Come Gesù divenne Dio. La problematica storica della venerazione più antica di Gesù 9788839407764

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Come Gesù divenne Dio. La problematica storica della venerazione più antica di Gesù
 9788839407764

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Dello stesso autore nelle edizioni Paideia: Signore Gesù Cristo (2 voli.)

Larry W. Hurtado '

COMEGESU DIVENNE DIO La problematica storica della venerazione più antica di Gesù

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Paideia Editrice

ad Alan Sega! maestro e amico

Tirolo originale dell'opera: Larry W. Hurtado

How on Earth Didjesus Become a God? Historical Questions about Earliest Devotion to ]esus Traduzione italiana di Angelo Fracchia ©Wm. B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids, Mich. 2005 ©Paideia Editrice, Brescia 2 010 ISBN 978 88 39 4 0776 4

Premessa

Nel marzo 2004 ho avuto l'onore di tenere le conferenze inaugurali del­ la serie annuale di conferenze Deichmann all'Università Ben Gurion del Negev (Beer Sheva, Israele). I capitoli dall'I al4 di questo libro so­ no versioni rivedute di queste conferenze, ai quali ho aggiunto, acco­ gliendo le richieste dei colleghi israeliani e con l'incoraggiamento della Eerdmans, alcuni saggi comparsi in origine come articoli di riviste (ca­ pitoli dal 5 all'B), strettamente attinenti ai temi trattati nelle Deich­ mann lectures. Il ciclo di conferenze annuale all'Università Ben Gurion, che ho avu­ to il privilegio di inaugurare, fa parte del programma Deichmann per la letteratura giudaica e cristiana di età ellenistico-romana, che deve molto alla lungimiranza e alla generosità del dr. Heinz-Horst Deich­ mann. Sono lieto che questo libro possa riportare in appendice il suo discorso d'apertura della serie di conferenze. Uno dei suoi scopi princi­ pali è la promozione dello studio accademico del Nuovo Testamento in Israele come importante risorsa storica per lo studio della religione giudaica in età romana. Sono lieto d'essere stato invitato a prendere parte alle fasi di elaborazione del progetto e guarderò con molto inte­ resse agli sviluppi ulteriori. Per mia moglie e per me uno dei piaceri supplementari del periodo trascorso a Beer Sheva è stata la conoscenza del signore e della signora Deichmann, che hanno onorato le conferen­ ze con la loro costante presenza. Le conferenze che costituiscono ora i capitoli dall'I al4 di questo li­ bro, in origine sono state pensate per un uditorio composto in gran par­ te da persone colte e interessate ma che potevano anche non avere gran­ de dimestichezza con i primi testi cristiani o con le prospettive e le con­ clusioni degli studiosi che se ne occupano. Il mio uditorio di Beer She­ va era costituito quasi del tutto da israeliani dell'Università Ben Gurion e dalla loro comunità. In questa forma destinata alla pubblicazione ho cercato soprattutto di migliorare stilisticamente, di render più chiaro e di ampliare leggermente alcuni punti e di aggiungere qualche ulteriore

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Premessa

indicazione nelle note a piè di pagina per chi volesse approfondire l'ar­ gomento. Confido dunque che questi capitoli possano risultare com­ prensibili e istruttivi per un pubblico abbastanza ampio. I capitoli dal 5 all'B provengono da articoli di riviste, rivolti in origine a chi studia le origini cristiane, come si vede dalle molte note e dai rimandi ad al­ tra letteratura primaria e secondaria. Ho aggiunto questi studi poiché sono di particolare interesse per corroborare le posizioni che illustro nei capitoli dall'r a/4 (soprattutto nei primi due). Mi sono limitato a pic­ coli cambiamenti stilistici per rendere anche questi saggi adatti al libro, ma spero che i lettori interessati non fatichino a seguire anche questi studi. Poiché i capitoli dal 5 all'B costituiscono alcuni degli studi ante­ riori cui mi sono appoggiato nei capitoli che precedono, qualche ripeti­ zione è inevitabile, anche se in generale i temi trattati piuttosto som­ mariamente nei primi capitoli sono sviluppati con maggior completez­ za nez successzvt. I nostri ospiti di Beer Sheva hanno accolto me e mia moglie con tan­ to calore da farci sentire membri di famiglia di ritorno a casa dopo un lungo tempo trascorso lontano, sebbene fosse la nostra prima visita al­ l'Università Ben Gurion e chi ci dava il benvenuto non ci conoscesse. In particolare ringrazio la professoressa Zipporah Talshir (allora alla guida del Dipartimento di Studi Biblici e del Vicino Oriente) per aver provveduto sul posto a molte minuzie (e per il piacevole pranzo a casa sua in occasione della nostra visita). Ringrazio anche tutti coloro che hanno preso parte alle conferenze impegnandomi con domande e sug­ gerimenti grazie ai quali ho potuto percepire di aver saputo parlare di questioni interessanti non solo per me ma anche per loro. La dottores­ sa Cana Werner e Dalia Amara (dottoranda del dipartimento) hanno approntato le traduzioni ebraiche delle mie conferenze, mettendo/e a disposizione dei presenti che ne facessero richiesta. Dopo le mie revi­ sioni per la pubblicazione hanno rielaborato il loro lavoro e preparato le traduzioni dei quattro articoli di rivista affinché fossero editi in questo libro in ebraico a cura della Ben Gurion University Press. Rin­ grazio di cuore entrambe per il tempo e i talenti generosamente pro­ fusi nel ciclo di conferenze e nell'edizione ebraica di questo volume. L 'amico dr. Roland Deines (per parte sua importante studioso del Nuovo Testamento), nel maggio 2003 mi aveva proposto in via infor­ ma/e di tenere le conferenze inaugurali del ciclo annuale Deichmann. Nella nostra visita di una settimana in Israele, R oland aveva anche

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gentilmente guidato mia moglie e me in diversi siti storici del Negev, di Gerusalemme e della Galilea, facendoci godere della sua profonda conoscenza della problematica archeologica del giudaismo del secon­ do tempio e del primo cristianesimo. Tutto il tempo da noi trascorso in Israele è stato istruttivo, interessante e gradevole, soprattutto per la generosità con cui R oland ha messo a disposizione il suo tempo. Egli è stato anche di grande aiuto nella preparazione della traduzione delle conferenze e la pubblicazione dell'edizione ebraica di questo libro. Ringrazio anche per aver avuto il permesso di presentare alcune del­ le conferenze Deichmann in altre circostanze. Nel settembre 2004 ho presentato una versione del capitolo 1 come conferenza pubblica/uni­ versitaria all'Università di Lund, i capitoli 1 e 2 alle Broady Lectures di Stoccolma e i/3 come una delle conferenze del Giorno dell'Esegesi all'incontro annuale della Uppsala Exegetical Society. Ringrazio Kari Syreni per aver organizzato quel programma, come anche Thomas Ka­ zen a Stoccolma e Bengt Holmberg a Lund, che hanno contribuito al­ l'organizzazione nelle rispettive città, e tutti i colleghi scandinavi per la calda accoglienza. Ho poi illustrato i capitoli dall'1 a/3 come Paddock Lectures al Gen­ erai Theological Seminary di New York City nell'ottobre 2004, per le quali sono stato proposto dal dr. ]ohn Koenig. Per avermi eletto Pad­ dock lecturer ringrazio anche i suoi colleghi, in particolare il dr. Rob­ ert Mullin per aver sovrinteso ai preparativi e per quanto ha reso co­ moda e piacevole la mia visita. È un onore essere stato invitato a unir­ mi a una fila prestigiosa di precedenti conferenzieri della serie Paddock, tra i quali William Tempie e }.N. D. Kelly: mi rallegra molto l'interes­ se mostrato per le mie conferenze dal numero di presenti e dagli ani­ mati dibattiti che hanno seguito ognuna di esse. Come già ho osservato, i capitoli dal 5 a/ '8 sono stati pubblicati in precedenza come articoli di riviste. Insieme a diverse pubblicazioni su temi particolari, questi rientrano in una linea di ricerca che ha condot­ to al mio recente e corposo Lord Jesus Christ. Devotion to Jesus in Earliest Christianity, Grand Rapids - Cambridge 2003 (tr. it. Signore Gesù Cristo. La venerazione di Gesù nel cristianesimo più antico, Bre­ scia 200 6- 7). I dati bibliografici delle pubblicazioni originarie sono for­ niti in nota all'inizio di ognuno di questi capitoli. Sono molto grato al­ le diverse riviste in cui questi saggi sono comparsi per la prima volta (e ai loro editori) per avermi concesso di raccoglier/i in questo libro. A que-

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sti articoli ho apportato cambiamenti soltanto di poco conto. Dal mo­ mento che in origine sono stati composti come studi separati, purtrop­ po alcuni punti vengono trattati più di una volta. Tutti gli studi di questo libro mostrano l'enorme debito che ho con­ tratto con molti altri studiosi del passato e di oggi, con alcuni dei quali non mi trovo d'accordo, mentre di altri trovo le opinioni più congenia­ li. Le molte note esprimono i sensi della mia riconoscenza e della mia gratitudine, pur nella convinzione di essere debitore molto più di quan­ to mi renda conto e sia stato in grado di riconoscere. Dedico questo volume all'amico Alan Sega!, che ha sostenuto e di­ mostrato con grande impegno che il Nuovo Testamento costituisce un corpus di fonti importanti per lo studio storico della tradizione giudai­ ca del secondo tempio, come anche è nelle finalità principali del pro­ gramma Deichmann. Edinburgh, settembre 200 5 .

Sommario

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I3

Premessa Introduzione Parte prima

Problemi e orientamenti 25

r. Come poté accadere che Gesù diventasse dio ?

44

2. Venerazione di Gesù e religiosità monoteistica giudaica

70

3· Vivere e morire per Gesù

98

4· Un caso emblematico di venerazione antica di Gesù: Fil. 2,6- I r

nell'età del secondo tempio

Parte seconda

Definizioni e precisazioni I27

5 · Il monoteismo giudaico del primo secolo

I 5I

6. Omaggio al Gesù storico e venerazione protocristiana

I 69

7· L 'ostilità giudaica alla venerazione di Gesù

I96

8. Esperienza religiosa e innovazione religiosa nel Nuovo Testamento

223

Epilogo Appendici

Heinz-Horst Deichmann 227

r. Osservazioni preliminari

alla prima serie annuale di conferenze Deichmann

Roland Deines 23 5 237 24 3

2 49 2 53

2. C'è qualche buon motivo per studiare la letteratura cristiana antica all'Università Ben Gurion? Indice analitico Indice dei passi citati Indice degli autori moderni Indice del volume

Introduzione

Il titolo di questo libro mira volutamente a farsi notare ma non inten­ de offendere nessuno. Esprime un doppio senso che coglie due mo­ menti salienti delle pagine che seguono. Il primo significato implicito nel titolo indica quanto sia straordinario che Gesù di Nazaret abbia finito con l'essere venerato nei termini più esaltati e tanto presto nel movimento religioso a lui devoto, quello che ora chiamiamo (per riprendere un'espressione delle antiche professioni di fede cristiana). Ma, quale che sia la fondatezza di questa concezione cristiana tradizionale, resta la questione storica: come accadde che i primi cristiani siano giunti a considerare Gesù divino e a venerarlo in quanto tale? Questo è il pro­ blema fondamentale che anima la trattazione di questo libro. Il mio interesse primario non è qui la legittimità della venerazione di Gesù, questione religiosa che ha una sua ragion d'essere, ma che con­ viene piuttosto a uno studio di apologetica cristiana o a una disserta­ zione teologica. Né qui m'interessa particolarmente esplorare il signi­ ficato della venerazione di Gesù per il pensiero e la pratica del cristia­ nesimo contemporaneo. Anche questo converrebbe a un trattato teo-

Introduzione

logico o forse a uno studio che miri a promuovere la riflessione e la pie­ tà cristiane. L'apologetica cristiana, la riflessione teologica c la confi­ gurazione e promozione della pietà cristiana sono tutte imprese in li­ nea di principio affatto legittime, ma non sono ciò che qui interessa o importa. Questo libro è piuttosto il tentativo di esporre e comprendere in ter­ mini storici e come fenomeno storico la venerazione di Gesù che (co­ me si vedrà) ha caratterizzato il cristianesimo fin da tempi molto anti­ chi (il che forse stupisce). Adottare una simile prospettiva storica non significa né richiede necessariamente di trascurare d'interrogarsi sul­ la validità e il significato duraturo della venerazione di Gesù o di dare qualche risposta specifica a domande di questo tipo. Si può certo trat­ tare come fenomeno storico la venerazione di Gesù, ad esempio, sen­ za con ciò negare che possa costituire anche una risposta alla rivela­ zione divina. Ma, quali che siano le risposte a domande religiose e teo­ logiche, insisto sulla validità e l'opportunità del tipo di analisi storica che qui si fornisce. Negli ultimi venticinque anni circa ho messo molto impegno in que­ sta indagine storica c ho reso disponibili i frutti del mio lavoro in di­ verse pubblicazioni e ultimamente in un poderoso volume, Signore Ge­ sù Cristo. La venerazione di Gesù nel cristianesimo più antico.' In que­ sto libro, molto più piccolo, mi servo di quest'opera e di quelle pub­ blicazioni (come anche del lavoro di un gran numero di altri studiosi contemporanei e di tempi precedenti). Qui scrivo in particolare (ma non solo) per chi trova interessante l'argomento e apprezzerebbe una presentazione più concisa di alcune delle importanti questioni che vi si presentavano. La venerazione cristiana antica di Gesù gode di un'attenzione sicu­ ramente giustificata perché è straordinaria per diversi aspetti. Anzi­ tutto, come si sa, quest'alta considerazione di Gesù nelle prime cer­ chie cristiane si pone in netto contrasto con il modo fortemente nega­ tivo con cui lo trattano altri, tanto durante la sua vita storica quanto in seguito. All'inizio Gesù era probabilmente un seguace dell 'ardente profeta del pentimento nazionale suo contemporaneo, conosciuto co­ r Lord ]esus Christ. Devotion to ]esus in Earliest Christianity, Grand Rapids Cambridge 2003 (tr. it. in 2 tomi, Brescia 20o6-zoo7). Tra le mie pubblicazioni precedenti considero particolarmente importante un volume di dimensioni mino­ ri, One God, One Lord. Early Christian Devotion and Ancient Jewish Monothe­ ism, Minneapolis 1988; Edinburgh '1998, rist. London 2003 .

Introduzione

me Giovanni «il Battezzatore», ma dopo il suo arresto e la sua esecu­ zione da parte di Erode Antipa (sovrano-cliente romano della Gali­ lea), Gesù si rese maggiormente visibile come figura autonoma di tipo profetico. I Egli divenne chiaramente e rapidamente una figura con­ troversa e avvincente per molti o forse per la maggioranza tra quelli che avevano avuto modo di prenderlo in seria considerazione, e tale . nmane oggr. Tutto fa pensare che nella sua vita storica Gesù si fece conoscere al­ meno in parti della Giudea romana con la proclamazione dell'avvento imminente del «regno>> di Dio. A giudicare da molti detti attribuiti a Gesù nei vangeli neotestamentari, la venuta del regno di Dio avrebbe comportato un autentico «cambiamento di regime» (per riprendere un'espressione dal linguaggio geopolitico moderno) e rappresentava valori e obiettivi sensibilmente diversi da quelli dominanti nelle strut­ ture religiose e sociali del suo tempo.' Sembra che oltre che nella pro­ clamazione e nell'insegnamento del regno di Dio, Gesù si sia impe­ gnato anche in altre attività che sortivano l'effetto di metterlo ancor più in vista, ma il cui scopo principale era di dimostrare qualcosa della potenza e dei fini del regno divino da lui annunciato. Tra queste altre azioni figurava la creazione di una compagnia di seguaci che svolge­ vano un'attività itinerante d'insegnamento e prendevano posizioni controverse su alcuni aspetti di pratica religiosa. Sia i seguaci sia gli av­ versari ritenevano che Gesù fosse in grado di compiere guarigioni mi­ racolose e altre imprese di potere soprannaturale.3 .

I Nella Giudea romana degli inizi del r secolo, questo Giovanni («il Battezzato­ re•) era sufficientemente noto da farsi menzionare sia nei vangeli (ad es. il rac­ conto dell'esecuzione di Giovanni in Mc. 6,14-29) sia dallo storico giudeo Giu­ seppe (Ant. r8,n6-1I9), mentre nella ricerca moderna sulla vicenda di Gesù non sempre gli si presta un'attenzione sufficiente. Per un'informazione di base si veda ad esempio P.W. Hollenbach, fohn the Baptist, in D.N. Freedman (ed.), Anchor Bible Dictionary III, New York 1 992, 887-899. 2 L'interesse odierno per la ricerca storica su Gesù non potrebbe essere più gran­ de, così come la quantità di pubblicazioni recenti al riguardo. Per una presenta­ zione di Gesù di piacevole e solida lettura si veda S. McKnight, A New Vision for lsrael. The Teachings of Jesus in National Context, Grand Rapids 1999· Un ap­ passionato confronto critico con alcune tendenze della ricerca più recente su Ge­ sù è D.C. Allison, ]esus of Nazareth. Millenarian Prophet, Minneapolis 1998. Recentissimo è lo studio imponente di J.D.G. Dunn, Christianity in the Making, r.]esus Remembered, Grand Rapids 2003 (tr. it. Gli albori del cristianesimo, l. La memoria di Gesù, 3 tomi, Brescia 2006-2007). 3 È prevalsa la tendenza ad approfondire gli insegnamenti di Gesù e una curiosa

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Pare che Gesù abbia esortato i suoi ascoltatori a iniziare, e subito, a rimettere ordine nei propri atteggiamenti e comportamenti in conse­ guenza della vicinanza del regno di Dio e delle novità radicali che que­ sto rappresentava: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio si è fatto vi­ cino; pentitevi e credete nella buona notizia>> (Mc. x, q). Si doveva vi­ vere la vita nell' «adesso>> guardando alla futura (ma imminente) piena manifestazione del dominio di Dio e conformandovi la propria con­ dotta. Non è questo il luogo per tentare un resoconto più esaustivo della predicazione e degli scopi di Gesù, né qui è necessario farlo. Per gli in­ tenti del libro la questione decisiva da sottolineare è che le attività di Gesù suscitavano evidentemente risposte che andavano dalla sequela senza riserve all'ostilità mortale, reazioni che si fecero molto più con­ crete di quanto probabilmente all'inizio si pensava. L'ostilità mortale fu evidente nell'arresto di Gesù, nella sua denuncia da parte delle au­ torità del tempio di Gerusalemme e dalla sua brutale esecuzione sotto l'autorità di Ponzio Pilato, governatore romano della Giudea. N ell'ar­ senale romano di pene capitali, la crocifissione era pensata specifica­ mente per gli strati sociali inferiori, in particolare per chi era ritenuto colpevole di minacciare la dominazione romana. Non si mirava sem­ plicemente a porre fine alla vita di un criminale: era una degradazione e un'umiliazione pubblica della vittima, che aveva lo scopo di mettere sotto gli occhi di tutti gli astanti (veniva eseguita come spettacolo pub­ blico) le conseguenze a cui andava incontro chi ardisse sfidare l'auto­ rità romana. 1 Nel caso di Gesù, tuttavia, contro ogni attesa (questa doveva essere stata la sensazione al tempo), la crocifissione non sortì gli effetti a cui miravano i carnefici. Il tipo di esecuzione a cui Gesù era stato sotto­ posto mostrava senza dubbio che egli aveva suscitato profonda ostili­ tà, ma la sua morte orribile non mise affatto fine alla polemica da lui innescata sul giudizio da dare sul suo operato e la sua predicazione. Con stupefacente rapidità, al contrario, la polemica non fece che au­ mentare, e i suoi seguaci diedero mostra di venerarlo a un livello an­ cor più sorprendente. Forse già dopo pochi giorni o poche settimane ritrosia a investigare le tradizioni delle sue azioni miracolose. Una delle poche eccezioni recenti è G.H. Twelft ree Jesus the Exorcist. A Contribution to the Study of the Historical ]esus, Ti.ibingen- Peabody, Mass. 1 993. 1 Cf. M. Hengel, Crocifissione ed espiazione, Brescia 1 988. ,

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dalla sua crocifissione i seguaci di Gesù diffondevano la sorprendente idea che Dio lo aveva risuscitato da morte e lo aveva insediato nella gloria celeste come messia e strumento designato di redenzione. Inol­ tre, e ancora più sorprendentementc, queste affermazioni si accompa­ gnavano a un tipo emergente di pratiche devozionali al cui centro sta­ va Gesù, fatto senza precedenti; il suo nome, ad esempio, veniva in­ vocato come momento di una cerimonia d'iniziazione nelle prime cer­ chie di coloro che s'identificavano in rapporto a Gesù.' In altre paro­ le, già in tempi sorprendentemente molto vicini alla sua esecuzione i seguaci di Gesù gli riconoscevano un livello di venerazione di gran lunga eccedente la stessa precedente e stupefacente dedizione che gli avevano dimostrato quand'era in vita! Nelle prime produzioni del movimento cristiano ancora disponibili (testi scritti poco più di ven­ t'anni dopo la morte di Gesù), come si mostrerà più avanti (in parti­ colare nel capitolo 2 ) , si vede un livello di venerazione di Gesù sor­ prendcntemente esaltato, che già tanto presto era un fatto normale tra gli ambienti dei suoi seguaci sparpagliati in un'ampia area geografica. Questa venerazione di Gesù fu anche di grande importanza per tut­ to il cristianesimo successivo, il che è un altro motivo non da poco per occuparsi attentamente di come e quando essa si sviluppò. Penso che i risoluti e talvolta complessi tentativi dci primi cristiani di elabo­ rare dottrine su Gesù e su Dio nei primi secoli successivi furono in sostanza dettati c in buona misura determinati dalla profonda vene­ razione di Gesù che si vede già espressa nelle testimonianze più anti­ che del nuovo movimento cristiano. In questo volume non è possibile affrontare tutti i testi e i fenome­ ni chiamati in causa. Qui intendo piuttosto prendere in considerazio­ ne alcune questioni storiche fondamentali, alla luce delle quali credo sarà più agevole farsi un'idea della parte più importante di ciò che re­ sta. Sottolineo che il mio interesse va soprattutto a temi e problemi storici e che il lettore non deve presumere alcuna prospettiva perso­ nale particolare. L'ambito cronologico è ristretto approssimativamen­ te al r secolo e agli inizi del n, con un'attenzione particolare per la do­ cumentazione più antica e gli sviluppi del I secolo. Gli otto capitoli del libro costituiscono due raccolte di studi. Una è composta dai primi quattro capitoli (all'origine dei quali ci sono le mie 1 L. Hartman, «lnto the Name of the Lord ]esus». Baptism in the Early Church, Edinburgh 1997. 2 Cf. sotto, cap. 6.

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quattro Deichmann lectures), mentre gli altri quattro erano in origine articoli di riviste dedicati ad alcuni problemi fondamentali sollevati nei primi quattro. Penso che possa essere utile approfondire un poco come questi studi si connettono l'un l'altro. Senz'altro il mio non è affatto il primo tentativo serio di affrontare queste importanti questioni storiche. Nei molti anni della ricerca mo­ derna si è sperimentata tutta una serie di procedimenti. Nel capitolo 1 fornisco una rassegna critica di diverse prospettive storiche da cui af­ frontare la nascita della venerazione di Gesù, indico i problemi di quel­ le che trovo insoddisfacenti ed espongo le caratteristiche principali di quella che prediligo. M'interesso soprattutto alle possibilità che con­ sente la ricerca attuale e ai loro esponenti principali. Questo capitolo aiuterà a collocare la mia disamina su una del dibattito cor­ rente. Il punto essenziale di questo capitolo è che la prima venerazio­ ne di Gesù fu un fenomeno di grande importanza che giustifica il se­ rio tentativo di comprenderlo in termini storici. Nel capitolo 2 proseguo su questa via esponendo la documentazio­ ne e i fattori di maggior importanza che a mio parere richiedono di ve­ dere la nascita della venerazione di Gesù come uno sviluppo inizial­ mente interno a cerchie di giudei osservanti del secondo tempio. Ciò equivale a dire che storicamente la venerazione di Gesù fece la sua prima comparsa come innovazione nella religione giudaica del secon­ do tempio. Anche in questo capitolo faccio osservare che nei primi de­ cisivi decenni del nuovo movimento cristiano normalmente si affer­ mava lo status di esaltazione di Gesù in rapporto all'unico Dio della tradizione biblica. La venerazione di Gesù venne a combinarsi con la persistenza di una posizione monoteistica che propagandava il disprez­ zo della partecipazione al culto delle molte altre divinità dell'ambien­ te religioso romano. Nelle prime cerchie cristiane, d'altro canto, que­ sta posizione esclusivista lasciò spazio alla venerazione per Gesù. Ma questi primi credenti non si trovavano d'accordo sull'accusa di vene­ rare due divinità. Essi insistevano che la condizione esaltata di Gesù «alla destra di Dio» era stata affermata dall'unico Dio, così che conce­ pivano la loro venerazione di Gesù come obbedienza alla volontà del­ l'unico Dio che aveva insediato Gesù nella gloria celeste affinché tutta la creazione acclamasse Gesù come signore. Nel capitolo 3 esamino alcune delle conseguenze sociali e politiche che la venerazione di Gesù comportò per i primi cristiani, in panico-

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!are quelle negative, i costi sociali chiesti dali' essere cristiani nei pri­ missimi tempi. È ragionevole supporre che il livello effettivo di con­ seguenze negative sperimentate dai cristiani fosse vario, e non vorrei far pensare che tutti i credenti fossero sottoposti a ogni e qualsiasi ti­ po di esperienze e di pressioni di cui parlo in questo capitolo. Ma è ab­ bastanza chiaro che molti cristiani ebbero a fare i conti con l'eventua­ lità di dover pagare a causa della loro fede - sia a membri della fami­ glia sia ad ambienti sociali più generali - costi sociali che andavano dallo scherno a un'ostilità molto più dolorosa. E alcuni cristiani tro­ varono che la loro fede produceva anche tensioni con le autorità poli­ tiche (di solito a livello locale). Come si vedrà, pare che nei primi tem­ pi ciò fosse piuttosto raro, ma agli inizi del II secolo la situazione si pre­ sentava un po' più inquietante, quantomeno per alcuni capi cristiani. Nel capitolo 4 mi limito ad approfondire un unico testo in partico­ lare, proveniente da una lettera dell'apostolo Paolo, Filippesi 2,6 - 1 1 , ri­ guardo al quale negli studi sulle origini cristiane si conviene largamen­ te che sia una delle più importanti espressioni antiche di venerazione di Gesù. Qui esamino più da vicino e più a fondo questo testo soltan­ to, che presento come «caso esemplare» di un passaggio cruciale che probabilmente consente di risalire al primo ventennio del movimento cristiano. Questo passo particolare, che generalmente è ritenuto un'ode o un inno protocristiano in uso nel culto, è stato studiato come nes­ sun altro, il che spiega la sua importanza storica. Nonostante la quan­ tità di studi esistenti, spero di fornire qualche contributo ulteriore alla comprensione di questo testo affascinante. Nel mio studio sulla venerazione protocristiana mi riferisco spesso al «monoteismo>> giudaico antico e alla sua importanza per altre que­ stioni storiche che vi sono connesse. è un termine del­ la ricerca moderna che nelle fonti antiche non ricorre, c che nel dibat­ tito attuale è oggetto di controversia. Talvolta si giunge anche a met­ tere in discussione se sia legittimo parlare di «monotcismo» per la re­ ligione giudaica di età romana. Nel capitolo 5 affronto queste contro­ versie e tento di spiegare come e perché sia legittimo definire «mono­ tcistica>> la religione giudaica del secondo tempio. Se, come sostengo, il primo cristianesimo nacque dalla matrice della tradizione giudaica del secondo tempio, allora è importante capire con la massima preci­ sione possibile in che cosa consistesse questa tradizione religiosa. Più in particolare, affermo che la novità della venerazione antica di Gesù

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si coglie più chiaramente quando la si consideri nel contesto delle con­ cezioni giudaiche dell'unicità del solo Dio. Nel capitolo 6 affronto la questione di come si potrebbe confron­ tare e mettere in rapporto la venerazione cristiana antica col tipo di atteggiamento nei confronti di Gesù probabilmente distintivo dei suoi seguaci nel periodo della sua vicenda storica. Esamino il modo in cui i quattro vangeli canonici (le tradizioni narrative più antiche su Gesù in nostro possesso) presentano le manifestazioni di rispetto riservate a Gesù, prestando particolare attenzione all'uso del verbo greco pros­ kynein («riverire, onorare, venerare»), per affermare che, sebbene sia del tutto verisimile che coloro che accolsero l'annuncio di Gesù del re­ gno di Dio onorassero e venerassero Gesù, il livello di venerazione cultuale che distingue le prime chiese cristiane costituisce un signifi­ cativo grado più alto di venerazione. Non manca tuttavia chi ha messo in dubbio che la venerazione di Gesù da me posta in luce significhi effettivamente che nelle prime de­ cadi e nelle cerchie giudaiche cristiane egli sia stato considerato divi­ no. Se i primi cristiani giudei avessero considerato Gesù divino, se la loro venerazione fosse stata considerata equivalente a un «culto>>, ciò avrebbe sollevato lo sdegno e l'ostilità degli altri giudei. Ma (prosegue la discussione) quali indizi vi sono che ciò sia accaduto? Affronto la questione nel capitolo 7, dove mostro che al contrario vi sono chiari indizi della comparsa precoce di un'ostilità giudaica abbastanza seria verso la prima venerazione cristiana di Gesù. Affermo inoltre che l'in­ tensità di una simile ostilità fa pensare che la venerazione di Gesù fos­ se percepita come fenomeno gravemente oltraggioso da parte di alcu­ ni giudei che avevano a cuore la tradizione religiosa. Ciò a sua volta conferma che all'origine di questo tipo di ostilità c'era probabilmente anche la considerazione di Gesù come essere divino e in modi che per la pratica religiosa giudaica del tempo costituivano una grande inno­ vazlOne. Com'è possibile spiegare in termini storici un'innovazione tanto importante in una tradizione religiosa? C'è chi sostiene che qualsiasi grande innovazione si spieghi con l'influenza di credenze efo pratiche provenienti da un'altra religione o tradizione religiosa, ed è del tutto verisimile che qualche innovazione religiosa sia la conseguenza di processi «sincretistici>> di questo tipo. Per diversi anni ho tuttavia so­ stenuto che alcune importanti innovazioni in tradizioni religiose si

Introduzione

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possono far risalire a potenti esperienze religiose, che a coloro che le vivono sì presentano con la forza di nuove rivelazioni. Nel capitolo 8 espongo le ragioni della mia convinzione servendomi di diversi studi di storia delle religioni e delle ricerche odierne delle scienze sociali su movimenti religiosi nuovi o emergenti. Questo capitolo vorrebbe cor­ roborare la mia tesi che in potenti esperienze religiose di questo tipo si deve vedere un importante fattore dell'esplosione della venerazione di Gesù nel cristianesimo più antico. Queste sono dunque la logica che anima il volume e le ragioni di ciò che vi espongo. Soprattutto spero di essere risultato chiaro in ciò che affermo e onesto verso gli studiosi con i quali mi confronto, come anche d'essere riuscito a comunicare quanto importante sia la venera­ zione più antica di Gesù. La venerazione tributata a Gesù nel primo cristianesimo è di gran­ de significato e costituisce anche un problema storico rilevante. D i ciò si occupa il capitolo che segue.

Parte prima Problemi e orientamenti

1. Come poté accadere che Gesù diventasse dio?

La venerazione di Gesù nel cristianesimo più antico

Intorno al r 12 d.C. Plinio che erano giunti a interessarsi alla religione giudaica attraverso contatti con giu­ dei della diaspora)! In particolare (ma non solo) grazie alle imprese pianificate della figura nota come Paolo apostolo (Saulo di Tarso), intorno al 6o d.C. (ossia entro i primi tre decenni successivi all'ese­ cuzione di Gesù) in diverse città romane dell'Asia e della Grecia e an­ che (grazie all'opera di altri credenti, perlopiù anonimi) in altre locali­ tà principali come Antiochia, Damasco, Roma e forse anche in Egitto furono inscdiati piccoli gruppi di convertiti. In questi centri della dia­ spora specialmente, il movimento cristiano era costituito da un nume­ ro crescente di gentili che si affiancava a un persistente e autorevole nucleo di credenti giudei. Negli ultimi decenni del 1 secolo, tuttavia, i convertiti gentili erano probabilmente decisamente più numerosi dci credenti giudei, e gli sviluppi interni al giudaismo del periodo succes­ sivo al 70 d.C. comportarono un rifiuto sempre più netto dei cristiani giudei.3 In un modo o nell'altro, tutte le ipotesi che la «divinizzazioI Nel I sec. d.C. la provincia romana della era costituita dalla regione più tardi rinominata >, nella quale Gesù era venerato sempli­ cemente come il «figlio dell'uomo>> designato da Dio, figura messiani­ ca che sarebbe tornata dal suo posto esaltato nel cielo in qualche mo­ mento imminente per portare la redenzione finale. Bousset parlava di «aspetti discutibili» della venerazione riconosciuta a Gesù in questi ambienti «gentili ellenistici» e di «appesantimento e complicazione del­ la semplice fede in Dio mediante l'introduzione dell'adorazione cul­ tuale del Kyrios Christos». D'altra parte egli ammetteva che , perché l'ambiente religioso lo esigeva, e che queste «comunità gentili ellenistiche» si tro­ varono a competere sul mercato religioso del tempo introducendo una divinità loro propria.' Il motivo per cui la prospettiva di Bousset è riuscita a indirizzare l'opinione di quanti venivano dopo di lui sta in parte nella sua straor­ dinaria erudizione, ma certo anche nel fascino evidente di questa vi­ suale. Non vi è dubbio che sia difficile pensare che i pii giudei del tem­ po possano aver accolto nel loro tipo di venerazione come destinata­ rio legittimo di culto una seconda figura a fianco di Dio, ed è per que­ sto che nel dibattito che ne seguì s'incontrano esponenti disinvolti della posizione di Bousset o di sue varianti. È possibile che in certi ambien­ ti questo genere di posizione sia dato semplicemente per scontato ov­ viamente perché fornisce la migliore spiegazione della situazione. Per parte mia, più di vent'anni fa ho sottolineato alcuni problemi cruciali nello studio di Bousset e ho sostenuto che tutta la questione andava riconsiderata da capo a fondo. 2 In diverse pubblicazioni spar­ se negli ultimi due decenni, insieme ad altri mi sono adoperato a mo­ strare che la documentazione richiede una spiegazione più soddisfa­ cente di quella fornita da Bousset, e sotto, nel capitolo 2, espongo la situazione da un altro punto di vista, come già ho potuto fare più diffusamente in un grosso volume recente.3 Certo Bousset non man­ ' 1

Bousset, Kyrios Christos, cit., I 5 I . New Testament Christology. A Critique of Bousset's Inf/uence: Theological

Studies 40 ( I 979) 306-3 1 7. 3 Lord Jesus Christ, ci t.; per ulteriori osservazioni su Bousset e sulle altre pubbli­ cazioni importanti che riguardano la venerazione antica di Gesù cf. in particolare pp. 5 - 1 8 (tr. ir. 20-33).

Problemi e orientamenti

cava di cultura, ma nonostante tutta la sua grande erudizione, lavora­ va con un'idea della storia cristiana più antica e anche della tradizione giudaica di età romana profondamente sbagliata e alquanto sempli­ cistica. ' Negli studi recenti la concezione di Bousset continua in ogni caso a essere seguita con adattamenti di poco conto. Per !imitarci a un solo esempio, Burton Mack immagina cerchie anonime di cristiani in Siria tra le quali ha avuto origine il >, alle credenze riguardo a Gesù nel primo cri­ stianesimo e alle parole utilizzate per esprimere queste credenze, pre­ stando un'attenzione sorprendentemente scarsa alla pratica devozio­ nale. Gran parte di questa ricerca sulla cristologia più antica verte ad esempio sui titoli onorifici attribuiti a Gesù o su dottrine particolari come la fede nella sua risurrezione o la sua nascita miracolosa o la sua «preesistenza>> in cielo prima dell'esistenza sulla terra. Lo studio dei primi inni su Gesù mostra un'analoga tendenza a occuparsi quasi esclu­ sivamente dei contenuti, mostrando poco interesse per il significato della pratica di cantare inni del genere come componente del primo culto cristiano. Anziché alla «cristologia>>, per parte mia sono interes­ •

V. sotto, capitolo 5 (pp. 1 27 - 1 50).

Problemi e orientamenti

sato alla «venerazione» di Gesù, un ambito di fenomeni più generale che abbraccia la «cristologia>> ma anche le pratiche devozionali. Con la parola «venerazione>> intendo tutto ciò che riguardava il posto di Ge­ sù nella fede e nella vita religiosa protocristiane. In particolare insisto sull'importanza del tipo di pratica devozionale protocristiana, nell 'ipo­ tesi che essa equivalga ad adorare Gesù come divino. 2. Nel tentativo di evitare tanto astrazioni di nessuna utilità quanto affermazioni non facilmente verificabili, ho insistito su atti devozio­ nali specifici e dimostrabili attestati nelle fonti cristiane più antiche, nella convinzione che questi fenomeni comportano un tipo originale e significativo che spiega la condizione divina di Gesù. In molte pubblicazioni successive al mio One God, One Lord del 1 9 8 8 ho ap­ profondito sei pratiche specifiche che costituiscono questo nuovo e straordinario tipo di venerazione riconoscibile nelle fonti cristiane più antiche. ' Si tratta delle pratiche seguenti: 1 . inni su Gesù cantati nel culto cristiano antico; 2. preghiera a Dio «per il tramite di>> Gesù e «nel nome di GesÙ>> e anche preghiera rivolta direttamente a Gesù stesso, compresa in particolare la sua invocazione nel contesto cultua­ le comunitario; 3 · , in particolare nel battesimo cristiano e in guarigioni ed esorcismi; 4· il pasto comunita­ rio cristiano celebrato come pasto sacro in cui il Gesù risorto presiede in qualità di della comunità radunata; 5 . la pratica di ritualmente Gesù nel contesto del culto cristiano; 6. la profe­ zia cristiana come oracoli del Gesù risorto e lo Spirito santo di profe­ zia inteso anche come Spirito di Gesù. Approfondire questi fenomeni specifici rende immediatamente più semplice la ricerca di precedenti c analogie. Il frutto di tale ricerca è che nel giudaismo del secondo tempio non s'incontrano vere analogie per questi singoli atti, mentre il tipo generale di pratica devozionale è ancor più sorprendente. Penso che questi fenomeni siano da conside­ rarsi propriamente equivalenti al «culto>> di Gesù - ossia al fatto sen­ za precedenti e straordinario che Gesù sia stato associato alla vita de­ vozionale degli ambienti cristiani come destinatario del tipo di venera­ zione che era altrimenti riservata a Dio. 3· Uno dei miei intenti è stato anche di elaborare un modello conCf. One God, One Lord, cit., r oo- 1 04 e il mio The Binitarian Shape of Early Christian Worship, in Newman-Davila-Lewis (ed.), The Jewish Roots of Christo­ logical Monotheism, cit., r 87-2 1 3 (spec. 192-2 11 ). 1

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cettuale che contribuisca a far comprendere in che modo un genere di venerazione tanto straordinario possa essere sorto nella tradizione giu­ daica del secondo tempio. Sebbene questa venerazione di Gesù sem­ bri essere unica nel suo tempo e nel suo contesto d'origine (la tradizio­ ne giudaica del 1 secolo), mi sono soffermato maggiormente su esempi d'innovazione religiosa lungo i secoli e in particolare sulla scena mo­ derna, cercando di servirmi degli studi su questi fenomeni per elabo­ rare un metodo d'indagine sul cristianesimo primitivo. Diversi studi di scienze sociali dimostrano che nelle tradizioni religiose possono ef­ fettivamente comparire innovazioni significative e che queste normal­ mente si accompagnano a potenti esperienze religiose che colpiscono chi le sperimenta come nuove rivelazioni.' Solitamente queste rive­ lazioni consistono in riconfigurazioni di credenze efo pratiche della tradizione religiosa «madre» in cui si sperimentano le rivelazioni. Tali esperienze possono allora condurre a innovazioni religiose riuscite (dove la «riuscita» è visibile nella formazione di un nuovo movimento religioso in grado di crescere e sopravvivere nel tempo) quando le cre­ denze efo le pratiche riconfigurate sono argomentate con sufficiente chiarezza, attendibilità e forza d'attrazione. 4· Le maggiori riconfigurazioni di questo tipo possono quindi esse­ re considerate «mutazioni>> significative all'interno di tradizioni reli­ giose. Al pari delle mutazioni biologiche di maggior entità conosciute dalle specie, esse si lasciano sì distinguere dalle tradizioni religiose «ma­ dri», ma al tempo stesso restano a queste chiaramente connesse, e ciò significa anche che nelle tradizioni religiose possono aver luogo inno­ vazioni importanti per cause diverse dall'influenza o dall'importazio­ ne di convinzioni o pratiche straniere provenienti da altre tradizioni. Che Gesù fosse considerato una figura divina risulta nel modo più evi­ dente e più chiaro nel tipo di venerazione devozionale di cui fu fatto oggetto, che qui ho riassunto per sommi capi. Almeno in questo sen­ so si può quindi affermare che indubbiamente Gesù «è diventato dio>> nella pratica devozionale cristiana antica e in concreto (ossia in feno­ meni storicamente osservabili). Ho presentato in breve diversi tentativi di risposta alla questione di come e quando ebbe origine questo sviluppo straordinario e che cosa esso rappresenti, e ho cercato di illustrare la prospettiva che (insieme 1

Cf. cap 8 (sono, .

pp.

1 96-222).

Problemi

c

orientamenti

a un certo numero di altri studiosi contemporanei di diversi paesi) tro­ vo più persuasiva. Nel movimento cristiano questo tipo di venerazio­ ne sorse tanto presto che qualsiasi prospettiva di uno sviluppo gra­ duale è semplicemente inadeguata. Per quanto è possibile giudicare, una venerazione di Gesù di tal genere pare anzi essere stata una carat­ teristica delle cerchie del movimento cristiano fin dai primissimi tem­ pi. La natura di una simile innovazione è tale che non è possibile pre­ sentarla convenientemente come semplice estensione o adattamento minore di credenze e pratiche religiose già esistenti, né si può affer­ mare che questa sorprendente innovazione nella prassi devozionale sia nella sostanza una semplice deduzione logica dopo che i primi cri­ stiani furono giunti a considerare Gesù esaltato a un onore e a uno status celesti. Affermo che la venerazione di Gesù come fi gura divina sia stata un passo tanto nuovo c importante, e inoltre comparso tanto presto, da potersi spiegare soltanto come risposta alla profonda convinzione delle prime cerchie cristiane che l'unico Dio della tradizione biblica voleva che Gesù fosse venerato in tal modo. Gli scrupoli giudaici an­ tichi riguardo al culto erano tali che non è possibile concepire la vene­ razione di Gesù come una qualche forma di sviluppo accidentale o co­ me indizio della facilità dei primi cristiani a impegnarsi in sperimen­ tazioni liturgiche. Gli ambienti di cristiani giudei tra cui sorse la vene­ razione di Gesù come figura in qualche modo divina, devono averlo venerato come fecero esclusivamente perché erano convinti che un tale comportamento fosse volontà di Dio. In che modo in questi ambienti si poté giungere a una convinzione tanto sorprendente ? Mi pare che si debba pensare a potenti esperien­ ze di rivelazione vissute da seguaci di Gesù nei primi giorni dopo la sua esecuzione, in cui si esprimeva la certezza che Dio aveva concesso a Gesù un onore e una gloria celesti senza paragoni. Ancor più ecce­ zionale era la convinzione, a sua volta trasmessa direttamente in espe­ rienze potenti, che fosse volontà di Dio che lo si onorasse riconoscen­ do a Gesù una venerazione devozionale nei tipi di atti di cui parlano gli scritti del Nuovo Testamento. Per quanto sorprendente possa sembrare, le fonti documentarie mo­ strano che a Gesù il genere di venerazione che associamo a una divi­ nità venne riconosciuto per la prima volta tra le cerchie di giudei os­ servanti costituite dai primissimi aderenti al nuovo movimento cristia-

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no. All'inizio Gesù fu considerato degno di onore divino perché i cri­

ltiani erano convinti che farlo significava obbedire all'unico Dio. Lo ltatus divino di Gesù non era tuttavia un caso di apoteosi in senso pro­ prio ma al contrario un'innovazione religiosa insolita per ambienti che avversavano profondamente qualsiasi idea pagana del genere, tan­ to che è improbabile che l'abbiano trovata altrove. In questo senso si può quindi affermare che in realtà Gesù non «divenne dio», ma che piuttosto fu fatto oggetto di una venerazione che esprimeva il ricono­ scimento tipicamente cristiano che Gesù era l'unico emissario di Dio nel quale si esprimeva eccezionalmente la gloria dell'unico Dio e per il quale Dio «padre» chiedeva ora piena venerazione >, per poi citare una frase di Deut. 2 1,23 : «Male­ detto è chiunque pende da un albero>> . Un'interessante possibilità è che qui Paolo reinterpreti in senso positivo un'allusione estremamente ne­ gativa a Gesù come > o qualcosa di simile. È anche nozione comune che il >, le persone nominate (che rivestono funzioni di rilievo) sono principalmente cristiani di fede giudaica come Barnaba, Priscilla (Pri­ sca) e Aquila, Apollo, Andronico e Giunia, Giasone e Sosipatro.4 Que­ sti cristiani giudei provengono tutti (o quasi tutti) dalla diaspora, ma senza incertezza vengono nondimeno presentati da Paolo come giu­ dei al pari suo.5 Non vi è inoltre motivo per pensare che o questi o i 1 Questi sono tra i nomi più comuni portati dai giudei della Giudea del tempo. Cf. T. Ilan, Lexicon of Jewish Names in Late Antiquity, Part r . Palestine ;oo B. C.E. 2oo C.E. (TSAJ 9 I ), Tiibingen 2002. 2 Gli Atti degli Apostoli (neotestamentari) forniscono informazioni su questi e altri personaggi, ad esempio Maria, madre di Gesù (Atti I , 1 4); Barnaba (ad es. Atti 4,36 s.; I 3 , I ); Giacomo, fratello di Gesù (ad es. Atti I 5 , 1 3); Stefano (ad es. Atti 6,5 s.) e SaulofPaolo (ad es. Atti 7, 5 8 ; 9,I-9). Nelle sue lettere Paolo menzio­ na anche qualcuna di queste persone, ad esempio Cefa/Pietro in Gal. I, I 8; 2, I I; 1 Cor. 9, 5 ; Giacomo (fratello di Gesù) e Giovanni (Zebcdeo) in Gal. 2,9 s.; Barnaba in Gal. 2, 1 3; 1 Cor. 9,6 e molti sono nominati anche in I Cor. I 5,3 -7. J In età romana i gentili si rapportavano al giudaismo e al popolo giudaico in gra­ di diversi. Cf. S.J.D. Cohen, Crossing the Boundary and Becoming a Jew: Har­ vard Theological Review 82 ( I 989) 1 3-33 e P.F. Stuehrenberg, Proselyte, in D.N. Freedman (ed.), Anchor Bible Dictionary v, New York I 992, 503-505. 4 Paolo presenta Barnaba come cristiano giudeo in Gal. 2, 1 3 . Su Aquila e Priscilla v. Atti I 8,2; su Apollo, Atti 1 8 ,24. Quando Paolo chiama «parenti>> (gr. cruyytvttç f.LOu) le persone menzionate in Rom. 1 6 - Andronico e Giunia ( I 6,7), Erodione ( 1 6, r r ), Lucio, Giasone e Sosipatro ( I 6,2 1 ) - intende probabilmente dire che si trattava di connazionali giudei. Nel passo di Romani sono probabilmente elencati anche altri i cui nomi tradiscono la nascita giudaica, come la Maria di r 6,6. 5 Le lettere di Paolo nominano un gran numero di persone (ben più di trenta nel solo cap. r6 della lettera ai Romani), tutti chiamati in causa perché erano eviden­ temente attivi e in prima linea nella diffusione della fede cristiana del tempo. Per una rassegna si veda E.E. Ellis, Coworkers, Pau! and His, in Dictionary of Pau! and His Letters, cit., 1 8 J - 1 89 (tr. it. 2 5 6-266). -

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cristiani giudei della Giudea romana avessero apostatato dal giudai­ smo oppure fossero particolarmente più propensi di altri giudei del tempo (fra quanti si riconoscevano nel loro popolo e nella loro tradi­ zione religiosa) ad accogliere dall'ambiente religioso pagano idee o pratiche che rappresentassero un distacco più profondo dall'atteggia­ mento religioso della tradizione giudaica. È un altro motivo per met­ tere in discussione l 'idea che la sorprendente venerazione di Gesù che emerse tanto presto e tanto rapidamente nel primo cristianesimo si pos­ sa spiegare con la grande influenza o l'appropriazione di idee e prati­ che religiose pagane. In età romana e forse in particolare nella diaspora, i giudei si dovet­ tero senza dubbio confrontare con l'ambiente religioso generale, con il suo politeismo e la sua disponibilità ad accogliere nuove divinità e anche esseri umani deificati. Si aggiunga poi che alcuni giudei (ad esem­ pio Tiberio Alessandro, nipote di Filone Alessandrino) non avevano difficoltà a vedere i vantaggi materiali che procurava l'assimilazione al­ la cultura dominante, anche in questioni e pratiche religiose, e si sente parlare di giudei che si sottoponevano a interventi chirurgici per na­ scondere d'essere circoncisi.' In età ellenistica e romana molti giudei si adattarono come si sa in diversi modi alla cultura generale, serven­ dosi ad esempio della lingua greca e facendo propri aspetti della tradi­ zione filosofica, dell'abbigliamento e di usanze alimentari greche. Co­ me esempio saliente si nomina solitamente Filone Alessandrino. La diffusione delle traduzioni greche del Tanak (l' «Antico Testamento>> cristiano) nel periodo del secondo tempio è la dimostrazione evidente che erano molti i giudei che si servivano del greco come lingua princi­ pale.' Adattamenti culturali di tal genere, tuttavia, non dimostrano af­ fatto la disponibilità ad adottare la religione pagana.3 D'altra parte si può anche supporre che altri giudei del tempo non abbiano commes1 Giuseppe parla di Tiberio Alessandro in Ant. zo, 1 oo e Bel!. 2,220. Fra i testi che parlano di giudei che ricorrevano alla chirurgia per nascondere la circoncisione c'è r Mace. 1 , 1 5 . Cf. R.G. Hall, Circumcision, in Anchor Bible Dictionary r, 102 5 IOJ I , spec. 1 029. 1 Spesso si usa «Settanta» per indicare la traduzione greca dell'«Antico Testamen­ to». Per un'agile introduzione, v. K.H. Jobes e M. Silva, Invitation to the Sep­ tuagint, Grand Rapids 20oo; uno studio più approfondito è E. Tov, The Text­ Critical Use of the Septuagint in Biblica! Research, Jerusalem ' 1 997. ) Cf. ad es. A. Mendelson, Philo 's jewish Identity (Brown Judaic Studies 1 6 1 ), Atlanta 1988; E. Birnbaum, The Piace ofjudaism in Philo 's Thought. lsrael, jews, and Proselytes (Studia Philonica 2), Atlanta 1996.

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so apostasia ma possano essersi piegati a diversi tipi di compromesso o di appropriazione di aspetti della cultura religiosa circostante. È ad esempio evidente che alcuni giudei, al pari di molti altri in epoca ro­ mana, si davano a pratiche connesse con la « magia», come l'invocazio­ ne di vari nomi ed esseri divini potenti.' Merita tuttavia osservare che non vi sono indizi che giudei che si identificavano con la tradizione religiosa avita facessero esplicitamen­ te proprie divinità diverse dal Dio d'Israele o che fossero pronti ad aderire apertamente all'idea che esseri umani deificati potessero gode­ re della venerazione che la loro tradizione riservava soltanto all'unico Dio. Anzi, a giudicare dalla documentazione giudaica del tempo (e an­ che da riscontri non giudaici), pare che questo rispetto per l'esclusivi­ tà dell'unico Dio sia forse la caratteristica più largamente conosciuta e più fervidamente tutelata della prassi religiosa giudaica in età roma­ na.2 Vi sono invece buoni motivi per pensare che a partire dalla crisi maccabaica la reazione giudaica alle influenze religiose pagane si sia fatta in generale più ostile, e che la volontà giudaica di preservare le particolarità etniche e religiose fosse più salda che in passato.3 Non è quindi molto plausibile addurre l'influenza dell 'ambiente re­ ligioso pagano come fattore decisivo per lo sviluppo della venerazio­ ne di Gesù come figura divina. Come già si è sottolineato, il primo «cri­ stianesimo>> era in origine un movimento religioso giudaico, e conti­ nuò a essere prevalentemente giudaico nei primi pochi decisivi decen­ ni. È improbabile che giudei che si riconoscevano risolutamente nel lo­ ro popolo e nella loro tradizione religiosa, come i cristiani giudei men­ zionati per nome dei primissimi anni, fossero propensi a presentare Gesù in forme tanto esaltate per via dell'influenza di concezioni paga­ ne di apoteosi o perché nell'ambiente religioso più generale si venera­ va una quantità di divinità. A detta di tutti, i giudei fedeli del tempo, sia in Giudea sia nella diaspora, trovavano particolarmente ripugnan­ ti proprio queste caratteristiche dell'ambiente religioso romano.4 Nei 1 Cf. ad es. P. Schafer, Magie and Religion in Ancientjudaism, in P. Schafer e H. G. Kippenberg (ed.), Envisioning Magie. A Prineeton Seminar and Symposium, Lei­ den I997, I 9-44· 2 Cf. ad es. L. L. Grabbe, ]udaie Religion in the Seeond Tempie Period. Belief and Practiee from the Exile to Yavneh, London 2ooo, 2 I 0-2J I , spec. 2 1 6-2 19. J Cf. ad es. V.A. Tcherikover - A. Fuks - M. Stern, Corpus Papyrorum ]udaiea­ rum I, Cambridge 1 9 5 7, I - I I O. 4 Si pensi ad esempio all'approfondita critica che Filone Alessandrino muove al-

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primi e decisivi anni, proprio quando si assisteva agli sviluppi deter­ minanti più singolari della venerazione di Gesù, semplicemente non c'erano quantità significative di convertiti al nuovo movimento cri­ stiano che fossero di provenienza pagana. La demografia dei primi e decisivi anni non consente di supporre che i convertiti gentili potesse­ ro far valere idee pagane tra gli ambienti cristiani del tempo. Come che sia, ci si attendeva che i convertiti gentili alla prima predicazione cristiana, così come i proseliti del giudaismo di età romana e gli altri gentili definiti > escatologica (di Dio), ma ciò con­ ferma perfettamente quanto sostengo, ossia che la venerazione, l'ac­ clamazione e le affermazioni su Gesù dei primi cristiani si distinguo­ no per contenere tutte una menzione dell'unico D io. Tutte sono chia­ ramente monoteistiche, anche se questo è senza dubbio un monotei­ amo con un tratto originale, senza vere analogie nella tradizione giu­ daica del tempo: Gesù è l'unico agente principale di Dio.2 Si può passare a un altro passo significativo, proveniente questa vol­ ta da una delle lettere di Paolo alla chiesa di Corinto. In 1 Cor. 8 - 1 0 Paolo si rivolge com'è noto a convertiti gentili per questioni riguar­ danti il loro ambiente religioso pagano e le loro precedenti attività re­ ligiose a Corinto. I problemi in questione erano ben poco tipici di Co­ rinto, ma erano invece quelli a cui si trovavano di fronte i cristiani gen­ tili del tempo residenti in qualsiasi centro abitato romano (quantome­ no al di fuori della Giudea). In sostanza Paolo ingiunge ai suoi con­ vertiti a sfuggire a qualsiasi attività e pratica religiosa apertamente pa­ gana, c lo fa nella forma più dura. Fin dall'inizio del ragionamento egli parla delle offerte alle divinità pagane come di eidolothyta, ( 8 , 1 .4), definizio­ ne ovviamente spregiativa, per passare poi a stabilire una netta con­ trapposizione tra le molte divinità dell'ambiente religioso romano e «l'unico Dio, il padre, dal quale proviene ogni cosa e per il quale noi esistiamo, e il solo signore, Gesù Cristo>> (8,6). Su quest'ultima affer­ mazione si tornerà più avanti; per il momento merita osservare sol' Per una documentazione commentata si veda ad es. E . Best, A Commentary on the First and Second Epistles to the Thessalonians, London - New York 1972, 82 s. a Cf. in particolare il mio One God, One Lord, cit., passim.

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tanto che essa esprime un atteggiamento esclusivista c un rifiuto netto dell'atmosfera politeistica del mondo religioso pagano da cui Paolo cercava di attirare convertiti gentili. Qui l' «unico Dio» non è uno fra altri, ma piuttosto la sola vera divinità. In 1 o, I -22 Paolo riprende direttamente la questione se i convertiti gentili possano continuare a prender parte alle cerimonie religiose del­ la loro vita precedente, escludendolo nel modo più reciso con le espres­ sioni più forti. Il suo paragone ( 1 0,6- I 3) con la storia biblica dell'apo­ stasia d'Israele in Num. I I certo chiarisce quale sia al riguardo la po­ sizione di Paolo. Il suo disprezzo assoluto per il culto pagano si espri­ me nella formula con cui lo definisce, «culto di idoli>> ( 1 o, I 4), ed egli afferma anche che «quello che i pagani sacrificano, lo sacrificano a demoni e non a Dio>> (10,20). Paolo ribadisce quindi che la parteci­ pazione al culto di queste divinità pagane è affatto incompatibile con la partecipazione alla comunità cristiana: «Non potete bere il calice del Signore [allusione al pasto eucaristico cristiano] e il calice dei de­ moni [allusione ai pasti cultuali dell'ambiente pagano] >> ( 1o,2 I ). La facilità di Paolo ad adattarsi ad alcuni aspetti delle pratiche dei gentili, «quelli che sono fuori della legge>> (1 Cor. 9,2 1 ), non giungeva a la­ sciare che essi continuassero a prendere parte alle pratiche religiose di prima della conversione. Si potrebbe allargare la nostra indagine ad altri esempi che s'incon­ trano negli scritti neotestamentari, ma questi non farebbero che cor­ roborare l'evidente conclusione che il punto di vista fondamentale as­ sunto in queste fonti storiche del cristianesimo del I secolo è un mo­ noteismo categorico. Altrettanto chiaro è che l'unico Dio che viene affermato contro il politeismo dell'epoca romana è il Dio dell'Israele biblico. Il monoteismo che si riflette in questi scritti deriva dalla ma­ trice giudaica nella quale aveva le sue origini il movimento cristiano. La solidità della fede monoteistica che si esprime nel Nuovo Testa­ mento e il deciso disprezzo per qualsiasi forma di religione pagana con­ corrono a rendere ancor più difficile l'ascrizione di qualsivoglia di­ sponibilità dei primi cristiani ad assimilare e fare proprie concezioni c categorie di pensiero religiose pagane. Le prime cerchie cristiane di cre­ denti erano sì condizionate in molti modi dall'ambiente storico, così come tutti i giudei di età romana e come chiunque in qualsiasi tempo è influenzato dal proprio ambiente culturale, ma nelle cerchie note del movimento cristiano del I secolo, fossero costituite da giudei o da geo-

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tili, si sosteneva, com'era la norma tra i giudei osservanti in età roma­ na, una posizione monoteistica, e si condannava esplicitamente la par­ tecipazione alle pratiche religiose pagane in quanto incompatibile col battesimo cristiano. Vi è quindi un altro motivo per cui non è credibi­ le attribuire a idee e pratiche religiose pagane la venerazione di Gesù che si mostra in questi primissimi anni. La retorica religiosa del primo cristianesimo è profondamente monoteistica e si accompagna anche a grandi attese riguardo al comportamento. GESÙ

E DIO

Sorprende quindi ancor più scoprire il posto esaltato occupato dal­ la figura di Gesù nelle concezioni e nelle pratiche religiose cristiane più antiche. L'altissimo significato di Gesù e la venerazione in cui egli con­ divide con Dio una condizione unica, sono qualcosa di eccezionale che non si può spiegare semplicemente come caso particolare di un tipo comune di sviluppo per il quale si diano altri esempi del tempo. Se so­ no del tutto convinto della necessità di fornire una spiegazione storica di un simile fenomeno, non mi nascondo che non si tratta di un 'impre­ sa facile come talvolta si vorrebbe. A mio parere manca in sostanza qualsiasi vera analogia contempo­ ranea. Eventuali analogie che si vorrebbero scorgere nella scena reli­ giosa in generale di età romana, ad esempio con eroi o esseri umani dei­ ficati e la nascita di nuove divinità, non sono analogie autentiche pro­ prio perché presuppongono la «logica>> del politeismo pagano. Una cosa è far spazio a una nuova divinità aggiuntiva o immaginare qual­ che personaggio umano che viene reso divinità degna di culto in un sistema politeista in cui la pluralità della divinità, nuovi dci e apoteosi sono tutte caratteristiche legittime e intrinseche alla prospettiva reli­ giosa, ma abbastanza diverso è accogliere nella prassi devozionale cul­ tuale una seconda figura e immaginare che essa condivida in qualche modo unico e autentico gli attributi e la posizione esaltata dell'unico Dio, in un atteggiamento fervidamente monoteistico in cui il destina­ tario legittimo di culto è esclusivamente l'unico Dio e tutto il resto è di­ stinto in quanto creazione di quest'unico Dio. Nella disamina che precede si è osservato che l'atteggiamento reli­ gioso del primissimo cristianesimo non era affatto favorevole alla na­ tura politeistica dell'ambiente religioso generale, e che fattori crono-

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logici e demografici rendono inoltre estremamente improbabile che la prima fede cristiana possa aver comportato l'appropriazione di idee pa­ gane come l'apoteosi. Se tali idee sortirono qualche effetto sul primis­ simo cristianesimo, è probabile che questo consistesse nell'accrescere l'interesse dei primi cristiani a distinguere la venerazione di Gesù dal far posto a nuovi dei ed eroi divini sulla scena romana.1 Agenti principali dell'unico Dio

Nella tradizione giudaica di età romana non si incontrano quindi analogie complete al livello di venerazione riconosciuto a Gesù nelle prime cerchie cristiane. Certo, la tradizione giudaica del secondo tem­ pio era in grado di accogliere figure di vario tipo che erano presentate come agenti dei disegni di Dio, e tra queste alcune figure cui si attri­ buivano funzioni e status particolari. Profeti, angeli e figure messiani­ che sono ovviamente tutti agenti di Dio con diverse responsabilità, ma anche nella tradizione giudaica antica s'incontrano casi in cui questa o quella figura specifica viene presentata nei termini più sorprendente­ mente esaltati. Si può pensare a una simile figura come di Dio, distinto da tutti gli altri esseri del grande seguito divino. Poiché gli esempi importanti e i testi antichi che li riguardano sono già stati trattati più approfonditamente nel mio One God, One Lord, qui mi limiterò a riassumerne molto rapidamente i risultati. A mio parere i tipi fondamentali di figure di «agenti principali>> nei testi giudaici antichi sono tre. Vi sono esempi di attributi personificati di Dio presentati come suo agente principale, in particolare la sapien­ za divina c la parola di Dio (gr. logos)! Ci sono poi figure di antenati venerabili dei racconti biblici, ad esempio Enoc, Giacobbe e soprat­ tutto Mosè, ai quali viene talvolta ascritto uno status che pare equiva­ lere a farne l'agente speciale, principale di Dio.3 In altri casi ancora, un angelo in particolare viene rappresentato di status e ruolo analoghi.4 A queste figure può senza dubbio essere attribuito un prestigio sor­ prendentemente esaltato. Possono ad esempio essere presentati come coloro che prendono parte alla creazione e al governo del mondo c r Questa è anche la conclusione a cui molti decenni fa era giunto un importante studio di S. Losch, Deitas ]esu und antike Apotheose. Ein Beitrag zur Exegese und Religionsgeschichte, Rottenburg 1 9 3 3 . 2 Cf. One God, One Lord, cit., 4 1 -50. 3 Op. cit. , p -69. 4 Op. cit., 7 1 -92.

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che siedono accanto a Dio nel cielo (sapienza), come un tramite il quale Dio si rivela al mondo (logos), rivestiti del nome divi­ no (l'angelo Jahoel), come colui per il quale è stato creato il mondo (Mosè) o come il capitano preposto su tutti gli altri angeli di Dio (Mi­ chele). Fondamentalmente ognuna di questa figure, sebbene i partico­ lari cambino, sembra fungere da visir di Dio, distinta da tutti gli altri esseri e seconda soltanto a Dio. Anche se un certo numero dei modi specifici in cui si raffigura Ge­ sù nei primi scritti cristiani presenta affinità e paralleli interessanti con queste figure di , resta tuttavia una differenza fon­ damentale che rende tutte queste figure sensibilmente inadatte a fun­ gere da analogia adeguata e completa al posto che Gesù occupava nel­ le cerchie protocristiane. Nessuna delle figure di agente principale nei testi giudaici assolve la funzione che Gesù aveva nella pratica devo­ zionale dei primi cristiani. Più in particolare, come altrove ho osserva­ to ' e più avanti mostrerò, nelle cerchie protocristiane Gesù è il desti­ natario del tipo di espressioni di venerazione che sono altrimenti ri­ servate a Dio soltanto e che semplicemente mancano di analogie nella tradizione giudaica del periodo del secondo tempio. Detto in breve, questo culto di Gesù risorto ed esaltato costituisce un'innovazione ra­ dicale nella religione monoteistica giudaica. La venerazione di Gesù come monoteismo >). Poi, immediatamen­ te dopo, Paolo introduce subito anche Gesù come è formulata in modo da mantenere una netta distinzione tra lui e «il padre>>. Più in particolare, questa distinzione comporta una subordinazione funzionale del «signore>> (Gesù) all'unico dio. Qui Dio è la fonte creatrice di tutte le cose, colui al quale tutto appartiene e per il quale esiste, e «il solo signore, Gesù Cristo>> è esplicitamente presentato come l'agente unico dei piani divini di creazione e reden­ zione. Con un abile uso delle preposizioni greche, Paolo distingue la funzione di Gesù da quella di Dio . Tutte le cose sono da (gr. ek) e indirizzate afper (gr. eis) «un solo dio, il padre>> e tutte le cose sono mediante (gr. dia) «un solo signore, Gesù Cristo>> (1 Cor. 8,6). Nella lettera di Paolo alla chiesa di Filippi s'incontra un'altra netta affermazione dell'alto significato di Gesù. Fil. 2,6- r r , per il fatto d'es­ sere un'enunciazione sia antica sia relativamente estesa su Gesù, ha go­ duto di enormi attenzioni, interessate a una quantità di questioni più considerevole di quella che si possa prendere qui in considerazione.1 Merita tuttavia osservare che la pericope è generalmente considerata (o si pensa che sia derivata da) un antico inno cristiano.2 Ciò significa che in questo passo si è davanti a una presentazione di Gesù che fu ac­ colta e confermata comunitariamente e liturgicamente, un'espressione «popolare>> della venerazione di Gesù (nel senso che non è frutto della mente di un singolo né una formulazione teologica formale). La natura innica del passo si mostra nella natura estremamente stringata della formulazione, il che esige qualche commento per «sviscerare>> il significato di espressioni che forse suonavano meno insolite ai cristia­ ni del primo secolo. Di particolare interesse nel passo è il significato delle ultime righe, i 1 R.P. Martin, Carmen Christi. Philippians 2:5 - I I in Recent Interpretation and in the Setting of Early Christian Worship, Cambridge 1 967, cdiz. riv. Grand Rapids 1983; R. Martin e B. Dodd (ed.), Where Christology Began. Essays on Philippians J, Louisville 1998. Tornerò sul passo per un esame più approfondito nel capitolo conclusivo del libro. a Si pensa comunemente che questo e diversi altri passi degli scritti neotestamen­ tui provengano da inni cristiani antichi. Cf. ad es. L.L. Thompson, Hymns in Early Christian Worship : Anglican Theological Review 5 5 ( 1 973) 4 5 8 -472; K. Wengst, Christologische Forme/n und Lieder des Urchristentums (SNT 7), Giiters­ loh 1 972; L.W. Hurtado, Philippians 2:6-I I, in M. Kiley (ed.), Prayer [rom Alex­ ander to Constantine, London 1 997, 2 3 5 -239; R.J. Karris, A Symphony of New

Testament Hymns. Commentary on Philippians 2:5- I I, Colossians I: I 5-20, Ephe­ sians 2 : I 4 - I 6, I Timothy J : I 6, Titus J:4-7, I Peter J : I B-22, and 2 Timothy 2 : I I ­ IJ,

Collegeville, Minn. 1 996.

Problemi e orientamenti

vv. 9- 1 I . Qui Gesù viene presentato come colui che ha ricevuto da Dio uno status di esaltazione senza pari, come mostrano sia la forma intensiva del verbo «grandemente esaltato» (gr. hyperypsosen, v. 9), sia l'affermazione seguente che Dio ha dato a Gesù «ii nome che è al di sopra di qualsiasi nome» (v. 9). Le righe successive adattano poi una frase di fs. 4 5 , 23 per dire che Gesù viene venerato da ogni creatura «in cielo e sulla terra e sotto la terra» (v. r o) . È un altro sorprendente esempio di quanto i primi cristiani si siano spinti avanti per esprimere lo status elevato di Gesù, ma soprattutto si è qui davanti a un passo biblico che è tra le espressioni più ardenti dell'unicità di Dio, adattato (e chiaramente interpretato) per affermare che Gesù sta al vertice di tutta la creazione. L'acme del v. r r predice un'acclamazione universale, «Gesù Cristo è signore>>, quasi certamente a conferma che «il nome sopra ogni no­ mc>> dato a Gesù (v. 9) è il nome divino stesso. «Signore>> (gr. kyrios) molto probabilmente funge qui da equivalente greco di 'adonaj, il co­ mune sostituto revcrenziale del tctragramma sacro in ebraico. In bre­ ve, qui Gesù è associato a Dio in modi che, propriamente compresi, so­ no stupefacenti c senza uguali. La tensione monoteistica della tradi­ zione giudaica che è espressa con ardore in Is. 4 5 , 2 3 viene adattata a esprimere in modi altrettanto pregnanti una nuova e straordinaria forma di monoteismo, con due figure strettamente legate ma distinguibili: Dio e Gesù. Qualsiasi cosa si possa pensare di questo tipo di affermazione, per i cristiani la cui fede trova espressione in questo passo non si tratta in realtà di diteismo, e di Gesù non si dice che sia semplicemente un'al­ tra o nuova divinità accanto all'unico Dio. La menzione esplicita di due figure si accompagna al chiaro intento di presentare il significato di Gesù come espressione ed estensione dell'unità di Dio. È Dio (ho theos, v. 9) ad aver esaltato Gesù al massimo grado e ad avergli accordato il nome insuperabilc, c l'acclamazione universale di Gesù che viene in tal modo richiesta mira a promuovere (v. r r ) . Vale a dire che lo status divino di Gesù viene rappresen­ tato in rapporto alla volontà e alle azioni dell'unico Dio c la sua esal­ tazione mira a esprimere e a servire la gloria di Dio. Da una parte è del tutto comprensibile che molti giudei osservanti del tempo e anche in seguito abbiano trovato questa forma di espres­ sione della condizione divina di Gesù discutibile e incompatibile con

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monoteismo giudaico, e anche blasfema, in quanto sembrava mette­ re a repentaglio l'unicità e unità di Dio. È particolarmente importante osservare che nel caso delle prime cerchie cristiane la cui venerazione si esprime nei passi che qui si stanno considerando sono da vedere in­ dizi di pratica devozionale, non semplicemente di retorica religiosa. È quindi evidente che ci si trova davanti a uno sviluppo autenticamente radicale. Cionondimeno sono del parere che per la sua derivazione storica e anche con riguardo alle intenzioni di coloro per i quali simili espressioni di venerazione di Gesù stavano al centro della vita religio­ sa, questo sviluppo religioso costituisce una nuova forma «binitaria>> di monoteismo. Passando ora agli scritti del Nuovo Testamento che solitamente si conviene siano stati scritti sul finire del primo secolo, diversi decenni dopo le lettere di Paolo e in un momento in cui gran parte dei cristia­ ni era gentile, ci si trova in sostanza davanti al medesimo tipo di fede e devozione. Si è usi pensare, ad esempio, che il vangelo di Giovanni esprima una concezione molto «alta» di Gesù, il cui status divino è esplicito fin dall'esordio dello scritto con l'affermazione ben nota alla tradizione cristiana: I 8, dove voci giudaiche accusano Gesù di «farsi uguale a Dio>>, e ro,J r 3 3 , dove si dice che i giudei si apprestano a lapidare Gesù per blasfe­ mia perché, sostengono, «pur essendo soltanto un essere umano, ti fai Dio [o dio}>! Qui non è possibile attardarsi su altre spinose questio­ ni implicite in passi del genere; mi limito a osservare che in ciascun caso il contesto chiarisce a sufficienza che l'autore presenta tali accuse come ingiuste e false. L'autore del vangelo di Giovanni affermava cer­ to lo status divino di Gesù, associandolo tanto strettamente a Dio che non è difficile vedere come una simile concezione di Gesù potesse con­ durre alla convinzione che ciò equivaleva a fare di Gesù un rivale di Dio o un secondo dio. Ma è anche da osservare che, per quanto que­ sto autore insista sulla condizione divina di Gesù, è altrettanto chiaro che la gloria divina di Gesù consegue dall'unico Dio. In un altro passo del vangelo di Giovanni, Gesù eleva un'ultima preghiera prima della prova imminente dell'arresto e dell'esecuzione, nella quale parla della gloria divina da lui condivisa con Dio «prima che il mondo esistesse>> ( 1 7, 5). Nello stesso passo Gesù si mette al servizio di Dio, avendo come unico scopo la glorificazione di Dio (ad es. r 7,4.2 5 s.) e riconoscendo che tutto ciò che lui ha (o a cui ha dirit­ to) gli è concesso da Dio (ad es. 1 7,7 s.). E qui un'altra affermazione, corrente nella tradizione cristiana posteriore, definisce la vita eterna semplicemente come «che possano conoscere te, l'unico vero Dio, e Gesù Cristo che tu hai inviato>> ( 1 7,3). Sia nel significato costitutivo di Gesù sia nel linguaggio monoteistico sta la pregnanza di questa fra­ se, che tuttavia non è più che indicativa della trama di affermazioni religiose del vangelo di Giovanni. In generale si conviene che una del1 Un'altra idea largamente condivisa è che il vangelo di Giovanni rifletta la pro­ fonda avversione giudaica per i cristiani giudei la cui fede si esprime in questo te­ sto. In generale si pensa che alcuni passi testimonino l'espulsione di cristiani giu­ dei dalla comunità o le comunità giudaiche in generale del tempo, in specie 9,22; 1 2,42; r 6,2. Cf. in particolare J.L. Martyn, History an d Theology in the Fourth Gospel, cit. 2 Qui la parola greca per «dio» è priva di articolo determinativo. Per quanto mi riguarda sospetto che si sia sollecitati a intendere l'affermazione come accusa che Gesù stia mettendo in pericolo l'unicità di Dio avanzando per sé pretese esorbi­ tanti: Gesù viene accusato di farsi . Commentatori e traduttori sono tutta­ via divisi su come rendere con precisione l'accusa.

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le caratteristiche singolari del vangelo di Giovanni stia appunto in que­ sta combinazione di una concezione incredibilmente elevata di Gesù in quanto figura divina e un'altrettanto chiara subordinazione di Ge­ sù all'unico Dio.' In breve, ai propri occhi i primi cristiani non intendevano indulge­ re all'apoteosi quando presentavano Gesù in termini tanto esaltati, e non tradivano il principio monoteistico secondo cui il dio dell'Israele antico è il solo vero Dio. Questi devoti di Gesù (che nei primissimi anni, vale la pena ricordarlo, erano in grande maggioranza giudei che s'identificavano con la tradizione religiosa avita, con i suoi valori e le sue speranze) proclamavano la sua condizione suprema di unico «fi­ glio» di Dio e loro «signore>> esclusivamente in rapporto alle azioni e alla volontà dell'unico Dio. La loro fede e la loro pratica devozionale costituiscono quindi quella che si può definire una «mutazione bini­ taria>> nel monoteismo giudaico di età romana. Nelle loro concezioni e nella loro pratica devozionale Gesù è associato a Dio in forme che fanno del loro atteggiamento religioso qualcosa di autenticamente ori­ ginale e di problematico per monoteisti che non condividevano le lo­ ro esperienze e convinzioni religiose. Ma in termini storici il loro at­ teggiamento religioso può a ragione essere considerato la prima mani­ festazione di uno sviluppo sorprendente nella tradizione religiosa giu­ daica dell'età del secondo tempio. LO SVILUPPO D O TTRINALE POSTERIORE

Qui ci si è interessati soprattutto alle prime espressioni superstiti del­ la venerazione di Gesù, e nei limiti di questa disamina non è possibile

soffermarsi troppo sugli sviluppi posteriori nella prima fede cristiana. Nei decenni e nei primi secoli successivi ai testi che qui si sono presi in considerazione non mancarono certo sviluppi ulteriori. Si assunse­ ro le posizioni più diverse e sorsero aspre controversie su come espri­ mere nel modo migliore il significato di Gesù e anche su chi fosse il Dio a cui Gesù doveva essere associato! Al riguardo la posizione più 1 Cf. ad es. C.K. Barrett, The Father fs Greater than I»: fohn 14:28. Subordina­ tionist Christology in the New Testament, in Essays on fohn, London 1 982, 19 -36; Barrett, Christocentric or Theocentric? Observations on the Theological Method of the Fourth Gospel, in Essays on fohn, cit., 1 - 1 8; P.N. Anderson, The Christol­ ogy of the Fourth Gospel (WUNT 2/78), Tiibingen 1 996. a Cf. ad esempio il mio Lord fesus Christ, cit., spec. ca pp. 8- r o. «

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diffusa, che divenne peraltro la concezione «ortodossa>>, in sostanza fu sempre quella espressa nel Nuovo Testamento: l'unico vero Dio cui si deve associare Gesù è il Dio della tradizione biblica, il Dio di Abra­ mo, di Isacco e di Giacobbe, il creatore del cielo e della terra. Circa le dottrine riguardanti Gesù, anche queste comportarono controversie e grandi battaglie per trovare espressioni adeguate della sua divinità e rendere al tempo stesso giustizia alla sua natura umana salvaguardan­ do una posizione monoteista. 1 Se i cristiani si fossero mostrati disponibili a considerare Gesù sem­ plicemente un profeta o si fosse imposta la concezione secondo cui egli era considerato un essere interamente celeste/divino al pari di un angelo e la sua esistenza terrena un complesso travestimento (in qual­ che modo simile a come l'aspetto terreno e l 'attività dell'angelo Raf­ faele vengono presentati nel libro di Tobia), non sarebbero stati ne­ cessari il tempo c la fatica che essi spesero nelle loro ricerche cristolo­ giche. Allo stesso modo, se fossero stati disposti ad adottare il model­ lo dell'apoteosi, secondo il quale il Gesù umano sarebbe stato fatto a buon diritto un nuovo dio, deificato per il suo valore eccezionale, la loro fatica dottrinale sarebbe stato ben inferiore. Ma nessun modello precedente sembrava adeguato, perlomeno a quei cristiani che con le loro opere diedero forma a quella che divenne la dottrina cristologica classica. Gli interminabili dibattiti dottrinali dei primi secoli cristiani giunsero infine alla nuova e straordinaria concezione che Gesù resta­ va autenticamente umano e altrettanto autenticamente divino e degno di venerazione cultuale. In queste battaglie dottrinali, in particolare tra il secondo e il quin­ to secolo, i cristiani attinsero a tutto un corpo di categorie concettuali provenienti da tradizioni bibliche, da scrittori giudei dell'età del se­ condo tempio (in particolare Filone Alessandrino) e da tradizioni fi­ losofiche del tempo. Di rado, tuttavia, essi si limitarono a far propri ter­ mini e categorie religiose o intellettuali che potevano reperire in tradi­ zioni contemporanee giudaiche o filosofiche. Più spesso adattavano le tradizioni così da esprimere le loro convinzioni su Gesù, e queste fu­ rono nel complesso suggerite e condizionate in misura decisiva dalla primissima venerazione di Gesù che qui si è presa in considerazione, la venerazione di Gesù di Nazaret che pare essersi manifestata nei pri' W.R. Schoedel, A Neglected Motive for Second Century Trinitarianism: Journal of Theological Studies 3 1 ( 1 98o) 3 56-367.

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missimi momenti del movimento cristiano. Questa non solo alimentò la fervida comunicazione del messaggio evangelico nei decenni succes­ sivi ma anche determinò e anzi richiese le grandi realizzazioni dei se­ coli successivi fino a giungere alla formulazione di un'ulteriore dottri­ na cristiana su Gesù e su Dio. Anche quella che divenne la concezione dominante tenne al centro l'azione pienamente umana e storica di Ge­ sù tanto quanto la gloria celeste che, così si pensava, gli apparteneva. Nel processo che mirava a formulare in modo chiaro un'idea di Ge­ sù, i cristiani elaborarono anche una nuova interpretazione dell'unità del solo Dio della tradizione biblica, un'unità di cui Gesù, «il figlio», è parte integrante. Nel linguaggio dottrinale che si cominciò a privile­ giare nel secondo secolo e in seguito, il figlio condivide la stessa (gr. ousia) divina del . Come si sa, nell'espressio­ ne classica della dottrina cristiana di Dio, la dottrina della trinità, entra in questione anche lo > s'intendono in particolare gli atti e gli atteg­ giamenti dei funzionari/rappresentanti del governo (locale o superio­ re), mentre per conseguenze «sociali>> sono da intendersi le ripercus­ sioni di un comportamento religioso sui rapporti con la famiglia, i vi­ cini, gli amici, i colleghi e con chiunque costituisca il mondo sociale di una persona. Nelle pagine che seguono intendo approfondire le conseguenze sociali e politiche che la venerazione di Gesù ebbe ad avere per i primi cristiani, conseguenze particolarmente negative, i costi sociali c politi­ ci dell'essere cristiano nei primi anni del movimento che venne poi chiamato «cristianesimo>>. I costi sociali e politici che si pagarono, co­ me si vedrà, fanno apparire strano che la nuova fede sia apparsa a qual­ cuno attraente in modo del tutto naturale, e possono anche contribui­ re a meglio spiegare perché per altri lo sia stata di meno. L'AMBIENTE R EL I G I O S O ROMANO

Prima di passare a esaminare i fenomeni peculiari del primo cristia­ nesimo, può d'altro canto essere utile presentare un inventario di mas-

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sima di alcune caratteristiche dell'ambiente religioso di età romana.' Inizierò dall'ambiente «pagano>> in generale, per poi occuparmi di quel­ lo del giudaismo del secondo tempio in particolare. Quello che ormai chiamiamo «primo cristianesimo» si manifestò anzitutto come nuovo movimento religioso nel giudaismo del secon­ do tempio, per poi diventare presto un movimento translocale e trans­ etnico che si guadagnò aderenti dai diversi retroterra. Come molti de­ cenni fa Anhur Darby Nock ebbe modo di osservare in un saggio meritatamente celebre, l'età romana fu un periodo di grande varietà religiosa, nel quale s'incontravano idee e gruppi religiosi nuovi e rein­ ventati accanto alle divinità e alle usanze religiose tradizionali delle diverse popolazioni che formavano l'impero romano.1 La quantità in­ numerevole di viaggi, commerci e comunicazioni nel bacino mediter­ raneo e oltre facilitava l'esportazione e la condivisione di diverse divi­ nità tradizionali con le credenze e le pratiche che vi erano connesse, e l'età romana dà l'idea d'essere stata un periodo di volontarismo reli­ gioso senza precedenti, nel quale molti erano disposti a prendere in considerazione opzioni religiose che andavano oltre le proprie divini­ tà e pratiche tradizionali.> Niente quindi impedisce di considerare la prima fede cristiana come una delle numerose opzioni religiose in cir­ colazione in quel tempo e alla quale ci si poteva «convertire». Ma è anche importante non trascurare una differenza fondamenta­ le. Come Nock sottolineava, è in generale fuorviante utilizzare il ter­ mine «conversione» per definire l'acquisizione di aderenti da parte dei molti gruppi religiosi che erano attivi nel mondo romano.4 In età ro­ ' In un lavoro precedente ho passato in rassegna alcune caratteristiche dell' «am­ biente» religioso del primo cristianesimo, servendomi delle ricerche di numerosi specialisti della religione in età romana: At the Origins of Christian Worship. The Context and Character of Earliest Christian Devotion, Carlisle 1 999 - Grand Rapids 2ooo, 7-38. 2 A.D. Nock, Conversion. The Old and the New in Religion from Alexander the Great to Augustine of Hippo, London 1 9 3 3 (tr. it. La conversione. Società e reli­ gione nel mondo antico, Roma 198 5). 3 Cf. ad es. R. Turcan, The Cults of the Roman Empire, Oxford 2ooo, che insiste sul successo di movimenti religiosi sorti nelle regioni orientali dell'impero roma­ no. Per un'esposizione più approfondita della religione in età romana, si vedano anche R. MacMullen, Paganism in the Roman Empire, New Haven 1 98 1 ; M. Beard - J. North - S. Price, Religion of Rome, 1 . A History, Cambridge 1998. Merita pu­ re segnalare la raccolta di saggi edita da A.H. Armstrong, Classica/ Mediterran­ ean Spirituality. Egyptian, Greek, Roman, New York 1 986. 4 Nock, Conversion, cit., 1 3 - 1 6 (tr. it. 1 2 - 1 5).

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mana, unirsi a un nuovo gruppo religioso non significava per i più ab­ b andonare le associazioni religiose a cui già aderivano. Ma la prima fe­ de cristiana, a differenza di quasi tutte le altre opzioni religiose del tem­ po (ma sulla stessa linea della tradizione giudaica di epoca romana al­ l 'interno della quale nasceva), richiedeva a chi vi aderiva una professio­ ne religiosa esclusivista. In tutte le fonti più antiche il messaggio cri­ stiano riguardava l'unico Dio della tradizione biblica, e qualsiasi altra pretesa divinità era considerata semplicemente un «idolo» se non peg­ gio. Per i non giudei, i «pagani», una conversione adeguata alla prima fede cristiana comportava quindi una dissociazione radicale dai gruppi e dalle pratiche religiose tradizionali cui aderivano. ' Per i primi cri­ stiani di retroterra giudaico, come si sa, questo rifiuto delle numerose divinità del periodo romano non era niente di nuovo. Ma, come si ve­ drà fra breve, l'adesione al movimento cristiano che andava sorgendo spesso, per i giudei come per i gentili, implicava tuttavia di assumer­ sene le conseguenze sociali. Benché sembri che i giudei che per la religione s'identificavano con la tradizione giudaica solitamente avessero in comune qualche creden­ za e qualche interesse, anche il giudaismo del secondo tempio si presen­ tava tuttavia molto diversificato. 2 La scarsità della documentazione richiede d'andar cauti in ciò che è possibile supporre con qualche ve­ risimiglianza, ma pare ragionevolmente chiaro che questa varietà com­ prendesse diversi e riconoscibili partiti religiosi, ognuno dei quali si di­ ltingueva per caratteristiche specifiche.3 C'erano ad esempio i farisei, gruppo esso stesso particolarmente impegnato nel rispetto della torà, 1 «Pagano» è usato qui senza alcuna connotazione spregiativa, semplicemente co­ me modo rapido per indicare la grande maggioranza della popolazione di età ro­ mana che non era né giudea né cristiana. 1 Due opere recenti che illustrano la situazione sono le seguenti: E.P. Sanders, Judaism. Practice and Belief, 63 B. C. E . - 66 C. E. , London-Philadclphia 1 992 (tr. it. Il giudaismo. Fede e prassi, 6; a. C. - 66 d. C. , Brescia 1 999); L.L. Grabbe, Ju­ rJaic Religion in the Second Tempie Period. Belief and Practice from the Exile to Yavneh, London 2000. Tra molti altri studi utili si può segnalare anche S. Safrai M. Stern (ed.), The Jewish People in the First Century (CRINT) I-II, Assen-Phil­ adelp hia 1974- 1 976. s Cf. ad es. Grabbe, Judaic Religion in the Second Temple Period, 1 83-209. Una delle fonti antiche fondamentali è Giuseppe, Ant. 1 8, 1 1 -2 5 , il quale presenta tre •filosofie», quelle degli esseni, dei sadducei e dei farisei, oltre a un quarto gruppo la cui fondazione viene da Giuseppe attribuita a Giuda il Galileo e che era impe­ pto nella resistenza violenta alla dominazione romana, dettata da motivazioni religiose.

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che propugnava l'osservanza della torà anche tra gli altri giudei. Ven­ gono menzionati anche i sadducei, gruppo del quale in realtà si cono­ sce molto poco, ma che pare fosse composto in particolare di giudei della Giudea romana di estrazione sacerdotale e semiaristocratica, d i orientamento probabilmente conservatore.' Con la scoperta dei testi connessi con la comunità di Qumran, si è resa disponibile la documen­ tazione diretta di un'altra espressione riconoscibile di religiosità giu­ daica del tempo.2 Allora come oggi, i giudei osservanti si scontravano talvolta aspra­ mente per questioni religiose, giungendo anche a denunciare gli uni e gli altri per differenze di credenze e pratiche ritenute importanti. Nel­ lo scritto non canonico noto come Salmi di Salomone, ad esempio, si criticano duramente dci «peccatori>> che paiono essere giudei il cui comportamento è ritenuto dall'autore una grave violazione della to­ rà.3 Non sarebbe dunque del tutto sorprendente che i primi cristiani giudei abbiano dovuto far fronte a controversie e patito conseguenze sociali negative per la loro fede. Ci occupiamo ora di alcuni tipi parti­ colari di tensioni, sociali c politiche, a cui erano soggetti i primi cri­ stiani a causa della loro venerazione di Gesù in particolare. RAPPORTI FAMILIARI

La documentazione fa pensare che sia per i gentili sia per i giudei diventare seguaci del primo movimento cristiano poteva comportare tensioni con la cerchia sociale più intima, la famiglia. Un detto attri­ buito a Gesù (Mt. I O,J4-36; Le. 1 2, p - 5 3 ) avverte i seguaci delle spac­ cature che la fede può produrre nei rapporti familiari immediati (ad es. tra genitori e figli e parenti acquisiti). La triste previsione è che (Mt. ro,3 6), c i n u n detto collegato si avvertono i seguaci di Gesù che potrebbero trovarsi a dover scegliere tra lui e la propria famiglia (Mt. ro,37-39; Le. 1 4,26 s.). Si pensa co­ munemente che questi detti di Gesù provengano da un'antica raccolta utilizzata come fonte dagli autori di Matteo e Luca. 1 Quale che sia la 11toria precedente dei detti, è probabile che essi siano stati conservati e diffusi nelle prime cerchie di seguaci di Gesù perché ne riflettevano le esperienze e le aspettative! In un altro detto attribuito a Gesù (Mc. q,8- 1 3; versioni parallele in Mt. 24,9 - 1 4; Le. 2 1 , 1 2- r 9) i seguaci sono avvisati che potranno essere interrogati davanti a «consigli>> (gr. synedria) e sinagoghe e chiamati a giudizio davanti a governatori e governanti a motivo della fede in Ge­ sù («a causa mia>>). Segue quindi il triste monito che «il fratello con­ segnerà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli si solleveranno contro i genitori e li faranno mettere a morte, e sarete odiati da tutti a causa del mio nome>>, Sembra che questo detto abbia di mira in parti­ colare la situazione dei cristiani giudei (solo i membri di una comuni­ tà giudaica potevano essere rinviati a giudizio davanti a sinagoghe), ma anche cristiani gentili potevano sentirsi toccati dall 'avvertimento che avrebbero potuto essere condotti davanti a funzionari del governo ed essere traditi da membri della loro stessa famiglia. Se riguardo al suo significato unico i primi seguaci di Gesù nutriva­ no il genere di profonde convinzioni che si riflettono un po' ovunque nelle fonti più antiche e se mettevano il loro zelo nel sostenere queste convinzioni tra persone di famiglia, non è difficile immaginare come potessero nascere tensioni. Gli accenni alle sofferenze «per causa mia [del mio nome]>> (ad es. Mc. I J ,9. I J) esprimono probabilmente la con­ cezione cristiana antica che la venerazione di Gesù era causa d'inimi­ cizia in famiglia e nella società, e che questo era il punto su cui sareb­ bero stati incalzati quando fossero stati chiamati in giudizio davanti al­ le autorità. Tra i cristiani gentili la perorazione della causa di Gesù si accompa­ gnava solitamente al rifiuto di prender parte a pratiche religiose tradiLa raccolta di detti in questione viene spesso chiamata >, nella speranza che i credenti possano quindi condurre «una vita tranquilla e serena>> (2, I s.). Sembra qui che i primi cristiani, atte­ nendosi a quella che era anche la prassi della tradizione giudaica del secondo tempio, fossero disponibili a presentare preghiere e rendimen­ ti di grazie per l'imperatore e altri funzionari governativi, ma che si distinguessero per rifiutarsi di considerare figure del genere destinata­ rie legittime di preghiera o di culto. Anche altri passi mostrano il palese intento di dare la migliore im­ pressione possibile a chi è al di fuori. Chi viene nominato a guidare la comunità deve soddisfare chiari requisiti personali ed essere ben con­ siderato da chi è all'esterno ( 1 Tim. J,I -7). Agli schiavi, ad esempio, si chiede di trattare con onore i padroni «così che non vengano bestem­ miati il nome di Dio e l 'insegnamento>> (6, I ). CONSEGUENZE P O LITICHE

Passiamo ora a considerare in breve le conseguenze «politiche>> della venerazione di Gesù per i primi cristiani, in particolare per ma­ no di governanti e altri che ricoprivano ruoli ufficiali analoghi.' An­ che a questo riguardo, come in molti altri casi, la più antica testimo­ nianza di prima mano è quella delle lettere di Paolo. L'accenno espli­ cito più antico a un conflitto con un regime politico si trova in 2 Cor. I I ,J 2, dove Paolo parla della sua fuga da Damasco per sottrarsi alla 1 Sul tema in generale la bibliografia è abbondante. Una raccolta molto utile di do­ cumenti non neotestamentari si trova in P. Guyot - R. Klein, Das Friihe Chris­ tentum bis zum Ende der Verfolgungen. Eine Dokumentation 1-11, Darmstadt 1 993; un'altra raccolta di materiali è J. Stevenson (ed.), A New Eusebius. Docu­ ments Illustrative of the History of the Church to A.D. 337, London 1 974.

Vivere e morire per Gesù

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cattura da parte di un funzionario del re Areta. ' Sembra che questa azione del re nabateo contro il Paolo da poco convertito sia stata cau­ sata dalla sua predicazione del vangelo cristiano! Come già si è fatto osservare, inoltre, nello stesso contesto Paolo afferma anche d'essere stato bastonato con verghe tre volte (2 Cor. 1 1 ,2 5 ), intendendo probabilmente arresti e punizioni da parte di au­ torità civili in qualcuna delle città romane in cui proclamò il vangelo. Il crimine di Paolo, come osserva C.K. Barrett riguardo a questo te­ sto, consisteva probabilmente nell'arrecare con la sua attività.3 Gli Atti degli Apostoli forniscono il racconto di diversi episodi drammatici in cui Paolo viene condotto da­ vanti alle autorità cittadine, e in un caso anche picchiato con bastoni e incarcerato (ad es. Atti I 6, 1 9-40). Gli Atti degli Apostoli riferiscono anche di altri episodi in cui i cristiani giudei caddero nelle mani di autorità politiche a motivo della loro visibilità come capi del nuovo movimento di Gesù. Sopra si è ac­ cennato alle vicende dei capi giudeocristiani di Gerusalemme arrestate dalle autorità del tempio (Atti 4, 1 - 22 e 5 , 1 7-42). In Atti 1 2, 1 - 5 si rac­ conta che re Erode (Agrippa 1) si mosse contro alcuni membri della chiesa di Gerusalemme, tra i quali Giacomo Zebedeo (uno dei dodici discepoli di Gesù nei vangeli), in seguito fatto giustiziare da Erode con la spada, e Simon Pietro, che Erode gettò in prigione. Per tornare alla testimonianza diretta di Paolo (e per !imitarci qui alle lettere solitamente ritenute senza dubbio di mano sua), egli scrisse la lettera ai Filippesi durante la sua prigionia (ad es. Fil. 1 ,7. I 2-26), giungendo a sollevare lo spettro della sua esecuzione (2, 1 7 s.). Anche l'interessante ancorché breve lettera a Filemone proviene da un Paolo in prigione. Secondo la tradizione cristiana antica, Paolo e Pietro fini­ rono con l'essere giustiziati a Roma, probabilmente su ordine dell'imI Non è del tutto chiaro se a quel tempo Damasco si trovasse sotto l'autorità di Areta o se l' «etnarca» di Areta stesse tentando di catturare Paolo mentre questi lasciava la città. Si può vedere il resoconto curiosamente diverso di Atti 9,23- 2 5 , secondo i l quale Paolo sfuggì a un complotto giudaico per ucciderlo. Per una pre­ sentazione della problematica storica v. i commentari - ad es. C.K. Barrett, A Commentary on the Second Epistle to the Corinthians, London 1973, 303 s. a In Gal. 1 , 1 7 Paolo afferma che dopo la conversione si recò in «Arabia» per poi tornare più tardi a Damasco. Per un esame esaustivo delle questioni in gioco si veda soprattutto M. Hengel - A.M. Schwemer, Pau! between Damascus and Ant­ ioch. The Unknown Years, London-Louisville 1 997. J Barrett, Second Epistle to the Corinthians, cit., 297·

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Problemi e orientamenti

peratore Nerone (sul pogrom di Nerone ci si soffermerà più avanti).1 Da un'altra fonte di tutt'altro orientamento, lo scrittore giudaico Flavio Giuseppe fornisce un resoconto della morte di un altro Giaco­ mo, il fratello di Gesù, per mano del sommo sacerdote Anano, che si dice abbia agito nel breve periodo compreso tra la morte del governa­ tore romano e l'arrivo del successore.1 A detta di Giuseppe, Anano convocò una sanhedrin davanti alla quale denunciò Giacomo per aver trasgredito la torà, facendolo poi giustiziare per lapidazione. Parrebbe tuttavia che, quantomeno nei primi decenni del movimen­ to cristiano, i credenti comuni corressero molto meno il pericolo d'es­ sere condotti davanti alle autorità politiche. Le lettere sicure di Paolo a credenti cristiani di diverse città romane, scritte tra il 50 e il 6o d.C. ca., non accennano al pericolo d'essere arrestati o di subire processi per la propria fede. Pare proprio che le tensioni assolutamente reali, che occasionalmente potevano comportare la minaccia di danni fisici, rientrassero tra quelle che qui indico come conseguenze «sociali>> an­ ziché > particolarmente rivelatrice sulle credenze e la rcligiosità cristiane antiche, in particolare riguardo al posto di Gesù nella fede e nella pratica cristiane antiche. ' QUESTIONI INTRODUTTIVE

Prima di passare al passo vero e proprio, sarà utile richiamare l'at­ tenzione su alcuni problemi introduttivi più rilevanti e sulle risposte più comunemente accettate. Per non farci mancare il tempo che richie­ de il testo stesso, è necessario affrontare un po' rapidamente questioni alle quali sono state dedicate molte pubblicazioni.' Inno?

La concezione oggi predominante negli studi neotestamentari, an­ che se non pare che sia mai stata coltivata prima degli inizi del xx se­ colo, è che Fil. 2,6- I I conservi (o provenga da) un antico «inno>> o cristiana, il cui luogo d'origine è il culto comuni­ ' Tento qui di servirmi ma anche di andare al di là dei miei studi precedenti sul passo: Jesus as Lordly Example in Philippians 2 :J - I I , in P. Richardson - ].C. Hurd (ed.), From]esus to Pau/. Studies in Honour of Francis Wright Beare, Water­ loo 1984, 1 1 3 - 1 26; Philippians 2:6-u, in M. Kiley (cd.), Prayer from Alexander to Constantine. A Criticai Anthology, London - New York 1 997, 23 5 -239. 2 Lo studio più approfondito sul passo è la ricerca di R.P. Martin, Carmen Chri­

sti. Philippians 2:5 - 1 I in Recent lnterpretation and in the Setting of Early Chris­ tian Worship (SNTSMS 4), Cambridge 1 967 ediz. riv. Grand Rapids 1 983, rist.

Downers Grave, 111. 1 997·

Un caso emblematico di venerazione antica di Gesù

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tario.' Secondo tale prospettiva Paolo inserì le parole di questa com­ posizione ionica nella sua lettera ai cristiani di Filippi considerandola un esaltante racconto dell 'umiliazione ed esaltazione di Gesù. La data probabile della lettera di Paolo ai Filippesi (intorno al 6o d.C. se fu scritta durante la sua prigionia a Roma, opinione predominante; forse pochi anni prima se, come altri suppone, venne scritta durante una ipotetica prigionia a Efeso) farebbe di questo passo l'esempio più an­ tico di composizione ionica cristiana tra quelli pervenuti. Altri testi antichi accennano al canto/recita di (probabilmente i salmi biblici, alcuni dei quali negli ambienti cristiani venivano spiegati in rapporto a Gesù) e di altre composizioni che esprimevano la primis­ sima religiosità cristiana. Si sente parlare anche di e (gr. odai pneumatikai), probabilmente testi di nuova compo­ sizione nelle prime cerchie cristiane. 2 La caratteristica più rilevante tra quelle che comunemente si pensa possano dimostrare la natura poetica di Fil. 2,6- I I è la formulazione molto densa e la struttura sintattica. Ci sarà modo di illustrare simili caratteristiche quando tra breve ci si occuperà dei particolari del pas­ so. Anche di diversi altri testi del Nuovo Testamento si pensa solita­ mente che rientrino in un simile genere ionico, ma ribadisco che que­ sto passo può essere l'esempio più antico pervenuto dai pochi pri­ missimi decenni del movimento cristiano nascente.3 Numerosi sono stati i tentativi di definire la struttura poetica spe­ cifica di questo componimento che si tende a considerare lirico. Si sono proposte due o tre ) e il nome >. Un'espressione di fede analoga s'incontra in 1 Pt. 3,2 I s. Per tornare al nostro passo di Filippesi e in particolare al v. 9, l'af­ fermazione che a Gesù è stato dato «il nome sopra ogni nome>> esige in sostanza che si pensi alla tradizionale e pia considerazione giudaica del nome sacro di Dio.' Probabilmente vi è qui inoltre un'altra eco di /s. 4 5 , I 8 - 2 5 . Nella versione di Isaia nei LXX, il kyrios la cui supre­ mazia dovrà essere evidente a tutti è Jhwh. L'acclamazione di Fil. 2, I I , kyrios Iesous christos («Gesù cristo/messia è [il l signore>>), precisa quindi il nome esaltato portato ora da GesÙ.2 Per quanto possa essere sorprendente, si deve pensare che Fil. 2,9 affermi che in qualche modo Dio ha dato a Gesù (da condividere?) il nome divino rappresentato in 1 Cf. ad es. E.E. Urbach, The Power of the Divine Name, in The Sages. Their Con­ cepts an d Beliefs, Cambridge 1 987, 1 24-1 34· a La documentazione manoscritta greca che mostri come il tetragramma fosse trattato nelle versioni bibliche giudaiche precristiane in greco sono estremamente frammentarie. Sembra tuttavia che nella maggior parte dei casi jhwh non fosse tradotto ma scritto in qualche modo particolare in forma di rispetto (ad esempio in caratteri ebraici). Testimonianze altrettanto chiare mostrano d'altra parte che nella lettura dei manoscritti biblici in greco e quando parlando ci si riferiva al Dio biblico i giudei osservanti erano soliti servirsi di un sostituto traduttorio, princi­ palmente kyrios, proprio come tra i pii lettori dei manoscritti biblici in ebraico aveva iniziato a svilupparsi la prassi di sostituire il nome divino con 'adonaj. Cf. ad esempio J.R. Royse, Philo, Kyrios, and the Tetragrammaton: The Studia Phi­ lonica Annual 3 ( 1 99 1 ) 1 67-1 8 J .

I IO

Problemi e orientamenti

greco da kyrios e in ebraico dal tetragramma. Come Nagata osserva: >, fornisce per così dire lo scenario del­ la scelta di Gesù di non considerare la parità con Dio qualcosa da sfrut­ tare a proprio vantaggio. 1 R.W. Hoover, The Harpagmos Enigma. A Philological Solution: Harvard Thco­ logical Review 64 ( 19 7 1 ) 9 5 - 1 1 9. a L'aoristo del verbo principale, ekenosen, e i participi delle proposizioni subor­ dinatcfmodali, labon e genomenos, significano che le azioni sono tutte al passato e interconnesse.

I I2

Problemi e orientamenti

Certo, è comprensibile che gli interpreti si mostrino attenti e anche molto interessati al significato che qui potrebbe avere «essere nella for­ ma di Dio••, ma non si dovrebbe trascurare che il tenore della frase la­ scia ben poco adito a speculazioni metafisiche. Tutto ciò che nella fra­ se è attribuito a Gesù non è il centro né la chiave di quanto vi si asse­ risce, ma piuttosto il contesto o lo scenario dell'autoumiliazione di Ge­ sù, che è il vero centro d'interesse dei vv . 6-8. Poiché inoltre il testo non fa in sostanza nulla per spiegare questa interessante espressione, si ha l'impressione che il significato di «essere nella forma di Dio» fosse dato per perspicuo e noto ai lettori a cui ci si rivolgeva. Ma come spiegare oggi la funzione dell'espressione? È da pensare che qui in qualche modo esalti il significa­ to della decisione di Gesù ? in tal caso si dovrebbe rendere la locuzio­ ne come (eikon theou), che nel racconto della creazione della Ge­ nesi è usata per caratterizzare Adamo ( 1 ,27). Chi sostiene questa con­ cezione tende a scorgere qui un'antitesi intenzionale e chiara fra Gesù e Adamo e a intendere Fil. 2,6-8 come espressione di una «cristologia adamica>> che si pensa fosse nota alle cerchie cristiane del primo seco­ lo e in particolare fosse caratteristica di Paolo. 1 La seconda opzione principale per il significato di «forma di Dio>> è che essa connoti qual­ che tipo di status e di posizione di Gesù simile a quello di Dio prece­ dentemente alla sua vita terrena - ossia una «preesistenza>> celeste. Se­ condo questa concezione la scelta di Gesù di «svuotare>> se stesso, che comporta prendere la «forma di schiavo» ed «essere nato in aspetto umano» (v. 7), dev'essere compresa come ciò che nella tradizione cri­ stiana posteriore è definito incarnazione, per mezzo della quale egli di­ venne la figura storica e autenticamente umana di Gesù di Nazaret. Quanti nei vv. 6-8 vedono un'allusione, più precisamente un'antite­ si con Adamo, spesso si chiedono anche se «essere nella forma di Dio>> indichi qui effettivamente la «preesistenza» celeste di Gesù, sot­ tolineando invece che è semplicemente un modo di presentare la condizione adamica di Gesù nella sua esistenza umana/ terrena. Secondo questa concezione i vv. 6 s. parlano della decisione del Gesù umano/terreno di intraprendere il cammino dell'umiltà c del­ l'obbedienza a Dio, mentre il suo rifiuto di considerare la parità con Dio come qualcosa da sfruttare a proprio vantaggio dev'essere consi­ derato in antitesi intenzionale al cedimento disobbediente di Adamo alla tentazione d'essere . 1 Perché le allusioni a un altro testo o alla tradizione orale funzionino - vale a dire perché i lettori/ascoltatori a cui si pensa colgano l'allusione - è necessario ri­ prendere o adattare qualcosa di ciò a cui si allude in modo che sia ri­ conoscibile quanto basta perché l'allusione sia notata. In Fil. 2,6-8, invece, non c'è una sola parola che provenga dal greco dei racconti ge­ nesiaci della creazione o della tentazione, fatta eccezione per la parola per , e questa non pare proprio una chiara allusione! L 'espressione utilizzata in Fil. 2,6 per parlare di ciò da cui Gesù scelse di non trarre vantaggio, l' «essere pari/uguale a Dio» (to einai isa theo), sembra fungere qui da modo alternativo per distinguere lo sta­ tus di Gesù prima della sua autoumiliazione, dove , (1 Cor. 8,6) esprima la convinzione che Gesù fosse in qualche modo agen1 Così anche, ad esempio, N agata, che interpreta morphe theou del v. 6 nel senso che «Cristo era vestito della forma divina» ed «era una figura divina>> (Philippians I:J-II, cit., 2o8- 2 r o). a Cf. la mia voce Pre-existence, i n Dictionary of Pau! and His Letters, cit., 743746: 744 (tr. it. r 192-r 198: r 1 94), con citazioni di testi. J Sulla «logica» di cui qui si parla si veda soprattutto N.A. Dahl, Christ, Crea­ tion, and the Church, in W.D. Davies - D. Daube (ed.), The Background of the New Testament and Its Eschatology, Cambridge 1 964, 422-443 .

II8

Problemi e orientamenti

te della creazione oltre che della redenzione. Sovente si vede quindi un'allusione più indiretta all'idea della preesistenza c all' di Gesù anche in 2 Cor. 8,9, dove ai suoi lettori Paolo dice che Gesù > nella religione giudaica del primo secolo, soprattutto (ma non solo) da parte di studiosi interessati alle origini della «cristologia alta>> e della venerazione prestata dai primi gruppi cristiani a Gesù in quanto figura divina. Nel mio One God, One Lord sottolineo come la fede re­ ligiosa giudaica del primo secolo nell'unicità di Dio sia il contesto fon­ damentale in cui considerare la venerazione cristiana antica di Cri­ sto.' Più in particolare, faccio osservare due caratteristiche della reli­ giosità giudaica antica: 1 . una straordinaria capacità di combinare un sentimento autentico dell'unicità di Dio con l'interesse per altre figu­ re dagli attributi trascendenti che vengono presentate in forme di mas­ sima esaltazione e che si possono definire figure di «agente principa­ le», talvolta assimilati anche a Dio, e 2. la manifestazione di scrupoli monoteistici, in particolare e soprattutto in occasioni pubbliche cul­ tuale e liturgiche. La disponibilità dei giudei antichi a far posto nei loro schemi con­ cettuali di sovranità di Dio a figure esaltate, soprattutto di .' Quando non si procede induttivamente è quasi inevitabile imporni sulla gloria divina (e sul nome divino) sono ceno importanti, ma le ragioni che Rowland adduce a favore di una biforcazione di Dio non mi convincono.; al ri­ guardo si veda la mia disamina in One God, One Lord, cit., 8 5 -90. Sulla gloria di­ vina si veda in pani colare C.C. Newman, Paul's Glory- Christology. Tradition and Rhetoric (NovTSup 69), Leiden 1 992 e cf. J.E. Fossum, The lmage of the lnvis­ ible God, Gi.ittingen-Freiburg 1995, I J s. 1 All'inizio del suo saggio, ad esempio, Hayman afferma: ,' a conferma del monoteismo giudaico e del rifiuto di immagini cultuali. Fra i testi non rabbinici di provenienza giudaica Cohon in­ contra proclamazioni dell'unicità di Dio negli Oracoli sibillini (3, 1 1 s . 5 4 5 - 5 6 1 ; cf. 4,27- 3 2; 5 , 1 72 - 1 76·493-500), nella Lettera di Ariste>.6 Marcus lascia Giuseppe fuori dal suo studio perché Adolf Schlattcr aveva già consacrato due pubblicazioni a un esame approfondito della lingua e dell'idea di Dio in Giuseppe, mostrandone il debito e la fcr S.S. Cohon, The Unity of God. A Study in Hellenistic and Rabbinic Theology: Hebrew Union College Annual 26 ( 1 9 5 5) 425-479. 2 Iudaei mente sola unumque numen intellegunt, Tacito, Storie 5 , 5 . citato in Co­ hon, The Unity of God, cit., 429 (tr. it. di M. Stefanoni). 3 Co ho n, The Unity of God, ci t., spec. 428-43 8 4 R. Marcus, Divine Names and Attributes in Hellenistic Jewish Literature: Pro­ ceedings of the American Academy for Jewish Rcsearch 1 9 3 r -p, 43- 1 20. 5 Marcus, op. cit. , spec. 47 s. 6 Op. cit. , 48. .

Il monoteismo giudaico del primo secolo

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deità nei confronti dell'insistenza giudaica sull'unicità c la sovranità del Dio d'Israele. ' Gli studi di Schlatter sono stati integrati da R.J.H. Shutt in un articolo che mira ad approfondire se i modi con cui Giu­ seppe parla di Dio e lo rappresenta «mostrino una sensibile influenza della lingua e della cultura greche>>! Pur riconoscendo che le espres­ sioni di Giuseppe tradiscono l'influenza di termini e idee non giudai­ che (ad esempio le allusioni al tipiche di testi giudaici greco-romani. 6 Si trat­ ta delle seguenti: r . espressioni che associano un titolo divino ad aggettivi come «uno», «soltanto», «unico», «solo» c simili; A. Schlatter, Wie sprach ]osephus von Gott? (BFCT rjr4), Gi.itersloh 1 9 1 0 c Die Theologie des judcntums nach dem Bericht des Josephus (BPCT 2/26), Gi.itcrsloh

1

1932· R.J.H. Shutt, The Concept of God in the Works of Flavius ]osephus: Journal of Jewish Studies 3 1 ( 1 98o) 1 7 r - I 87: I 72. 3 Shutt, op. cit, I 8 5 s. 4 H.J. Wicks, The Doctrine of Go d in the ]ewish Apocryphal an d Apocalyptic Lit­ erature, London I 9 I 5 . s P.A. Rainbow, Monotheism and Christology in I Corinthians 8:4-6, tesi d i dot­ torato, Oxford 1987. V. anche Idem, ]ewish Monotheism as the Matrix for New Testament Christology. A R eview Artide: Novum Testamentum 33 ( 1 99 1 ) 78-9 I , spec. 8 I -8 3 per u n rapido riepilogo dei dati emersi dalla sua tesi. 6 Rainbow, Monotheism and Christology, cit., spec. cap. 4· I duecento passi sono elencati nell'appendice r (pp. 228-2 86): provengono dall'Antico e dal Nuovo Te­ stamento, ma soprattutto da scritti giudaici non canonici, con citazioni meramen­ te esemplificative di Filone e Giuseppe. z

Definizioni e precisazioni

Dio monarca su tutto; 3· titolo divino associato a «vivente>> e/o «vero»; 4 · formule confessionali esplicite - «Jahvé è Dio>> e simili; 5 . negazioni esplicite di altri dei; 6. gloria divina non trasferibile; 7· Dio senza rivali; 8 . Dio incomparabile; 9· passi scritturistici (ad es. lo Shema') utilizzati come espressioni di monoteismo; e ro. restrizioni del culto all 'unico Dio.' Sarebbe noioso appesantire questa analisi con una grande quantit:ì di ulteriori rimandi ai testi primari, dal momento che gli studi qui ri­ epilogati espongono i dati con grande precisione e possono essere con­ sultati. È mia opinione che la retorica religiosa dei testi giudaici gre­ co-romani mostra che i giudei si consideravano monoteisti. Se la loro propensione a comprendere nelle loro credenze altri esseri celesti può dare problemi ad alcune aspettative moderne secondo cui il monotei­ smo «puro>> non dovrebbe prendere in considerazione esseri del ge­ nere (come lamentano Peter Hayman e Margaret Barker), il vero pro­ blema sta nell'imporre tali aspettative. Se ci si attiene al principio che qui si sostiene di ritenere monoteisti coloro che professano una fede del genere, allora i giudei dell'antichità dovrebbero essere considerati tipicamente monoteisti. Due sono gli argomenti o gli intenti maggiori che questa retorica monoteistica pare perseguire.' Primo, la volontà di affermare la so­ vranità universale di Dio, come mostrano con particolare frequenza 2.

1 Naturalmente si possono incontrare formule con «unico/solo dio>> anche in fonti > di Dio ben difficilmente dimostra che i giudei s'incon­ trassero per dare culto proprio ad Adamo.4 Quando Chester rinvia a Giuseppe e Asenet sembra ignorare la mia osservazione che l'angelo misterioso che compare ad Asenet in realtà rifiuta di accondiscendere al suo desiderio di offrirgli un atto di culto, il che fa pensare che la ri­ chiesta di Asenet debba essere considerata una malaccorta reazione pagana che viene corretta dall'angelo.5 Mach, Entwicklungsstadien des judischen Engelglaubens, cir., 2 9 1 - po. Per un approfondimento di questi divieti si veda il mio One God, One Lord, ci r . , 3 r s. Comunque si considerino i passi rabbinici, la loro recenziorità ne fa testi­ monianze dubbie per la religione giudaica del r secolo. Cf. lo studio estremamen­ te accurato di Stuckenbruck, Angel Veneration an d Christology, cir., p -7 5 . 3 A . Chester, ]ewish Messianic Expectations and Mediatorial Figures and Pauline Christology, in M. Hengel - U. Heckel (ed.), Paulus und das antikejudentum (WU NT 5 8), Tiibingcn 1 99 1 , 1 7-89, spec. 64. Chestcr non fornisce indicazioni pun· ruali, ma penso che siano questi i passi a cui egli allude. 4 Cf. D. Steenburg, The Worship of Adam and Christ as the lmage of God: Jour· nal for the Study of the New Testament 39 (1 990) 77-93. 5 Cf. One God, One Lord, cir . , 8 r . 84. r

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Il monoteismo giudaico del primo secolo

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Paul Rainbow h a indicato come possibile indizio d i culto degli an­ geli Pseudo- Filone r 3,6 (dove Dio dice: «La festa delle trombe sarà un'offerta per voi osservatori»), ma questo non è il modo più verisi­ mile d'intendere il passo, come mostra il traduttore nell'edizione di Charlesworth! 34,2, inoltre, chiarisce che l'autore considera il sacri­ ficio agli angeli (disobbedienti) una pratica vietata di maghi gentili! Né in realtà s'incontra in Filone qualche riprova convincente di pre­ ghiera o di culto presentati a figure diverse da Dio.3 In tempi più re­ centi Rainbow ha supposto che la lezione di Dan. 7, 1 3 s. nei LXX (wç TCcxÀcxtÒç YJ(J-Epwv [«Come antico di giorni»]; cf. ewç "rOU TCCXÀCXWU "rWV �(J-epwv [> di devozio­ ne e il «Gesù storico>>. Più precisamente, la venerazione straordinaria che nei primissimi decenni cristiani viene tanto presto riconosciuta a Gesù come «signore>>, in quale rapporto sta con gli atteggiamenti e i gesti di rispetto verso Gesù che caratterizzarono il periodo del suo ministero, prima della sua esecuzione e della comparsa della convin­ zione che Dio lo avesse reintegrato ed esaltato alla gloria dei cieli? Per Il capitolo è una versione leggermente riveduta del mio Homage to the Historical Jesus and Early Christian Devotion pubblicato nel Journal for the Study of the Historical Jesus 1 . 2 (2003) I J I - 1 46, qui ripreso per gentile concessione dei diret­ tori della rivista e della Sage Publications Ltd. 1 Da ultimo in Signore Gesù Cristo, cit. Tra le mie pubblicazioni precedenù si vedano in particolare The Binitarian Shape of Early Christian Worship, in New­ man-Davila-Lewis (ed.), The jewish Roots of Christological Monotheism, cit., 1 87-2 1 3; At the Origins of Christian Worship. The Context and Character of Ear­ liest Christian Devotion, Carlisle 1 999 - Grand Rapids 2000, spec. 63-97 e One God, One Lord, cit. Nei paragrafi che seguono riassumo risultati che sono stati esposti e argomentati con più completezza in quelle pubblicazioni. 1 Espressione classica della religionsgeschichtliche Schule riguardo alla venerazio­ ne di Gesù è, com'è noto, il celebre volume di W. Bousset, Kyrios Christos (1913, 192 1 ), cit. La traduzione inglese del 1 970 ha sia confermato sia ulteriormente fa­ vorito l'influenza duratura di quest'opera: Kyrios Christos. A History on the Be­ lief in Christ from the Beginnings of Christianity to Irenaeus, Nashville 1 970.

Definizioni e precisazioni

affrontare la questione è necessario precisare prima che cosa sia pos­ sibile affermare, e con quali garanzie, dei tipi di venerazione che po­ trebbero essere stati riconosciuti al Gesù «storico». DEFINIZIONI

Ma per amore di chiarezza e a evitare fraintendimenti, può essere utile far precedere i dati che qui verranno presi in esame dalla defini­ zione di pochi importanti termini e dire soltanto poco più della più antica venerazione cristiana di Gesù nei primi decenni successivi al suo ministero. Anzitutto mi servo del termine «venerazione» come parola ombrel­ lo per le concezioni onorifiche e gli atti di devozione che esprimono l'atteggiamento religioso dei primi cristiani verso Dio e Gesù. Ci si è più spesso interessati alla «cristologia>> di questo o quel testo o capo fau­ tore protocristiano, alle credenze riguardo a Gesù (ad esempio la sua morte redentrice, la risurrezione, la preesistenza) e ai termini lingui­ stici (ad esempio i noti «titoli» cristologici) e alle categorie concettuali che questi implicano. Penso che in tal senso la «cristologia» sia un sot­ toinsieme di fenomeni che esprimono la «venerazione» religiosa dci primi cristiani, mentre l'altro sottoinsieme fondamentale sono le loro «pratiche devozionali». Fra le pratiche devozionali delle primissime cerchie cristiane di cui si ha testimonianza nelle fonti superstiti s'incontrano cose come l'in­ vocazione del nome di Gesù in guarigioni ed esorcismi (ad es. Atti 3, 6; r 6, r 8), nel battesimo (ad es. Atti 2,3 8) e in altri atti che miravano a portare a effetto il potere divino (ad esempio il giudizio dell'uomo ac­ cusato di unione incestuosa in I Cor. 5 , 3 - 5 ).' In questi e altri atti che ho esaminato altrove, si riscontra una caratteristica significativa della ' In I Cor. 5 ,4, sia che si riferisca > di Dio che riflette la gloria divina, come il di Dio che in modo unico rappresenta e com­ pie la volontà di Dio, e come che è stato esaltato a una con­ dizione unica definibile esclusivamente in rapporto a Dio (ad es. «alla destra di Dio>>). Nondimeno ribadisco che sebbene Gesù sia definito in riferimento a Dio «padre>> c sia venerato come suo unico agente, a ragione la costellazione di atti devozionali che era tipica della prima pratica cristiana viene presentata come «venerazione>> di Gesù nell'ac­ cezione cultuale della parola. Nella misura in cui questo riepilogo risponde in sostanza al vero, s'impone da sé qualche problema storico fondamentale. 1 In particola, I casi su cui richiamo l'attenzione e la datazione dei testi che li documentano dif­ ficilmente potrebbero essere messi in discussione. ].D.G. Dunn e M. Casey, se­ condo i quali Gesù raggiunge una condizione pienamente divina nel primo cristia­ nesimo soltanto sul finire del r secolo (entrambi insistono sul cristianesimo giovan­ neo come contesto, pur appellandosi a spiegazioni contrastanti), sono di conse­ guenza riluttanti a presentare la venerazione riconosciuta a Gesù come «culto» prima di quei decenni più recenti, pur riconoscendo che ci si trova qui davanti a uno sviluppo di grande portata. Nel capitolo r (sopra, pp. 2 5 -43) ho spiegato per­ ché non trovo convincenti le loro argomentazioni.

Omaggio al Gesù storico e venerazione protocristiana

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re, come spiegare che cerchie cristiane dei primi pochi decenni, per­ meate dallo spirito monoteista abbastanza rigoroso della tradizione re­ ligiosa giudaica di età romana, affermassero tanto presto e con tanta in­ cisività questo tipo devozionale binitario ? Più propriamente, come spiegare che Gesù sia diventato il destinatario del tipo di venerazione che è attestata fin dai più antichi scritti cristiani pervenuti? Uno degli obiettivi importanti nella mia ricerca è stato d'individuare le forze e i fattori storici che possano spiegare un simile sviluppo. Uno dei fattori o delle forze cui mi richiamo è il ministero di Gesù, in particolare il suo effetto polarizzante. Qui non è possibile approfondire la questio­ ne, 1 ma in questo capitolo, come ho detto, intendo indagare una que­ stione affine, ossia quanto la venerazione di Gesù stia in continuità o discontinuità con le vicende del Gesù «storico>>. L A VENERAZIONE D I G E S Ù N E I VANGELI

A qualsiasi lettore dei vangeli canonici non può sfuggire che questi presentano spesso persone nell'atto di compiere gesti di ossequio/ri­ spetto nei confronti di GesÙ.2 Come per molti altri casi narrati in que1 Quattro sono le forze o i fattori principali da me individuati che concorsero a orientare e configurare la venerazione cristiana più antica come variante («muta­ zione>>) originale nel monoteismo giudaico: 1. la tradizione religiosa giudaica, so­ prattutto la sua fede monoteistica esclusivista e la funzione di figure presentate co­ me «agente principale» di Dio; 2. gli effetti del ministero di Gesù, in primo luogo la polarizzazione dell'opinione che ci si era fatta di lui, che si riflette nel seguito che egli raccolse e nell'ostilità implacabile che suscitò; 3· esperienze religiose vis­ sute come rivelatrici; e 4· l'interazione con l'ambiente religioso più generale. Al riguardo si veda in particolare il cap. r del mio Signore Gesù Cristo. 1 Mi limito qui a prendere in esame i quattro vangeli canonici per diversi mmivi. Con i più, penso anzitutto che questi testi siano precedenti ai vangeli extracano­ nici. I secondi (ad es. il Vangelo di Tommaso) possono certo riprendere qualche antica tradizione su Gesù come quelle testimoniate nei vangeli canonici, ma pen­ so che, in quanto produ:àoni letterarie, siano più recenti. Il secondo motivo è che i rapporti letterari dei vangeli canonici (quale che sia lo schema di precedenza e dipendenza tra di loro) unicamente agli aspetti che li accomunano e ai diversi mo­ menti salienti mostrano come questi testi tradiscano una discreta varietà fra i cristiani del primo secolo, i quali in ogni caso condividevano una gran quantità di tradizioni e credenze. Per ragioni diverse (tra queste l'antichità del loro uso e l'essersi imposti come resoconti privilegiati su Gesù), i vangeli canonici sembra­ no infine essere espressione di cerchie cristiane interessate alle tradizioni narrati­ ve su Gesù. Per questo è opportuno esaminare il rapporto tra la loro pratica de­ vozi o?ale e le occasioni di ossequio/omaggio riconosciuto a Gesù nei racconti ca­ _ noniCI.

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Definizioni e precisazioni

sti vangeli, la questione è tuttavia se e come si possano considerare que­ ste scene rivelatrici degli atteggiamenti che effettivamente venivano te­ nuti davanti al Gesù storico. Ciò significa che prima di chiedersi qua­ le continuità possa esservi stata fra qualsiasi gesto reverenziale nei con­ fronti del Gesù storico e la pratica devozionale del primissimo cristia­ nesimo, si impone la questione di quale tipo di gesti di rispetto o d i omaggio potesse essere fatto oggetto Gesù nei giorni del suo ministe­ ro. Come primo passo per giungere a una risposta è da prestare atten­ zione ai termini utilizzati nei vangeli per indicare i gesti di coloro che secondo i racconti prestano omaggio a Gesù. Il linguaggio d'omaggio dei vangeli

Sei sono le espressioni da prendere in considerazione, alcune delle quali sono usate in combinazione: r.pocrxuv�;i"v, r.ir.-r�;tv, 7tpocrr.t7t't€tv, r.pocrr.t7t'tEtv 'toi"ç y6vctcrtv, yovu7t€'tEi"v e -rt-8 Évctt 't'Ò: y6vct'tct. È possibile considerare anche le occorrenze di queste espressioni in altri scritti neo­ testamentari, che possono risultare utili per farsi un'idea migliore del loro significato nell'uso cristiano del primo secolo. ' Anzitutto è da no­ tare che esse indicano tutte i medesimi o molto simili gesti fisici di get­ tarsi a terra davanti a qualcuno (sulle ginocchia o prostrandosi comple­ tamente). È inoltre importante osservare che tutte queste parole rien­ trano nel lessico coevo di omaggio e rispetto e presentano i gesti effet­ tivamente e largamente in uso in diverse culture tradizionali per espri­ mere omaggio, rispetto e ossequio per una figura considerata superio­ re (umana o divina che sia) efo qualsiasi figura da cui si cerchi di otte­ nere favori o benefici importanti in circostanze di grande necessità. 2 yovu7tE'tEtv («cadere sulle ginocchia / cadere in avanti>>) è utilizzato soltanto poche volte in Matteo e Marco e mai altrove nel Nuovo Te­ stamento.3 In Matteo denota il gesto dell'uomo che prega Gesù di li' L'espressione xaiJ.7t't Et� yévu / 1:èl yovcntz, ancorché non utilizzata nei vangeli per l'omaggio a Gesù, compare anche nel lessico cultuale di altri testi cristiani del primo secolo (Rom. I I ,4; 1 4, 1 1 ; Ef J , I 4), compreso Fil. 2 , r o dove è un elemento della rappresentazione dell'omaggio e dell'acclamazione universali di Gesù come xupwç ( 1tav yow xaiJ-4-11 . . . xocÌ 1ti:rtz y Àw:r:rtz È�OiJ.OÀoyl'j:rlFtXt ). 2 Si vedano ad esempio le voci seguenti in H. Balz - G. Schneider (ed.), Diziona­ rio Esegetico del Nuovo Testamento, Brescia '2004: E. Palzkill, 1ti1t'tw, II 938-940; ].M. Niitzel, 7tpo:rxuvÉw, II u 6o - r r64; Idem, yévu, I 6 8 r s. (tutte con ulteriore bibliografia). l Anche nei LXX la parola non ricorre.

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berare i l figlio malato ( 1 7, 1 4); nel racconto marciano dell'uomo che si avvicina a Gesù per domandargli come ereditare la vita eterna ( r o, I 7). In Mc. I ,40, testualmente incerto, alcuni testimoni attribuiscono inol­ tre questa azione al lebbroso che chiede a Gesù di guarirlo. Matteo, infine, si serve del verbo per rendere l'ingiuria della derisione di Gesù da parte dei soldati di Pilato (27,29), preferendolo alla versione di Mar­ co, dove "':t.SÉ'I":e:ç -=:X y6wx.":o. T.pocre:xu'IOU\1 o.ù-=0 ( e ricorrono diverse volte in Marco e Luca per ge­ sti di ossequio nei confronti di Gesù: le due forme verbali sembrano essere pressoché intercambiabili. Le varianti r.ir.nt'llr.pocrr.t7t"t"Et'l o.ù-rcj) («cadere davanti a lui») e r.t7t"t"Et'l/rcpocrr.tT."t"Et'l r.pòçf7to.p:X -roùç r.oòo.ç o.ù­ -roù () indicano ad esempio i gesti compiuti da in­ demoniati (Mc. J , I I l Le. 8,28) e da altri che cercano di ottenere da Ge­ sù qualche favore o vogliono mostrargli rispetto (la donna guarita di Mc. 5,33 l Le. 8,47, la sirofenicia di Mc. 7,2 5 e Giairo in Mc. p2 l Le. 8,4 r ) . L'espressione 7tt 7t'tEt" i7tt r.pocrwr.o'l ( ) com­ pare nella rappresentazione della supplica che il lebbroso rivolge a Ge­ sù in Le. s , r 2, mentre Le. 1 7, I 6 riporta la descrizione abbastanza pleo­ nastica del gesto di gratitudine verso Gesù da parte del lebbroso sa­ maritano per essere stato guarito: E7tEcrE'I ir.ì ;rpocrwr.o'l rco.pà -=oÙç ;ro­ Òa.ç o.ù-roù e:ùxaptcr"':W'I (> a mo' d 'incoraggiamento nel­ la loro propria situazione. Soprattutto nel secondo episodio sul mare ( 1 4,22-33), è evidente che lungi dal limitarsi a raccontare un miracolo passato, Matteo «mette davanti agli occhi dell'assemblea [cristiana] la possibilità attuale d'incontrare il Signore che compie miracoli>>.3 Tan­ to la confessione cristiana che Matteo attribuisce ai discepoli quanto la connotazione della loro adorazione col verbo 7tporrxuvti:v concorro­ no a rendere la scena di 14,3 3 .4 Mentre Marco si serve di r.porrxuvti:v esclusivamente nelle due scene ironiche in cui Gesù è venerato dai demoni c dai suoi aguzzini e Luca lo utilizza soltanto per la venerazione riservata al Gesù risorto, Mat­ teo usa ripetutamente 7tporrxuve:i:v per l'omaggio reso al Gesù storico da discepoli e supplici (e da questi soltanto). Con quest'uso metodico del verbo, tuttavia, non solo scivola accidentalmente nel­ l'anacronismo, ma con r.porrxuve:!:v, usato sia per la «richiesta adoran­ te>> dei supplici (8,2; 9, 1 8; q,2 5; 20,20) sia per la rispettosa acclama­ zione di magi (2,2-1 1 ) e discepoli ( 1 4,33), rende manifesto il suo in­ tento di rendere questi racconti . 3 Op. cit. , 265. 4 Op. cit. , 266. s Op. cit. , 2 2 9.

L'ADORAZION E D E L GESÙ STORICO

E LA P R I MA VENERAZ I O N E CRI STIANA

Per tornare ora alla questione al centro di questo studio, che cosa si può concludere riguardo al rapporto fra la pratica devozionale prato­ cristiana c l'omaggio probabilmente riconosciuto al Gesù storico? Non sembra richiedere d'essere dimostrata l'affermazione che nel­ l'ambiente della società giudaica del primo secolo la profonda fedeltà al culto esclusivo dell'unico Dio c l'altrettanto profonda avversione per la deificazione di esseri umani fanno sì che sia molto improbabile che i seguaci di Gesù o i giudei che gli si rivolgevano per aiuto gli abbiano riconosciuto quello che ai loro occhi sarebbe equivalso a vcncrarlo «cultualmente>> in quanto divino. Anche se i gentili potevano trovarsi più a loro agio nel venerare figure umane come divine, chiunque aves­ se mai riconosciuto una venerazione di questo tipo a Gesù supplican­ dolo per i suoi poteri di guaritore ed esorcista sarebbe apparso ai giu­ dei mal consigliato. Nel contesto culturale di Gesù sarebbe stato certo del tutto adeguato rivolgere gesti di ossequio verso chiunque fosse sta­ to considerato un maestro rispettato o una fonte d'aiuto di cui si aves­ se disperato bisogno, ma la venerazione molto più profonda per Gesù tipica delle prime cerchie cristiane in tempi tanto sorprendentcmcntc precoci non era semplicemente il prolungamento del tipo di omaggio riconosciuto al Gesù storico c non può spiegarsi adeguatamente rifa­ cendosi al suo ministero. I Il tipo di venerazione che nelle lettere di Paolo viene già dato per noto c che trova conferma in tutto il Nuovo Testamento, in origine costituiva una grande e del tutto nuova >, o va­ riante, nella prassi monotcistica giudaica. Negli ambienti cristiani del primo secolo, nonostante fosse stata presto accolta l 'idea che Gesù giustamente condivida la gloria c lo status divini, una convinzione del genere costituiva un ulteriore c decisivo sviluppo al di là degli effetti del ministero terreno di Gesù. Come è inesatto circoscrivere la cre­ denza che il Gesù risorto condivida la gloria divina esclusivamente ad ambienti di un che si suppone particolare (alla ma­ niera di Wilhelm Boussct e di altri che più tardi si misero sulla sua I Cf. R.T. France, The Worship of jesus. A Neglected Factor in Christological Debate ?, in H.H. Rowdon (ed.), Christ the Lord. Studies in Christology Present­ ed to Donald Guthrie, Leiccstcr, UK 1982, 17-36 .

Omaggio al Gesù storico e venerazione protocristiana

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scia), così sarebbe semplicistico pensare che questa concezione esalta­ ta di Gesù sia sorta nel tempo del suo ministero terreno. In questo studio si è potuto vedere che l'insieme della documenta­ zione dei vangeli canonici, che fornisce il miglior accesso alle tradizio­ ni narrative più antiche, di fatto rafforza questa posizione. Gli evan­ gelisti, ciascuno a suo modo, distinguono tra il livello di riconoscimen­ to della condizione di Gesù tipica del tempo del suo ministero c quel­ lo che venne in ultimo espresso nel periodo postpasquale. In Marco questa distinzione viene forse esplicitata più distintamente, tutti i per­ sonaggi umani che intervengono nel racconto non riescono deplore­ volmente a cogliere il significato autentico di Gesù e la sua chiamata, e 7tFocrx.uvE� v ricorre soltanto in scene ironiche di ovazioni a Gesù. ' Come in Marco, anche in Luca l 'omaggio tributato a Gesù dai disce­ poli e da quanti lo supplicano è formulato in un linguaggio che nel contesto culturale di Gesù esprime il tipo di ossequio considerato ade­ guato per qualcuno di livello sociale superiore. Soltanto dopo la risur­ rezione di Gesù Luca esprime l'ossequio riconosciuto dai discepoli come qualcosa che pare essere effettivamente «culto>>. Anche in Gio­ vanni, se si eccettua l'episodio paradigmatico della guarigione del cieco nel cap. 9, con la sua presentazione più esplicita della persona di Gesù dal punto di vista della fede «postpasquale>>, l'autore di solito non ri­ trova nel suo racconto la pratica devozionale cristiana del tempo per il quale scriveva. In Matteo è d'altra parte tangibile il tentativo programmatico di ele­ vare l'omaggio riconosciuto al Gesù terreno. Certo, in Mt. 2 8, r 8 è il Gesù risorto a sostenere di aver ricevuto si serve del verbo, si i: davanti a quelli che si possono intendere soltanto come interventi re· dazionali intenzionali. Ma, merita ribadirlo, scopo di Matteo non era la semplice distorsione storica. L'evangelista, al contrario, mirava a i n ­ coraggiare i suoi lettori cristiani a identificarsi nei gesti di queste sce­ ne, e il risalto dato alla venerazione che si riconosceva a Gesù aveva !.1 funzione di rafforzare questa loro devozione. Ovviamente non si dovrebbero fraintendere queste scene come con­ ferma di una continuità diretta tra l'omaggio riconosciuto al Gesù sto­ rico e il culto delle cerchie cristiane postpasquali. Quest'ultimo costi­ tuisce un importante sviluppo posteriore al tempo del ministero di Gesù, che storicamente può spiegarsi soltanto facendo intervenire fat­ tori aggiuntivi, tra cui potenti esperienze di nuova «rivelazione>> che contribuirono allo straordinario «modello binitario» di devozione, ti­ pico del primissimo cristianesimo, c all'associazione senza precedenti di Gesù a Dio, tanto centrale nelle convinzioni di Matteo.' ' Cf. sotto, cap. 8 (pp. 1 96-222).

7· L'ostilità giudaica alla venerazione di Gesù

Alla fine del primo secolo, fra le questioni disputate tra cristiani (giu­ dei e gentili) e autorità religiose giudaiche era venuta a trovarsi in pri­ mo piano la venerazione cristiana di Gesù. 1 In particolare, oggi gene­ ralmente si conviene che il vangelo di Giovanni (ca. 90- r oo d.C.) è anche la testimonianza di un aspro conflitto sul finire del primo seco­ lo tra i cristiani giovannei e le autorità giudaiche riguardo a principi cri­ stologici, quantunque nel racconto di Giovanni questo conflitto sem­ bri essere tra «i giudei» e Gesù riguardo a quanto egli affermava di se stesso. Forse soprattutto per influenza dell'autorevole studio di J.L. Martyn, oggi normalmente si pensa che il vangelo di Giovanni rifletta una dura polemica tra le sinagoghe giudaiche e i cristiani giudei gio­ vannei, che (a un certo punto) sfociò nell'espulsione dei cristiani giu­ dei giovannei da queste sinagoghe (nel senso che questi cristiani giu­ dei vennero espulsi dalle loro comunità giudaiche)/ Col titolo Pre-70 C.E. ]ewish Opposition to Christ-Devotion, il capitolo è appar­ so nel Journal of Theological Studi es 50 ( 1 999) 3 5 - 5 8; qui è ripreso, in forma leg­ germente riveduta, per gentile concessione dei direttori della rivista e della Ox­ ford University Press. 1 È soprattutto in anni recenti che si è mostrato grande interesse per la separazio­ ne di «cristianesimo» e >, ed è connes­ sa con la rivendicazione di Gesù d'essere «fìglio di Dio>> ( I O,J6), affer­ mazione che i capi giudei interpretano come oltraggiosa rivendicazio­ ne di divinità da parte di Gesù ( «Pur essendo uomo, ti fai dio/Dio», 10,3 3). In 1 9,7 «i giudei» sostengono che facendosi «figlio di Dio» Ge­ sù si rende colpevole di violazione capitale della torà! Nei sinottici l'accusa di bestemmia compare in due scene: 1 . il perdono/guarigione del paralitico (Mc. 2,7; Mt. 9>3; Le. 5,2 1 ) e 2. la convocazione in giudi­ zio di Gesù davanti alle autorità giudaiche nel racconto della passione (Mc. 14,64; Mt. 26,6 5). Nella prima di queste scene dei sinottici la ba­ se del ragionamento degli scribi è che Gesù rivendica per sé una pre­ rogativa esclusiva di Dio (come esplicitano Mc. 2,7 e Le. 5,21 ) . Si è mol­ to vicini alle ragioni dell'accusa di bestemmia in Giovanni. Nei raccon­ ti del processo in Matteo e Marco i capi giudei si mostrano quindi in­ dignati perché le rivendicazioni di Gesù oltrepassano i limiti del ri­ spetto dovuto all'onore unico di Dio.3 Nei loro racconti del «proces­ so» di Gesù davanti alle autorità giudaiche si sottolineano inoltre co1 Sull'uso del vocabolo blasphemia e corradicali nel Nuovo Testamento cf. H.W. Beyer, �),:x:r?lì!J-ÉW x-;À., GLNT 11 279-290; O. Hofius, f� À:xcr?r.!J-t:X x-;) . , DENT I s So- 5 8 5 ; H. Warisch - C. Brown in Colin Brown (ed.), New International Dic­ tionary of Ne'w Testament Theology III, Grand Rapids 1978, 340- 3 4 5 . z L a maggior parte dei testimoni testuali conferma i n I O, J J theon senza articolo determinativo, ma la mano originale di tl"" ha ton theon. In 1 9,7 hyion theou è privo di articolo, ma è probabilmente da intendersi in rapporto alla connotazione cristologica che il titolo di figlio di Dio ha in Giovanni. Per un'accusa analoga ri­ volta a Gesù mossa da >, creando una scena che probabilmente mirava a prcfigurare le pratiche liturgiche dci lettori matteani.' Il Gesù risuscitato ottiene un simile atto di omaggio sia dalle donne alla tomba (28,9) sia, ancor più incisivamente, dagli undici discepoli nella scena conclusiva di Matteo (28, r 6-2o). Questo passo è fitto di in­ dizi che Gesù dev'essere ora considerato di significato e di status pari alla divinità e che l'omaggio che gli si riconosce equivale alla venera­ zione cultuale che si riserva a una figura divina. A Gesù è stata data autorità universale (v. 1 8) e ora egli sovrintende a una missione mon­ diale, esortando tutte le nazioni a seguire tutti i suoi insegnamenti c a farsi sue discepole tramite un rito d'iniziazione battesimale nel quale si invoca il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, nome che caratterizza tanto il rito quanto i suoi destinatari (vv. 1 9 s.). Semplici divergenze d'opinione c di pratica halakica paiono troppo poco per spiegare la frequenza e l'inclemenza palesi dell'ostilità testi­ moniata da Mattco, come spesso anche altri ha osscrvato.2 Soprattut, Confrontando la conclusione degli episodi in Matteo e Marco, ]. Kingsbury os­ serva che l'acclamazione di M t. 1 4,33 mostra come l eg o eimi di 14,27 sia una > (26,9). L'affermazione d i 26,1 1 , che cerca­ va di forzare i cristiani giudei a «bestemmiare>>, è probabilmente d a intendersi come riflesso dell'idea che ai cristiani giudei era chiesto d i ripudiare Gesù, forse anche di unirsi a maledirlo (come sembra im­ plicito in 1 3 ,4 5 ; 1 8,6), argomento su cui si tornerà più avanti, quando si prenderà in esame la testimonianza delle lettere di Paolo. 2 Dei cri­ stiani giudei che vengono puniti dalle autorità, negli Atti si dice che considerano la loro sofferenza «per amore del nome>> di Gesù ( 5 ,4 1 ). La venerazione di Gesù, con gli atti cultuali che lo riguardavano, pare stare al centro del conflitto con le autorità giudaiche, c la veemenza dell'ostilità fa pensare che questo tipo di devozione desse l'impressio­ ne di andare al di là della varietà abbastanza considerevole delle forme religiose giudaiche accettabili. È vero che solitamente il complesso di Luca-Atti è datato a pochi decenni dopo il periodo di cui si parla in questi passi, ma l'attribuzio­ ne a cristiani giudei di una predicazione e di una vita devozionale nel­ le quali in primo piano sta Gesù c l'immagine di un'ostilità giudaica intransigente nei riguardi delle rivendicazioni cristologiche giudeocri­ stiane c delle pratiche religiose orientate a Gesù, tutto concorda con gli echi delle esperienze dei cristiani giudei che s'incontrano in Mat­ teo. Sia in Luca-Atti sia in Matteo, dei cristiani giudei dci primi pochi anni del movimento cristiano si dice che praticavano una venerazione religiosa di Gesù la quale comportava che gli si attribuissero poteri c status strettamente associati a Dio. Tanto in Luca-Atti quanto in Mat­ teo, inoltre, le autorità religiose giudaiche reagiscono ai cristiani giu­ dei aspramente e contro il ruolo di Gesù nella loro predicazione e nel­ la loro pratica religiose. Questa convergenza di Luca-Atti e di Matteo 1 Ad es. Sal. 1 r6,17: «A te offrirò un sacrificio di lode e invocherò il nome del Si gnore». V. anche 1 1 6, 1 3 (LXX 1 1 5,4); Gen. 4,26; 1 2,8; 1 3,4; 2 1 ,3 3 ; 26,2 5; I Re r 8, 24. È da osservare che Gl. 3 , 5 , dove si promette la salvezza a tutti coloro che di Gesù davanti alle autorità giudaiche ( 1 4, 5 3-64), in particolare, merita d'essere ulteriormente ap­ profondito.3 Sorgono spontanee due osservazioni preliminari. L'ac­ cusa di bestemmia, anzitutto, nonostante all'inizio si accenni all'accu­ sa di distruzione del tempio ( 1 4, 5 7 s.), è evidentemente il punto cul­ minante della narrazione e la ragione addotta per la condanna a morte di Gesù ( 1 4,64). L'accusa di bestemmia, in secondo luogo, è la re­ azione immediata alle affermazioni oracolari di Gesù riguardo alla sua messianicità, alla figliolanza divina e al suo status trascendente («il Cri­ sto, il figlio del Benedetto>>, 1 4,6 1; il «figlio d eli 'uomo» esaltato alla de­ stra di Dio, che presiederà al trionfo escatologico, 14,62).4 Il resocon­ to del «processo» di Gesù davanti al sinedrio in Marco, in altre paro­ le, è tutto imperniato su questa controversia religiosa fondamentale. Queste rivendicazioni cristologiche o sono una violazione radicale 1 Per quanto i testi siano molto posteriori, s'incontrano anche accenni giudaici a procedenti contro giudei per aver sostenuto concezioni giudeocristiane e per aver mantenuto contatti con loro, probabilmente nel periodo di Jabne. Cf. ad es. R.T. Herford, Christianity in Talmud and Midrash, I 903 (Clifton, N.J. I 996), spec. I 37- I 4 5, sul procedimento contro r. Eliezer per minut. 2 Cf. ad es. R.A. Guelich, Mark 1-8:26 (Word Biblica! Commentary xxxlvA), Waco I 989, XXXI S . 3 Utile è soprattutto D . Juel, Messiah and Tempie. The Triai of]esus in the Gospel of Mark (SBLDS p ), Missoula, Mont. 1 977; J. Marcus, Mark 14:61: «Are You the Messiah-Son-of- God?•: Novum Testamenrum 3 I ( I 989) I 2 5 - I 4 1 . Cf. ].R. Donahue, Are You the Christ? The Trial Narrative in the Gospel of Mark (SBLDS 1 0), Missoula, Mont. I973· 4 Sulla cristologia di Marco v. J.D. Kingsbury, The Christology of Mark 's Gospel, cit.; J. Marcus, The Way of the Lord. Christological Exegesis of the O/d Testa­ ment in the Gospel of Mark, Louisville I 992, 3 7-40. 1 4 5 s.

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Definizioni e precisazioni

dell'onore di Dio, oppure sono vere.' Mi pare che ciò significhi che, come in Matteo, i primi lettori di Marco avrebbero visto nel processo del sinedrio una drammatizzazione e una prefigurazione vivide dei con­ flitti che conoscevano per esperienza personale (o per averne sentito parlare da altri), conflitti che vertevano sulla venerazione di Gesù e la sua condanna da parte delle autorità religiose giudaiche. Vi sono anzi diversi buoni indizi che tutto il racconto marciano del processo di Gesù davanti al consiglio, i rinnegamenti di Pietro nel cor­ tile e l'interrogatorio di Gesù davanti a Pilato mirassero a rispondere alle esperienze e agli interessi dei primi lettori di Marco.' In Marco i seguaci di Gesù sono chiamati a essere pronti a essere giustiziati per i l fatto d'essere discepoli di Gesù e vengono ammoniti a non rinnegare Gesù per salvare la vita (8,34-3 8). Mi pare sia anche assodato che Mc. 1 3 fornisce materiale fondamentale per farsi un'idea degli intenti del­ l'autore c delle esperienze e le prospettive dei lettori originari.3 Oltre ' E. Bickerman (Utilitas Crucis, in Studies in Jewish and Christian History 1 1 1 , Leiden 1986, 82- 1 3 8) pensa che in Mc. 14,64 con > in r Cor. 1 6,22 potrebbe a dire il vero essere una rispo­ sta all'anathema che si sapeva essere stato pronunciato su Gesù in am­ bienti giudaici non cristiani. 2 Questo modo ferocemente negativo di trattare Gesù si spiega nel modo migliore con l'ipotesi che la concezione altamente esaltata di Gesù propugnata e presupposta da Paolo fosse comune ai cristiani dci suoi tempi. In poche parole, anathema lesous è probabilmente la re­ azione giudaica indignata a quelle che erano considerate istanze cri­ stologiche blasfeme e ad atti di venerazione cultuale di Gesù conside­ rati affatto sconvenienti. Nei sinottici, compreso Marco, il più antico, s'incontrano chiare indi­ cazioni dei gravi conflitti sulla venerazione di Gesù tra i seguaci giu­ dei di Gesù c le autorità religiose giudaiche. Questi conflitti, che im­ plicano accuse di bestemmia e indizi di processi sinagogali, devono es­ sere datati non più tardi della composizione di questi testi. Le lettere di Paolo forniscono la testimonianza ancora precedente di un'accanita ostilità giudaica ai giudei cristiani nei primissimi decenni del movi­ mento cristiano, che consente di risalire fino agli energici tentativi di Paolo stesso di soffocare il movimento. Sembra che questa ostilità, sca­ tenata da difensori osservanti delle pratiche religiose giudaiche a cui I Si veda in particolare l'approfondita disamina di Neufeld, The Earliest Chris­ tian Confessions, cit., 63 s. z Cf. G. Bornkamm, The A nathema in Early Christian Lord's Supper Liturgy, in F:arly Christian Experience, London 1969, r 6 r - I 79·

L'ostilità giudaica alla venerazione di Gesù

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stava a cuore l'unicità d i Dio, fosse rivolta contro la venerazione di Ge­ sù da parte dci giudei cristiani, considerata uno sviluppo pericoloso. È tuttavia abbastanza probabile che nei primissimi decenni l 'ostili­ tà giudaica fosse dettata da più e diversi motivi. Sebbene, ad esempio, esaltare una grande figura del passato riconosciuta dalla tradizione giu­ daica, come Mosè, fosse ammissibile, riconoscere invece un trattamen­ to equivalente a Gesù, figura del tempo che da alcuni era considerata un falso maestro e che non godeva di un rispetto generalizzato al di fuo­ ri della cerchia dci suoi seguaci, sarebbe sembrato insensato e ingiurio­ so, tanto più che questi seguaci mettevano Gesù addirittura al di so­ pra delle grandi figure del passato d'Israele. Si dovettero udire urla di indignazione, forse addirittura grida di «bestemmia>>. Ma quantomeno per alcuni giudei osservanti l'oltraggio era anche più grave. Le istanze cristologiche espresse nei passi ncotestamentari che si sono esaminati fanno pensare che nella vita devozionale di mol­ ti cristiani della prima ora Gesù godesse di uno status di tipo divino, e che le loro pratiche devozionali, in aggiunta alle istanze cristologiche dci primi giudei cristiani, avrebbero gettato benzina sul fuoco. Agli es­ seri mortali, soprattutto ai «grandi>> della tradizione biblica, si pote­ vano attribuire titoli altamente onorifici, ma solitamente i giudei rigo­ rosi evitavano di aggiungere alla retorica onorifica l'aperta venerazio­ ne cultuale di queste grandi figure. Già nei primi anni, invece, i cre­ denti cristiani (ancora principalmente giudei cristiani) misero Gesù insieme a Dio al centro della loro vita devozionale, pratiche di culto comprese, e ciò avrebbe fatto sì che la loro venerazione sembrasse non soltanto sconveniente bensì pericolosa per l'integrità religiosa del giudaismo in generale. In questi casi l'imputazione di > equivaleva all'accusa di violazione dell'unicità di Dio, l 'insegnamento più importante della torà fra i giudei osservanti di età romana. Le violenti iniziative di Saulo di Tarso, ad esempio, potevano essere state suscitate dalla convinzione che la venerazione di Gesù fosse già in sé una grave trasgressione e anche un possibile invito per altri giudei a intraprendere passi simili con altre figure di agenti divini. Quali che fossero gli intenti dei giudei cristiani la cui venerazione di Gesù suscitò l'ostilità di cui si è discusso, è possibile che gli avver­ sari religiosi giudei abbiano intuito prima c più chiaramente degli stes­ si devoti giudei di Gesù che la loro venerazione era una non da poco nella pratica monoteistica giudaica.

8 . Esperienza religiosa e innovazione religiosa

nel Nuovo Testamento

Non vi è dubbio che il primissimo cristianesimo si distingue per una ricca e assortita varietà di esperienze religiose, che vanno senza discon­ tinuità da tipi tranquilli e interiori a quelli spettacolari ed esteriori. La retorica del Nuovo Testamento attribuisce tutte queste esperienze re­ ligiose cristiane allo Spirito di Dio, lo «Spirito santo>>. Il successo del primo cristianesimo e la sua forza d'attrazione come la sua attendibi­ lità agli occhi dei convertiti sembrano essere stati molto strettamente connessi alla sua capacità di offrire esperienze religiose corrispondenti alla sua retorica d'essere «beneficiati di doni», , come visioni e ispirazione profetica, furono un fattore storico impor­ tante nella nascita di concezioni, credenze e pratiche devozionali in­ novative del primo periodo cristiano, io stesso ho fatto esperienza di quanto alcuni studiosi siano refrattari ad accogliere questa prospetti­ va! Paul Rainbow, ad esempio, respinge la mia ipotesi sostenendo che le esperienze religiose possono soltanto confermare credenze e con­ vinzioni provate in precedenza e che in se stesse esse non sono fattori causativi all'origine di credenze e pratiche devozionali nuove o modi­ ficate.3 Per menzionare un altro caso, un giudice anonimo di una del­ le mie domande di sovvenzione alla ricerca in Canada ha definito «pro­ blcmatica» la mia opinione che vi siano esperienze religiose che con­ tribuiscono a produrre modificazioni nei sistemi di fede, sostenendo al contrario che «simili esperienze religiose sono esse stesse generate da cambiamenti socio-religiosi, così che fungono da strumenti di le­ gittimazione per facilitare il passaggio dal vecchio al nuovo>>, c prose­ guiva affermando che ha quindi più senso «indagare la situazione so­ ciale e culturale rispetto alla quale simili esperienze soprannaturali potrebbero essere considerate delle risposte». Restando fedele alla mia prospettiva «problematica>>, non mi trovo tuttavia solo. Un eminente studioso del Nuovo Testamento (Dunn) fornisce un elenco delle propensioni che potrebbero indebitamente ' Minneapolis 1 998. Cf. il mio One God, One Lord, cit., spec. r 1 7- 1 22 e anche il dialogo con critici della mia prospettiva in Christ-Devotion in the First Two Centuries. Reflections and a Proposal: Toronto Journal of Theology 1 2 ( 1 996) 17-33 (spcc. 2 5 s.). 3 Rainbow, ]e wish Monotheism, cit., spec. 86 s. 2

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Definizioni e precisazioni

influenzare la nostra concezione dell'esperienza religiosa e mette in guardia dallo «svalutare la forza creatrice dell'esperienza religiosa». Prendendo Paolo come esempio importante, Dunn sottolinea che ol­ tre a riconoscere «il debito di Paolo nei confronti sia dei giudei sia dei greci per gran parte del suo linguaggio e delle sue concezioni••, non si deve trascurare . I Nella sua rassegna della ricerca sulle espe­ rienze mistiche, Philip Almond fa osservare che c'è un nesso tra la na­ tura dell'esperienza religiosa personale c «il contenuto che la infor­ ma», c sottolinea anche che non si dovrebbero respingere > ! Ovviamente quanti possono essersi considerati al­ la ricerca di riforme o di innovazioni all'interno della propria tradi ­ zione religiosa - c quindi possono essere visti come figure di «fonda­ tori minori>> - possono essere respinti tanto fermamente dalla tradizio­ ne che le loro innovazioni hanno dato origine a nuove tradizioni rel i­ giose. Probabilmente questo è il modo in cui si dovrà intendere il pro­ cesso col quale le rivelazioni più antiche riguardanti Gesù sfociarono in ciò che si presentò come nuova religione, il cristianesimo. Per riepilogare quanto fin qui si è andati dicendo, spero di aver mo­ strato che sono preconcetti ideologici o presupposti non adeguata­ mente approfonditi a impedire di prendere sul serio l'idea che si diano esperienze religiose di rivelazione che possono contribuire diretta­ mente a innovazioni religiose, talvolta anche a innovazioni abbastan­ za significative. Studiosi sia delle religioni sia delle scienze sociali con­ dividono questa opinione che si fonda su esempi storici e sullo studio empirico di sviluppi religiosi recenti e contemporanei. Ciò significa ' Mullins, Christianity as a New Religion, cit., 265. Mullins cita qui Werner Stark, The Sociology of Religion. A Study of Christendom IV, New York 1 970, 84. 2 Mullins, ibid. È interessante osservare che Anthony Blasi si è servito della cate­ goria di per l'apostolo Paolo; cf. Blasi, Making Charisma. The Social Construction of Paul's Public Image, New Brunswick, N.J. 1 99 1 , 1 4 s., cit. i n Mullins. Cf. M . Robinson Waldman - R.M. Braun, Innovation as Reno­ vation. The «Prophet» as an Agent of Social Change, in M.A. Williams - C. Cox - M.S. Jaffe (ed.), lnnovation in Religious Traditions, Berlin - New York 1992, 241-284.

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che attribuire a potenti esperienze religiose di rivelazione l'efficacia di produrre innovazioni religiose significative non è una stravaganza. Gli studiosi di scienze sociali hanno anche costruito modelli per spie­ gare i principi secondo cui le rivelazioni portano a innovazioni reli­ giose, che a loro volta possono fungere da base a nuovi movimenti reli­ giosi interni alle tradizioni o anche a nuove religioni. ESPERIENZA RELIG I O SA E INNOVAZIONE NEL NUOVO TESTAMENTO

In ciò che resta del capitolo intendo approfondire ulteriormente gli indizi che lasciano pensare come vi siano state esperienze di rivelazio­ ne che contribuirono in modo determinante alle importanti innova­ zioni religiose che distinguono il primo cristianesimo. Non è possibi­ le né necessario tentare qui qualcosa che si avvicini a una trattazione esaustiva della documentazione pertinente. Ci si limiterà a prendere in considerazione un'innovazione religiosa specifica che è senza dub­ bio peculiare del primo cristianesimo - la profondità della venerazio­ ne di Gesù - e osservazioni fondamentali del Nuovo Testamento se­ condo cui le esperienze di rivelazione concorsero in misura decisiva al­ la nascita di questa grande innovazione. Come sopra si è accennato, altrove mi sono interessato all'evidente straordinarietà di questa inno­ vazione, mostrando come uno dci fattori causativi determinanti pri­ mari che vi contribuirono debba essere visto in potenti esperienze re­ ligiose di rivelazione. ' Qui tenterò di corroborare la mia argomenta­ zione approfondendo più da vicino la documentazione relativa a espe­ rienze del genere. Ai nostri fini il primo gradino del fenomeno che ci accingiamo a in­ vestigare è la comparsa della convinzione che il Gesù crocifisso fosse stato suscitato dalla morte ed esaltato alla gloria c al dominio celasti. Questa convinzione compare già nei più antichi scritti cristiani perve­ nuti, e in queste fonti la convinzione è già considerata tradizione sa­ cra risalente ai momenti originari del movimento cristiano. Questa convinzione, inoltre, è attribuita in primo luogo alle esperienze di persone che incontrarono il Cristo risorto e glorificato. In r Cor. q , I - I 1 , in una lettera scritta nei primi anni 50 d.C. (ven' Cf. One Lord, One God, cit., spec. 9 3 - 1 2 8 sulla (v. 4). Segue una serie d i apparizioni del risorto a diverse persone, e solitamente s i conviene che queste apparizioni sono qui elencate a riprova della convinzione tradizionale che Gesù venne risuscitato. Nel contesto generale di 1 Cor. 1 5 Paolo sostiene la realtà di una risurrezione futura degli eletti c lo fa associando questa speranza all'affermazione che Gesù è già stato risuscitato, facendo così della risurrezione di Gesù la dimostrazione che i morti devono essere risuscitati. Considerando che si dipende dalla risurrezione di Gesù a tal punto, la serie di apparizioni del risor­ to deve quindi essere stata intesa come testimonianza a sostegno del ­ l'affermazione che Gesù è stato effettivamente risuscitato. Non s i fa parola di una tomba vuota. Si andrebbe al di là di quel che il passo consente, affermare che Paolo conosceva o meno la tradizione della tomba, ma, conoscesse o no tali racconti, è evidente che nella tradi­ zione da lui appresa e che circolava nelle sue chiese le basi fondamen­ tali della fede che Dio avesse risuscitato Gesù da morte erano le appa­ rizioni del risorto. Queste apparizioni devono essere state tali da fornire un contributo importante alle convinzioni specifiche che se ne trassero. Queste con ­ vinzioni non erano che Gesù fosse in qualche modo sopravvissuto al­ la morte per la sua forza eroica, che la sua memoria e la sua influenza continuassero a essere fonte d'ispirazione tra i suoi seguaci, che fosse stato risuscitato alla vita mortale, o fosse stato celebrato come martire in cielo, o questa o quella tra le concezioni più comuni di sopravvi­ venza dopo la morte di capi eroici e amati che si incontrano fra i lo­ ro seguaci. Tutto fa pensare che tra le prime convinzioni ci fosse che r. Dio ha liberato Gesù dalla morte, così che è Gesù che davvero vive, non semplicemente la sua memoria o la sua influenza; 2. questo atto divino implica che a Gesù è attribuita eccezionalmente una nuova for­ ma gloriosa di esistenza, un'esistenza corporea immortale ed escato­ logica che lo distingue da qualsiasi eletto, compresi anche antenati ve­ nerati come Mosè, Abramo ed Elia, i quali attendono tutti la risurre­ zione all'ultimo giorno; 3 · Gesù è anche stato esaltato a uno status ce­ leste senza paragoni, preposto per nomina divina a tutto il program­ ma di redenzione; e 4· ora i suoi seguaci hanno ricevuto da Dio l 'inca­ rico di proclamare lo status esaltato di Gesù e di chiamare a ricono-

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scere nella sua risurrezione e nella sua esaltazione il segno che è arri­ vato il momento escatologico della redenzione. I Se si devono consi­ derare le apparizioni del risorto decisive per la comparsa delle creden­ ze cristiane più antiche, queste esperienze devono avere comportato elementi insoliti e specifici che contribuirono a dar forma alle convin­ zioni senza precedenti che distinguono la proclamazione cristiana più antica. In altre parole, queste esperienze comportavano probabilmen­ te la sensazione di essere stati avvicinati da una figura riconosciuta co­ me Gesù, fornita di caratteristiche che facevano capire a chi le viveva che egli era stato rivestito di gloria divina e gli era stata riconosciuta esaltazione celeste. Sostengo che si debba pensare che le apparizioni del risorto abbia­ no efficacemente contribuito a queste convinzioni non soltanto per­ ché gli scrittori del Nuovo Testamento lo affermano, ma perché la ri­ cerca storica mostra chiaramente che queste convinzioni non hanno precedenti e palesemente non sono state ricavate dalla matrice religio­ sa del primo movimento cristiano. Al contrario, queste convinzioni rappresentavano un'innovazione nella fede religiosa. Le tradizioni più antiche attribuiscono l'innovazione a potenti esperienze percepite da chi le sperimentò come apparizioni del Cristo risorto. Non vi sono motivi storici per attribuire le convinzioni innovative a qualche altra fonte, e si è visto su quali basi la ricerca consideri che vi sono espe­ rienze «di rivelazione>> che possono portare a nuove convinzioni reli­ giose. Anche quando si preferisca pensare che queste esperienze siano allucinatorie, proiezioni di processi mentali di chi le ebbe a vivere o anche atti di Dio, tutto spinge a considerarle momenti storici all'ori­ gine delle convinzioni cristologiche che vi sono connesse. In quanto fonti storiche i racconti di queste apparizioni del Gesù ri­ sorto nei vangeli sono più recenti delle lettere di Paolo c come si sa po­ steriori di decenni al tempo delle esperienze che dichiarano di raccon­ tare, e probabilmente sono il risultato di una storia della tradizione e degli interessi e degli intenti particolari dei singoli autori. Questi rac­ conti, in sostanza, paiono interessati a sostenere la continuità del GeI A illustrazione di queste convinzioni si veda ad esempio l'antico sommario di convinzioni cristiane in 1 Tess. 1 ,9 s., dove la risurrezione di Gesù è associata alla redenzione escatologica. Cf. anche, per esempio, Atti .z,p-36; J , I J - 2 r ; 4, 1 0- 1 2. Sebbene i discorsi degli Atti siano opera dell'autore, l 'intento retorico che essi perseguivano richiedeva che si desse voce ai temi che i lettori cristiani avrebbero riconosciuto come tradizionali.

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sù incontrato nelle apparizioni col Gesù morto. In altri termini, sareb­ be semplicistico insistere troppo sui dettagli di questi racconti evan­ gelici come base per la ricostruzione di ciò che effettivamente fu (3, I 6 - 1 8). E allo stesso modo, quan­ do poche righe dopo parla di Dio che ha brillato >, è del tutto possibile che egli si rifaccia alla propria esperienza di improvvisa e potente illuminazione, la cristofania che da persecu­ tore lo trasformò in seguace. Se così stanno le cose, penso allora che l'esperienza di rivelazione di Paolo sia consistita nella visione di Gesù in una forma gloriosa per­ cepita da Paolo come manifestazione della gloria divina che si ferma su (o si riflette in) Gesù. Poiché le esperienze religiose di rivelazione sembrano essere in qualche modo condizionate dalle tradizioni reli­ giose e culturali di chi le vive, è plausibile che la rivelazione di Paolo possa essere stata influenzata dalla tradizione biblica della gloria di Per un'agevole presentazione di tutta la problematica si veda R.E. Brown, The Virginal Conception and Bodily Resurrection of jesus, Ncw York 1 973, 78 - 1 29 (tr. it. La concezione verginale e la risurrezione corporea di Gesù, Brescia 1 977· z Cf. il mio Convert, Apostate, or Apostle to the Nations?, cit. r

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Dio che si manifesta come luce splendente e che lo status glorioso di Gesù sia stato forse sperimentato da Paolo come visione di Cristo vi­ sto in forma radiosa. I Non è tuttavia necessario tentare di recuperare i particolari visivi dell'esperienza di Paolo. Importante e innegabile è che Paolo abbia abbracciato la fede cristiana, abbia cambiato abba­ stanza repentinamente convinzioni religiose, spinto da una potente esperienza religiosa che egli intese come rivelazione divina. Nel caso di Paolo, come sopra si è osservato, il contenuto cogniti­ vo dell'esperienza sulla strada di Damasco non era del tutto nuovo, in particolare veniva in parte a coincidere con le convinzioni cristologi­ che dei primi giudei cristiani e probabilmente rifletteva le rivendica­ zioni cristologiche che un tempo avevano provocato la determinazio­ ne di Paolo a contrastare il movimento cristiano tra i giudei. Ma per Paolo giungere a considerare valide queste rivendicazioni cristologi­ che, vedere Gesù come ; «confes­ sione>> (homologein) rituale di Gesù in forme onorifiche; profezia pro­ ferita nel nome di Gesù o anche come suo spirito o sua voce. 2 Mi ' è di conforto che le molte recensioni a questo libro e i diversi studi che hanno interagito con le mie concezioni sostanzialmente concordino • Cf. One God, One Lord, ci t., spec. I 7-92. Per «piena venerazione cultuale» in­ tendo pratiche devozionali pubbliche, comunitarie, che sono intese come adora­ zione ejo che coinvolgono la figura in modi altrimenti riservati a Dio (ad esempio preghiere, inni, ecc.). Si tiene quindi distinta questa venerazione o culto pubblico, comunitario dalle invocazioni più riservate e private di diversi nomi ed esseri, in­ vocazioni tipiche di forme «magiche>> come gli amuleti, per i quali, come si sa, non mancano esempi giudaici. 2 Cf. One God, One Lord, cit., roo- r 14.

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sul fatto che la venerazione cultuale riconosciuta a Cristo non ha pa­ ralleli nella tradizione giudaica del tempo. I Ma che cosa potrebbe avere suggerito una simile radicale innova­ zione nei principi e nelle pratiche devozionali che i primissimi gruppi cristiani ereditarono dalla tradizione giudaica? Per precisare un po' la domanda, che cosa potrebbe aver spinto giudei attaccati alla propria tradizione religiosa a sentirsi liberi di offrire a Gesù il tipo di venera­ zione cultuale senza paralleli che era tipico della pratica religiosa pro­ tocristiana? Se si considera che associando un'altra figura alla venera­ zione cultuale dovuta a Dio essi si mantenevano chiaramente ligi al principio di non contravvenire all'unicità del Dio d'Israele, a mio pa­ rere non resta che pensare che questi membri del primo movimento cristiano tra i quali fece la sua comparsa la venerazione cultuale di Ge­ sù nei termini che ho esposto devono essersi sentiti spinti da Dio a ve­ nerare Gesù in modi altrimenti riservati a Dio soltanto. I primi cristia­ ni, d'altro canto, erano più interessati a proclamare il significato di Ge­ sù e a esprimere la venerazione che avevano per lui che a spiegare co­ me fossero giunti alle convinzioni che li spingevano a comportarsi co­ sì. Non mancano tuttavia indizi che fin dai primissimi anni del movi­ mento cristiano ci fu chi ebbe a sperimentare quelle che erano conside­ rate rivelazioni inviate da Dio, dalle quali si traeva la sensazione che la risposta e l'obbedienza che si dovevano a Dio richiedevano che Ge­ sù fosse venerato cultualmente. Oltre ai cenni di Paolo alla sua personale esperienza di rivelazione di Gesù circonfuso di gloria divina, si possono addurre a conferma di ciò anche altri passi neotestamentari. Nel racconto di Atti 7, Stefano in martirio vede la «gloria di Dio e Gesù che sta in piedi alla destra di Dio» (vv. 5 5 s.). La reazione adirata dei correligionari giudei che esplode quando Stefano riferisce questa visione (v. 5 8), fa pensare che i suoi contenuti apparissero loro una violazione blasfema dell'unicità di Dio. I particolari del racconto possono certo essere responsabilità dell'autore degli Atti e non il resoconto preciso degli eventi storici I Segnalo in particolare due importanti studi in cui si riconosce che la venerazio­ ne cultuale di Gesù è un fenomeno sostanzialmente diverso dal trattamento revc­ rcnziale di angeli in ambienti giudaici, pur sostenendo entrambi che questo fosse una caratteristica significativa della vita religiosa di tali ambienti: L.T. Stucken­ bruck, Angel Veneration and Christology, cit.; C.E. Arnold, The Colossian Syn­ cretism, cit. Con altri recensori e critici mi sono confrontato nel saggio che qui costituisce il capitolo 5 (sopra, pp. 1 27- 1 50).

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che il passo pretende di presentare, ma anche in tal caso la scelta più logica è supporre che il racconto rifletta resoconti di reali esperienze visionarie di cristiani. Se l'autore si augurava che i suoi primi lettori cristiani ritenessero credibile il racconto, è probabile che avrebbe pre­ sentato il tipo di esperienze di cui i suoi lettori avevano sentito parla­ re e che erano preparati a prendere sul serio. La visione di Stefano può essere quindi considerata quantomeno un riflesso indiretto del tipo d i esperienze visionarie di cui s i parlava tra i primi cristiani e che erano sentite come rivelazione divina dello status esaltato di Gesù e degli onori cultuali che gli si dovevano. N ella visione di Stefano Gesù è visto nella gloria celeste c sta in pie­ di accanto a Dio, il che a sua volta fa pensare al suo status privilegiato e approvato da Dio di plenipotenziario divino. Subito dopo si parla di Stefano che prega il Gesù celeste (vv. 59 s.), proprio il genere di vene­ razione propriamente cultuale che la tradizione giudaica riserva a Dio. Penso che la collocazione della visione del Gesù glorificato e l'atto devozionale cultuale contenuto in questo passo riflettano l'associazio­ ne originaria dei due aspetti e anche l'influenza che simili esperienze di visione ebbero nella nascita della pratica devozionale «binitaria>> del primo movimento cristiano. In questa la preghiera e altri atti cul­ tuali erano rivolti a Gesù e insieme a Dio in risposta all'esaltazione di­ vina di Gesù alla gloria celeste.' Solitamente si pensa che il racconto della «trasfigurazione>> di Gesù (Mc. 9,2-8; Mt. 1 7, 1 -8; Le. 9,28-36), pur collocato nel ministero terre­ no di Gesù, possa riflettere le visioni sperimentate dalle cerchie cri­ stiane «postpasquali>> . Quale che sia la storia della tradizione dell'epi­ sodio, è probabile che i primi lettori cristiani avrebbero considerato la rappresentazione del Gesù trasfigurato, splendente di luce divina, con­ gruente col tipo di visioni di rivelazione del Gesù risorto e celeste di cui si parlava tra loro. Mi sembra anzi probabile che gli autori dei' van­ geli (e i cristiani che prima di loro possono aver dato forma all'episo­ dio) volessero che il racconto fosse letto, e in un certo senso trovasse forse conferma, alla luce delle esperienze religiose di rivelazione del Gesù glorificato di cui dà testimonianza la prima tradizione cristiana. È da osservare, ad esempio, che l'acclamazione universale di Gesù > di Qumran a quelle di Muhammad, Baha'ullah, Guru Nanak e altri documentati in studi storici e di scienze sociali),' ma sembra esservi una sufficiente affinità fenomenologica negli effetti che esperienze del I Tra i passi biblici precrisliani fondamenlali che lestimoniavano e suscitavano lradizioni su esseri celesti del genere con i loro compiti lilurgici, figurano com'è now Ez. 1 ,4-28; fs. 6, 1 - 5 ; Dan. 7,9 s. 2 Ohre a quesli esempi si veda anche lo slUdio dci movimemi crisliani giapponesi nalivi di Mullins, Christianity as a New Religion e dei movimcnli di nalivi ameri­ cani come la pe­ culiare e di grande significato nella venerazione monoteistica giudaica.

Epilogo

Nei capitoli che precedono ho curato anzitutto di mettere in evidenza il posto di rilievo che la venerazione di Gesù deve avere in qualsiasi studio storico del cristianesimo delle origini. Ho anche tentato di de­ lineare in breve una prospettiva storica della prima venerazione di Gesù, la quale si è sviluppata in dialogo con altri studiosi e che penso renda giustizia allo stato delle fonti. Ho mostrato come a un grado straordinario di venerazione di Ge­ sù si sia giunti già nei primissimi anni del movimento cristiano e in am­ bienti di seguaci di Gesù influenzati da tradizioni giudaiche del secon­ do tempio, intendendo con questo che nelle sue manifestazioni più antiche la venerazione di Gesù dev'essere vista come grande innova­ zione religiosa all'interno della religione giudaica del secondo tempio. La tensione prodotta da questa innovazione condusse sì al suo rifiuto da parte della maggioranza dei giudei di età romana, e il movimento di Gesù divenne quello che conosciamo come cristianesimo, ma in un certo senso, e in termini storici, la venerazione di Gesù dei primissimi tempi dovrebbe anche essere considerata un momento della storia degli sv! luppi del giudaismo in età romana. Si è visto che per i credenti tanto giudei quanto gentili le tensioni originate dalla fede potevano comportare pesanti costi sociali. Come si è illustrato nel capitolo 7, nelle prime decadi si assistette talvolta ad atti di grave e inflessibile ostilità all'interno di diverse comunità giu­ daiche locali nei confronti di altri giudei la cui venerazione di Gesù fa­ ceva problema. Anche i convertiti gentili erano esposti a conseguenze sociali e politiche a motivo della loro fede, soprattutto, a quanto pare, per le sue istanze esclusiviste. Tenere conto di ciò significa apprezzare meglio quanto dev'essere costato essere membri con altri credenti delle conventicole costituite da quelle prime associazioni cristiane. Passi come Fil. 2,6- 1 1 esprimo­ no in toni lirici la prima venerazione cristiana e forse offrono un sag­ gio del fervore religioso che muoveva i credenti dei primi decenni.

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Epilogo

Nei capitoli dal 5 all'8 ho presentato studi di fenomeni e problemi diversi che sono d'importanza decisiva per la comprensione storica della venerazione di Gesù. Ho sottolineato la natura e l'importanza delle concezioni giudaiche del secondo tempio riguardo all'unicità di Dio, mostrando come queste aiutino a capire meglio come la configu­ razione università. Come molti di voi sanno, la mia prima visita all'Università Ben Gur­ ion è stata nel 1 9 8 8 per l'inaugurazione della cattedra di ginecologia Deichmann-Lerner. Durante quella cerimonia ho condiviso con voi le mie sensazioni dopo una visita a Gerusalemme che in un certo senso può anche spiegare perché fin da allora sono un attivo sostenitore di questa università e perché sono interessato al programma in questio­ ne. Tre posti di Gerusalemme sono per me pietre angolari della mia vita e della mia fede: il luogo della crocifissione di Gesù nella Chiesa del Santo Sepolcro nella Città Vecchia, il Santuario del Libro nel Mu­ seo d'Israele con al centro il famoso rotolo di Isaia, lo Yad Vashem. Il Golgota, secondo la tradizione cristiana, è il luogo dell'adempimento di fs. 5 3 , il famoso capitolo sul servo sofferente di Dio. Se queste pa­ role sono sopravvissute e hanno potuto dispiegare il loro potenziale nella tradizione giudaica e cristiana lo si deve anche a gente come quella che viveva a Qumran. Lo Yad Vashem è il memoriale del pec­ cato, in particolare del peccato del popolo tedesco contro gli ebrei, po­ polo eletto di Dio. Se considero tutti e tre questi posti, capisco che in Gesù c'è il perdono per ciò che abbiamo fatto al popolo ebraico, per­ ché Gesù morì soffrendo al servizio di Dio per amore nostro, per a mo­ re dei peccatori. Ma per godere del perdono che Dio ha istituito in Ge­ sù abbiamo bisogno del vostro personale perdono, di ognuno di voi, personalmente. Per questo vi ho chiesto di consentirmi di partecipare al vostro lavoro qui all'Università Ben Gurion. Che io sia qui, di fron­ te a voi, più di quindici anni più tardi, è possibile perché mi avete ac­ cordato il perdono e mi avete dato la possibilità di sostenere e aiutare questa università. Potete comprendere come questo nuovo progetto sia vicino al mio

Heinz-Horst Deichmann

cuore, in quanto cristiano che attende il messia che viene. Lasciatemi però aggiungere alcune altre riflessioni sul motivo per cui penso che vi sia fin dali 'inizio un legame inscindibile tra ebrei e cristiani. Voglio farlo con le parole del famoso teologo svizzero Karl Barth ( I 8 86- I 968), al quale devo molto, dopo averlo sentito parlare nel 1 946 negli edifici distrutti della facoltà del seminario teologico dell'Università di Bonn. Durante il rito universitario nella Schlosskirche di Bonn nel I 9 3 3, all'inizio del regime nazista, il professore riformato di teologia siste­ matica tenne il suo sermone sulla lettera di Paolo ai Romani I 5, 5- I 3 cogliendo l'occasione per parlare per la prima volta i n pubblico delle .' Vale a dire che Cristo apparteneva al popolo di Israele. Nelle sue vene c'era il sangue di questo popolo, il sangue del figlio di Dio. Quando assunse l'umanità assunse la natura di questo popolo, non per amore di questo popolo o a motivo del vantaggio del suo sangue e della sua razza, ma per amore della verità, cioè per mo­ strare la vcracità e la fedeltà di Dio. Perché Dio aveva concluso un'allean­ za e concesso la sua presenza e la promessa di una redenzione senza pa­ ralleli a questo e solo a questo popolo: un popolo malvagio c di dura cer­ vice [Es. 32,9, ecc.] ma proprio questo popolo - non per ricompensare e rialzare i giudei, ma per confermare c compiere questa libera promessa divina di grazia Gesù Cristo divenne giudeo. Disse una volta di sé d'essere stato inviato alle pecore perdute della casa d'Israele c a loro soltanto (Mt. I 5,24; cf. I0,5 s.). Ciò significa per noi, che non sia­ mo Israele, una porta sbarrata. Se ciononostante essa è aperta, se Cristo cionondimeno appartiene anche a noi come noi a lui, allora dev'essere ancora una volta vero in un senso particolare che . A ricordarci che è così, è l'esistenza fino a questo stes­ so giorno del popolo ebraico. Barth citava poi le parole di Giovanni 4,22: (Gv. 4,22). Gesù Cristo era giudeo. Ma in questo, nei peccati dei giudei, assumeva c cancellava i peccati del mondo intero, compresi i nostri; la salvezza proveniente dai giudei è giunta an­ che a noi.2 1

Rom. 1 5 ,8.

Il sermone è comparso per la prima volta in K. Barth, Die Kirche ]esu Christi (Theologische Existenz heute s), Miinchen 1 9 3 3 , I I - 19, ed è stato riedito con commento in un volume dell'edizione completa delle opere di Barth: Predigten, I92 I- I9J5 (ed. Holger Finze, Karl Barth Gesamtausgabe, Part 1 . Predigten, Zii­ rich 1998) (cito dalla traduzione inglese di Charles Dickinson). 2

La prima serie annuale di conferenze Deichmann

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Leggendo oggi le parole di Karl Barth non è possibile prescindere dal contesto storico. Barth predicava in Germania in tempi in cui non si potevano ancora prevedere le dimensioni sconvolgenti delle atrocità naziste. Nondimeno egli forniva una prova chiara e univoca di solida­ rietà col popolo ebraico affermando chiaramente che la chiesa cristia­ na affonda le sue radici esclusivamente nelle promesse divine al popo­ lo d'Israele. Gesù di Nazaret secondo Paolo è quindi diventato il Cri­ sto di tutti i popoli - ciò significa per giudei e gentili - in virtù delle promesse di Dio al popolo giudaico. A nessuno che appartenga alla chiesa autentica di Gesù Cristo è dunque in alcun modo consentito contrapporsi o mettersi al di sopra del primo popolo della promessa. Ascoltiamo ancora Paolo: «Se alcuni dei rami [dell'ulivo Israele] sono stati troncati e tu, pur essendo un germoglio di olivastro, sei stato in­ nestato tra gli altri e ora hai la tua parte di linfa nutritiva che viene dalla radice dell'ulivo, non vantarti su quei rami. Se lo fai, tieni conto di questo: Non sei tu a portare la radice, ma la radice porta te» (Rom. 1 1 , 1 7 s.). Quando i primi gentili divennero seguaci di Gesù Cristo, ci si chiese: è necessario che questi gojim si convertano anzitutto al giu­ daismo prima di poter essere accolti come seguaci del messia giudai­ co? Un'altra domanda connessa con questa agitava Paolo: la fedeltà di Dio al suo popolo in quanto popolo termina quando il messaggio di Cristo inizia a diffondersi tra le nazioni? In La teologia politica di san Paolo l'ebreo Jakob Taubes affronta il problema in questi termini: La parola di Dio non può venire meno! La parola di Dio è infatti salda e fedele, come sottolinea quotidianamente la preghiera dei giudei. No, non è venuta meno. Non tutti i discendenti di Israele sono infatti Israele. Ecco la frase chiave. Ciò significa: i «tutti» secondo la carne non si identificano con i «tutti» secondo la promessa. Non tutti. L 'apostolo prende sul serio l'elezione di Israele. È un fatto increscioso per il moderno cristianesimo, eppure è così . . . Egli si considera infatti un apostolo inviato dai giudei ai ge ntil i, ovvero un apostolo p er vocazione. Nella lettera ai Galati noh vi è traccia di una conversione eclatante, ma di una vocazione: dice Geremia «ti ho stabilito profeta delle nazioni>>, mentre qui si dice: ti ho stabilito apostolo. Naturalmente ciò significa: apostolo invia­ to dai giudei alle nazioni. 1 1 J. Taubes, The Politica/ Theology of Pau/, Stanford 2004 (tr. ingl. di Dana Hol­ lander), 47 s. (corsivi nel testo) (tr. i t. La teologia politica di san Paolo. Lezioni te­

nute da/ 23 a/ 27 febbraio 1987 alla Forschungsstatte della Evangelische Studien­ gemeinschaft di Heidelberg, Milano 1 997, 93 s. [con leggere varianti]).

Heinz-Horst Deichmann

Molto presto la chiesa non comprese più questa vocazione, questa concezione che risale a Paolo stesso. Nel primo cristianesimo cattoli­ co si sviluppò l'eresia teologica della chiesa come nuovo Israele (spiri­ tuale). Israele, il vecchio popolo di Dio, sembrava aver perso la sua preminenza sia per l 'elezione sia per la salvezza. Agli inizi del medio­ evo questa convinzione veniva spesso espressa in termini allegorici, rappresentata su pietra dalla Ecclesia trionfante e dalla Sinagoga ab­ battuta. Questo sviluppo teologicamente abortito ha continuato fino a oggi a causare molta distruzione e sofferenza ed è stato la ragione di molte colpe addossate alla chiesa cristiana. Purtroppo neppure il ri­ formatore Martin Lutero respinse questa eresia. La tragica storia bi­ millenaria dei rapporti di collaborazione e/o di estraniazione di sina­ goga e chiesa, la storia degli enormi torti arrecati al popolo ebraico, richiede ancora d'essere esaminata e riconsiderata; una riconciliazione autentica è ancora da tentare. Requisito imprescindibile di una riconciliazione del genere è la com­ prensione reciproca. Questo è lo scopo del programma Deichmann per la letteratura giudaica e cristiana di età ellenistico-romana, imper­ niato sull'eredità letteraria del popolo giudaico dal m sec. a.C. al I I d.C. Dai molteplici e diversi scritti di questo periodo, talvolta classifi­ cati «letteratura intertestamentaria>> (in un'ottica chiaramente cristia­ na), non è possibile prescindere per capire la storia giudaica e la com­ parsa di quella cristiana. Intendo accennarne i punti principali per il­ lustrare l'ambito del nuovo progetto e i benefici che è lecito attender­ si dal suo svolgimento.1 1 . La cosiddetta «letteratura intertestamentaria» annovera le fonti più importanti per la storia giudaica del periodo del secondo tempio. Inizia con la traduzione dei cinque libri di Mosè in greco nel m sec. a.C. e termina nel l ! sec. d.C. con l'inizio del corpo letterario rabbini­ co. Oltre ai Settanta (che comportano alcuni altri scritti non inclusi nella Bibbia ebraica) vi appartengono molte opere pseudepigrafe: apo­ calissi, testamenti di patriarchi e scritti sapienziali. È inoltre da ricor­ dare la celebre biblioteca rinvenuta a Qumran e almeno due illustri ed eminenti autori giudei: Filone Alessandrino, rappresentativo della dia­ spora, e Flavio Giuseppe, rappresentativo di Eretz Israel. r Il nucleo del testo che segue si basa su un abbozzo del prof. dr. Martin Hengel di Tubinga, da lui inviatomi su mia richiesta per questo progetto. È stato tradotto ed elaborato dal dr. Roland Deines.

La prima serie annuale di conferenze Deichmann

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La maggior parte di questa letteratura, di dimensioni molto su­ periori a quelle della Bibbia ebraica, scomparve dall'eredità giudaica a partire dal m sec. d.C. Si conservò grazie soprattutto alle cure di stu­ diosi cristiani antichi e più tardi di monaci nei loro monasteri. È an­ che a motivo di tale trasmissione che queste opere originariamente giudaiche sono state rivedute e talvolta hanno subito anche modifiche e aggiunte cristiane. Molto spesso è tuttavia poco chiaro e altamente controverso che cosa sia aggiunta cristiana e che cosa potrebbe essere plausibilmente di provenienza giudaica, ma è possibile vedere quanto le fonti giudaiche e cristiane si assomigliassero, in particolare in que­ stioni di etica, di comportamento, di credenze riguardo all'attività di Dio nella storia, alla vita nell'aldilà, per la speranza nel futuro. Il pri­ mo libro dei Maccabei, ad esempio, ha concorso all'elaborazione della tradizione del martirologio cristiano, e il linguaggio di Filone Ales­ sandrino è propedeutico a quella che dai tempi di Origene (inizio del I I I sec. d.C.) viene chiamata «teologia>> cristiana. La scuola di Orige­ ne, detto per inciso, si trovava a Cesarea, non molto lontano da qui. E lo storico giudeo Giuseppe è il testimone più importante della tradi­ zione giudaica del 1 sec. d.C. in Eretz lsrael, contemporaneo degli scrit­ tori del Nuovo Testamento. 3· La storia giudaica dell'epoca del secondo tempio non è quindi possibile senza questa 6 I «processo», I 6 I s., I 7 I s.; risposta al­ le esperienze dei primi lettori, I 79I85 risurrezione d i Gesù: credenza basa­ ta su apparizioni del risorto, 2 I o; credenza risalente alle origini del movimento cristiano, 209 s.; do­ vere dei seguaci di proclamarla, 2 IO s.; nella chiesa antica, Io8 s.; lo distingue da altre figure venera­ te, 2 1 0; racconti dei vangeli: natu­ ra e limiti, 2 I I s. status divino di Gesù: deduzione teo-

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logica, 34- 3 7, 42; conseguenza del­ l' esperienza del Cristo risorto da parte dei seguaci, 2 I I; controver­ sie nei secoli successivi, 68; con­ troversie riflesse nei racconti sul Gesù storico, 65 s.; formulazione, 69; formulazione basata sulla let­ tura delle scritture giudaiche, 3 8, I o6, I 2 3; formulazione in termini altrimenti riservati a Dio, I 3 I ; ma­ nifesto nelle prime pratiche devo­ zionali cristiane, I 3, 4 I s.; nella Apocalisse, 2 I 8; nella chiesa delle origini, I 8, 64; nel racconto del martirio di Stefano, 2 1 6 s.; nel van­ gelo di Giovanni, 6 5 -67, I I 6 s., 1 70; nel vangelo di Matteo, I 7 5 ; non è frutto dell'evoluzione della pratica cultuale pagana, 26-32, 42, 44 s., 5 0, p - 5 5 , 5 8 s.; opposizione dei giudei, 64, 2 I 5; posizione di Paolo al riguardo, I I 7 s. (v. anche inni; Paolo) Giacomo, fratello di Gesù, lapidazione di, 94. I 9 l Giacomo Zebedeo, esecuzione di, 93 Giovanni, autore deli' Apocalisse, 9 5 ; atteggiamento generalmente conser­ vatore nei confronti delle innovazio­ ni cultuali, 2 1 9 s.; la visione dell'ado­ razione dell'