Contro i cristiani-Il discorso di verità 8817167185, 9788817167185

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Contro i cristiani-Il discorso di verità
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Proprietà letteraria riservata

© 1989 RCS Rizzoli Libri S.p.A., Milano ISBN 88-17-16718-5 Titolo originale dell'opera: AAHElHl: AOfOl:

prima edizione: settembre 1989

Il testo riproduce quello dell'edizione curata da R. Bader, Der Alethes Logos des Kelsos, Stuttgart-Berlin, 1940.

INTRODUZIONE

Il Contra Celsum di Origene è il maggior documento del paragone tra cultura classica e Cristianesimo che ci sia giunto prima del De Civitate Dei di S. Agostino. Ed è solo ad Origene che dobbiamo la conoscenza di questo pagano, che per primo, pur disprezzando il Cristianesimo, si rivolse ai Cristiani per ricondurli alla sapienza originaria. Il metodo che Origene scelse per rispondere a Celso ha reso possibile una certa conservazione del testo. Il grande teologo alessandrino intese ribattere ali 'ignoto avversario punto per punto, argomento per argomento. Ignoto Celso era anche ad Origene: egli Io identificava con un filosofo epicureo di questo nome, ma l'esame del testo non consentiva di leggervi le tesi del filosofo. Per Origene, la mancanza di una identificazione conduceva una crisi dell'interpretazione: gli sfuggivano le coerenze profonde del pensiero, i suoi impliciti. Noi non ci troviamo in condizioni migliori di lui: possiamo solo notare che l'ignoto Celso ed il noto Origene avevano un quadro interpretativo comune. Essi erano troppo simili per non combattersi. L'intuizione del Marrou sulla esistenza di una forma culturale tardo-antica di cui anche la teologia cristiana è in certo modo una variante, resta confermata dal paragone del pensiero di Origene e di quello di Celso. Questo non significa che il pensiero di Celso manchi di attualità. Sotto un certo aspetto, esso è più attuale di quello di Origene, perché la critica del Cristianesimo è 5

una componente della cultura contemporanea. Le posizioni si sono però rovesciate. Oggi gli argomenti di tradizione, di consenso, di universalità, gli argomenti di Celso, sono stati argomenti del cattolicesimo: l'apologetica cattolica preconciliare aveva una struttura argomentativa molto simile a quella del Discorso della verità. Ciò del resto rende ancor più ragione della affinità di pensiero che lega Celso ed Origene. Infine, il pensiero dei teologi alessandrini, che tende a costruire una filosofia dell'evento cristiano ed a ricondurre l'evento cristiano ad una manifestazione della Sapienza divina ed a farne cosi la «filosofia vera», è alle radici della posizione cattolica. Gli argomenti di ordine e di tradizione che Celso usa hanno per il cattolico sapore consueto. Ed è paradossale vederli giocare contro lo specifico cristiano (il perdono ai peccatori, il dissenso dalla autorità pubblica, l'umiltà divina nella incarnazione e nella crocifissione), e assumere tutta la loro potenzialità «anarchica». Nella posizione in cui Celso si pone, il Cristianesimo gli appare come la religione della rivoluzione morale e sociale, la sovversione e l'ignoranza praticate e predicate, un mondo senza filosofia e senza Stato. Se i teologi della liberazione usassero un linguaggio più cristiano ed i dittatori latino-americani un linguaggio più pagano, avremmo nell'America Latina una quasi perfetta riproduzione della situazione culturale che la polemica di Celso rappresenta. Celso è più antico di Origene, viene prima dello sforzo cristiano di darsi una legittimità filosofica. Per incontrare il profilo intellettuale del cristiano contro cui Celso scrive, occorre pensare ad lreneo. Un grandissimo teologo, il vescovo di Lione, il primo vero teologo della Chiesa: ma un teologo privo di filosofia. La sua posizione è pensata in Tertulliano, che offre uno statuto culturale a un Cristianesimo che non ricerchi mediazioni filosofiche e si manifesti nella mistica e nella prassi. La mancanza di equilibrio delle posizioni montaniste renderà senza immediato futuro la 6

prospettiva di Tertulliano ed imporrà la linea di Origene, con il rischio di «filosofizzazione>> del cristianesimo che l'ssa comporta. Se dunque Celso è l'avversario di Origene, non è il Cristianesimo di Origene quello che Celso combatte. Le due generazioni che dividono Celso dal teologo alessandrino hanno cambiato il Cristianesimo. Se avesse avuto di fronte il Cristianesimo di Origene, Celso avrebbe scritto un ben diverso «discorso sulla verità». Celso è dunque il testimone di un cristianesimo rivoluzionario, o almeno avvertito come tale dalla cultura romana. Contro di esso Celso costruisce una perfetta «teologia politica», una teologia che divide Dio e l'anima dal corpo, dal mondo e dallo Stato. A Dio appartiene lo spazio della interiorità e della eternità, agli dei ed agli imperatori il mondo corruttibile. Celso può essere dunque monoteista come filosofo e politeista come politico. Questa è certamente una posizione originale, che nella stessa cultura romana del suo tempo è stata formalizzata soltanto da lui, anche se corrisponde ad una posizione diffusa. 'L'interesse di Celso è politico, non speculativo. Egli crede in una politica fondata sulla civiltà e sulla cultura, mira appunto a conciliare il dio dei filosofi con gli dei dello Stato romano. La confutazione che Celso fa del Cristianesimo tende a dimostrare che esso è senza sapienza ed è perciò sedizioso: divorziare dalla sapienza significa divorziare dallo Stato e divorziare dallo Stato significa divorziare dalla sapienza. Il Cristianesimo è l'avversario ideale di Celso perché gli consente di avallare con i fatti la validità del suo sistema teorico: la conciliazione del monoteismo filosofico e del politeismo politico, della filosofia e dello Stato. In questo Celso rappresenta un raro caso di filosofo del potere, cioè di un filosofo il cui interesse principale è il consolidamento dello Stato. Ed è proprio il Cristianesi7

mo con la sua dimensione escatologica ed ecclesiale a «produrre» l'esistenza di questo tipo di filosofo. l successori di Celso si trovano sparsi lungo tutto il Cristianesimo occidentale, suscitati dalla stessa potenza storica della Chiesa romana. Celso rimane isolato nella antichità classica. 11 Cristianesimo è nel quarto secolo già intellettualmente egemone. E quando Agostino esprimerà nel De Civitate Dei la prima grandiosa teologia politica cristiana, egli non avrà dinanzi a sé nessun avversario pagano del vigore intellettuale di Celso. Ma Agostino è l'erede di Origene, ed il costruttore di una filosofia. Dinanzi alla mutazione filosofica del Cristianesimo, il pensiero classico non riesce più a comporre una tesi di filosofia e di politica del vigore di quella di Celso. Celso ha dunque avuto molti eredi; soprattutto la Chiesa stessa ha imparato la sua lezione ed il primo testimone di quanto profondamente l'avesse appresa è proprio colui a cui, giustamente, Celso deve la sopravvivenza culturale: Origene. È la Chiesa che ci ha conservato questo grande conservatore: e Io ha conservato perché Io ha di fatto assorbito. Ed è perciò che, all'interno della Chiesa occidentale, della Chiesa unita attorno a Roma, rinascerà una difesa dello Stato che ripropone il pensiero di Celso nella critica delle tentazioni «sovversive» del Cristianesimo, divenute tentativo di dominio della Chiesa sullo Stato. Ma, come dicevamo, quando la cristianità tramonta definitivamente, come accade a partire dal secolo scorso, tornano anche gli argomenti di critica eticopolitica del Cristianesimo: come non avvicinare la «sedizione» di Celso al «risentimentO)) di Nietzsche? Essi hanno ambedue voluto tentare un'analisi politica e culturale della essenza del Cristianesimo, interpretare la figura che esso svolge nella storia umana. Sedizione e risentimento sono definizioni simili, indicano l'affinità del problema. l due 8

pl'nsatori si danno la mano ai due capi, l'iniziale ed il terlllinale, della storia della cristianità. Maurras, forse uno dei pensatori più affini a Celso che l'occidente abbia prodotto, ha elogiato la Chiesa perché essa ha trasformato il canto sovversivo di Maria di Nazarcth in Luca nell'inno dei vespri, il Magnificai. Fa dunque impressione ascoltare un tempo in cui il canto di Maria è ancora sentito come segnato dallo spirito di sovversione. Il cattolicesimo politico si può riconoscere in Celso, ma è un'alleanza pericolosa, perché essa mostra come il primato dell'ordine e della tradizione sia cosa diversa dallo «specifico cristiano». E solo i cristiani critici della Chiesa come totalità e potere, della Chiesa che cerca il consenso degli Stati si possono ritrovare nel Cristianesimo disprezzato da Celso: o almeno potrebbero. Soprattutto in Celso si possono riconoscere i critici «da destra» del Cristianesimo. La «nuova destra» dovrebbe riconoscere nell'antico filosofo un suo maestro di pensiero: è egli che per primo ha fatto in modo sistematico del potere un principio. Il Celso smembrato da Origene, l'unico Celso che è sopravvissuto, non è di facile lettura. Non si leggono frammenti come un discorso continuo. Tuttavia anche le rovine di un pensiero sono parlanti. Come nelle grandi architetture, è tutta la figura di un edificio che noi vediamo nelle sue strutture portanti. Celso ha avuto la fortuna di essere «smembrato» da un pensatore straordinario, Origene. Il teologo alessandrino ha delineato le strutture portanti di un pensatore con cui egli aveva tante affinità di cultura quante differenze di fede. Le strutture di Celso disegnate da Origene: ecco quanto questo libro offre ai lettori. Infine, non è poco. GIANNI BAGET-BOZZO

PREMESSA AL TESTO

!. 'AUTORE

Quando, verso l'anno 248, s'accingeva a confutare le critiche contro i Cristiani contenute in un libro inviatogli dal suo caro discepolo, amico e benefattore Ambrogio, Origene non sapeva che, con la sua replica destinata a vincere i secoli, avrebbe, proprio lui, trasmesso ai posteri la memoria d'un'opera e di un autore che altrimenti sarebbero caduti nell'oblio più completo. E neppure sapeva che avrebbe lasciato i posteri nelle stesse sue incertezze circa l'identità dell'autore del Discorso della verità. E mentre per altri scritti, intesi a condannare con ingegno ed acume forse superiori la dottrina cristiana, non si trovò barriera o rimedio se non il potere stesso dell'imperatore cristiano e il rogo da lui decretato, 1 a questo libro serio ed informato, ma nel complesso non molto superiore allivello di una buona sintesi scolastica, e già dimenticato settant'anni dopo la sua stesura, 2 solo lo zelo e la 1Come avvenne per l'opera di Porfirio. condannata da un imperiale decreto, v. Codice di Giustiniano, l, l, 3: «Decretiamo che tutte le opere che Porfirio, spinto dalla propria follia, o chiunque altro, abbia scrillo contro la santa religione cristiana, presso chiunque trovate, siano date alle fiamme, perché non vogliamo che quegli scritti che provocano l'ira di Dio o che offendono le anime, raggiungano le orecchie dei sudditi. Teodosio Il e Valentiniano III. il giorno 16 febbraio 448)). 2 11 Discorso della verità fu scritto probabilmente nel 178. Nel 248, quando scriveva il suo Contro Celso, Origcne, la vastità della cui cultura è appena concepibile. non possedeva su Celso che incerte e vaghe no-

Il

scrupolosità di Origene assicurarono l'immortalità e, allo stato delle nostre scarse e frammentarie conoscenze circa gli scritti anti-cristiani antichi, un'importanza certo superiore a quella cui di per se stesso avrebbe potuto aspirare. D'altra parte dell'autore del Discorso noi conosciamo solo quel poco o quel nulla che lo stesso Origene conosceva. «Dalla tradizione sappiamo dell'esistenza di due Celsi epicurei- chiarisce Origene in C.C. l, 8- il primo dei quali visse ai tempi di Nerone, questo nostro in quelli di Adriano ed ancor più in là.» In seguito si identificò l'autore del Discorso dello verità con l'amico di Luciano dedicatario dell'opuscolo "Alessandro ovvero il falso profeta". 3 Di lui, della sua cultura e dei suoi libri parla lo stesso Luciano nel cap. 21 del suo scritto, quando, descrivendo i trucchi cui ricorrevano i maghi antichi, conclude: «Vi sono ancora molte altre maniere, che non voglio ricordare tutte per non sembrare fastidioso, massime a te, che contro i maghi hai scritto un libro bellissimo, utile ed istruttivo, nel quale hai esposto tante cose e maggiori di queste» (trad. Settembrini); e nel cap. 61, a chiusa dell'opera: «Questi pochi fatti ho voluto scrivere come un saggio di altri, sì per far cosa grata a te, che mi sei caro amico e compagno, e che io ammiro grandemente per il sapere che hai, per l'amore che porti alla verità, per i tuoi dolci costumi, per la tua moderazione, per la tranquillità della vita e per la cortesia che usi con chi conversa con te; e sì ancora, il che certo ti piacerà, per vendicare Epicuro, divino sacerdote della verità, della quale

tizie. L'opera stessa gli sarebbe rimasta ignota, se non fosse stata trovata dallo zelo di adepto di Ambrogio. Il secondo trattato di Celso, promesso in VIII, 76, non fu trovato né da Origene, né da Ambrogio. 3 V. scoliasta ad Alessandro o il falso profeta, cap. l: «Costui è quel Celso che contro di noi scrisse una lunga scempiaggine in otto libri e al quale rispose il dottissimo Origene con quei libri pieni di ogni sapienza e religiosità, opponendo argomento ad argomento e dimostrando il vaniloquio delle mirabolanti sue elucubrazioni».

12

egli solo ha conosciuta e rivelata la bellezza, e liberatore

ui coloro che ne seguitano le dottrine». Che il nostro Celso si sia occupato della magia e delle sue turlupinature, risulta chiaramente dai frammenti VI, 39 e 41; e lo stesso Origene, che tuttavia non accenna mai all'amico di Luciano, non è alieno dal ritenere Celso l'epicureo autore dei libri contro i maghi (C.C. l, 68) e contro i Cristiani (C.C., IV, 36). Ma le argomentazioni usate da Celso nel suo scritto raramente possono risalire alle dottrine epicuree, sicché anche Origene trova difficoltà a confermare l'identificazione di Celso con l'epicureo a lui noto; e sebbene in varie occasioni egli tacci il suo avversario di epicureismo (C.C. l, 8; l, IO; Il, 60; IV, 75; IV, 86; ecc.), altrettanto spesso si dimostra incerto sulla posizione filosofica di Celso e talvolta lo ritiene senz'altro un platonico (C.C. III, 63; III, 80; IV, 4; IV, 83; ecc.) fino al punto di sospettare che il Celso autore del Discorso della verità sia solo un omonimo del Celso epicureo (C.C. IV, 54). In effetti è difficile ammettere che l'autore del Discorso sia un epicureo. 4 Contraddittoria ne risulterebbe la sua fede nei demoni c, soprattutto, la sua incondizionata ammirazione per Platone. Ma, se Celso non è epicureo, se non è, quindi, l'amico di Luciano, e, come ormai da tutti si ritiene, è un platonico (medio-platonico), noi restiamo privati di qualsiasi riferimento preciso che possa illuminare la sua personalità. Unica fonte per la sua biografia resta solo l'opera sua.

4 Lo sosrcngono, invece, il Rougier (v. Bibliografia) e J. Schwartz (Du testamenl de Lévi au Discours vérituble de Ce/se, «Rev. Hisl. Phil. relig.», 40. 1960, pp. 125 sgg.), il quale pensa che Luciano conobbe il Cristianesimo attraverso l'opera di Celso. C.J. de Vogel (Der sogenannte Millelplatonismus ... in Platonismus und Chrìstentum, Miinstcr 1983, pp. 227 sgg.) vuole identificare Celso con Publio Giuvenzio Celso, giurista ed alto funzionario dell'impero nel2° sec. d.C.

13

CULTURA E AMBIENTE DI CELSO

L'autore del Discorso della verità si manifesta come uomo colto, versato nella filosofia platonica, anche se nei limiti della scolasticità, interessato ai fenomeni religiosi e sociali del suo tempo e appassionato sostenitore dell'ordine e delle leggi dello Stato. Questo impegno politico, evidente nei primi frammenti dell'opera e in quelli dell'VIII libro, soprattutto negli ultimi, e la particolare sensibilità per i problemi che la diffusione e la consistenza del Cristianesimo andavano ponendo all'amministrazione ed alla organizzazione dell'impero romano, ci inducono a ritenere Celso non soltanto un letterato o una persona dalla solida cultura filosofico-letteraria, non soltanto un pensatore, entusiasta ammiratore di Platone, ma anche un uomo interessato alla politica dell'Impero, forse un amico o un collaboratore o, addirittura, un portavoce, almeno ufficioso, dell'imperatore stesso. L'esortazione finale ai Cristiani c la stessa promessa di indicare loro, in un secondo scritto, un nuovo e positivo modo di comportamento, dimostrano l'intento politico dell'opera e la posizione politica del suo autore. L'autorità imperiale, in effetti, sollecitata da una parte dall'ostinata c cicca avversione popolare al Cristianesimo, nonché dalla più equilibrata, ma non meno netta opposizione degli ambienti colti tradizionalisti, dall'altra dalle esigenze dell'ordine interno e dalle necessità della difesa dell'impero, nei confronti dei Cristiani non andava cercando i motivi per una guerra, ma i termini per un dignitoso e ragionevole compromesso. Alla fermezza con cui si procedeva nei processi contro i Cristiani s'accompagnava la disponibilità a riconoscere la piena libertà religiosa dei sudditi, purché salva restasse la loro lealtà di cittadini. Celso, quindi, è perfettamente allineato rispetto alla posizione delle autorità, e il suo atto d'accusa contro i Cristiani può benissimo essere stato dettato dalla ne14

1l·~~ilà

politica di chiarire i termini del problema dei rapporl i tra Cristianesimo e Impero. Celso è nome romano. Che l'opera sia scritta in greco 11011 fa meraviglia: lo stesso imperatore M. Aurelio scris~l· in greco i suoi Colloqui con se stesso e le persone di cui t"Jdi si circondava parlavano e scrivevano cosi in greco ~·ome in latino. Il II secolo, per le classi socialmente elevule, è un periodo di vasta sintesi culturale della civiltà dassica, e questa cultura è bilingue. La scelta del greco o del latino come mezzo espressivo dipende dal gusto, dall'inclinazione e dalle circostanze scolastiche (maestri, l"c:ntri culturali frequentati, ecc.): Favorino di Arles, uno dci maggiori rappresentanti della seconda sofistica del II secolo, pur appartenendo, per origine, all'area linguistica latina, scrive in greco; il suo discepolo Aulo Gellio scrive in latino. Comunque, per il Discorso di Celso la lingua più indicata era certamente quella greca, perché il greco era parlato e inteso nel vicino oriente e in Egitto, cioè nelle regioni dove il Cristianesimo era nato e s'era sviluppato, prima che in occidente, e dove andavano sorgendo i primi centri e i primi maestri della cultura cristiana. Non possiamo, però, accertare se l'opera sia stata composta a Roma o altrove (ad Alessandria, si potrebbe supporre). All'interesse politico s'accompagna in Celso quell'interesse culturale cosi naturale nella civiltà classica, nella quale la scuola è unica e identica sia per i letterati che per gli uomini d'azione, e per la quale unica e valida premessa all'azione è la preparazione retorica e filosofica. 1 Dal1 Dirà Eumenio, più di un secolo dopo Celso (Pro instaurandis scholis. 8): «Lilleras omnium fundamenta esse virtutum, utpote continentiae, modestiue, vigilantiue, patientiae magistras. Quae universo eu m in consuetudinem tenera aetute venerunt, ad omnia deinceps olflciu vitue et ad ipsa quae diversissima videntur militiue utque castrorum munia conva/escunt.» l«Le lellere sono il fondamento di tutte le virtù, in quanto maestre di moderazione, di spiri10 di disciplina, di diligenza, di pazienza. Tune doti queste che, una volta venute in consuetudine nei

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l'opera di Celso risulta chiara la conoscenza che l'autore ha delle dottrine platoniche che nel II secolo assunsero particolari atteggiamenti sia di metodo che di contenuto: il rapporto dell'umano col divino fu ~llora risolto nella caratteristica demonologia (simile dottrina ritroviamo nel contemporaneo Apuleio) secondo la quale il governo delle cose del mondo è nelle mani dei demoni, esseri intermedi e mediatori tra il sommo ed ineffabile Dio e i mortali. Spesso Celso cita le maggiori tra le opere di Platone: il Fedro, il Timeo, la Repubblica, le Leggi, le Epistole, il Fedone, l'Apologia di Socrate. Tuttavia il suo non è pensiero originale: si tratta infatti dei passi platonici più noti nell'ambito della scuola e prettamente scolastico è il metodo di esposizione c di dimostrazione, sempre compendioso (v. per es. VII, 45). Ma ciò che rende interessante Celso non è tanto la sua conoscenza delle opere platoniche (e quella delle filosofie contemporanee e precedenti, nonché la conoscenza di Erodoto), quanto quella dei testi e delle dottrine ebraica e cristiana. Sebbene non siamo in grado di stabilire confronti, causa la perdita totale degli scritti anti-cristiani antichi, non possiamo che giudicare notevole e seria la preparazione di Celso circa gli argomenti trattati nel suo libro. Egli ha letto in modo attento c critico la Genesi e parte dell'Esodo sicuramente, e certo conosce i fatti salienti esposti nell'Antico Testamento; conosce bene i Vangeli sinottici ed ha notizia di quello di Giovanni; ha letto alcune epistole paoline e sa dell'esistenza dei Vangeli apocrifi. Sebbene

verdi anni, prendono di mano in mano vigore per far fronte a tuili gli impegni della vita cd agli stessi incarichi della vita militare c del campo, che pure sembrano occupazioni di tutt'altro genere.») Per la cuhura, per la preparazione filosofica ed il linguaggio di Celso v. A. Hernansanz., La sintesisfilos6fica del intelec/llal pagano del siglo Il d.C. «Miscelanea Comilla», 34, 1976, pp. 145 sgg.; F. Casavola, Il modello del parlante per Favorino e Celso «Atti Ace. Soc. Naz. Scienze Lei L Arti Napoli>>, 82, 1971, pp. 485 sgg.

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non li citi mai, è conoscitore degli apologisti cristiani del Il secolo a lui precedenti, dei quali confuta spesso le argomentazioni. Anche ammessa la priorità cronologica del Discorso della verità rispetto ad alcune apologie cristiane, resta sempre indiscutibile la conoscenza di quei problemi e di quei temi sui quali si svolgeva la disputa tra Ebrei e Cristiani e tra pagani e Cristiani. Non gli sono ignote, inoltre, le dottrine degli eretici, soprattutto quelle di Valentino e di Marcione. E non solo: alle attente letture Celso aggiunge anche le esperienze pratiche. Egli ha viaggiato in oriente e conosce gli ambienti di Palestina e di Egitto, i misteri e le loro dottrine, ha conversato con persone esperte di magia, ha assistito ai discorsi dei profeti da strapazzo, ha incontrato Cristiani, Ofiti, gente ignorante e dedita alla magia, e gente colta e versata nell'interpretazione allegorica. Tutto questo bagaglio di esperienze e di conoscenze, sulle quali trovano appoggio le argomentazioni della polemica celsiana, ben si spiega con gli interessi e gli indirizzi culturali del tempo. IL Il SECOLO

Il secondo secolo infatti è l'epoca della seconda sofistica, cioè di quel movimento culturale che tende alla ripresa, o meglio al recupero, dei contenuti e delle forme della cultura del passato e che si esplica in una attività letteraria molteplice e, seppure un po' scolasticamente, enciclopedica. La figura predominante in questo ambiente è tanto il conferenziere o illibellista, quanto il bozzettista o l'umorista. I temi trattati sono tra i più disparati: dalla politica alla religione, dalla morale ai consigli di vita pratica, in forme che vanno dall'esercizio retorico al romanzo. Per es., Favorino, che scrisse e parlò di varia cultura, di argomenti scherzosi, di filosofia, di personaggi celebri, 17

ecc., seppe anche, in una particolare occasione, sostenere la tesi che l'allattamento materno è superiore e migliore di quello della balia. 1 Il facile rimprovero di superficialità che spesso si rivolge a questa cultura sottovaluta, tuttavia, e a torto, la curiositas, l'amore per il ricercare ed il conoscere, che è propria di questo periodo. La bramosia di sapere che spinge Apuleio ad interessarsi delle arti magiche e dell'anatomia dei pesci è la stessa che spinge Celso a leggere la Genesi e a discutere coi falsi profeti. Sotto a questa curiositas c'è un'ansia di conoscenza religiosa, cioè un senso di insoddisfazione per quanto già acquisito e un desiderio di raggiungere un sapere supremo, ultimo c definitivo. Perciò, anche se non viene tralasciata l'esperienza della vita e quella dei sensi, anche se la strada che può portare a Dio passa spesso attraverso l'eros, la contraddizione tra ascesi e realismo, tra religione e sensualità, tra spirito di avventura (gli uomini di questa età sono appassionati viaggiatori) ed aspirazione ad una pace e quiete soddisfatte ci porta ad intravvedere in questo periodo un generale disagio spirituale che già spinge le persone colte verso soluzioni religiose e che ben presto troverà conclusione nella filosofia e teologia di Platino. Apuleio all'aspetto erotico-realistico del suo romanzo giustappone quello mistico e all'attività di conferenziere aggiunge quella filosofica e si occupa di Platone e dei demoni. Elio Aristide, oltre ai discorsi elogiativi e d'occasione e a quelli politici (Panegirico di Roma) o pseudoscientifici (Discorso Egiziano, sulle inondazioni del Nilo) scrisse anche sei Discorsi Sacri nei quali espone le sue idee religiose c le sue mistiche aspirazioni. La fede di Celso nei demoni, i suoi interessi per la religione e per i culti m isterici trovano, quindi, una matrice comune alle aspirazioni ed alle istanze culturali del tempo. Ma, a differenza degli altri esponenti della cultura contemporanea, Celso 1 V.

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Aulo Gcllio, Noli i Attiche, XII, l.

1: per noi, si potrebbe dire, l'unico interprete della sensi-

bilità ai problemi di politica religiosa e di politica generale del suo tempo. Difatti, sebbene il secondo secolo, fin quasi alla sua fine, sia stato un periodo di pace e di pro'perità, nonostante le guerre condotte da M. Aurelio ai confini dell'impero, i germi di quella crisi politica, istituzionale e religiosa che si sarebbe sviluppata per tutto il III secolo, erano già evidenti a chi, al di là della letteratura, era attento ai problemi dell'amministrazione e della sicurezza dello Stato. Questi problemi erano essenzialmente due: il Cristianesimo e la difesa dei confini. Al nemico esterno (Parti, Quadi, Marcomanni, ecc.) contro il quale l'impero chiamava a raccolta tutte le sue forze, s'aggiungeva un'insidia interna, giacché il Cristianesimo sottraeva allo Stato una consistente parte della sua linfa vitale, privandolo dell'appoggio e della lealtà di molti cittadini, i quali tendevano o potevano tendere alla rinuncia di ogni pubblica attività, per seguire una religione che li impegnava in modo totale e che giustificava tale impegno grazie ad una ormai precisata ed elaborata ideologia. Dalla metà del secolo in poi la cultura cristiana e il conseguente consolidamento dottrinario e filosofico si esplicano dapprima con gli apologisti (Aristide, San Giustino, Taziano, ecc.) e poi con le scuole (Clemente Alessandrino). Appunto questa nuova dottrina, ormai perfezionata e adulta è l'oggetto della critica di Celso il quale intende col suo scritto combattere quella che egli ritiene un'irrazionalità sul piano del pensiero e una mancanza di civismo su quello del comportamento. DATAZIONE DELL'OPERA

Le precedenti considerazioni e l'affermazione di Origene, che nel 248 scriveva: «Celso è scomparso già da molto tempo» (C.C. Proemio, 4} ci inducono a porre la composizione del Discorso della verità nella seconda me19

tà del II secolo. Più precisamente, l'uso del plurale per indicare l'imperatore (VIII, 71) potrebbe riferirsi a quei brevi periodi in cui gli imperatori furono due e cioè ai primi o agli ultimi anni del regno di M. Aurelio, quando questo regnò col fratello adottivo Lucio Vero (161-169) o quando regnò col figlio Commodo (176-180). Inoltre i cenni a recenti persecuzioni (VIII, 54c; VIII, 65a e sgg. e soprattutto VIII, 69) potrebbero riferirsi alle persecuzioni del 177 che, al dire di Eusebio di Cesarea (Storia Ecclesiastica, 5, l) furono particolarmente violente, anche perché sostenute dal cieco furore del popolo, in alcune parti dell'impero, dove i martiri si contarono a decine. Pertanto l'anno 178 sembra quello più probabile per la composizione dell'opera di Celso, tanto più che proprio in quell'anno l'imperatore Marco Aurelio riprendendo la guerra contro i Marcomanni aveva necessità dell'aiuto e del sostegno di tutti i cittadini: l'appello di Celso ai civici doveri (VIII, 73 e sg.) verrebbe così ad essere chiaramente giustificato. Non manca tuttavia chi, con argomenti altrettanto ipotetici, ma meno probanti, fissa la data di composizione del Discorso agli anni 161-169, sovvertendo così parzialmente il rapporto cronologico tra Celso e alcuni apologisti cristiani. 1 TITOLO DELL'OPERA

L'opera di Celso portava il titolo di a/ethès /ogos, la cui traduzione è problematica, varii essendo i significati che il termine /ogos può rappresentare e molteplici le allusioni che esso può contenere. Si tradusse quindi con Parola Vera, 1 con Argomento conforme a verità, 2 con Dottrina 1 Per

i problemi della datazione v. Borret,

so, pp. 122 sgg.

~ Keim, v. Bibliografia. 2 Da O. Bardenhewer, Gesc:hichte der a/tchrist/ischen Literatur l o, p. 173, Freiburg 1913.

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l't'race, 3 con Discorso veritiero. 4 Nello stesso testo celsiano compare l'espressione 16gos alethés in VI, 9, desunta da Platone, Epistola Vl/, 342a, col significato di «argomentazione, procedimento discorsivo e razionale capace di condurre alla verità». Data l'appassionata ammirazione di Celso per Platone, non si può escludere un significato del genere per il titolo di quest'opera. Tenendo conlo di ciò e del valore che il termine 16gos assunse nella sofistica del V secolo a.C., 5 abbiamo tradotto il titolo ccisiano con Discorso della verità intendendo lasciare cosi, almeno in parte, nell'espressione italiana (e ci riferiamo ai significa ti che la parola «discorso» assume spess? nel linguaggio corrente) la varietà o, se si vuole, l'ambiguità dell'espressione greca. l termini alethès logos sono pure usati da Giustino (Prima Apologia, 3, l; 43, 6; Dialogo, 92, 6) nel senso di «discorso o ragione verace», ed alcune delle prime apologie cristiane portavano il titolo di Sulla verità (sottint. Discorso). 6 Non è quindi fuor di luogo pensare che Celso abbia voluto contrapporre ai l6goi di Giustino o dei Cristiani un suo /6gos, nel quale la verità potesse trionfare, attraverso l'argomentazione chiara e serrata, sull'errore e sulla stoltezza. Certo questa traduzione esclude totalmente le altre possibilità interpretative, ugualmente legittime, che il termine 16gos permette. 7

3 Dal

Bader, Andresen, Colonna, ecc. v. Bibliografia. Dal Rougier, Borret, ecc. v. Bibliografia. ~Il logos per i sofisti (v. Gorgia, Elogio di Elena, 8) è: «gran sovrano ... che compie opere splendide: esso in falli può scacciare il timore, togliere il dolore, provocare la gioia», ecc. Esso è la forza della parola organizzata nell'espressione c nell'argomentazione, ma non necessariamente eticamente valida. 6 La parola logos, secondo Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, 4,26,2, era nei titoli (=discorso intorno a) di diverse opere di Melitone di Sardi e (ibid. 4,27) di Apollinare. 7 Per le questioni connesse col titolo dell'opera celsiana v. Borret, 5o, pp. 24 sgg. 4

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Prima fra tutte quella di «Dottrina» che potrebbe indicare, già fin dal titolo, il contenuto dottrinario dell'opera, cioè quell'originale filosofia della tradizione, che alcuni studiosi vi hanno scoperto e forse fin troppo esaltato. Per concludere, non si dimentichi che la parola 16gos aveva assunto nel Cristianesimo un significato teologico di primo piano, che Celso non ignora. CONTENUTO F. PARTI DELL'OPERA

È probabile che lo scritto di Celso si aprisse con una prefazione nella quale erano esposti gli argomenti principali di tutto il discorso: il Cristianesimo è da considerarsi una società segreta che segue una dottrina barbara e assurda. l Cristiani sono schiavi della magia e ostinati nella loro irragionevolezza, né si rendono conto che quanto vanno predicando non è che banalizzazione e fraintendimento di una dottrina ben più profonda, valida e razionale, concepita e trasmessa dagli antichi popoli e da uomini sapienti (1, 1-27). Dopo questa premessa, per dimostrare che il fondatore del Cristianesimo non può essere considerato l)n Dio e che i Cristiani non sono che transfughi dell'Ebraismo, Celso introduce il personaggio di un ebreo che in un primo discorso (1, 28-71), rivolgendosi direttamente aGesù, nega la sua nascita divina, confuta la possibilità che le profezie messianiche si riferiscano a lui, esclude la sua divinità alla quale contraddicono la meschinità della vita e l'ignobilità della morte. In un secondo discorso (Il) l'ebreo accusa i Cristiani di apostasia dalla tradizione ebraica e dimostra loro che Gesù non è Dio e che le prove che essi adducono per dimostrarne la divinità sono assurde e ridicole. Nella seconda parte (III-IV), uscito di scena l'ebreo, Celso si rivolge ora a proprio nome ai Cristiani per rinfacciare loro che la radice storica del Cristianesimo è co22

'tituita dalla dottrina ebraica, caratterizzata dallo spirito di ribellione, e che essi si comportano da persone irragioIH:voli perché, rifiutando la ragione e la scienza e respintJ,Cndo, per paura di essere scoperti e confutati, le persone sagge ed oneste, si rivolgono solo ai peccatori ed ai malfattori per condurli, grazie ad assurde minacce di futuri (astighi, all'adorazione di Gesù, cioè di un uomo mortale e morto, di gran lunga inferiore a quelle divinità della tradizione pagana che essi respingono (Ili). La discesa di Dio nel mondo è, infatti, un assurdo per la ragione, come assurda è la fede in una provvidenza divina che si preoccupi di una parte degli uomini e che per essi abbia creato e ordinato il mondo della natura (IV). Quale è allora la vera divinità e come si può valutare la concezione che di essa hanno i Cristiani? Nella terza parte (V-VII, 58) del suo Discorso Celso risponde a queste domande dimostrando come le varie proposizioni della dottrina cristiana siano fraintendimenti dei profondi insegnamenti dei sapienti e dei filosofi greci e come non abbiano quindi alcun fondamento proprio e ragionevole. Ecco perché i Cristiani, respingendo la scienza, pretendono la cieca fede! I concetti di «creatore», «creazione», «paradiso», come quelli di «umiltà», «amore del prossimo», ecc. sono corruzioni di altrettanti concetti esposti, con ben altra dottrina e chiarezza, dai filosofi. Chiude il Discorso una quarta parte (VII, 62-VIII}, nella quale si esamina il comportamento dei Cristiani, empio e sacrilego nei confronti delle vere divinità che governano il mondo, sleale e sedizioso nei confronti delle autorità che sovrintendono alla sicurezza dello Stato. Questa divisione del contenuto del Discorso proposta dal Bader e sostanzialmente accettata dagli altri studiosi, rende ragione dei frammenti celsiani secondo l'ordine in cui essi sono riportati nel testo di Origene, ma non pretende di riprodurre l'articolazione e la struttura dell'opera di Celso. Il personaggio dell'ebreo, che in due discorsi 23

(l, 28-11) confuta la divinità di Cristo ed accusa i Cristiani di apostasia, ci induce a credere che a questi discorsi facesse da contorno una «cornice», quale, per es., troviamo nei libri de Fini bus di Cicerone, nei quali le dottrine delle varie scuole filosofiche sono esposte da personaggi diversi e caratterizzati chiaramente nelle loro personalità e nei loro intenti. Alla fine del frammento V, 41 ed al principio del V, 33 si accenna a due «cori»: il primo è quello degli Ebrei, il secondo quello dei Cristiani; in VI, 3 si invitano, poi, gli «antichi sapienti» ad esporre la dottrina del Sommo Bene. Sembra, quindi, che la critica al costume ed alla dottrina degli Ebrei e dei Cristiani sia una risposta e un giudizio che Celso esprime di fronte alle proposte avanzate da quei due cori, partecipanti, per così dire, ad una gara di canto o di poesia, e che l'esposizione della «verace dottrina» della tradizione pagana sia affidata ad un terzo coro, quello che risulterà vincitore in questa gara, costituito dagli «antichi sapienti» guidati, come da un coriféo, da Platone. Una «cornice» di questo genere, che noi possiamo solamente immaginare e che naturalmente Origene, intento solo alla confutazione delle critiche di Celso, avrà ignorato, doveva dare all'opera celsiana quella dignità letteraria e quella parvenza di impostazione dialogica, che potevano trasferire la polemica sul piano di una equilibrata discussione filosofica 1 (si pensi al Dialogo con Trijone di Giustino ed all'Octavius di Minucio Felice). 1 Cfr. Cicerone de Fini bus, l, 8, 27-28: « ... disserentium inter se reprehensiones non suni vituperandae; maledicta, contume/iae, tum iracundiae, contentiones concertationesque in dispurando pertinaces indignae philosophia mih i videri solent ... neque enim disputari sine reprehensione nec cum iracrmdia aut pertinacia recte disputari potest)). [«Non dobbiamo biasimare la ~ritica fra persone di opinioni opposte; ma gli insulti, le ingiurie e poi l'acrimonia, il litigio e la caparbia ostinazione nella discussione mi sembrano cose indegne della disputa filosofica ... Senza critica, infatti, una discussione non è possibile, ma non è

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l'REGI E LIMITI DELL'OPERA

/.e accuse precedenti. Per quanto polemico, ironico e talora sarcastico sia il tono dello scritto di Celso, le argomentazioni e le accuse in esso contenute si distinguono nettamente per serietà ed informazione dal resto, a noi noto, delle calunnie, infondate e deliranti, che il popolo aveva rivolto e rivolgeva ai Cristiani e che anche le persone colte spesso facevano proprie. Il netto rifiuto di ogni farina di culto pagano, il patto d'amore e di mutua assistenza che legava i fratelli in Cristo, la segretezza dei riti e, non ultimo motivo, lo stesso modesto livello sociale dei primi Cristiani avevano alimentato nel popolo pagano i sospetti e la persuasione che il Cristianesimo fosse una religione di turpitudine e di sedizione, la cui esistenza in seno alla società costituisse una minaccia perenne per lo Stato e una costante offesa per i suoi dei. Le calamità naturali erano spesso interpretate come segno dello sdegno della divinità per il sacrilegio che la presenza dei Cristiani rappresentava nella società. S. Agostino (De Civitate Dei, Il, 3) ricorda che ancora agli inizi del V secolo il popolo ripeteva il detto: «Piuvia dejit, causa Christiani» («Non vuoi piovere, la colpa è dei Cristiani»). 1 Uno storico serio e bene informato come Tacito così scriveva agli inizi del Il secolo (Annali, 15, 44): « ... quelli che erano detestati per le loro turpitudini e che il volgo chiamava Cristiani. Origine del nome da Cristo che, sotto il principato di Tiberio, dal procuratore Ponzio Pilato era stato condannato al supplizio; repressa sul momento, tale funesta superstizione si faceva di nuovo strada, non solo in Giudea, dove il male aveva avuto origine, ma anche a Roma, ove ciò che nemmeno possibile una corretta discussione se c'è livore ed ostinazione.»] Ma non sempre Celso nella sua discussione sa contenere l'ira e lo sdegno. 1 Cfr. S. Cipriano, A Demetriano, 3 sgg.

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v'è di detestabile c vergognoso affluisce da ogni parte e attira le folle». (trad. Rusca) E un magistrato romano colto ed equanime come Plinio il Giovane, durante un'inchiesta sui Cristiani di Bitinia (inizio del II secolo), non esitò a mandare a morte coloro che perseveravano nel dichiarare la loro fede cristiana. «Non dubitavo, infatti,» scrive il magistrato all'imperatore Traiano «qualsiasi cosa fosse ciò che essi confessavano, che si dovesse punire almeno tale pertinacia ed inflessibile ostinazione» (Lettere, X, 96). Il so~petto che in questa religione si celassero chissà quali orribili pratiche Io spinse poi a sottoporre a tortura «due schiave, che venivano dette saccrdotesse. Ma non venni a scoprire altro che una superstizione irragionevole e smisurata» (ibid.). Ma, sebbene Plinio non avesse scoperto nessuna prova che giustificasse le accuse, le calunnie dilagavano e si moltiplicavano e non solo venivano ripetute dal volgo, ma erano anche accolte dagli esponenti della cultura. L'oratore Frontone di Cirta tenne in senato (sotto il regno di Marco Aurelio) un discorso contro i Cristiani attingendo le prove a sostegno dei suoi argomenti dalle chiacchiere del popolo. «È con dei segni e simboli segreti che si riconoscono fra· loro» così si esprime Cecilio, il portavoce del paganesimo nel dialogo di Minucio Felice (inizio III sec. d.C.) «e si amano l'un l'altro quasi prima di conoscersi: a volte essi praticano un culto che è sfogo di lussuria e si chiamano indistintamente tra loro fratelli e sorelle, sì che per l'intervento di quel nome sacro ciò che sarebbe semplice commercio carnale diviene incesto. Così la loro vana c sciocca superstizione si gloria di tali delitti! Se non vi fosse un fondo di verità, la pubblica opinione, che è perspicace, non riporterebbe sul loro conto dei delitti talmente vergognosi e abominevoli da non potersi ricordare senza chiedere licenza. Sento dire che essi consacrano e adorano la testa dell'animale più vile, l'asino, 2 spinti da non so 2 V. fig. 3.

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quale credenza: religione ben degna e fatta apposta per simili costumi! Altri raccontano che essi adorano i genitali del loro capo e sacerdote, quasi adorassero il sesso del proprio genitore: non so se ciò sia vero, ma certamente la segretezza delle cerimonie notturne autorizza il sospetto! Si va dicendo che oggetto del loro culto sia un uomo punito per delitti di pena capitale, e così pure un funereo legno di croce, e vengon loro attribuiti degli altari ben degni di gente infame e criminale, perché adorino ciò che si meritano. Il racconto che si fa circa l'iniziazione dei nuovi adepti è così terribile quanto noto. Un infante viene impiastricciato di farina per ingannare chi di nulla sospetta ed è posto dinanzi a colui che deve essere iniziato ai misteri. Tratto in inganno dallo strato di pasta che lo copre e convinto che i suoi colpi sono inoffensivi, il neofita uccide l'infante con delle ferite invisibili e nascoste. Oh sacrilegio! essi ne leccano avidamente il sangue, a gara se ne disputano le membra, con tale vittima cementano il patto, con tale complicità nel delitto si impegnano a un mutuo silenzio! Queste cerimonie sono più terribili di qualsiasi sacrilegio. E i loro banchetti sono pure ben noti: dovunque se ne parla, c ne è anche testimonianza il discorso pronunciato dal nostro compatriota di Cirta. 3 Nel giorno della festa si riuniscono per il banchetto con tutti i figli, le .sorelle, le madri, gente di ogni sesso e di ogni età. Quivi, dopo un copioso pasto, quando l'eccitazione del banchetto è al colmo e cresce l'ardore dell'ebbrezza di empia lussuria, con un boccone gettato oltre il 1 Marco Cornelio Frontone, illustre oratore e professore di eloquenza, maestro di Marco Aurelio e di Lucio Vero, ~onsole nel 143 d.C., tenne in Senato un discorm contro i Cristiani, raccogliendo le accuse e le dicerie diffuse Ira il popolo, cfr. Tertulliano, Apologerico, 7, l: «Siamo, si dice, dei grandi delinquenti, a cagione di un rito che consiste nell'infanticidio, nel nmrimcnto che ne traiamo, ed a causa dell'incesto commesso dopo il banchetto, ove i cani, spegnendo le luci, quasi lcnoni delle tenebre, assicurerebbero la riservatezza di empie libidini» (trad. Rusca).

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limite concessogli dalla fune eccitano un cane, legato a un candelabro, a slanciarsi innanzi impetuosamente. In tal modo, rovesciato e spento il lume che avrebbe potuto tradirli, perduto nell'oscurità ogni pudore, a caso si avvinghiano nella stretta di una criminosa libidine; se non tutti incestuosi nel fatto, certamente nell'intenzione ugualmente colpevoli, giacché tutti cercano nel loro desiderio ciò che può accadere a ciascuno di compiere» (Minudo Felice, Octavius, cap. 9, trad. Rusca). E chi non si abbassava a tale tipo di calunnia, come Epitteto o Marco Aurelio, non esitava, riprendendo la posizione e il giudizio di Plinio il Giovane, a condannare l'ostinazione e l'irragionevolezza dei Cristiani, senza chiedersi il perché di quell'ostinazione, senza cioè darsi la pena di ricercare i motivi o le giustificazioni di quell'atteggiamento. Oppure, come fece Luciano, ne metteva alla berlina l'ingenua credulità e il patto d'amore: v. La morte di Peregrino, l l sgg. (trad. Settembrini): «Ed allora egli apprese la mirabile sapienza dei Cristiani, avendo in Palestina stretta amicizia con i loro sacerdoti e dottori. Ma che? In breve costoro parvero fanciulli a petto di lui: egli profeta, egli pontefice, egli capo delle loro adunanze; egli solo era il tutto; interpretava e spiegava i libri, ne scriveva anche molti, e quelli lo stimavano come un Dio, lo tenevano loro legislatore, lo intitolavano loro signore perché essi adorano ancora quel grand'uomo crocifisso in Palestina, che introdusse questa novella religione nel mondo. In quel tempo Proteo fu preso come cristiano e gettato in carcere: la qual cosa gli acquistò grande autorità di poi, e fama di santità, di che egli molto si compiaceva. Come egli fu in prigione, i Cristiani, stimando che la sua fosse una comune loro disgrazia, tentarono ogni via per trarnerlo, e non potendo riuscirvi, gli prestavano ogni specie di servigi con somma cura. Da che spuntava il dì si vedevano innanzi al carcere vecchie, vedove, orfanelli; i loro 28

capi, avendo corrotto i custodi, entravano e passavan la notte con lui; gli erano portate ogni maniera di vivande; si facevan sacre preghiere per lui; e l'ottimo Peregrino (ché così era chiamato ancora) era tenuto da loro per un novello Socrate. Ed anche da alcune città dell'Asia vennero messi a nome delle comunità dei Cristiani, per confortarlo, sovvenirlo, difenderlo. Non si può dire quanta sollecitudine mostrano tutti quanti in simili casi, e come non risparmiano alcuna cosa; ... Poiché credono· questi sciagurati che essi saranno immortali e vivranno nell'eternità; e perciò sprezzano la morte, e volentieri le vanno incontro. E poi il loro primo legislatore li persuade che sono tutti fratelli tra loro: e come si sono convertiti, rinnegano gli dei dei Greci, adorano quel sapiente crocifisso, e vivono secondo le sue leggi. Per la qual cosa disprezzano tutti i beni egualmente, e li credono comuni, e non se ne curano quando li hanno. Per ciò se tra loro sorgesse un accorto impostore che sapesse ben maneggiarli, tosto diventerebbe ricco, canzonando questa gente credula e sciocca». La serietà di Celso.

Ben altra è la serietà e l'informazione di Celso. Egli dimostra di conoscere tanto la dottrina ebraica quanto quella cristiana, avendo attinto a due tipi di fonti: agli scritti sacri ed alla pratica religiosa contemporanea. La sua critica alla religione ebraica non s'appoggia solo alla lettura diretta di parti dell'Antico Testamento, 4 ma anche alla tradizione tardo-giudaica, le cui forme dottrinarie e pratiche gli sono note. È al corrente della polemica giudeo-cristiana e delle calunnie che sul Cristo e sulla madre di Cristo gli Ebrei diffondevano, ed è informato 4 V. G. T. Burke, Celsus and the 0/d Testament, «Vetus Testamentum», 36, 1986, pp. 241 sgg.

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su quel culto degli angeli che, se non sul piano della dottrina, almeno su quello della pratica quotidiana, gli Ebrei non erano lontani dal seguire. Egli ha letto le fonti scritturali della dottrina cristiana e conosce le varie posizioni dei gruppi eretici che, per amor di polemica, non vuoi distinguere dagli ortodossi. È probabile che abbia anche apprezzato qualche affermazione di Marcione, soprattutto quelle con cui l'eretico respingeva l'insegnamento dell'Antico Testamento e il Dio degli Ebrei, maligno creatore di un mondo imperfetto. Inoltre, nell'indagine celsiana, sono ammirevoli i contatti, le interviste e le discussioni con i rappresentanti della nuova fede, piccoli e grandi. Celso ha avvicinato gruppi cristiani diversi e certamente, tra questi, anche dei pessimi interpreti della dottrina. Incuriosito, ha chiesto spiegazioni sul diagramma degli Ofiti, sulle pratiche magiche popolari ed ha anche cercato di discutere e di convincere: senza successo, però, e trovando sempre di fronte a sé quella fede per lui assurda. Oltre a conoscere la pratica del popolo cristiano, Celso ha anche appreso la dottrina elaborata dai primi filosofi o dotti cristiani. Non possiamo essere certi che egli sia direttamente informato dagli scritti di Aristide o di Giustino o di quanti altri apologisti, a noi poco noti, avevano scritto prima di questi, tuttavia i temi delle loro discussioni gli sono noti anche nei dettagli, come note gli sono le polemiche che gli ambienti colti' alessandrini avevano sostenuto e sostenevano contro gli Ebrei in campo storico, cronologico e culturale.

!limiti: lo spirito polemico. Ma qualcosa nuoce all'opera di Celso: è Io spirito polemico che porta l'autore al semplice sfruttamento di tanto materiale di informazione, senza un vaglio critico, senza un'indagine volta alla ricerca di quella verità che in esso 30

poteva celarsi. Gli stessi testi e le stesse informazioni sono usate ora in un senso, ora in un altro del tutto contrario al primo. Quando serve, si invoca la testimonianza del Vangelo e quando serve la si respinge. Per criticare la vacuità della dottrina, si mette in rilievo la discordia tra le sette, ma per la stessa critica si usano le affermazioni di una setta intendendole come quelle dell'ortodossia. Eretici e ortodossi sono ora un tutto unitario, ora una miriade di pensatori diversi. Per accusare il Cristianesimo s'invoca la dottrina ebraica, ma, esaurito il suo compito polemico, anche questa viene coinvolta nella stessa critica in cui incorre il Cristianesimo.

L 'incertezza ideologica. In questo spirito polemico e in questo uso acritico degli argomenti sono coinvolte la stessa dottrina di Celso, la sua cultura c la sua religione. Pur di confutare, l'autore non esita, infatti, ad usare argomentazioni dipendenti da ideologie diverse e talora opposte, di volta in volta valide di per sé, solo a patto che non ci si ricordi delle argomentazioni usate altrove. Oltre al platonismo, anche Io stoicismo e l'epicureismo sembrano fornire a Celso le armi più opportune per la sua critica, e qualche volta l'argomento sembra avere una matrice prettamente scettica. Nel pensiero antico non possiamo trovare un contrasto più vistoso di quello tra stoici ed epicurei: ebbene, Celso usa argomentazioni stoiche (la dottrina dello Spirito, per es.) ed argomentazioni epicuree (la negazione del primato degli uomini sugli animali, per es.), indirizzandoli allo stesso fine ed assegnando loro identico valore. Grazie a questo procedimento il pensiero antico ci appare molto più unitario c compatto di quanto in realtà esso non fu. Il primato dell'uomo su tutto il creato, l'esistenza e l'efficacia della provvidenza di Dio, la creazione del mondo, 31

ecc. erano tesi sostenute dalla filosofia pagana ancor prima del sorgere del Cristianesimo, ed ancor prima di Celso queste tesi avevano trovato i loro avversari e le loro confutazioni. Ed è proprio di queste confutazioni che Celso si serve per dimostrare l'assurdità delle tesi cristiane, le quali pertanto risultano assurde solo perché sono cristiane!

L 'incertezza della posizione religiosa. È inoltre grave, nella posizione polemica di Celso, la mancanza di una unità di misura fissa in base alla quale giudicare il valore delle credenze e delle religioni. Da chi critica la credulità, l'inclinazione alla magia, il culto degli angeli, ecc., ci aspetteremmo una condanna netta e totale di questi atteggiamenti, non una semplice scala di valori e di importanze. Invece Celso non fa che contrapporre alla fede nel Cristo la fede in Asclepio, ai miracoli del Cristo i miracoli degli «eroi» pagani, al «demone», all'«idolm> Cristo lo sterminato stuolo dei demoni del medio-platonismo. Condanna il culto che i Cristiani tributano a un morto, ma accetta l'onore che gli Egiziani rendono ai trentasei demoni che governano la salute del corpo! Critica come fraintendimento e banale imitazione la dottrina del diagramma degli Ofiti, ma accetta e giustifica il suo presunto modello, cioè la dottrina dei misteri di Mitra. Questi dunque i limiti dell'opera e del pensiero di Celso: uno spirito polemico che ostacola l'approfondimento critico delle conoscenze acquisite; un uso indiscriminato di argomenti di diversa matrice ideologica; una contraddittorietà di fondo nello stesso atteggiamento religioso. Di qui l'incertezza nell'identificare la posizione filosofica di Celso, il quale per alcuni risulta un epicureo, con tendenze platoniche, per altri un eclettico, per altri anco32

ra, e sono i più, un platonico. s Una superiore unità del pensiero celsiano è sostenuta in un mirabile libro da C. Andresen, 6 il quale scorge in Celso colui che unificò nel nome dell'anti-cristianesimo tutte le forze morali, filosofiche e religiose, comunque positive e attive, che la veneranda tradizione poteva ancora prestare. Celso sarebbe, dunque, il portavoce di tutta quanta la classicità contro la nuova religione cristiana minacciante la dissoluzione della ragione e del costume tradizionale. Le contraddizioni che il metodo seguito da Celso denuncia, la confusione tra ortodossi ed eretici, l'ambiguità sul piano della religione vengono così attenuate o giustificate. Gli insegnamenti della saggezza degli uomini e dei popoli antichi, filtrati attraverso la speculazione platonica, rappresentano quella «dottrina» che il paganesimo oppone alla nuova, sovvertitrice religione. l meriti dello studio dell' Andresen sono indiscutibili: vanno ridimensionati senza dubbio i giudizi maligni e spesso affrettati espressi sul vano conservatorismo di Celso, sulla debolezza o sulla superba presunzione del suo discorso, sulla vastità della contraddizione dei suoi sentimenti religiosi; resta tuttavia ancora difficile accettare questa nuova figura di un Celso filosofo originale, nettamente superiore ai pensatori suoi contemporanei, Epitteto e Marco Aurelio compresi. È vero che in Celso si rileva una unità di pensiero, è anche vero che in Celso è presente una chiara adesione agli ideali umani e religiosi dei quali la tradizione pagana era portatrice, è anche indiscutibile in lui la sensibilità al problema politico, come chiarissima è la consapevolezza 5 Epicureo per il Rougicr, eclettico per il Bordcs (L 'apologétique d'Origène d'après le Contre Ce/se, Paris, 1900), Celso è giudicato neo o medio platonico da Zeller (Die Philosophie der Griechen 3°, 2, pp. 231 sgg., Lcipzig, 1909), O. Glòckner, P. de Labriolle, ecc. (v. Bibliograj!a). C. Andresen, Logos und Nomos. Die Polemik des Kelsos wider das Christenrum, Berlin, 1955.

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del pericolo cristiano incombente sulla sicurezza dello Stato e della stessa libertà religiosa. Ci sembra tuttavia altrettanto indubitabile che il pensiero di Celso rientri nei limiti del buon senso e dell'equilibrato giudizio di chi, fornito di buona cultura, seriamente informato e sinceramente interessato ai problemi politico-sociali del suo tempo, matura in sé, e trova la capacità di esprimere, una visione complessiva delle cose, ragionevole sì, ma non per questo tale da meritare i titoli di originalità e di filosofia. FORTUNA DI CELSO

Nessun autore antico, cristiano o pagano, fa menzione di Celso o dell'opera sua tranne Origene. 1 Tuttavia sia nell'apologetica greca che in quella latina degli ultimi decenni del II secolo e del principio del III secolo, spesso compaiono confutazioni, ragionamenti, allusioni che sembrano presupporre qualcuna delle argomentazioni celsiane.2 Neii'Octavius di Minucio Felice, per es., Cecilia (il Celso di Minucio) rivolge ai Cristiani, per il loro comportamento nei confronti della vita civile, un rimprovero che, nel contenuto ed anche nella forma, assomiglia molto da vicino ad un frammento di Celso. 3 Tuttavia, se le coincidenze non si possono negare, non si possono nem1 Il Celso epicureo, invece, oltre che a Luciano, fu noto al medico Galeno (contemporaneo di Luciano), che nell'elenco delle proprie opere cita una Leltera a Celso epicureo (De libris propriis, 16). 2 Presso Minucio Felice e Tertulliano (Apo/ogeticum), presso Teofilo di Antiochia (Ili libro ud Autolico, scritto verso la fine del Il secolo) e persino, come qualcuno crede, nella Lettera a Diogneto, di datazione molto incerta. V. i saggi del Vcrmandcr cit. a pag. 49 e C.T.H.R. Erhardt, Eusebius and Ce/sus

Degli ottocento scritti di Origene, quasi tutti perduti o pervenutici in modo frammentario, incompleto o in traduzione latina, il Contro Celso fu, tra le opere importanti di Origene, quella più nota e più fortunata. Nel IV secolo S. Basilio e S. Gregorio di Nazianzo curarono una 4 La data si può ritenere sicura. Eusebio (Storia Ecclesiastica, 6,36) dice che Origene compose i suoi otto libri contro l'opera «di Celso epicureo intitolata Discorso della verità» quando aveva superato i sessan· t 'anni, cioè dopo il 245. Poiché nel libro III, 15 Origene ammette che già da tempo è cessata per i Cristiani ogni paura, dobbiamo credere che non era ancora ini7.iata, quando Origene scriveva il Contro Celso, la persecuzione di Decio (autunno de1249 d.C.). Dati i cenni alle ribellioni contro l'autorità imperiale (regnava Filippo l'Arabo, 244-249), ribellioni che noi sappiamo avvenute nell'anno 248, lo scrillo di Origene non può risalire che a quell'anno. 5 Citatoap.ll,n.l.

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raccolta antologica degli scritti di Origene (Philocalia). Questa raccolta è costituita per un terzo da estratti dai libri I-VII del Contro Celso. L'antologia ebbe un'edizione nel VI sec. dalla quale fu trascritto nel VII sec. quel manoscritto da cui dipendono circa cinquanta codici medievali, i migliori dei quali sono il Patmius 210 del X secolo e il Venetus Marcianus 41 dell'XI secolo. Il testo completo del Contro Celso, a sua volta, è contenuto in 18 manoscritti interi e 7 parziali (tra i principali il Parisinus supplem. gr. 616 dell'anno 1339, il Venetus Marcianus 44 del XV secolo, ecc.) che dipendono tutti dal Vaticanus graecus 386 scritto nel XIII secolo.

Edizioni. L' Editio princeps del Contro Celso è quella stampata nel 1605 ad Augusta a cura di D. Hoeschel. Nel 1619 comparve a Parigi l'edizione della Phi/oca/ia a cura di J. T ari n e nel 1658 quella del Contro Celso e della Philocalia unite insieme, a cura di W. Spencer, Cambridge. Tutte queste edizioni, fondate su manoscritti per Io più secondari, furono superate da quella di C. e V. Delarue, Parigi, 1733-1759 che raccolse tutto il complesso delle opere di Origene a noi pervenute e che fu riprodotta nelle edizioni successive, fino a quella del Migne, 1857.

Edizioni moderne. L'esame accurato dei manoscritti e gli studi sulla tradizione del Contro Celso e della Philoca/ia condotti verso la fine del secolo scorso da P. Koetschau 1 e da J .A. Robinson 2 portarono all'esatta classificazione dei codici e 1 Die Textiiberliejerung der Biicher des Origenes gegen Celsus, Leipzi"l, 1899. Nell'introduzione a: The Philocalia of Origen, Cambridge ,1893.

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permisero il sicuro stabilimento del testo. Il Koetschau pubblicò la sua edizione del Contro Celso nel 1899 a Berlino (sono i primi due volumi dell'edizione completa delle opere di Origene). La superiorità della tradizione diretta, sostenuta dai due studiosi citati, rispetto alla Phi/ocalia fu in seguito messa in discussione. Tuttavia l'edizione del Koetschau resta l'edizione scientifica fondamentale, anche se la scoperta di un nuovo manoscritto contenente parti del l e del li libro del Contro Ce/so 3 ha dimostrato che, ferma restando la sua superiorità, la tradizione diretta denuncia qualche difetto. Notevole, nuova ed aggiornata è la recente edizione critica, accompagnata dalla traduzione francese, note e vaste appendici, curata da M. Borret, Origène, Contre Ce/se, Parigi, 1967-1976 in cinque volumi, l'ultimo dei quali è dedicato all'esposizione critica dei vari problemi rjguardanti Celso e Origene.

Traduzioni. Oltre alle ottime traduzioni moderne del Contro Celso: P. Koetschau, Des Origenes acht Biicher gegen Celsus, Miinchen, 1926-27, nella quale il traduttore accetta alcune correzioni proposte dai critici della sua edizione; H. Chadwick, Origen, Contra Celsum, Cambridge, 1952, 2" ed., 1965 con importante introduzione ed ampie note; D. Ruiz Bueno, Origenes, «Contra Celso», Madrid, 1967; A. Colonna, «Contro Celso» di Origene, Torino, 1971; non vanno dimenticate le traduzioni latine del XV e XVI secolo, come quella romana del 1481 ristampata a Venezia nel 1514 e 1516, e quella, di molto superiore, di Sigismondo Gelenius del 1557 che figura accanto al testo gre3 Papiro di Tura (villaggio presso Il Cairo ove fu scoperto), pubblicato da J. Schérc:r, Extraits des livres I et Il du > 1978, p. 125. l rapporti di dipendenza, indicati dal Vermander, degli apologisti del Il sec. da Celso sono ribaditi e dimostrati sicuri da J. Schwartz, Celsus redivivus, «Rev. H ist. Philos. Rélig. » 1973, pp. 399 sgg., il quale sostiene le sue tesi sovvertendo il rapporto cronologico tra Celso e gli apologisti; sulla stessa questione cronologica v. J. M. Vermander, La parution de l'ouvrage de Ce/se et la datation de quelques apologies, «Rev. Et. August.», 1972, pp. 27 sgg.; H. U. Rosenbaum, Zur Datierung von Celsus Alethes Logos, «Vig. Christ.», 1972, pp. 102 sgg., che reputa troppo vago il cenno ai due imperatori (VIII, 71) perché sia assunto come dato cronologico. Studi su Celso sono compresi in opere che tratlano dell'apologetica cristiana del II secolo, come J. Geffcken, Zwei griechische Apologeten, Leipzig, 1907; e in quelle che espongono 50

la storia della reazione pagana al Cristianesimo, come P. De Labriolle, La réaction pai"enne. Étude sur la polémique antichrétienne du l au IV siècle, Paris, 1934 (rist. 1948). Sui rapporti tra lo Stato romano e il Cristianesimo v. lo studio complessivo di M. Sordi, Il Cristianesimo e Roma, Bologna, 1965 c, della stessa, i saggi su particolari questioni: l primi rapporti fra lo Stato romano e il Cristianesimo e l'origine delle persecu:;ioni, «Rendic. Ace. Lincei», 12, 1957, pp. 58 sgg.; l rescritti di Traiano e di Adriano sui Cristiani, «Riv. St. della Chiesa in Italia», 1960, pp. 344 sgg.; l «nuovi decreti» di Marco Aurelio contro i Cristiani, «St. Romani», 1961, pp. 372 sgg.; Le polemiche intorno al Cristianesimo nel/l secolo, «Riv. St. della Chiesa», 1962, pp. l sgg.; La politica di Roma verso i Cristiani, «Vita e Pensiero)), 1972, fase. 6°, pp. 48 sgg. ed iv i v. anche R. Cantalamessa, Polis, patria e nazione nel sentimento della grecità e del primitivo Cristianesimo. Sullo stesso tema v. l'esposizione critica dei libri di J. Speigl, Der romische Staat un d die Christen, Amsterdam, 1970 c di R. Freundenberger, Das Verhalten der romischen Behorden gegen die Christen im 2 Jahrhundert, Miinchen, 1969 in C. Moreschini, Lo sviluppo del Cristianesimo e l'autorità imperiale in alcuni sllldi recenti, (amore che supera quello, fraterno, che l'uomo nutre verso gli uomini, cfr. P. Il 1,7: «aggiungete all'amor fraterno la carità>>) era per il pagano Celso qualcosa di superiore a qualsiasi concepibile legame tra persone e perciò stesso, probabilmente, era sospetto.

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2. 'Effp,; {Ja(!{J~v Cj)TJOIY llJ'W{hv elvm TÒ Mypa, bTJ~OYOTI TÒY ioubciiO"iJOV. OU XPIO"TIQVIO"iJÒ'O ~PTTJTQI . Kal EÙTVWI&6VW'O TE OÙK òvubltEL t1tì T~ à1tò ~ap~apwv àpxi) T'i' ~6TI.!l t1ta1vwv W'O lxa~ dJeeiv ooypaTa TOÙ; (Jae(Jdf!av' • npoaTi9TJO"I bt TOUTOI'O !in X{lival xaì {Je(JaedxlaaOat xaì àax1jaa1 ~ò; ri{>enjv Tà i-:rrò fJaefJdew•· eV(!e6b'Ta à1teivové; eiaev • EiJ,,}''t; •

3. Mnà TQUTQ ltEpÌ TOU xetlqla X!,>laTIQI'OV; Ta Q(.JEGXTà p.a{J>jpata Èyl'WICOTC; :I!O~iv T1' av1:ò ;m·~a·t:ut:n 1ra';!' dvD(!rlmat;, ànoarqva& Toii 66·ncaro; t'l :rlaaaafJac ,::,; àrianpce• i} Uaevov ynlafJa1 . b) . . . TrpOC1lTOitiTOI :lt(!Ei'I:TOI' TI 'I:OV 'Yijii'OV Li1•a1 bo Ùl'fJ(!t{)nt~ C1tJ'Y'Yt:!IÈ; ileov Kai q>!JOIV OTI oi; T:oii'l:o €V lr.ct, touttatJv ~ \IIUX~ 1 7rclJ'Tl7 itp/nr'l:a1 Toii C1tJ'Y'YnoV;, AlyEI bÈ TOÙ 6EOU, ~ai b.ovw• à.J TI

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13 Celso non può definire «segreta» una dottrina che dimostra di conoscere anche nei dettagli. «Quasi tutto il mondo conosce la predicazione crisliana», ribatte giustamente Origene e nelle apologie del li sec. d.C. (Arist. 1.5; Giusl. l 6,2; 15-19; ecc.) troviamo più o meno vaste esposizioni della dottrina cristiana. Si può quindi pensare che Celso alluda, in questo breve ed oscuro frammento, ad una «tradizione esoterica concernente l'esegesi di certi temi delle sacre scritture>> (J. Daniélou, Message évangélique et culture hellénistique, Tournai, 1961. pp. 427-460) oppure alle pratiche misteriche di certe sette gnostiche che Celso non distingue dalla Chiesa ortodossa. Ma forse Celso vuoi condannare qui la segretezza o meglio la discrezione con cui la religione crist iana, nei suoi culti, nelle sue associazioni, ecc., veniva praticata (si ricordino, per es. le catacombe). Cfr. l, 3. 14 Celso non allude qui (come Origene vuoi fare intendere) al martirio cristiano, ma alla costanza del filosofo (si ricordi Socrate). Il martirio cristiano per i pcnsatori pagani è frutto di fanatismo e di irragionevolezza. V. Epitt. 4,7 ,6: «Si può essere così disposti (alla morte) per follia ... e i Galilei ( = Cristiani) lo sono per carauere»; Marco Aurelio, Il ,3: «Come ammiro un'anima che sa tenersi pronta di fronte alla prossima eventualità di sciogliersi dal proprio corpo! ... Si/fatta prontezza tu fa' in modo che provenga da un giudizio specifico, non già in 1•irtù di mera ostinazione, come fanno i Cristiani, bensì a ragion veduta ... >) (v. F. Martinazzoli, Parataxeis, p. 17).

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(1, 7) La dottrina è dunque segreta.

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- Se è giusto, uno volto abbracciato una dottrina, restare od essa fedeli, è pur vero che, nell'accettarla, ci si deve sempre appellare alla ragione. l Cristiani invece credono irragionevolmente. (l, Sa) E non voglio dire che chi abbraccia una buona dottrina, quando per essa corresse pericolo t 4 nel mondo, debba abbandonarla o simulare di averla abbandonata o sconfessarla. (b) Infatti nell'uomo c'è un qualcosa che è affine alla divinità e superiore alla materia, e le persone in cui questa parte si esplica aspirano rettamente con tutte le loro forze all'essere che è loro affine e bramano che si dica e si ricordi loro sempre qualcosa che lo concerna. t 5 (l, 9) Ma nell'accogliere le dottrine bisogna seguire la ragione ed una guida razionale, perché chi accoglie il pensiero altrui senza questa precauzione è sicuramente passibile di inganno. t 6 I Cristiani t? invece fanno proprio

1. 20 Gii iniziati ai misteri di una divinità si identificavano con essa e spesso venivano chiamati col nome del dio. Mitra, in origine divinità iranica, poi identificato con le divinità solari elleniche, ebbe culto misterico in Occidente a partire dal l sec. a.C. Sabadio, divinità trace e frigia della vegetazione, fu associato con Mitra e con Attis e quindi con

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come quelli che, contro i principi della ragione, prestano fede ai sacerdoti questuanti di Cibele, 18 agli indovini, 19 ai vari Mitra e Sabadii 20 e al primo venuto, comprese le apparizioni di Ecate o di altra dea o di altri demoni. Come infatti tra quelle persone spesso degli uomini scellerati trovano facile terreno nella dabbenaggine di chi si lascia facilmente ingannare e le portano dove vogliono, così succede tra i Cristiani. Alcuni su ciò in cui credono non sono disposti né a dar conto né a riceverne, ma si limitano a dire: «Non indagare, ma abbi fede» e «La tua fede ti salverà». E aggiungono: «La sapienza nel mondo è un male, la stoltezza un bene». 21 (l, 12) Ora, se accetteranno di rispondermi, non già perché io voglia farne esperienza (so già tutto), ma perché di tutti io mi curo senza spirito di parte, stia bene così; ma se non accetteranno e diranno come è loro abitudine «Non indagare» e quel che segue, allora sarò costretto ad insegnare ad essi quale è il genere delle cose che dicono e da dove queste traggono origine.

la Dea Siriaca e con Cibele. Ecate, in origine divinità lunare, ma spesso confusa con Artemide e con Persefone, era anche la massima dea delle mafhe e delle incantatrici. 2 La prima espressione fraintende i passi evangelici nei quali «credi» o «abbi fede» non sono affatto contrapposti a «indaga>> e non si riferiscono alla dottrina, ma al miracolo (v. Mc. 5,36: «Non temere, solo abbi fede»). Celso, quindi, di proposito e polemicamente, presenta una sua versione dei testi, oppure si vuoi riferire a quei cristiani che respingevano ogni altro mezzo di conoscenz.a della verità che non fosse la pura fede. La seconda espressione (cfr. Mt. 9,22; Mc. 5,34; L. 7,50; ecc.) non si trova mai tal quale nei Vangeli, ma sempre nella forma «li ha salvato». La terza espressione è simile a quella di Paolo (C. l. 3,18-19: «Nessuno dunque si illuda: se qualcuno tra voi si crede sapiente in questo mondo, si faccia stolto per divenire sapiente. Perché la sapienza di questo mondo è stolteu.a davanti a Dio>>.

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14 a) ~t'Yf't~'ftar• :ra!!à :raij.oi; n>), semplici nel modo di vita (i Galallofagi si nutrivano solo di latte e di cacio, donde il nome), ignoravano l'uso del denaro, praticavano ancora il baratto, avevano in comune donne, figli, ecc. In particolare tra gli Odrisi era vissuto ed aveva operato Orfeo; i Samofraci erano famosi per il culto m isterico dei Cabiri (v. VI, 23. Per i popoli della Tracia v. Strab. 7, 300-303). Gli Eleusini celebravano i famosi misteri di Demetra; gli Jperborei erano un popolo che si riteneva abitasse nell'estremo Nord. Su di esso aveva scritto Ecateo di Abdera (III sec. a.C.) che ne aveva celebrato il culto di Apollo. Sui Druidi v. Cesare B. G. 6, 13-14. Per queste loro istituzioni sociali e religiose Celso considera dunque Geti e Druidi partecipi di un'originaria concezione religiosa del mondo alla pari con Egiziani e Indiani. Gli Ebrei, invece, sono esclusi da questo elenco perché, pur avendo una simile concezione, l'hanno rielaborata in senso nazionalistico e settario, ritenendo se stessi superiori a tutti gli altri popoli e gli unici ad avere con sé Dio.

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22. Muà raùra rò mpiTÉJ.IVU19a~ rà aiboia J.l~ baa~aAwv i.t KO.aoc; urrò 'loubaiwv llVOfJEVOV ' Cjl'1CfÌV à:TÒ Aìyt•:TTIWJ' at7ò ii.Jji.t.()b'(Jt 23 .• EEiic; TOUTOic; Cjl'1Cfiv ò KUaoc; UTI TIT• fi)IJIOap.bqJ OV'WII rno· p.cvot Mwooci ab&i.ot xaì ~OIJtiJ•c; ày(>olxot; à:taTat' V'111,Q)'Wyr}{Jinc; éra iJ.nptaCI!' EÌI'Ot Dtol'. bEIKVUTW TOÌVUV, nwc; aL'Toi.wv >eaÌ :rotp.bwv à).ciyw;, wc; oiual, Ù...'TOOTat'TWI' TOV ai{Jct~ Otov; aùròc; buVQTQ\ napaariìoaa TÒ rrA•i9oc; nuv Ka9' "EH.,vac; 9twv ~ Toùc; Aoarroùc; ~ap~apouc;.

26 Cioè la gente comune: per Cebo (e per il pensiero clas~ico in genere) l'universo è eterno nel suo complesso, mentre le sue parti subiscono mutamenti, i quali, soprattutto dagli stoici, furono considerati come ordinati in un ciclo che eternamente si ripete. Il ciclo, o grande annata (di origine caldea), presenta un grande inverno (quando i sette pianeti si trovano insieme nella co~tcllazione del Cancro) c cioè un diluvio o inondazione, dalla quale la terra rinasce poi a nuova vita (palingenesi) e una grande estate (quando i sette pianeti vengono a ritrovarsi nella costellaLione del Capncorno), cioè una contlagrazione universale in seguito alla quale ricomincia il ciclo di un'ahra grande annata. Questa dottrina, conosciuta in Grecia ancor prima dello stoicismo, è attinta da Celso dal Timeu di Platone (20d sgg.) dove è attribuita a Solone, il quale a sua voha l'avrebbe appresa dagli Egiziani (palaiòs 16gos v. n. 22). Anche nell'esposizione platonica sono citati Deuca!iune, il Noè della mitologia pagana, salvatosi dal diluvio che Zeus aveva decretato per distruggere il genere umano, e Fetonre. il figlio di Helios che, incapace di guidare il carro paterno, provocò la conflagrazione della terra. Ovviamente- dicevano gli Egiziani - i Greci ricordano solo l'ultima inondazione e l'ultima conflagrazione, perché non possono avere memoria

(IV, 79b) Il cosmo è increato e incorruttibile e solo le cose che sono sulla terra subiscono inondazioni e conflagrazioni e inoltre non tutte insieme incorrono in questi eventi; (l, 20) e se i Greci 26 giudicano antichi questi fenomeni, è perché non hanno esperienza degli avvenimenti ancor più remoti, né possono ricordarli a causa delle intervenute inondazioni e conflagrazioni. Gli Egiziani, uomini sapientissimi ... 27 (1, 21) Mosè dunque venne a conoscenza, per sentito dire, di questa concezione diffusa tra i popoli sapienti e gli uomini di vasta rinomanza e si acquistò così fama divina.28

(l, 22) La circoncisione è di origine egiziana. (1, 23) Al seguito di Mosè, loro capo, caprai e pastori, sedotti da rozzi inganni, abbandonato irragionevolmente il culto degli dei, 29 credettero nell'esistenza di un unico di quanto accadde durante gli innumerevoli cicli precedenti dci quali inondazioni e conflagrazioni cancellarono il ricordo. Orbene, mentre la dottrina egiziana riconosce che prima dell'ultima conflagrazione innumerevoli grandi annate (della durata, ciascuna, di circa diecimila anni) si sono susseguite nella storia del mondo, Mosè attribuisce al mondo un'età di molto inferiore ai diecimila anni. Per la precisione circa cinquemila, come Celso poteva trovare attestato dall'autorità dell'ebreo Flavio Giuseppe (Contro Apione, 1,1; 1,39: «Di questi libri cinque (il Pentateuco) sono di Mosè e comprendono le leggi e la tradizione della creazione dell'uomo fino alla morte di Mosè. Questo periodo è di circa tremila anni»; 1,36: «l nostri sommi sacerdoti sono nominali ... nei nostri annali da duemila anni ad oggi»; c cfr. Antichità giudaiche, 10,8,5; ecc.). 27 È probabile che Celso accennasse qui alla dottrina egiziana del divenire del mondo. 28 Cfr. A. 7, 22: . Ebrei e Cristiani ritenevano Mosè «più antico di tutti gli scrittori greci» (V. Giustino l, 44, 8). 29 Così la storia antica degli Ebrei vista dai Greci, cfr. Strab. 16, 760 sg.: «Mosè, infatti, sacerdote egiziano e padrone di una parte del cosiddetto Basso Egitto, se ne venne via da lì e giunse in Giudea. perché non tollerava le L~tituzioni egiziane. Con lui se ne venne molta gente devota alla divinità. Diceva in/alli ed insegnava loro che gli Egiziani non nutrivano re/li pensieri perché rappresentavano Dio in forma di animali ... con queste parole riusciva a persuadere quegli uomini ingenui ... >>; cfr. 111, 5.

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24. METà Taura lpllOW, l>.oj.IU9i)ç nç "E).). 'lv Kaì tà 'E~Ai)vwv ntnalbtui!ÉVOç on ol )lÌ:V :raJ.woì p.vDot flt'}Utt xai 'Awl'iUJ•t xai Alax1~ xai .Mi1·wi· {)ciaJ• 111ro(làJ• 1·el· !LUYrE~ - ooo' amoi; i:rrtaTCVaU!JEI' - Ò!JW; i:tftmEa1• QVTIOV l(!)!tl )ltydJ.a xa1 Dat'/lUGTà àJ.IjlJw; TE àt't'J{II.a, , •• , np0upwv ròv ).6yov Kaì rà inrò alptouiu; nvoç Àt'fOIJ(VQ wr; KOIVÙ XplO'TIQVWV tyKÀTÌIJQTQ TTiiO'I roir; àrrò TOU 9fiou rrpocru·rwv A6yov Cll'lCJÌV OTl {hoì' OL')I àv EÌ7J TOIOVTOI' awpa oicn· TÒ aot•, b) tira 6 KO.cror; ql'lCJÌV iin oW. at• ti1] Oroi5 awpa rò oiirw f1:7EQ• (!0' 1 f1V 1 W 'fl]f10V 1 Èa:ta!!'};

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102

- Gesù non è il Verbo.

(Il, 31a) Ma voi Cristiani usate un sofisma quando affermate che il figlio di Dio è il suo stesso Verbo e, mentre proclamate che il Verbo è figlio di Dio, ci presentate non un Verbo puro e santo, ma un uomo vergognosamente arrestato e crudelmente messo a morte. (b) Che se il Verbo63 per voi è figlio di Dio, anche noi lo accettiamo come tale! (Il, 32a) Ma Gesù era un millantatore e un ciarlatano (b) e sono degli spudorati coloro che fecero risalire la sua genealogia al primo genitore ed ai re degli Ebrei. 64 Se così fosse, la moglie dell'artigiano non avrebbe ignorato di appartenere ad una tale stirpe.

c la potenza della divinità. l Cristiani, quindi, agli occhi degli Ebrei, si servono di un sofisma, perché affermano che «in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, anzi il Verbo era Dio» (proposizione accettabilissima) e che «il Verbo divenne carne ed ha abitato tra noi e noi abbiamo visto la sua gloria, glorio come di Unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità» (anche questo accettabile); ma quando devono indicare questo Verbo, cioè questo figlio di Dio, mettono innanzi quel Gesù che fu crocifisso, cfr. Giustino (Trif. 32,1 ): «Le Scritture ci obbligano a sperare glorioso e gronde colui che ... come figlio dell'uomo ricevette il regno eterno. Ma questo vostro Cristo, come voi lo chiomate, è stato ignobile ed ingiurioso al punto che incorse nella maledizione estrema della legge di Dio: in.faui.fu crocifisso». Cfr. anche 89,2: «Nella legge è dello che chi muore crocifisso è maledetto» e Dt. 21,23; G. 3,13. Questo acuto contrasto di mentalità c questa impossibilità di compromesso sul piano della ragione tra pagani, Ebrei e Cristiani erano già stati intelligentemente intesi e chiariti da Paolo (C. l. 1,22 sg.): T)aiv, atlTòv lxa6é Tt, oil»' llm~

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112

dtc quelle degli altri siano ed appaiano favole, mentre

voi avete trovato in forma decorosa e credibile la soluzioue del dramma: le sue parole dalla croce in punto di morlc, il terremoto, le tenebre ... ? Da vivo non riuscì a soc~:orrere se stesso, 70 da morto invece resuscitò e mostrò i segni della passione e le mani trafitte: ma questo chi lo vide? Una donna indemoniata, 71 come dite voi stessi, e qualcun altro compagno della stessa impostura o sognalore per una sua qualche disposizione psichica e visionario di propria volontà, nel delirio della mente, il che è già successo ad una infinità di persone; o piuttosto qualcuno che con questa mirabolante ciarlataneria intese sbigottire gli altri compagni e mediante tale inganno aprir la strada ad altri impostori. (Il, 61) Cioè a dire: dopo la sua morte Gesù provocò un'apparizione delle ferite ricevute sulla croce, ma non esistette nella realtà con quelle sue ferite. (Il, 63) Sarebbe stato invece necessario, se veramente Gesù avesse voluto mostrare la sua divina potenza, che egli fosse visto da quelli stessi che lo avevano calunniato e da chi l'aveva condannato e, insomma, da tutti. (II, 67) Non aveva da temere più alcun uomo, una volta morto ed essendo, come voi dite, un dio; né fu certo inviato per stare nascosto! (Il, 68) Fosse almeno scomparso all'improvviso dalla croce, giusto per dare una dimostrazione della sua divinità! (Il, 70a) Chi mai, inviato quale messaggero, si nasconde, mentre dovrebbe annunciare ciò che gli è stato ordinato? (b) O si deve dire che, quando in carne ed ossa non era creduto, senza posa annunciava a tutti la sua novella, quando invece resuscitando dai morti avrebbe offerto una sicura garanzia, allora apparve di nascosto ad una sola donnetta e a quelli della sua confra-

n. 45. V. Mc. 16,9: « ... apparve a Maria Maddalena dalla quale aveva scacciato sette demoni)). 70 V.

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113

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1~:rnita? Quando veniva messo al supplizio lo vedevano lutti, quando resuscitò lo vide una sola persona. Tutto il wntrario sarebbe dovuto avvenire!

Gesù non fu .l'inviato di Dio; la sua non fu una missione. Lo dimostrai/fatto che non fu creduto. (Il, 7la) Avrebbe dovuto annunciare chi era colui che lo 11veva inviato (b) e perché il padre l'aveva mandato: (c) così avrebbe illuminato i pii ed avrebbe avuto compassione dei peccatori, che essi si pentissero o no. (II, 72) Se poi voleva restare ignoto, perché si udì la voce dal cielo che lo proclamava figlio di Dio? e se non voleva restare ignoto, perché fu posto al supplizio o perché mori? (Il, 73) Se infine, attraverso i supplizi che patì, voleva insegnarci anche a disprezzare la morte, una volta resuscilato dai morti avrebbe dovuto in modo aperto chiamarci 1utti alla luce 72 e dimostrarci il perché della sua venuta.

(Il, 74a) Dai vostri libri abbiamo tolto questi argomenti contro di voi e per avvalorarli non abbiamo bisogno di nessun altro testimone, perché voi cadete nei vostri stessi lacci. (b) Ma insomma, o Altissimo e Celeste!, quando mai un dio, presentatosi agli uomini, non viene creduto, (II, 75) tanto più se appare a quelli che sperano in lui? Perché mai non vien riconosciuto da chi da tempo lo aspetta? (Il, 76) E quando Gesù dice: «Guai a voi» e «tal àptpoTÉ~; aitiOII ycymoo

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76 V. n. 29. Nel concetto di ribellione non è solo inclusa l'apostasia dalla religione tradizionale, ma anche la disobbedienza e l'opposizione agli istituti dello Stato e della società civile, cfr. i frammenti VIII. 77 Il testo può permettere due interpretazioni: a) Questi non vorrebbero più che ciò avvenisse, nonostante il loro attivismo nel far proseliti,

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La radice delle due dottrine è la ribellione. (111, 5) Gli Ebrei, Egiziani di stirpe, hanno lasciato l'Egitto perché si ribellarono 76 allo Stato egiziano e perché disprezzavano la consuetudine religiosa egiziana. Quello che fecero agli Egiziani, dunque, ora lo subiscono da parte di coloro che aderirono alla dottrina di Gesù e credettero in lui come Cristo. Per gli uni e per gli altri la causa prima dell'innovazione è stata la ribellione allo Stato. (III, 6) Alcuni, dunque, Egiziani di stirpe, si ribellarono contro gli Egiziani e, lasciato l'Egitto e giunti in Palestina, hanno fissato la loro dimora nella regione ora chiamata Giudea. (III, 7) Gli Ebrei, che erano Egiziani, hanno tratto la loro origine da una rivolta: allo stesso modo molti altri ancora, che erano Ebrei, ai tempi di Gesù si sono ribellati contro la comunità ebraica e si sono posti al seguito di Gesù. (Ili, 8) Una rivolta, quindi, è stata un tempo l'origine della formazione della comunità ebraica e una rivolta è stata, in seguito, l'origine dell'esistenza dei Cristiani. (III, 9) Che se tutto il genere umano fosse disposto ad essere cristiano, questi non lo vorrebbero più. 77 (III, IO) All'inizio erano in pochi ed avevano una sola opinione; disseminatisi fino a diventare moltitudine, ecco che a loro volta si dividono .e si separano e ciascuno vuole avere la sua propria setta, 78 perché questo fin dal principio essi cercavano. (lll, 12) Divisi ancora,

poiché in tal caso non potrebbero più opporsi a nessuno; b) Questi non sarebbero più disposti ad essere cristiani, perché il loro cristianesimo si esaurisce nello spirito di ribellione e di opposizione. 78 Allusione alle sette eretiche, numerosissime nel Cristianesimo primitivo, cfr. V, 61.

121

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~ma. 84

(III, 24) Invece un gran numero di persone, Greci l'barbari, è concorde nell'affermare di aver visto spesso Asclepio ss e di vederlo ancora, e non come pura apparitione, bensi nella funzione di sanare gli infermi, di beneficare e di predire il futuro (III, 3) a intere città a lui consacrate, come Tricca, Epidauro, Cose Pergamo. (Ili, 26) E ancora: Aristea di Proconneso, 86 che sparì dal mondo in modo tanto miracoloso e poi ricomparve manifestamente e in seguito, in molti momenti, si presentò in molte parti del mondo con mirabili novelle, benché Apollo stesso abbia comandato ai Metapontini di considerarlo come un dio, nessuno ora lo crede tale.

(111, 31) Cosi nessuno crede dio Abari 87 l'Iperboreo, il quale possedeva la straordinaria facoltà di muoversi su una freccia. (III, 32) Allo stesso modo si parla di quel famoso Clazomenio 88 la cui anima spesso, abbandonato il corpo, se ne andava in giro da sola. Nemmeno costui gli

niche di Asclepio gli ammalati riacquistavano la salute sopraltutto mediante l'incubazione, cioè passando la notte nella clinica dove guarivano dopo aver fatto un sogno (certamente provocato, mediante filtri o pozioni, dai sacerdoti-medici). Oltre all'attività di sanatore Asclepio assunse ben presto anche quella oracolare, sia nel campo medico che in quello generale. 86 Di Aristea di Proconneso (la maggiore delle isole del Mar di Marmara) la storia completa si legge in Erodoto (4,14-15), il quale narra di lui che, morto e misteriosamente scomparso dalla sua città, vi ritornò dopo sette anni, vi compose un poema epico e di nuovo scomparve, per ricomparire 240 anni dopo a Metaponto (Magna Grecia), ove ordinò di innalzare un altare !id Apollo ed una statua a se stesso. Quindi di nuovo scomparve. l Metapontini, su consiglio dell'oracolo di Apollo, obbedirono a quegli ordini. 87 V. Erod. 4,36: Abari avrebbe fatto il giro del mondo con la sua freccia. Per gli lperboreiv. n. 23. 88 Si tratta di Ermotimo o Ermodoro di Clazomene, la cui anima (v. Plut. De gen. Socr. 592 c-d) vagava di giorno e di notte, abbandonando il corpo, per molti luoghi, finché per tradimento della moglie il corpo di lui fu bruciato dai suoi nemici.

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89 V. Paus. 6,9,6 sgg.: «Cieomede di Astipulea (una delle Sporadi)facendo pugilato con /eco, un tale di Epidauro, lo uccise in combattimento durante una gara delle Olimpiadi. l giudici però lo condannarono perché aveva gareggiato slealmente e lo privarono della vittoria. Divenuto pazzo per il dolore Cleomede se ne tornò ad Astipalea e lì, piombato in una scuola di drm sessanta alunni, rovesciò la colonna che sosteneva il tetto. Il tetto rovinò sui ragazzi e Cleomede, inseguito a sassote dai cittadini, si rifugiò nel tempio di Atena ed entrò in una cassa che vi si trovava, chiudendone il coperchio. Inutilmente quelli di Astipalea s'affaticarono per tentare di aprire la cassa e alla fine la fecero a pezzi. ma non trovarono Cleomede né vivo né morto. Mandarono quindi degli uomini a Delji per chiedere che ne fosse di Cleomede. La Pizia, come si dice, rispose loro: "Ultimo degli eroi è Cleomede di Astipalea: onorate/o con sacrifici perché egli non è più un mortale"». La storia di Cleomede e quella di Aristea sono ricordate anche da Plutarco (Romo-

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uomini considerarono dio! (III, 33) E Cleomede 89 di 1\stipalea? Entrato in una cassa e chiusosi nel suo interuo, non vi fu più trovato dentro quando alcuni ruppero In cassa per prenderlo: se n'era volato fuori per un atto di potenza divina e un oracolo annunciò che per volontà divina era volato via dalla cassa. (III, 34a) E si potrebbero l'ilare moltissimi altri casi del genere. (b) I Cristiani, ado' undo un uomo arrestato e giustiziato, si comportano comc i Geti che venerano Zamolxi o i Cilici che venerano Mopso o gli Acarnesi che venerano Anfiloco o i Tebani dte venerano Anfiarao o i Lebadii che venerano Trofonio. 90 (III; 36) Anche il culto dell'amasio di Adriano 91 e !(li onori che gli tributano non sono per nulla inferiori a quelli tributati a Gesù. (111, 37) E se a Gesù si accostasse unche Apollo o Zeus, essi non lo tollererebbero. (III, 38) rate è l'effetto di una fede, qualunque essa sia, che si ponga come pregiudiziale!

lo, 28) quali esempi di favoleggiate assunzioni tra gli dei, come l'assuntione al cielo di Romolo. 90 Per Zamolxi, v. n. 69. Mopso, figlio di Manto figlia di Tiresia, fu 11rofeta di Apollo e colonizzatore della Cilicia. Anfiarao, indovino morto nella spedizione dei Sette a Tebe, fu nume profetico locale (Tehc) come il figlio Anfiloco (Acarnania). Trofonio fu divinità oracolare venerata in una profonda grotta a Lebadea (Beozia) già dall'VIli sec. u.C. Presso l'antro, in mezzo ad un bosco sacro, sorse poi un tempio a lui dedicato. Il rituale della discesa all'antro di Trofonio è descritto in toni convinti da Pausania (9,39,5-14), contemporaneo di Celso. 91 Antinoo di Claudiopoli (Bitinia) fu un bellissimo giovane appas~ionatamente amato dall'imperatore Adriano. Morì annegato nel Nilo (130 d.C.), ma si credette che fosse stato rapito dal dio del fiume e perciò si iniziò il suo culto. Sul luogo della sciagura Adriano fece erigere un tempio ed edificò la città di Antinoopoli.

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92 Dei materiali, cioè, di cui son fatte le statue degli dei, cfr. A. 17,29 eaÌ à...,

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94 Per il pagano Celso il concetto cristiano di «fede>> era inconcepibili e sospette dovevano apparirgli le espressioni «Rovinerò la sapienza dà sapienti e condannerò la prudenza dei prudenti» (C.I. 1,19 da Isaia. 29, 14); o . La ricerca di Dio e della verità resta pur sempre, per un pagano, appannaggio del filosofo. Ma il Cristianesimo si sviluppava anche, e nei primi secoli soprattutto, fuori dagli ambienti dotti c, facendo presa sulle mas>e, si presentava non come filosofia, cosa che Celso pretenderebbe, ma come verità in cui tutti, sapientl ed ignoranti, potessero credere. Lo stesso, del resto, proponevano le religioni misteriche pagane. Ma ut:l clima generale di opposizione al pa· ganesimo ed alla cultura pagana si svilupparono in seno al Cristianesi· mo particolari tendenze che, come sul piano politico e civile, così su quello dottrinario, potremmo chiamare radicali. Esistevano, cioè, dei· gruppi cristiani che si opponevano per principio ad ogni genere di cui· tura e di sapienza. Lo stesso Origene ne ammette l'esistenza (C.C. III, 44: