vunque, dall’inizio del xvi secolo, si può dire senza esagerazione che, sotto questa prima forma, lo spirito rivoluzionario si è spontaneamente propagato, a diversi livelli, in tutte le classi della società europea. Sebbene il protestantesimo si sia trovato natu­ ralmente investito della consacrazione solenne di quel pregiudi­ zio, abbiamo tuttavia riconosciuto che esso non lo aveva affatto creato, e che, al contrario, gli doveva la sua origine separata.

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Sotto forme più implicite, la stessa aberrazione si ritrova da al­ lora sempre più, in modo però meno dogmatico, se pure social­ mente quasi equivalente, nella maggior parte del clero cattolico, chela degradazione politica, subita con crescente rassegnazione, aveva gradualmente trascinato fino a perdere il ricordo della sua anticaindipendenza. £ in questo modo che in Europa si cancellò, inséguito, durante quel periodo, qualsiasi parvenza, abituale e diretta, del grande principio della separazione fondamentale dei duepoteri, fondamentale carattere politico della civiltà moderna; inmodo che, ai nostri giorni, se ne può ritrovare un certo ap­ prezzamento razionale solo nel clero italiano, tra il quale essa è troppo giustamente sospetta di parzialità per poter opporre qualche resistenza al forte impulso universale delle abitudini de­ terminate daH'insieme della situazione rivoluzionaria. Tuttavia, quella divisione è troppo profondamente inerente alla natura es­ senziale delle società attuali per non realizzarvisi spontaneamen­ te, in condizioni adatte c, nonostante qualsiasi ostacolo, quando 10spirito di riorganizzazione avrà potuto infine riprendere, sotto 11 prestigio della filosofia positiva, la sua forza normale, come dirò a suo tempo. È nell’influenza universale di questa aberrazione fondamen­ tale che si ritrova, mi sembra, la principale origine storica di quello sdegno irrazionale che si manifestò allora attraverso il medioevo, per diretta ispirazione del protestantesimo e che poi si diffuse dovunque con energia sempre crescente col comune svolgimento della stessa situazione fondamentale, fino alla fine del secolo scorso; poiché è soprattutto in odio alla costituzione cattolica che quella grande epoca sociale è stata tanto ingiusta­ mente svalutata, con deplorevole unanimità, non solo tra i pro­ testanti, ma anche tra i cattolici stessi, tra i quali l’indipendenza politica del potere spirituale non è affatto meno disprezzata. Que­ staè anche la fonte della cieca ammirazione per il regime poli­ teista dell’antichità, che ha esercitato una così deplorevole in­ fluenza sociale durante tutto il periodo rivoluzionario, ispirando un’assoluta esaltazione per un sistema sociale che corrispondeva aduna civiltà radicalmente diversa dalla nostra, e che il cattoli­ cesimo aveva ben giudicato, al tempo del suo splendore, come essenzialmente inferiore. Il protestantesimo ha, d’altra parte, con­ tribuito particolarmente a questa pericolosa deviazione degli spi­

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riti, con la sua irrazionale ed esclusiva predilezione per la chiesa primitiva, e, soprattutto, col suo spontaneo entusiasmo, ancora meno saggio e più nocivo, per la teocrazia ebraica. In questo modo fu quasi cancellata, durante la maggior parte degli ultimi tre secoli, o almeno profondamente alterata, la nozione fonda­ mentale del progresso sociale, che da principio il cattolicesimo aveva, come ho già spiegato, necessariamente soltanto abbozzato, non fosse che attraverso la legittima e continuata dichiarazione di una generale superiorità del proprio sistema politico sui di­ versi regimi precedenti. La teoria metafìsica dello stato di natura è venuta in séguito a ratificare in un certo modo dogmatico questa retrograda aberrazione, presentando ogni ordine sociale come una degenerazione crescente di quella chimerica situazio­ ne, come il seguente periodo mostrò molto chiaramente, sotto l’impulso pericoloso dell’eloquente sofista protestante, che ha concorso di più a volgarizzare la metafisica rivoluzionaria. Noi vedremo, d’altronde, nel capitolo seguente, come l’elaborazione contemporanea dei nuovi elementi sociali abbia spontaneamente impedito che la nozione di progresso non si perdesse completa­ mente, imprimendole anche, c sempre di più un’invincibile ra­ zionalità, che da principio non poteva avere. L’aberrazione fondamentale che studiamo si è manifestata, nello stesso tempo, sotto un altro aspetto generale, al tempo stesso politico c filosofico, che è anche necessario descrivere sommaria­ mente, a causa dei suoi innumerevoli pericoli. A causa delle ne­ cessarie conseguenze di questo pregiudizio rivoluzionario sulla confusione permanente del potere morale col potere politico, tutte le ambizioni dovettero tendere, ciascuna a suo modo, verso la concentrazione assoluta. Da allora, mentre i re sognavano la monarchia musulmana, come ideale moderno, i preti, soprat­ tutto protestanti, sognavano una specie di restaurazione della teocrazia ebraica o egiziana, e i filosofi stessi riprendevano a loro volta, sotto forme nuove, il sogno primitivo delle scuole greche, sotto la specie di una teocrazia metafisica, che costituirebbe il preteso regno dello spirito, discusso nel capitolo precedente. Quest’ultima utopia, su una situazione ancora più chimerica delle due precedenti, è oggi, in fondo, la più pericolosa, perché tende a sedurre indirettamente, con troppe variazioni perché ci possa essere una vera difesa, quasi tutte le intelligenze attive. Tra i

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pensatori che appartennero veramente alla scuola progressista nel corso degli ultimi tre secoli e che si sono dati espressamente alle speculazioni sociali, conosco solo il grande Leibniz, che abbia avuto la forza di resistere a questa potente attrazione; an­ che Cartesio lo avrebbe fatto senza dubbio, se avesse formulato il suo pensiero su tale soggetto, come prima il solo Aristotele; ma Bacone stesso condivise certamente, in fondo, l’illusione co­ mune dell’orgoglio filosofico. Dovremo giudicare in altro luogo le gravi conseguenze successive di questa aberrazione capitale, che esercita al giorno d’oggi una così disastrosa influenza, per­ iino all’insaputa della maggior parte dei suoi stessi sostenitori naturali; sarà sufficiente, per ora, descriverne storicamente l’ori­ gine necessaria, o, piuttosto, la moderna resurrezione, fino al tempo nel quale essa scomparirà, per un razionale ritorno alla giusta teoria generale dell’organismo sociale, così come ho già detto nel capitolo precedente. Bisogna, come ultima cosa, notare anche la tendenza gene­ rale inevitabilmente legata al grande pregiudizio rivoluzionario che stiamo esaminando, a mantenere delle attitudini altamente perturbative con la disposizione a cercare unicamente nel cam­ biamento delle istituzioni legali la soddisfazione di tutti i vari bisogni sociali, mentre nella maggior parte dei casi, e soprattutto al giorno d’oggi, essa dipende molto di più da una preliminare riforma dei costumi e, innanzitutto, dei princìpi. Obbedendo istintivamente al suo cieco desiderio di un completo concentra­ mento dei poteri di ogni tipo, la dittatura temporale, monarchica o aristocratica, non poteva normalmente comprendere, dopo il ivi secolo, l’immensa responsabilità sociale che così si assumeva spontaneamente, per la ragione stessa che le faceva rendere subito politiche tutte le questioni che fino ad allora avevano potuto es­ sere solo morali. Se la società non ne soffrisse, il potere vi trove­ rebbe soltanto una giusta punizione per la sua insaziabile avi­ dità, come ho fatto notare nel quarantaseiesimo capitolo; ma è sfortunatamente evidente che questa disposizione irrazionale, conseguenza necessaria dell’aberrazione fondamentale che con­ fonde indefinitamente il governo morale con quello politico è divenuta sempre di più la fonte di continui disordini e di gravi delusioni, e anche un incoraggiamento permanente per i ciarla­ tani e i fanatici, che induce a vedere e a far vedere tutte le solu­

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zioni sociali in sterili sconvolgimenti politici. Anche nei momenti meno tempestosi ne derivava Testrema ed abituale restrizione dei concetti relativi alla soddisfazione dei vari bisogni della so­ cietà, da allora sempre più ridotti a prendere in considerazione solo misure che fosse possibile mettere subito in atto. Questo esorbitante predominio del punto di vista materiale e immediato, che, nella pratica, porta a tante fantasticherie politiche, quando le vere necessità sociali reclamano soprattutto l’impiego di mezzi morali lungamente preparati, è apparso, senza dubbio, prima e principalmente tra i popoli protestanti, dove resta, anche al gior­ no d’oggi, più pronunciato che altrove, in séguito ad una specie di consacrazione dogmatica di abitudini inveterate; ma i popoli cattolici non potevano veramente esserne esenti a causa dell’effet­ tiva uniformità della corrispondente situazione sociale e dell’uni­ versale pregiudizio che ne derivava. Per quanto profondamente nocivi possano essere al giorno d’oggi sia ai governi, sia alle so­ cietà, questi atteggiamenti irrazionali, ora comuni a tutti i partiti politici, che prescrivono dovunque i progetti elevati e lontani, i soli capaci, tuttavia, di condurre ad una vera soluzione, essi non potranno sparire del tutto, se non sotto il predominio della filo­ sofia positiva, come farò notare particolarmente nel cinquantasettesimo capitolo. Le aberrazioni morali generate dall’abbozzo protestante della dottrina critica, pur non essendo di certo meno gravi di queste diverse aberrazioni intellettuali, non hanno bisogno di venire qui descritte altrettanto accuratamente, perché la loro derivazione è più evidente, è più facile il valutarle per ogni buona intelli­ genza che si sia posta convenientemente dal punto di vista del nostro lavoro storico nel suo complesso. È chiaro, infatti, che la spinta libertaria impressa così a tutte le intelligenze medie a pro­ posito delle questioni più difficili e meno disinteressate, con la vaga e arbitraria ispirazione di una filosofia teologica o metafi­ sica, ormai lanciata senza freni nella sua corsa disordinata, do­ veva produrre, nell’ordine morale, le più gravi perturbazioni e tendere rapidamente a non lasciare intatte sotto il superficiale giudizio di un’analisi corrosiva, che le sole nozioni morali rela­ tive ai casi più grossolanamente evidenti. Qualsiasi buon filosofo dovrebbe, al proposito, meravigliarsi soprattutto del fatto che tali deviazioni non siano state spinte molto oltre da quelle influenze;

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cbisogna ringraziarne prima di tutto la naturale rettitudine, sia morale che intellettuale, della natura umana, che questa spinta nonpoté del tutto alterare; e poi, più particolarmente, il crescente prevalere delle abitudini al lavoro regolare ed unanime delle po­ polazioni moderne, distolte fortunatamente in questo modo dall’abbandonarsi a divagazioni sociali con l’intenso interesse che vi avrebbero invece messo certamente, in una situazione simile, legenti disoccupate della Grecia e di Roma. Sebbene questo tipo di aberrazioni abbia dovuto svilupparsi principalmente durante lafase successiva del movimento rivoluzionario, ciò non di meno prese origine, in generale, ed anche in uno slancio già notevole, durante la fase puramente protestante; la quale, sotto molti aspetti importanti, portò gravi modifiche ai veri princìpi fondamentali della morale universale, non solo sociale, ma domestica, cheil cattolicesimo aveva degnamente costituita; con prescrizioni eproibizioni alle quali riporterà essenzialmente e sempre di più ogni discussione razionale abbastanza approfondita *. Oltre alla a. Al tipo di aberrazioni morali messe in evidenza in questo testo si potrebbe aggiungere anche la tendenza chiaramente immorale che carat­ terizza certe opinioni teologiche proprie agli uomini più importanti della separazione protestante, consacrate persino in séguito, dalla accettazione più o meno implicita nella dottrina ufficiale. Tali sono, soprattutto, le oscure divagazioni della teologia luterana sul merito sufficiente della fede, indipendentemente dalle opere, a causa dello strano dogma sull’inamovibilità della giustizia, e ugualmente i sofismi, non meno pericolosi, della teologia calvinista sulla predestinazione degli eletti. Ma ho creduto di dovermi limitare a considerare particolarmente le aberrazioni morali che costituivano in modo diretto la conseguenza necessaria e universale della fondamentale situazione; scartando, quindi, le innumerevoli deviazioni che sorgevano solo per gli spazi lasciati dall'anarchia intellettuale e con­ sacrati dal protestantesimo. Tuttavia, la direzione generale di queste ul­ time aberrazioni, che tendeva quasi sempre a moderare la severità delle regole morali, invece di esagerarla, può venire giustamente riallacciata alla nuova situazione sociale; la quale subordinando radicalmente il po­ tere spirituale, poteva spingerlo a concessioni incompatibili con l’infles­ sibile purezza dei princìpi morali, e che erano dettate solamente dai bi­ sogni dell'esistenza dipendente dal sacerdozio protestante. Sotto questo aspetto, anche la degradazione politica del cattolicesimo lo ha necessa­ riamente portato, negli ultimi tre secoli, a simili accondiscendenze pra­ tiche, se pure in modo molto meno pronunciato, e soprattutto, senza mai arivare direttamente fino ad alterare pubblicamente le stesse regole mo-

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precisa osservazione storica del saggio Hume sull’appoggio che, in generale, la separazione luterana aveva dovuto segretamente trovare nelle passioni degli ecclesiastici, stanchi del celibato sa­ cerdotale, e nell’avidità dei nobili per il possesso dei beni terreni del clero, bisogna subito notare qui, come conseguenza più pro­ fonda, più duratura e più universale della situazione fondamen­ tale, della quale stiamo completando l’analisi, che la posizione sociale sempre più subalterna del potere morale, tendeva ormai a togliergli ogni forza, ed anche la volontà di difendere l’intera inviolabilità delle regole morali più elementari, contro l’energia dissolutrice, al tempo stesso razionale ed appassionata, che si ap­ plicava invece con costanza a distruggerle. È sufficiente indicare qui, per esempio, la grave alterazione che il protestantesimo do­ vette accettare dovunque nell’istituzione del matrimonio, prima base fondamentale dell’ordine domestico, e, di conseguenza, del­ l’ordine sociale, permettendo l’uso regolare ed universale del di­ vorzio; contro il quale il costume moderno ha sempre fortuna­ tamente lottato spontaneamente, in quanto risultato necessario della legge naturale dell’evoluzione umana relativa alla fami­ glia, già indicata nel capitolo precedente. Sebbene questa potente influenza abbia essenzialmente neutralizzato gli effetti deleteri di una simile alterazione, essi si sono tuttavia ben presto definiti in modo molto inquietante presso le diverse popolazioni prote­ stanti. Si può applicare lo stesso ragionamento, se pure ad un grado minore, alla crescente limitazione dei più importanti casi di incesto che il protestantesimo ha imposto, mentre erano stati così saggiamente proscritti dal cattolicesimo, e la cui retrograda riabilitazione morale doveva concorrere tanto al disordine delle famiglie moderne; il lettore attento saprà supplire facilmente, a tale proposito, ai numerosi sviluppi che qui non potrei indicare. Tuttavia, credo di dover notare in modo particolare, come fatto eminentemente caratteristico dell’ordine di conseguenze che stiamo esaminando, quella vergognosa decisione dogmatica, tanto deplorevolmente famosa, con la quale i principali capi del pro­ testantesimo, e Lutero alla loro testa, autorizzavano solenncraii, che almeno ci ha trasmesso perfettamente intatte, con la saggia re­ sistenza che ha spesso opposto, a tale proposito, alle potenti pressioni temporali.

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mente, dopo lunghe discussioni teologiche, la bigamia ufficiale tedesco *; l’accondiscendenza quasi simultanea dei fondatori della chiesa anglicana verso le crudeli debolezze del loro strano papa nazionale completa questa triste osservazione, ma ha un carattere meno sistematico. Sebbene il cattolicesimo, nonostante la sua diminuzione politica, non si sia mai così aper­ tamente degradato, tuttavia la sua crescente impotenza produsse necessariamente effetti quasi equivalenti; poiché, fin dall’origine del periodo rivoluzionario, la sua disciplina morale non potè es­ sere tanto energica da reprimere la progressiva licenza delle de­ clamazioni e delle satire delle quali il matrimonio stava diven­ tando l’oggetto fino nelle più importanti riunioni pubbliche. Bi­ sogna anche riconoscere, a questo proposito, al fine di valutare afondo l’estensione e la natura del male, che la graduale avver­ sione per la costituzione cattolica, a causa del suo principio teo­ logico, divenuto profondamente ostile allo slancio intellettuale, ha spesso appoggiato le aberrazioni moralia per il fatto stesso che erano proscritte dal cattolicesimo, contro il quale la nostra di unprincipe

t. Considerando con attenzione le deplorevoli discussioni del nostro secolo a proposito del divorzio, è facile ancora notarvi che, per un gran sumero di intelligenze contemporanee, il grande principio sociale del­ l'indissolubilità del matrimonio non ha, al fondo, altro corto essenziale, che di essere stato degnamente consacrato dal cattolicesimo, la cui morale i cosi ciecamente coinvolta nella giusta antipatia che ispira da molto tempo la sua teologia. Senza questa specie di ripugnanza istintiva, infatti, la maggior parte degli uomini di buon senso capirebbe facilmente, al giorno d'oggi, che l’uso del divorzio costituirebbe veramente un primo passo verso la completa abolizione del matrimonio, se il suo sviluppo reale po­ tesse essere permesso dai nostri costumi, la cui invincibile resistenza, a tale proposito, si appoggia invece fortemente alle condizioni fondamen­ tali della civiltà moderna, che nessuno può cambiare. Non è di certo il solo caso decisivo attraverso il quale si possa constatare chiaramente, sia io pubblico, che in privato, il grave pregiudizio pratico che porta alle diverse regole morali la loro irrazionale e apparente coerenza con le cre­ denze teologiche, che una volta furono loro molto utili, ma che ora, con il loro discredito finale tendono a comprometterle radicalmente davanti a tutte la nature un po' vive. i. Allude al langravio Filippo d'Assia (1504-1567) al quale Lutero permise di spaiare Margherita della Saale pur continuando a riconoscere quale moglie Cristina di Sassonia, e al re d'Inghilterra Enrico Vili.

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natura maligna si compiace di organizzare così una specie di puerile rivolta. È così che, durante il periodo protestante, del quale stiamo terminando Tesarne, le diverse dottrine religiose furono spinte naturalmente a constatare in modo irrefutabile, per vie diverse, ma equivalenti, la loro radicale impotenza a di­ rigere ormai la morale umana, sia perché vi avevano provocato direttamente cambiamenti sempre più gravi, a causa delle divagazioni intellettuali liberamente sviluppatesi, sia perché avevano perso la forza per contenere i disordini, portando di­ scredito a delle leggi invariabili con la cieca ostinazione di rial­ lacciarle, in modo esclusivo, a delle credenze fin da allora giusta­ mente odiose alla natura umana. Il séguito del nostro studio sto­ rico ci fornirà spontaneamente molte occasioni importanti per riconoscere, senza incertezze, che la morale universale, lungi dal dover temere indefinitamente l’azione corrosiva dell’analisi filosofica, non può più ormai trovare solide fondamenta intellet­ tuali, se non al di fuori di qualsiasi teologia, e appoggiandosi ad una valutazione veramente razionale c abbastanza approfondita delle diverse inclinazioni, azioni ed abitudini, studiate dall’in­ sieme delle loro reali conseguenze, pubbliche o private. Ma è ora necessario cominciare già a descrivere, in generale, l’epoca, a partire dalla quale le credenze religiose hanno di fatto comin­ ciato a perdere, sia per anarchia attiva, sia per passiva atonia, le antiche qualità morali, che un cieco empirismo attribuisce loro ancora, contro la lampante esperienza degli ultimi tre se­ coli, i quali hanno tanto evidentemente rappresentato tutte le dottrine teologiche come motivi, per la parte migliore delTumanità, molto più di odio permanente e disordine, che non di pace e d’amore. Appare così, in poche parole, che questa irrevocabile decadenza data essenzialmente dall’universale degradazione po­ litica del potere spirituale, la cui sottomissione crescente al po­ tere temporale doveva alterare gravemente la dignità e la pu­ rezza delle leggi morali, subordinandole sempre più al crescente dominio di quelle passioni stesse che avrebbero dovuto contenere. Questa è dunque, infine, l’importante e diffìcile valutazione storica, politica e filosofica, relativa al primo periodo generale, esclusivamente protestante, della fase sistematica del grande mo­ vimento rivoluzionario. È ora particolarmente indispensabile de­ scrivere con cura, e sotto tutti gli aspetti essenziali, questo co­

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mune punto di partenza del definitivo avvento della filosofia ne­ gativa e di tutte le crisi sociali che le corrispondono. La neces­ saria diversità dei numerosi lati dai quali ho dovuto far succes­ sivamente risaltare un’epoca tanto mal giudicata finora, spiega facilmente la notevole vastità di questa discussione, che ho sem­ precercato di ridurre per quanto possibile, senza nuocere al mio scopoprincipale. Nonostante gli sviluppi, dei quali ho cercato di nonomettere nessuna indicazione essenziale, temo che un punto di vista tanto nuovo, in una questione tanto profondamente com­ plicata, non sia ancora divenuto abbastanza familiare al saggio lettore, a meno che non abbia studiato ripetutamente questa que­ stione nel suo complesso, rafforzandola in séguito con una ra­ zionale verifica storica, nella quale io ora non posso addentrarmi. Ora è necessario, per valutare in modo completo i risultati definitivi del movimento generale di disgregazione, prendere in considerazione la sua fase più estrema e decisiva, durante la quale la dottrina rivoluzionaria è stata alla fine sistematizzata direttamente in tutta la sua pienezza. Ma, nonostante l’impor­ tanza più immediata di questo ultimo periodo critico, d’altronde lungoquanto il precedente, il suo esame potrà venire ormai com­ pletato più facilmente, perché esso fu solo un prolungamento generale dell’altro, nel quale abbiamo già attentamente analizzato i veri motivi di ogni sconvolgimento ulteriore. Avremo dunque ormai quasi sempre nozioni razionali e sufficienti sul cammino storicodella metafìsica rivoluzionaria, limitandoci essenzialmente a riallacciare, nei casi principali, le conseguenze deiste ai prin­ cìpi protestanti. Inoltre, la nostra attenzione dovrà ormai con­ centrarsi in modo esclusivo, fino alla fine di questo capitolo, sul progredire della disgregazione spirituale; poiché la disorga­ nizzazione temporale fino a che non fu completamente finito lo sconvolgimento filosofico, non potè presentare, come ho detto, die i caratteri politici già stabiliti per l’altro periodo; e, quanto all’immensa esplosione finale che dovette succedere a questa tra­ sformazione, la sua particolare importanza ne fa rinviare l’esatta valutazione al cinquantasettesimo capitolo, quando nel cinquan­ taseiesimo avremo già convenientemente analizzato lo sforzo cre­ scente del movimento più elementare di riorganizzazione, che si è sempre sviluppato insieme alla disgregazione, della quale stiamo terminando lo studio generale.

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Sarebbe conoscere molto male il cammino lento ed il merito della nostra debole intelligenza, soprattutto riguardo alle idee sociali, il supporre lo spirito umano capace di evitare l’elaborazione finale della dottrina critica per il solo fatto che, essendone già stati tutti i princìpi essenziali abbozzati dal protestantesimo, il graduale sviluppo delle loro conseguenze inevitabili avrebbe potuto essere abbandonato al suo corso naturale, senza necessità di una serie particolare di lavori sistematici per formare direttamente la filosofia negativa. Prima di tutto, non c’è dubbio che l’emancipazione umana avrebbe in quel modo subito inevitabil­ mente un immenso ritardo, del quale ci si può fare un’idea pre­ cisa riflettendo sull’infelice tendenza della maggior parte degli uomini a sopportare, con rassegnazione quasi infinita, uno stato di disordine logico, come quello che era stato consacrato dal pro­ testantesimo, soprattutto fino a che l’intelligenza restava ancora sottomessa al regime teologico. Persino al giorno d’oggi, tra i paesi protestanti, nei quali la rivoluzione filosofica non poté pe­ netrare abbastanza, in Inghilterra, ed ancora di più negli Stati Uniti, non si vedono forse i sociniani e le altre sètte avanzate, che hanno rigettato quasi tutti i dogmi essenziali del cristianesi­ mo, ostinarsi tuttavia a mantenere la loro puerile restrizione pri­ mitiva dello spirito del libero esame ai soli fatti esclusivamente biblici, e nutrire degli odi veramente teologici contro tutti coloro che hanno spinto più lontano l’affrancamento spirituale? Ma, inoltre, con un’analisi più particolare ed approfondita, si può riconoscere facilmente, mi sembra, che il necessario slancio della dottrina rivoluzionaria avrebbe finito con l’essere essenzialmente soffocato, senza quelFammirevole rinnovamento deista, che ha caratterizzato soprattutto il secolo scorso, e che si può chiamare giustamente volteriano, dal nome del suo maggiore divulgatore. Poiché il protestantesimo, dopo aver preso l’iniziativa di soste­ nere i princìpi critici li aveva implicitamente abbandonati dovun­ que aveva trionfato; dopo che, sotto la forma luterana, si era profondamente mescolato con il potere temporale, il suo spirito non era meno ostile di quello del cattolicesimo stesso a qualsiasi ulteriore emancipazione; quindi lo slancio rivoluzionario non fu più rappresentato, da allora, che dalle sètte dissidenti, già cru­ delmente represse, alle quali le innumerevoli divergenze im p ed i­ vano d’altra parte di acquistare un reale predominio intellettuale.

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Tale era, a questo riguardo, la vera situazione generale della cri­ stianità, sia protestante sia cattolica, verso la fine del xvm se­ colo, quando la grande dittatura temporale, monarchica o ari­ stocratica, ebbe preso il suo carattere definitivo, dopo l'espulsione dei calvinisti francesi ed il contemporaneo trionfo degli angli­ cani; momento dal quale data essenzialmente, per entrambi ì casi, l’organizzazione completa del sistema di resistenza più o meno retrograda, divenuto gradualmente sistematico, contempo­ raneamente allo spirito rivoluzionario. Questo immenso concen­ tramento politico intorno a poteri già istintivamente preoccupati per Fimminente pericolo dell’ulteriore prolungarsi del movimen­ to di disgregazione, e quella specie di defezione spontanea, che stava facendo il protestantesimo verso tutta la causa rivoluzio­ naria, che fino ad allora aveva rappresentato in modo esclusivo, tutto questo concorso universale di ostacoli esigeva evidentemente che la disorganizzazione spirituale prendesse una nuova strada c trovasse capi più conseguenti e capaci di condurla fino al suo ultimo limite inevitabile, con mezzi adatti alla natura del­ l’operazione e dalla difficoltà delle circostanze. Del resto, sarebbe certamente superfluo insistere qui ancora sull’indispensabile in­ tervento di un’influenza filosofica, il cui predominio era assolu­ tamente inevitabile, come vedremo ben presto. Ma non era af­ fatto inutile verificare direttamente, in questo nuovo caso im­ portantissimo, l’invariabile corrispondenza che ci ha finora sem­ pre mostrato spontaneamente, in tante altre occasioni, tutto il nostro passato, tra le grandi esigenze sociali e i vari modi con­ temporanei per soddisfarle. È chiaro, in generale, dopo la serie delle nostre spiegazioni anteriori, che il periodo protestante ave­ va gradualmente portato l’antico sistema sociale ad uno stato di interna decomposizione, per il quale era divenuto essenzialmente inadatto a dirigere in qualsiasi modo l’ulteriore evoluzione delle società moderne, verso la quale il suo potere politico diveniva, al contrario sempre più ostile. Così, l’imminenza di una rivolu­ zione universale e decisiva cominciava già da allora a farsi vaga­ mente sentire nei pensatori più acuti, come ce ne dà l’esempio il grande Leibniz. Da un’altra parte, tuttavia, questo sistema avrebbe prolungato quasi indefinitamente, per la sola forza dell’inerzia, il suo predominio oppressivo, nonostante quello stato di quasi putrefazione e ia modo da ostacolare profondamente,

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persino come idea, qualsiasi vera riorganizzazione sociale, senza poter tuttavia realizzare la propria utopia retrograda, se il fer­ mento rivoluzionario, acquistando spontaneamente una nuova e più completa energia, non fosse venuto, con l’importante opera­ zione filosofica che dobbiamo ancora valutare, a far infine risal­ tare grandemente l’inevitabile tendenza deH’insieme del grande movimento di documentazione verso una totale rigenerazione, che costituiva la sua unica soluzione necessaria; la quale in tutt’altra ipotesi, sarebbe rimasta costantemente avvolta dalla nebu­ losa indeterminazione politica della metafisica protestante. È or­ mai facile vedere la tendenza naturale della filosofìa negativa verso quello stato definitivo di completa sistematizzazione, come risultato, diretto o indiretto, del movimento puramente eretico, prima descritto. Infatti questa graduale disposizione dello spirito umano ad una totale emancipazione dalla teologia si era già ma­ nifestata prima che la disgregazione spontanea del monoteismo cattolico cominciasse a divenire sensibile. Risalendo nel tempo per quanto possibile, la si potrebbe vedere precedere, per così dire, l’organizzazione del cattolicesimo, tenendo naturalmente conto delle spiegazioni della cinquantatreesima lezione sulle no­ tevoli tendenze di certe scuole greche, durante la decadenza del regime politeista, ad oltrepassare speculativamente i limiti ge­ nerali del semplice monoteismo. Uno sforzo talmente prematuro, in un tempo nel quale una sana concezione della filosofia na­ turale era evidentemente impossibile, non poteva, senza dubbio, che finire in una specie di panteismo metafisico, nel quale la na­ tura veniva, in fondo, astrattamente divinizzata; ma una simile dottrina differiva poco, in realtà, da quella che in séguito venne abusivamente qualificata come ateismo; essa vi si avvicinava, so­ prattutto, per la radicale opposizione a tutte le credenze reli­ giose suscettibili di vera organizzazione, fatto per noi molto im­ portante, poiché si tratta di idee essenzialmente negative. Per quanto questa disposizione antiteologica è dovuta, come ho già spiegato, scomparire spontaneamente davanti allo spirito di organizzazione del monoteismo, durante il lungo periodo di ascesa sociale del cattolicesimo, essa non era mai del tutto scom­ parsa, e le tracce ne sono molto evidenti in tutte le epoche della grande elaborazione cattolica, non fosse che per le persecuzioni che dovette allora subire la filosofia di Aristotele a causa di quella

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caratteristica che, in effetti, vi si trovava implicitamente consacra­ ta. La scolastica propriamente detta nacque in séguito, come si è visto, ad una specie di transazione spontanea tra le due metafì­ siche antagoniste, trovò essa stessa una nuova soluzione naturale allo spirito di emancipazione, il quale attraverso la teologia uf­ ficiale manifestava una crescente predilezione per i liberi pen­ satori della Grecia che avevano continuato sempre ad influenzare, inmodo diverso, molti uomini con tendenze speculative, e prin­ cipalmente l’alto clero italiano, che costituiva la parte più pen­ sosa deH’umanità di allora. Questa metafìsica radicalmente ne­ gativa si era già diffusa, durante il xm secolo, tra gli spiriti colti, inmodo da lasciare ancora molte tracce come nei due più im­ portanti amici e predecessori di Dante, o nel celebre ministro di Federico II, ed altri \ Senza prendere una parte molto attiva alle lotte intestine dei due secoli seguenti, nei quali la disorganizza­ zione spontanea del sistema cattolico fu diretta soprattutto, come hospiegato, da una metafisica più teologica, fonte diretta del più puro protestantesimo, quella tendenza religiosa vi trovò natural­ mente un nuovo stimolo e uno slancio più forte prendendovi an­ che un carattere più sistematico e nello stesso tempo più pro­ nunciato. Durante il xvi secolo, essa lascia agire il protestantesi­ mo, astenendosi accuratamente dal concorrere alla sua elabora­ zione e profittando solamente della mezza libertà che necessa­ riamente le discussioni filosofiche venivano in quel modo acqui­ stando, per cominciare a sviluppare in modo diretto la propria influenza intellettuale, sia scritta, sia soprattutto orale; questo èciòche mostrano in modo preciso gli illustri esempi di Erasmo, CardanoI.23, La Raméea, Montaigne, ed altri; ed è ciò che confer­ mano, ancora più evidentemente, le ingenue lamentele di tanti veri protestanti sul crescente dilagare di uno spirito antiteologico, cheminacciava di rendere già del tutto superflua la loro riforma nascente, facendo risaltare in modo diretto l’irrevocabile caducità del sistema che ne era l’oggetto. Le lotte lunghe e piene di ar­ dore, causate allora da dissensi religiosi, contribuirono potente­ I. Si riferisce a G. Cavalcanti, Pier delle Vigne e probabilmente C. Guinizzelli. }. Gerolamo Cardano (1501-1576), celebre medico, matematico e filosofo di Pavia [1501-1576).

3. Pierre la Ramée, matematico e filosofo francese (1502-1572), divenuto calvi■sista, moti nella strage di San Bartolomeo.

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mente, in séguito, a rafforzare ed a propagare quello spirito, il cui sforzo, cessando di essere la semplice fonte di soddisfazioni personali per le migliori intelligenze, cominciava a trovare spon­ taneamente, come ho già detto, tra il volgo stesso un nobile sco­ po sociale, divenendo il solo rifugio generale dell’umanità, con­ tro le stravaganze ed i furori dei diversi sistemi teologici, dege­ nerati dovunque ormai in motivo di oppressione e disordine. Così vedremo fra poco, come l’elaborazione sistematica della filosofìa negativa si sia veramente operata, in tutto quello che offriva di più fondamentale, verso la metà del secolo xvn, seb­ bene di solito venga posta nel secolo seguente, riservato invece alla sua attiva diffusione universale. Questo avvento naturale di una simile filosofia dovette essere allora potentemente secondato da un movimento intellettuale di tutt’altra natura e con destini ben più alti, sebbene abitualmente confuso col primo nelle analisi attuali. È chiaro che si tratta dello sforzo diretto del vero spirito positivo, il quale, fino ad allora applicato ad oscure ricerche scientifiche, cominciava infine, nel secolo xvi e soprattutto durante la prima metà del xvu, a mani­ festare altamente il proprio carattere filosofico, non meno ostile, in fondo, alla metafìsica stessa che alla pura teologia, ma che avrebbe dapprima concorso spontaneamente con l’una per eli­ minare l’altra del tutto, come spiegherò particolarmente nel ca­ pitolo seguente. Ho già detto che questo nuovo spirito aveva aiutato poco lo sconvolgimento protestante, al quale era poste­ riore con il suo sforzo particolare e del resto poco simile, mentre avrebbe facilitato molto l’ulteriore emancipazione, come mi sem­ bra opportuno far notare sommariamente a questo punto. Ora,, questa inevitabile influenza derivava direttamente, nelle intelli­ genze superiori, dalla sua necessaria tendenza, sempre crescente, a favorire il predominio della ragione sulla fede, disponendo gli animi a rigettare sistematicamente, almeno per il momento, qual­ siasi credenza che non fosse dimostrata. Senza attribuire a Ba­ cone e a Cartesio alcun progetto formalmente irreligioso, poco compatibile, in effetti, con la missione importantissima che as­ sorbiva la loro attiva sollecitudine, è tuttavia impossibile disco­ noscere che lo stato preliminare di pieno affrancamento intellet­ tuale che essi richiedevano rigorosamente alla ragione umana, doveva ormai portare gli spiriti migliori ad una completa eman­

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cipazione dalla teologia, in un tempo nel quale il risveglio intel­ lettuale era stato a tale proposito già abbastanza provocato. Tale risultato naturale diveniva così tanto più diffìcile da evitare, in quanto era meno sospettato come conseguenza di una semplice preparazione logica, della quale nessun uomo saggio avrebbe po­ tuto allora negare la necessità astratta. Questo è infatti l'irresisti­ bile ascendente spirituale delle rivoluzioni puramente metodolo­ giche, il pericolo delle quali non è, di solito, visto prima che esse siano tanto avanti da non poter più venir realmente trattenute. Così, nel caso attuale, il grande Bossuet stesso, nonostante il suo sincero attaccamento a credenze caduche, cedette alla se­ duzione logica del principio cartesiano, sebbene la tendenza an­ tireligiosa di esso fosse già stata fatta notare dal giansenista Pa­ scal, il quale, nella sua qualità di neofita, aveva una fede più inquieta e più viva. Mentre questa inevitabile tendenza guada­ gnava insensibilmente gli spiriti migliori, il popolo era, d’altra parte, profondamente turbato dalle proprie vacillanti convinzioni acausa del conflitto non meno inevitabile che da allora comin­ ciava a sorgere direttamente, e con forza crescente, dalle scoperte scientifiche in contrasto con i concetti teologici. La famosa per­ secuzione cosi ciecamente decisa contro il grande Galileo per la sua dimostrazione del movimento della Terra, dovette creare al­ lora più increduli di quanti gli intrighi e le prediche dei gesuiti potessero convertire o salvare; e oltre alla manifestazione invo­ lontaria che il cattolicesimo faceva, in questo modo, del proprio carattere ormai ostile al più puro e più nobile slancio del genio umano, molti altri casi analoghi, anche se meno pronunciati, svilupparono in ugual maniera a diversi livelli tale opposizione sempre più decisiva, prima della fine del xvu secolo. Ciò che bi­ sogna ora notare, soprattutto riguardo a questa doppia influenza inevitabile esercitata allo stesso tempo su tutti i tipi di intellet­ tuali, è la sua tendenza ugualmente contraria alle varie credenze che si disputavano ancora tanto vanamente la guida morale dell’umanità; e, di conseguenza, la convergenza naturale degli sforzi generali di questa per una finale emancipazione della ragione umana contro qualsiasi teologia, la cui incompatibilità radicale col sorgere delle conoscenze reali veniva in quel modo svelata. A queste diverse fonti universali del grande impulso intellet­ tuale, dal quale la filosofìa negativa doveva trarre il suo più gran­

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de ascendente, bisogna aggiungere (perché secondò ponientemente non la sua sistematica formazione, ma la sua attiva divul­ gazione) l’aiuto naturale delle disposizioni morali quasi univer­ sali che, in séguito, avrebbero del resto influito tanto sulla sua decisa applicazione sociale. Ho già abbastanza messo in evidenza, più sopra, l’intima e necessaria affinità dello spirito di emanci­ pazione religiosa con il legittimo slancio della libera attività individuale, tanto indispensabile allo sviluppo di una civiltà mo­ derna; e la lezione seguente conterrà in modo particolare nuove spiegazioni su questo importante rapporto reciproco. Non è or­ mai possibile dubitare che il bisogno sempre più imminente di lottare con energia contro la potente oppressione della dittatura retrograda abbia sollevato di fatto, dalla fine del xvn secolo, tutte le passioni più generose in favore della dottrina critica comple­ tamente sistematizzata, che sola poteva servire allora come or­ gano universale del progresso sociale. Ma, oltre a questi nobili influssi, ormai riconosciuti dovunque, e sui quali, data la loro grande evidenza, ci sembra inutile insistere, l’imparzialità sto­ rica esige veramente che, senza cadere nelle vane recriminazioni declamatorie dei campioni della religione, si abbia il coraggio di valutare anche lo stimolo potente che quella indispensabile ela­ borazione rivoluzionaria dovette segretamente ricevere, alla sua origine e per tutta la sua durata, dalle errate inclinazioni che tanto sfortunatamente predominano nella costituzione fondamen­ tale dell’uomo, come si è visto nel quarantacinquesimo capitolo, e che certamente accoglievano con avidità ogni concetto pura­ mente negativo, sia speculativo, sia soprattutto sociale. Relativa­ mente al principio assoluto del libero esame individuale, base comune di tutta la dottrina critica, sarebbe superfluo spiegare la naturale seduzione che doveva esercitare in modo immediato sulla puerile vanità di quasi tutti gli uomini, il cui personale in­ telletto veniva così a trovarsi innalzato alla posizione di arbitro supremo delle più importanti discussioni; del resto, ho già dimo­ strato, nel quarantaseiesimo capitolo, come questa irresistibile attrazione seduca ancora al giorno d’oggi quelli stessi che sene dichiarano gli avversari più sistematici. Inoltre, sebbene gli odi teologici abbiano spesso abusato indegnamente dell’espressiva denominazione per tanto tempo applicata ai liberi pensatori, per suscitare contro di essi calunniose accuse morali, l’uso unanime,

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espesso inoffensivo, di questa qualifica, fino al secolo successivo, deve essere all’inizio interpretato solo come un’ingenua manife­ stazione dell’istintiva spinta delle passioni umane verso una fi­ losofìa che liberasse la nostra natura dall’antica disciplina men­ tale, e quindi morale, senza poterla sostituire realmente con qual­ cosa di equivalente e normale. Tutti gli altri dogmi essenziali della dottrina critica danno luogo evidentemente ad osservazioni simili e anche più notevoli, in quanto riguardano passioni più violente. È per questo che l’ambizione accettava normalmente e con ardore il principio, provvisoriamente indispensabile, della sovranità popolare, che apriva al suo slancio politico una carriera quasi inarrestabile, rendendo continuo, per così dire, il pensiero di nuovi cambiamenti, la portata dei quali sembrava non poter essere più limitata da nulla. Non ci si può più nascondere che l’orgoglio, e persino l’invidia, siano stati, sotto molti aspetti, po­ tenti sogni permanenti dell’amore sistematico per l’uguaglianza; il quale, a parte ogni ipocrisia, d’altronde così facile su questo argomento, non deriva affatto esclusivamente, nelle nature più elevate, da un attivo e generoso sentimento di fraternità univer­ sale, ma piuttosto da una segreta azione del desiderio di potere, trascinando spontaneamente, per insoddisfazione affettiva, al­ l’odio istintivo di qualsiasi fórma di superiorità, allo scopo di ot­ tenere un livellamento. Non è questo il luogo per giudicare i disordini pratici che nacquero in séguito a questa irrefutabile correlazione dei princìpi critici con le diverse e predominanti passioni umane. Ho solo voluto segnalare, in generale e da que­ stopunto di vista, come le influenze intellettuali che spingevano direttamente all’elaborazione pratica di una tale dottrina fossero naturalmente rafforzate da potenti influssi morali, la cui sponta­ nea collaborazione si manifestava soprattutto nelle crisi insurre­ zionali; nelle quali si è potuto tanto spesso notare la tendenza istintiva dell’azione rivoluzionaria ad accogliere senza ripu­ gnanze l’attiva partecipazione volontaria di quelli stessi che, di solito, sopportano male il freno abituale delle regole sociali. La valutazione effettiva dello sviluppo generale del sistema defini­ tivo della filosofìa negativa, del quale abbiamo descritto, sotto diversi aspetti essenziali, l’inevitabile avvento, esige, prima di tutto, che vi si distingua la critica spirituale da quella temporale. Anche se quest’ultima dovette costituire l’indispensabile com­

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plemento della dottrina rivoluzionaria, che altrimenti non sa­ rebbe arrivata all’attività politica, operandovi in séguito tanto altamente, non poteva tuttavia essere intrapresa in modo parti­ colare se non per ultima, dopo che si fosse completata l’altra cri­ tica che era la base principale di tutta l’elaborazione. Infatti l’emancipazione filosofica era, per sua natura, più importante, in fondo, dell’emancipazione puramente politica, che non sareb­ be potuta non derivarne quasi spontaneamente, mentre, al con­ trario, non avrebbe potuto farne a meno anche se le fosse stato immediatamente possibile di venire realizzata. È infatti molto difficile immaginare, in modo durevole, un rispetto sufficiente per i pregiudizi monarchici o aristocratici in menti già liberate dai pregiudizi teologici, la cui forza è molto più grande, e che, d’altra parte, formavano allora la base indispensabile degli altri, soprattutto dopo il concentramento del potere temporale nel pe­ riodo precedente; mentre, nello stesso modo, i più audaci attac­ chi contro gli antichi princìpi politici, se avessero irrazionalmente mantenuto le credenze corrispondenti, non avrebbero potuto ca­ ratterizzare a sufficienza il cambiamento fondamentale di siste­ ma sociale, pur esponendo ai più gravi disordini. Così, la libertà intellettuale era, evidentemente, la più importante da stabilire in modo completo con il necessario esercizio, al fine di conse­ guire realmente lo scopo più importante di una simile elabora­ zione critica nell’insieme dell’evoluzione moderna e cioè di se­ gnare in modo preciso la tendenza necessaria verso una com­ pleta rigenerazione e, nello stesso tempo di facilitarne ulterior­ mente la rivincita dal lato intellettuale; mentre lo sviluppo pu­ ramente protestante, pur avendo, come abbiamo visto, portato il regime antico ad uno stato di totale impotenza sociale, ne aveva lasciato tuttavia sussistere indefinitamente la concezione genera­ le, in modo da impedire qualsiasi idea di vera riorganizzazione. La nostra attenzione deve dunque ora dirigersi soprattutto sulla critica filosofica propriamente detta, alla quale non dovremo poi aggiungere la valutazione della critica puramente politica, se non a titolo di ultimo e necessario complemento. In secondo luogo, nello sviluppo generale della prima elaborazione che ha riempito la maggior parte della fase che consideriamo, è impor­ tante distinguere storicamente la formazione originale c sistema­ tica della dottrina negativa dall’ulteriore diffusione universale

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del movimento di completa emancipazione intellettuale; perché non solo queste due operazioni non appartennero affatto allo stesso secolo, ma non avrebbero avuto né gli stessi organi, né lo stesso centro di agitazione, come vedremo presto. Attraverso la combinazione naturale di queste due differenze, la nostra valu­ tazione razionale di quella memorabile scossa filosofica deve, in­ fatti, riallacciarsi via via a tre elaborazioni successive, delle quali èincontestabile il concatenamento storico, e destinate l’una alla formazione, l’altra alla sua diffusione e la terza al suo estremo complemento politico. Per quanto la prima operazione venga ancora comunemente attribuita al secolo xvm è impossibile, mi sembra, non ricono­ scere ormai che, in tutto quello che offre di veramente fondamentale, essa appartiene in realtà al secolo precedente. Derivata necessariamente, all’inizic, dal protestantesimo più avanzato, do­ veva perfezionarsi in silenzio nei paesi stessi che, come l’Olanda e l’Inghilterra, erano stati la principale fortezza del movimento protestante, sia perché la libertà intellettuale vi era allora natu­ ralmente più completa che in altri luoghi, sia anche perché lo slancio crescente delle divergenze religiose vi aveva provocato più particolarmente l’intera emancipazione teologica. I suoi or­ gani principali appartennero anche, come quelli dell’elabora­ zione puramente protestante, alla scuola essenzialmente metafi­ sica, divenuta gradualmente la più importante in seno alle uni­ versità più celebri, sotto la spinta prima della più ardita scolastica del medioevo; ma erano tuttavia veri filosofi, che abbraccia­ vano seriamente, alla loro maniera, l’insieme delle speculazioni umane, in luogo dei semplici letterati del secolo seguente. Que­ stogrande sconvolgimento filosofico, tanto necessario allora per l'evoluzione finale dell’umanità, si compì in séguito soprattutto per merito di tre spiriti eminenti di natura molto diversa, ma la cui influenza, anche se ineguale, avrebbe concorso nello stesso modo al risultato generale; prima Hobbes, poi Spinoza e infine Bayle, che, nato francese, non potè lavorare in modo completo che in Olanda. Il secondo di questi filosofi, sotto l’impulso par­ ticolare del principio cartesiano, esercitò senza dubbio un’in­ fluenza decisiva sulla completa emancipazione di un gran nu­ mero di intelletti sistematici, come lo proverebbe da solo il nu­ mero grandissimo di discussioni, sollevato dalla sua audace me­

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tafisica; ma, oltre al fatto che è posteriore a Hobbes, la natura troppo astratta della sua oscura elaborazione dogmatica non per­ mette di vedere in lui il fondatore principale della filosofia ne­ gativa, alla quale non aveva infatti attribuito alcuna destina­ zione sociale precisa. D’altro canto, è soprattutto all’ultimo di questi filosofi che una tale dottrina deve l’inclinazione chiara­ mente critica, adatta alla sua natura ed al suo compito; tuttavia, è l’incoerente dispersione dei suoi attacchi parziali, ancora più che l’ordine cronologico, a porlo tra i primi fautori del movi­ mento di diffusione, piuttosto che tra gli iniziatori dell’impulso originale, nella quale la sua particolare azione è tuttavia incon­ testabile. Si arriva così, per una graduale esclusione, a conside­ rare come il vero padre di questa filosofia rivoluzionaria* l’il­ lustre Hobbes, che d’altronde ritroveremo nel capitolo seguente sotto un aspetto speculativo ben più elevato, nel numero dei prin­ cipali precursori della vera politica positiva. È soprattutto a Hob­ bes, infatti, che risalgono storicamente le più importanti conce­ zioni critiche, che un’abitudine irrazionale attribuisce ancora ai nostri filosofi del xvm secolo, i quali ne furono essenzialmente solo gli indispensabili divulgatori. In questa elaborazione importantissima, l’analisi antitcologica, si era già spinta veramente fino alla più estrema emancipaa. La parte più progredita della scuola rivoluzionaria in Inghilterra tenta, al giorno d’oggi, con la dignità e la generosità adatte, un'interes­ sante iniziativa nazionale, per la solenne riabilitazione universale di que­ sto illustre filosofo, la cui memoria, come dicono a ragione i capi di questa nobile reazione, è stata tanto ingiustamente denigrata prima nella sua stessa patria, e, di conseguenza, all'estero, dalla coalizione naturale degli odi dei preti e dei rancori degli aristocratici, che egli aveva così fran­ camente sfidato. Sebbene un simile tentativo dovesse essere, per la Francia, essenzialmente superfluo, e già allora poco progressista, non era affatto così per l'Inghilterra, dove l'emancipazione intellettuale era giunta di certo molto meno avanti. Non mi sembra inutile far notare, a questo pro­ posito, che il nostro onorevole concittadino, il leale e saggio metafisico Tracy aveva da molto tempo previsto, con l’abituale sagacia del suo istinto antiteologico, questa necessità razionale di attribuire a Hobbes la for­ mazione sistematica della filosofia rivoluzionaria; come mostrano i suoi felici saggi, scritti allo scopo di fare apprezzare in Francia un forte pen­ satore, che vi era conosciuto solo di nome prima di avere questa potente raccomandazione.

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zionc religiosa che possa permettere lo spirito puramente meta­ fisico. Vi si possono dunque cogliere meglio che in qualsiasi al­ tro caso, le differenze caratteristiche che distinguono a fondo imasimile situazione intellettuale dal regime veramente positivo, col quale una valutazione superficiale la confonde quasi sempre, per quanto essa non sia stata che un semplice preambolo, più o menoindispensabile, secondo che la preparazione scientifica fosse piùo meno avanzata. Questa dottrina, così erratamente qualifica­ tadi ateismo, non è, al fondo, che un’ultima fase essenziale del­ l'antica filosofia, all’inizio esclusivamente teologica, poi sempre piùmetafisica, ma con gli stessi attributi essenziali : uno spirito nonmeno assoluto, sempre fortemente opposto alla vera positività razionale, e soprattutto una tendenza non meno pronunciata a trattare a suo modo le questioni che una sana filosofia, al contra­ rio, scarta immediatamente come del tutto inaccessibili alla natu­ raumana. Una valutazione approfondita dimostrerà facilmente, seguendo il punto di vista di questo trattato, che il progresso reale, del quale questa filosofia negativa fu l’organo sistematico, si riduceva soprattutto a sostituire del tutto, per la completa spie­ gazione dei diversi fenomeni fisici o morali, l’antico intervento soprannaturale, col giuoco equivalente delle entità metafisiche, gradualmente concentrate nella grande entità generale della « na­ tura», così sostituita al creatore, con carattere e compiti ana­ loghi, c, di conseguenza, con una specie di culto più o meno somigliante; in modo che con questo preteso ateismo si finisce, in fondo, con l’adorare una dea invece di un dio, almeno per coloro che concepiscono questo stato soltanto provvisorio come definitivo. Ora, sebbene una simile trasformazione sia certamente sufficiente a disorganizzare effettivamente in modo completo il sistema sociale corrispondente all’antica filosofìa, da allora ca­ duta in una totale impotenza organica, come ho tante volte spiegato, essa è ben lontana, evidentemente, dal bastare allo sfor­ zo reale, nemmeno sociale, ma anche soltanto intellettuale, di una filosofìa davvero nuova, il cui avvento non viene che prepa­ rato da un ultimo preambolo critico. Fino a che l’uso filosofico delle divinità o delle entità non fosse stato effettivamente can­ cellato dal riconoscimento di quelle leggi invariabili che sono proprie ai diversi ordini di fenomeni naturali, e fino a che la natura e l’estensione delle speculazioni umane non fossero state

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riportate normalmente nei loro limiti e modificate nel modo cor­ rispondente, cosa del tutto impossibile in un tempo nel quale le leggi naturali erano così mal conosciute e soprattutto poco ap­ prezzate, il nostro intelletto sarebbe rimasto soggetto al regime teologico-metafisico, quali che fossero i suoi sforzi per liberarsene. Con questa spiegazione necessaria che bisognava, una volta per tutte, dare esplicitamente, è chiaro che la filosofia veramente po­ sitiva non mostra, per sua natura, nessuna simpatia particolare, né dogmatica né storica, per la filosofia completamente nega­ tiva della quale parliamo ora, e che può considerare solo come un’ultima trasformazione preparatoria della filosofia primitiva, già sviluppatasi parallelamente in una direzione simile, per il passaggio dall’idolatria primordiale prima al semplice politeismo, poi al puro monoteismo, e, infine, alle diverse fasi graduate della teologia metafisica, di cui questa specie di panteismo ontologico costituisce solamente l’estremo cambiamento. Nonostante la sua evidente efficacia corrosiva, una simile situazione mentale, se considerata definitiva, non è affatto più decisiva del deismo pro­ priamente detto, come garanzia filosofica contro la restaurazione intellettuale delle concezioni religiose che preme sempre, di ne­ cessità, fino a che le nozioni positive non le siano sostituite ordi­ nariamente. Con l’identità fondamentale dei diversi pensieri teo­ logici, attraverso le loro innumerevoli trasformazioni, è facile spiegare quella specie di affinità interiore, così paradossale in apparenza, che si nota anche al giorno d’oggi, come ho già detto nel cinquantaduesimo capitolo, tra il tenebroso panteismo siste­ matico delle scuole metafisiche, che si credono le più progredite, e la vera idolatria spontanea delle epoche primitive. Questa è, in poche parole, una corretta valutazione storica del carattere pu­ ramente intellettuale della grande elaborazione che stiamo esa­ minando. Considerandola poi dal punto di vista morale, essa ci offre la prima organizzazione razionale della famosa teoria dell’interesse personale, abusivamente attribuita al secolo seguente, e che, co­ stituisce, per sua natura, il necessario fondamento della morale puramente metafisica. Ho già messo in evidenza, nel cinquantacinquesimo capitolo, come lo spirito irrazionale di unità asso­ luta, che caratterizza, su qualsiasi argomento, la filosofia meta­

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fisica‘ ancora di più della filosofia teologica stessa, avrebbe con­ dottoa questa inevitabile aberrazione morale, niente affatto par­ ticolare del sottile scrittore che divenne, nel x v i i i secolo, l’au­ dace divulgatore della dottrina di Hobbes, necessariamente co­ mune, sotto forme diverse, a quasi tutti le scuole metafisiche. Poiché l’innegabile forza effettiva delle inclinazioni individuali nell'insieme del nostro organismo morale, secondo le spiegazioni dellacinquantesima lezione, porta naturalmente a ridurre al solo egoismo tutti i diversi impulsi umani quando, con l’esempio dei metafisici, ci si è già da prima imposti la condizione antifìlosofìca di stabilire, con una struttura di sofismi e di accostamenti errati, una vana e fittizia unità dove regna invece una grande e molte­ plice realtà. Gli sforzi penosi tentati più tardi in senso inverso, manon meno irrazionalmente, se pure con intenzioni più nobili, per concentrare invece tutta la nostra natura morale sulla bene­ volenza o la giustizia, non poterono alla fine avere alcuna uti­ litàpratica, se non come critica provvisoria della precedente teo­ ria metafisica, perché un simile punto d’incontro è, in realtà, molto meno energico dell’altro, tanto che la sua insufficiente ri­ bellione non potè impedire il trionfo crescente, se non formale, almeno implicito, della primitiva aberrazione, a grande detrimen­ todella nostra evoluzione morale, che sola può soddisfare la vera conoscenza della natura umana, come abbiamo visto nel quarantacinquesimo capitolo. Si può persino considerare quest’ultima scuola metafisica, oltre che per quel poco di ascendente effettivo che aveva, come moralmente quasi altrettanto pericolosa, con l’ipocrisia sistematica che tendeva ad usare abitualmente, dell’al«. Nonostante le insolubili difficoltà logiche che nascono dalla continua necessiti di conciliare il troppo frequente potere del principio cattivo con l'assoluta supremazia del buono, bisogna tuttavia riconoscere che la teologia propriamente detta, anche allo stadio monoteista, offriva per sua natura, volendo rappresentare almeno empiricamente la vera costituzione morale deH’uomo, risorse particolari, che in séguito, la pura metafisica non ebbe in ugual modo, perché dominata dalla vana unità ontologi­ ca, dalla quale non poteva liberarsi. Ecco perché una simile aberrazione morale deve essere considerata soprattutto come una particolarità di quest’ultima filosofia, e, almeno, come uno di quei pericoli fondamentali che una saggia disciplina sacerdotale aveva potuto fino ad allora allontanare abbastanza, e che si ripresentò sorgendo poi dalla libera divagazione delle speculazioni metafisiche.

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tra, per l’ignobile cinismo che aveva dogmaticamente consacrato. Comunque sia, per completare il giudizio precedente, è impor­ tante aggiungere che la teoria deH’egoismo, sebbene speculativamente sia, seguendo questa spiegazione, adatta alla filosofia me­ tafisica, derivava soprattutto dalla teologia stessa ; la quale, dopo averla quasi elusa, come principio, arrivava finalmente, nella pratica, a consacrarla nello stesso modo, attraverso il potere ine­ vitabile quanto esorbitante, che ogni morale religiosa accorda di necessità, come ho fatto notare a proposito del quietismo, alla preoccupazione della salvezza personale, l'importanza della qua­ le, di solito esclusiva, tende naturalmente a negare l’esistenza reale di passioni oneste e del tutto disinteressate, che solo la filo­ sofia positiva può direttamente sistematizzare, secondo uno stu­ dio veramente razionale dell’intelletto e della morale umana, È così che la metafisica, senza essere dominata dalle stesse neces­ sità politiche, ma trascinata dal bisogno filosofico della sua vana unità ontologica, non ha fatto che cambiare a questo riguardo lo scopo dell’egoismo fondamentale, per così dire, sostituendo al calcolo relativo alla salvezza eterna, delle combinazioni che riguardano unicamente gli interessi temporali, senza potersi nem­ meno elevare al concetto di una morale che non riposi affatto su calcoli personali di alcuna specie. In questo modo, il pericolo più grave che minacciò in tal senso questa metafìsica negativa, consistette soprattutto nel fatto che, pur confermando, e anche più dogmaticamente, quel grossolano giudizio sulla natura uma­ na, essa disorganizzava radicalmente l’indispensabile antagoni­ smo con il quale la saggezza sacerdotale aveva avuto, fino ad allora, la facoltà di neutralizzarne restrema imperfezione, con una felice opposizione pratica degli interessi immaginari a quelli reali. Ma quanto al principio stesso della morale degli interessi privati, non c’è dubbio che la sua consacrazione empirica è av­ venuta, di necessità, prima nelle dottrine puramente religiose, le quali impongono direttamente a ciascun credente uno scopo per­ sonale, di tale importanza, che averlo sempre presente deve ine­ vitabilmente assorbire qualsiasi altro interesse, sempre essenzial­ mente a lui subordinato, fintanto, almeno, che una simile filo­ sofia riesce ad ostacolare il corso spontaneo dei nostri interessi naturali. Vediamo così, in breve, che questa immensa aberra­ zione morale, lungi dal costituire, come si è creduto, un sera-

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plice accidente isolato nello sviluppo generale della filosofia me­ tafisica, ne ha al contrario caratterizzato direttamente la nor­ male formazione, sotto la prolungata influenza delle concezioni teologiche, alle quali le concezioni metafisiche, nonostante l’antagonismo più apparente, non saprebbero in fondo trovare altro che delle modifiche del tutto disgregatrici. Valutata infine dal punto di vista politico, questa sistematiz­ zazione fondamentale della filosofia negativa è caratterizzata soprattutto dalla consacrazione immediata e dogmatica della su­ bordinazione radicale del potere spirituale al potere temporale, che abbiamo visto stabilirsi dovunque spontaneamente, durante la fase precedente, e che il protestantesimo aveva particolarmente decretato senza, tuttavia, che essa fosse stata sanzionata da alcuna discussione razionale, prima dell’elaborazione decisiva di Hobbes. Questa concezione transitoria, propria al grande movimento rivoluzionario e che finirà solo con esso, quali che siano i gravi inconvenienti intellettuali o sociali, inerenti alla natura assolu­ tista dello spirito metafisico dal quale deriva, non è, in sé stessa, che un risultato necessario della situazione provvisoria delle so­ cietà moderne, già da noi abbastanza descritta, cosa che ci di­ spensa da un nuovo esame. £ solo importante notare, a questo proposito, che, con una simile giustificazione sistematica della dittatura temporale, che allora si era costituita dovunque, la cri­ tica filosofica si è essenzialmente fermata, sin dalle origini, alla disorganizzazione spirituale, concependo tale dittatura come il solo mezzo efficace per mantenere abbastanza l’ordine materiale sempre necessario; fino a che, essendo stata del tutto completata quella demolizione preliminare, si poté lavorare direttamente alla corrispondente riorganizzazione. Questo era senza dubbio implicitamente il disegno principale di Hobbes aU’interno di taleconcezione e, anche se il suo progredire, inevitabilmente me­ tafisico, lo avrebbe portato sfortunatamente ad attribuire uno scopo indefinito ad una condizione del tutto passeggierà, non è probabile che uno spirito tanto filosofico credesse veramente di formulare in questo modo lo stato proprio e definitivamente normale delle società moderne, in un tempo così vicino a quello durante il quale i più eminenti pensatori avrebbero cominciato già a prevedere un’imminente rivoluzione universale. Non è nemmeno verosimile che i principali e successivi divulgatori

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della filosofia negativa ancora più vicini a quel risultato finale, abbiano realmente preso la loro dottrina al proposito, se non co­ me concezione adatta solo ad un periodo di trapasso; il più im­ portante di essi, Voltaire, la cui caratteristica leggerezza non cancella affatto la naturale sagacia, mi sembra, almeno, non aver mai ceduto essenzialmente ad una simile illusione. Comunque sia, è facile capire quali grandi facilitazioni questo carattere ne­ cessario dovette costantemente procurare allo sviluppo della filo­ sofia negativa, rassicurando naturalmente i governi sulle conse­ guenze immediate di un simile sconvolgimento, che, limitato, in apparenza, al solo ordine spirituale, da allora sempre più ne­ gletto dagli uomini di stato, preconizzava sistematicamente co­ me un capolavoro della saggezza umana questo transitorio coticentramento del potere temporale, tanto caro ai potenti. Consi­ derando sotto un aspetto particolare le idee di Hobbes al propo­ sito, mi sembra molto notevole che, nonostante una tendenza na­ zionale più favorevole alla nobiltà che al trono, come ho gii spiegato, questo filosofo, al contrario, abbia scelto la monarchia come centro del condensamente politico, al posto del potere ari­ stocratico; cosa che in séguito fornì alla scuola retrograda, al giorno d’oggi, in fondo, più potente in Inghilterra che altrove, uno speciale pretesto per vendicare i preti ed i lordi degli ener­ gici attacchi di uno spirito tanto progressista, presentandolo co­ me un vero fautore del dispotismo, in modo da compromettere gravemente fino ad ora, con quest’abile calunnia, la sua reputa­ zione europea. Seguendo un esatto giudizio di quel memorabile contrasto, Hobbes mi sembra aver dall’inizio compreso implici­ tamente che la dittatura monarchica era in verità molto più ap­ propriata di quella aristocratica, sia per facilitare la completa disorganizzazione deH’antico sistema politico, sia per secondare l’avvento dei nuovi elementi sociali, come abbiamo già spiegato; in secondo luogo, questo illustre filosofo ha senza dubbio in que­ sto modo previsto che il suo lavoro fondamentale, invece di es­ sere particolare al suo paese, doveva avere il suo più importante sviluppo ulteriore nelle nazioni dove la concentrazione temporale si era effettivamente operata intorno al trono; due intuizioni istintive, che non credo impossibili alle vere capacità di questo grande pensatore.

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Questi sono i diversi aspetti essenziali sotto i quali dovevo considerare sommariamente la sistematizzazione primitiva della filosofìa negativa. Bisogna passare ora all’equivalente esame del movimento decisivo che, durante la maggior parte del secolo se­ guente, ha determinato l’universale e graduale diffusione di quel­ lanecessaria emancipazione, fino ad allora limitata ad un piccolo numero di spiriti scelti, il cui destino finale doveva tuttavia di­ pendere da una sufficiente divulgazione. In questa nuova fase rivoluzionaria dobbiamo valutare, prima di tutto, il notevole cambiamento che si è operato spontaneamente nei centri più importanti della spinta filosofica e anche nei suoi organi per­ manenti. Dal primo punto di vista, è facile spiegare perché la sede dello sconvolgimento intellettuale, e quindi sociale, sia stata da allora trasportata tra i popoli cattolici, e soprattutto in Francia, per restarvi ferma fino al totale completamento dell’opera rivolu­ zionaria, e anche della riorganizzazione che doveva succederle; mentre prima di ciò, la disgregazione sistematica del regime teologico e militare era stata perseguita di fatto tra le nazioni pro­ testanti, prima in Germania, poi in Olanda, ed infine, come ho già detto, in Inghilterra. Tale necessario spostamento derivava naturalmente dal fatto che in questi paesi il trionfo politico del protestantesimo aveva direttamente neutralizzato la sua primitiva tendenza all’emancipazione filosofica, legando di nuovo profon­ damente al sistema generale di resistenza più o meno retrograda il tipo di organizzazione al quale il protestantesimo era adatto, come abbiamo già spiegato. Qualsiasi ulteriore affrancamento della ragione umana divenne allora molto più odioso al prote­ stantesimo ufficiale, che al cattolicesimo stesso, nonostante la de­ gradazione intellettuale da cui quest’ultimo era irrevocabilmente colpito, e fece risaltare in modo naturale la radicale insufficienza della vana riforma spirituale, che si stava istituendo con grandi sforzi. Questa istintiva ripugnanza si fa sentire anche, fuori della sfera ufficiale, nelle sètte dissidenti, nelle quali la confusione teo­ logica è più accentuata c che, fiere della loro mezza emancipa­ zione, difendono con maggior ardore le credenze che hanno con­ servato; dalla qual cosa nasce un orrore più particolare verso l’irresistibile concorrenza delle opinioni filosofiche, che, in un sol colpo, dispensano di fatto da tutta la laboriosa transazione

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protestante. I popoli cattolici, al contrario, purché le repressioni retrograde non vi fossero state spinte fino a produrre una specie di temporaneo torpore intellettuale, dovevano essere essenzial­ mente ben disposti, indipendentemente da una vana emulazione nazionale, che tuttavia non è stata senza conseguenze, ad accet­ tare l’intera e vasta sistematizzazione della filosofia negativa, nella quale trovavano il solo rifugio possibile contro una domina­ zione opprimente, divenuta apertamente ostile agli ulteriori sforzi della ragione umana. Sarebbe del tutto superfluo spiegare ora l’evidente qualità che, da questo punto di vista, doveva distin­ guere la Francia tra tutti i paesi cattolici, in quanto era stata for­ tunatamente preservata dal protestantesimo ufficiale, senza tut­ tavia aver perso i vantaggi principali di un primo contatto con le eresie, ed in essa lo spirito di dissidenza teologica si manife­ stava inequivocabilmente sotto nuove forme nazionali, come ab­ biamo visto prima. Tuttavia, è importante notare, a tale propo­ sito, l’influenza inevitabile che dovette esercitare sull’ulteriore diffusione del cambiamento di filosofia l’ammirevole movimento artistico, e soprattutto poetico, del quale la Francia del xvu se­ colo, dopo l’Italia e la Spagna, offriva il memorabile sviluppo, che descriveremo particolarmente nel capitolo seguente. Al gra­ do già raggiunto per mezzo della disorganizzazione naturale dell’antica disciplina intellettuale, tutto ciò che, in qualsiasi mo­ do, tendesse a provocare un risveglio della mente, doveva volgersi, in ultima analisi, a profitto dell’universale emancipazione degli spiriti. Ma, inoltre, è stata giustamente notata, a questo proposito, la tendenza sociale che, persino a loro insaputa, spingeva i prin­ cipali poeti di quel periodo memorabile a concorrere, con i loro mezzi, alla grande operazione critica; questo carattere, tanto evidente in Molicre, La Fontaine e persino già in Corneille, tutti più o meno iniziati ai nuovi princìpi filosofici, si fa sentire fino a Racine ed a Boileau, nonostante il loro fervore religioso, con l’atteggiamento anti-gesuitico e la fede giansenista. Sebbene sia stata spesso accordata a queste varie osservazioni un’impor­ tanza davvero esagerata, non c’è dubbio che simili disposizioni, poco determinanti in loro stesse, dovevano tuttavia acquistare allora un’importanza veramente rivoluzionaria, come indicazioni o anche preparazioni, in conseguenza della situazione fondamen­ tale nella quale si trovava già il mondo intellettuale. Del resto,

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il complesso dei motivi indiscutibili, dal x v i i i secolo, indica la Francia come il centro definitivo del grande sconvolgimen­ to filosofico e, di conseguenza, politico; non mostra affatto quell’operazione finale come limitata ad uno scopo esclusiva­ mente nazionale; perché è evidente che, da quella sede princi­ pale, la filosofia negativa doveva diffondersi prima tra le altre na­ zioni cattoliche, e poi, sia pure con sforzo maggiore e lentezza, tra le stesse nazioni protestanti, dove si compie silenziosamente al giorno d’oggi questa ultima ed indispensabile preparazione. Tralasciando qualsiasi puerile nazionalismo in un movimento essenzialmente comune aH’insieme della cristianità, dopo il xiv secolo, non si tratta dunque che di una semplice iniziativa, evi­ dentemente riservata alla Francia per l’estrema fase rivoluziona­ ria, come la Germania, l’Olanda e l’Inghilterra l’avevano avuta aloro volta nelle diverse epoche più importanti della fase esclu­ sivamente protestante. Quel memorabile spostamento finale del centro delle agita­ zioni filosofiche è stato naturalmente accompagnato da una tra­ sformazione non meno capitale per ciò che riguarda gli organi abituali di quell’elaborazione, ormai passata dai dottori propria­ mente detti ai semplici letterati, se pure sempre diretta dallo spi­ rito puramente metafisico, le forme del quale diventavano in questo modo soltanto meno caratteristiche, senza tuttavia nascon­ dere veramente la comune origine e l’educazione somigliante degli antichi e dei nuovi organi. È allora che bisogna vedere la vera riuscita sociale della classe dei letterati, che uno strano de­ stino pone provvisoriamente alla testa della politica contempo­ ranea dopo che essa si è naturalmente completata con l’ulteriore aggiunta temporale della classe corrispondente degli avvocati, daallora sostituitasi ai giudici, come i primi ai dottori, nella di­ rezione generale del grande trapasso rivoluzionario, come spie­ gherò particolarmente nel cinquantasettesimo capitolo. Un si­ mile cambiamento dcH’influenza metafisica era divenuto gra­ dualmente indispensabile, a misura che le corporazioni univer­ sitarie, primi organi del movimento critico, si riallacciavano istin­ tivamente, sebbene sotto forme che restavano loro appropriate, al sistema generale di resistenza, presieduto dalla dittatura tem­ porale, anche indipendentemente dalla crescente penetrazione dei gesuiti. Questa specie di defezione naturale, che si operò all’inizio

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tra le aazioni protestanti, dove l’antica opposizione metafisica aveva ufficialmente prevalso, si estese più tardi ai paesi cattolici stessi, dove quella forza aveva raggiunto uno scopo equivalente e si trovava ugualmente ammessa ai benefici della coalizione re­ trograda; come testimonia chiaramente, in Francia, dalla fine del x v i i i secolo, e in diversi casi importanti, il nuovo fervore dei parlamenti e delle università contro l’ulteriore sforzo dell’evolu­ zione intellettuale. Nello stesso tempo, la diffusione spontanea dell’educazione universitaria, da principio eminentemente dot­ torale, ma in séguito sempre più letteraria, senza tuttavia che il carattere metafisico cessasse veramente di predominarvi, aveva inevitabilmente moltiplicato dovunque il numero delle intelli­ genze che, riconoscendosi troppo poco positive per darsi alla vera cultura scientifica allora nascente, troppo poco razionali per ab­ bracciare il ruolo dei filosofi veri e propri, e troppo poco imma­ ginose per seguire apertamente la carriera di poeti, pur attribuen­ dosi tuttavia una vocazione esclusivamente intellettuale, avevavano finito col costituire, in seno alla società moderna, quella classe stranamente ambigua, nella quale nessuno scopo intellet­ tuale è molto pronunciato, e che da allora si è costretti a desi­ gnare con il vago nome di letterati, scrittori ed altri, il che qua­ lifica il genere delle loro attività abituali al di fuori di qualsiasi scopo effettivo. Naturalmente sprovvista, come la classe corri­ spondente degli avvocati, di qualsiasi convinzione profonda, e persino delle oscure convinzioni metafisiche degli antichi dot­ tori, per gli influssi combinati della propria organizzazione, edu­ cazione ed occupazioni ordinarie, questa nuova classe sarebbe stata del tutto inadatta all’elaborazione sistematica della filosofia negativa; ma, ricevendola già fondata da alcuni puri filosofi, come ho spiegato, essa era eminentemente adatta a dirigerne con successo l’indispensabile diffusione universale, alla quale degli spiriti più razionali avrebbero di certo partecipato in ma­ niera meno attiva, meno varia e, infine, meno efficace. La sua stessa mancanza di princìpi propri andò, in conclusione, a pro­ fitto di queU’importantc operazione successiva, non solo dando spontaneamente ai suoi sforzi una duttilità più differenziata, nel seguire la convenienza particolare a ciascun caso, ma anche im­ pedendo alle dissertazioni critiche di assumere un carattere troppo assoluto, che in séguito avrebbe ostacolato la reale riorganizza­

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zione sociale, al cui servizio quella fortunata versatilità avrebbe permesso un giorno di mettere facilmente i talenti della divul­ gazione, i quali neirultimo secolo sarebbero stati consacrati es­ senzialmente al trionfo della filosofìa negativa. È così che una simile istituzione intellettuale, tra tutte la più inadatta ad essere qualificata come indefinita perché il concetto vi è dominato diret­ tamente dall’espressione, si trovò allora, al contrario, ad essere perfettamente appropriata alla natura della nuova elaborazione provvisoria di quell’estrema fase della disorganizzazione spiri­ tuale; tenuto conto soprattutto del reale stato generale degli spi­ riti, che non esigeva più il sostegno delle dimostrazioni continue eregolari, ma invece e soprattutto la molteplicità continua degli stimoli parziali, variati con sufficiente opportunità. Al livello di emancipazione intellettuale raggiunto allora, persino tra il volgo, in séguito al precedente progresso delle in­ telligenze, la sola esistenza continuata di una discussione anti­ teologica, qualunque ne fosse la vera ragione, era in effetti suffi­ cientea determinare dovunque, per il solo effetto deiresempio, la divulgazione spontanea di uno sconvolgimento filosofico, i cui princìpi essenziali esistevano già più o meno esplicitamente, negli spiriti i quali non erano più trattenuti se non dall’orrore morale loro ispirato dagli organi di quell’affrancamento, con il quale del resto, un simile spettacolo li avrebbe familiarizzati ben pre­ sto. Il successo generale dell’operazione rivoluzionaria era in questo modo più assicurato, in quanto quelli stessi che in simili controversie difendevano, con zelo più fervente che illuminato, l’insieme delle antiche credenze, concorrevano inevitabilmente, a loroInsaputa, a diffondere lo scetticismo universale, sanzionando sempre di più, col loro stesso lavoro, quella fondamentale su­ bordinazione della fede alla ragione, vera causa iniziale della disgregazione teologica. Perché, tale è la tipica natura delle con­ cezioni religiose, tutta la forza delle quali deriva essenzialmente dallaloro spontaneità, che nulla può preservarle da un’inevitabile disgregamento finale, non appena vengono sottoposte alla di­ scussione, qualunque sia il trionfo che ne traggano. Così lo spi­ ritodi controversia, proprio al monoteismo, soprattutto cattolico, deve essere considerato storicamente come una manifestazione particolare di quell’avvilimento continuo della filosofìa teologica, del quale lo stadio monoteista costituisce una delle fasi principali,

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secondo la nostra teorìa fondamentale. Non solo le innumerevoli dimostrazioni dell’esistenza di Dio, diffuse, con tanto clamore, dopo il xii secolo, provano chiaramente la forza degli arditi dubbi dei quali quel principio era già l’oggetto diretto; ma è certo che essi contribuirono anche molto a propagarli, sia per l’inevitabile discredito che portava alle antiche tendenze l’effettiva debolezza di parecchie tra queste varie argomentazioni, sia, soprattutto, per­ ché quelle stesse che parevano le più decisive, suggerivano spon­ taneamente scrupoli irresistibili sul torto logico che si era avuto fino ad allora ammettendo le opinioni corrispondenti, senza sa­ perle appoggiare a simili prove vittoriose. Niente di certo con­ ferma in modo più chiaro il destino puramente provvisorio delle convinzioni religiose, che quella incapacità di fondo a resistere alla discussione, combinata con l’evidente impossibilità di sottrarvisi; la qualcosa fa risaltare l’emancipazione universale di quelli sforzi che lo zelo più onesto tenta, con la maggiore abilità apparente, per mantenere gli spiriti sotto il giogo teologico; Pa­ scal è, mi sembra, il solo filosofo di questa scuola che abbia vera­ mente compreso, o almeno il solo che lo abbia fatto notare, il pericolo fondamentale di queste imprudenti dimostrazioni teo­ logiche, che un fervore smodato, stimolato da una vanità molto sensibile, moltiplicava ai suoi tempi con inestinguibile fecondità; d’altronde anche questa avvertenza, troppo tardiva, aggravava il male con una impotente dichiarazione, che forniva agli scet­ tici un nuovo motivo per rimproverare alla teologia di indietreg­ giare ormai davanti alla ragione, dopo averne per tanto tempo accettato il sovrano arbitraggio. Questo inconveniente inevita­ bile appariva notevole soprattutto nelle argomentazioni tratte dai fenomeni di ordine naturale, che Pascal considerava, a ragione, particolarmente nocive, dalle quali la teologia dogmatica pren­ deva tuttavia a prestito da molti secoli le prove più importanti, senza che si potesse sospettare che uno studio approfondito della natura avrebbe svelato più avanti sotto tutti gli aspetti restrema imperfezione di quella stessa economia, che aveva all’inizio ispi­ rato una cieca ed assoluta ammirazione, prima di divenire, nelle sue diverse parti essenziali, l’oggetto di continue valutazioni po­ sitive. L ’insieme delle varie considerazioni precedenti spiega facil­ mente come tutte le strade deH’intclletto fossero state già sponta­

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neamente appianate per l’indispensabile operazione secondaria, riservata particolarmente ai letterati francesi del xvm secolo, in modo da completare gradualmente, negli spiriti già preparati, Finterà e finale divulgazione della filosofìa negativa, già abba­ stanza sistematizzata nel secolo precedente. Tuttavia tale è, da tutti i punti di vista, la lentezza estrema dei nostri slanci spi­ rituali, persino nell’ordine esclusivamente critico, che, tra i due secoli, dai fondatori ai divulgatori dell’emancipazione intellet­ tuale, uno scrupoloso studio statistico mostra espressamente qual­ che personaggio della filosofia particolarmente destinato a tra­ smettere in modo normale quello sconvolgimento razionale. Tra questi intermediari naturali, da Bayle a Voltaire, bisogna notare soprattutto l’illustre c saggio Fontenelle, vero filosofo che non affettava di esserlo, il quale meglio di chiunque altro in quel tempo, aveva previsto l’alta necessità intellettuale e sociale di quclFaffrancamento definitivo ed il destino del tutto provvisorio di una simile operazione, le cui ulteriori tendenze per la realizza­ zione finale della filosofia positiva non erano sfuggite interamente al suo penetrante c ammirevole intento filosofico, come avrò mo­ dodi provare nel capitolo seguente. D’altra parte, mentre la di­ rezione generale del periodo rivoluzionario veniva così trasmes­ sa dai puri pensatori e semplici scrittori-divulgatori, i lette­ rati si erano gradualmente preparati a questa nuova missione, dandosi naturalmente sempre di più alle dissertazioni filosofiche, dopo che la piena realizzazione del movimento artistico del se­ colo precedente non permetteva più di sperare in altri successi clamorosi, se non trovando nuove soluzioni. È possibile consi­ derare la grande controversia sugli antichi e i moderni, al prin­ cipiodel x v h i secolo, come il principale indizio c l’occasione più decisiva di questa trasformazione spontanea, oltre alla sua impor­ tanza effettiva, già segnalata nel quarantasettesimo capitolo e che verrà studiata più particolarmente nella lezione seguente, descri­ vendola prima discussione razionale sulla nozione fondamentale del progresso umano. Sarebbe dunque impossibile disconoscere quanto fosse accuratamente preparata, sotto tutti gli aspetti, la missione generale dei letterati, tanto facilmente trasformatisi in filosofi, dato che questo titolo, invece di richiedere lunghe e fati­ cose meditazioni, si poteva ottenere dissertando con speciosa fa­ cilità a favore di qualche negazione sistematica, dogmaticamente

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stabilita molto tempo prima. Tuttavia, l’indispensabile necessità, intellettuale o sociale, di una simile elaborazione provvisoria, la scerà sempre, nella storia dell’umanità un posto importante ai suoi principali fautori, e soprattutto al loro rappresentante più grande che la posterità più lontana vedrà in una posizione vera­ mente unica; perché mai un simile compito era potuta fino ad allora, e ancora meno potrà in séguito, appartenere ad uno spirito di quella natura, nel quale la più ammirevole combina­ zione che sia esistita tra le diverse qualità secondarie deU’intelligenza presentava tanto spesso la seducente apparenza della forza del genio. Così, infine, passando dai pensatori ai letterati, la filosofìa negativa dovette mostrare di solito un carattere meno accentua­ to, sia per meglio adattarsi alla razionalità meno energica di questi nuovi organi, sia anche per facilitare la diffusione com­ pleta di quella scossa intellettuale. Per questi due motivi, la scuola volteriana fu naturalmente indotta a limitare, in gene­ rale, la dottrina fondamentale di Spinoza, di Hobbes e di Bayle al semplice deismo propriamente detto che, spaventando di meno gli spiriti comuni, era tuttavia sufficiente all’effettiva disorga­ nizzazione completa dell’istituto religioso; data l’evidente im­ possibilità di fondare socialmente qualcosa su questo vago e im­ potente metodo, sorgente inestinguibile di contrasti teologici e nel quale non si poteva concretamente vedere altro che un’inutile ed estrema concessione fatta provvisoriamente all’antico spirito religioso nel suo irrevocabile decadimento universale, la deno­ minazione di deista mi è sembrata particolarmente adatta all’in­ sieme di quest’ultima fase rivoluzionaria. Una tale normale li­ mitazione procurava inoltre ai volteriani la possibilità, cosi pre­ ziosa per la loro fragilità logica, di prolungare, per i loro scopi, i vantaggi dell’incocrenza, tipici dell’elaborazione protestante, continuando da allora a distruggere la religione in nome del principio religioso, in modo da estendere gradualmente l’influsso distruttore fino ai più timidi fedeli. Ma, qualunque vantaggio abbia dovuto allora offrire questo corso irrazionale alla generale e attiva propagazione dello sconvolgimento filosofico, esso di­ venne in séguito la sorgente inevitabile di gravi imbarazzi intel­ lettuali, e quindi sociali, che si fanno oggi deplorevolmente sen­ tire, sia a causa dell’evidente incoraggiamento dato così nd una

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comoda ipocrisia, sia soprattutto, per la confusione radicale che nerisulta, negli spiriti comuni, sul vero carattere della tendenza conclusiva dell’evoluzione spirituale, che tanti presunti pensatori credono oggi di poter indefinitamente limitare a questa fase pu­ ramente deista; così come i loro predecessori avevano già creduto di poterla limitare successivamente alle fasi sociniana, calvinista e anche luterana, senza che queste numerose delusioni prece­ denti siano ancora riuscite a dissipare a sufficienza la loro peri­ colosa speranza. Indicherò dettagliatamente, nel cinquantaseie­ simocapitolo, i principali inconvenienti attuali di questa assurda utopia, che vorrebbe attribuire come limite normale al grande movimento d’emancipazione delle società moderne lo stato teo­ logicomeno consistente e meno resistente di tutti; in questo luo­ goera sufficiente delineare sommariamente la vera sorgente sto­ rica duna simile radicale aberrazione. Senza soffermarmi su alcuna valutazione concreta dell’elabo­ razione filosofica di cui ho appena spiegato tanto astrattamente, prima la destinazione e l’origine, poi il corso e il carattere, devo tuttavia segnalare rapidamente lo spontaneo espediente con l’aiu­ todel quale i principali responsabili di questa lunga e vasta ope­ razione hanno allontanato sufficientemente, fino alla sua totale consumazione, il più grave pericolo che le era connaturale, e che poteva neutralizzare profondamente i numerosi e diversi sforzi cheerano indispensabili al suo successo. S’immagina, infatti, che unadottrina essenzialmente formata di pure negazioni dovrebbe esserepoco adatta a raccogliere razionalmente i suoi diversi fau­ tori, che d’altro canto non potevano essere sottomessi, come i loro precursori protestanti, ad alcuna disciplina regolare, suscet­ tibile di moderare l’esplosione naturale delle loro inevitabili di­ vergenze. Per la verità, la maggior parte del lavoro di diffusione negativa fu soprattutto svolta da un uomo solo, la cui lunga vita cl’instancabile attività bastarono fortunatamente a questo com­ pitoimmenso. In secondo luogo, la qualità del risultato comune non esigeva, evidentemente, un accordo speculativo fra i diffe­ renti collaboratori, i quali, non dovevano veramente costruire ma distruggere, potevano, senza annullarsi reciprocamente, dif­ ferire di molto nelle utopie filosofiche, a condizione che s’accor­ dassero sostanzialmente sulle loro demolizioni preventive, cosa che doveva naturalmente verificarsi il più spesso possibile. Tut­

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tavia, profondi contrasti spirituali, inaspriti da invidiose rivalità, avrebbero probabilmente compromesso l’esito finale, come ave­ vano un tempo tanto screditato il protestantesimo, se, nel pe­ riodo della piena maturità dell’operazione generale, non fosse sopraggiunto l’istinto chiaroveggente di Diderot, con il felice espediente dell’impresa enciclopedica, ad istituire provvisoria­ mente una riunione artificiale degli sforzi più divergenti, senza pretendere il sacrificio essenziale di nessuna indipendenza, in modo da procurare all’insieme di queste incoerenti speculazioni, l’apparenza esterna d’una specie di sistema filosofico, dato che la lunga durata d’un simile lavoro era del tutto sufficiente alla consumazione completa di tutte le elaborazioni critiche di qual­ che importanza, sotto la protezione comune di questa vasta com­ pilazione. Bisogna anche notare, a questo proposito, la tendenza naturale di quel sistema ingegnoso per riallacciare direttamente i differenti sviluppi della filosofia negativa allo slancio generale dei nuovi elementi sociali, in modo da ricordare involontaria­ mente lo scopo finale di quello sconvolgimento filosofico e, di conseguenza, di scartare naturalmente, per quanto possibile, le aberrazioni retrograde alle quali avrebbe dato luogo ulterior­ mente una sua esagerazione sociale. Del resto, l’insieme di que­ sto trattato ci dispensa evidentemente dal dover mettere in luce la profonda incapacità filosofica di questa pretesa concezione en­ ciclopedica, diretta allora unicamente da una impotente metafi­ sica, inadatta anche a definire lo spirito e le condizioni di quel grande progetto primitivo di Bacone, la cui razionale esecuzione, prematura persino al giorno d’oggi, non potrebbe avvenire che sotto il totale ascendente ulteriore della filosofia veramente posi­ tiva e non riallacciandosi ad una filosofìa completamente nega­ tiva; la cui facile elaborazione collettiva costituiva, in fondo, il solo valore reale dell’impresa, così completamente mancante di qualsiasi principio sistematico ma, per questo, così ben adattata alla sua vera missione temporale. Per quanto la lunga operazione rivoluzionaria dei letterati francesi del xvm secolo non avesse saputo introdurre alcuna dot­ trina veramente nuova, i cui fondamenti filosofici non fossero stati già abbastanza chiaramente formulati nella sistemazioot negativa del secolo precedente, credo tuttavia di dover segnalare particolarmente, a causa della sua grande influenza sociale, la

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memorabile aberrazione dell’ingegnoso Helvétius sull’uguaglian­ za necessaria delle diverse intelligenze umane. Una superficiale valutazione storica ha fatto comunemente considerare questo so­ fisma fondamentale come se fosse dovuto allo sforzo isolato di uno spirito eccentrico, mentre in realtà costituisce, al contrario, larappresentazione più naturale e più esatta del complesso della situazione filosofica corrispondente, che rendeva la sua realizza­ zione provvisoria inevitabile quanto indispensabile. Da una p»-tc, infatti, non c’è dubbio che un simile paradosso derivasse ne­ cessariamente dalla vana teoria metafisica dell’intelletto umano, giàdogmaticamente stabilita da Locke, sotto l’infiusso di Hobbes, eche collega tutte le attitudini intellettuali alla sola attività dei sensi esterni, le differenze individuali dei quali sono, in effetti, troppo poco pronunciate per poter generare, da sole, una pro­ fonda differenza mentale. Da questo punto di vista, la tesi di Helvétius sembra tanto meno personale, in quanto, attraverso una valutazione più generale appare intimamente legata alla tenden­ za universale che fa sempre predominare, nell’intero sistema di qualsiasi speculazione biologica, la considerazione delle influenze ambientali su quelle dell’organismo stesso, come ho dimostrato dogmaticamente nella quinta parte di questo trattato e come spiegherò da un punto di vista storico nel capitolo seguente. In secondo luogo, è chiaro che questa aberrazione temporanea era logicamente necessaria al pieno sviluppo sociale della dottrina cri­ tica, il cui complesso presupponeva tacitamente, in effetti, quel­ l’universale uguaglianza mortale, senza la quale né il principio universale del libero esame individuale, né i dogmi assoluti del­ l'uguaglianza sociale e della sovranità popolare non avrebbe po­ tutocertamente resistere a nessuna discussione rigorosa. Il potere illimitato che questa teoria attribuiva naturalmente all’educa­ zione ed al governo per modificare arbitrariamente l’umanità, eracosì in perfetta armonia naturale con lo spirito generale della politica metafisica, nella quale la società sempre concepita astrat­ tamente, senza nessuna delle leggi statistiche e dinamiche che sono proprie ai suoi fenomeni, sembra indefinitamente modifi­ cabile, secondo il volere di un legislatore abbastanza potente. Sotto tutti questi aspetti, è ormai storicamente inconfutabile che, il famoso sofisma di Helvétius, come quello già descritto, che ave­ vapiùdirettamente preso da Hobbes sulla teologica dell’egoismo,

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costituisce, in realtà, una fase del tutto normale dello sviluppo necessario della filosofìa negativa, di cui il celebre scrittore fu certamente uno dei principali fautori. Questi sono i diversi aspetti essenziali, sotto i quali dovevo fare sommariamente una giusta valutazione storica della parte più decisa e prolungata del grande sconvolgimento filosofico ri­ servato al x v i i i secolo. Più si riflette sulla natura superficiale o sofista, sulla debo­ lezza logica e sulla scelta essenziale della maggior parte degli at­ tacchi parziali o generali, rivolti allora con tanto successo contro le basi fondamentali dell’antica costituzione sociale, meglio si capisce come tanta forza rivoluzionaria, i cui principali risultati sono ormai del tutto irrevocabili, tenesse soprattutto alla perfetta coerenza naturale di quella operazione con tutti i bisogni più importanti di allora, determinati dalla nuova situazione delle società moderne, alla riuscita del movimento generale di disgre­ gazione, che si stava compiendo gradualmente dal xiv secolo. Senza questa necessaria corrispondenza, un simile successo sa­ rebbe evidentemente inspiegabile, a meno di un miracolo, per dei tentativi disgregatori che, nonostante i particolari meriti dei loro autori, non avrebbero certo avuto, qualche secolo prima, una grande influenza sociale. Una simile occasione è largamente provata dall’unanime tendenza di tutti i grandi uomini contem­ poranei a secondare spontaneamente quell’indispensabile sconvol­ gimento filosofico, pur non prendendovi affatto una parte attiva; come dimostrano così bene, ciascuno a suo modo, non solo D’Alembert, ma anche Montesquieu, e persino Buffon: in modo che non si può citare, in quell’epoca, nessuno spirito di valore che non abbia realmente partecipato, in qualche modo e con qual­ che intensità, alla comune elaborazione negativa, quasi sempre sorretta dalla vivace adesione di quelle stesse classi contro le quali si sarebbe rivolto alla fine il suo potere sociale. Sebbene la pri­ mitiva consacrazione dogmatica della dittatura temporale abbia fortunatamente nascosto la tendenza direttamente rivoluziona­ ria di una simile dottrina ai comuni uomini di stato, incapaci di apprezzare alcunché al di là delle immediate conseguenze ma­ teriali, non si può dubitare che un genio politico penetrante co­ me quello del grande Federico avrebbe certamente colto la vera portata sociale di questa agitazione intellettuale, pur non poten-

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donetemere personalmente i successivi attacchi. L ’alta protezione accordata in modo costante da un giudice tanto competente all’attiva diffusione universale del cambiamento filosofico, i cui capi principali erano divenuti quasi suoi amici personali, non si puòattribuire dunque che all’intimo presentimento dell’indispensabile necessità provvisoria di una simile fase negativa, perché si arrivasse infine a realizzare l’organizzazione razionale e pa­ cifica, verso la quale aveva sempre teso, sotto forme più o meno nette, dopo il completamento finale delle conquiste romane, il desiderio spontaneo di tutti gli uomini davvero superiori, quale chefosse la loro casta o condizione. A questa valutazione fondamentale della scuola filosofica pro­ priamente detta, dalla quale fu soprattutto caratterizzato l’ultimo secolo non ci resta dunque da aggiungere, seguendo la strada già indicata, che un giudizio molto sommario sulla scuola più spe­ cialmente politica, che ne derivò ben presto necessariamente e ne fu l’indispensabile complemento, destinato a preparare im­ mediatamente la grande esplosione rivoluzionaria, provocando in modo diretto la disorganizzazione temporale, quando si fu compiuta la disorganizzazione spirituale. Senza dubbio, que­ stuinola scuola, della quale Rousseau fu il capo rappresentativo, portava ancora meno idee veramente nuove, anche se negative, che non la scuola principale diretta da Voltaire; poiché tutti i diversi dogmi politici propri della metafisica rivoluzionaria erano stati spontaneamente sviluppati, anche se in modo accessorio ed in forma incoerente, nella maggior parte degli attacchi pura­ mente filosofici, diretti contro l’antico sistema sociale del periodo che abbiamo già esaminato. Così l’elaborazione negativa, fatta particolarmente da Rousseau non presentò altre difficoltà intel­ lettuali oltre al dover coordinare direttamente queste nozioni preesistenti, ma sparse, e trasse il suo carattere principale da quel­ l’intimo appello a tutte le passioni umane, vera origine fonda­ mentale della sua ulteriore energia; mentre, al contrario, la scuo­ la volteriana si era sempre essenzialmente indirizzata all’intelli­ genza per quanto fossero frivole le sue concezioni abituali. Mal­ grado la disastrosa influenza sociale della scuola di Rousseau, alla quale bisogna far risalire particolarmente, persino al giorno d’oggi, le più gravi aberrazioni politiche, una giusta valutazione storica riconosce che, non solo il suo avvento fu inevitabile, cosa

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di certo molto evidente, ma anche che portò a termine un ulti­ mo compito indispensabile nel sistema generale dello sconvolgi­ mento rivoluzionario. Abbiamo già riconosciuto i vantaggi essen­ ziali che la scuola puramente filosofica aveva sempre tratto dalla tendenza fondamentale che Hobbes le aveva impresso spontanea­ mente fin dall’origine, di mantenere sempre intatto l’insieme delle istituzioni relative alla dittatura temporale, stabilitasi do­ vunque dopo il xvi secolo. Per questa disposizione naturale, seb­ bene un simile rispetto non potesse essere certamente che prov­ visorio, a causa della sua crescente contraddizione con lo sforzo stesso della filosofìa negativa, lo spirito critico, essendosi, per così dire, spossato nell’opera di disgregazione spirituale, e, daltronde, implicitamente trattenuto dal confuso timore di una completa anarchia, doveva passare senza energia all’attacco di­ retto delle istituzioni temporali e mostrarsi poco deciso a sor­ montare con fermezza resistenze davvero serie. Questa ine­ vitabile influenza doveva farsi sentire tanto più in quanto, in séguito al crescente prestigio di queU’elaborazione, la classe dei filosofi tendeva gradualmente ad accogliere soprattutto intelli­ genze più comuni, unite a caratteri sempre meno elevati, molto inclini a conservare personalmente, per quanto possibile, gli onori di una facile emancipazione mentale con i vantaggi di un’indulgente approvazione politica, secondo l’esempio di molti loro precursori protestanti. Ora, da un altro lato, è chiaro che lo sviluppo contemporaneo della dittatura temporale sarebbe na­ turalmente divenuto sempre più retrogrado e corruttore in sé­ guito all’incapacità crescente della monarchia che vi presiedeva, c per la progressiva demoralizzazione della casta che vi spiegava il suo vero orgoglio, dopo aver servilmente abdicato all’indipen­ denza politica ed alla destinazione sociale, sulle quali esso aveva prima legittimamente riposato. La situazione era dunque tale, al­ lora, che ogni critica particolarmente sociale sarebbe divenuta me­ no energica proprio a misura che diventava più intelligente, se l’ardente slancio di Rousseau non avesse prevenuto spontaneamen­ te, a questo proposito, l’universale torpore, rammentando in mo­ do diretto e con i soli mezzi che, in quel caso avessero una certa efficacia, come la rigenerazione morale e politica costituisse ne­ cessariamente il vero scopo definitivo del cambiamento filosofico che tendeva ormai a degenerare in una sterile agitazione intel­

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lettuale. Per la verità, bisogna riconoscere che già il coscienzioso Mably ' si era dimostrato abbastanza capace di formulare la siste­ matizzazione politica della dottrina rivoluzionaria e perfino tem­ perando spontaneamente per una fortunata abitudine, dal punto di vista storico, le più importanti aberrazioni, che in séguito vi si sarebbero riallacciate, cosa che lascia essenzialmente a Rousseau solo i suoi sofismi e le sue passioni del tutto coerenti. Ma, seb­ bene, una tale operazione dogmatica dispensasse Rousseau da un'elaborazione razionale poco adatta alla sua natura, molto più artistica che filosofica, questa fredda esposizione astratta, desti­ nata solo a spiriti meditativi, per i quali i celebri pubblicisti del secolo precedente avrebbero persino potuto essere sufficienti, era ben lungi dal rendere superflua l’audace esplorazione di Rous­ seau, il cui fondamentale paradosso venne dovunque a sollevare inmodo diretto tutte V inclinazioni umane contro i vizi generali dell’antica organizzazione sociale, pur contenendo purtroppo an­ che il germe inevitabile di tutte le perturbazioni possibili, a causa di quel selvaggio rifiuto della società stessa, che lo spirito di disordine non può senza dubbio superare mai, e da dove de­ rivano, infatti, tutte le utopie anarchiche che crediamo proprie al nostro secolo. Per giudicare degnamente la grande necessità temporanea di queU’energica scossa quali che ne potessero essere le ulteriori conseguenze, bisogna considerare che, in séguito al­ l’estrema imperfezione della filosofìa politica, le migliori intelli­ genze erano allora portate a vedere il punto di arrivo dell’evolu­ zione sociale dei popoli moderni in sterili o chimeriche modifi­ che dell’antico regime, privato delle sue principali possibilità di esistenza reale, cosa che allontanava qualsiasi vera riorganizza­ zione. Si sa che il grande Montesquieu stesso, nonostante la sua giusta avversione per le utopie, guidato da un’impotente meta­ fìsica, come ho spiegato nel quarantasettesimo capitolo, non potè sfuggire a quella fatale illusione che gli mostrava la rigenera­ zione sociale in una vana divulgazione universale della costitu­ zione transitoria particolare all’Inghilterra e che egli appoggiò tanto pericolosamente con la sua potente raccomandazione. Un simile esempio è molto adatto a dimostrare che, senza l’indispen-I. I. Cabriti Bonnot de Mably, filosofo e storico francese (1709-1785), è uno dei predinoli della Rivoluzione francese e anche del socialismo.

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sabile intervento della scuola anarchica di Rousseau, il cambia­ mento filosofico dell’ultimo secolo si avviava, per cosi dire, a fallire proprio nel momento stesso che raggiungeva il suo scopo finale; a meno di un sufficiente preliminare rinnovo della vera filosofia politica, appena possibile al giorno d’oggi, c che, d’altra parte, sarebbe certamente rimasto sempre illusorio, stando alle spiegazioni del quarantasettesimo capitolo, senza la crisi rivolu­ zionaria dalla quale questa estrema elaborazione negativa doveva essere seguita; tanto è inevitabile, per sua natura, la dolorosa ne­ cessità che condanna le concezioni sociali ad avanzare solo sotto il funesto antagonismo naturale delle diverse aberrazioni empi­ riche, fino a che l’ascendente della filosofia positiva non abbia convenientemente razionalizzato quest’ultimo ordine essenziale delle speculazioni umane. Per completare la descrizione del progresso naturale della cri­ tica temporale particolarmente riservata a Rousseau, bisogna con­ siderare la tendenza crescente di questa scuola, persino a comin­ ciare da Mably, verso una specie di regressione spirituale, che la riavvicinava più al movimento puramente protestante, che non allo sconvolgimento filosofico propriamente detto, da dove essa era nata, ma per il quale tuttavia provava un’energica rivalità. Nella scuola volteriana, che si occupava essenzialmente dell’or­ ganizzazione temporale, il deismo sistematico era veramente solo una semplice concessione provvisoria, che non poteva avere se­ ria importanza e che sarebbe ben presto stato sostituito anche nel popolo da una completa emancipazione teologica; nono­ stante l’indignazione poco persuasa che la vecchiaia del suo capo mostrava per l’ateismo delle nuove generazioni, molto più per un personale istinto di rivalità filosofica, che per reali con­ vinzioni religiose. Al contrario, la scuola di Rousseau e di Ma­ bly, spingendo fino ai suoi limiti estremi la critica temporale e perseguendo di fatto una rigenerazione politica, si appoggiava sempre più al deismo, suo sostegno fondamentale, unica garan­ zia apparente contro la sua tendenza diretta all’anarchia univer­ sale e anche sola ed ulteriore base intellettuale della sua utopia sociale. L’influenza crescente di tale naturale disposizione spin­ geva necessariamente questa scuola verso il più puro socinianesimo o anche al calvinismo propriamente detto, a misura che es­ sa si accorgeva spontaneamente, anche se in modo confuso, della

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cotaleinutilità sociale di una religione senza culto né sacerdozio. Si può perfino notare in séguito tale tendenza, anche in Germa­ nia, fin dalla natura stessa della metafìsica preferita da quella scuola che, molto più vicina al platonismo protestante che all’aristotelismo cattolico, assume sempre di più il carattere teologico del protestantesimo ufficiale. È cosi che le due principali scuole filosofiche dell’ultimo secolo furono spinte contemporaneamente, dagli impulsi opposti dei loro istinti particolari, a considerare il deismo come una specie di fermata provvisoria, destinata a faci­ litare il cammino degli uni in avanti e degli altri all’indietro, nella disorganizzazione moderna del sistema religioso; cosa che spiega molto bene l’impressione parecchio diversa che le due scuole, nonostante l’apparente somiglianza dei loro dogmi teolo­ gici, dovettero produrre soprattutto ai nostri giorni, sull’istinto sacerdotale. Sebbene la critica temporale, propria alla seconda metà del xviii secolo, fosse dominata essenzialmente dal grande ascen­ dente di Rousseau, è necessario tuttavia distinguere accuratamen­ te la partecipazione spontanea di un’altra classe politica, quella degli economisti, ai quali la particolarità dei loro attacchi, non­ ostantela loro inferiorità filosòfica, conferì un potere molto adatto acompletare la disorganizzazione dell’antico sistema sociale. Sa­ rebbe superfluo insistere qui sulla natura eminentemente meta­ fisica della pretesa scienza, costituita da questo tipo di filosofi; è stata abbastanza spiegata nel quarantasettesimo capitolo ed è, del resto, sufficientemente pronunciata anche al giorno d’oggi, per­ ché uno spirito saggio possa non riconoscerla. Da un altro lato, devorinviare al capitolo seguente la valutazione diretta della pre­ parazione organica, utile anche se parziale, che rientra naturai mente in quella scuola, nell’elaborazione preliminare di una giu­ sta filosofia politica nello sforzo di fare risaltare giustamente l'importanza sociale deH’industria tra i popoli moderni, a parte i gravi inconvenienti storici e dogmatici, propri allo spirito as­ soluto di questa branca speciale della metafìsica negativa. Non dobbiamo ora considerare altro che la sua efficacia rivoluziona­ ria, che è assolutamente innegabile, poiché riuscì a dimostrare ai governi stessi la loro radicale incapacità a dirigere lo sforzo in­ dustriale; cosa che, dopo l’evidente diminuzione delle attività militari, aboliva radicalmente la loro principale funzione tem­

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porale c dissipava d’altronde fortunatamente, gli ultimi pretesti abituali delle guerre, divenute allora essenzialmente commerciali. È dunque impossibile disconoscere, da un punto di vista storico, gli eminenti servizi resi, nel secolo scorso, da quella interessante branca della critica temporale, nonostante i suoi lati ridicoli ed esagerati. Sebbene sotto questo aspetto, l’influenza più notevole sia certamente quella di un immortale studio scozzese ', non si può negare che questa dottrina, derivata all’inizio dal protestan­ tesimo, come tutte le altre dottrine critiche, a causa della premi­ nenza industriale delle nazioni protestanti, si sia sviluppata so­ prattutto in Francia, congiutamente al complesso della filosofia negativa. La sua tendenza rivoluzionaria è evidentemente inne­ gabile; in séguito alla sua consacrazione assoluta dello spirito di individualismo e dello stato di non governo. Nonostante i pro­ lungati sforzi dei suoi più saggi sostenitori per contenere tale natura antipolitica in limiti non pericolosi, si sono visti tuttavia i suoi più rigorosi sostenitori arrivare fino al punto di dedurre dogmaticamente sia la completa inutilità di qualsiasi insegna­ mento morale regolare, sia la soppressione di ogni incoraggia­ mento ufficiale per le scienze, le belle arti e simili; ho anche no­ tato, nel quarantasettesimo capitolo, che le più recenti aberra­ zioni contro il fondamentale istituto della proprietà hanno la loro vera origine nella metafisica economica, dopo che, col compiersi del suo reale scopo temporaneo, essa cominciò a divenire chiara­ mente anarchica, come le altre branche essenziali della filosofia negativa del secolo scorso. Una simile dottrina era tanto più pe­ ricolosa per l’antico sistema politico, in quanto essendo la sua origine ed il suo scopo rivoluzionari, naturalmente dissimulati da forme particolari, la facevano accettare meglio dai poteri, ai quali si offriva come un utile strumento amministrativo. Così, questo è il modo nel quale lo spirito critico si sarebbe direttamente sviluppato nei paesi cattolici, diversi dalla Francia, dove la forza eccessiva della repressione retrograda impediva lo slan­ cio immediato dello spirito filosofico primitivo. È notevole, in­ fatti, che le prime cattedre, istituite dall’inevitabile imprevidenza dei governi per l’insegnamento ufficiale di questa parte della filo-I. I. Comte allude all'opera di Adam Smith An Inquiry into the Nature end Caute of the Wealth of Nations (1776)-

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sofia negativa logicamente coerente con tutte le altre, si ebbero soprattutto in Spagna e tra i popoli progrediti deiritalia; nuova edevidente dimostrazione della assoluta universalità di quel moto spontaneo e fondamentale che, dal xiv secolo, spinge istintiva­ mente tutta la cristianità occidentale a distruggere irrevocabil­ mente l’antica costituzione sociale, i cui più sinceri sostenitori si lasciano sempre sfuggire qualche manifestazione della loro in­ volontaria partecipazione attiva allo sconvolgimento generale. Si possono applicare considerazioni essenzialmente analoghe, che sarebbe inutile qui approfondire, ad un’altra scuola po­ litica, principalmente italiana, che, nell’ultimo secolo, ha fornito al sistema generale della critica sociale la sua collaborazione par­ ticolare, con una serie memorabile di tentativi della metafisica controla legislazione propriamente detta, soprattutto penale, così particolarmente sottoposta, a sua volta, alla stessa ostilità assoluta che aveva colpito tutto il resto dell’antico ordine, in séguito a princìpi non meno radicalmente anarchici, La cui disastrosa esa­ gerazione priverebbe direttamente la società al giorno d’oggi, delle sue più indispensabili garanzie temporali contro l’esplo­ dere delle perturbazioni materiali. Quest’ultimo ramo della me­ tafisica rivoluzionaria è storicamente notevole per il fatto di avere dato luogo al completamento dell’organizzazione spontanea del movimento transitorio, attraverso l’incorporazione diretta della classe sempre più potente degli avvocati, fino ad allora confusa nello sconvolgimento universale, e la cui unione graduale alla primitiva classe dei primi letterati, imprimendo nuova energia allosviluppo negativo, ha molto influito in séguito sulla crisi fi­ nale, come spiegherò nel cinquantasettcsimo capitolo. Dopo aver cosi sufficientemente valutato le tre fasi successive della sistema­ tizzazione, dello sviluppo e dell’applicazione, caratteristiche del cammino generale della filosofia negativa, è facile completarne l'esame storico con la rapida indicazione delle principali aberra­ zioni astratte, intellettuali o morali, che ne erano inseparabili, scartando d’altra parte per ora quelle molto più gravi, che ve­ dremoin séguito scaturire dal suo prestigio politico. Sotto questo aspetto, le deviazioni caratteristiche dei letterati del secolo scorso nonerano affatto di specie diversa da quelle, già in precedenza analizzate, dei loro precursori protestanti, ma da loro solamente aggravate, sia dal progredire stesso della disorganizzazione, sia

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dalla natura sempre meno normale dei nuovi organi dissolutori. Abbiamo dimostrato prima che la mancanza abituale di pro­ fonde convinzioni filosofiche, che distingue spiritualmente, fra i metafìsici, i letterati moderni dai dottori antichi, li aveva adat­ tati meglio al definitivo passaggio, per il fatto che, meno impe­ gnati sistematicamente nella comune metafisica, non potevano ostacolare nello stesso modo la valutazione dello scopo finale con l’illusorio prestigio di mezzi passeggieri e in séguito si sarebbero anche trovati più liberamente disposti a favorire l’avvento di­ retto di una vera riorganizzazione sociale. Ma questi successivi vantaggi non potevano in nessun modo compensare i pericoli direttamente legati all’irrazionalità più pronunciata di queste nuove guide spirituali, la cui influenza provvisoria doveva au­ mentare particolarmente il disordine intellettuale e morale. Di­ venendo così le questioni più importanti e più difficili appannag­ gio quasi esclusivo degli spiriti meno adatti, sia per la loro na­ tura, sia per l’insieme della loro educazione, a trattarle conve­ nientemente, si deve essere veramente sorpresi che l’alta dire­ zione del movimento sociale tendesse da allora essenzialmente ad appartenere sempre più ai sofisti ed ai retori, dei quali subiamo ancora oggi il deplorevole influsso, impossibile da neutralizzare in alcun modo, se non con la diretta collaborazione della dottrina organica. Ciascuna delle due scuole rivali, una filosofica, l’altra politica, che hanno diretto principalmente il cambiamento spi­ rituale del x v i i i secolo, presentava, da questo punto di vista, gli inconvenienti che le erano propri, i quali, d’altra parte, non erano veramente equivalenti. Per quanto pericoloso sia, in effetti, il regime intellettuale della scuola volteriana, con la sua caratteristica frivolezza e con l’irrazionale sdegno che ispira pei ogni profonda e coscienziosa elaborazione filosofica, essa resta almeno sempre essenzialmente intellettuale; mentre la scuola di Rousseau, molto più radicalmente sovversiva di qualsiasi seria attività speculativa, chiama direttamente in gioco le passioni per eliminare le difficoltà che esigono il più puro giudizio razionale; atteggiamento del resto necessario, nel quale non bisogna vedere che una spontanea manifestazione delle vaghe simpatie teolo­ giche proprie a questa scuola; perche l’istinto teologico consiste, soprattutto, come ho già detto, nel far intervenire le passioni nelle concezioni più astratte.

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Esaminando di nuovo, a proposito del cambiamento deista, ciascuna delle aberrazioni spirituali prima notate nel cambia­ mento protestante, sarà facile vedere l’estensione che esse dove­ vano naturalmente acquistare. Questo allargamento è prima di tuttoevidente per la più fondamentale di esse, perché l’assorbi­ mentoindefinito del potere spirituale da parte del potere tempo­ raledivenne allora, come abbiamo visto, l’oggetto immediato di unasistematizzazione assoluta che prima non aveva potuto com­ piersi completamente; essa era stata preconizzata, d’altra parte, da un'antipatia più pronunciata per il cattolicesimo del medio­ evo. Una simile ripugnanza dogmatica per la divisione generale dei due poteri deve sembrare tanto più strana, in quanto presenta, nel secolo scorso, un contrasto notevole con l’effettiva esistenza della classe filosofica, la cui situazione extra-legale, molto so­ migliante a quella delle scuole greche, avrebbe dovuto farle sentireche stava preparando l’avvento sociale di un nuovo potere spirituale, ancora più indipendente dell’antico potere temporale corrispondente. Se si considerano poi le tre principali deviazioni filosofiche chederivano da questa fonte comune, seguendo lo stesso ordine del protestantesimo, si trova prima di tutto un’alterazione più profonda nel giudizio storico sul medioevo e, di conseguenza, nellanozione naturale di progresso sociale, avendo allora l’awer* sione più totale per il cattolicesimo sviluppato un’irrazionale ammirazione per il regime politeista dell’antichità, da princi­ pio moderata tra i protestanti dalia loro venerazione per i primi tempi del cristianesimo. Si sa che queste diversioni piene di odio furono spesso spinte fino al punto di far rimpiangere quasi apertamente il politeismo a spiriti colpiti dall’eccessiva ir­ razionalità delle credenze cristiane: ne offrono, per esempio, un’innegabile prova gli strani tentativi destinati alla riabilitarione politica del reazionario Giuliano. Ma, quali che siano, a questo proposito, gli evidenti rimproveri che meritano in ugual modotutte le sètte filosofiche del secolo scorso, di quei torti fu, senza dubbio, molto più profondamente responsabile la scuola di Rousseau, che spinse, sotto questo aspetto, lo spirito di re­ gresso fino al più stravagante delirio, con quella selvaggia uto­ pia, nella quale un brutale isolamento veniva direttamente pro­ posto come esempio allo stato sociale; mentre la scuola volte-

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riana, con il suo istintivo attaccamento ai diversi elementi es­ senziali della civiltà moderna, compensava almeno, fino ad un certo punto, i pericoli del suo inconseguente concetto del pro­ gresso umano. In secondo luogo, è allora soprattutto che, essendo stata qual­ siasi idea di normale divisione dei due poteri provvisoriamente abolita, vediamo svilupparsi liberamente la tendenza spontanea deU’ambizione filosofica verso la specie di teocrazia metafisica, sognata dalle scuole greche. Questa chimerica disposizione era già sensibile, senza dubbio, sotto il protestantesimo, nel quale costituiva veramente il fondo principale delle illusioni politiche, proprie alle diverse classi illuminate sul preteso regno dei santi, ma il suo slancio vi era necessariamente contenuto da quella consacrazione solenne della supremazia temporale, che caratte­ rizzava sopra ogni altra cosa il protestantesimo ufficiale. Il rispetto provvisorio che i volteriani professavano per la dittatura monarchica, ha esercitato, fino ad un certo punto, un'in­ fluenza equivalente durante la prima metà del xvm secolo, seb­ bene in un modo molto più precario e solamente aggiornando o tutt’al più riducendo le speranze filosofiche. Ma la scuola di Rousseau, più vicina alla crisi finale, perseguendo direttamente la disorganizzazione temporale, in vista d’una immediata rina­ scita politica, era particolarmente destinata, sotto questo punto di vista come anche sotto quasi tutti gli altri, a spingere finoai loro limiti estremi le aberrazioni proprie alla filosofia negativa. Nell’abolire più che mai ogni divisione reale fra il potere poli­ tico e il potere morale, questa setta, rifiutando qualsiasi limite all’ambizione filosofica, nell’interesse dell’umanità, veniva im­ mediatamente trascinata, dal suo caratteristico istinto, a inaugu­ rare infine una costituzione tanto più puramente teocratica, in quanto un evidente ritorno verso un vago predominio sociale dello spirito teologico formava la base della sua dottrina. La ten­ denza generale di questa scuola era, a questo proposito, tasto più nociva perché, in questo nuovo regno dei santi, la sua dj tura la conduceva necessariamente a concepire il maggior potere politico come riferito soprattutto non alla capacità, secondo il principio delle teocrazie storiche, ma a quello che essa chiamava confusamente la virtù, in modo da incoraggiare dogmaticamentt la più attiva e la più pericolosa ipocrisia. Queste funeste atti»

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dini naturali (delle quali indicherò in particolare, nel cinquantascttesimo capitolo, il forte influsso successivo sui nostri turba­ menti rivoluzionari) conservano oggi, sebbene sotto altre forme, gran parte del loro deplorevole prestigio, che potrà cessare solo quando un ritorno razionale alla sana teoria fondamentale del­ l’organismo sociale avrà accordato alle legittime ambizioni filo­ sofiche una sufficiente soddisfazione morale, disperdendo per sempre l’illusione antisociale che fa loro sognare un dominio as­ soluto, più avverso di qualunque altro al progresso reale dell’u­ manità, come ho spiegato nella lezione precedente. Per un’ultima evidente conseguenza dell’aberrazione primi­ tiva, la scossa deista del xvm secolo doveva, ancor più della scossa protestante, spingere le società moderne a far prevalere gradual­ mente il rispetto abituale del punto di vista pratico e ad attri­ buire, in un modo sempre più esclusivo, alle sole istituzioni tem­ porali la soluzione uniforme di tutte le difficoltà politiche, quale chenepotesse essere la natura. In mancanza di princìpi generali, èstatonecessario moltiplicare, al di là di tutti i limiti precedenti, certe arbitrarie regole particolari, che lo spirito metafisico ab­ belliva invano con il nome di leggi, quasi sempre caratterizzate da un’usurpazione, talvolta sterile e talvolta perturbatrice, del potere politico propriamente detto sul regno sociale dei costumi c delle opinioni. Più avanti dimostreremo gli effetti funesti di questa irrazionale tendenza ai regolamenti, che non si è potuta sviluppare liberamente se non sotto il completo potere politico della metafisica rivoluzionaria; a questo punto era necessario localizzarne storicamente la progressiva espansione. Sotto que­ st’ultimo aspetto, la scuola di Rousseau era chiaramente desti­ nata a spingere più lontano d’ogni altra le principali deviazioni filosofiche, per il fatto stesso che essa concentrava direttamente tutta la sua attenzione sociale sulle misure puramente politiche, finoal punto che una cieca imitazione dell’antichità la trascinava adipendere perfino dalla disciplina morale; mentre i volteriani, avendoun punto di vista più astratto e di conseguenza più gene­ rale, avevano conservato, sebbene ad un grado molto debole, una confusa sensazione deU’influsso sociale direttamente riferito alle idee, indipendentemente dalle istituzioni, la cui effettiva portata di solito essi tendevano a minimizzare.

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Quanto alle aberrazioni morali propriamente dette, sarebbe certamente superfluo soffermarsi qui a descrivere i danni pro­ dotti da una metafisica che, distruggendo tutte le preesistenti basi della morale pubblica e anche privata, senza sostituirle di­ rettamente con nessun equivalente razionale, lasciava ormai tutte le regole della condotta alla discrezione superficiale e parziale delle coscienze individuali, allora spesso trascinate a sfidare le nozioni morali in odio alle concezioni teologiche corrispondenti, Se l’istinto naturale della moralità umana e l’influsso crescente della civiltà moderna non avessero fortunatamente compensato, in molti casi, questa tendenza distruggitrice, ben presto essa non avrebbe certo lasciato sopravvivere che quelle regole sociali, mo­ rali, domestiche o anche personali, direttamente collegate a si­ tuazioni talmente semplici, che l’analisi morale fosse accessibile anche agli spiriti più rozzi. I diversi pregiudizi morali, saggia­ mente consacrati del cattolicesimo, sia per vietare sia per pre­ scrivere, poggiavano senza dubbio in generale su una conoscenza molto reale, sebbene empirica, della natura umana, e su una fe­ lice intuizione delle principali necessità sociali; tuttavia essi non potevano in alcun modo resistere al sistema irrazionale delle di­ scussioni metafisiche caratteristiche del secolo scorso, nella quali l’elaborazione negativa lasciava completamente la ricostruzione delle leggi morali al semplice zelo spontaneo di quelle stesse per­ sone, che dovevano subirne il potere e alle quali la sola appari­ zione di qualche inconveniente, immancabile anche nelle isti­ tuzioni più perfette, ispirava spesso prevenzioni totali con­ tro i precetti più indispensabili, come ho indicato nel quarantaseiesimo capitolo. In speculazioni così complicate, nelle quali le reazioni individuali e sociali devono spesso essere seguite fino alle conseguenze più lontane e indirette, mentre allo stesso tem­ po il giudizio su di esse è quasi sempre esposto alla tentazione delle nostre più forti inclinazioni, è talmente impossibile sop­ perire ad un’educazione regolare, che non una sola nozione morale è riuscita a rimanere intatta sotto l’influsso dissolvitorc della metafisica negativa, anche presso gli uomini più intelli­ genti, soprattutto quando essi prendevano parte attiva ai contra­ sti filosofici. Fra le testimonianze incontestabili che si potrebbero facilmente accumulare in appoggio a questa triste osservazione, in séguito agli scritti di coloro che, perseguendo sistematicamente

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larigenerazione sociale, sembravano dover meglio rispettare le leggi fondamentali della socialità, basterà indicarne qui una sola, molto caratteristica, nei riguardi dei due soggetti principali. Si stenta a capire oggi, ad esempio, come l’odio cieco per tutto ciò che si riferiva all’influenza cattolica, abbia potuto indurre uno spirito così eminentemente francese come quello di Voltaire a dimenticare tutte le leggi della moralità umana, per dedicare espressamente una lunga elaborazione poetica a diffamare la com­ movente memoria di quella nobile eroina, alla quale, in ogni paese, tutti gli spiriti colti consacreranno sempre una rispettosa ammirazione, e che nessun francese dovrebbe mai nominare sen­ zaunomaggio speciale di tenera riconoscenza nazionale : il bia­ simevole successo di questa vergognosa produzione indica a quale livello era ormai giunta la generale decadenza etica. Un giu­ dizio non meno severo deve applicarsi anche, senza dubbio, a quelTopera dannosa, parodia scandalosa d’una immortale com­ posizione cristiana in cui, nel delirio d’un orgoglio sofistico, Rousseau, svelando con cinico compiacimento, le più ignobili turpitudini della sua vita privata, osa perfino proporre l’insieme della sua condotta come tipo morale dell’umanità. Bisogna an­ che riconoscere che quest’ultimo esempio, era, per la sua stessa natura, molto più pericoloso del primo, dove si può anche vedere soltanto una colpevole dissolutezza di spirito; mentre Rousseau, applicando una capziosa argomentazione alla sistematica giusti­ ficazione dei più deplorevoli errori, tendeva certamente a per­ vertire fino al seme delle più semplici nozioni morali : in modo che è certo per sua ispirazione diretta o indiretta che si ve­ donooggi apparire tante dotte consacrazioni, personali o collet­ tive, del più brutale predominio delle passioni sulla ragione. È così che, sia per la sola impotenza morale d’una metafisica pu­ ramente negativa, sia per l’attiva corruzione d’una dottrina so­ fistica, le principali scuole filosofiche del secolo scorso venivano spontaneamente trascinate verso aberrazioni morali analoghe a quelle della scuola di Epicuro, la cui riabilitazione sociale è di­ venuta allora l’argomento di tante illusorie dissertazioni, che nonoffrono ora un interesse reale, altro che come testimonianza storica della biasimevole situazione degli spiriti moderni sotto questo particolare aspetto. È chiaro, dunque, come la scossa dei­ sta abbia sviluppato in special modo le deviazioni morali prò-

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vocatc prima dalla scossa protestante, spingendo fino in fondo la disorganizzazione spirituale che ne costituiva il principio univer­ sale. Niente è certo più adatto d’un simile risultato finale per constatare lo scopo puramente temporaneo di questa pretesa fi­ losofia, sostanzialmente adatta a distruggere, senza mai poter organizzare nemmeno le più semplici relazioni umane. Ma que­ sta conclusione generale, risalterà di nuovo con evidenza più decisiva, dall’analisi diretta della memorabile epoca caratteriz­ zata dal potere politico d’una simile dottrina, il cui completo trionfo doveva così chiaramente mostrare la sua intera organica impotenza. Tuttavia, questa incapacità radicale della filosofia metafisica non deve mai far dimenticare rinvecchiamcnto, da molto tempo equivalente, della filosofia teologica; se la prima s’è dedicata a dissolvere la morale, l’altra non ha potuto preser­ varla, e il suo vano intervento è valso soltanto a rendere più at­ tiva questa dissoluzione, facendo ripercuotere sulla morale l’ir­ revocabile discredito mentale della teologia, come ho già indi­ cato in occasione della fase protestante. Il completamento gra­ duale della nostra elaborazione storica fa dunque sempre più riconoscere le proprietà caratteristiche della filosofia positiva, come le uniche basi reali e odierne di una riorganizzazione so­ ciale, tanto morale che intellettuale, e perché sole capaci di sod­ disfare contemporaneamente le necessità opposte di ordine e di progresso, che le due vecchie dottrine antagoniste appagano tanto imperfettamente, nonostante l’esclusiva preoccupazione di ciascuna di esse, o piuttosto a causa della loro comune impotenza a conciliare due condizioni ugualmente insormontabili. Abbiamo finalmente portato a termine, in questa lunga ma indispensabile lezione, la difficile valutazione razionale dcH’immenso movimento rivoluzionario che, dal xiv secolo, spinge sempre più la parte migliore dell’umanità a uscire completamente dal sistema teologico e militare che, nella sua ultima fase essen­ ziale, aveva assolto, durante il medioevo, al suo ultimo compito necessario all’insieme dell’evoluzione umana. Nei tempi ai quali siamo giunti, la costituzione fondamentale di questo regime era completamente crollata, sia nel suo principio, sia nei suoi diversi elementi, a causa del suo ridursi, alla fine ad un’inutile dittatura temporale, ormai priva di ogni prestigio spirituale, e la cui cre­ scente impotenza bastava appena a mantenere, in modo progres-

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uvamente più precario, un ordine materiale sempre più imperfet­ to, inmezzo ad un’imminente anarchia morale e intellettuale : in poche parole, il vecchio sistema sociale non aveva più, fin d’allora, quasi quanto oggi, che quella fiacca esistenza politica, che necessariamente gli resterà fino all’avvento diretto d’una vera riorganizzazione. Ora, dunque, bisogna, seguendo il cammino tracciato prima, consacrare il capitolo successivo alla valutazione, nonmeno indispensabile, del movimento elementare di ricom­ posizione che era andato silenziosamente sviluppandosi durante questo grande periodo rivoluzionario, in modo da poter conve­ nientemente terminare, nel cinquantasettesimo capitolo, l’insieme della nostra operazione storica, con l’esame speciale di un’epoca chenon ha potuto finora manifestare in pieno il suo vero carat­ tereperché, essendo direttamente destinata alla ricostruzione so­ ciale, non ha ancora trovato la dottrina che deve dirigere la sua elaborazione; mentre la mancanza di essa determina un artifi­ ciale prolungarsi del trapasso in forma negativa, che nella sua essenza si era esaurito già al x v j i i secolo.

PREFAZIONE PERSONALE Nel pubblicare finalmente l’ultimo volume di questo trattato, credo di dover esporre oggi a tutti coloro che hanno voluto ac­ cordarmi per così lungo tempo una perseverante attenzione la spiegazione generale dei motivi, essenzialmente personali, che hanno prolungato per dodici anni questa nuova elaborazione fi­ losofica. Tale esposizione è qui tanto più opportuna, in quanto ostacoli simili potranno ugualmente intralciare o ritardare i vari successivi lavori che annuncio, terminando l’opera in corso. Poiché lo stesso titolo di questa prefazione fuori del comune richiama esplicitamente la sua peculiare finalità, i lettori che vor­ ranno immediatamente proseguire nello studio dell’importante argomento iniziato nel tomo precedente, potranno saltarla senza inconveniente alcuno, salvo a ritornarvi in séguito, se lo specifico oggetto li interessa a sufficienza. La lunga durata dell’elaborazione che porto oggi a termine potrebbe anzitutto essere imputata alla sospensione forzata cui fusottoposta, subito dopo la pubblicazione del primo tomo, in séguito alla crisi industriale provocata dalla memorabile som­ mossa politica del 1830 '. Costretto così a cercare un nuovo edi­ tore, dovetti interrompere per circa quattro anni una trattazione che, secondo la mia natura e le mie abitudini, non poteva essere scritta se non in vista di un’immediata pubblicazione.1 1. La rivoluzione di luglio 1830 che portò al trono di Francia Luigi Filippo di Orfani fino al 1848.

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Una seconda causa di ritardo derivò in séguito dall’estensione assai pronunciata che acquistò gradualmente la mia operazione filosofica, senza che né lo spirito, né il piano ne provassero d'al­ tronde la benché minima alterazione. Quelli fra i miei lettori che non avranno dimenticato l’annuncio iniziale potranno ora convincersi, sia dall’accrescimento del numero dei volumi, sia in virtù della loro maggiore ampiezza, che l’estensione effettiva di questo trattato è realmente più che raddoppiata rispetto a quella originariamente promessa. Ma questi due motivi di ri­ tardo, quale che sia stata la loro influenza, che è peraltro evi­ dente, non avrebbero in realtà avuto altro effetto che quello di prolungare sino al 1836 un lavoro che avevo inizialmente sperato di terminare entro il 1832. Se dunque, invece di quei sei anni, la mia opera ne ha richiesti, alla fine, dodici, ciò va soprattutto attribuito ai gravi ostacoli inerenti alla mia situazione personale Ora, non ne posso far sufficientemente rilevare lo portata essen­ ziale, sia passata, sia futura, se non richiamando qui un'atten­ zione diretta, sia pure sommaria, su un’esistenza privata di cui mi sforzerò d’altronde di caratterizzare, per quanto possibile, l’intima connessione con lo stato generale della ragione umana nel xix secolo. Del resto è sempre parso opportuno che il fonda­ tore di una nuova filosofia facesse direttamente conoscere al pub­ blico il complesso del proprio procedere speculativo e così pure la propria posizione individuale. Nato, nel mezzogiorno della nostra Francia, da una famiglia eminentemente cattolica e monarchica, educato in uno dei licci in cui Bonaparte tentava invano con gran fatica di restaurare l'antica preponderanza mentale del regime teologico-metafisico, avevo appena compiuto quattordici anni che, percorrendo spon­ taneamente tutti i gradi essenziali dello spirito rivoluzionario, provavo già il bisogno fondamentale di una rigenerazione uni­ versale, a un tempo politica e filosofica, sotto l’attivo impulso-di quella crisi salutare la cui fase principale aveva preceduto la mia nascita, e la cui irresistibile influenza era su di me tanto piùsi­ cura in quanto essa, pienamente conforme alla mia particolare natura, si trovava allora ovunque compressa intorno a me. La luminosa influenza di una iniziazione matematica avuta in fa­ miglia, felicemente sviluppata alia Scuola Politecnica, mi fece

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benpresto presentire istintivamente la sola via intellettuale che potesse condurre realmente a questo grande rinnovamento. Avendo prontamente compreso l’insufficienza radicale di un’istruzione scientifica limitata alla prima fase della positività razionale, estesa soltanto fino al complesso degli studi organici, provai in séguito, ancor prima d’aver lasciato quella nobile isti­ tuzione rivoluzionaria, il bisogno di applicare alle speculazioni vitali e sociali la nuova maniera di filosofare che vi avevo ap­ preso attraverso lo studio dei più semplici soggetti. Mentre, a questo scopo, completavo spontaneamente, soprat­ tutto In biologia e in storia, attraverso molti ostacoli materiali, lamia indispensabile preparazione, il senso graduale della vera gerarchia enciclopedica cominciava a svilupparsi in me, di pari passocon l’istinto crescente di un equilibrio definitivo tra le mie tendenze intellettuali e le mie tendenze politiche, prima essen­ zialmente indipendenti, anche se sempre ugualmente imperiose*. t. In questo periodo, nel momento in cui ero giunto a sentire la por­ tata e ai tempio stesso l ’insufficienza del tentativo di Condorcct, la mia evoluzione spontanea fu profondamente turbata, per qualche anno, senza esser tuttavia mai deviata né interrotta, da un legame funesto con uno scrittore di molto ingegno, ma assai superficiale, la cui natura, molto più attiva che speculativa, era sicuramente poco filosofica, e non comportava realmente altro movente essenziale che un'immensa ambizione personale (il celebre signore de Saint Simon). Egli aveva, per suo conto, già a suo modo sentito il bisogno di una rigenerazione sociale fondata su un rin­ novamento mentale, per quanto vaga e incoerente fosse la nozione che egli si formava d’altron le deU’una c dell’altro, a causa della profonda irrazionalità della sua educazione generale. Questa coincidenza divenne per lui, nei mici confronti, la base di una disastrosa influenza, che sviò per molto tempo una parte notevole della mia attività filosofica verso vani remativi di azione politica diretta, sebbene, del resto, ne sia derivata per me, non solo un più vivace incitamento ad una pubblicità immediata c fors’anche prematura, ma anche un'attenzione più decisiva per l’efficacia sociale dello sviluppo industriale, sulla quale tuttavia ero stato preceden­ temente reso attento dalle dottrine economiche, primo fondamento reale della direzione che caratterizzava soprattutto il signor de Saint Simon. Tale conformità apparente, benché molto incompleta, costituì anche, dopo la nostra rottura, il motivo o il pretesto delle invidiose insinuazioni dirette contro l’originalità dei miei primi lavori di filosofìa politica, attribuendo tu’importanza artificiosa ad un’errata qualificazione che mi era stata ispi­ rata, nel 1825, da una generosità assai mal intesa, così stranamente ricom­ pensata, e che due anni prima la prima edizione dello scritto corrispon-

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Questo equilibrio decisivo risultò infine, nel 1822, dalla scoperta fondamentale che mi condusse, sin daH’età di ventiquattro anni, ad una vera unità mentale ed anche sociale, in séguito sempre più sviluppata e consolidata sotto l’ispirazione continua della mia grande legge relativa aH’insieme dell’evoluzione umana, in­ dividuale e collettiva : questa fu direttamente applicata, nel 1823 e nel 1826, alla riorganizzazione politica, nei saggi già spesso citati in questo trattato e che in séguito ritirerò dalla raccolta etereogenea in cui si trovano ancora dispersi. Una tale armonia filosofica non potè essere tuttavia pienamente realizzata che dopo dente non aveva. Tutto il mio sviluppo successivo ha da molto tempo can­ cellato spontaneamente queste vane recriminazioni contro un filosofo che ha concesso, oso dirlo, a ciascuno dei suoi diversi predecessori molto piò di quanto ne avesse veramente ricevuto, per la duplice tendenza che mi spin­ ge sia ad evitare particolari indifferenti al pubblico attribuendo il valore to­ tale di ogni concezione a colui che ne ha manifestato il primo germe di­ stinto, anche quando la corretta valutazione e la realizzazione principale sostanzialmente mi appartengono, sia a mostrare, per quanto possibile, le radici precedenti che possono dare più forza ai miei pensieri. Sebbene questo celebre personaggio, nei miei confronti, abbia indegna­ mente abusato del facile ascendente personale, che doveva procurargli la mia grande giovinezza, su una natura profondamente disposta all'entu­ siasmo politico e filosofico, debbo tuttavia cogliere simile occasione per vendicare qui la sua memoria dalle gravi imputazioni ispirate, a tutti gli uomini di buon senso e a tutte le anime pure, dalle vergognose ed effi­ mere aberrazioni che si è osato introdurre sotto il suo nome dopo la sua morte. Se fosse vissuto qualche anno di più, la sua assenza totale di vere convinzioni e il desiderio quasi irresistibile di clamorosi successi immediati avrebbero forse sviato la sua vecchiaia molto al di là dei confini ebe aveva sempre speculativamente rispettato. Ma, qualunque sia il valore di simile congettura, posso direttamente assicurare che, durante i quasi sei anni di intima amicizia, non l’ho mai inteso proclamare quelle massime profon­ damente sovversive di ogni socialità elementare che gli furono poi impu­ dentemente attribuite da ciarlatani che non aveva mai conosciuto. Ho po­ tuto soltanto osservare in lui, dopo l'indebolimento derivato da una fatale oppressione fisica, quella tendenza banale verso una vaga religiosità, de deriva oggi così frequentemente dal sentimento segreto dell'impotenza filosofica, in quelli che intraprendono la riorganizzazione sociale, senza esservi convenientemente preparati da un loro intimo rinnovamento men­ tale.

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la prima esecuzione (cominciata nel 1825 e compiuta nel 1829) della formulazione orale che ha determinato quella scritta, che terminoora per la sistematizzazione finale della filosofia positiva, gradualmente preparata dai miei diversi predecessori, da Car­ tesio a Bacone \ 1. Lo sviluppo iniziale di questa elaborazione orale fu dolorosamente interrotto, nella primavera del 1826, da una crisi mentale, scaturita dal fatale concorso di grandi pene morali e violenti eccessi di lavoro. Saggia­ mente lasciata al suo corso spontaneo, questa crisi si sarebbe senza dubbio benpresto risolta in un ritorno allo stato normale, come il séguito mostrò churamente. Ma una sollecitudine troppo timida c troppo irriflessiva, d'altronde così naturale in simili casi, determinò disgraziatamente il disa­ stro» intervento di una cura empirica, nell’istituto specializzato del £amo» Esquirol, in cui il più assurdo trattamento mi portò rapidamente ad una alienazione assai caratterizzata. Dopo che la medicina mi ebbe infine fortunatamente dichiarato incurabile, la forza intrinseca del mio organi­ smo, coadiuvata dalle affettuose cure domestiche, trionfò naturalmente, in qualche settimana, aH’Lnizio dell’inverno seguente, della malattia e soprattutto dei rimedi- Questo successo essenzialmente naturale si tro­ vavi, diciotto mesi dopo, talmente consolidato che nel 1828, recensendo su un giornale la celebre opera di Broussais sull’irritazione e la follia ', utilizzavo già filosoficamente le spiegazioni personali, che quella triste esperienza mi aveva da poco procurato a così caro prezzo, nei confronti di questo importante argomento. Il lettore sa bene, d’altronde, come con­ statai incontestabilmente, l’anno successivo, che quel terribile episodio non aveva per nulla alterato la perfetta continuità del mio sviluppo mentale, compiendo sino alla fine l'elaborazione orale interrotta tre anni prima, che ha fatto nascere in séguito il trattato che ora porto a compimento. Credo di essere ora abbastanza conosciuto perché non si imputi a vane preoccupazioni personali la confidenza ardita che ho appena indirizzato a tutti coloro che sapranno apprezzarla. In un periodo in cui l'anarchia morale comporta, nelle nature inferiori, il ricorso ai più indegni mezzi, sotto ['eccitamento passeggierò o permanente delle antipatie individuali o collettive, ho creduto opportuno di dovermi garantire in precedenza con questa franca esposizione dalle insinuazioni infami che potrebbero segre­ tamente esser suscitate dalle diverse animosità che lo sviluppo della mia filosofia »Leverà sempre più, e al quale soprattutto questo ultimo volu­ me deve naturalmente imprimere un pericoloso impulso. Questa giusta previsione riposa sul vergognoso impiego di simili macchinazioni alle qualiI. I. François-Joseph-Victor Broussais, medico francese (1772-1838). che sostenne (une unica terapia il salasso con sanguisughe (broussaisme). Tra le opere, Examen Jet ioamit médtcalet (1817) e Traiti Je ¡ ’irritation et de la jolie.

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Sin dall’inizio del mio cammino filosofico, sprovvisto di ogni fortuna personale, anche a venire, ebbi la ventura di compren­ dere che la mia esistenza materiale doveva direttamente fondarsi su occupazioni professionali indipendenti dai miei lavori specu­ lativi, il cui successo sarebbe, per la loro natura, troppo lontano e troppo incompleto per poter mai esser sufficiente a garantirmi una solida posizione privata. Tuttavia, affinché questa continua necessità tendesse, per quanto possibile, a sviluppare la mia voca­ zione principale, senza mai poterla alterare, scelsi spontanea­ mente a questo scopo, nel 1816, l’insegnamento matematico, la mia particolare attitudine per il quale era stata, oso dirlo, già notata mentre studiavo alla Scuola Politecnica, sia dai miei su­ periori sia dai miei compagni. Questo insegnamento ha costi­ tuito, senza interruzione da quell’epoca, nei suoi diversi gradi c sotto tutti gli aspetti, il mio unico mezzo di sussistenza. Durante questi 26 anni, la mia elaborazione filosofica non ha mai turbato, in alcuna maniera, questi miei compiti speciali, sempre adem­ piuti così scrupolosamente come se me ne fossi occupato esclusi­ vamente. Tuttavia ha, in sostanza, impedito, a causa del disac­ cordo involontario con l’ambiente in cui ero costretto a vivere, che quei lunghi e costanti servizi mi procurassero sinora la giusta ricompensa personale che ne sarebbe naturalmente risultata, pei ogni altro professore, unicamente dedito, anche con meno zelo ricorse vanamente nel 1838, per soddisfare nei miei confronti ignobili ri­ sentimenti privati, un potente personaggio scientifico, il cui nome deve qui iìgurare infine, ad unica degna punizione di siffatta condotta, il fa­ moso matematico Poisson \ Non si è dimenticato d'altronde che qualche anno prima un mezzo analogo era stato impiegato invano, nel mondo scien­ tifico, anche se con intenzione molto meno vergognosa, per rovinare il cre­ dito intellettuale dell'illusue navigatore, del quale una recente catastrofe ha da poco privato la Francia. Da questi due incontestabili esempi di de­ plorevole traviamento pratico cui può condurre il gioco naturale delle no­ stre passioni, anche scientifiche, il lettore comprenderà, spero, il motivo e la portata di una spiegazione, che si sarebbe potuto, altrimenti, supporre influenzata da inquietudini esagerate, che la malevolenza avrebbe tentato forse di erigere a sintomi indiretti di un certo perdurare attuale dell’ac­ cidente in questione.1 1. Siméon Denis Poisson, matematico, fisico e astronomo francese (1761-1840). professore all'École polytechnique c alla Sorbona, compì importanti studi sul calcolo delle probabilità.

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a tali funzioni, I lavori che le trascendevano, i quali sembravano dover elevare il merito delle mie occupazioni profes­ sionali, hanno costituito, al contrario, la principale causa delle gravi ingiustizie che ho subito in questa carriera, sia per la ripu­ gnanza che ispiravano alle diverse influenze dominanti, sia so­ prattutto per la bassa invidia che suscitavo segretamente intorno ame ricoprendo, con una superiorità generalmente riconosciuta, funzioni che, per mio conto, erano così evidentemente secondarie. Anche se finora sono il solo filosofo che non abbia fatto, nei suoi scritti e nella sua condotta, alcuna concessione contraria alle sue convinzioni, lo stato presente della ragione pubblica comincia già realmente a permettere, almeno in Francia, tale pienezza della dignità speculativa; ma essa non è ancora sufficientemente esente da rischi personali. Sempre risoluto a mantenere interamente intatta, ad ogni costo, la mia indipendenza filosofica, sono stato in modo costante rigorosamente tenuto lontano dalle diverse branche della nostra istruzione pubblica, a causa delle velleità retrograde e dello spi­ ritointrigante del deplorevole governo di cui la fortunata som­ mossa del 1830 ci ha ormai liberato per sempre \ Sono stato così ridotto a fare affidamento esclusivamente sulle penose risorse deirinsegnamento privato, che per molto tempo è stato per me ancora più precario e meno efficace che non per tutti gli altri, siaacausa di una vita essenzialmente solitaria che mi teneva lon­ tanodalle utili relazioni, sia per la scarsa simpatia che riscuotevo pressoi vari personaggi che avrebbero potuto appoggiare tale si­ tuazione. Fino a un’epoca molto vicina, la mia esistenza è stata sempre fondata su un insegnamento quotidiano prolungato or­ dinariamente per sei o otto ore. In mezzo a questi ostacoli è stata eseguita la prima metà di questo trattato; il lettore deve ora spiegarsene la particolare lentezza di pubblicazione. Da soli dieci anni sono stato introdotto infine alla Scuola Politecnica, nel gra­ dopiù subalterno, sotto gli spontanei generosi auspici di un ma­ tematico assai stimabile (il defunto signor Navier s), la cui sincsucccsjo,

!. Allude alla rivoluzione di luglio che abbatté il regno di Carlo X. a. Louis-Marie-Henri Navier, ingegnere francese (1785-1836), professore di analisi e meccanica all’Écolc polycechmquc, si interessò soprattutto della costruzione di penti sospesi.

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golare elevatezza morale onorava il nostro mondo scientifico, ed il cui spirito, sebbene troppo esclusivamente matematico, aveva tuttavia saputo discernere, ad un certo livello, il mio caratteri­ stico valore. Divenuta da allora più direttamente e meglio valu­ tabile, la mia attitudine all’insegnamento fu poi solennemente constatata, su questo grande palcoscenico, in séguito alla prova decisiva, imposta nel 1836 dall’obbligo naturale in cui mi trovavo d’occuparvi, ad interim , la principale cattedra di matematica. Ma, nonostante questa incontestabile dimostrazione, che la nobile sollecitudine dei miei allievi e del mio principale superiore (l’il­ lustre Dulong '), ha fatto, oso dirlo, sia allora sia in séguito, ri­ suonare con clamore nel mondo della cultura, le ostilità di ordine scientifico, spontaneamente sviluppatesi man mano che acqui­ stavo maggiore notorietà, si sono fino ad ora attivamente opposte alla giusta remunerazione dei mici servizi speciali. Si è creduto sinora, e si crederà senza dubbio per molto tempo ancora, cheio sia stato sufficientemente ricompensato aggiungendo, dopo cin­ que anni, al mio incarico precario e subalterno neH’insegnamento politecnico, funzioni più importanti ma ugualmente tempo­ ranee, relative al giudizio iniziale dei candidati. Questa doppia attribuzione è d’altronde, secondo il costume francese, talmente poco retribuita che sono obbligato, per far fronte alle necessità della mia posizione, ad aggiungervi al di fuori un attivo insegna­ mento quotidiano in uno dei principali istituti specificamente destinati alla preparazione politecnica. Risulta da questi triplici incarichi matematici una serie di obblighi giornalieri tale che in sei anni non ho potuto trovare venti giorni consecutivi di li­ bertà completa da consacrare interamente 0 ad un vero riposb oppure all’esclusivo proseguimento dei miei lavori filosofici. Que­ sta nuova fase della mia posizione personale non mi ha dunque realmente procurato altro miglioramento essenziale che quello di avermi lasciato un po’ più di tempo per la mia grande opera, dispensandomi ormai da ogni insegnamento individuale. Così ho potuto eseguire la seconda metà del trattato, nonostante laI. I. Pierre Louis Dulong, fìsico c chimico francese (1785-1838), direttore di stadi all'École polytechnique. La sua fama è legata alla formulazione, insieme eoo T. A. Petit, della cosiddetta legge di Dulong e Petit, riguardante la relazione approssimiti fra U calore specifico e il peso atomico dei corpi.

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suadifficoltà e la sua maggiore estensione, molto più rapidamente chenon la prima, scrivendo, dopo questo fortunato cambiamento, circaun volume all’anno. Ma i penosi ostacoli, che questo conti­ nuoassoggettamento deve ancora recare direttamente al mio svi­ lupposuccessivo, sono soprattutto aggravati dal carattere profon­ damente precario che, in séguito ad assurdi regolamenti, distinguc oggi questa mia laboriosa esistenza \ La doppia rielezione ». La nostra Scuola Politecnica è principalmente retta, per tutto ciò che toocerne l’insegnamento, da un consiglio formato innanzitutto da tutti i professori, ivi compresi i maestri di disegno, francese e tedesco, ad ecce­ zione soltanto di coloro che dirigono le esercitazioni non obbligatorie come la scherma, la danza c la musica. Da dieci a dodici anni questo gruppo hi gradualmente acquisito una grande importanza, facendosi attribuire, a titolo di competenza, la nomina esclusiva o la presentazione decisiva ai diversi compiti politecnici, per la fiducia irriflessiva che la sua composi­ zione caratteristica ha dovuto ispirare sempre piò ad un’autorità assai di­ sposta a sacrificare, in generale, la sua giusta supremazia effettiva alle imperiose esigenze dei pregiudizi attuali. Questo nuovo predominio ha an­ che mirato senza posa a rendere essenzialmente rimovibili, assoggettandoli zd una rielezione annuale, tutti i diversi impieghi, eccettuati quelli oc­ cupati o desiderati dai membri del consiglio dirigente, senza nemmeno eccettuare le funzioni che per loro natura richiedono esplicitamente la piò completa indipendenza legale, per resistere a sufficienza all’antagonismo continuo di una folla di passioni naturalmente convergenti contro il loro più legittimo esercizio, come avviene soprattutto per i miei difficili com­ piti di esaminatore preliminare. Nei confronti dei compiti didattici ac­ cessori ricoperti da coloro che impropriamente vengon chiamati i ripeti­ tori, le ombrose pretese di un tale dominio sono state spinte al punto che, dopol’ordinanza del 1832, ciascuno di essi può essere direttamente respinto a solo gradimento del professore corrispondente; si che la previdenza legi­ slativa dei nostri sapienti non ha potuto elevarsi sino a comprendere la pe­ ricolosa autorità che essi accordavano in tal modo alle piò ingiuste ani­ mosità che potrebbe suscitare una rivalità intellettuale troppo naturale per con dover essere frequente, o piuttosto quasi abituale. Istituzioni così assurde sono senza dubbio assai adatte a verificare in modo peculiare ciò che ho tante volte dichiarato, in linea di principio, soprattutto in questo volume, sulla profonda incapacità che caratterizza gii esperti attuali in una materia qualsiasi di governo, anche scientifica, [■’amministratore più estraneo agli scudi speculativi non avrebbe certo adottato mai spontaneamente regole così radicalmente contrarie alla co­ noscenza usuale dell’uomo e della società, che distingue naturalmente la classe amministrativa c che anche allo stato empirico costituisce sempre, infondo, nella vita reale, la nostra piò preziosa acquisizione. Vanamente

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annuale, alla quale sono sottomesso, per altri potrebbe costituire solo una semplice formalità, anche se spiacevole. Per quanto mi concerne, può, ad ogni istante divenire molto più grave, fornendo un punto d'appoggio legale alle ingiuste animosità che ho invo­ lontariamente sollevato e che il corso naturale dei miei lavori deve direttamente aumentare, soprattutto in base all’azione ne­ cessaria dell’attuale volume. In quanto ripetitore, la mia sorte è subordinata, ogni anno, non soltanto ai diversi impulsi di un gruppo mal disposto nei miei confronti, ma anche allo scrupolo ed alla circospezione di un nemico riconosciuto, la cui condotta anteriore è assai lontana dal garantire, per ciò che mi concerne, una sua futura equità. Come esaminatore sono egualmente espo­ sto alla reazione annuale, sia delle diverse passioni, che deve spontaneamente suscitare il giusto esercizio della mia autorità, sia anche delle vane utopie particolari che possono suggerire a ciascuno dei miei padroni ufficiali il modo di assolvere a questo incarico : alcune recriminazioni pedanti che, anche se collettive, non sono meno sconvenienti e persino ridicole, mi hanno già for­ malmente avvertito dell’imminente gravità che potrebbe nei miei confronti acquistare inopinatamente un tal giogo. Per questo du­ plice motivo i miei amici ed i miei nemici sanno ugualmente oggi che, giunta al suo quarantacinquesimo anno, la mia labo­ riosa esistenza personale può ancora essere bruscamente sconvolta, nonostante lo scrupoloso assiduo adempimento di tutti i mici do veri professionali, da una sufficiente coalizione tempranea di dunque i nostri sapienti vorrebbero oggi rinviare airamministraionc la responsabilità esclusiva di misure così spiacevoli per tutti gli uomini di buon senso. £ chiaro che le autorità non hanno avuto, a questo riguardo, altro torto essenziale che quello di cedere con troppa condiscendenza al cieco impulso dei pregiudizi e delle ambizioni scientifiche. Ogni persona ben informata sa anche che le disposizioni irrazionali ed oppressive adot­ tate da dieci anni alla Scuola Politecnica provengono soprattutto dalla disa­ strosa influenza esercitata dal signor Arago \ fedele organo naturale dell: passioni e delle aberrazioni proprie della classe che egli domina oggi io modo così deplorevole.I. I. Jean-Franfois-Dominique Arago, fisico, astronomo, meteorologo francese (17861J53). Fu incaricato di continuare la misurazione del meridiano terrestre. Nel Gorerno provvisorio del 1848 ebbe il ministero della guerra e della marina. Stabili l'abo­ lizione della schiavitù nelle colonie francesi.

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diverse ostilità che s’oppongono al mio legittimo sforzo. È allo scopo di uscire, per quanto è in mio potere, da questa intollera­ bilesituazione, che ho creduto, per mezzo di questa prefazione, di dover provocare nei miei confronti una crisi decisiva, il cui pericolo, per reale che possa essere, è, a mio avviso, meno fune­ stoche non la prospettiva continua di un’imminente oppressione. Per meglio caratterizzare, soprattutto per quanto riguarda il futuro, una simile valutazione personale, mi resta ora da riallac­ ciarla convenientemente alla posizione necessaria in cui mi col­ loca direttamente la totalità della mia produzione filosofica nei confronti di ciascuna delle tre influenze generali, teologica, me­ tafìsica e scientifica, che si disputano o si dividono ancora il do­ minio intellettuale. Sarebbe certamente superfluo indicare qui espressamente che nondovrei mai attendermi altro che attive persecuzioni, latenti oscoperte, da parte di quel partito teologico, con il quale, non­ ostante abbia sinceramente reso completa giustizia alla sua antica supremazia, la mia filosofia non comporta realmente alcun com­ promesso essenziale, a meno di una radicale trasformazione sacerdotale, sulla quale non bisogna contare. Sin dalla mia adole­ scenza, ho sentito in modo penoso il peso personale di questo inevitabile antagonismo, prima fonte generale delle attuali dif­ ficoltà della mia situazione. Effettivamente, soprattutto per le ispirazioni reazionarie della scuola teologica fu compiuto, du­ rante la celebre reazione del 1816, il funesto licenziamento che infranse o sconvolse tante esistenze presso la Scuola Politecnica; altrimenti avrei ottenuto naturalmente, sedici anni prima, se­ condo gli eccellenti costumi di questo istituto, la modesta posi­ zione che ho cominciato ad occupare soltanto nel 1832; ciò che avrebbe sicuramente cambiato il corso ulteriore della mia vita materiale. Un'eccezione formale, proveniente dalla stessa fonte, venne in séguito a escludermi personalmente della parziale ripa­ razione, che compensò, qualche tempo dopo, i miei colleghi di quella proscrizione generale. Il lettore sa già che soprattutto il continuo perdurare di quest’oppressiva influenza mi ha escluso dall'istruzione pubblica, riducendomi alla penosa risorsa dell’in­ segnamento privato. Man mano che il mio sviluppo mentale si è definitivamente caratterizzato, attraverso l’apparizione successiva dei diversi vo­

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lumi di questo trattato, un inevitabile scadimento ufficiale non ha impedito verso di me le malevole manifestazioni di quel par­ tito incorreggibile, che da cinque secoli, sentendosi sempre piùin­ capace di sostenere una vera e propria discussione, aspira pur sem­ pre, anche nell’impotenza, a distruggere o ad avvilire i suoi diver­ si avversari filosofici. Nonostante la sua circospezione abituale, la Corte di Roma ha recentemente colpito con i suoi fulmini un’o­ pera che non era compiuta; una di quelle ridicole censure che hanno ormai perduto persino lo strano potere, ancora perdurante nell’ultimo secolo, di eccitare a leggere l’opera che ne è l’oggetto; nei confronti di tali opere il pubblico attuale sdegna anche di informarsi sui motivi della condanna. All’inizio di quest’anno, in occasione della tradizionale riapertura del corso popolare di astronomia che tengo gratuitamente da dodici anni i più ignobi­ li organi di quella scuola, nella vana speranza di un vicino trionfo, hanno osato domandare clamorosamente, ad un potere che non è più al loro servizio, la diretta eliminazione di tutti i miei at­ tuali mezzi di esistenza, per avere io sistematicamente procla­ mato la necessità e la possibilità di rendere infine la morale pie­ namente indipendente da ogni credenza religiosa, in conseguenza dell’universale influenza dello spirito positivo finalmente cretto ad unica base solida di tutte le nozioni umane. Nei confronti del partito metafisico, sia al potere, sia aspirante ad esso, la mia posizione necessaria, sebbene si riferisca ad una collisione meno pronunciata, è in fondo ancora più pericolosa per me, per la grande preponderanza che esso esercita oggi, a tutti i livelli, in Francia. Più illuminato e più elastico del prece­ dente, questo partito equivoco, sente confusamente che, da Car­ tesio e Bacone, lo sviluppo graduale della filosofia positiva è stato soprattutto diretto spontaneamente contro la sua transitoria do­ minazione, non meno interessata oggi delle pretese puramente teologiche ad impedire, ad ogni costo, l’installazione sociale della vera filosofia moderna. Considerando innanzitutto la parte di questa scuola che domina oggi, posso agevolmente segnalare, nel suo più eminente organo, un esempio assai caratteristico della sua disposizione istintiva a mantenermi, per quanto possibile, t. Nel 1830 Comte (ondò PAssociation polytechnique con lo scopo dclPiimaioK popolare attraverso corsi pubblici gratuiti.

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se non nell’oppressione sacerdotale, in una profonda oscurità personale, contemporaneamente mentale e sociale. Essendo stato individualmente apprezzato, per certi aspetti sin dal 1824 e 1825, cioèdal mio primo sviluppo filosofico, dal signor Guizot gli ho lattol’onore, dieci anni or sono, al tempo del suo più importante incarico politico, di allontanarmi una sola volta per lui dalla re­ gola che mi sono sempre imposto, di non chiedere mai niente ai vari poteri attuali, al di fuori di ciò che mi è strettamente do­ vuto, secondo gli usi stabiliti. Una certa comprensione da parte suami condusse allora a proporgli di creare presso il collegio di Francia una cattedra esclusivamente consacrata alla storia ge­ nerale delle scienze positive, che solo io, per ora, potrei ricoprire ai nostri giorni. A questo insegnamento avrei naturalmente dato un’impostazione convenientemente relativa aH’influenza scienti­ ficaelogica della nuova filosofia. Ora, dopo molte tergiversazio­ ni, il signor Guizot, che ha fondato, là e altrove, per i suoi ade­ renti ed i suoi adulatori, tante cattedre inutili 0 anche nocive, fu benpresto trascinato dai suoi rancori metafisici a mettere da parte definitivamente un’innovazione che avrebbe potuto onorare la suamemoria, e di cui sembrava dapprima che capisse il valore naturale. Fui anche costretto successivamente, nell’ottobre 1833, apubblicare su due giornali, con qualche commento speciale, la nota filosofica che avevo dovuto scrivere a questo proposito, allo scopo di impedire almeno che questa mia proposta, che in ef­ fetti è rimasta in séguito intatta, non si trovasse alla fine sprecata afavore di qualche cortigiano. Quanto alla parte della scuola metafisica che costituisce oggi ciòche si chiama volgarmente l’opposizione, e la cui influenza risiede principalmente nella stampa periodica, si può caratteriz­ zare a sufficienza la sua disposizione nei miei confronti, ricor­ dandolo strano silenzio che i suoi vari organi, quotidiani o men­ sili, hanno unanimemente osservato, nel corso di dodici anni, per la prima volta forse, nei confronti della mia pubblicazione filosofica. Solo in Inghilterra, sinora, almeno per quanto ne so, questo trattato ha dato luogo ad un serio esame: si tratta della coscienziosa valutazione di cui un illustre fìsico (sir David Brew-1 1. Priocois Pierre Guillome Guizot, storico e uomo di stato francese (1787-1874), fnktolti ministro durante il regno di Luigi Filippo.

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ster ') onorò nel 1838, nella celebre « Rivista di Edimburgo# i miei due primi volumi, sebbene avesse, d’altronde, assai pococom­ preso il complesso del mio lavoro filosofico, nonostante l’accetuzione formale della mia legge fondamentale. Salvo quest’unica discussione, scientifica piuttosto che filosofica, il mio lungo la­ voro non è mai stato nemmeno annunciato in alcun giornale di qualche importanza ; non si può sicuramente attribuire tale ri­ serbo al sentimento personale di un’insufficiente istruzione pre­ liminare che non esclude lo sviluppo abituale di giudizi più netti. Sebbene alcuni organi avanzati abbiano dovuto, naturalmente, attendere la fine di un’opera che non è, in effetti, pienamente passibile di giudizio, se non nella sua totalità, non si può dubi­ tare, tuttavia, che questo silenzio eccezionale sia soprattutto dovuto alla ripugnanza involontaria, con cui i metafìsici, che dominano ovunque la stampa periodica, vedono oggi sorgere una filosofia superiore alla loro influenza, e che tende direttamente a far cessare la loro attuale preponderanza, mediante l’inflessibile continua prescrizione di rigorose condizioni mentali, nello stesso tempo logiche e scientifiche, che essi si sentono incapaci di ri­ spettare sufficientemente. Consideriamo infine la terza scuola speculativa, la sola che costituisca oggi il germe assai imperfetto, ma diretto, della vera spiritualità moderna. Là si trovano coloro ai quali ho fatto l'o­ nore di chiedere di guadagnare onestamente il mio pane, perche appartengono alla mia famiglia intellettuale: mentre non ho niente da attendermi dalle altre due categorie, essendomi essen­ zialmente estranee ed anche involontariamente ostili, salvo l'u­ nica eccezione personale, di cui avevo così male a proposito ono­ rato il signor Guizot. Allo scopo di valutare convenientemente nei loro confronti la mia situazione naturale, occorre distinguere con cura le due scuole, spontaneamente antagoniste, che si di­ vidono, benché assai inegualmente fino ad ora, il dominio ge­ nerale della positività razionale: la scuola matematica propria­ mente detta, ancora dominante, senza serie contestazioni, l’in­ sieme degli studi inorganici, e la scuola biologica, che lotta oggi debolmente per mantenere, contro l’irrazionale influenza della1 1. David Brewster, fisico inglese (1781-1868). particolarmente studioso di attica, direttore dal 1808 al 1830 dell’Enciclopedia di Edimburgo.

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prima, l’indipendenza e la dignità degli studi organici. In quan­ toquest’ultima comprende anche me, mi è in fondo più favo­ revole che ostile, perché sente confusamente che la mia azione filosofica tende direttamente a liberarla dall’oppressione degli dèi matematici. Vi ho trovato non soltanto il mio più convinto estimatore scientifico nella persona del mio eminente amico, il signor de Blainville ma anche numerosi ed onorevoli aderenti, il cui concorso meglio testimonia tale simpatia collettiva. Disgra­ ziatamente non è da questa scuola, come si sa, che dipende la tnia esistenza personale. Ora, quanto ai matematici, sotto il cui dominio sono forzatamente costretto a vivere, le indicazioni pre­ cedenti hanno fatto presentire ciò che debbo attendermi da una scuola scientifica, di cui l’insieme del mio operare filosofico, sia mentale, sia sociale, distrugge necessariamente la supremazia provvisoria, gradualmente sviluppatasi nel corso della lunga pre­ parazione preliminare propria agli ultimi due secoli, come spie­ ganospecialmente gli ultimi tre capitoli di questo volume finale. Per meglio caratterizzare quest’inevitabile contrapposizione istintiva, mi basti segnalare convenientemente l’esperienza pie­ namente decisiva che si attuò a mio danno, nel 1840, in occasione di una nuova vacanza della principale cattedra di matematica dellaScuola Politecnica, che avevo occupato, ad interim , quattro anni prima, con una superiorità generalmente riconosciuta, anche dai miei nemici, e che non cesserò mai, a questo titolo, di consi­ derare come mia proprietà legittima, sebbene una violenta ini­ quità me ne abbia spogliato fino ad ora con l’apparenza di una formale legalità. L’illustre Dulong, nella sua qualità di direttore degli studi di questo istituto, vi aveva personalmente seguito quelle memorabili lezioni che mi avevano apertamente conqui­ statola sua coscienziosa stima, nonostante la precedente disposi­ zione a condividere involontariamente, nei miei confronti, le consuetudinarie prevenzioni delle nostre consorterie scientifiche : èsotto il recente ricordo di quella eminente approvazione che si fecero le elezioni, in cui il suo suffragio avrebbe certamente ga­ rantito il mio successo, se non fosse intervenuta quella prema-I. I. Henri-Marie Ducrotay de Blainville, naturalista francese (1777-1850), i suoi Inori hanno abbracciato la tassonomia zoologica, l'anatomia comparata, la fisiologia "tntrale, la paleontologia, la filosofia della scoria naturale.

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tura morte che ha privato il mondo colto di questa rara combi nazione di un’alta capacità con una moralità di pari grado. Nello stesso tempo nobili giovani, che non avevo mai adulato, oso dirlo, ma che conoscevano la mia costante dedizione ai loro legittimi bisogni, manifestando a proprio modo la loro felice spontanea concordanza con l’apprezzamento dell’antico superiore, onora­ rono la mia candidatura di una generosa iniziativa eccezionale, di cui sono stato fino ad ora il solo oggetto, e per la quale offro loro, qui, la facile espressione della mia eterna riconoscenza, nella persona collettiva dei loro successori attuali, rispetto ai quali l’intima solidarietà delle nostre diverse generazioni politecniche autorizza pienamente tale sostituzione costante. Il lettore sa forse che deputazioni speciali furono allora inviate dagli studenti in­ distintamente a tutti i votanti, per testimoniare loro conveniente­ mente il desiderio unanime che una prova inconfutabile aveva ispirato in mio favore tutti coloro che avevano potuto sentirne l’efíetto generale. A questa convergenza decisiva, e forse inaudita, fra supe­ riori ed inferiori, si aggiunsero d’altronde, a mio vantaggio, tutte le considerazioni accessorie, relative alle regole ordinarie, che si è dovuto simultaneamente violare per escludermi : un’incontesta­ bile anzianità, onorevoli servizi speciali, e la convenienza rico­ nosciuta di reclutare, per quanto possibile, i professori di questa grande scuola fra i suoi antichi alunni, a meno di una loro effet­ tiva insufficienza. Se altri fuori di me avesse posseduto tal insieme di titoli, il suo trionfo sarebbe stato certo. Ma le ostilità dei matematici, spe­ cialmente concentrate nell’Accademia delle scienze di Parigi, non potevano lasciare elevarsi così irrevocabilmente colui che, conoscendo il vero spirito delle nostre consorterie scientifiche, c d’altra parte poco spaventato dal loro antagonismo, anche con­ certato, avrebbe direttamente cercato, in un tal compito, di dare all’alta istruzione matematica la direzione più conforme alla sua vera finalità per il sistema generale dell’evoluzione positiva. I vergognosi mezzi che determinarono la mia esclusione furono allora in piena armonia con l’evidente iniquità del progetto. Poi­ ché i caporioni accademici dovevano naturalmente temere il voto spontaneo del Consiglio della Scuola, in cui i miei nemici ed i miei amici credevano ugualmente che la maggioranza mi fosse

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senz'altro assicurata, e poiché l’uso accordava a questo proposito una priorità naturale a tale voto, profittarono abilmente, a mio svantaggio, dell’occasione, facile a prevedersi, che offriva loro la discussione del regolamento accademico Dopo questa prima vio­ lenza, fu in séguito facile per la Commissione speciale stabilire, con una nuova infranzione di tutti gli usi e di tutte le conve­ nienze, una lista di candidati in cui non ero neanche nominato, come non meritassi senza incertezza discussione alcuna. Il pro­ fondo disprezzo che rivolgo personalmente in questa sede a cia­ scuno di coloro che hanno preso parte volontariamente a questa ultima indegnità accademica, non m’impedisce d’altronde di sen­ tire che in fondo essa ha avuto poca influenza sul risultato, in quantoha fatto séguito al voto effettivo del Consiglio politecnico, già in mio favore, per la reazione quasi irresistibile della turpi­ tudine iniziale. In una parola, i caporioni di simile intrigo non dimenticarono nulla per indicare dinanzi a questo Consiglio che, se voleva realizzare la sua prima disposizione in mio favore, avrebbe dovuto sostenere una lotta formidabile contro una cor­ porazione più potente, che si mostrava disposta a mantenere ad ogni costo, in questa grave occorrenza, il monopolio abituale delle elevate disposizioni didattiche: complessivamente la sua condotta prova da molto tempo che essa considera ciascuno dei propri membri come il possessore legittimo, qualunque possa es­ sere la sua inettitudine reale. Ci si doveva facilmente attendere che il Consiglio non avrebbe osato ingaggiare nei confronti dell'Accademia una lotta così impari. Fu così compiuta con un accordo apparente di due voti essenziali un’ingiustizia piena­ mente caratteristica, il cui peso naturale impedirà sempre nei «. Quello fra i due segretari perpetui che fece il resoconto della se­ duta del 3 agosto 1840, sentì talmente, senza dubbio, la turpitudine di que­ sta violenza accademica compiuta contro di me a profitto di uno dei suoi confratelli da tentar vanamente di presentarla come una sorta di aggior­ namento, motivato da non so quale urgenza piò immediata. Ma se questa gesuitica esposizione fosse stata veramente fedele, l’Accademia avreb­ be distintamente riservato per la lettura della mia lettera un’ulte­ riore seduta, mentre in séguito non ne fu mai fatta questione. Poiché è molto importante per la morale pubblica che l'attivo compimento vo­ lontario di cattive azioni, individuali o collettive, non debba in alcun caso eludere un’inflessibile responsabilità, ho creduto di dover in questa sede particolarmente rettificare simile ufficioso errore.

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mici confronti ogni conveniente riparazione, nonostante la com­ posizione mobile del corpo particolare, che se ne rese strumento passivo, data la staticità naturale del potente gruppo che ne fu il principale ispiratore, e che nutre nei miei confronti un’ostilità che deve essere continuamente rinvigorita, perché attiene diret­ tamente alla situazione generale dello spirito umano nel xix se­ colo ed al carattere fondamentale della mia nuova filosofia. Dopo questo triplice esame delle tendenze diversamente ostili che fanno naturalmente convergere contro il mio legittimo pro­ gresso tutte le classi antagoniste fra cui è oggi diviso il dominio intellettuale, sarebbe sicuramente superfluo fare risaltare altret­ tanto la loro comune disposizione a privarmi accessoriamente dei vari riconoscimenti onorifici che dipendono dal loro arbitrio, quali che possano mai essere, a questo proposito, i miei diritti naturali. Quando il signor Guizot legò il proprio nome all’infe­ lice restaurazione di un’Accademia opportunamente soppressa da Bonaparte, la maggior parte dei miei amici ed anche dei miei nemici pensava che non ci si poteva dispensare, non fosse altro che per i miei lavori originali di filosofia politica, dall’introdurmi direttamente in una compagnia, in cui, in mancanza di ogni vera unità mentale, ci si sforzava di riunire tutti coloro che, a qualunque titolo e per le strade più inconciliabili, sembravano cooperare al perfezionamento delle scienze morali e sociali. Quasi soltanto allora compresi che, qualsiasi reciproca opposizione do­ vesse, in effetti, esistere tra queste diverse tendenze speculative, la loro comune natura metafisica le riuniva contro di me. È dunque precisamente in qualità di fondatore di una nuova filo­ sofia generale, allo stesso tempo storica e dogmatica, che io re­ sterò sempre al di fuori, senza discussione possibile, da un gruppo istituito per far rivivere, centralizzandole, le influenze ontolo­ giche, alle quali io mi sforzo di sostituire l’universale preponde­ ranza dello spirito positivo. In un altro caso, un’illusione analoga m’aveva d’altronde portato, come ho francamente confessato nel quarto volume, a contare sull’appoggio, almeno morale, di quella classe scientifica, che sembrava dover nutrire un vivo in­ teresse diretto per l’estensione decisiva della positività razionale. Era l’errore naturale della giovinezza, disposta a pensare che le scienze sono abitualmente coltivate per vera vocazione, e che le generose tendenze speculative in esse predominano sugli erro­

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nei impulsi pratici. Ma, in séguito alle spiegazioni precedenti, colui che ha direttamente fondato una scienza nuova, la più dif­ ficile e la più importante di tutte, e che nello stesso tempo ha perfezionato particolarmente la filosofia di ciascuna scienza pre­ cedente, sarà necessariamente sempre respinto da ciò che impro­ priamente si chiama l’Accademia delle scienze, anche quando si risolvesse a sollecitarne l’ingresso, ciò che non farà mai certa­ mente, dopo le indegnità che ci si è permessi di fare nei suoi confronti. Lascerà senza alcun rimpianto questo onore, sempre più banale, alla massa di coloro che compiono oggi, in modo quasi meccanico, quei pretesi lavori scientifici di cui, assai spesso, lospirito umano non conserverà dopo dieci anni la minima trac­ cia, malgrado l’ambiziosa denominazione che le arricchisce in modospeciale di una chimerica eternità. Per concludere l’esame della tendenza profondamente natu­ rale che fa riunire oggi, contro il mio sviluppo filosofico, l’in­ fluenza scientifica a quella metafisica ed anche a quella teologica, occorre infine notare, in séguito ad un’esatta analisi della nostra situazione mentale, che, nonostante il loro antagonismo naturale, laprima, in quanto dominata ancora dagli studiosi di geometria, deveessere in fondo molto meno lontana, di quanto non sembri, dal transigere abitualmente con le altre due a detrimento della ragione pubblica. Da che il rinnovamento totale delle teorie mo­ rali e sociali costituisce direttamente, nell’immensa rivoluzione incui viviamo, la necessità preponderante, la presidenza scientì­ fica, lasciata finora allo spirito matematico, tende a divenire quasi tanto reazionaria quanto lo sono già gli impulsi metafisici e le resistenze teologiche, come spiegheranno particolarmente gli ultimi tre capitoli di questo trattato. La latente consapevolezza della loro inevitabile impotenza nei confronti di queste specula­ zioni trascendenti dispone involontariamente gli studiosi di geo­ metria attuali ad impedirne per quanto possibile lo sviluppo de­ cisivo, da cui risulterebbe necessariamente la loro decadenza sdentiiìca e la loro normale riduzione al compito modesto, an­ che se indispensabile, loro assegnato evidentemente dalla vera gerarchia enciclopedica. Dopo aver gettato come esca al volgo filosofico la loro assurda e pericolosa utopia relativa alla pretesa rigenerazione ulteriore delle concezioni sociali, secondo le loro vaneteorie delle probabilità, di cui tutti gli uomini di buon senso

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faranno ben presto giustizia, si contentano principalmente di sfruttare agevolmente i benefici personali che la grande transa­ zione moderna assicura spontaneamente a coloro che si sono do­ vuti considerare sino ad ora come i più fedeli organi dello spirito positivo, anche se non ne possono veramente rappresentare che lo stato rudimentale. Quanto ai bisogni inerenti alla nostra situa zione intellettuale, non interessano minimamente la massima parte dei matematici che sono, al contrario, segretamente costretti ad impedirne la soddisfazione finale. La loro opposizione più ap­ parente che reale alla preponderanza metafisica, o anche teoio gica, tende da molto tempo a ridursi a ciò che è strettamente ne­ cessario a garantire i diritti immediati della scienza, soprattutto matematica, ai profitti generali dello sfruttamento speculativo, Ora questo fine è certo raggiunto oggi in modo sufficiente, in quanto le autorità soprattutto in Francia hanno abbandonato molto generosamente agli stessi uomini di cultura la ripartizione effettiva dei diversi riconoscimenti scientifici. Coloro che, con audacia apparente, attaccano la lista civile della sovranità, sono d’ordinario umilmente prosternati dinanzi alla lista civile della scienza, al punto da non osare, per esempio, alcuna critica nei confronti delle spese incredibili cui dà luogo ora la sola composizione di un almanacco assai imperfetto. Es­ sendo così garantiti tutti gli interessi matematici, gli studiosi di questo settore consentono volentieri a lasciare alla metafisica, cd anche alla teologia, l’antico possesso del dominio morale e poli­ tico, sul quale non potrebbero avere alcuna seria pretesa. D’altra parte la mezza intelligenza, che l’allettamento contemporaneo fa oggi penetrare sin nella teologia, disporrebbe forse questa in caso di momentaneo trionfo, d’altronde quasi impossibile, a meglio rispettare ormai le ambizioni matematiche, considerato che secondo le loro tendenze naturali l’aiuterebbero sufficientemente a contenere il vero sviluppo sistematico delle specula­ zioni biologiche, i soli studi preliminari in cui la lotta fondamen­ tale resta ancora incerta, per molti aspetti, tra lo spirito positivo e l’antico spirito filosofico. Ciononostante, i timori naturali che deve suggerire l’istinto ciecamente reazionario della potenza teo­ logica, condurrebbero, senza dubbio, i matematici a vedere con rammarico il ritorno effìmero del suo oppressivo predominio, in cui paventerebbero, nei loro confronti, una fonte di escludo-

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ut. Ma la situazione attuale, in cui domina ¡’influenza metafi­ sica, più flessìbile e meno tenebrosa, anche se, in fondo, la sola veramente pericolosa, conviene molto a tutte le loro disposizioni presenti, sia morali che mentali, poiché impedisce una soluzione cheripugna loro, pur assicurando i numerosi vantaggi personali di una facile influenza scientifica. Quindi, soprattutto per prolungare, per quanto possibile, questo stato profondamente contraddittorio, scartando con tutte leloro forze la possibilità di un vero rinnovamento speculativo, i nostri matematici si legheranno sempre più senza darsi pen­ siero d’altronde, in nessun modo, dei gravi pericoli sociali che deve necessariamente offrire questo prolungamento artificiale dell’interregno spirituale. Il lettore può quindi capire ormai che la resistenza spontanea dell’ambiente scientifico attuale alla mia azione filosofica non ofre nulla di essenzialmente fortuito o personale, e che essa si svilupperà con crescente energia, sia nei miei confronti, sia nei confronti dei miei colleghi o successori, nella misura in cui la nuova filosofia tenderà direttamente al proprio inevitabile pre­ dominio finale: tutto questo volume non lascerà più alcun dub­ biosull’intima realtà delle mie previsioni a questo proposito. Dopo questa valutazione generale della correlazione neces­ sariache lega oggi la mia posizione privata alla situazione fon­ damentale del mondo intellettuale, ciascuno può intuire come questa prefazione fosse veramente indispensabile per collocare direttamente, con un appello decisivo, tutto il séguito dei grandi lavori ulteriori, annunciati alla fine di questo volume, sotto il nobile patrocinio dell’opinione pubblica, non soltanto francese, maanche europea, che costituisce il mio unico rifugio, e che fino adora non è mai venuta meno ai miei giusti reclami. Coloro che troveranno comodo continuare ad opprimermi senza permetter­ midi lamentarmi probabilmente protesteranno molto contro il carattere insolito di questa sorta di manifesto, di cui essi teme­ ranno l’efficacia. Alcuni amici, troppo timidi o troppo superfi­ ciali, avranno timore, a loro volta, che questa lotta pericolosa, apparentemente così impari, non determini contro di me la fu­ nesta reazione delle potenti animosità, sotto il cui giogo sono immediatamente posto. Ma, nei conflitti intellettuali, in cui il numero ha naturalmente poca importanza, un’intima combina­

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zione della ragione con la morale costituisce la forza principale, colla quale uno spirito superiore da solo ha talvolta vìnto, anche in vita, una moltitudine accademica. Qui, d’altronde, oso assi­ curare anticipatamente che non sarò solo contro questa massa cieca e piena di passioni. Per quanto solitaria sia la mia esistenza, so che la parte migliore del pubblico europeo ha già decisamente testimoniato, soprattutto in Inghilterra ed in Germania, attra­ verso i suoi più eminenti precursori, la propria indignazione spontanea contro gli ostacoli personali che prova il mio legittimo sforzo, anche se queste nobili simpatie poggiano ancora su un’in­ sufficiente conoscenza dei miei impedimenti privati. I lettori più estranei al dibattito, che questa prefazione ha caratterizzato, com­ prenderanno facilmente che i primi tre volumi di questo trat­ tato, relativo alle diverse scienze esistenti, dimostrano evidente­ mente una profonda attitudine didattica, anche se questa non fosse stata direttamente dimostrata dal concorso spontaneo delle esperienze più decisive : apprenderanno con sorpresa che si è osato rifiutarmi sino ad ora, a questo proposito, una soddisfa­ zione meritata e così pienamente conforme a tutta la mia duplice carriera, speciale o generale. Coloro che avranno considerato a sufficienza le giuste lamen­ tele che ho appena esposto sulla mia situazione personale, senti­ ranno senza incertezze ciò che debbo qui a voce alta domandare, rendendo visibile al pubblico lotte finora mantenute neH'ombra di conciliaboli scientifici. Non esigo affatto che la mia esistenza privata sia mutata c neanche ingrandita, ma soltanto addolcita e consolidata. Lo stato presente, se fosse meno penoso o meno pre­ cario, sarebbe sufficiente per i miei bisogni essenziali ed anche per i miei gusti principali. Quanto alle previdenze per la vec­ chiaia, se mai verrà, la nazione francese saprà senza dubbio prov­ vedervi spontaneamente. Ma domando soprattutto che le mie risorse materiali non siano sottoposte ogni anno al dispotico ar­ bitrio dei pregiudizi e delle passioni che il mio cammino filoso­ fico deve naturalmente combattere con infaticabile energia, in quanto costituiscono ormai il principale ostacolo al rinnovamento intellettuale, condizione fondamentale della rigenerazione so­ ciale. Ora, a questo proposito, senza attendere o sollecitare diretta­ mente alcuna modifica di regolamento, la crisi che ho appena

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provocato nella mia situazione personale, qualunque cosa si fac­ cia, sta necessariamente per diventare pienamente decisiva nel­ l'unoo nell’altro senso; infatti se, nonostante questa leale manife­ stazione pubblica, le prossime rielezioni annuali confermeranno senzaalcuna difficoltà la mia duplice posizione politecnica, sarò, per ciò soltanto, sufficientemente autorizzato a considerare, per consenso unanime, questa formalità, d’altronde assurda, come non più pericolosa per me : ciò non permetterà più a nessuno l'ardire di offrirmi, quasi a titolo di favore, questa conferma pe­ riodica, che non sarà più veramente facoltativa. In caso contrario, so bene ciò che mi resterebbe da fare, per­ ché il séguito della mia opera filosofica soffra il meno possibile di questa infame iniquità finale. Raggiunto convenientemente lo scopo di questa prefazione, credonecessario sfruttare l’occasione fornitami per dare somma­ riamente, secondo l’uso, ai lettori più attenti, qualche avvertenza necessaria sul modo invariabile di preparazione ed esecuzione dellalunga opera che si conclude con questo volume, onde faci­ litare un’equa valutazione attraverso una più adeguata immede­ simazione nelle condizioni dell’autore. Ho sempre pensato che, nei filosofi moderni, necessariamente meno liberi a questo proposito di quelli dell’antichità, la lettura nuocesse molto alla meditazione, alterandone contemporanea­ mente l’originalità e l’omogeneità. Perciò dopo avere, nella mia prima giovinezza, rapidamente raccolto tutti i materiali ritenuti necessari per la grande sistemazione di cui sentivo già lo spirito fondamentale, da almeno vent’anni mi sono imposto, a titolo d'igiene mentale, l’obbligo, talora torturante, ma più spesso for­ tunato, di non fare mai alcuna lettura che potesse offrirmi un’im­ portante relazione, anche indiretta, con un qualsiasi soggetto di cui mi occupassi in quel momento, salvo ad aggiornare con ac­ cortezza, secondo questo principio, quelle nuove acquisizioni esterne che giudicassi utili. Questo regime severo ha costantemente diretto l’intera ese­ cuzione del trattato, assicurando la limpidezza, l’energia e la consistenza delle diverse concezioni, anche se ha potuto, in certi casi secondari, determinare, nei confronti delle scienze costituite, unesame troppo poco conforme al loro stato recente : ciò soprat­ tuttoper coloro che cercassero in questa opera, contro le mie for­

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mali applicazioni iniziali, vere analisi specifiche, oltre a quelle che concernono la scienza finale dello sviluppo sociale, che do­ vevo qui fondare \ Quando sono giunto a questa seconda e prin­ cipale metà della mia opera totale, ho capito che il rigore del mio principio igienico, la cui efficacia mi era stata pienamente con­ fermata da una lunga esperienza, mi costringeva analogamente a interdirmi scrupolosamente qualsiasi lettura di giornali politici o filosofici, sia quotidiani che “tensili, ecc. Così da più di quattro anni non ho letto, nel vero senso della parola, un solo giornale, salvo la pubblicazione settimanale dell’Accademia delle scienze di Parigi, ed anche qui mi limito spesso all'indice di questa fa­ stidiosa compilazione, che degenera sempre più nella abituale ostentazione delle nostre minori vanità accademiche, Vorrei ora avere la possibilità di far capire a sufficienza a tutti i veri filosofi come questo regime mentale, d’altronde in piena armonia con la mia vita solitaria, possa oggi contribuire, in politica, a facili­ tare l’elevazione dei punti di vista e l’imparzialità dei sentimenti, facendo meglio risaltare il vero quadro complessivo degli avve­ nimenti, che deve nascondere profondamente l’irrazionale im­ portanza naturalmente attribuita, sia dalla stampa periodica eie dalla tribuna parlamentare, ad ogni considerazione giornaliera. Quanto al modo di esecuzione delle diverse parti di questo trattato, mi basta indicare che l’imbarazzo di una situazione per­ sonale, di cui il lettore conosce ora tutta la gravità, mi hanno sempre costretto alla massima celerità nelle singole parti, senza di che la mia impresa filosofica non si sarebbe potuta tradurre in pratica. a. Anche nei confronti di questa scienza finale, si è potuto facilmente riconoscere che, seguendo costantemente questo regime, ho sempre ri­ dotto, per quanto possibile, le mie letture preparatorie. Non ho mai letto in alcuna lingua Vico, Kant, Herder, Hegel ecc.; non conosco le loro di­ verse opere se non attraverso qualche relazione indiretta e alcuni estratti assai insufficienti. Quali che possano essere gli inconvenienti reali di qu e­ sta volontaria negligenza, sono convinto che ha molto contribuito alla purezza ed all’armonia della mia filosofia sociale. Ma, costruita infine questa filosofia in modo irrevocabile, mi propongo d’imparare prossima­ mente, a mio modo, la lingua tedesca, per meglio esaminare le relazioni necessarie della mia nuova unità mentale con gli sforzi sistematici delle principali scuole tedesche.

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Onde misurare, per quanto possibile, l’effettiva celerità, ho creduto di dover indicare brevemente nell’indice generale, col­ locatoalla fine di questo volume, l’epoca e la durata di ciascuna delle tredici redazioni distinte, che hanno costituito ad intervalli assai ineguali, il vasto insieme della mia opera. A questa indicazione caratteristica debbo in primo luogo ag­ giungere qui che, pressato dal tempo, non ho mai potuto riscri­ vereuna parte qualsiasi di questo lungo lavoro, stampato sempre sulla mia minuta originale, la cui trascrizione avrebbe almeno avuto la stessa durata deH’esecuzione. Fortunatamente poco disposto, per natura, a non scrivere nullaprima di una piena maturazione, la prima stesura si è tro­ vata cosi pulita da permettere facilmente, senza il minimo re­ clamo, l’operazione tipografica, che io non ho d’altra parte ral­ lentato per nessun ulteriore rimaneggiamento. Queste diverse indicazioni secondarie potranno, spero, susci­ tarequalche indulgenza per le imperfezioni letterarie di questa mia opera. Concludendo questa insolita prefazione, che la mia posizione eccezionale rendeva, oso dirlo, indispensabile, debbo rassicurare anticipatamente coloro che sono interessati alla pienezza ed alla purezza del mio ulteriore sviluppo, dichiarando infine che non daròmai a nessuno il funesto potere di turbare, con qualche vana polemica, un’importante elaborazione filosofica, già molto con­ trastata naturalmente dalla brevità della mia vita e dalle gravi esigenze della mia situazione personale. Avendo sufficientemente esposto qui spiegazioni che era ne­ cessario dare una volta per tutte, niente potrà indurmi a rispon­ dere alle diverse recriminazioni che quest’ultimo volume senza dubbio solleverà. Conosco tutto il valore dell’impostazione filosofica e saprei difenderla con energia anche se la mia vita profondamente soli­ tarianon mi preservasse spontaneamente, a questo riguardo, dal­ leordinarie tentazioni. Parigi, 19 luglio 1842.

LEZIONE LVI Vantazione generale dello sviluppo fondamentale dei diversi elementi essenziali propri allo stato positivo dell'umanità; età della specia­ lizzazione, o epoca provvisoria, caratterizzata dall’universale pre­ ponderanza dello spirito di dettaglio sullo spirito d'insieme. Pro­ gressiva convergenza delle principali evoluzioni spontanee della società moderna verso l’organizzazione finale di un regime razio­ nale e pacifico.

L’insieme del regime monoteistico proprio del medioevo è statorappresentato, nel cinquantaquattresimo capitolo, come ne­ cessariamente investito, per sua natura, di una duplice finalità temporanea, ma indispensabile per l’evoluzione fondamentale dell’umanità. Da una parte, lo sviluppo generale delle sue conse­ guenze politiche doveva determinare gradualmente la disgrega­ zioneradicale del sistema teologico e militare, già pervenuto alla suafase conclusiva; dall’altra, il corso simultaneo dei suoi effetti intellettuali doveva infine permettere lo sviluppo decisivo dei nuovi elementi sociali, base ulteriore di un’organizzazione diret­ tamente conforme alla civiltà moderna. Sotto il primo aspetto, che doveva essere spiegato prima di ogni altro, si è esaminata a sufficienza, nell’ultima lezione del volume precedente, la serie storica delle successioni essenziali di questo famoso regime transi­ torio, nei cinque secoli che hanno fatto séguito al periodo del suo piùgrande splendore. In tal modo può esser messo da parte l’esa­ mefaticoso, ma inevitabile, del movimento di disgregazione. Nei confronti di questo stesso periodo preliminare, necessariamente apparsosinora come puramente rivoluzionario, non dobbiamo far

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altro che proseguire in modo razionale l’analisi generale, più con­ fortante c non meno decisiva, di questo generale movimento istin­ tivo di riorganizzazione, sinora mal giudicato. Tale movimento, infatti, mediante la convergenza spontanea delle diverse evolu­ zioni parziali, preparava allora gradualmente la società moderna ad un sistema interamente nuovo, il solo capace di sostituire alla fine l’ordine transitorio, la cui irreversibile estinzione si andava compiendo simultaneamente. Solo dopo questo secondo esame fondamentale, oggetto specifico dell’attuale lezione, si potrà con­ venientemente completare la nostra grande trattazione storica in un ultimo capitolo consacrato all’esame diretto dell’immcma crisi sociale che da mezzo secolo tormenta la parte migliore ddl’umanità, ed il cui vero carattere può esser pienamente capito solo alla luce di una teoria già sufficientemente verificata e chia­ rita da una spiegazione soddisfacente di tutto il passato umano. Per la sua stessa novità, l’analisi filosofica del movimento elemen­ tare di riorganizzazione della civiltà moderna si troverà quasi sempre spontaneamente liberata da discussioni esplicative, neces­ sarie invece nel capitolo precedente, per imporre il predominio di corrette concezioni storiche sulle irrazionali nozioni che, oggi, offuscano il normale studio del movimento di disgregazione. Il che può fortunatamente permetterci di procedere ora con maggiore rapidità, anche se la molteplicità degli aspetti organici parziali, profondamente distinti ed indipendenti, anche nella loro convergenza e necessaria interdipendenza, costringe ad un ap profondimento assai esteso. Solo così ciascuno di essi potrà essere utilmente esaminato. Si dovranno stabilire inoltre con accura­ tezza per le principali fasi organiche le loro necessarie corri­ spondenze con le fasi critiche simultanee. Occorrerebbe innanzitutto determinare razionalmente il pun­ to di partenza generale più adatto a questa nuova formulazione storica, se non fosse che tale inizio è già stato preliminannenü chiarito in modo sufficiente nel capitolo precedente, dato il coi* cidere reale di questo inizio con quello, là stabilito, pei l’epoa rivoluzionaria. Ma le nostre spiegazioni precedenti sulla necessiti filosofica di spostare in avanti, di circa due secoli, il termine Dor­ male del medioevo, e l’inizio reale della storia moderna, collocato comunemente oggi alia fine del xv secolo, sono certo ancor pit decisive per la serie organica, che non per la serie critica, pc

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non essendo conveniente insistere ora in modo particolare su ¡¡untopunto. Si potrebbe anche, in base al complesso delle osscrtazioni, far risalire l’inizio generale del processo di riorganizza­ zioneai primi del x i i secolo; in questo modo, però, si trascure:ebbe lmdispensabile distinzione storica tra il primo formarsi «He nuove classi ed il primo manifestarsi nella realtà della ten­ denza sociale a porre in essere gradualmente gli clementi natu­ rali di un regime sostanzialmente diverso: il che è necessaria­ mente molto posteriore. Non perdendo mai di vista questa evi­ denteregola logica, ognuno può facilmente riconoscere che, sotto rutti gli aspetti essenziali, l’inizio del xiv secolo rappresenta la veraepoca in cui l’attività organica delle società attuali ha comm­ iato a diventare sufficientemente caratterizzata, come abbiamo ziatante volte constatato per la loro attività critica. Per una coin­ cidenza troppo poco compresa, i diversi sintomi principali della nostra civiltà concorrono spesso a costituire quest’epoca memora­ nde a reale origine di tutta la storia moderna. Niente è sicura­ mentepiù certo per quanto riguarda lo sviluppo industriale, che tuallora socialmente caratterizzato dall’universale ingresso le­ galedei comuni fra gli clementi generali e permanenti del siste­ mapolitico: e ciò non soltanto in Italia, dove, con precocità par­ ticolare, questo progresso si dovette compiere molto tempo pri­ ma, ma anche in tutto il resto dell’Occidente europeo, sotto nomi diversi, ma equivalenti, rispettivamente consacrati in Inghilterra, inFrancia, in Germania, in Spagna. Questo sintomo, normale t permanente, è d'altronde pienamente confermato da un’altra grande testimonianza storica, non meno universale e decisiva indie se violenta e transitoria : si pensi alle immense insurrezioni iponunee che in quasi tutti questi paesi, soprattutto in Francia ed inInghilterra, resero manifesta con tanta energia, nella seconda metà del secolo, la potenza nascente delle classi lavoratrici contro i poteri, che erano loro, ovunque, particolarmente ostili. Questa stessaepoca ha visto, d’altronde, sorgere similmente in Italia la grande istituzione delle armate mercenarie, che, ugualmente imsorunte, come spiegherò, per la serie organica come per quella critica, indica una fase pronunciata della vita industriale dei po­ poli moderni. Infine, oltre agli indici evidenti di uno sviluppo generale dell’attività commerciale, si assiste, allora, all’introdu­ zione simultanea di diverse innovazioni fondamentali, che ser­

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vono a caratterizzare un’epoca nuova : fra le altre, l’uso attivo della bussola e l’introduzione delle armi da fuoco. La realtà di tale punto di partenza è ugualmente incontestabile per il pro­ gresso estetico delle società moderne : si risale, per continua filia­ zione, sino al mirabile slancio poetico di Dante e Petrarca, oltre il quale è normalmente inutile riportare oggi l’analisi storica, se non per spiegarne in primo luogo la formazione graduale; lo stesso esame si applica, pur se con minore evidenza, a tutte le al­ tre arti, soprattutto alla pittura ed alla musica. Sebbene il movi­ mento scientifico non abbia potuto manifestare così prontamente il suo vero carattere, si deve tuttavia riconoscere che in quest’epo­ ca la filosofia naturale, partendo dalla famosa preparazione pre­ cedente, ha ovunque cominciato, in forma corrispondente alle opinioni dominanti, a diventare oggetto specifico di una cultura attiva e permanente. Lo testimoniano chiaramente non solo la nuova importanza acquistata allora dagli studi astronomici, nei diversi centri intellettuali dell’Europa occidentale, ma anche il forte interesse costantemente annesso alle ricerche chimiche, ed infine il primo e decisivo delinearsi di corrette osservazioni ana­ tomiche, fino ad allora imperfettamente compiute. Infine, lo svi­ luppo filosofico propriamente detto, benché per sua natura an­ cora più tardivo, rappresenta tuttavia, sin da allora, nonostante il suo stato necessariamente metafisico e in base a numerosi sin­ tomi collegati al precedente stimolo della scolastica, la tendenza progressiva dello spirito umano ad un rinnovamento fondamen­ tale, di cui indicherò poi uno dei principali indici precursori nella direzione, veramente caratteristica che va assumendo in questo periodo la celebre controversia tra realisti e nominalisti. Così, l’inizio del xiv secolo costituisce certamente, da tutti i punti di vista, la vera origine generale della quadruplice serie organica in base alla quale dobbiamo ora esaminare lo sviluppo elementare della civiltà moderna : almeno nella misura in cui esatte determi­ nazioni cronologiche possono essere compatibili con la natura essenziale di corrette speculazioni sociologiche, sempre relative a fenomeni di filiazione collettiva, ancor più soggetti di quelli della vita individuale alla continuità necessaria di una lunga se­ rie di modificazioni quasi insensibili, contrarie ad ogni precisione numerica. Tale continuità non può comportare altro compito razionale se non a titolo di indispensabile artificio logico, desti­

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nato a prevenire, per quanto possibile, la divagazione del pen­ ero e delle discussioni, conformemente ai princìpi stabiliti nella (juarantottesima lezione. Considerando direttamente questa notevole concomitanza storica ira movimento organico e movimento critico, per quanto concerne l’epoca iniziale, che conviene ormai assegnare loro re­ golarmente, è facile spiegare tale conformità con la teoria del volume precedente suìrinsieme del medioevo. È anzitutto evi­ dente, data la connessione fondamentale fra i due elementi, che losviluppo particolare dei nuovi elementi sociali non poteva ma­ nifestarsi in modo sufficientemente differenziato, se non quando ladisgregazione spontanea dell’antico sistema politico fosse co­ minciata a diventare inconfutabile : infatti sino ad allora le forze specifiche della civiltà moderna restavano necessariamente com­ presse in una troppo grande subordinazione, nonostante la co­ stantema sdegnosa protezione esercitata nei loro confronti dai di­ versi poteri predominanti, che non poteva acquistare importanza decisiva, prima che questi poteri, nelle loro grandi lotte naturali, avessero, a gara, provocato l’introduzione, in qualità di alleati, dellepotenze nascenti, la cui specifica influenza doveva, inversa­ mente, provocare tale disgregazione. Inoltre, un esame più di­ retto e più approfondito dimostrerà facilmente, in conformità ai princìpi storici del cinquantaquattresimo capitolo, che l’idendtàeffettiva dei punti di partenza convenienti alle due serie ri­ sulta naturalmente dalla loro comune subordinazione alle stesse cause essenziali, successivamente considerate sotto l’uno e l’altro aspetto. Infatti, la lezione precedente ha perfettamente dimo­ stratoche, per il suo carattere eminentemente transitorio, la dis­ soluzione spontanea del regime cattolico e feudale doveva succe­ dere immediatamente all’epoca del suo più grande splendore, nonappena, avendo compiuto il suo indispensabile ufficio tem­ poraneo nei confronti dell'insieme dell’evoluzione umana, i suoi clementi generali avessero smarrito, come ho già spiegato, il sen­ sodello scopo essenziale della loro normale attività, contempora­ neamente solo freno capace di contenere sino ad allora il loro odio reciproco. Considerate in altro modo, queste stesse condi­ zioni fondamentali conducono, non meno necessariamente, ad assegnare quest’epoca iniziale al movimento naturale di riorga­ nizzazione parziale. Quando l’ammirevole sistema delle guerre

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difensive, proprio del medioevo, è stato alla fine realizzato tante da togliere all’attività militare ogni grande scopo permanente, chiaramente l’energia pratica ha dovuto spontaneamente river­ sarsi, sempre più, sul movimento industriale, già nascente, il solo in grado, sin da allora, di offrire abitualmente al mondo civile un largo ed interessante esercizio delle facoltà comunemente pre­ dominanti. Parimenti, nell’ordine spirituale, dopo il libero e pie­ no sviluppo, nei secoli xn e xm, di tutto l’ascendente politico che la filosofia monoteistica potesse ormai ottenere, il progresso teolo­ gico aveva irrevocabilmente perduto la capacità di attrarre a suffi­ cienza le migliori intelligenze: per costoro le diverse carriere scientifiche ed estetiche dovevano presentare, d’ora innanzi, in modo sempre più esclusivo, l’unico scopo degno della loro pura e costante dedizione. In conclusione, sotto tutti gli aspetti, i due movimenti coesistenti, organico e critico, ugualmente sorti dallo stato sociale del medioevo, dovevano necessariamente cominciare nello stesso tempo, non appena questo regime intermedio avesse convenientemente adempiuto la propria missione speciale ael cammino fondamentale deH’unianità; ciò che cancella definiti­ vamente dalla nostra precedente determinazione cronologica ogni apparenza accidentale o empirica, per l’esatta concordanza dei princìpi con i fatti. Poiché ora questo punto di partenza generale si presenta in modo così incontestabile per la serie positiva, come lo era per la serie negativa nel capitolo precedente (salvo le verifiche implicite che gli procurerà naturalmente il seguito della nostra analisi sto­ rica), dobbiamo completare questa premessa indispensabile ca­ ratterizzando, a sua volta, l’ordine razionale che conviene stabi­ lire, in questa sede, fra le quattro evoluzioni simultanee, di cui si compone, principalmente, la grande attività spontanea di rior­ ganizzazione elementare, caratteristica della civiltà moderna nd corso degli ultimi cinque secoli. Sarebbe attualmente prematuro stabilire sistematicamente la vera coordinazione essenziale dei nuovi elementi sociali, secondo l’insieme effettivo delle loro relazioni normali. Questa grande questione di statica sociale, il cui principio fondamentale è stato indicato soprattutto negli ultimi due capitoli del quarto volume, non potrà essere convenientemente approfondita che nel trai tato speciale di filosofia politica, di cui ho già segnalato, inpiù

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occasioni, lo scopo ulteriore. Tuttavia questo esame diverrà, nel capitolo seguente, l’inevitabile oggetto naturale di un primo ten­ tativo diretto per quanto sommario, allo scopo di caratterizzare la legge filosofica della gerarchia finale dell’umanità. Ma ora, considerandolo solo sotto l’aspetto dinamico della nostra conce­ zionestorica, dobbiamo ricollegarlo anticipatamente alla connes­ sione generale delle principali evoluzioni elementari, per il po­ stulatofondamentale, spiegato nel quarantottesimo capitolo, del­ lanecessaria conformità fra l’ordine delle armonie e l’ordine delle successioni, in ogni studio veramente razionale dei fenomeni so­ ciali. Questi diversi sviluppi elementari della civiltà moderna sono sempre risultati sinora come serie parziali di sforzi spontanei c diretti, senza che vi fosse una coscienza normale delle loro mutue relazioni, né del rinnovamento finale, cui tendeva necessaria­ mente la loro comune convergenza effettiva. Così questo svilup­ poempirico di diversi modi fondamentali dell’attività umana è statocostantemente caratterizzato da un istinto più o meno pro­ nunciato di cieca specializzazione esclusiva, come il seguito di questocapitolo constaterà chiaramente per ognuno dei casi prin­ cipali. Ma l’intima connessione di queste diverse evoluzioni si­ multanee, anche se profondamente misconosciuta, ha tuttavia eserdtato naturalmente la sua inevitabile influenza implicita sul lorocontinuo attuarsi. Si tratta ora di indicarne il principio uni­ versale, che deve essere essenzialmente conforme a quello delle relazioni statiche; si troverà così immediatamente determinato l'ordine storico che dovremo in seguito rispettare tra questi esa­ midistinti. Il principio fondamentale di questa subordinazione necessaria si riduce, in realtà, all'intera estensione filosofica, nello stessotempo intellettuale e sociale, della legge gerarchica enun­ ciata all’inizio di questo trattato, e poi costantemente applicata intutto il corso dell’opera, relativa alla classificazione razionale dellediverse scienze fondamentali, in base alla generalità e sem­ plicità successivamente crescente o decrescente dei loro fenomeni rispettivi. Questa base universale di coordinazione naturale non è, insé stessa, limitata al solo legame delle concezioni puramente speculative: necessariamente applicabile a tutti i diversi modi positivi dell’attività umana, pratici e teorici, individuali e collet­ tivi, essa avrà finalmente per scopo usuale quello di determinare,

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attraverso il complesso delle sue deduzioni, il carattere costante della classificazione sociale, sia spontanea che sistematica, pro­ pria dello stadio definitivo dell’umanità; lo spiegherò più direttamente nel capitolo successivo, con una sommaria esposizione sta­ tica, da cui ora attingo soltanto, con una anticipazione forzata, un’indicazione dinamica, indispensabile al corso attuale della no­ stra trattazione storica. Nonostante la varietà quasi indefinita e l’estrema incocrenza, che sembrano, a prima vista, dominare tra i diversi elementi della civiltà positiva, a causa dello spirito di specializzazione e divi­ sione che ha regolato sino ad oggi la loro evoluzione prelimi­ nare, dobbiamo tuttavia concepire il sistema totale delle attività umane come disposte in una grande serie lineare, che le abbrac­ cia tutte dalle minime operazioni materiali sino alle più sublimi speculazioni estetiche, scientifiche e filosofiche. La successione ascendente della serie presenta un accrescimento continuo di ge­ neralità c di astrazione, dal punto di vista normale, corrispon­ dente ad ogni genere di occupazione abituale; al contrario la progressione discendente offre, di conseguenza, la disposizione inversa di varie professioni secondo la complessità graduale della loro finalità immediata e dell’utilità sempre più diretta dei loro atti giornalieri. Nell’economia normale di questo complesso, i primi ordini di questa immensa gerarchia sono caratterizzati da una partecipazione più eminente e più estesa, ma meno completa e più indiretta ed anche meno certa, che in effetti spesso non raggiunge il suo scopo; gli ordini inferiori, al contrario, perla pienezza, la prontezza e l’evidenza dei loro inconfutabili servizi, compensano, ordinariamente, ciò che la loro natura offre di più subalterno e di più ristretto. Confrontate dal punto di vista in­ dividuale, queste classi debbono manifestare spontaneamente una preponderanza sempre più pronunciata delle più nobili facoltà che distinguono la parte migliore dell’umanità; infatti l’astra­ zione e la generalizzazione crescente dei pensieri abituali, e la corrispondente attitudine a spinger più lontano le associazioni razionali, costituiscono certamente i principali indizi della supe­ riorità dell’uomo sugli altri animali : a condizione che l’evolu­ zione effettiva di questa preminenza intellettuale non sia alla fine neutralizzata da una troppo grande imperfezione morale, secon­ do un’anomalia organica, fortunatamente assai poco frequente,

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A questa ineguaglianza mentale corrisponde naturalmente, sottol’aspetto sociale, una concentrazione più completa ed una piùintima solidarietà, nella misura in cui ci si eleva a lavori ac­ cessibili ad un numero più ristretto di collaboratori, per la loro maggiore difficoltà, e nel momento stesso in cui una loro ade­ guata conclusione non richiede se non una minore molteplicità diorgani, conformemente alla portata più estesa della loro rispet­ tiva attività : da ciò deve risultare, ordinariamente, in ragione delle relazioni più frequenti, uno sviluppo più vasto, anche se meno intenso, della socialità universale, che, al contrario, nella gerarchia discendente tende sempre più a ridursi alla sola vita domestica, allora, si deve però riconoscere, più preziosa e meglio apprezzata. Sebbene la gerarchia positiva sia, per sua natura, essenzial­ mente unitaria e presenti una successione, per così dire continua dei suoi innumerevoli elementi, dando luogo a passaggi quasi insensibili, tuttavia la sua unità necessaria non le impedisce di implicare, e persino di render necessarie, divisioni razionali, fon­ datesul raggruppamento regolare di diversi modi di attività, se­ condo il complesso delle loro affinità reali, nello stesso modo dellagerarchia animale, di cui questa classificazione, considerata dal punto di vista più filosofico, non costituisce in fondo che una sortadi prolungamento particolare, come spiegherò nel capitolo seguente. La prima e più importante di queste classi successive risulta dalla distinzione fondamentale tra vita attiva e vita spe­ culativa, che, sotto il nome consacrato di ordine spirituale e or­ dinetemporale, abbiamo tante volte applicato allo stato prelimi­ nare dell’umanità, soprattutto nella sua ultima fase. Vedremo benpresto come questa distinzione sia ancor più pertinente allo stato definitivo: il che ci dispensa dall’insìstere espressamente inquesta sede su un principio così evidente, divenuto ormai spon­ taneamente familiare a chi abbia letto i due volumi precedenti. Per quanto concerne il primo di questi due sistemi parziali, nel suousoessenziale, sarebbe normalmente inutile prendere in con­ siderazione qualsiasi suddivisione, se non talvolta la più generale, eanch’cssa in modo puramente accessorio. Questo sistema sarà sempre designato complessivamente, come ho sempre fatto sin dall'inizio di quest’opera, daH’indispensabile denominazione, ora destinata da tutti gli spiriti filosofici ad esprimere diretta­

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mente la totalità dell’agire umano sulla natura, da quando ha cominciato ad esser visto in modo relativamente razionale. Al contrario è strettamente indispensabile suddividere continuamen­ te il sistema puramente speculativo in altri due radicalmente di­ stinti, nonostante i loro attributi comuni ed il loro uniforme sco­ po ultimo, a seconda che la speculazione assuma un carattere este­ tico o un carattere scientifico. Non occorre insistere maggior­ mente nello spiegare ora tale divisione, o anche nel farne imme­ diatamente valutare l'estrema importanza, al tempo stesso intel­ lettuale e sociale, in quanto scaturirà spontaneamente dalla nostra ulteriore trattazione. Mediante la combinazione razionale di que­ ste due successive scomposizioni, si perviene abitualmente alla divisione sistematica della gerarchia positiva della civiltà mo­ derna in tre ordini fondamentali : l’ordine industriale o pratico, l’ordine estetico o poetico, l’ordine scientifico o filosofico, dispo­ sti nel senso normale della serie ascendente, in modo sostanzial­ mente conforme alle loro principali e caratteristiche relazioni. Ugualmente indispensabili nelle loro rispettive finalità, c d’al­ tronde parimente spontanei, questi tre importanti elementi di­ retti del regime finale deH'umanità rappresentano a loro volti bisogni così universali, sebbene assai inegualmente pronunciati, ed attitudini uniformemente comuni, nonostante la loro diversa intensità. Corrispondono ai tre aspètti generali, sotto i quali l’uo­ mo può esaminare positivamente un oggetto qualsiasi, successi­ vamente considerato dal punto di vista del buono , per quanto riguarda l’utilità reale che un nostro saggio intervento può rica­ varne per la migliore soddisfazione dei nostri bisogni privati o pubblici, dal punto di vista del bello, relativamente ai sentimenti di perfezione ideale che la sua contemplazione può suggerirci, infine dal punto di vista del vero, nei confronti delle sue relazioni effettive con il complesso dei fenomeni da valutare, astraendoio questo caso da qualsiasi applicazione agli interessi ed alle emo­ zioni degli uomini. Secondo questo ordine ascendente si stabili­ sce comunemente la loro successione effettiva nelle nature po­ polari, in cui la vita mentale è quasi soffocata sotto l’esorbitante preponderanza della vita affettiva, salvo qualche raro e breve slancio di tendenze speculative, che caratterizzano sempre li nostra specie; l’ordine discendente è, al contrario, il più razio­ nale e quello che tende costantemente a prevalere, nella misuri

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incui l'intelligenza acquista gradualmente maggiore importanza nell'evoluzione umana, individuale o sociale. Secondo la teoria fondamentale stabilita, nell’ultimo capitolo del terzo volume sulla vera costituzione generale dell’organismo cerebrale, si vede anche come tale gerarchia si ricollega direttamente con l'immutabile principio anatomico, concernente la diversità necessaria dellesedi organiche rispettivamente proprie delle facoltà che cia­ scuno di questi tre generi essenziali di attività deve particolar­ mente esigere. Sebbene le tre regioni principali del cervello, la posteriore, la mediana, l’anteriore, agiscano senza dubbio sinergi­ camente in ogni attività umana di qualche importanza, sia in­ dustriale che estetica o scientifica, si può tuttavia considerare oggi come veramente dimostrato, dopo la luminosa teorizzazione biologica dovuta al genio di Gali, a parte ogni vana localizzazio­ neparziale, che l’uomo comune è spinto soprattutto all’abituale ricerca deH’immediata utilità pratica, per la preponderanza del complesso delle energiche inclinazioni relative alla prima regio­ ne; che l’attività speciale dei sentimenti propri della seconda re­ gionedispone direttamente di fortunate inclinazioni verso la con­ cezione istintiva di una perfezione ideale; e che infine, sotto lo sàmolo delle facoltà della terza regione, si manifesta la preferen­ za spontanea di alcuni organismi superiori per la perseverante ricerca della pura verità astratta. Da qualsiasi punto di vista si confrontino queste tre specie di tendenze, sono sicuro che un accortoesame confermerà alla fine la realtà necessaria dei diversi motivi gerarchici, precedentemente indicati, in relazione al prin­ cipiogenerale della classificazione positiva, sia per quanto riguar­ dala generalità e l’astrazione dei diversi pensieri abituali, o l’cffìcacia più indiretta e più lontana, ma nello stesso tempo più estesa, delle attività corrispondenti, o infine la loro concentra­ zione nelle classi meno numerose: in questo modo si ha sempre l'elemento estetico come intermedio tra quello industriale e quel­ loscientifico, partecipando della loro duplice natura, e nonostante leevidenti relazioni dirette fra i due poli estremi. Questa è la se­ riefondamentale che deve, a mio giudizio, costituire l’immuta­ bile base razionale di ogni corretta analisi statica, e conseguente­ mente di ogni analisi dinamica della società moderna. i. Court

cii., voi. Ili, pp. 795 segg.

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Per l’uso propriamente storico al quale destiniamo, nella le­ zione attuale, questa classificazione generale, è necessario aggiun­ gere un’ultima importante suddivisione, il cui carattere, molto meno normale di quello della duplice scomposizione precedente, comporta in realtà solo una semplice applicazione provvisoria, conveniente soprattutto all’evoluzione preliminare, avvenuta do­ po il xiv secolo, e che dovrà cessare non appena il grande movi­ mento di rinnovamento avrà direttamente cominciato a diven­ tare sistematico. Si è potuto notare in precedenza che, nei con­ fronti del più astratto e indiretto dei nuovi elementi sociali, ho usato indifferentemente le qualifiche di scientifico e di filoso­ fico che sono, a mio giudizio, completamente equivalenti, per loro stessa natura; la loro differenza temporanea tende a sparire, nella misura in cui la scienza diviene più filosofica e la filosofia più scientifica, il che, in un futuro prossimo e inevitabile, ridurrà verosimilmente il complesso principale della gerarchia sociale alla serie triplice, di cui sopra ho solo delineato il principio. Poi­ ché questa auspicabile tendenza non ha ancora ottenuto il pre­ dominio, l’analisi storica di quest’ultima fase preparatoria, com­ piuta dalla parte migliore dell’umanità, non avrebbe il livello necessario di esattezza, chiarezza e precisione, se non distingues­ simo, conformemente alla natura del passato, fra ordine pura­ mente scientifico e ordine filosofico propriamente detto, classi­ ficando quest’ultimo provvisoriamente, come quarto ed ultimo elemento essenziale della gerarchia ascendente, per la sua supc­ riore generalità e preminenza intellettuale e sociale. Tuttavia Tirrazionalità implicita di questa suddivisione contingente esige grandi precauzioni logiche, per non alterare gravemente, nella normale applicazione, la purezza e l’efficacia della progressione totale. Questo fastidioso obbligo temporaneo deriva direttamente, da una parte dallo spirito della particolarità, più o meno esclu­ sivo, che, fino al nostro secolo ha regolato lo sviluppo delle scien­ ze reali, e viene abusivamente prolungato, oggi, da una cieca abi­ tudine, come spiegherò a suo tempo. D’altra parte, esso è dovuto al carattere vago ed equivoco di una filosofìa ancora essenzial­ mente metafisica, nonostante le sue successive trasformazioni. La sua mancanza di positività non permetterebbe nemmeno d'inserirla fra i nuovi elementi sociali, se questa imperfezione non fosse evidentemente giunta ai nostri giorni alla sua ultima fase,

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chedovrebbe precedere il completo rinnovamento finale. In una parola, la nostra epoca continua, sotto questo aspetto fondamen­ tale, a subire il dominio morente di una celebre divisione che, secondo le spiegazioni al riguardo fornite nel cinquantatreesimo capitolo, fu introdotta venti secoli fa dalle scuole greche, con la separazione tra filosofia naturale, relativa soprattutto al mondo inorganico, c filosofia morale, applicata immediatamente alico­ rnoed alla società. Nonostante la sua astratta irrazionalità, tale divisione costituisce, come ho già stabilito, un espediente indi­ spensabile all’evoluzione intellettuale dell’umanità, destinato a nonesaurirsi completamente nel nostro secolo, se non nella mi­ sura in cui la scienza, infine completata c sistematizzata, verrà aconfondersi gradualmente con la filosofia, scaturita dal suo stesso interno, come spero risulterà incontestabile dal resto di questo volume. Tale separazione provvisoria è stata particolar­ menteevidente nel corso degli ultimi cinque secoli, per lo svilup­ pocorrispondente della filosofia naturale propriamente detta, e delle trasformazioni successive della filosofia morale. Questo è dunque l’insormontabile motivo, che, nell’analisi storica della fasepreparatoria della civiltà moderna, ci costringe a considerare la gerarchia positiva come realmente composta di quattro ele­ menti essenziali: industriale, estetico, scientifico e filosofico, e nondei tre sopra enunciati. Ma nel rispettare convenientemente questacondizione, occorrerebbe non dimenticare mai che l’uso li­ mitatodi tale modificazione provvisoria, per non condurre a falsi giudizi statici e dinamici, deve essere costantemente regolato, secondolo spirito delle spiegazioni precedenti, da un intuito pro­ fondodella vera finalità sociologica, alla quale, nonostante i miei scrupolosi sforzi, temo di non esser forse stato sempre sufficiente­ mente fedele. L’ordine statico fondamentale così stabilito sommariamente trai nuovi elementi sociali determina anzitutto la legge più ge­ nerale del loro sviluppo comune, fissando immediatamente, at­ traverso una convergenza necessaria, l’ordine dinamico delle quattro evoluzioni parziali, la cui inevitabile e permanente si­ multaneità non poteva annullare l’ineguale rapidità naturale. Chiunque, riconsiderando da un punto di vista dinamico ciò che prima era stato detto secondo la statica, può facilmente ricono­ scere che gli stessi motivi che regolano l’armonia normale si ap­

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plicano in modo diretto ed energico alla successione spontanea, sempre stabilita storicamente, secondo la gerarchia ascendente e discendente che abbiamo definito. Un esame più particolareg­ giato farebbe poi constatare come nell’evoluzione preparatoria, di cui iniziamo lo studio razionale, la successione è stata sinora es­ senzialmente ascendente; la progressione inversa, analizzata suc­ cessivamente,. pur cominciando a diventare predominante, ha potuto esercitare sinora solo un’influenza secondaria, anche se ugualmente indispensabile. Dalla sola definizione di questa gerarchia sociale, ormai con­ siderata dinamicamente, appare senza dubbio evidente che losvi­ luppo di ciascuno degli elementi principali tende a provocare spontaneamente quello degli altri, sia che lo stimolo si propaghi dal più generale al meno generale, sia che avvenga in senso con­ trario. £ fortunatamente inutile arrestarci per dare particolare ri­ salto all’influenza reciproca, di direzione e di stimolo, che si svolge continuamente sotto i nostri occhi fra evoluzione scienti­ fica ed evoluzione industriale: il resto della nostra trattazione storica ne caratterizzerà d'altronde le grandi conseguenze sociali. Ma l’intima connessione deH’evoluzione estetica con ciascuna delle due evoluzioni estreme è stata finora esaminata in modo molto meno perspicuo, senza essere tuttavia più incerta dal punto di vista filosofico di questo trattato. Infatti la teoria positiva della natura umana mostra chiaramente che, in tutta- la nostra educazione abituale, individuale o sociale, lo sviluppo estetico deve gradualmente succedere allo sviluppo pratico o industriale e preparare poi lo sviluppo scientifico o filosofico, come avrò modo di spiegare direttamente in séguito. Quando, al contrario, la progressione comune si compie in senso inverso, seguendo un percorso che definirò tra poco, si comprende anche, sebbene me­ no spontaneamente, la tendenza dell’attività scientifica a pro­ vocare, a titolo d’indispensabile digressione mentale, una certa attività estetica, e diventa comprensibile la fortunata influenza esercitata dallo sviluppo estetico sul perfezionamento industriale. Così la realtà dinamica della nostra gerarchia fondamentale è, in linea di principio generale, tanto incontestabile, sotto tutti gli aspetti, quanto la sua primitiva realtà statica. L ’unica esitazione che può ostacolare il suo uso storico deriva da una prima incertezza inevitabile sul senso effettivo, ascendente

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odiscendente, dell’ordine principale delle quattro evoluzioni par­ ziali, allorché si trascuri la distinzione preliminare, già impiegata precedentemente per l’epoca iniziale, tra il primo delinearsi di ogni sviluppo ed il suo inserimento diretto nel sistema della ci­ viltà moderna. Ma, tenendo convenientemente conto di questa inevitabile differenza, non può, mi sembra, restare alcun dubbio sul significato essenzialmente ascendente di questa serie storica, nel corso complessivo dei cinque secoli trascorsi da quando tale civiltà ha cominciato a manifestare il carattere differenziato dei nuovi elementi sociali. Infatti è incontestabile che lo sviluppo in­ dustriale delle società moderne doveva costituire il loro primo ingressonel conflitto totale, ancor oggi il più decisivo, con quelle antiche. Per quanto grande sia l’importanza sociale dell’evoluzio­ neestetica e dell'evoluzione scientifica, non solo nel mondo mo­ dernoesse sono sempre posteriori all’evoluzione industriale, ma, indubbiamente, hanno caratterizzato sinora la nostra civiltà molto meno profondamente di questa, che è direttamente relativa ad undemento estraneo all’antica economia sociale, c, nello stesso tempo, il più popolare. Gli altri due sviluppi, al contrario, pur essendo molto meno inseriti nel regime antico di quanto non lo siano nell’epoca moderna, lo erano tuttavia ad un livello assai notevole. Sotto tutti gli aspetti, quindi, il predominio graduale dellavita industriale sulla vita militare, derivante dalla completa abolizione della schiavitù primitiva delle classi lavoratrici, distin­ guetutta la popolazione che compone oggi la parte migliore del­ l'umanità; è inoltre la prima fonte generale di ogni altro attri­ buto essenziale, ed il principale ed universale fattore del modo di educazione sociale loro proprio. Il risveglio mentale provocato t mantenuto ad un certo livello dall’attività pratica, con uno sti­ moloinevitabile e continuo, sin nelle più basse classi, l’agiatezza relativa, da allora uniformemente diffusa, sono fattori che hanno inséguito naturalmente prodotto uno sviluppo estetico più disin­ teressato, la cui attiva propagazione non aveva mai potuto essere tantoestesa sotto nessuna delle tre forme principali che abbiamo distinto, nel cinquantatreesimo capitolo, all’interno del regime politeistico dell’antichità. Da un punto di vista secondario, ma piùspecifico, si constata che il perfezionamento graduale dello sviluppo industriale eleva spontaneamente questo risveglio, con una successione di passaggi quasi insensibili, fino allo sviluppo

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puramente estetico, soprattutto per quanto riguarda le arti geo­ metriche. Quanto all’influenza della stessa evoluzione industria­ le, necessaria ad imprimere successivamente nello spirito scienti­ fico dei moderni la positività fondamentale che lo caratterizza, e che ha ulteriormente trasformato anche lo spirito filosofico propriamente detto, è tanto evidente, in origine, che non abbia­ mo alcun bisogno di soffermarci su questo punto, sino a che il corso naturale della nostra trattazione storica non ci porti ad esa­ minare direttamente le sue conseguenze generali. Non si potrebbe negare la direzione totalmente ascendente di questa evoluzione, essenzialmente empirica, del primo sviluppo fondamentale dei nuovi elementi sociali. La loro gerarchia normale potrà svilup­ parsi liberamente secondo un cammino discendente, il solo piena­ mente razionale, soltanto dopo che sia stata portata a termine la sistemazione diretta, finora appena intravista, che presuppone il predominio finale della filosofia positiva in tutti gli spiriti attivi. A questo riguardo non può restare altra difficoltà storica se non a proposito deH’ordine rispettivo delle evoluzioni estetica e scientifica, le quali, entrambe costantemente posteriori all'evolu­ zione industriale, non sembrano aver osservato, fra loro, una legge di successione fissa, anche se nella maggioranza dei casi la prima è stata, secondo questa regola generale, evidentemente anteriore. L ’esempio fondamentale della Germania soprattutto dà fondatezza a simile obiezione; infatti lo sviluppo scientifico sembrava avere in questo caso notevolmente preceduto il prin­ cipale sviluppo estetico, per un concorso di cause eccezionali che meriterebbero un esame specifico, del resto incompatibile con la natura astratta della nostra elaborazione sociologica. Ma per dis­ sipare convenientemente l’incertezza che simile anomalia potreb­ be ingenerare a proposito dell’ordine dinamico appena stabilito, è sufficiente pensare all’incontestabile necessità filosofica di esa­ minare simultaneamente lo sviluppo diretto della civiltà moder­ na, non in una sola nazione, anche se molto estesa, ma in tutti i popoli che hanno realmente partecipato al movimento fondamentale dell’Europa occidentale, cioè (per enumerarli una volta per tutte) Italia, Francia, Inghilterra, Germania, Spagna*. Quea. Poiché tu età la nostra restante elaborazione storica dovrà natural­ mente contenere frequenti riferimenti, sia espliciti sia più spesso impli-

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siecinque grandi nazioni, di cui Carlomagno portò degnamente acompimento l’imponente processo di unificazione, possono es­ sere considerate, per molti aspetti essenziali, sin dalla metà del medioevo, come un popolo unico, nonostante immense diversità, integralmente sottomesso allora al regime cattolico e feudale, poi generalmente soggetto a tutte le successive trasformazioni criti­ cheeorganiche che il destino ulteriore di tale regime doveva gra­ dualmente determinare in questa avanguardia della nostra specie. Con una simile considerazione, d’altronde importante, in gene­ rale, per circoscrivere convenientemente l’estensione reale della fase sociale che esaminiamo, si risolve anzitutto la precedente difficoltà, facendo chiaramente rilevare come, in questa forma razionale di osservazione storica, lo sviluppo scientifico si pre­ senta, secondo l’ordine naturale sopra stabilito, certamente po­ steriore allo spirito estetico. Niente è più evidente soprattutto per quantoriguarda l’Italia, la cui civiltà ha, sotto tutti gli aspetti più importanti, di tanto preceduto e così a lungo guidato quella di tuttoil resto della grande repubblica occidentale. Vi si vede chia­ ramente lo sviluppo estetico succedere a poco a poco allo sviluppo industriale e preparare quindi gradualmente lo sviluppo scientieid, id una tale circoscrizione territoriale, è opportuno avvertire diretta­ mente, per prevenire ogni interpretazione equivoca o incompleta, che, ¡Ilo scopo di non moltiplicare troppo il numero di questi nuclei europei, considero sempre essenzialmente annesso a ciascuno di essi l’insieme delle sue appendici naturali. Così in questa definizione storica dell'Inghilterra comprendo non soltanto la Scozia ed anche l'Irlanda, secondo un uso or­ mai comune, ma anche, per molti aspetti, l’Unione americana stessa, la cui civiltà, essenzialmente priva di originalità, non fu, soprattutto sino il nostro secolo, che una semplice espansione diretta della civiltà inglese, modificata da circostanze locali e sociali. Per motivi equivalenti di affi­ niti politica, unisco allo stesso modo, d’ordinario, alla Germania propria­ mente detta, da una parte l’Olanda ed anche la Fiandra, dall'altra le itoledanesi ed anche la penisola scandinava, così come la Polonia, estremo limite boreale ed orientale della nostra unità europea. Infine sarebbe su­ perfluo avvertire che sotto la sola denominazione di Spagna si deve inten­ dere abitualmente qui l’insieme della penisola iberica. Suddivisioni più dettagliate sarebbero contrarie alla natura essenzialmente astratta della nostra elaborazione sociologica, in cui una tale enumerazione non ha altro tropo principale che prevenire il carattere vago e la confusione delle idee riguardo la verifica elettiva della mia teoria fondamentale dell’evoluzione umana.

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fico e filosofico, per la fortunata proprietà che lo caratterizza, di stimolare spontaneamente il risveglio speculativo fin nei più roz­ zi intelletti. Se, invece di considerare lo sviluppo diretto dei moderni ele­ menti sociali, che, non potrei mai ripeterlo abbastanza, costitui­ sce il solo oggetto della nostra valutazione attuale, si volesse stu­ diare, nell’insieme del passato umano, la prima origine succes­ siva delle loro evoluzioni rispettive, si troverebbe al contrario un cammino necessariamente inverso. Infatti la civiltà antica, sempre sorta, come ho mostrato nel cinquantatreesimo capitolo, da uno stato essenzialmente teocratico, aveva dapprima proce­ duto dal principio più generale che fosse allora applicabile alle relazioni umane, per discendere gradualmente alle applicazioni particolari, mentre la civiltà moderna ha dovuto cominciare dai minori rapporti pratici. Così il genio filosofico è stato sviluppato per primo dagli antichi, nella forma necessariamente teologica, con un carattere analogo, dopo la sua separazione dal tronco co­ mune della teocrazia; e infine il genio estetico, a lungo semplice ausiliario dell’azione teocratica; d’altra parte lo spirito industria­ le, per le condizioni fondamentali di tutta l’economia antica, vi era costantemente soffocato dalla schiavitù sistematica dei lavo­ ratori, per conservare all’attività pratica quella direzione guerrie­ ra che aveva originariamente manifestato. Un procedimento simile, dal generale al particolare, e dal­ l’astratto al concreto non è stato usato fino ad oggi, nello sviluppo della civiltà moderna, che in modo secondario; potrà diventar principale, con una razionalità ben superiore a quella del mondo antico, solo in conseguenza della sistemazione totale che tende oggi a derivare dall’insieme dell’evoluzione preparatoria. Ma la considerazione continua di tale evoluzione, sebbene puramente accessoria, va tuttavia necessariamente segnalata fin d’ora, anche nei confronti di tale passato, perché la sua influenza, ugualmente spontanea, ha essenzialmente dominato, come spiegherò ben pre­ sto, lo sviluppo intrinseco di ciascuno dei grandi elementi sociali, scomposti nelle diverse attività parziali, di cui rappresenta l'ag­ gregato naturale : di modo che l’ordine ascendente e l’ordine di­ scendente della gerarchia positiva hanno, per riassumere, ugual­ mente concorso, in maniera determinata, a regolare l’evoluzione organica dei cinque ultimi secoli, l’uno per la progressione ge-

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aerale, l'altro per ciascuna delle tre progressioni particolari, in cui un sentimento sistematico più limitato aveva potuto divenire sufficientemente usuale. Questa forma d’evoluzione rappresente­ rebbe il cammino naturale di una società ideale, la cui infanzia sarebbe presupposta convenientemente preservata dalla teologia e dalla guerra: essa tende oggi a riprodursi comunemente, in un casopiù reale benché più ristretto, per l’insieme dell’educazione individuale, almeno in quanto è spontaneo; qui l’attività estetica succede gradualmente all’attività industriale e prepara progressi­ vamente l’attività scientifica o filosofica. Dopo questa duplice indispensabile premessa, in cui l’epoca iniziale e poi l’ordine di successione della nostra serie positiva sodo state infine convenientemente esaminati, possiamo proce­ dere direttamente all’esame generale di ciascuna delle quattro evoluzioni essenziali, cominciando, secondo la spiegazione pre­ cedente, dall’evoluzione industriale, principale fondamento ne­ cessario del grande movimento di ricomposizione elementare che hafinora caratterizzato la società moderna. Occorre anzitutto spiegare come questo nuovo elemento so­ ciale, essenzialmente estraneo all’antichità, sia sorto naturalmen­ te, al momento opportuno, da quel memorabile stato transitorio dominato dall'organismo cattolico e feudale, che uno studio im­ parziale e approfondito raffigura, sotto tutti gli aspetti, sia nella progressione organica che in quella critica, come la vera fonte generale della civiltà occidentale. Questa felice trasformazione, la più importante che l’umanità abbia sperimentato, ha sostituito, in tutti i popoli presenti nel vasto teatro del medioevo, la vita guerriera con quella industria­ le, seguendo un percorso graduale, ma irreversibile. Essa è stata finora, per quanto concerne i suoi risultati essenziali, valutata correttamente, anche se in modo angusto e insufficiente; al con­ trario, la sua necessaria conclusione ha dato luogo solo a teorie radicalmente sbagliate, con cui si attribuisce quasi sempre un’ir­ razionale importanza a cause puramente accessorie, al di fuori di ogni giusta proporzione con l’immensità di tale fenomeno, per non averne direttamente colto il vero principio universale. I più saggi tentativi appartengono incontestabilmente, sotto quest’aspetto, a quegli illustri scrittori che, nel secolo scorso, han­ nodegnamente immortalato l’eccellente scuola scozzese; tutta­

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via, nessuno di loro, senza eccettuare nemmeno l’onesto e acuto Robertson, ha potuto liberarsi sufficientemente dai pericolosi pre­ giudizi, ispirati dalla filosofia negativa, protestante o deista, ed elevarsi a quel grado d’imparzialità storica, capace di far sentire, almeno empiricamente, a tanti spiriti colti, l’impulso predomi­ nante direttamente scaturito, a questo scopo, da tutto il regime del medioevo. Applicando ora, da questo punto di vista, i princìpi stabiliti in precedenza nel penultimo capitolo del volume precedente sulla tendenza necessaria, contemporaneamente temporale c spirituale, di questa organizzazione verso la liberazione e l’elevazione delle classi lavoratrici, bisogna anzitutto ricordare che, ordinariamente, si è lontani dal valutare convenientemente la profonda impor­ tanza dell’originaria trasformazione ovunque operata dalla sosti­ tuzione del servaggio propriamente detto alla schiavitù antica: modificazione in cui i giudici più prevenuti non potrebbero sicu­ ramente disconoscere né l’influenza normale del cattolicesimo, che imponeva con un’energica autorità costante dei doveri morali universali, né la spontanea conversione del sistema conquistatore in sistema difensivo, che caratterizza lo stato feudale. Questo grande cambiamento credo che debba essere conside­ rato, sin dall’origine del medioevo, come un primo grado d’in­ serimento diretto della popolazione agricola nella società gene­ rale, mentre in precedenza aveva avuto lo stesso ruolo degli ani­ mali domestici. Infatti il coltivatore, legato ormai alla terra, in un periodo in cui il possesso territoriale tendeva ad una profonda stabilità, cominciò anzitutto, per quanto misera fosse la sua esi­ stenza nascente, ad acquistare veri e propri diritti sociali, non fosse che quello, più elementare di tutti, di formare una famiglia propriamente detta; il che, prima impossibile, derivò natural­ mente per lo più dalla nuova situazione, sotto l’ostinata influenza cattolica. Tale miglioramento, base necessaria di ogni successiva fase di emancipazione civile, mi sembra condurre, contrariamente ad un’opinione quasi unanime oggi, a collocare nelle campagne la sede iniziale della liberazione popolare, almeno nei caso che si voglia analizzare questo grande fenomeno sociale fin nei suoi primi elementi storici. Lo si ricollega così, in modo diretto e spon­ taneo, sia alla preferenza istintiva dei capi feudali per la vita agri­ cola, derivante dalla loro passione caratteristica per un’indipen-

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dcnza abituale, sia anche al nobile e costante spettacolo, offerto così frequentemente da tanti ordini monastici, soprattutto aU’iniziodel medioevo, col consacrare le mani più venerabili a lavori sempre disprczzati precedentemente*. Così la condizione rurale sembra esser stata originariamente meno infelice di quella della maggior parte delle città, salvo qualche grande centro, allora assai raro, ma di cui è importante tener conto, come punto di riferimento naturale dei principali tentativi ulteriori. Indubbiamente l’insieme del regime medievale tendeva po­ tentemente all’uniforme dislocazione della popolazione, anche nelle località più sfavorevoli, esercitando un’influenza interna analoga all’azione tanto decisa esercitata verso l’esterno con l’im­ pedire le invasioni regolari, per stabilire popolazioni sedentarie nellepiù sterili contrade dell’Europa. È incontestabile infatti che risalgano essenzialmente a questo periodo le organizzazioni dei grandi lavori pubblici, destinati per tanti aspetti a migliorare una residenza, i cui inconvenienti naturali gradualmente non pote­ vanopiù e s s e r e evitati con l’aiuto di un’emigrazione ostile. Irra­ zionale è quindi la svalutazione di un periodo in cui furono get­ tate le fondamenta della miracolosa esistenza di Venezia e so­ prattutto dell’Olanda, mediante ostinati tentativi, saggiamente organizzati, a paragone dei quali le più imponenti opere antiche debbono sicuramente apparire d’importanza molto ridotta. La prima influenza del regime cattolico e feudale ha quindi realizzato ovunque, nelle campagne come nelle città, almeno questo primo grado elementare di emancipazione popolare, che, incapace per sua natura di costituire una condizione veramente stabile, poteva evidentemente solo procedere e preparare univer­ salmente l’irreversibile abolizione di ogni schiavitù personale. t. Un illustre storico d’Italia (Denina) ha giustamente riallacciato a questa duplice influenza generale il memorabile movimento spontaneo abitualmente così mal valutato che, durante il vi c v ii secolo, mirò energica­ mente a rimediare, soprattutto in Italia, all’azione disastrosa che i mi­ gliori momenti del regime romano avevano esercitato sull’agricoltura e sulla popolazione, in séguito alla concentrazione di immensi territori nelle mani di indolenti proprietari, abitualmente raggruppati lontano e la cut addentale sollecitudine, nociva quanto la loro incuria giornaliera, non giungeva quasi mai che a operarvi, con grandi spese, sterili abbellimenti.

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Nello studio assai imperfetto di questa interessante progressione, si è quasi sempre confusa questa liberazione individuale con la formazione collettiva di comuni industriali, necessariamente più o meno posteriori, su cui s’è troppo esclusivamente fissata l’atten­ zione. Per questo la fase intermedia che ha fatto séguito alla com­ pleta istituzione del servaggio costituisce ancora la parte più oscu­ ra e peggio compresa di tutta la storia del medioevo. È tuttavia allora che, secondo un processo necessario che la nostra teoria sociologica ha già distintamente caratterizzato in principio, si è verificata gradualmente, in tutto Poccidente europeo, una secon­ da trasformazione elementare, che, per il complesso delle conse­ guenze necessarie, indica direttamente la differenza più decisiva tra la socialità moderna e quella antica. Si può considerare, in effetti, questo secondo periodo, composto di circa tre secoli (dal­ l’inizio dell’vni secolo fin verso quello dell’xi) come Pultima fase preparatoria indispensabile alla vita industriale, il cui sviluppo universale doveva immediatamente far séguito all’uniforme abo­ lizione della servitù popolare. Infatti, secondo le spiegazioni fon­ damentali del volume precedente, l’istituzione originaria della schiavitù permanente dei lavoratori aveva avuto, per sua natura, un duplice fine necessario: da una parte permetteva all'attività militare uno sviluppo sufficiente a raggiungere in modo conve­ niente il suo grande scopo preliminare nel complesso dell’evolu­ zione sociale, come ho pienamente dimostrato; d’altra parte, rendeva possibile l’organizzazione del solo mezzo generale d’educazione che, per il suo assoluto predominio, potesse allora vincere, nella massa degli uomini, l’antipatia che ispira loro ini­ zialmente l’abitudine continua di un lavoro regolare. Ora, occorre riconoscere, a questo proposito, che il sistema di servitù che me­ glio conveniva sotto il primo aspetto non poteva essere il più efficace anche sotto il secondo; di modo che, nonostante l’evidente simultaneità di questi due ordini di effetti spontanei, queste due operazioni preliminari, ugualmente indispensabili allo sviluppo umano, non potevano essere pienamente realizzate che l’una do­ po l’altra. La prima era stata degnamente realizzata dal regime romano, in séguito al sistema di servitù arbitraria e indefinita, che doveva meno turbare il libero sviluppo esterno della classe guerriera, poco compatibile, al contrario, con la cura continua che avrebbe richiesto a questa classe la servitù propriamente

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detta. D’altra parte, la schiavitù antica era certamente troppo lontana dalla vera situazione industriale per poter condurre ad usa senza una lunga transizione particolare, nonostante le nu­ merose emancipazioni private, moltiplicatesi soprattutto dopo la decadenza dell’aristocrazia senatoriale, e che non potevano con­ durre ad un’emancipazione decisiva, data la continua affluenza di nuovi schiavi daH’esterno. Quando in séguito, con lo stato feu­ dale, il sistema militare, divenuto infine essenzialmente difensivo, ha fatto generalmente prevalere il nuovo genere di assoggetta­ mentopersonale, corrispondente all’abituale dispersione dei capi frale popolazioni sottomesse, l’iniziazione diretta degli inferiori allavita puramente industriale ha sin da allora cominciato spon­ taneamente ad essere un’organizzazione regolare, prima impos­ sibile. Infatti a ciascun servo era offerto un punto di partenza determinato, da cui, seguendo un percorso uniforme, molto lento malegittimo, egli poteva sempre sperare d’elevarsi a poco a poco aduna vera indipendenza individuale, il cui principio era d’al­ tronde, sin dall’origine del medioevo, ovunque implicitamente consacrato dalla morale cattolica. Si capisce, del resto, che le condizioni di riscatto, sovente as­ sai moderate, comunemente imposte per tale liberazione, costi­ tuivano non solo una giusta e utile indennità, che esse tendevano aregolarizzare, ma soprattutto, come ha già intravisto qualche filosofo, la garanzia normale della piena efficacia di un simile progresso, costatando che l’affrancato aveva sufficientemente con­ tratto le abitudini elementari di moderazione e di preveggenza chepermettevano di affidare ormai alla sua sola responsabilità la giornaliera direzione della propria condotta, senza alcun pericolo permanente per sé stesso e per la società. Preparazione, questa, evidentemente indispensabile alla de­ stinazione finale di simile trasformazione, ed a cui si può tuttavia assicurare che lo schiavo antico era ordinariamente inadatto, men­ tre il servo del medioevo vi era spontaneamente disposto sempre più, sia nelle campagne, sia ancor meglio nelle città, per tutto lo stato sociale corrispondente. Tale è, in generale, l’influenza temporale della seconda epoca di questo regime sulla formazione graduale, e quasi continua, deirultima fase preliminare, destinata a precedere immediata­ mente la completa emancipazione personale. Quanto alla sua in­

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fluenza spirituale, essa è sicuramente troppo evidente per richie­ dere in questa sede una spiegazione particolare. Sin dalle origini della servitù, facendo completamente partecipare tutti gli infe­ riori alla stessa religione di qualsiasi superiore e quindi al livello comune di educazione di base, almeno morale, che necessaria­ mente ne risultava, chiaramente il cattolicesimo non soltanto sta­ biliva ovunque una sanzione permanente dei diritti elementan dei servi, imponendo nei loro confronti obbligazioni regolari, ma proclamava spontaneamente, in modo più o meno esplicito, la liberazione volontaria come vero dovere cristiano, sempre che la popolazione manifestasse tendenza e attitudine alla libertà. La celebre bolla di Alessandro III sull’abolizione generale della schiavitù nella cristianità, fu certamente una semplice con­ sacrazione sistematica, d’altronde un po’ tardiva, di un uso che, da molti secoli, aveva gradualmente mirato, sotto la pressione cattolica, a diventare universale e irrevocabile. Già dal vi secolo, e per la prima influenza del cattolicesimo sui nuovi capi temporali, si vede l’uso dell’emancipazione perso­ nale, accordata talvolta simultaneamente a tutti gli abitanti di una località considerevole, diffondersi successivamente con tale rapidità che la storia segnala qua e là diversi casi eccezionali in cui questa generosa sollecitudine, troppo sdegnosa delle rigorose condizioni di una lenta evoluzione sociale, aveva successivamente superato i bisogni e i desideri di coloro che ne erano oggetto. La toccante cerimonia, allora abitualmente destinata a simili concessioni, costituisce un’ingenua testimonianza sia del loro gran numero che della partecipazione fondamentale e continua dell’influenza cattolica. Occorre soprattutto notare, sotto questo aspetto, che tale influenza non derivava unicamente, c neanche principalmente, dallo spirito generale della morale religiosa, che. nonostante dottrine astrattamente equivalenti, è lungi dall'arer ottenuto altrove la stessa efficacia. Questo salutare stimolo è stato soprattutto realizzato daH’ammirevole organizzazione del catto licesimo, senza la cui azione perseverante, vaghe prescrizioni morali sarebbero state, a questo proposito, radicalmente insuf­ ficienti. È opportuno segnalare non solo l’antipatia fondamentale per ogni regime di casta in un clero celibatario, che allora si reclu­ tava indistintamente a tutti i livelli della scala sociale, c all’inizio

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anchein modo particolare fra le classi inferiori, ma anche la ten­ denza istintiva della politica sacerdotale a proteggere attivamente 10sviluppo universale delle classi lavoratrici, in seno alle quali 11 suo dominio doveva in séguito trovare a lungo il più fermo punto d’appoggio. Tuttavia quest’ultima causa non ha potuto avere grande peso se non nel periodo immediatamente successi­ vo, dopo la sufficiente estensione dell’emancipazione personale, il cui originario realizzarsi è stato soprattutto incoraggiato dal sistema cattolico per motivi più disinteressati che ho appena ri­ cordato sommariamente. Questa memorabile convergenza di stimoli necessari, tempo­ rali e spirituali, che aveva prodotto spontaneamente una transi­ zione, lenta ma continua, dalla servitù primitiva all’universale abolizione di ogni schiavitù individuale, ha realizzato questo grande risultato molto più prontamente nelle città che nelle cam­ pagne. Ho descritto sopra la condizione generale della popola­ zione agricola come meno onerosa, all’inizio di questa fase, di quella della popolazione manifatturiera e commerciale dei bor­ ghi e delle città. Ciò d’altronde deriva evidentemente anche dal­ l’azione perdurante del regime precedente, sia romano sia bar­ baro, in cui l’industria agricola, per la sua inconfutabile impor­ tanza, anche di fronte ai giudici più grossolani, rimaneva la sola Don com pletam ente avvilita dai pregiudizi militari. Da questo punto di vista, l’evoluzione industriale è dunque veramente cominciata nel senso ascendente della nostra gerarchia positiva, come la teoria precedentemente enunciata ha dimostrato perlaprogressione moderna nel suo complesso. Ma il movimento inversonon ha tardato a prevalere sempre più nel corso di questa stessa fase, per conservare sino ai nostri giorni un predominio spontaneo, spesso anche pericolosamente esagerato. La dispersio­ nedelle popolazioni agricole, e la natura più empirica dei loro lavori giornalieri, doveva notevolmente ritardare la tendenza c l'attitudine all’intera emancipazione personale, come pure la pos­ sibilità stessa di ottenerla. Se da una parte la residenza familiare dei capi feudali in mezzo ad esse doveva in primo tempo addol­ cire normalmente i rigori della servitù, questa relazione più di­ retta non solo poteva spesso, proprio per questo motivo, allon­ tanare il desiderio continuo della liberazione, ma soprattutto do­ veva renderne poi più diffìcile il raggiungimento allorché i pa­

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droni vollero realmente impedirlo. Si capisce d’altronde, senza bisogno di nuove spiegazioni, che lo stimolo spirituale, prima caratterizzato, aveva necessariamente in questo caso, un’energia molto minore. Così gli agricoltori si sono a poco a poco trovati liberati in tutte le zone principali dell’occidente europeo, soprat­ tutto per la grande e fortunata reazione continua, spontanea­ mente scaturita dalle città, quando l’istituzione dei Comuni ne permise il completo sviluppo industriale durante il xii secolo e soprattutto il xm. Per questo aspetto mi limito però a rinviare il lettore direttamente alla brillante spiegazione fornita da Adam Smith seguendo l’intuizione di Hume. Tuttavia, questi due eminenti pensatori, secondo lo spirito della filosofia contempo­ ranea, hanno eccessivamente trascurato tutte le influenze sociali del regime precedente: da esso sarebbe, senza dubbio, derivata più tardi tale emancipazione, mentre le cause da loro segnalate non hanno fatto altro che accelerare notevolmente la necessaria realizzazione. Se si applicano in senso inverso le varie indicazioni prece­ denti, sarà facile capire immediatamente che la liberazione per­ sonale doveva naturalmente cominciare nelle città e nei borghi, in cui la servitù personale, sempre ugualmente caratterizzata dal legame alla località, era in un primo tempo più onerosa, per la stessa lontananza abituale del proprietario, che lasciava ordina­ riamente la massa in balia dell’oppressiva dominazione di un subalterno. Non solo questo motivo doveva spontaneamente stimolare maggiormente il bisogno di liberazione, ma la stessa concentra­ zione permanente della popolazione facilitava loro la strada. Oc­ corre però considerare soprattutto, a questo proposito, una causa più profonda e più universale, benché finora trascurata nella so­ stanza, che ricollega in modo necessario l’ineguaglianza fondamentale tra evoluzione della città e quella della campagna alla natura dei loro rispettivi lavori con la semplice estensione razio­ nale del principio filosofico, sul quale ho sopra fondato il com­ plesso della gerarchia positiva. In effetti, è chiaro che questo principio veramente fondamen­ tale, applicato dapprima allo studio statico della sola gerarchia industriale, porta a distinguere, nell’ordine gradualmente aseen-

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dente, in séguito ad una felice conformità spontanea alla valuta­ zione istintiva della ragione pubblica, le tre grandi industrie ge­ nerali, agricola, manifatturiera ed infine commerciale, il cui con­ frontoessenziale dà luogo, anche se ad un livello molto inferiore, adifferenze della stessa natura di quelle già individuate fra i tre principali momenti della civiltà moderna, come spiegherò diret­ tamente nel capitolo seguente. Considerando ora questa serie parziale sotto l’aspetto essen­ zialmente dinamico della nostra trattazione storica, si vede che la natura più astratta e più indiretta dell’mdustria delle città, l'educazione più spedalizzata che esige, la minore molteplicità degli agenti, il loro accordo più semplice ed anche abitualmente indispensabile al loro lavoro, ed infine la più grande libertà che la loro attività consueta presuppone, costituiscono un irresisti­ bilecomplesso di cause spontanee e permanenti che spiegano an­ zitutto la liberazione più rapida delle classi corrispondenti, senza chesia necessario insistere maggiormente su un’indicazione filo­ sofica di cui debbo lasciare al lettore lo sviluppo immediato. Tuttavia, allo scopo di facilitare questo lavoro, credo oppor­ tuno aggiungere, precisando più particolarmente l’indicazione, cheil mio ulteriore trattato di filosofia politica sottoporrà diret­ tamente allo stesso ordine sostanziale di successione le diverse industrie urbane, comparativamente considerate nella loro rispet­ tiva evoluzione, dimostrando, con una successione più remota, ma non meno necessaria, da queste stesse differenze elementari, che il movimento d’emancipazione personale ha inizialmente prevalso nell’industria commerciale e non in quella manifattu­ riera. Infine, procedendo ad un terzo grado dell’analisi storica, si troverebbe ancora che il commercio più anticamente liberato do­ vette essere quello la cui attività è più astratta e più indiretta, cioèil commercio dei valori propriamente detti. I suoi agenti ini­ ziali furono semplici agenti di cambio, gradualmente trasformati poi in ricchi banchieri, che furono inoltre agli inizi abitualmente ebrei, e a questo stesso titolo, sottratti ad una servitù regolare che li avrebbe inseriti in una società cristiana; il che non impediva, nonostante le troppo frequenti estorsioni, che essi fossero sistema­ ticamente incoraggiati dall’insieme del regime iniziale del me­

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dioevo, e soprattutto dalla politica cattolica, che ha sempre mi­ rato per quanto possibile a facilitare il loro sviluppo iniziale, co­ stantemente più libero a Roma che in qualunque altra zona della cristianità. L ’insieme della storia industriale del medioevo deve esser suf­ ficiente a indicare spontaneamente al lettore illuminato la chiara verifica che questa legge necessaria riceve, pur attraverso per­ turbazioni più apparenti che reali, soprattutto a causa della pre­ cocità più particolare, che, nella precocità generale dell’Italia, di­ stingue tanto profondamente, anche prima dcirammirevole Fi­ renze, le città marinare, e quindi principalmente commerciali, quali Genova, Pisa, ecc. Alla loro testa si colloca, sotto tutti gli aspetti, la meravigliosa Venezia, la cui vita non poteva che essere essenzialmente commerciale, salvo la mescolanza di costumi mi­ litari che s’allea naturalmente alla vita marinara, c che doveva anche facilitare allora il passaggio dalla civiltà antica alla mo­ derna. Una simile differenza si nota anche nei paesi sull’Oceano, fra i diversi elementi della grande lega anseatica, come pure nelle Fiandre; si sa d’altronde che la nascente prosperità industriale della Francia e dell’Inghilterra ricevette direttamente il suo più grande impulso iniziale dalle numerose e importanti istituzioni che formarono, nel xm secolo, le industrie italiane ed anseatiche, dapprima a titolo di semplici agenzie commerciali, divenute io séguito vasti depositi reali e finalmente trasformate in manifat­ ture fondamentali. Dovevo qui soffermarmi particolarmente sul difficile esame della seconda fase essenziale del movimento generale di emanci­ pazione che ha dato origine all’elemento più caratteristico delle società moderne, perché, anche se puramente preliminare, que­ sta fase è in fondo la più importante ed inoltre la più trascurata. Un esame contemporaneamente storico e razionale di questa ci permetterà d’altronde di procedere più rapidamente in tutto il restante lavoro, relativo ormai ad un passato meglio conosciuto. La fase immediatamente successiva comprende l'evoluzione collettiva divenuta famosa sotto il nome di emancipazione dei Comuni, e che nonostante gli innumerevoli studi, parzialmente interessanti, è stata finora irrazionalmente valutata non soltanto perché non vi si considera a sufficienza l’importante funzione del regime cattolico e feudale, accordando al contrario troppa impor-

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tanz2 a cause accidentali o accessorie, ma soprattutto perché la gconsidera troppo isolatamente dalla precedente, di cui non potè essere, a dire il vero, altro che il completamento naturale, inevi­ tabile non meno che indispensabile. Quando si considera, se­ condo l’uso dominante, soprattutto la lotta politica delle grandi masse sociali, lera dei Comuni costituisce allora un vero punto di partenza, al di là del quale sarebbe veramente inutile risalire, poichéha introdotto un nuovo peso nei conflitti storici. Ma quan­ do, al contrario, secondo lo spirito della nostra trattazione at­ tuale, si studia soprattutto il movimento, per così dire, moleco­ lare, che ha gradualmente mirato, a partire dal medioevo, al rinnovamento sociale della parte migliore dell’umanità, indub­ biamente, mi sembra, questa importante trasformazione non ha fattoche completare spontaneamente l’opera interna dell’emancipaziotie personale della fase prima esaminata, aggiungendovi il grado d’indipendenza politica allora necessaria alla sua piena realizzazione, e che tuttavia, lungi dal caratterizzare sufficientemente l’evoluzione fondamentale, ne ha talvolta gravemente de­ viatosuccessivamente la direzione essenziale, come avrò modo di indicare particolarmente tra breve. Infatti, rifacendosi alla spiegazione precedente sulla libera­ zione più rapida degli abitanti delle città, si vede facilmente co­ megli stessi motivi generali esigessero necessariamente, nei con­ fronti dello stato sociale corrispondente, che la libertà individuale vi fosse ben presto accompagnata da una certa libertà collettiva, senza la quale l’attività industriale non avrebbe potuto avere inquesto periodo uno sviluppo veramente decisivo. D’altro can­ to, queste influenze spontanee tendevano contemporaneamente arealizzare questa condizione di sviluppo con l’aumento natu­ rale di rapidità derivante dal primo slancio della nascente indu­ striaper superare la resistenza, comunemente molto debole, dei poteri molto più disposti e meno capaci di opporsi all’indipen­ denza della liberazione, in un tempo in cui l’una era universal­ mente ritenuta più o meno inseparabile dall’altra. Così l’istitu­ zione dei Comuni fece séguito quasi subito alla liberazione ur­ bana, tanto che una scrupolosa analisi storica può appena consi­ derare la prima metà dell’xi secolo un intervallo effettivo tra la line del movimento individuale e l'inìzio del movimento collet­ tivo.

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È chiaro che tutto il regime del medioevo tendeva spontanea­ mente a favorire ovunque un simile progresso, indipendente­ mente da ogni circostanza, più o meno casuale, che non ha po­ tuto influire altrimenti se non sulla diversa rapidità. Nonostante inevitabili conflitti successivi, d’altronde impossibili a prevedersi, l’organismo feudale, eminentemente dispersivo per sua stessa na­ tura, doveva prestarsi senza ripugnanza ad ammettere originaria­ mente le comunità industriali fra i numerosi elementi che com­ ponevano la sua gerarchia; senza dover allora temere nessuna pe­ ricolosa rivalità, sociale e politica, da parte di queste forze na­ scenti, in cui al contrario i due principali poteri temporali non dovettero a lungo che cercare, a gara, utili alleati nelle loro lotte interne. L ’organismo cattolico era evidentemente ancora più fa­ vorevole a simile sviluppo, anche astraendo da tutti gli stimoli cristiani, in quanto la politica sacerdotale vi scorgeva necessaria­ mente un importante mezzo per consolidare il proprio predomi­ nio favorendo, e spesso provocando, l’ascesa di queste nuove clas­ si, dalle quali doveva aspettarsi normalmente una rispettosa rico­ noscenza, in un periodo ancora lontano da ogni emancipazione intellettuale delle masse popolari. Per finire di fissare qui le principali nozioni relative al sor­ gere universale dell’elemento industriale, occorre aggiungere, per quanto concerne i periodi, che il movimento totale di eman­ cipazione personale dalla completa istituzione del servaggio sino all’abolizione totale di ogni schiavitù, anche agricola, ha sostan­ zialmente coinciso con l’ammirevole sistema delle grandi guerre difensive. Con questo, l’attività militare, sotto Ispirazione cat­ tolica, ha in tal modo degnamente adempiuto al suo ultimo com­ pito preparatorio dell’evoluzione fondamentale dell’umanità, se­ condo le spiegazioni del volume precedente. Le due fasi generali che abbiamo appena esaminato in questo movimento preliminare corrispondono, con una notevole esattezza, di cui il lettore illu­ minato si renderà facilmente conto in séguito ai princìpi prece­ dentemente esposti, alle due serie di attività già distinte, in una vasta catena protettrice; infatti, la fase di liberazione personale si è compiuta durante le spedizioni direttamente difensive, a par­ tire da Carlo Martello e sino allo stabilirsi in occidente dei Nor­ manni; la fase successiva d’istituzione dei Comuni industriali, ivi comprese le sue conseguenze naturali, secondo la teoria di Hume

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( di A. Smith, per l’emancipazione conclusiva delle campagne, si è soprattutto effettuata congiuntamente con la grande lotta dellecrociate contro l’imminente invasione dell’oppressivo mono­ teismo musulmano. Contemplando, con profonda imparzialità filosofica, questa nobile parte del passato umano, in cui, attraverso tanti ostacoli essenziali, il processo sociale ha ricevuto un’accelerazione molto piùpronunciata che non in qualsiasi altra età anteriore, sembra veramente impossibile non rimaner affatto colpiti dalla profonda irrazionalità dei pregiudizi rivoluzionari che ancora impediscono abitualmente a tanti spiriti coiti di scorgere, in questa evoluzione decisiva, la splendente partecipazione fondamentale dell’intero regime politico corrispondente. Due osservazioni generali, la cui esattezza è tanto incontestabile quanto la loro conclusione è irre­ sistibile, dovrebbero pertanto esser sufficienti a dissipare, a que­ stoproposito, ogni annebbiamento iniziale, se gli odi teologici, protestanti o deisti, potessero essere convenientemente accessibili allepure motivazioni razionali. La prima consiste nel notare che l'intera estensione territoriale di questa emancipazione elemen­ tare è precisamente circoscritta dagli stessi limiti essenziali che delimitano l’organismo cattolico e feudale: cioè nell’Occidente europeo, definito all’inizio di questo capitolo, le cui parti prin­ cipali hanno tutte partecipato, con una memorabile solidarietà, aquesto movimento fondamentale, salvo l’ineguale rapidità na­ turalmente dovuta alla diversa situazione locale di questo regime edalla sua finalità difensiva più o meno intensa e prolungata. Tali differenze furono d’altronde allora molto meno pronunciate di quanto non lo divennero poi, sia per un movimento più avan­ zato, sia per la minore energia del legame cattolico. In senso inverso, non si trova in realtà niente di equivalente al di fuori di tale sfera : non sotto il regime monoteistico mu­ sulmano, e nemmeno sotto il monoteismo bizantino, nonostante la sua illusoria conformità teologica, essenzialmente neutraliz­ zatadalla mancanza radicale di realizzazione delle principali con­ dizioni politiche, attribuite, nel cinquantaquattresimo capitolo, alla forza sociale del cattolicesimo. Benché più ristretta, la se­ conda osservazione non è, senza dubbio, meno decisiva, poiché essaconsiste nel riconoscere, in séguito all’evidente convergenza di tutte le testimonianze storiche, che il movimento d’emancipa­

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zione preliminare, sia personale sia collettiva, si è compiuto con la massima rapidità e facilità nei luoghi stessi in cui la potenza preponderante di tale organismo esercitava l’influenza più diretta e più completa, cioè in Italia, alla quale nessuno potrebbe con­ testare, soprattutto a questo proposito, una splendida precocità particolare. Le cause, troppo esclusivamente temporali, che si è soliti at­ tribuire a questa memorabile accelerazione, come conseguenza deH’indebolimcnto caratteristico del potere imperiale, non basta­ no certamente alla sua spiegazione; e non solo, in conformità alla teoria del volume precedente, questo difetto continuo di con­ centrazione è essenzialmente dovuto all’azione italiana del catto­ licesimo, ma si riconosce, d’altronde, più direttamente questa in­ fluenza nella costante sollecitudine dei papi nel dissipare gli odi ciechi che si opponevano allora con tanta energia alla coaliziont nascente dalle comunità industriali, la cui politica abituale fu così a lungo diretta soprattutto dai principali ordini religiosi. Infine, per quanto concerne più particolarmente l’impulso puramente feudale, si vedono anche progredire, sotto la prote­ zione imperiale, all’altra estremità del sistema occidentale, le ce­ lebri città anseatiche, il cui contatto permanente con le città ita­ liane, attraverso la mediazione normale delle città fiamminghe, viene ben presto a completare, nel medioevo, la cosdtuzione ge­ nerale del grande movimento industriale, comprendendo, da una parte, tutto il bacino anche orientale del Mediterraneo, ed estendendosi di conseguenza alle principali parti dell'Oriente, senza eccezione per le più lontane; dall’altra l’Oceano europeo, e sin da allora tutto il Nord dell’Europa: si formò così un insie­ me abituale di relazioni europee molto più vasto di quello dei bei tempi della dominazione romana. Questa parte del nostro attuale esame era essenzialmente la sola che, per sua natura, dovesse esigere qui una vera discussione, trovandosi in opposizione radicale con le false concezioni che, nonostante utili modificazioni parziali, prevalgono ancora nei confronti di tutta quest’epoca. Così ho ritenuto necessario, per la più importante evoluzione elementare delle società moderne, retti­ ficare innanzitutto un’aberrazione fondamentale, che, spezzando bruscamente, nel modo più decisivo, la continuità necessaria della progressione umana, impedisce direttamente ogni collegamento

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filosofico del movimento moderno col movimento antico. Non hodunque esitato a testimoniare francamente qui, in nome di tutti gli spiriti pienamente emancipati, liberi dalla metafìsica non menoche dalla teologia, i sentimenti profondi di rispettosa rico­ noscenza che meriterà sempre da parte dei veri filosofi l’immor­ talericordo di un regime al quale la nostra civiltà attuale deve, sottoogni aspetto, il suo impulso iniziale, sebbene, per sua na­ tura, sia in séguito inevitabilmente divenuto incompatibile con la tendenza finale dell’umanità. Dopo aver convenientemente ricongiunto l’introduzione so­ cialedell’elemento industriale al complesso anteriore del passato umano, potremo ora procedere, con più rapidità, verso un giusto esame generale del suo sviluppo ulteriore. Tuttavia, per chiarire edanche per abbreviare tale analisi, è opportuno anzitutto sof­ fermarci ancora a valutare direttamente il vero carattere fonda­ mentale di questo nuovo fattore dell’umanità. Si comprende che qui non si tratta di vana apologia filosófica, nei confronti di una potenza sociale che, certamente, non ne ha ormai alcun bisogno, poichéal contrario, la sua influenza reale tende, ai nostri giorni, adiventare sin troppo esclusiva, come spiegherò nel capitolo se­ guente; si tratta soltanto d’indicare, in modo astratto, i principali attributi normali di questo nuovo elemento, senza dimenticare di segnalare gli errori essenziali che l’hanno ugualmente distinto finora. Considerando successivamente, a questo proposito, i diversi aspetti elementari della socialità, si riconosce in primo luogo, con pienaevidenza, che, sotto l’aspetto individuale, la grande trasfor­ mazione che è stata appena spiegata costituisce la più grande ri­ voluzione temporale che l’umanità possa provare, in quanto ha direttamente mirato a cambiare irrevocabilmente il modo nor­ male dell’esistenza umana, fino ad allora soprattutto guerriero, inséguitosempre più pacifico, per la crescente maggioranza delle popolazioni civili. Se dodici secoli prima si fosse annunciato ai filosofi greci l’abolizione universale della schiavitù, ed il comune assoggettamento volontario dell’uomo libero al lavoro allora ser­ vile, in una numerosa e potente popolazione, i più arditi e i più generosi pensatori non avrebbero certamente esitato affatto a pro­ clamarel'assurdità di un’utopia di cui niente indicava loro ü fon­ damento; d'altra parte, non avevano ancora potuto riconoscere

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che, seguendo il corso naturale delle trasformazioni sociali, i cam­ biamenti spontanei e graduali finiscono sempre per sorpassare di molto le più audaci speculazioni iniziali. Attraverso questa im­ mensa rigenerazione, l’umanità ha realmente concluso la sua età preliminare, e iniziato la sua età definitiva, per dò che concerne resistenza pratica, che da allora è stata direttamente armonizzata in modo durevole e crescente con il complesso reale della nostra normale natura. Infatti, nonostante {’incontestabile istinto che dapprima lega l’uomo alla vita guerriera, facendogli respingere la vita di la­ voro, quest’ultima finisce col divenire, dopo una sufficiente pre­ parazione, la più adatta alla nostra organizzazione morale, in quanto la più conveniente al libero e pieno sviluppo delle nostre principali disposizioni di ogni genere: indipendentemente dalla sua evidente proprietà esclusiva di implicare ed anche di provo­ care la simultaneità più estesa, mentre, nella vita militare, lattivjtà degli uni suppone o determina la compressione necessaria degli altri, secondo le spiegazioni del cinquantunesimo capitolo. La confusa valutazione che domina ancora, a questo propo­ sito, deriva soprattutto dallo spirito assoluto della filosofia poli­ tica attuale, che rende eterno ciò che si applica unicamente allo stadio iniziale dell’umanità. Non si può riconoscere, sotto questo aspetto, altra condizione veramente permanente, oltre all’insormontabile preponderanza naturale, in quasi tutti gli uomini, del­ la vita attiva sulla vita speculativa, come indica oggi la sana teo­ ria fondamentale dell’organismo cerebrale. Ma il modo proprio di questa attività pratica necessariamente dominante non h certa­ mente invariabile, sebbene le variazioni essenziali siano assogget­ tate ad un percorso regolare, rappresentato dalla nostra legge del­ l’evoluzione umana, conformemente all’esperienza più decisiva. La concezione più filosofica ed anche più nobile della totalità di quest’evoluzione consiste, secondo i princìpi stabiliti alla Hoc del tomo quarto, nel misurare soprattutto il progresso derivaste dall’influenza graduale delle facoltà caratteristiche dell’umanità sulle tendenze fondamentali della nostra animalità; cosi la serie sociale si presenta razionalmente come un prolungamento parti­ colare della grande serie animale. Ora, secondo questa regola ge­ nerale, il predominio, iniziatosi nel medioevo, della vita indu­ striale sulla vita guerriera, ha direttamente condotto ad elevare

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di uno scalino il tipo primitivo dell’uomo sociale, almeno nel­ l'insieme della nostra razza. Considerando innanzitutto, sotto questoaspetto, conformemente alla teoria del cinquantesimo ca­ pitolo, il principale dei due attributi fondamentali della nostra natura, è chiaro che l’uso normale deH’intelligenza per la con­ dotta pratica è comunemente più pronunciato nella vita indu­ strialedei moderni che non nella vita militare degli antichi, para­ gonando accortamente organismi equivalenti, collocati nello stes­ somodo nelle due gerarchie; elimino d’altronde a proposito, essendo troppo sproporzionato, il paragone con la vita militare attuale, a causa dell’automatismo particolare che vi subiscono necessariamente gli inferiori. L ’emancipazione delle classi lavo­ ratrici ha volgarmente organizzato per le intelligenze moderne l’esercizio continuo più adatto alla mediocrità mentale che carat­ terizza inevitabilmente l’immensa maggioranza della nostra spede: questioni chiare e concrete, la cui scarsa estensione è assai nettamente circoscritta, suscettibili di soluzione diretta o imme­ diata, che esigono un’attenzione perseverante e tuttavia facile, e sempre relative ad occupazioni immediatamente stimolate dagli interessi pratici più vicini all’uomo civile, che aspira ormai so­ prattutto alla facilità e all’indipendenza, da allora sempre più tendenti a divenire ovunque la ricompensa quasi sicura di una saggia applicazione al lavoro. Quanto all’influenza abituale del­ l'istinto sociale sull’istinto personale, che costituisce il secondo attributo essenziale dell’umanità, è stata certamente potenziata, almeno virtualmente, dalla vita industriale dei moderni, dive­ nutadirettamente compatibile con una tolleranza veramente uni­ versale, poiché ciascuno può considerare realmente la sua atti­ vità quotidiana immediatamente destinata all’utilità comune e, insieme, al proprio vantaggio : mentre l’antico modo d’esistenza sviluppava necessariamente passioni odiose, anche in mezzo alla piùnobile abnegazione. In verità, la restrizione mentale inerente adun’eccessiva specializzazione del lavoro e lo stimolo dell’egoi­ smoper la preoccupazione troppo esclusiva di interessi privati hannodirettamente contribuito,'finora, a neutralizzare per tanta partequeste felici proprietà intellettuali e morali : ma, in ciò che olirono oggi di esorbitante, questi gravi inconvenienti naturali propri dello sviluppo industriale derivano soprattutto dal fatto chesi è mantenuto ancora allo stadio della semplice spontaneità,

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senza aver convenientemente ricevuto la sistemazione razionale che gli spetta, come stabilirà il séguito del nostro esame storico. Il fatto di dimenticare tale lacuna fa spesso commettere una grande ingiustizia involontaria ai partigiani speculativi dell'atti­ vità militare, le cui incontestabili qualità sociali debbono essere essenzialmente attribuite alla potente organizzazione così a lungo preparata per essa, ed il cui equivalente industriale non esiste an­ cora. Che cos’è, infatti, primitivamente l’ardore guerriero, con­ siderato isolatamente da ogni disciplina morale, ed astrazion fatta da ogni finalità sociale ? Nient’altro, in fondo, che una combina­ zione spontanea dell’avversione naturale al lavoro con l’istinto di una dominazione brutale; donde risulta abitualmente un im­ pulso più nocivo e non meno ignobile di quello tanto riprovato nella cupidigia industriale. Così gli immensi servizi comune­ mente tratti dalla regolarizzazione conveniente di un simile im­ pulso, per il solo fatto che, negli agenti minori, è stato profonda­ mente investito di un carattere abituale di utilità pubblica, do­ vrebbero anche far pensare che, nei moderni, un impulso più utile e non meno attivo sarebbe ugualmente capace di veder suf­ ficientemente attenuati, in una saggia sistemazione permanente, i difetti particolari che alterano così gravemente oggi la sua effi­ cacia intellettuale c morale, quasi interamente abbandonata fi­ nora alla cieca direzione delle tendenze private, come spiegherò ulteriormente. Ma questa lacuna fondamentale non ha tuttavia impedito, sin dal medioevo, di constatare realmente, ad un certo livello, l’attitudine crescente della vita industriale a provocare spontaneamente, anche negli ultimi ordini della società europea, un progresso mentale e pacifico che non poteva precedentemente essere altrettanto sviluppato. Quanto all’infìuenza elementare di questa grande trasforma­ zione sulle relazioni domestiche, essa è stata innanzitutto immen­ sa, nel senso che le dolci emozioni della famiglia sono in tal mo­ do divenute comunemente accessibili alla classe più numerosa, che non vi poteva prima pretendere se non in modo assai pre­ cario ed insufficiente, anche dopo l’incontestabile miglioramento determinato, sotto questo aspetto, all’inizio del medioevo, dalla sostituzione generale della servitù alla schiavitù. Allora soltanto è potuta cominciare a manifestarsi direttamente la tendenza finale di quasi tutti gli uomini civili ad una vita principalmente

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domestica, che, al contrario, negli antichi, era stata da una parte radicalmente preclusa agli schiavi, e, dall’altra, poco gustata an­ che dalla casta libera, abitualmente legata dalle rumorose emo­ zioni della piazza e dei campi di battaglia. Si vede, in secondo luogo, che il nuovo modo di vivere ha naturalmente migliorato il carattere essenziale delle relazioni familiari, sia assimilando maggiormente le occupazioni ordinarie dei due sessi, fino ad allora troppo discordanti per comportare costumi sufficientemente comuni, sia anche diminuendo l’antica dipendenza troppo assoluta dei fanciulli verso i genitori. Sotto l’uno e l’altro aspetto èchiaro che la tendenza spontanea delle abitudini industriali ha direttamente concorso con l’azione sistematica della morale cat­ tolica, a cui un entusiasmo irriflessivo ha talvolta attribuito felici effetti che in realtà non dipendevano da essa, sebbene, ai nostri giorni, il rimprovero sia ben più spesso inverso, in séguito ad un’irrazionale ostilità. Tuttavia, per questo duplice motivo, è in­ contestabile che il difetto radicale della sistemazione industriale hamolto neutralizzato finora, come sotto gli aspetti precedente­ mente esaminati, le proprietà virtuali di simile trasformazione sociale, a cui i suoi detrattori speculativi hanno potuto anche muover l’accusa, in modo specioso, di tendere, al contrario, al­ l’intima dissoluzione dei legami domestici, d’altronde auspicata anche da alcuni dei suoi più ciechi panegiristi. Si potrebbe te­ mere, per esempio, per quanto riguarda la relazione principale, che uno sviluppo industriale disordinato alteri alla fine l’indi­ spensabile subordinazione dei sessi, procurando abitualmente alle donne un’esistenza molto indipendente; ma un esame più appro­ fondito presenta questa influenza come necessariamente più che compensata da una tendenza popolare, ben più energica e co­ stante, a trasferire, al contrario, agli uomini moke professioni prima esercitate dalle donne, in modo da ridurre sempre più que­ ste ad una funzione eminentemente domestica, lasciando loro solo carriere pienamente compatibili con essa, secondo il proce­ dere fondamentale dell’evoluzione umana a questo riguardo, esplicitamente caratterizzato nel cinquantaquattresimo capitolo. Dopo aver sufficientemente indicato l’effetto elementare del­ l'emancipazione industriale, prima sul miglioramento indivi­ duale del carattere umano, poi sul perfezionamento della costi­ tuzione domestica, ci resta soprattutto da considerare astratta­

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mente le sue proprietà direttamente sociali, in base alla loro ge­ neralità crescente, affinché la sua universale efficacia a preparare spontaneamente la rigenerazione temporale delle società moder­ ne possa essere in séguito convenientemente esaminata a partire dall’era decisiva, precedentemente determinata. È innanzitutto evidente che l’evoluzione industriale ha ne­ cessariamente teso a portare a compimento, nei moderni, l’irre­ vocabile abolizione del regime delle caste, istituendo, nei con­ fronti dell’antica importanza della nascita, la rivalità progressiva della ricchezza, acquistata attraverso il lavoro. Abbiamo ricono­ sciuto nel volume precedente, come l’organismo cattolico avesse, nel medioevo, degnamente cominciato questo rivolgimento de­ cisivo, per il solo fatto di aver radicalmente abolito l’eredità del sacerdote, e fondato la gerarchia spirituale sul principio della ca­ pacità. Ora, il movimento industriale ha realizzato, a proprio modo, anche per le funzioni sociali di minore importanza, una trasformazione equivalente a quella impressa alle più eminenti. Questa influenza non ha potuto essere sostanzialmente neutra­ lizzata da ciò che è sopravvissuto della tendenza naturale all’ere­ dità delle professioni. Nonostante la sua decadenza continua, essa si farà sempre sentire a un qualche livello, ma la sua insufficiente opposizione doveva, sin da allora, cedere sempre più, da una parte, fra le classi inferiori della nuova gerarchia, allo sviluppo continuo dello stesso istinto di miglioramento universale, causa dell’emancipazione primitiva, dall’altra, nelle classi superiori, al­ l’impossibilità continua di conservare nelle stesse famiglie le gran­ di fortune commerciali o manifatturiere. Se si combina simile proprietà con la specializzazione cre­ scente delle occupazioni umane, pure inerente alla vita industria­ le, si potrà comprendere l’azione permanente delia civiltà mo­ derna per perfezionare, attraverso le sole vie temporali, il com­ plesso delle classi sociali, comportando ormai una più precisa armonia quotidiana fra attitudini e funzioni. Nello stesso tempo, non c’è da dubitare che il legame normale dcH’interesse privato con l’interesse pubblico è stato sin da allora direttamente perfe­ zionato dall’influenza continua di questa meravigliosa economia istintiva delle società attuali, che si ammirerebbe senza dubbio profondamente se, invece di esservi abitualmente immersi, la si considerasse soltanto nella lontana prospettiva di una utopia ro­

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manzesca, in cui si vedrebbe, astrazion fatta dal movente, ogni individuo costantemente applicato, con la più attiva sollecitudine, adimmaginare e a realizzare nuovi modi per servire la comunità. Le più piccole operazioni private tendono così a nobilitarsi sem­ prepiù acquistando spontaneamente il carattere di funzioni pub­ bliche, senza che si possa ormai stabilire nettamente una linea generale di divisione fra le une e le altre, un tempo così proton­ damente separate. Qualunque sia, ancora, sotto tutti gli aspetti, la profonda imperfezione di un simile ordine, in conseguenza della sua mancanza radicale di sistemazione razionale, l’appro­ priato esame di questi risultati usuali è quanto mai adatto a far sentire l’assurdità storica di queste declamazioni illusorie sulla ricchezza e sul lusso, che, in tanti pretesi filosofi o moralisti mo­ derni, non sono altro che una vana reminiscenza scolastica di falsenozioni sociali attinte dalla nostra errata educazione ancora esclusivamente al modulo antico. Per la verità, tutti questi felici risultati derivano essenzialmente dai calcoli personali, in cui non si manifesta altro che l’azione primitiva degli istinti di furbizia edi cupidigia, propri di schiavi emancipati, ma si può assicurare, ì questo proposito, che tutte le recriminazioni reali che non si riallacciassero all’assenza attuale di regolarizzazione generale, resterebbero puramente relative all’invincibile imperfezione della natura umana, in cui la preponderanza abituale degli impulsi individuali non lascia, a questo proposito, altra variazione possi­ bile se non quella di un impulso privato più o meno accessibile alle ispirazioni dell’istinto sociale : l’amore del saccheggio sa­ rebbe dunque più morale o anche più nobile deH'amore del gua­ dagno? Quanto all’influenza astratta dell’evoluzione industriale sul carattere essenziale delle transazioni sociali, sarebbe superfluo mettere particolarmente in evidenza la tendenza pratica a far gradualmente prevalere il principio della conciliazione degli in­ teressi sullo spirito, dapprima ostile, poi litigioso, che dominava finoallora nelle operazioni private. La legislazione indipendente espontanea che nel medioevo era propria delle comunità indu­ striali, sebbene necessariamente scomparsa in séguito, come spie­ gherò appresso, per permettere la formazione di grandi unità politiche, ei ha tuttavia lasciato una preziosa testimonianza per­ manente di questa disposizione primitiva attraverso la felice isti­

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tuzione dei regolamenti e dei tribunali di commercio, dappri­ ma istituiti per la saggia ispirazione dei mercati anseatici, il cui procedere quotidiano ci offre un contrasto decisivo con quella delle altre giurisdizioni, sebbene l’intervento ulteriore dei legi­ slatori abbia certamente mirato ad alterare molto le sue qualità originarie. Credo necessario insistere maggiormente sull’indicazione som­ maria di un altro attributo elementare dello spirito industriale, considerato, sotto un aspetto molto meno sentito ed ancor più importante, relativamente al suo modo abituale di disciplina so­ ciale. In séguito all’avversione primitiva dell’uomo per la vita di lavoro, si sarebbe senza dubbio difficilmente previsto che il de­ siderio di un lavoro permanente potesse costituire un giorno la principale aspirazione comune alla maggioranza degli uomini liberi, a tal punto che la concessione o il rifiuto del lavoro, di­ venisse la base usuale dell’azione disciplinare, preventiva o anche coercitiva, indispensabile all’economia generale, sostituendo sem­ pre più ogni uso diretto della forza propriamente detta. Questa nuova tendenza, così evidentemente inerente alle nuo­ ve società industriali, ha senza dubbio bisogno come tutte quelle precedentemente segnalate, ed anche ad un più alto livello, di essere infine convenientemente regolarizzata; ma la sua influenza crescente ha tuttavia realizzato, dal medioevo, un notevole mi­ glioramento universale, la cui importanza sarà degnamente esa­ minata da chiunque vorrà, sotto questo aspetto, paragonare con accortezza il principio industriale con il principio militare, in cui il dolore e la morte sanzionano alla fine ogni subordinazione. Negli stessi abusi più deplorevoli che una errata influenza della ricchezza può generare, quando sembrerebbe che questa trasfor­ mazione si è ridotta, per così dire, a sostituire il diritto di ucci­ dere con quello d’impedire l’esistenza, si potrebbe ancora con­ statare che il dispotismo industriale si mostra necessariamente meno oppressivo e più indiretto del dispotismo militare, in modo da comportare più numerosi mezzi per addolcirlo o eluderlo; oltre ad un sentimento più netto e più attivo di bisogno reciproco di cooperazione, anche costumi più concilianti debbono allonta­ nare maggiormente così estremi conflitti.

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Infine, se si considera l’azione elementare dell’evoluzione in­ dustriale per modificare le più vaste relazioni sociali, sarebbe si­ curamente inutile insistere qui sulla sua tendenza fondamentale, giàcosì pronunciata nel medioevo, a collegare direttamente tutti i popoli, nonostante le varie cause, anche religiose, di ostilità nalionale. Non soltanto l’assenza così riprovevole di ogni vera si­ stematizzazione progressista non ha potuto neutralizzare sinora l'energia spontanea di questo istinto caratteristico: ma il suo con­ tinuo manifestarsi ha anche superato gli sforzi più attivi di una potente sistematizzazione reazionaria. Ce ne dà un esempio so­ prattutto l’Inghilterra, in cui lo spirito di egoismo nazionale, abilmente stimolato, non ha potuto raggiunger lo scopo, anche nei casi più favorevoli alla sua influenza, di comprimere intera­ mente, nei confronti delle nazioni rivali, il progresso quotidiano delle disposizioni pacifiche, implicite nell’esistenza temporale delle società moderne. Quali che siano state le proprietà originarie dello spirito mi­ litare per l’estensione graduale delle associazioni umane, come hoaccuratamente spiegato, è chiaro che la sua potenza è, a que­ sto riguardo, necessariamente limitata, e che aveva essenzial­ mente esaurito tutto lo sviluppo di cui era suscettibile, sotto il re­ gime iniziale che, sin dal medioevo, ha gradualmente mirato alla suaintera e irrevocabile abolizione, per lasciar agire ormai, nello spiritoindustriale convenientemente sistematizzato, un’attitudine ¿elusiva a permettere infine l’assimilazione totale dell’umanità. Questa sommaria valutazione dei principali attributi elemen­ tari del nuovo fattore temporale era indispensabile qui, per ca­ ratterizzare con precisione il profondo cambiamento apportato dalla sua crescente preponderanza alla forma primitiva della so­ cialità. Riprendendo ora il corso diretto della nostra trattazione sto­ ricacon l’analisi del continuo progresso della potenza industria­ le, a partire dal xiv secolo, occorre innanzitutto definire esatta­ mente l’insieme della sua posizione necessaria nei confronti de­ gli antichi poteri sociali e la direzione corrispondente del suo sviluppo ulteriore. In tutto questo movimento elementare di ri­ composizione temporale, dovremo ormai prendere in esame so­ prattutto l’industria urbana, che ne è stata finora la principale sede, a causa di una conseguenza più lontana delle stesse diífe-

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renze fondamentali sopra segnalate per spiegare innanzitutto l’emancipazione più tardiva dell’industria rurale, la cui evolu­ zione sociale è ancora così arretrata. La politica spontanea delle classi lavoratrici, che un felice istinto ha quasi sempre loro suggerito, sin dalla loro completa emancipazione nel medioevo, si è soprattutto differenziata, salvo deviazioni passeggiere o locali, per questi due attributi perma­ nenti, conseguenze necessarie della situazione generale: il carat­ tere peculiare della specializzazione e la condizione indispensa­ bile della libertà. Vale a dire che l’ambizione predominante delle nuove forze è stata concentrata verso il loro sviluppo industriale, astenendosi dal prendere realmente parte all’alta gestione degli affari pubblici, se non per ciò che si riallacciava a questo fine, la cui realizzazione non poteva allora far nascere altro grande bi­ sogno politico di quello di un progresso sufficientemente libero delle facoltà industriali. In effetti l'indipendenza originaria delle comunità urbane, in quanto era l’unica garanzia di questa libertà elementare, nello stato sociale del medioevo, conservò a lungo un’importanza veramente fondamentale, nonostante le gravi aberrazioni che poteva suscitare. Occorre attribuire la stessa finalità fondamentale all’esisteoza dapprima così protettiva, anche se successivamente oppressiva, delle corporazioni che, in ogni comunità urbana, univano i cit­ tadini di ogni professione, e senza le quali la sicurezza del lavoro individuale sarebbe stata allora spesso compromessa. Esse ebbero, inoltre, un’utile influenza morale più prolungata, nel favorire l’intimo sviluppo dei costumi industriali, concorrendo a preve­ nire l’incostanza naturale che poteva spingere a cambiamenti di carriera troppo disordinati, soprattutto in tempi in cui il nuovo modo d’esistenza non poteva essere ancora sufficientemente ap­ prezzato. Questa è la vera origine generale della caratteristica passione dei moderni per la libertà universale e costante, conseguenza na­ turale c complemento necessario dell’emancipazione personale, destinata ad assicurare a ciascuno lo sviluppo conveniente della sua attività normale: l’istinto popolare ha normalmente giudi­ cato questa libertà meglio della ragione speculativa, che, con un errato accostamento, si sforzava di subordinarlo sempre alla li­ bertà politica degli antichi, di cui la schiavitù dei lavoratori co-

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jlituiva l’indispensabile condizione per una turbolenta partecipa­ zione della casta guerriera alla direzione quotidiana degli affari comuni. Ora, lo spirito feudale era evidentemente molto favo­ revole a soddisfare spontaneamente questo bisogno fondamenta­ le, che non poteva in primo tempo dare luogo ad alcun conflitto abituale. Quando lo slancio industriale ha potuto aver inizio, i suoi risultati naturali hanno gradualmente sviluppato in séguito, nei confronti dei diversi poteri preponderanti, un mezzo di azio­ nesempre più irresistibile, trascinando involontariamente i ne­ mici più sistematici dell’industria moderna a nuove fruizioni di comodità e soprattutto di vanità, inerenti al suo corso perma­ nente. Non è caratteristico solo dei nostri giorni il fatto che, nelle classi più ostili alle conseguenze sociali dell’evoluzione indu­ striale, i più ostinati conservatori non abbiano potuto rassegnarsi arinunciare alle soddisfazioni private che essa procura abitual­ mente, e la cui dolce influenza giornaliera scaccia spontanea­ mente ogni germe serio di reazione conservatrice: questa incon­ gruenza e questo svago sono certamente esistiti, sia pure ad un livello minore, anche nei tempi più vicini alla liberazione origi­ naria, quando non potevano essere affatto previsti i suoi grandi effetti successivi. Così la politica iniziale delle classi lavoratrici, per il solo fatto di essere esclusivamente industriale, si fondava su basi certe e incrollabili : la sua saggezza istintiva era, in realtà, ben superiore aquella dei piani faticosamente concepiti allora da tanti ambi­ ziosi teorici che si sforzavano, al contrario, di far sorgere in seno alle città un’attività principalmente politica, che avrebbe sviato l'opera appena iniziata, ed attirato su di essa l’unanime riprova­ zione dei poteri dominanti. Si deve dunque, contro l’opinione comune, considerare come particolarmente favorevole al vero svi­ luppo sociale del nuovo elemento temporale l’oppressione gene­ raleesercitata complessivamente dal regime militare c teologico. Infatti, secondo l’influenza più ordinaria, questo freno fondamentale, sufficientemente forte per mantenere le nuove forze in statodi inferiorità politica, non poté acquistare un’intensità ca­ pacedi ostacolare il loro sviluppo sociale. Questa situazione na­ turale, la cui durata indefinita sarebbe stata, senza dubbio, disa­ strosa, ma d’altronde fortunatamente impossibile, era, in origine,

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tanto indispensabile all’intcriore formarsi delle abitudini indu­ striali, che quando circostanze eccezionali impedirono a questa resistenza di diventare sufficientemente forte, lo sviluppo indu­ striale ne è stato profondamente turbato, per la biasimevole me­ scolanza con la tendenza, veramente reazionaria, verso il sistema di dominazione guerriera, il solo che potesse ancora soddisfare la vana ambizione politica delle città troppo indipendenti, in un periodo così vicino al completo predominio temporale. Tale ne­ cessità è stata tristemente pronunciata soprattutto nelle funeste, mutue animosità e nelle crudeli agitazioni intestine: per la mag­ gior parte delle città italiane, eccettuata la saggia Venezia, ove aveva potuto prevalere ben presto una fortunata combinazione, queste costituirono, nel xm e xiv secolo, un doloroso compenso dei vantaggi originari che la loro precoce emancipazione aveva tratto da una minore oppressione politica, fino al momento incui la loro burrascosa indipendenza ebbe ovunque condotto alla su­ premazia di una famiglia locale, prima feudale in Lombardia, poi industriale in Toscana. Si può anche constatare come le principali città svizzere do­ vettero più tardi ad una causa simile gli abusi caratteristici rela­ tivi ad una loro dominazione troppo oppressiva sulle campagne circostanti, che sembravano non aver fatto altro che cambiare Sotto questo aspetto fondamentale, le città anseatiche, anche se collocate, come quelle italiane, in un ambiente troppo poco concentrato, si trovarono in una situazione molto più favorevole. In effetti, a causa degli stessi ostacoli naturali al loro sviluppo politico, sfuggirono fortunatamente alle sterili perturbazioni del­ la vita industriale, che potè così svilupparsi in modo corretto, e tuttavia più rapido che non quella esistente nelle grandi orga­ nizzazioni feudali, come quelle della Francia e dell'Inghilterra. Così, in tutto l’Occidente europeo, gli ostacoli generali, che il re­ gime corrispondente sembra avere in primo tempo posto al nuo­ vo elemento temporale, costituirono, in origine, le vere condi­ zioni essenziali della sua evoluzione normale. Se, all’inizio di questo capitolo, ho creduto opportuno attribuire grande impor­ tanza, per la determinazione dell’epoca iniziale, alla prima am­ missione delle classi lavoratrici nelle diverse assemblee nazionali, ciò non è affatto per l’influenza, assai poco profonda in effetti,

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cheuna simile elevazione politica poté esercitare immediatamen­ tesul loro sviluppo sociale, ma per indicare un sintomo irrefu­ tabile della potenza universale che avevano già acquistato. Dopo aver esaminato la situazione primitiva dell’elemento industriale nei confronti di tutto l’antico organismo, occorre ora caratterizzare sommariamente la sua specifica relazione con cia­ scunodei principali poteri corrispondenti. Quanto alla potenza cattolica, è evidente che lo sviluppo indu­ striale doveva allora ricevere da essa un’accoglienza particolar­ mente favorevole per la sua duplice conformità spontanea sia con lospirito generale della costituzione spirituale sia con le esigenze particolari della carità ecclesiastica nel suo antagonismo politico, tome ho già precedentemente indicato. Ma qui interessa notare come questa utile convergenza, prima inerente alla vera finalità socialedel potere spirituale, fosse, sin dalle origini, notevolmente alterata dalle inevitabili opposizioni insorgenti dalla natura sfor­ tunatamente teologica della filosofìa corrispondente che abbiamo gii visto neutralizzare, per altri aspetti, gli attributi essenziali del governo morale. Questa restrizione non si ricollega affatto alla tendenza antiteologica necessariamente inerente all’industria convenientemente sviluppata, una volta che abbia largamente manifestato il suo vero carattere filosofico con una grande per­ manente azione dell’umanità sul mondo esterno, come ho già indicato, in principio, nell’ultimo capitolo del tomo quarto: que­ stoconflitto necessario si è prodotto in un periodo troppo poste­ riore per poter essere considerato qui. Astrazione fatta da questa opposizione radicale, che sarà esaminata in séguito, debbo se­ gnalare ora il contrasto fondamentale che doveva verificarsi tra lo sviluppo generale di una fervente attività industriale e l'esclusiva preoccupazione cristiana della salvezza eterna, ne­ cessariamente imposta dalla dottrina religiosa, la cui incapacità pratica a dirigere la nuova esistenza delle popolazioni civili do­ veva diventare così sempre più evidente. Lo spirito assoluto, e per conseguenza immobile, inevitabilmente proprio di una tale dottrina, non poteva d’altronde permettere, senza snaturarsi, al­ cuna modificazione morale conveniente ad una situazione so­ dale che non era stata sufficientemente prevista nell'elaborazione primitiva del cattolicesimo, da allora ridotto a interve­ nire solo con prescrizioni troppo vaghe c imperfette, e spes-

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so anche tanto incompatibili con la realtà, da divenire diretta­ mente contrarie alle più evidenti condizioni normali della vita industriale. È così, per esempio, che, sin dalle origini, le irrazio­ nali declamazioni dei clero contro l’interesse dei capitali, benché avessero potuto dapprima temperare un’ignobile cupidigia, non hanno tardato a diventare doppiamente fastidiose per le opera­ zioni industriali, sia impedendo indispensabili transazioni, sia provocando indirettamente esorbitanti estorsioni. Non fosse che a questo titolo, è evidente che lo spirito industriale doveva ben presto trovarsi, in pratica, in conflitto abituale con Io spirito cat­ tolico, che, anche oggi, non ha ancora potuto pervenire, nono­ stante le molte laboriose speculazioni teologiche, a stabilire nes­ suna teoria generale del prestito a interesse. A questo proposito è stato dunque necessario che l’industria moderna contravvenisse continuamente alle norme cristiane, in modo da constatare pro­ fondamente l’insufficienza pratica di una morale religiosa, inac­ cessibile alle più irrefutabili ispirazioni della saggezza comune. Simile ordine di considerazioni spiega facilmente perché le classi lavoratrici, pur accogliendo con rispetto l’utile intervento del clero nei loro affari generali, dovessero provare tuttavia una predilezione istintiva per i diversi elementi del potere tempo­ rale, da cui la loro pacifica attività continua non poteva temere ordinariamente nessuna grave opposizione sistematica. Nonostan­ te l’inevitabile rivalità sociale che doveva successivamente sorgere tra l'aristocrazia industriale e l’aristocrazia nobiliare, dopo che quest’ultima aveva perduto la superiorità militare che la caratte­ rizzava, è chiaro che le classi lavoratrici, troppo a lungo subal­ terne per osare la concorrenza, anche con l’aiuto delle più grandi ricchezze, dovevano dapprima considerare i nobili sia come in­ dispensabile stimolo alla produzione giornaliera per il loro lusso, sia anche come i migliori modelli di perfezionamento individuale per la superiorità naturale della loro educazione morale. Sotto l'uno e l’altro aspetto non c’è dubbio che i costumi feudali, anche facendo astrazione dall’utilità della loro missione guerriera, han­ no esercitato per molti secoli una fortunata influenza sullo svi­ luppo fondamentale deH’industria moderna. La produzione di­ retta di oggetti destinati al più gran numero di persone ha po­ tuto costituire solo molto tardi un alimento sufficiente all’atti­ vità commerciale o manifatturiera; e benché ai nostri giorni

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questo progresso sia infine felicemente compiuto, esso altera ancora troppo raramente la tendenza naturale dei migliora­ menti industriali a rivolgersi dapprima alle maggiori fortune, persino nel caso in cui la loro principale estensione dipende es­ senzialmente da una completa popolarizzazione ulteriore. Simil­ mente, dal secondo punto di vista, è chiaro che la superiorità sociale e la ricchezza ereditaria dovevano ordinariamente tendere aconservare, nelle classi feudali, una generalità di vedute ed una generosità di sentimenti, difficilmente compatibili con la preoc­ cupazione specifica di un'economia di lavoro, c che dovevano naturalmente sembrare alle classi industriali degni oggetti d’imi­ tazione, A questo duplice titolo, le grandi fortune patrimoniali costituiranno certamente sempre, anche dopo la più saggia rige­ nerazione sociale, la fonte di un’influenza considerevole, che, degnamente sistematizzata, è suscettibile dei più felici risultati peril miglioramento universale della condizione umana; si giu­ dichi dunque quale dovesse essere la loro importanza in tempi così vicini al primo sviluppo industriale! Ma, per quanto vantaggiose possano essere state, in generale, lerelazioni normali delle classi lavoratrici con l’elemento locale dell’antico organismo temporale, fino al prodursi successivo di una rivalità più o meno diretta, si capisce ancor meglio come leloroprincipali simpatie sociali dovessero quasi sempre volgersi dipreferenza verso l’eleinento centrale, anche indipendentemente dai motivi particolari di solidarietà politica che, nel caso più fre­ quente, dovevano far loro preferire la monarchia alla nobiltà. Infatti, nel potere monarchico l’industria trovava allora evidente­ mente realizzate nel più alto grado le condizioni precedenti di aSinità primitiva con la potenza feudale, spontaneamente spo­ gliate, da ambedue le parti, in virtù di una superiore elevazione, di ogni fonte abituale di gravi scontri : si debbono eccettuare le penepecuniarie, che non potevano anzitutto apparire troppo one­ rosea popolazioni assennatamente disposte, da un lungo uso an­ teriore, a considerare come particolarmente positiva la facoltà di convertire cosi i loro diversi ostacoli sociali. Così questa predile­ zionespeciale verso la monarchia si è fatta sentire anche là dove leclassi industriali, come spiegherò appresso, sono state eccezio­ nalmente condotte ad allearsi con la nobiltà contro di essa, so­

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prattutto in Inghilterra, dove simile tendenza permanente ha molto ritardato la decadenza naturale del potere monarchico. Questa era, dunque, in generale, nel xiv secolo, la situazione fondamentale del nuovo elemento temporale, sia relativamente al complesso dell’antico organismo europeo, sia nei confronti delle diverse branche principali. La particolare politica che ne scaturì spontaneamente per le classi lavoratrici si trovò dapprima nei paesi più precoci, soprattutto in Italia, sotto la direzione na­ turale delle influenze, ecclesiastica o nobiliare, che erano state disposte o costrette ad integrarsi sufficientemente nelle comunità industriali. Si distingue in essa, allora, in modo così illuminante, l'elevato intervento primitivo, ordinariamente così felice, dei nuo­ vi ordini religiosi, e poi l’importanza più durevole di qualche grande famiglia feudale, abilmente impegnata a fondare il pro­ prio ingrandimento su tale integrazione. Ma, senza smettere di subire totalmente l’azione permanente di questi due elementi estranei, gli interessi sociali dell’industria dovettero spontaneamente cadere a poco a poco sotto l’uniforme direzione dei giuristi, tanto più esclusiva quanto più le città era­ no indipendenti, in séguito a una integrazione molto più comple­ ta : il fatto è chiaramente visibile, per esempio, in quella curiosa classificazione industriale che formava la base della costituzione fiorentina, in cui gli avvocati ed i notai figuravano in testa a quelle che erano chiamate le arti maggiori. Si capisce facilmente, in effetti, quale ascendente familiare avesse dovuto spontanea­ mente acquistare, presso tali popolazioni, una classe i cui inte­ ressi erano allora, anche se radicalmente eterogenei, intimamente connessi coi loro, e che sola poteva possedere rabitudine di una certa generalità di concezioni sociali. È così che i giuristi, già na­ turalmente investiti, secondo le spiegazioni del capitolo preceden­ te, della direzione temporale del movimento di disgregazione, hanno nello stesso tempo ottenuto ordinariamente la principale influenza nella parte corrispondente della progressione organi­ ca: in modo da restare ancora, per l’uno e l’altro aspetto, i de­ plorevoli capi di tutto il movimento politico attuale. Per quanto disastrosa sia diventata in séguito la loro influenza politica, non bisogna tuttavia dimenticare che in questo primo periodo, esa era non solo indispensabile, ma anche inevitabile, sia per la pro­ gressione organica, sia per quanto abbiamo già detto a proposito

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diquella critica. Infatti, nonostante i difetti costanti che le sono propri, questa classe era allora la sola capace, normalmente, di discutere gli interessi generali della politica industriale con gli antichi poteri; contemporaneamente le classi lavoratrici potevano sviluppare più liberamente la loro attività caratteristica, mentre unavana agitazione politica avrebbe allora gravemente turbato losviluppo spontaneo, principale base successiva del loro predo­ minio sociale. Avendo analizzato ormai a sufficienza, per quanto concerne l'evoluzione fondamentale del nuovo elemento temporale, prima lasua origine essenziale, poi il suo carattere specifico, e infine la suasituazione generale nei confronti dell’ambiente politico cor­ rispondente, ora non ci resta più, per completare questo esame storico del principale fattore delle società moderne, che caratte­ rizzare sommariamente il suo sviluppo universale nel memora­ bile periodo dei cinque secoli che hanno seguito il suo sviluppo iniziale, secondo il cammino indicato all’inizio di questo capitolo. Studiando, nella lezione precedente, il corso simultaneo del movimento rivoluzionario, siamo stati spontaneamente condotti, senzapregiudizio alcuno, e per la sola tendenza diretta delPinsiemedegli avvenimenti, a dividere successivamente questa grande epoca preparatoria in tre fasi consecutive, secondo lo stato più o menoavanzato della dissoluzione politica : la fine del xv secolo servea separare il tempo in cui la dissoluzione, spirituale e tem­ porale, era soprattutto spontanea da quello in cui era divenuta gradualmente sistematica; e, per questa ultima età, la metà circa del xvii secolo divide il regno diretto della filosofia negativa in criticaprotestante, puramente preliminare, e critica deista, la sola decisiva: donde risultano finalmente tre periodi di poco ineguali, comprendenti pressappoco, il primo sei generazioni, il secondo cinque, e l’ultimo quattro, almeno arrestando quest'ultimo, come abbiamo dovuto fare, all’inizio della Rivoluzione francese. Ora, lafondamentale razionalità di tale divisione generale del nostro passatoimmediato sta per ricevere la migliore c meno equivoca conferma, per il fatto che lo stesso ordine deve naturalmente pre­ siedere all’esame filosofico del movimento elementare di riorga­ nizzazione temporale, i cui progressi principali corrispondono, ineffetti, con notevole convergenza, ai diversi gradi necessari del movimento di disgregazione. Poiché questa concordanza es­

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senziale deve evidentemente risultare, a priori, dalla connessione naturale delle due serie, la sua verifica peculiare dovrà recipro­ camente rendere profondamente incontestabile a tutti gli spiriti colti l’obbligo di procedere ormai in ogni sano esame dei tempi moderni secondo la nuova divisione, che sono stato condotto a stabilire: assicuro che soltanto essa può sostenere conveniente­ mente la prova decisiva di una sufficiente conformità ha pro­ gressione critica e progressione organica, il cui concorso perma­ nente costituisce, ai miei occhi, per una tale età, il vero criterio della razionalità storica. La prima fase, che, nella serie negativa, abbiamo giudicato, sotto tanti aspetti, la più importante, conserva certamente la stessa superiorità fondamentale nella nostra serie positiva, non­ ostante le prevenzioni ordinarie nell’uno e nell’altro caso. In effetti, durante i due secoli relativi alla principale disgre­ gazione spontanea del regime cattolico c feudale in séguito alle lotte intestine tra i suoi elementi essenziali, l’industria ha real­ mente cominciato a stabilire in modo irreversibile il suo pre­ dominio elementare, in modo da manifestare già il vero carat­ tere pratico della civiltà moderna. Si capisce anche facilmente che questo crescente sgretola­ mento dell’antico ordine c la sua tendenza continua verso la dittatura temporale che ne doveva provvisoriamente risultare, secondo la teoria del capitolo precedente, dovevano essere emi­ nentemente favorevoli all’evoluzione industriale, che i diversi poteri si sforzavano a gara di favorire, sia per una propensione diretta, essenzialmente comune a tutti, e conseguenza dello spi­ rito cattolico e feudale, così a lungo protettore dell’industria nascente, sia per motivi politici che dovevano più specificata­ mente predisporre l’elemento temporale, aspirante allora ad un predominio assai contestato, a procurarsi l’appoggio delle nuove forze, la cui alta importanza sociale era già pienamente incon­ testabile. In senso inverso, non c’è dubbio che l’estensione ed il consolidamento della vita industriale abbiano allora diretta­ mente cominciato a favorire attivamente l’intima disgregazione naturale dell’antica costituzione sociale, mirando sempre più, soprattutto nelle città e di conseguenza, anche se ad un livello minore, nelle campagne, a distruggere completamente l’antica subordinazione continua che precedentemente legava ad essa

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lamaggioranza delle classi inferiori. Le grandi città, principali centri, in ogni tempo, e soprattutto in quelli moderni, della ci­ viltàumana, come ricorda così felicemente un’etimologia espres­ sa, risalgono principalmente sino a questa fase fondamentale, primadella quale l’importanza di Londra, di Amsterdam, ecc., cdanche di Parigi, era ancora assai debole. Sebbene le cause puramente politiche abbiano dovuto molto influire su tale fe­ nomeno, esso è in fondo principalmente derivato, allora come oggi, dallo sviluppo industriale, che ha impresso a questi di­ versi centri europei quel carattere fondamentale di benevola so­ lidarietà reciproca verso le popolazioni meno condensate, così diverso dal superbo spirito di dominazione universale proprio, nell'antichità, dei rari capoluoghi dell’attività militare. Fra le numerose istituzioni che in quest’epoca testimoniano, conevidenza, la preponderanza nascente della vita industriale suquella militare, debbo limitarmi a segnalare, in modo parti­ colare, quella che, sia come sintomo sia come causa, fu sicura­ mentela più decisiva fra tutte : l’istituzione universale di armate mercenarie, dapprima temporanee sino all’inizio di questa fase, tovunque permanenti verso la fine. Ne ho già sufficientemente indicato nel capitolo precedente la profonda portata nell’acceIcrare notevolmente la disgregazione spontanea dell’antico or­ dine temporale; dobbiamo ora considerarla solo relativamente alla sua influenza, veramente fondamentale, sul movimento in­ dustriale, Vedendo nascere questa grande innovazione, in Ita­ lia, all’inizio del xiv secolo, prima a Venezia, poi a Firenze, ognuno può facilmente constatarne l’origine essenzialmente in­ dustriale, ugualmente evidente anche nel suo ulteriore esten­ dasi a tutto il resto dell’Occidente : ovunque diviene una mani­ festazione non equivoca dell’ostilità crescente delle nuove popo­ lazioni verso i costumi militari, concentrati ormai in una mino­ ranza specializzata, la cui percentuale non ha mai cessato di de­ crescere, in generale, nonostante l’accrescimento numerico delle armate moderne. Quanto alla reazione organica di simile isti­ tuzione sufficientemente sviluppata, è chiaro che senza di essa losviluppo universale della vita industriale non avrebbe potuto divenire convenientemente decisivo, per la mescolanza di abi­ tudini guerriere, che avrebbero continuato ad alterarne la pura efficacia morale in seno alle popolazioni europee. Questo feno­

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meno preliminare era indispensabile soprattutto perché le classi inferiori potessero infine essere irrevocabilmente sottratte alla subordinazione feudale e pienamente collegate, come oggi, ai capi naturali del loro lavoro giornaliero; mentre, d’altra parte, 10 sviluppo industriale tendeva a distruggere fondamentalmente la grande influenza popolare che possedeva il clero con il suo vasto sistema di carità pubblica, da allora sempre più secondario, di fronte alle nuove strade, superiori tanto in importanza quan­ to in moralità, che l’industria cominciava ad aprire spontanea­ mente al miglioramento universale delle condizioni temporali. La duplice influenza così esercitata era per l’organizzazione elementare del lavoro europeo tanto più sicura in quest’epoca in quanto la scarsità naturale degli operai, e specialmente di quelli dotati di qualche abilità, rendeva la loro situazione rela­ tiva ben più favorevole che non ai nostri giorni. In una parola, sotto qualsiasi aspetto industriale si studi questa memorabile fase, vi si troverà chiaramente il primo germe sociale dei diversi progressi che hanno in séguito caratterizzato, così clamorosa­ mente, le due fasi posteriori. Vi si vede anche, sin dall’inizio, 11 delinearsi primitivo, distinto anche se imperfetto, del vero si­ stema del credito pubblico, giustamente considerato oggi come uno dei princìpi fondamentali della costituzione industriale, ma per il quale si suppone comunemente una fonte molto recente: in effetti risale certamente agli sforzi di Firenze e Venezia, verso la metà del xiv secolo, ben presto seguiti dalla vasta organizza­ zione della banca di Genova, molto prima che l’Olanda, e poi l’Inghilterra, potessero acquistare una grande importanza finan­ ziaria. Se, dopo questo esame sommario di ciò che lo sviluppo so­ ciale dell’industria ha allora offerto di essenzialmente uniforme in tutto il nostro Occidente, si considerano le principali diffe­ renze che, sotto questo aspetto, dovevano distinguere i diversi elementi generali della repubblica europea, si trova ancora che esse si accordano spontaneamente con quelle che il capitolo pre­ cedente ha pienamente caratterizzato, per ciò che riguarda il movimento simultaneo di disgregazione temporale, a seconda che abbia mirato all’irrevocabile preponderanza del potere cen­ trale o del potere locale. Si vede, in effetti, in questo immenso conflitto decisivo tra monarchia e nobiltà, l’industria, ovunque

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sollecitata dalle due parti, pronunciarsi, più spesso, secondo l'ammirevole intuito della situazione che aveva sino ad allora caratterizzato la sua politica istintiva, per quella delle due po­ tenzeche, in origine la più debole, doveva poi ottenere il predo­ minio finale, utilmente favorita da tale soccorso. Senza alcun calcolo sistematico, questa saggezza spontanea risultava eviden­ temente dalla predilezione particolare che le classi lavoratrici dovevano gradualmente concepire per quello fra i due poteri antagonisti che, per la sua inferiorità primitiva, doveva essere il meglio disposto ad assicurarsi la loro assistenza con dei ser­ vizi convenienti. Così, diversamente determinata da uno spirito identico, la forza industriale in Francia strinse con la monarchia lapiù intima alleanza politica: mentre al contrario in Inghil­ terra si collegò con l’aristocrazia feudale contro il trono, nono­ stante la propensione naturale, sopra spiegata, che, là come in tutti gli altri ambienti, l’attirava in senso inverso. Tale diversità doveva ricevere il suo sviluppo attivo sotto le altre due fasi, nel corso delle quali ha concorso a costituire le differenze fondamentali tra l’industria francese e l’industria inglese, la pri­ matendente soprattutto ad una centralizzazione sistematica, la seconda a leghe spontanee, ma parziali, secondo la natura pro­ priadegli elementi feudali che scelsero per render stabile questa lunga alleanza politica. Sebbene mi debba limitare a segnalare \ì vera origine storica di questi attributi, debbo d’altronde no­ tareche, nella nostra serie positiva attuale, come nella serie ne­ gativa del capitolo precedente, il caso francese è stato essenzial­ mente normale e comune alla maggior parte della repubblica europea; mentre il caso inglese è stato, al contrario, eminente­ mente eccezionale, ma realizzato tuttavia, in minor grado, in qualche altra popolazione occidentale, come ho indicato nei con­ fronti del movimento critico. È chiaro in effetti che il primo modo d’evoluzione temporale è necessariamente molto più fa­ vorevole al predominio sociale dell’industria moderna, il cui principale avversario universale era naturalmente la nobiltà, al trionfo politico della quale il secondo modo l’obbligava irra­ zionalmente a concorrere essa stessa. L ’influenza spontanea dell'uQa c dell'altra via sull’educazione mentale della potenza in­ dustriale conduce anche a conclusioni analoghe, mostrando che quella eccezionale, o inglese, doveva tendere a fortificare, con

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tale alleanza, le abitudini di specializzazione dispersiva, la cui preponderanza costituiva necessariamente, sotto l’aspetto intel­ lettuale, il difetto universale dell’evoluzione industriale; men­ tre la via normale o francese tendeva al contrario a correggere spontaneamente, ad un certo livello, questo inconveniente fon­ damentale, in séguito alle abitudini scaturite da una direzione politica più elevata e più sistematica, suscettibile di meglio pre­ parare le nuove classi alla ulteriore concezione razionale di una vera organizzazione generale, ancora così confusamente accen­ nata finora. Verso la fine stessa della fase in esame, questa grave differenza mi sembra già realmente caratterizzata, sotto molti aspetti interessanti, e soprattutto da una grande istituzione cen­ trale, che ha così felicemente influito sin da allora su tutto lo sviluppo industriale : si capisce che si tratta della creazione di posti di guardia, voluta allora dalla monarchia francese, con la quale l’illustre Luigi XI ha cominciato a rilevare l’utile inter­ vento di un’influenza generale nel sistema dell’industria euro­ pea; mentre lo spirito inglese ha spesso suscitato la diffidenza nazionale contro ogni direzione centrale fino a respingere diret­ tamente, come si sa, l’organizzazione di una polizia abbastanza estesa da garantire la sicurezza delle grandi città britanniche, in cui questo importante miglioramento è stato particolarmente tardivo. Considerando infine questa fase fondamentale da un punto di vista più particolare, vi si ritrova ancora lo spirito fondamen­ tale della civiltà moderna profondamente impresso fin nella na­ tura tecnologica delle grandi invenzioni che hanno influito al­ lora sul destino ulteriore dell’umanità. Ho indicato, prima, alla fine della cinquantaquattresima lezione, che i procedimenti moderni si distinguono essenzialmente da quelli impiegati dagli antichi in usi equivalenti, per la tendenza crescente a sostituire i diversi agenti esterni all’azione fisica della forza umana; ho ricollegato questa fondamentale differenza aH’emancipazione personale che, nei moderni, ha reso l'agente umano molto più prezioso, mentre la schiavitù antica, permettendo di prodigar: l’attività muscolare dell’uomo, respingeva ogni larga applica­ zione ordinaria delle forze naturali. Gli ultimi secoli del me­ dioevo si erano già resi celebri, a questo proposito, per diverse creazioni importanti, il cui uso giornaliero dovrebbe meglio far­

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ci sentire la barbarie del pregiudizio filosofico che attribuisce una tenebrosa tendenza ai tempi memorabili in cui l’umanità nefu gratificata. Tuttavia è soprattutto nella terza fase moderna che questo grande carattere della nostra industria è dovuto svi­ lupparsi convenientemente, come spiegherò a suo luogo. Ma è tuttavia necessario osservar ciò già nei confronti della nostra prima fase, in cui le condizioni fondamentali della società mo­ derna mi sembrano aver determinato soprattutto tre invenzioni rapitali. Un’irrazionale valutazione attribuisce finora la loro origine a cause puramente accidentali, mentre nessun avveni­ mento industriale mi sembra esser stato meglio preparato dal sistema delle influenze contemporanee: si tratta della bussola, dellearmi da fuoco e della stampa. Sebbene l'invenzione della bussola abbia certamente prece­ duto, di circa due secoli, l’epoca che esaminiamo, è tuttavia al nv secolo che occorre spostare il suo sufficiente perfezionamen­ to, e soprattutto il suo uso attivo. Questo lento progresso è esso stesso assai adatto a indicare che la vera fonte razionale si tro­ vava, in fondo, nel complesso della nuova situazione sociale che spingeva ormai, con un’energia continua, all’estensione e al mi­ glioramento della navigazione europea, imponendo, d’altronde, un’economia sempre più indispensabile delle forze fisiche del­ l'uomo. Sarebbe dunque strano che queste necessità avessero gradualmente ispirato il perfezionamento successivo, e persino laricerca iniziale di simile scoperta, in un tempo in cui la filo­ sofa naturale cominciava già ad essere attivamente coltivata? Quando si è visto, ai nostri giorni, tanti spiriti superficiali at­ tribuire al solo caso la bella osservazione originale del signor Oersted1 sulla reciproca influenza mutua della pila voltaica e dell’ago calamitato, come ho segnalato nel secondo volume di questo trattato, si deve sicuramente diffidare dell’irrazionale presunzione che ha comunemente supposto per la bussola un’o­ rìgine puramente accidentale, specificamente smentita d’altron­ de da preziose testimonianze storiche, direttamente relative ai piùantichi abbozzi di teoria, grossolani ma progressivi, di cui i fenomeni magnetici sono stati oggetto nel medioevo.i. i. Jan Christian Oersted, fisico e chimico danese (1777-1B51), uno dei primi «piati a sperimentare la pila; la sua grande scoperta fu quella dcU’etenromagnelismo.

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Siffatta correzione di pregiudizi correnti è ancora più note­ vole e più importante nei confronti dell’invenzione, o piuttosto, forse, introduzione usuale*, delle armi da fuoco, in cui ogni spirito veramente filosofico avrebbe dovuto vedere ormai, mi sembra, l’influenza fondamentale della nuova situazione socia­ le, che spingeva, in modo diretto e potente, a perfezionare mol­ to i procedimenti militari, affinché pacifiche popolazioni indu­ striali potessero infine lottare realmente contro i tentativi op­ pressivi della casta guerriera, senza alterare abitualmente i loro lavori con un lungo e faticoso apprendimento, che doveva an­ che essere il più delle volte insufficiente contro i recenti pro­ gressi dell’armamento feudale. La scoperta chimica della pol­ vere da sparo è, per sua natura, di una tale facilità che ci si do­ vrebbe piuttosto meravigliare che avesse così a lungo resistito ai numerosi sforzi che simile stimolo permanente doveva ovun­ que suscitare, a questo proposito, in un periodo in cui l’ardore scientifico era già d’altronde vivamente svegliato, soprattutto per quanto riguarda le miscele esplosive. Occorre notare, inol­ tre, che questo cambiamento si riallacciava allora, per sua na­ tura, all’istituzione nascente delle armate mercenarie: i re e le città avevano un forte interesse a mettere un piccolo numero di guerrieri scelti in condizione di trionfare su una potente coalia. Un filosofo militare che ho già citato in una nota della cinquanta treesima lezione ha pensato, ai nostri giorni, che la polvere era sempre stata conosciuta a partire dall’antica dominazione delle teocrazie orientali, e che il suo impiego, mai totalmente abbandonato, era soltanto stato esteso, sotto nuove forme, ad usi militari più considerevoli da arditi esploratori della fine del medioevo. Questa ipotesi non sarebbe cerco per nulla con­ traria al mio esame storico, in quanto dimostra che tale uso aveva as­ sunto una grande importanza proprio nei tempi in cui i bisogni sociali nc avevano sollecitato l'estensione. Quanto alla sua verosimiglianza in­ trinseca, l’autore la fondava sulla notoria nitrificazione spontanea della superfìcie del suolo in molti luoghi dell'Egitto, dell'India, ed anche della Cina, in cui, senza aver bisogno, in effetti, di grandi conoscenze chimiche, la saggezza sacerdotale l’avrebbe facilmente applicata a consolidare il do­ minio della teocrazia: ciò che egli tentava di dimostrare con le inge­ gnose risorse che traeva naturalmente dalla sua vasta erudizione speciale, fondata soprattutto su numerosi passi biblici, da cui credeva di poter con­ cludere che l’uso prolungato delle miscele esplosive era scato insegnato a Mosè dai preti egiziani.

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zione feudale. Senza in alcun modo condividere le irrazionali esagerazioni relative a questa invenzione, la cui importanza so* cíale è tuttavia incontestabile, devo segnalare due nuove consi­ derazioni fondamentali, tendenti a rettificare, a questo propo­ sito, la comune opinione dei filosofi. La prima, già indicata al­ l'inizio, nel cinquantatreesimo capitolo, consiste nel notare che taleprogresso non indica affatto, nei moderni, una recrudescen­ za imprevista dello spirito militare: i guerrieri d’allora deplo­ ravano, al contrario, con una così giusta ingenuità, che si an­ dassenotevolmente accelerando il moto di diminuzione univer­ sale. Ogni conveniente valutazione comparativa stabilirà chiara­ mente, in generale, che nonostante questa grande innovazione l'industria militare degli antichi era, tenuto conto dei tempi e dei mezzi, molto superiore alla nostra, data l’importanza molto maggiore che la guerra doveva avere abitualmente per loro. Oggi soprattutto è chiaro che i procedimenti militari sono infi­ damente al disotto della potente estensione che le nostre cono­ scenze e le nostre risorse permetterebbero d’imprimere rapida­ mente a tutto l’apparato distruttivo, se le nazioni moderne po­ tessero mai subire, sotto questo aspetto, attraverso una situazio­ ne eccezionale, uno stimolo, anche passeggierò, equivalente a quello che sollecitava comunemente i popoli antichi. L ’altra correzione si riallaccia alla confusione storica in cui si cade fre­ quentemente, attribuendo aH’introduzione delle armi da fuoco unaserie maggiore di conseguenze sociali, dovute invece all’isti­ tuzione simultanea dei soldati permanenti: è così che eminenti filosofi, e soprattutto A. Smith, hanno spiegato la tendenza delle guerre moderne a collocarsi sempre di più sotto la dipen­ denza dello sviluppo industriale, in séguito aH’enorme accresci­ mento delle spese militari. Ora questa incontestabile estensione di spese pubbliche mi sembra derivata, al contrario, dalla sosti­ tuzione crescente delle truppe assoldate alle armate volontarie egratuite, trasformazione che avrebbe certamente prodotto tale risultato, anche se la natura delle armi non fosse stata cambiata : come indica adeguatamente un paragone tra le spese rispettive dei due sistemi, da cui, forse, si dovrebbe piuttosto concludere chei nuovi procedimenti procurarono dapprima una vera econo­ mia totale. Credo necessario infine segnalare, a proposito di questo importante argomento, una conseguenza veramente ot-

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tima e nondimeno rimasta incompresa sinora, di questa grande rivoluzione militare che, imprimendo aU’arte della guerra un carattere sempre più scientifico, ha direttamente mirato a inte­ ressare tutti i poteri all’attivo sviluppo continuo della filosofia naturale ed anche alla sua propagazione sociale, attraverso nu­ merose istituzioni specializzate la cui utile creazione sarebbe stata senza dubbio ben più tardiva, senza tale connessione che ho d’altronde segnalato, concludendo il tomo quarto, come ten­ dente anche a riavvicinare lo spirito militare alle convenienze fondamentali della civiltà moderna, attraverso la positività ra­ zionale che ha cercato di acquistare sempre più. Simile esame storico è più indispensabile ancora e non meno evidente, per quanto riguarda la terza invenzione tecnologica sopra indicata. Essa è comunemente rimasta sinora l’oggetto, per così dire obbligato, di un’ammirazione ridicolmente decla­ matoria, incompatibile con ogni vera valutazione filosofica, in séguito ad un’irrazionale esagerazione, che, senza tenere alcun conto essenziale della civiltà anteriore, induce a ricollegare so­ prattutto all’arte tipografica tutto il movimento progressivo, in cui invece non ha potuto utilmente intervenire che a titolo di potente mezzo materiale di propagazione universale, e quindi anche di consolidamento indiretto. Altrettanto e anche più delle due precedenti, questa innovazione fondamentale, la cui impor­ tanza non esige sicuramente nessuna spiegazione nuova, fu il risultato necessario della situazione nascente delle società mo­ derne, fonte spontanea, sotto questo aspetto, di un profondo sti­ molo permanente, gradualmente sviluppato da tre secoli, so­ prattutto in séguito allo sviluppo industriale, conseguente all’emancipazione personale. In quella antichità troppo vantata, in cui, a causa della schiavitù e della guerra, le produzioni dello spirito umano non potevano trovare che un piccolo numero di lettori scelti, il modo naturale di propagazione degli scritti era, senza dubbio, pienamente sufficiente per corrispondere ai biso­ gni normali, ed anche per soddisfare qualche volta necessità straordinarie. Accadde diversamente nel medioevo, quando l’immensa estensione di un potente clero europeo, naturalmente spinto alla lettura, qualsiasi rimprovero abbia potuto successi­ vamente meritare la sua pigrizia e la sua ignoranza, stimolò as­ sai l’intimo desiderio continuo di rendere le trascrizioni più eco-

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aamiche e più rapide. Quando lo sviluppo della scolastica, dopo lacompleta ascesa politica del cattolicesimo, ebbe, come ho spie­ gato, direttamente impresso un’energia nuova al movimento intellettuale, questa necessità fece evidentemente nascere un’inijuietasollecitudine permanente, in un periodo in cui avidi ascol­ tatori affluivano abitualmente a migliaia nelle principali univer­ sità europee, come si può osservare ovunque nel xn secolo, e perciò la moltiplicazione degli esemplari dovette acquistare una estensione che gli antichi non avrebbero mai potuto conoscere. Ma la completa abolizione della servitù e lo sviluppo simulta­ neodi un’attività industriale sempre più estesa dovettero in sé­ guito rendere tale bisogno ancora più irresistibile, e soprattutto ben più universale, a mano a mano che l’agiatezza crescente doveva moltiplicare i lettori. L ’industria, d’altra parte, tendeva i propagare, fino agli ultimi ranghi sociali il desiderio e anche l’obbligo di una certa istruzione scritta, a cui la parola non po­ teva più adeguatamente supplire: sarebbe d’altronde superfluo insistere, a questo proposito, sul potente concorso spontaneo del simultaneo sviluppo mentale, estetico, scientifico e filosofico, checaratterizzò questa prima fase dell’evoluzione moderna, co­ me spiegherò ben presto. Così, in nessun caso precedente esi­ genze sociali nettamente pronunciate avevano potuto, senza dubbio, suscitare e mantenere una tendenza particolare verso una nuova arte, quanto Io poté allora la situazione fondamen­ tale dell’é/ùe dell’umanità, relativamente alla tipografia. Ora, d'altraparte, quali che siano realmente le difficoltà tecnologiche, assai superiori, mi sembra, a quelle dell’invenzione precedente­ menteesaminata, non vi è dubbio che l’industria moderna aveva già manifestato profondamente da lungo tempo, con molte creazioni importanti, la sua attitudine caratteristica a sostituire i procedimenti meccanici all’uso diretto degli agenti umani, conformemente al principio poco sopra ricordato. Qualche se­ coloprima, il più indispensabile precedente deH’arte tipografica erastato sufficientemente realizzato con la fortunata innovazio­ nedella carta, primo risultato evidente della tendenza crescente afacilitare le trascrizioni. Per tale complesso di considerazioni, una valutazione veramente filosofica, lungi dal giustificare l’ir­ razionale sorpresa, che ispira comunemente una scoperta tanto cercata e preparata, condurrebbe piuttosto a cercare accurata­

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mente perché essa fosse così tardiva, il che esigerebbe una di­ scussione troppo particolare per essere qui convenientemente compiuta. Tuttavia, la nostra teoria anteriore ha già indicato spontaneamente nelle attive controversie contemporanee sulla nazionalizzazione delle diverse chiese europee, allo scopo di con­ solidare la supremazia nascente del potere temporale, lo stimolo, presente in tutte le classi e soprattutto in Germania, ad un sen­ timento ancora più vivo del bisogno di perfezionare la propa­ gazione del libro. Nel terminare questo sommario esame credo d’altronde necessario segnalare, a proposito della stampa, un’im­ portante considerazione storica sin qui non fatta: si tratta del­ l’utile rapporto permanente che lo sviluppo intellettuale ha sin da allora direttamente contratto con il cammino di una nuova arte, destinata ad acquistare ben presto una grande portata in­ dustriale, ed i cui interessi sempre più rispettati dalle autorità protettrici del lavoro, hanno così felicemente costretto, in tante occasioni, la più oscurantista politica a tollerare la libera circo­ lazione degli scritti, ed in séguito anche a favorire la loro pro­ duzione, allo scopo di sfruttare una fonte di ricchezza pubblica, ormai sempre più preziosa. Questo motivo universale, che ebbe dapprima tanto peso in Olanda, sotto le altre due fasi dell’evo­ luzione moderna, dovette esercitare anche, sebbene in grado mi­ nore, una notevole influenza ulteriore in tutto il resto della re­ pubblica europea, in cui contribuisce spesso, ancora, a contenere le velleità reazionarie ispirate al governo dagli abusi della stam­ pa, indistintamente accessibile, per sua natura, alle più vili ed alle più nobili aspirazioni mentali, in virtù delle condizioni de­ sistenza proprie della nostra anarchia spirituale. Tale è dunque, in generale, la corretta spiegazione storica delle tre invenzioni fondamentali, che dovevano meglio carat­ terizzare la prima epoca essenziale dello sviluppo industriale. Nonostante la loro giusta celebrità, si vede che dovettero soprat­ tutto risultare spontaneamente dalla nuova situazione sociale; infatti ciascuna di esse, anche l’ultima, non offriva allora una troppo grande difficoltà tecnologica per sfuggire a lungo ad una perseverante successione di sforzi intelligenti, convenientemente stimolati da imperiose esigenze quotidiane. Se, come si è tanto ripetuto, l’abbozzo diretto di queste tre arti fu realmente molto più antico presso certi popoli dell’Oriente asiatico, senza avervi

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ciononostante determinato nessuno degli immensi risultati so­ ciali che una irrazionale valutazione attribuisce comunemente allaloro unica influenza, simile coincidenza non potrebbe sicucimente che confermare, sotto ogni aspetto, tutta la nostra spie­ gazione. Nei confronti di scoperte così capitali e ancora così mal va­ lutate, ho creduto di dovermi allontanare una sola volta dal­ l’indispensabile generalità che deve abitualmente caratterizzare lanostra elaborazione storica : sono fortunato se questa opera­ zione eccezionale può offrire un esempio decisivo della viva il­ luminazione filosofica che diffonderebbe, sulla storia razionale delle arti, l’uso conveniente dell’esatta teoria fondamentale del­ l'evoluzione totale dell’umanità, secondo i princìpi logici del tomoquarto, riguardo l’intima necessaria connessione fra i di­ versi aspetti del movimento umano. Ma è chiaro che, in tutto il resto della nostra analisi dina­ mica, le altre grandi creazioni dell’industria moderna non deb­ bono affatto dar luogo a siffatto esame particolare, quale che possa essere il loro merito e la loro importanza, la cui valuta­ zione sodale dovrà essere riservata al trattato ulteriore che ho frequentemente indicato. Allo scopo di completare convenientemente Tésame gene­ rale di questa prima fase dell’evoluzione industriale, sembre­ rebbe dapprima necessario considerare qui le due immense sco­ perte geografiche che ne hanno reso tanto illustre la fine. Ma è evidente che la loro influenza reale appartiene esclusivamente allafase successiva, con ciò direttamente riallacciata, per ¡’aspet­ toche ci concerne, a quella che stiamo per studiare. Debbo dun­ que, a questo riguardo, limitarmi per ora ad indicare l’incon­ testabile legame che doveva fare delle due immortali spedizioni di Colombo e di Gama un risultato spontaneo del movimento complessivo di questa epoca fondamentale. Ora, questa filia­ zione necessaria si fonda evidentemente sulla tendenza naturale dell’industria moderna ad esplorare, in tempo opportuno, la superficie totale del globo, secondo le esatte nozioni universal­ mente diffuse dalla scuola d’Alessandria sulla sua configurazio­ ne generale, appena l’uso attivo della bussola avesse permesso audaci tentativi marittimi, e lo sviluppo unanime del commer­ cio europeo fosse sufficientemente avanzato da avvertire la ne­

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cessità di ricreare nuovi campi. D’altra parte, la concentrazione nascente del potere temporale aveva reso possibile l’accumula­ zione delle diverse risorse indispensabili al successo finale di quegli avventurosi viaggi che dovettero essere allora essenzial­ mente impossibili, per esempio, alle principali potenze italiane, nonostante la loro forte superiorità navale, per l’inevitabile con­ seguenza delle loro lotte distruttive, come giustamente rilevano molti storici italiani. Se, come è verosimile, qualche secolo in nanzi arditi pirati scandinavi avevano realmente esplorato il nord dell’America, questi sterili viaggi non fanno che mettere in evidenza come niente di ciò che era essenziale per l’esito fa­ vorevole della famosa impresa di Colombo potesse essere casua­ le; si verifica così più chiaramente che il suo valore sociale do­ veva soprattutto dipendere dall’intima connessione con l’insieme della civiltà contemporanea, che per quasi tutto il corso del xv secolo aveva già preparato questo grande risultato conclusivo attraverso esperimenti sempre più rilevanti di una fortunata na­ vigazione atlantica, a grado a grado seguiti da utili installazioni europee. Queste sono dunque le principali considerazioni che dovevo qui sommariamente indicare sulla valutazione filosofica relativa a questa importante fase del movimento elementare di ricompo­ sizione temporale. Integralmente considerato, il suo percorso fondamentale ci ha evidentemente indicato, non soltanto una connessione necessaria, che ho sufficientemente spiegato, con quello del movimento simultaneo di disgregazione dell’antico regime, ma anche, nei suoi confronti, una notevole conformità di carattere, in virtù della loro memorabile spontaneità comune, ancora assai poco alterata da influenze sistematiche. Il séguito della nostra analisi dinamica confermerà questo continuo riavvicinamento, così atto a far rilevare la razionalità effettiva della nostra teoria storica, mostrando sempre che la sistemazione gra­ duale della progressione positiva coinciderà ormai con quella della progressione negativa studiata nella lezione precedente. Sin dalla seconda fase dell’evoluzione moderna, cioè durante lo sviluppo del protestantesimo, dall’inizio del xvi secolo fin verso la metà del x v i i , si nota in effetti, sotto forme diverse, ma equivalenti, una nuova tendenza crescente nei diversi popoli dell’Occidente europeo alla regolarizzazione del movimento in­

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lustriate, man mano che il movimento rivoluzionario si subor­ dinava ad una filosofia critica. Già precedentemente i governi avevano dovuto considerare lo sviluppo iniziale delle classi la­ voratrici, a partire dalla completa emancipazione personale, co­ meapportante un potente intervento ausiliario alle grandi lotte intestine che costituivano allora la principale preoccupazione ordinaria dei poteri ancora destinati alla preponderanza. In tal modo tutte le loro vedute sistematiche si riducevano essenzial­ mente, sotto questo aspetto, a procacciarsi abitualmente, attra­ versoconcessioni convenienti, un così prezioso aiuto, senza che fosse ancora possibile dar séguito a nessuna importante combi­ nazione di politica industriale, fin tanto che la concentrazione temporale non poteva essere sufficientemente realizzata. Ma, al contrario, durante la fase che cominciamo ora ad esaminare, questa centralizzazione necessaria era già abbastanza pronun­ ciata ovunque per rendere sempre più superflua l’antica coopc­ razione particolare delle nuove forze sociali ai principali con­ flitti politici. Nello stesso tempo i governi moderni, con ciò elevati naturalmente ad un punto di vista più generale, dovevano gradualmente tentare di subordinare a qualche concezione d’inàemeil movimento industriale, che fino ad allora era stato emi­ nentemente spontaneo, ed i cui servizi precedenti ne avevano irrevocabilmente stabilito l’alta importanza politica. Per com­ pletarequesto inizio di valutazione, adattato alla natura di tutta questa seconda fase, occorre infine aggiungere che, in questa tendenza nascente all’incoraggiamento sistematico dell'industria, ladittatura temporale, monarchica o aristocratica, non poteva ancora essere diretta, anche a sua insaputa, dagli stimoli filoso­ fici sulla preponderanza pratica dell’industria, stimoli che han­ noesercitato tanto dominio nella terza e nell’ultima fase del­ l’evoluzione preparatoria della società moderna, come spiegherò a suoluogo. Infatti, nel xvi secolo ed anche nel x v i i , la guerra nonaveva affatto cessato di essere considerata come il princi­ pale fine dei governi; soltanto che questi avevano definitiva­ mente riconosciuto la necessità di favorire, per quanto possibile, losviluppo industriale, a titolo di base ormai indispensabile del­ lapotenza militare; il che era sicuramente il solo progresso rea­ lizzabile nel pensiero degli uomini di Stato.

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Si vede dunque sempre più che la nostra costante intima interrelazione fra il procedere generale del movimento organico e quello del movimento critico non deriva affatto da una vana inclinazione scientifica per una sterile simmetria astratta, ma risulta da una esatta valutazione del complesso dei fatti storici, che ci mostrano qui le due progressioni come divenute simulta­ neamente sistematiche ed anche pervenute ad un primo grado comune. Questa sistematizzazione nascente ci ha presentato nella se­ rie negativa una distinzione veramente fondamentale, secondo la natura, monarchica o aristocratica, della dittatura temporale, che ne doveva essere ovunque, alla fine di questa seconda fase, la conseguenza necessaria. È chiaro che qui si riproduce, nel modo più diretto, la stessa divisione secondo la differenza ge­ nerale, sopra spiegata, fra i due modi essenziali di coalizione politica del nuovo elemento sociale con i diversi antichi poteri, durante la fase precedente, che fu sotto tutti gli aspetti il vero principio di questa. Si capisce, in effetti, come ho già indicato anticipatamente, che la tendenza alla sistematizzazione politica dell’industria ha presentato un carattere pratico assai diverso a seconda che questa azione regolatrice sia stata diretta dalla forza centrale o da quella locale del regime feudale. Nell’uno e nel­ l'altro caso, simile assestamento ha senza dubbio richiesto in primo luogo l’indispensabile sacrificio dell’antica indipendenza caratteristica delle principali città industriali. Essa, a lungo ne­ cessaria al loro particolare sviluppo, non costituiva allora altro che un pericoloso ostacolo alla formazione delle grandi unità nazionali, così importante per tutti i progressi successivi, anche industriali. Da questa grande concentrazione politica [’industria, in ultima istanza, doveva guadagnare molto di più di quanto non potesse perdere per la soppressione di quelle immunità lo­ cali, già quasi ovunque degenerate, dopo la fine naturale di una più nobile destinazione permanente, per i continui motivi di ri­ valità reciproca; così questo assorbimento preliminare, destinato ad incorporare irrevocabilmente ogni nucleo industriale in un organismo più generale, airinizio di quest’epoca si compie quasi senza opposizioni. Tuttavia la diversità dei due sistemi di base ha dovuto presentare, sotto questo aspetto, differenze conside­ revoli, ancora molto evidenti oggi. Infatti, la costituzione primi-

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tira delle comunità industriali doveva inevitabilmente lasciare moltepiù tracce là dove questa nuova concentrazione era presie­ duta da una dittatura essenzialmente aristocratica; mentre gli addìi privilegi urbani dovevano naturalmente cancellarsi pri­ ma, quando l’incorporazione era, al contrario, dominata dal­ l’azione più sistematica della monarchia. Dopo questa prima influenza, la differenza necessaria fra questi due processi si è sempre fatta ugualmente sentire sino alla finedi questa fase, ed ancor più sotto la seguente, offrendo, da uni parte e dall’altra, i vantaggi e gli inconvenienti propri a ciascun caso e che, senza essere ancora equivalenti, spiegano nondimeno a sufficienza le diverse predilezioni nazionali che vi sono riallacciate, secondo la natura essenziale delle situazioni corrispondenti. Il sistema francese, o monarchico, che senza alcuna puerile ispirazione patriottica, ho sopra qualificato come normale, era evidentemente il più adatto, per la predominanza diretta del­ l'azione centrale, a preparare l’industria ad un’organizzazione ulteriore, abbastanza liberata dagli stimoli locali per diventare infine, in séguito ai vantaggiosi caratteri del nuovo elemento sociale, pienamente compatibile con lo sviluppo simultaneo di tutta la repubblica europea, riducendo l’istinto di nazionalità a costituire abitualmente la fonte salutare di una saggia emula­ zione. Alla fine della nostra seconda fase la dittatura tempo­ rale aveva cosi messo in rilievo in Francia il suo vero carattere naturale per il buon complesso di operazioni che l’ammirevole ministero del grande Colbert ha così giustamente immortalato. Esso tese con nobile efficacia a sviluppare contemporaneamente i tre elementi essenziali della civiltà moderna, in séguito ad una saggia combinazione di direzione e d’incoraggiamento, e nello stesso tempo a delineare anche la regolarizzazione diretta dei loro rapporti parziali : il che, nei confronti del secolo, costitui­ sce certamente un tipo amministrativo il cui equivalente non è stato finora mai riprodotto in nessun luogo. Ma è chiaro anche che l’inevitabile retrocessione delle inclinazioni monarchiche verso una nobiltà essenzialmente contraria all’industria, secondo la spiegazione del capitolo precedente, doveva in senso inverso manifestare chiaramente, durante la generazione successiva, co­ me mostrerò ben presto, le imperfezioni radicali di simile

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politica che, anche in questo caso, non poteva dar luogo, salvo l’utile impulso che ne era immediatamente risultato, che a un’insufficiente indicazione provvisoria di ciò che la riorganizza­ zione finale della società moderna potrà, essa sola, conveniente­ mente realizzare. Rovesciando l’una e l’altra valutazione, si troverà facilmente ciò che conviene al sistema eccezionale, o inglese, come l’ho designato in relazione al caso più favorevole alla sua intera ap­ plicazione, sebbene d’altronde, durante la fase che esaminiamo, si sia sviluppato prima in Olanda : infatti, nonostante l’influenza preparatoria del regno di Elisabetta, soltanto sotto la direzione di Cromwell quest’altro processo industriale ha cominciato a ma­ nifestare in Inghilterra il suo proprio carattere. I suoi vantaggi essenziali derivano soprattutto dall’intima e regolare solidarietà fra rdemento industriale e l’elemento feudale, per la parteci­ pazione costante, talvolta attiva, ma più spesso passiva, della no­ biltà alle attività industriali, il cui sviluppo giornaliero riceve sin da allora parzialmente un utile incoraggiamento dalle classi predominanti, modello naturale dell’imitazione universale, c fonte continua dei più potenti capitali. Questo rapporto perma­ nente che tre secoli prima aveva determinato la prosperità so­ ciale di Venezia, presenta, senza dubbio, importanti conseguen­ ze immediate, incompatibili con lo sciocco disprezzo dell’aristo­ crazia francese per le classi lavoratrici. Ma oggi si è troppo por­ tati a sopravvalutare tali vantaggi, che non hanno impedito la decadenza dell’industria veneziana; occorre invece notare che questa seconda via, nonostante la sua speciosa superiorità par­ ziale e immediata, è molto meno favorevole della prima all'av­ vento finale di una vera organizzazione industriale. Essa è dop­ piamente ritardata, sia per la preponderanza che necessaria­ mente acquista lo spirito del particolare sullo spirito dell’insie­ me, e che si combina con un’istinto più potente di nazionalità egoista, sia anche per il prolungamento che ne risulta della su­ premazia sociale dell’elemento feudale, il più contrario ad ogni franca e totale abolizione del regime antico. Infine questa duplice valutazione comparativa deve essere completata, all’inizio, osservando, secondo il capitolo preceden­ te, che la distinzione europea di questi due sistemi è stata, alla

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Ine della fase che esaminiamo, generalmente conforme alla ri­ partizione territoriale fra cattolicesimo e protestantesimo. La Prussia soltanto mi sembra offrire, a questo proposito, un’importante eccezione, che, in una storia concreta, avrebbe meritato un’analisi particolare, allo scopo di spiegare la concilia­ zione inconsueta che si è stabilita fra la supremazia legale del protestantesimo e il predominio reale della monarchia. È facile pensare, in generale, che, per l’aspetto che ci concerne, ciascuna di queste due situazioni spirituali abbia dovuto notevolmente rafforzare l’influenza necessaria della situazione temporale cor­ rispondente. Il carattere profondamente retrogrado che la de­ cadenza del cattolicesimo imprimeva allora spontaneamente, come ho spiegato, doveva potenziare soprattutto, in questo pe­ riodo, la tendenza anti-industriale, inerente ad ogni spirito teo­ logico; donde risulta una delle principali cause della relativa inferiorità che, senza alcuna retrocessione reale, ha sin da al­ lora distinto, nell’attiva concorrenza industriale dei diversi fat­ tori europei, le popolazioni in cui l’ascendente cattolico ha trop­ popersistito, anche quelle che erano state a lungo la sede prin­ cipale dell’industria moderna, quando il cattolicesimo era an­ cora progressivo. Senza dubbio lo spirito protestante, in quanto ugualmente teologico, non è in fondo più favorevole all’evolu­ zione sistematica dell’industria umana, alla quale anzi, se esso potesse indefinitivamente prevalere, diverrebbe infine molto più contrario, come numerosi esempi hanno già indicato. Ciò è do­ vuto al difetto inerente ad ogni vera fede religiosa, che, dando liberocorso alle spontanee aberrazioni individuali, distrugge ra­ dicalmente, da questo punto di vista come da tutti gli altri, i vantaggi sociali inerenti all’attitudine fondamentale della sag­ gezza sacerdotale, invece di temperare, nella pratica, l’estrema imperfezione di una simile filosofia, secondo le nostre spiega­ zioni precedenti. Tuttavia, per la ragione stessa della sua azione negativa, l’influenza protestante ha provvisoriamente assecon­ dato, nelle popolazioni corrispondenti, lo sviluppo graduale del­ l'industria fin che esso ha dovuto soprattutto dipendere dallo sviluppo più libero possibile dell’attività personale. Lo ha di­ mostrato, nei tempi che prendiamo in esame, l’esperienza: si stabili in Olanda la principale sede dell’industria europea, tra­ sportata più tardi, durante la terza fase, in Inghilterra. Ma le

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nazioni protestanti sono probabilmente destinate a compensare successivamente, anche a questo proposito, tale superiorità passeggierà con gli ostacoli specifici che una maggiore prepon­ deranza del punto di vista pratico e degli istinti personali deve opporre necessariamente all’avvento finale di una vera riorga­ nizzazione europea. L ’universale sistematizzazione politica che, durante la nostra seconda fase, ha cominciato a caratterizzare l’evoluzione indu­ striale, fino ad allora essenzialmente spontanea, e le differenze fondamentali che presentano, sotto questo aspetto, i suoi due modi generali di realizzazione storica, mi paiono fedelmente caratterizzati, nella più larga estensione che poté allora ricevete 10 sviluppo industriale, dalla fondazione nascente del sistema coloniale, elaborato durante la fase precedente, e che ha tanto influito sulla successiva. Senza ritornare alle declamatorie disserfazioni del secolo scorso relativamente ai vantaggi o ai pericoli ultimi di questa vasta operazione per il complesso dell’umanità, 11 che costituisce un problema tanto noioso quanto insolubile, sarebbe interessante esaminare se ne è definitivamente risultata un’accelerazione o un ritardo per l’evoluzione totale, nello stesso tempo positiva e negativa, delle società moderne. Ora, sotto que­ sto aspetto, sembra dapprima che il nuovo destino profilatosi per lo spirito guerriero sulla terra e sul mare, e la notevole re­ crudescenza parimenti impressa allo spirito religioso, il più adatto alla civilizzazione delle popolazioni arretrate, abbiano mi­ rato a prolungare la durata generale del regime militare e teo­ logico, e, di conseguenza, ad allontanare particolarmente la rior­ ganizzazione finale. Ma, in primo luogo, la totale estensione, che il sistema delle relazioni umane ha sin da allora teso a ri­ cevere gradualmente, ha fatto meglio comprendere la vera na­ tura filosofica di simile rigenerazione mostrandola finalmente come destinata a tutta l’umanità: il che doveva mettere mag­ giormente in evidenza l’insufficienza radicale di una politica portata, in tante occasioni, a distruggere sistematicamente le razze umane, per l’incapacità di assimilarle. In secondo luogo, per un’influenza più diretta e più vicina, il nuovo stimolo die questo grande avvenimento europeo ha ovunque impresso al­ l’industria ha certamente aumentato notevolmente la sua impor tanza sociale ed anche politica: in modo che, tutto sommato

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l’evoluzione moderna ne ha, a mio parere, ricevuto necessaria­ mente un’accelerazione effettiva, di cui tuttavia ci si forma co­ munemente un’opinione assai esagerata. Comunque, questo pa­ ragone è destinato soprattutto a far meglio risaltare l’indica­ zione filosofica degli effetti più generali di questa importante espansione, nello stesso sintomo e agente, diretto e indiretto, dello sviluppo universale dell’industria moderna. Per valutarne degnamente la funzione, occorre anche aggiungere che, secondo lagiusta valutazione dei principali filosofi della scuola scozzese, lasua influenza si è fatta ugualmente sentire, e forse in modo ancora più felice, soprattutto per la Germania, nelle parti della repubblica europea che, per diversi motivi, e principalmente a causa della loro posizione geografica, hanno dovuto in modo particolare restare più o meno estranee al movimento coloniale. Considerato ora nella sua principale differenziazione, questo movimento ha dovuto necessariamente prendere un carattere molto diverso, a seconda che sia stato diretto dalla politica mo­ narchica e cattolica o dalla dittatura aristocratica e protestante, inbase alla divisione sopra spiegata. In quest’ultimo caso, la na­ tura del sistema corrispondente vi ha fatto soprattutto predomi­ nare l’attività industriale, facilmente assecondata dall’egoismo nazionale, il cui assestamento crescente fu spesso spinto sino alle piùmostruose aberrazioni pratiche, come indicano, per esempio, le distruzioni metodiche che l’avidità olandese esercitò così a iungo sulla produzione troppo completa dell’arcipelago equato­ riale. Quanto al primo caso, la cui valutazione comune è molto menosoddisfacente, debbo innanzitutto segnalare qui il carattere piùpolitico che industriale, che presenta, ai miei occhi, la sua più vasta realizzazione. Ora, considerando il complesso del si­ stema coloniale della Spagna ed anche del Portogallo8, così dif«. Il confronto generale di queste due grandi colonizzazioni cattoliche ha dato luogo, da parte dell’illustre de Maistre, ad una assai acuta consi­ derazione di carattere storico sul contrasto memorabile che si presenta tra l'assenza prolungata di ogni profondo conflitto coloniale tra due na­ zioni cosi profondamente rivali e l’accanimento continuo delle nazioni protestanti per colonie molto meno preziose. Ma le preoccupazioni siste­ matiche di questo eminente filosofo l'hanno condotto a far troppo esclu­ sivamente dipendere questa incontestabile differenza dalla vantaggiosa influenza del cattolicesimo a contenere incipienti animosità, secondo il

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ferente da quello dell’Olanda c dell’Inghilterra, vi si riconosce subito con piena evidenza la profonda concentrazione sistema­ tica caratteristica della natura, monarchica e cattolica, del potere dirigente. Ma, con un esame più approfondito, si vede che questo sistema fu soprattutto concepito come un indispensabile comple­ mento della politica eminentemente retrograda allora organiz­ zata dalla monarchia spagnola, come ho già spiegato nel capitolo precedente; infatti esso offriva abitualmente a simile politica la duplice proprietà di accordare alla nobiltà ed al sacerdozio una larga soddisfazione personale e di prospettare uno sbocco impor­ tante allo sviluppo industriale, la cui inquieta attività interna si era già mostrata ostile al regime corrispondente. Quest’ultimo, nonostante le sue serie preoccupazioni per ogni emancipazione so­ ciale, non avrebbe potuto certamente conservare così a lungo una deplorevole consistenza, se non avesse presentato alle diverse clas­ si attive una simile abituale compensazione : in modo che, come qualche filosofo ha già supposto, non vi è da dubitare che, per questa energica nazione, l’espansione coloniale non abbia infine contribuito a rallentare gravemente l’evoluzione fondamentale. principio dell’equa ripartizione coloniale fra le due popolazioni della pe­ nisola iberica, saggiamente imposto dalla celebre bolla di Alessandro VI Senza misconoscere l'importanza reale di siffatta spiegazione, che io stesso ho citato altra volta, penso che sia lacunosa, nel senso che vi si dimentica totalmente una causa generale, molto più pressante a mio av­ viso, derivata dal sistema politico caratterizzato nel testo. Secondo me, è soprattutto perché la colonizzazione non aveva, in questo caso, una fina­ lità essenzialmente industriale, che questi conflitti sono potuti essere evitati dalla comune preponderanza della politica reazionaria, i cui ana­ loghi interessi dovevano abitualmente assorbire i motivi secondari della rivalità nazionale, quando d’altronde questi motivi erano naturalmente attenuati dall’immensità del campo aperto alla rispettiva espansione co­ loniale delle due popolazioni, il cattolicesimo non avrebbe allora esercitato, a questo proposito, una influenza fondamentale che come base principale necessaria per una tale politica, indipendentemente da ogni particolare rispecto per qualsiasi decisione papale. i. Con tale bolla (4 maggio 1494) il papa Alessandro VI tracciava una linea di demarcazione tra le linee di espansione portoghese e spagnola, la quale passiva 100 leghe a ovest delle Azzorre e di Capo Verde, da un polo all’altro. Tale suddi­ visione, dopo opportune modifiche, fu approvata con il trattato di Tordcsillas (7 giu­ gno 1494).

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Non credo di dover terminare tale indicazione senza unire qui la mia sincera partecipazione all’unanime riprovazione filo­ sofica che meriterà sempre la mostruosa aberrazione sociale, con la quale l’avidità europea macchiò allora il fulgore di questo grande movimento. Tre secoli dopo l’intera emancipazione per­ sonale, il cattolicesimo in decadenza è condotto a sanzionare, cdanche a provocare, non soltanto lo sterminio incivile di in­ tererazze, ma soprattutto l’istituzione permanente di una schia­ vitùinfinitamente più dannosa di quella di cui aveva così nobil­ mente concorso a realizzare l’abolizione totale. Stabilendo, so­ prattutto nel cinquantatreesimo capitolo, l’esatta teoria sociolo­ gica della schiavitù, considerata sia come base normale del pri­ mo regime politico sia come indispensabile condizione di tutto losviluppo umano, ho già sufficientemente bollato in preceden­ za questa vergognosa anomalia, mostrando a questo proposito che le istituzioni convenienti alla società militare dovevano es­ sere ripudiate dalla società industriale, necessariamente fondata sull’affrancamento universale. La schiavitù coloniale mirò al­ lora a introdurre una situazione ugualmente degradante per il padrone e per lo schiavo, la cui attività omogenea doveva essere ingenerale ugualmente debole, mentre negli antichi, la diversa natura dei fini aveva comportato, ed anche stimolato, ad un certo grado, la simultaneità di sviluppo. La reazione necessaria a questa immensa aberrazione, nonostante la sua applicazione lontana, sulle parti interessate della popolazione europea, doveva favorire indirettamente lo spirito di reazione o d’immobilità so­ ciale, impedendovi l’intera espansione filosofica dei generali principi elementari dell’evoluzione moderna. Infatti i loro più attivi difensori si sono frequentemente trovati, contrariamente a clamorose dimostrazioni filantropiche, personalmente interes­ sati al mantenimento della politica più oppressiva. Sotto questo aspetto, le nazioni protestanti dovevano essere ancora più deplo­ revolmente colpite delle popolazioni cattoliche, ove l’azione sa­ cerdotale, benché assai indebolita, ha nobilmente tentato di ri­ parare, mediante un utile e costante intervento, alla sua colpe­ vole partecipazione iniziale ad una mostruosità sociale. Contem­ poraneamente, nelle colonie protestanti, l’anarchia spirituale le­ galmente consacrata doveva necessariamente lasciare libero corso

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all’oppressione privata, salvo l’inerte opposizione di qualche va­ no regolamento temporale, generalmente formato, o almeno ap­ plicato, dagli oppressori stessi. Relativamente a questa comune anomalia europea, mi piace notare che tra le potenze coloniali la Francia, che sin dall’origine ebbe la fortuna di trovare la si­ tuazione meno sfavorevole, pur avendo preso una parte diretta abbastanza rilevante al movimento di colonizzazione da poterne ricavare continuativamente un potente stimolo industriale, non vi fu tuttavia tanto impegnata da farne dipendere il suo svilup­ po pratico. In tal modo evitava che il suo avvenire sociale fosse gravemente ostacolato dall’influenza retrograda necessa­ riamente emanante da questa disastrosa istituzione *, di cui gli avidi promotori dovevano ricevere in séguito la giusta punizione a. Uno specioso proselitismo sociale, il più delle volte cicco c quasi sempre importuno, ha frequentemente mirato, soprattutto ai nostri giorni, anche quando era pienamente sincero, a far gravemente misconoscere, a questo proposito, il complesso delle situazioni reali, rappresentando questa odiosa istituzione e l’infame traffico corrispondente come una fonte di miglioramento effettivo per l’infelice razza che ne era oggetto, e la cui situazione naturale sembrava ancor più deplorevole della condizione nuova in cui era così artificialmente immessa. Questo caso costituisce, mi sem­ bra, il primo esempio basilare dell’applicazione attiva di un sofisma assai pericoloso che, fondato sulla completa ignoranza delle leggi della succes­ sione, necessariamente graduale, delle diverse fasi essenziali della socialità umana, può diventare nei moderni un principio abituale di pericolose per­ turbazioni, che {sortano a snaturare profondamente, con un irrazionale e violento intervento, il cammino originale delle civiltà arretrate. Si può dire in effetti che, data la sua spontaneità, la schiavitù indigena alla quale si è sottratto il negro, costituisce, nello stato sociale, una situazione suscettibile di diventare progressiva per i vincitori e i vinti, come Io fu nell'antichità : mentre con un simile trapianto arbitrario, nonostante i mi­ glioramenti individuali da cui sembra accompagnato, si altera, nel modo più funesto, la progressione naturale di queste popolazioni africane. Questi fenomeni sono troppo complicati, e le leggi sono ancora troppo poco co­ nosciute, perché possa esser conveniente aila parte migliore deU’utnaimì di sforzarsi, con un saggio intervento attivo, di accelerare l’evoluzione spontanea delle razze meno avanzate, senza determinarvi perturbazioni artificiose molto più pericolose dei difetti stessi ai quali uno zelo sconsi­ derato vorrebbe apportare un rimedio inopportuno cd illusorio. Soltanto l'avvenire potrà degnamente svolgere questa nobile missione, in séguito ad una sufficiente realizzazione europea del nostro rinnovamento mentale e sociale, come indicherò direttamente nel capitolo seguente.

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chenaturalmente deriva, a questo proposito, dal complesso delle leggi fondamentali della socialità umana. Per completare qui l’esame fondamentale dell’evoluzione in­ dustriale, ci rimane ora da considerare il suo nuovo cammino generale durante la terza fase preparatoria della società moderna, dall’espulsione legale dei calvinisti francesi ed il trionfo politico dell’aristocrazia anglicana fino all’inizio della rivoluzione fran­ cese; periodo già caratterizzato, nel processo negativo del ca­ pitolo precedente, dal maggiore ascendente del deismo propria­ mente detto, ultima conseguenza necessaria del protestantesimo precedente. Ora, tutta questa epoca, dopo un ponderato para­ gone storico tra il movimento di disgregazione politica ed il movimento corrispondente di ricomposizione elementare, con­ ferma ancora, con piena evidenza, l’esattezza della nostra teo­ riasulla loro sistemazione sempre simultanea, così chiaramente determinata nella fase che abbiamo esaminato. Infatti, mentre il movimento rivoluzionario si veniva subor­ dinando ad una filosofìa negativa più diretta c più completa, il movimento organico sperimentava un’analoga trasformazione, acausa di un notevole progresso europeo nella regolarizzazione politica dello sviluppo industriale, iniziato durante l’epoca pre­ cedente. Nella seconda fase abbiamo visto l’industria diventare ovun­ que oggetto permanente di attivi incoraggiamenti sistematici, ma soltanto come piedistallo della superiorità guerriera che re­ stavasempre il fine principale della politica, senza che la predi­ zione crescente delle popolazioni moderne per la vita indu­ striale potesse ancora propagarsi fino a poteri essenzialmente militari. Ma, nei tempi più evoluti, di cui iniziamo l’analisi, questa connessione, ormai consacrata, subisce a poco a poco una inversione assai notevole, che si deve considerare il più grande progresso, compatibile sotto questo aspetto con la natura del­ l'antico regime, e al di là del quale non è possibile realizzare niente altrimenti che per l’avvento diretto della riorganizzazio­ ne finale. Ciò conferma chiaramente che questa terza fase co­ stituisce, sotto questo aspetto, l’estrema preparazione temporale imposta alle società moderne secondo la legge fondamentale deH’evoluzionc umana. Comincia allora, in effetti, un’ultima fase militare, quella delle guerre commerciali, in cui, per una ten­

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denza dapprima spontanea e ben presto sistematica, lo spirito guerriero, per conservarsi un’attiva e permanente posizione, si subordina sempre più allo spirito industriale, per l’innanzi così subalterno, e tenta oramai di amalgamarsi alla nuova economia sociale, manifestando la sua particolare attitudine sia a conqui­ stare per ogni popolo utili basi, sia a distruggere a suo profitto le princ iali fonti di una pericolosa concorrenza straniera. Nono­ stante le deplorevoli lotte suscitate da tale politica fra i diversi nu­ clei della repubblica europea, essa nel suo complesso deve nondi­ meno essere considerata in primo luogo un vero progresso, in quanto duplice testimonianza incontestabile della decadenza na­ turale dell’attività militare e della preponderanza decisiva del­ l’attività industriale, in tal modo necessariamente proclamata, in ordine di tempo, principio e fine della civiltà moderna. Ora, questo fu certamente, nella maggior parte di questa seconda fa­ se, il nuovo carattere della politica attiva, sia che la dittatura temporale che la dirigeva fosse monarchica e cattolica, sia che fosse aristocratica e protestante, secondo la nostra solita distin­ zione. Questa importante trasformazione era già molto evidente durante le grandi guerre europee che hanno collegato l’inizio della fase deista a quello della fase protestante: sebbene, secon­ do le indicazioni del capitolo precedente, si riallacciassero ancora soprattutto all’antagonismo universale fra cattolicesimo e pro­ testantesimo, i punti di vista industriali vi esercitarono eviden­ temente una grande influenza pratica. Tuttavia, è soltanto nel xviii secolo che questa subordinazione nuova dell'azione mili­ tare allo sviluppo industriale è diventata pienamente decisiva in quasi tutta l’estensione dell’occidente europeo: il sistema colo­ niale, fondato durante la fase precedente, è stato d'altronde la fonte più potente di tale ordine di conflitti. La nostra distinzione fondamentale fra i due sistemi di po­ litica industriale corrispondenti ai due tipi di dittatura temporale trova ancora, a questo riguardo, una larga e indispensabile ap­ plicazione naturale. Nonostante gli sforzi evidenti e prolungati della monarchia per imprimere alla politica francese questo nuo­ vo carattere, esso non poteva mai acquistarvi una profonda con­ sistenza. Ciò dipendeva sia dagli ostacoli particolari che la si­ tuazione della Francia, al centro della repubblica occidentale, opponeva alla preponderanza deU’cgoismn nazionale, che pre­

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appone o esige tale condotta; sia dai generosi istinti di socialità universale di questa popolazione, in virtù dei costumi derivati, dopoCarlo Magno, da tutti i suoi precedenti; sia per l’influenza piùgenerale dello spirito cattolico ancora attivo sui re, e diret­ tamente contrario a quell’audace isolamento mercantile che spin­ geva attivamente alla dissoluzione violenta dell’organismo eu­ ropeo; sia infine in ragione dell’ascendente mentale che si pro­ curòallora una filosofia puramente negativa, ma necessariamente cosmopolita, in seno ai popoli direttamente passati dal cattoli­ cesimo alle dottrine pienamente rivoluzionarie, evitando con vantaggio la tappa protestante, come si è visto al capitolo pre­ cedente. Con il semplice rovesciamento di tutti questi morivi essenziali, si capirà facilmente perché questa nuova politica in­ dustriale ha avuto in Inghilterra il suo principale sviluppo si­ stematico, sotto l’attiva direzione di una dittatura aristocratica, naturalmente più adatta di qualsiasi dittatura monarchica alla perseverante continuità di abili sforzi parziali indispensabili al successo costante di tale condotta nazionale. Ciò in virtù dell’in­ tima solidarietà che legava già da prima direttamente gli inte­ ressi materiali e morali di questa casta con lo sviluppo sempre piùesteso delle classi lavoratrici, poste sotto il suo antico patro­ nato. Quale che sia oggi l’esorbitante preponderanza del punto di vista puramente temporale, le altre nazioni europee non do­ vevano certo rifiutare in alcun modo la superiorità provvisoria cheoffriva, dopo il secolo scorso, la prosperità di un popolo de­ cisamente senza pari, a rischio di ostacolare in seguito profon­ damente tutto il loro avvenire sociale. Si prolungò infatti inevi­ tabilmente la preponderanza del regime militare e teologico, pe­ ricolosamente fuso sin da allora alla loro evoluzione industriale; esoprattutto si tese a esercitare su questo una maggiore depra­ vazione morale, attraverso il più libero ascendente continuato di una insaziabile cupidigia c attraverso la più perniciosa com­ pressione di ogni generosa simpatia nazionale. Dopo aver sufficientemente caratterizzato la grande impor­ tanza sistematica che, durante questa terza fase, la politica in­ dustriale acquista in tutti i popoli europei, occorre valutare an­ che lo sviluppo simultaneo dell’organizzazione interna corri­ spondente.

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Sin dall’origine di questo periodo, la preminenza spontanea della vita industriale divenne molto evidente fra tutti i ranghi sociali, per la predilezione crescente che manifestavano ovunque gli uomini più attivi e più energici per un modo desistenza che si adatta così bene all’infinita varietà delle inclinazioni umane, Inversamente alla ripartizione primitiva delle professioni, la carriera militare tendeva allora sempre più, soprattutto nelle classi inferiori, a divenire il rifugio delle nature meno provviste di attitudini o di perseveranza. Durante la seconda delle quattro generazioni che compongo­ no questa fase, il famoso movimento suscitato in Francia dalle operazioni della banca di Law 1 venne a svelare chiaramente che la cupidigia, tanto rimproverata al nuovo elemento temporale, lungi dall’essergli esclusivamente propria, caratterizzava ormai, con non meno energia, una casta il cui superbo disprezzo per la vita industriale non provava altro che la sua incurabile avver­ sione per il lavoro regolare. Da allora una costante esperienza ha sempre maggiormente testimoniato, in tutte le nazioni catto­ liche, in cui la dittatura temporale era stata di necessità fonda­ mentalmente monarchica, che la nobiltà, dopo il suo asservimento totale alla monarchia, così poco onorevolmente subito dall'tiiizio di quest’epoca, come ho spiegato nel capitolo precedente, aveva perduto irrevocabilmente, in generale, persino quella su­ periorità di sentimenti sociali e di educazione morale che le aveva ancora conservato, nella fase precedente, una profonda utilità, a tìtolo di modello spontaneo, anche dopo la fíne della sua principale attività, quella militare, divenuta essenzialmente perturbatrice. La dimenticanza simultanea della sua dignità e dei suoi doveri non poteva d’altronde essere in alcun modo com­ pensata dalla sua particolarmente attiva partecipazione alla pro­ pagazione ulteriore della filosofìa negativa. Questa degradazio­ ne doveva essere necessariamente molto minore nei paesi pro­ testanti, e principalmente in Inghilterra, in cui, per la natura aristocratica della dittatura temporale, la nobiltà, attivamente integrata nel movimento industriale, conservava una prepon-i. i. John de Lauriston Law, economista e banchiere scozzese (1671*1719), fon* datore a Parigi della Compagnie perpétueUe des Indes e di una « Banca » che ebbe dapprima successo, ma poi fallì.

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deranza politica, capace di controbilanciare e soprattutto di ma­ scherare la sua degenerazione morale. Ciononostante il suo vero spirito non aveva conservato, in fondo, maggiore magnanimità, cdera, sotto un certo aspetto, maggiormente alterato da un’ipo­ crisia sistematica, profondamente inerente, secondo le nostre spiegazioni precedenti, al suo sistema generale di governo, ben piùabile, ma non meno reazionario, di quello della monarchia. Tuttavia questo predominio prolungato dall’aristocrazia, nono­ stante la sua tendenza necessaria a ritardare in modo particolare lina vera riorganizzazione sociale, doveva allora utilmente in­ fluire su una più compiuta formazione dei costumi industriali, altrimenti sprovvisti di ogni direzione superiore prima che il loro sviluppo naturale potesse essere sufficientemente avanzato. Mentre estendeva in tal modo la sua influenza sociale, l’in­ dustria moderna completava la sua organizzazione elementare conun doppio progresso interno, che è opportuno ora caratte­ rizzare sommariamente. Da una parte, si vede allora lo sviluppo generale del sistema creditizio pubblico, nella prima fase solo delineato nelle città italiane e anseatiche, che però poteva acqui­ staregrande importanza solo quando lo sviluppo industriale dei principali stati si fosse intimamente collegato, prima come mez­ zo: poi soprattutto come fine, a tutta la politica europea. Ben­ ché' un tale sistema, già stabilito in Olanda ed ancora più esteso inInghilterra, abbia potuto produrre solo ai nostri giorni i suoi piùpotenti effetti, era necessario che ne segnalassi questa prima diffusione decisiva. Infatti, con la formazione naturale delle grandi compagnie finanziarie, la classe bancaria immediatamente cdefinitivamente si pone a capo della gerarchia industriale, per la generalità superiore dei suoi scopi normali, conformemente al principio della classificazione posta all’inizio di questo capi­ tolo. Nonostante avesse storicamente dato inizio all’evoluzione elementare, questo ordine di commercianti non era ancora con­ venientemente integrato col complesso dell’economia industria­ le: così il suo innalzarsi alla vera situazione generale conveniente alla sua natura deve essere considerato come un fatto che assi­ cura a tale organismo un complemento indispensabile, avendo questo elemento il fine di collegare più strettamente tutti gli altri, per la naturale universalità della sua azione specifica e di­ retta, così come spiegherò direttamente nel capitolo seguente.

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Sotto un altro aspetto, la costituzione industriale riceveva nello stesso tempo un perfezionamento, non meno fondamentale, con un inizio di regolarizzazione sistematica delle relazioni generali tra scienza e industria. Partiti dai punti di vista più opportuni, l’uno dalle più lontane speculazioni astratte, l’al­ tro dalle più immediate motivazioni pratiche, questi due ele­ menti caratteristici dello stato positivo si erano già, verso la fine della fase precedente, entrambi tanto sviluppati da costringere il grande Colbert a delineare immediatamente l’organizzazione della loro costante correlazione, ormai evidente per il loro co­ mune sviluppo. Tuttavia, soprattutto nel xvm secolo questa con­ nessione necessaria, così a lungo limitata quasi soltanto all’arte nautica ed all’arte medica, doveva estendersi sufficientemente, non soltanto all’intero sistema delle arti geometriche e mecca­ niche, ma anche a quello, più complesso e più imperfetto, delle arti fisiche, che ne hanno sin da allora tratto tanto vantaggio. Tali relazioni divengono, sin da quest’epoca, tanto estese e per­ manenti da far nascere spontaneamente un’importante classe, fin qui poco numerosa, anche se destinata ad un grande svilup­ po ulteriore, quella degli ingegneri propriamenti detti, parti­ colarmente adatta alla regolazione quotidiana di questi indi­ spensabili rapporti. Non si è potuto tuttavia ancora convenien­ temente dimostrare il suo carattere realmente intermediario, in mancanza di teorie corrispondenti, come ho già astrattamente spiegato nel secondo capitolo del primo volume di questo trat­ tato. Il suo sviluppo originario è avvenuto allora, soprattutto in Francia ed in Inghilterra, secondo la natura specifica di ciascu­ na delle due vie opposte seguite, sin dall’origine, dal complesso deH’evoluzione industriale, con i vantaggi e gli inconvenienti inerenti a ciascun metodo. Da una parte, si ha il predominio di una direzione centrale, capace di meglio preparare una vera or­ ganizzazione finale del lavoro universale; dall’altra, il predomi­ nio delle tendenze particolaristiche che fanno meglio risaltare le possibilità di un libero istinto privato, solo favorito da vantag­ giose associazioni volontarie. Infine, per una conseguenza naturale del suo progresso in­ terno, l’industria moderna comincia allora a manifestare il suo spiccato carattere filosofico, precedentemente troppo poco pro­ nunciato, anche se passibile di esser rilevato da una scrupolosa

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inalisi storica. Essa tende ormai a presentarsi sempre più come immediatamente destinata a realizzare l'intervento sistematico dell'umanità sul mondo esterno, in séguito ad una sufficiente conoscenza delle leggi naturali. Due invenzioni fondamentali, quella della macchina a vapore all'inizio di questa terza epoca, equella degli areostati verso la fine, sono da indicare per aver particolarmente contribuito alla diffusione universale di questa concezione: la prima con i suoi potenti risultati attuali, e l’altra conle speranze, ardite ma legittime, che stimolò ovunque. L’insieme delle diverse impressioni di questo genere auto­ rizza pienamente a constatare che, se nella seconda fase lo spi­ rito teologico era stato naturalmente condotto a manifestare energicamente la sua tendenza antindustriale, come ho già spiegato, reciprocamente in questa nuova fase lo spirito indu­ striale fu condotto non meno naturalmente a caratterizzare net­ tamente la tendenza antiteologica che gli è irrevocabilmente propria dopo uno sviluppo sufficiente. Non soltanto, in effetti, ogni grande azione volontaria dell’uomo sul mondo presuppone necessariamente la subordinazione reale dei fenomeni a leggi immutabili, alla fine incompatibili con ogni intervento provvi­ denziale, e da ciò risulta un’inevitabile partecipazione diretta dello sviluppo industriale all’influenza irreligiosa dello spirito veramente scientifico, come ho tante volte enunciato nelle varie parti del trattato. Ma, oltre a questa convergenza naturale, la cui popolarità particolare ne denota a sufficienza l’alta portata sociale, l’indu­ stria, una volta sviluppata convenientemente, trova un modo specifico e diretto di tendere alla completa estinzione di qualsiasi credo teologico, indipendentemente dalla sua costante azione contro la preoccupazione dominante della salvezza eterna, molto evidente sin dal medioevo, soprattutto dopo ¡’emancipazione iniziale. Infatti, in linea di principio ogni intervento attivo del­ l’uomo per alterare a proprio profitto l’economia naturale del mondo reale costituisce necessariamente un ingiurioso attentato contro la perfezione infinita dell’ordine divino. Ora, la natura del politeismo gli forniva direttamente numerosi mezzi speciali per eludere a sufficienza tale antagonismo, come ho già spie­ gatonel cinquantatreesimo capitolo. Con il monoteismo, invece, l’inevitabile ipotesi dell’ottimismo provvidenziale doveva alla

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fine condurre a questo fatale conflitto, non appena il carattere sacerdotale avesse cessato di essere così progressivo da contenere degnamente le errate influenze della teologia, e inversamente lo sviluppo industriale avesse guadagnato tanto terreno da costi­ tuire una decisa opposizione su questo argomento. Il monotei­ smo musulmano era giunto, quasi sin dall’origine, a questo disastroso contrasto, per il solo fatto di aver conservato la gran­ de concentrazione politica propria del regime politeistico, ed essersi quindi completamente privato di quella favorevole sepa­ razione cattolica, che costituiva realmente il principale valore sociale del regime monoteistico. L’ammirevole organizzazione del cattolicesimo aveva ritardato spontaneamente l’inevitabile scontro fino al momento in cui, data la decadenza assai avan­ zata del sistema teologico, l’evoluzione industriale della parte migliore dell’umanità non poteva più esser compromessa gra­ vemente; tuttavia tale ritardo doveva, in senso inverso, rendere il conflitto finale più profondamente nocivo allo spirito reli­ gioso, divenuto nella terza fase sempre più direttamente incom­ patibile, anche agli occhi delle persone meno chiaroveggenti, con una larga estensione dell’intervento razionale deH’uomo sulla natura. Così questa fase deH’evoluzione preliminare della società moderna, veramente estrema sia per la progressione po­ sitiva come per quella negativa, ha gradualmente condotto l’ele­ mento industriale a trovarsi sin da allora involontariamente in lotta radicale e continua, manifesta o latente, con i diversi po­ teri, teologici e militari, la cui preponderanza tutelare era stata a lungo indispensabile per il suo progresso iniziale. Ne deriva, in generale, che ogni sviluppo preparatorio di cui era suscetti­ bile sotto il regime antico, era ormai essenzialmente concluso, e quindi la sua tendenza posteriore doveva essere naturalmente in direzione di una totale riorganizzazione politica. Riassumen­ do, si può concludere quindi che in questo periodo l’influenza intellettuale del movimento industriale, diretta anche se acces­ soria, ha tuttavia istintivamente favorito, con una azione parti­ colare, eminentemente popolare, lo sconvolgimento decisivo im­ mediatamente diretto allora contro tutta la filosofia teologica. Questa è, dunque, la giusta valutazione storica dei diversi caratteri successivi dell’evoluzione industriale durante le tre fasi essenziali della civiltà moderna. Dalla sua origine, nel medio­

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evo, sotto la tutela cattolica e feudale, questo grande movimento temporale ha seguito, nella sua prima fase, un percorso pura­ mente spontaneo, solo assecondato da fortunate alleanze natu­ rali con i diversi poteri antichi; è stato durante la seconda fase sistematicamente oggetto, da parte dei diversi governi europei, di attivi e continui incoraggiamenti, in quanto mezzo fonda­ mentale della supremazia politica; durante la fase successiva è stato finalmente eretto a scopo permanente della politica euro­ pea, che ovunque ha posto la guerra al proprio regolare serviaio: il suo sviluppo sociale, sempre più preponderante, è stato così condotto gradualmente a non poter avanzare se non con l'avvento finale del sistema politico corrispondente. Sebbene que­ sta tendenza estrema debba essere esaminata solo nella lezione successiva, è stato tuttavia opportuno indicare qui la sua filia­ zione necessaria, affinché gli uomini di buon senso possano or­ mai sentire completamente l’intima realtà della nuova filosofia politica che mi sforzo di fondare. Il collegamento reciproco delle tre età principali della storia moderna, mostrando ciascu­ na fase come prodotta dalla precedente e origine della successi­ va, rinsalda nella nostra elaborazione attuale, con una spiega­ zione decisiva, il legame fondamentale, precedentemente stabi­ lito, tra l’evoluzione moderna e l’evoluzione antica, con la me­ diazione dell’evoluzione transitoria del medioevo. Si costituisce di conseguenza un’indissolubile solidarietà effettiva fra tutti i diversi gradi dello sviluppo umano, di cui si potrà ormai com­ prendere nettamente la perfetta continuità, risalendo facilmente dai minimi fenomeni attuali agli atti più antichi della società umana. Ci resta ora da compiere, ma molto più sommariamente, un esame equivalente per il triplice movimento intellettuale estetico, scientifico e filosofico, che preparò simultaneamente una riorganizzazione spirituale suscettibile di fornire un’ulte­ riore base razionale alla riorganizzazione temporale di cui ab­ biamo appena esaminato la preparazione elementare. Oltre che per le false nozioni fornite in abbondanza da un’irrazionale ana­ lisi storica, la prima formazione organica ha presentato difficoltà più complesse e richiesto spiegazioni più diffuse, per l’impor­ tanza preponderante dell’evoluzione industriale, su cui doveva fondarsi necessariamente la costituzione propria della società

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moderna. Il nuovo sviluppo spirituale invece, in quanto ridotto ad una classe assai limitata, non ha ancora potuto esercitare altra influenza se non semplicemente moderatrice, destinata a diven­ tare attiva e principale solo in un prossimo avvenire. Ciascuna di queste tre evoluzioni parziali non deve d’altronde, per la na­ tura della nostra impostazione dinamica, essere qui considerata in relazione alla sua storia particolare per quanto profondo sia l’interesse che possa suscitare, ma unicamente sotto il suo aspet­ to sociale. Qui la sua azione immediata si presenta sino ad ora come puramente secondaria, e acquista importanza mag­ giore solo in considerazione dei germi necessari di un succes­ sivo potente predominio. Così come abbiamo fatto nei con­ fronti dell’evoluzione principale, ci sarà dunque sufficiente, per ogni elemento spirituale, valutare successivamente, dapprima la sua iniziale emanazione storica sotto la tutela del regime medie­ vale, poi il vero carattere essenziale relativo alla società moder­ na, ed infine il suo percorso graduale durante le tre fasi che ab­ biamo stabilito dal xiv secolo. Secondo l’ordine fondamentale spiegato all’inizio di questo capitolo, dobbiamo cominciare que­ sto lavoro complementare con l’esame sommario dell’evoluzione estetica, la più vicina sotto tutti i punti di vista all’evoluzione industriale. Poiché le facoltà estetiche sono, per loro natura, essenzial­ mente destinate all’ideale rappresentazione simpatetica dei di­ versi sentimenti che caratterizzano la natura umana, personale, domestica o sociale, il loro precipuo sviluppo, qualsiasi predo­ minio si supponga per esso, non potrebbe mai esser sufficiente a definire realmente la civiltà corrispondente. Sebbene la società moderna riservi loro necessariamente un’attività ed un’estensio­ ne assai superiore a quella che avrebbero potuto permettere le fasi sociali anteriori, come spiegherò ben presto, contrariamente alle opinioni comuni, è chiaro che la loro energica manifesta­ zione è stata sempre indistintamente mescolata alle diverse si­ tuazioni dell’umanità, sotto l’unica condizione indispensabile che lo stato rispettivo fosse nello stesso tempo molto pronunciato e molto stabile. Così è questa la sola, fra le differenti evoluzioni elementari studiate in questo capitolo, che possa essere conside­ rata del tutto comune alla società militare e teologica ed alla società industriale e positiva: donde risulta evidentemente un

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nuovo motivo particolare per cui dobbiamo applicare la nostra inalisi storica meno a simile elemento generale che non a quelli checostituiscono direttamente i veri caratteri distintivi della ci­ viltà moderna. Dobbiamo soltanto valutare il modo fondamen­ tale d’integrazione dell’elemento estetico, e le nuove proprietà chevi ha naturalmente sviluppate. Da questa indicazione preliminare, sullo sbocco permanente chele arti devono spontaneamente trovare in ogni periodo del­ l'umanità, si capisce innanzitutto, relativamente alla prima delle trequestioni poste precedentemente, come sarebbe impossibile, ia principio, che il loro sviluppo non fosse venuto alla luce in unostato sociale tanto nettamente delineato quanto quello del medioevo, che interessa ora mostrare come vera fonte necessaria dell’evoluzione estetica della società moderna. È facile ricono­ scere che, se il regime feudale e cattolico aveva potuto imporre una sufficiente stabilità, era, per sua natura, molto più favore­ vole ad un tale sviluppo di tutti gli altri regimi precedenti. In­ fitti, i costumi feudali avevano dapprima impresso nei sentimenti d'indipendenza personale un’energia abituale prima sconosciuta: nellostesso tempo, la vita domestica era stata comunemente abbel­ litaedestesa molto al di là di quanto fosse stato possibile nell’an­ tichità, soprattutto per i favorevoli cambiamenti sopravvenuti nel­ lacondizione della donna. Infine, l’attività collettiva, quando poté essere convenientemente esercitata, dovette certo costituire una fonte non meno potente d’ispirazione poetica ed artistica, per lanuova attrazione morale che offriva il grande sistema di guer­ redifensive di questa memorabile fase dell’umanità. È evidente chetutti questi eminenti attributi non erano affatto accidentali, e risultavano necessariamente dalla situazione feudale regolarizzata dallo spirito cattolico, specialmente con l’aiuto della di­ visione fondamentale dei due poteri, che costituiva il principale carattere politico di tale stato sociale, secondo le nostre spiega­ zioni precedenti. Quanto all’influenza particolare del cattoli­ cesimo, la si può constatare, a .questo proposito, in modo ancor meno contestabile sia dal grado iniziale di attività speculativa che noi abbiamo visto sviluppare direttamente in tutte le classi, eche doveva permettere all’azione estetica una universalità sino ad allora impossibile; sia dalla destinazione permanente che il tuo culto forniva immediatamente a ciascuna delle arti, e che

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trasformò numerose cattedrali in tanti veri musei in cui la mu­ sica, la pittura, la scultura, l’architettura trovavano naturalmente una fortunata consacrazione, sia infine dalle svariate risorse della sua organizzazione interna, che offriva potenti mezzi co­ stanti d’incoraggiamento individuale. Tuttavia occorre ricono­ scere, sotto questo aspetto, che tali importanti proprietà erano soprattutto inerenti all’ammirevole perfezione della costituzione cattolica, socialmente considerata, astrazion fatta dalla filosofia teologica, che le serviva inevitabilmente da base razionale, e la cui influenza ha neutralizzato, come abbiamo constatato, le vantaggiose tendenze di tale organismo. Infatti, nonostante l’at­ titudine specifica che riconosceremo quanto prima al monotei­ smo a favorire spontaneamente il primo sviluppo scientifico dei moderni, ciò non poteva accadere relativamente allo sviluppo estetico, che doveva essere certo poco compatibile con il carat­ tere nello stesso tempo vago, astratto ed inflessibile delle cre­ denze monoteistiche. Questa ostilità, d’altronde poco contestata oggi, è stata prima sufficientemente individuata per contrasto spiegando, nel cinquantatreesimo capitolo, le fondamentali pro­ prietà estetiche del politeismo, direttamente derivanti dalla dot­ trina più che dal regime corrispondente. Ma questa opposizione naturale non ha potuto in realtà ritardare a lungo, nel medio­ evo, lo sviluppo delle arti, così potentemente stimolate dal com­ plesso della situazione sociale. Quest’opposizione ha soltanto reso necessaria una memorabile abituale incongruenza, avida­ mente accolta dagli stessi credenti più timorati : ha condotto il genio estetico a consacrare, per una sorta di fede ideale, l’eter­ nità fittizia del politeismo antico, sia greco che romano, sia scan­ dinavo che arabo. Sebbene, per l’indispensabile dottrina degli esseri soprannaturali intermediari, il monoteismo cristiano, qua­ si quanto il monoteismo musulmano, si prestasse facilmente ad un simile espediente poetico, è tuttavia incontestabile che que­ sta inevitabile incongruenza abbia dovuto costituire nei moder­ ni una delle principali cause della minore energia delle impres­ sioni estetiche, tanto che le dottrine religiose hanno conservato un vero predominio sia prima, sia poi, quando gli spiriti evo­ luti sono stati quasi liberati sia dai monoteismo, sia dal poli­ teismo. Questo conflitto fondamentale si farà necessariamente sempre sentire, ad un grado qualsiasi, soprattutto nelle classi a

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cui le arti sono particolarmente destinate, fino ai tempi, ancora lontani ma certi, in cui l’evoluzione estetica potrà direttamente fondarsi sulla propagazione familiare di una filosofìa pienamente positiva, come spiegherò terminando questo volume. Ma si è troppo confusa la tendenza reale di questo antagonismo logico aneutralizzare i grandi effetti estetici, con una chimerica oppo­ sizione allo sviluppo delle arti, e soprattutto con una pretesa inferiorità di quelli che le hanno così felicemente coltivate sotto tale influenza permanente. Stimolata dal complesso delle cause essenziali, che abbiamo appena individuato, l’evoluzione estetica dovette manifestarsi nel medioevo, quando lo stimolo sociale potè cominciare a per­ metterlo, cioè quando l’organismo cattolico e feudale fu suffi­ cientemente pervenuto alla sua costituzione propria; l’avvento universale della cavalleria ne indica naturalmente l’epoca ini­ ziale, con il nuovo fervore che ne doveva specialmente risultare: maè alle crociate che si riallaccia necessariamente il suo princi­ pale sviluppo, così direttamente alimentato, per due secoli, da questo nobile slancio collettivo dell’energia europea. Tutte le testimonianze storiche dimostrano, nel modo più decisivo, l’u­ nanime sollecitudine che mostrarono allora, con una ingenuità cosi espressiva, le diverse classi della società europea per un ge­ nere di attività mentale così ben caratterizzato dal dolce privi­ legio di incantare quasi egualmente gli spiriti più opposti, of­ frendo agli uni l’esercizio intellettuale più adeguato alla debole portata della loro comprensione, presentando agli altri la più salutare diversione che possa procurare un riposo senza apatia. Queste disposizioni favorevoli erano anche tanto ispirate dalla natura di un regime, irrazionalmente qualificato come tenebro­ so, che furono in generale più accentuate laddove questo regime aveva potuto realizzarsi più completamente, cioè in Francia ed in Inghilterra, in cui lo sviluppo nascente delle arti suscitò a lungo un’ammirazione ben superiore, in energia ed in univer­ salità, all’ardore tanto celebrato di qualche rara popolazione antica per i capolavori corrispondenti. Quale che debba essere, aquesto riguardo, la splendente preponderanza dell’Italia, si de­ vein effetti notare, come Dante ha nobilmente proclamato, che la sua prima evoluzione estetica fu preceduta e preparata, nel medioevo, da quella della Francia meridionale; ora, questa in-

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contestabile diversità storica mi sembra doversi soprattutto attri­ buire alla minore consistenza dell’ordine feudale in Italia, non­ ostante l’azione particolarmente favorevole che il cattolicesimo doveva esercitare sullo sviluppo iniziale delle arti. Questo sviluppo spontaneo fu a lungo ostacolato da una lenta c difficile operazione preliminare, il cui indispensabile compi­ mento doveva precedere, per necessità, lo slancio diretto del ge­ nio poetico; si tratta chiaramente della formazione fondamen­ tale delle lingue moderne, in cui si deve vedere, a mio giudizio, un primo intervento universale delle facoltà estetiche. Sebbene tale preliminare non possa produrre, a questo proposito, risul­ tati immediati, la loro assenza effettiva non indica certo la ste­ rilità radicale degli sforzi primitivi, a lungo compiuti in lavori puramente preparatori, ma d’importanza capitale per tutta l’evo­ luzione successiva, che un’ingrata valutazione isola troppo spes­ so da questi presupposti necessari. Le lingue risultano soprattut­ to, come si sa, da una lenta elaborazione popolare, in cui sem­ pre si manifestano profondamente i diversi caratteri essenziali della civiltà corrispondente; ciò è soprattutto chiaro per quanto riguarda le lingue moderne, in cui il predominio crescente della vita industriale e l’influenza graduale di una razionalità posi­ tiva sono costantemente accentuate. Ma questa origine popolare non impedisce affatto il concorso necessario dell’influenza più regolare spontaneamente prodotta dai migliori intelletti, senza la quale questo lavoro universale non potrebbe acquistare né la stabilità né la coerenza indispensabili alla sua meta finale. Ora, in questo intervento permanente del genio particolare per la sanzione e la revisione dell’elaborazione popolare di base, non appena questa è sufficientemente progredita, è interessante rico­ noscere, in generale, che, nonostante l’inevitabile partecipazione simultanea dei diversi modi di attività mentale, l’operazione dipende soprattutto, per sua natura, dalle facoltà estetiche pro­ priamente dette. Esse sono infatti, nello stesso tempo, le meno inerti nella maggior parte delle intelligenze, e quelle il cui eser­ cizio esige innanzitutto il perfezionamento della lingua comu­ ne. Questa proprietà necessaria diviene ancora più evidente quan­ do si tratta non della creazione spontanea di una lingua origi­ nale, ma della trasformazione radicale di un linguaggio prece­ dente in conseguenza di un nuovo stato sociale. Qualsiasi atti­

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viti il genio filosofico ed il genio scientifico abbiano potuto ma­ nifestare nel medioevo, come constateremo ben presto, l’uno e l’altro hanno sicuramente assai poco contribuito alla fondazione generale delle lingue moderne. Nonostante i vantaggi essenziali checiascuno di essi ha in séguito tratto dalla superiorità logica dei nuovi idiomi, il lungo uso che ambedue fecero del latino, dopoche ebbe interamente cessato di essere popolare, conferma suficientemente la loro ripugnanza e la loro inettitudine natu­ ralea dirigere l’elaborazione del linguaggio usuale. Era dunque afacoltà meno astratte e meno generali, meno importanti ma più interiori, più popolari e più attive, che doveva necessaria­ mente appartenere quest’indispensabile operazione. Essenzial­ mente destinato alla rappresentazione universale ed energica dei pensieri e degli affetti inerenti alla vita reale e comune, mai il genio estetico ha potuto convenientemente parlare una lingua morta, neanche straniera, qualsiasi facilità eccezionale avessero potuto procurare, a questo proposito, abitudini artificiali. Si ca­ pisce dunque facilmente come la sua attività specifica sia do­ vuta essere, nel medioevo, cosi a lungo impegnata soprattutto ad accelerare e a regolarizzare la formazione spontanea delle lingue moderne, che deve essere in primo luogo riportata agli sforzi assidui di queste stesse facoltà, alle quali una superficiale valutazione attribuisce una specie di letargo secolare, nel tempo stesso in cui esse ponevano così i fondamenti generali dei mo­ numenti più caratteristici della nostra società europea. Il ritardo inevitabile che ne doveva risultare per Io sviluppo diretto della produzione estetica senza dubbio colpiva immediatamente solo l’arte poetica propriamente detta e secondariamente l’arte mu­ sicale; ma le altre tre arti ne dovevano essere indirettamente ostacolate, anche se a un livello molto minore, per le loro rela­ zioni fondamentali con l’arte più universale, conformemente alla gerarchia estetica indicata, in linea di principio, nel cin­ quantatreesimo capitolo; il che spiega sostanzialmente le prin­ cipali forme storiche dell’evoluzione estetica del medioevo. Considerando direttamente la memorabile spontaneità di si­ mile evoluzione, non si può misconoscere la realtà della nostra spiegazione generale sulla sua derivazione necessaria dell’am­ biente sociale corrispondente. Si deve imputare, senza dubbio, aun’irrazionale esagerazione il rimprovero corrente sul completo

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abbandono delle opere antiche, la cui lettura assidua, almeno per quanto riguarda gli autori romani, non poteva certamente cessare in un periodo in cui il latino costituiva ancora la lingua ufficiale della principale gerarchia europea. Tuttavia è certo che i più bei secoli del medioevo dovettero presentare, dopo il pri­ mo formarsi delle lingue moderne, un naturale disuso, salvo nel clero per le sue necessità permanenti, causato da una co­ scienza confusa deH’incompatibilità della nuova evoluzione este­ tica con l’ammirazione troppo esclusiva dei capolavori relativi ad un sistema sociale da allora estinto per sempre. Quali che fossero allora, sotto l’aspetto del gusto, gli inconvenienti reali di simile scomparsa, essa presentava tuttavia il vantaggio molto più essenziale di meglio garantire l’originalità e la popolarità di questo primo sviluppo. È necessario d’altronde notare come simile tendenza fosse, nel medioevo, intimamente collegata al presupposto universale, giustamente imposto dal cattolicesimo, della preminenza fondamentale del nuovo stato sociale in con­ fronto all’antico. Inversamente questa relazione naturale ha suc­ cessivamente contribuito persino alla resurrezione della lette­ ratura antica; in essa tanti spiriti colti cercarono, a loro insapu­ ta, una specie di protesta indiretta contro lo spirito cattolico, non appena ebbe cessato di essere progressivo. Comunque sia, la spontaneità originaria di questa evoluzione estetica aveva cer­ tamente bisogno di essere consolidata con la sua completa indipendenza da quella che tutt’altra situazione sociale aveva ispi­ rato. Così, ad esempio, l’eccessivo predominio che soprattutto in Italia conservò l’imitazione dei monumenti romani, fece sì che questa bella parte della repubblica europea, a lungo supe­ riore alle altre in tutte le arti, non abbia manifestato, nel me­ dioevo, uguale preminenza nel campo architettonico. Lo svi­ luppo caratteristico in questo settore si ebbe principalmente nelle popolazioni in cui le influenze cattoliche e feudali erano più esclusivamente prevalse. Ciò permetteva di erigere edifici più profondamente adeguati al complesso della civiltà, di cui erano destinati ad eternare, sotto la forma più sensibile, l’imponente ricordo. In ogni campo, la profonda spontaneità della evolu­ zione iniziale è sottolineata dall’originalità delle sue produzioni e dalla loro genuina conformità alla situazione sociale corrispon­ dente, non meno che dall’indipendenza del suo procedere li-

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btro da ogni imitazione servile. Lo si vede soprattutto per lo sviluppo poetico, allora così direttamente consacrato, da una parte, all’espressione fedele, anche se ideale, dei costumi cavai* ¡treschi c, d’altra parte, all’eccellente descrizione del predomi­ niosempre maggiore della vita domestica nel sistema di abitu­ dini della vita moderna. Sotto l’uno e l’altro aspetto, occorre principalmente notare, inquesto periodo, il primo formarsi di un genere di composi­ zione essenzialmente sconosciuto all’antichità, in quanto è re­ lativa principalmente alla vita privata, che gli antichi avevano tantopoco sviluppato; in essa la vita pubblica non interviene se nonper il suo necessario reagire sulla privata. Questa forma di epopea domestica, successivamente destinata ad ammirevoli pro­ gressi, come indicherò in seguito, costituisce certamente la for­ ma di produzione nuova più adeguata alla natura della civiltà moderna; essa risale evidentemente sino all’evoluzione iniziale, mauna servile ammirazione dell’antica letteratura ha fatto suc­ cessivamente dimenticare gli ingegnosi tentativi iniziali; la de­ nominazione comune, nonostante la sua attuale improprietà, con­ serva direttamente il costante ricordo di questa incontestabile filiazione storica. Tale è l’insieme di spiegazioni preliminari che indica come 10stato sociale del medioevo costituisse sotto tutti gli aspetti, la culla necessaria della grande evoluzione estetica delle società moderne. Se gli eminenti attributi, che qualificano da questo punto di vista tale memorabile situazione, non hanno potuto essere, in realtà, sviluppati al punto da non richiedere oggi per 11 loro esame generale una discussione approfondita, ciò deriva soprattutto dalla natura essenzialmente transitoria che, in base alle nostre dimostrazioni precedenti, doveva necessariamente distinguere questo grado della progressione umana. Lo sviluppo esteticonon presuppone soltanto uno stato sociale così fortemen­ tecaratterizzato da comportare una energica idealizzazione. Ri­ diede altresì che un tale stato sia così stabile da instaurare spon­ taneamente un’intima armonia preliminare tra l’interprete e lo spettatore, senza la quale l’azione delle arti non sarebbe in gra­ dodi ottenere normalmente una completa efficacia. Queste due condizioni fondamentali, naturalmente unite nell’antichità, non hanno mai potuto esserlo in séguito, neanche nel medioevo, ad

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un livello sufficiente e non potranno ritrovare la loro conver­ genza necessaria se non con il predominio successivo della rige­ nerazione positiva, riservata al nostro secolo, come indicherò particolarmente alla fine di quest’ultimo volume. Abbiamo, in effetti, pienamente riconosciuto che il medioevo costituisce un immenso periodo di transizione, che, sotto i diversi aspetti prin­ cipali, non è ancora totalmente terminato. Là soltanto occorre cercare la vera esposizione storica deU’incontcstabile spropor­ zione generale, deplorevolmente avvertibile allora, tra i deboli risultati permanenti dello sviluppo estetico e l’energia della sua attività originale, così ben assecondata da una prontezza uni­ versale. Questa memorabile anomalia è considerata irrazional­ mente nelle due scuole opposte che si disputano oggi il dominio delle arti : gli uni hanno visto in essa solo una chimerica testi­ monianza di un inesplicabile scadimento delle facoltà estetiche dell’umanità; gli altri l’hanno esclusivamente attribuito alla servile imitazione posteriore dei capolavori deU’antichità. Seb­ bene quest’ultima considerazione non sia così vana quanto la prima, si scambia tuttavia un effetto per una causa, e soprat­ tutto si accorda un’importanza esagerata ad un’influenza pura­ mente secondaria. Infatti, se la situazione cattolica e feudale avesse potuto e dovuto comportare una vera stabilità, paragona­ bile a quella dell’ordine greco e romano, il suo predominio na­ turale avrebbe facilmente contenuto la forma di regresso este­ tica che tendesse a originare poi una predilezione troppo esclu­ siva per i modelli antichi. Così la fonte essenziale di questa sin­ golare indecisione sociale che ha caratterizzato l’arte moderna, e che ha neutralizzato sinora la necessaria universalità di una sua continua influenza, dopo che nel medioevo l’arte aveva com­ piuto una primo sviluppo così stabile, originale, popolare, va cercata direttamente neU’inevitabile instabilità dello stato sociale corrispondente che è la causa di sempre nuove trasformazioni successive. Una profonda e perseverante elaborazione estetica era certamente impossibile in popoli, in cui ciascun secolo, e talvolta anche ciascuna generazione, modificava così notevol­ mente la forma sociale precedente, che ogni situazione determi­ nata era ormai già essenzialmente venuta meno prima che il poeta o l’artista avessero potuto penetrarla in profondità, con una comprensione naturale indispensabile all’azione delle arti.

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Così, per esempio, lo spirito delle crociate, tanto favorevole alla piùpotente poesia, era già irrevocabilmente scomparso quando lelingue moderne erano giunte a quel punto di formazione che permettesse la completa idealizzazione; mentre, nell’antichità, ogni forma reale di socialità era stata tanto costante che il genio estetico poteva risentire e ritrovare, dopo molti secoli, passioni d azioni popolari essenzialmente identiche a quelle di cui vo­ leva ridescrivere l’antica forza. Solo l’avvenire potrà ricollocare l'umanità, ed in modo anche superiore, in quelle condizioni nor­ mali di stabilità attiva, senza cui l’azione delle arti non è in grado 'di ottenere la piena efficacia sociale conveniente alla sua natura. Sebbene costretto a limitarmi qui all’indicazione sommaria delle diverse spiegazioni, spero di averne sufficientemente carat­ terizzato lo spirito generale, d’altronde pienamente conforme a tutta la mia teoria fondamentale dell’evoluzione umana. In tal modo il lettore sufficientemente preparato potrà utilmente so­ stenere l’applicazione particolare di questo principio storico, chemostra lo stato sociale del medioevo come origine necessaria al tempo stesso di tutto lo sviluppo estetico della civiltà moder­ nae delle imperfezioni caratteristiche che doveva offrire senza presupporre alcuna diminuzione reale delle facoltà estetiche del­ l'umanità, ma tendendo, al contrario, a mettere meglio in evi­ denza l’energia intrinseca di uno sviluppo effettivo che, non­ ostante simili ostacoli, ha realizzato tanti ammirevoli risultati, come avevo segnalato anticipatamente nel cinquantasettesimo capitolo. Per facilitare maggiormente questa successiva tratta­ zione, ritengo opportuno indicare ora separatamente la divisione razionale che ho sempre spontaneamente seguito, in questo vo­ lume e nel precedente, per la storia universale del medioevo e che, precedentemente verificata in modo specifico per quanto riguarda l’evoluzione industriale, si presenta non meno adegua­ taper l’evoluzione estetica o per ogni altra preparazione essen­ ziale, sia positiva o anche negativa, della civiltà moderna. Com­ prendendo il medioevo propriamente detto fra l’inizio del v se­ coloe la fine del u ii , come ho già sufficientemente dimostrato, essa consiste nel dividere questa memorabile fase di transizione di nove secoli in tre periodi naturali, che si trovano ad essere press’a poco della stessa durata. Il primo, che termina nel v ii

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secolo, rappresenta la formazione fondamentale, che contiene, in modo assai confuso ma visibile, tutti i veri germi principali dei diversi movimenti successivi. Il secondo, che giunge sino alla fine x secolo, corrisponde allo sviluppo graduale della struttura cattolica e feudale, caratterizzata esteriormente dal primo gran­ de sistema di guerre difensive, dirette soprattutto, secondo le nostre spiegazioni precedenti, contro i selvaggi politeisti del nord. Il terzo, infine, direttamente relativo al più grande splen­ dore di questo organismo transitorio, comprende l’ammirevole difesa del monoteismo occidentale dall’invasione, allora la sola temibile, del monoteismo musulmano; attività veramente con­ clusiva, ben presto seguita dall’irrevocabile dissoluzione sponta­ nea di un sistema ormai privo del suo scopo fondamentale, e dall’evoluzione simultanea dei nuovi elementi sociali, segretamente avvenuta sotto il suo tutelare predominio europeo. Nella serie industriale, abbiamo visto le tre fasi successive presentare naturalmente, l’una l’universale sostituzione preliminare della servitù alla schiavitù, l’altra l’emancipazione personale delle classi urbane, e l’ultima il primo slancio industriale delle città, accompagnato dalla completa abolizione della servitù agricola. Nella serie estetica abbiamo riconosciuto, con non minore evi­ denza, dapprima il primo delinearsi di una nuova socialità, de­ stinata a rinnovare l’azione generale delle facoltà estetiche, poi la loro indispensabile applicazione preliminare alla formazione delle lingue moderne, ed infine il loro sviluppo diretto, secondo la natura propria della civiltà corrispondente. Tutti gli altri vari aspetti del movimento umano saranno sottoposti, l’assicuro, a verifiche equivalenti, che debbo ora dispensarmi dallo specifi­ care formalmente. Il loro necessario convergere porta sponta­ neamente a considerare come epoca decisiva l’ammirevole regno dell’incomparabile Carlomagno, collocato quasi alla metà della seconda fase e quasi equidistante dai due termini estremi che ricollegano immediatamente il medioevo da una parte all’evolu­ zione antica e dall’altra all’evoluzione moderna. In esso lo spi­ rito del regime transitorio comincia a manifestare pienamente i suoi diversi attributi essenziali, ed i diversi elementi principali della civiltà successiva ricevono così, sotto tutti gli aspetti, il più fortunato stimolo iniziale. Anche se questa divisione in periodi ha sempre implicitamente diretto il mio esame storico del me­

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dioevo, la natura eminentemente astratta della nostra trattazio­ nedinamica non mi permetteva di farla direttamente presiedere alla sua esecuzione, in quanto avrebbe richiesto spiegazioni con­ crete incompatibili con i limiti ed i fini di quest’opera. Ho tut­ tavia creduto necessario alla fine indicarne in modo esplicito la concezione, per i filosofi che vorranno successivamente applicare la mia teoria fondamentale allo studio specializzato e metodico di questo grande periodo di transizione. Il suo corso graduale offre spontaneamente, senza alcuna vana preoccupazione siste­ matica, una triplice distribuzione analoga, salvo la durata, a quella che abbiamo sempre riconosciuto, prima per i principali stadi dello sviluppo umano nel suo complesso, poi per le forme successive dell’evoluzione antica, ed infine per i gradi consecu­ tivi dell’evoluzione moderna. Ciò presenta ovunque allo spirito degli intervalli che rendono possibile lo sviluppo abituale di considerazioni generali, indispensabili all’efficacia sociale della nostra filosofia storica, che non è destinata, non potrei mai ri­ cordarlo abbastanza, ad uno sterile sfoggio accademico, ma a fornire realmente una base razionale all’attivo coordinamento degli sforzi direttamente relativi al rinnovamento finale dell’umanità. Dopo aver sufficientemente spiegato come lo sviluppo este­ ticodelle società moderne è naturalmente scaturito dallo stato sociale del medioevo, diviene facile procedere alla seconda parte generale di questo esame, analizzando i principali caratteri del nuovo elemento introdotto nel sistema della nostra civiltà, e la sua situazione necessaria nei confronti degli antichi poteri nel periodo iniziale del xiv secolo. Queste due determinazioni con­ nesse non possono in effetti risultare che dall'influenza predo­ minante delle cause prima segnalate, combinata con l’estensione nascente della vita industriale, che tendeva sin da allora a mu­ tareil modo primitivo della socialità. Non ci resta così che ricer­ care soprattutto la relazione fondamentale tra questa modificarione decisiva e tutto il movimento già impresso alle arti dalle influenze cattoliche e feudali. L’intima e mutua affinità, testimoniata da tutta la storia moderna, tra sviluppo industriale e sviluppo estetico ha per evi­ dente principio, secondo la teoria gerarchica, indicata nella parte iniziale di questo capitolo, una duplice tendenza necessaria del­

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l’evoluzione industriale, da una parte a sviluppare spontanea­ mente, sin nelle ultime classi, un primo grado abituale di atti­ vità mentale, senza cui l’azione delle arti non potrebbe esser compresa, dall’altra a sviluppare nello stesso tempo l’agiatezza e sicurezza che sole possono disporre a gustare convenientemente i nobili piaceri corrispondenti. Nel processo naturale dell’educa­ zione umana, individuale o collettiva, l’esercizio intellettuale è dapprima determinato comunemente dallo stimolo pratico dei bisogni più grossolani, ma più urgenti; la loro soddisfazione ren­ de possibile in séguito la felice e persistente efficacia dello sti­ molo più elevato, ma meno energico, proveniente dalle facoltà estetiche. Queste ultime, data la gradevole commistione dì pen­ sieri ed emozioni che tanto esclusivamente le caratterizza, costi­ tuiscono realmente, considerata l’estrema imperfezione della nostra economia cerebrale, le sole facoltà mentali pronunciate, nella maggior parte degli uomini, sino al punto che la loro azione regolare può diventare fonte di veri piaceri; al contrario, le facoltà scientifiche o filosofiche, più importanti, ma per lo più sviluppate in grado minore non determinano, come è noto, altro che una stanchezza ben presto insopportabile, ad eccezione che per il piccolo numero di uomini veramente portati alla con­ templazione astratta. È dunque facile capire il compito fonda­ mentale dello sviluppo estetico, che costituisce il passaggio nor­ male dalla vita attiva alla vita speculativa. Con un esame più preciso, questo sviluppo intermediario mi sembra che caratterizzi sostanzialmente il livello abituale di esercizio mentale al quale s’arresterebbe comunemente l’umanità, se, per un ambiente più favorevole, o in virtù di un’organizzazione meno esigente, fosse liberata dai continui obblighi relativi ai bisogni fisici, come in­ dica a sufficienza la tendenza comune delle situazioni sociali meno lontane da tale ipotesi ideale. Comunque, la relazione elementare della vita estetica con la vita pratica è certo dive­ nuta molto più diretta, più completa e soprattutto più univer­ sale, sin dalla sostituzione graduale della vita industriale alla vita militare, secondo i motivi già indicati. Sin tanto che la schia­ vitù e la guerra hanno caratterizzato l’economia sociale, ovvia­ mente l’arte non poteva acquistare una profonda popolarità, e non doveva essere ordinariamente apprezzata neanche fra gli uomini liberi, se non nelle classi superiori. 11 solo caso diverso,

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molto vantato d’altronde, si riferisce storicamente a una mode­ sta parte della popolazione greca, che un complesso di circo­ stanze locali e sociali, profondamente eccezionali anche se non arbitrarie, aveva predestinato, come ho già spiegato, a questa fortunata anomalia. In ogni altra società guerriera dell’antichità, di veramente popolare non vi erano altro che i giuochi sanguicosi che offrivano a questi popoli grossolani il ricordo della loro attività preferita. Al contrario l’evoluzione industriale propria della fine del medioevo ha spontaneamente consolidato, sotto questo aspetto, la salutare influenza dei costumi cattolici e feu­ dali; ha mirato a far abitualmente penetrare, sin nelle più umili famiglie, le disposizioni elementari più favorevoli all'azione delle arti, la cui produzione s’indirizzava ormai ad un pubblico, al tempo stesso molto più numeroso e molto meglio preparato. Inquesto modo il genio estetico, destinato soprattutto alle mas­ se, in necessaria diminuzione nelle sfere privilegiate, ha potuto inserirsi nella socialità moderna in modo ben più profondo di quanto non avesse ordinariamente potuto in quella antica, in cui, anche nel caso dell’accoglienza più favorevole, era quasi sem­ pre trattato come un elemento essenzialmente estraneo al com­ plessodella struttura sociale. Se questa connessione più profonda non è stata ancora sufficientemente manifestata, ciò è dovuto ilio stato puramente rudimentale di tutto ciò che riguarda l’or­ ganismo moderno, in cui l’assenza totale di sistematizzazione razionale ha annullato sinora, da tutti i punti di vista, le pro­ prietà più caratteristiche. Considerata ora in senso inverso, questa relazione elemen­ tare tra sviluppo estetico e sviluppo industriale si presenta so­ prattutto come fortunatamente destinata a costituire, per i mo­ derni, il più potente correttivo naturale del deplorevole immi­ serimento, morale ed intellettuale, comunemente prodotto dal­ l’esorbitante prevalenza dell’attività industriale nel complesso dell'esistenza umana. Da questo fondamentale punto di vista l'educazione estetica inizia spontaneamente, con la più univer­ sale efficacia, ciò che solo l’educazione scientifica e filosofica puòconvenientemente condurre a termine. Si potrà così un gior­ no, sotto l’influenza di una saggia regolamentazione, colmare vantaggiosamente la grave lacuna, provvisoriamente originata, a questo riguardo, dall’inevitabile decadenza dei costumi reli­

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giosi, per quanto concerne la continua diversione intellettuale incontestabilmente richiesta, ad un certo livello, dalla vita pu­ ramente pratica, per non degenerare in una stupida ed egoista preoccupazione. Nelle varie parti principali della grande repub­ blica europea costituitasi nel medioevo, l’evoluzione estetica, se­ guendo sempre da vicino l’evoluzione industriale, ha più o me­ no mirato a temperarne i principali pericoli, ha sviluppato per­ ciò ovunque un’attività mentale più generale e più disinteressata di quella richiesta dall’attività quotidiana, ed ha direttamente sollecitato, secondo la sua felice natura, l’esercizio simultaneo dei sentimenti più generosi, attraverso un godimento tanto più vivo quanto più unanime. Per quanto importanti siano, a que­ sto proposito, i caratteri dell’evoluzione scientifica o filosofica, essa avrà sempre sulle masse un’efficacia molto minore, a ragio­ ne della sua intensità e soprattutto della sua popolarità assai in­ feriore, anche dopo il grande miglioramento che dovrà succes­ sivamente ricevere il sistema generale dell’educazione umana, individuale o sociale. In verità, filosofi poco sensibili all’arte, hanno accusato, in modo assai specioso, soprattutto a proposito dell’Italia, lo sviluppo eccessivo della vita estetica di ostacolare il progresso sociale, ispirando un eccessivo attaccamento a pia­ ceri momentaneamente incompatibili con una necessaria agita­ zione politica. Ma, eccettuate le anomalie individuali, in cui la preoccupazione estetica può in effetti essere talvolta spinta sino a determinare una sorta di degradazione intellettuale e morale, è chiaro che nei casi reali la sua influenza sul complesso della popolazione, anche quando è apparsa esagerata, ha contribuito per lo più ad impedire un predominio assai più pericoloso della vita materiale, e a conservare un certo ardore speculativo, pas­ sibile di ricevere un giorno una più importante finalità. Infine, sotto un aspetto più particolare, si deve evidentemente conside­ rare lo sviluppo delParte come direttamente legato, per molti aspetti, al perfezionamento tecnico delle attività industriali, che non possono in effetti ottenere tutti i miglioramenti normali di cui sono realmente passibili nelle nazioni in cui il sentimento di una perfezione ideale non è sufficientemente coltivato in ogni genere. Ciò è soprattutto visibile in quelle molte arti che si ricol­ legano ad una forma esterna, e che a questo titolo si riallaccia­ no necessariamente all’architettura, alla scultura ed anche alla

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pittura attraverso una serie di gradazioni intermedie, che costi­ tuiscono un trapasso quasi insensibile, in cui diviene talvolta impossibile separare esattamente il punto di vista veramente estetico dal punto di vista puramente industriale. L’esperienza universale ha constatato, sotto questo aspetto, la superiorità tecnica delle popolazioni migliorate dall’arte a un punto tale che questa considerazione è spesso divenuta uno dei principali motivi dei governi moderni per incoraggiare direttamente la diffusione dell’educazione estetica, giustamente considerata co­ me una potente ulteriore garanzia di successo industriale, nel­ l'utile concorrenza commerciale tra i diversi popoli europei. Per i vari motivi sopra indicati, è dunque evidente che il na­ scente predominio della vita industriale alla fine del medioevo, ben lungi dall’essere sfavorevole aH’evoluzione estetica già de­ terminata dal complesso della situazione precedente, ha contri­ buitoal contrario a procurarle una popolarità ed una consistenza altrimenti non raggiungibili allo stesso livello, collegandola, nel modo più profondo, al progresso dell’esistenza moderna. Tut­ tavia, durante i cinque secoli che ci separano dal medioevo que­ sto dominio graduale ha dovuto provvisoriamente influire, in modoindiretto, sul carattere vago ed indeciso già prima proprio deH’arte moderna, aumentando l’instabilità e accelerando la de­ cadenza del regime sotto cui era nata. Se lo stato cattolico e feudale avesse potuto realmente rimanere in vita, non c’è dub­ bio, a mio avviso, che lo sviluppo estetico del x ii e xm secolo avrebbe acquistato, per la sua grande omogenità, un’importanza eduna profondità ben superiore a tutto ciò che è venuto dopo, soprattutto per quanto riguarda l’efficacia popolare, vero criterio dell'arte. Per la transizione rapida, e spesso violenta, che doveva compiersi nel corso di questo grande periodo rivoluzionario, e a cui il progresso industriale ha potentemente concorso, al ge­ nio estetico sono necessariamente mancate una direzione gene­ ralee un fine sociale. Tra l’antica socialità, morente, e la nuova, ancora troppo poco caratterizzata, esso non ha sentito a suffi­ cienza né ciò che doveva idealizzare, né su quali simpatie uni­ versali dovesse basarsi. Questa è in fondo la causa progressiva dell’esclusiva particolarità che ha sinora caratterizzato l’arte mo­ derna, come l’industria e la scienza, in mancanza di una gene­ ralità realmente predominante. Ben lungi dall’essere degenerato,

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il genio estetico è divenuto più esteso, più vario e anche più com­ pleto di quanto non sia mai stato nell’antichità. Ma, nonostante le sue importanti proprietà intrinseche, la sua efficacia dovette essere allora molto minore, in un ambiente sociale che non ha potuto offrirgli né la chiarezza né la stabilità indispensabili al suo libero sviluppo. Obbligato a riprodurre sentimenti religiosi mentre la fede si estingueva, ed a rappresentare usi militari a po­ polazioni sempre più legate ad attività pacifiche, la sua situa­ zione completamente contraddittoria non solo ha nuociuto alla realtà fondamentale dei suoi effetti esteriori, ma a quella stessa delle sue intuizioni interne, sino ai tempi, ancora lontani, in cui il rinnovamento finale deH’umanità non gli offrirà il mezzo più favorevole per il suo pieno sviluppo, in séguito a una omogeneità e a una stabilità mai esistita allo stesso livello, come spiegherò più chiaramente alla fine di questo volume. Così privata necessaria­ mente, durante la grande fase di transizione che studiamo, di ogni vera direzione filosofica, e depauperata di ogni larga finalità sociale, l’arte moderna è stata animata essenzialmente solo dal­ l’impulso fondamentale che spinge involontariamente a un’atti­ vità continua le più energiche facoltà del nostro intelletto: le organizzazioni eminentemente estetiche hanno da allora, come si dice ancora oggi, coltivato l’arte per l’arte; o, secondo il lin­ guaggio più umile, ma equivalente, introdotto dal grande Corneille, non si sono proposte abitualmente altro fine se non di divertire il pubblico. Tuttavia, nonostante questo inevitabile iso­ lamento provvisorio, considerando più da vicino il complesso del­ l’evoluzione estetica, vi si può scorgere quasi sempre, dalla sua origine ad oggi, una tendenza sociale, più o meno pronunciata. Ma essa è semplicemente critica e quindi poco compatibile con reminente natura di tale sviluppo, in cui la negazione non può mai avere che un’importanza molto relativa. Solo per questo mo­ tivo l’arte moderna ha comunemente avuto una parte diretta nel nostro movimento sociale. Si capisce, in effetti, che nella duplice progressione, negativa e positiva, che forma il movimento preli­ minare, il primo aspetto, il solo sufficientemente valutabile, era l’unico che potesse convenire alle arti, per quanto imperfetto fosse lo stimolo che vi potessero trovare; il secondo, invece, appena comprensibile oggi dal più alto sforzo filosofico, non poteva si­ curamente fornire loro alcun alimento immediato, anche se de-

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¡[¡nato alla fine ad imprimere loro, a tempo opportuno, il più potente impulso continuato. Così, in questo lungo periodo, tutte [evolte che la filosofia estetica ha voluto realmente assumere uncarattere organico, come la stessa filosofia politica, è giunta solo a vane lamentele sull’irrevocabile dissoluzione dell’antico ordine, seguite da deplorevoli recriminazioni sulla pretesa de­ generazione dell’umanità. Si spiega facilmente così la tendenza critica, che si è nettamente manifestata in tutte le fasi dell’arte moderna, sotto forme d’altronde assai varie, pure nei più emi­ nenti geni, soprattutto poetici, anche se, in una situazione vera­ mente normale, la critica deve convenire solo a intelligenze se­ condarie, specialmente per quanto riguarda le arti. Tale ten­ denza doveva d’altronde, secondo questa valutazione storica, seguire naturalmente il processo della grande progressione ne­ gativa; cioè, secondo la teoria del capitolo precedente, doveva essere innanzitutto e principalmente diretta contro l’organismo cattolico, il cui indirizzo, ormai oppressivo e reazionario, co­ minciava, verso la fine del medioevo, a sollevare particolarmente le ostilità estetiche, come limpidamente indicano allora tanti chiari esempi \ Poiché tutto concorreva istintivamente a sanzio­ nare il predominio universale del potere temporale su quello spirituale, lo sviluppo estetico doveva partecipare, anche se in gradomolto minore, al trionfo graduale di quello fra i due po­ teri temporali, che tutte le influenze nazionali destinavano, in t. In base ad un esame più particolareggiato, che deve essere rinviato al trattato seguente che ho annunciato, sarà facile stabilire che questa op­ posizione, dapprima poco sensibile nella massima parte delle arti, alle quali il cattolicesimo procurava, per sua natura, un alimento per lungo tempo sufficiente, doveva essere soprattutto pronunciata neU'arte più uni­ versale, il cui cammino prima o poi ha determinato necessariamente quello ài tutte le altre. A tale arte il sistema cattolico offriva uno sfogo troppo incompleto, essenzialmente limitato al genere lirico, sia attraverso i canti religiosi, sia attraverso le poesie mistiche, di cui il libro àclì'Iinitazione ri offre un esempio così eminente. Le due principali forme dell’arte poe­ tica, soprattutto nei moderni, sfuggivano necessariamente alla guida cat­ tolica e dovevano di conseguenza divenire particolarmente ostili nei suoi confronti; questa tendenza, incontestabile sin dalle origini nelle composinoni epiche, è ben presto non meno reale, e ancora più decisiva, nelle com­ posizioni drammatiche, nonostante i vani sforzi del clero per subordinare alla fede cristiana il loro sviluppo iniziale.

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ciascun paese, alla dittatura finale, secondo la distinzione fondamentale che ho spiegato: ciò che ha nobilmente contribuito a determinare le principali differenze presentate dal procedere delle arti nei diversi popoli europei, durante le due ultime fasi dell’evoluzione moderna, come indicherò in séguito. Nel terminare questo sommario esame storico delle proprietà e del carattere sociale dell’elemento estetico, sarebbe superfluo stabilire direttamente che, come il complesso d’influenze da cui deriva, il suo sviluppo doveva essere essenzialmente comune, salvo semplici differenze di grado, a tutte le parti della grande repubblica occidentale. Dobbiamo soltanto, per questo aspetto, indicare un nuovo attributo sociale dì tale evoluzione, che ha spontaneamente esercitato la più felice influenza nel rinforzare i legami di questa immensa comunità, allora diretta, sotto molti aspetti, verso un immediato smembramento, in séguito alla di­ sgregazione cattolica e feudale. Si è potuto senza dubbio accu­ sare le arti di tendere talora a suscitare deplorevoli ostilità na­ zionali in virtù del loro più intimo inserimento nello sviluppo proprio di ogni popolo. Ma questa influenza parziale e secon­ daria è certamente più che compensata dalla viva predilezione universale che dovevano ispirare, in generale, le eminend produ­ zioni estetiche nei popoli da cui provengono; almeno quando l’amore per l’arte è veramente sviluppato, invece di servire solo da maschera per puerili vanità nazionali. Sotto questo aspetto, oltre alla comune influenza, ciascuna delle arti deve in modo specifico stimolare la simpatia permanente dei popoli europei, spingendo soprattutto a scambi continui, utili a consolidare que­ sta felice armonia. La poesia stessa, le cui composizioni straniere potevano essere immediatamente gustate da lontano, tendeva allo stesso fine con un’influenza ancora più efficace, e soprat­ tutto più generale, obbligando ovunque allo studio reciproco delle principali lingue moderne, senza cui i diversi capolavori sarebbero stati solo imperfettamente apprezzabili. Da ciò è de­ rivata, per esempio, una delle più potenti cause spontanee della preziosa universalità gradualmente acquistata dalla lingua francese. È chiaro che tale privilegio appartiene alle produzioni estetiche in particolare : le facoltà scientifiche o filosofiche, per la loro generalità ed astrazione superiore, possono diffondere a sufficienza la loro attività anche indipendentemente dal lin-

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piaggio. Sì che gli stessi attributi essenziali che le hanno dap­ prima private, come ho già indicato, di ogni importante parte­ cipazione alla formazione delle lingue moderne, hanno poi im­ pedito loro di concorrere in modo notevole alla rispettiva pro­ pagazione. Avendo ormai sufficientemente caratterizzato sia l’avvento iniziale dell’evoluzione estetica, caratteristica della civiltà mo­ derna, sia il complesso dei suoi principali attributi, non ci resta piùche da considerare sommariamente il cammino storico del nuovo elemento sociale durante le tre fasi consecutive della du­ plice progressione preparatoria iniziata nel xiv secolo. L’insieme di questo esame presenta, nella maniera più na­ turale, una nuova verifica generale della distinzione stabilita irale tre fasi, nella lezione precedente, in séguito all’analisi del movimento di disgregazione, e già pienamente confermata a proposito del movimento organico con lo studio dell’evoluzione industriale, considerata nella prima metà della lezione attuale. Noo si può dubitare, in effetti, che il cammino dell’elemento estetico non sia stato di volta in volta, come quello dell’elemento industriale, essenzialmente spontaneo durante la nostra prima lase, stimolato, durante la seconda, come mezzo d’influenza, da incoraggiamenti più o meno sistematici, ed infine diretta­ mente eretto, durante la terza, a fine parziale della politica mo­ derna. Si deve in questa sede accuratamente mettere da parte ogni valutazione concreta, incompatibile con la natura ed i li­ miti di quest’opera, qualsiasi possa essere, a questo proposito, l’interesse filosofico di molte discussioni basilari, sinora assai mal condotte; tale elaborazione deve essere lasciata al lettore sufficientemente introdotto nella mia teoria storica per applicarla convenientemente. Occorre pertanto limitarci alla spiegazione molto sommaria del carattere astratto di ciascuna di queste tre epoche, considerate soprattutto riguardo all’incorporazione dcfvnitiva dell’elemento estetico nel sistema della civiltà moderna, il che costituisce sempre il fine principale della nostra imposta­ zione dinamica. Sebbene l'evoluzione estetica sia stata, nella prima fase come nelle altre due, più o meno relativa a tutte le belle arti e più o meno comune ai differenti stati della repubblica europea, è tut­ tavia unicamente per la poesia e nella sola Italia che ne è ri­

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inasta una produzione pienamente caratteristica e veramente imperitura, soprattutto per le sublimi ispirazioni di Dante e le dolci emozioni di Petrarca. Si vede allora, conformemente alla nostra teoria, il movimento estetico accompagnare spontanea­ mente il movimento industriale, in virtù delle stesse cause di particolare precocità, in modo da costituire per l’Italia una prio­ rità di circa due secoli sul resto dell’Occidente, come mostrano anche tutti gli altri aspetti dello sviluppo europeo. L’evidente spontaneità di questo primo slancio è specialmente pronunciata per quanto riguarda la più eminente elaborazione, che non fu mai neanche incoraggiata dalle simpatie che essa doveva più naturalmente eccitare. Del resto, l’unanime approvazione, non soltanto italiana, ma europea, presto ispirata da questa immensa creazione, volle dimostrare la sua perfetta armonia con lo stato corrispondente delle popolazioni civilizzate, sebbene questa tar­ diva giustizia non abbia potuto essere personalmente applicata altro che a fortunati successori : era Dante che l’istinto confuso della riconoscenza incoronava sotto il celebre alloro di Petrarca, allora conosciuto soltanto per le sue poesie latine giustamente dimenticate oggi. Tutti i caratteri essenziali precedentemente attribuiti all’arte moderna, in conseguenza della natura deU'ambiente sociale corrispondente, si attuano chiaramente durante questa prima fase, senza che sia necessario indicarla espressamente. La tendenza critica vi è assai pronunciata soprattutto nel poema di Dante, dominato da una metafìsica scarsamente favorevole allo spirito veramente cattolico: questa opposizione non risulta soltanto dagli attacchi formali contro i papi ed il clero, sebbene vi compaiano in modo molto grave ed assai ah bondanti; risulta dalla concezione stessa di simile composizione, in cui i diritti supremi di apoteosi e dannazione sono audace­ mente usurpati, in modo da costituire una sorta di sacrilegio fondamentale, che sarebbe stata certamente impossibile due se­ coli prima sotto il pieno dominio del cattolicesimo. Quanto al­ l’ordine temporale, l’antagonismo del movimento estetico era al­ lora senza dubbio molto meno valutabile, perché ancora non poteva essere in alcun modo diretto : ma si fa già sentire, in ma­ niera indiretta, nell’inevitabile efficacia dello sforzo di fondare rinomanze personali indipendenti, c ben presto rivali, della su­ periorità ereditaria.

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Verso la metà dì questa prima fase, l’evoluzione estetica della civiltà moderna, che dapprima aveva obbedito soprattutto all'impulso spontaneo dell’ambiente sociale corrispondente, co­ mincia a subire un’alterazione notevole, erroneamente intesa co­ me rinnovamento delle arti, e che per molti aspetti costituiva piuttosto una specie di tendenza reazionaria, ispirando un’am­ mirazione troppo servile e troppo esclusiva per i capolavori del­ l'antichità, relativi a tutt’altro sistema di socialità. Sebbene que­ stainfluenza si sia soprattutto sentita durante la seconda fase, è ad una po-

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tente influenza privata, ben presto rivale dell’influenza sacerdo­ tale. Nonostante i gravi ostacoli che l’unione troppo stretta e troppo prolungata della scienza biologica con l’arte medica op­ pone ai nostri giorni al loro rispettivo compimento, secondo le spiegazioni della quarantesima lezione, questa inevitabile con­ fusione in un primo tempo era indispensabile per assicurare la continuità degli studi anatomici prima della costruzione di qual­ siasi impalcatura teorica. Si sa d’altronde come le concezioni astrologiche e alchimistiche fossero intimamente legate a conce­ zioni analoghe, dotate, sotto tutti gli aspetti, degli stessi vantaggi provvisori nei confronti di questa terza branca fondamentale della filosofia naturale il cui sviluppo nascente era stato da lungo tempo sostenuto dalla grande chimera di una terapeutica uni­ versale, tendente così, sia a introdurre particolarmente il prin­ cipio dell’invariabilità delle leggi fisiche nei fenomeni più com­ plicati, sia a proporre audaci speranze sull’azione razionale del­ l’uomo nel modificare utilmente il proprio organismo: duplice aspetto sotto cui comincia a manifestarsi sin da allora, radical­ mente come negli altri due ordini di fenomeni, l’incompatibilità radicale tra spirito scientifico e spirito religioso*. Nel progresso scientifico, come nel progresso estetico, la se­ conda fase prosegue certamente il periodo più decisivo del­ l’evoluzione moderna, soprattutto a causa delFammirevolc mo­ vimento, che, da Copernico a Newton, ha posto le basi defini­ tive del vero sistema delle conoscenze astronomiche, ben presto divenute il modello essenziale di tutta la filosofìa naturale. Con­ formemente a ciò che abbiamo individuato per le altre due pro­ gressioni positive, vediamo lo sviluppo scientifico, fino allora es­ senzialmente spontaneo, cominciare a ricevere dai diversi go­ verni europei incoraggiamenti abituali più o meno sistematici, gradualmente determinati sia dall’influenza speculativa diretta­ mente derivata dallo sviluppo precedente, sia dall’attitudine pra­ tica che questo esercizio preliminare aveva già sufficientemente anticipato, e in séguito alla quale la nuova arte della guerra, a. Questa incompatibilità è già espressa chiaramente, sotto questo aspetto, da un famoso detto latino sull’empietà dei medici, divenuto quasi proverbiale verso la fine di questa prima fase, secondo l’esatta osserva­ zione di Barthez,

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così come il rapido cammino dell’industria, dovevano sollecitare imamente il progresso delle dottrine matematiche e chimiche. Tuttavia, a causa dei motivi sopra indicati, questo tipo di pro­ tezione si forma ben più lentamente di quello delle arti, ed ¿ soloalla fine di questa nuova fase che si stabilisce in modo ve­ ramente conveniente, soprattutto in Francia e in Inghilterra, basandosi suH’importante creazione delle accademie scientifiche, lacui principale influenza doveva riferirsi alla fase successiva. Ma per quanto questi incoraggiamenti fossero in un primo mo­ mento incompleti, l’influenza effettiva era nondimeno molto preziosa, per sostenere la scienza nascente nella crisi veramente decisiva che stava emergendo dal suo inevitabile conflitto con l'intero sistema dell’antica filosofia teologico-metaflsica, di cui doveva liberarsi completamente. La natura di questa lotta ine­ vitabile dimostra chiaramente che la scienza non potrebbe es­ sere, in generale, utilmente protetta se non dai soli poteri tem­ porali, naturalmente estranei alle gravi animosità astratte del potere spirituale, sia teologico che metafisico, di cui doveva su­ bireil duplice antagonismo. Come l’arte e come l’industria, così lascienza aveva, e in modo ancor più diretto forse, un profondo c particolare interesse alla costituzione della grande dittatura temporale, monarchica o aristocratica, il cui consolidamento gra­ duale costituiva lo scopo più immediato del movimento politico diquesta seconda fase. Nessun’altra progressione elementare può tanto chiaramente indicare che, se la concentrazione politica, per un’ipotesi fortunatamente contradditoria, avesse potuto, al contrario, compiersi a vantaggio del potere spirituale, divenuto ormai essenzialmente reazionario, l’evoluzione moderna sarebbe statatotalmente impossibile. Il nostro confronto fondamentale fra i due principali sistemi di dittatura temporale indica ancora più decisamente, sotto que­ stonuovo ed ultimo aspetto, la superiorità della forma normale, o francese, su quella eccezionale, o inglese, per motivi assai si­ mili a quelli precedentemente indicati a proposito dell’arte, e qui solo più evidenti. Infatti la scienza, non potendo ordinaria­ mente ispirare nei potenti una vera attrazione intellettuale, do­ veva molto meno dell’arte contare sugli incoraggiamenti delParistocrazia, mentre la supremazia di un potere centrale do­ veva esserle abitualmente assai più favorevole; inoltre la ccn-

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tralizzazionc poteva utilmente limitare, ad un certo grado, una futura eccessiva dispersione delle specializzazioni scientifiche, che oggi sarebbe tanto importante regolare. Non c’è dubbio che le speculazioni astratte, di cui la scienza è essenzialmente com­ posta, hanno avuto, in generale, un corso più libero e più ele­ vato sotto la dittatura monarchica che non sotto quella aristo­ cratica, la cui influenza, soprattutto in Inghilterra, ha troppo mi­ rato a subordinare le ricerche scientifiche alle considerazioni pratiche. Infine, la prima forma doveva essere, per sua natura, molto più favorevole della seconda all’inserimento finale del­ l’evoluzione scientifica nel sistema della politica moderna, c mi­ rava così a meglio assicurare la sua graduale diffusione in tutte le classi, procurandole maggiore influenza sull’educazione ge­ nerale. Tuttavia, l’altro sistema doveva essere, per la scienza, come per l’arte, più favorevole alla spontaneità della vocazione e alla originalità del lavoro, a causa di un minore incoraggia­ mento e di una minore omogeneità di direzione. Bisogna anche notare che i gravi inconvenienti inerenti a questo sistema, oggi generalmente ammessi, non dovevano svilupparsi, principal­ mente, che nella terza fase, come spiegherò ben presto. Durante la seconda furono fortunatamente compensati dalla prima in­ fluenza dello spirito protestante. Senza essere, in fondo, affatto favorevole alle ricerche speculative, a causa della sua preoccu­ pazione caratteristica per le condizioni temporali, e non più compatibile, d’altronde, dello spirito cattolico contemporaneo con la tendenza finale dell’evoluzione scientifica, il protestan­ tesimo tuttavia costituì allora, per il suo principio rivoluzionario del libero esame individuale, uno stato di semi-indipendenza in­ tellettuale assai vantaggioso per lo sviluppo corrispondente della filosofìa naturale, le cui grandi scoperte astronomiche furono in questo periodo compiute soprattutto in paesi protestanti. In­ versamente si nota che, là dove la nuova politica reazionaria del cattolicesimo poté assumere un vero predominio, questa evolu­ zione subì ben presto un funesto ritardo, di cui certa è la causa, particolarmente in Spagna, nonostante i germi assai preziosi che il medioevo vi aveva fatto nascere. Questo ammirevole movimento speculativo, creato attraverso molti ostacoli da un ristretto numero di uomini di genio, in un ambiente convenientemente preparato, presenta, generalmente.

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due progressioni molto distinte, ma intimamente solidali, Tuna puramente scientifica o positiva, composta dalle £ondamentali scoperte in matematica ed in astronomia, l’altra essenzialmente Ciosofica e quasi sempre negativa, relativa ai tentativi, dappri­ ma spontanei e poi sistematici, dello spirito scientifico contro latutela teologico-metafisica, divenuta allora veramente oppres­ si«. Questa seconda progressione, che dovremo riprendere a proposito dell’evoluzione filosofica propriamente detta, non de­ veessere qui considerata che come indispensabile per la prima. Ora, quella, a cui Germania, Italia, Francia ed Inghilterra pre­ serocosì nobile parte, mostra come centro principale l’indagine veramente fondamentale dovuta al genio del grande Keplero, che, preparata dalla scoperta iniziale di Copernico e dall’utile elaborazione di Tycho-Brahe, costituisce infine il vero sistema della geometria celeste; mentre, sotto un altro aspetto, essendo divenuta la base necessaria della meccanica celeste, si lega spontaneamente alla scoperta finale di Newton, in séguito alla creazione preliminare della teoria matematica del movimento di Galileo, necessariamente seguita dall’Huyghens Fra queste due serie, il cui legame è diretto, l’ordine storico interpone na­ turalmente l’immensa rivoluzione matematica operata da Car­ tesio, che, intimamente legata alla sua opera filosofica, venne aconcludersi, verso la fine di questa seconda fase, con la subli­ me scoperta analitica di Leibniz. Senza di essa il risultato new­ toniano non avrebbe potuto sufficientemente diventare il prin­ cipio attivo dell’eminente elaborazione riservata alla fase se­ guente per lo sviluppo conclusivo della meccanica celeste. Cia­ scunadelle due prime serie offre una filiazione storica tanto evi­ denteormai che è inutile insistervi qui. È chiaro che la scoperta del movimento della terra e l’esatta revisione di tutti i dati astro­ nomici non permettevano più di conservare, con l'espediente caduco degli epicicli, l’antica ipotesi dei movimenti circolari cduniformi, alla fine direttamente sostituiti dalle felici leggi di Keplero, ultimo importante risultato dovuto all’applicazione del­ l’antica geometria: d’altra parte, questo principio non poteva condurre alla teoria della gravitazione senza la fondazione dellai. i. Christian Huyghens, matematico e astronomo olandese (1623-1695), fu il primo ad applicare il pendolo agli orologi.

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dottrina astratta del movimento curvilineo, sia libero che co­ atto. Ma così, da una tale base, esso conduceva necessariamente a quella legge generale, la cui scoperta, preparata in questo mo­ do, non sarebbe senza dubbio sfuggita a Jacques Bernoulli, per esempio, se Newton l’avesse fallita. L ’altra serie, più relativa al metodo che alla scienza, e perciò stesso ancora più impor­ tante, dovette essere naturalmente molto meno valutata dalla massa dei matematici, oggi così lontani da una disposizione ve­ ramente razionale nei confronti delle parti principali della storia matematica, di cui sentono ordinariamente i soli risultati; è per­ ciò che un’indicazione più diretta non sarà senza importanza. Preparata dall’indispensabile generalizzazione dell’algebra, do­ vuta al genio originale del Viète l, la concezione fondamentale di Cartesio sulla geometria analitica ha costituito, mi sembra, la principale creazione della filosofìa matematica. Essa, aprendo alla geometria il campo più esteso, e al tempo stesso all'analisi la più fortunata finalità, organizzava infine la relazione ele­ mentare dell’astratto col concreto, senza cui le ricerche mate­ matiche tendono ad un’incoerente e sterile attività : nessuna idea madre doveva tanto influire su tutti gli altri progressi successivi. La sua tendenza necessaria a determinare la creazione dell’ana­ lisi infinitesimale mi sembra particolarmente incontestabile: poiché obbligando oramai a trattare sotto un punto di vista co­ mune la teoria delle varie curve, ha direttamente condotto a generalizzare astrattamente le visioni primitive di Archimede, sia riguardo alle tangenti, sia soprattutto alle quadrature, ora, gli sforzi gradualmente tentati su questo argomento non pote­ vano portare che all’ammirevole invenzione di Leibniz, felice­ mente determinata, durante la generazione intermedia, dai lu­ minosi saggi di Wallis1 e di Fermai \ Sebbene assorbito da tutte queste eminenti operazioni, lo spi­ rito scientifico dovette sostenere, verso il secondo terzo di queT. Francois Viete, matematico, astronomo e uomo di stato francese (1540-160]); le sue opere ebbero enorme influenza in tutta Europa. 2. John Wallis, matematico inglese (1616-1703), partecipò tra l'altto all'attivo movimento di ricerca che condusse alla creazione del calcolo infinitesimale. 3. Pierre de Fermai, matematico, letterato c giureconsulto francese (1595-1665), applicò per primo il calcolo alle quantità differenziali per trovare le tangenti,

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sta (ase, una lotta veramente decisiva contro tutta la filosofìa dominante. Le scoperte astronomiche di Copernico e Keplero, edanche quelle di Tycho-Brahe sulle comete, erano troppo diret­ tamente contrarie alla natura di questa filosofia, o persino ai suoi dogmi formali, perché un conflitto potesse essere evitato a luogo e la scienza doveva alla fine combattere, non soltanto la teologia, ma ancora prima la metafisica, più attiva e più oscu­ rantista. Questo antagonismo è reso già palese, nel xvi secolo, dasintomi illuminanti, e soprattutto dalla famosa audacia di La Ramee, il cui tragico destino mostrava a sufficienza che i timori metafisici erano non meno irriducibili di quelli teologici. Ho sufficientemente indicato, nel ventiduesimo capitolo, i motivi essenziali per cui la fondamentale scoperta del duplice movi­ mento del nostro pianeta dovette diventare immediato soggetto della discussione principale, allorché il grande Galilei ebbe in­ linetolto il solo ostacolo razionale che si opponesse alla sua pro­ pagazione universale, tanto ostacolata nel secolo precedente, e chelo spirito teologico-metafisico doveva ormai temere come ne­ cessariamente imminente. L ’odiosa persecuzione che ne derivò, consacrerà sempre nel ricordo popolare il primo scontro diretto della scienza moderna con l’antica filosofia. Si deve, in effetti, considerare quest’epoca come quella in cui il principio fonda­ mentale dell'invariabilità delle leggi fisiche ha cominciato a mo­ strarsi incompatibile con le concezioni teologiche, la cui influen­ za costituisce sin da allora il solo ostacolo importante per la completa ammissione di questo indispensabile principio, per­ ché essa sola neutralizzava, a questo proposito, l’energico lega­ ne naturale prodotto da una lunga esperienza unanime, come spiegherò innanzitutto a proposito dell’evoluzione filosofica. È cosi opportuno evidentemente rinviare alla valutazione diretta di questa evoluzione la considerazione storica degli ammirevoli tentativi contemporanei di Bacone e soprattutto di Cartesio, per proclamare infine il carattere essenziale dello spirito posi­ tivo, in opposizione allo spirito metafisico-teologico. Debbo tuttavia segnalare qui, come direttamente relativa al progresso scientifico, l’audace concezione di Cartesio sul mecca­ nismo generale dell’universo. Infatti, rifacendosi conveniente­ mente alla situazione corrispondente dello spirito umano, sarà facile riconoscere che la sua influenza temporanea, a malapena

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estesa a due generazioni, e sulla perpetuità della quale Cartesio non s’era fatto probabilmente alcuna illusione, dovette essere provvisoriamente indispensabile all’avvento successivo della giu­ sta meccanica celeste, allora silenziosamente preparata dai la­ vori di Huyghens, che completano quelli di Galilei. Si è visto in effetti, nel ventottesimo capitolo, relativamente alla teoria fondamentale delle ipotesi, che, nel passaggio definitivo dallo stadio metafisico a quello veramente positivo, l’educazione pre­ liminare della natura umana esige, come ultima transizione, ra­ pida ma inevitabile, soprattutto nei confronti delle più impor­ tanti concezioni, questo regime intermedio, dove rintelligenza, prima di rinunciare liberamente alle questioni inaccessibili ed alle nozioni assolute della filosofìa primitiva, si sforza di assog­ gettare questi vani problemi ad illusori tentativi di soluzione positiva, fondati sulla sostituzione di fluidi immaginari alle en­ tità chimeriche, la cui efficacia reale si riduce a disporre il no­ stro intelletto alla sola abitudine razionale di leggi invariabili proprie ai fenomeni corrispondenti. Tutte le parti essenziali della filosofia naturale, ad eccezione deU’astronomia, che è ap­ propriatamente concepita, ci offrono ancora, a causa dell'educa­ zione antifilosofica degli uomini di cultura di oggi, troppo pro­ fonde vestigia di simile disposizione, per cui ci si deve meravi­ gliare che essa abbia dovuto allora manifestarsi innanzitutto a proposito dei fenomeni celesti, secondo le spiegazioni dei pri­ mi tre volumi di questo trattato. Questa sommaria valutazione storica dell’evoluzione scienti­ fica della seconda fase doveva essere qui ridotta ai grandi pro­ gressi matematici ed astronomici che ne hanno principalmente caratterizzato l’insieme. Tuttavia l’ultimo terzo di questo me­ morabile periodo presenta una nuova estensione fondamentale della filosofia naturale, per i lavori veramente creatori di Galilei sulla meteorologia, seguiti da eccellenti scoperte secondarie, e da equivalenti creazioni successive in acustica ed in ottica. In un tempo in cui ancora non ci si poteva stupire che degli effetti più eccezionali, niente è soprattutto più ammirevole, niente può meglio caratterizzare la tendenza della scienza moderna a rige­ nerare le più piccole nozioni elementari, della scoperta decisiva dovuta al genio di Galilei, che svelava infine, secondo l’esatto giudizio di Lagrange, le leggi più sconosciute dei fenomeni più

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binali, il cui studio, al tempo stesso ricollegato alla geometria edalla astronomia, è legittimamente considerato la vera culla della fisica propriamente detta. È allora che si trova costituita, tragli astronomi e i chimici, una nuova classe indispensabile, particolarmente destinata a sviluppare il genio dello sperimenta­ lismo, secondo una concezione corpuscolare assai felicemente adattata alla natura dei fenomeni corrispondenti, sebbene la sua irrazionale estensione assoluta potesse diventare altrove molto dannosa ai veri progressi scientifici, come ho spiegato nel qua­ rantunesimo capitolo. Ma questi inconvenienti, allora molto lon­ tani, non impedivano affatto né l’utilità immediata e particolare ditale dottrina, né parimenti la sua efficacia generale e continua contro il vano regime delle entità. Considerando quindi la di­ visione spontanea che si stabilisce simultaneamente, per la ra­ pidaestensione delle due scienze, tra i matematici puri ed i sem­ plici astronomi, fino allora investiti dell’uno e dcH’altro carat­ tere, si riconoscerà che l’organizzazione generale del lavoro scientifico soprattutto nei confronti della filosofia inorganica, lasola allora veramente attiva, si effettua già sullo stesso piano di adesso, come mostra chiaramente il mutamento minimo sinora avvenuto nella costituzione provvisoria delle accademie, sebbene vi sia ormai ogni motivo per crederla essenzialmente esaurita, come indicherò presto. Quanto alle altre branche fon­ damentali della filosofia naturale, è chiaro, secondo la mia teo­ riagerarchica, che la chimica, e soprattutto l’anatomia, non ave­ vano ancora potuto uscire dallo stato puramente preliminare destinato alla sola accumulazione dei materiali, quale che sia dovuta essere l’elevata importanza successiva dei nuovi fattori di cui s’arricchirono allora; fra questi ricordiamo le immortali scoperte di Harvey 1 sulla circolazione e sulla generazione, che impressero anzitutto un attivo impulso alle osservazioni fisiolo­ giche sino ad allora così imperfette, senza che tuttavia fosse ve­ nuto il tempo d’incorporarle in una vera dottrina biologica. La strana ipotesi di Cartesio sull’automatismo degli animali mostra sufficientemente quale fosse allora la vera situazione delle idee fisiologiche, ormai sballottate fra le insufficienti spiegazioni mec-i. i. William Harvey, medico inglese (1578-1658), divulgatore delle leggi della circoteionc del sangue.

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caniche e le vane concezioni ontologiche, senza poter trovare una base razionale che fosse loro realmente propria. Terminando questa rapida valutazione storica, non si può dimenticare di segnalare sommariamente questa seconda fase dell’evoluzione scientifica come quella in cui lo spirito positivo doveva cominciare a manifestare nello stesso tempo il suo vero carattere sociale e la sua preponderanza popolare. La fortunata disposizione crescente delle popolazioni moderne ad accordare la loro fiducia alle dottrine fondate su dimostrazioni concrete, sebbene opposte alle antiche credenze, è già profondamente di­ mostrata, verso la fine di questo periodo, dalla universale ado­ zione del duplice movimento della terra, un secolo prima che il papato, per una superflua incoerenza, ne avesse alla fine tol­ lerato solennemente l’ammissione cristiana. È così che l’irrevo­ cabile dissoluzione graduale dell’antica disciplina spirituale era dovunque accompagnata ormai da una sorta di fede novella, germe elementare di una riorganizzazione ulteriore, e sponta­ neamente determinata, senza alcun intervento particolare, sia dalla sufficiente verifica delle previsioni scientifiche, sia anche dalla sola concordanza di tutti i giudici competenti, presso gli spiriti che, per i più svariati motivi, non potevano direttamente valutare la validità delle dimostrazioni elementari. La fiducia di costoro d’altronde non era più cieca, all’inizio, di quella dei diversi uomini di cultura gli uni per gli altri, sebbene il suo esercizio dovesse essere più esteso, per la minore completezza delle condizioni logiche di una emancipazione attiva, sempre accessibile a chiunque voglia meritarla. Tali abitudini, incessan­ temente sviluppate, testimoniavano sin da allora chiaramente che l’anarchia provvisoria degli intelletti sulle dottrine morali e sociali non dipendeva, in fondo, da nessun chimerico amore di disordine perpetuo, ma soltanto dalla mancanza di conce­ zioni che potessero assolvere sufficientemente gli obblighi della positività razionale, senza i quali lo spirito moderno era giusta­ mente deciso a rifiutare il suo consenso volontario. Questa at­ titudine necessaria della nuova autorità intellettuale a determi­ nare spontaneamente la convergenza nello stesso tempo più sta­ bile e più estesa si mostra già certamente più caratteristica dell'at­ tività scientifica che dell’attività estetica. Infatti quest’ultima, nonostante la sua efficacia più energica e più immediata, è gra-

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vanente ostacolata dalle differenze di lingua e di costume, men­ ti: l’altra per la generalità e l'astrazione superiore delle conce­ zioni elementari che vi si riallacciano, permette evidentemente lapiù vasta comunione intellettuale. Si poteva sicuramente pre­ vedere, sin dalla fine di questa fase, che la fede positiva avrebbe comportato un giorno un’universalità molto più completa e sta­ biledi quella della fede monoteistica nei migliori tempi del cat­ tolicesimo. Infatti, la circoscrizione territoriale di questa era dovuta essere, come ho già fatto constatare, gravemente limitata dalla natura vaga e discordante delle idee teologiche, la cui unità non è mai potuta esser stabilita, e soprattutto perpetuata, senza l’assistenza continua di una certa pressione artificiale, inu­ tile all’unità scientifica, sempre fondata sulla forza spontanea della dimostrazione, necessariamente irresistibile a lungo an­ dare, anche se dapprima scarsamente attiva. In un periodo in cui le divergenze nazionali erano ancora molto energiche, so­ prattutto dopo la dissoluzione generale del legame cattolico, l'istituzione delle accademie venne ad offrire un’inconfutabile testimonianza della tendenza cosmopolita dello spirito scientilico, con la nobile usanza, che si introdusse dovunque, di am­ mettervi membri stranieri, in modo da presentare la nuova classe speculativa come eminentemente europea: questo eccellente ca­ rattere è allora particolarmente pronunciato in Francia, ove, dopo Carlomagno, il genio straniero aveva sempre ricevuto un’accoglienza generosa, talvolta, per una forma di ingiusta cortesia, persino a detrimento del genio nazionale. Quanto al­ l'influenza dell’evoluzione scientifica sull’educazione generale, essa comincia allora a manifestarsi nettamente, nonostante il mantenimento del sistema educativo organizzato, sotto l’impulso scolastico, nell’ultima fase del medioevo, e che sussiste ancora oggi con semplici modifiche marginali, che non ne cambiano lospirito. Si vede infatti sin da allora, tanto quanto lo si è visto poi ad un livello più alto, il qu adriviu m acquistare un’importan­ zacrescente a spese del triv iu m ; e questo progresso sarebbe stato anche più sensibile se il corso ufficiale dei cambiamenti graduali non avesse fatto che seguire fedelmente il cammino quasi una­ nime dei costumi e delle opinioni, invece di essere spesso di­ retto da punti di vista sistematici sulla necessità di mantenere artificialmente l’antica educazione, giudicata indispensabile a

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tutta la politica reazionaria, che cominciava a dominare ovun­ que in modo più o meno pronunciato, come ho già spiegato*. Durante la terza fase l’elemento scientifico, oramai intima­ mente integrato nella socialità moderna, riceve un accrescimen­ to fondamentale di potenza sociale del tutto analogo a quello che abbiamo esaminato nei confronti deH’elemento estetico, ed ancor più pronunciato a causa di una natura più evidentemente progressiva. Fino ad allora la scienza aveva ricevuto, come l’ar­ te, incoraggiamenti facoltativi, sebbene già sistematici, compor­ tanti sempre una sorta di obbligazione personale; ora, al con­ trario, dopo il grande clamore derivato dall’ammirevole impul­ so della fase precedente, l’attiva protezione delle scienze diven­ tava, per tutti i governi occidentali, un vero dovere, general­ mente riconosciuto. 11 trascurarlo avrebbe attirato un biasimo universale, senza che il suo compimento abituale esigesse di solito alcuna gratitudine personale, salvo la generale riconoscenza dovuta sempre allo Stato. Nello stesso tempo le relazioni cre­ scenti della filosofia naturale, soprattutto inorganica, sia con la totalità dei procedimenti militari, sia con lo sviluppo industria­ le, divenuto il principale oggetto della politica europea, deter­ minano, in questo periodo, una grande estensione nell’influenza sociale delle scienze, sia per la creazione di scuole speciali in cui a. I memorabili sforzi dei gesuiti, al fine di impadronirsi allora del­ l’evoluzione scientifica, hanno certamente molto concorso a questa propa­ gazione degli studi positivi, senza che questi vani progetti presentassero d’altronde alcun effettivo pericolo, in un tempo in cui l’incompatibilità reciproca tra la scienza c la teologia era già troppo pronunciata per non rendere necessariamente illusori questi tentativi di assorbimento. Cosi, nonostante le grandi aperture individuali che questa forte congregazione presentò alla vita speculativa, ogni abilità della sua tattica non poté mai produrre o aggregare un solo uomo di genio, in quanto nessun eminente pensatore volle subordinare la sua indipendenza intellettuale a una poli­ tica in cui la scienza era sicuramente subalterna. Non è che la scienza non possa e neanche debba legarsi come suo fine a punti di vista propria­ mente politici, ma occorre che il loro carattere sia ampio e il loro fine so­ prattutto popolare, invece di Legarsi a interessi parziali e antisociali, e in­ fine che la politica sia direttamente relativa allo sviluppo dello spirito po­ sitivo, quando questo sarà abbastanza formato per meritare di essere con­ siderato abitualmente come il regolatore intellettuale delle società mo­ derne; il che, di gran lunga, non è ancora sufficientemente possibile, so prattutto in mancanza della generalità necessaria.

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comincia a dominare l’educazione scientifica, sia per l’istituzione piùo meno razionale di una nuova classe direttamente destinata alla realizzazione permanente dei rapporti essenziali tra teoria cpratica. Così, benché gli scienziati, per la valutazione più dif­ ficile, più lenta e meno popolare dei loro lavori, non potessero pretendere la fortunata indipendenza privata che i poeti e gli artisti cominciavano ad ottenere ovunque, nondimeno il loro numero di molto minore e il loro contributo, più necessario alliidlità pubblica, tendevano già a un pari consolidamento della lorovita sociale. In questa nuova situazione, più o meno comune a tutte le parti della grande repubblica europea, si vengono a sviluppare nel più alto grado, riguardo all’evoluzione scientifica, le diffe­ renze essenziali sopra caratterizzate, sotto tanti altri aspetti, tra i due sistemi principali di dittatura temporale : in tal modo si manifesta completamente la superiorità naturale del sistema mo­ narchico sul sistema aristocratico, precedentemente neutraliz­ zato dalle influenze spirituali, come ho spiegato. Repentina­ mente attratto dal cattolicesimo verso una filosofia pienamente negativa, per evitare vantaggiosamente la transizione protestante, lospirito francese, ricevette, almeno in parte, dall’antica educa­ zione cattolica, l’istinto di contemplazione e di generalità, che quella aveva spontaneamente sviluppato, e che allora tendeva a limitare la preponderanza troppo esclusiva delle considerazioni pratiche. Nello stesso tempo, la sua nuova educazione rivoluzio­ naria gli ispirò l’ardire e l’indipendenza divenuti indispensabili al libero sviluppo della filosofia naturale, fin da allora incom­ patibile con l’influenza reazionaria del cattolicesimo presso gli altri popoli preservati dal protestantesimo. In tal modo tutti i vantaggi della protezione monarchica continuarono allora a realizzarsi direttamente, e ad assicurare oramai alla Francia il principale impulso scientifico, che nella fase precedente era successivamente appartenuto alla Germania, all'Italia e all’Inghilterra, ad eccezione della sola preponderanza passeggierà del movimento cartesiano. Inversamente, la dittatura aristocratica tipica dell’Inghilterra lasciò gli scienziati essenzial­ mente soggetti alla dipendenza delle protezioni private, mentre l’esorbitante preoccupazione nazionale per gli interessi indu­ striali non permise di apprezzare che le scoperte speculative

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immediatamente suscettibili di applicazione materiale. Nello stesso tempo lo spirito protestante, la cui prima influenza rivo­ luzionaria aveva in un primo tempo favorito, durante la fase precedente, l’evoluzione scientifica, allora definitivamente in­ corporata nel governo, manifesta necessariamente la sua osti­ lità teologica contro la completa estensione del genio positivo, dopo aver, all’inizio di questa terza fase, tristemente manife­ stato questa influenza, offuscando con assurde chimere la vec­ chiaia di Newton. L ’esclusivo nazionalismo che fin da allora caratterizza la politica inglese fa ormai sentire, anche sullo sviluppo delle scienze, la sua deplorevole influenza, imponendo di adottare solo i metodi e le scoperte nazionali. Il che si vede chiaramente nei confronti delle scienze matematiche stesse, non­ ostante la loro universalità più potente, sia per la ripugnanza all’introduzione abituale della geometria analitica, ancor oggi troppo poco familiare alle scuole inglesi, sia per l’analoga osti­ nazione contro l’uso delle forme e delle notazioni puramente infinitesimali, così giustamente preferite ovunque*. Questi ira. All'inizio di tale fase, questa tendenza irrazionale e oscurantista mi sembra molto caratterizzata dalla celebre controversia cui dà luogo, tra Inghilterra e Germania, la priorità dell'invenzione dell’analisi infinitesi­ male. Questa lunga polemica, già ben avvertita da Fontenelle e infine ben giudicata da Lagrange, la cui famosa decisione, tanto imparziale quanto razionale, non trova più alcuna opposizione, offre, durante quasi tutto il suo corso, un memorabile contrasto tra la rettitudine e l'onestà di Leibniz della maggior parte dei suoi seguaci c le assurde sottigliezze della pole­ mica inglese. La condotta di Newton, in questa grave occasione, fu sicu­ ramente molto poco onorevole; infatti, con una sola parola egli poteva por termine a questa scandalosa discussione, dichiarandosi personalmente convinto, come non poteva non essere, della totale originalità di Leibniz, e la sua non venendo d’altronde contestata : ora, pur incitato a dirla, questa parola egli non la pronunciò mai, evitando nondimeno, con un prudente silenzio, che gli si potesse rimproverare formalmente qualche espressione contraria. Spero che questa giusta riprovazione non venga attribuita i vane prevenzioni nazionali, da cui mi sono dimostrato, oso dirlo, piena­ mente esente, come hanno nobilmente segnalato gli illustri critici di Edim­ burgo, nel loro benevolo esame dei primi due volumi di questo trattato, nel luglio 1838; d’altronde, per una controversia a cui la Francia era com­ pletamente disinteressata, sarebbe diffìcile, mi sembra, mettere in dubbio {'imparzialità storica di un francese che giudica, dopo più di un secolo, una discussione scientifica tra [’Inghilterra e la Germania.

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razionali atteggiamenti sono tanto più rilevanti, in quanto for' nano uno strano contrasto con l’ammirazione esagerata di cui laFrancia era sin da allora presa per il genio di Newton, per conseguenza della reazione necessaria contro l’ipotesi dei vor­ tici, a favore della legge di gravità. Si sa come questa altera­ zione ha concorso e concorre ancor oggi a misconoscere, con una sorta di ingratitudine nazionale, la grande superiorità del nostro incomparabile Cartesio, il cui genio, insieme scientifico c filosofico, non ha trovato altri degni rivali che il grande Leibniz, e ai nostri giorni l’immortale Lagrange, ancora così pococompreso dalla massa dei matematici. Il movimento scientifico di questa terza fase, senza poter offrire un’originalità fondamentale come durante la fase prece­ dente, presenta nondimeno un eminente valore, molto superiore ì quello del movimento estetico corrispondente, che lascerà sus­ sistere per sempre creazioni fondamentali, dovute a pensatori per nulla inferiori ai loro predecessori, benché applicati a diffi­ coltà d’altra natura. Considerando, secondo la nostra gerarchia, inprimo luogo le scienze matematiche, per le quali in effetti si rileva meglio la filiazione delle due fasi, si devono distinguere dueprincipali serie di progressi : l’una relativa al principio new­ toniano, per la costruzione graduale della meccanica celeste, eche dà luogo naturalmente allo sviluppo delle diverse teorie essenziali della meccanica razionale; l’altra, intimamente del resto legata a questa, risale all’impulso analitico di Leibniz, derivato dalla grande rivoluzione cartesiana, e determina l’am­ mirabile sviluppo dell’analisi matematica, ordinaria o trascen­ dente, tendendo a generalizzare e a coordinare tutte le conce­ zioni geometriche e meccaniche. Nella prima serie, Maclaurin \ esoprattutto Clairauta, stabiliscono dapprima, riguardo alla fi­ gura dei pianeti, la teoria generale dell’equilibrio dei fluidi, mentre Daniel Bernoullis costituiva sufficientemente la teoria delle maree; in seguito d’Alembert e Eulero, relativamente alla1 1. Colin Maclaurin, matematico scozzese (1698 1746); la sua attività scientifica si riallaccia a quella di Newton. a. Alexis-Claudc Clairaut, astronomo c matematico francese (1713-1765), autore di TMorii Je la lune , che gli valse il premio dell’ Accademia di Saint Pdtersbourg. 3. Daniel Bernoulli (1700-1782), figlio di Jean Bernoulli, fu insieme filosofo, fisiologo, fisico, medico c matematico.

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precessione degli equinozi, completavano la dinamica dei solidi, costituendo la difficile teoria del movimento di rotazione, nello stesso tempo in cui il primo fondava, secondo il suo immortale principio, il sistema analitico deiridrodinamica, già delineato da Daniel Bernoulli; infine Lagrange e Laplace completarono la teoria fondamentale delle perturbazioni, prima che il primo si dedicasse soprattutto agli eminenti lavori di filosofìa matema­ tica che dovevano meglio caratterizzare la sua potente genialità, come indicherò nel capitolo seguente. La seconda serie è so­ prattutto dominata dalla grande figura di Eulero, che dedicò la sua lunga vita e la sua infaticabile attività all’estensione siste­ matica dell’analisi matematica e a sviluppare l’uniforme coordi­ nazione che la sua superiorità doveva introdurre nel complesso della geometria e della meccanica, dove fino ad allora il suo in­ tervento era stato secondario e passeggierò. Successione, questa, per sempre memorabile di speculazioni astratte in cui l’analisi sviluppa finalmente tutta la sua potente fecondità, senza dege­ nerare nella pericolosa prolissità, che tende a dissimulare sotto forme troppo rispettate una profonda sterilità mentale, come si è visto in séguito molto frequentemente, in conseguenza dello spirito antifilosofico che distingue oggi la maggior parte dei ma­ tematici. Considerando l’insieme di questo duplice movimento matematico, non si può fare a meno di notare come l’Inghil­ terra trovò la meritata punizione alla ristretta nazionalità scien­ tifica, che essa aveva tentato di crearsi, con le due connesse esclu­ sioni sopra indicate. Infatti, risulta direttamente che, anche per la prima progressione, gli scienziati inglesi in generale non po­ terono prendere, tranne il solo Maclaurin, che una parte molto secondaria nell’elaborazione sistematica della teoria newtoniana, il cui sviluppo e coordinamento analitico dovettero quasi unica­ mente appartenere alla Francia, alla Germania e infine all’Italia, tanto degnamente rappresentata dal grande Lagrange. Il sistema della fìsica propriamente detta, delineato durante la fase precedente soprattutto dalla creazione delle due branche che si riallacciano all’astronomia, cioè la barologia e l’ottica, si completa allora per l’elaborazione scientifica della termologia e dell’elettrologia, che la legano direttamente alla chimica. La prima branca comincia allora a sganciarsi di fatto dal vano re­

Corso di filosofia positiva

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girnedelle entità chimeriche e dei fluidi immaginari, in séguito allaluminosa scoperta di Black 1 sui cambiamenti di stato; la se­ conda, resa in un primo momento popolare dai lavori ingegnosi diFrancklin, acquista una sicura razionalità attraverso le sagge ricerche di Coulomb *, prima di essere alterata dall’abuso dell’a­ nalisi matematica. Quanto all’astronomia pura, ridotta a geo­ metria celeste, essa perde di necessità la preponderanza che ave­ vaconservato fino a quel momento, in seguito alla sistemazione della meccanica celeste che tendeva a prospettare a priori le principali leggi relative alle perturbazioni del movimento ellit­ tico. Così, tra tanti illustri osservatori, l’astronomia non conta allorache un solo uomo di vera genialità, il grande BradleyJ, la cui ammirevole elaborazione sull’aberrazione della luce costitui­ scecertamente il miglior lavoro di cui questa scienza possa ono­ rarsi dopo Keplero. Nonostante il meritato risalto di questi diversi ordini di lavori scientifici, mi sembra che si debba considerare soprattutto la creazione della vera chimica come destinata a caratterizzare questa fase con più originalità di ogni altra evoluzione. Fino al­ lora limitata a una misteriosa accumulazione di fatti, dominata dalle entità alchimistiche, la chimica, verso la metà di questo periodo, subisce una trasformazione memorabile, anche se pura­ mente provvisoria, che mi sembra molto analoga alla prepara­ zione filosofica che l’ipotesi dei vortici aveva operato un secolo prima per la meccanica celeste. Tale è il compito preliminare, oggi troppo dimenticato, della celebre concezione di Stahl *, pre­ ceduta da un troppo meccanico tentativo di Boerhaave e che hadeterminato un cammino molto più razionale nel complesso dellericerche chimiche, soprattutto in mano a Bergmann * e in!. loseph Black, chimico inglese (1728-1799), autore della dottrina del calore latente e di una notevole scoperta sulla natura degli alcali carbonati e degli alcali a iu c d .

2. Chiflcs-Augusón de Coulomb, fisico francese (1736-1806), autore di impor­ tuni icoperte sull'attrito e, particolarmente, di srudi sull'clettriciti e il magnetismo. 3. )ames Bradley, astronomo inglese (1691-1762), a cui si devono fondamentali Copule. 4. Georg Ernst Stahl, medico e chimico tedesco (1660-1734), le sue teorie biolojichc sono raccolte in Theoria medica vera. 5. Hermann Boerhaave, medico, chimico e botanico olandese (1668-1738).