Conversazione clinica

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CONVERSAZIO NI~ CLINICA A cura di Jacques-Alain ~liller

Quodlihet Studio

Indice

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Conversazioni sul parlesscre Guy Briolc

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Clinica della conversazione Carole Dcwambrcchics-La Sagna

C.S.T. Jacqucs-Alain Millcr

La Psicoanalisi, la follia e le espressioni attuali del mal-essere Jcan-Danicl Matct 37

Il trattamento psicoanalitico della psicosi e l'uguaglianza delle consistenze liric Laurcnt

Annodamenti, invenzioni, rotture TRAUMA, D ESTINO E RESPONSABILITÀ DEL SOGGETJ"O

La suppletiva Virginic Lcblanc

Luigi XVII ovvero Come liberarsi dall'enunciazione Bcrnard l.ccocur 91

Sulla linea Sonia Chiriaco

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Lo storico del dettaglio Carolina KorcrLky L'ORIENTAMENJ"O DELLA CURA. L'IMPLICAZIONE DELL'ANALISTA

13 I

«Povero Ernesto!»? Fabian Fajnwaks

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INDICE 1 49

L'ostaggio Hélènc Bonnaud

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Neo-naso Gil Caroz

1

s9

Delle risonan1.e della parola lsabclle Orrado

Jacques-Alain Miller e il Gruppo di Attualizzazione clinica LA CERIMONIA

Qualche appunto clinico '-39

Il colloquio con Jacques-Alain Miller La discussione

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Il follow-up CONTRIBUTI IN APRliS-COUP

La dialettica del colloquio Pierre Naveau '-59

Piccolo glossario Marie-Hélène Broussc

Desiderio di morte, ricerca della vita Dominique Vallct

Un'osservazione sulla pulsione di morte Serge Conce

La categoria sovvertita dalla singolarità del caso Esrhcla Solano-Suarez

Di nuovo sul godimento? Maric-Hélène Blancard

«Ci troviamo in un'assemblea clinica. Non è un concilio, qui non si vota. A mio avviso, verifichiamo incidentalmente che parliamo dell'esperienza analitica nella medesima lingua e, diciamo, dalla stessa prosperriva. Parlare di clinica insieme, è già molto. Ciò non capita altrove su una scala così vasta, mi sembra, come invece dimostrano queste nostre assemblee. Esse hanno per base i lavori che si svolgono, icommenti che si producono in ciascuna delle istituzioni che compongono l'UFORCA. Beninteso, la clinica non è rutta la psicoanalisi. Questo nella misura in cui rutta la psicoanalisi abbia un senso! La psicoanalisi non si riassume nella clinica, ai resoconti d'esperienza. La clinica resta tuttavia basilare, e noi rinnoviamo il nostro rappono a questa base ogni anno, ponendoci, per i casi presentati, la questione di sapere ciò che un soggetto ottiene quando si sottomette alla disciplina dell'associazione libera•. Jacques-Alain Miller, introduzione al colloquio UFORCA, «Modi di godere, il tempo per scegliere•, Parigi, giugno 1015, non riletta dall'autore e pubblicata con la sua gentile autorio.azione.

Conversazioni sul parlessere Guy Briole

La conversazione clinica è il titolo di questo volume. L'accento è messo sulla parola conversazione per indicare, come sottolinea Jacques-Alain Miller, che ci sono diversi volti di quella clinica che non è quella «dell'ultima parola» ma che è una clinica vivente, propria a ognuno. Il dialogo che si elabora in questo modo è all'opposto dcli' «univocità dell'"è così!", della parola del maestro». Le nostre conversazioni cliniche hanno uno «stile democratico dove è presente una diversità di opinioni. È una clinica democratica•».

Singolarità e sowersione delle categorie

Noi conversiamo a partire dalla singolarità del par/essere, cosa che costituisce la sua unità. È il contrario dell'esaustività delle informazioni sul paziente, poiché l'interesse si centra su ciò che serve sapere per cogliere la logica del caso: i rimaneggiamenti che è riuscito a trovare per rimediare la carenza degli annodamenti, le circostanze che lo hanno spinto all'incontro con uno psicoanalista, le modalità del suo coinvolgimento nel transfert e lo svolgersi della cura. La conversazione non fissa il caso presentato in una diagnosi. Anzi, a l contrario, chiarisce il quadro che potrebbe chiudere il paziente in una squalifica a priori della sua parola. Ecco in che modo la conversazione, a partire dall'accento posto dall'analista che propone il caso sul particolare delle parole del paziente, spinge alla sovversione delle categorie, che mirano invece a inglobarne il maggior numero. Allora ' L'espressione è di J3cqucs Alain Miller. I due passaggi citati sono estrani d3 una scdut3 di f3voro del Groupe d'Actualisation C/inique, riunito nel rep3rto di psichi3tri3 dell'Ospcd3le Val-dc-Grace il 13 dicembre 2002.

CUY BRIOLE

IO

succede che dalla conversazione si possa estrarre un significante che denota una condensazione, un punto proprio al godimento di questo parlesscre. Alla rinfusa, tra i casi proposti in questo volume, troveremo: conosciuto, inquadrato, dominato, altezzosa, tossico, congelata, ausiliaria, eccetera. L'estrazione viene a fare barriera alla tentazione di riempire con più grandi informazioni, cosa che orienterebbe verso una giustificazione tramite accumulo di «prove», sfociando in una pedagogia della spiegazione del caso.

Conversazione sotto transfert «Così è apertamente che noi conversiamo»•: è questa la maniera che Lacan aveva inventato per conversare con Aimée. Non si trattava né di imporre una confessione della presen;-.a o meno dei sintomi, né di valutare il grado di adesione o di critica, ma di aprire la possibilità che sorgesse una parola altra rispetto a quella già prevista dal quadro istituzionale. Una parola non necessariamente attesa e che spesso sorprende sia chi la pronuncia sia colui che la riceve. Inoltre bisogna saperla accogliere. Si tratta di una parola sotto transfert. Essere nella conversazione è per definizione essere attenti a ciò che è detto dall'altro, non è farglielo dire. La conversazione si definisce dal luogo e dall'obiettivo; alcune si specificano essere da salotto, oppure con parole velate, o a cuore aperto e via dicendo: ognuna ha i suoi codici. Lacan separa nettamente quelle che sono le «conversazioni in ospedale», bene inquadrate dai «piani di interrogatorio» l, e la scelta che egli fa di essere, per Aimée, l'altro di una conversazione possibile, saltando di palo in frasca. Da una conversazione simile sorge un ricordo che la sorprende e che non aveva mai espresso: «Aver creduto di ricordare [un) articolo e [una) foto»4 di un giornale che sarebbero stati la prova di quello che, secondo lei, minacciava suo figlio. Da un ascolto aperto emerge che non si tratta di una clinica dell'osservazione né di scrivere delle classificazioni, ma di una clinica sotto transfert che prende in considerazione la parola di un soggetto 'J. Lacan, Della psicosi paranoica nei suoi rapporti con la personalità, Einaudi, Torino 1982,p. 2.13. J lvi, p. 2.12. • lvi, p. 2.13.

CONVf.RSAZIONI SUL PARLf.SSF.RE

Il

e della sua soggettività: una parola che il paziente giunge a localizzare in una relazione in cui gli è fatto un posto. Questa posizione nel transfert apre verso un'altra avventura agli enunciati, conferisce un'altra voce alle parole, a ciò che vogliono dire per colui che le pronuncia al di là del significato che hanno nel senso comune. È un ascolto che non nutre il senso o aumenta l'immaginario, ma un ascolto che sostiene un concatenamento di parole, là dove molto spesso manca ciò che può articolarle in una frase. In questo caso, l'ostacolo è che cadano come «pietre in un pozzo»s, per utilizzare un'espressione di J.-A. Miller. La posizione dell'analista non è quindi quella della neutralità, né quella dell'astensione, né a fortiori quella di chi fa finta di niente - cosa che esporrebbe colui che si indirizza a lui al rischio del silenzio, e dunque a quello di metterlo in pericolo o, almeno, di fare ostacolo alla possibilità di un lavoro analitico. Nei casi qui presentati vedremo, al contrario, che l'analista che si impegna nel lavoro di transfert non si sente costretto al primum non nocere, né all'idea di lasciare tutto come sta per mantenere una continuità. L'analista è presente, con la sua implicazione inventiva, per rendere possibile un passo avanti fatto in un lavoro psicoanalitico. Si tratta quindi di osare introdurre in un continuum una qualche disarmonia e un qualche disaccordo che sfocino in una certa discontinuità.

Annodamento proprio a ciascuno Questo libro è dedicato alla clinica su cui ci confrontiamo nelle nostre giornate di studio, nel nostro convegno annuale UFORCA 6 o in altri e, anche, in differenti luoghi del nostro campo, per esempio nel corso delle presentazioni cliniche. In questo volume sono esposti otto casi da parte d i psicoanalisti; a ogni caso seguono il commento di un collega e poi la discussione generale. Contrariamente a ciò che a volte si dice, e anche se i casi presentati possono avere qualche similitudine, i casi non «conversano tra di loro». Noi conversiamo invece su ognuno di essi, uno per uno. sJ.-A. Millcr, «Persona•, in Présentations. La Conversationde juin 2000, Documcnts préparatoircs, Jnstitut du Champ frcudicn, Paris, juin 2000, p. 49. 'Acronimo di Union pour la Formation continueen C/inique Analytique.

GUY BRIOLE

12.

Questo volume contiene inoltre una presentazione clinica condotta da J.-A. Miller, seguita dalle discussioni e dai lavori del Gruppo di Attualizzazione Clinica. Ogni dettaglio, per la sua importanza, suscita un vivo interesse e trasmette un insegnamento prezioso. Questo insieme è preceduto dalla pubblicazione del testo «C.S.T.» di j.-A. Miller, un testo di riferimento, sempre da rileggere, e che concerne la Clinica Sotto Transfert. I tre lavori scritti da Carole Dewambrechies-La Sagna, Jean Daniel Matet e Éric Laurent situano con precisione le poste in gioco della psicoanalisi lacaniana per il futuro della nostra pratica con le forme attuali della follia come abbiamo imparato a trattarle attraverso la clinica borromea. E questo vale sia per colui il cui annodamento scioglie l'approccio della psicosi nel senso in cui la intendiamo in una clinica dualista, sia per un parlessere la cui soluzione o bricolage di un annodamento non impedisce la sofferenza o l'espressione di un malessere. La psicoanalisi sostiene la contingenza del parlessere, il quale, da essere soggetto del linguaggio, tramite la messa al lavoro nell'associazione libera, può arrivare a liberarsi delle incertezze e dei vacillamenti del proprio desiderio. É. Laurent - a partire da un'analisi del seminario XXIV di Lacan e degli apporti di J .-A. Miller - propone di fare un passo supplementare interrogando la nozione stessa di transfert all'epoca in cui non è più dall'Altro barrato che il parlessere riceve il suo messaggio in forma invertita ma da dove ha a che fare con un Altro infranto. Aver sottolineato la singolarità di ogni parlessere, uno per uno, vuol dire contestare che essi possano fare serie. A tal proposito, la frase di Lacan «I soggetti di un tipo sono dunque senza utilità per gli altri soggetti dello stesso tipo» 7 è senza ambiguità. L'unità di questo libro non fa dell'insieme dei casi una serie. Noi li leggiamo uno per uno. L'unità riguarda il comune orientamento delle pratiche cliniche, che si ricava, per ognuno, dalle nostre Conversazioni. (Traduzione di Umbc"o Cavalli)

J. Lacan, lntroduzio11e a/l'edizione tedesca degli scritti, in Altri scritti, Einaudi, Torino 2.013, p. 549. 7

Clinica della conversazione Carole Dcwambrcchics-La Sagna

Come possiamo trasmettere il sapere singolare che si deposita nell'esperienza analitica o nella clinica? E, questione forse ancora più cruciale, i praticanti come possono scambiarsi le proprie tesi, mettere a confronto o alla prova il proprio lavoro? Come inventare, adattare la teoria e la pratica ai nuovi sintomi? Pubblicare non basta, bisogna cimentarsi nella conversazione. Nel Campo freudiano se ne fa esperienza da più di vent'anni. Jacques-Alain Miller, alle giornate sulla pratica diagnostica svolte nel giugno 1998 a Fontevraud, affermò quanto segue: «Ogni diagnosi si riferisce indubbiamente a delle classificazioni. Potremmo abbozzarne un panorama storico impressionante che poggia sulla continuità del riferimento a queste classificazioni da quattro o cinque secoli. Esse però non hanno un fondamento in natura, non sono delle specie naturali, questo noi lo sappiamo. Potremmo dire che il fatto di saperlo contraddistingue il nostro tempo. Le classificazioni sono fondate sulla pratica linguistica di coloro che hanno a che fare con la cosa in questione, sulla conversazione dei praticanti. Per questo motivo ci riuniamo e teniamo dei convegni, che non hanno una funzione accessoria bensì una funzione essenziale. Le nostre classificazioni, le nostre categorie cliniche infatti sono fondate sulla nostra conversazione»•. La giornata di Fontevraud si è svolta l'anno dopo la Conversazione di Arcachon che, nel 1997, ha inaugurato la promozione della conversazione clinica nel Campo freudiano. L'incontro, intitolato La Conversazione di Arcachon. Casi rari: gli inclassificabili della clini-

' j.-A. Milla-, i.A signature des sympt=, in Id., •La cause du désiP, 96, juin 113-114.

2017,

pp.

CAROLE DEWAMBRF.CHIES•I.A SAGNA

ca•, ha avuto luogo a sua volta l'anno successivo al Conciliabolo di AngerSJ, che si era svolto secondo una forma classica: esposizione del caso e discussione. Nella giornata seguente al conciliabolo i coordinatori si sono riuniti con Jacques-Alain Miller per gettare le basi dell'incontro a venire: come chiamarlo? Quale poteva essere la modalità di lavoro migliore per suscitare e mantenere vivi la sorpresa, l'interesse, il desiderio di saperne di più? La giornata si sarebbe svolta in un'altra città, il cui nome comincia per A: Arcachon. E anche il nome dell'incontro, come il Conciliabolo, sarebbe iniziato con una C: Conversazione. Il che suonava già come un Witz, proseguito poi l'anno seguente con La Convenzione di AntibeS4. Le cose hanno preso il via e la Convenzione ha mantenuto, quasi interamente, la forma del dispositivo messo a punto ad Arcachon: partecipanti disposti a U e non frontalmente, testi divulgati e letti prima e, per ciascuno, domande redatte in anticipo e tirate a sorte, al fine di introdurre un po' più di aleatorietà nella conversazione, secondo l'indicazione di J.-A. Miller. Rispetto alla forma originaria non è stato mantenuto solo il sorteggio delle domande. L'accento era posto sulla scrittura, la lettura e l'improvvisazione della cosa parlata - non letta, né recitata. Si spostava in tal modo l'effetto sorpresa. Effetti di sorpresa nelle psicosi era stato il sottotitolo del Conciliabolo di Angers, ove si era messo in luce il fatto che, dietro la routine necessaria delle nostre consultazioni, sedute e colloqui, il reale del sintomo conserva il suo valore di sorpresa per il clinico- un po', non in modo eccessivo. Questo preparava Arcachon: dietro la banalità di una formula, I' «lo manco di energia»s del paziente di Jean-Pierre Deffieux, si fomentava un delirio; era necessario intenderne la risonan;r..a nella formula per toccare con mano ciò di cui si trattava. Diversamente, l'espressione « Vivo nella nebbia»6, del paziente di Hervé Castanet, traduceva l'enorme sforzo fatto da un soggetto per conservare un legame di parola con l'altro, mentre la

• IRMA, La conversazione di Arcachon. Casi rari: gli inclassificabili della clinica, Astrolabio, Roma 1999. 1 IRMA, // conciliabolo di Angm. Effetti di sorpresa nelle psicos~ Astrolabio, Roma 1999. 4 J.-A. Miller (a cura di), La psicosi ordinaria. La convenzione di Antibes, Astrolabio, Roma 2000. 1J.-P. Dcffieux, Un caso non così raro, in IRMA, 1..a conversazione di Arcad1on cir., p. 19. 'H. Castanet, Un soggetto nella nebbia, in IRMA, La conversazione di Arcachon cir., p. 27.

CLINICA OELI.A CONVF.RSAZIONF.

struttura di linguaggio, nel suo pensiero, cadeva continuamente in pezzi. L'espressione psicosi ordinaria, proposta da J.-A. Miller in apertura della Convenzione di Antibes, mette in valore il fatto che, dietro i casi rari, molto spesso si nascondono casi frequenti o che avanzano sotto le spoglie dell'ordinario: «abbiamo qui degli psicotici più modesti, i quali riservano delle sorprese ma che possono, lo si vede, fondersi in una specie di media: la psicosi compensata, la psicosi di supplemento, la psicosi non scatenata, la psicosi medicata, la psicosi in terapia, la psicosi in analisi, la psicosi che evolve, la psicosi da sinthomo, se così si può dire» 7. Questo ci rimanda ali' «inquietante strane;,..7.a dell'ordinario» 8, formula proposta da Stanley Ca veli, che si rifà ad autori come Emerson: «Non chiedo ciò che è grande, distante, romantico; cosa si fa in Italia e in Arabia; che cos'è l'arte greca o la poesia dei menestrelli provenzali; io abbraccio ciò che è comune, esploro ciò che è familiare, basilare e sono seduto ai loro piedi»9. Vale a dire che, nella conversazione, il fondo si avvicina alla forma. Sandra Laugier a tal riguardo sottolinea il rapporto che intercorre fra l'ordinario e il comune: l'ordinario genera anche la comunità di linguaggio. Questo forse spiega il successo della forma della conversazione nel Campo freudiano: cosa può esserci di meglio delle conversazioni per creare una comunità di lavoro che, al di là dei continenti e dei locutori, forgia i concetti e fa avan;,.are la clinica? S. Laugier, commentando Cavell, sostiene qualcosa che a noi fa eco, e cioè che l'ordinario è «sempre da conquistare» 10, e prosegue: «la sua riflessione sulla vita ordinaria [ ...) si oppone a tutta una tradizione filosofica secondo la quale il pensiero dovrebbe uscire dalla caverne, idealiz;,.are e generalizzare per avvicinarsi al vero. Al contrario, secondo Stanley Cavell, l'ordinario deve essere sempre conquistato: non è qualcosa di già dato e compreso da tutti» 11 • 1

J.-A. Millcr, Clinica flessibile, in Id. (a cura di), La Psicosi Ordill4ria. La convenzione di Antibescit., p. 193. 8 Cfr. S. Cavcll, Dire et vouloir dire, Ccrf, Paris 2009. 'R. W. F.mcrson, The American Scholar, in Seleaed F.ssays, Penguin Book, New York 2005, pp. 83-106. '° Cfr. S. Laugier, Le commun comme ordinaire et comme conversation, •Mulritudcs», 45,juin 2011, pp. ro4-112. '' S. l..augier, Pour Stanley Cave/I, l'éthique est celte volontéd'aller toujours au-delà de soi-meme, •Philosophie magazine•, u juin 2018, reperibile su internet.

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CAROLE DEWAMBRF.CHl~S-L?

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della malattia, ha bisogno che il padre effettui il test. Prende poi la decisione di comprare l'appartamento in cui vive, cosa che lo porterà a dire che «sta diventando adulto» e potrà così smetterla di essere il «povero Ernesto» degli inizi. E di aggiungere: «Non sono più un povero Cristo qualunque». Il significante «povero Ernesto», S isolato al principio del trattamento, trova ora un altro significante' per dialcttizzarsi, allontanandolo dalla posizione sacrificale alla quale il significante S «Cristo» lo votava. Quando dice «non sono più... » sembra affer~are una decisione sotto una forma quasi performativa, anche se è piuttosto l'apporto dell'S «Cristo» che introduce evidentemente uno spostamento rispetto afla sua posizione. Uscire effettivamente dalla posizione di «povero», anche se panialmente, gli ha permesso da qualche anno di occuparsi veramente della figlia, che ha ormai superato la trentina, vale a dire ascoltarla e accogliere ciò che dice, mentre prima lei era praticamente assente da suoi discorsi e dal suo mondo. Ha potuto investire questa relazione anche se in maniera intermittente, come se avesse delle difficoltà sulla distanza a mantenere il ruolo di padre. Se assocerà spesso la figlia e «le donne», i suoi successivi incontri con delle donne non avranno per lui un effetto vivificante o di rilancio del desiderio. Mantenere un ruolo implica incarnare la funzione, metterci il corpo, cd è in questo che risiede la difficoltà principale di Ernesto: non riesce a vedere animarsi il corpo. Come se, malgrado il fatto che i significanti che lo determinano si articolino nella cura, mancasse la tenuta fallica per dar loro un corpo. È il ben-dire che lo ha sostenuto e che ha prodotto spesso degli effetti, se non di desiderio quantomeno di una qualche sorta di vivificazione, effetto raddoppiato e articolato nel transfert dove l'analista è sollecitato a confermare i suoi detti. Ma sebbene Ernesto apprezzi le formulazioni ben fatte e cerchi di esprimersi correttamente, è presente un rapporto particolare con la parola, in quanto nessuno dei suoi detti ha mai introdotto nella cura una dialettica che abbia avuto il potere di spingerlo ad abbandonare i suoi sintomi.

Un transfert Sensibile alla parola, il transfert di Ernesto si è annodato inizialmente attorno alla produzione di significanti che articolano i suoi

FJIBJJIN FJIJNWAKS

nuclei di godimento e che lo determinano come par/essere. Malgrado possa essere molto razionale e cartesiano, perfino un po' mistificatore, una grande fiducia lo ha legato nel transfert durante tutti questi anni. Spesso, sarà un riso un po' nervoso, imbarazzato dall'emergenza di una verità, che accompagnerà il suo assenso a qualcuno dei miei interventi o dei suoi e produrrà la fine della seduta. Così, per esempio, mentre parlava di un collega al quale sembrerebbe sia stato «tagliato il diritto alla felicità», risponderò «E a Lei non lo hanno tagliato», interrompendo la seduta. Qualche mese fa ha manifestato l'intenzione di interrompere il trattamento: era più una richiesta che lo lasciassi sprofondare definitivamente nel suo sconforto e nella sua impotenza che una vera e propria constatazione di fallimento. Gli ho proposto di continuare, con l'idea che non dovessi lasciarlo cadere, poiché continuerebbe a fallire come ha fatto finora. Il suo godimento consiste proprio in questo. Se ci si domanda in fondo cosa vuole Ernesto si potrebbe rispondere: che lo si lasci fallire tranquillamente come la barca del suo sogno, o piuttosto, intranquillamente, nella non tranquillità che lo abita da sempre. Se l'analisi ha rappresentato un ostacolo a questa deriva, la questione diventa quella di sapere se l'assenza di una vera dialettica della sua posizione durante tutti questi anni gli permetterà di mantenere presente questo partner che gli ha impedito di fallire nel suo godimento.

Il commento di Clotilde Leguil

Si tratta di un cinquantenne in analisi da quindici anni con Fabian Fajnwaks. Il titolo, «"Povero Ernesto!"?» implica un interrogativo sulla traiettoria di questo paziente dal «povero Ernesto!», con un punto esclamativo venuto dal padre, alla presa di distanza rispetto alla perplessità prodotta da questo enunciato. Dopo quindici anni di cura potrà dire che non è più «un povero Cristo qualunque», testimoniando così di un percorso: associando l'enigmatico «povero Ernesto» alla figura di Gesù Cristo - figura del discorso del padre che era un Pastore - il paziente si smarca in un qualche modo da una posizione che lui stesso definisce «passiva» e dal fantasma di «farsi risucchiare dall'altro».

•POVF.RO ERNESTO!•?

Quando comincia l'analisi, il paziente ha trentacinque anni ed è «tormentato» da una questione riguardante la malattia: deve o meno sottoporsi al test per accertare se è portatore della stessa malattia di suo padre? Non è sicuro di volerlo veramente sapere. Al di là di questo dilemma, il paziente si interroga su cosa dovrebbe fare «per sua figlia», in quanto, se facesse questo esame, lo farebbe per lei. La prima rettifica soggettiva prodotta dalla cura porta su questo punto: il soggetto passa da un'interrogazione sulla trasmissione della malattia paterna alla questione del suo rapporto con la paternità. Gli incontri preliminari lo conducono a evocare la difficoltà a essere padre di sua figlia e parlerà al riguardo di una «dimissione» da parte sua. Questo soggetto comincia la cura in un contesto di molteplici lutti: il suo analista precedente è morto, così come suo padre e suo fratello, morti a causa della stessa malattia ereditaria. La frase di un allenatore quando ormai è già adulto - « Qui, è morto» - risuona in lui. «C'è in effetti qualche cosa di morto in me», potrà dire. Il percorso analitico lo condurrà verso un certo ravvivamento del suo corpo, là dove non poteva metterci del suo per animare il rapporto con l'Altro. Il primo significante del transfert è quello del «burattino». Ernesto si presenta all'analista con una domanda legata a un ricordo d'infanzia in cui il padre gli regala un burattino per premiarlo dei suoi buoni voti a scuola: «Non sono forse il burattino di mio padre?». L'analista gli fa invece notare che «era piuttosto suo padre a essere per lei un burattino», questo padre che il paziente descrive con sarcasmo e ironia come «uno che respirava la morte» e «perso nei suoi pensieri con Dio». È l'ultimo di tre fratelli e sua madre viene descritta come una persona cupa. Tra il padre «che respirava la morte» e la madre «sprofondata nella colpa», Ernesto si descrive come uno che ha fatto «il lutto del desiderio». La cura viene presentata a partire dal rapporto con l'altro sesso e con il lavoro. In questi due registri, quest'uomo si confronta con l'impossibile: impossibilità ad amare se non a partire dal volere tutto dall'altro sen1.a dare nulla in cambio; impossibilità di lavorare se non a condizione di considerare la propria attività «un binario morto». Il rapporto con le donne è dell'ordine di un «farsi desiderare», senza

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poter lui stesso amare. Non si tratta di un classico chiasmo lacaniano sull'uomo e l'amore secondo il quale «là dove credono di desiderare, amano»•, ma di un rapporto con l'Altro sesso senza possibilità di incontro con la mancanza e con la castrazione. Attira le donne ma queste «fanno tutto il lavoro». Riesce a identificare quella che definisce la sua posizione infantile senza però poter far nulla per cambiarla. È in posizione di oggetto a che non riesce ad abbandonare. «Mi escludo dal mondo e dalle relazioni, non do nulla», dice. Al di là del rapporto impossibile con le donne, è presente il dialogo con la madre «che ha spazzato via, definitivamente, la possibilità di un discorso amoroso con una donna». C'è poi una confidente con cui parla e con la quale ripropone la stessa modalità che aveva con sua madre. Il rapporto con il lavoro è nel segno della noia. Fa il perito per delle aziende abusando spesso della sua autorità, mostrandosi ironico e sarcastico con i suoi clienti. Se il desiderio di altro si è a volte manifestato, è stato rapidamente abbandonato. Ernesto si lamenta e dice: «annego gli altri con le mie lamentele quando in effetti sono io a essere annegato». Un sogno all'inizio dell'analisi fa emergere un nuovo significante del transfert: «si trova su una spiaggia deserta a fianco a una barca arenata. Un relitto, una vecchia imbarcazione abbandonata. Ci sono lui e sua madre: abbozza un passo di danza su questa spiaggia deserta». Il significante «barca arenata» rappresenta questo soggetto. Il passo di danza davanti alla madre rende conto al contempo del tentativo e dell'impossibilità di fare un passo per avanzare, dell'inibizione. Far coppia con la madre, lei stessa priva di desiderio, lo condanna a restare un relitto abbandonato dalla vita. Non si tratta del porto di arrivo dell'Edipo femminile, ma della spiaggia abbandonata di un Edipo maschile. Quali sono gli effetti della cura su questo soggetto? L'articolazione di un sembiante fallico, là dove il rapporto con il desiderio viene meno, gli permette di uscire dalla posizione di godimento dell'essere il povero Ernesto, escluso dal mondo dcli'Altro. Si afferma sul versante dell'avere come un uomo che può acquistare beni materiali e che decide di fare l'esame medico «per sua figlia» . Si allontana dalla posizione di relitto del mondo dcli' Altro enunciando: «non sono più un povero Cristo qualunque». 'Cfr. J. uC1J1, l,e Séminaire, livre XV. l.'ade ps-ychanalytique, lcçon du 2.7 mars 1968, inédit.

«POVF.RO ERNESTO!•?

La cura permette dunque uno spostamento e può finalmente investire la relazione con la figlia trentenne. Rimane il fatto che non può «tenere sulla distanza», non riuscendo ad animare il suo corpo incarnando la funzione paterna. Se l'effetto della cura non è stato evidentemente quello di far emergere il desiderio, ha comunque reso possibile produrre un più-di-vita, di vivificare questo soggetto attaccato al suo godimento di fallire. Farei tre considerazioni: Se il significante del transfert è «quello sotto il quale il soggetto si presenta affinché ci si prenda cura di lui», come dice Jacques-Alain Miller, si può dire che Ernesto si è presentato come una barca arenata? La cura avrebbe allora come effetto quello di spingerlo a navigare fra i significanti e a non restare totalmente alla deriva. Questo soggetto si presenta attraverso dei tratti che potrebbero far pensare alla nevrosi ossessiva (il rapporto con la morte, l'inibizione dell'atto, il sadismo), ma si percepisce che la possibilità stessa di desiderare fa d ifetto e che si tratta forse piuttosto di psicosi ordinaria. Infine, come riesce quest'uomo, descritto come un relitto arenato, ad attirare delle donne?

La discussione Effettivamente ho aggiunto un punto interrogativo al titolo «Povero Ernesto!»?, cercando, con questa scrittura, di far vacillare almeno un po' questo significante padrone proveniente dal padre che ha rappresentato un pivot del transfert. Dice anche qualcosa della traiettoria della cura: dalla sua perplessità di fronte a un enunciato per lui completamente enigmatico - «Perché mi ha detto questo? Non sapeva granché sul mio conto, dato che si occupava molto più dei suoi ragazzi che di me» - a un vacillamento di questo significante. Viene in analisi con una domanda sulla trasmissione. Questo« burattino» regalato dal padre si trova a volte legato con l'amore ma anche con la derisione quando comincia a domandarsi se il «burattino» non fosse il padre stesso. Il padre trasmette dunque qualcosa. Ma mi sono domandato, costruendo il caso, se questa trasmissione non si riducesse alla genetica. FABIAN FAJNWAKS -

FABIAN FAJNWAKS

In effetti, finisce con il presentarsi come colui che potrebbe trasmettere la malattia, nient'altro che questo! Ciò appiattisce, in parte, la questione del Nome-del-Padre a un fenomeno di ordine biologico. Effettivamente, ci si può domandare se il Nome-del-Padre sia stato operativo. Da qui, l'incertezza diagnostica che percorre tutto il caso e che cercherò di chiarire meglio in seguito. Questo padre mortificato con il quale infine si identifica - credo si debba parlare di identificazione dà luogo alla successione sottolineata da Clotilde Leguil al livello del significante del transfert: «burattino», al principio, e poi, a partire dal sogno, «barca arenata». Rispetto al «burattino», c'è un equivoco nel modo in cui lo comprende, dato che si presenta lui stesso come un «burattino». Ciò accade in quanto introduce questo significante durante una seduta in cui parla del «povero Ernesto», di questa nomi nazione e della perplessità rispetto al versante sarcastico o addirittura ironico che viene dall'Altro paterno, cosa che mi autorizza a dire che è piuttosto suo padre a essere un burattino per lui. Posizione che assumerà sempre maggiore importanza nel seguito della cura, quando si renderà conto che è lui, nella sua posizione attivamente passiva, a tirare le fila con le donne e, si potrebbe dire, anche nell'analisi. Ritornerò su questo punto che permette, al di là del significante del transfert, di cogliere la posizione fantasmatica, dovuta alla sua attiva passività, che metterà in atto nel transfert. Questo «burattino» è dunque lui che si realizza in una posizione masochista. È lui che tira le fila, mentre il padre diventa una figura di identificazione da cui preleva la questione della morte per sostenere una certa posizione di godimento. Rispetto alla barca arenata, è vero che «fallisce» con l'analista, ma non completamente. C'è una sorta di sballottamento, di gioco possibile, soprattutto in quel che mette in gioco nei rapporti con le donne. Ascolta le donne e precisa: «Annego gli altri con le mie lamentele ma sono io a essere annegato». Si dice annegato dalle parole che suscita: egli è attivamente annegato, si lascia annegare. È possibile ritrovare, al riguardo, un circuito masochista, la pulsione fa ritorno su di lui e segnala la sua posizione fantasmatica. Una barca spiaggiata, ma in una certa misura mobile. C'è un movimento, un passo di danza, che si ritrova nell'interpretazione che

•POVERO ERNESTO!•?

ne ha dato: «Abbozzo un passo di danza ma non mi muovo, resto arenato». Allo stesso tempo, questo passo di danza è anche il piccolo scarto che gli permette di percepire la sua posizione. Certamente la partita dell'analisi si apre a partire da questo sogno perché non ha, o non è, completamente fallito. Quanto all'identificazione con il relitto, con il godimento di fallire, possiamo dire che è un uomo che ha la particolarità di incontrare delle compagne che vogliono occuparsi di lui, che finiscono col fargli da balia. Si trasferiscono sistematicamente da lui, gli risistemano l'appartamento e, per certi versi, risistemano anche lui. Lui si dà, si offre come oggetto a a tutto questo. Sa trovare la compagna capace di godere occupando questa posizione. Si dà a loro con la sua posizione masochista, ma dice con precisione che ciò non avviene senza la presenza di un piccolo tratto sadico, che usava anche con sua madre. Sa benissimo come fare per dividere, angosciare l'altro, come non muoversi dalla sua posizione e produrre angoscia, i pianti in una sequela interminabile di notti di discussioni, di dispute, che conducono sistematicamente all'abbandono da parte delle sue compagne. Il sadomasochismo è per lui un gioco sul quale ci sarebbe ancora da dire. Ma cosa ne è dello spostamento dal «povero Ernesto!» a «Non sono più un povero Cristo qualunque»? Potremmo intendere questa frase in maniera differente: «Io sono il primo Gesù Cristo che non passa», ossia che si sarebbe identificato con il Cristo, con il sacrificio eristico. Non sono sicuro che al momento se ne discosti molto. JllAN-PIERRE

DEFJlmux -

FABIAN FAJNWAKS -

La si potrebbe intendere anche come «Ero il

primo Gesù Cristo». È interessante il fatto che costituisca per lui una frase di separazione. Evidentemente può essere intesa in modi differenti, ma credo sia importante ciò che egli ne fa: un significante che dialettizza la posizione del «povero Ernesto». Vorrei sottolineare quel che vi è di estremamente moderno e appassionante in questo caso: il fatto che sia un perito. Penso che questo sadismo debba poterlo esercitare anche nel suo lavoro. LAURA SOKOLOWSKY -

FABIAN FAJNWAKS

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Certamente, dice di essere il migliore, con la modestia che gli è propria. Esercita il suo sadismo, il suo sarcasmo, nei confronti dei suoi clienti, che sono direttori d'azienda. Può essere insopportabile, lo riconosce lui stesso, ma cerca di prenderne le distanze, moderandosi quel tanto che gli riesce. Effettivamente, abbiamo qui quella che si potrebbe definire «una psicologia del valutatore». FABIAN FAJNWAKS -

LAURENT OUPONT - Devo ammettere che non avevo letto il caso sul versante del sadismo e del masochismo. Come Clotilde, mi ero piuttosto concentrato sull'ironia e sul sarcasmo. Qual è lo statuto di questa ironia? Per riprendere l'espressione di Jacqucs-Alain Millcr in Clinica ironica, possiamo dire che essa prende di mira l'Altro, che si dirige contro l'Altro? Non è allora lo stesso tratto attraverso cui mira a mortificare la posizione dcli' Altro. A cosa punta questo tratto di sadismo che noi facciamo emergere? Punta a una divisione o va contro l'Altro? FABIAN FAJNWAKS - Sì, la sua ironia si dirige piuttosto contro l'Altro. Vale a dire che essa non denuncia l'assenza dcli' Altro, come nella schizofrenia. Ernesto non è uno schizofrenico, ma punta l'Altro come estensione di sé. Punta a mortificare l'Altro, a far sì che il corpo dcli'Altro sia mortificato quanto il suo. Da qui l'assenza di desiderio nel rapporto con queste compagne sempre diverse, là dove invece si potrebbe pensare che qualcosa si vivifichi in ogni incontro. Potrebbe sembrare un donnaiolo, ma in realtà è un uomo-oggetto, un uomo che non gode delle donne. Lui si offre alle donne, non gode delle donne. Queste compagne si presentano tutte sotto lo stesso tratto di mortificazione. È qui che sembra emergere qualcosa dell'ossessivo, senza che sia veramente in questa posizione.

Siccome la questione relazionale viene evocata, avrei una domanda sul legame con la sua cx moglie. Cosa ne sappiamo? È possibile rintracciare una discontinuità fra il momento in cui ha deciso di avere una famiglia con lei e, in seguito, la serie delle altre donne? Quale funzione aveva questo legame? CHRISTIANE ALBERTI -

Quel che è buffo è che la cx moglie è diventata psicoterapeuta. Ironizza molto sulla sua posizione, soprattutto sul 1:ABIAN l'AJNWAKS -

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fatto che lei cercava di comprenderetutto «psicologizzando». Hanno ancora dei contatti. È la madre di sua figlia e questo segna una differenza con la serie delle altre donne. Le ha «affidato sua figlia», vale a dire che negli anni è stata lei a occuparsene. Tutto ciò risuona con il legame che aveva con sua madre. Si tratta di una donna con cui parla come fosse un'amica privilegiata, mentre le altre le ascolta. Il rapporto non è affatto lo stesso. A più riprese, Lei parla del suo rapporto con il desiderio, cominciando con il dire che, quando è arrivato, afferma di aver fatto «il lutto del desiderio». Si tratta di una frase molto forte, in quanto il desiderio è prima di tutto un'incognita, mentre invece lui sa qualcosa su questo punto. E dopo, più in là, quando incontra diverse compagne, Lei precisa che non si pone il problema del suo desiderio nei loro confronti. Ci si interroga evidentemente sul rapporto con il desiderio. C'è una frase che mi piacerebbe che Lei spiegasse: «C'è certamente un reale che non cede in questa posizione». Sembra come se, Lei stesso, avesse segnato un colpo in quanto Lei è colui al quale si rivolge. PIERRE NAV!tAU -

È così. Dice: «lo sono l'uomo senza desiderio». Non dice un uomo, ma dice l'uomo. FABIAN FAJNWAKS -

PIERRE NAVEAU

-Anche questa è un'espressione forte.

Sì, attraverso l'uso del particolare. Quando dice: «Ho fatto il lutto del desiderio», accentua la dimensione di godimento della sua posizione masochista e chiude dunque a tutte le possibilità che lo proietterebbero verso qualcosa di diverso, verso la questione del desiderio. È qui il reale in gioco per lui, l'identificazione con il posto di oggetto nella sua costruzione masochista. FABIAN FAJNWAKS -

PIERRE NAVEAU -

È qualcosa che Lei precisa in seguito, in effetti:

«Aspettarsi tutto dall'altro lo assegna al posto di oggetto a che non riesce ad abbandonare». Dice di «aspettarsi tutto dall'altro» ma, in fondo, non si aspetta nulla. Sarebbe meglio se potesse aspettarsi qualcosa dall'altro. Si pone così anche la questione di che cosa lui si aspetti da un'analisi. FABIAN FAJNWAKS -

FABIAN FJ\JNWAKS

Due note rispetto al modo in cui l'oggetto voce è messo in gioco in questo caso. Innanzitutto far parlare le donne o parlare alle donne sono le due modalità che indicizzano la scissione fra la donna amata (l'amica di sempre) e le donne desiderate o pseudo-desiderate. Inoltre, Lacan indica a più riprese il legame che sussiste fra l'oggetto voce e l'oggetto orale, e mi sembra che la questione dell'esser-divorato lo mostri precisamente. Si può supporre che lui sia divorato dalle parole di sua madre, dalle confidenze che ha mandato giù e dalle quali non riesce a liberarsi. La cosa si ripete con le sue compagne. E poi, con i suoi clienti, sono invece loro a essere divorati dalla sue parole quando fa il perito. ANNAllLLE LEBOVITS-QUENEI-IEN -

Effettivamente c'è l'oggetto voce. Ho preferito accentuare la dimensione orale nel suo farsi divorare, risucchiare, nel farsi ingoiare - come dice Lacan - sapendo che questa posizione masochista è una sorta di difesa contro tutto ciò. È ciò che mette in gioco in analisi mantenendo l'inenia del godimento. In una certa misura, si esprime nel non cedere ali' Altro e alle intenzioni terapeutiche dell'Altro, dato che non migliora. Quando dice «È quando sto male che sto bene» è il suo modo di dirmi: «Lei vorrebbe che io migliorassi ma io non cederò a questa Sua intenzione». C'è dunque una difesa nella cura contro questa posizione fantasmatica. C'è anche il godimento dell'oggetto voce che fa sorgere nel campo dcli'Altro, qualcosa che è tipico della posizione masochistica di questo soggetto. Lacan indica che, per i masochisti, la voce è l'oggetto che emerge. Soffre di questa messa in scena. A volte ne è angosciato, piange. Tutto questo fa parte dello stesso circuito. l'ABIAN l'AJNWAKS -

Mi è sembrato interessante illuminare questo caso attraverso la malattia genetica. Nei suoi sogni appare che lui danza con la morte, con sua madre, con il fallo morto. Lei dice a un certo punto che Ernesto non riesce a ravvivare il suo corpo e si capisce che lui non abbia tutta questa voglia di riuscirci. D'altra parte, vorrei sapere: come lo ha accompagnato a prendere la decisione di fare gli esami per questa malattia? GUILAINE PANil'rl'A -

I'ABIAN l'AJNWAKS - Ha deciso di farlo da sé, circa tre o quattro anni fa. Per sua figlia, diceva. Lui non è portatore di questa malattia.

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Non si tratta tanto di sapere se sia portatore di questa malattia oppure no. Se suo padre e suo fratello ne sono morti, questo ha degli effetti ... GUILAINE l'ANE'ITA -

Certamente. Vorrei aggiungere che recentemente ha detto qualcosa che mi sembra interessante in rapporto al fallo morto. Mentre suo padre non cessava mai di morire di questa malattia, lui non si muoveva per non smettere di essere amato. La pietrificazione nella posizione di fallo morto - non muoversi per non smettere di essere amato - rende bene l'idea su quale beneficio ricavi sul versante dell'amore materno. FABIAN FAJNWAKS -

Questo analizzante ha fatto in precedenza una quindicina d'anni di psicoterapia, un'analisi breve fino alla morte dell'analista e ora è da Lei. Se è arrivato a mettere in evideni'.a la questione della malattia, ha parlato anche della psicoterapia e del suo primo analista? Dove si lamentava dei suoi problemi con le donne? Sebbene sia arrivato rapidamente a questo punto nell'analisi, Lei sottolinea che «non si muove». Si pone così la questione della perversione, ma anche la questione di quale lavoro facesse con questi psicoterapeuti - visto che al riguardo non manca di essere ironico - e del lavoro che porta avanti con Lei. AMAURY CULI.ARO -

FABIAN FAJNWAKS - Dice di aver lavorato con gli psicoterapeuti precedenti e con il primo analista il rapporto con la cx moglie durante e dopo la separazione. Aveva con loro trattato della sua difficoltà a parlarle chiaramente e poter così arrivare alla separazione. Probabilmente si era messo in piedi lo stesso circuito masochistico e si può pensare che la sua cx moglie, a differenza di tutte le altre donne della serie, non lo lasciasse e lui non sapesse come sbarazzarsene. Se le questioni sono in qualche modo venute fuori in maniera simile, la posta in gioco nell'analisi è differente, così come gli effetti sulle modalità di godimento. Se non altro, a causa della direzione della cura.

(Traduzione di Canninc Mangano)

L'ostaggio Hélènc Bonnaud

Victor prova un malessere che si manifesta con un'angoscia terribile, un sentimento di essere diverso dagli altri, una difficoltà a farsi degli amici e a incontrare una donna. È incapace di fare la minima scelta, cosa che gli complica l'esistenza. A volte ha delle idee bizzarre che gli attraversano la mente. Non sa mai se ciò che pensa è normale o no. Ha paura della follia: il vero trauma della sua vita, dice, è suo fratello maggiore che ha incominciato a delirare improvvisamente all'età di diciotto anni.

Logica del caso Una clinica del dettaglio mi è sembrata la migliore per esplorare il modo singolare del suo funzionamento. Essa permette di nominare la grande permeabilità del soggetto alla parola dcli'Altro. Non è parlato dall'Altro, ma l'Altro gli dice sempre la verità; questa cosa circoscrive momentaneamente il buco del simbolico. Si tratta di un modo di appropriazione suggestiva della parola. L'analisi permette, a ogni seduta, di regolare, di riaggiustare il modo in cui il soggetto vive il tripode che gli serve per fare fronte all'esisten:r.a: le relazioni che intrattiene con la sua famiglia, con il suo migliore amico e con le donne. Bisogna aggiungerci l'analista. Questa costituisce un indirizzo affidabile per lui, ma può minarsi appena qualcuno mette in questione ciò che va a farci. Allora tutto vacilla. Tutto quello che ha è sempre precario. Il mondo in cui vive è mutevole, sottomesso ai rischi del discorso dell'ultimo che ha parlato. È l'ostaggio di questa vacillazione permanente tra lui e l'altro. Se ho dato questo titolo - L'ostaggio - a questo caso, è in ragione della

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definizione della parola, che significa: «prigioniero la cui liberazione e salvez7.a della vita dipendono da un'esigen7.a che deve essere assolta da un terzo». Egli è l'ostaggio del dire degli altri. È l'ostaggio di ogni parola, di ogni riflessione, di ogni sguardo. Gli altri costituiscono, per lui, un Altro multiplo e mutevole, più o meno persecutorio. Il soggetto è obbligato a corrispondere alla domanda di ciascuno dei suoi interlocutori ed è in questo che è ostaggio. Deve rispondere a ciò che l'altro vuole perché non c'è l'Altro della garanzia. Per questo motivo è risucchiato in «una relazione duale pura» che, come indica Lacan, «espropria il soggetto della sua relazione al grande Altro»•. L'analista costituisce il terzo che lavora alla sua liberazione. Si tratta di un annodamento singolare che esige un certo tatto.

Un trauma nell'adolescenza Un evento ha avuto un certo impatto nella vita di Victor. A 13 anni, durante un soggiorno in colonia, un educatore gli ha fatto una fcllatio. Insiste nel dire di averla subita, benché sua madre sostiene che le abbia raccontato il contrario. Questo malinteso con sua madre mostra una modalità del suo sintomo: non sa più dove situare la verità: la sua. Il suo primo analista aveva interpretato questa scena come un trauma e l'aveva spinto a sporgere denuncia contro l'educatore. Io da parte mia non farò nessun commento sulle conseguenze traumatiche di questo incontro, pensando piuttosto che la causalità tra il trauma e la sua difficoltà nell'assumere una vita sessuale non si riduceva a questo evento, ma dava consistenza a una spiegazione che lo tranquillizzava.

Una madre depressa Victor è il secondo figlio dei suoi genitori. Quando sua madre è incinta di lui, scopre che il marito la tradisce. Attraversa una grave depressione. Quando lo allatta, il bambino rifiuta il seno. Anoressia

'J. Lacan, Il Seminario, lil:>ro X. L'angoscia, Einaudi, Torino 2007, p. 130.

L'OSTAGGIO

del lattante. La madre è colpevolizzata dalla diagnosi che viene data. Il che la risveglia. Qui risiede il primo evento traumatico. L'interpretazione che ne farà Victor è che lui ha dovuto passare attraverso la messa in scena della sua morte per ottenere da sua madre le cure e l'attenzione che meritava. Nel suo caso, la domanda d'amore, che è l'al di là della domanda di essere nutrito, è rimasta senza risposta. Ciò ha avuto delle conscguen;,,e. Prima di tutto, qualsiasi domanda è per lui difficile da formulare perché, da allora, corre il rischio di un rifiuto che rimette in causa la sua esistenza. Qualsiasi domanda è, quindi, per lui, un salto nel vuoto. La seconda conseguenza è che ha la sensazione che, per essere interessante, bisogna fare di più, meritarselo. Collega questo fatto con la rivalità fraterna. In effetti, ha sempre saputo che sua madre preferiva suo fratello, che era un bambino molto intelligente, assorbito dalle sue letture. Rappresentava l'ideale dei genitori. Lo chiamavano l'intellettuale. Ma, all'età di diciotto anni, aveva cominciato a delirare e a diventare violento con i genitori, cosa che aveva comportato non solo l'esclusione da casa, ma anche lo scioglimento della famiglia. Ognuno si era ritrovato solo. Da un anno, il fratello è ricomparso dopo più di venti anni di silenzio, e questo avrà degli effetti su Victor.

Essere dominato: un modo di godere singolare Durante l'infanzia, la relazione tra Victor e suo fratello era caratterizzata da una rivalità la cui potenza distruttrice si era organizzata secondo un modo di godere ben riconoscibile: veniva esercitata una relazione dominante-dominato. Suo fratello lo prendeva per il suo capro espiatorio. Lo padroneggiava in ogni modo, sia fisicamente che attraverso la parola. Emergono alcuni ricordi di questa rivalità e mostrano l'irruzione del sessuale negli ordini e nelle minacce del fratello che lo sottometteva con la forza, obbligandolo a subire la sua volontà. La devastazione della relazione fraterna è la ripetizione dell'influenza del fratello su Victor, cosa che per lui comporta l'impoten;,..a, l'umiliazione, la vergogna e la collera. Tuttavia, suo fratello, sicuramente carnefice, gli serviva anche da supporto. Quando egli perde la sua funzione di io ideale, Victor perde l'equilibrio. Non sa più chi è. I suoi genitori non occupano più la

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loro funzione genitoriale e suo fratello è diventato un altro inquietante. Niente è più al suo posto e così Victor è perduto.

La père-version del padre Nell'analisi di Victor anche il padre ha un posto molto importante. Un ricordo serve da paradigma al funzionamento del padre. Mentre stavano giocando sulla spiaggia e Victor era ancora piccolo, suo padre non trova niente di meglio da fare che mettere dei sassolini nel suo costume, per poi riderne con suo fratello. Cosa di cui si ricorda ancora. Il bambino si è quindi trovato fissato alla risata del padre, al suo godimento sadico di vederlo paralizzato, e teme di scomparire sotto il peso dei sassolini. Questa posizione di oggetto visto e deriso che lo riduce a un sesso imprigionato traccerà la via verso l'impossibilità di assumersi la vitalità del suo sesso nell'incontro con una donna.

Ritorno del reale È quando suo fratello si scatena che Victor, allora sedicenne, sta molto male. Prova quello che chiama «la sua disunione» con sé stesso. Ha paura di diventare anche lui matto. Si ricorda di aver detto a sua madre: «Io sono un gas invisibile». Questa formula indica la sparizione del corpo come una dissoluzione reale del proprio essere. Non è più niente. Dal momento che non è più sotto lo sguardo di un Altro, più niente lo tiene. Il suo corpo sparisce. Durante questo periodo di crollo, aveva dei momenti di sonnambulismo, incubi e, talvolta, gli veniva l'idea di gettarsi dalla finestra. Ogni volta che attraversa un periodo di angoscia, questa idea riemerge. Ne abbiamo parlato a più riprese. Non vuole riprendere un trattamento farmacologico. Vuole uscirne mediante la parola. Mi assicura che non ha nessuna intenzione di morire. Ride supponendo che io possa essere preoccupata per lui. Questo gli dà l'impressione che lui conti qualcosa per mc.

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Il doppio Il suo migliore amico, Ulisse, occupa un posto centrale nella sua vita. Ha un'influenza troppo grande su di lui e Victor non vorrebbe più essere sottomesso alla sua parola. All'inizio dell'analisi, non appena Ulisse gli chiedeva d i andare a trovarlo, lui correva. Ulisse ha un fratello più giovane che si prendeva gioco di Victor, lo prendeva in giro per il suo look e il suo comportamento con le ragazze. Vietor subiva le sue derisioni e le insinuazioni e si rimproverava di non essere capace a rispondere. Si sente intrappolato nella sua relazione con Ulisse, che incarna per lui un modello e un ideale. Nell'analisi, testimonia a più riprese dell'influenza di Ulisse sulle sue scelte, sulle sue decisioni. Per esempio, non può non comprare gli stessi vestiti del suo amico. Vorrebbe assomigliargli, ma se lo rimprovera non appena ne diventa cosciente. In questo gioco di specchi, Ulisse non è innocente e manipola più o meno Victor. Si ritrova qui il trio infernale della relazione di Victor con il padre e il fratello. Essere amato da loro è, in un certo modo, consentire a essere dominato e, nello stesso tempo, deriso. Victor funge da oggetto di scherno alla coppia fraterna ma è anche un oggetto d i interesse per Ulisse che sperimenta il suo sapere analitico su di lui. In effetti, Ulisse non cessa di farsi l'interprete dell'inconscio di Victor. Questa intrusione, talvolta sentita come superegoica da Victor, dimostra secondo lui l'amicizia di Ulisse nei suoi confronti. Ma, a volte, questa situazione lo angoscia e si chiede: «Chi sono? Che cosa voglio? Che cosa è il desiderio?», eccetera. Oggi, la relazione è molto cambiata e Victor si sente più adulto, mi dice, di fronte al suo amico. È meno interpretativo. La sua malattia dcli'alter ego è diventata meno angosciante. Si sente meno l'oggetto dcli'Altro, la sua marionetta.

Ritorno sulla madre Con la madre, la relazione è carattcriz;,.ata da troppa vicinan;,.a. Non c'è nessuna barriera. A lei confida tutto, a costo di rimpiangerlo subito dopo. Lei è capace di sentire il suo malessere dal tono della voce al telefono. È il suo conforto, ma lui vorrebbe staccarsi da lei. A

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volte reagisce fortemente a una situazione e denuncia il loro rapporto fusionale. Da piccolo, sua madre lo trattava da angelo, mentre definiva suo fratello virile. Molto spesso, del resto, viene riscontrata in lui un'aria angelica; «sono quasi imberbe», mi dice. Cosa che alimenta la sua paura di apparire asessuato. Eppure, nella strada, nei bar, le donne lo guardano. Sa di piacere. Un'altra scena con la madre e il fratello, più recente, indica l'influenza materna. Durante un pranzo in cui li invita a casa sua, la madre entra in cucina e, di fronte alla sporcizia, gli dice: «Nessuna donna potrebbe sopportare un tale bordello!». Questa frase in forma di sentenza ha come effetto di farlo sentire schiacciato. Ha l'impressione che la parola materna interpreti la sua incapacità di vivere con una donna e lo condanni a rimanere solo. E siamo così all'ultimo problema: il suo rapporto con le donne.

Tutte o non una Victor ha rimorchiato e fatto sesso con delle raga:a.e per diversi anni sotto l'influenza di un amico. Prova un certo disgusto per sé stesso. Da quando ha smesso di farlo non sa più come fare per sedurre una donna. Se c'è un buco nel sapere sulla questione dell'amore, il corpo di una donna fa, in più, ostacolo. La belle:a.a è un criterio per scegliere una ragazza, ma non appena lui le parla, qualcosa cade e lui fa dietrofront. Finisce per incontrare una giovane spagnola, Maria, che si innamora di questo ragazzo sensibile. Lui stesso si stupisce di come vanno le cose con lei. Si sente amato cd è per lui una cosa molto nuova. Lei lo rassicura. Nonostante questo, una sorta di angoscia lo invade regolarmente al pensiero di continuare la loro relazione perché un'idea gli si impone: lei non è bella. Quando questo pensiero emerge, lui glielo dice: «Non mi piaci, noi dovremmo smettere». Riuscirà bene o male a mantenere il legame con Maria, perché, del resto, apprezza di non essere più solo. Lei lo sostiene molto. Eppure, dopo le vacanze trascorse in coppia nella famiglia di Maria, decide di rompere. Questo evento li mette in una tristezza infinita. Piangono per un giorno intero prima di ritornare in Francia. Dopo questa separazione lui sta molto male. Non poteva prolungare una relazione con una ragazza che non trovava bella. È catturato

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dall'immagine della «ragazza figa», quella che si vede nelle riviste. Le sue questioni intorno all'immagine sono invasive e lo colpevoliz1.ano. Si sente colpevole di essere assoggettato a un'immagine da sogno e di non accontentarsi di questa donna, gentile, amorevole e che gli vuole bene. Ha la sensazione di essere un mostro. Piange. Il fascino per la bellezza rinvia alla propria immagine. Victor si vede bello. Crede che scegliendo delle donne straniere o non molto colte manterrà un certo ascendente su di loro. Lo rifallicizza il fatto di immaginarsi capace di aiutarle, sostenerle, anche se questa scelta gli rivela sempre un'alterità che non sopporta. Marcate da un meno, le donne che incontra finiscono per non piacergli, persino per disgustarlo. Probabilmente solo un doppio femminile potrebbe dargli l'illusione di una scelta ideale fondata sulla bellezza, ma questa soluzione è impossibile. L'acceso alla virilità è barrato. L'oscillazione permanente della sua opinione, la sua impossibilità a decidere e a scegliere gli danno l'impressione di essere sempre sul bordo, cercando nella parola di un altro una risposta in termini di normaliz1.azione del proprio essere. Cerca questo anche da sua madre, che gli dirà: «Ne troverai delle altre», e da Ulisse, che afferma la stessa cosa. Dopo questa relazione durata quasi nove mesi, non ha più incontrato una donna e la cosa lo preoccupa. Da allora, ogni volta che tenta un approccio è per il sesso, mi dice, e ha luogo lo stesso copione. Un incontro e poi, subito dopo aver consumato, è preso dal rammarico poiché la ragazza non risponde ai suoi criteri di bellezza o di intelligen1.a. Allora chiude in fretta.

Essere solo Al momento, considera che essere solo è per lui una soluzione. Non lo vive più come un dramma. La vita di coppia non è per lui, lo fa soffrire troppo. Nella sua famiglia, nessuno capisce perché è ancora solo e ognuno lo incoraggia a trovare una donna e a formare una famiglia. Intorno a lui, la cosa meraviglia perché è bello, gentile e di buona famiglia. Ha visto un documentario su Marlon Brando, noto per le sue numerose conquiste. Era un seduttore, mi dice, ma ne ha amata solo

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una: sua madre. Si è detto di essere come l'attore, che piaceva alle donne ma non sapeva amare. La causa di questa impossibilità è sua madre. Riferisce qu indi un ricordo importante: da piccolo, quando lei andava ad abbracciarlo nel suo letto, vedeva il suo viso trasformarsi in quello di una strega. Questo chiarisce il momento in cui il viso di una donna passa dal bello al suo opposto e mostra quanto l'immagine vacilli senza sosta, instabile e tendente all'orrore. Si può ipotizzare che la sua bellezza lo sostenga e costituisca uno dei rari punti fissi che gli danno un po' di consistenza. Tuttavia, l'incontro con una donna gli rimanda un reale dell'immagine del corpo che passa dal bello al mostruoso.

L'analista All'inizio dell'analisi era all'erta, interpretava tutto ciò che succedeva nello studio. E interpretava anche me, trovava particolarmente intenso il mio modo di guardarlo. Ho dovuto fare attenzione per cercare di essere impassibile e di non fissarlo. A volte ho dovuto fermarlo nei suoi deliri. Riproponeva lì quello che aveva vissuto con sua madre, quell'aspirazione, quel godimento a essere attraversato dall'immagine o dalla voce dell'altro. Non è più così. Oggi Victor sopporta meglio l'attesa nella sala di aspetto o di incrociare altri pazienti. Sa di avere il suo posto. Ma a Natale un evento inaspettato - il ritorno del fratello in famiglia - ha sconvolto il corso della sua vita proprio quando era arrivato più o meno a stabilizzarsi nel suo rapporto con gli altri. Dopo la fine delle vacanze, ritorna in uno stato di grande agitazione. Ha consultato per due volte un medico di base che gli ha prescritto dei sonniferi e degli ansiolitici. Durante la seconda consulenza si è lamentato dell'insonnia, non avendo il trattamento nessun effetto. È angosciato. Il medico indaga sulla sua vita. Victor gli spiega che è seguito «in psicoanalisi», secondo la sua espressione, e il medico gli suggerisce di cambiare analista, dandogli l'indirizzo di una psicologa. È molto angosciato da questa risposta e, nello stesso tempo, è d'accordo con l'idea che sia ora di interrompere la sua analisi con mc. Quando mc lo riferisce con dovizia di dettagli lo interrompo per dirgli che la cosa non mi interessa e gli chiedo delle precisazioni su ciò

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che è successo durante quei quindici giorni: è questo che mi interessa. Mi racconta allora le sue vacanze a casa del padre dove si è ritrovato confrontato al fratello. Non ha sopportato il modo in cui suo padre si prendeva cura di quest'ultimo, svaccato sul divano tutto il giorno, mentre lui gli serviva soltanto per risolvere i suoi problemi di informatica. Si è sentito lasciato cadere. Ha deciso dunque di partire, ma il senso di colpa l'ha tormentato. Da quando i suoi genitori hanno ritrovato il figlio maggiore, lui non ha più il suo posto. Suo fratello l'angoscia. Il ritorno in famiglia lo riporta a quel sentimento di essere meno amato d i lui. Dopo questo momento delicato, c'è stato un cambiamento nell'analisi. Victor sembra avere trovato una nuova posizione nell'esistenza. Riconosce che parlare al suo analista è essenziale per lui: «Lei è la sola persona a cui posso parlare». Ha un altro rapporto con la vita e con gli altri. Deve fare con ciò che è. Nomina quindi il suo sintomo: «Io sono un drogato della solitudine». È la sua formulazione per dire il suo nuovo modo di godere, il modo in cui, in effetti, può proteggersi dalla sottomissione ali' Altro.

Conclusioni Dopo questa nominazione, si è calmato. La mia approvazione a questa soluzione gli permette di intravedere che non è obbligato a rispondere a quello che vogliono i suoi familiari. Non è obbligato a essere come tutti. È anche di questo che parliamo. Possiamo allora considerare che egli è passato da una modalità di godimento in cui era l'oggetto dell'Altro, la sua marionetta, a una posizione in cui sopporta di essere solo, di essere un drogato della solitudine, formula che indica che acconsente di esistere come Unotutto-solo? Non è forse una soluzione che gli permette di non essere più dipendente dagli altri ma di trovare, in questo cambiamento, un nuovo modo di non essere più aggrappato all'altro, dipendente dalla sua volontà e, di conseguenza, sempre sul chi vive? Si stupisce, in effetti, di restare solo davanti alla televisione il sabato sera e di ascoltare il programma The Voice, di esserne dipendente, perché ascoltare la voce dei cantanti lo fa piangere. Ma, dice, è un'emozione che gli fa bene. Il passaggio dalla tirannia dell'imma-

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gioe alla voce che lo tocca è un avanzamento importante nella sua analisi. Questo segnala un cambiamento dove Victor è passato da una posizione di oggetto dcli'Altro a una soluzione in cui essere solo non lo mette più in pericolo di essere «in disunione» con sé stesso. Il commento di Jacques Ruff Partiamo dalla conclusione, per apprezzare lo spostamento che si è operato in questa cura. Victor è passato da una dipendenza dalla parola degli altri, che dettava la sua condotta, a una nuova posizione che chiama «drogato della solitudine». Questo nuovo modo di godere si fonda, da una parte, sulla necessità di andare a parlare al suo analista e, dall'altra, sul trovarsi da solo il sabato sera davanti alla televisione per ascoltare un programma, The Voice, in cui ama sentire la voce dei cantanti. Quest'ultima osservazione, con la quale si conclude il testo, dà la misura del lavoro che si è svolto. Hélène Bonnaud, sciogliendo i nodi della voce, dell'immagine e del simbolico, è riuscita a staccare Victor dall'influenza e dall'effetto di ingiunzione immediata della parola degli altri. The Voice, parola di una lingua straniera, nomina ciò che è cambiato in rapporto alla voce. L'ascolto solitario delle canzoni davanti alla televisione restituisce a Victor un uso del tempo e dello spazio. Il suo corpo esiste per sé stesso in questo tempo di ascolto e trova una distanza dagli altri. Partiamo dal titolo: L'ostaggio. L'etimologia del termine viene da ospite, da alloggio. L'ostaggio era costretto ad alloggiare nella dimora del vincitore. Victor alloggia nella parola degli altri a causa «di una grande permeabilità alla parola dell'Altro». Più che assoggettato, è suggestionato, influenzato. H. Bonnaud aggiunge una definizione che specifica la condizione per il rilascio di un ostaggio: «la liberazione dipende da un'esigenza che deve essere assolta da un terzo». È dunque questo terzo che lei metterà in funzione per rompere la logica immaginaria, speculare, duale, nella quale Victor era preso. Quali sono i segni contingenti di partenza che suggellavano il suo destino? Victor nasce nel momento in cui la madre incinta scopre che il marito la tradisce. La relazione madre/figlio ne risente. La domanda d'amore che lui indirizza alla madre rimane senza risposta. La madre, non ricevendone, non può donarne. Questo marchio di

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essere lasciato cadere e di un rifiuto si ripeterà sotto forma di un trio infernale. Questo trio è in realtà piuttosto un duo, una relazione duale: due che ne respingono uno. All'inizio si incarna nel fatto che il fratello maggiore è il preferito della coppia genitoriale. Successivamente, sarà la coppia del padre e del fratello, poi dell'amico Ulisse e del proprio fratello che subentreranno con le stesse scene di umiliazione che avranno un impatto sulla sua sessualità. La scena della presa in giro sulla spiaggia che gli infligge il padre con la complicità del fratello non fa che prolungare quello che aveva già subìto da lui. Sua madre non sarà da meno. Lei, a cui diceva tutto, lei che si mostra con una certa oscenità, avrà parole che elimineranno ogni speranza di costruire una relazione sessuale. Non soltanto lo tratterà da angelo contrapponendolo al fratello che lei descrive virile, ma, nel momento in cui critica lo stato di sporcizia della sua abitazione, lo condannerà con quest'ultima sentenza: «Nessuna donna potrà sopportare un tale bordello». Ci sarà un momento chiave. Il sostegno precario che aveva costruito nella relazione con il fratello crollerà nel momento in cui quest'ultimo si scompenserà. «Disunione» nominerà il fenomeno che sente nel suo corpo che esce di scena. Il termine disunione evocherà, come una eco, la disunione che avviene in quel momento anche nella coppia genitoriale. Tutti si ritrovano soli. Egli troverà nel suo amico Ulisse un nuovo sostegno. Ma Ulisse ha un fratello che si prende gioco di Victor. A ripetersi sono dunque lo stesso trio e le stesse scene. Sotto l'influenza di un compagno, avrà delle relazioni sessuali. Ne deriverà un disgusto e una perplessità riguardo alla modalità di relazionarsi a una donna. H. Bonnaud ci fa capire i legami sottili che si annodano tra la bellezza e la parola. Non appena parla a una donna che ha trovato bella, «qualcosa cade, e lui si allontana». Aveva già conosciuto nell'infanzia la vacillazione dell'immagine quando la madre veniva ad abbracciarlo nel suo letto. Il viso della madre si trasformava in un viso di strega. Questo fenomeno succede con Maria. All'inizio l'ha trovata bella. Poi un'idea è sorta subito dopo: non è bella. Di colpo, deve rompere o no questa relazione che porta tuttavia una consolazione alla sua solitudine? Per troncare, sentirà, sicuramente, il parere del suo amico: lei non è bella. La fine di questa relazione lo getterà in una tristezza profonda. Infatti, l'analista ci mostra che la molla di questo caso è altrove. Victor si vede bello e sa

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di piacere. Trova nella propria bellezza un sostegno. Se incontrasse una bella donna, sarebbe il suo doppio minaccioso. Ora, dice l'analista, la bellez1.a è un S che colpisce il proprio corpo. Solo lui è bello, e dunque è solo. ' Essere solo è la conclusione che gli si impone. Questa soluzione, come sempre, troverà una eco in un altro, un altro importante: Marlon Brando. Marlon Brando ha avuto tantissime donne ma, come lui, non ne avrebbe amata che una sola: la madre. La posizione dell'analista, in un primo tempo, è consistita nell'aggiungersi al tripode delle relazioni che lo sorreggevano: la sua famiglia, il suo amico Ulisse e le donne. È qui che lei opererà come terzo. Questo terzo non è il terzo della legge sociale né il terzo edipico. Un analista precedente era andato in questa direzione e aveva spinto Victor a sporgere denuncia a seguito di un episodio sessuale durante un soggiorno in una colonia estiva. Il terzo opera così sulla relazione duale. In questo caso, invece, l'analista mantiene una certa impassibilità, non lo fissa negli occhi e lo ferma quando lui le si rivolge con la modalità di legame che aveva con sua madre. Analogamente, quando Victor gli riferisce che un medico, in risposta al suo malessere, gli aveva proposto dei farmaci e suggerito di lasciarla come analista, lei aveva risposto: «Non mi interessa». L'analista sostiene così l'enunciazione di Victor che vuole farcela attraverso la parola e non attraverso i farmaci. Il lavoro della cura ha dispiegato il tempo per scegliere. Egli lascerà il tripode iniziale che non faceva che perpetuare le impasse dell'immaginario. Riuscirà a nominare il nuovo modo di godere che si imponeva a lui: «lo sono un drogato della solitudine». L'analista sosterrà, contro l'incomprensione familiare, questa definizione che lo libera dalla sua posizione di ostaggio.

La discussione HÉLflNE BONNAUD - Ringrazio Jacques Ruff per questa bella sintesi del mio caso, non del caso del mio paziente. Potrei riprendere, come ha fatto lui, a partire dalla questione della fine, cioè quando Victor dice in seduta che è «un drogato della solitudine». Sono rimasta molto sorpresa da questa definizione che rompeva il ronzio

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abituale dei suoi lamenti. Qualcosa faceva irruzione, un nuovo modo di dire per lui. Ciò che questo significa, se lo vogliamo prendere da questo lato, è che ha provato ad allontanarsi dai suoi amici che sceglievano tutto al posto suo. Lui non ha mai voce in capitolo, cosa che finisce per esasperarlo, e allora si è ritirato: il sabato ha smesso di andare nei bar a ubriacarsi. È un ragazzo che ha vinto un concorso nella pubblica amministrazione e lavora in un municipio. Ha un livello professionale basso, mentre aspira a qualcosa d'altro. È intelligente, legge, si accultura un po', viene da una famiglia di professori. JACQUES-Al.AIN MIU,ER-

Dunque c'è un certo declassamento.

Ne soffre molto. Ma, nello stesso tempo, la riuscita in questo esame gli dà la possibilità di lavorare tranquillamente, senza essere troppo nell'indigenza. Non è un lavoro che lo sottopone alla necessità di un rendimento; eppure vorrebbe cambiare. È uno degli argomenti che affronta in seduta. Ha studiato cinema. Hll.Li:.NE BONNAUD -

Dalla parte dei genitori c'è una menzogna: la madre scopre che suo marito l'ha tradita quando era incinta. Che cosa particolarizza il suo rapporto ali' Altro e alla verità? CATHERINE LACAZE-PAULE -

Egli si regola unicamente sulla parola dell'altro con cui parla. Non ha una parola propria, si appropria di ciò che l'altro pensa. Pensa che il pensiero dell'altro sia la verità, non la verità del soggetto, ma la verità di quando si parla delle cose e degli altri. Per esempio, pensa che l'amico Ulisse sappia quello che lui pensa e che sappia chi è lui. Si dà il caso che Ulisse faccia un lavoro analitico, che presumo preso nella logica significante, e cerchi di analizzare il suo amico. È evidentemente un elemento perturbatore, poiché cerca sempre di mettere senso nella vita dell'amico; non smette, in particolare, di interpretargli perché non trovi una donna. Le interpretazioni variano: può essere, per esempio, che non trovi una donna perché è troppo attaccato alla madre, e che deve quindi staccarsi. Victor cerca di attenersi alla versione che l'altro dà di lui. Infatti, è parlato dall'Altro, anche se io dico che non lo è. Hll.Li:.NE BONNAUD -

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JACQUES-ALAIN MILLER - Il suo stato è molto migliorato, secondo quello che Lei dice, nel corso dell'esperienza. Sta molto male quando arriva, è molto interpretativo. Poi, poco a poco, in modo progressivo il panorama cambia. Le sue manifestazioni si calmano, è più regolare e anche quando sperimenta il ritorno del fratello nella famiglia, non crolla tutto; si riprende. Questo lo mette alla prova, ma senza ripiombarlo nello stato iniziale. Come ottiene ciò? Senza interpretazioni. Lei sottolinea: «Ho dovuto fare attenzione a essere il più impassibile possibile, a non fissarlo. E qualche volta, ho dovuto formarlo nei suoi deliri». In altre parole, Lei ha fatto tutto il possibile per non dare peso alle sue interpretazioni, cosa che L'ha obbligata a pietrificarsi, a non esprimere emozioni. Ma, quando lo ha ritenuto necessario, ha preso una posizione autoritaria in merito ai suoi sviluppi, e il paziente ha, in fondo, riavvolto i suoi deliri. La Sua modalità di azione è, in fondo, questa? O bisogna aggiungere altri punti?

Sì, altri punti si aggiungono. Ho bisogno costantemente di regolare le cose che porta. Ho sempre l'impressione di essere una specie di regolo. Dal momento che è un soggetto molto emotivo, ogni evento assume un'ampia portata. Ho quindi sempre bisogno d'introdurre una misura, minimizzare gli effetti, modulare, soprattutto per quanto riguarda le donne, con piccole frasi come: «Si può essere soli ma domani si può essere con qualcuno». HÉLllNE BONNAUD -

J ACQUES RUFF - Potrebbe tornare sul canto? Lei mostra a qual punto, quando gli si parla, ci sia l'effetto della voce e, alla fine, bruscamente, c'è quel canto che ascolta alla televisione, un canto che non ha lo stesso statuto, che lo calma. Lei dice che c'è un corpo che è lì, tranquillo. Come è emerso questo rapporto con il canto? HÉLllNE BONNAUD - Non ne ha detto niente, se non che ritrovarsi ogni sabato con un altro appuntamento - appuntamento che consiste nell'ascoltare dei cantanti - gli permette di sopportare la solitudine. In ogni caso non va più in giro. Quando l'ho conosciuto, ogni volta che era solo, era talmente angosciato che vagava per Parigi, andava nei bar, eccetera. Ha trovato, ascoltando questo programma, qualche cosa che gli fa bene, che lo calma. Ne prova delle vive emozioni, ma

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non ha articolato la voce come un elemento particolare. Gli va bene così, gli piace. SONIA CHIRIACO -

Sarebbe l'immagine a essere prevalente in lui.

È sempre con un doppio di sé stesso, è al limite di Narciso. Grazie all'analisi, è riuscito a sopportare una solitudine per non essere più

la marionetta dcli'Altro - cosa che per lui equivale a essere nella permeabilità assoluta alla parola dell'Altro. Poiché è grazie all'analisi che può fare questa regolazione, possiamo allora pensare che starà in analisi per sempre. JACQUES-ALAIN MILLER- Tuttavia, l'analista è qualcuno

che lo ferma nei suoi deliri. Così, si legge nel testo: «Qualche volta, ho dovuto fermarlo nei suoi deliri. Ripeteva lì ciò che viveva con sua madre, quell'aspirazione, quel godimento di essere attraversato dall'immagine o dalla voce dell'altro». L'analista prende dunque posizione e, in questo caso, manifesta un'autorità. Significa praticare una forma di psicoterapia autoritaria, sulla base, bisogna chiamarla con il suo nome, di una ispirazione analitica: un analista somministra questo trattamento; la psicoanalisi non è il culto dell'associazione libera. Si incontra, nel caso specifico, una tesi opposta - quella di parlare a vanvera, alzare la posta e annotare tutto, perché sarebbe essenziale per il trattamento. Questa concezione si è sviluppata in alcuni Paesinon credo che sia così in Francia -, dove alcune scuole lacaniane pensano che sia terapeutico fare così, che venga fuori tutto, che occorra addirittura accelerare il processo e annotare tutto, perché sotto sotto c'è un segreto. Qui è il contrario, per la Scuola francese del Campo freudiano, non si lascia delirare- bisogna sapere quale parte lasciare. Sono due posizioni distinte, non bisogna confonderle. All'inizio, egli voleva sapere tutto: come facevo con gli altri pazienti, come sopportavo questo e quello. Era intrusivo, interpretava tutto. Per esempio, se non lo guardavo, o se un altro lo guardava... HllLilNE BONNAUD -

Ecco! La posizione che Lei prende di fronte all'atteggiamento interpretativo del paziente psicotico segue quell'orientamento generale che non esclude il caso per caso: non lo JACQUES-ALAIN MILLER -

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si lascia interpretare a tutto spiano ma lo si ferma dirigendo le parole nel senso di una banalizzazione. Si tratta di introdurre un dubbio e di avvolgere come nell'ovatta ciò che si manifesta di più intenso. Si presume che la cosa vada scemando. Ascoltare senza dire una parola vuol dire autorizzare e incoraggiare il delirio. Bisogna invece che colui al quale ci si rivolge segni un limite. Si tratta di un orientamento generale. Successivamente è necessario considerare più precisamente di che cosa si tratta. Una certa quantità di delirio deve essere necessariamente preservata, perché si tratta di un tentativo di guarigione e perché il soggetto ha bisogno di un certo perimetro di delirio. Si tratta di considerare la cosa caso per caso. Ma, in maniera generale, il nostro orientamento è di non lasciare che l'associazione libera del delirio si svolga senza intervenire. È proprio quello che è successo durante i quindici giorni di vacanze natalizie. Ritornato il fratello, Victor cominciò a stare molto male. Il medico di base era assente; aveva allora consultato un altro medico, per ben due volte. Il medico gli ha chiesto che cosa gli stava succedendo, perché i trattamenti non avevano fatto effetto e hanno discusso dell'analisi che faceva con mc. Il medico gli ha detto: «Deve cambiare analista, io conosco qualcuno». Gli ha dato l'indirizzo di una psicologa - forse perché è meglio di una psicoanalista! Victor era completamente angosciato, convinto che doveva smettere e che io gli avrei confermato che l'analisi con mc era terminata. Ne era convinto. Sono intervenuta in modo autoritario dicendogli che tutto questo non mi interessava, ma che volevo sapere invece che cosa era successo durante i quindici giorni in cui era stato male. Ha potuto allora raccontarmi che si era confrontato con il padre e il fratello e di essere stato particolarmente angosciato da quest'ultimo. Hl\L!;NE BONNAUD -

Mi interrogo a proposito di ciò che dice H. Bonnaud di quest'uomo, ovvero che deve essere sotto lo sguardo dell'altro, sospeso alla sua immagine e alla sua parola, altrimenti il proprio corpo scompare. Io mi pongo dunque la questione del fantasma, questione che si può senz'altro porre per uno psicotico, come faceva Lacan a proposito di Schrcbcr. Non è il soggetto che sparisce quando si aggrappa all'oggetto del suo fantasma -che, in questo caso, avrebbe potuto essere lo sguardo -, ma è il proprio corpo. Inoltre, c'è il LILIA MAHJOUB -

L'OSTACCIO

rapporto con le donne con le quali interrompe le relazioni quando gli viene l'idea che non sono belle. Del resto, è lui la bella! Ecco qualcuno che avrebbe potuto prendere la strada dell'omosessualità, ma le cose si sono organizzate differentemente. La traccia che si ritrova è che, in fin dei conti, le donne non sono belle, almeno quelle che ha avuto o che può avere. A loro manca qualcosa che fa sì che esse non siano belle. JACQUES-ALAIN MILLER-

m1ttNE BONNAUD - A loro manca la bellezza. La bellezza è lui che cc l'ha, altrimenti non ha niente. La questione del fantasma, la riprenderò a partire dall'umiliazione: egli è un soggetto umiliato, dal lato dell'oggetto scarto, dell'oggetto che si rifiuta. È la sua posizione fondamentale: essere un soggetto alienato e sottomesso all'altro. È questo di cui parla in continuazione, e questo lo distrugge, lo smonta, non sopporta più di essere così e, di tanto in tanto, vorrebbe che questo cambiasse, ma la sua posizione è quella.

Con l'espressione «drogato di solitudine» di cui Lei ha detto che era il modo di nominare il suo sintomo, si aggiunge il piacere nella solitudine. Si può essere felici, si può godere e soddisfarsi della solitudine. JACQUES-ALAIN MILLER -

Tutte le elaborazioni fatte alla fine dell'intervento utilizzano il vocabolo della dipcndeni'.a. Che prenda questa posizione, non di stare bene nella solitudine ma di dirsi «drogato della solitudine», implica, mi sembra, una posizione di godimento che può avere più consistenza di un'altra circa gli effetti utili per lui. JEAN-PIERRE KLOTZ -

Hl:tttNE BONNAUD - Sì, inoltre nel corso delle sedute successive, a seguito di questa parola, si è sentito alleggerito. Non era più parassitato dallo sguardo degli altri nella metropolitana - non sa mai se gli altri lo guardino con cattiveria, se deve guardarli con cattiveria ... Ha detto: «Sono venuto alla mia seduta, ero a mio agio nelle mie scarpe da ginnastica, non ero più lo stesso, sapevo dove andavo, sapevo dove ero». JACQUES-ALAIN MILLER - Si tratta di un effetto propriamente analitico. È tutt'altra cosa di dire «Non parli di questo ... », è un'in-

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venzione, un ben-dire da parte sua che ha degli effetti di mutazione soggettiva. È buffo che sia nell'ultimo caso, un caso di psicosi, che si presenti un esempio di mutazione soggettiva. Con Victor, Victor l'umiliato, noi abbiamo la sensazione di assistere a una mutazione soggettiva a partire da un enunciato. UNA DOMANDA DALLA SALA -

Cosa intende Lei per mutazione sog-

gettiva?

È un termine classico di James Strachey: una parola è detta e, di conseguenza, dopo non è più la stessa cosa. JACQUES-ALAIN MILLER -

Il soggetto è trasformato, cambiato. È abbastanza istantaneo, c'è un prima e c'è un dopo. Lacan ha ripreso questa descrizione, ha utilizzato il termine prima di farne l'effetto soggetto. Vorrei sapere se il significante «ostaggio» proveniva dal paziente e se era presente nel transfert. UNA DOMANDA DALLA SALA -

H!,LilNE BONNAUD - Non è un significante del paziente e non gliel'ho proposto. Per la scrittura delcaso, ho cercato un significante. Ce ne erano molti. Ho scelto questo significante per esprimere l'idea che lui è prigioniero degli altri, ne è l'ostaggio: è un'immagine, una metafora. Nessuno, nemmeno l'analista può liberarlo da questo rapporto duale. Il termine si adatta all'alienazione nella quale si trova e di cui soffre. Ne fa la sua questione. L'ostaggio è colui che è ancorato alla decisione di un altro, ne è prigioniero. Non conosce il suo futuro, sa di essere condannato fino a creparne. JACQUES-ALAIN MILLER- È

l'ostaggio eterno!

Volevo rilevare l'opposizione tra la scena traumatica - quando suo padre in spiaggia gli mette dei sassolini nel costume: tu non hai le palle, io ti :,.avorro - e l'angelo che è portato dalla madre. Quella angelica è una delle soluzioni, nella misura in cui non si conosce il sesso degli angeli? ROSE-PAULE VINCIGUERRA -

In ogni caso, non è quella che lui cerca. Vuole comunque avere una donna. Anche se cerca di costruire qualcosa HllL!lNE BONNAUD -

L'OSTAGGIO

attorno a «essere solo», ha nonostante tutto l'idea che forse un giorno ... Non ci crede, ma ha bisogno di sognarlo. Il ruolo dello sguardo mi è sembrato interessante: quando Lei dice che perde la sua consistenza, quando si dice invisibile, è come se lo sguardo, da un lato, gli desse una consistenza corporea e, dall'altro, il posto di oggetto offeso e deriso sotto lo sguardo del padre. PASCALE FARI -

H11Ll:NE BONNAUD -

È vero. Egli si sostiene con l'immagine, con

la propria e con quella che gli altri gli rinviano. Ha bisogno di avere dei legami. Del resto, non ho mai toccato la relazione che aveva con il suo amico. È una delle poche relazioni che ha. Il termine di soggetto moderno è stato impiegato a più riprese nel corso di questo colloquio. Potrebbe chiarire questa nozione che per mc rimane un po' oscura? UNA DOMANDA DAI.I.A SALA -

Propongo di abbandonare il termine di «soggetto moderno». Possiamo sicuramente trovare qualcosa per qualificare i soggetti che non son nati nell'ordine simbolico patriarcale. Alcuni soggetti danno in effetti la sensazione di essere molto più distanti da quest'ordine, sono più sensibili alla dimensione di sembiante dei significanti-padroni rispetto alla generazione precedente per la quale l'ordine patriarcale stava meglio in piedi. Sono molto più propensi all'idea che il Nome-del-Padre sia un sintomo - per loro, va da sé che sia così. Come chiamarli? «Moderno» non è certamente adatto! I tempi moderni sono cominciati da tanto tempo. lpcrmodcrni, postmoderni? C'è sicuramente qualcos'altro che possiamo dire ... D'altra parte, «moderno» non significa che non ci si capisce niente, che tutto è destrutturato. Nei casi come quelli che abbiamo esaminato, non domina l'incertezza generalizzata, ma, al contrario, abbiamo constatato come tutto fosse strutturato potentemente - l'utili:t.zo di questo termine mette piuttosto in cvidcn;,.a ciò che dipende dalle strutture fondamentali, anche se si tratta di versioni edipiche rinnovate. Nella letteratura analitica, non esistono termini equivalenti, quindi ammettiamo la loro attualità, il loro carattere contemporaneo. JACQUES-ALAIN MILLER -

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Non so da dove spunti il termine di soggetto moderno. La mia preferenza sarebbe di non utilizzarlo e che si riprenda la questione per cercare di individuare di che cosa si tratta. Aveva invece senso quando avevamo introdotto il sintagma «nuovi sintomi». (Traduzione di Pierangela Pari)

Neo-naso Gil Caroz

Marie ha atteso a lungo che Fred le facesse la proposta di matrimonio•. Stava con lui già da tre anni. Ora, dalla sera in cui lui le chiede di sposarla, lei inizia a sentire la respirazione di Fred e a esserne ossessionata. Specialmente quando lui dorme. Fred non russa davvero, ma, dato che Marie glielo chiede, farà un intervento chirurgico per non russare più, cosa che non cambierà nulla. La notte, sdraiata nel loro letto, lo sente respirare, e la cosa le è insopportabile: non dorme. Spesso, al cinema, si focalizza sulla sua respirazione e perde interesse per il film. È particolarmente irritata quando lui respira con la bocca e passa la lingua sulle labbra secche per inumidirle. La vita di coppia si scombina. Marie lo lascia, torna nel suo appartamento, ma poi è invasa dalla tristezza. Si rende conto dell'amore che prova per lui. Torna a cercarlo e così di seguito. Fred è sull'orlo della disperazione, prende in considerazione di mollare tutto. Marie è sempre più infelice. Alla fine prende degli antidepressivi. Un anno dopo la proposta di matrimonio, viene a consultarmi per la prima volta. Ha trent'anni. Marie dichiara dalla prima seduta che non vuole fare un'analisi, ma, a partire da qui, una «massa sempre fluttuante delle significazioni» 2 si dispiega. Di seduta in seduta, di sogno in sogno, cerca di produrre la significazione di quello che le succede. Questo, fino a quando quattro anni dopo, nel quadro dell'analisi, farà la scoperta di un marchio sul corpo che avrà la funzione di quel significante attorno al quale «tutto s'irradia e si organiz1.a, allo stesso modo delle piccole linee di forza formate sulla superficie di una trama da un punto di capitone»J. Tuttavia, questo raggruppamento di significazioni attorno a un punto che 'Il titolo gioca sull'omofonia tra nouveau-nez, nco-naso,c nouveau-né, neo-nato. l.acan, Il Seminario, libro lii. I.e psicos4 Einaudi, Torino 2.010, p. 305.

•J.

1 lbid.

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condensa significante e godimento non la pacificherà immediatamente. Ci vorrà ancora del tempo perché possa assumerlo.

Mamma e papà Marie è la ter;,,a figlia di una famiglia originaria di un paese del Sud. La madre non si è mai decisa a vivere con il padre. Non la finiva mai con i suoi va e vieni, lasciandolo e tornando poi di nuovo. Alla nascita di Ma rie, i nonni materni, soprattutto la nonna, sono contrari alla venuta al mondo di questa neonata. La madre precipita allora in una profonda depressione. Finisce per fare un tentativo di suicidio, ingerendo una grande quantità di medicinali. In base alla storia familiare, è Marie, bambina prodigio, a mostrare al padre le scatole dei medicinali dentro la spazzatura, cosa che gli permette di salvare la madre. Ma il padre si decide allora per una separazione definitiva. Marie ha due anni. Dopo il divorzio e in base a un accordo di custodia condiviso tra i genitori, Marie e le sue sorelle iniziano dei va e vieni regolari tra l'appartamento del padre e quello della madre. Molto presto, la madre si rifà una vita con un altro uomo. Marie, la porta della cui camera è di fronte a quella della coppia, la notte sente i sospiri che provengono dai giochi sessuali della madre con il patrigno. Non sopporta questo rumore e nasconde la testa sotto il cuscino. Il padre, invece, continua a vivere da solo per diverso tempo. Abita in un piccolo appartamento. Quando Marie e le sue sorelle vi alloggiano, dormono con lui nella stessa camera. Marie si ricorda che il russare del padre le impediva di dormire. Le relazioni di Marie con sua madre sono conflittuali, senza essere dell'ordine della devastazione. Rimprovera alla madre di considerarla sempre come «piccola», «bambina», sbarrandole così l'accesso a «essere donna». Questo non impedisce che la madre sia per Marie un punto d'appoggio importante e una confidente. Il padre muore quando Marie ha ventiquattro anni. Lei stava andando a convivere con Christian, il suo compagno del momento. Il padre era andato a trovarli nel loro nuovo appartamento. Si era congratulato con loro. Due giorni dopo avrà una crisi cardiaca e morirà in ospedale. Marie aveva adorato il padre e lo adora ancora. A poste-

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riori, si dice colpevole della sua morte. Pensa che la sua convivenza con Christian sia stata vissuta dal padre come un segno d'infedeltà da parte sua. La sua relazione con Christian si è quindi deteriorata e si sono lasciati qualche mese dopo.

Abuso? Molto rapidamente, Maric rivela le sfumature dell'amore per il padre raccontando un sogno: sua madre muore. Suo padre trasloca. Invita Ma rie a visitare il suo nuovo appartamento. Lei è sola con lui. L'atmosfera è incestuosa. In seguito a questo primo sogno, ne seguono altri in cui la relazione con il padre è investita di tematiche sessuali più o meno crude. Maric si pone la questione di sapere se suo padre abbia abusato di lei. Non appena la questione viene posta, lei risponde in modo negativo. Non è possibile. Un uomo così tenero, adorabile, intelligente, istruito non avrebbe mai fatto una cosa simile. Tuttavia, la questione non si richiude e l'accompagnerà a lungo nella cura. Essa risuona con un'altra questione. Maric aveva quindici anni quando, durante una serata, perde la verginità. Aveva bevuto troppo, cd era successo. Venendo da un ambiente religioso, l'indomani provava una vergogna esagerata. Non la finiva di dirsi: «Non sono più vergine, non sono più vergine». L'odio e il disprezzo per l'uomo con cui era successo sono degni dell'ostilità di una donna verso l'uomo che l'ha deflorata, come scrive Freud in Tabù della verginità•. Cosa che non le impedisce di porsi la questione della propria implicazione in questo evento, così come quella del desiderio per il padre. Avendo evidenziato questo punto, la relazione di Maric con Frcd si stabilizza a minima. Ma l'idea di un eventuale abuso che avrebbe subito da parte del padre non la molla. La disturba fortemente. «Il mio povero padre», dice, «se sapesse che penso questo, si rivolterebbe mille volte nella tomba». Sprofonda in momenti d'angoscia molto forti che si alternano con momenti di profonda tristezza. Rimprovera all'analisi di aver messo la questione sul tavolo. Tuttavia, vuole sapere. «Tutto questo, ma che cosa vuol dire?».

• S. Freud, •li tabù della verginità». Contributi alla psicologia della vita amorosa, in Id., Opere, voi. 6, Bollati Boringhicri, Torino 1989, p. 441.

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Una marcia in più

Sci mesi dopo l'inizio dell'analisi, sogna che sta facendo le valigie per un soggiorno Erasmus in un paese anglofono. È angosciata, si domanda come farà dato che non conosce l'inglese. La rassicurano dicendole che ci sarà una donna ebrea che le permetterà di comunicare. Svegliandosi si dice che la donna ebrea è il suo psicologo, e che la partenza per un paese straniero rinvia alla volontà e alla difficoltà di stare con Fred. Le dico che è il momento di passare a una marcia superiore, che può fare una vera analisi, e le propongo di venire due volte alla settimana. Ribatte che, come mi aveva dichiarato all'inizio, non vuole passare la vita a fare una psicoanalisi. «Non Le chiedo di sposarmi», le dico. Ride. Da quel momento in poi verrà due volte la settimana.

Un morto troppo vivente

Il passaggio dell'analisi a una marcia superiore apre un baratro. Là dove, fino a quel momento, la questione sembrava essere di ordine edipico, ecco che prende invece una piega inattesa. Ciò che in partenza si era presentato come una questione intorno a un fantasma di seduzione del padre, ha preso progressivamente una tinta reale. I sogni sono diventati sempre più crudi. Così, in un sogno, suo padre le mette una mano sulla testa e una mano sul sesso. Il sogno la rinvia a due ricordi. Quando era piccola, il padre si divertiva con le figlie a far loro una «coccola» introducendo un dito nel loro orecchio. Questo le faceva ridere, ma oggi ha l'impressione che ci fosse una connotazione sessuale. Un secondo ricordo risale alla vigilia del giorno della morte del padre. Era ali'ospedale in terapia intensiva, attaccato al respiratore artificiale. C'era un movimento continuo di infermieri nella stanza, ma in un momento di tregua in cui si era ritrovata da sola con lui, aveva preso la mano del padre, l'aveva messa sulla propria testa e aveva introdotto il dito nel proprio orecchio. La notte seguente fece un altro sogno: va a trovare il padre all'ospedale. Lui sta leccandosi il sesso. Le dice: «Vedi, sono diventato un animale». In effetti, il padre è diventato un animale, per Marie: nel senso di vivente. «Non riesco a seppellirlo», dice. Non succede solo nei

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sogni, ma anche durante la giornata e nelle sedute. L'angoscia si è trasformata in fenomeno di corpo con una pronunciata tinta sessuale. Quando pensa al padre, quando ne parla, percepisce sul momento una «sensazione fisica al proprio sesso», un'eccitazione nel corpo che dice essere «sessuale». Questi momenti d'orrore - per lei molto angoscianti - finiscono di colpo, ma allora sente una profonda tristezza, poco più sopportabile dell'angoscia. Questo padre troppo vivo è presente anche durante le relazioni sessuali con Fred. Il momento di intimità si conclude allora in lacrime.

Veleno Progressivamente, le «sensazioni sessuali» legate al padre convergono verso l'analisi. Sogna di sposarsi con Fred e, in attesa della cerimonia, deve andare alla toilette. Apre una porta, è tutto sporco. Ci sono degli escrementi. Apre una seconda porta, anche lì è tutto sporco. Non entra. Sottolinea che tutto ciò si svolge con il suo vestito da sposa. Il sogno la fa ridere. «Gli escrementi», dice, «sono la psicoanalisi laddove la mia vita è avvelenata». Dice che l'analisi è un veleno che lei consuma due volte alla settimana, ma che, improvvisamente, i momenti d'angoscia fuori dall'analisi si riducono sempre di più. La relazione con Fred si stabilizza maggiormente. Marie si decide ad andare a convivere con lui. Decidono di cercare un appartamento. Marie non smette di fare dei sogni d'angoscia in cui fa le valigie per traslocare o per andare altrove, all'estero. A ogni casa che visita è molto angosciata. In effetti, la decisione di andare a vivere con Fred va di pari passo con momenti di ansia acuta, organiz1.ata intorno alla frase «comprare un appartamento» che viene al posto del significante «matrimonio». Vista la crescita esponenziale dell'angoscia, alla fine intervengo dicendole: «Occorre ridurre questo appartamento a quello che è: delle pietre». Poco tempo dopo, il contratto d'acquisto è firmato. Fred le rivolge allora una nuova domanda: vorrebbe avere un bambino con lei. Dopo il «matrimonio» e la «casa», è il significante «neonato» che si carica della significazione del malessere di Marie: un impegno di fronte al quale indietreggia. Accennando alle questioni finanziarie legate al pagamento dell'appartamento, il cui acquisto è in corso, parla del suo rifiuto di prende-

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re una decisione. «Non voglio rimpiazzare mio padre», dice, «vorrei che ci fosse lui e che prendesse la decisione al posto mio». Sottolineo la frase: «Non voglio rimpiaz;r.are mio padre». L'equivoco che contiene provoca in Marie una tale angoscia che mi obbliga a chiudere la seduta per fermarla. Durante la seduta seguente, insiste per spiegarmi il senso dell'equivoco. In primo luogo, «rimpiazzare suo padre» spiega perché ha paura di avere un bambino. Teme di avere dei sentimenti incestuosi verso i suoi bambini, allo stesso modo di quelli che ha rispetto al padre. In secondo luogo, non è più la respirazione di Fred che le impedisce di dormire, ma il pericolo che durante la notte lui sia rimpiaz;r.ato dal padre, ovvero che abbia di colpo l'impressione che sia il padre a dormire al suo fianco.

Punto di capitone Siamo quattro anni dopo l'inizio della cura. La domanda di Fred di farle un bambino, seguita dalla formula «rimpiazzare mio padre», con questa nuova lettura delle cause d'insonnia, è un momento di svolta cruciale. A partire da qui, Marie testimonierà di una nuova focalizzazione del pensiero. È ossessionata dal proprio naso. Ha l'idea che sia rosso come quando uno beve o come quando fa freddo. Parla di «questo peperone, questa cosa schifosa che ho in mezzo alla faccia». Dice: «Sto scompensando, è insopportabile», torna a prendere degli antidepressivi. Allo stesso tempo, sottolinea qualcosa di bizzarro: riesce a dormire delle notti intere con Fred. Dice: «Se è questo l'effetto del naso rosso, allora sottoscrivo». Trova un dermatologo che conferma l'esistenza di un certo rossore al naso e le dice: «Occorre curarlo, altrimenti gli effetti saranno irreversibili». Riprende questa formula dicendo: «Da quando il mio naso è d iventato rosso, niente sarà più come prima». Tutto ciò che la rende triste o angosciata è marcato da questa formula: la perdita della sua verginità, il matrimonio, l'acquisto di un appartamento, la nascita di un bambino. Tutto ciò è irreversibile. Ma il naso non condensa solo questa massa fluttuante di significazioni. Assorbe anche il godimento che alloggiava fino allora sotto il significante «padre». «Mi preoccupo di questo naso», dice, «come prima pensavo a mio

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padre. Rimpiazza mio padre». O ancora: «Il naso è il sesso, è il sesso di mio padre». Di colpo, non sente più il ritorno nel corpo delle «sensazioni sessuali» riferite al padre. Comunque, se al momento non soffre più d'insonnia, il naso continua a tormentarla. C'è lì una specie di vita indipendente. «Parlo del mio naso come se fosse un bambino che non sta fermo, come se avesse una vita propria, che gli appartiene». Questo punto di capitone è una produzione dell'analisi che organizza tutta la sua sofferenza. Tutto questo durerà per due anni, con dei momenti di crollo nel corso dei quali non si alza dal letto, non va a lavorare e piange tutto il giorno pensando al suo «peperone». Mette in discussione l'efficacia dell'analisi. È molto sensibile agli stati d'animo dell'analista e interpreta ogni suo tentativo di «calmare le acque» come delle manifestazioni d'angoscia dell'analista. Incontra un terapeuta cognitivo-comportamentale che le propone, per alcune sedute, di scrivere una lettera al suo naso e di chiedere a chi le sta intorno di scrivere un commento sul suo aspetto. Ma ritorna all'analisi. Si ottiene una certa pacificazione quando lo sguardo dell'analista si sposta altrove, quando s'interessa alle sue letture, o, per esempio, quando lui le parla del Nasos di Nikolaj Gogol'. Questo racconto la fa ridere. Lei non lo conosceva, anche se legge molto.

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Ma se il naso - come ciò che capitona questi significanti-carnefici - aspira la maggior parte del suo godimento, la sua vita quotidiana continua a essere occupata dalla domanda di Fred di farle un bambino. È angosciata sia dall'idea d i avere un bambino che da quella di non averne. Nei due casi, dice, le conseguenze sono irreversibili. Non è sicura di avere la «stabilità mentale» necessaria per occuparsi di un bambino, ma ha già trentacinque anni, e se aspetta troppo, questo progetto diventerà impossibile. Sua madre le fa l'interpretazione che io non ho osato fare, perché troppo evidente: «Quando tu avrai un neonato, le dice, non avrai più l'idea che il tuo naso è rosso». Anche se questa interpretazione s N. Gogol', Il naso, in Id., Ra,ronli di Pietroburgo, Adclphi, Milano

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la diverte, non ha alcun effetto sulle inquietudini di Marie. In questa occasione vengo a conoscenza del fatto che «neo-nato» è un significante che colpisce Fred da molto tempo. In effetti, la professione di quest'ultimo si svolge in un ambiente che riguarda i neonati e i problemi respiratori. Inoltre, vengo anche a conoscenza del fatto che l'insonnia di cui soffre da molto tempo e che attribuisce alla respirazione del suo uomo trova una base nel corpo di Fred. Fred è nato con una malformazione, il labbro leporino, taglio che arriva fino al naso. In un momento di tensione gli dice: «Tanto, se avessimo un bambino, nascerebbe con una fessura [il labbro leporino]». Marie trascorre intere sedute a parlare di questa inquietudine, quella di avere un bambino segnato anche lui dal labbro leporino, con una fessura sul viso. Fred ne è profondamente ferito. Lei lo sa, ma non può impedirsi di pensare che sia questa malformazione la causa del rifiuto di dargli un bambino. Marie ritorna sulla depressione post-partum e sul tentativo di suicidio della madre al momento della sua nascita. In una recente conversazione con lei, la madre le ha detto che in un primo momento era stata molto felice della sua nascita. La depressione era sopraggiunta quando la nonna materna di Marie aveva iniziato a tenere il broncio per questa nascita. Nella discendenza dal lato materno, c'erano state fino a quel momento solo figlie uniche, e la nonna si era sentita tradita e stranita dall'apparizione di una seconda bambina nella discendenza. È a questo punto che la madre era caduta in depressione e aveva tentato il suicidio. Marie ha paura di cadere anche lei nella depressione come sua madre, nel caso dovesse avere un figlio. «Non bisogna fare un figlio quando si è depressi», dice. Le faccio notare che lei non è come sua madre, visto che è in analisi.

Lutto incompleto Parallelamente, Marie è dell'idea che non riesce a impegnarsi fino in fondo nella relazione con Fred perché, malgrado tutto, suo padre è ancora presente nella sua mente. Non è morto «al cento per cento». Si rimprovera di non essere andata all'obitorio a vedere la salma dopo il decesso. Ne aveva avuto paura. Si dice che è per il fatto di non averlo visto morto che non riesce a fare il lutto. Un sogno arriva

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a precisarglielo: suo nonno è morto. Deve «passare dall'altra parte», ma egli non vuole. Lei insiste nei suoi riguardi: deve passare. Un traghettatore dovrebbe aiutarla, ma invece di fare il suo dovere, si mette dalla parte del nonno e collabora al suo rifiuto. «Sono tutti e due contro di mc», afferma. Commentando il sogno, dice che il nonno rappresenta suo padre che «non vuole passare dall'altra parte». Aggiunge che per lei il lutto è già stato in gran parte elaborato, ma sa che c'è un resto. Si domanda se sia possibile, se ci sia la possibilità, di «fare un lutto completo». D'altronde, dice di avere l'impressione che le sue «ossessioni» intorno al naso, ossessioni di cui continua a soffrire, la obblighino a fare un lutto del viso che aveva prima, ma anche un lutto dell'idea che un giorno potrà guarire completamente.

Resti Dopo essere arrivata a queste riduzioni, Maric ritorna sul significante dell'inizio della cura: il matrimonio. Per celebrare la fine degli studi di Frcd, lei ha organiz1.ato una grande festa a cui ha invitato amici e membri della famiglia. «Era una festa per Frcd», dice, «ma io avevo il mio posto. Noi eravamo là, Frcd cd io, come coppia. Volevo mostrare a tutti che io sto con lui e che lo amo. È stato come un mini-matrimonio». Malgrado il rossore del suo naso continui a tormentarla, a volte anche in modo molto intenso, prende in considerazione il fatto di fare un bambino con Fred. Dice: «Ad ogni modo, non metterò mai insieme tutte le condizioni ideali». Afferma di avere intorno a sé delle belle persone; ora sa che non è come sua madre, perché ha fatto «un lavoro su sé stessa». Considera che potrà far fronte alla nascita di un bambino. Decide di non prendere più la pillola. Resta incinta, ma deve provocare un'interruzione di gravidanza poiché il feto non cresce. Poco tempo dopo dice di volere interrompere l'analisi. Sa che la preoccupazione del naso l'accompagnerà per sempre. «Tutti hanno delle fragilità», dice, «questa è la mia». Sa che ci saranno delle ricadute, ma conta di farvi fronte senza l'analisi. Non pensa che la psicoanalisi possa garantire una guarigione assoluta. È decisa a fare un bambino con Frcd. Così, alla fine dell'anno, si congeda dall'analista. Questa decisione mi sembra irreversibile. Durante l'ultima seduta, è molto emozio-

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nata. Mi ringrazia intensamente. Mi porta due libri in regalo: Suite francese6, di cui mi aveva parlato durante la cura, e Le Liseur7, che è una delle sue ultime letture.

Il commento di Danièle Lacadée-Labro Ho scelto e privilegiato quattro punti nel caso presentato da Gil Caroz. Per questa giovane donna c'è l'arrivo improvviso di un insopportabile e il senso che cerca di darvi. C'è il baratro che si apre quando Gil Caroz propone due sedute la settimana e non più una. Allora dice che questo caso si presentava in un registro edipico con un fantasma di seduzione paterna. Ma, a partire da questa proposta, un godimento a sfondo sessuale invade il corpo di Marie. C'è un equivoco che Gil rileva: «Non voglio rimpiazzare mio padre». Se il commento che ne fa Marie alimenta nuovamente il senso e le idee incestuose, questo «rimpia:,.zare il padre» troverà tuttavia una via d'uscita grazie alla trovata di un marchio sul corpo che fa da punto di capitone, «condensando la massa dei significanti e il godimento». Il quarto punto sono i resti, ovvero il lutto di una guarigione completa. Ritorno al lamento iniziale: questa giovane donna riceve dal suo partner, Fred, una proposta di matrimonio. Si tratta di un atto simbolico. Immediatamente emerge un reale insopportabile. Sente i rumori che provengono dal corpo del partner, la sua respirazione, e ne è ossessionata. Questo corpo diventa troppo reale. Lei incontra Gil alla fine di un anno costellato di rotture e di ritorni da Fred. Marie cerca di dare senso a ciò che le succede. C'è qualche ricordo d'infanzia dove sono in gioco l'orecchio e ciò che vi penetra: i rumori dei giochi sessuali della madre, e quelli del russare del padre. Parla del padre - l'amore per quest'ultimo è molto presente. È morto quando lei aveva ventiquattro anni. Marie fa un sogno che si svolge in un'atmosfera incestuosa. Gil ci dice che ne seguono altri, «più o 6

1. Ncmirovsky, Suite francese, Adclphi, Mil3no 2.005. Schlink, Il lettore, Neri Por.1,3, Viccn1,3 2.018.

7 B.

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meno crudi». Marie si domanda se il padre non abbia abusato di lei, e quale sarebbe l'implicazione del suo desiderio in questo atto. Questi pensieri non la mollano: si angoscia, ma vuole sapere. È proprio allora che arriva il sogno a partire dal quale Gil le proporrà una seduta supplementare. È un sogno d'angoscia: fa le sue valigie per partire verso un paese straniero anglofono. Una donna ebrea le permetterebbe di comunicare. Marie riconosce l'analista in questo interprete e dice che il paese rappresenta la sua relazione con Fred. Senza dubbio è anche l'analisi stessa. Gil le propone una seconda seduta che all'inizio rifiuta. E lui interviene con humour: «Non le chiedo di sposarmi». Lei accetta. Ma allora si apre un baratro: i fantasmi di seduzione paterna prendono una tinta reale. I sogni sono più crudi. Viè associato un ricordo d'infanzia: il padre si divertiva a introdurre il dito nell'orecchio delle figlie. Si ha l'idea dell'incontro con un godimento rimasto fuori senso. In un altro sogno, il padre diventa un animale, un puro gaudente. E appaiono dei fenomeni di corpo sotto forma di sensazioni sessuali quando Marie parla del padre o pensa a lui. Marie sta molto male. A volte c'è un'invasione di godimento nel corpo, a volte una profonda tristezza quando il godimento si ritira. Poi il godimento si localizza nell'esperienza analitica sotto forma di escrementi apparsi in un sogno, che rappresentano il veleno che è l'analisi stessa. Allora i momenti di angoscia si riducono. La relazione con il partner si stabilizza. C'è un progetto di comprare casa da cui emerge una nuova angoscia, che Gil disinnesca dicendole: «Occorre ridurre questa casa a quello che è: delle pietre». Poi Fred esprime a Marie il suo desiderio di avere un bambino. Gil rileverà un equivoco nel discorso di Marie: «Non voglio rimpiazzare mio padre». Si sentirà obbligata a dare un senso a ciò. L'equivoco verte sul soggetto che potrebbe rimpiazzare il padre. Potrebbe essere lei, con i figli che teme di avere, perché potrebbe voler avere relazioni incestuose con loro. Potrebbe essere Fred, il partner. Non è più la sua respirazione che le impedisce di dormire, ma l'idea che lui sia rimpiaz;,.ato dal padre durante la notte. Si ricade qui nelle tematiche dell'incesto. Questo «rimpiazzare il padre» troverà una soluzione, non tramite il senso, ma quando la sua preoccupazione si sposterà dal padre al suo naso, il cui rossore la inquieta a tal punto da diventare insopportabile. È il naso che rimpiau.a il padre, non lei né il suo partner come aveva temuto nelle

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sue idee incestuose. Dice questa frase: «Se è questo l'effetto del naso rosso, allora sottoscrivo», rimarcando che ora riesce a dormire delle notti intere con Fred. È la firma sulla sua invenzione. Tutto diventa così irreversibile. Irreversibile è il significante comunicato dal dermatologo consultato per il naso rosso: il matrimonio, comprare casa, il fatto di avere o no un bambino. Gil sottolinea che il naso riduce questa massa di significazioni e condensa in lei anche il godimento precedentemente alloggiato sotto il significante «padre». I fenomeni di corpo a carattere sessuale sono scomparsi. Tutta la sua sofferenza si concentra attorno al suo naso per due anni, e sta molto male. Gil tampona la sua angoscia interessandosi alle sue letture, ma anche distogliendo lo sguardo. Il significante «naso» è sovradeterminato, poiché rinvia al partner, al labbro leporino che lui aveva alla nascita e rinvia anche alla sua professione. Marie accetta di avere un bambino; rimane incinta, ma la gravidanza non evolve. Marie sa che c'è un resto che sussiste dopo la perdita del padre. Sa che deve elaborare il lutto del viso che aveva prima, cosa che dà l'idea di una perdita consentita. Deve elaborare il lutto di una guarigione totale e lascia l'analista. Gil conclude dicendo che questa decisione gli sembra «irreversibile». Sottolineo che riprende il significante dato dal dermatologo. Quindi inizio ora con le domande. «Irreversibile»: Lei riprende questo termine perché pensa che Marie abbia trovato un capitonaggio e che vi si potrebbe appoggiare? Cosa può dire della soluzione che ha trovato? Come vede il passaggio tra il momento in cui tutto il senso era dal lato delle tematiche incestuose e l'apparizione contingente del naso rosso di cui farà uso? Il naso non è solo una parte del corpo che, con il rossore, attira lo sguardo: è anche un significante. Cosa può dire di questo e della problematica del bambino, del neonato? Infine, quale sintomo era presente prima del sorgere di questa ossessione - in senso lato- della respirazione? Che cosa sa della relazione che intratteneva con il suo partner?

La discussione

Comincerò dall'ultima domanda. L'analizzante raccontava che prima di questo partner, aveva spesso delle depressioni. GIL CAROZ -

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Non ha mai avuto delle relazioni molto tranquille con i suoi compagni. Nemmeno le due precedenti lo erano state. Comunque, è in quel momento che si scombina tutto. Ora, sulla domanda: «Perché il naso?». C'è uno slittamento significante. Oltre a quello che Lei ha già sottolineato come determinante in relazione al significante «naso», c'è anche il fatto che il bambino, il neo-nato, si trova nel suo discorso fin dall'inizio; lei dice che sua madre la trattava sempre come una bambina, che non le permetteva d i diventare donna. Tutto ciò fornisce un contesto che fa sì che scelga questo significante. Al di là di questi dati, non so cosa faccia sì che ciò si instauri in questo modo. Allora, vi si appoggia? È quello che dice, quando lascia l'analisi. Quel momento è un misto tra rimprovero rivolto all'analisi per non poter fare di più, e, allo stesso tempo, un ringraziamento commosso per il percorso che aveva potuto reali;,.7,are. Non so cosa sia successo dopo. Le conversazioni che avevate intorno alla letteratura hanno permesso di tamponare, di capitonare il suo rapporto con l'angoscia? OANJ!:;Lll LACADl111-LABRO -

GJL CAROZ - Dal momento in cui si è aperto il baratro, lei era molto angosciata, e anche io. Quindi, di tanto in tanto bisognava riposarsi, pacificare tutto ciò. Non nascondo, nel testo, che all'inizio avevo pensato di aver a che fare con una nevrosi. Era infatti sul divano e, da quel momento, l'ho rimessa faccia a faccia. Parlavo con lei, ma più le parlavo, più era angosciata. Aveva l'idea che se cercavo di calmarla, era perché inguaribile, folle. Questi tentativi per calmarla non facevano altro che peggiorare l'angoscia. Al contrario, quando mi parlava delle sue letture e quando io le ho parlato del Naso di Gogol' - più avanti-, sono stati dei momenti di pacificazione, un effetto di pausa nell'analisi. Inizialmente, quando mi parlava dei suoi libri, era sul tema della donna ebrea. Un giorno, in seduta, avevo risposto al telefono in ebraico e mi aveva chiesto di quale lingua si trattasse. Dopo, ha fatto il sogno con la donna ebrea. In seguito, mi parla dei libri che hanno a che fare con Auschwitz. È anche il tema dei due libri che mi porta alla fine della cura. La donna ebrea è l'analista. Ma Marie parla attraverso i sogni e, d i sogno in sogno, va avanti. Porta un altro sogno nel quale incontrerà il padre. Mentre si masturba, di

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colpo lui diventa l'analista. E, dal momento che diventa l'analista, lei parla con lui e gli fa questa domanda: «Mio padre ha abusato di me oppure no?». C'è stato dunque uno spostamento nel transfert dalla donna ebrea al padre. A partire da quel momento, la partita con il padre si gioca nell'analisi stessa. È in questo contesto che mi rendo conto del fatto che dopo l'interpretazione, l'intervento che l'ha fatta ridere, lei ritorna diverse volte su questo punto: «Lei mi ha detto che non era una proposta di matrimonio». La non-proposta di matrimonio è in qualche modo un invito all'annodamento analitico. Marie risponde «sì» e, a modo suo, di sogno in sogno, tenta di sfuggirvi. È più facile sottrarsi a una non-proposta di matrimonio che all'annodamento nell'analisi, perché qui occorre che lei vi si appoggi. Sulla questione della respirazione, si stabilisce una connotazione molto sessuale ogni volta che lei si trova confrontata ai sospiri della madre con il suo compagno. Successivamente, questo si ritrova anche con il padre, quando dormono nella stessa camera e infine quando incontra Fred. Nell'annodamento transfcrale, accade spesso che gli analizzanti parlino del respiro degli analisti. Con Lei l'ha fatto? È Lei che le permette dei respiri! GUY BRIOLE-

Sì, è così. È perché ho pensato che tutto si annodi intorno al sessuale che ho enumerato questa serie di respiri. GIL CAROZ -

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In quale momento Lei ha pensato che

Marie non fosse nevrotica? Gli. CAROZ - Ho cominciato a pormi la questione nel momento in cui si è aperto il baratro. Si è aperto il baratro e lei ha cominciato ad avere un ritorno nel corpo dell'eccitazione sessuale. Con l'apparizione del discorso relativo al naso, ne sono di vantato sicuro. Era chiaro, c'è una follia lì, comunque parziale. LAURA SOKOLOWSKY - Non ho potuto non pensare a un celebre caso di cui parla Freud: quello dell'Uomo dei lupi 8 che, nella sua se1

S. Freud, Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinicodell"uomo dei lupi), in Id.,

Opere, voi. 7, Bollati Boringhicri, Torino 1989, pp. 487-593.

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conda analisi con Ruth Mack Brunswick, passa il tempo a guardarsi in uno specchietto e ha l'idea di un buco sul naso - questo lo spinge a consultare numerosi dcrmatologi9. È un equivalente di un'automutilazione. Mi sono allora domandata: si può pensare a un'ipocondria delirante? Non l'ho pensato. Nei primi tempi, ho condotto quest'analisi con l'idea che si trattasse di un amore per il padre, di una relazione di devastazione con la madre; un fantasma di seduzione dal lato paterno, un'identificazione con la madre depressa, una madre che andava e veniva nella relazione di coppia. Quando ho cominciato a dubitare, quando si è aperto il baratro, quello che ho scoperto è che occorreva continuare a pensare queste cose, a parlare in termini edipici. Se io cambiavo, lei stava male. Allora, mi sono messo di nuovo a parlare dell'identificazione con la madre: «Questo, è come con sua madre». Mi ha detto: «Quando mi parla così, io sto molto meglio». È quello che mi ha interessato nel caso presentato da Guy Briolc• 0 • Egli ha mantenuto gli scambi nel registro edipico - cosa che è differente dall'intcrprcta:lione edipica. Il che ha permesso un certo rivestimento alla psicosi, un rivestimento che ha consentito al soggetto di mantenere la rotta. GIL CAROZ -

Leggendo le prime righe del testo, mi sono chiesta se fosse un soggetto nevrotico oppure no. Ma la questione rimane quella di sapere perché tutto questo emerga al momento della proposta di matrimonio, anche se lei l'aspettava da tempo. Per quale motivo questo incontro la coglie in fallo? DANitLE LACADfE-LABRO -

È un difetto simbolico. Tutta la questione - si presenta proprio così per lei - è di sapere: «Mio padre ha abusato di mc oppure no?». Può essere sì o no. Questo si pone allo stesso modo rispetto alla perdita della verginità con quel ragazzo all'età di qu inGIL CAROZ -

'M. Gardincr, L'uomo dei lupi: la storia della propria vita e de/l'analisi con Sigmund Freud na"ata dall'Uomo dei lupi, edita ed annotata da Muriel Cardiner, con il caso dell'uomo dei lupi (Dalla storia di una nevrosi infantile) di S. Freud ed il supplemento d'analisi di Ruth Mack Brunswick, Newton Compton, Roma 1979. 0 ' G. Briolc, Lejugement premier, Brochure du Colloquc UFORCA «l..c Point dc capiton», Paris, juin 2.016, pp. 2.6-'33.

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dici anni. Con il matrimonio, si produce uno slittamento dall'atto simbolico al reale sessuale. C'è un passaggio diretto. I.AURE NAVfu\U - Pensa che al momento della proposta di matrimonio si cristallizzi, si incorpori quello che poi le è tornato come insopportabile della respirazione del padre e dei sospiri della madre nei giochi sessuali con il patrigno? Retroattivamente, può ricostruirlo, ma nel momento della proposta di matrimonio con il compagno che russava e già la infastidiva, ritroverà quello che aveva abbandonato, ovvero quello che era stato traumatico nell'infanzia sul versante padre e madre. Questo si focalizza sul russare del compagno che le diventa insopportabile. Ritrova il godimento escluso. Retroattivamente, è il naso che rappresenta tutto questo, il naso rosso. Poi, le propone la lettura di Gogol': lo ha letto? Perché Lei le propone la lettura di un conte fantastico dove tutto il problema è quello che il gentiluomo si sveglia una mattina senza naso? Si guarda allo specchio e non ha più il naso, è liscio. Ed ecco che il naso comincia a muoversi, a vivere da solo, a salire sulle carrozze, a voler essere il presidente della Repubblica ... GILCAROZ-Diventa indipendente, un po' come, per lei, il suo naso. I.AURE NAVEAU - Lei le propone una soluzione in cui il naso non c'è più. Gli. CAROZ - No, non le propongo questo. Non le dico che la soluzione è di non avere più il naso. Quello che è importante per lei è di essere «normale», nel senso dell'Edipo. Avere dei problemi edipici, come tutti. È qui che le dico che c'è una storia del naso, che non è la sola. È questo che la pacifica. Alla fine, nel conte di Gogol', il naso perduto è recuperato, dunque non è così grave. I.AURE NAVEAU - D'altro canto, il naso rosso è qualcosa che la espone agli sguardi. Allo stesso tempo, è una soluzione difficile, ma che le dà un posto nello sguardo dell'altro. Quando Lei le parla di letteratura in una conversazione, le dà anche una specie di consistenza nello scambio con l'altro.

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piuttosto lei che mi propone la letteratura. Viene e mi racconta: «Ho letto questo e quello». È soprattutto per parlare della Shoah. GIL CAROZ - È

DOMINIQUE HOLVOET- In

merito al maneggiamento della cura, si vede che, dopo aver reperito la struttura con cui Lei aveva a che fare, il Suo modo di intervenire non si è limitato a una prudenza eccessiva. Io penso alla famosa frase: «Non voglio rimpiazzare mio padre». Lei la riprende, la sottolinea, e questo provoca uno stato d'angoscia. Tuttavia, nella seduta successiva, questo la porta a elaborare un'altra significazione. Lei continua a cercare di aiutarla ad analizzarsi. Effettivamente, sono possibili due vie. Una, è l'inibizione: non appena viene individuata la psicosi, dirsi che non si toccherà più nulla. Di certo, non dirle cose come «Non le chiedo di sposarmi», frase che ha fatto emergere un punto di erotomania. Ma, dal momento che il lavoro nel transfert è ingaggiato, anche nel momento in cui si è presentato il baratro, occorre bene o male continuare. Il caso vi si prestava, lei poteva continuare. Dal lato dell'analista, ci vuole una certa costanza e disponibilità. GIL CAROZ -

In effetti, è un lavoro consistente. La Sua implicazione - al di là della questione diagnostica - lascia spazio alle sue scelte. In merito alle Sue manovre transfcrali intorno al naso, non penso che le proponga di essere senza naso, ma che questo sposti qualcosa della fissazione di godimento che lei aveva su questa particolarità anatomica, cosa che apre ad altre possibilità. Cioè Lei non mette del senso, ma mobilita un godimento che è fissato a una parte del corpo. In realtà, lei non ha bisogno di leggere il libro, il Suo intervento ha aperto a un altro senso e questo ha modificato qualcosa. GUY BRIOLE -

È come qualcuno che fa un'analisi senza credere alla psicoanalisi. Si può dire che c'è una forma di transfert negativo? Marie comincia dicendo che non vuole fare un'analisi. Ma questo non La fa indietreggiare e finisce che Marie fa un sogno di transfert. L'analisi è un veleno, ma questo permette che all'esterno lei sia molto meno angosciata. E localizza il veleno nell'analisi. Il modo di capitonaggio che lei trova non so se tiene, ma sembrerebbe che Marie voANNE LYSY -

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glia - è una decisione del soggetto - reggersi da sola, senza analisi. Lo dice in modo esplicito. Non è qualcuno che conta ancora d i ricorrere all'analisi per continuare nel caso dovesse incontrare un problema. Spesso, la porta rimane aperta. Qui, non mi sembra il caso. Come intendere che si regge da sola? Gli. CAROZ - Io lo intendo come un'operazione di localizzazione. All'inizio, il veleno è localizzato nell'analisi e la localiz;,.azione è sempre più centrata sul naso.

Ho l'impressione che la Sua posizione sia stata quella di sostenere la costruzione di ciò che considero un punto di capitone. Questo ha prodotto degli effetti importanti nella vita di Maric. Sembrano durevoli fino ad arrivare alla separazione dall'analista. Lei ha ottenuto qualcosa dell'ordine di un capitonaggio che tiene e che opera dei cambiamenti nella sua esistenza. JEAN-PIERRE DEFFIEUX -

Vorrei tornare sulla questione della diagnosi. Anche a mc, come a L. Sokolowsky, il caso mi ha fatto pensare a quello dell'Uomo dei lupi, all'inizio perché c'è il naso, la visita dal dermatologo, ma anche perché Freud propende per una diagnosi di nevrosi mentre Lacan richiama le due diagnosi, nevrosi e psicosi. Forse è stato condizionato dalla lettura di Ruth Mack Brunswick, dal momento che, dopo Freud, lei riceve questo soggetto in cui la psicosi diventa sempre più evidente, e si vedono le sue manovre indefinite intorno al naso. Ora, in questo caso, giustappunto, non rileviamo delle manovre indefinite. Al contrario, c'è di certo un problema molto singolare con questo naso, ma lei si rassegna. Lei segna anche la fine del trattamento su questo punto. Non c'è una metonimia infinita, ma un arresto sulla rassegnazione ad avere un naso rosso. L'altro argomento presentato da Gil Caroz per fare la diagnosi di psicosi è quello di essere stato allertato dalle sue eccitazioni nel corpo. È scritto con una certa sobrietà in due frasi: «L'angoscia si è trasformata in fenomeno di corpo con una pronunciata tinta sessuale. Quando lei pensa a suo padre, quando ne parla, percepisce sul momento una "sensazione fisica al proprio sesso", una eccitazione nel corpo che definisce "sessuale". Questi momenti d'orrore - molto angoscianti per lei - finiscono di colpo, ma allora sente una profonda triste;,.1.a, poco JACQUES-ALAIN MILLER -

NEO•NI\S0

più sopportabile dell'angoscia». Occorre intendere queste frasi con un accento più drammatico di quanto sia serino? Bisognerebbe forse che Lei ci mettesse un carico da novanta per poter fondare su queste frasi la diagnosi di psicosi. La sensazione fisica al livello del sesso può essere percepita da una donna che non è psicotica, quando si affrontano certi temi. Può essere che l'intensità di questi diversi fenomeni giustifichi che si parli di psicosi, ma avrei allora bisogno che Lei mettesse l'accento sul volume di questo carico, sull'intensità. Gli. CAROZ - Ci sono due cose che intendo nella Sua notazione. Una, è il problema del volume del fenomeno. Era un punto su cui a volte si alzava dal divano e voleva andar via. Era necessario che la seduta si interrompesse per far cessare queste sensazioni percepite a livello del sesso e che viveva quasi come degli orgasmi.

Che delle donne si alzino dal divano per marcare la fine e impressionare l'analista, lo si incontra fuori dalla psicosi. Quando questa sensazione si produceva nella Sua paziente, Lei faceva questa famosa manovra che chiamerei calmare/'ambizione. Lei dice, a un certo momento, «Io calmo le acque», quando la paziente Le rimanda che è l'effetto della Sua angoscia. Mi sembra che si tratti di qualcosa di veramente sfrontato da parte della paziente. Vuol dire andare a cercare, stanare il desiderio dell'analista molto, molto lontano. JACQUES·ALAlN Mll.J.ER -

Ho pensato alla psicosi a partire dalla questione del naso. Prima, nella cura succedevano delle cose che si possono incontrare anche in tutte le altre: alzarsi dal divano, voler andar via, restare ... Poi invece questo naso, l'ho guardato, non aveva alcun motivo di pensare che fosse rosso! Gli. CAROZ -

Detto altrimenti, l' ha infastidita, ha scomodato il dermatologo, con «niente» sul naso. Ed è riuscita a strappare al dermatologo la frase «Gli effetti saranno irreversibili»? Molto brava! JACQUES-ALAlN MILLER -

GlL CAROZ - Sì, e dal terapeuta cognitivo-comportamentale ha colto l'idea di scrivere una lettera al suo naso. Allora, mi sta dicendo che non è una psicosi?

188

CILCAROZ

Non arriverei fino a questo punto. Ma in effetti molte cose dipenderanno dal futuro di questo naso. Se, al pari del trattamento dell'Uomo dei lupi, Marie farà vedere il suo naso dai dermatologi e tutta la sua vita sarà rovinata da questo naso, questo resto sintomatico, questo resto dell'analisi, avrà chiaramente il valore di un resto delirante, di focolaio stesso del delirio. È diverso se, al contrario, mette - se posso dire così - il naso in tasca e sposa Fred, che Marie, teniamolo presente, ha fatto sudare alla grande. Dato che non sopportava di sentirlo russare, arriva a fargli subire un'operazione chirurgica. Fino ad ora non ha fatto un intervento chirurgico al suo naso. Ma l'operazione è al naso di Fred! Ad ogni modo, non sopporta che respiri ... JACQUES-ALAIN MILLER -

JEAN-PIERRE DEFFIEUX - Da due anni «il rossore del naso continua a tormentarla, a volte in modo molto intenso». A partire dal momento in cui il naso è isolato, si rilegge in altro modo un certo numero di eventi precedenti. C'è dunque l'intensità, ma è da prendere in considerazione anche la varietà dei fenomeni. JACQUES-ALAIN MILLER GIL CAROZ

Un naso di capitone!

-Allora, sarà questo il titolo: Un naso di capitone!

(Traduzione di Omar Battisti)

Delle risonan1,e della parola lsabclle Orrado

Le parole colpiscono il corpo. Ognuno ne fa quotidianamente l'esperienza. Al di qua di quanto viene detto, le parole hanno un peso, un peso di godimento che marca il corpo. Il par/essere• si singolarizza per il suo modo di organizzazione pulsionale e per il suo modo di godere. Per Freud, «l'anima che, lenta e riluttante, nel corso dei tempi si è separata dal corpo»•, crea «un tesoro di rappresentazioni»,. È così che l'uomo avrà superato il suo stato di indigenza originaria. Il concetto di pulsione prende posto come «un concetto limite tra lo psichico e il somatico»4. Lacan, nei primi tempi del suo insegnamento opera un addomesticamento della pulsiones secondo i termini di Jacques Alain-Miller. La pulsione si definisce allora a partire dal legame che instaura tra il soggetto e l'Altro: «Non sembra forse che la pulsione [...] abbia il compito di andare a scovare qualcosa che, ogni volta, risponda nell' Altro?»6. Ne deriva una grammatica pulsionale a tre tempi che Freud aveva già rilevato a proposito dello sguardo (essere guardati, guardare e farsi vedere) e che Lacan estende a tutti gli oggetti pulsionali. Nel 1972 Lacan opera una svolta importante nel sostenere che il corpo gode del fatto che l'essere parli. Così, sia il linguaggio conserva la sua funzione di «raffrenare» il godimento, sia acquisisce una mate-

'J. l.acan,Joyce il sinlomo,in Id., Altri scritti, F.inaudi, Torino 2.013, p. 558. 'S. Freud, L'avvenire di un'illusione, in Id., Opere, voi. 10, Bollali Boringhieri, Torino 1978,p. 448. 'lbid.

• S. Freud, Pulsioni e loro destini, in Id., Opere, voi. 8, cii., p. 17. s Cfr. J.-A. Miller, L'Uno-tutto-solo, Astrolabio, Roma 2.02.1, pp. 48 sgg. 'J. l.acan, li Seminario, libro Xl. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2.003, p. 190.

ISABF.LLE ORRADO

rialità «causa del godimento»7: le pulsioni diventano «l'eco nel corpo del fatto che ci sia un dire»s, un dire che risuona. Gli ultimi insegnamenti di Lacan contengono quindi un'incidenza clinica: ci invitano a «un orientamento materialista»9. Due casi clinici di adolescenti ricevuti in studio, permetteranno di interrogare la dimensione pulsionale come legame tra la parola e il corpo, presi ciascuno all'interno della loro materialità.

Émilie, un essere «altezzoso»

Émilie, una ragazza di sedici anni, non mangia più per «paura di vomitare», cosa che l'ha condotta a perdere in poco tempo più di venti chili. Pesa in questo momento settanta chili. È con viso congelato e sguardo fisso che si presenta al primo colloquio. La ragazza spiega che, ogni volta che tenta di ingoiare un alimento, la «paura di vomitare» e di soffocare la invadono, e occupano tutti i suoi pensieri. Lei cerca disperatamente la verità nascosta di questa «paura», precisando che si «pone cinquantamila questioni» e «cerca continuamente il perché del percome». Da sola, in questa ricerca di senso, sembra annegare. Lo stato di salute di Émilie preoccupa, lei continua a perdere peso e non dorme più. Fa degli incubi nei quali, piena di paura, corre all'infinito senza sapere da che cosa stia fuggendo. Questo le provoca delle insonnie che attribuisce alla «paura del buio» a cui deve far fronte di notte. La interrogo sulla possibilità di lasciare una luce accesa al momento di coricarsi. Lei subito si oppone: «occorre che io affronti le mie paure». Di fronte a questa ingiunzione superegoica che suona come un «Godi!», la invito a parlare delle sue paure in seduta, ma a rispettarle all'esterno. Segue un sogno: «Sono dentro un dedalo, è tutto buio e ci sono dei mostri. Qualcuno accanto a me mi dice che i mostri rappresentano le paure che devo affrontare. Più avanzo nel corridoio, più si illumina e i mostri scompaiono». Commenterà semplicemente: «Credo che sia una cosa positiva, vado avanti». Il transfert si instaura, il lavoro comincia. 7

J. l.acan, I/ Seminario, libro XX. Ancora, Einaudi, Torino 2011, p. 23. J. l.acan, I/ Seminario, libro XXIII. li sinJhomo, Astrolabio, Roma 2006, p.

1

9

17.

J.-A. Miller, L'orientalion lacanienne. Le tout dernier Lacan, lei.ione del 7 mar-,o 2007, inedito.

DELLE RISONANZE DELLA PAROLA

Émilie dice di essere stata «vittima di molestie» per tutto il periodo della scolarizzazione a causa della sua obesità. I compagni la «umiliavano». Spiega quindi che per fronteggiare questi «attacchi» aveva preso l'abitudine di mostrare agli altri un «viso chiuso» al fine di «essere intoccabile»: «io sono altezzosa», dice alla prima seduta con un'intensità che immediatamente separa questo significante dal discorso. Lo sottolineo. Émilie spiega che si tratta di un'armatura che la protegge. Rapidamente percepisce che tutte le sue relazioni si declinano in una dialettica pulsionale orale devastante: «essere mangiata» dall'altro quando si mostra sensibile, o «divorare l'altro» a causa delle sue domande illimitate. Ha t rovato il modo di saturare la relazione e di fare Uno con l'Altro. In questa logica, un primo sintomo si è strutturato fin dall'infanzia: Émilie si «abbuffava» non appena era sola, per «colmare». Sua madre era stata il suo primo partner: «Siamo fusionali», spiega, «io le racconto tutto e lei mi dice che cosa fare». Il padre lavora molto e quando è presente è un compagno di giochi con cui lei ride. Tuttavia la sua adolescenza sconvolge la relazione con la madre, vissuta fino a quel momento come idilliaca. La madre, obesa, sopporta con difficoltà la perdita di peso della figlia. La madre attribuisce a Émilie delle intenzioni sessuali con certi ragazzi, mentre invece la ragazza è imbaraz;,.ata dal problema del sesso: «mia madre mi demonizza». La madre sembra sentirsi perseguitata dalla figlia e curiosamente la mette in una posizione di scarto (non vuole più toccare né lavare la sua biancheria). Émilie nota allora una «dualità» nella madre: sotto l'apparente complicità si rivela la ferocia. Collega tutto questo alla storia familiare. La madre sarebbe stata vittima di maltrattamenti da parte della propria madre. Alla nascita di Émilie la nonna materna gliene avrebbe voluto poiché non sopportava i pianti della neonata. La madre allora taglia i legami con la famiglia per proteggere la figlia, ma addossa a Émilie le caratteristiche della nonna: «cattiva» e «manipolatrice». Si amplia ulteriormente il divario tra Émilie e sua madre, generando una grande tensione. Le identificazioni della ragazza - la bambina saggia, la brava studentessa o ancora la manipolatrice - vacillano. Segue un periodo durante il quale Émilie si sente persa. In una seduta arriva a porsi la questione: «Chi sono io?, la figlia simpatica, la figlia altezzosa o la secchiona?». Poi aggiunge: «È una faccenda che riguar-

ISABF.LLF. ORRIIDO

da l'adolescenza o la questione di una vita?». Le rigiro la domanda. Lei risponde: «È la questione di una vita ... Ma non c'è una risposta di fatto, è così?». Silenzio. Aggiunge: «Ma mi agita che non ci siano delle risposte». Viene affrontata la tematica delle relazioni amorose, fino a quel momento passata in sordina: «Gli altri ora mi guardano». Si instaura una ripetizione: tramite internet Émilie entra in contatto con un ragazzo. Come sempre, percepisce la dinamica in gioco come un rapporto di forza: «divorare» oppure «essere divorata». Il ragazzo finisce allora per «ingozzarsene», il che causa una rottura. Queste relazioni passano unicamente tramite computer o comunicazioni telefoniche. Émilie si trova a suo agio con questo tipo di scambi, mentre si immobilizza quando i corpi sono in presenza, e ridiventa «altezzosa». È in tale frangente che la ragazza rievoca la sua prima relazione sessuale, avvenuta qualche mese prima. Ne è stata «disgustata»: «l'ho fatto per fare come gli altri». Émilie rileverà più tardi che questo evento coincide con l'apparizione della «paura di vomitare». Émilie si presenta in seduta sempre più rilassata, le sue relazioni sociali si addolciscono e il suo discorso è più fluido. Il significante «altezzoso» insiste. Lo rilevo di nuovo, e questa volta si svela un equivoco. «Odio» risuona per Émilie con il ricordo di una parola pronunciata dalla madre con un tono particolarmente «odioso»: «Mia madre mi ha sempre detto che ero al di sopra degli altri (... ] che erano tutti stupidi». Queste parole hanno marcato la posizione soggettiva di Émilic, che ne ha fatto una posizione del suo essere: essere al di sopra degli altri odiati, un essere «altezzoso-odioso» •0 • Émilie percepisce questo punto di godimento, segno di un dire che ha marchiato il corpo con una rigida mortificazione. Émilie prende a suo carico la parte di responsabilità nella «vessazione» subita: «Io li giudico dall'alto, è per questo che mi insultano». Si rivela il terzo tempo della grammatica pulsionale: guardare l'altro dall'alto e «farsi divorare» di ritorno. È tramite il transfert che Émilie ha potuto sperimentare il peso delle parole dcli' Altro sul proprio corpo, cosa che le ha permesso di passare da un godimento Uno alla dimensione 0

In francese la parola «altc,,.zoso• si dice: hautaine, mentre la parola «odio• si dice haine. Da qui nasce l'equivoco sul gioco di parole a cui fa riferimento l'autrice: il neologismo rilevato nella storia di f:milie è haut{e-h)aine, che unisce i significanti «alte1.zoso• e «odio». '

DEI.LE RISONANZE DELLA PARO!.\

del desiderio. Si delinea il nodo tra la pulsione orale e la pulsione scop1ca. Infatti il peso di Émilie si stabilizza e la paura di vomitare si è trasformata in una nausea invasiva quando si trova sotto lo sguardo del ragazzo amato: «la nausea arriva quando penso a come mi vede l'altro». È in quel momento che ridiviene «altezzosa». Se questo lavoro ha permesso a Émilie di distanziarsi da certe identificazioni mortificanti e di cogliere una liberazione nel suo rapporto con gli altri, lei non può evitare di immobilizzarsi quando il suo desiderio entra in gioco. Di fronte alla questione: «Quale oggetto sono io per l'Altro?»,Émilie ridiviene «altezzosa»: «è un automatismo», dice lei, una eco nel corpo di un dire che fin qui resta tenace. Maude, ovvero la «raffinatezza» come abbigliamento del'essere

Anche Maude ha sedici anni. Viene a incontrarmi dopo un'ospedalizzazione per anoressia. Per lei mangiare fa apparire il corpo in una dimensione pulsionale oscena che la «affascina»: «Quando le persone mangiano carne con ketchup, il sangue cola, la cosa mi disgusta, hanno uno sguardo perverso. Non riesco a evitare di guardarle». Il disgusto le impedisce di alimentarsi. Ma per il momento il corpo «prende il sopravvento». «È la pulsione», dice. Crisi bulimiche seguono le fasi anoressiche. Maude non vede più prospettive e parla di suicidio come unica liberazione possibile. Figlia unica, Maude spiega di essere stata molto sola durante l'infanzia. La madre, infermiera, viaggiava molto ed era poco presente. Il padre, impiegato di un ufficio, si occupava delle cose di casa, criticando le assenze della madre. Maude ha trovato un rifugio negli animali domestici della famiglia. La morte del cane, quando aveva sette anni, è un momento traumatico e di scompenso: «Era il solo a darmi amore. A volte, la sera, andavo da lui e dormivo con lui nella sua cuccia». La sua dipartita fa vacillare il suo mondo. Descrive la scena: «Mio padre ha scavato una fossa in giardino e vi ha gettato dentro il suo corpo tutto floscio. Lì ho compreso che il corpo è un sacco di carne e ossa». La morte dell'animale la precipita in un sentimento di solitudine. Passa il tempo sdraiata a letto e sente il cane «cianciare», fenomeno allucinatorio che durerà qualche mese. Allo

ISABF.LLE ORRADO

stesso tempo, l'ambiente scolastico diventa ostile: «Mi prendevano in giro». Ma ude si isola. Contrariamente alla presenza animale che la calma, la presenza umana fa intrusione. Le donne sono delle rivali gelose e gli uomini dei potenziali aggressori. Molto presto, Maude rimane affascinata dalle scene sessuali che trova su internet. «A volte sogno che qualcuno mi violenti. Dopo, sarei l'incarnazione della sofferenza e le persone mi guarderebbero con rispetto». Maude considera l'essere umano come un «animale sregolato» in cui il corpo e l'anima sono separati. Il corpo, come luogo di pulsioni indomabili, è considerato come pericoloso. Questo concerne il corpo degli altri, ma anche il suo, che non riesce a controllare, cosa che la spinge a disfarsene riducendolo ali' osso. Quindi, non resterà altro che lo spirito. Ma ude vorrebbe «essere pura anima». È ciò che ottiene nel momento di vertigine quando non si alimenta più: «La mia anima parte ed è come se quello che pesa nel mio corpo sparisse». Quando la interrogo su quello che pesa nel suo corpo, Maude evoca gli insulti che lo stomaco proferisce quando mangia: «vacca», «grossa merda», eccetera. Le parole si ripetono «senza destinatario» 11, provocando un godimento fuori-senso nel corpo. Qui la parola «risuona» 12 e il linguaggio è causa di godimento. La modalità pulsionale non passa tramite l'Altro e la sua grammatica. Il significante non trova eco nel corpo ma si rivela in una risonan:,.a assordante. Quando si manifesta questo fenomeno allucinatorio, le scarificazioni sono l'unica soluzione che trova. Maude si auto-mutila per fermare la ripetizione delle parole: un modo per bucare il troppo pieno provocato da questa risonan:1.a. Queste scarificazioni non sono in alcun caso un appello ali' Altro, ma hanno piuttosto, come osserva Lacan, la «funzione di essere per l'Altro, a situarvi il soggetto»,,. In effetti, in questi momenti Ma ude è invasa dall'Altro del linguaggio che le provoca la dissoluzione del suo essere, e solo le scarificazioni le permettono di rida re consistcn:,.a al suo corpo. A volte, incide sulla pelle la parola udita. Questa scrittura di significanti fa da bordo al godimento e ferma l'ondata di insulti. '' J.-A. Millcr, Le tout dernier Laean, lezione del 14 mar,o 2007, inedito. "J. Lacan, Il mio insegnamento e lo parlo ai muri, Astrolabio, Roma 2014, p. 149. ' 1J. Lacan, Il Seminario, libro Xl. I quattTo ccncetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2003, p. 201.

DELLE RISONANZE DELLA PAROLA

195

Nel corso delle sedute la scrittura si sposta su un piccolo diario. Lei ci annota le parole che la assillano per poterne parlare in seduta. «Quando arrivano le parole, è come una bocchetta 1 4 a doppia entrata; tutto ciò spinge per passare e se cerco di bloccarne una per lasciare passare l'altra, allora si mette a urlare.[ ... ) Quando scrivo il termine, è come se gli dicessi "mi occuperò di te più tardi" e, di colpo, non urla più». Maude arriva quindi in seduta con la lista di parole che l'avevano invasa, ma che in realtà sono delle parole che mi può rivolgere, cosa che ha come conseguenza di smorare il peso di godimento. Lasciarla parlare, senza mai commentare o consigliare, permette a Maude di fare delle sue sedute un «luogo a parte rispetto al resto del mondo». Lì lei può dire il peggio del suo essere scarto senza confrontarsi con un Altro che la vorrebbe persuadere, se non addirittura provare il contrario. Durante una seduta, affiora un significante di una tonalità differente: «Amo la raffinatezza». lo lo colgo al volo: «la raffinatezza è importante». A partire da questo significante, Ma ude tenta di cogliere il suo corpo in uno stile che le sarebbe proprio. Tiene conto dei suoi bisogni di mangiare separatamente gli alimenti, ciascuno con «un condimento semplice», cosa che le permette di mettere in piedi un'alimentazione più stabile. Si sostiene così su un'identificazione immaginaria di corrente Bio. Inoltre nomina la sua maniera di cogliere gli oggetti con le punte delle dita e dice di essere «delicata». A partire da questo manierismo si costituisce un nuovo campo lessicale: elegan ? o JACQUES-ALAIN MILLER-È il movimento del testo stesso di Lacan - Che sono lo?, con una I maiuscola. Io non posso chiederlo all'Io, perché se fossi morto, non lo saprebbe. Nel significante non c'è vita. Dunque, l'Io è nel posto del godimento. Le domande Che sono Io? Dov'è che lo esisto?, il termine si trova anche in Lacan -nel luogo del godimento. Qui ne abbiamo la messa in scena - lo sono nel luogo in cui c'è un sacco di sangue. È il godisangue. La ricerca della vita non è quella della vita semplice e tranquilla. Lei cerca il pre-individuale della vita, cerca la carne. Non si tratta del corpo delle differenze fenomenologiche. Lei non cerca al di là del corpo, della sua forma, lei cerca la carne oltre gli involucri. È il versante far esplodere la pelle, è veramente la forma del corpo, deve uscire tutto perché ci sia la materia organica. Lei va verso L'humus umano, come si esprime Lacan. Si capovolge allora nell'orribile. Forse sta qui la mia piccola resistenza sulla maglia rossa: la collochiamo nel simbolico con degli clementi immaginari, del rosso qui, del rosso lì ... Mentre la ricerca che la anima verso il sangue può essere senza dubbio accompagnata dal simbolico, ma ...

LA DISCUSSIONE

No, non si tratta di prenderla dal simbolico, ma piuttosto da un immaginario reale. In questo passaggio dell'humus umano, interno, questa specie di ribollimento interno del godimento che deve passare all'esterno, abbiamo quello che resta della forma immaginaria, ricoperta della cosa orribile, ricoperta di rosso - assolutamente non come elemento simbolico - ma piuttosto come elemento del godimento orribile che prende il sopravvento sull'immagine. Il corpo ricoperto di una maglia rossa io non lo prendo come un elemento d'abbigliamento, lo prendo come ricoperto di. È uno scorticato di Vesalio. È quello che sta all'interno che passa all'esterno, e che ricopre tutto questo. ÉRIC LAURENT -

Non è più l'idea della messa in forma topologica a prevalere. Non si tratta piuttosto del fatto che all'interno c'è la cosa orribile, la materia organica, e che occorre lacerare il corpo, l'involucro del corpo individuale? Per ritrovare la materia organica, anonima, la vita pura. Questo fa scorgere gli enormi apparecchi che sono messi in gioco: la forma del corpo, la credenza all'individualità, la maglia rossa che gioca rispetto alla gonna nera, Sonia che gioca rispetto a Marie... Non è ancora il delirio come guarigione, sono degli elementi normalizzati. Mentre qui si tratta - così come lo ricostruiamo - di togliere veramente ogni velo, tutte le bugie che le hanno fatto tanto male... JACQUES-ALAIN MILLER -

ÉRIC LAUREN"r - Lei non si pugnala come le sorelle Papin hanno pugnalato la loro padrona. C'è ancora qualcosa della superficie. Quando questo sgorga, lei non va da nessuna parte! La follia omicida non si scatena.

La pulsazione di vita è all'interno stesso del suo corpo. È ciò che le dà il sentimento dell'esistenza. Quando qualcosa è morto in lei, può ritrovare la vita attraverso la pulsazione del sangue. In altri momenti, si sente minacciata da tutt'altra cosa che potrebbe spingerla a passare all'atto. GUY BRIOLE -

JACQUES-ALAIN MILLER - La ricerca della vita ... Lacan ci ha fatto comprendere che la mortificazione è inclusa nel simbolico. Il fatto di parlare, il fatto di utilizzare il linguaggio è in quanto tale mortifican-

I.A DISCUSSIONE

te. Ì:, un tema di Maurice Blanchot: il simbolico è già mortificazione. Il nome proprio che vi sopravvive, che sopravvive alla vostra esistenza, è una mortificazione. Ma lei, lei lo vive! Lei vive questa mortificazione, che vediamo disgiunta dalla ricerca della vita. Questi fenomeni, le scarificazioni, sono la ricerca psicotica della vita, dell'elemento vita. C'è tutta una gamma - come trovarlo, trovarlo nell'altro, trovarlo in sé, con il primo sangue... Il sangue è l'elemento pre-individuale. Lei cerca la vita che sta in questi corpi, che è un elemento mistico e al tempo stesso materiale. Le scarificazioni sono dalla parte della ricerca del sentimento della vita, e non è da questo che lei viene a mettersi al riparo nel servizio, ma piuttosto dal rischio di passare dalla finestra. GUY BRIOLE -

JACQUES-AI.AIN MILLER - Ì:, MARlll-HliLilNF. BROUSSE -

strategia ...

La cerimonia della sua stessa morte...

ragionevole dirsi che la si farà finita rapidamente con questo mondo di sofferenza ... Le scarificazioni, immaginavamo che fossero scomparse. Ma no! Lo scorso venerdì ancora si tagliava. Nella strategia che lei ha espresso c'è anche il fatto di ottenere i farmaci da un medico, eccetera. Lei è in un mondo nel quale «il suo trucco» è noto. Questo la protegge... JACQUES-AI.AIN Mll.l.ER - Ì:,

liRIC LAURENT- Tra

le traversate dello specchio che ci sono, la finestra è sempre esemplare: è una delle traversate selvagge dello specchio. La forma può fare ancora da barriera ... Lei si lamenta delle scarificazioni e ... è questo a proteggerla. Ì:, il mantenimento di una certa barriera. Ma c'è un momento in cui c'è la cerimonia della morte. Quando prende quella forma, lei la fa in casa. Sebbene sia un passaggio all'atto, e non un acting out, può essere ripresa, ma si percepisce bene che può arrivare come un impulso: passare attraverso lo specchio. Lei fa un distinguo tra l'impulso e la premeditazione. Ma il problema è il momento in cui tutto ciò collassa allora c'è l'impulso suicida rio repentino. Non è evidente che non ci sia un'altra serie rispetto alla scarificazione per fare la prova della vita. Lì JACQUES-AI.AIN MILLER -

2.52.

LII DISCUSSIONE

risponde a un impulso. Per il momento, la volontà di sparire prende la forma della premeditazione. Ma niente impedisce che tutto ciò si coniughi, dando la volontà di farla finita improvvisamente, il che sarebbe certo di un altro ordine rispetto ali' ottenere il primo sangue. GUY BRIOLE - La cerimonia è anche quello che la limita, quello che fa sì che questo non accadrà. Quello che lei teme, quando parla di questa azione facilitatrice, è qualcosa che andrebbe al di là della cerimonia ... In quel momento non ci sarebbe più la cerimonia, ma direttamente la precipitazione. In effetti ci sono tre categorie: le scarificazioni, la cerimonia e ciò che la minaccia; e questo sarebbe sen1.a ritorno.

In effetti è il terzo escluso di questo distinguo a essere il pericolo maggiore. JACQUES-ALAIN MILLER -

Nella cerimonia lei cerca la messa in scena perfetta. Le candele, la musica, qualcosa che potrebbe rappresentarla. Effettivamente, questo mette a distan7.a il passaggio all'atto impulsivo. È da questo che è più minacciata. MARIE-HfLllNE BLANCARD -

JACQUES-ALAIN MI LLER - Il passaggio sulla perfezione è stato molto bello, molto insegnante, con l'elemento «midinette che guarda i giornali». L'ineffabile della perfezione, il peso dell'Ideale che troviamo nelle nevrosi qui è presente, ma staccato. Con la perdita della stima di sé, c'erano tutti gli elementi dell'Ideale. Semplicemente, in lei, è portato a un livello che ne cambia la natura, è marchiato dal sigillo dell'assoluto. La povertà dei mezzi che aveva per tentare di comunicare cosa fosse la perfezione - della top model, per esempio colpiva. La povertà stessa di questi elementi non faceva che mettere maggiormente in eviden1.a l'assurdità del termine.

(Tradw.ionc di Laura Pacati)

Il fo/low-up

Il colloquio realizzato con Sabine al momento della sua uscita dal servizio sarà breve. Molte angosce per lei si sono attenuate e ritroviamo molto presto la «reticenza precisa» che j.-A. Millcr aveva messo in evidenza nel colloquio iniziale, la sua capacità di «mettere a distanza».

- Dott. A. - Ecco La sul punto di uscire? - Sabine - Sì. Va piuttosto bene. Ho meno angosce di prima. Non ho più troppi pensieri oscuri, anche se rimangono presenti. Nella mia testa, si sono abbastanza allontanati. - Abbastanza allontanati! Ha l'impressione che siano un po' più lontani da Lei? - Sì, è così. - Cosa, per esempio? - Le idee suicida rie e la voglia di lacerarmi le braccia: non ci penso più troppo. È un po' passato. - Un po'. - Non è passato del tutto perché so che è comunque presente. È come se rimanesse nel mio ambiente, oltre la mia testa. Non è sparito, comunque. Rischia di riemergere, prima o poi. Ma per il momento va bene. - Cos'è che potrebbe farli risorgere? - Se ho la depressione che mi cade ancora addosso o se perdo di nuovo fiducia in mc. Soprattutto se non ho niente da fare, se non sono occupata da qualcosa; allora può riemergere. - Occorre che la sua testa sia occupata da qualcosa!

- Sì. - Come fa per occuparla?

2.54

IL FOLLOW-UP

-Leggo. Discuto con gli altri. Telefono. - Se non lo fa, che succede? - Ritornano le idee, ma oramai riesco a rifiutarle e poi passa. - Cosa sono queste idee? -Sono delle voci che mi spingono a farmi del male. -Sono sempre lì, ma unpo' più distanti? - Ecco, è così. -Se ci fa attenzione, ritornano? - Se ci faccio attenzione, riappaiono. Non devo pensarci. - È la sua attenzione che le permette di tenerle a distanza? -Sì, occorre questo. - Non è scomparso del tutto! - No, non credo. - E i farmaci, l'aiutano per questo? - Ho l'impressione che facciano un po' barriera tra queste due cose e che mi impediscano di oltrepassare la barriera. - In ultima analisi, è comunque alla Sua volontà, a Lei, che deve opporsi. - Sì, certo! Lo so! - In questo momento ci riesce? - Sì. Sabine parla poi della sua uscita. Va ad abitare dalla sorella. Si avvicina il Natale: «Comprerò dei regali, questo mi occupa tutti i pensieri, è quello che mi serve». Per le feste raggiungerà i suoi genitori in una grande città europea. Non è molto entusiasta. Forse la novità che rappresenta per lei questa città la interessa di più del vedere i suoi genitori. Sarà ricoverata di nuovo dopo le feste di fine anno: «Non ho altra scelta che quella di venire qui». Perché d'altronde dice di «pensare troppo». (Traduzione di Laura Pacati)

Contributi in après-coup

La dialettica del colloquio Picrrc Navcau

Sabine, diciotto anni. Vuole morire. È netto. Lo dice. Il filo si avvolge intorno alle voci e a quello che comandano di fare alla paziente: farsi del male. La dialettica di questo primo colloquio ha trovato il suo perno in una domanda di J.-A. Miller che porta sulla differenza tra reale e realtà, tra i personaggi che «incarnano» le voci e le persone della sua storia famil iare. I personaggi Il momento di svolta si colloca nel mezzo del colloquio. «J.-A. Millcr: - Qual è il loro modo di esistenza, di questi personaggi? Sabine - In effetti, non capisco molto bene la sua domanda». Tuttavia, è una domanda essenziale. Allora viene apportata una precisazione da J.-A. Millcr: «- Lei fa la differenza tra questi personaggi e poi le persone consuete. Sabine - La differenza è che nel fondo di mc io so che non esistono. Ma in realtà, si tratta più di una presenza che del fatto di vederli veramente. So che sono là ma al tempo stesso so che non ci sono». Di quali personaggi si tratta? Sabine lo dice subito. Siamo all'inizio del colloquio; questi personaggi sono delle voci, delle voci che risuonano nella sua testa. Sabine ha dato un nome a queste voci: Sonia, Ma rie e Jack. Sonia è la voce autoritaria, una nemica. L'enunciato è paradossale. «Non dice niente. Si prende gioco di mc, è tutto». Ma rie è un'amica. Di lei dice solamente questo: «Mi passa davanti fumando una sigaretta». Un'allusione a sé stessa, in qualche modo. Jack, è anche lui un amico. Lei dà una certa indicazione: «Fa il clown. Quando sono triste, lui è lì per distrarmi».

PIERRF. N1\VF.AU

La differenza tra il reale e la realtà Tre personaggi, tre voci. Due voci di donne e una voce d'uomo. Il raffronto si impone. Due sorelle e un fratello. Almeno la domanda si pone. La domanda le viene posta alla fine del colloquio: «J.-A. Miller - Sonia è in rapporto con sua sorella? Sabine-No.

Jack ha qualcosa a che vedere con suo fratello? No». Nel momento in cui il colloquio sfocia sulla differenza tra i personaggi reali che sono le voci e le persone della realtà, Sabine dice: «Non so se sono io che ho inventato questi personaggi». Ma l'accento porta in maniera più specifica sulla voce autoritaria. Le vengono lanciati degli insulti, le vengono rivolti dei rimproveri, le vengono dati degli ordini. Le viene ordinato di farsi male, di distruggersi.

La voce come spinta-al-crimine Sabine fa la differenza tra il tentativo di suicidio che è premeditato e preparato e l'operazione che consiste nel «graffiarsi le braccia finché non compare il sangue».

Il passaggio all'atto È una strategia, dice. Ci pensa, dunque. Andare dal medico. Comprare dei farmaci. Sola, nella sua stanza. La porta è chiusa. Il momento è scelto. La cerimonia può avere luogo. Accendere delle candele. Ascoltare le sue canzoni preferite. Ingoiare dei farmaci. Bere una bottiglia di vodka. Sabine l'ha fatto, qualche mese prima.

L'operazione che lei effettua su di sé Altra temporalità. Altra modalità. Le piomba addosso, in particolare quando scende la sera. È improvviso ed è brutale. Un impulso. «Non ho più un'idea in testa». Farsi del male, aprirsi la pelle (sic) per vedere scorrere il sangue. L'ha fatto una settimana prima. Quello che se ne deduce: la vista del sangue la cura. Vedere scorrere il sangue è vedere la vita, vuol dire avere la prova che lei è viva. Il colloquio ha così condotto a questo punto vivo: è il reale della ferita che sanguina che è il segno che la vita palpita. (Traduzione di Laura Pacati)

Piccolo glossario Maric-Hélènc Broussc

Le tre voci: Sonia, Marie e Jack Sonia: in gonna nera e maglia rossa, assomiglia a Sabine, la insulta, si prende gioco di lei. Definita come una parte di lei stessa uscita dal suo corpo, le sta di fronte, la spinge a ll'autodistruzione; nemica. Maric: fantasma femminile con la sigaretta, castana; amica. Jack: un uomo castano in nero che fa il clown per farla ridere; amico. Queste tre voci sono comparse improvvisamente verso i quattordici anni. Impressioni abbastanza precise, questi «personaggi» sono stati l'oggetto di una chiarificazione da parte sua, in un tentativo d i renderli «viventi». Le voci sono anche delle immagini precise. L'autodistruzione È uno dei significanti che torna più frequentemente, nella forma di pensieri svalorizzanti, che lei attribuisce a sé stessa e a Sonia, e nella forma di diverse pratiche. Superare la soglia tra la vita e la morte «La frontiera» principale che «prima o poi verrà oltrepassata». È il paradigma di tutti i limiti o frontiere che per lei sono poco assicurati. In effetti, il suo «disgusto di sé», il sentimento della sua differenza, della sua anormalità, vanno fino al sentimento della sua non-esistenza. L'espressione «oltrepassare la soglia tra la vita e la morte» è tra quelle che ritornano (a due riprese). Nella categoria degli clementi che «[le] impediscono di oltrepassare la soglia», vengono messi i farmaci, l'ospedale, i film e i colloqui. La soglia tra la vita e la morte viene ripresa nel riferimento alla sua scuola di filosofia preferita, «il nichilismo». I nichilisti non credono più in niente, «non credono nel-

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MARIF.•HtLtNE BROUSSF.

la vita, non credono nemmeno nella morte». Questa posizione di non credenza è la sua. Lei mi sembra presentare una questione logica. Se non si crede alla vita, è logico non credere alla morte, che senza la vita è impensabile. Ma in un'altra modalità, quella dell'appartenenza, o si appartiene ai vivi, o si appartiene ai morti, e la non credenza ai due mette di fronte a un'aporia. Né vivo né morto. Questo dà la sua importanza a Marie, che è un fantasma.

Un errore della natura È così che lei si definisce, senza connessione con dei dati precisi. L'espressione va dunque presa nel senso proprio ed è in quanto tale non dialettizzabile, conseguenza della questione delle frontiere tra vivo e morto. Fare scorrere il sangue Qualificata come bisogno, questa pratica corporea è definita dalle seguenti coordinate: «Mi dà l'impressione di esistere», «È come se avessi la prova che sono viva». Essa è in relazione con il corpo, il quale è attribuibile solo nella forma di un rifiuto fondamentale. Possiamo mettere questo punto in relazione con la formula: «la persona a me più vicina ero io stessa», ed è dunque con lei che se la prende, su questo versante di un corpo con il quale intrattiene delle relazioni di vicinato, ma non di proprietà, né di appartenen:r.a. Le pratiche di autodistruzione sono dunque delle pratiche di amministrazione della prova dell'esistenza. In questo senso sono «pacificanti», nonostante si presentino nella forma dell'imperativo. Strategia Si tratta del rituale che circonda, non le pratiche di autodistruzione che sono connotate da un «non esserci», ma i tentativi di suicidio, che vengono descritti come delle vere cerimonie private. (Tradw.ionc di Laura Pacati)

Desiderio di morte, ricerca della vita Oominiquc Vallct

Il suicidio e le condotte suicidarie dipendono da un determinismo complesso in cui si mescolano strettamente degli aspetti psichiatrici, psicologici, ma anche sociologici, religiosi o ancora di ordine morale o addirittura etico. Nel campo della psichiatria o della psicologia, si tratta di cogliere l'importanza del desiderio di morte che si esprime in queste condotte. Esso è correlato in maniera più specifica ad alcune entità morbose, in particolare agli stati depressivi. È al suo massimo nella forma d'espressione gravissima che rappresenta la melancolia. Il desiderio di morte vi si trova intimamente legato all'idea delirante di una colpa etica. Ma, anche al di là dei disturbi depressivi, il rischio suicidario è particolarmente elevato nei pazienti psicotici. Che si tratti di disturbi depressivi apparentemente isolati o inscritti nel quadro di disordini psicotici, la clinica psichiatrica si adopera per valutare il rischio del passaggio all'atto suicidario, inaugurale o di recidiva. Essa tenta anche di reperirlo in forme d'espressione meno convenzionali del passaggio all'atto, spesso designate come equivalenti suicidari. Essi designano diverse modalità di condotta con cui sembra essere presente il desiderio di morte, senza, tuttavia, che sia provato coscientemente come tale dal soggetto. Le condotte additive, alcuni disturbi delle condotte alimentari, o ancora i comportamenti pericolosi, le prese di rischio sconsiderate talvolta s'inscrivono in questo quadro. Anche le condotte di automutilazione vengono frequentemente considerate come delle particolari modalità di espressione di un desiderio di morte. Tuttavia, questa varietà di espressioni fenomenologiche dell'intenzione o del passaggio all'atto suicidario non consente di rendere conto di quello che è in gioco per il soggetto se non la riferiamo alla logica singolare propria a ciascuno di questi passaggi all'atto.

DOMJNJQUE VALU:T

È quello che ci insegna Sabine, quando indica molto precisamente due modalità distinte del passaggio all'atto che segnano la sua storia e che non possono ridursi a delle forme cliniche di condotte suicidarie. Da una parte, lei sottolinea i passaggi all'atto suicidaci per intossicazione farmacologica in cui si trattava di scomparire, e dall'altra la ripetizione di condotte di scarificazione degli avambracci che puntavano piuttosto a una pacificazione nella vista del sangue che scorre dalla ferita. Da una parte, abbiamo la prospettiva della sparizione del soggetto e dall'altra la necessità di un limite inscritto nelcorpo per situarsi dalla parte della vita e far cedere così l'angoscia di annientamento. Per Sabine, l'ideazione suicidaria è contemporanea all'esordio dell'invasione psicotica. Essa le arriva dall'esterno, in una forma allucinatoria, quando le persone delle foto affisse sulle pareti di un ristorante le indicano la soglia che stava per attraversare, quella tra la vita e la morte. In quel momento l'ideazione suicida ria non appare correlata a un affetto depressivo. Essa rappresenta già un tentativo di costruzione e di difesa davanti all'esperienza di un primo momento di morte soggettiva. Questo introduce, fin dai primi tempi, un certo sfasamento tra l'ideazione suicidaria e la sua intenzionalità in quanto espressione di un desiderio di morte. È solo in un secondo tempo che si costituisce il vissuto depressivo con un giudizio negativo portato sulla sua maniera di essere, il suo fisico, il senso della sua vita. Esso si nutre dello sfasamento che lei avverte con il mondo che la circonda e che le sembra diventato totalmente estraneo. Lei non può circoscriverlo ad alcuna circostanza conflittuale della sua esistenza. Si vive come un errore della natura, ma non può dirne niente. Precisa allora quello che dipende dalla premeditazione, con una messa in scena metodica della sua scomparsa. I passaggi all'atto suicidaci sono marcati da freddezza affettiva e determinazione. Trafuga le ricette per scegliere i farmaci. Decide con cura il suo ultimo abito, si crea un'ambientazione con i suoi pezzi di musica preferiti per varcare l'ultimo limite. Sono le circostanze di questo passaggio all'atto che provocheranno il primo incontro medico. Le ci vorrà ancora del tempo per evocare tutti i fenomeni allucinatori che la invadono. Potrà allora precisare un'altra dimensione che si esprime in occasione dei momenti impulsivi in cui si ferisce agli avambracci per

DESIDERIO DI MORTE, RICERCA DELIA VITA

«far scorrere il sangue». Evoca questo come una necessità imperiosa che apporta un certo sollievo quando, nella percezione visiva dello scorrimento del flusso vitale, lei prova di nuovo il sentimento di esistere. Lo enuncia molto chiaramente: «È come se avessi una prova che sono viva». Prova nel fondo di sé stessa la voglia di farsi del male perché le cose vadano meglio. Qui abbiamo due logiche differenti del passaggio all'atto per questo soggetto psicotico. Da una parte, una pura espressione della pulsione di morte, in cui l'attentato inferto al corpo si situa nel prolungamento di un vissuto di morte soggettiva, dall'altra, l'impulso imperioso come tentativo disperato di ritrovare qualcosa della vita in sé. È nello scarto tra queste due posizioni che c'è la possibilità di un limite sul quale il soggetto può trovare, con il suo terapeuta, un punto di appoggio per smarcarsi un po' da questa posizione mortifera dove il rischio vitale rimane ancora molto presente. (Traduzionc di Laura PaC3ti)

Un'osservazione sulla pulsione di morte Serge Cotter

Il registro auto-aggressivo nella paziente è innanzitutto del registro dell'immagine: la figura del doppio alla Dostoevskij contratta in una smorfia è quasi allucinatoria, canzonatoria: «è come se fosse una parte di me stessa che era uscita dal mio corpo e che mi stava di fronte». Al contrario, la donna ideale, l'immagine della perfezione, senza mancanza, come una top mode~ non è individualizzata. Esse hanno in comune l'essere ugualmente mortificanti, sia l'una che l'altra. Doppio immaginario come Ideale disincarnato non abbigliano alcun oggetto. L'impulso suicidario che mira a estrarre l'oggetto fuori corpo come una testimonianza della vita, lo abbiamo detto (il sangue), mette bene in funzione questa «affermazione disperata della vita» che è, secondo Lacan, la pulsione di morte a un certo momento della sua elaborazione. Tuttavia, in questo caso, la freddezza della persona, il suo lato sperimentale, la tiene a distanza dalla disperazione. Come nel frammento di Eraclito in esergo al capitolo sulla pulsione - «All'arco è dato il nome di vita e la sua opera è la morte» 1 - , qui c'è come un contributo alla questione del tragitto pulsionale nella psicosi, difficile da cogliere nell'ordinario, tanto l'Altro è implicato nell'atto. Qui la morte è un evento biologico. (Traduzione di I.aura Pacati)

' Citato da J. l.acan, li Seminario, libro Xl. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2.003, p. 169.

La categoria sovvertita dalla singolarità del caso Es1hcla Solano-Suarez

Cercheremo di mostrare, attraverso la lettura del caso di Sabine, come la categoria sia sovvertita dalla singolarità del rapporto del soggetto con il godimento, rapporto che in queste condizioni diventa il rovescio della categoria. Nel caso d i Sabine, si tratta di mostrare come la categoria del comportamento suicidario trovi i suoi fondamenti in una ricerca del reale della vita, orientata da questo soggetto psicotico a partire dalla forclusione del sentimento della vita. Sabine viene ricoverata in ragione della sua volontà suicidaria. Sono i tentativi di suicidio che fanno sintomo per gli altri, e per questo lei si trova in ospedale. Nel corso della presentazione, lei potrà precisare chiaramente una distinzione tra due tipi di fenomeni: da una parte gli atti suicidari,che sono premeditati, preparati con cura, rispettando un'organizzazione, addirittura una strategia, e che rispondono a un'esigenza dell'ordine della cerimonia in cui lo scenario occupa un posto importante e, dall'altra, l'impulso improvviso a farsi male, a graffiarsi le braccia con un oggetto tagliente, fino a che non compare il sangue. Nei due casi, si tratta di una risposta a quella che lei qualifica come «perdita del gusto della vita», che non va senza un «disgusto di sé stessa», secondo i suoi termini. Nel primo caso, la risposta è quella di darsi la morte, e allora ci vuole una messa in scena, «occorre rappresentare», secondo l'espressione di Gide, mentre nel secondo caso si tratta di fare sgorgare il sangue «perché vada meglio». Ebbene, è l'atto del far sgorgare il sangue chesarà rivelatore della singolarità del rapporto di Sabine con le categorie della vita e della morte. In effetti, prendiamo come punto di parten;,,a il momento che fa scansione nella vita di Sabine e che lei situa all'età di quattordici

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ESTIIELA SOLANO-SUAREZ

anni. Prima, quando era bambina, era «felice». Sua madre la definiva «bambina docile e senza storie». Poi, dopo essere «cresciuta» cd essere «cambiata», il suo corpo le pone problemi; lei dice di non potere «accettarlo così com'è». Il suo corpo diventa «una prigione nella quale la sua anima è imprigionata e torturata dall'interno». Questo corpo-prigione si troverà ormai disgiunto dal gusto della vita. Qui possiamo fare appello all'ultimo insegnamento di Lacan, al fine di rendere ragione di ciò che ha avuto luogo per Sabine e di cernere così la congiuntura dello scatenamento della sua psicosi. In effetti, se la seguiamo nel suo dire, spiega che c'è stata in lei, sotto l'effetto dell'hashish, una dispersione, una dissociazione della mente in diverse parti, nonché l'apparizione «di una serie di personaggi», correlativa all'emergenza dei fenomeni elementari all'età di quattordici anni. È qui che forse possiamo reperire la rottura dell'Uno della rappresentazione del corpo che, per il fatto di rompersi, fa apparire la mancanza d i legame tra i tre registri, immaginario, reale e simbolico. Di conseguenza l'immaginario diventa reale, per popolare, nel suo ribaltamento, il teatro delle sue allucinazioni. Le immagini sonoriz;-.ate che le intimano degli ordini, insulti, rimproveri, sono, come dirà lei, una parte di me stessa che era uscita dal mio corpo e che stava di fronte a me. In queste condizioni, l'oggetto piccolo a si realizza nella forma allucinata delle voci, la quale anima i frammenti dell'immagine del suo corpo, demoltiplicata e reale. La rottura della sua immagine non va senza comportare la perdita del senso della vita. Sabine, diventata altra cosa che una bambina, diventa «un errore della natura». La bambina le dava una rappresentatività, cioè un'immagine del corpo come Uno. Questa immagine, la sua anima, si trova imprigionata e torturata da un corpo che non le corrisponde più. Lei, la bambina, «piagnucola nella mia testa», dirà Sabine, «Lei mi assomiglia, ma sono io da bambina». Qual è allora per Sabine il valore degli impulsi a farsi del male e a far sgorgare il sangue? Lei lo spiega bene come qualcosa dell'ordine di un atto che risponde al comandamento della voce. La voce le ordina «di aprire la pelle, presto, [poiché] occorre vedere il sangue». Vedere apparire il sangue dà a Sabine «l'impressione di esistere», così come «la prova di essere viva». Come è stato elucidato da J.-A. Miller in occasione della discussione del caso, la prova della vita comporta per lei aprire la pelle e lacerare

LA CATEGORIA SOVVERTITA DALLA SINGOLARITÀ DEL CASO

la forma, affinché l'interno del corpo appaia sotto le specie della materia organica. È interessante constatare che, per Sabine, l'atto di sanguinare la cura dall'angoscia. Se consideriamo, con Lacan, che l'angoscia è una manifestazione del reale e che essa fa irruzione quando abbiamo il sospetto di «essere ridotti al nostro corpo», allora possiamo pensare che per Sabine si imponga il fatto di bucare la consistenza dell'involucro per cercare ciò che ek-siste al corpo come vita, in quanto reale. A questo prezzo, lei può accedere alla certezza del godimento della vita. Ebbene, farsi sgorgare il sangue risponde in questa paziente a una ricerca disperata del reale della vita in quanto ek-sistenza, che le dà accesso al sentimento della vita al di fuori di ogni rappresentazione; al contrario, la cerimonia che circonda l'atto suicidario convoca le rappresentazioni della messa in scena della sua morte, tramite cui lei assicura la consistenza del dis-corpo. (Traduzione di Laura PaC3ti)

Di nuovo sul godimento? Marie-Hélène Blan '.

Solo il Nome-del-Padre consente di localizzare il godimento. Nella psicosi, la forclusione del Nome-del-Padre ha come conseguenza che il godimento sia delocalizi'.ato e che il suo ritorno nel reale arrivi a minacciare il soggetto senza che possa difendersene diversamente. Poiché il desiderio non c'è, come succede nella nevrosi, per fare barriera al godimento. Il reale, come sottolinea Lacan, «è senza fessure»\ è quello che ritorna sempre allo stesso posto: «ciò che non è nato al simbolico, appare nel reale»J. Questo apre la via all'allucinazione e al delirio: il reale causa da solo. Correlativa allo scacco della metafora paterna, l'assenza di significazione fallica impedisce che il godimento possa passare «fuori-corpo»: «Il godimento dcli' Altro è fuori linguaggio, fuori simbolico»4. Il sentimento della vita è toccato dal fatto stesso che il fallo simbolico viene a mancare in quanto significante fondamentale, al principio stesso della vita. Il che lascia il soggetto in preda al godimento dcli' Altro che invade il suo corpo, senza che niente possa fare qui da limite al godimento mortifero. Pertanto, quale risorsa ha il soggetto psicotico, se non quella dell'invenzione? Per lui è la sola maniera, inedita e sempre singolare,

' J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica, in Id., Scritti, Einaudi, Torino 1974, p. 170.

• J. I.acan, Il Seminario, libro

li. I.'io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino 1006, p. 114. 3 J. I.acan, Risposta al commento di Jean Hyppolite sulla Vcmcinung di Freud, in Id., Scritticit., p. 380. • J. Lacan, La Terza, «La psicoanalisi•, 11, 1993, p. 36.

MARIF.·HhtNE BLANCARD

di arrivare a bordare il reale mortifero e invadente che minaccia la sua integrità corporea e lo spinge a mettere la propria vita in pericolo. È una costruzione fragile ed effimera, comunque sempre provvisoria, di cui possiamo forse trovare qualche indice nella presentazione. Sabine insiste subito su «quello che lei vede e quello che lei intende». Dirà che si detesta, che ha «semplicemente perso il gusto della vita», come se lei «fosse un errore della natura». Vorrebbe non avere più lo stesso corpo. Il fenomeno di cui testimonia suppone un disannodamento tra l'immaginario e il reale del corpo: l'immagine si stacca e, parlandole, appare sul muro. Lei non si sente normale perché non ama la vita e cerca una soluzione al suo dolore, giacché alcune delle voci che lei intende la spingono a distruggersi. Questa soluzione passa innanzitutto dal limite, la barriera di protezione che costituisce per lei l'ospedale: le mura, i farmaci, i curanti e la relazione che ha potuto instaurare con loro: il transfert. Ma lei cerca, al di là, una soluzione che valga al di fuori delle mura, qualcosa che potrebbe contrastare efficacemente i suoi impulsi suicidari. Lei evoca la sua ricerca di una messa in scena perfetta che possa rappresentarla nella e attraverso la morte. Già da molto tempo si vede morta, le occorrerebbe raggiungere il «cadavere lebbroso» che la riguarda ... A quello che è il parossismo della mortificazione, oppone la ricerca della vita. Opera allora una distinzione tra, da una parte, distruggersi e, dall'altra, esistere. In una vita che lei dice congelata, mortificata, il sangue è preso come antidoto alla morte - è la prova che lei è viva, che esiste: «Occorre vedere il sangue perché le cose vadano meglio. Per sollevarsi, per pacificarsi». Si tratta di lacerare l'involucro del corpo al fine di liberare la vita pura dalla prigione che per lei è il corpo. Non si scatena, non si accanisce sul corpo, poiché quello che l'arresta è la vista del sangue. Lei introduce lì, nel godimento orribile che la stringe, una certa frammentazione; non è più il tutto del godimento quello con cui ha a che fare, emerge una differenza che le dà un piccolo margine di manovra. Lei elabora, sul filo delle sue orribili esperienze, una strategia rispetto alla pulsione di morte. Le scarificazioni arrivano in opposizione alla messa in scena della sua morte, la cerimonia perfetta che lei immagina. Fare sgorgare il sangue è quello che la protegge dalla realizzazione dell'atto riuscito. Resta il pericolo contro il quale non

DI NUOVO SUL GODIMF.NTO?

potrebbe difendersi: l'impulso suicidario improvviso, precipitarsi nel vuoto, passare attraverso la finestra. Di fronte a questo pericolo, solo il quadro dell'ospedale sembra poter operare, per il momento. La scommessa porta allora sul contrappeso che costituisce per lei la parola nei riguardi dell'atto, la parola presa nel transfert e il desiderio di un Altro supposto non lasciarla cadere. (Traduzione di I.aura Pacati)