Come leggere un racconto biblico. Guida pratica alla narrativa biblica 8810407458, 9788810407455

La Bibbia è il libro più letto al mondo, ma questo non significa che sia anche il libro letto meglio. Esistono infatti d

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Come leggere un racconto biblico. Guida pratica alla narrativa biblica
 8810407458, 9788810407455

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biblici

• La Bibbia è il libro più letto del mondo. Ma il libro più letto non è necessariamente il libro meglio letto. Esistono due modi di leggerlo. Il primo è la lettura a cui siamo stati abituati fin dall'infanzia. Il secondo è la lettura approfondita che percepisce il testo sulla giusta lunghezza d'onda. Come leggere un racconto biblico espone in modo semplice e chiaro gli elementi fondamentali che ca­ ratterizzano la prosa narrativa della Bibbia. Il lettore scopre e individua intuizioni semplici e potenti, tec­ niche di arte narrativa che, da diverse generazioni, sono patrimonio corrente anche al di fuori degli stu­ di biblici. È un metodo di lettura che permette di sta­ bilire un rapporto intenso e personale con la prosa narrativa della Bibbia. È possibile leggere oggi senza preconcetti dei testi impegnativi come quelli della Bibbia? Oso risponde­ re affermativamente a questa domanda e mi rivolgo a lettori che siano disposti a imbarcarsi in questa av­ ventura. Ogni pagina della Bibbia, se letta con atten­ zione, dice cose diverse da quelle che ci aspettiamo. JAN P. FOKKELMAN, esperto in lingue semitiche di fama inter­ nazionale, insegna letteratura classica ebraica all'Univer­ sità di Leiden, nei Paesi Bassi. Le sue pubblicazioni com­ prendono l'opera in quattro volumi, Narrative Art and Poetry in the Books of Samuel e la trilogia Major Poems of the He­ brew Bible. Il presente volume è pubblicato in fiammingo, inglese e francese; la traduzione italiana è stata condotta sull'edizione inglese, con riscontri sulla versione francese.

ISBN 88-10-40745-8

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1 1111111111111 11111 111111111 788810 407455

€ 16,50 (IVA compresa)

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Collana Studi biblici 1-3. S.A. Panimolle, Il discorso di Pietro all'assemblea apostolica 1: Il concilio di Gerusalemme II: Parola, fede e Spirito III: Legge e Grazia 4. F. Lambiasi, L'autenticità storica dei Vangeli M. McNamara, I Targum e il Nuovo Testamento 5. 6. C.K. Barrett. La prima lettera ai Corinti L. Monloubou, La preghiera secondo Luca 7. L. Alonso Schokel. Trenta salmi: poesia e preghiera 8. 9. P. Grelot, / Canti del Servo del Signore J. Dupont, Teologia della Chiesa negli Atti degli apostoli 10. P. Lapide, Leggere la Bibbia con un ebreo 11. F.-E. Wilms, l miracoli nell'Antico Testamento 12. Il Midrash Temurah, a cura di M. Perani 13. J. Dupont, Le tre apocalissi sinottiche 14. 15. l. De la Potterie, Il mistero del cuore trafitto W. Egger, Metodologia del Nuovo Testamento 16. J. Darù, Principio del Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 17. 18. S. Zedda, Teologia della salvezza nel Vangelo di Luca 19. L. Gianantoni, La paternità apostolica di Paolo 20. S. Zedda, Teologia della salvezza negli Atti degli apostoli 21. A. Giglioli, L'uomo o il creato? M. Pesce, Le due fasi della predicazione di Paolo 22. 23. E. Boccara, Il peso della memoria L. Alonso Schokel - J. M. Bravo Arag6n, Appunti di ermeneutica 24. Metodologia dell'Antico Testamento, a cura di H. Simian-Yofre 25. F. Manns. Il giudaismo 26. G. Cirignano- F. Montuschi, La personalità di Paolo 27. 28. F. Manns. La preghiera d'Israele al tempo di Gesù 29. H. Simian-Yofre, Testi isaiani dell'Avvento M. Nobile, Ecclesiologia biblica 30. 31. L. Ballarini, Paolo e il dialogo Chiesa-Israele F. Manns, L'Israele di Dio 32. A. Spreafico, La voce di Dio 33. G. Crocetti, Questo è il mio corpo e lo offro per voi 34. 35. A. Rofé, La composizione del Pentateuco 36. P. Lapide, Bibbia tradotta Bibbia tradita G. Cirignano- F. Montuschi. Marco. Un Vangelo di paura e di gioia 37. 38. P. Grelot, Il ntistero del Cristo nei Salmi 39. B. Costacurta.ll laccio spezzato 40. G. lbba. La teologia di Qumran 41. A. Wénin. Entrare nei Salmi 42. B. Costacurta, Con la cetra e con la fionda J.P. Fokkelman, Come leggere un racconto biblico 43. •

JAN P. FOKKELMAN

COME LEGGERE UN RACCONTO BIBLICO Guida pratica alla Narrativa biblica

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Titolo originale: Vertelkunst in de bijbel. Een handleiding bij literair lezen Titolo edizione francese: Comment lire le récit biblique. Une introduction pratique Titolo edizione inglese: R eading Biblica/ Narrative. A

Practical Guide

Traduzione dall'inglese, con riferimento alla versione francese, di Carmela Gaini Rebora Edizione italiana a cura di Roberto Meia

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Uitgeverij Boekencentrum, Zoetermeer, Holland 1995 (21997)

©

2002 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna

EDB (marchio depositato) ISBN 88-10-40745-8 Stampa:

Grafiche Dehoniane, Bologna 2003

C'est la force des choses dites qui meut l'écrivan

PREFAZIONE

Il libro più letto del mondo non è necessariamente il libro letto me­ glio. Esistono due modi di leggerlo. Uno è la lettura a cui siamo stati iniziati tanto tempo fa, all'età di cinque o sei anni. Un altro è la lettura approfondita che percepisce il testo sulla giusta lunghezza d'onda. Questo libro insegna un modo creativo di lettura e mira a fami­ liarizzare i lettori con intuizioni semplici ma potenti, e tecniche di ar­ te narrativa che, da diverse generazioni, sono di uso corrente oltre i confini degli studi biblici. Chi vorrà avvantaggiarsi di questo metodo di lettura stabilirà un rapporto intenso e personale con la prosa nar­ rativa della Bibbia. Questo libro si rivolge a un pubblico assai vasto. A tutti quelli che si interessano alla lettura della Bibbia ma che non conoscono le lin­ gue originali dell'Antico e del Nuovo Testamento, cioè l'ebraico e il greco. Perciò non ricorrerò quasi mai a osservazioni o argomenti che riguardano queste lingue. Per mettermi al livello dei miei lettori, ho lavorato con traduzioni in lingua corrente. Una traduzione è per sua natura un sostituto e, come tale, è un testo valido. È ancora possibile oggi leggere senza preconcetti una serie di te­ sti impegnativi come la Bibbia? lo oso rispondere affermativamente a questa domanda e mi rivolgo a lettori che siano disposti a imbar­ carsi in questa avventura, mettendo da parte le proprie opinioni re­ ligiose. Ogni pagina della Bibbia, se letta con grande attenzione, di­ ce cose diverse da quelle che ci aspettiamo. . I lettori che hanno l'abitudine di aprire la Bibbia non avranno bi­ sogno di aiuto per continuare. Altri invece, forse a causa di un ap­ proccio sbagliato alla Bibbia, dovranno superare dubbi, diffidenze o altri ostacoli. Poiché a tali lettori va la mia simpatia, è a loro che de­ dico questo libro, a titolo di incoraggiamento. 7

l ESERCIZIO PRELIMINARE: UN RACCONTO MOLTO B REVE

LA STRUTTURA NARRATIVA DI

2RE 4,1-7

La prima metà della Bibbia ebraica consiste in due grandi com­ plessi narrativi. La sacra Scrittura degli ebrei, (quindi anche quella di Gesù di Nazaret) comincia con la Torah, una serie di cinque libri: Ge­ nesi , Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio, come vengono chia­ mati in occidente. La parola Torah significa «istruzione», sia nel sen­ so di «regola», specialmente quella data da un sacerdote, sia nel sen­ so di «insegnamento». Poiché fra la Genesi e il Deuteronomio sono state incluse alcune raccolte di leggi, la Torah è spesso definita la «Legge» nel Nuovo Testamento greco. Nonostante ciò, la cornice che inquadra le norme religiose, civili e penali, rimane narrativa, poiché la Torah è principalmente caratterizzata da un vasto insieme di rac­ conti storici sacri: dalla creazione del mondo all'entrata del popolo eletto, Israele, nella terra promessa da Dio. la terra di Canaan. Il blocco successivo si chiama «l Profeti Anteriori» nel canone ebraico e copre il periodo che va dall'entrata nella Terra Promessa all'immane catastrofe del 586 a.C., quando il piccolo-regno di Giuda è cancellato dalla carta geografica ad opera dei neo-babilonesi, Ge­ rusalemme è conquistata e il tempio di Salomone è distrutto. Questo complesso abbraccia tre paia di libri: i libri di Giosuè e dei Giudici descrivono l'arrivo e l'insediamento della comunità tribale nella Ter­ ra Promessa. I libri di l e 2 Samuele coprono circa un secolo: rac­ contano la pericolosa transizione da un'esistenza tribale alla forma­ zione di uno stato unificato sotto il governo di un re, e descrivono i regni dei primi re, Saul e il suo famoso successore, Davide. L'ultima 9

parte, che comprende l e 2 Re, descrive il periodo della monarchia, i tre secoli e mezzo che vanno da Salomone alla fine del regno di Giuda. Nella parte centrale dei libri dei Re, il profeta Elia e il suo disce­ polo Eliseo sono protagonisti rispettivamente di un ciclo di racconti. Il ciclo di Eliseo inizia al secondo capitolo di 2Re, al momento in cui egli riceve il mantello dal suo maestro, il profeta Elia, e continua fi­ no alla sua morte, al c. 13. Eliseo è protagonista di circa dieci storie o unità letterarie. Qui sotto è riportata l'unità più breve della serie, che consiste nei primi sette versetti del c. 4 di 2Re. I numeri sono quelli dei versetti tradizionali, le lettere indicano una divisione in li­ nee, così le definisco io, anche se generalmente si tratta di frasi. v. l a b' c

d v.

2a b ·

c

d e v. 3 a b c

v. 4 a b c v.

Sa b c

v.

6a b ·

c

d e lO

Una donna, la moglie di uno dei discepoli dei profeti, gridò a Eliseo «Il tuo servo, mio marito, è morto, e tu sai che il tuo servo temeva il Signore e ora un creditore viene a prendere i miei figli come schiavi». Eliseo le disse: «Che posso fare per te? Dimmi che hai in casa». Ella rispose: «In casa la tua serva non h a altro che un orcio di olio». Le disse: «Va ' a chiedere in prestito dei vasi da tutti i tuoi vicini, vasi vuoti, nel numero maggiore possibile. Poi entra in casa e chiudi la porta dietro a te e ai tuoi figli, versa olio in tutti quei vasi, e metti da parte i vasi che hai riempito». Ella andò e chiuse la porta dietro a sé e ai suoi figli. Questi porgevano i vasi ed ella versava. Quando i vasi furono pieni, ella disse a uno dei figli: «portami un altro vaso». Egli rispose: «Non ce ne sono più».

v.

7a

Ella andò a informare l 'uomo di Dio b ed egli disse: c ((Va', vendi l'olio d e paga i tuoi debiti; e tu e i tuoi figli vivrete con quanto resterà».

Questo potrebbe apparire un racconto estremamente semplice - lo capirebbe anche un bambino. Il profeta salva la donna da una situazione difficile compiendo un miracolo. È tutto qui. Sembra tanto semplice da farci concludere che si tratta di un pit­ toresco brano folcloristico, niente di straordinario, soltanto un brano di letteratura popolare, forse un esempio di tradizione orale in ono­ re del profeta. Invece in questo racconto c'è molto di più. Se poniamo la do­ manda fondamentale, chi sia esattamente l'eroe di questo episodio, le cose si dimostrano subito meno semplici di quello che sembrano. È il profeta? Prima di giungere a questa conclusione, dovremo vede­ re se sia giusto negare il ruolo di eroina alla vedova, o se sia oppor­ tuno mettere a confronto due eroi. Per quanto la storia sia breve, si tratta di una composizione ma­ tura e strutturata in modo perfetto. Vi incontriamo due personaggi principali, una vedova anonima e un uomo di Dio di grande presti­ gio, il profeta Eliseo. Siamo tentati di considerarlo l'eroe del raccon­ to: dopo tutto, non compie un miracolo? La donna si trova in una situazione disperata. Il marito, che era il suo unico sostegno, è morto, lasciando un grosso debito. Ella è pove­ ra e non può pagare il debito, né in denaro, né in beni. Nel mondo antico non esisteva una sicurezza sociale, perciò il creditore era le­ galmente autorizzato a appropriarsi della forza lavorativa rappre­ sentata dai figli del debitore. Infatti è ciò che sta per accadere. Una sventura, la morte del marito, minaccia di scatenarne un'altra: i figli saranno fatti schiavi e la vedova è disperata. Non rimane che una possibilità: chiedere aiuto al profeta, poiché Eliseo è il capo spiritua­ le dei figli dei profeti di cui faceva parte il marito. Il narratore prende la via più breve per dare la parola alla don­ na. In un solo versetto, egli ci fornisce il minimo d'informazione ne­ cessaria sulla donna e sulla natura del suo gesto; iJ pianto della don­ na fa capire che ella ricorre a Eliseo spinta dalla disperazione. Poi la vedova spiega il suo problema in tre frasi. N on è forse lei la persona 11

più adatta a farlo? Così ha inizio il percorso seguito dal racconto, il quale raggiunge un lieto fine nel v. 7 con la soluzione del problema. In entrambi i casi, il narratore si nasconde dietro i suoi perso­ naggi. Questa decisione dello scrittore ci invita a una riflessione: fa­ cendo parlare la vedova nella maggior parte del v. l, egli si astiene dal formulare egli stesso il problema, cosa che gli sarebbe facile. An­ che nel v. 7 egli resiste alla tentazione di riservarsi l'ultima parola, }a­ sciandola invece al profeta, il quale istruisce la donna sul modo di pa­ gare con facilità il suo debito. L'autore non ritiene nemmeno neces­ sario riferire che le cose si risolveranno felicemente: i lettori posso­ no dedurlo da soli . Il lieto fine è un caso di omissione - in termini letterari si chiama ellissi. Queste due scelte dell'autore sono estremamente pertinenti. La vedova, cioè la parte che si appella, è la persona meglio qualificata a perorare la propria causa. Il fatto di avere come portavoce qualcuno che si trova nella sventura conferisce un impatto drammatico all'ini­ zio del racconto e induce il lettore a considerare la vedova con sim­ patia. La parte che risponde, cioè l'uomo di Dio, conosce una via d'u­ scita miracolosa. Le sue parole nei vv. 3-4 e 7 offrono una soluzione al problema che appare in tutta la sua urgenza, perciò è giusto con­ cedergli l'ultima parola. In questo modo, l'alternarsi degli interlocu­ tori crea un equilibrio fra l'inizio e la fine del racconto: la donna apre, il profeta conclude. Così si presentano l 'inizio e il punto di ar­ rivo della trama: lo sviluppo che ci porta dall'infelicità alla consolazione. . L'autore rafforza questa coerenza di principio e di fine con una triplice o quadruplice inquadratura (inclusio in termini tecnici). Non c'è soltanto il rapporto fra il problema e la soluzione a delineare con esattezza l'evolversi della trama; c'è anche una scelta deliberata di parole che crea corrispondenza fra i primi e gli ultimi versetti, e que­ sta disegna perfettamente la miniatura. Il primo collegamento evi­ dente indica con esattezza quale sia la posta in gioco nel racconto: è una questione di vita o di morte! Il v. la dà notizia della morte del marito, il v. 7e descrive quale sarà la vita della donna e dei suoi figli. Accanto a questo c'è un altro insieme di concetti complementari: nel v. ld incombe l'ombra del creditore, ma il v. 7d propone un modo fa­ cile di estinguere il debito. In questo modo verrà evitata la schiavitù dei ragazzi che possiamo considerare come una seconda immagine di morte. La pretesa del creditore (v. ld) viene posta in contrasto nel v. 7 12

con l'estinzione del debito da parte della vedova: ella venderà l'olio al mercato a un prezzo vantaggioso, così potrà pagare al creditore quanto gli spetta. Anzi, le avanzerà ancora del denaro. E non è per caso che la parola usata («il resto») sia stata posta alla fine del v. 7e. Con il suo significato sottinteso di «sovrappiù» quest'ultima parola dell'unità letteraria indica che, in fondo, alla donna si prospetta una vita felice dopo il periodo di sventura - una consolazione immensa. Una delle caratteristiche principali di questo racconto è il fatto che esso è costituito in gran parte dal dialogo. Se mettiamo da parte per un momento le formule di obbligo per le citazioni, indispensabi­ li per introdurre il discorso (vv. 2a, 2d, 3a, 6b, 6d, 6f e 7b ) vedremo che rimane poco spazio al testo del narratore; e che inoltre, in tre ca­ si, tale testo consiste in informazioni molto succinte. Mi riferisco ai versetti l a, 6a e 7a, i quali possono essere considerati poco più che introduzioni. Rimane una sola frase in cui il narratore ha il campo li­ bero: è costituita dalle tre linee del v. 5. Queste tre linee, però, hanno una rilevanza particolare. Nel suo racconto relativamente lungo dei vv. 3-4, il profeta ha usato una serie di almeno sette predicati; strettamente parlando, il discorso consiste in sette frasi, niente altro che ordini rivolti alla se­ conda persona femminile. La donna, insieme al figlio, deve racco­ gliere una grande quantità di vasi vuoti e riempirli con l'olio della brocca, l'unica sua ricchezza (come ella aveva detto a Eliseo nel v. 2). A questo punto l'autore potrebbe essere tanto preciso da riferire l'e­ secuzione di tutte i sette comandi del v. 5, ma il risultato sarebbe al­ quanto noioso; preferisce invece fare una scelta fra gli ordini dei vv. 3b-4c, e raccontarci come siano state eseguite le azioni menzionate nel v. 4ab. I primi due verbi descrivono soltanto azioni che indicano due momenti nel tempo: «ella andò via e chiuse la porta dietro a sé e ai suoi figli». La raccolta dei vasi è stata semplicemente omessa un'omissione quasi trascurabile, una lacuna che i lettori possono riempire da soli. Ciò che segue nel v. 5cd attira la nostra attenzione per un aspetto del tempo totalmente diverso: «essi continuavano a portare (vasi) e lei continuava a versare». Queste azioni compiute dai ragazzi e dalla loro madre contrasta­ no con la forma regolare di narrazione, poiché non indicano un mo­ mento preciso del tempo, e l'azione del versare non segue la raccol­ ta dei vasi; qui abbiamo azioni caratterizzate da durata e sincronia. ,

13

Dobbiamo renderei conto del fatto che i tre personaggi trascorrono ore ed ore, i ragazzi occupati nel lavoro pesante, la madre impegna­ ta a versare l'olio nei vasi. In tal modo l'autore ha improvvisamente rallentato il tempo della narrazione; è un segnale lanciato al lettore, perché prenda nota di una scena di perfetta collaborazione. Perché qui l'autore ha scelto una forma di durata che oltretutto indica sincronia piuttosto che sequenza? La risposta è che proprio nel v. 5 accade il vero miracolo. Accade dietro le porte chiuse, nessu­ no può vederlo, nemmeno i vicini che sono stati tanto generosi da prestare i vasi. Deve rimanere un segreto - questo è il senso del­ l'ordine impartito da Eliseo: «chiudi la porta dietro a te e ai tuoi fi­ gli» (v. 4a), e spiega anche perché l'autore abbia scelto di raccontare lo svolgersi di questa azione, tralasciando le altre. È u n segreto, certamente, ma un segreto che l'autore ci rivela. Egli è onnisciente, come viene definito nella narratologia, poiché può vedere al di là delle porte chiuse, in fondo ai cuori o nel cielo; nel v. 5 ci permette di partecipare alla sua conoscenza superiore, cosic­ ché noi possiamo raggiungere lo stesso livello di conoscenza di Eli­ seo e della vedova. Ci permette di sbirciare dal buco della serratura, e di notare con il massimo stupore come quel piccolo orcio che po­ trà contenere sì e no mezza tazza di olio, non si esaurisca mai. In un certo senso, l'autore ci ha fatto diventare tutti indiscreti, e il buco della serratura attraverso cui egli ci permette di dare uno sguardo al­ l'interno non è altro che il racconto stesso. Il miracolo viene enfatizzato da un'altra scelta stilistica. Sebbene in riferimento al lavoro dei ragazzi e della madre si usino dei verbi transitivi, i complementi diretti sia di «portare», sia di «Versare>>, so� no stati omessi. Questa duplice omissione dei vasi e dell'olio ha un significato: in questo modo, tutta la nostra attenzione è rivolta all'a­ zione stessa, alla sua lunga durata, e alla collaborazione fra la vedo­ va e i suoi figli. Così l'autore, che come narratore si era attribuito un limitato nu­ mero di linee, in sostanza ha tenuto per sé il nucleo della trama: so­ no quelle poche ore trascorse a versare l'olio che sfidano le leggi del­ la fisica. E questo ci porta a un'omissione ancora più rilevante: il per­ sonaggio responsabile del fatto che un piccolo orcio di olio possa col­ mare file e file di vasi con litri e litri di olio, non appare in alcun luo­ go di quello scenario ! Il Dio di Eliseo e della vedova brilla per la sua assenza nel racconto del narratore. Si tratta di un paradosso vistoso, 14

poiché la sua attività è già presupposta dal testo senza che il lettore possa riferirla a un versetto particolare. L'onniscienza dell'autore nel frattempo ha trovato un parallelo sorprendente in quella del profeta. Come faceva il profeta a sapere che i fatti si sarebbero svolti in modo così prodigioso come la sua se­ rie di comandi sembra già implicare? Il testo tace anche su questo punto. Talvolta Dio agisce con maggior forza quando ci sembra più lontano e inaccessibile, e quindi il silenzio che circonda l'essenza del racconto, cioè la parte inespressa, è un silenzio ispirato. Presenza e assenza: anche queste e la loro sofisticata interazione (la loro dialettica), sono essenziali ai versetti posti fra il centro e i due finali. Nel v. 2 la donna dice a Eliseo di non possedere altro che un orcio di olio. Non c'è niente nella casa, e il lettore si domanda di cosa potrà servirsi un profeta desideroso di aiutare. Questo vuoto e questa assenza trovano una controparte al v. 6, quando, dopo avere a lungo travasato, la donna dice al figlio «portami un altro vaso! ». 11 fi­ glio al quale ella si rivolge, risponde: «Non ci sono più vasi>). La man­ canza di un recipiente ancora vuoto acquista una presenza testuale, verbale, per una scelta dell'autore: v. 6e. Il gioco fra presenza e assenza ci stimola a unire i vv. 2 e 6. Dato che i versetti centrali, vv. 3-4 e 5 , sono corrispondenti secondo lo schema semplice e frequente di comando più esecuzione, prende corpo la struttura dell'insieme: una disposizione simmetrica in sei parti: Apertura: la donna espone il suo urgente problema. Dialogo fra il profeta e la donna: cosa hai in casa? Nulla. c Eliseo imparte alla donna vari comandi. .. C' ... che ella esegue a casa, insieme ai figli. B ' Dialogo fra madre e figli: u n altro vaso? No. A' Conclusione: il profeta offre la soluzione. A

v.

l

B

v.

2

vv.

3-4

v. v.

5 6

v.

7

Ciascun elemento occupa il proprio posto. Vediamo come la composizione sia determin ata da una struttura concentrica che si può definire anche struttura circolare tripla. Consideriamo ancora i tre cerchi. Prima c'è il rapporto A-A' , che è già stato dimostrato da parecchi esempi di inclusio. Il discorso del­ la donna contiene tre linee, lo stesso numero di quello del profeta 15

contenuto in A'. Ci sono, però, altre corrispondenze. Nel v. l la don­ na rivolge un grido a «Eliseo»; sembra che si rivolga a una persona specifica. All'inizio del v. 2, il profeta viene brevemente chiamato per nome, ma poi non più. Nel v. 7 è definito con un altro nome che in­ dica la sua qualità fondamentale di «uomo di Dio». In tal modo il soccorso arrecato da Eliseo non è un'azione personale, ma una ma­ no tesa nel nome della divinità e con la sua segreta collaborazione. In questa posizione, alcune linee dopo il miracolo, il tassello si inse­ risce perfettamente. Anche il discorso in l bcd è inquadrato da una cornice, seppure triste: 1 b si apre con la parola «servo» e ld termina con il plurale «schiavi». Un servo è morto (ed è allo stesso tempo immagine di un passato recente ) , e la parola «Schiavi» al plurale rap­ presenta il prossimo futuro che attende i figli del defunto. È una sim­ metria terrificante, una morsa di ferro da cui la vedova non riesce a scorgere via di uscita, finché, nel v. 7, il profeta prospetta la soluzio­ ne. Il suo discorso (segmento A' della struttura ) è la risposta unica e conclusiva al discorso del segmento A. La corrispondenza B-B' consiste anzitutto nel fatto che soltanto il v. 2 e il v. 6 contengono un dialogo nel vero senso della parola: il rap­ porto fra domanda e risposta. Poi viene il contenuto: «non c'è nulla, solamente ... » contrapposto a «porgimi un altro vaso; no, non ce ne so­ no più». Si tratta di un abile intreccio di presenza e assenza, dappri­ ma nella casa, poi nel testo. Le ultime parole di B e B' sono identiche: olio. Il rapporto fra C e C' è stato ampiamente discusso� infine l'inte­ razione di presenza e assenza è rappresentata anche dall'opposizione delle parole «pieni» e «vuoti», che appare nei vv. 3 e 4, e nel v. 6. La sequenza ABC è composta da 1 5 1inee, la serie C'B'A' da 14. Questo significa che c'è anche un buon equilibrio quantitativo. Tro­ viamo lo stesso equilibrio a un livello inferiore: se contiamo le linee per segmento otteniamo la sequenza 4-5-6 per la prima metà «ascen­ dente» e 3-6-5 per la seconda metà «discendente». Ciò significa che le coppie AA', BB' e CC' contengono rispettivamente 9,11 e 9 righe. La coppia BB' sembra più estesa, ma non lo è, poiché contiene qual­ che parola in meno delle coppie che la racchiudono. Nel ia lingua ori­ ginale non c'è molta differenza fra il numero di parole per ogni cop­ pia: nel testo ebraico AA', BB' e CC' contengono rispettivamente 44, 38 e 39 parole. Ci sono in tutto 29 linee, cosicché la n. 15 occupa il po­ sto centrale. Questo si adatta perfettamente, poiché la linea 15 è co­ stituita dal v. 4c, che chiude la prima parte. 16

A me sembra che la struttura concentrica sia la più significativa, tuttavia la storia è costruita in modo così compatto che si può anche pensare a una composizione parallela: la sequenza ABC Il A'B 'C' per gli stessi sei segmenti. Ciò viene suggerito dall'osservazione che il profeta impartisce i suoi comandi due volte, nei vv. 3-4 e nel v. 6, alla fine della prima e della seconda parte. I dialoghi nel v. 2 e nel v. 6 ri­ mangono dove sono, al centro delle rispettive parti, e i vv. 1 e 5 si completano come parola (del problema) e azione (il miracolo che fornisce la soluzione). Così potremmo anche elaborare la struttura seguente: A B c

A' B' C'

la donna parla, formula il problema dialogo profeta-donna: cosa hai in casa? discorso di Eliseo, comandi I la donna agisce, un miracolo ne è l'esito dialogo donna-figli: c i sono altri vasi? discorso di Eliseo, comandi II

v.

l

v.

2

.

3 -4 5 6 7

· vv

v. v. v.

Questo canovaccio o classificazione si accorda meglio con lo svolgimento dell'azione. Lo sviluppo della trama segue in modo na­ turale l'asse del tempo lineare. Notiamo che l'azione si svolge in due «ondate». La donna va da Eliseo due volte. La prima visita si con­ clude con i comandi, il cui esito è noto solo al profeta. Dopo avere riempito i vasi, ella torna da lui, ed Eliseo le dà l'ordine finale che le permetterà di tenere per sempre i propri figli al sicuro dal1a morsa dei creditori. La struttura parallela accentua molto bene i movimen­ ti della donna: è straordinario vedere come nella coppia B-B' un at­ tributo venga sostituito da un altro: prima c'era soltanto l'orcio, ades­ so abbiamo file di vasi, pieni di olio prezioso. I comandi di Eliseo si aprono in modo parallelo, in quanto entrambi iniziano con lo stesso verbo di movimento, collegato direttamente con un ordine che è ca­ ratteristico delle fasi I e II: 3b «Va' a chiedere in prestito vasi. .. » 7c «Va' a vendere l'olio... » Vediamo che gli oggetti sono collocati al posto giusto: i vasi e l'o­ lio sono esattamente complementari. Questa stessa figura si adatta alla perfezione allo schema parallelo: nel v. 3 i vasi vanno alla donna, 17

nel v. 7 è lei a distribuire misure di olio, sia pure al prezzo che le con­ viene. Ella prende ed ella dà. Dopo questo esercizio preliminare, mi sembra opportuno ripete­ re la domanda fondamentale che avevo posto all'inizio del capitolo: chi è esattamente l'eroe di questo racconto? Anticipando alquanto la nostra discussione teorica del c. 5, voglio collegare il concetto di «eroe» al concetto di indagine o ricerca. Generalmente un racconto parla di qualcuno che fin dal principio va alla ricerca di un oggetto prezioso, ritenuto capace di colmare un vuoto, di far fronte a una ne­ cessità, o di risolvere un problema che si è presentato all'inizio del cammino o dell'azione. Questo personaggio è qui chiaramente la donna è lei ad avere un problema e ad andare alla ricerca del­ l'oggetto prezioso, oggetto che consiste in un primo tempo nel tro­ vare il modo di liberarsi dal creditore. In un secondo tempo, questo modo si trasforma in un oggetto concreto: fiumi di olio squisito che ella può vendere per estinguere il proprio debito. La donna è pre­ sente in ogni versetto dell'episodio; anche se non agisce o non parla, è a lei che il profeta si rivolge. Ella va avanti e indietro due volte, mentre Eliseo non muove un passo. Nei vv. 5-6, il profeta è assente, si limita ad accogliere la donna e a parlarle due volte. Non dimostra nemmeno alcuna iniziativa, e non è certamente lui a realiz zare il mi­ racolo. È vero che la sua conoscenza deve provenire da Dio, e che è indispensabile alla ricerca di lei. In breve, è la donna l'eroina di que­ sta miniatura. Si potrebbe dire questo anche del lungo racconto del­ la donna e del suo bambino morto riportato nei vv. 8-36, dove Eliseo sembra compiere un miracolo con tutto il proprio corpo? -

Voglio completare questa introduzione con alcune conclusioni. Ogni cosa nel racconto scorre con la precisione di un ingranaggio, grazie all 'abilità del narratore; tuttavia, questo esempio di arte nar­ rativa è assai meno trasparente di quanto sembri a prima vista. Noi vi notiamo a ragione una certa semplicità, ma questa dimostra di es­ sere il risultato di una totale e flessibile padronanza della forma; il te­ sto è molto più profondo del semplice messaggio che si legge in su­ perficie. Uno sguardo più attento scopre una grande sottigliezza che da sola getta una luce nuova su quasi ogni aspetto del racconto. Il te­ sto contiene molte figure e strutture che forniscono la base di nuove scoperte. 18

Ciò che dobbiamo imparare è leggere queste storie secondo le loro regole e convenzioni, in un atteggiamento di rispetto, e mante­ nendo il più possibile una vasta apertura mentale. La lettura creati­ va non è soltanto lineare, ma anche circolare: la nostra attenzione si sposta avanti e indietro, cercando di collegare tutti gli elementi fra loro. È un atteggiamento attivo che a volte richiede l'entusiasta cu­ riosità di un enigmista.

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2 INTRODUZIONE ALL'ARTE D ELLA LETTURA

COMPONENTI

I

E II: LINGUA E TEMPO

Nel nostro mondo esistono migliaia di testi che sono stati con­ servati ma poi dimenticati. Fra questi, alcune centinaia hanno una certa importanza, o perché ricchi di notevoli qualità letterarie, o per­ ché fanno parte dei testi normativi di una comunità religiosa. Thtta­ via, noi non possiamo formulare un giudizio sensato in merito, finché non siamo messi in grado di disporne e di comprendere la lingua nel­ la quale sono stati scritti. Possiamo dire che questi testi hanno un si­ gnificato soltanto se riconosciamo in essi un significato o un conte­ nuto latente o potenziale. In breve, un testo comincia a funzionare solamente quando riceve attenzione - soltanto allora agisce su una persona. Senza un lettore un testo non può agire, non è altro che un'ombra silenziosa. Il rapporto fra testo e significato non è semplice. L'ipotesi che «il testo abbia un significato» o che «Contenga» un significato allo stes­ so modo che una tazza contiene del caffè, è errata. Il contenuto di una tazza può essere versato senza subire alcuna modifica, ma nel ca­ so di un testo la cosa è assai diversa. La parola «esegesi» (che in gre­ co significa «trarre fuori»), è fuorviante se noi consideriamo il signi­ ficato come un elenco fisso e oggettivo di dati che dobbiamo fare uscire dal testo. In realtà, un testo parla soltanto quando ha davanti a sé un ascoltatore. Un testo diventa vivo e comincia a parlare sol­ tanto dal momento in cui noi cominciamo ad ascoltarlo, e in propor­ zione alla validità del nostro ascolto. Noi, da lettori onesti, vogliamo naturalmente rispettare le parole e le strutture del testo e accettarle 21

come sono, ma la nostra azione di leggere, comprendere e stabilire dei collegamenti è essenziale a quelle stesse parole e strutture. La lettura non è assolutamente un'azione passiva, né una forma di con­ sumo attuata facilmente, anche se la posizione del nostro corpo, ri­ lassato in una comoda poltrona, potrebbe evocare questa idea. La lettura è un'attività mentale ben determinata, è l'azione di dare si­ gnificato a un testo. Mentre leggo. sono io stesso a strutturare il testo che vive o che parla. Grazie al significato conferitogli dal lettore, il testo passa dallo stato letargico a quello di soggetto parlante; ciò che era soltanto latente e potenziale diventa in quel momento evidente e reale. Un racconto o una poesia possono diventare se stessi o sboccia­ re soltanto tramite il canale di un lettore competente. Ciò comporta delle conseguenze per la responsabilità di chi legge. Dato che il si­ gnificato di un testo si realizza soltanto tramite la mediazione del let­ tore, la nostra responsabilità verso il suo significato è maggiore di quella del testo stesso. Inoltre, questo significato si realizza qui e ora; noi conferiamo un significato relativo più o meno all 'anno 2000, non al1 '800 o al 500 a.C. Sembra un concetto ovvio, ma invece deve esse­ re definito chiaramente. La conseguenza che deriva dall'attribuire un significato alle proprie letture e interpretazioni non è stata quasi mai presa in considerazione da lla scuola biblica dominante (quella del cosiddetto metodo storico-critico ) . Essa pensa che il proprio ap­ proccio sia assiomatico. È un approccio che disporrebbe a «com­ prendere i testi biblici nel quadro del loro tempo», secondo quanto sostengono questi studiosi . Tale atteggiamento trasmette un messag­ gio completamente diverso: il testo viene da lontano, risale a un tem­ po remoto, ed è radicato in una cultura totalmente diversa. Così, una triplice frattura ha scoraggiato molti lettori della B ibbia, studenti di teologia, e futuri predicatori. È vero che il testo della Bibbia proviene dal Medio Oriente, che risale a 2000 o 3000 anni fa. e che si è formato in una cultura molto diversa dalla nostra, a livello sia materiale sia spirituale. Sono diffe­ renze che non devono essere sottovalutate; tuttavia, queste distanze cOstituiscono soltanto mezze verità, e se le consideriamo come assio­ mi assoluti si trasformeranno lentamente in menzogne e illusioni ot­ tiche. Esiste una verità più grande e assai importante : questi testi so­ no scritti molto bene. Quindi, se avranno la fortuna di incontrare un buon ascoltatore, vivranno di vita propria senza dovere essere classi22

ficati in compartimenti etichettati come, «troppo lontani», «troppo antichi» e «troppo diversi». Nati da una intelligenza creativa, ponde­ rata e attenta ai particolari, essi stessi sono capaci di parlare, purché abbiano di fronte un lettore in grado di intenderli. Se da parte nostra c'è una certa preparazione, sapranno rivelarsi e spiegarsi da soli. Il

testo vivente

Il testo che leggiamo è un testo vivente. L'autore è morto da se­ coli, come è morto il suo pubblico ed è morta la società che formava l 'ambiente (il contesto) della sua produzione letteraria. Sia che si trattasse di un oracolo o di un racconto di guerra, di un vangelo o di una lamentazione, dal momento in cui apparve nel mondo e fu di­ stribuito - la parola «pubblicato)) esprime un concetto troppo mo­ derno - il testo biblico ha iniziato il proprio cammino lungo e irre­ versibile, allontanandosi dalle proprie origini. La stessa cosa accade a ogni testo, anzi accade anche a voi e a me: una volta venuti alla lu­ ce, ci viene tagliato il cordone ombelicale e comincia il nostro viag­ gio attraverso il tempo, lo spazio e la cultura; questa è la nostra vita - che ci allontana dalla culla, dal nostro anno di nascita e dal con­ testo sociale in cui era iniziata. È naturale che il testo biblico si sia liberato rapidamente delle proprie origini. Con un termine corrente e piuttosto infelice si usa di­ re che il testo è stato decontestualizzato: l'autore, il pubblico e il con­ testo sono scomparsi da tempo. Ovviamente, gli autori non erano co­ sì ingenui da non sapere che quello era il destino dei loro racconti, delle loro leggi e opere poetiche. Leggere la Bibbia «nello scenario del suo tempo» è una meta nobile, ma in primo luogo si tratta di un'impresa pericolosa, dato che quello scenario non esiste più - è scomparso da circa duemila anni. In secondo luogo, è un 'impresa quasi impossibile, poiché noi non siamo israeliti. La pubblicazione di un testo richiede che il suo cordone ombelicale sia tagliato; da quel momento il testo vive di vita propria. Ora, un buon testo può anda­ re avanti da solo, poiché fin dall'inizio è stato destinato a percorrere una lunga strada dal momento della nascita e del contesto originale. L'autore sa che non può accompagnare sempre il proprio testo per dare spiegazioni, chiarire incomprensioni, ecc. Egli deve abbandona­ re completamente la sua opera e lasciare che il suo poema, o il suo racconto vadano avanti da soli. Perciò decide di fornire al proprio te23

sto strumenti, segni convenzionali e forme che lo aiutino ad affron­ tare l'offesa del tempo, e possano guidare l'attività di lettura dell'a­ scoltatore serio. Abbandonato dall 'autore ad affrontare il proprio destino, il testo va alla ricerca di un lettore competente. Un a volta che lo ha trovato, il testo continua a viaggiare, cambiando costantemente tempi e con­ testi, incontrando un pubblico sempre nuovo e sottoponendosi a opi­ nioni sempre nuove e diverse. Come variano i lettori con le loro dif­ ferenti capacità intellettuali, così varieranno anche i significati che essi attribuiscono al testo. Perciò possiamo dire che un testo non ri­ mane immutato attraverso i secoli , ma essendo vivo (cioè letto), è ugualmente soggetto a mutamenti continui. Assumerà una storia sempre crescente e un contenuto sempre più ricco. Alcuni testi van­ no perduti e quindi muoiono. Osserviamo ancora quanto sia forte la similitudine fra il testo e l'essere umano: noi percorriamo un identi­ co cammino. Siamo gli stessi di dieci o trent'anni fa, eppure siamo di­ versi. Abbiamo accumulato un'esperienza che ci ha arricchiti - a meno che il peso del dolore o dell'amarezza non ci faccia sentire più poveri. L'arte della lettura

L'autore ha scritto il testo con la precisa intenzione che esso gli sopravviva. Perciò, noi, da parte nostra, non dovremmo circoscrive­ re i racconti e i poemi della Bibbia entro l'orizzonte e il contesto del­ la loro origine. Sarebbe un approccio non solo innaturale e unilate­ rale, ma anche riduttivo. Noi vorremmo giustamente sapere qualco­ sa di più sull'autore, sul fine a cui mirava (se non era quello di ren­ dere pubblico il testo attualmente in nostro possesso), nonché sul­ l'ambiente in cui egli viveva; ma niente di tutto questo è veramente essenziale. Qual è allora la cosa essenziale? È quanto ci viene offerto dal te­ sto stesso, il mondo che evoca e i valori che impersona, quindi il con­ fronto, l'in terazione, l'attrito e talvolta lo scontro fra tutto ciò e il mondo del lettore con i suoi valori. La massima posta in esergo a questo libro, e che appartiene al filosofo Ricoeur, tradotta alla lette­ ra significa: «è il potere delle cose dette a stimolare lo scrittore)). E proprio come l'autore del testo è stato afferrato e guidato dall'idea che egli intendeva esprimere in parole, così i suoi lettori possono es24

sere afferrati e guidati dalla stessa cosa. Lo scrittore è stato ispirato direttamente dalle «cose dette)) e il fatto che egli abbia pubblicato il ' suo scritto dimostra che era soddisfatto del modo in cui le ha espres­ se e formulate. Se siamo sufficientemente preparati alle regole e al­ le strutture presenti nella sua opera, possiamo a nostra volta colle­ garci direttamente a quanto è stato detto, grazie alla potenza e alle istruzioni che ci comunica la forma del testo. A un esame approfondito da parte del lettore allenato, il mondo evocato dal testo rinasce ogni volta. È un mondo espresso in parole quello che si presenta agli occhi della nostra mente, ed è un mondo evocato nel nostro presente. Il contatto con il testo biblico e l'impe­ gno concreto superano la considerazione razionale della triplice di­ stanza connessa al testo in questione. Superano anche il nostro mo­ do di accostarci alla Bibbia tentando di leggere un racconto o un'o­ pera poetica allo stesso modo in cui li avrebbe letti un israelita o un cristiano di 1 9 o 26 secoli fa. Il desiderio di proiettarsi in una perso­ na tanto remota nel tempo è assai nobile, ma non ci porta molto lon­ tano, se confrontato con la potenza delle cose dette e con il qui-e-ora del nostro approccio al testo. Il testo vive solamente dentro e trami­ te il processo che gli conferisce un significato. L'uso della parola senso comporta un'ambiguità che illustra mol­ to bene il rapporto lettore-testo. Si può dire: questo testo (o questo chiarimento) ha senso ( = offre una buona spiegazione); oppure: cer­ chiamo di trovare il senso di questo testo (cerchiamo di trovare una spiegazione, cioè di capire questo testo). L� ambiguità è efficace: il si­ gnificato deriva da entrambe le parti. Fra il soggetto che parla (il te­ sto) e un soggetto che ascolta e che dà un significato (il lettore) , c'è una fusione difficile da penetrare o da descrivere. Il significato del testo biblico nasce da un dialogo, posto nel campo dell'intersoggetti­ vità, come direbbe l'ermeneutica (la scienza dell'interpretazione). Si può anche dimostrare la proficua collaborazione del lettore da un altro punto di vista. Quando apriamo un libro, non siamo più né neutrali né obiettivi. In quello stesso momento, abbiamo già espres­ so un giudizio di valore, cioè ci aspettiamo o presumiamo di trovare in quel libro qualcosa di utile. Aprire un libro è un atto basato su una scelta; è un atto preceduto da una decisione. Poi verrà la lettura, il processo di dare un significato, che avrà un esito tanto più felice quanto più talento, cultura e sensibilità noi saremo in grado di offri­ re e di utilizzare nel nostro contatto con il testo. 25

Come lettori, non dobbiamo vergognarci della nostra soggetti­ vità, poiché il testo non ha altro modo per venire alla luce. Questo non significa che siamo liberi di fare del testo tutto ciò che vogliamo, sottomettendolo alle speculazioni più sfrenate. Possiamo anche far­ lo, ma in tal caso perderemmo la qualifica di interpreti; sarebbe un autocompiacimento, a scapito del testo. Se vogliamo essere buoni lettori, dobbiamo fare in modo di trovare un equilibrio, durante la lettura, con la consapevolezza del nostro apporto e della nostra pro­ pensione a leggere nel testo cose inesistenti, a modificarlo, a ingi­ gantire significati specifici, e a !asciarci guidare dalla nostra immagi­ nazione. Un buon lettore controlla la propria soggettività: non la ri­ fiuta e sa che non deve averne vergogna; anzi, può usarla in modo di­ sciplinato per il bene del testo. Chi dice che la Bibbia è vecchia, superata ed estranea a noi, al­ lontana ancora di più il testo, con il risultato di trovarsi di fronte a un problema enorme, cioè se la Bibbia «possa ancora significare qual­ cosa per l'uomo di oggi». Eppure, è un problema creato dagli uomi­ ni stessi, con il loro triplice distacco ed è insolubile, perché è un pro­ blema fantasma. In realtà, la Bibbia è assai vicina - l'abbiamo aper­ ta e già abbiamo opinioni o speranze sui valori che essa racchiude e ci offre - e il suo significato prende forma grazie alla nostra attività mentale e all'immaginazione che apportiamo al testo. È il nostro im­ pegno concreto a creare il campo dell'intersoggettività. Pertanto, la questione riguardante la «pertinenza>> della Bibbia è diventata del tutto illegittima. Primo elemento: il linguaggio

I due aspetti di «SensO>> - quello offerto dal lettore e quello pos­ seduto dal testo - si riflettono nelle due domande che costituiscono il punto di partenza per una lettura saggia, e che sono caratteristiche di un atteggiamento naturale verso ogni testo autorevole. La prima domanda che ci poniamo di fronte a un testo biblico (e a molti altri testi di valore) è la seguente: cosa dice? Cosa dice a me esattamen­ te? Quest'ultima domanda rivela anche un atteggiamento positivo, un atteggiamento di fiducia: posso presumere di trovare un messag­ gio nella sua struttura? Questa mentalità è molto diversa da quella che spinge a lottare strenuamente per raggiungere l'obiettività, per paura di sbagliare e di subire la critica dei colleghi, mentalità che ha 26

contrassegnato e inibito alcuni studiosi. Poi vengono le domande che dovrebbero essere scarsamente considerate e poste a un livello infe­ riore, poiché comportano un substrato di sospetto e una malcelata brama di certezza: d& dove proviene quest'opera? Qual era l'inten­ zione dell 'autore? È forse stata assemblata con materiali diversi? A quale situazione si riferisce? Queste domande sono state poste in continuazione durante gli ultimi due secoli, e si tratta di domande le­ gittime, poste tuttavia da studiosi della Bibbia che non avevano idea della modalità unica dell'esistenza del testo letterario e hanno sem­ pre trascurato di familiarizzarsi con le convenzioni e le regole dei te­ ' sti s�essi. Voglio ritornare alla prima domanda e darle un'accentuazione leggermente diversa: cosa dice il testo? Nell'approccio e nel meto­ do di lettura proposto da questo libro, tale domanda trova una ri­ sposta tramite una deviazione evidente, cioè: come lo dice? Lo spo­ stamento dell'attenzione sulla parola «come>> è una caratteristica importante di questa guida. Durante il nostro incontro con la ve­ dova, la sua disperazione e l'inesauribile flusso di olio che usciva dalla sua piccola brocca, abbiamo continuamente sottolineato e stu­ diato i mezzi formali e stilistici, evitando apparentemente ogni do­ manda sul contenuto. Perché dunque dobbiamo ora passare dal co ­ sa al come? Tre motivi importanti, due negativi e uno positivo, spiegano per­ ché sia saggio e proficuo porre sempre la stessa domanda su ogni racconto o poema della Bibbia o al di fuori di essa: come è stato co­ struito esattamente? I motivi negativi ci sconsigliano di rispondere direttamente alla domanda: cosa dice? Chi prova a farlo, si trova di fronte a due pericoli mortali. Noi, nella nostra spontaneità, nel no­ stro desiderio di sapere, o forse a motivo del nostro bisogno di cer­ tezze, corriamo continuamente il rischio - sia la prima volta che leg­ giamo il racconto, sia la trentesima - di pensare: l'ho capito! Ecco di cosa tratta il racconto! Nella nostra ingenuità crediamo di avere compreso ciò che dice il testo, invece dentro di noi è avvenuto più o meno questo: abbiamo raccolto un certo numero di segnali dal testo e li abbiamo raggruppati nella nostra mente in un tema o un punto, senza curarci di tenere la mente aperta a ricevere altri segnali non ancora percepiti. In tal modo, abbiamo costruito un'immagine di tut­ to l'insieme che tende a diventare fissa. Una lettura del genere, però, è solo parziale. Il tema o punto che ci sembrava di avere colto le pri27

me volte in cui avevamo affrontato la lettura del racconto, minaccia di indurirsi e pietrificarsi, e in seguito minaccerà anche di condizio­ nare e limitare le nostre letture successive. Noi infliggiamo spesso lo stesso procedimento di osservazione parziale e di giudizio prematu­ ro ai nostri simili. Inoltre, fin dal principio subiamo inconsapevolmente l'influsso delle nostre aspettative, dei nostri pregiudizi e del nostro credo re­ ligioso - una serie di tentazioni che messe insieme costituiscono il secondo pericolo. Gran parte de li 'esegesi biblica è poco più che una conferma delle radicate convinzioni dell'autore. Con qualche con­ torsione e forzatura, la nostra mente loquace riesce generalmente ad adattare il testo ai nostri schemi mentali preformati o addirittu­ ra ai nostri desideri inconsci, e quindi a sostenere con le migliori in­ tenzioni che le nostre opinioni derivano direttamente dalla sacra Scrittura. Come evitare questi pericoli? I lettori possono ottenere molto se si sottopongono a controlli regolari, e si pongono domande di que­ sto genere: qual è l'oggetto della mia attrazione segreta? Quali con­ cetti su Dio, sugli esseri umani e sul mondo mi guidano e mi limita­ no nel mio approccio a questo testo specifico? Forse la mia lettura è diventata vittima di qualche mio passatempo? Si ottiene anche di più quando si impara (a) a distruggere volutamente l'immagine che ci si è formata di una persona o di un testo e ripartire da zero, in mo­ do da potere (b) assumere l'atteggiamento di un principiante in mo­ do assoluto e ridiventare così candidi e incontaminati. In breve, il nostro atteggiamento di base ha un'importanza fondamentale: ci può guidare, stimolare, limitare e paralizzare, può determinare in modo positivo o negativo il processo con cui diamo un significato al testo. Non è sempre facile essere creativi e pronti, e rivelare o identifi­ care le proprie preferenze; spesso sbagliano anche persone molto aperte. Per fortuna, siamo sostenuti dal nostro scopo, che è quello di rimanere candidi e capaci di autocritica. Questo sostegno ci viene da ciò che io ho definito il terzo motivo per cui dovremmo indagare sul come piuttosto che sul cosa. Questo motivo positivo consiste nel fat­ to essenziale che i racconti della Bibbia sono il prodotto di una crea­ zione letteraria fino al minimo dettaglio e si tratta generalmente di una creazione molto fine. Collegata a questo è l'esigenza di prende­ re totalmente sul serio tali racconti nella modalità letteraria loro 28

propria. È un'esigenza che indica quale sia il compito del lettore, e dimostra ancora una volta che il senso del racconto deriva soltanto dal dialogo fra noi e il testo. Il

linguaggio come arte

Un'impresa letteraria presuppone che l'autore abbia imparato a trattare il materiale di cui dispone, e sia in grado di sfruttarne tutte le possibilità. Mentre l'artista visivo lavora con colori, argilla o bron­ zo, e un artigiano penetra nei segreti più reconditi della materia, lo scrittore usa il linguaggio. Per noi lettori è un buon punto di parten­ za rendersi conto che, qualsiasi cosa faccia un testo. ciò avviene at­ traverso il linguaggio. Tutti i significati e i contenuti della Bibbia che sia possibile immaginare o che abbiano una remota pertinenza pos­ sono esistere soltanto grazie al linguaggio: sono stati creati nel lin­ guaggio o sono evocati dal linguaggio. Il buon lettore dovrà, in certo modo, seguire i passi dell 'autore, amando il linguaggio e trattandolo in modo creativo. Durante la lettura, si divertirà a mettere insieme i vari tasselli come in un gioco, e a porre in evidenza che, nell'episodio della donna con la sua brocca d'olio, i poli opposti di vita e morte, de­ bito e pagamento, vedova e profeta, discorso diretto e indiretto, si manifestano come segni di un linguaggio preciso. Il lettore che legge la Bibbia attraverso una traduzione perderà alcuni di questi particolari. È un peccato, ma non è una cosa irrepa­ rabile. In un libro che ha stabilito di tralasciare l'ebraico e il greco, non mi è possibile mostrare i sofisticati giochi di parole e gli schemi fonetici usati sistematicamente dal narratore per mettere in eviden­ za i suoi argomenti. Non posso valermi degli effetti della rima e del­ l'allitterazione, né di alcune ripetizioni di parole che nella traduzio­ ne sono scomparse. Ciò significa che devo omettere quasi tutti i rife­ rimenti allo stile dell'originale. È inevitabile; a un livello superiore ai fonemi e alla formazione delle parole resta ancora del materiale lin­ guistico sufficiente al nostro studio per rimanere sulla via tracciata dall'autore. Anche in una traduzione, possiamo notare come sono raggruppate le frasi, chi ha facoltà di parlare e quando può farlo, il modo in cui l'autore presenta il proprio argomento, qual è l'oggetto di valore di cui va in cerca l'eroe, chi fa muovere i personaggi; pos­ siamo inoltre distinguere la dinamica degli avvenimenti, i capovolgi­ menti delle situazioni, ecc. 29

In questo libro cerco di delineare quali siano le regole e le con­ venzioni che hanno guidato l'autore, e che noi possiamo individuare nel testo come parte del testo stesso. Lo scopo è quello di capire i racconti dal «di dentro»; in fondo, sono stati destinati a esprimere il loro messaggio con mezzi propri. Se approfondiamo la nostra cono­ scenza sul modo in cui un racconto è stato elaborato e con quali mez­ zi, e impariamo a capire quale scopo si persegua tramite quelle tec­ niche e strutture, riusciremo a penetrare profondamente nel signifi­ cato e nei valori del testo. In questo procedimento non si può separare la forma dal conte­ nuto. Ogni elemento del linguaggio fa parte di un sistema di segni, e trasmette esso stesso un significato - l'esempio più ovvio è la paro­ la - oppure è un elemento strutturale (come le regole per costruire una frase), e in quanto tale contribuisce a formare un significato. Vi­ ceversa, ogni contenuto che l'autore può avere voluto racchiudere nel suo racconto e trasmettere al suo pubblico, può essere pensato soltanto e può esistere soltanto in virtù delle forme di linguaggio, sti­ le e struttura che egli ha scelto di usare. Grazie ali' abilità di stile e composizione di cui abbiamo la prova all'inizio di 2Re 4, la semplice parola «morto» è collegata con «vivo» alla fine del racconto, e si rial­ laccia in modo trasversale alla disperazione della vedova e alla schia­ vitù che minaccia i suoi figli. Tale parola entra nello strumento stili­ stico della «cornice» e pertanto contribuisce anche a definire l'unità letteraria; segna inoltre la conclusione dell'insieme, costituita dal du­ plice concetto di problema e soluzione. In breve, opera su vari livel­ li contemporaneamente. Non esiste forma senza contenuto, né può esistere un contenuto che non sia trasmesso o indicato dalla forma. Il

talento di Davide per la metafora

La potenza del linguaggio può essere illustrata per mezzo di un breve esercizio fatto a partire da l Samuele 17, il lungo racconto di Davide e Golia. È una storia che tutti conoscono. Due eserciti stan­ no l'uno di fronte all'altro, pronti per la battaglia; nel mezzo, c'è Go­ lia, il gigante armato fino ai denti, la carta vincente dei filistei, che grida sfidando gli avversari . Il pastorello Davide è l'eroe e il suo sco­ po è evidente: conquistare la vittoria, immobilizzando il campione che da 40 giorni deride e provoca le truppe del re Saul - quaranta è una cifra tonda e sacra che simboleggia l 'umiliazione totale di 30

Israele. Tuttavia, se prendiamo in seria considerazione il linguaggio e il modo di organizzare il materiale presentato dall'autore, scoprire­ mo molto di più e vedremo accadere cose che surclassano quelle di un film di alto livello. Comincerò con una semplice osservazione quantitativa. La com­ parsa di Davide e la sua preparazione per la battaglia occupano qua­ si mezza pagina. Egli viene da un 'altra parte del paese e non appare molto qualificato daJia presentazione che ne fanno i vv. 12-15: è trop­ po giovane, il padre Jesse ha mandato al fronte soltanto i tre fratelli maggiori, poiché il minore (l'ottavo) è di gran lunga lontano dall'es­ sere pronto a combattere. L'unico suo compito consiste nel portare provviste ai fratelli (vv. 17-1 9). Immaginiamo di vedere come in un film il suo arrivo al v. 20; da quel momento abbiamo di nuovo la vi­ sione del campo di battaglia, ma questa volta attraverso gli occhi del giovane, vv. 22-27. Il fratello maggiore lo redarguisce aspramente (v. 28) - un 'altra prova che Davide non appartiene alla categoria degli uomini forti. E quando Davide si rivolge a Saul per dirgli che vuole battersi contro il Filisteo, l'autore fa pronunciare anche dal re paro­ le di .d isprezzo, al v. 33: Ma Saul disse a Davide: «Tu non puoi andare a combattere quel Filisteo; sei solo un ragazzo, mentre egli è guerriero fin dalla sua gioventù! ».

Sembrano parole dettate dal buon senso e bene intenzionate. Il discorso, costruito con grande sagacia, sfrutta abilmente entrambi gli aspetti della parola «gioventù», che Saul usa in senso positivo rife­ rendosi alla professionalità di Golia come soldato, e in senso negati­ vo con riferimento a Davide. Saul però ignora ciò che il lettore ha ap­ preso dalla prima parte del capitolo precedente (l Sam 16), cioè che questo giovane è stato consacrato dal profeta Samuele ed è destina­ to a divenire il nuovo re. Così noi seguiamo questo scambio di paro­ le con occhio critico, scoprendovi una certa ironia: il re attuale, che è condannato, cerca di distogliere l'eletto da Dio da quello che sarà il suo successo più clamoroso, l'umiliante sconfitta di Golia ! Davide non ha bisogno del nostro aiuto, sa difendersi benissimo da solo con le parole. La sua risposta non lascia a Saul altra scelta che permettere a Davide di fare come ha deciso. Il discorso di Da­ vide è lungo - una decisione dell 'autore che è già una provocazio­ ne - e ha un 'importanza speciale. È un racconto dentro il racconto 31

a differenza di una storia normale, non narra un unico avveni­ mento, bensì fatti e abitudini ricorrenti: Davide descrive al re la pro­ pria vita di pastore.

e,

Davide disse a Saul: « Il tuo servo custodiva il gregge di suo padre, e se veniva un leone o un orso a portar via una pecora dal gregge, io lo inse­ guivo, lo abbattevo, e strappavo la preda dalla sua bocca. E se mi aggre­ diva, lo afferravo per il pelo della mascella, lo abbattevo e lo uccidevo. Il tuo servo ha abbattuto il leone e l'orso; e quel Filisteo non circonciso farà la stessa fine. poiché ha sfidato le schiere del Dio vivente. Davide aggiunse: «II Signore che mi ha salvato dal leone e dall'orso, mi salverà anche da quel Filisteo» (l Sam 17 ,34·37).

Il punto principale di questo mini-racconto con le sue forme ver­ bali che esprimono ripetizioni nel passato, consiste nel fatto che il suo messaggio si collega metaforicamente alla situazione in cui stan­ no vivendo Saul e Davide: il campo di battaglia e lo sfidante che ap­ pare invincibile agli occhi di tutti. C'è soltanto una persona che vede le cose in modo diverso, ed elabora la propria qualifica di eroe tra­ mite un discorso pieno di fiducia in se stesso. Anche il paragrafo successivo (vv. 38-39) contiene delle buone intenzioni che non hanno successo. Davide ha il permesso di prova­ re l'armatura del re, ma questa non è adatta per lui. Per forza, pen­ serà il lettore dotato di senso dell'ironia e di simbolismo; come può la corazza di un uomo condannato adattarsi all'uomo eletto dal Si­ gnore? Poco dopo, Golia vede farsi avanti un giovane con gli attrez­ zi da pastore. Possiamo immaginare la sua sorpresa, perciò l'autore non perde tempo a descriverla. Tuttavia noi sentiamo le sue parole e notiamo che anche qui l'autore usa due livelli di conoscenza. Quello che noi, ascoltando insieme a Saul, abbiamo sentito dire da Davide sulle bestie feroci, Golia lo ignora. Senza supporre minimamente che, mentre parla, le sue parole subiscono un mutamento radicale di significato, egli grida a Davide (vv. 43-44 ): «Sono forse un cane, perché tu venga a me con un bastone?». Il Filisteo maledisse Davide in nome dei suoi dèi; poi gli disse: «Fatti avanti e io darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche>>.

Golia pensa che la sua sia una domanda retorica alla quale tutti sono in grado di rispondere: naturalmente lui non è un cane. Davide e il suo pubblico (Saul e i lettori) sanno qualcosa di più. Noi consi32

deriamo la domanda seriamente e scopriamo che sì, Golia è un cane. Se soltanto sapesse di avere di fronte uno che è molto esperto a uc­ cidere orsi o leoni ! Il contrasto fra i due accampamenti, Israele e i filistei, con il qua­ le ha inizio il racconto, è al livello del materiale di cui dispone l'au­ tore, non è altro che l'argomento della narrazione. Nel frattempo si è materializzato un contrasto molto più importante e paradossale. Mentre i soldati dell 'uno e dell'altro schieramento auspicano la mor­ te del nemico e nessuno di loro pensa di avere qualcosa in comune con la parte avversaria, tutti coloro che sono sul campo di battaglia sono invece uniti da una sola ideologia: la grossolana fede nelle ar­ mi. Per entrambi gli accampamenti il Maestro di cerimonie è il cam­ pione che occupa la postazione centrale; egli fa sfoggio della propria potente armatura, dimostrando così tale fiducia e trasmettendola a tutti i presenti. L'autore ha dedicato addirittura otto frasi alla de­ scrizione di tutte le sue armi famose: i vv. 4-7. Ma poi, nel mezzo del capitolo, sorge la vera opposizione - un'opposizione di uno solo contro tutti gli altri. Davide è un'eccezione, poiché non condivide l'i­ deologia generale. Mentre gli israeliti si lasciano intimidire dall'apparizione del gi­ gante e ripongono la loro fede nelle armi come fanno i loro nemici, Davide si distingue dagli altri, grazie a una visione metaforica della realtà di cui in seguito rivelerà l 'origine, dimostrandosi ancora una volta padrone della lingua. Davide mantiene il sangue freddo e vede nell'arena qualcosa di totalmente diverso da ciò che tutti vedono: una bestia feroce. Questa visione ha delle conseguenze che vanno molto lontano. Egli elimina il campione con un tiro da pastore esper­ to: con la fionda e una pietra. Ci hanno sempre insegnato che Golia fu colpito alla fronte. M a è una tesi improbabile. In primo luogo, sembra strano che egli non crolli o cada all'indietro, in seguito al colpo della pietra lanciata. In­ vece cade con la faccia a terra . Questo significa non soltanto una ca­ duta fisica, ma anche una prostrazione, in senso simbolico e religio­ so: inconsapevolmente, adesso egli adora il Dio del nemico. Inoltre, dai bassorilievi di Ramses III d'Egitto, apprendiamo che nell'XI se­ colo a.C. i filistei indossavano elmi robusti che certamente ne pro­ teggevano la fronte. Esiste anche un motivo linguistico. Nel v. 49 leg­ giamo come la pietra che gi unge sibilando dalla fionda di Davide «penetri (la) mi$1)0 (di Golia)». Questa parola ebraica significa in 33

realtà «faccia» ed è perciò meno specifica di «fronte». Ora, lo stesso vocabolo è stato usato precedentemente nel racconto, nella forma plurale (mi$/:IOt, v. 6), e appare nell 'elenco delle armi. Da tempo im­ memorabile, questa parola è stata tradotta in modo corretto con (( gambali di protezione>> o «sch inieri». Per il v. 49 non occorre trova­ re un altro significato ! Cosa accadde in realtà? Su questo argomento, una scrittrice che morì ancora giovane, aveva pubblicato vent'anni fa una teoria per conto di suo padre, un rabbino americano; è ora che questa teoria sia più ampiamente conosciuta. Davide scaglia la pietra proprio so­ pra lo schiniere, al punto in cui si trova l 'articolazione del ginoc­ chio nell 'armatura di Golia. Di conseguenza, questa parte dell'ar­ matura si blocca e il guerriero non riesce più a piegare la gamba. Tale incidente si dimostra fatale, poiché, secondo il v. 48, egli ha ap­ pena cominciato a muoversi . Il gigante avanza verso Davide con passo impacciato, viene colpito e, ostacolato dalla giuntura del gi­ nocchio che non si piega più, fa una brutta caduta - in avanti; è la conseguenza naturale del suo stesso movimento. La traduzione esatta del v. 49 sarebbe questa: «Davide infilò la mano nella sacca, tirò fuori una pietra e la scagliò. colpendo il Filisteo allo schiniere . L a pietra penetrò al di sopra dello schiniere, e Golia cadde con la faccia a terra». Questa teoria presenta un vantaggio notevole, poiché dimostra che Golia è stato reso inabile proprio nel punto preciso in cui risie­ de la sua forza - si ricordi l'elenco dettagliato delle armi! Un'ironia straordinaria alle spese di questo colosso. Ciò che sembrava render­ lo invincibile si è rivelato fatale. La sua protezione, l'armatura mas­ siccia, gli si è rivoltata contro, grazie· allo sguardo acuto di Davide e alla sua mano ferma. Con questa chiave di lettura, il risultato di quel­ la che a stento si può definire battaglia, acquista un significato assai più preciso, più interessante, più in sintonia con l'argomento che Da­ vide ha presentato come oratore. L'autore continua la sua narrazione con accenti ironici: Golia ora giace a terra impotente, sotto il peso della propria armatura, poi è decapitato dalla sua stessa spada: Davide arriva di corsa e la conqui­ sta, v. 51 . Il ginocchio di Golia, nella letteratura dell'antico Israele. rappresenta ciò che è il tallone di Achille nella letteratura greca, l'u­ nico punto debole, e nel poema epico tedesco dei Nibelunghi la pic­ cola macchia sul dorso dell'eroe Sigfrido. 34

Davide vedeva le cose in modo diverso dagli altri, poiché osser­ vava con creatività metaforica. Egli vide Golia come una belva. quin­ di il destino del guerriero divenne quello di una belva, uccisa da un pastore provetto. Thttavia, ogni cosa si svolge aH 'interno del linguag­ gio: prima, Davide espone brevemente la propria esperienza con le_ pecore aggredite dalle bestie feroci; poi, Golia, inconsciamente, si collega a questo discorso, parlando di cani, uccelli e bestie selvatiche. La creatività metaforica deriva dalla creatività linguistica . Grazie al linguaggio di Davide, la realtà viene descritta nuovamente, e trasfor­ mata: non più minacciosa, ma tranquilla. L'uso del linguaggio metaforico va ancora più lontano, poiché ora noi possiamo trasformare anche la realtà delle pecore. Come il gregge fu salvato dall 'intervento del pastore, Israele e il suo esercito sono salvati dall'azione di una sola persona, la cui immaginazione non si è lasciata paralizzare dall'atteggiamento spavaldo dal l'avver­ sario. Così, Davide si è qualificato come pastore anche a un livello più alto: è stato chiamato ad avere cura del suo popolo. Non tutto, però, si esaurisce qui, poiché Davide, nel frattempo, ha superato un altro esame nella padronanza del linguaggio. Lo scritto­ re fa pronunciare a Davide il suo discorso più importante nei vv. 4547, prima cioè che abbia in izio il duello. Davide si rivela un oratore� egli sceglie il colosso armato come uditore delle parole che esprimo­ no fiducia in se stesso e che annunciano la sconfitta di Golia. Ritro­ viamo qui l'ironia dell'autore, il quale offre a Golia l'onore discuti­ bile di essere il primo a ricevere il segreto di Davide: la rivelazione della sorgente da cui nasce la visione metaforica di Davide. E gli uc­ celli e gli altri animali a cui fa riferimento, vengono usati dallo stes­ so Davide nel suo discorso: Davide rispose al Filisteo: «Tu vieni a me con la spada, la lancia e l'asta; io invece vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, il Dio delle schiere di Israele, che tu hai sfidato. In questo stesso giorno il Signore ti farà cadere nelle mie mani. lo ti ucciderò e ti taglierò la testa; poi darò i cadaveri dell'esercito filisteo agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche. Tutta la terra saprà che vi è un Dio in Israele. E tutta questa moltitudi­ ne saprà che il Signore può dare la vittoria senza lancia o spada. Poiché il Signore è arbitro della lotta, e vi metterà nelle nostre mani».

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Così, lo scrittore fa di Davide il personaggio che, come tutti pos­ sono constatare, lettori compresi, ha la capacità di impartire una le­ zione fondamentale di contro-ideologia. Davide illumina tutti , anche prima che si compia l'ultimo atto. La coppia di vocaboli «Spada e lan­ cia)) contrasta quella apparentemente ridicola di >, in altre parole, facendo una traduzione estremamente letterale. Lo sco­ po a cui tendono queste traduzioni si basa su una specie di illusione ottica: gli unici lettori che possono apprezzare la fedeltà (evidente) di tali versioni sono quelli che hanno familiarità con la lingua origi­ nale; ma sono proprio loro che, avendo dimestichezza con l'ebraico, possono fare a meno di una traduzione, anzi si rendono ben conto di come sia impossibile trasferire in un'altra lingua gran parte della so­ norità, dello stile e del ritmo della lingua ebraica. Le persone che si affidano a un testo tradotto sono per definizione non idonee a nota­ re, tanto meno ad apprezzare, fino a che punto una traduzione idio45

lect faccia giustizia al testo originale. C'è una sola eccezione, almeno l'unica che io conosca: si tratta della traduzione della Genesi fatta da Robert Alter, un'ottima versione che riesce ad aderire molto valida­ mente all'originale. Oggi disponiamo di una vasta quantità di nuove traduzioni e pa­ rafrasi della Bibbia. Elenchiamo le più diffuse in Italia: - La Sacra Bibbia CE/, ed. CEI, Roma 1 971 , 21974; è la tradu­ zione ufficiale della Bibbia a cura della Conferenza Episcopale Ita­ liana, usata anche nella liturgia. Nel 1997 è stata pubblicata un 'edi­ zione corretta, per lo studio e la consultazione personale, del solo NT; nel maggio 2002 è stata approvata la nuova traduzione dell'inte­ ra Bibbia, che sarà edita nei prossimi anni. La Trad uzione CEI della Bibbia è riportata in diverse Bibbie commentate molto diffuse in Ita­ lia: nella Bibbia di Gerusalemme (EDB, Bologna 1974 e successive) con introduzioni e note della Bible de Jerusalem ( 1 948-1 952 )� nella Bibbia TOB (LDC, TO-Leumann 1976, 21992), con introduzione e note della Traduction Oecumenique de la Bible ( 1 975, 21989); ne La Bibbia, ed. a cura della Civiltà Cattolica - Ancora, Milano 1974; ne La Bibbia, parola di Dio scritta per noi (3 voli., Marietti, Casale Mon­ ferrato 1980). - La Bibbia concordata, Mondadori , Milano 1 968. Traduzione dalle lingue originali a cura di S. Cipriani, G. Gamberini, P.P. Grassi, P. Kizeridis, F. Montagnini, A. Soggin, E. Toaff e altri. Traduzione in cooperazione fra cattolici, protestanti e ortodossi� non è esplicitata l'integrazione e l'armonizzazione dei vari contributi. - Parola del Signore. La Bibbia in lingua corrente, LDC-A BU, TO-Leumann 1 976- 1 985. Traduzione dai testi originali attuata da un gruppo interconfessionale, con brevi introduzioni e note esplicative ai vari libri. È indirizzata al lettore comune, segue il metodo della traduzione per equivalenza dinamica. Nel 2000 è uscita una nuova versione del solo NT (in coedizione LDC-ABU-11 Capitello-Ed. Messaggero). - La Sacra Bibbia. Versione nuova riveduta. Edita dalla Società B iblica di Ginevra nel 1 994 e dalla Società Biblica Britannica & Fo­ restiera di Roma nel 1 995. È un 'approfondita revisione (operata da una commissione presieduta da G. Luzzi) della traduzione in italia­ no dalle lingue originali a cura di G. Diodati ( 1 822/ 1 823). Non con­ tiene i libri deuterocanonici, presenti invece nelle edizioni del Dio­ dati. 46

- Bibbia Emmaus. Nuovissima versione dai testi originali, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998. Riporta in un unico volume la tradu­ zione curata da vari esegeti e pubblicata a cura delle Edizioni Paoli­ ne in 46 volumetti fra il 1 967 e il 1 980. Offre una traduzione fedele al testo originale, introduzioni ai singoli libri e brevi note esplicative.

Nel testo del libro si seguirà la traduzione operata volta per vol­ ta dall 'autore, pur tenendo presente la traduzione CEI e un control­ lo sulla lingua originale [NdT].

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3 UNO SGUARDO SU DODICI RACCONTI

CAMPO

DI ESERCIZIO

Prima di cominciare a pensare a una trama e a un eroe, o a con­ siderare il racconto come un'arena dove vari punti di vista sono in lotta fra loro, dovremmo giungere a un accordo sui testi da usare. Ne esistono tanti e sarebbe molto scomodo se, durante la discussione sui cc. 4-10, i lettori dovessero sfogliare freneticamente per tutto il tem­ po le loro traduzioni della Bibbia, in cerca di esempi che si potreb­ bero trovare da qualsiasi altra parte. Ecco perché propongo di deli­ mitare un'area di esercizio, consistente in dodici racconti dimostrati­ vi, e concentrarvi la nostra attenzione. I libri della Genesi e dei Giu­ dici ci propongono due racconti ciascuno, e i libri di Samuele e dei Re ce ne offrono ciascuno quattro. Nei capitoli che seguono, estrarrò da questa serie di dodici testi gli esempi con i quali intendo chiarire c vivificare le regole e i concetti dell'arte narrativa. Come risultato di questa strategia, il lettore, dopo avere letto e assimilato i cc. 4- 10, avrà studiato questi dodici racconti biblici da ogni punto di vista, e sarà così in grado di formare un quadro completo di una certa profondità. Prima di tutto, presenterò al lettore questi dodici racconti con brevi riassunti, inserendovi qua e là qualche informazione di fondo, che può terminare a volte con una domanda stimolante. Tuttavia, queste introduzioni non devono sostituire i testi stessi: la lettura per­ sonale è d'importanza fondamentale. Consiglio vivamente di comin­ ciare a leggere per esteso alcuni dei capitoli scelti e di meditarli; in questo modo, le regole e i concetti che saranno presentati in seguito, 49

in un ordine ragionevolmente sistematico e continuamente illustrati da esempi tratti dall'area di esercizio, risulteranno molto più ricchi di significato. La stessa lettura attenta permetterà di conoscere queste regole e questi concetti a un livello molto più profondo. Ma c'è di più: l'incontro con gli autori biblici sarà una fonte di piacere immen­ so. Il piacere e il divertimento non devono essere considerati con so­ spetto: sono necessari ai racconti che ne traggono vantaggio; infatti, ogni buon narratore sa che l'arte di conquistare il proprio pubblico è il principio della saggezza. Soltanto se riesce a catturare la nostra attenzione, egli avrà l'opportunità di insegnarci conoscenze e valori specifici. Questi principi e tecniche narrative saranno molto utili anche nella lettura di romanzi e racconti contemporanei, oppure quando si guarda o si analizza un film con occhio critico. Se si possiede un vi­ deoregistratore, ci si può esercitare in tecnica narrato logica: riveden­ do episodi particolari più volte, si capirà molto meglio come un regi­ sta cinematografico usi il tempo e lo spazio, come e perché egli fac­ cia comparire e sparire i suoi personaggi, e di quali metodi e trucchi si valga. perché i suoi argomenti entrino in sintonia con il pubblico. In fondo, fare del cinema è un altro modo di raccontare una storia lungo l'asse lineare del tempo. A.

Gen 27,1-28, 9: Rebecca e Giacobbe ingannano /sacco ed Esaù

Il racconto. Isacco è vecchio e vuole dare la sua benedizione al primogenito Esaù. Rebecca ascolta non vista le sue intenzioni e co­ spira con Giacobbe, travestendolo. Giacobbe riceve la benedizione e parte per Carran, in Mesopotamia, per trovarsi una moglie fra i suoi parenti; Esaù perde la primogenitura. Il contesto. È la penultima parte del primo episodio dei racconti di Giacobbe. Questi hanno avuto inizio in Gen 25, 19-28.29-34, con due brevi racconti sulla nascita di Giacobbe e la sua bruciante ambi­ zione di essere il primo nella discendenza. Prima di dare alla luce i due gemelli Esaù e Giacobbe, Rebecca aveva ricevuto un oracolo (una poesia di quattro emistichi, 25,23), con una frecciata alla fine: «il maggiore servirà il più piccolo»; queste parole di Dio governano il ci­ clo quasi come un programma. Con un piatto di lenticchie stufate Giacobbe raggira il frate llo, che torna a casa affamato dalla caccia,

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facendogli perdere il suo diritto di primogenitura (in ebraico:

bekora). Qui, al c. 27, è la benedizione a essere in gioco (in ebraico berakiì). In Geo 28,10-22 Dio si rivela in sogno a Giacobbe durante la sua fuga da Canaan, e gli promette di aiutarlo.

Due domande. In Gen 27, il comportamento della madre e del figlio prediletto è giustificato dall 'oracolo? E chi è esattamente l'eroe del racconto: Giacobbe, la madre, o entrambi? Si studi il mo­ do in cui i personaggi entrano ed escono di scena.

suo

H.

Gen 37, 12-36: Giuseppe

a

Dotan: venduto dai fratelli

Contesto. Giuseppe è il figlio prediletto di Giacobbe, che è molto avanti negli anni. Nei vv. 5-10, egli ha dei sogni profetici, riguardanti un futuro regale; i fratelli non sopportano il ragazzo viziato. Il com­ plotto, nucleo dell'intero racconto di Giuseppe in Gen 37-50, è in gran parte determinato dall'argomento dei sogni. Dopo essere stato ve nduto in Egitto, Giuseppe diventa schiavo e trascorre diversi anni in carcere, finché attira su di sé l'attenzione della corte e assurge a un 'alta carica come interprete dei sogni del faraone. Divenuto visir, egli gioca sulla coscienza colpevole dei suoi fratelli, spinti ai ricchi granai de Il 'Egitto da una carestia che imperversa nel loro paese. Il ri­ morso che essi dimostrano spezza la sua severità; egli si fa ricono­ scere e manda a chiamare il padre con tutta la famiglia, perché viva­ no in Egitto e sopravvivano alla carestia. Il racconto. Nel brano di Gen 37,12-36, Giuseppe va a trovare i fratelli che pascolano le loro greggi al nord. Essi vorrebbero ucci­ derlo, ma Ruben e Giuda si oppongono. Tuttavia si sbarazzano di Giuseppe, vendendolo a una carovana diretta in Egitto e fanno cre­ dere al loro padre che il figlio prediletto è stato divorato da una be­ stia feroce. ( : Gdc 4: Debora e Barak sconfiggono Sisara e i suoi carri Il racconto. La profetessa Debora nomina Barak generale del­ l'esercito, reclutato soprattutto fra le tribù della Galilea; egli deve li­ berare ls�aele dal giogo dei cananei. Il campo di battaglia è la pia­ nura di Izreel, non lontana dal monte Tabor. Dio sconfigge il nemi51

co e Sisara fugge. Sebbene Barak lo insegua, toccherà a una donna, Giaele, accoglierlo nella sua tenda, farlo addormentare e ucciderlo nel sonno. Una domanda insidiosa. Chi è qui l'eroe o l'eroina? È una per­ sona sola o sono due, e per quale motivo viene assegnato loro que­ sto ruolo? D. Gdc 19: Il delitto di Gabaa, la violenza di una banda Il racconto. Un levita va a cercare la sua concubina, che è fuggita da lui ed è tornata dal padre. L' uomo mangia e beve nella casa del padre di lei, a Betlemme. Durante il viaggio di ritorno con la donna, è costretto a trascorrere la notte in una città che appartiene alla tribù di Beniamino. La gentaglia del luogo assedia la casa dove egli si tro­ va e vuole abusare di lui. Il levita offre la propria concubina alla vio­ lenza di quella gente, e il mattino seguente trova il suo cadavere sul­ la soglia. Quando torna a casa, taglia il corpo della donna in dodici pezzi e li manda a ciascuna delle tribù di Israele. Domande. Si rifletta sul ruolo che hanno tempo e spazio in que­ sta pagina della Bibbia, forse la più cupa, e sul modo nel quale viene rappresentato il levita. E. l Sam 9, 1-1 O, 16: Saul va in cerca delle asine di suo padre. Il profeta Samuele lo istruisce e lo consacra re Il racconto. Saul, figlio di un contadino, è mandato dal padre a cercare le asine che si sono smarrite. Dopo una ricerca vana, Saul va a consultare un veggente. È Samuele, che, con grande stupore di Saul, lo pone a capo di un banchetto cultuale, poi durante la notte lo istruisce a lungo sul suo futuro e, il giorno seguente, lo consacra re. Samuele pronuncia delle profezie che, mentre Saul ritorna a casa, si avverano. Saul è investito dallo spirito del Signore e va in estasi. I presenti si chiedono: «È dunque anche Saul fra i profeti?». Contesto. Questo lungo e splendido racconto fa parte del lungo atto di l Sam 8- 12, nel quale avviene una svolta politica nel vasto dramma che va dal libro di Giosuè al libro dei Re. Consiste in cinque

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episodi che narrano la fine di una società tribale e l'istituzione della monarchia in Israele. Tale passaggio a una nuova forma di governo costituisce un problema delicato, se non altro perché Dio stesso e il suo profeta Samuele considerano idolatria la richiesta del popolo che vuole un re ... Le cinque unità, 8,1-22; 9,1-10,16; 10,17-27; 1 1 ,113 e 1 1 ,14-1 2,25, sono stati composti secondo lo schema ABABA. Le sezioni A (cioè 8; 10,17ss e 12) descrivono le assemblee popolari, do­ ve nasce una discussione fra il popolo e il giudice frustrato Samuele, il quale, con grande sgomento, riceve dal suo Signore l'ordine di con­ cedere un re, suo malgrado. Nei racconti B, cioè 9,1-10,16 e 1 1 (la li­ berazione della città di la bes), veniamo a conoscere il personaggio di Saul, il quale, incitato dallo Spirito, ha un esordio brillante. Domanda. Quando si legge personalmente il brano che narra gli spostamenti di Saul, si cerchi di capire come siano costruiti i vari in­ contri. Si riesce a individuare fasi diverse, ad esempio prendendo come punto di partenza i verbi di moto e la loro funzione di articolazione? F.

1 Sam 17,1-18,5: Davide sconfigge

Golia

L'esercito di Israele e quello dei filistei sono uno di fronte all'al­ tro; il centro della scena è dominato dallo spaventoso guerriero Go­ lia, che da quaranta giorni provoca le schiere di Saul. È un gigante che indossa un 'armatura impenetrabile. Da Betlemme giunge un pa­ storello, che porta delle provviste ai fratelli maggiori, soldati dell'e­ sercito. Il giovane è Davide. Appena egli vede il gigante, decide di en­ trare nell 'arena, contro la volontà del re. Ricevuto infine il consenso, pronuncia un discorso, imperniato sul concetto che non saranno le armi a decidere l'esito della battaglia, ma sarà Dio; quindi colpisce Golia con una pietra, scagliata da una fionda, e lo uccide. Davide gli taglia la testa con la sua stessa spada. Gionata, l'erede al trono, ha as­ sistito al combattimento pieno di ammirazione e offre a Davide la propria tunica e le proprie armi in segno di stima. G. 2Sam 3,6-21: A bner abbandona ls-Baal e stringe un patto con Davide Il racconto. Abner è l'uomo forte del piccolo stato di Transgior­ dania, che è tutto quanto rimane alla casa di Saul. A causa di una di­ sputa per una donna, Abner rompe i rapporti con il re Is-Baal e de-

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cide di trasferire le dieci tribù sotto il dominio di Davide, re di Giu­ da. Davide accetta. ma ad una condizione: come simbolo di questa al­ leanza. egli pretende il ritorno di Mikal, la sua precedente moglie (una figlia di Saul). Infatti, così avviene: il patto è concluso nella città di Ebron, capitale del regno di Giuda. Domande. Si nota qualche collegamento fra i mutamenti che in­ tervengono nel destino di Rizpà e di Mikal? Come si comporta Da­ vide verso Mikal, quando ella gli viene restituita? H.

2Sam 24: Il censimento e la peste; Davide acquista un 'aia

Il racconto. Davide ha l'infelice idea di indire un censimento e non ascolta Ioab, che tenta di dissuaderlo. Dio manda al re il profeta Gad e Davide deve scegliere fra tre castighi: carestia. peste o esilio. Davide sceglie la peste. Metà del paese era già stato colpito dall'epi­ demia e anche Gerusalemme stava per essere distrutta, quando Dio ordina all'Angelo della Morte di fermarsi. Nel frattempo, Davide aveva confessato la propria colpa e chiesto perdono per il suo popo­ lo. Su consiglio del profeta, Davide acquista un 'aia sul monte Sion (lo stesso luogo in cui l'Angelo si era fermato) dal suo suddito Araunà, vi costruisce un altare, e offre sacrifici a Dio. La peste si arresta.

l. l Re l: Due fazioni lottano per il trono; Salomone diventa re Il racconto. Il re Davide è molto vecchio e non ha ancora desi­ gnato un successore. Il suo ambizioso figlio Adonia non vuole più aspettare e decide di proclamarsi re durante un banchetto al quale prendono parte i suoi sostenitori. All'ultimo momento, interviene la fazione di Salomone nelle persone del profeta Natan e di Betsabea. Essi usano la loro influenza per convincere Davide, il quale, con un giuramento, dichiara Salomone suo successore. Questo principe è in­ coronato immediatamente. Quando scopre di essere stato sconfitto, il partito di Adonia si disperde in ogni direzione. Salomone ammo­ nisce Adonia per indurlo alla calma. . Contesto. I capitoli l e 2 di l Re concludono i racconti di Davide e contemporaneamente segnano l'inizio del libro dei Re. Il triango­ lo Natan-Betsabea-Salomone, che si oppone al re, era già presente 54

nei racconti di 2Sam 1 1 -12, in cui è narrata la caduta morale di D a­ vide (il suo adulterio con Betsabea e il piano per uccidere suo mari­ to Uria ). Salomone è il secondo figlio di Davide e Betsabea, ed è sta­ to legittimato dal profeta. L'in tervento di Natan in favore di Salo­ mone non ci sorprende molto: alla nascita del principe, egli lo aveva chiamato con un soprannome che significa «amato da Dio» (2Sam 1 2,25); questo fa comprendere al lettore che un grande avvenire aspetta Salomone. Natan è il profeta importante che: a) in 2Sam 7 pronuncia un lungo oracolo di salvezza, in cui Dio fa a D avide la promessa solenne di una dinastia stabile, ma che b) si vede anche costretto in 2Sam 12 a pronunciare un lungo oracolo di condanna, che annuncia castighi a Davide, per le sue col­ pe di adulterio e di omicidio. Per esaminare tutto il complesso che si estende da 2Samuele a 2, è necessario leggere questi tre testi ( l Re l , 2Sam 7 e 2Sam 1 2), nei loro collegamenti reciproci. L'oracolo positivo è in gran par­ te annullato da quello negativo, e in l Re l il profeta dimostra di non essere al di sopra dei partiti politici. l Re

J. l Re

13: La parola di Dio,

attraverso profezie vere e false

Contesto. Dopo la morte di Salomone, lo stato unificato di Israe­ le si divide in due; Dio legittima lo scismatico Geroboamo per mez­ zo del profeta Achia. Il suo regno sarà costituito da Israele in senso stretto, cioè le dieci tribù senza Giuda. Geroboamo stabilisce il pro­ prio culto personale con due vitelli d'oro, uno al nord e uno al con­ fine meridionale, a Betel; Dio lo condanna. Il racconto Un «Uomo di Dio» proveniente da Giuda compare al fianco di Geroboamo, a Betel, mentre egli offre sacrifici, e grida ver­ so l'altare un comando di Dio, per cui l'altare si spaccherà. Il re adi­ rato diventa vittima di un prodigio (una mano paralizzata) e guari­ sce soltanto grazie all'intercessione dell'uomo di Giuda , che prega Dio per lui. Poi questi inizia il viaggio di ritorno e incontra un altro profeta (designato sempre come «il vecchio profeta))), il quale lo in­ vita a mangiare in casa sua, affermando di avere ricevuto da Dio l'or­ dine di in vi tarlo. L'uomo di Giuda cede e accetta l'invito; ma, dopo il pasto, il vecchio profeta biasima l'azione del suo ospite con un ora.

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colo di condanna. Il giudeo riprende il cammino ed è ucciso da un leone. Il profeta di Betel si reca sul luogo e vede che il leone non toc­ ca né l'uomo morto né il suo asino. Egli seppellisce l'uomo di Giuda nel proprio sepolcro. Domande. Qual è la saggezza per l'uomo di Giuda, quando il suo collega gli rivolge la parola? Qual è l'atteggiamento dell'autore ver­ so i due uomini di Dio? È giusto il modo in cui se la cava il vecchio profeta di Betel? Qual è, dopo il v. 10, «l'oggetto di valore», e chi lo va a cercare? 2Re 2, 1-18: Eliseo, il grande profeta, dopo l'ascensione di Elia al cielo

K.

Il racconto. Il rapporto Elia-Eliseo è quello tipico di un maestro col suo discepolo. Ora che il compito di Elia è terminato, Eliseo e i figli dei profeti sanno che Dio rapirà Elia. Partono tutti insieme ver­ so il fiume Giordano; il discepolo non si allontana mai dal fianco del maestro. Elia separa le acque con il suo mantello, poi attraversa il fiume insieme a Eliseo e questi chiede a Elia, come eredità, una par­ te doppia del suo spirito. Quindi, Eliseo guarda Elia che viene rapi­ to in cielo su un carro tirato da cavalli di fuoco. Dopo avere raccolto il mantello del maestro, Eliseo colpisce a sua volta il Giordano, così le acq ue si separano mentre egli si dirige verso occidente. La folla dei profeti-discepoli lo osserva. Alcuni, contro il consiglio di Eliseo, van­ no in cerca del corpo di Elia, ma invano. Domanda. Chi è esattamente l'eroe, uno dei personaggi o en­ trambi? Su quali ragioni si può basare la scelta? 2Re 4,8-37: Una madre lotta per suo figlio; Eliseo lo risuscita dai morti

L.

Una donna ricca sposata a un uomo anziano prepara una came­ ra per un ospite, il profeta Eliseo, perché possa alloggiarvi quando si trova a passare in quella zona. Eliseo vorrebbe ricompensare la donna , ma a lei non occorre nulla. Quando apprende dal proprio servo Ghecazi che la donna non ha figli, le promette che avrà un bambino. 56

Il bambino cresce e un giorno, trovandosi fra i mietitori, muore. La m adre lo depone sul letto di Eliseo nella camera degli ospiti e corre a chiamare il profeta. Lo trova sul monte Carmelo e non si al­ lontana da lui. Dopo un tentativo infruttuoso da parte di Ghecazi, il quale non riesce a risuscitare il fanciullo, lo stesso Eliseo compare accanto al letto e si adopera tanto con riti e preghiere, che il fanciul­ lo ritorna in vita. C'è una descrizione molto curiosa su ciò che Eliseo compie sul corpo del fanciullo. Domande. Che rapporto esiste esattamente fra il profeta e la donna? Cosa pensate del suo aiuto? Chi è l'eroe, lui o la donna?

57

4 I L NA RRATORE E I SUOI PERSONAGGI

Quando iniziamo a leggere un racconto, abbiamo l 'impressione di ascoltare una voce che ci parla. Non è la voce dell'individuo stori­ co e ben definito che ne fu l'autore, la persona specifica che, intorno all'800 o al 500 a.C. , scrisse di Mosè o di Salomone. Quella che noi ascoltiamo è la voce della sua persona (parola latina che, fra le altre cose, significa «maschera»), la persona del narratore. Il narratore im­ persona un atteggiamento, un modo di essere. Lo si potrebbe defini­ re un 'emanazione o una personalità sostitutiva dello scrittore. G li autori dell'antico Israele, responsabili dei testi di cui ora abbiamo sotto gli occhi la traduzione, hanno sistematicamente tralasciato qualsiasi riferimento alla loro identità. I prosatori sono rimasti ano­ nimi, e tali volevano rimanere. L'unica eccezione (Neemia, nel cui racconto appare la parola «iO>>) non è che una conferma di questa re­ gola. E se esaminiamo il capitolo dell'Esodo o quello dei Giudici ci renderemo subito conto che gli autori narrano avvenimenti accadu­ ti in un tempo lontano anche da loro. Chi scrive un racconto si mette nella posizione del narratore, de­ cide di assumere l'atteggiamento di narratore. Cosa significa questo? Il narratore scrive quelle frasi e sceglie quei particolari, anche mini­ mi, che ritiene opportuni. È il capo assoluto di un intero circo. Pos­ siamo paragonarlo a un giocoliere che fa volteggiare in aria tante palle simultaneamente. Egli costruisce il tempo, delimita lo spazio, porta in scena i personaggi e li toglie, a volte porta fuori strada il let­ tore e impone la propria opinione, nel bene e nel male. Nel frattem­ po, deve anche rispettare alcune esigenze fondamentali della comu­ nicazione: anzitutto, il suo racconto deve essere avvincente, in modo da mantenere desto l'interesse del lettore; deve essere seguito facil­ mente e deve presentare tutti i vari dati (persone, azioni, parole, mo­ tivi, opinioni, intenzioni e ogni altro elemento) in modo tale che il suo punto di vista sulla narrazione sia plausibile e probabile. Il testo 59

convince se, per tutta la durata del testo, il narratore appare convin­ cente. Sotto questo aspetto, egli esercita l 'arte della retorica. L'anti­ ca definizione della retorica è ancora solida come la roccia: l'arte di persuadere con le parole. Per questo motivo, una buona narratologia è in gran parte una forma di analisi retorica. Il narratore è realmente un giocoliere. Se vuole che nel testo ap­ paia un cammello, non fa altro che inserirlo. Se non ha voglia di far parlare un personaggio, noi sentiamo soltanto la sua voce e le sue opinioni. In 2Re 4,1 decide di far parlare la vedova subito, mentre, nella prima pagina della Bibbia, un altro narratore fa aspettare Dio per quattro frasi , prima di permettergli di pronunciare tre sillabe (nell'ebraico). Queste sillabe sono «sia la luce», e sono seguite dalla conferma, da parte del narratore, «e la luce fu», per rassicurarci che il comando di Dio è stato eseguito nel modo giusto. È un atto splen­ dido: la luce è la prima di tutte le cose a essere creata, e viene all'e­ sistenza soltanto attraverso la parola di Dio. Così , ha ragione Gio­ vanni ad aprire il suo Vangelo con le parole affascinanti e magistra­ li: «In principio era il Verbo». Le prime frasi della Bibbia tradiscono subito una delle principa­ li caratteristiche del narratore: egli è onnisciente ma in senso let­ terario, non teologico. L'autore di Geo 1 ci racconta avvenimenti ai quali nessuno ha assistito, e tuttavia li racconta con autorità. L'auto­ rità deriva dalla sua posizione di narratore. In altri passi il narratore può, se lo desidera, guardare cosa accade nel consiglio celeste, o nel­ la mente dei personaggi e dello stesso Dio, o nella profondità del lo­ ro cuore: poco tempo dopo l'inizio del più grande progetto della sto­ ria, «il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addo­ lorò in cuor suo» , come è scritto in Geo 6,6. Il narratore lo sa perché lo sa, e lo sa perché lo dice, e forse lo sa soltanto al momento in cui lo dice; non occorre considerare tale affermazione «storicamente af­ fidabile» e supporre che, in precedenza, lo Spirito Santo abbia fatto una telefonata allo scrittore. -

LICENZA E AUTORITÀ DELLO SCRITIORE

L'autore biblico trae di solito il suo materiale da avvenimenti e personaggi della storia nazionale, ma non si preoccupa troppo delle esigenze rigide che la storiografia del nostro secolo deve rispettare. 60

Nel suo lavoro domina la licenza poetica, e illustrerò le estreme con­ seguenze di questa libertà con un esempio che un ascoltatore atten­ to potrebbe giudicare sconvolgente. Promuovere un censimento era un tabù nell'antico Israele. Co­ sa poteva spingere un governante a farlo? Si trattava forse di un burocrate dimentico di Dio, il quale voleva determinare il benesse­ re del suo popolo. invece di avere fiducia che lo facesse il Dio del­ l'alleanza ? In 2Sam 24 la politica di Davide provoca la collera di Dio, che colpisce il paese con la peste. Ma da dove era nata l'idea del re? Ecco ciò che dice l'autore dei libri di Samuele: «La collera del Signore si accese di nuovo contro Israele e incitò Davide con­ tro il popolo, dicendo: "Va' a fare il censimento di Israele e di Giu­ da". Un testo del genere fa sorgere subito la domanda: «Che moti­ vo ha Dio per fare ciò?». È forse un macchinatore, che vuole colpi­ re un popolo con la peste, che ordisce a tale scopo qualche sottile trama e si serve di Davide come di un burattino? Non è tanto im­ portante rispondere a queste domande quanto essere sufficiente­ mente vigili e imparziali per formularle e rivolgerle in modo così brusco. 2Sam 24 fa parte di una serie di testi appartenenti ai libri di Sa­ muele e dei Re che talvolta sono stati inclusi, praticamente invaria­ ti, nell'opera di uno scrittore · di epoca più tarda, i libri delle Crona­ che. In 1 Cr 21 troviamo il cosiddetto testo parallelo sul censimento e la peste. con alcuni ritocchi. L'autore sposta al v. 7 la frase sulla col­ lera di Dio e inizia il brano così: «Satana insorse contro Israele e in­ citò Davide a censire gli israeliti». È una frase che è quasi uno shock: il testo più antico, quello di 2Sam 24, dice che è stato Dio a incitare Davide alla follia, mentre il testo più recente (ca. 400 a.C.) afferma che è stato Satana, e questa contraddizione radicale si trova nello stesso e unico libro della Bib­ bia! Cosa significa? In primo luogo, notiamo che gli scrittori più re­ centi non hanno ritenuto necessario adattare il testo alternativo al loro punto di vista, cancellando la parola «Dio» e sostituendola con «Satana». Allo stesso tempo, tuttavia, lo scrittore più recente è anco­ ra completamente libero di comporre un proprio testo personale e mutare freddamente Dio in Satana. Questo la dice lunga sulla licen­ za poetica, ed è un modo sottile per mettere in guardia noi lettori contro il rischio di arrovellarci il cervello sulla domanda, tanto di­ sperata quanto inutile: dove risiede l'esattezza storica? Né saremmo 61

tanto stupidi da opporre un autore a un altro, poiché questo non rag­ giungerebbe alcuno scopo. Dovremmo invece capire che è opportu­ no per lo scrittore della composizione che si estende dai libri di Gio­ suè a quelli dei Re focalizzare l'attenzione su Dio, mentre è oppor­ tuno per lo scrittore delle Cronache mettere in primo piano Satana come agitatore. L'immagine di Dio varia totalmente da uno scrittore all'altro; lo stesso possiamo dire per l'immagine di Davide, che nei libri di Sa­ muele appare assai diversa da quella presentata nei libri delle Cro­ nache. Il delitto violento di Davide (testimoniato dalle storie piccan­ ti di 2Sam 1 1 e altre simili a queste) non compare affatto nei libri del­ le Cronache, dove invece egli gode di altissima stima. Per quanto ri­ guarda l'episodio della peste, allo scrittore delle Cronache evidente­ mente non piaceva il pensiero che Dio giocasse uno scherzetto me­ schino a una persona illustre come Davide. D'altra parte, il Dio de­ scritto dall'autore di 1 -2 Samuele lascia spazio a giochi sospetti . Non dobbiamo stupirei se questo scrittore non ha la pretesa di scanda­ gliare in profondità le azioni di Dio. Il nostro compito è quello di lasciare le diverse versioni come so­ no; non ci viene chiesto di esprimere un giudizio conclusivo, di rite­ nere valido un autore e rifiutare un altro. Questo gioco di «è» - «non è» non porta a nulla. Lo stesso vale per le varie «contraddizioni» che esistono fra i quattro Evangelisti. Marco presenta un'immagine di Gesù diversa da quella di Luca. Viva la diversità - le verità posso­ no essere tante... In religione e in teologia gli esseri mortali, compresi gli scrittori, sono soggetti a Dio, poiché l'uomo è stato creato da Dio. Ma a noi interessa la narratologia, e dovremmo capire che. quando si tratta di raccontare una storia, la situazione è radicalmente diversa. Nei testi narrativi Dio è un personaggio, cioè una creazione di colui che scri­ ve e racconta. Dio è una costruzione linguistica, Abramo è uno stru­ mento linguistico, Davide è un ritratto che consiste esclusivamente in segni linguistici. Dio può agire soltanto se l'autore è disposto a parlarci di lui. È l'autore a decidere se Dio ha il permesso di dire qualcosa nel racconto e, in tal caso, con quale frequenza e quantità di parole. Considerato in questo modo, Dio non è diverso da un asi­ no. In un racconto anche un asino può parlare, addirittura in modo tale da fare arrossire di vergogna una persona importante - si leg62

ga il racconto di Balaam e la sua asina in Nm 22-23. Questo profeta e veggente assai ben retribuito non si accorge affatto che un angelo dalla spada fiammeggiante gli blocca la strada, finché la sua asina at­ tira la sua attenzione aprendo la bocca ... Sono pochi i mortali in gra­ do di superare questo animale. Creatore e creazione : è questo, dunque, il rapporto fra il narra­ tore e ciascun personaggio o ciascuna forma del racconto. Da tale rapporto ineguale nasce una conseguenza: non dobbiamo cadere nel tranello di equiparare l'opinione dello scrittore a quella di uno qualunque dei personaggi . In Gen l il problema non esiste: la mate­ ria e il tema sono troppo elevati per indurci a sospettare che il nar­ ratore non sostenga il punto di vista di Dio. Ma nel caso di un altro argomento di importanza fondamentale, per esempio, l'introduzio­ ne della monarchia come forma di governo, le cose non sono altre t­ tanto semplici. Nell'Antico Testamento questo problema viene esa­ minato da diverse angolazioni, sia religiose, sia politiche, e si pre­ senta di frequente come problema di difficile soluzione; il testo cen­ trale è l Sam 8-12. Il brano si apre con la richiesta di un re rivolta dal popolo a Sa­ muele. Il profeta, sostenuto subito dal suo Signore, considera l'idea come idolatra - l'offesa più grande che si possa arrecare - ma non sappiamo assolutamente se lo scrittore sia dello stesso parere. Pos­ siamo farci un'idea della sua opinione soltanto dopo avere letto e ri­ letto profondamente la sua opera completa, valutandone con atten­ zione ogni genere di segnali, anche i più sottili. In 1 Sam 8-12 Samuele protesta con veemenza, e questa reazione sembra una questione di principio. Finora, ogni studioso della Bibbia è caduto nella trappola, giungendo a concludere che la posizione di Samuele è la verità, cioè coincide con il punto di vista dello scritto­ re. La scienza biblica avrebbe potuto evitare questo errore se soltan­ to avesse notato in lSam 16 la fallibilità del vecchio profeta, o colto l'ironia in lSam 9: il «veggente» non riesce a «Vedere» né con gl i oc­ chi né con la mente che l'uomo proveniente dalla terra di Beniami­ no e che si rivolge a lui alla porta della città, è il candidato al trono scelto da Dio. Tutto ciò che il profeta Samuele dice nei cc. 8 e 12 ri­ specchia esclusivamente la sua opinione, nonostante la sua lunga e venerabile barba grigia. Le parole di un personaggio non possono es­ sere prese automaticamente come prova o segno del punto di vista dello scrittore. 63

UN PROFETA FALLIBILE

In 1Sam 15 troviamo un esempio dei diversi livelli in cui si trovano a operare scrittore e personaggio. Saul è stato inviato dal profeta sul campo di battaglia, però non ha eseguito l'ordine di distruggere com­ pletamente Amalek, il nemico mortale. Di conseguenza, è messo di fronte a un oracolo di sventura (vv. 22-23, un poema dai toni bruschi) che ne annuncia la condanna finale. Il dovere di pronunciare queste pa­ role ispirate da Dio fa soffrire Samuele e gli causa molti problemi: gli è costato caro mettere sul trono Saul come primo re e consigliarlo; ora deve abbandonare il progetto che ha iniziato con tanta fatica: Allora fu rivolta a Samuele questa parola del Signore: «Mi pento di aver costituito Saul re, poiché si è allontanato da me e non ha messo in pratica la mia parola». Samuele si adirò e gridò suppliche al Signore per tutta la notte.

È un peccato che alcune traduzioni abbiano attenuato il testo (1Sam 1 5 , 1 0-11 ) sostituendo la parola «adirato» con «afflitto)) «ri­ ' mase turbato)) (CEI) o «Ciò gli causò dolore)). In primo luogo, Sa­ muele è adirato per il semplice motivo che Dio, con un colpo solo, di­ strugge interamente il progetto per il quale egli si era tanto impe­ gnato. In secondo luogo egli prova dolore, perciò le sue suppliche, se­ gno dell'esigenza di consultare Colui che lo manda, hanno la stessa natura - in ebraico viene usato il medesimo verbo - del la supplica che la vedova rivolge a Eliseo: un grido di aiuto, un grido di angoscia. Questa volta, però, senza risultato. Nei vv. 1 3-26 il racconto presenta un confronto lungo e penoso fra il profeta e il re. Saul è infine co­ stretto a riconoscere di avere peccato, tuttavia chiede al proprio mentore di !asciargli la gloria regale di fronte alle sue truppe. Sa­ muele rifiuta, ma Saul insiste tanto che diventa difficile per il profe­ ta continuare a respingerlo; così gli dice: ,

D'altra parte la Gloria di Israele non mentisce né può pe nt irsi poiché Egli non è uomo per pentirsi.

,

Questa affermazione sull'essenza di Dio (v. 29) è molto attraen­ te e fondata, e un credente sarebbe tentato di farla incorniciare e appenderla alla parete. M a è vera questa opinione riguardante la 64

mente di Dio? E c'è di pi ù: Samuele intende veramente dire ciò che dice? Il «problema>> qui è indicato dal termine «pentirsi>>. Gli uo­ mini cambiano spesso opinione, ma Dio è eterno e immutabile, co­ sì sostiene Samuele. Purtroppo, questa tesi è condannata dall'inizio; Dio stesso, in precedenza, (v. 1 1a) aveva rivelato al profeta: «M i pento>> d i aver costituito Saul re ! Questa frase contraddice quanto afferm a il profeta nel v. 29. Sembra che un personaggio contraddi­ ca l'altro. Il narratore non ci abbandona alla nostra perplessità su questa si­ tuazione imbarazzante. Si riserba di dire l'ultima parola (v. 35) e di­ chiara con autorevolezza: Samuele non tornò a rivedere Saul fino al giorno della sua morte. Ma Samuele piangeva per Saul, perché il Signore si era pentito di aver fatto regnare Saul su Israele.

Qui la parola chiave «pentirsi>> è usata per la terza volta, la deci­ siva. Il creatore del testo, lo scrittore, dichiara per bocca del narrato­ re che Dio si pentì realmente e così permette ( ! ) al suo personaggio Dio di pronunciare quelle parole al v. 1 1 . Secondo lui, Dio può cer­ tamente cambiare opinione, e in questo si trova completamente d'ac­ cordo con (il narratore di) Gen 6,6 o Gn 3,10 e 4,2. Per quanto riguarda Samuele, egli parlava di costanza e immuta­ bilità perché questo era per lui il modo più rapido e teologicamente efficace di porre fine ali 'insistente pressione di Saul. . . Non siamo ob­ bligati a considerare le sue parole come norma di principio, ma le do­ vremmo valutare come una dichiarazione adatta al momento, a quel­ la situazione unica e delicata. Samuele non sarà l'ultimo uomo di chiesa che mette in imbarazzo i propri fedeli e li liquida con stereo­ tipi devozionali. Questo esercizio su 1 Sam 15 dimostra che un personaggio non può avere il sopravvento sul suo creatore. Il narratore si situa a un livello di comunicazione essenzialmente diverso da quello dei suoi personaggi, e più in alto di loro. Di conseguenza, possiamo anche sostenere che non esiste nemmeno contraddizione fra il concetto di «mutevolezza>> espresso dallo scrittore, e la dichiarazione di «immutabilità» espressa dal profeta. Queste due affermazioni sa­ rebbero in contrasto fra loro soltanto se si trovassero allo stesso li­ vello. 65

I

COMMENTI DEL NARRATORE

Talvolta lo scrittore esprime ciò che pensa delle opinioni dei suoi personaggi. Può decidere di sostenere o perfino di fare proprie le lo­ ro parole. All'inizio di l Sam 8 si dà voce al narratore: Quando Samuele fu vecchio, stabilì i suoi figli quali giudici (cioè gover­ nanti) di Israele ( ... ) . Ma i suoi figli non hanno seguito le sue orme, per­ ché deviavano dietro il lucro, accettavano regali e sovvertivano la giusti­ zia (l Sam 8,1 . 3).

Influenzati da questo giudizio, quindi non più imparziali, leggia­ mo nei vv. 4-5: Si radunarono allora tutti gli anziani di Israele e andarono da Samuele a Rama. Gli dissero: «Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non hanno se­ guito le tue orme. Perciò stabilisci per noi un re che ci governi, come av­ viene per tutti i popoli».

Qui parla un personaggio collettivo, rappresentato dagli anziani della nazione. Il loro discorso contiene due considerazioni, e la ri­ chiesta controversa. Lo scrittore la considera una richiesta sbaglia­ ta? La parola «allora» da sola indica che egli ritiene giustificata la loro visita: il triste problema della corruzione è un fatto empirico. Inoltre, appare subito evidente che le due considerazioni degli an­ ziani sono esposte nello stesso ordine e con le stesse parole dei vv. l e 3, sotto la responsabilità del narratore. Come facenti parte del mondo narrato, gli anziani non sanno che il loro creatore ha usato quelle parole per rivolgersi a noi, a un livello superiore del raccon­ to. Essi usano le identiche parole («sei vecchio... non hanno seguito le tue orme») del loro creatore anche per una scelta deliberata del narratore, il quale in tal modo indica che gli anziani rappresentano fedelmente i fatti e mettono Samuele di fronte a questi. Ciò a sua volta sign ifica che lo scrittore ha buone possibilità di comprendere il desiderio di tipi diversi di costituzione, nonostante il fatto che es­ sere «come tutte le altre nazioni» non sia esattamente lo scopo spi­ rituale del popolo eletto. Lo scrittore ha certificato le opinioni degli anziani attraverso il suo narratore. Chissà, forse egli vede la monar­ chia in modo completamente diverso dal profeta adirato e deluso e dal suo Signore ... 66

Ho notato che esiste una differenza essenziale, perfino radicale, fra il narratore e il personaggio. È una differenza gerarchica, perché le due parti si muovono su livelli totalmente diversi. In termini di co­ municazione, il narratore è al di sopra del materiale narrativo e al di fuori del racconto, trasmette un messaggio di cui noi siamo i desti­ natari. I personaggi vivono soltanto dentro il racconto; sono parte di quel mondo del quale, grazie a una serie di segni linguistici, si narra l'esistenza in quel tempo e in quel luogo. I personaggi stessi sono se­ gni linguistici. Essi comunicano fra loro, ma non possono lasciare il livello in cui si trovano e quindi non possono comunicare né con il narratore né con noi. In un passo biblico, un profeta formula una domanda retorica: è possibile che un oggetto di argilla si metta a discutere con il vasaio? Naturalmente non può, e lo stesso avviene in un racconto fra il per­ sonaggio e il narratore. Un esempio illuminante dell'impossibilità di questo dialogo, destinato per principio al fallimento, lo troviamo in l Sam 3 1 , e nel brano che lo segue, 2Sam 1 ,1 -16.

] POTERI PERSUASIVI DEGLI AMALECITI

Nel capitolo finale di l Samuele il narratore descrive la battaglia fra i filistei e l'esercito di Israele, che costò la vita a re Saul e a tre ' principi. Nella sua ultima ora, Saul chiede al suo scudiero di trafig­ gerlo con la spada, perché il nemico, il detestato incirconciso, non commetta un sacrilegio, profanando il corpo di lui, il Consacrato di Dio. Ma, proprio a causa di questo divieto di toccare il re - deposi­ tario di un compito sacro - lo scudiero rifiuta. A Saul non resta al­ tro che gettarsi sulla propria spada; termina così la strenua resisten­ za che questo tragico personaggio oppone a un destino di condanna. Tre giorni dopo, un mercenario delle truppe di Saul appare nell'ac­ campamento di Davide nella zona sud-occidentale, consegna a Da­ vide la corona e il bracciale del re morto, e si rivolge a lui come al nuovo capo. È un amalecita, che ha deciso di farsi messaggero per portare a Davide notizie della guerra e informarlo della morte di Saul . Afferma di avere egli stesso vibrato a Saul il colpo mortale, poi­ ché il re gli aveva chiesto di ucciderlo. Gli oggetti da lui recati dimo­ strano che è il primo a portare notizie della disfatta. 67

Qual è dunque la verità sulla morte di Saul? Il lettore bene informato sa, fin da Es 17, che gli amaleciti sono un popolo detesta­ to, e questo pone già in cattiva luce il racconto del messaggero. Tut­ tavia, una prova narratologica decisiva e irrefutabile è il fatto che il narratore sia stato il primo a dare la notizia della morte di Saul per suicidio; una notizia sua, quindi autorevole per definizione. Forti di tale osservazione, ascoltiamo nuovamente l'amalecita, e questa vol­ ta riusciremo a intuire da quale motivo sia stato spinto: il desiderio di assumere un ruolo nel dramma e portare la notizia al nuovo ca­ po, con la speranza di ottenere una generosa ricompensa per il suo servizio di consegna. Per maggiore sicurezza, l'autore fa ripetere a Davide questo confronto in 2Sam 4,10; ora è evidente che Davide, dopo avere ricevuto altre informazioni, ha capito bene le intenzioni dell'uomo. È difficile confutare il rapporto lungo e ben congegnato dell'a­ malecita in 2Sam 1 ,6-10, almeno a una prima lettura; infatti il mer­ cenario deve avere assistito agli ultimi istanti di Saul . In linea di prin­ cipio, il suo resoconto è quello di un testimone oculare, poiché egli ha visto Saul che parlava al proprio scudiero e ha udito, o intuito, la richiesta del re: il colpo di grazia. Poi ha avuto l'idea di cambiare due particolari nella descrizione della battaglia. Ha eliminato lo scudiero e si è messo al suo posto accanto a Saul, sostituendo il «DO» dello scu­ diero con il proprio «SÌ». Il narratore ha l'abilità di stabilire il legame - un caso di sostituzione - per mezzo della parola «paura». In l Sam 3 1 ,4, egli afferma che lo scudiero rifiutò perché aveva «molta paura». La sua paura nasce da uno scrupolo religioso, il giovane israelita non osa infrangere il divieto di toccare il re. In 2Sam l ,14 Davide, scandalizzato, chiede all 'amalecita come abbia potuto alzare la mano contro il re. Il testo dice letteralmente: «Come non hai pro­ vato timore nello stendere la mano per uccidere il consacrato del Si­ gnore?». Nasce da ciò un contrasto fra paura l mancanza di paura (lo scudi ero che non osa e il mercenario che osa) e questo attira la no­ stra attenzione sulle abili sostituzioni che il messaggero ha inserito nel suo resoconto. Due menzogne chiaramente evidenziate entro un quadro di as­ soluta verità da parte di un testimone oculare ! Il risultato? L'amale­ cita pensava di non essere soggetto, come forestiero, alla legge reli­ giosa che proteggeva il re e di potere quindi assumere, agli occhi di Davide, il ruolo di colui che aveva inferto il colpo di grazia. Un er68

rore di valutazione che fatalmente gli costa la testa. Davide lo fa giu­ stiziare subito in base alla considerazione seguente: se un israelita non ha il permesso di toccare il re perché il re è investito di una mis­ sione sacra, tanto meno può farlo uno straniero. Questa considera­ zione stabilisce fra Davide e il messaggero una diabolica ambiguità c diventa una questione di vita e di morte. Tale ambiguità è espressa in modo abile, essendo posta esattamente nel versetto a metà del racconto. È là che l'amalecita racconta a Davide di avere detto a Saul sul campo di battaglia: «Sono un ·amalecita». Secondo lui, questa di­ chiarazione di identità esprime due segnali: a Saul (tre giorni prima, sul campo di battaglia) fa capire: «Posso darti il colpo di grazia» e a f) avide (ora suo ascoltatore a Ziklag) manda un segnale equivalen­ t e : la mia posizione di mercenario mi permette di esaudire il deside­ rio del re. Ma Davide non si fa raggirare e poco dopo un colpo di spa­ da pone fine a tutte le aspettative del messaggero, che sperava in una generosa ricompensa. L'INGANNO

I lettori di racconti biblici a volte si trovano di fronte a problemi difficili da risolvere. I personaggi possono benissimo mentire e in­ gannare - come fare a cavarsela? La maggior parte di queste situa­ zioni rientra in una delle seguenti possibilità: a. La scelta più semplice per il narratore è quella di facilitarci le cose e raccontarci con un certo numero di parole lo svolgimento del­ l"inganno. Egli ci mette a parte della propria onniscienza o cono­ scenza anticipata dei fatti. Quando Esaù è mandato dall'anziano pa­ dre a preparargli un piatto di selvaggina, atto prelimin are della be­ nedizione paterna (Geo 27,1 -4 ), lo scrittore cambia la scena e ci rac­ conta che Rebecca, non vista, ha ascoltato il progetto di Isacco. Poi l'autore ci mostra come ella avverta il figlio prediletto, Giacobbe, e cospiri con lui, affinché questi indossi le vesti di Esaù, per ingannare il padre e carpirgli la benedizione (vv. 5-1 0 e 1 1 -1 7). Appena Gia­ cobbe si presenta al padre, si formano due campi che hanno due li­ velli diversi di conoscenza: Isacco ed Esaù sono all'oscuro dell'in­ ganno e rappresentano la parte perdente; l'altro campo comprende le due persone al corrente di tutti i fatti, Giacobbe e Rebecca: oltre a loro, al di fuori o al di sopra del racconto, c'è un altro gruppo di 69

persone, in possesso di una conoscenza anticipata degli avvenimenti: il narratore e noi, il suo pubblico. In tal modo, noi assistiamo alla sce­ na in cui lsacco cerca a tastoni di individuare l'identità del suo visi­ tatore e vediamo questa scena non solo dalla prospettiva innocente e ignara del vecchio, ma anche dalla prospettiva della coppia che ha teso l'inganno. Nei vv. 18-27 lsacco deve lottare faticosamente per ottenere la certezza e questa lotta richiede al vegliardo l'uso di qua­ si tutti i suoi sensi: i suoi occhi ormai non vedono, le orecchie gli sug­ geriscono che la voce è quella di Giacobbe, mentre il tatto gli dice che sta toccando Esaù, infine l'odorato e il gusto lo portano alla de­ cisione finale: deve essere Esaù, conclude il cieco. Una scena penosa. In Gen 37 abbiamo un altro esempio dell'aiuto offertoci dallo scrittore. Il modo in cui egli mette a fuoco e dirige la nostra atten­ zione può talvolta essere paragonata all'opera di una cinepresa. Nei vv. 1 2-17 la cinepresa segue Giuseppe che va a trovare i fratelli. Po­ co dopo, invece, il nostro campo visivo compie una virata di 1 80 gra­ di: ora il narratore ci mostra i fratelli e nel v. 1 8 rivela: «Essi lo vide­ ro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono per farlo morire>>. A partire da questo istante, la trama di «Giuseppe a Dotan» assume i connotati di una vera e propria cospirazione. No­ tiamo ancora una diversità nei livelli di conoscenza: Giuseppe si av­ vicina ai fratelli ignaro di tutto, mentre noi sappiamo in anticipo co­ sa avverrà. b. Spesso ci è difficile scoprire subito se i personaggi devono es­ sere valutati secondo le pure apparenze o se le loro parole corri­ spondono alla realtà. Questo ci porta a una situazione che non di ra­ do sperimentiamo nella nostra vita: incapaci di giudicare un 'altra persona, siamo costretti a fare un confronto fra le sue parole e le sue azioni e riusciamo a raggiungere una interpretazione o una conclu­ sione soltanto attraverso combinazioni e deduzioni laboriose. Succe­ de la stessa cosa con i personaggi dei racconti biblici. Se pronuncia­ no delle belle parole mentre commettono azioni atroci, noi formia­ mo il nostro giudizio a partire da queste ultime. In Gen 34 una ra­ gazza è violentata nella città di Sichem e i suoi fratelli, i figli di Gia­ cobbe, sono furiosi. Vorrebbero vendicarsi, ma invece decidono di ri­ correre a una strategia più astuta: durante le trattative con il re del­ la città-stato usano parole melliflue, perché lui si senta al sicuro. Poi, durante la notte, colpiscono e massacrano l'intera popolazione della città. 70

c. Se lo scrittore ritiene opportuno non portarci fuori strada con dei bei discorsi, può smettere di giocare a nascondino; allora abban­ dona il suo ruolo, non partecipa più in qualità di narratore al corso delle azioni subordinate e ci informa egli stesso, con la voce del nar­ ratore, che c'è qualcosa di falso. È ciò che accade in Gen 34, quando i figli di Giacobbe adulano Camor, il re di Sichem. Al v. 13 il narra­ tore, preoccupato di non portarci fuori strada, racconta: «l figli di Giacobbe risposero a Sichem (il principe che aveva violentato la so­ rella) e al padre di lui, Camor - e parlarono con astuzia», ecc. Le pa­ role >, verbo di moto), ma poi il gioco è finito per Giuseppe ed egli diventa l'oggetto passivo - in entram­ bi i sensi - del complotto ordito dai fratelli. Essi compiono tre azio­ ni subordinate aventi come predicato un verbo transitivo, ma ciò non fa di questa semplice sequenza una pedestre serie di frasi. Nella se­ conda riga c'è un'apposizione che, per il semplice fatto di trovarsi là, interrompe la narrazione per un istante e ci ricorda come l'anziano Giacobbe avesse vestito il figlio prediletto con una tunica elegante, variopinta (con tutti i connotati tipici delle vesti principesche ); è sta­ to questo trattamento preferenziale a scatenare la collera dei fratelli. Subito dopo, essi immergeranno con voluttà nel sangue l'elegante tu­ nica e la manderanno al padre ... C'è infine la quinta riga, più descrit­ tiva che di azione. Giuseppe è ormai in fondo alla cisterna, il tempo narrativo sta per avere una battuta d'arresto, che ci permette di con­ siderare la nuova posizione di Giuseppe e di capire quanto egli deb­ ba sentirsi sopraffatto dal corso degli eventi . Molti racconti biblici consistono di una combinazione o alternanza di discorso diretto e di narrazione: alcune sequenze di azioni subordi­ nate presentate dal narratore (testo del narratore) si alternano a se­ quenze di frasi contenenti un discorso diretto (testo del personaggio). Se abbiamo un 'idea chiara di questo genere di combinazione, potremo comprendere meglio il testo nel suo insieme e i vari argomenti. Per questo suggerirei al lettore che voglia andare in profondità di stampa­ re l'intero racconto, riga per riga, facendo rientrare di uno o due spazi il margine di ogni discorso diretto. Essendo il testo del personaggio un testo inserito, si potrà vedere immediatamente come la narrazione sia divisa in due tipi di testo. Il testo del personaggio messo in evidenza permetterà subito di vedere che può essere diviso in due tipi di lin­ guaggio. Inoltre, in questo testo stampato si potrà ora tracciare tutte le linee di collegamento che si vuole, evidenziare le parole chiave e altre forme di ripetizione con un matita colorata o un pennarello, ecc. Quel che sembra un gioco per bambini conduce spesso a scoperte nuove. LE

AZIONI

Ritorno ora al concetto di «azione)) che comprende elementi molto diversi: 78

è

assai vasto, poiché

a. Il primo elemento è «azioni» in senso stretto: i gesti che com­ piono i personaggi e che possono essere intransitivi, come ad esem­ pio i movimenti (Giuseppe arrivò), o transitivi, quando ricadono su un'altra persona (i suoi fratelli lo gettarono nella cisterna). b. I personaggi conducono lo stesso genere di vita che come noi, persone esterne al testo, viviamo nella realtà quotidiana. Essi subi­ scono più di quanto agiscano e spesso questo «subire» equivale a «soffrire». La parola latina passio ha due significati, subire e soffrire; si oppone ad actio, che potrebbe servire da etichetta per definire l'e­ lemento a. In breve: l'azione di un racconto consiste principalmente in azione e in sopportazione: quest'ultimo aspetto è espresso con la forma passiva più di frequente nella nostra lingua che nella Bibbia. È più efficace e incisivo dire «lo gettarono nella cisterna>> che «fu gettato nella cisterna>>. La frase attiva h a anche più carattere: a dif­ ferenza della forma passiva, la forma attiva non nasconde il respon­ sabile dell'azione. realtà spesso importante per il narratore e per la sua scala di valori. c. Agire in senso stretto, subire e soffrire sono sostenuti parsi­ moniosamente da frasi descrittive ed esplicative, in cui il narratore presenta un antefatto, traccia una situazione, o svela motivi o scopi. Queste appaiono più di frequente in apertura; così, Gen 37 offre già nei vv. 1-4 un antefatto tanto esauriente che il trattamento inflitto a Giuseppe dai fratelli a Dotan non ci stupisce più. Il protagonista è presentato al v. 2: apprendiamo l'età di Giuseppe e il fatto che egli aiuta i fratelli a curare il gregge. La fine del v. 2 menziona Giuseppe non solo come l'eroe, ma anche come il cattivo: egli discredita i fra­ telli presso Giacobbe. Noi certamente ci aspettiamo che il padre cre­ da a Giuseppe, dato che il v. 3 dice: «Israele (il nome nuovo di Gia­ cobbe che lo definisce come patriarca) amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia>>. Qui c'è l'antefatto e insieme la motivazione. Thttavia, il colpo finale per i fratelli è il se­ guente: «gli aveva fatto una tunica principesca>>. Anche questo ver­ setto appartiene all'antefatto: è un breve flashback, che sottolinea il rapporto fra padre e figlio; allo stesso tempo, presenta un oggetto che (a) verrà trattato ruvidamente dai fratelli adirati, tanto nel v. 23 quanto nei vv. 3 1 -32, per finire (b) poi intriso di sangue in mano a Giacobbe, il quale allora trarrà la conclusione sbagliata, sprofondan­ do nel dolore. All'inizio di un capitolo carico di tensione, questo og­ getto concentra in sé motivi di amore e di odio nello stesso tempo,

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cosa che attira sempre un narratore. Inoltre, il fatto che una famiglia intera sia lacerata da emozioni ci ricorda Gen 27. d. Infine, il senso lato di «azione» comprende anche evoluzioni. Il levita di Gdc 19 vuole tornare a casa dopo un lungo soggiorno e non intende ascoltare il suo ospite, che gli dice: «Il giorno volge ora a sera; fermati questa notte». Egli parte nel pomeriggio e poco dopo si trova nei guai: «Si avvicinavano a le bus e il giorno era di molto ca­ lato». E quando egli decide dove trovare rifugio (vv. 1 1 - 1 3) , il testo dice: «Il sole tramontava quando si trovarono vicino a Gabaa)). Il processo evolutivo qui riportato rientra in un sistema di coordinate di tempo e di spazio; ha conseguenze di vasta portata, che prenderò in esame nel prossimo capitolo. SELEZIONE

Per ogni azione subordinata che si fa strada nel testo, ne riman­ gono escluse almeno dieci. La serie che noi esaminiamo è una sele­ zione radicale, e se arriviamo a capire da cosa è determinata la scel­ ta dello scrittore, potremo accedere facilmente alla sua opera d'arte linguistica. La nostra comprensione aumenterà sensibilmente se riu­ sciremo a scoprire in base a quali criteri lo scrittore respinge ( esclu­ de dal testo) e accetta (include nel testo). Ogni parola accettata dal­ lo scrittore si collega alla sua visione e ai suoi argomenti. Allo stesso tempo, a lui spetta col locare ciascun dettaglio nella posizione che le è propria lungo l'asse lineare. Qui ci troviamo di fronte alla trama. La trama è il principio organizzativo fondamentale di un raccon­ to. Conferisce un inizio, un punto centrale e una fine allo svolgimen­ to del l'azione. Sembra una constatazione troppo semplice, eppure è .in realtà estremamente efficace. Si tratta della brillante affermazio­ ne con cui il padre della teoria letteraria, Aristotele, apre la sua Poe­ tica. Di per sé egli si riferiva alla struttura della tragedia, tuttavia le sue osservazioni sulla coerenza possono essere applicate anche alla narrativa. La trama fornisce il capo e la coda che ci occorrono per avere un punto fisso, e determina così i confini del racconto come un complesso che ha un significato. Questi confini, perciò, a loro volta, limitano l'orizzonte della nostra comprensione corretta del raccon­ to: è ali 'interno di questi confini che il lettore cerca un collegamento fra tutti gli elementi. 80

Inizio, punto centrale, fine: sono tre punti di riferimento. Thttavia, cos'è esattamente una trama? Per avere una risposta chiarificatrice, immaginiamo la trama come una pista da percorrere. Possiamo in tal modo descrivere il corso dell'azione, cioè il corso degli avvenimenti in un racconto, come una traiettoria. Il racconto già sviluppato inizia con la presentazione di un problema o di una mancanza; poi, prima che l'azione si faccia più incalzante, può esserci un'esposizione, si possono verificare ostacoli e conflitti che cercano di ostacolare la so­ luzione (dénouement); infine, c'è la svolta che comporta la soluzione del problema o la scomparsa della mancanza. Tuttavia, inizio. punto centrale, fine, non sono soltanto entità li:­ neari. Il loro valore o significato non è puramente quantitativo; non sono semplici istantanee lungo l'asse del tempo che procede in modo oggettivo. Si armonizzano l'uno all'altro, niente di sorprendente dato che essi stessi sono frutto di una scelta deliberata. Lo scrittore, ispira­ to e guidato da una visione specifica, «vede» un possibile racconto si­ gnificativo all'interno del materiale al quale lavora, e vede anche il modo in cui disporlo. La traiettoria che egli crea occupa una certa quantità di tempo narrato, per esempio il tempo che occorre per un viaggio (si pensi a Giuseppe mandato a Dotan, o al levit� che va a prendere la concubina nel paese di Giuda). Tale estensione di tempo, tuttavia, diventa funzionale e significativa soltanto se può essere de­ limitata e arricchita attraverso il prisma di un campo tematico speci­ fico. È logico che la trama segua fondamentalmente l'ordine cronolo­ gico degli stessi avvenimenti narrati, ma è definita non soltanto da un intervallo di tempo di una certa lunghezza, e nemmeno primariamen­ te. La traiettoria e la trama sono in primo luogo determinati da una visione. Prima di procedere, voglio illustrare questo con un esempio. Il narratore potrebbe decidere di raccontare mille e più dettagli ri­ guardanti il giorno in cui Giuseppe va a trovare i fratelli, usando al­ trettante azioni subordinate; ma a cosa servirebbe? Se vuole, può riempire un 'intera pagina descrivendo il paesaggio, lo stato d'animo del fratello A e gli abiti del fratello B, ma non lo fa. E nemmeno ci rac­ conta che Ruben si è tagliato le unghie ieri e che l'alluce gli duole, perché ha posato il piede su una spina. Perché no? Perché non avreb­ be scopo. Perché è senza scopo? Perché non è pertinente. Va bene, si dirà, ma allora ci si dica cosa è pertinente. È la visio­ ne o il progetto dello scrittore a determinare ciò che è pertinente. Egli vuole raccontare come il soggetto della ricerca - Giuseppe 81

mandato a cercare i fratelli - ne diventi l'oggetto, e come egli ven­ ga umiliato ed eliminato per sempre - almeno così sembra. A que­ sto scopo, egli compone dozzine di azioni subordinate, sceglie deli­ beratam ente le persone (solo Ruben e Giuda) che hanno il permes­ so di dire qualcosa, e in quale momento preciso essi prenderanno la parola. Tutto il resto è silenzio: non vi è alcuna descrizione del tem­ po, né del gregge, né di altri dettagli. La sua scelta è dettata dalla tra­ ma. La trama è un'organizzazione dell 'azione elaborata in modo ta­ le da dare, come risultato, una ingegnosa combinazione dell'ordine «orizzontale» e «verticale». L'ordine orizzontale è la successione ininterrotta di frasi lungo l'asse lineare del tempo, successione che ha lo scopo di coprire la cronologia degli avvenimenti narrati. L'ordine verticale deriva dalla visione dello scrittore, il quale è situato a un piano superiore rispetto ali 'argomento e accetta soltanto (lungo il medesimo asse lineare ! ) ciò che contribuisce alla sua tema tica e al­ l'unità ideologica del racconto. Il narratore biblico usa soltanto det­ tagli che siano utili alla sua trama.

LA RICERCA E L'EROE

Il concetto di «traiettoria)) diventa più concreto e vivo se lo illu­ striamo per mezzo di altre due entità fondamentali, la ricerca e l'e­ roe. In un racconto indipendente da altri, la traiettoria è spesso una ricerca intrapresa dall'eroe per risolvere il problema o colmare la mancanza di cui si è parlato all'inizio. L'eroe è il soggetto della ri­ cerca, ed egli procede lungo l'asse del suo scopo: si dirige verso l'og­ getto di valore che intende conquistare. Questo oggetto di valore non è sempre fisico, e l'operazione di ri­ cerca non va sempre intesa in senso letterale. In Gen 27 l'oggetto di valore è la benedizione paterna, che consiste in un discorso unico e speciale di immenso potere, con il quale Isacco sceglie il figlio come capo della nuova generazione. Il racconto è un gioco la cui posta consiste nella benedizione. In lSam 17, riguardante una guerra che minaccia la sopravvivenza di Israele, l'oggetto di valore è evidente­ mente l'eliminazione del gigante armato. Chi sconfigge il protagoni­ sta, vince la guerra. 82

GIUSEPPE

A

DoTAN

Trovare la ricerca e l'eroe non è facile nemmeno in Gen 37. L'u­ nità letteraria «Giuseppe a Dotan» inizia con i vv. 12-18. Giuseppe è l'eroe, che va a cercare qualcosa. Il problema è rappresentato dal pa­ dre, che manda Giuseppe: i suoi figli sono lontani, vuole sapere co­ me stanno. La ricerca comincia in questo modo ed è affidata a Giu­ seppe; come colui che va in cerca egli è l'eroe. Ben presto, tuttavia, la sua posizione di soggetto e di personaggio principale finisce. Dal v. 18 in poi, la nostra attenzione si concentra sui fratelli . Lo sposta­ mento della cinepresa è infausto, poiché è motivato da un radicale rovesciamento della situazione: i fratelli tramano un piano e passano all 'azione. Usurpano la trama e le conferiscono il colore e la gravità di un vero e proprio complotto. Anch'essi cercano qualcosa: daremo una lezione al nostro fratellino, lo uccideremo. Durante l'esposizio­ ne del progetto, Ruben prende la parola e propone un cambiamento di piano; poco dopo, il complotto subisce una svolta decisiva, poiché si attua il suggerimento di Giuda. In questo modo, da soggetto Giu­ seppe diventa oggetto, e non è una coincidenza se non sentiamo più una parola dalla sua bocca. La ricerca letterale da parte di Giuseppe - il quale per un momento si perde realmente nei vv. 1 5- 1 7 è eclissata da quella figurata messa in atto dai fratelli. La ricerca di Gi useppe fallisce, poiché Giacobbe, che lo aveva inviato, non riceve da lui notizie sui fratelli. La loro ricerca invece ha successo e finisce con una notizia. È il messaggio riguardante Giuseppe, un messaggio senza parole: la vista della tunica insanguinata darà all'anziano pa­ dre la notizia della morte del figlio. . Perché Ruben compare due volte, e cosa significa il fatto che egli trova la cisterna vuota? C'è anche una ripetizione sorpre ndente: il terribile messaggio «Una bestia feroce lo ha divorato» non si trova soltanto al v. 20, ma viene ripetuto parola per parola a metà del v. 33. Che scopo ha questo? Ogni cosa va al posto giusto, quando scopria­ mo la struttura dei vv. 18-33: -

83

A

18-20

complotto dei fratelli: uccidere Giuseppe �

21-22 23-24 25 26-27 28 29 30 31-33

parole di Ruben: no, gettiamolo nella cisterna i fratelli gettano Giuseppe nella cisterna passa una carovana proposta di Giuda: vendiamo Giuseppe Giuseppe è venduto alla carovana Ruben trova la cisterna vuota, si strappa le vesti e piange; discorso ai fratelli essi ingannano Giacobbe con la tunica, Giacobbe conclude: Giuseppe sarà morto.

« Una bestia feroce lo ha divorato!>>

B c D x

D' C' B' A'

Non c'è soltanto un progresso lineare, ma anche una coerenza concentrica, resa possibile dalla capacità del narratore di padroneg­ giare il materiale usato. Ha sviluppato questa padronanza grazie alla sua visione: iniziare dal complotto dei fratelli ai danni di Giuseppe e concludere con il complotto minore che essi tramano contro Giacob­ be, ingannandolo deliberatamente con la tunica. L'azione verrà enfa­ tizzata mettendo la frase fatale riguardante la bestia feroce prima sul­ le labbra dei fratelli, e poi facendo ripetere al padre le stesse parole. Il lettore noterà che la frase riguardante l'animale nel v. 20 è sol­ tanto a livello di intenzione, che Giuseppe e Giacobbe sono all'oscu­ ro di questo (non sentono dire quella frase) e che il narratore ci sce­ glie come suoi confidenti, per farci partecipi del livello di conoscen­ za che hanno i fratelli . La trama non si attua secondo le previsioni, perché prima viene deviata da Ruben, e successivamente da Giuda; tuttavia l 'epilogo riserba una sorpresa: il padre, vedendo la tunica in­ sanguinata, trova le parole che. a sua insaputa ( d iversamente da noi e dai fratelli), costituiscono la menzogn a ideata dai fratelli, ovvia­ mente allo scopo di nascondere la loro responsabilità. Dal momento che nel v. 33 Giacobbe non è contraddetto, resta la sua conclusione «Giuseppe è stato divorato», e il vecchio sprofonda in un dolore in­ consolabile, che durerà parecchi anni. Noi, in forza della nostra co­ noscenza dei fatti, sappiamo chi è responsabile di questa crudeltà. In­ tanto Giuseppe, a sua volta, è ignaro di quanto si sta svolgendo a ca­ sa: ormai da lungo tempo è stato deportato verso sud come schiavo. La ripetizione della frase «Una bestia feroce lo ha divorato» è impressionante, poiché è uguale e allo stesso tempo diversa. Mentre la scelta delle parole e il loro significato non variano, il senso e il va84

lore dell'espressione sono stati cambiati e ampliati in modo efficace: il contesto è mutato drasticamente, la frase è pron unciata da un per­ sonaggio diverso, e il rapporto verità l menzogna è spostato. La sua col locazione nel v. 20 e nel v. 33 costituisce uno dei sostegni della struttura concentrica e, facendo parte di A e A', segna i confini e quindi la conclusione della sezione dedicata alla congiura, i vv. 1 8-33. La struttura concentrica mostra anche come Ruben, il figlio pri­ mogenito che si sente responsabile verso il padre (fine del v. 22 ! ), sia importante all'inizio, ma marginale alla fine; lo vediamo a mani vuo­ te vicino a quella che era la sua idea: la cisterna vuota. Così, il suo contributo nei vv. 21-22 non fa altro che aiutare Giuda a realizzare la sua idea decisiva. Tuttavia, lo scrittore gli fa un complimento: facen­ dolo piangere e specialmente introducendo anche le sue vesti come attributo - Ruben le strappa in segno di lutto -, lo colloca accanto al dolore di Giacobbe, il quale fa la stessa cosa dopo il v. 33. Gli ele­ menti B e C (parole e azione) si rispecchiano nella soluzione, dove C' e B' offrono azione e parole. La struttura concentrica ci conduce al punto centrale, dove l 'ele­ mento X non ha controparte e trasmette l'unico messaggio che ri­ guarda la preminenza di Giuda. Giuda è quello che parla di più, è sua la proposta che verrà attuata. Egli eclissa con facilità il primogenito; ciò non può essere considerata una coincidenza, come non lo è la dra­ stica decisione dello scrittore di introdurre una digressione in Gen 38, una dissertazione in cui l'argomento principale è ancora Giuda. Questa attenzione particolare riservata a Giuda ci presenta un intrico di avvenimenti fra i quali la presenza di un capretto (38, 17 e 20) , di abiti usati per travestirsi, ecc. � la soluzione consiste in un rico­ noscimento che causa uno shock enorme ( vv. 24-26), eleva Giuda al ruolo indiscusso di portavoce dei fratelli in Gen 44, e ci prepara al suo discorso decisivo alla corte egiziana ( 44,1 8-34 ). Con questo ap­ pello ardente e disperato, Giuda chiede che gli sia concesso di pren­ dere il posto di Beniamino, che corre il rischio di essere trattenuto come ostaggio dal viceré (cioè Giuseppe non ancora riconosciuto). Il suo discorso, decisamente il più lungo in Gen 37-50, commuove Giu­ seppe fino alle lacrime; egli abbandona il proprio «travestimento» e si rivela ai fratelli stupefatti gridando: «lo sono Giuseppe! ». Nei cc. 37, 38 e 42-45 si fa uso di abiti e di varie forme di travestimento, cioè di qualcosa che renda irriconoscibile una persona; in questi racconti i riconoscimenti si susseguono e quindi si inseriscono alla perfezione in un ciclo strutturato accuratamente. 85

IN CERCA DELL'EROE

Ora mi avvicinerò all'area di esercizio per dimostrare quanta chiarezza e forza acquistino i racconti, grazie a una corretta applica­ zione dei concetti di eroe e di ricerca. Esistono vari testi dove non è facile individuare l'eroe. Sarà ogni volta lo stesso esercizio di pesare i pro e i contro con acuto senso delle proporzioni ad aiutarci, para­ dossalmente, a determinare quali siano gli esatti requisiti che un per­ sonaggio deve avere per qualificarsi come eroe. Vorrei precisare che un personaggio ( maschile o femminile ) può essere l'eroe in senso narrato logico, ma il cattivo in senso morale. Un cittadino integro e ri­ spettoso delle leggi non offre al narratore un campo d'azione tanto vasto quanto può offrirgli uno scellerato o un perdente. Quindi Gia­ cobbe, essendo un ingannatore incallito, è un candidato perfetto, in entrambe le categorie. E che pensare del levita in Gdc 1 9? Per etica e sensibilità, è difficile distinguerlo dalla gentaglia di Gabaa ... Poiché l'arte narrativa è assai flessibile, non ha molte leggi rigide. Per quanto riguarda l'eroe, faremo un lungo cammino controllando se esistono tre condizioni: l'eroe è il soggetto di una ricerca? È spes­ so o in permanenza presente nel testo? Infine, l 'eroe o l'eroina mo­ strano iniziativa? A) Rebecca e Giacobbe ingannano /sacco ed Esaù

Nella prima pericope di Geo 27,1-28,9 ci sembra che Isacco e Giacobbe siano possibili candidati alla posizione di eroe, poiché quando il padre manda e il figlio esce, essi hanno in comune la ricer­ ca che dovrebbe concludersi con la cerimonia della benedizione del primogenito. Ma la seconda pericope contiene una sorpresa: Rebec­ ca ha origliato dietro la porta ed escogita un progetto tutto suo, a fa­ vore del figlio prediletto, Giacobbe. Così possiamo tracciare una se­ conda linea: quella della contro-ricerca. Questi due personaggi san­ no di essere in lotta con il tempo: chi sarà il primo a presentare a Isacco un saporito piatto di selvaggina? È molto interessante notare come la loro contro-ricerca abbia come fine lo stesso oggetto di va­ lore di Isacco ed Esaù: la benedizione paterna. Chi è allora l'eroe di Gen 27? La coppia Rebecca-Giacobbe, poi­ ché vince la posta in gioco, per cui Giacobbe, travestito, ottiene la be­ nedizione? ( una breve digressione, per esprimere una nota morali86

stica: noi lettori non ricompensiamo il delitto con eccessiva facilità?). Sarebbe esatto se non avessimo altro che i versetti dall' l al 30a (il momento in cui Giacobbe se ne va, soddisfatto) . Ma questi costitui­ scono soltanto metà del lungo episodio. Al centro dell'episodio si presenta un autentico problema nella persona di un furibondo Esaù, che progetta di vendicarsi del fratello gemello. Rebecca se ne accor­ ge e agisce con astuzia. Ella fa di necessità virtù, facendo fare a !sac­ co il «lavoro sporco». Gli chiede di mandare Giacobbe in Aram, per trovare una sposa nell'ambito della famiglia. E così avviene. Esaù, che si è già trovato messo da parte a motivo di un matrimonio eso­ gamo (26,34; si noti cosa ne pensano i suoi genitori al v. 35 ! ), può sol­ tanto concludere di avere perduto per la seconda volta in una parti­ ta decisiva (28,6-8). Isacco ed Esaù sono diventati gli strumenti manovrati da Rebec­ ca e Giacobbe per i loro astuti progetti. Per un momento, era stato il padre a prendere l'iniziativa, in seguito stappata ed eclissata da quel­ la di Rebecca. Inoltre, nella seconda parte, la madre prende un"ini­ ziativa originale che verrà realizzata. Domando di nuovo: Rebecca e Giacobbe, che vincono due gare, non possono costituire, come cop­ pia, un eroe? Questo mi porta a esaminare la parte di Giacobbe, che non è molto gloriosa. Nella prima parte, egli esegue solamente il pia­ no della madre; può ancora sostenere di portare a termine un'im­ presa difficile. Ma nella seconda parte, egli è soltanto il personaggio inviato, secondo il progetto della madre e la parola del padre ingan­ nato e, trovandosi davanti al pericolo, fugge. Se consideriamo il capi­ tolo nel suo insieme, la vera eroina sembra Rebecca. Questo lo deve soprattutto al fattore iniziativa; per quanto riguarda l'aspetto mora­ le, ci poniamo una domanda spinosa: non sono giustificate le azioni di Rebecca, perché in tal modo ella contribuisce al compimento del­ l'oracolo ricevuto prima della nascita dei due gemelli? La parola di Dio in 25,23 rappresentava l'esatto centro nevralgico del racconto iniziale, e culminava nel versetto finale: «Il maggiore servirà il più piccolo! ». Lascio al lettore la scelta di rispondere a questa domanda, una variante del ben noto problema che chiede se il fine giustifica i mezzi , e qualsiasi mezzo. Ho messo in discussione la posizione di Giacobbe come eroe sol­ tanto per questo episodio. Nei due episodi vicini, di maggior livello, Giacobbe aspira comunque di nuovo a questo statuto, poiché i brani di Gen 25,19-34 (due racconti brevi: oracolo e nascita dei gemelli, il 87

diritto di primogenitura venduto per un piatto di lenticchie) e Gen 27-28 (il lungo racconto dell'inganno, seguito dal racconto breve del sogno e della rivelazione a Betel) sono incentrati soprattutto sulla sua figura, e fanno parte del ciclo (Gen 25-35) interamente dedicato a lui. Visto in questa prospettiva, il c. 27 della Genesi è soltanto una tappa nella trama complessiva dell'intero ciclo di Giacobbe. Nel prossimo capitolo vedremo che la struttura particolare di Gen 27 ri­ guarda anche la questione dell'eroe. B) De�ora e Barak sconfiggono Sisara

All'inizio di Gdc 4 il problema è subito posto: l'oppressione dei cananei, che fa nascere la ricerca della liberazione di Israele. La com­ binazione di guerra e di liberazione è una caratteristica di molti rac­ conti nei libri dei Giudici, di Samuele e dei Re; per esempio, Gdc 68 (Gedeone), 10-12 (Iefte), 1 Sam 4, 8, 13-14 e 17 (ciascun capitolo de­ scrive battaglie contro i filistei) e le guerre contro i re aramei in l Re 20,22 e 2Re 3 e 6-7. In Gdc 4 compare subito sulla scena una formidabile aspirante eroina: è Debora, l'unica donna giudice nella Bibbia e che nello stes­ so tempo è la prima profetessa. Nei vv. 6-7, ella espone a Barak la traiettoria e lo scopo della ricerca, per inviar lo in guerra come gene­ rale dell 'esercito. In tal modo, ella invita Barak a diventare il sogget­ to della ricerca e gli offre l'occasione di vincere il nemico e di con­ quistarsi così la gloria. Da un punto di vista militare, però, Barak non è un eroe: Ma Barak le disse: «Se vieni anche tu con me, andrò, ma se non vie ni , non andrò>>.

Sono parole che non fanno una bella impressione; Barak appare talmente pauroso, da voler quasi farsi portare per mano da Debo­ ra ... Quanto a lei, le cose appaiono in una prospettiva totalmente di­ versa: «Bene, verrò con te», rispose. «Però non sarà tua la gloria sul tuo cammino. perché allora il Signore metterà Sisara nelle mani di una donna».

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Questa conversazione breve ma rivelatrice si svolge nei vv. 8-9. Il lettore, che non conosce ancora il risultato della guerra, è convinto che sarà la stessa Debora a vincere Sisara, non essendovi altre can­ didate. Con le sue parole che prevedono l'attribuzione della gloria a una donna, ella intende accentuare con forza la propria posizione co­ me soggetto della ricerca e come eroina. Le cose, invece, avranno un andamento diverso. e ci accorgeremo di essere stati abilmente fuorviati dal narratore. Mentre le posizioni dei due eserciti sono ancora in discussione (vv. 10- 13), il v. 1 1 offre un'informazione, di cui in principio non capiamo l'utilità, su un cer­ to Eber, alleato di Sisara e del suo re. La collocazione di questo ver­ setto ha la funzione, per il momento nascosta, di capovolgere le co­ se, poiché prepara alla comparsa di Giaele, la moglie di Eber. Dopo il v. 16 termina la sezione che si occupa di eserciti. Mentre i cananei si disperdono sconfitti, Sisara abbandona il suo carro e fugge igno­ miniosamente. La cinepresa lo segue - si noti che il v. 17 riprende la narrazione dove il v. 1 5b l'aveva lasciata - e ci introduce nella se­ conda parte del racconto. Le conseguenze della battaglia riguardano soltanto le singole persone. Sisara cerca rifugio presso Giaele, che lo riceve cordialmente. Ma la visita finisce in modo macabro: ella pian­ ta un piolo nella testa di Sisara addormentato. Il narratore non ci ha preparato a questo; anzi, l'informazione che ci dà nel v. 17 ci rende fiduciosi, come è fiducioso Sisara, sul comportamento dei suoi allea­ ti Eber e Giaele - noi abbiamo la stessa prospettiva che ha lui. Per noi, la sorpresa è totale, ma Sisara ormai non può rendersene conto. Nel v. 20 egli aveva involontariamente segnato la propria fine, sug­ gerendo a Giaele di allontanare qualsiasi inseguitore con le parole: «Qui non c'è nessuno>>. Egli è diventato quel nessuno, creato dalle sue stesse parole. Soltanto in seguito apprenderemo che Giaele ha deciso di passa­ re dall'altra parte, per motivi che lo scrittore non rivela. Israele am­ mira questa sua abiura, e onora Giaele con un inno molto suggesti­ vo in Gdc 5,24-27. La scena finale ci mostra Barak nei vv. 22-23. A lui non resta altro che constatare come il suo avversario sia già stato uc­ ciso da ... una donna. Anche il lettore ora noterà che la predizione di Debora al v. 9 ha assunto un contenuto diverso: la donna per mano della quale Sisara doveva morire non è Debora, ma Giaele. Il c. 4 del libro dei Giudici è una costruzione molto ingegnosa che ruota intor­ no a due uomini di campi opposti; essi fanno una figura assai me89

schina di fronte a due donne coraggiose. Il titolo di eroina spetta a ambedue, a Debora e a Giaele. Esse si completano, poiché Debora appare soltanto nella prima parte, Giaele solo nella seconda. Sullo sfondo si nasconde un altro eroe, che ha fatto di Debora una veg­ gente: ella è dotata di chiaroveggenza divina quando prevede la glo­ ria di una donna ( Giaele ). Questo eroe decide anche la battaglia del v. 15a: «E il Signore gettò nel panico Sisara e tutti i suoi carri e tutto il suo esercito, davanti a[ll'attacco di] Barak». È l'unica volta in cui lo scrittore porta sulla scena il Signore. In definitiva, tutta l'ispi­ razione e tutto il coraggio che Debora ha mostrato sono dovuti a Lui. =

C) Il delitto di Gabaa Se esaminiamo Gdc 19 facendo un'analisi della trama, lo trove­ remo estremamente interessante, poiché è un ese mpio di ricerca che fallisce. Il problema posto all'inizio rappresenta al medesimo tempo la lacuna che deve essere colmata: la concubina del levita lo ha ab­ bandonato. La ricerca del levita, che consiste nell 'andare a ripren­ derla affrontando un viaggio di andata e ritorno, sembra fruttuosa. Egli ha il permesso di riportare a casa la donna, ma durante il viag­ gio di ritorno, dopo una notte di terrore a Gabaa, ella muore. Il levi­ ta torna a casa con il corpo della donna (1 9,28-29); la ricerca è falli­ ta. Ma il racconto non termina qui: il levita seziona il cadavere in do­ dici pezzi e li manda alle dodici tribù; il suo gesto causa enorme stu­ pore ovunque; nel v. 30 assistiamo alla reazione del paese. In tal mo­ do egli eleva il caso a un livello più alto, quello della giustizia e del benessere nazionale. Il levita ha compiuto un 'impresa rischiosa andando a riprendere la donna, ma al momento la sua ricerca si è bloccata; egli risolve un problema diverso e molto più grande, e lo risolve davanti alla nazio­ ne. La violenza usata alla donna dalla banda di malfattori è una cla­ morosa violazione della legge; se non viene punita adeguatamente da tutte le tribù di Israele, il delitto macchierà l 'intera nazione, che sarà colpita dall'ira divina. L'assemblea delle tribù che apre il c. 20 segna l'inizio di una nuova ricerca. Le tribù formano una coalizione e chiedono alla tribù di Beniamino, di cui fa parte Gabaa, di conse­ gnare loro la banda di violenta tori. Quando i benianimiti rifiutano, la coalizione stabilisce che l 'intera tribù sia condannata a subire la pe·

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na. Scoppia un'assurda guerra civile; all'inizio la tribù di Beniamino vince due battaglie (20,1 7-26), ma alla fine è sconfitta. Nel momento in cui la coalizione sta per raggiungere lo scopo prefissato, l'annien­ tamento della tribù di Beniamino, le tribù vittoriose si tirano indie­ tro, spaventate dalla loro stessa sete di vendetta; così improvvisa­ mente si rende necessario organizzare un autentico ratto di vergini, per ridare vita a quanto resta di Beniamino. Anche se le azioni morali e religiose delle tribù in Gdc 20-21 so­ no sconsiderate e caotiche, in senso strettamente narratologico l 'in­ sieme delle tribù rappresenta l'eroe della nuova ricerca, che termina soltanto in 21 ,6-7. Questo dimostra che l'eroe può essere anche un insieme di persone. Nella parte finale, emerge per un momento una nuova ricerca, allorché la coalizione decide di dare un 'altra possibi­ lità alla tribù di Beniamino. Questa volta la posta in gioco è la vita, esattamente il contrario del primo scopo perseguito dalla coalizione, l'annientamento di Beniamino. Per quanto riguarda il c. 19, possiamo considerare in retrospettiva l'episodio di Gabaa come il detonatore che fa esplodere i cc. 20-21 . D) Saul è consacrato re lungo il cammino

Il lungo racconto di 1 Sam 9,1-10,16 è un dramma che presenta molti personaggi diversi, e costituisce un argomento gratificante per un'analisi della trama. Contiene almeno tre ricerche. L'inizio è sem­ plice: il contadino Kis manda il figlio Saul a cercare delle asine che si sono perdute. Questa è una ricerca in senso letterale, la Ricerca Uno (in seguito R l ), il cui eroe è Saul . Saltiamo a 9,1 5ss, dove incontria­ mo il veggente/profeta Samuele nel suo ambiente, e apprendiamo che Dio lo sta preparando all'arrivo di Saul. Samuele lo aspetta e sa che deve consacrare re il beniaminita. Ciò fa di lui l'eroe della Ri­ cerca Tre: il profeta cerca il candidato al trono ( R3). Se consideriamo di nuovo attentamente la natura di Rl ed R3 per poi metterle a confronto, noteremo che in realtà non c'è un nesso lo­ gico e necessario fra un contadino che va in cerca dei propri animali e un profeta in attesa del candidato da consacrare. La prima situa­ zione sembra una questione talmente banale e privata da non meri­ tare nemmeno un accenno, mentre la seconda costituisce un argo­ mento importante per una vera e propria storiografia. Il narratore unisce Rl a R3 in modo magistrale attraverso... R2. Ora esaminerò 91

ancora più attentamente il brano del testo in questione, i vv. 6-14, per enunciare quale sia il problema tecnico dello scrittore: può mettere insieme sullo stesso piano un contadino qualunque e il capo spiritua­ le della nazione? Lo fa introducendo degli informatori indispensabi­ li, i quali. nella loro spontaneità, non si accorgono di quanto sia fon­ damentale il loro contributo all'insediamento del primo re. Si tratta di un ragazzo (il servo di Saul) e un gruppo di ragazze che sono sce­ se dalla città ad attingere acqua. Questi personaggi sono anonimi. La prima ricerca è fallita. Saul e il suo servo hanno esplorato la regione collinosa, ma inutilmente. Così, in 9,5 Saul sta per desistere dall'impresa, ma il servo ha un 'idea: perché non andare in città e chiedere consiglio all'uomo di Dio? Saul rifiuta, ma il servo insiste e riesce a persuaderlo. È questo l'inizio della Ricerca Due: essi tenta­ no di affrontare il problema da un'angolatura diversa, ma ora devo­ no trovare il «Veggente», rimasto finora anonimo. Quindi R2 consi­ ste nel trovare il veggente. Appena stabilito lo scopo da raggiungere compaiono le fanciulle: esse scendono dalla stessa collina di cui Saul sta salendo il pendio. Il loro discorso relativamente lungo (vv. 1 2-13) contiene molte informazioni che si riveleranno in seguito di partico­ lare importanza; parlano di un pasto sacrificale sull'altura cultuale. dove Samuele è l 'indispensabile sacerdote officiante. In questo mo­ mento solo (il personaggio) Dio e il narratore sanno che Saul dovrà essere l'ospite d'onore a questo incontro cultuale in cima alla colli­ na. Le ragazze fanno premura a Saul, che si mette a correre e si im­ batte in Samuele che esce dalla porta (v. 1 4). A questo punto, R2 è riuscita e viene eliminata. Il contadino e la guida spirituale si trova­ no faccia a faccia. · Nello stesso tempo R1 ed R3 diventano operative: ora il conta­ dino può chiedere al veggente informazioni sulle asine perdute (informazioni che ottiene immediatamente: v. 20), mentre il profeta si cura del proprio ospite e lo inizia al suo destino inatteso. Rl ed R3 si fondono improvvisamente; un capovolgimento brillante, poiché il soggetto e l'oggetto della Ricerca Uno coincidono esattamente con l'oggetto e il soggetto della Ricerca Tre. Saul trova il profeta nello stesso momento in cui il profeta trova Saul. Nel prossimo capitolo di­ mostrerò che in definitiva Saul è l'eroe del lungo racconto nel suo in­ sieme, poiché non solo è il soggetto di due ricerche e può anche es­ sere considerato roggetto di valore di R3 , ma è inoltre l'unico per­ sonaggio a essere presente in tutte le scene. 92

E) Abner lascia Js-Baal per Davide

2Sam 3,6-21 ci conduce in un piccolo stato, l'unico resto del re­ gno di Saul. Il suo debole figlio Is-Baal regna sulla regione di Tran­ sgiordania, ma l 'uomo forte del regime è il generale Abner. Quando il suo re lo rimprovera a proposito di una donna, Abner si arrabbia e decide di consegnare il Regno del Nord - in teoria formato da dieci tribù - a Davide, il re di Giuda. Il litigio descritto nei vv. 7-1 1 rappresenta l'esposizione, incentrata sulla concubina di Saul, Rizpà; questo la colloca in un triangolo insieme a Is-Baal e Abner. Dopo di ciò comincia la trama, che coincide in gran parte con la ricerca di Ab­ ner, il quale si chiede: come posso consegnare le tribù a Davide? Sebbene Abner sia l'eroe, è anche la parte che pone quesiti . Davide è molto più potente: egli rimane al proprio posto e per di più avanza una grossa pretesa che lo stato di Saul deve soddisfare. Si tratta an­ cora di una donna: è la figlia di Saul, già moglie di Davide, che però gli era stata sottratta. Per Davide, ella rappresenta una pedina sulla scacchiera della politica nazionale: se egli può riaverla, Abner si sarà dimostrato leale; allo stesso tempo, il possesso della principessa ac­ crescerà la legittimità del potere di Davide su tutto Israele. Senza di lei , Davide sarebbe considerato da molti iJ primo ven uto. Mikal è sta­ ta eletta a simbolo della consegna delle tribù; Davide non nutre ver­ so di lei un sentimento particolare. Ella gli viene consegnata dopo es­ sere stata crudelmente strappata a suo marito Paltiel nei vv. 1 5-16. Il diagramma che segue rappresenta il modo in cui sono state m ano­ vrate le donne:

z�a Is-Baal

Ri Abner

Israele

l

Davide

I re stanno negli angoli; gli oggetti di scambio (due donne e una na­ zione) sono posti fra loro lungo i lati e possono cambiare posizione. Is­ Baal finisce come perdente assoluto; ieri gli è stata tolta la concubina Rizpà, oggi deve cedere la sorella, domani perderà il suo paese e la sua posizione. Abner è il grande iniziatore: egli inizia il primo e il terzo spo93

stamento, e controlla il secondo, cioè la consegna di Mikal, secondo la richiesta di Davide. Davide è quello che ottiene di più: la restituzione della principessa è anche simbolica; indica come Davide sia diventato il custode dell'intera nazione. Questo racconto fornisce una configura­ zione unitaria alle strette connessioni fra sesso, potere e politica. F) Due fazioni in guerra per il trono di Davide

t Re l è un altro lungo racconto che si complica a causa del gran­ de numero di personaggi i quali, divisi in due gruppi, agiscono in due luoghi simultaneamente. Il problema nasce dal fatto che Davide, or­ mai molto vecchio, non ha regolato la successione al trono. Entra in azione allora il principe Adonia, che, per ambizione e vanità ricorda il ribelle Assalonne. Per il momento egli è l'eroe, e la sua ricerca arrivare al potere - sembra svolgersi secondo i suoi piani mentre egli, circondato dai suoi sostenitori, offre un banchetto destinato a si­ gillare il colpo di stato. Il partito di Salomone dà l'allarme sotto la guida del profeta Natan e di Betsabea, la più influente moglie di Da­ vide, madre di Salomone. Essi sono gli eroi della contro-ricerca e tentano di persuadere Davide a emanare un decreto che modifichi radicalmente la situazione. Si tratta di una corsa contro il tempo, co­ me avevamo visto in Gen 27. Il partito di Adonia sta facendo festa proprio a poche centinaia di metri di distanza, presso la sorgente di Rogel. Perciò Davide, insieme alla fazione rivale, organizza un'inco­ ronazione di Salomone alla sorgente del Ghicon, proprio sotto il pa­ lazzo. In tal modo Salomone sottrae la corona al fratello, che corre il rischio di essere dichiarato colpevole di alto tradimento. Salomone è lontano dall 'attribuirsi il titolo di eroe e rimane l'oggetto - anche in senso grammaticale - di discussione, di trasporto, ecc. L'eroe è la sua fazione, che dà l 'allarme e agisce; lui non prende alcuna iniziati­ va. La magnifica struttura di questo capitolo dai colori vivi ha il suo perno (v. 30) nella decisione autoritaria di Davide con la quale egli cambia ogni cosa; sarà presa in esame nel prossimo capitolo. G) Veri e falsi profeti

All'inizio di lRe 13 si narra che Dio, tramite un profeta venuto da Giuda, si pronuncia contro l'altare del re Geroboamo. Questi, con l'aiuto del profeta Achia, aveva separato il nord dalla Casa di Davi94

de, ma ora pratica un culto illegale a Betel. Durante l'esposizione di questo episodio (12,33-13, 1 0), l'anonimo uomo di Dio venuto da Giuda è il soggetto della ricerca; essa consiste nel lanciare una male­ dizione sul culto (tramite una predizione e il compimento di un se­ gno distruttivo), impresa che sarà coronata da successo. Ma questo è soltanto il preludio. Il racconto vero e proprio si trova ai vv. 1 1-32 e ci presenta subi­ to un problema sgradevole. Un vecchio profeta di Betel invita l'uo­ mo di Giuda a casa sua a mangiare, affermando che Dio stesso gli ha suggerito di farlo. Il giudeo, che ha appena rifiutato con decisione un tentativo simile di conciliazione da parte del re, ora cade nel tranel­ lo che gli costerà la vita. Nasce così una contro-ricerca che sembra una tentazione. Evidentemente, il profeta di Betel è disposto a fare qualsiasi cosa per ricevere nella propria casa l 'uomo di Dio. Cosa cerca? Forse spera di ottenere autorevolezza, ma allo stesso tempo vuole tentare di placare il giudeo, a favore del regime di Geroboa­ mo. Per tutto il brano dei vv. 1 1-32, il profeta di Betel è l'eroe di que­ sta seconda ricerca. Secondo noi, i due uomini non meritavano tale destino. Quello che ha agito in modo giusto opponendosi all'altare esecrato, e che ha cacciato via il re seguendo le sue stesse istruzioni (cioè di ritornare subito a casa dopo la missione), perde la vita per essersi lasciato in­ gannare dal collega di Betel. L'ingannatore che ha mentito sulla pa­ rola di Dio (v. 1 8), diventa, con nostra sorpresa, uno strumento della parola di Dio nei vv. 20-22 e pronuncia un oracolo di condanna con­ tro il proprio ospite. Un'ora dopo il giudeo viene ucciso mentre con­ tinua il viaggio verso casa, ma i suoi resti trovano riposo nel sepolcro di proprietà di chi l'aveva ospitato; di conseguenza, 200 anni più tar­ di, durante l'epurazione religiosa comandata dal re Giosia (2Re 23,16- 1 8), quel sepolcro sarà risparmiato. Il destino di questi due profeti, uno proveniente dal sud l'altro dal nord, nella zona vicina al confine, ci apparirà più comprensibile se capiremo che qui si attua una latente ma violenta competizione fra vera e falsa profezia. Chi ha ragione? E prima di tutto: come fa­ ceva l'uomo di Dio giudeo a sapere che quello da cui era stato in­ vitato mentiva riguardo a Dio? Aveva la possibilità concreta di op­ porsi a lui, come si era opposto al re? Forse avrebbe dovuto atte­ nersi rigidamente alla propria missione, che indiscutibilmente pro­ veniva da Dio, e rendersi conto che quel comando non poteva es95

sere annullato o contraddetto dallo stesso Dio. In breve, avrebbe dovuto obbedire nel modo più assoluta. Ora che egli ha ceduto di fronte a un incontro conviviale (si ricordi il levita di Gdc 19), un al­ tro eroe appare nell'arena dove si confrontano la vera e la falsa profezia. È la parola di Dio che si serve di portavoce diversi, ma che giunge sempre a destinazione, anche se per compiersi deve pas­ sare attraverso la bocca di un profeta che ha appena mentito a un collega. H) Eliseo dopo l'ascensione di Elia al cielo

Di fronte a 2Re 2, il nostro primo pensiero è quello di attribui­ re a Elia il titolo di eroe - non gli è stato accordato l'onore esclu­ sivo di essere portato in cielo? Sbagliato ! Questa considerazione si basa solamente sul contenuto ed è smentita dalla frase di apertura. La cosa strana del v. l a è che nella prima frase l'ascensione sembra già nota - queste prime parole forniscono solo un'indicazione tem­ porale. La prima frase principale si riferisce al viaggio intrapreso da Elia e dal suo discepolo, e la proposizione temporale tratta l'ascen­ sione come qualcosa che non è nuova alle persone ·coinvolte nel­ l'avvenimento (Elia ed Eliseo e la folla di profeti al loro seguito) : «Quando YHWH stava per far salire i n cielo i n un turbine Elia, Elia ed Eliseo erano partiti da Galgala». Non possiamo fare a meno di notare come siano bene informati tutti questi profeti, leggendo il dialogo al v. 3, dove i profeti domandano a Eliseo: «Non sai tu che oggi YHWH toglierà il tuo padrone da sopra la tua testa?». Eliseo risponde che lo sa. I due uomini santi intraprendono un cammino verso est, che pos­ siamo seguire sulla carta geografica: Galgala - poi di nuovo Betel Gerico - Giordano. Elia voleva viaggiare da solo, ma non ne ha la possibilità. Per tre volte il narratore mette in bocca a Eliseo parole forti: si tratta del giuramento ai vv. 2.4.6 con il quale dichiara solen­ nemente al suo maestro che non lo lascerà mai. Evidentemente è de­ ciso a non farlo; perché? La verità emerge quando Elia, in una di­ mostrazione finale del potere divino, divide il fiume con il suo man­ tello (v. 9): Eliseo vuole ricevere una doppia parte dello spirito di Elia, cioè la sua ispirazione divina. Questa richiesta rivela che Eliseo (pur non essendo parente ! ), assume il ruolo di figlio di Elia, e vuole ottenere la parte di eredità dovuta al primogenito: secondo la legge 96

di successione, il figlio maggiore ha diritto al doppio. Nessuna mera­ viglia quindi che Eliseo gridi nel momento supremo: «Padre mio, pa­ dre mio ! Cocchio di Israele e sua cavalleria ! ». È ormai chiaro chi sia l'eroe e di cosa vada in cerca: 2Re 2 è già un racconto riguardante Eliseo, poiché egli, il discepolo, vuole di­ ventare maestro nel momento preciso in cui il maestro scompare. E così avviene. Nel v. 1 1 egli assiste a un miracolo, quando un carro di fuoco tirato da cavalli di fuoco porta via Elia in cielo. Ora che egli vede con i propri occhi, sa di essere realmente il successore accetta­ to da Dio, come Elia aveva stabilito in precedenza (v. 10). La par­ tenza di Elia è l'asse del racconto, preceduto e seguito dal vedere di Eliseo e dal suo non vedere più ( vv. 1 1 -12 ) . La corrispondenza suc­ cessiva è rappresentata dai vv. 8 e 14: Eliseo raccoglie il mantello di Elia, e divide le acque del Giordano esattamente come aveva fatto il suo maestro durante il cammino; così i profeti che in corteo seguono gli avvenimenti a distanza (un 'altra corrispondenza, vv. 7 e 15), com­ prendono ora chi sia il loro nuovo capo. La conclusione dell'unità ne è una conferma. Eliseo si trova ad affrontare alcuni scettici che cre­ dono necessario andare a cercare il corpo di Elia nell'aspra terra di Transgiordania. Poiché è un problema che li riguarda, Eliseo saggia­ mente esaudisce la loro richiesta e si rivela una guida spirituale; il narratore gli concede l'ultima parola in questo passaggio finale, che contiene una mini-ricerca divertente (vv. 1 5- 1 8). l)

Una madre lotta per il proprio figlio

Concludo con 2Re 4,8-37, dove Eliseo compie per due volte un miracolo, per cui siamo tentati di credere che il vero eroe sia il pro­ feta. Ma ancora una volta questa supposizione, basata sul contenuto, si rivela errata. Già nella narrazione del racconto un segno ci fa ca­ pire il nostro errore, quando la donna sunammita chiarisce che non le occorre alcun favore da parte del profeta (facciamo un salto in avanti per un momento e colleghiamo il v. 16 con l'amaro rimprove­ ro della donna al v. 28 !). La narrazione abbraccia i vv. 8-17 e presenta già tutti gli attori. La ricerca appartiene alla donna: il suo scopo è infatti quello di ave­ re nella sua casa una camera sempre a disposizione de li 'uomo di Dio; è lei dunque a prendere l 'iniziativa. Il profeta vuole ricompen­ sare la donna, ma preferisce parlarle attraverso il proprio servo 97

Ghecazi (cf. soprattutto i vv. 12, 14-15 e più avanti il v. 36) - una forma alquanto antipatica di contatto indiretto. Inoltre, essendo fi­ glio del suo tempo, il profeta condivide l'opinione tradizionale, se­ condo cui per ogni donna la maternità rappresenta la realizzazione della vita; perciò, senza curarsi del fatto che lei non se ne preoccu­ pa molto, le annuncia che avrà un bambino. Così accade infatti, e in un certo senso questo esito del racconto sembra una contro-ricerca. in cui il profeta forza la situazione, imponendo il suo progetto. Il fat­ to che suo marito sia anziano (e chissà, forse anche lei potrebbe es­ sere già sui 50) ci riporta ad Abramo e Sara, i quali ebbero un figlio quando, da un punto di vista biologico, la cosa era già da tempo im­ possibile (Gen 17,2 1 ). La parte centrale del racconto abbraccia i vv. 1 8-37. Il bambino muore, e il padre ha un atteggiamento indolente (se non indifferen­ te, v. 23) . La madre disperata deve lottare da sola, ma si batte come una leonessa. Tutta l'azione comincia da lei. Ella sa che l'unica pos­ sibilità di riavere il bambino sta nell'aiuto di Eliseo, dotato del pote­ re di fare miracoli; perciò si affretta a cercarlo. Lo trova sul Monte Carmelo e non vuole lasciarlo andare, proprio come aveva fatto Eli­ seo con Elia nel c. 2. Anche lei pronuncia un giuramento: «Per la vi­ ta del Signore e per la tua vita, non ti lascerò» (v. 30). Questo è un dettaglio pungente: avere un figlio morto, e tuttavia giurare sulla vi­ ta delle due autorità maschili con il messaggio implicito che il profe­ ta non cerchi ora di sfuggire. In un primo tempo Eliseo tenta una so­ luzione per mezzo del suo servo, ma naturalmente Ghecazi è capace di compiere miracoli come lo siamo io e voi (vv. 29 e 31 ) ; allora il grande profeta dovrà insegnarsi personalmente nell'impresa. Con il proprio corpo riesce a guarire il ragazzo, proprio quando ogni spe­ ranza sembrava perduta. Il vero eroe è la donna. Ella prende l'iniziativa due volte, è con­ tinuamente presente nel testo, intraprende la ricerca preliminare (e ne viene ricompensata con una nuova vita). Dopo circa 15 anni vie­ ne messa con le spalle al muro, ma agisce immediatamente e con ri­ solutezza, portando a termine la traiettoria della seconda ricerca, una vera e propria lotta fra la vita e la morte. Ella mostra al profeta le responsabilità che si è assunto, quando porta il fanciullo morto nella camera di Eliseo e lo depone sul suo letto (v. 21 ). E con il giu­ ramento che pronuncia la donna si assicura l'intervento del profeta. Sarebbe un grosso errore considerare 2Re 4 come un racconto inge98

nuo e primitivo sui miracoli; al contrario, l'ascoltatore attento vi scorge la critica sottile all'uomo di Dio. La Sunammita è una donna di carattere. AIUTO E OPPOSIZIONE

Vorrei concludere questo capitolo con una breve esposizione ri­ guardante gli aiutanti e gli oppositori. Dopo aver imparato a distin­ guere l'asse della traiettoria, siamo in grado di collocare gli altri per­ sonaggi al posto giusto in relazione alla ricerca. Essi si trovano sul­ l'asse dell'azione e sono relativamente pochi. È raro che siano neu­ trali; infatti, è spesso illuminante la discussione fra chi li vede come favorevoli e chi invece li considera contrari. Se riteniamo Rebecca l'eroina di Geo 27, è chiaro che Giacobbe è il suo aiutante. Nel suo caso, questa funzione riguardante la trama o la ricerca coincide con la sua posizione di beneficiario. Nella prima parte. suo fratello e suo padre sono oppositori inconsapevoli - naturalmente solo in re la­ zione alla trama. Il padre aiuta solo in parte, perché spreca la sua be­ nedizione sul figlio travestito da Esaù. Nella seconda parte, Esaù è senza dubbio un oppositore. mentre Isacco diventa un aiutante gra­ zie all 'inganno di Rebecca. In lSam 9- 10, il profeta Samuele funge ovviamente da aiutante, in relazione al viaggio che trasforma un ignaro contadino in un candidato al trono, stupefatto, ma consacra­ to, seppur segretamente. Ho fiducia che i lettori riusciranno facil­ mente a sviluppare da soli questa distinzione. Tuttavia, il narratore può decidere di non usare un semplice con­ trasto fra bianco e nero, scegliendo invece una posizione di ambi­ guità; faccio due esempi di questa decisione. L'uomo di Dio prove­ niente da Giuda e il vecchio profeta di Betel, il duo di l Re 1 3, si si­ tuano nell'interessante zona grigia. In rapporto alla ricerca diretta della parola di Dio che crea e cambia la realtà, hanno entrambi sia meriti sia demeriti. Un caso ancora più curioso di ambiguità si trova in lSam 1 7, in relazione a Saul. Mentre si dirige verso l'arena dove ucciderà Golia, Davide ha una conversazione con Saul. Nei vv. 3 1 -40 il re offre a Davide la propria armatura perché la indossi durante la battaglia. Saul sembra un aiutante, ma lo è davvero? No, non lo è. In un primo momento infatti il re si dimostra già un ostacolo, non volendo ammettere Davide nell'arena (v. 33) , anche se mosso dalle migliori intenzioni. Quando in seguito Davide dichiara ; 99

che da pastore esperto del mestiere sa come agire, Saul cede e gli of­ fre la spada e l'armatura. Davide prova a indossare l'armatura, ma non gli va bene. Non c'è da stupirsi, concl udiamo noi, in base alla no­ stra conoscenza superiore. Nessuno nei due eserciti sa, eccetto Davi­ de - e «al di sopra)) del racconto lo sa anche il lettore, grazie al nar­ ratore -, che il pastorello originario di Betlemme è stato eletto da Dio a essere il nuovo re, e che la sua ascesa è strettamente legata al­ la caduta di quel Saul che sarà rifiutato (i due «movimenti» in l Sa m 16). Perciò è profondamente simbolico il fatto che le armi di Saul non si adattino a Davide, e che, in seguito, la tunica di Gionata gli si adatti invece come un guanto. L'offerta dell'armatura da parte del re era destinata a fallire fin dall'inizio, e l'intero episodio è un ostacolo sul cam mino del pastore verso il campione filisteo. È anche un vali­ do esempio della scarsa importanza che hanno le buone intenzioni. La conclusione è questa: l'apporto di Saul nei vv. 31 -40 fa di lui sia u n aiutante, sia un oppositore.

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6 TEMPO E SPAZIO, ENTRATE E USCITE

(L

POTERE DI UNA STRUTTURAZIONE CORRETIA

Se riusciamo a fare una divisione corretta del testo nelle sue va­ rie parti, ogni cosa andrà al posto giusto. Due vie utili di approccio sono le entrate e le uscite dei personaggi sulla scena, e il modo in cui lo scrittore fa uso delle coordinate del tempo e dello spazio. )

PERSONAGGI ENTRANO ED ESCONO

Se prendiamo in considerazione le entrate e le uscite dei perso­ naggi in Geo 27,1-28,9 (racconto A del campo di esercizio: Rebecca e Giacobbe ingannano Isacco ed Esaù ). noteremo un'alternanza no­ tevole che mostra con quanta precisione sia stato costruito questo brano. Ci sono sei scene con due figure ciascuna, e queste rappre­ sentano sempre un genitore e un figlio: !sacco ed Esaù (vv. 1-5)

A' Isacco ed Esaù (vv. 31 -40) B Rebecca e Giacobbe (vv. 6-1 7) 8' Rebecca e Giacobbe (vv. 42-45) C' Isacco e Giacobbe C' Isacco e Giacobbe ( vv. 1 8-30) (v. 46; 28,1-5) A

Questa distribuzione dei personaggi sembra sia stata decisa per assecondare la forma. Un'esegesi corretta non dovrebbe occuparsi del contenuto? Finora ho evitato per principio i termini «forma» e 101

«Contenuto», e continuerò decisamente a farlo. In realtà, questa cop­ pia non serve a molto. Dà l 'impressione di una dicotomia precisa ed è fuorviante. Un approccio letterario può svilupparsi soltanto se ci rendiamo conto che ogni forma infl uenza il contenuto, e che qualun­ que contenuto a cui possiamo pensare per un racconto di qualità può essere esaminato e discusso soltanto se ha assunto una forma. Forma e contenuto sono legati in modo così inscindibile da costituire con­ cetti difficili da trattare. Prendiamo, ad esempio, la struttura serrata che notiamo in Gen 27. Il modello ABC/ lA'B 'C' consiste in un pa­ rallelismo di due triadi. Inoltre, l'aspetto «contenuto)) di una «forma» che lega sempre un genitore a un figlio è molto importante: il quar­ tetto familiare è stato spezzato, esattamente a metà. La madre che domina la situazione per due volte occupa il cen­ tro, e il suo «mandare» è assai efficace, a differenza dello stesso or­ dine dato da Isacco nella pericope A. Si provi a considerare fino a che punto A' è il compimento di A. Si noti anche come la benedizio­ ne, che è il punto cruciale del racconto in C, abbia in C' uno strano prolungamento, in cui le promesse di Dio ad Abramo e Isacco sono riprese da quest'ultimo e trasmesse di nuovo a Giacobbe. Sembra che Isacco si sia riconciliato con il fatto compiuto, poiché non dimo­ stra di essere arrabbiato per l'inganno subito. Forse si consola con il testo dell'oracolo pronunciato prima della nascita dei figli. La simmetria parallela ha una validità indiscutibile, ma c'è un 'al­ tra simmetria che si collega più direttamente al contenuto, e corri­ sponde in maniera stringente alla nostra analisi della trama. Le stes­ se scene possono anche essere disposte secondo una struttura con­ centrica. Secondo me, questa disposizione è più efficace dello sche­ ma parallelo: A B C C' B' A'

Isacco manda fuori Esaù Rebecca istruisce e traveste Giacobbe Giacobbe di fronte a lsacco: riceve la benedizione Esaù di fronte a Isacco: riceve la contro-benedizione R ebecca progetta i l matrimonio d i Giacobbe Isacco manda Giacobbe a Carran

La corrispondenza A-A' ci fa trarre una deduzione affascinante: per tutte e due le volte, Isacco coscientemente si rivolge al figlio che deve benedire. A causa dell'inganno, però, non si tratta della stessa

102

persona! È stato fatto uno scambio che, a sua volta, riflette il contra­ sto che sta alla base del rapporto C-C'. Il vantaggio dello schema concentrico è questo: le denominazioni delle varie unità si adattano perfettamente ai termini dell'analisi della trama: in A-A' vediamo che il padre, in qualità di inviante, apre una traiettoria e indica già quale sarà l'oggetto di valore; in C-C' vediamo in lui il personaggio che consegnerà l'oggetto di valore, mentre B-B� chiarisce la posizio­ ne centrale di Rebecca. Ella fa da mediatrice in tutte e due le parti, permettendoci in tal modo di passare da A a C. Il collegamento fra C e C' è molto appropriato, poiché queste due unità si basano sul­ l'opposizione fra ciò che ciascuno dei figli riceve: benedizione e con­ tro-benedizione. Questa opposizione è stata ripresa nella scelta dei vocaboli. La preposizione min significa «da», ma è ambigua: può es­ sere sia partitiva («fare parte di>>) sia esprimere lontananza, allonta­ namento («lontano da, separato da»). Questa ambiguità è sfruttata in modo perfetto dallo scrittore, grazie alle parole dell'anziano pa­ dre. La benedizione impartita a Giacobbe, espressa in versi poetici, fra le altre cose al v. 28 dice: «Dio ti doni dalla rugiada del cielo e dalle terre grasse, e abbondanza di frumento e di mosto».

Il v. 28 è un verso cosiddetto tricolon , essendo costituito da tre membri paralleli. Nel v. 29 Giacobbe riceve conferma di ciò che l 'o­ racolo pronunciato prima della nascita (25 ,23) aveva detto sul mag­ giore e sul minore dei figli di !sacco, anzi c'è un'ampliamento della profezia. Riporto due righe (in questo caso versi poetici), eviden­ ziando con un rientro che ciascuna è un bicolon, cioè un insieme for­ mato da due emistichi paralleli. 29aa Ti servano i popoli 29a � e si prostrino davanti a te le genti. 29ba Sii il signore dei tuoi fratelli 29b Jl e si prostrino davanti a te i figli di tua madre.

Cosa viene lasciato a Esaù, che arriva troppo tardi, nei vv. 3 1 -34? Anche lui rivolge questa domanda al padre, al v. 38. Qui, lo scrittore utilizza l'altro significato della preposizione min e fa dire a !sacco: 103

38aa Ecco, (fungi) dalle terre grasse 30a � sarà la tua sede 30ay e (fungi) dalla rugiada del cielo dall'alto.

Questo è esattamente il contrario o il complemento della vera benedizione - Esaù è perfino rimproverato per essere arrivato in ri­ tardo. Soltanto alla fine del v. 40 il perdente potrà intravedere la lu­ ce alla fine del tunnel. TEMPO E SPAZIO: GIUSEPPE

Nel dramma di Giuseppe a Dotan (racconto B del campo di eser­ cizio: Gen 37,1 2-36) si trovano raramente indicazioni di tempo; que­ sta lacuna, però, è compensata dai numerosi dati riguardanti lo spa­ zio. Le due pericopi che precedono il complotto dei fratelli, vv. 12- 14 e 1 5-17, focalizzano la nostra attenzione sul viaggio di Giuseppe. La meta di questa ricerca è stata stabilita dal padre, poiché è lui a man­ darlo. Ho · evidenziato con il corsivo le inclusioni che formano una cornice semplice, ma efficace, intorno alle pericopi. Un giorno che i suoi fratelli erano andati a pascolare il gregge del loro padre a Sichem, Israele disse a Giuseppe: «l tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem. Vieni, ti voglio mandare da loro>>. Gli rispose: «Eccomi». Ed egli disse: «Va' a vedere come stanno i tuoi fratelli e come sta il bestia­ me, poi torna a riferirmi». Lo inviò dunque dalla valle di Ebron e (Giu­ seppe) arrivò a Sichem . Un uomo lo trovò mentre andava errando per la campagna. L'uomo gli domandò: «Che cerchi?». Rispose: «Cerco i miei fratelli. Puoi dirmi do­ ve si trovano a pascolare?». L'uomo disse: «Sono andati via di qui, per­ ché li ho sentiti dire: ··Andiamo a Dotan "». Allora Giuseppe andò in cer­ ca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan .

A prima vista, questi due passi non sembrano degni di rilievo. Ma un esame più attento ci darà una visione diversa. La pericope ri­ guardante la partenza è inquadrata dal nome della città verso cui Giuseppe si dirige e dai verbi complementari «andare» e «arrivare». Alla fine i nomi di Ebron e Sichem sono vicini, e indicano così il prin­ cipio e il termine del viaggio; inoltre accennano al lungo cammino che Giuseppe dovrà percorrere, un cammino di circa tre giorni. L'at104

tenzione del padre si concentra sul benessere dei fratelli e del greg­ ge. Si è in dubbio sul risultato delrincontro fra questo giovane e i fra­ telli. Già al v. 4b leggiamo del loro disaccordo e sempre qui appare per la prima volta il termine shalom, per indicare come i fratelli di Giuseppe non si rivolgano più a lui in modo benevolo. Troviamo an­ che il padre che chiede a Giuseppe di riportargli un doppio shalom (benessere), sotto forma di una «parola» positiva! Vedremo se que­ sta ricerca avrà successo. La seconda pericope è un racconto in miniatura, ma perfetto. Al­ l'inizio, Giuseppe smarrisce la via, cosa che, dato il contesto, non fa prevedere nulla di buono; potrebbe essere un cat tivo presagio? Al­ la fine del brano va tutto a posto, poiché lungo la via Giuseppe è ai utato da un passante, e raggiunge così il luogo dove era diretto, Dotan. La breve ricerca intermedia evidentemente è stata proficua. Tuttavia, l'episodio fra l'inizio e la fine fa riflettere. In primo luogo, il ragazzo sta andando in cerca, ma la ricerca è vana, anzi è lui ad es­ sere «trovato». · In secondo luogo, il testo non dice che trova un uo­ mo, ma che l'uomo trova lui, e sottolinea così un capovolgimento curioso e non favorevole a Giuseppe. Egli è l'oggetto trovato da al­ tri; questo ci fa capire la gravità del suo smarrimento. Naturalmen­ te conosciamo il seguito: egli sarà l'oggetto e la vittima dei suoi fra­ telli; Ruben non avrà la possibilità di «ricondurlo al padre» (come voleva, v. 22b ); al padre sarà riportata soltanto una tunica insangui­ nata che reca un messaggio chiaro e preciso! Al v. 16, Giuseppe è la parte che chiede e che dipende da altri - non ha la minima idea di ciò che sta realmente accadendo nel crudele mondo esterno. Questo accresce il valore simbolico del misterioso forestiero, destinato a in­ dicargli la strada che conduce alla cisterna e alla schiavitù. «Avere smarrito la via» è un'espressione che anche noi usiamo in senso fi.! gurato. Anche le due pericopi successive, Geo 37,1 8-22 e 23-24, sono contrassegnate da termini che indicano lo spazio. In entrambi i pas­ si, l'inizio contiene un contrasto fra «lontano» e «Vicino>). Mentre Giuseppe è ancora molto lontano, lo scrittore ha l'opportunità di far­ ci ascoltare il complotto. Quando arriva, invece, una rapida succes­ sione di azioni (vv. 23b + 24) fa precipitare Giuseppe in una cisterna; ormai non c'è più tempo per le discussioni. Anche gli' elementi D e D' della struttura illustrata nel capitolo precedente, cioè i vv. 25 e 28 che formano la prima corrispondenza in torno alla proposta decisiva 105

di Giuda e che indicano entrambi la carovana, sono contraddistinti da termini riferiti allo spazio. Essi chiudono il brano con una specie di rima, quando entrambi menzionano la nuova destinazione con un termine spaziale: l'Egitto. Il seguito di questo brano è la nota finale del v. 36 unitamente a 39, 1 , che riannoda il filo nel punto esatto in cui era stato lasciato in 37 ,36. SAUL IN CAMMINO VERSO SAMUELE

Il testo di t Sam 9,1-10,16 (racconto E del campo di esercizio) contiene un numero sorprendente di esplicite indicazioni temporali e spaziali, più di 60. Si riferiscono al viaggio di andata e ritorno com­ piuto da Saul e alle fasi della sua straordinaria ricerca. Tali indica­ zioni sono regolarmente accompagnate da verbi che registrano i mo­ vimenti dell'eroe. Esaminerò brevemente la funzione del verbo di movimento. �ell 'ambito di un racconto, la situazione è esattamente identica a quella di una realtà extra-linguistica: quando il personaggio X si sposta dal punto A al punto B, occorre del tempo; e lo spazio si tra­ sforma, a seconda di come viene considerato dal viaggiatore o dal­ lo spettatore. Nella realtà linguistica o testuale il verbo di movi­ mento è un mediatore flessibile, che con leggerezza e discrezione opera una fusione fra il tempo narrato (il tempo all'interno del rac­ conto) e lo spazio narrato (il mondo evocato). Questo fa veramen­ te del tempo e dello spazio due dimensioni quasi inseparabili dello stesso, unico sistema di coordinate. Se la mia interpretazione è giu­ sta, non sarebbe una sorpresa per la teoria della relatività o della fi­ sica dei quanti . Esaminiamo la fusione delle espressioni temporali e spaziali in 1Sam 9-10. Molte di esse mettono in evidenza le demarcazioni delle pericopi e le sezioni del racconto. Ne ho scelte quattro davvero spe­ ciali, in cui ciascun elemento costituisce una soglia del racconto e presenta una combinazione di tempo e spazio, talvolta assai inge­ gnosa: vv. 5, 1 1 , 14b, 27. Nel v. 1 1 e nel 14 notiamo esempi di sincro­ nia (simultaneità): le persone si incontrano «per caso» in qualche luogo di particolare importanza, e i movimenti che le fanno conver­ gere sono sincronici. Questi passi contengono una coppia di frasi cia­ scuno e si accordano perfettamente fra loro: 106

Soglia l

=

v.

5a

Quando arrivarono nel paese di Zuf, Saul disse al servo che era con lui. .. Soglia 2

=

v.

11

Mentre essi salivano la china verso la città, incontrarono delle ragazze che uscivano ad attingere acqua, e chiesero loro... Soglia

3

= v.

14b

Mentre essi entravano in città, Samuele usciva incontro a loro, per salire sull'altura [= santuario]. Soglia

4=

v.

27

Mentre scendevano verso i confini della città, Samuele disse a Saul. .. Voglio notare soltanto alcuni collegamenti. In l , 2 e 4 vediamo la combinazione di arrivare e parlare. Ogni riga iniziale contiene un 'osservazione in merito allo spazio. Le soglie 3 e 4 si completano a vicenda, grazie ai movimenti verso l'interno e verso l'esterno, che sono stati registrati con la precisione di un pezzo teatrale. I movi­ menti complementari verso l'alto e verso il basso del caso 2 si tro­ vano anche nel caso 3. Il ragazzo in l corrisponde alle ragazze in 2. L'originale ebraico usa la stessa radice nominale per indicare ragaz­ zo/ragazza, ma c'è di più: in entrambi i casi i personaggi sono ano­ nimi, e tuttavia indispensabili per fare incontrare Saul e Samuele, quando si propongono di iniziare la Ricerca Due (cf. supra, il capi­ tolo precedente). Collegati alle altre numerose indicazioni temporali e spaziali, questi dati ci permettono di elaborare una struttura del racconto molto ben fondata. Uno schema delle nove parti si presenta così:

107

A Introduzione: nuovo eroe, manca qualcosa, la ricerca fallisce B Il servo propone un'altra destinazione: il veggente c

D E F G

Gruppo di ragazze: incontro con il veggente che sta andando al banchetto sacrificale Dio informa Samuele, conversazione l fra Samuele e Saul Saul riceve onori� è posto a capo di un banchetto cultuale Conversazione 2 fra Samuele e Saul, di notte Unzione di Saul, in privato; Samuele predice segni, istruzioni

H Saul in estasi sulla via del ritorno, proverbio Ritorno, conversazione con lo zio I

vv.

1-4

vv.

5-10

vv.

1 1 -14a

vv.

14b-21

vv. vv.

22-24 . 25-26 9,27-10,8

vv.

1 0,9-1 3a 13b- 16

I due spazi servono per articolare lo schema in tre parti: viaggio di andata - accoglienza - viaggio di ritorno. L'accoglienza abbrac­ cia le sezioni C-G, cioè l'ampia parte centrale, con Samuele in qualità di anfitrione, mentre il profeta è assente in AB e Hl. Per quanto sia grande il suo apporto al contenuto (data la sua conoscenza divina e la sua abilità di fare predizioni), non è l'eroe. L'eroe è Saul, il quale, unico fra una dozzina di personaggi, è presente in ciascuna delle no­ ve parti. Il concetto della ricerca è un altro argomento a favore di questa ipotesi. La Ricerca Uno, trovare le asine, è solo apparente­ mente meno importante, e resta valida mentre la Ricerca Due (vv. 514) è in corso e la Ricerca Tre attira la nostra attenzione (9,1 5-10,8). Ricapitoliamo qui le indicazioni del testo. In 9,20 il veggente di­ ce che gli animali sono stati trovati, per rassicurare l'eroe e far con­ vergere tutta la sua attenzione verso la nuova carriera che lo atten­ de. Di conseguenza, per un momento pensiamo che la Rl sia termi­ nata. In 10,2, tuttavia, Samuele predice che Saul da fonte inaspettata riceverà conferma del ritrovamento degli animali (si noti come la preoccupazione del padre, espressa in 9,5, si ripeta qui ! ). Anche allo­ ra lo scrittore non abbandona la Ricerca Uno: nei versetti finali 10, 14- 1 6 uno zio ne chiede notizia a Saul, e nel v. 16 c'è la secca ri108

sposta ironica di Saul, con cui egli rassicura lo zio riguardo alle asi­ ne, ma non rivela la parte più importante - la sua regalità. La conclusione riecheggia l 'inizio: il padre aveva un nome ed esercitava la consueta autorità totale sul figlio; ma quando il profe­ ta, per ordine di Dio, indirizza in modo diverso la vita di Saul, uno zio anonimo di Saul, ignaro di tutto, viene a simboleggiare il fatto che ora Saul si avvia a una missione comple tamente diversa, dove l'anti­ ca autorità familiare non conta più. Se esaminiamo lo spazio più attentamente, noteremo che la si­ stemazione delle nove scene fa emergere un ordine sistematico. Tro­ viamo una struttura di base, costituita da una simmetria concentrica, che rivela come questo lungo racconto sia basato su un itinerario del­ l' eroe: il tragitto del suo viaggio. L'altura l la sala E D

C

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. . . (nella città) .

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A Partenza .

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. (fuori città)

in alto B . andata

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F

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G in basso .

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H ritorno

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(entrata e uscita dal distrettto di Zuf) .

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{la terra di Beniamino)

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I ritorno a casa .

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L'uomo che aveva lasciato la propria casa al principio di questo episodio vi fa ritorno dopo una settimana circa, ma non è più lo stes­ so uomo. Ha subito una trasformazione profonda. Sulla via del ritor­ no lo Spirito di Dio è entrato in lui e per alcune ore gli ha fatto spe­ rimentare una trance profetica, in mezzo a una grande folla di profe­ ti (del genere dei dervisci). Lo scrittore descrive questa trasforma­ zione in modo magistrale, mostrandoci in 1 0,10-12 le altre persone. cittadini ordinari, che osservano lo spettacolo stupefatti e reagiscono spontaneamente: 109

Si dicevano l'un l'altro: «Che è accaduto al figlio di Kis? È dunque anche Saul fra i profeti?» E qualcuno rispose: «Chi è il loro padre?» La forma di questa ultima frase colpisce immediatamente, poiché la risposta è formulata come una domanda, che ha più o meno que­ sto significato: a chi appartengono questi ragazzi? Essi stanno al di fuori delle strutture stabili della comunità ! Inoltre, la parola «padre» crea un relais sottile sulla linea che corre fra il padre Kis, quasi onni­ potente, e lo zio anonimo che è stato liquidato con poche parole sbri­ gative. Infine, lo scrittore sottolinea l'aspetto eccezionale del nuovo stato di Saul, uscendo addirittura dalla cornice del tempo narrato, per dirci che l'episodio è stato tramandato ai posteri in un proverbio: « È dunque anche Saul fra i profeti?>> ( 1Sam 10,12). ADONIA o SALOMONE?

Il racconto di l Re l (racconto I del campo di esercizio) presenta una grande varietà di attori. Deve essere stata una vera sfida per lo scrittore modellare il proprio materiale in una forma elegante. Pos­ siamo dedurre la difficoltà di questo compito dalla lista dei perso­ naggi e dei dettagli sotto elencati. Li ho raggruppati in due colonne, per mostrare come si svolga la competizione per la successione al trono fra le due fazioni avverse. Nella colonna centrale compaiono diverse specificazioni corrispondenti ai protagonisti appartenenti al­ le due fazioni o alla maniera nella quale certi elementi vengono rea­ lizzati nel testo o nella lingua. Adonia

principe/candidato Salomone

Ebiatar Ioab cortigiani giudei

(sacerdote) (generale) (servi tori)

Gionata

(nominato nei vv. 1 1 - 1 4//41-48)

1 10

Zadok Benaià «soldati fedeli» ( vv. 8. 10) Natan

Agghit ospiti

(madre) (fazione)

vecchio, freddo, passivo carro + corridori (cf. 2Sam 15, 1 ) Roghel nei vv. 50-52, per Adonia

(Davide) (attributo)

Betsabea >. 1 16

Lo scrittore, collocando al centro questa conversazione, ha rive­ lato quale sia per lui la posta fondamentale. L'episodio, anche se ter­ rificante, non è affatto speciale. Il giornalismo scandalistico non in­ teressa l'autore: grazie alla struttura rigorosa del suo racconto, egli apre invece un dibattito sui valori. Condanna implacabilmente l'au­ tocompiacimento. In certo modo, lo schema concentrico del raccon­ to riflette l'egocentrismo e lo stantio egoismo di gruppo del levita. La compattezza della struttura simmetrica simboleggia ciò a cui si ridu­ cono le persone che si chiudono ermeticamente di fronte al loro prossimo: una spaventosa insensibilità.

1 17

7

LA FORZA DELLA RIPETIZIONE

LA DIALETIICA DELLA SIMILARITÀ E DELLA DIFFERENZA

I prosatori e i poeti ebrei amano l'uso della ripetizione e si avval­ gono sistematicamente e volutamente di questo strumento letterario. Sanno anche, però, che la ripetizione fine a se stessa degenera presto in monotonia. Ecco perché hanno sviluppato una tecnica sofisticata di ripetizioni variate, con lo scopo principale di espandere la ricchez­ za di significato e di tenere in serbo per noi un'infinità di sorprese. Il concetto di ripetizione esige qualcosa dal lettore moderno. Molti di noi si avventurano per la prima volta nel campo della scrit­ tura seria al liceo o comunque a un istituto superiore; allora quando scriviamo un tema subiamo critiche e correzioni per l'uso troppo fre­ quente delle stesse parole. La critica è giustificata, poiché molte ri­ petizioni dei principianti sono dovute a inesperienza e a mancanza di possesso della lingua. Spesso lasciamo la scuola con l'impressione di dovere evitare la ripetizione a qualsiasi costo. Oltre a questo, la no­ stra cultura è caratterizzata dall'informazione e dalla comunicazione molto più di quanto lo fosse quella ebraica; perciò la parola scritta viene usata più frequentemente e in modo più esteso che nella so­ cietà dell'antico Israele, semplice e relativamente stabile. La Bibbia può essere apprezzata come merita solo grazie a una lettura creativa� per questo occorre prima rendersi conto che la po­ sizione dei narratori e poeti di Israele è quasi diametralmente oppo­ sta alla nostra, per quanto riguarda l'uso delle ripetizioni. Noi stiamo attenti ad evitare al massimo l'uso delle ripetizioni; invece, Io scrit­ tore biblico è stato accuratamente preparato a sfruttare quante più forme di ripetizioni rinvenibili, ai fini di una comunicazione efficace. 1 19

In altre parole, a questo riguardo, le nostre regole di scrittura e le no­ stre aspettative quando leggiamo un testo differiscono drasticamen­ te da quelle dei tempi antichi. Di conseguenza, corriamo il rischio di interpretare e giudicare le forme di ripetizione in modo errato. «PIOMBA

SUL

CAMPO ))

Per illustrare questo concetto scelgo un esempio tratto da Gdc 7. Gedeone è stato designato da Dio come liberatore del paese dai ne­ mici, cioè i madianiti e altri cammellieri nomadi. Quando, dopo mol­ te esitazioni - cioè proteste, paura e confusione di ogni genere, che Dio ha pazientemente eluso - egli si è più o meno riconciliato con la propria missione, Dio gli dà le seguenti istruzioni nei vv. 9-1 1 : «Alzati e attacca il campo, perché io te l'ho messo nelle mani. Se hai pau­ ra di attaccare, scendi al campo con Pura, tuo servo, e ascolta ciò che di­ cono; dopo, avrai il coraggio di attaccare il campo» [tr. dall'inglese JPS].

Se leggiamo questo passo senza pensare alle notevoli differenze esistenti nelle convenzioni letterarie, probabilmente ci sembrerà che tutte queste ripetizioni di «attaccare)) e .«il campo» siano eccessive. Inoltre, la strutturazione del discorso ci può apparire strana: abbia­ mo l'impressione che ci sia qualcosa di sbagliato nella successione cronologica di ciò che Gedeone deve compiere. Tuttavia, la missione affidatagli da Dio assumerà un aspetto diverso se, con l'ausilio di quanto è stato chiarito nel capitolo precedente, esaminiamo attenta­ mente la struttura del discorso e usiamo lo stile ebraico a nostro van­ taggio. Supponiamo che qui la ripetizione abbia un certo valore ag­ giunto, perfino una funzione utile, e allora? Riscriverò il brano, tra­ ducendo il verbo di movimento («Scendere») in modo logico e lette­ rale, e restituendo la parola «mani» al v. 11 b: 9 b c 10 a b 11 a

120

Alzati, scendi al campo, poiché l'ho messo nelle tue mani. Se hai paura di scendere, scendi tu e Pura tuo servo al campo.

b

Ascolterai (opp. Ascolta) quello che dicono, e dopo le tue mani acquisteranno vigore

c

e scenderai al

campo.

Si nota che Io scrittore ha collocato la combinazione di intendo corrispondenze: i collegamenti indicati da A-A', B-B' e C-C'. Si soddisfano i criteri l (dimostrabilità) e 2 (attinenza), se la sim­ metria dalla quale un testo sembra essere determinato consiste nel­ le corrispondenze che, come forme di ripetizioni , sono basate su (a) similarità dimostrabile e illustrativa. o (b) opposizione o contrasto dimostrabile e illustrativo, oppure (c) una combinazione di tali simi­ larità e contrasti. Illustrerò con esempi, una per una, le situazioni a), b) e c). Prima, però, occorre dire una parola su ciò che è dimostrabi­ le e ciò che non lo è. Penso che ci sia un tipo rigido e un tipo flessibile di dimostrabi­ lità. Vorrei ricordare al lettore il discorso di Dio a Gedeone. Nelle sue righe iniziali, centrali e finali, la parola «scendere» era unita a «campo». Questa è un'innegabile corrispondenza, basata sulla di­ mostrabilità «rigida>> della stretta ripetizione. Una connessione ba­ sata sulla similarità semantica, cioè la corrispondenza di significato. può essere classificata come un caso di dimostrabilità «flessibile». Prenderò in esame un solo esempio di questo caso, che si trova al centro di Gdc 1 9, e di cui ho discusso la struttura concentrica nel ca­ pitolo precedente (il paragrafo «Fra Betlemme e Gabaa>>� cf. supra. pp. 1 1 3-1 1 7). Il consiglio del servo era: «Deviamo il cammino verso questa città dei gebusei e passiamovi la notte». Il padrone, però, non è d'accordo e dice: «Raggiungiamo uno di quei luoghi e passeremo la notte a Gabaa o a Rama>>. Qui , la maggior parte delle corrispon­ denze non è letterale, ma tuttavia chiaramente riconoscibile. Questo accade perché Iebus e Gabaa (o Rama) appartengono entrambe al­ la stessa categoria semantica di nomi di luogo, e perché «deviamo il cammino» non soltanto è in contrasto con «raggiungiamo» (non fa­ cendo una deviazione), ma appartiene anche alla stessa categoria, quella del movimento del viaggio. In tal modo, c'è una sufficiente similarità di significato. INCONTRI CONTRASTANTI

La composizione del racconto relativo alla rivolta di Assolon­ ne, è governata dall'elemento spazio: gran parte di questo testo consiste in brani situati lungo il viaggio di andata e di ritorno di 125

Davide. In 2Sam 15-17 D avide fugge davanti al colpo di stato di Assalonne, ma dopo la sua vittoria sul campo di battaglia (c. 18), può ritornare vittorioso. Durante la fuga e il viaggio di ritorno il re fa tre incontri. Sul Monte degli Ulivi, durante la fuga di Davide C Davide e Cusai (che torna indietro a fare la spia) D Davide e Zibà (viveri, Merib-Baal accusato) E Davide e Simeì (maledizioni e pietre dalla tribù di Saul) Al E' D' C'

1 5,32-37 16, 1 -4 16,5-13

Giordano, quando Davide ritorna come vincitore Davide e Simel (che chiede pietà) 19,1 7-24 Davide e Merib-Baal (innocente, controbatte Zibà) 1 9,25-30 Davide e Barzillai (congedo, Barzillai torna indietro) 1 9,31 -40

Prima di tutto, troviamo le due coppie DD' ed EE', notevoli per contrasto drammatico. Lo stesso uomo che desiderava la morte di Davide e accresceva trionfante l'umiliazione del re gettandogli in­ vettive e pietre, ora decide di affrontare ancora Davide - ma que­ sta volta allo scopo di sfuggire alla condanna per alto tradimento. Le due scene di Simeì offrono corrispondenze varie, ma il primo aspet­ to che notiamo è quello della similarità: i due uomini sono gli stessi. Subito dopo troviamo che sconfitta, fuga e umiliazione di Davide si collegano per contrasto alla spavalderia e alle ingiurie di Simeì (E), e la vittoria di Davide si contrappone alle preghiere e all'ammissio­ ne di colpa di Simeì (E'). Sono tutte relazioni basate sul contrasto, ri­ sultato del capovolgimento politico avvenuto sul campo di battaglia. In termini linguistici , tutte queste corrispondenze sono semantiche (dimostrabilità «flessibile»), anche se interessanti come indici di un conflitto fra vita e morte. Altrettanto semantico, ma anche drammatico moralmente e po­ liticamente è il contrasto D-D' (Zibà-Merib-Baal). Zibà, servo della casa reale che doveva avere cura dello storpio Merib- Baal (2Sam 9) soccorre il re in fuga con una colonna di viveri modesta ma utile. Al­ lo stesso tempo mormora un 'accusa spregevole ai danni del suo pa­ drone: Merib-Baal nutre ancora delle ambizioni riguardo al trono, ora che Davide è stato colpito dalla sventura. Davide ha fretta e non può andare a fondo della cosa, ma la conserva nella memoria. Quan1 26

do ritorna e trova Merib-Baal ad attenderlo sul Giordano, natural­ mente chiede spiegazioni al discendente di Saul. In realtà, l'aspetto esteriore di questi dice tutto. Lo stesso narra­ tore, di solito piuttosto parco nel descrivere l'aspetto esteriore delle persone, comincia dicendo che Merib-Baal, in seguito alla sconfitta del suo protettore, non si lava da settimane (2Sam 19,25). Mentre il nostro sguardo (insieme al nostro olfatto. . . ) osserva i segni del lutto, questa informazione stabilisce immediatamente l'innocenza di Me­ rib-Baal. Nei vv. 27-29 egli si discolpa ed è costretto a concludere che Zibà l'ha ingannato. Ciò mette Davide in una situazione imbaraz­ zante: chi ha ragione, e come sarà giudicato lui? In modo poco edifi­ cante, al v. 30 ìl re. cerca di salvare capra e cavoli. Dividendo le terre fra Zibà e Merib-Baal, egli emette un (cattivo) giudizio salomonico ante litteram, cercando così di conciliare due entità inconciliabili ver­ so le quali si sente obbligato: l'aiuto materiale di Zibà alla sua af­ frettata partenza, che gli permette di raggiungere il Giordano. e il so­ stegno morale (cioè l'amore sincero) unito all'innocenza del figlio di Gionata, il suo migliore amico. La coppia CC', Cusai-Barzillai, ci mostra in una strana simmetria i due amici di Davide che, su entrambe le rive del Giordano, svolgo­ no un ruolo decisivo nella restaurazione della sua regalità. Oltre al fatto che i loro nomi fanno rima (con la terminazione aramaica in -ai), ci sono varie similarità sorprendenti. Cusai vuole andare a est con Da­ vide, ma è rifiutato; è rimandato a ovest, a fare l'agente segreto di Da­ vide a Gerusalemme. Barzillai è invitato da Davide a seguirlo a ovest e a occupare a corte un posto di prestigio, ma questa volta è il re a ri­ cevere un rifiuto; Barzillai ritorna sui suoi passi e rimane a est. Un se­ gno evidente che C e C' formano una coppia è la parola «peso», che non si trova in nessun altro luogo se non nei discorsi contrassegnati da CC'. Nella prima scena è Davide a parlare al suo amico; nella se­ conda, avviene il contrario: 2Sam 15,33-34

2Sam 19,35.36b

Se tu procedi con me, mi sarai di peso; ma se torni in città ( ... ) tu dissiperai in mio favore i consigli di Achitofel. Quanti sono gli anni che mi restano da vivere, per­ ché io salga con il re a Gerusalemme? (spiegazione al v. 36) E perché allora il tuo servo dovrebbe continuare a essere di peso per il mio signore, il re?

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Inoltre, insieme alla parola chiave «peso», ritornare a Gerusa­ lemme forma un chiasmo che tiene strettamente uniti i due passi nel­ l'arco di quattro capitoli. In entrambi i casi avere con sé un amico è per Davide un peso. SIMILARITÀ

E

DIFFERENZA

Ho ricordato che le corrispondenze sono valide se basate in mo­ do dimostrabile e illuminante su (a) similarità, (b) contrasto, o (c) un insieme di entrambi. Possiamo anche definire a e b: eguaglianza e ineguaglianza. Quindi, il caso perfetto di similarità sarebbe un caso di completa identità; è realistica questa asserzione? La cosa strana è che a tale domanda si deve rispondere sia affermativamente sia ne­ gativamente. Ricordo al lettore la frase di Gen 37 che recita: «Una bestia fero­ ce lo ha divorato». Queste parole del v. 20 si ritrovano invariate nel v. 33. Eppure, non sono le stesse - ora è un'altra persona a pronun­ ciarle: non più i fratelli. ma Giacobbe. Appartengono a una situazio­ ne diversa : Giuseppe è stato deportato. Hanno anche uno statuto di­ verso: prima erano un progetto, facevano parte di un complotto; ora provengono da Giacobbe e costituiscono un epilogo straziante - co­ me abbiamo visto nel c. 5, al paragrafo «Giuseppe a Dotan» (cf. supra. pp. 83-85 ). Proprio nel cuore dell'equivalenza totale, troviamo una differenza! Com'è possibile? Se prendiamo in esame la questione. ci viene in mente l'asse lineare. Anche se uno scrittore può ripetere una serie di parole senza alcuna modifica, il loro senso e la loro funzione non possono restare inalterati se cambia il contesto: mentre le parole si spostano lungo l'asse lineare, si verificano varie evoluzioni. Da questa analisi risulta che non si può immaginare alcuna for­ ma di corrispondenza basata su una identità completa. Strettamente parlando, non incontreremo mai la situazione (a) (una relazione di perfetta similarità ). I passi che sembrano appartenervi, come Geo 37,20.33. si spostano verso (c): un insieme di similarità e differenza. Questo ci porta al mondo vario e vivace della letteratura vera e pro­ pria. Nella maggioranza dei casi, le relazioni che si stabiliscono fra gli elementi di una struttura simmetrica sono un 'ingegnosa combina­ zione di contrasto e similarità. La dialettica di similarità e differenza è attiva ovunque. 128

Gli incontri di Davide nel suo viaggio di andata e ritorno che ab­ biamo appena esaminato, sono esempi illuminanti di un complesso di similarità e contrasto. Ciascun testo possiede una proporzione esclusiva fra ciò che è simile e ciò che è diverso; forse è meglio resi­ stere alla tentazione di tradurre questo gioco in numeri ed esprime­ re le sue componenti in percentuali. ,

1 29

8 PUNTI DI VISTA, CONOSCENZA E VALORI

Un buon racconto è molto più che una semplice serie di infor­ mazioni, però senza un'informazione trasmessa un racconto non po­ trebbe neanche essere immaginato, non potrebbe esistere. Fin dal suo inizio, un racconto in un certo senso informa; ogni frase ci porta un po' più lontano, e ogni frase porta più lontano il corso dell'infor­ mazione. Il narratore lo sa e sfrutta abilmente questo aspetto, per esempio allo scopo di creare tensione, di fuorviarci, di sottomettere l'asse lineare (l'evolversi del racconto) ai suoi punti di vista, e così via. Generalmente, il suo modo di trasmettere informazioni serve più di uno scopo alla volta. Il narratore è un manipolatore che non sa bene quando fermarsi e questo avviene a due livelli . All'interno del racconto egli fa muo­ vere i suoi personaggi come un burattinaio. Tira i fili per mezzo dei quali essi appaiono e scompaiono: è lui che decide chi fa o dice qual­ cosa e cosa dice e per quanto tempo parla. Thttavia, a noi qui inte­ ressa un altro livello, quello della comunicazione. Fra lo scrittore e il lettore c'è un rapporto di mittente-destinata­ rio, ed entrambi sono molto all'esterno del mondo narrato. Ma an­ che nell 'ambito di questa dimensione, il narratore è un abile mani­ polatore. Le marionette ora appese ai suoi fili siamo noi, i suoi let­ tori. A ogni parola che dice, lo scrittore ci dirige, ci scuote, ci mano­ vra, e a noi non resta che obbedire o staccarci da lui completamen­ te. In questo caso, obbedienza significa seguire il racconto. Lo scrit­ tore, a sua volta, sa di doverci aiutare avendo cura che il suo testo e le informazioni che da esso attingiamo si possano seguire facilmen­ te (followability ) . 131

L'INIZIO

Quando apriamo un testo, è l'inizio il momento in cui siamo maggiormente ricettivi al profluvio di informazioni che ci attende. I l testo è ancora tutto d a scoprire e i l narratore può disporre d i un'in­ finità di opzi oni. Può decidere di rivelare quasi ogni cosa al princi­ pio, o al contrario nascondere tutto fino alla fine, oppure fingere di cominciare con qualcosa di essenziale. La frase iniziale della Bibbia è insuperabile come esempio di apertura immediata e pressoché totale: «In principio Dio creò il cie­ lo e la terra». È una frase grandiosa, che serve da incipit e compen­ dia in un guscio di noce gli avvenimenti del primo racconto. I n un certo senso, il resto del racconto della creazione si riduce a un am­ pliamento di questa ouverture, che viene arricchita di dettagli. Non c'è tensione, e quasi non esiste una trama. I sei giorni della creazio­ ne sono trattati uno per volta, e culminano nel giorno del riposo che è chiamato shabbat e dichiarato santo. L'efficace frase di apertura ha la sua controparte in un poscritto, Gen 2,4a: «Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creath>. Così, l'ultima frase del racconto della creazione riecheggia la prima. Insieme esse for­ mano una solida cornice. Il verbo specifico usato per «creare» può avere come soggetto soltanto Dio; è una parola chiave in Gen 1 ed è· completamente as­ sente nel secondo racconto. (Il racconto del Paradiso, Gen 2,4b-3,24, strettamente parlando non è un secondo racconto della Creazione, ma uno studio più attento dell 'essere umano che è stato creato, le sue origini e i suoi rapporti fondamentali con Dio e con i l mondo). Gen 22 offre un altro esempio di un'informazione cruciale che ci viene rivelata proprio all'inizio. L'argomento è immorale: un padre riceve l'ordine di uccidere il suo unico figlio. offrendolo in sacrificio. Per attutire il colpo, il narratore ci rivela la natura di quell'ordine e l'intenzione di chi parla, ancora prima che Dio impartisca l'ordine ad Abramo: si tratta di una prova. «Dopo questi fatti . Dio mise alla prova Abramo». Il narratore onnisciente ci concede di sapere in an­ ticipo ciò che accadrà, e ci mette in una posizione di vantaggio ri­ spetto al patriarca. Soltanto dopo avere superato brillantemente la prova, Abramo potrà tirare un sospiro di sollievo, dicendo: Beh, era solo una prova. 1 32

DA SAUL

A

DAVIDE

Per il narratore è ovvio presentare l'eroe all 'inizio di un ciclo narrativo. Dico questo, pensando al modo in cui è presentato Saul in 1 Sam 9,1 -2 (racconto E del campo di esercizio): C'era un uomo di Beniamino chiamato Kis - figlio di Abiel, figlio di Zeror, figlio di Becorat. figlio di un Beniaminita - era un uomo agiato. Aveva un figlio chiamato Saul. un giovane splendido; nessuno fra gli israeliti era più bello di lui; superava di tutta la testa ogni altra persona.

Nel primo versetto incontriamo qualcuno di grande importanza. Non è soltanto un agricoltore benestante; vanta anche una famiglia di stirpe antica. perciò è evidente che nella sua tribù egli occupa una posizione di prestigio. Per un momento. pensiamo che sia lui l'eroe. Ma subito dopo vediamo il quadro successivo: suo figlio Saul sembra avere tutto dalla sua parte - gioventù, bellezza, e un'origine nobile. Questo suscita le attese del lettore, ma anche una domanda: l'e­ spressione «superava di tutta la testa» potrebbe avere un significato simbolico per il destino di Saul? Questa attesa è subito confermata, poiché Saul diventa l'eroe della ricerca. Dopo la consacrazione se­ greta di Saul ( 1 Sam 10,1 ss) e il suo ritorno, il profeta Samuele con­ voca un 'assemblea nazionale e presenta il candidato. ... e quando egli fu presentato al popolo, sopravanzava dalla spalla in su tutte le persone. E Samuele disse a tutto il popolo: