Codice di procedura penale Studium. Dottrina, giurisprudenza, schemi, esempi pratici [19 ed.]

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Codice di procedura penale Studium. Dottrina, giurisprudenza, schemi, esempi pratici [19 ed.]

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Table of contents :
Copyright
Informazioni tecniche
Presentazione
Costituzione della Repubblica italiana
Codice di procedura penale
Libro I. Soggetti.
Titolo I. [Artt. 1 - 49]. Giudice.
Titolo II. [Artt. 50 - 54 quater]. Pubblico ministero.
Titolo III. [Artt. 55 - 59]. Polizia giudiziaria.
Titolo IV. [Artt. 60 - 73]. Imputato.
Titolo V. [Artt. 74 - 89]. Parte civile, responsabile civile e civilmente obbligato per la pena pecuniaria.
Titolo VI. [Artt. 90 - 95]. Persona offesa dal reato.
Titolo VII. [Artt. 96 - 108]. Difensore.
Libro II. Atti.
Titolo I. [Artt. 109 - 124]. Disposizioni generali.
Titolo II. [Artt. 125 - 133]. Atti e provvedimenti del giudice .
Titolo III. [Artt. 134 - 142]. Documentazione degli atti .
Titolo IV. [Artt. 143 - 147]. Traduzione degli atti .
Titolo V. [Artt. 148 - 171]. Notificazioni .
Titolo VI. [Artt. 172 - 176]. Termini.
Titolo VII. [Artt. 177 - 186]. Nullità .
Libro III. Prove.
Titolo I. [Artt. 187 - 193]. Disposizioni generali.
Titolo II. [Artt. 194 - 243]. Mezzi di prova.
Titolo III. [Artt. 244 - 271]. Mezzi di ricerca della prova.
Libro IV. Misure cautelari.
Titolo I. [Artt. 272 - 315]. Misure cautelari personali .
Titolo II. [Artt. 316 - 325]. Misure cautelari reali.
Libro V. Indagini preliminari e udienza preliminare .
Titolo I. [Artt. 326 - 329]. Disposizioni generali.
Titolo II. [Artt. 330 - 335]. Notizia di reato.
Titolo III. [Artt. 336 - 346]. Condizioni di procedibilità .
Titolo IV. [Artt. 347 - 357]. Attività a iniziativa della polizia giudiziaria.
Titolo V. [Artt. 358 - 378]. Attività del pubblico ministero.
Titolo VI. [Artt. 379 - 391]. Arresto in flagranza e fermo .
Titolo VI . [Artt. 391 bis - 391 decies]. Investigazioni difensive .
Titolo VII. [Artt. 392 - 404]. Incidente probatorio .
Titolo VIII. [Artt. 405 - 415 bis]. Chiusura delle indagini preliminari .
Titolo IX. [Artt. 416 - 433]. Udienza preliminare .
Titolo X. [Artt. 434 - 437]. Revoca della sentenza di non luogo a procedere.
Libro VI. Procedimenti speciali.
Titolo I. [Artt. 438 - 443]. Giudizio abbreviato .
Titolo II. [Artt. 444 - 448]. Applicazione della pena su richiesta delle parti .
Titolo III. [Artt. 449 - 452]. Giudizio direttissimo .
Titolo IV. [Artt. 453 - 458]. Giudizio immediato .
Titolo V. [Artt. 459 - 464]. Procedimento per decreto .
Titolo V . [Artt. 464 bis - 464 novies]. Sospensione del procedimento con messa alla prova .
Libro VII. Giudizio .
Titolo I. [Artt. 465 - 469]. Atti preliminari al dibattimento.
Titolo II. [Artt. 470 - 524]. Dibattimento.
Titolo III. [Artt. 525 - 548]. Sentenza.
Libro VIII. [Artt. 549 - 567]. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica .
Libro IX. Impugnazioni .
Titolo I. [Artt. 568 - 592]. Disposizioni generali.
Titolo II. [Artt. 593 - 605]. Appello.
Titolo III. [Artt. 606 - 628]. Ricorso per cassazione.
Titolo IV. [Artt. 629 - 647]. Revisione.
Libro X. Esecuzione .
Titolo I. [Artt. 648 - 654]. Giudicato.
Titolo II. [Artt. 655 - 664]. Esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali.
Titolo III. [Artt. 665 - 684]. Attribuzioni degli organi giurisdizionali.
Titolo IV. [Artt. 685 - 690]. Casellario giudiziale .
Titolo V. [Artt. 691 - 695]. Spese.
Libro XI. Rapporti giurisdizionali con autorità straniere.
Titolo I. [Art. 696]. Disposizioni generali.
Titolo I . [Artt. 696 bis - 696 decies]. Principi generali del mutuo riconoscimento delle decisioni e dei provvedimenti giudiziari tra Stati membri dell'Unione Europea .
Titolo II. [Artt. 697 - 722 bis]. Estradizione.
Titolo III. [Artt. 723 - 729 quinquies]. Rogatorie internazionali.
Titolo IV. [Artt. 730 - 746]. Effetti delle sentenze penali straniere. Esecuzione all'estero di sentenze penali italiane.
Titolo IV . [Artt. 746 bis - 746 quater]. Trasferimento dei procedimenti penali.
Norme di attuazione, di coordinamento, transitorie e regolamentari del nuovo codice di procedura penale
Modifiche intervenute in corso di stampa
Indice analitico-alfabetico
A
Abbandono della difesa
Abbreviazione dei termini
Abitazione
Abitualità
Abolitio criminis
Accertamento-i
Accesso
Accettazione
Accompagnamento coattivo
Acquisizione
Affinità
Agenti
Aggravanti
Albo
Alcool
Alienazione
Allontanamento
Amnistia
Annotazione
Annullamento
Annunzi
Anonime-i
Apertura
Appello
Applicazione
Applicazione della pena su richiesta delle parti
Apposizione
Archiviazione
Arrestato
Arresti domiciliari
Arresto
Assenza
Assistenza
Assoluzione
Astensione
Attenuanti
Attestazione
Atti procedurali
Attività
Aula
Ausiliari
Autenticazione
Autonomia del pubblico ministero
Autorità
Autorizzazione a procedere
Avocazione
Avviso
Avvocato
Azione civile
B
Banca
Benefici di legge
Biglietti
Bis in idem
Bollo
C
Cadavere
Camera di consiglio
Cancellature
Cancellazione
Capacità
Carabinieri
Carcerazione
Casellario giudiziale
Caso fortuito
Cassa delle ammende
Cassazione
Cassette di sicurezza
Cattura
Cause di non punibilità
Cause estintive del reato
Cause estintive della pena
Cauzione
Certificati
Chiusura
Cinematografo
Circostanze
Citazione
Civilmente obbligato per la pena pecuniaria
Cognizione
Coimputati
Colloqui
Comparizione
Competenza
Computo
Comunicazione
Comunicazioni informatiche o telematiche
Comunicazioni telegrafiche o telefoniche
Concorso di reati
Condanna
Condizioni
Confessione
Confisca
Conflitti
Confronti
Congiunti
Connessione
Consegna
Consenso
Conservazione
Consiglio dell'ordine forense
Consulenti tecnici
Contestazione
Continuazione
Contrasto
Contravventore
Controesame
Convalida
Convenzioni internazionali
Conversazioni telefoniche
Conversione
Copie
Corpo del reato
Correzione
Corrispondenza
Corte d'appello
Corte di assise
Corte di cassazione
Cosa giudicata
Cose
Costituzione
Crediti
Culti
Cumulo
Curatore
Custode
Custodia
Custodia cautelare
D
Danni
Data
Dati informatici
Decadenza
Decisione
Declaratoria
Decorrenza
Decreto
Delega
Deliberazione
Denaro
Denuncia
Deposito
Detenuto
Detenzione
Determinazione
Dibattimento
Dichiarazioni
Difensore
Difesa
Differimento
Dimora
Direttore
Diritti
Disciplina
Dispositivo
Dissenso
Distruzione
Divieto
Documentazione
Documenti
Domicilio
Donna
Doveri
Dubbio
E
Editore
Effetti civili
Effetti delle sentenze penali straniere
Efficacia
Elezione
Eliminazione
Enti ed associazioni
Erede
Errore
Esame
Esclusione
Esecuzione
Espatrio
Esperimento giudiziale
Espulsione
Estero
Estinzione
Estinzione del reato
Estinzione della pena
Estradizione dall'estero
Estradizione per l'estero
Età
Evasione
F
Falsità
Familiari
Farmacisti
Fascicolo
Fatto
Fermo
Figli
Flagranza
Forza maggiore
Forza pubblica
G
Generalità
Genitori
Giornalista
Giudicato
Giudice
Giudizio
Giudizio abbreviato
Giudizio direttissimo
Giudizio immediato
Giudizio per decreto
Giurisdizione
Giurì d'onore
Giustizia
Grandi ufficiali di Stato
Gratuito patrocinio
Grazia
I
Identificazione-i
Identità
Ignoti (Reato commesso da )
Immunità
Impedimento a comparire
Impiegati pubblici
Impugnazioni (in genere )
Imputato
Imputazione
Inammissibilità
Incapacità
Incaricato di pubblico servizio
Incidente probatorio
Incompatibilità
Incompetenza
Indagini collegate
Indagini preliminari
Indennità
Individuazione (di persone e cose )
Indizi
Indulto
Infermità
Informatori
Informazione di garanzia
Informazione-i
Inosservanza
Insolvenza
Insolvibilità (del condannato )
Intercettazioni (di conversazioni o comunicazioni )
Interdetti
Interdizione
Interessi
Internato
Interprete
Interrogatorio
Intervento
Inutilizzabilità
Investigatori privati
Investigazioni
Investigazioni difensive
Invito a presentarsi
Ipoteca
Irreperibilità (Notificazioni in c.s. di )
Irresponsabilità (del Presidente della Repubblica )
Irretroattività (della legge penale )
Irrevocabilità
Ispezione
Istanza
Istruzione dibattimentale
Istruzione scolastica
L
Latitanza
Leggi straniere
Lettura-e
Liberazione
Libertà
Lingua
Lista testimoniale
Luoghi -luogo
M
Magistrati-o
Magistratura di sorveglianza
Malattia
Medici
Memorie
Messa alla prova
Mezzi (di prova )
Mezzi (di ricerca della prova )
Militare-i
Ministro
Minoranza linguistica
Minori
Misure cautelari
Misure cautelari personali
Misure cautelari reali
Misure coercitive
Misure di prevenzione
Misure di sicurezza patrimoniali
Misure di sicurezza personali
Misure interdittive
Modifica
Modificazione
Monete
Morte
Motivazione
Motivi
Multa
Muto
N
Nastri magnetofonici
Ne bis in idem
Nome
Nomina
Non menzione
Norme
Notai
Notificazioni
Notizia (di reato )
Nullità
Nuove-i
O
Obbligato (civilmente per la pena pecuniaria )
Obbligo
Oblazione
Offeso (dal reato )
Opposizione
Ordinanza
Osservazioni
Ostetriche
P
Pacchi postali
Pagamento (delle pene pecuniarie )
Parentela
Parlamentari (immunità )
Parte civile
Parti private
Patrocinio
Patteggiamento
Pena-e
Pericolosità sociale
Perito
Perizia
Perquisizione-i
Persona offesa dal reato
Persona sottoposta alle indagini
Persona-e
Plichi
Polizia giudiziaria
Potere-i
Presentazione
Presidente
Presidente della Repubblica
Privati
Procedibilità
Procedimenti speciali
Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica
Procedimento per decreto
Procedimento-i
Processo-i
Procura
Procuratore della Repubblica
Procuratore generale
Procuratore legale
Procuratore speciale
Professione-i
Proroga
Proscioglimento
Prossimi congiunti
Prova-e
Provvedimenti del giudice
Provvisionale
Pubblicazione-i
Pubblici annunzi
Pubblicità
Pubblico impiegato
Pubblico ministero
Pubblico servizio
Pubblico ufficiale
Pubblico ufficio
Q
Querela
Querelante
Questioni
R
Rapporti giurisdizionali con autorità straniere
Rapporto
Reato-i
Recidiva
Referto
Reformatio in peius (divieto )
Registrazioni
Registro
Relazione-i
Remissione della querela
Renitenza
Responsabile civile
Responsabilità
Responsabilità genitoriale
Restituzione
Restituzioni
Retribuzione del difensore d'ufficio di persona irresponsabile
Rettificazione
Revisione
Revoca
Riabilitazione
Riapertura delle indagini
Richiesta
Richieste
Ricognizioni
Riconoscimento
Ricorso per cassazione
Ricostituzione
Ricovero
Ricusazione
Riesame
Rifiuto
Rilascio di copie
Rilievi della polizia giudiziaria
Rimessione (del processo )
Rimozione
Rinnovazione
Rinuncia
Rinvio
Riparazione
Riprese audiovisive
Riproduzione fonografica o audiovisiva
Risarcimento del danno
Riunione di processi
Rogatorie internazionali
S
Sanatoria delle nullità
Sanzioni disciplinari
Sanzioni pecuniarie
Sanzioni sostitutive
Scarcerazione
Scritture di comparazione
Segreto-i
Seminfermità
Sentenza
Separazione di processi
Sequestro conservativo
Sequestro penale
Sequestro preventivo
Servizi di polizia giudiziaria
Servizio
Servizio militare
Sezioni di polizia giudiziaria
Sezioni unite
Sigilli
Sistema informatico o telematico
Sommarie informazioni
Sordo-sordomuto
Sospensione
Sostituto del difensore
Sostituzione
Sottoscrizione
Spese
Stato
Stenotipia
Straniero
Stupefacenti
Surrogazione
T
Tassatività delle nullità
Telefono (o telegrafo )
Tempo
Tendenza a delinquere
Termine-i
Testimone-testimonianza
Tossicodipendente
Traduzione
Trascrizione
Trasmissione
Tribunale
Tutore
U
Udienza
Udienza dibattimentale
Udienza preliminare
Ufficiale giudiziario
Ufficiale pubblico
Ufficiali di polizia giudiziaria
V
Valori
Vendita
Verbale
Vizio di mente
Indice Cronologico

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1

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PRESENTAZIONE

Quest'Opera nasce con l'intento di fornire a studenti, professionisti e concorsisti un fondamentale strumento che consente di comprendere facilmente tutte le problematiche inerenti alla disciplina processualpenalistica. In particolare, viene riportato il testo aggiornato del Codice di procedura penale, ogni articolo del quale è spiegato sia con un agile ed esauriente commento che con la giurisprudenza più recente e rilevante. Il volume contiene inoltre un'essenziale appendice normativa, costituita da alcune fra le più significative leggi complementari. Ulteriore ausilio al lettore è fornito dagli utilissimi esempi pratici che accompagnano i principali articoli del Codice e costituiscono una chiarissima esposizione della casistica più frequente in materia. Fra le novità legislative, si segnalano le nuove norme sulla decisione dei giudizi di appello e sulla sospensione della prescrizione (Legge ristori 18 dicembre 2020, n. 176) e sul rimborso delle spese legali all’imputato assolto (Legge di bilancio 30 dicembre 2020, n. 178).

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COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

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COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

1. Delib.ne Assemblea Costituente 22 dicembre 1947. Costituzione della Repubblica Italiana (Gazzetta Ufficiale n. 298 del 27 dicembre 1947), entrata in vigore il 1° gennaio 1948. PRINCIPI FONDAMENTALI.

1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

3. (1) Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. (1) In attuazione di questo articolo si veda la L. 2 dicembre 1991, n. 390, contenente norme sul diritto agli studi universitari.

4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

5. La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento

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amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.

6. La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

9. (1) La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. (1) In attuazione di questo articolo si veda la L. 6 dicembre 1991, n. 394, recante legge quadro sulle aree protette, e il D.L.vo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio.

10. L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici. 11. L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

12. La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni (1). (1) Si veda la L. 5 febbraio 1998, n. 22, recante disposizioni generali sull'uso della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell'Unione europea.

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Parte I. DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI. Titolo I. RAPPORTI CIVILI.

13. La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva (1). (1) L'art. 11 della L. 28 luglio 1984, n. 398, recante nuove norme in tema di diminuzione dei termini di carcerazione cautelare, prescrive che le espressioni «carcerazione preventiva» e «custodia preventiva» siano sostituite dalla locuzione «custodia cautelare».

14. Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale. Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali.

15. La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. 16. Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.

17. I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi.

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Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

18. I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.

19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

20. Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.

21. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

22. Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome.

23. Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

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24. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

25. Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.

26. L'estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici. 27. La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte [, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra] (1). (1) Le parole tra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 1, comma 1, della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1. L'art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha sostituito la pena di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra con la pena massima prevista dal codice penale.

28. I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. Titolo II. RAPPORTI ETICO-SOCIALI.

29. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.

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30. È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.

31. La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. 32. (1) La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. (1) In attuazione di questo articolo si veda la L. 6 dicembre 1991, n. 394, recante legge quadro sulle aree protette.

33. L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.

34. (1) La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. (1) In attuazione di questo articolo si veda la L. 2 dicembre 1991, n. 390, contenente norme sul diritto agli studi universitari.

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Titolo III. RAPPORTI ECONOMICI.

35. La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.

36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

37. La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.

38. Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera.

39. L'organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro

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con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.

40. Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano. 41. (1) L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. (1) In attuazione di questo articolo si veda la L. 10 ottobre 1990, n. 287, cosiddetta legge antitrust, contenente norme per la tutela della concorrenza e del mercato.

42. La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.

43. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.

44. Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.

45. La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato.

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46. Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.

47. La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese. Titolo IV. RAPPORTI POLITICI.

48. Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. La legge stabilisce requisiti e modalità per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all'estero e ne assicura l'effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l'elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge (1). Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge. (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 1 della L. cost. 17 gennaio 2000, n. 1.

49. Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. 50. Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.

51. Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini (1). La legge può, per l'ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro. (1) L'ultimo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 1 della L. cost. 30 maggio 2003, n. 1.

52. La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.

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Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l'esercizio dei diritti politici. L'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.

53. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. 54. Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge. Parte II. ORDINAMENTO

DELLA REPUBBLICA. Titolo I. IL PARLAMENTO. Sezione I. LE CAMERE.

55. Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione. 56. (1) La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è di quattrocento (2), otto (3) dei quali eletti nella circoscrizione Estero (4). Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età. La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per trecentonovantadue (5) e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

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(1) Questo articolo è stato dapprima sostituito dall'art. 1 della L. cost. 9 febbraio 1963, n. 2, e poi modificato dalla L. cost. 23 gennaio 2001, n. 1. (2) La parola: «seicentotrenta» è stata così sostituita dall'attuale: «quattrocento» dall'art. 1, comma 1, lett. a), della L. cost. 19 ottobre 2020, n. 1. A norma dell'art. 4 della medesima legge, tali disposizioni si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale (G.U. Serie gen. - n. 261 del 21 ottobre 2020) e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore. (3) La parola: «dodici» è stata così sostituita dall'attuale: «otto» dall'art. 1, comma 1, lett. a), della L. cost. 19 ottobre 2020, n. 1. A norma dell'art. 4 della medesima legge, tali disposizioni si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale (G.U. Serie gen. - n. 261 del 21 ottobre 2020) e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore. (4) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1, comma 1, della L. cost. 23 gennaio 2001, n. 1. (5) Le parole: «si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per seicentotrenta» sono state così sostituite dalle seguenti: «fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto» dall'art. 1, comma 2, della L. cost. 23 gennaio 2001, n. 1. L'art. 1, comma 1, lett. b), della L. cost. 19 ottobre 2020, n. 1, ha poi sostituito la parola: «seicentodiciotto» con l'attuale: «trecentonovantadue». A norma dell'art. 4 della medesima legge, tali disposizioni si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale (G.U. Serie gen. - n. 261 del 21 ottobre 2020) e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore.

57. (1) Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero (2). Il numero dei senatori elettivi è di duecento (3), quattro (4) dei quali eletti nella circoscrizione Estero (5). Nessuna Regione o Provincia autonoma (6) può avere un numero di senatori inferiore a tre (7); il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta uno. La ripartizione dei seggi tra le Regioni o le Province autonome, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti (8). (1) Questo articolo è stato dapprima sostituito dalla L. cost. 9 febbraio 1963, n. 2 e poi modificato dalla L. cost. 27 dicembre 1963, n. 3. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, della L. cost. 23 gennaio 2001, n. 1. (3) La parola: «trecentoquindici» è stata così sostituita dall'attuale: «duecento» dall'art. 2, comma 1, lett. a), della L. cost. 19 ottobre 2020, n. 1. A norma dell'art. 4 della medesima legge, tali disposizioni si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale (G.U. Serie gen. - n. 261 del 21 ottobre 2020) e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore. (4) La parola: «sei» è stata così sostituita dall'attuale: «quattro» dall'art. 2, comma 1, lett. a), della L. cost. 19 ottobre 2020, n. 1. A norma dell'art. 4 della medesima legge, tali disposizioni si applicano a decorrere dalla

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data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale (G.U. Serie gen. - n. 261 del 21 ottobre 2020) e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore. (5) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2, comma 2, della L. cost. 23 gennaio 2001, n. 1. (6) Le parole: «o Provincia autonoma» sono state inserite all'art. 2, comma 1, lett. b), della L. cost. 19 ottobre 2020, n. 1. A norma dell'art. 4 della medesima legge, tali disposizioni si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale (G.U. Serie gen. - n. 261 del 21 ottobre 2020) e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore. (7) La parola: «sette» è stata così sostituita dall'attuale: «tre» dall'art. 2, comma 1, lett. b), della L. cost. 19 ottobre 2020, n. 1. A norma dell'art. 4 della medesima legge, tali disposizioni si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale (G.U. Serie gen. - n. 261 del 21 ottobre 2020) e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore. (8) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. c), della L. cost. 19 ottobre 2020, n. 1. A norma dell'art. 4 della medesima legge, tali disposizioni si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale (G.U. Serie gen. - n. 261 del 21 ottobre 2020) e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore. Si riporta il testo precedente: «La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, * ( ) previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni quale risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.». (*) Le parole: «fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero,» sono state inserite dall'art. 2, comma 3, della L. cost. 23 gennaio 2001, n. 1.

58. I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno.

59. È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque (1). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 3 della L. cost. 19 ottobre 2020, n. 1.

60. (1) La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni. La durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra.

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(1) Questo articolo è stato così modificato dalla L. cost. 9 febbraio 1963, n. 2, contenente modifiche alla Costituzione.

61. Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. La prima riunione ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni. Finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti. 62. Le Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre. Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti. Quando si riunisce in via straordinaria una Camera, è convocata di diritto anche l'altra.

63. Ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il Presidente e l'Ufficio di presidenza. Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l'Ufficio di presidenza sono quelli della Camera dei deputati.

64. Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Le sedute sono pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Camere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta. Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale. I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono.

65. La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di deputato e di senatore. Nessuno può appartenere contemporaneamente alle due Camere.

66. Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. 67. Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. 68. (1) (2) I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.

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Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1 della L. cost. 29 ottobre 1993, n. 3. (2) Si veda la L. 20 giugno 2003, n. 140, recante disposizioni per l'attuazione di questo articolo nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato.

69. I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge. Sezione II. LA FORMAZIONE DELLE LEGGI.

70. La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere. 71. L'iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l'iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli.

72. Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che lo approva articolo per articolo e con votazione finale. Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l'urgenza. Può altresì stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione dei disegni di legge sono deferiti a commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva, il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della commissione richiedono che sia discusso o votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di voto. Il regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle commissioni. La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi.

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73. Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall'approvazione. Se le Camere, ciascuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiarano l'urgenza, la legge è promulgata nel termine da essa stabilito. Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso.

74. Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata. 75. È indetto «referendum» popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il «referendum» per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al «referendum» tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a «referendum» è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del «referendum».

76. L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.

77. Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.

78. Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari. 79. (1) L'amnistia e l'indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella

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votazione finale. La legge che concede l'amnistia o l'indulto stabilisce il termine per la loro applicazione. In ogni caso l'amnistia e l'indulto non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1 della L. cost. 6 marzo 1992, n. 1.

80. Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi.

81. (1) Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale (2). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1 della L. cost. 20 aprile 2012, n. 1. A norma dell'art. 6 della medesima legge tali disposizioni si applicano a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014. Si riporta il testo previgente: «Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che importi nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.». (2) Si veda la L. 24 dicembre 2012, n. 243, recante attuazione del principio del pareggio di bilancio. Tali disposizioni si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2014, ad eccezione del capo IV e dell'articolo 15, che si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2016.

82. Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La commissione d'inchiesta procede

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alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria. Titolo II. IL PRESIDENTE

DELLA REPUBBLICA.

83. Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All'elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo delegato. L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.

84. Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d'età e goda dei diritti civili e politici. L'ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica. L'assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge.

85. Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni. Trenta giorni prima che scada il termine il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica.

86. Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato. In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o manca meno di tre mesi alla loro cessazione.

87. Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.

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Indice il «referendum» popolare nei casi previsti dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze Armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica.

88. Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura (1). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1 della L. cost. 4 novembre 1991, n. 1, recante modifiche a questo articolo della Costituzione.

89. Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità. Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri. 90. Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.

91. Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune. Titolo III. IL GOVERNO. Sezione I. IL CONSIGLIO DEI MINISTRI.

92. Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.

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Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.

93. Il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica.

94. Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale. Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Il voto contrario di una o entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.

95. Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri. I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri. La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri.

96. (1) Il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale. (1) Questo articolo è stato così sostituito dalla L. cost. 16 gennaio 1989, n. 1, recante modifiche alla Costituzione.

Sezione II. LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.

97. (1) Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico (2). I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

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Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge. (1) A norma dell'art. 18, comma 4, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, le disposizioni del predetto articolo costituiscono diretta attuazione dei princìpi di legalità, buon andamento e imparzialità sanciti dall'articolo 97 della Costituzione, e ad esse si conformano entro il 31 dicembre 2012, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettere g), h), l), m), r) della Costituzione, tutte le pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali, le aziende speciali e le società in house delle pubbliche amministrazioni. Le regioni ad autonomia speciale vi si conformano entro il medesimo termine secondo le previsioni dei rispettivi Statuti. (2) Questo comma è stato premesso dall'art. 2 della L. cost. 20 aprile 2012, n. 1. A norma dell'art. 6 della medesima legge tali disposizioni si applicano a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014.

98. I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità. Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero. Sezione III. GLI ORGANI AUSILIARI.

99. Il Consiglio nazionale della economia e del lavoro è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. È organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Ha l'iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge.

100. Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione. La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito. La legge assicura l'indipendenza dei due Istituti e dei loro componenti di fronte al Governo. Titolo IV. LA MAGISTRATURA.

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Sezione I. ORDINAMENTO GIURISDIZIONALE.

101. La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge.

102. La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia.

103. Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate. 104. La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica. Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. Il Consiglio elegge un vice presidente fra i componenti designati dal Parlamento. I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale.

105. Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati.

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106. Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso. La legge sull'ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli. Su designazione del Consiglio superiore della magistratura possono essere chiamati all'ufficio di consiglieri di cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori (1). (1) In attuazione di questo comma, si veda la L. 5 agosto 1998, n. 303, recante nomina di professori universitari e di avvocati all'ufficio di consigliere di cassazione.

107. I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso. Il ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare. I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni. Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario.

108. Le norme sull'ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge. La legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia. 109. L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. 110. Ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura, spettano al Ministro della giustizia l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Sezione II. NORME SULLA GIURISDIZIONE.

111. La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge (1). Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata (1). Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la

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convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo (1). Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore (1). La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita (1). Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. (1) Questo comma è stato inserito dalla L. cost. 23 novembre 1999, n. 2. Si vedano inoltre il D.L. 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, nella L. 25 febbraio 2000, n. 35, e gli artt. 2 ss. della L. 24 marzo 2001, n. 89.

112. Il Pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale. 113. Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa. Titolo V. LE REGIONI, LE PROVINCE, I COMUNI (1). (1) Si veda la L. 5 giugno 2003, n. 131. Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

114. (1) La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.

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(1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1 della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

115. (1) Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati nella Costituzione. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 9, comma 2, della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

116. (1) Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano. Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 2 della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

117. (1) La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea; b) immigrazione; c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; (2) perequazione delle risorse finanziarie; f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo; g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi; l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

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m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali sull'istruzione; o) previdenza sociale; p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno; s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; [armonizzazione dei bilanci pubblici e] (3) coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da

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leggi dello Stato. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 3 della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3. (2) Le parole: «armonizzazione dei bilanci pubblici;» sono state inserite dall'art. 3, comma 1, lett. a), della L. cost. 20 aprile 2012, n. 1. A norma dell'art. 6 della medesima legge tali disposizioni si applicano a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014. (3) Le parole fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 3, comma 1, lett. b), della L. cost. 20 aprile 2012, n. 1. A norma dell'art. 6 della medesima legge tali disposizioni si applicano a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014.

118. (1) Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 4 della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

119. (1) I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea (2). I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

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I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio (3). È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 5 della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3. (2) Le parole: «, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea» sono state aggiunte dall'art. 4, comma 1, lett. a), della L. cost. 20 aprile 2012, n. 1. A norma dell'art. 6 della medesima legge tali disposizioni si applicano a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014. (3) Le parole: «, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio» sono state aggiunte dall'art. 4, comma 1, lett. b), della L. cost. 20 aprile 2012, n. 1. A norma dell'art. 6 della medesima legge tali disposizioni si applicano a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014.

120. (1) La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, nè adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, nè limitare l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale. Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 6 della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

121. Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta e il suo presidente. Il Consiglio regionale esercita le potestà legislative [e regolamentari] (1) attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. Può fare proposte di legge alle Camere. La giunta regionale è l'organo esecutivo delle Regioni. Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione; dirige la politica della Giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica (2). (1) Le parole tra parentesi quadre sono state soppresse dall'art. 1, lett. a), della L. cost. 22 novembre 1999, n. 1. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1, lett. b), della L. cost. 22 novembre 1999, n. 1.

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122. (1) Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi (2). Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento, ad un altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo. Il Consiglio elegge tra i suoi componenti un Presidente e un ufficio di presidenza. I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto. Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 2 della L. cost. 22 novembre 1999, n. 1. (2) Si veda la L. 2 luglio 2004, n. 165, recante disposizioni di attuazione di questo comma.

123. (1) Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo statuto regola l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali. Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Per tale legge non è richiesta l'apposizione del visto da parte del Commissario del Governo. Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione. Lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi. In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali (2). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 3 della L. cost. 22 novembre 1999, n. 1. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 7 della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

124. (1) Un commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, sopraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato e le coordina con quelle esercitate dalla Regione. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 9, comma 2, della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

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125. Il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione è esercitato, in forma decentrata, da un organo dello Stato, nei modi e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica. La legge può in determinati casi ammettere il controllo di merito, al solo effetto di promuovere, con richiesta motivata, il riesame della deliberazione da parte del Consiglio regionale (1). Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione. (1) Questo comma è stato abrogato dall'art. 9, comma 2, della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

126. (1) Con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono altresì essere disposti per ragioni di sicurezza nazionale. Il decreto è adottato sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica. Il Consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta mediante mozione motivata, sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti. La mozione non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla presentazione. L'approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio. In ogni caso i medesimi effetti conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 4 della L. cost. 22 novembre 1999, n. 1.

127. (1) Il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un'altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell'atto avente valore di legge. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 8 della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

128. (1) Le Province e i Comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 9, comma 2, della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

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129. (1) Le Province e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale. Le circoscrizioni provinciali possono essere suddivise in circondari con funzioni esclusivamente amministrative per un ulteriore decentramento. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 9, comma 2, della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

130. (1) Un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti da legge della Repubblica, esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali. In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito, nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 9, comma 2, della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

131. (1) Sono costituite le seguenti Regioni: Piemonte; Valle d'Aosta; Lombardia; Trentino-Alto Adige; Veneto; Friuli-Venezia Giulia; Liguria; EmiliaRomagna; Toscana; Umbria; Marche; Lazio; Abruzzi; Molise; Campania; Puglia; Basilicata; Calabria; Sicilia; Sardegna. (1) Questo articolo è stato così modificato dalla L. cost. 27 dicembre 1963, n. 3, contenente modifiche alla Costituzione.

132. Si può, con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d'abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con «referendum» dalla maggioranza delle popolazioni stesse. Si può, con l'approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante (1) «referendum» e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra. (1) Le parole: «l'approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante» sono state inserite dall'art. 9, comma 1, della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

133. Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell'ambito di una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziative dei Comuni, sentita la stessa Regione. La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni. Titolo VI.

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GARANZIE COSTITUZIONALI. Sezione I. LA CORTE COSTITUZIONALE.

134. La Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica [ed i Ministri] (1), a norma della Costituzione. (1) Queste parole sono state soppresse dall'art. 2 della L. cost. 16 gennaio 1989, n. 1, contenente modifiche alla Costituzione.

135. (1) La Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrativa. I giudici della Corte costituzionale sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni d'esercizio. I giudici della Corte costituzionale sono nominati per nove anni, decorrenti per ciascuno di essi dal giorno del giuramento, e non possono essere nuovamente nominati. Alla scadenza del termine il giudice costituzionale cessa dalla carica e dall'esercizio delle funzioni. La Corte elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dall'ufficio di giudice. L'ufficio di giudice della Corte è incompatibile con quello di membro del Parlamento o d'un Consiglio regionale, con l'esercizio della professione d'avvocato, e con ogni carica ed ufficio indicati dalla legge. Nei giudizi d'accusa contro il Presidente della Repubblica [e contro i Ministri] (2) intervengono, oltre i giudici ordinari della Corte, sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari. (1) Questo articolo è stato così modificato dall'art. 1 della L. cost. 22 novembre 1967, n. 2, contenente modifiche alla Costituzione. (2) Queste parole sono state soppresse dall'art. 2 della L. cost. 16 gennaio 1989, n. 1, contenente modifiche alla Costituzione.

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136. Quando la Corte dichiara la illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. La decisione della Corte è pubblicata e comunicata alle Camere ed ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali.

137. Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, e le garanzie di indipendenza dei giudici della Corte. Con legge ordinaria sono stabilite le altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte. Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione. Sezione II. REVISIONE DELLA COSTITUZIONE

LEGGI COSTITUZIONALI.

138. Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a «referendum» popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a «referendum» non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a «referendum» se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

139. La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale. DISPOSIZIONI

TRANSITORIE E FINALI.

I. Con l'entrata in vigore della Costituzione il Capo provvisorio dello Stato esercita le attribuzioni di Presidente della Repubblica e ne assume il titolo.

II. Se alla data della elezione del Presidente della Repubblica non sono costituiti tutti i Consigli regionali, partecipano alla elezione soltanto i componenti delle due Camere.

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III. Per la prima composizione del Senato della Repubblica sono nominati senatori, con decreto del Presidente della Repubblica, i deputati dell'Assemblea Costituente che posseggono i requisiti di legge per essere senatori e che: sono stati presidenti del Consiglio dei Ministri o di Assemblee legislative; hanno fatto parte del disciolto Senato; hanno avuto almeno tre elezioni, compresa quella all'Assemblea costituente; sono stati dichiarati decaduti nella seduta della Camera dei deputati del 9 novembre 1926; hanno scontato la pena della reclusione non inferiore a cinque anni in seguito a condanna del tribunale speciale fascista per la difesa dello Stato. Sono nominati altresì senatori con decreto del Presidente della Repubblica, i membri del disciolto Senato che hanno fatto parte della Consulta Nazionale. Al diritto di essere nominati senatori si può rinunciare prima della firma del decreto di nomina. L'accettazione della candidatura alle elezioni politiche implica rinuncia al diritto di nomina a senatore.

IV. Per la prima elezione del Senato il Molise è considerato come Regione a sè stante, con il numero dei senatori che gli compete in base alla sua popolazione. V. La disposizione dell'articolo 80 della Costituzione, per quanto concerne i trattati internazionali che importano oneri alle finanze o modificazioni di legge, ha effetto dalla data di convocazione delle Camere.

VI. Entro cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari. Entro un anno dalla stessa data si provvede con legge al riordinamento del Tribunale supremo militare in relazione all'articolo 111.

VII. Fino a quando non sia emanata la nuova legge sull'ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione, continuano ad osservarsi le norme dell'ordinamento vigente. Fino a quando non entri in funzione la Corte costituzionale, la decisione delle controversie indicate nell'articolo 134 ha luogo nelle forme e nei limiti delle norme preesistenti all'entrata in vigore della Costituzione. (Omissis) (1). (1) Seguiva un terzo comma che è stato abrogato dall'art. 7 della L. cost. 22 novembre 1967, n. 2, contenente modifiche alla Costituzione.

VIII. Le elezioni dei Consigli regionali e degli organi elettivi delle amministrazioni provinciali sono indette entro un anno dall'entrata in vigore della Costituzione.

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Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il passaggio delle funzioni statali attribuite alle Regioni. Fino a quando non sia provveduto al riordinamento e alla distribuzione delle funzioni amministrative fra gli enti locali restano alle Province ed ai Comuni le funzioni che esercitano attualmente e le altre di cui le Regioni deleghino loro l'esercizio. Leggi della Repubblica regolano il passaggio alle Regioni di funzionari e dipendenti dello Stato, anche delle amministrazioni centrali, che sia reso necessario dal nuovo ordinamento. Per la formazione dei loro uffici le Regioni devono, tranne che in casi di necessità, trarre il proprio personale da quello dello Stato e degli enti locali.

IX. La Repubblica, entro tre anni dall'entrata in vigore della Costituzione, adegua le sue leggi alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni.

X. Alla Regione del Friuli-Venezia Giulia, di cui all'articolo 116, si applicano provvisoriamente le norme generali del Titolo V della parte seconda, ferma restando la tutela delle minoranze linguistiche in conformità con l'articolo 6.

XI. Fino a cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione si possono, con leggi costituzionali, formare altre Regioni a modificazione dell'elenco di cui all'articolo 131, anche senza il concorso delle condizioni richieste dal primo comma dell'articolo 132, fermo rimanendo tuttavia l'obbligo di sentire le popolazioni interessate.

XII. È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all'articolo 48, sono stabilite con leggi, per non oltre un quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista.

XIII. I membri e i discendenti di Casa Savoia non sono elettori e non possono ricoprire uffici pubblici né cariche elettive (1). Agli ex re di Casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale (1). I beni esistenti nel territorio nazionale, degli ex re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi, sono avocati allo Stato. I trasferimenti e le costituzioni di diritti reali sui beni stessi, che siano avvenuti dopo il 2 giugno 1946, sono nulli. (1) Questo comma ha esaurito i suoi effetti, ai sensi dell'art. 1 della L. cost. 23 ottobre 2002, n. 1.

XIV. I titoli nobiliari non sono riconosciuti.

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I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922, valgono come parte del nome. L'Ordine mauriziano è conservato come ente ospedaliero e funziona nei modi stabiliti dalla legge. La legge regola la soppressione della Consulta araldica.

XV. Con l'entrata in vigore della Costituzione si ha per convertito in legge il decreto legislativo 25 giugno 1944, n. 151, sull'ordinamento provvisorio dello Stato. XVI. Entro un anno dall'entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione e al coordinamento con essa delle precedenti leggi costituzionali che non siano state finora esplicitamente o implicitamente abrogate.

XVII. L'Assemblea Costituente sarà convocata dal suo Presidente per deliberare, entro il 31 gennaio 1948, sulla legge per la elezione del Senato della Repubblica, sugli statuti regionali speciali e sulla legge per la stampa. Fino al giorno delle elezioni delle nuove Camere, l'Assemblea Costituente può essere convocata, quando vi sia necessità di deliberare nelle materie attribuite alla sua competenza dagli articoli 2, primo e secondo comma, e 3, comma primo e secondo, del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98. In tale periodo le Commissioni permanenti restano in funzione. Quelle legislative rinviano al Governo i disegni di legge, ad esse trasmessi, con eventuali osservazioni e proposte di emendamenti. I deputati possono presentare al Governo interrogazioni con richiesta di risposta scritta. L'Assemblea Costituente, agli effetti di cui al secondo comma del precedente articolo, è convocata dal suo presidente su richiesta motivata del Governo o di almeno duecento deputati.

XVIII. La presente Costituzione è promulgata dal Capo provvisorio dello Stato entro cinque giorni dalla sua approvazione da parte dell'Assemblea Costituente, ed entra in vigore il 1o gennaio 1948. Il testo della Costituzione è depositato nella sala comunale di ciascun Comune della Repubblica per rimanervi esposto, durante tutto l'anno 1948, affinché ogni cittadino possa prenderne cognizione. La Costituzione, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica. La Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come Legge fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato.

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CODICE DI PROCEDURA PENALE

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D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447. Approvazione del codice di procedura penale (Suppl. ord. n. 92 alla Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 250 del 24 ottobre 1988) e avvisi di rettifica in Gazzetta Ufficiale n. 291 del 13 dicembre 1988, n. 293 del 15 dicembre 1988 e n. 304 del 29 dicembre 1988. IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli artt. 76 e 87 della Costituzione; Vista la L. 16 febbraio 1987, n. 81, recante delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 29 gennaio 1988; Visto il parere espresso in data 16 maggio 1988 della Commissione parlamentare istituita a norma dell'art. 8 della citata legge n. 81 del 1987; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 luglio 1988; Visto il parere espresso in data 4 agosto 1988 dalla Commissione parlamentare a norma dell'art. 8, comma 3, della citata legge n. 81 del 1987; Visto il parere espresso in data 19 luglio 1988 dal Consiglio Superiore della Magistratura; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 22 settembre 1988; Sulla proposta del Ministro di grazia e giustizia. Emana il seguente decreto:

1. 1. È approvato il testo del codice di procedura penale, allegato al presente decreto. 2. Le disposizioni del nuovo codice di procedura penale entrano in vigore un anno dopo la loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 22 settembre 1988.

COSSIGA De Mita, Presidente del Consiglio dei Ministri VASSALLI, Ministro di grazia e giustizia

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Libro I. SOGGETTI. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo I. GIUDICE. Vai alla dottrina     ↓

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Capo I. GIURISDIZIONE.

1. Giurisdizione penale.(1) 1. La giurisdizione penale è esercitata dai giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario (102 Cost.) secondo le norme di questo codice. (1) Si veda il R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, recante la normativa fondamentale sull'ordinamento giudiziario.

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2. Cognizione del giudice. 1. Il giudice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito (3, 30, 2633, 3248, 479) (1). 2. La decisione del giudice penale che risolve incidentalmente una questione civile, amministrativa o penale non ha efficacia vincolante in nessun altro processo (651, 652, 654). (1) La pregiudiziale relativa alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge è di competenza della Corte costituzionale (art. 134 Cost.). Per la c.d. pregiudiziale comunitaria e la competenza della Corte di giustizia della Comunità europea, si veda l'art. 3 della L. 13 marzo 1958, n. 204.

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3. Questioni pregiudiziali. 1. Quando la decisione dipende dalla risoluzione di una controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza, il giudice, se la questione è seria e se l'azione a norma delle leggi civili è già in corso, può sospendere il processo fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce la questione (479, 630, lett. b); 324 c.p.c.) (1) (2). 2. La sospensione è disposta con ordinanza soggetta a ricorso per cassazione. La corte decide in camera di consiglio (127). 3. La sospensione del processo non impedisce il compimento degli atti urgenti (467). 4. La sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza ha efficacia di giudicato nel procedimento penale. (1) Ipotesi di sospensione obbligatoria del processo penale sono quelle di pregiudiziale costituzionale e di pregiudiziale comunitaria di cui alla nota 1 dell'articolo precedente. (2) A norma dell'art. 20 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, il procedimento amministrativo di accertamento e il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione.

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Capo II. COMPETENZA. Vai alla dottrina     ↓

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Sezione I. DISPOSIZIONE GENERALE.

4. Regole per la determinazione della competenza. 1. Per determinare la competenza (coord. 210) si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato (56 c.p.). Non si tiene conto della continuazione (81 c.p.), della recidiva (99 c.p.) e delle circostanze del reato, fatta eccezione delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale (633 c.p.). Vai alla dottrina     ↓

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Sezione II. COMPETENZA PER MATERIA.

5. Competenza della.corte di assise 1. La corte di assise è competente: a) per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a ventiquattro anni (1), esclusi i delitti, comunque aggravati, di tentato omicidio, di rapina, di estorsione e di associazioni di tipo mafioso anche straniere, e i delitti, comunque aggravati, previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (2); b) per i delitti consumati previsti dagli artt. 579, 580, 584 [, 600, 601 e 602] (3) del codice penale; c) per ogni delitto doloso se dal fatto è derivata la morte di una o più persone, escluse le ipotesi previste dagli artt. 586, 588 e 593 del codice penale; d) per i delitti previsti dalle leggi di attuazione della XII disposizione finale della Costituzione (4), dalla L. 9 ottobre 1967 n. 962 (5) e nel titolo I del libro II del codice penale (241 - 313 c.p.), sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni (6). d bis) per i delitti consumati o tentati di cui agli articoli 416, sesto comma, 600, 601, 602 del codice penale, nonché per i delitti con finalità di terrorismo sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni (7). (1) Si tratta dei delitti previsti e puniti dagli artt. 422, 438, 439, 575, 576, 577, 5782 c.p. (2) Questa lettera è stata così, da ultimo, sostituita dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 12 febbraio 2010, n. 10, convertito, con modificazioni, nella L. 6 aprile 2010, n. 52. A norma dell'art. 1, comma 2, dello stesso decreto tali disposizioni si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto solo nei casi in cui alla data del 30 giugno 2010, non sia stata esercitata l'azione penale. A norma dell'art. 2, comma 1, del citato D.L. n. 10/2010, in deroga a quanto previsto nell'articolo 1, comma 2, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, relativi ai delitti di cui all'articolo 416 bis, c.p., comunque aggravati, è competente il tribunale, anche nell'ipotesi in cui sia stata già esercitata l'azione penale, salvo che, prima della suddetta data, sia stato dichiarato aperto il dibattimento davanti alla corte di assise. (3) Le parole poste fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 6, comma 1, lett. a), della L. 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone. A norma dell'art. 16, comma 1, della stessa legge, questa disposizione si applica solo ai reati commessi successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge. (4) Si tratta delle norme che prevedono e puniscono la ricostituzione del partito fascista (L. 20 giugno 1952, n. 645 e successive modificazioni). (5) Si tratta della normativa in tema di prevenzione e repressione del delitto di genocidio. (6) Il rinvio, per quanto attiene il codice penale, è da intendersi fatto agli artt. 241, 242, 2432, 2441, 245, 247, 248, 249, 252, 253, 255, 2564, 257, 258, 2611-2-3-4, 2621-2-3-4, 263, 264, 265, 267, 269, 2701-2, 270 bis, 276, 277, 280, 283, 284, 285, 286, 287, 2891, 289 bis, 295, 303, 3051, 3061.

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(7) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 1, comma 1, lett. b), del D.L. 12 febbraio 2010, n. 10, convertito, con modificazioni, nella L. 6 aprile 2010, n. 52.

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6. (1) Competenza del tribunale. 1. Il tribunale è competente per i reati che non appartengono alla competenza della corte di assise o del giudice di pace (2) (5; 210, 259 coord.). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 166 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Si riporta il testo previgente: «6. (Competenza del tribunale). 1. Il tribunale è competente per i reati che non appartengono alla competenza della corte di assise o del pretore. «2. Il tribunale è altresì competente per i reati, consumati o tentati, previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale, esclusi quelli di cui agli artt. 329, 330, primo comma, 331, primo comma, 332, 333, 334 e 335». (2) Le parole: «o del giudice di pace» sono state aggiunte dall'art. 47 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274. Per la relativa disciplina si veda l'art. 4 del predetto D.L.vo.

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7. (1) Competenza del pretore. 1. Il pretore è competente per i reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni ovvero una pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena detentiva. 2. Il pretore è inoltre competente per i seguenti reati: a) violenza o minaccia a un pubblico ufficiale prevista dall'art. 336 comma 1 del codice penale; b) resistenza a un pubblico ufficiale prevista dall'art. 337 del codice penale; c) oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell'art. 343 comma 2 del codice penale; d) violazione di sigilli aggravata a norma dell'art. 349 comma 2 del codice penale; e) favoreggiamento reale previsto dall'art. 379 del codice penale; f) maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, quando non ricorre l'aggravante prevista dall'art. 572 comma 2 del codice penale; g) rissa aggravata a norma dell'art. 588 comma 2 del codice penale, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime; h) omicidio colposo previsto dall'art. 589 del codice penale; i) violazione di domicilio aggravata a norma dell'art. 614 comma 4 del codice penale; l) furto aggravato a norma dell'art. 625 del codice penale; m) truffa aggravata a norma dell'art. 640 comma 2 del codice penale; n) ricettazione prevista dall'art. 648 del codice penale. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 218 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

Sezione III. COMPETENZA PER TERRITORIO (1). (1) Per la competenza per territorio del giudice di pace si veda l'art. 5 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274.

8. Regole generali.(1) 1. La competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato (coord. 210). 2. Se si tratta di fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione (162). 3. Se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone. 4. Se si tratta di delitto tentato (56 c.p.), è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto diretto a commettere il delitto. (1) Deroghe a questi criteri sono contenute: nell'art. 3 del R.D. 20 luglio 1934, n. 1404, convertito in L. 27 maggio 1935, n. 835, per i reati commessi dai minorenni, secondo cui il Tribunale per i minorenni ha giurisdizione su tutto il territorio della Corte d'appello o della sezione di Corte d'appello in cui è istituito; nell'art. 14 della L. 2

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aprile 1962, n. 161, che fissa la competenza del giudice del luogo in cui è stata effettuata la prima proiezione in pubblico del film o la prima rappresentazione dell'opera teatrale per i reati commessi a mezzo della cinematografia o della rappresentazione teatrale; nell'art. 29 comma 2 della L. 13 settembre 1982, n. 646, che per i reati finanziari e societari contestati a persone sottoposte a misure di prevenzione secondo la L. n. 575/1965, o condannate per il delitto di cui all'art. 416 bis c.p. attribuisce la competenza al tribunale che ha applicato la misura di prevenzione o che è stato competente per l'associazione mafiosa; nell'art. 11 comma 1 della L. Cost. 16 gennaio 1989, n. 1, per i reati ministeriali, che attribuisce la competenza «al tribunale del capoluogo di distretto di Corte d'appello competente per territorio»; nell'art. 30 comma 5 del L. 6 agosto 1990, n. 223, secondo cui, per i reati di diffamazione consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato commessi attraverso trasmissioni la competenza è determinata dal luogo di residenza della persona offesa; identico criterio è fissato nell'art. 11 comma e bis del D.L. 27 agosto 1993, n. 323, convertito in L. 27 ottobre 1993, n. 422, per i reati di diffamazione consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato commessi attraverso trasmissioni televisive in forma codificata; nell'art. 14 comma 3 della L. 8 luglio 1998, n. 230, per i reati in materia di obiezione di coscienza al servizio militare, che fissa la competenza «nel luogo dove deve essere svolto il servizio civile o il servizio militare»; nell'art. 18 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, che adotta il criterio del «luogo di accertamento per i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto».

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9. Regole suppletive. 1. Se la competenza non può essere determinata a norma dell'art. 8, è competente il giudice dell'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione. 2. Se non è noto il luogo indicato nel comma 1, la competenza appartiene successivamente al giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell'imputato. 3. Se nemmeno in tale modo è possibile determinare la competenza, questa appartiene al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335. Vai alla dottrina     ↓

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10. Competenza per reati commessi all'estero.(1) 1. Se il reato è stato commesso interamente all'estero (att. 78; 7 ss. c.p.; 1240 c.n.), la competenza è determinata successivamente dal luogo della residenza, della dimora, del domicilio, dell'arresto o della consegna dell'imputato. Nel caso di pluralità di imputati, procede il giudice competente per il maggior numero di essi. 1 bis. Se il reato è stato commesso a danno del cittadino e non sussistono i casi previsti dagli articoli 12 e 371, comma 2, lettera b), la competenza è del tribunale o della corte di assise di Roma quando non è possibile determinarla nei modi indicati nel comma 1 (2). 2. In tutti gli altri casi, se (3) non è possibile determinare nei modi indicati nei commi 1 e 1 bis (4) la competenza, questa appartiene al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335. 3. Se il reato è stato commesso in parte all'estero (6 c.p.), la competenza è determinata a norma degli artt. 8 e 9. (1) I reati di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato sono puniti secondo la legge italiana anche se commessi all'estero, ai sensi dell'art. 182 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58 come sostituito con L. 18 aprile 2005, n. 62. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 6, comma 3, lett. a), del D.L. 16 maggio 2016, n. 67, convertito, con modificazioni, nella L. 14 luglio 2016, n. 131. A norma dell'art. 6, comma 4, del medesimo decreto, tali disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. (3) La parola: «Se» è stata così sostituita dalle parole: «In tutti gli altri casi, se» dall'art. 6, comma 3, lett. b), n. 1), del D.L. 16 maggio 2016, n. 67, convertito, con modificazioni, nella L. 14 luglio 2016, n. 131. A norma dell'art. 6, comma 4, del medesimo decreto, tali disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. (4) Le parole: «nel comma 1» sono state così sostituite dalle attuali: «nei commi 1 e 1 bis» dall'art. 6, comma 3, lett. b), n. 2), del D.L. 16 maggio 2016, n. 67, convertito, con modificazioni, nella L. 14 luglio 2016, n. 131. A norma dell'art. 6, comma 4, del medesimo decreto, tali disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

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11. (1) Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati. 1. I procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, che secondo le norme di questo capo sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d'appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello determinato dalla legge. 2. Se nel distretto determinato ai sensi del comma 1 il magistrato stesso è venuto ad esercitare le proprie funzioni in un momento successivo a quello del fatto, è competente il giudice che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte d'appello determinato ai sensi del medesimo comma 1. 3. I procedimenti connessi (12 ss.) a quelli in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato sono di competenza del medesimo giudice individuato a norma del comma 1. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1 della L. 2 dicembre 1998, n. 420. Ai sensi dell'art. 8 della predetta legge, questo articolo, così come sostituito, si applica ai procedimenti relativi ai reati commessi successivamente alla data di entrata in vigore della L. 2 dicembre 1998, n. 420, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 7 dicembre 1998.

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11 bis. (1) Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.(2) 1. I procedimenti in cui assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato un magistrato addetto alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (2) di cui all'articolo 76 bis dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, sono di competenza del giudice determinato ai sensi dell'articolo 11. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 2 della L. 2 dicembre 1998, n. 420. (2) Le parole: «Direzione nazionale antimafia» si intendono sostituite dalle attuali: «Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo» a norma dell'art. 20, comma 4, del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43.

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Sezione IV. COMPETENZA PER CONNESSIONE (1). (1) Per i procedimenti davanti al giudice di pace si vedano gli artt. 6-8 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274.

12. Casi di.connessione 1. Si ha connessione di procedimenti (17): a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro (110 c.p.), o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento; b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso (2973, 423; 81 c.p.) (1); c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri [o in occasione di questi ovvero per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità] (2) (3). (1) Lettera così sostituita dall'art. 1 del D.L. 20 novembre 1991, n. 367, istitutivo della Direzione Nazionale Antimafia, convertito, con modificazioni, nella L. 20 gennaio 1992, n. 8. Le disposizioni da esse previste, ai sensi dell'art. 15 del medesimo decreto, si applicano solo ai procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. (2) Le parole poste fra parentesi quadre sono state soppresse dall'art. 1, comma 1, della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (3) Ai sensi dell'art. 25 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo, ai fini della determinazione della competenza per materia e per territorio le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 1, si applicano solo per i reati commessi successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.

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13. Connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali. 1. Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza di un giudice ordinario e altri a quella della Corte costituzionale (134 Cost.), è competente per tutti quest'ultima (1). 2. Fra reati comuni e reati militari, la connessione di procedimenti opera soltanto quando il reato comune è più grave di quello militare, avuto riguardo ai criteri previsti dall'art. 16 comma 3. In tale caso, la competenza per tutti i reati è del giudice ordinario (264 c.p.m.p.). (1) Per effetto della L.C. 16 gennaio 1989, n. 1, che ha innovato la materia dei reati ministeriali, sostituendo l'art. 96 Cost., la giurisdizione penale della Corte costituzionale riguarda esclusivamente i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione imputati al Presidente della Repubblica ex art. 90 Cost.

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14. Limiti alla connessione nel caso di reati commessi da minorenni.(1) 1. La connessione non opera fra procedimenti relativi a imputati che al momento del fatto erano minorenni e procedimenti relativi a imputati maggiorenni. 2. La connessione non opera, altresì, fra procedimenti per reati commessi quando l'imputato era minorenne e procedimenti per reati commessi quando era maggiorenne. (1) Si veda anche il D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni.

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15. (1) Competenza per materia determinata dalla connessione. 1. Se alcuni dei procedimenti connessi (12) appartengono alla competenza della corte di assise (5) ed altri a quella del tribunale, è competente per tutti la corte di assise. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 167 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Si riporta il testo previgente: «15. (Competenza per materia determinata dalla connessione). 1. Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza della corte di assise ed altri a quella del tribunale o del pretore, è competente per tutti la corte di assise. «2. Se alcuni dei procedimenti appartengono alla competenza del tribunale ed altri a quella del pretore, è competente per tutti il tribunale».

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16. Competenza per territorio determinata dalla connessione. 1. La competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono ugualmente competenti per materia appartiene al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato. 2. Nel caso previsto dall'art. 12 comma 1 lett. a) se le azioni od omissioni sono state commesse in luoghi diversi e se dal fatto è derivata la morte di una persona (82), è competente il giudice del luogo in cui si è verificato l'evento. 3. I delitti si considerano più gravi delle contravvenzioni. Fra delitti o fra contravvenzioni si considera più grave il reato per il quale è prevista la pena più elevata nel massimo ovvero, in caso di parità dei massimi, la pena più elevata nel minimo; se sono previste pene detentive e pene pecuniarie, di queste si tiene conto solo in caso di parità delle pene detentive. Vai alla dottrina     ↓

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Capo III. RIUNIONE E SEPARAZIONE

DI PROCESSI (1). (1) Per i procedimenti davanti al giudice di pace si vedano l'art. 9 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274 e l'art. 38 del D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231.

17. Riunione di processi. 1. La riunione di processi pendenti nello stesso stato e grado davanti al medesimo giudice può essere disposta (19) quando non determini un ritardo nella definizione degli stessi (1): a) nei casi previsti dall'art. 12; b) nei casi di reato continuato (2); c) nei casi previsti dall'articolo 371, comma 2, lettera b) (3). 1 bis. Se alcuni dei processi pendono davanti al tribunale collegiale (33 bis) ed altri davanti al tribunale monocratico (33 ter), la riunione è disposta davanti al tribunale in composizione collegiale. Tale composizione resta ferma anche nel caso di successiva separazione dei processi (18) (4). (1) Le parole: «quando non pregiudichi la rapida definizione degli stessi» sono state così sostituite dalle attuali: «quando non determini un ritardo nella definizione degli stessi» dall'art. 1, comma 2, della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (2) Lettera soppressa dall'art. 1 del D.L. 20 novembre 1991, n. 367, istitutivo della Direzione Nazionale Antimafia, convertito, con modificazioni, nella L. 20 gennaio 1992, n. 8. Questa disposizione, ai sensi dell'art. 15 del medesimo decreto, si applica solo ai procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. (3) Le originarie lettere c) e d) sono state così sostituite dall'attuale lett. c), dall'art. 1, comma 3, della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (4) Questo comma è stato inserito dall'art. 168 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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18. Separazione di processi. 1. La separazione di processi (19, 4912, 6103) è disposta, salvo che il giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti: a) se, nell'udienza preliminare (416 ss.), nei confronti di uno o più imputati o per una o più imputazioni è possibile pervenire prontamente alla decisione, mentre nei confronti di altri imputati o per altre imputazioni è necessario acquisire ulteriori informazioni a norma dell'art. 422; b) se nei confronti di uno o più imputati o per una o più imputazioni è stata ordinata la sospensione del procedimento (3, 41, 47, 71, 344, 479) (1); c) se uno o più imputati non sono comparsi al dibattimento per nullità dell'atto di citazione o della sua notificazione (171, 178, lett. c), 4292, 487), per legittimo impedimento (486, 4876) o per mancata conoscenza incolpevole dell'atto di citazione (485, 4876); d) se uno o più difensori di imputati non sono comparsi al dibattimento per mancato avviso ovvero per legittimo impedimento (486, 4876); e) se nei confronti di uno o più imputati o per una o più imputazioni l'istruzione dibattimentale (496 ss.) risulta conclusa, mentre nei confronti di altri imputati o per altre imputazioni è necessario il compimento di ulteriori atti che non consentono di pervenire prontamente alla decisione; e bis) se uno o più imputati dei reati previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), è prossimo ad essere rimesso in libertà per scadenza dei termini per la mancanza di altri titoli di detenzione (2). 2. Fuori dei casi previsti dal comma 1, la separazione può essere altresì disposta, sull'accordo delle parti, qualora il giudice la ritenga utile ai fini della speditezza del processo. (1) A norma dell'art. 232 della L. 11 marzo 1953, n. 87, recante norme sulla Costituzione e il funzionamento della Corte costituzionale, il giudizio è sospeso quando sorga incidente di costituzionalità e gli atti siano trasmessi alla Corte. (2) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 1, comma 1, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000.

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19. Provvedimenti sulla riunione e separazione. 1. La riunione e la separazione di processi sono disposte con ordinanza (125), anche di ufficio, sentite le parti. Vai alla dottrina     ↓

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Capo IV. PROVVEDIMENTI

SULLA GIURISDIZIONE

E SULLA COMPETENZA (1). (1) Il configurarsi di una «giurisdizione prioritaria» a favore del Tribunale internazionale (art. 3 del D.L. 28 dicembre 1993, n. 544, convertito in L. 14 febbraio 1994, n. 120) impone la pronuncia di sentenza di non doversi procedere da parte dell'autorità giudiziaria italiana.Si veda, altresì, l'art. VII della Convenzione di Londra sul Trattato NATO per ipotesi di giurisdizione esclusiva dello Stato di origine.Per la competenza del giudice di pace dichiarata da altro giudice si veda l'art. 48 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274.

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20. Difetto di giurisdizione. 1. Il difetto di giurisdizione è rilevato, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. 2. Se il difetto di giurisdizione è rilevato nel corso delle indagini preliminari (326 ss.), si applicano le disposizioni previste dall'art. 22 commi 1 e 2. Dopo la chiusura delle indagini preliminari (405 ss., 554) e in ogni stato e grado del processo il giudice pronuncia sentenza e ordina, se del caso, la trasmissione degli atti all'autorità competente. Vai alla dottrina     ↓

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21. Incompetenza. 1. L'incompetenza per materia (5 ss.) è rilevata, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo, salvo quanto previsto dal comma 3 e dall'art. 23 comma 2. 2. L'incompetenza per territorio (8 ss.) è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare (424) o, se questa manchi (449, 453, 459, 554), entro il termine previsto dall'art. 491 comma 1. Entro quest'ultimo termine deve essere riproposta l'eccezione di incompetenza respinta nell'udienza preliminare. 3. L'incompetenza derivante da connessione (15, 16) è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro i termini previsti dal comma 2. Vai alla dottrina     ↓

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22. Incompetenza dichiarata dal giudice per le indagini preliminari. 1. Nel corso delle indagini preliminari (326 ss.) il giudice, se riconosce la propria incompetenza per qualsiasi causa, pronuncia ordinanza e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero (54). 2. L'ordinanza pronunciata a norma del comma 1 produce effetti limitatamente al provvedimento richiesto. 3. Dopo la chiusura delle indagini preliminari (405 ss., 554) il giudice, se riconosce la propria incompetenza per qualsiasi causa, la dichiara con sentenza e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente. Vai alla dottrina     ↓

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23. Incompetenza dichiarata nel dibattimento di primo grado. 1. Se nel dibattimento di primo grado (470 ss., 567) il giudice ritiene che il processo appartiene alla competenza di altro giudice, dichiara con sentenza la propria incompetenza per qualsiasi causa e ordina la trasmissione degli atti al giudice competente (1) (2). 2. Se il reato appartiene alla cognizione di un giudice di competenza inferiore, l'incompetenza è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall'art. 491 comma 1. Il giudice, se ritiene la propria incompetenza, provvede a norma del comma 1. (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 76 dell'11 marzo 1993, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui dispone che, quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per materia, ordina la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 70 del 15 marzo 1996, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per territorio.

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24. Decisioni del giudice di appello sulla competenza. 1. Il giudice di appello (596) pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al giudice di primo grado competente quando riconosce che il giudice di primo grado era incompetente per materia a norma dell'art. 23 comma 1 ovvero per territorio o per connessione, purché, in tali ultime ipotesi, l'incompetenza sia stata eccepita a norma dell'art. 21 e l'eccezione sia stata riproposta nei motivi di appello (1) (2). 2. Negli altri casi il giudice di appello pronuncia nel merito, salvo che si tratti di decisione inappellabile (593). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 214 del 5 maggio 1993, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui dispone che, a seguito dell'annullamento della sentenza di primo grado per incompetenza per materia, gli atti siano trasmessi a giudice ritenuto competente, anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 70 del 15 marzo 1996, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui dispone che, a seguito dell'annullamento della sentenza di primo grado per incompetenza per territorio, gli atti sono trasmessi al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo.

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25. Effetti delle decisioni della Corte di cassazione sulla giurisdizione e sulla competenza. 1. La decisione della Corte di cassazione sulla giurisdizione (620, lett. b) o sulla competenza è vincolante nel corso del processo, salvo che risultino nuovi fatti che comportino una diversa definizione giuridica da cui derivi la modificazione della giurisdizione o la competenza di un giudice superiore (627). Vai alla dottrina     ↓

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26. Prove acquisite dal giudice incompetente. 1. L'inosservanza delle norme sulla competenza non produce l'inefficacia delle prove già acquisite. 2. Le dichiarazioni rese al giudice incompetente per materia, se ripetibili, sono utilizzabili soltanto nell'udienza preliminare e per le contestazioni a norma degli artt. 500 e 503. Vai alla dottrina     ↓

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27. Misure cautelari disposte dal giudice incompetente. 1. Le misure cautelari (272 ss.) disposte dal giudice che, contestualmente o successivamente, si dichiara incompetente per qualsiasi causa cessano di avere effetto se, entro venti giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti, il giudice competente non provvede a norma degli artt. 292, 317 e 321 (2912). Vai alla dottrina     ↓

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Capo V. CONFLITTI DI GIURISDIZIONE

E DI COMPETENZA. Vai alla dottrina     ↓

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28. Casi di conflitto. 1. Vi è conflitto quando in qualsiasi stato e grado del processo: a) uno o più giudici ordinari e uno o più giudici speciali contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona; b) due o più giudici ordinari contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona. 2. Le norme sui conflitti si applicano anche nei casi analoghi a quelli previsti dal comma 1. Tuttavia, qualora il contrasto sia tra giudice dell'udienza preliminare (328, 416 ss.) e giudice del dibattimento, prevale la decisione di quest'ultimo (231). 3. Nel corso delle indagini preliminari (326 ss.), non può essere proposto conflitto positivo fondato su ragioni di competenza per territorio determinata dalla connessione (16, 54, 371). Vai alla dottrina     ↓

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120

29. Cessazione del conflitto. 1. I conflitti previsti dall'art. 28 cessano per effetto del provvedimento di uno dei giudici che dichiara, anche di ufficio, la propria competenza o la propria incompetenza. Vai alla dottrina     ↓

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122

30. Proposizione del conflitto. 1. Il giudice che rileva un caso di conflitto pronuncia ordinanza (125) con la quale rimette alla Corte di cassazione copia degli atti necessari alla sua risoluzione con l'indicazione delle parti e dei difensori. 2. Il conflitto può essere denunciato dal pubblico ministero (51) presso uno dei giudici in conflitto ovvero dalle parti private (60, 61, 74 ss., 99, 1004). La denuncia è presentata nella cancelleria di uno dei giudici in conflitto, con dichiarazione scritta e motivata alla quale è unita la documentazione necessaria. Il giudice trasmette immediatamente alla Corte di cassazione la denuncia e la documentazione nonché copia degli atti necessari alla risoluzione del conflitto, con l'indicazione delle parti e dei difensori e con eventuali osservazioni. 3. L'ordinanza e la denuncia previste dai commi 1 e 2 non hanno effetto sospensivo sui procedimenti in corso. Vai alla dottrina     ↓

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124

31. Comunicazione al giudice in conflitto. 1. Il giudice che ha pronunciato l'ordinanza o ricevuto la denuncia previste dall'art. 30 ne dà immediata comunicazione al giudice in conflitto. 2. Questi trasmette immediatamente alla Corte di cassazione copia degli atti necessari alla risoluzione del conflitto, con l'indicazione delle parti e dei difensori e con eventuali osservazioni. Vai alla dottrina     ↓

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32. Risoluzione del conflitto. 1. I conflitti sono decisi dalla Corte di cassazione con sentenza in camera di consiglio secondo le forme previste dall'art. 127. La corte assume le informazioni e acquisisce gli atti e i documenti che ritiene necessari (234 ss.). 2. L'estratto della sentenza è immediatamente comunicato ai giudici in conflitto e al pubblico ministero presso i medesimi giudici ed è notificato alle parti private. 3. Si applicano le disposizioni degli artt. 25, 26 e 27, ma il termine previsto da quest'ultimo articolo decorre dalla comunicazione effettuata a norma del comma 2. Vai alla dottrina     ↓

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Capo VI. CAPACITÀ E COMPOSIZIONE

DEL GIUDICE (1). (1) Questa intitolazione è stata così sostituita dall'art. 169 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Il precedente titolo del capo era: «CAPACITÀ DEL GIUDICE».

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33. (1) Capacità del giudice. 1. Le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi sono stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario (178, 179). 2. Non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici. 3. Non si considerano altresì attinenti alla capacità del giudice né al numero dei giudici necessario per costituire l'organo giudicante le disposizioni sull'attribuzione degli affari penali al tribunale collegiale o monocratico (33 bis ss.). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 169 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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33 bis. (1) Attribuzioni del tribunale in composizione collegiale. 1. Sono attribuiti al tribunale in composizione collegiale (33 ter) i seguenti reati, consumati o tentati: a) delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), numeri 3), 4) e 5), sempre che per essi non sia stabilita la competenza della corte di assise (5); b) delitti previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale, esclusi quelli indicati dagli articoli 329, 331, primo comma, 332, 334 e 335; c) delitti previsti dagli articoli 416, 416 bis, 416 ter, 420, terzo comma, 429, secondo comma, 431, secondo comma, 432, terzo comma, 433, terzo comma, 433 bis, secondo comma (2), 440, 449, secondo comma, 452, primo comma, numero 2, 513 bis, 564, da 600 bis a 600 sexies puniti con reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, 609 bis, 609 quater e 644 del codice penale; d) reati previsti dal Titolo XI del libro V del codice civile, nonché dalle disposizioni che ne estendono l'applicazione a soggetti diversi da quelli in essi indicati (3); e) delitti previsti dall'articolo 1136 del codice della navigazione; f) delitti previsti dagli articoli 6 e 11 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1; g) delitti previsti dagli articoli 216, 223, 228 e 234 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, in materia fallimentare, nonché dalle disposizioni che ne estendono l'applicazione a soggetti diversi da quelli in essi indicati; h) delitti previsti dall'articolo 1 del decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43, ratificato dalla L. 17 aprile 1956, n. 561, in materia di associazioni di carattere militare; i) delitti previsti dalla legge 20 giugno 1952, n. 645, attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione; i bis) delitti previsti dall'articolo 291 quater del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (4); l) delitto previsto dall'articolo 593 ter del codice penale (5); m) delitto previsto dall'articolo 2 della legge 25 gennaio 1982, n. 17, in materia di associazioni segrete; n) delitto previsto dall'articolo 29, secondo comma, della legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di misure di prevenzione; o) delitto previsto dall'articolo 512 bis del codice penale (6); p) delitti previsti dall'articolo 6, commi 3 e 4 del D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa; q) delitti previsti dall'articolo 10 della legge 18 novembre 1995, n. 496, in materia di produzione e uso di armi chimiche. 2. Sono attribuiti altresì al tribunale in composizione collegiale, salva la disposizione dell'art. 33 ter, comma 1, i delitti puniti con la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, anche nell'ipotesi del tentativo (7). Per la determinazione della pena si osservano le disposizioni dell'art. 4.

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(1) Questo articolo è stato introdotto dall'art. 169 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico e poi così sostituito dall'art. 10 della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Le parole: «433 bis, secondo comma,» sono state inserite dall'art. 8, comma 2, della L. 28 aprile 2015, n. 58. (3) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 6 del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61. (4) Questa lettera è stata inserita dall'art. 5, comma 1, della L. 19 marzo 2001, n. 92, sulla repressione del contrabbando di tabacchi lavorati. (5) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 2, comma 2, del D.L.vo 1 marzo 2018, n. 21. (6) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 4, comma 2, del D.L.vo 1 marzo 2018, n. 21. (7) Le parole: «, anche nell'ipotesi del tentativo» sono state inserite dall'art. 2 bis del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144.

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33 ter. (1) Attribuzioni del tribunale in composizione monocratica. 1. Sono attribuiti al tribunale in composizione monocratica i delitti previsti dall'articolo 73 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sempre che non siano contestate le aggravanti di cui all'art. 80, [commi 1, 3 e 4,] (2) del medesimo testo unico. 2. Il tribunale giudica in composizione monocratica, altresì, in tutti i casi non previsti dall'articolo 33 bis o da altre disposizioni di legge (3). (1) Questo articolo è stato introdotto dall'art. 169 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico e poi così sostituito dall'art. 10 della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Le parole tra parentesi quadre sono state soppresse dall'art. 2 ter del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144. (3) La competenza a giudicare della guida in stato di alterazione da stupefacenti è attribuita al tribunale monocratico dall'art. 187 c.s.

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33 quater. (1) Effetti della connessione sulla composizione del giudice. 1. Se alcuni dei procedimenti connessi (12) appartengono alla cognizione del tribunale in composizione collegiale (33 bis) ed altri a quella del tribunale in composizione monocratica (33 ter), si applicano le disposizioni relative al procedimento davanti al giudice collegiale, al quale sono attribuiti tutti i procedimenti connessi. (1) Questo articolo è stato introdotto dall'art. 169 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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Capo VI bis . PROVVEDIMENTI

SULLA COMPOSIZIONE

COLLEGIALE O MONOCRATICA

DEL TRIBUNALE (1). (1) Questo capo è stato inserito dall'art. 170 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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33 quinquies. Inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale. 1. L'inosservanza delle disposizioni relative all'attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale in composizione collegiale (33 bis) o monocratica (33 ter) e delle disposizioni processuali collegate (33 quater) è rilevata o eccepita, a pena di decadenza (173), prima della conclusione dell'udienza preliminare (421) o, se questa manca, entro il termine previsto dall'articolo 491 comma 1. Entro quest'ultimo termine deve essere riproposta l'eccezione respinta nell'udienza preliminare. Vai alla dottrina     ↓

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33 sexies. (1) Inosservanza dichiarata nell'udienza preliminare. 1. Se nell'udienza preliminare il giudice ritiene che per il reato deve procedersi con citazione diretta a giudizio pronuncia, nei casi previsti dall'articolo 550, ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero per l'emissione del decreto di citazione a giudizio a norma dell'articolo 552. 2. Si applicano le disposizioni previste dagli articoli 424, commi 2 e 3, 553 e 554. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 47, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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33 septies. (1) Inosservanza dichiarata nel dibattimento di primo grado. 1. Nel dibattimento di primo grado instaurato a seguito dell'udienza preliminare, il giudice, se ritiene che il reato appartiene alla cognizione del tribunale in composizione diversa, trasmette gli atti, con ordinanza, al giudice competente a decidere sul reato contestato. 2. Fuori dai casi previsti dal comma 1, se il giudice monocratico ritiene che il reato appartiene alla cognizione del collegio, dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero. 3. Si applica la disposizione dell'articolo 420 ter, comma 4. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 47, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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33 octies. Inosservanza dichiarata dal giudice di appello o dalla corte di cassazione. 1. Il giudice di appello o la corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento (604, 620) e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice di primo grado quando ritiene l'inosservanza delle disposizioni sull'attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale in composizione collegiale (33 bis) o monocratica (33 ter), purché la stessa sia stata tempestivamente eccepita e l'eccezione sia stata riproposta nei motivi di impugnazione. 2. Il giudice di appello pronuncia tuttavia nel merito se ritiene che il reato appartiene alla cognizione del tribunale in composizione monocratica (33 ter). Vai alla dottrina     ↓

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33 nonies. Validità delle prove acquisite. 1. L'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica (33 bis ss.) del tribunale non determina l'invalidità degli atti del procedimento, né l'inutilizzabilità delle prove già acquisite (26). Vai alla dottrina     ↓

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Capo VII. INCOMPATIBILITÀ, ASTENSIONE

E RICUSAZIONE DEL GIUDICE (1) (2). (1) Per i procedimenti davanti al giudice di pace si veda l'art. 10 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274. (2) Per i giudici popolari, si veda l'art. 31 della L. 10 aprile 1951, n. 287, recante norme sui giudizi di assise. Per i giudici (ordinari e aggregati) della Corte costituzionale, si veda l'art. 25 della L. 25 gennaio 1962, n. 20.

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34. Incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento. 1. Il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, né partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento (627) o al giudizio per revisione (636 ss.) (1) (2). 2. Non può partecipare al giudizio il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare (424) o ha disposto il giudizio immediato (455) o ha emesso decreto penale di condanna (460) o ha deciso sull'impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere (428) (3) (4) (5) (6) (7) (8) (9) (10) (11) (12) (13) (14) (15) (16) (17) (18) (19) (20) (21). 2 bis. Il giudice che nel medesimo procedimento ha esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari non può emettere il decreto penale di condanna, né tenere l'udienza preliminare; inoltre, anche fuori dei casi previsti dal comma 2, non può partecipare al giudizio (22). 2 ter. Le disposizioni del comma 2 bis non si applicano al giudice che nel medesimo procedimento abbia adottato uno dei seguenti provvedimenti: a) le autorizzazioni sanitarie previste dall'articolo 11 della legge 26 luglio 1975, n. 354; b) i provvedimenti relativi ai permessi di colloquio, alla corrispondenza telefonica e al visto di controllo sulla corrispondenza, previsti dagli articoli 18 e 18 ter (23) della legge 26 luglio 1975, n. 354; c) i provvedimenti relativi ai permessi previsti dall'articolo 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354; d) il provvedimento di restituzione nel termine di cui all'articolo 175; e) il provvedimento che dichiara la latitanza a norma dell'articolo 296 (24). 2 quater. Le disposizioni del comma 2 bis non si applicano inoltre al giudice che abbia provveduto all'assunzione dell'incidente probatorio o comunque adottato uno dei provvedimenti previsti dal titolo VII del libro quinto (25). 3. Chi ha esercitato funzioni di pubblico ministero (51) o ha svolto atti di polizia giudiziaria (55) o ha prestato ufficio di difensore (96 ss.), di procuratore speciale, di curatore di una parte ovvero di testimone (196), perito (221), consulente tecnico (225) o ha proposto denuncia (333), querela (336), istanza (341) o richiesta (342) o ha deliberato o ha concorso a deliberare l'autorizzazione a procedere (343) non può esercitare nel medesimo procedimento l'ufficio di giudice. (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 224 del 6 luglio 2001, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudice dell'udienza preliminare del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza, poi annullata nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 183 del 3 luglio 2013, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma e dell'art. 623, comma 1, lettera a), c.p.p., nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, ai sensi dell’art. 671 del medesimo codice.

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La medesima Corte ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma e dell'art. 623, comma 1, lettera a), c.p.p., nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del concorso formale, ai sensi dell’art. 671 dello stesso codice. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 496 del 26 ottobre 1990, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio abbreviato il giudice per le indagini preliminari presso la pretura che abbia emesso l'ordinanza di cui all'art. 554, comma 2. (4) La Corte costituzionale, con sentenza n. 401 del 12 novembre 1991, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio abbreviato il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale che abbia emesso l'ordinanza di cui all'art. 409, quinto comma, di questo codice. (5) La Corte costituzionale, con sentenza n. 502 del 30 dicembre 1991, ha dichiarato: a) l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari presso la pretura che abbia emesso l'ordinanza di cui all'art. 554, secondo comma, dello stesso codice; b) in via conseguenziale, l'illegittimità costituzionale del medesimo comma, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale che abbia emesso l'ordinanza di cui all'art. 409, quinto comma, dello stesso codice; c) l'illegittimità costituzionale dello stesso comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare al giudizio del giudice per le indagini preliminari che ha rigettato la richiesta di decreto di condanna. (6) La Corte costituzionale, con sentenza n. 124 del 25 marzo 1992, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare all'udienza dibattimentale del giudice per le indagini preliminari presso la Pretura che abbia respinto la richiesta di applicazione di pena concordata per la ritenuta non concedibilità di circostanze attenuanti. (7) La Corte costituzionale, con sentenza n. 186 del 22 aprile 1992, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice del dibattimento che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata di cui all'art. 444 dello stesso codice a partecipare al giudizio. (8) La Corte costituzionale, con sentenza n. 399 del 26 ottobre 1992, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a procedere al dibattimento del pretore che, prima dell'apertura di questo, abbia respinto la richiesta di applicazione di pena concordata per il ritenuto non ricorrere di un'ipotesi attenuata del reato contestato. (9) La Corte costituzionale, con sentenza n. 439 del 16 dicembre 1993, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare al giudizio abbreviato del giudice per le indagini preliminari che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata di cui all'art. 444 dello stesso codice. (10) La Corte costituzionale, con sentenza n. 453 del 30 dicembre 1994, ha dichiarato l'illegittimità di questo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice per le indagini preliminari il quale, per la ritenuta diversità del fatto, sulla base di una valutazione del complesso delle indagini preliminari, abbia rigettato la domanda di oblazione. (11) La Corte costituzionale, con sentenza n. 455 del 30 dicembre 1994, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che abbia, all'esito del precedente dibattimento, riguardante il medesimo fatto storico a carico del

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medesimo imputato, ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero a norma dell'art. 521, comma 2, c.p.p. (12) La Corte costituzionale, con sentenza n. 432 del 15 settembre 1995, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato. (13) La Corte costituzionale, con sentenza n. 131 del 24 aprile 1996, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che come componente del tribunale del riesame (art. 309 c.p.p.) si sia pronunciato sull'ordinanza che dispone una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato; la medesima sentenza ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale dello stesso comma nella parte in cui non prevede l'incompatibilità della funzione di giudizio del giudice che come componente del tribunale dell'appello avverso l'ordinanza che provvede in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato (art. 310 c.p.p.) si sia pronunciato su aspetti non esclusivamente formali dell'ordinanza anzidetta. (14) La Corte costituzionale, con sentenza n. 155 del 20 maggio 1996, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui: a) non prevede che non possa partecipare al giudizio abbreviato e disporre l'applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice per le indagini preliminari che abbia disposto una misura cautelare personale; b) non prevede che non possa partecipare al giudizio abbreviato e disporre l'applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice per le indagini preliminari che abbia disposto la modifica, la sostituzione o la revoca di una misura cautelare personale ovvero che abbia rigettato una richiesta di applicazione, modifica, sostituzione o revoca di una misura cautelare personale; c) non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari che abbia disposto la modifica, la sostituzione o la revoca di una misura cautelare personale ovvero che abbia rigettato una richiesta di applicazione, modifica, sostituzione o revoca di una misura cautelare personale; d) non prevede che non possa disporre l'applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice che, come componente del tribunale del riesame, si sia pronunciato sull'ordinanza che dispone una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato nonché il giudice che, come componente del tribunale dell'appello avverso l'ordinanza che provvede in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato, si sia pronunciato su aspetti non esclusivamente formali dell'ordinanza anzidetta. (15) La Corte costituzionale, con sentenza n. 371 del 2 novembre 1996, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata. (16) La Corte costituzionale, con sentenza n. 311 del 22 ottobre 1997, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudice dell'udienza preliminare nel processo penale a carico di imputati minorenni del giudice per le indagini preliminari che si sia pronunciato in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato. (17) La Corte costituzionale, con sentenza n. 346 del 21 novembre 1997, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui non prevede che non possa pronunciarsi sulla richiesta di emissione del decreto penale di condanna il giudice per le indagini preliminari che abbia emesso l'ordinanza di cui agli artt. 409, comma 5, e 554, comma 2, c.p.p. (18) La Corte costituzionale, con sentenza n. 290 del 18 luglio 1998, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede, nel processo penale a carico di imputati

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minorenni, l'incompatibilità alla funzione di giudice dell'udienza preliminare del giudice che come componente del tribunale del riesame si sia pronunciato sull'ordinanza che dispone una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato. (19) La Corte costituzionale, con sentenza n. 290 del 18 luglio 1998, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede, nel processo penale a carico di imputati minorenni, l'incompatibilità alla funzione di giudice dell'udienza preliminare del giudice che come componente del tribunale dell'appello avverso l'ordinanza che provvede in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato si sia pronunciato su aspetti non esclusivamente formali dell'ordinanza anzidetta. (20) La Corte costituzionale, con sentenza n. 241 del 17 giugno 1999, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza nei confronti di quello stesso imputato per il medesimo fatto. (21) La Corte costituzionale, con sentenza n. 400 del 5 dicembre 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla trattazione dell'udienza preliminare del giudice che abbia ordinato, all'esito di precedente dibattimento, riguardante il medesimo fatto storico, a carico del medesimo imputato, la trasmissione degli atti al pubblico ministero, a norma dell'art. 521, comma 2, c.p.p. (22) Questo comma è stato inserito dall'art. 171 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Ai sensi dell'art. 3 bis del D.L. 24 maggio 1999, n. 145, convertito, con modificazioni, nella L. 22 luglio 1999, n. 234, fino alla data del 2 gennaio 2000, l'articolo 34, comma 2 bis, del codice di procedura penale, inserito dall'articolo 171 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, non si applica ai procedimenti nei quali l'udienza preliminare è in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del predetto decreto. Restano comunque salvi gli atti e le attività compiuti dal giudice. (23) Le parole: «previsti dall'articolo 18» sono state così sostituite dalle attuali: «previsti dagli articoli 18 e 18 ter» dall'art. 3, comma 4, della L. 8 aprile 2004, n. 95. (24) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 11 della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (25) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 2 quater del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144.

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35. Incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugio. 1. Nello stesso procedimento non possono esercitare funzioni, anche separate o diverse, giudici che sono tra loro coniugi, parenti o affini fino al secondo grado. Vai alla dottrina     ↓

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36. Astensione. 1. Il giudice ha l'obbligo di astenersi: a) se ha interesse nel procedimento o se alcuna delle parti private (60 ss., 74 ss.) o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli (53); b) se è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto (3074 c.p.) di lui o del coniuge (53); c) se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie; d) se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto (3074 c.p.) e una delle parti private (53); e) se alcuno dei prossimi congiunti (3074 c.p.) di lui o del coniuge è offeso (90) o danneggiato dal reato o parte privata (53); f) se un prossimo congiunto (3074 c.p.) di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero (51); g) se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli artt. 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario; h) se esistono altre gravi ragioni di convenienza. 2. I motivi di astensione indicati nel comma 1 lett. b) seconda ipotesi e lett. e) o derivanti da incompatibilità per ragioni di coniugio o affinità, sussistono anche dopo l'annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. 3. La dichiarazione di astensione (39) è presentata al presidente della corte o del tribunale che decide con decreto (125) senza formalità di procedura. 4. Sulla dichiarazione di astensione del presidente del tribunale decide il presidente della corte di appello; su quella del presidente della corte di appello decide il presidente della corte di cassazione (1). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 172 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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37. (1) Ricusazione. 1. Il giudice può essere ricusato dalle parti: a) nei casi previsti dall'art. 36 comma 1 lett. a), b), c), d), e), f), g); b) se nell'esercizio delle funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, egli ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione (1) (2). 2. Il giudice ricusato non può pronunciare né concorrere a pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione (41) (3). (1) Ai sensi dell'art. 3 bis del D.L. 24 maggio 1999, n. 145, convertito, con modificazioni, nella L. 22 luglio 1999, n. 234, fino alla data del 2 gennaio 2000, se il giudice, dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, fuori dei casi consentiti dalla legge, esprime giudizi che manifestano una valutazione di colpevolezza, le parti possono chiederne la ricusazione. Si applicano le disposizioni degli articoli 38 e seguenti del codice di procedura penale. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 283 del 14 luglio 2000, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 10 del 23 gennaio 1997, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui, qualora sia riproposta la dichiarazione di ricusazione, fondata sui medesimi motivi, fa divieto al giudice di pronunciare o concorrere a pronunciare la sentenza fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione.

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38. Termini e forme per la dichiarazione di ricusazione. 1. La dichiarazione di ricusazione (41, 42, 44) può essere proposta, nell'udienza preliminare, fino a che non siano conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti (420); nel giudizio, fino a che non sia scaduto il termine previsto dall'art. 491 comma 1; in ogni altro caso, prima del compimento dell'atto da parte del giudice. 2. Qualora la causa di ricusazione sia sorta o sia divenuta nota dopo la scadenza dei termini previsti dal comma 1, la dichiarazione può essere proposta entro tre giorni. Se la causa è sorta o è divenuta nota durante l'udienza, la dichiarazione di ricusazione deve essere in ogni caso proposta prima del termine dell'udienza. 3. La dichiarazione contenente l'indicazione dei motivi e delle prove è proposta con atto scritto ed è presentata, assieme ai documenti, nella cancelleria del giudice competente a decidere. Copia della dichiarazione è depositata nella cancelleria dell'ufficio cui è addetto il giudice ricusato. 4. La dichiarazione, quando non è fatta personalmente dall'interessato, può essere proposta a mezzo del difensore (96 ss.) o di un procuratore speciale (122). Nell'atto di procura devono essere indicati, a pena di inammissibilità, i motivi della ricusazione. Vai alla dottrina     ↓

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39. Concorso di astensione e di ricusazione. 1. La dichiarazione di ricusazione si considera come non proposta quando il giudice, anche successivamente ad essa, dichiara di astenersi e l'astensione è accolta. Vai alla dottrina     ↓

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40. Competenza a decidere sulla ricusazione. 1. Sulla ricusazione di un giudice del tribunale o della corte di assise o della corte di assise di appello decide la corte di appello; su quella di un giudice della corte di appello decide una sezione della corte stessa, diversa da quella a cui appartiene il giudice ricusato (1). 2. Sulla ricusazione di un giudice della Corte di cassazione decide una sezione della corte, diversa da quella a cui appartiene il giudice ricusato. 3. Non è ammessa la ricusazione dei giudici chiamati a decidere sulla ricusazione. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 173 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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41. Decisione sulla dichiarazione di ricusazione. 1. Quando la dichiarazione di ricusazione è stata proposta da chi non ne aveva il diritto o senza l'osservanza dei termini o delle forme previste dall'art. 38 ovvero quando i motivi addotti sono manifestamente infondati, la corte [o il tribunale] (1), senza ritardo, la dichiara inammissibile (44) con ordinanza (125) avverso la quale è proponibile ricorso per cassazione. La Corte di cassazione decide in camera di consiglio a norma dell'art. 611. 2. Fuori dei casi di inammissibilità della dichiarazione di ricusazione, la corte [o il tribunale] (1) può disporre, con ordinanza, che il giudice sospenda temporaneamente ogni attività processuale o si limiti al compimento degli atti urgenti (18, lett. b). 3. Sul merito della ricusazione la corte [o il tribunale] (1) decide a norma dell'art. 127, dopo aver assunto, se necessario, le opportune informazioni (44). 4. L'ordinanza pronunciata a norma dei commi precedenti è comunicata al giudice ricusato e al pubblico ministero (1532; att. 64) ed è notificata alle parti private (60 ss., 74 ss., 148 ss.). (1) Le parole: «o il tribunale» sono state soppresse dall'art. 174 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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42. Provvedimenti in caso di accoglimento della dichiarazione di astensione o ricusazione. 1. Se la dichiarazione di astensione (36) o di ricusazione (38) è accolta, il giudice non può compiere alcun atto del procedimento. 2. Il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione dichiara se e in quale parte gli atti compiuti precedentemente dal giudice astenutosi o ricusato conservano efficacia. Vai alla dottrina     ↓

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43. Sostituzione del giudice astenuto o ricusato. 1. Il giudice astenuto o ricusato è sostituito con altro magistrato dello stesso ufficio designato secondo le leggi di ordinamento giudiziario. 2. Qualora non sia possibile la sostituzione prevista dal comma 1, la corte o il tribunale rimette il procedimento al giudice ugualmente competente per materia determinato a norma dell'art. 11. Vai alla dottrina     ↓

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44. Sanzioni in caso di inammissibilità o di rigetto della dichiarazione di ricusazione. 1. Con l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la dichiarazione di ricusazione (38), la parte privata (60 ss., 74 ss.) che l'ha proposta può essere condannata al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da € 258 a € 1.549, senza pregiudizio di ogni azione civile o penale. Vai alla dottrina     ↓

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Capo VIII. RIMESSIONE DEL PROCESSO. Vai alla dottrina     ↓

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45. (1) (2) Casi di rimessione. 1. In ogni stato e grado del processo di merito, quando gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l'incolumità pubblica, o determinano motivi di legittimo sospetto, la Corte di cassazione, su richiesta motivata del procuratore generale presso la corte di appello o del pubblico ministero presso il giudice che procede o dell'imputato, rimette il processo ad altro giudice, designato a norma dell'articolo 11. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1, comma 1, della L. 7 novembre 2002, n. 248 (pubblicata sulla G.U. Serie gen. - n. 261 del 7 novembre 2002). (2) L'art. 1, comma 5, della predetta legge 7 novembre 2002, n. 248, così dispone: «La presente legge si applica anche ai processi in corso e le richieste di rimessione, che risultano già presentate alla data di entrata in vigore della legge, conservano efficacia. Il Presidente della Corte di cassazione, salvo che per esse non rilevi una causa d'inammissibilità e non disponga quindi procedersi applicando l'articolo 610, comma 1, del codice di procedura penale, dispone per l'immediata comunicazione di cui all'articolo 48, comma 3, del codice di procedura penale».

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46. Richiesta di rimessione. 1. La richiesta è depositata, con i documenti che vi si riferiscono, nella cancelleria del giudice ed è notificata (148 ss.) entro sette giorni a cura del richiedente alle altre parti. 2. La richiesta dell'imputato è sottoscritta da lui personalmente o da un suo procuratore speciale (122). 3. Il giudice trasmette immediatamente alla Corte di cassazione la richiesta con i documenti allegati e con eventuali osservazioni. 4. L'inosservanza delle forme e dei termini previsti dai commi 1 e 2 è causa di inammissibilità della richiesta (484, 492). Vai alla dottrina     ↓

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47. (1) (2) Effetti della richiesta. 1. In seguito alla presentazione della richiesta di rimessione il giudice può disporre con ordinanza la sospensione del processo fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta. La Corte di cassazione può sempre disporre con ordinanza la sospensione del processo. 2. Il giudice deve comunque sospendere il processo prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione e non possono essere pronunciati il decreto che dispone il giudizio o la sentenza quando ha avuto notizia dalla Corte di cassazione che la richiesta di rimessione è stata assegnata alle sezioni unite ovvero a sezione diversa dall'apposita sezione di cui all'articolo 610, comma 1. Il giudice non dispone la sospensione quando la richiesta non è fondata su elementi nuovi rispetto a quelli di altra già rigettata o dichiarata inammissibile. 3. La sospensione del processo ha effetto fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che rigetta o dichiara inammissibile la richiesta e non impedisce il compimento degli atti urgenti. 4. In caso di sospensione del processo si applica l'articolo 159 del codice penale e, se la richiesta è stata proposta dall'imputato, sono sospesi i termini di cui all'articolo 303, comma 1. La prescrizione e i termini di custodia cautelare riprendono il loro corso dal giorno in cui la Corte di cassazione rigetta o dichiara inammissibile la richiesta ovvero, in caso di suo accoglimento, dal giorno in cui il processo dinanzi al giudice designato perviene al medesimo stato in cui si trovava al momento della sospensione. Si osservano in quanto compatibili le disposizioni dell'articolo 304. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1, comma 2, della L. 7 novembre 2002, n. 248 (pubblicata sulla G.U. Serie gen. - n. 261 del 7 novembre 2002). (2) Si veda la nota sub art. 45.

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48. (1) (2) Decisione. 1. La Corte di cassazione decide in camera di consiglio a norma dell'articolo 127, dopo aver assunto, se necessario, le opportune informazioni. 2. Il Presidente della Corte di cassazione, se rileva una causa d'inammissibilità della richiesta, dispone che per essa si proceda a norma dell'articolo 610, comma 1. 3. L'avvenuta assegnazione della richiesta di rimessione alle sezioni unite o a sezione diversa dalla apposita sezione prevista dall'articolo 610, comma 1, è immediatamente comunicata al giudice che procede. 4. L'ordinanza che accoglie la richiesta è comunicata senza ritardo al giudice procedente e a quello designato. Il giudice procedente trasmette immediatamente gli atti del processo al giudice designato e dispone che l'ordinanza della Corte di cassazione sia per estratto comunicata al pubblico ministero e notificata alle parti private. 5. Fermo quanto disposto dall'articolo 190 bis, il giudice designato dalla Corte di cassazione procede alla rinnovazione degli atti compiuti anteriormente al provvedimento che ha accolto la richiesta di rimessione, quando ne è richiesto da una delle parti e non si tratta di atti di cui è divenuta impossibile la ripetizione. Nel processo davanti a tale giudice le parti esercitano gli stessi diritti e facoltà che sarebbero loro spettati davanti al giudice originariamente competente. 6. Se la Corte rigetta o dichiara inammissibile la richiesta delle parti private queste con la stessa ordinanza possono essere condannate al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro, che può essere aumentata fino al doppio, tenuto conto della causa di inammissibilità della richiesta (3). 6 bis. Gli importi di cui al comma 6 sono adeguati ogni due anni con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in relazione alla variazione, accertata dall'Istituto nazionale di statistica, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel biennio precedente (4). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1, comma 3, della L. 7 novembre 2002, n. 248 (pubblicata sulla G.U. Serie gen. - n. 261 del 7 novembre 2002). Si riporta il testo anteriore alla riforma: «48. (Decisione). 1. La Corte di cassazione decide in camera di consiglio a norma dell'art. 127, dopo aver assunto, se necessario, le opportune informazioni. «2. L'ordinanza che accoglie la richiesta è comunicata senza ritardo al giudice procedente e a quello designato. Il giudice procedente trasmette immediatamente gli atti del processo al giudice designato e dispone che l'ordinanza della Corte di cassazione sia per estratto comunicata al pubblico ministero e notificata alle parti private. «3. Il giudice designato dalla Corte di cassazione dichiara, con ordinanza, se e in quale parte gli atti già compiuti conservano efficacia. Nel processo davanti a tale giudice le parti esercitano gli stessi diritti e facoltà che sarebbero loro spettati davanti al giudice originariamente competente. «4. Se la corte rigetta o dichiara inammissibile la richiesta dell'imputato, questi con la stessa ordinanza può essere condannato al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da € 258 a € 1.549». (2) Si veda la nota sub art. 45.

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(3) Le parole: «, che può essere aumentata fino al doppio, tenuto conto della causa di inammissibilità della richiesta» sono state aggiunte dall'art. 1, comma 59, lett. a), della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (4) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 59, lett. b), della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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49. (1) (2) Nuova richiesta di rimessione. 1. Anche quando la richiesta è stata accolta, il pubblico ministero o l'imputato può chiedere un nuovo provvedimento per la revoca di quello precedente o per la designazione di un altro giudice. 2. L'ordinanza che rigetta o dichiara inammissibile per manifesta infondatezza la richiesta di rimessione non impedisce che questa sia nuovamente proposta purché fondata su elementi nuovi. 3. È inammissibile per manifesta infondatezza anche la richiesta di rimessione non fondata su elementi nuovi rispetto a quelli già valutati in una ordinanza che ha rigettato o dichiarato inammissibile una richiesta proposta da altro imputato dello stesso procedimento o di un procedimento da esso separato. 4. La richiesta dichiarata inammissibile per motivi diversi dalla manifesta infondatezza può essere sempre riproposta. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1, comma 4, della L. 7 novembre 2002, n. 248 (pubblicata sulla G.U. Serie gen. - n. 261 del 7 novembre 2002). Si riporta il testo anteriore alla riforma: «49. (Nuova richiesta di rimessione). 1. Anche quando la richiesta di rimessione è stata accolta, il pubblico ministero o l'imputato può chiedere un nuovo provvedimento per la revoca di quello precedente o per la designazione di un altro giudice. Si osservano le disposizioni dell'art. 47. «2. L'ordinanza che rigetta o dichiara inammissibile per manifesta infondatezza la richiesta di rimessione non impedisce che questa sia nuovamente proposta purché sia fondata su elementi nuovi. La richiesta dichiarata inammissibile per altri motivi può essere sempre riproposta». (2) Si veda la nota sub art. 45.

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Titolo II. PUBBLICO MINISTERO. Vai alla dottrina     ↓

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50. Azione penale.(1) 1. Il pubblico ministero esercita l'azione penale (112 Cost.; 326; coord. 231) quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione (408, 554; att. 125). 2. Quando non è necessaria la querela (336), la richiesta (342), l'istanza (341) o l'autorizzazione a procedere (343), l'azione penale è esercitata di ufficio. 3. L'esercizio dell'azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge (3, 41, 47, 71, 343, 344, 479) (2). (1) Per i singoli atti in cui si concretizza l'esercizio dell'azione penale, si vedano, in questo codice, gli artt. 405 e 4095 per il processo avanti il tribunale; gli artt. 550 e ss. per il processo avanti il tribunale monocratico; gli artt. 423, 517 e 5182 per la contestazione in udienza del reato connesso e del fatto nuovo. (2) Per un'ipotesi di sospensione del procedimento penale, si vedano l'art. 23 del D.L.vo 19 dicembre 1994, n. 758, in materia di lavoro; l'art. 45 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in materia edilizia; l'art. 3 della L. 20 giugno 2003, n. 140, in materia di processi alle alte cariche dello Stato.

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51. (1) Uffici del pubblico ministero — Attribuzioni del procuratore della Repubblica distrettuale. 1. Le funzioni di pubblico ministero sono esercitate: a) nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado dai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale [o presso la pretura] (2) (3); b) nei giudizi di impugnazione dai magistrati della procura generale presso la corte di appello o presso la Corte di cassazione. 2. Nei casi di avocazione (372, 412, 413), le funzioni previste dal comma 1 lett. a) sono esercitate dai magistrati della procura generale presso la corte di appello. Nei casi di avocazione previsti dall'art. 371 bis, sono esercitate dai magistrati della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (4) (5). 3. Le funzioni previste dal comma 1 sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente a norma del capo II del titolo I (4 ss.; att. 3). 3 bis. Quando si tratta di procedimenti per i delitti, consumati o tentati, di cui agli artt. 416, sesto e settimo comma, (6) 416, realizzato allo scopo di commettere taluno dei delitti di cui all'articolo 12, commi 1, (7) 3 e 3 ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, (8) 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474, (9) 600, 601, 602, (10) 416 bis, 416 ter (11), 452 quaterdecies (12) e 630 del codice penale, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416 bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti previsti dall'art. 74 del testo unico approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, dall’articolo 291 quater del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, [e dall’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,] (13) (14) le funzioni indicate nel comma 1 lett. a) sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente (15) (16). 3 ter. Nei casi previsti dal comma 3 bis e dai commi 3 quater e 3 quinquies (17), se ne fa richiesta il procuratore distrettuale, il procuratore generale presso la corte di appello può, per giustificati motivi, disporre che le funzioni di pubblico ministero per il dibattimento siano esercitate da un magistrato designato dal procuratore della Repubblica presso il giudice competente (15). 3 quater. Quando si tratta di procedimenti per i delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo le funzioni indicate nel comma 1, lettera a), sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. [Si applicano le disposizioni del comma 3 ter] (18) (16) (19). 3 quinquies. Quando si tratta di procedimenti per i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 414 bis, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quater.1, 600 quinquies, 609 undecies (20) , 615 ter, 615 quater, 615 quinquies, 617 bis, 617 ter, 617 quater, 617 quinquies, 617 sexies, 635 bis, 635 ter, 635 quater, 640 ter e 640 quinquies del codice penale, le funzioni indicate nel comma 1, lettera a), del presente articolo sono

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attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente (21). (1) Rubrica così sostituita dall'art. 3 del D.L. 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, nella L. 20 gennaio 1992, n. 8. Questa disposizione, ai sensi dell'art. 15 del medesimo decreto, si applica solo ai procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. La rubrica precedente era: «Uffici del pubblico ministero». (2) Le parole: «o presso la pretura» sono state soppresse dall'art. 175 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (3) Si vedano anche gli artt. 2, 70-72 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, sull'ordinamento giudiziario. (4) Le parole: «Direzione nazionale antimafia» si intendono sostituite dalle attuali: «Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo» a norma dell'art. 20, comma 4, del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (5) Il secondo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 3 del D.L. 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, nella L. 20 gennaio 1992, n. 8. Questa disposizione, ai sensi dell'art. 15 del medesimo decreto, si applica solo ai procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. Inoltre l'art. 16, comma 2, del predetto decreto prevede che questa disposizione decorra dalla pubblicazione sulla G.U. del D.M. che fissa la data di entrata in funzione della Direzione Nazionale Antimafia (D.M. 5 gennaio 1993, in G.U. n. 36 del 13 febbraio 1993). (6) Le parole: «416, sesto comma,» sono state così sostituite dalle attuali: «416, sesto e settimo comma» dall'art. 5, comma 1, lett. a), n. 1), della L. 1° ottobre 2012, n. 172. (7) La parola: «1,» è stata inserita dall'art. 3, comma 1, del D.L. 14 giugno 2019, n. 53, convertito, con modificazioni, nella L. 8 agosto 2019, n. 77. A norma dell'art. 3, comma 2, del medesimo provvedimento, tale disposizione si applica solo ai procedimenti ivi considerati, iniziati successivamente alla data di entrata in vigore del D.L. n. 53/2019 (15 giugno 2019). (8) Le parole: «416, realizzato allo scopo di commettere taluno dei delitti di cui all'articolo 12, commi 3 e 3 ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,», sono state inserite dall'art. 18, comma 3, del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, nella L. 13 aprile 2017, n. 46. (9) Le parole: «416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474,» sono state inserite dall'art. 15, comma 4, della L. 23 luglio 2009, n. 99. A norma dell'art. 15, comma 5, della medesima legge, questa disposizione si applica solo ai procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore della predetta legge. (10) Le parole: «416, sesto comma, 600, 601, 602,» sono state inserite dall'art. 6, comma 1, lett. b), della L. 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone. A norma dell'art. 16, comma 2, della stessa legge, la disposizione dell'art. 6, comma 1, lett. b), citata, ai soli effetti della determinazione degli uffici cui spettano le funzioni di pubblico ministero o di giudice incaricato dei provvedimenti previsti per la fase delle indagini preliminari ovvero di giudice dell'udienza preliminare, non si applica ai procedimenti nei quali la notizia di reato è stata iscritta nel registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale precedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge. (11) Le parole: «, 416 ter» sono state inserite dall'art. 2 della L. 23 febbraio 2015, n. 19. (12) Le parole: «, 452 quaterdecies» sono state inserite dall'art. 3, comma 2, lett. a), del D.L.vo 1 marzo 2018, n. 21. (13) Le parole: «e dall'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,» sono state soppresse dall'art. 3, comma 2, lett. b), del D.L.vo 1 marzo 2018, n. 21.

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(14) Le parole da: «e dall'articolo 291 quater ...» fino a: «... 23 gennaio 1973, n. 43» sono state inserite dall'art. 5, comma 2, della L. 19 marzo 2001, n. 92 e poi così sostituite dalle attuali: «dall’articolo 291 quater del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e dall’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,» dall'art. 11, comma 1, della L. 13 agosto 2010, n. 136. (15) Comma aggiunto dall'art. 3 del D.L. 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, nella L. 20 gennaio 1992, n. 8. Questa disposizione, ai sensi dell'art. 15 del medesimo decreto, si applica solo ai procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. (16) A norma dell'art. 157, sesto comma, c.p., i termini di prescrizione sono raddoppiati per i reati previsti da questo comma. (17) Le parole: «e dai commi 3 quater e 3 quinquies» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. 0a), n. 1), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125. (18) Le parole fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 2, comma 1, lett. 0a), n. 2), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125. (19) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 10 bis del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438. (20) Le parole: «600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quater.1, 600 quinquies» sono state così sostituite dalle attuali: «414 bis, 600 bis , 600 ter, 600 quater, 600 quater.1, 600 quinquies, 609 undecies » dall'art. 5, comma 1, lett. a), n. 2 ), della L. 1° ottobre 2012, n. 172. (21) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 11 della L. 18 marzo 2008, n. 48. Si riporta il testo del comma 1 bis dell'art. 11, della medesima legge, aggiunto dall'art. 12 bis del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125: «1 bis. Le disposizioni di cui al comma 3 quinquies dell'articolo 51 del codice di procedura penale, introdotto dal comma 1 del presente articolo, si applicano solo ai procedimenti iscritti nel registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge».

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52. Astensione. 1. Il magistrato del pubblico ministero ha la facoltà di astenersi quando esistono gravi ragioni di convenienza. 2. Sulla dichiarazione di astensione decidono, nell'ambito dei rispettivi uffici, [il procuratore della Repubblica presso la pretura,] (1) il procuratore della Repubblica presso il tribunale e il procuratore generale. 3. Sulla dichiarazione di astensione del procuratore della Repubblica presso il tribunale e del procuratore generale presso la corte di appello decidono, rispettivamente, il procuratore generale presso la corte di appello e il procuratore generale presso la Corte di cassazione (2). 4. Con il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione, il magistrato del pubblico ministero astenuto è sostituito con un altro magistrato del pubblico ministero appartenente al medesimo ufficio. Nondimeno, quando viene accolta la dichiarazione di astensione [del procuratore della Repubblica presso la pretura,] (3) del procuratore della Repubblica presso il tribunale e del procuratore generale presso la corte di appello, può essere designato alla sostituzione altro magistrato del pubblico ministero appartenente all'ufficio ugualmente competente determinato a norma dell'art. 11. (1) Le parole: «il procuratore della Repubblica presso la pretura,» sono state soppresse dall'art. 176, comma 1, lett. a), del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 176, comma 1, lett. b), del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Si riporta il testo previgente: «3. Sulla dichiarazione di astensione del procuratore della Repubblica presso la pretura, del procuratore della Repubblica presso il tribunale e del procuratore generale presso la corte di appello decidono, rispettivamente, il procuratore della Repubblica presso il tribunale, il procuratore generale presso la corte di appello e il procuratore generale presso la Corte di cassazione». (3) Le parole: «del procuratore della Repubblica presso la pretura,» sono state soppresse dall'art. 176, comma 1, lett. a), del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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53. Autonomia del pubblico ministero nell'udienza. Casi di sostituzione. 1. Nell'udienza, il magistrato del pubblico ministero esercita le sue funzioni con piena autonomia (1). 2. Il capo dell'ufficio provvede alla sostituzione del magistrato nei casi di grave impedimento, di rilevanti esigenze di servizio e in quelli previsti dall'art. 36 comma 1 lett. a), b), d), e). Negli altri casi il magistrato può essere sostituito solo con il suo consenso. 3. Quando il capo dell'ufficio omette di provvedere alla sostituzione del magistrato nei casi previsti dall'art. 36 comma 1 lett. a), b), d), e), il procuratore generale presso la corte di appello designa per l'udienza un magistrato appartenente al suo ufficio (372, lett. b). (1) Si veda anche l'art. 70 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, sull'ordinamento giudiziario, come sostituito dall'art. 20 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, recante modifiche della suddetta normativa.

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54. Contrasti negativi tra pubblici ministeri.(1) 1. Il pubblico ministero, se durante le indagini preliminari (326 ss.) ritiene che il reato appartenga alla competenza (4 ss.) di un giudice diverso da quello presso cui egli esercita le funzioni, trasmette immediatamente gli atti all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente (22). 2. Il pubblico ministero che ha ricevuto gli atti, se ritiene che debba procedere l'ufficio che li ha trasmessi, informa il procuratore generale presso la corte di appello ovvero, qualora appartenga a un diverso distretto, il procuratore generale presso la Corte di cassazione. Il procuratore generale, esaminati gli atti, determina quale ufficio del pubblico ministero deve procedere e ne dà comunicazione agli uffici interessati (att. 4). 3. Gli atti di indagine preliminare (358 ss.) compiuti prima della trasmissione o della designazione indicate nei commi 1 e 2 possono essere utilizzati nei casi e nei modi previsti dalla legge. 3 bis. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano in ogni altro caso di contrasto negativo tra pubblici ministeri (2). (1) Rubrica così sostituita dall'art. 8 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (2) Comma aggiunto dall'art. 8 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

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54 bis. (1) Contrasti positivi tra uffici del pubblico ministero. 1. Quando il pubblico ministero riceve notizia che presso un altro ufficio sono in corso indagini preliminari a carico della stessa persona e per il medesimo fatto in relazione al quale egli procede, informa senza ritardo il pubblico ministero di questo ufficio richiedendogli la trasmissione degli atti a norma dell'art. 54 comma 1. 2. Il pubblico ministero che ha ricevuto la richiesta, ove non ritenga di aderire, informa il procuratore generale presso la corte di appello ovvero, qualora appartenga a un diverso distretto, il procuratore generale presso la corte di cassazione. Il procuratore generale, assunte le necessarie informazioni, determina con decreto motivato, secondo le regole sulla competenza del giudice, quale ufficio del pubblico ministero deve procedere e ne dà comunicazione agli uffici interessati. All'ufficio del pubblico ministero designato sono immediatamente trasmessi gli atti da parte del diverso ufficio. 3. Il contrasto si intende risolto quando, prima della designazione prevista dal comma 2, uno degli uffici del pubblico ministero provvede alla trasmissione degli atti a norma dell'art. 54 comma 1. 4. Gli atti di indagine preliminare compiuti dai diversi uffici del pubblico ministero sono comunque utilizzabili nei casi e nei modi previsti dalla legge. 5. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano in ogni altro caso di contrasto positivo tra pubblici ministeri. (1) Articolo inserito dall'art. 2 del D.L. 20 novembre 1991, n. 367, istitutivo della Direzione Nazionale Antimafia, convertito, con modificazioni, nella L. 20 gennaio 1992, n. 8.

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54 ter. (1) Contrasti tra pubblici ministeri in materia di criminalità organizzata. 1. Quando il contrasto previsto dagli artt. 54 e 54 bis riguarda taluno dei reati indicati nell'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater (2), se la decisione spetta al procuratore generale presso la Corte di cassazione, questi provvede sentito il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (3); se spetta al procuratore generale presso la corte di appello, questi informa il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (3) dei provvedimenti adottati. (1) Articolo inserito dall'art. 2 del D.L. 20 novembre 1991, n. 367, istitutivo della Direzione Nazionale Antimafia, convertito, con modificazioni, nella L. 20 gennaio 1992, n. 8. Le disposizioni qui previste, ai sensi dell'art. 15 del medesimo decreto, si applicano solo ai procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. Inoltre l'art. 16, comma 2, del predetto decreto prevede che queste disposizioni decorrano dalla pubblicazione sulla G.U. del D.M. che fissa la data di entrata in funzione della Direzione Nazionale Antimafia (D.M. 5 gennaio 1993, in G.U. n. 36 del 13 febbraio 1993). (2) Le parole: «nell'articolo 51, comma 3 bis» sono state così sostituite dalle attuali: «nell'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater», dall'art. 9, comma 1, lett. a), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (3) Le parole: «e antiterrorismo» sono state inserite dall'art. 9, comma 1, lett. a), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43.

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54 quater. (1) Richiesta di trasmissione degli atti a un diverso pubblico ministero. 1. La persona sottoposta alle indagini che abbia conoscenza del procedimento ai sensi dell'articolo 335 o dell'articolo 369 e la persona offesa dal reato che abbia conoscenza del procedimento ai sensi dell'articolo 369, nonché i rispettivi difensori, se ritengono che il reato appartenga alla competenza di un giudice diverso da quello presso il quale il pubblico ministero che procede esercita le sue funzioni, possono chiedere la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente enunciando, a pena di inammissibilità, le ragioni a sostegno della indicazione del diverso giudice ritenuto competente. 2. La richiesta deve essere depositata nella segreteria del pubblico ministero che procede con l'indicazione del giudice ritenuto competente. 3. Il pubblico ministero decide entro dieci giorni dalla presentazione della richiesta e, ove la accolga, trasmette gli atti del procedimento all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente, dandone comunicazione al richiedente. Se non provvede in tal senso, il richiedente, entro i successivi dieci giorni, può chiedere al procuratore generale presso la corte d'appello o, qualora il giudice ritenuto competente appartenga ad un diverso distretto, al procuratore generale presso la Corte di cassazione, di determinare quale ufficio del pubblico ministero deve procedere (att. 4 bis). Il procuratore generale, assunte le necessarie informazioni, provvede alla determinazione, entro venti giorni dal deposito della richiesta, con decreto motivato dandone comunicazione alle parti ed agli uffici interessati. Quando la richiesta riguarda taluno dei reati indicati nell'articolo 51, comma 3 bis e comma 3 quater (2), il procuratore generale provvede osservando le disposizioni dell'articolo 54 ter. 4. La richiesta non può essere riproposta a pena di inammissibilità salvo che sia basata su fatti nuovi e diversi. 5. Gli atti di indagine preliminare compiuti prima della trasmissione degli atti o della comunicazione del decreto di cui al comma 3 possono essere utilizzati nei casi e nei modi previsti dalla legge. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 12, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Le parole: «e comma 3 quater» sono state inserite dall'art. 9, comma 2, del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43.

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Titolo III. POLIZIA GIUDIZIARIA. Vai alla dottrina     ↓

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55. Funzioni della polizia giudiziaria. 1. La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale (326, 347 ss.). 2. Svolge ogni indagine e attività disposta o delegata dall'autorità giudiziaria (131, 3483, 370; att. 77) (1). 3. Le funzioni indicate nei commi 1 e 2 sono svolte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria (57; att. 16-19). (1) Si veda l'art. 72 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, sull'ordinamento giudiziario.

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56. Servizi e sezioni di polizia giudiziaria.(1) 1. Le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria (Cost. 109; 58, 59): a) dai servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge (att. 12 ss.) (2); b) dalle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della Repubblica e composte con personale dei servizi di polizia giudiziaria (att. 5 ss.) (3); c) dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria appartenenti agli altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato (57, 347 ss.). (1) Si veda anche l'art. 12 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 1991, n. 203, che, per assicurare il collegamento delle attività investigative relative a delitti di criminalità organizzata, prevede il coordinamento dei servizi di polizia giudiziaria. (2) L'art. 17 della L. 1 aprile 1981, n. 121, recante il nuovo ordinamento dell'Amministrazione della P.S., dispone che i servizi di polizia giudiziaria devono essere istituiti dal dipartimento della pubblica sicurezza nei contingenti necessari, determinati dal Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia, anche in base alle direttive impartite dal Ministro dell'interno nell'esecuzione delle sue attribuzioni di coordinamento. La norma, peraltro, non ha ancora trovato attuazione. (3) A norma dell'art. 5 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni, delle sezioni specializzate di polizia giudiziaria sono istituite in ciascuna procura della Repubblica presso i tribunali per i minorenni.

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57. Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria. 1. Salve le disposizioni delle leggi speciali, sono ufficiali di polizia giudiziaria: a) i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovrintendenti e gli altri appartenenti alla polizia di Stato ai quali l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità (1); b) gli ufficiali superiori e inferiori e i sottufficiali dei carabinieri, della guardia di finanza, degli agenti di custodia (2) e del corpo forestale dello Stato (3) nonché gli altri appartenenti alle predette forze di polizia ai quali l'ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosce tale qualità (4) (5); c) il sindaco dei comuni ove non abbia sede un ufficio della polizia di Stato ovvero un comando dell'arma dei carabinieri o della guardia di finanza. 2. Sono agenti di polizia giudiziaria: a) il personale della polizia di Stato al quale l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità (1); b) i carabinieri, le guardie di finanza, gli agenti di custodia (2), le guardie forestali (3) e, nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni quando sono in servizio (6). 3. Sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall'art. 55 (7). (1) Si vedano gli artt. 36, n. 2 e 39 della L. 1 aprile 1981, n. 121, recante il nuovo ordinamento dell'Amministrazione della P.S. (2) Con L. 15 dicembre 1990, n. 395 (Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria), il corpo degli agenti di custodia è stato disciolto e sostituito con il Corpo di polizia penitenziaria (art. 2). Per l'attribuzione della qualifica di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria si veda l'art. 14. Il D.M.14 giugno 2007 ha istituito il "nucleo investigativo centrale" della polizia penitenziaria con funzioni di p.g. " per fatti di reato commessi in ambito penitenziario o comunque direttamente collegati all'ambito penitenziario". (3) Si vedano gli artt. 8, 12 e 13 del D.L.vo 12 marzo 1948, n. 804, l'art. 16 della L. 1 aprile 1981, n. 121, nonché l'art. 5 del D.P.R. 2 maggio 1953, n. 604. (4) In particolare sono ufficiali di polizia giudiziaria: gli appartenenti ai ruoli degli ufficiali, esclusi gli ufficiali generali, degli ispettori e dei sovrintendenti dell'Arma dei carabinieri; gli appuntati dei carabinieri preposti al comando di stazione, per il periodo in cui hanno tale effettivo comando, ex art. 178 D.L.vo 15 marzo 2010, n. 66; gli appuntati scelti della Guardia di finanza che abbiano superato un apposito corso di qualificazione della durata non inferiore a trenta giorni, ex D.L. 21 settembre 1987, n. 387, convertito, con modificazioni, nella L. 20 novembre 1987, n. 472; gli agenti, agenti scelti, assistenti e assistenti capo del Corpo di polizia penitenziaria sono agenti di polizia giudiziaria ex art. 14, comma 1, lett. b), n. 1 della L. 15 dicembre 1990, n. 395, recante l'ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria. (5) A norma dell'art. 1, comma 113, della L. 7 aprile 2014, n. 56, le disposizioni di cui alla presente lettera, relative all'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria nell'ambito territoriale di appartenenza del personale della polizia municipale, si intendono riferite, in caso di esercizio associato delle funzioni di polizia municipale mediante unione di comuni, al territorio dei comuni in cui l'unione esercita le funzioni stesse. (6) La qualità di agenti di polizia giudiziaria è espressamente attribuita alle guardie dei comuni dall'art. 51, lett. a), prima parte, della L. 7 marzo 1986, n. 65, recante l'ordinamento della polizia municipale.

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(7) In particolare si vedano: 1) i verificatori di pesi e misure, ex R.D. 23 agosto 1890, n. 7088; 2) le guardie zoofile nominate dalle società protettrici degli animali, se riconosciute dal prefetto, ex L. 12 giugno 1913, n. 611; 3) i funzionari ed agenti delegati dal Ministero dell'industria in relazione alle frodi su prodotti agrari ed alimentari, ex R.D.L. 15 ottobre 1925, n. 2033; 4) i funzionari e gli agenti della amministrazione finanziaria ex art. 31, L. 7 gennaio 1929, n. 4; 5) gli agenti giurati per la sorveglianza in acque pubbliche e private sulla pesca, ex R.D. 8 ottobre 1931, n. 1604; 6) gli ufficiali sanitari, ex R.D. 27 luglio 1934, n. 1265; 7) i comandanti di corpo, di distaccamento e di posto delle varie forze armate, ex art. 301 c.p.m.p.; 8) gli ispettori compartimentali dei monopoli, ex R.D. 14 giugno 1941, n. 577; 9) il personale direttivo, gli ufficiali e i sottufficiali, i vigili scelti e i vigili dei comandi provinciali del Corpo dei vigili del fuoco, ex art. 6 D.P.R. 8 marzo 2006, n. 139; 10) gli ingegneri e i periti del Corpo delle miniere, ex D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128; 11) gli ispettori del lavoro e i funzionari ispettivi INPS e INAIL ex D.L.vo 14 settembre 2015, n. 149; 12) il personale sanitario o tecnico in relazione alla vigilanza sulla produzione e il commercio delle sostanze destinate all'alimentazione, ex L. 30 aprile 1962, n. 283; 13) gli ispettori sanitari, ex L. 26 febbraio 1963, n. 441; 14) i comandanti, ufficiali, sottufficiali, direttori, delegati e consoli indicati nell'art. 1235 c.n. come modificato dalla L. 3 febbraio 1963, n. 94; 15) il personale civile e militare della marina mercantile e gli agenti giurati addetti alla vigilanza e all'accertamento delle infrazioni in materia di pesca marittima, ex L. 14 luglio 1965, n. 963; 16) i funzionari consolari per i reati commessi a bordo di navi mercantili ed aerei civili italiani, ex D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200; 17) gli impiegati del servizio metrico e del saggio dei metalli preziosi nei limiti del loro servizio, ex L. 30 gennaio 1968, n. 46; 18) i funzionari e gli impiegati cui sono attribuiti compiti di accertamento di reati in materia di imposta di bollo, ex D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642; 19) i funzionari doganali, ex D.P.R. 22 gennaio 1973, n. 43; 20) gli ingegneri e i geometri dipendenti dal Ministero dei lavori pubblici e dagli uffici tecnici regionali, provinciali e comunali, gli ufficiali e sottufficiali del Corpo dei vigili del fuoco e tutti gli agenti giurati al servizio dello Stato, delle province e dei comuni, ex L. 2 febbraio 1974, n. 64; 21) gli agenti venatori incaricati del controllo della regolarità del porto e dell'uso delle armi, ex L. 11 febbraio 1992, n. 157; 22) gli addetti ai servizi delle U.S.L. e ai presidi e servizi multizonali in materia antinfortunistica e di igiene del lavoro, ex L. 23 dicembre 1978, n. 833; 23) l'ingegnere capo delle sezioni dell'ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi per le infrazioni penali da lui accertate, ex D.P.R. 24 maggio 1979, n. 886; 24) il personale della polizia di Stato adibito ad attività tecnico-scientifica o tecnica al quale sia attribuita per esigenze di servizio la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ex D.P.R. 24 aprile 1982, n. 337; 25) i comandanti delle unità di vigilanza sulle attività marittime ed economiche appartenenti alla marina militare, ex L. 31 dicembre 1982, n. 979; 26) i responsabili del servizio di polizia municipale e gli addetti al coordinamento e al controllo, ex L. 7 marzo 1986, n. 65; 27) gli ispettori provinciali esercenti funzioni di controllo in materia di scarichi industriali di sostanze pericolose nelle acque, ex art. 16 del D.L.vo 27 gennaio 1992, n. 133; 28) gli ispettori dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente ex D.L.vo 17 marzo 1995, n. 230;

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29) il personale delle camere di commercio nell'espletamento e nei limiti del servizio per l'applicazione del D.L.vo 22 maggio 1999, n. 251 (art. 20); 30) il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ex art. 26 D.P.R. 6 febbraio 2004, n. 76; 31) le guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute di cui all'art. 6 della L. 20 luglio 2004, n. 189; 32) i membri distaccati di una squadra investigativa comune di cui all’art. 5 del D.L.vo 15 febbraio 2016, n. 34.

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58. Disponibilità della polizia giudiziaria. 1. Ogni procura della Repubblica dispone della rispettiva sezione; la procura generale presso la corte di appello dispone di tutte le sezioni istituite nel distretto (56, lett. b). 2. Le attività di polizia giudiziaria per i giudici del distretto sono svolte dalla sezione istituita presso la corrispondente procura della Repubblica. 3. L'autorità giudiziaria si avvale direttamente del personale delle sezioni a norma dei commi 1 e 2 e può altresì avvalersi di ogni servizio o altro organo di polizia giudiziaria (109 Cost.; 55, 56, 131; att. 9) (1). (1) Nuclei di polizia giudiziaria «specializzata» sono previsti per le indagini sui sequestri di persona a scopo di estorsione (art. 8 comma 2 del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito in L. 15 marzo 1991, n. 82) e sulla criminalità organizzata (art. 12 commi 4 e 5 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203).

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59. Subordinazione della polizia giudiziaria.(1) 1. Le sezioni di polizia giudiziaria dipendono dai magistrati che dirigono gli uffici presso i quali sono istituite (56; att. 15). 2. L'ufficiale preposto ai servizi di polizia giudiziaria è responsabile verso il procuratore della Repubblica presso il tribunale dove ha sede il servizio dell'attività di polizia giudiziaria svolta da lui stesso e dal personale dipendente (att. 13-14). 3. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti a eseguire i compiti a essi affidati (att. 16-19) inerenti alle funzioni di cui all'articolo 55, comma 1 (2). Gli appartenenti alle sezioni non possono essere distolti dall'attività di polizia giudiziaria se non per disposizione del magistrato dal quale dipendono a norma del comma 1. (1) Si vedano anche l'art. 83 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, sull'ordinamento giudiziario, come sostituito dall'art. 23 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, recante modifiche della suddetta normativa e l'art. 6 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 273, contenente norme di attuazione, coordinamento e transitorie del D.P.R. n. 449/1988. (2) Le parole: «inerenti alle funzioni di cui all'articolo 55, comma 1» sono state inserite dall'art. 17, comma 3, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155.

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Titolo IV. IMPUTATO. Vai alla dottrina     ↓

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60. (1) Assunzione della qualità di imputato. 1. Assume la qualità di imputato la persona alla quale è attribuito il reato nella richiesta di rinvio a giudizio (416), di giudizio immediato (453), di decreto penale di condanna (459), di applicazione della pena a norma dell'art. 447 comma 1, nel decreto di citazione diretta a giudizio (2) e nel giudizio direttissimo (449). 2. La qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo, sino a che non sia più soggetta a impugnazione la sentenza di non luogo a procedere (428), sia divenuta irrevocabile (648) la sentenza di proscioglimento (529 ss.) o di condanna (533 ss.) o sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna (650). 3. La qualità di imputato si riassume in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere (434 ss.) e qualora sia disposta la revisione del processo (629 ss.). (1) Per il procedimento avanti il giudice di pace si veda l'art. 3 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274. (2) Le parole: «nel decreto di citazione a giudizio emesso a norma dell'art. 555» sono state così sostituite dalle attuali: «nel decreto di citazione diretta a giudizio» dall'art. 47, comma 3, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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61. Estensione dei diritti e delle garanzie dell'imputato. 1. I diritti e le garanzie dell'imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari (326 ss.). 2. Alla stessa persona si estende ogni altra disposizione relativa all'imputato, salvo che sia diversamente stabilito. Vai alla dottrina     ↓

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62. Divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato. 1. Le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini (1) non possono formare oggetto di testimonianza (194, 195). 2. Il divieto si estende alle dichiarazioni, comunque inutilizzabili, rese dall'imputato nel corso di programmi terapeutici diretti a ridurre il rischio che questi commetta delitti sessuali a danno di minori (2). (1) Si vedano gli artt. 228, 294, 299, 301, 350, 364, 374, 388, 391, 421, 422, 494, 503 di questo codice, nonché l'art. 35 del D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 4, comma 2, del D.L.vo 4 marzo 2014, n. 39.

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63. Dichiarazioni indizianti. 1. Se davanti all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria (55) una persona non imputata ovvero una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni (351, 362, 499) dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l'autorità procedente ne interrompe l'esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore (96). Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. 2. Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate. Vai alla dottrina     ↓

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64. Regole generali per l'interrogatorio.(1) (2) 1. La persona sottoposta alle indagini, anche se in stato di custodia cautelare (284 ss.) o se detenuta per altra causa, interviene libera all'interrogatorio, salve le cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenze (att. 22). 2. Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interrogata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti (188). 3. Prima che abbia inizio l'interrogatorio, la persona deve essere avvertita che: a) le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti; b) salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso; c) se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall'articolo 197 e le garanzie di cui all'articolo 197 bis (3). 3 bis. L'inosservanza delle disposizioni di cui al comma 3, lettere a) e b), rende inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona interrogata. In mancanza dell'avvertimento di cui al comma 3, lettera c), le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona interrogata su fatti che concernono la responsabilità di altri non sono utilizzabili nei loro confronti e la persona interrogata non potrà assumere, in ordine a detti fatti, l'ufficio di testimone (3). (1) Le disposizioni di questo articolo sono richiamate dagli artt. 294, 350, 374, 388, 4212, di questo codice. (2) Ai sensi dell'art. 26, comma 2, della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo, se il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero provvede a rinnovare l'esame dei soggetti indicati negli articoli 64 e 197 bis del codice di procedura penale, come rispettivamente modificato e introdotto dalla presente legge, secondo le forme ivi previste. (3) Questo comma è stato così sostituito dagli attuali commi 3 e 3 bis, dall'art. 2 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo.

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65. Interrogatorio nel merito.(1) 1. L'autorità giudiziaria contesta alla persona sottoposta alle indagini in forma chiara e precisa il fatto che le è attribuito, le rende noti gli elementi di prova esistenti contro di lei e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, gliene comunica le fonti. 2. Invita, quindi, la persona ad esporre quanto ritiene utile per la sua difesa e le pone direttamente domande. 3. Se la persona rifiuta di rispondere, ne è fatta menzione nel verbale (134, 373). Nel verbale è fatta anche menzione, quando occorre, dei connotati fisici e di eventuali segni particolari della persona. (1) Le disposizioni di questo articolo sono richiamate dagli artt. 294, 374, 4212, di questo codice.

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66. Verifica dell'identità personale dell'imputato. 1. Nel primo atto cui è presente l'imputato, l'autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità e quant'altro può valere a identificarlo, ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false (att. 21; 495, 496 c.p.). 2. L'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell'autorità procedente, quando sia certa l'identità fisica della persona (3493). 3. Le erronee generalità attribuite all'imputato sono rettificate nelle forme previste dall'art. 130. Vai alla dottrina     ↓

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66 bis. (1) Verifica dei procedimenti a carico dell'imputato. 1. In ogni stato e grado del procedimento, quando risulta che la persona sottoposta alle indagini o l'imputato è stato segnalato, anche sotto diverso nome, all'autorità giudiziaria quale autore di un reato commesso antecedentemente o successivamente a quello per il quale si procede, sono eseguite le comunicazioni all'autorità giudiziaria competente ai fini dell'applicazione della legge penale. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall'art. 12 del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155.

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67. Incertezza sull'età dell'imputato.(1) 1. In ogni stato e grado del procedimento, quando vi è ragione di ritenere che l'imputato sia minorenne, l'autorità giudiziaria trasmette gli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni. (1) Si vedano anche gli artt. 3 e 8 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni.

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68. Errore sull'identità fisica dell'imputato. 1. Se risulta l'errore di persona, in ogni stato e grado del processo il giudice, sentiti il pubblico ministero e il difensore, pronuncia sentenza a norma dell'art. 129 (620, 667). Vai alla dottrina     ↓

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69. Morte dell'imputato. 1. Se risulta la morte dell'imputato (150 c.p.), in ogni stato e grado del processo il giudice, sentiti il pubblico ministero e il difensore, pronuncia sentenza a norma dell'art. 129. 2. La sentenza non impedisce l'esercizio dell'azione penale (50) per il medesimo fatto e contro la medesima persona (649), qualora successivamente si accerti che la morte dell'imputato è stata erroneamente dichiarata. Vai alla dottrina     ↓

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70. Accertamenti sulla capacità dell'imputato. 1. Quando non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento (129, 529 ss.) o di non luogo a procedere (425) e vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale sopravvenuta al fatto (1), l'imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone anche di ufficio (190), perizia (220) (2). 2. Durante il tempo occorrente per l'espletamento della perizia il giudice assume, a richiesta del difensore, le prove che possono condurre al proscioglimento dell'imputato, e, quando vi è pericolo nel ritardo, ogni altra prova richiesta dalle parti. 3. Se la necessità di provvedere risulta durante le indagini preliminari (326 ss., 551 ss.), la perizia è disposta dal giudice a richiesta di parte con le forme previste per l'incidente probatorio (392 ss.). Nel frattempo restano sospesi i termini per le indagini preliminari (405 ss.) e il pubblico ministero compie i soli atti che non richiedono la partecipazione cosciente della persona sottoposta alle indagini. Quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove nei casi previsti dall'art. 392. (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 340 del 20 luglio 1992, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, limitatamente alle parole: «sopravvenuta al fatto». (2) Si vedano gli artt. 98 e 99 reg. penit.

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71. Sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato. 1. Se, a seguito degli accertamenti previsti dall'art. 70, risulta che lo stato mentale dell'imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento e che tale stato è reversibile (1), il giudice dispone con ordinanza (125) che il procedimento (2) sia sospeso (18, lett. b), sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento (529 ss.) o di non luogo a procedere (425). 2. Con l'ordinanza di sospensione il giudice nomina all'imputato un curatore speciale (166, 571), designando di preferenza l'eventuale rappresentante legale. 3. Contro l'ordinanza possono ricorrere per cassazione (606 ss.) il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore nonché il curatore speciale nominato all'imputato. 4. La sospensione non impedisce al giudice di assumere prove, alle condizioni e nei limiti stabiliti dall'art. 70 comma 2. A tale assunzione il giudice procede anche a richiesta del curatore speciale, che in ogni caso ha facoltà di assistere agli atti disposti sulla persona dell'imputato, nonché agli atti cui questi ha facoltà di assistere. 5. Se la sospensione interviene nel corso delle indagini preliminari (326 ss., 551 ss.), si applicano le disposizioni previste dall'art. 70 comma 3. 6. Nel caso di sospensione, non si applica la disposizione dell'art. 75 comma 3. (1) Le parole: «e che tale stato è reversibile» sono state inserite dall'art. 1, comma 21, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (2) Le parole: «che questo» sono state così sostituite dalle attuali: «che il procedimento» dall'art. 1, comma 21, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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72. Revoca dell'ordinanza di sospensione. 1. Allo scadere del sesto mese dalla pronuncia dell'ordinanza di sospensione del procedimento, (71) o anche prima quando ne ravvisi l'esigenza, il giudice dispone ulteriori accertamenti peritali sullo stato di mente dell'imputato. Analogamente provvede a ogni successiva scadenza di sei mesi, qualora il procedimento non abbia ripreso il suo corso. 2. La sospensione è revocata con ordinanza (125) non appena risulti che lo stato mentale dell'imputato ne consente la cosciente partecipazione al procedimento ovvero che nei confronti dell'imputato deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento (529 ss.) o di non luogo a procedere (425) (1). (1) Si vedano, altresì, gli artt. 98 e 99 reg. penit.

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72 bis. (1) Definizione del procedimento per incapacità irreversibile dell'imputato. 1. Se, a seguito degli accertamenti previsti dall'articolo 70, risulta che lo stato mentale dell'imputato è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento e che tale stato è irreversibile, il giudice, revocata l'eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1, comma 22, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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73. Provvedimenti cautelari. 1. In ogni caso in cui lo stato di mente dell'imputato appare tale da renderne necessaria la cura nell'ambito del servizio psichiatrico, il giudice informa con il mezzo più rapido l'autorità competente per l'adozione delle misure previste dalle leggi sul trattamento sanitario per malattie mentali (1). 2. Qualora vi sia pericolo nel ritardo, il giudice dispone anche di ufficio il ricovero provvisorio dell'imputato in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero. L'ordinanza perde in ogni caso efficacia nel momento in cui viene data esecuzione al provvedimento dell'autorità indicata nel comma 1. 3. Quando è stata o deve essere disposta la custodia cautelare dell'imputato, il giudice ordina che la misura sia eseguita nelle forme previste dall'art. 286. 4. Nel corso delle indagini preliminari (326 ss., 551 ss.), il pubblico ministero provvede all'informativa prevista dal comma 1 e, se ne ricorrono le condizioni, chiede al giudice il provvedimento di ricovero provvisorio previsto dal comma 2. (1) Si vedano gli artt. 1, 2 e 3 della L. 13 maggio 1978, n. 180, sui trattamenti sanitari volontari e obbligatori e l'art. 34 della L. 23 dicembre 1978, n. 833, recante istituzione del Servizio sanitario nazionale, in relazione agli accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori per malattia mentale.

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Titolo V. PARTE CIVILE, RESPONSABILE CIVILE

E CIVILMENTE OBBLIGATO

PER LA PENA PECUNIARIA. Vai alla dottrina     ↓

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74. Legittimazione all'azione civile. 1. L'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all'art. 185 del codice penale può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell'imputato (60, 61) e del responsabile civile (83 ss., 538 ss.; coord. 212) (1) (2). (1) L'azione civile è inammissibile nel procedimento penale davanti al Tribunale per i minorenni (art. 10 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448); è consentita nel processo penale militare, a seguito della Corte cost. 28 febbraio 1996, n. 60 che ha dichiarato illegittimo il divieto di costituirsi parte civile (art. 270 c.p.m.p.). Sulla possibilità di richiedere, oltre al risarcimento dei danni, «una somma a titolo di riparazione» v. l'art. 12 della L. 8 febbraio 1948, n. 47, sulla stampa. La legittimazione a costituirsi parte civile è espressamente riconosciuta a determinati soggetti da norme apposite: così è per il curatore, il commissario giudiziale, il commissario liquidatore e i creditori nei limiti dell'art. 240 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 e per il commissario giudiziale e il commissario straordinario nei limiti di cui all'art. 97 del D.L.vo 8 luglio 1999, n. 270; per «le associazioni dei produttori ceramici» (art. 11 comma 5 della L. 9 luglio 1990, n. 188); per «il difensore civico» o l'«associazione alla quale risulti iscritta la persona handicappata o un suo familiare» (art. 36, comma 2 della L. 5 febbraio 1992, n. 104); per i consorzi con riguardo ai reati di cui alla L. 5 febbraio 1992, n. 169 sugli oli di oliva (art. 19, comma 5); per il comitato con riguardo ai reati di cui alla L. 10 febbraio 1992, n. 164 in materia di vini (art. 17, comma 9); per la CCIAA nei giudizi relativi ai delitti contro l'economia, l'industria e il commercio (art. 2, comma 6 della L. 29 dicembre 1993, n. 580); per «le associazioni e fondazioni» per la prevenzione dell'usura (art. 10 della L. 7 marzo 1996, n. 108); per la Croce Rossa per i reati in danno agli interessi rappresentati (art. 39, comma 1 del D.P.C.M. 7 marzo 1997, n.110); per le associazioni di protezione ambientale nei casi di cui al D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 (art. 9). Per la previsione di un potere di intervento (che ricomprende quello di costituirsi parte civile) dell'organismo di gestione dell'area protetta v. l'art. 29, comma 3 della L. 6 dicembre 1991, n. 394. La Consob può costituirsi parte civile per i danni cagionati all'integrità del mercato ex art. 187 undecies, comma 2, del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58 introdotto con L. 18 aprile 2005, n. 62. Le associazioni dei produttori, le associazioni rappresentative della filiera e le associazioni dei consumatori possono costituirsi parte civile «indipendentemente dalle prove di danno immediato e diretto», nei processi per i reati concernenti il mercato del vino ex art. 42 della L. 20 febbraio 2006, n. 82. L'Inail può costituirsi parte civile nei processi per omicidio colposo e lesioni colpose da violazione della normativa antinfortunistica, ai sensi dell'art. 2 della L. 3 agosto 2007, n. 123. (2) Il previo accesso alla mediazione non è condizione per l'esercizio dell'azione civile nel processo penale a norma dell'art. 5, comma 4, lettera f), del D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28.

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75. Rapporti tra azione civile e azione penale. 1. L'azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato (324 c.p.c.). L'esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio; il giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento civile. 2. L'azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile (79, 652; coord. 211). 3. Se l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale (822) o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge (716, 883, 4413, 4442) (1). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 354 del 22 ottobre 1996, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che la disciplina ivi contenuta non trovi applicazione nel caso di accertato impedimento fisico permanente che non permetta all'imputato di comparire all'udienza, ove questi non consenta che il dibattimento prosegua in sua assenza.

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76. Costituzione di parte civile. 1. L'azione civile nel processo penale è esercitata, anche a mezzo di procuratore speciale (122), mediante la costituzione di parte civile. 2. La costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo (att. 23) (1). (1) Si veda la nota 1 dell'art. 74. La costituzione di parte civile dello Stato nei procedimenti penali deve essere autorizzata dal Presidente del Consiglio dei ministri (art. 1 comma 4 della L. 3 gennaio 1991, n. 3, in tema di Avvocatura dello Stato).

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77. Capacità processuale della parte civile. 1. Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono costituirsi parte civile se non sono rappresentate, autorizzate o assistite nelle forme prescritte per l'esercizio delle azioni civili (178, lett. c); 75 c.p.c.) (1). 2. Se manca la persona a cui spetta la rappresentanza o l'assistenza e vi sono ragioni di urgenza ovvero vi è conflitto di interessi tra il danneggiato e chi lo rappresenta, il pubblico ministero può chiedere al giudice di nominare un curatore speciale (78 c.p.c.). La nomina può essere chiesta altresì dalla persona che deve essere rappresentata o assistita ovvero dai suoi prossimi congiunti (3074 c.p.) e, in caso di conflitto di interessi, dal rappresentante. 3. Il giudice, assunte le opportune informazioni e sentite se possibile le persone interessate, provvede con decreto (125), che è comunicato (1532) al pubblico ministero affinché provochi, quando occorre, i provvedimenti per la costituzione della normale rappresentanza o assistenza dell'incapace. 4. In caso di assoluta urgenza, l'azione civile nell'interesse del danneggiato incapace per infermità di mente o per età minore può essere esercitata dal pubblico ministero, finché subentri a norma dei commi precedenti colui al quale spetta la rappresentanza o l'assistenza ovvero il curatore speciale. (1) Le norme sulla rappresentanza sono dettate dagli artt. 48, 52, 320, 357 e 424 c.c. Le norme sull'assistenza sono dettate dagli artt. 394 e 424 c.c. Le norme sull'autorizzazione sono dettate dagli artt. 3203, 374 n. 5, 375 n. 3, 394 e 424 c.c.

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78. Formalità della costituzione di parte civile.(1) 1. La dichiarazione di costituzione di parte civile è depositata nella cancelleria del giudice che procede o presentata in udienza (420, 484) e deve contenere, a pena di inammissibilità: a) le generalità della persona fisica o la denominazione dell'associazione o dell'ente che si costituisce parte civile e le generalità del suo legale rappresentante; b) le generalità dell'imputato nei cui confronti viene esercitata l'azione civile o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo; c) il nome e il cognome del difensore e l'indicazione della procura (100); d) l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda; e) la sottoscrizione del difensore (110). 2. Se è presentata fuori udienza, la dichiarazione deve essere notificata (152), a cura della parte civile, alle altre parti e produce effetto per ciascuna di esse dal giorno nel quale è eseguita la notificazione. 3. Se la procura non è apposta in calce o a margine della dichiarazione di parte civile, ed è conferita nelle altre forme previste dall'articolo 100, commi 1 e 2, essa è depositata nella cancelleria o presentata in udienza unitamente alla dichiarazione di costituzione della parte civile (2). (1) Si veda l'art. 23, comma 50, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella L. 15 luglio 2011, n. 111, di cui si riporta il testo: «50. In tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati, le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio.». (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 13, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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79. Termine per la costituzione di parte civile. 1. La costituzione di parte civile può avvenire per l'udienza preliminare (420, 441 ss.) e, successivamente, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'art. 484 (1) (2). 2. Il termine previsto dal comma 1 è stabilito a pena di decadenza. 3. Se la costituzione avviene dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 468 comma 1, la parte civile non può avvalersi della facoltà di presentare le liste dei testimoni, periti o consulenti tecnici. (1) Non è tardiva la costituzione di parte civile in relazione al reato contestato in via supplettiva nel corso dell'istruttoria dibattimentale (Corte cost. 3 aprile 1996, n. 98). (2) Per il procedimento avanti il giudice di pace si veda l'art. 23 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274.

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80. Richiesta di esclusione della parte civile. 1. Il pubblico ministero, l'imputato e il responsabile civile possono proporre richiesta motivata di esclusione della parte civile. 2. Nel caso di costituzione di parte civile per l'udienza preliminare (416 ss., 438 ss.), la richiesta è proposta, a pena di decadenza, non oltre il momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nella udienza preliminare (420) o nel dibattimento (484). 3. Se la costituzione avviene nel corso degli atti preliminari al dibattimento o introduttivi dello stesso (465 ss., 484 ss.), la richiesta è proposta oralmente a norma dell'art. 491 comma 1. 4. Sulla richiesta il giudice decide senza ritardo con ordinanza (125). 5. L'esclusione della parte civile ordinata nell'udienza preliminare non impedisce una successiva costituzione fino a quando non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'art. 484. Vai alla dottrina     ↓

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81. Esclusione di ufficio della parte civile. 1. Fino a che non sia dichiarato aperto il dibattimento di primo grado (492), il giudice, qualora accerti che non esistono i requisiti per la costituzione di parte civile, ne dispone l'esclusione di ufficio, con ordinanza (125). 2. Il giudice provvede a norma del comma 1 anche quando la richiesta di esclusione è stata rigettata nella udienza preliminare (802). Vai alla dottrina     ↓

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82. Revoca della costituzione di parte civile. 1. La costituzione di parte civile può essere revocata in ogni stato e grado del procedimento con dichiarazione fatta personalmente dalla parte o da un suo procuratore speciale (122) in udienza ovvero con atto scritto depositato nella cancelleria del giudice e notificato (152) alle altre parti. 2. La costituzione si intende revocata se la parte civile non presenta le conclusioni a norma dell'art. 523 ovvero se promuove l'azione davanti al giudice civile (753). 3. Avvenuta la revoca della costituzione a norma dei commi 1 e 2, il giudice penale non può conoscere delle spese e dei danni che l'intervento della parte civile ha cagionato all'imputato e al responsabile civile. L'azione relativa può essere proposta davanti al giudice civile. 4. La revoca non preclude il successivo esercizio dell'azione in sede civile. Vai alla dottrina     ↓

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83. (1) Citazione del responsabile civile. 1. Il responsabile civile per il fatto dell'imputato (1852 c.p.) può essere citato nel processo penale a richiesta della parte civile (74 ss.) e, nel caso previsto dall'art. 77 comma 4, a richiesta del pubblico ministero. L'imputato può essere citato come responsabile civile per il fatto dei coimputati per il caso in cui venga prosciolto (429 ss.) o sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere (425). 2. La richiesta deve essere proposta al più tardi per il dibattimento (491). 3. La citazione è ordinata con decreto (125) dal giudice che procede. Il decreto contiene: a) le generalità o la denominazione della parte civile, con l'indicazione del difensore e le generalità del responsabile civile, se è una persona fisica, ovvero la denominazione dell'associazione o dell'ente chiamato a rispondere e le generalità del suo legale rappresentante; b) l'indicazione delle domande che si fanno valere contro il responsabile civile; c) l'invito a costituirsi nei modi previsti dall'art. 84; d) la data e le sottoscrizioni del giudice e dell'ausiliario (126) che lo assiste. 4. Copia del decreto è notificata, a cura della parte civile, al responsabile civile, al pubblico ministero e all'imputato (152 ss.). Nel caso previsto dall'art. 77 comma 4, la copia del decreto è notificata al responsabile civile e all'imputato a cura del pubblico ministero. L'originale dell'atto con la relazione di notificazione è depositato nella cancelleria del giudice che procede. 5. La citazione del responsabile civile è nulla (178, lett. c), 184) se per omissione o per erronea indicazione di qualche elemento essenziale il responsabile civile non è stato posto in condizione di esercitare i suoi diritti nell'udienza preliminare (416 ss.) o nel giudizio (465 ss.). La nullità della notificazione (171, 184) rende nulla la citazione (2). 6. La citazione del responsabile civile perde efficacia se la costituzione di parte civile è revocata (82) o se è ordinata l'esclusione della parte civile (80, 81). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 112 del 16 aprile 1998, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dall'assicurazione obbligatoria prevista dalla L. 24 dicembre 1969, n. 990, l'assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell'imputato. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 453 del 17 novembre 1992, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede per la citazione del responsabile civile nel procedimento davanti al pretore il medesimo termine assegnato all'imputato dall'art. 555, terzo comma, di questo codice (ora art. 552, terzo comma).

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84. Costituzione del responsabile civile. 1. Chi è citato come responsabile civile può costituirsi in ogni stato e grado del processo, anche a mezzo di procuratore speciale (122), con dichiarazione depositata nella cancelleria del giudice che procede o presentata in udienza (420, 484). 2. La dichiarazione deve contenere a pena di inammissibilità: a) le generalità della persona fisica o la denominazione dell'associazione o dell'ente che si costituisce e le generalità del suo legale rappresentante; b) il nome e il cognome del difensore e l'indicazione della procura (100); c) la sottoscrizione del difensore. 3. La procura conferita nelle forme previste dall'art. 100 comma 1 è depositata nella cancelleria o presentata in udienza unitamente alla dichiarazione di costituzione del responsabile civile. 4. La costituzione produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo (att. 23). Vai alla dottrina     ↓

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85. Intervento volontario del responsabile civile. 1. Quando vi è costituzione di parte civile o quando il pubblico ministero esercita l'azione civile a norma dell'art. 77 comma 4, il responsabile civile può intervenire volontariamente nel processo, anche a mezzo di procuratore speciale (122), per l'udienza preliminare (420, 441 ss.) e, successivamente, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'art. 484, presentando una dichiarazione scritta a norma dell'art. 84 commi 1 e 2. 2. Il termine previsto dal comma 1 è stabilito a pena di decadenza. Se l'intervento avviene dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 468 comma 1, il responsabile civile non può avvalersi della facoltà di presentare le liste dei testimoni, periti o consulenti tecnici. 3. Se è presentata fuori udienza, la dichiarazione è notificata, a cura del responsabile civile (152), alle altre parti e produce effetto per ciascuna di esse dal giorno nel quale è eseguita la notificazione (178, lett. c). 4. L'intervento del responsabile civile perde efficacia se la costituzione di parte civile è revocata (82) o se è ordinata l'esclusione della parte civile (80, 81). Vai alla dottrina     ↓

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86. Richiesta di esclusione del responsabile civile. 1. La richiesta di esclusione del responsabile civile può essere proposta dall'imputato (60) nonché dalla parte civile (83 ss.) e dal pubblico ministero che non ne abbiano richiesto la citazione. 2. La richiesta può essere proposta altresì dal responsabile civile che non sia intervenuto volontariamente anche qualora gli elementi di prova raccolti prima della citazione possano recare pregiudizio alla sua difesa in relazione a quanto previsto dagli artt. 651 e 654. 3. La richiesta deve essere motivata ed è proposta, a pena di decadenza, non oltre il momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nella udienza preliminare (420) o nel dibattimento (484). Il giudice decide senza ritardo con ordinanza (125). Vai alla dottrina     ↓

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87. Esclusione di ufficio del responsabile civile. 1. Fino a che non sia dichiarato aperto il dibattimento di primo grado (492), il giudice, qualora accerti che non esistono i requisiti per la citazione o per l'intervento del responsabile civile, ne dispone l'esclusione di ufficio, con ordinanza (125). 2. Il giudice provvede a norma del comma 1 anche quando la richiesta di esclusione è stata rigettata nella udienza preliminare (863). 3. L'esclusione è disposta senza ritardo, anche di ufficio, quando il giudice accoglie la richiesta di giudizio abbreviato (440). Vai alla dottrina     ↓

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88. Effetti dell'ammissione o dell'esclusione della parte civile o del responsabile civile. 1. L'ammissione della parte civile o del responsabile civile non pregiudica la successiva decisione sul diritto alle restituzioni e al risarcimento del danno (74 ss., 538 ss.). 2. L'esclusione della parte civile o del responsabile civile non pregiudica l'esercizio in sede civile dell'azione per le restituzioni e il risarcimento del danno. Tuttavia se il responsabile civile è stato escluso su richiesta della parte civile (86), questa non può esercitare l'azione davanti al giudice civile per il medesimo fatto. 3. Nel caso di esclusione della parte civile non si applica la disposizione dell'art. 75 comma 3. Vai alla dottrina     ↓

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89. (1) Citazione del civilmente obbligato per la pena pecuniaria. 1. La persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (196, 197 c.p.) è citata per l'udienza preliminare (416 ss.) o per il giudizio (484, 491) a richiesta del pubblico ministero o dell'imputato (534). 2. Si osservano in quanto applicabili le disposizioni relative alla citazione e alla costituzione del responsabile civile (83, 84). Non si applica la disposizione dell'art. 87 comma 3 (att. 23) (2). (1) Si veda l'art. 452 duodecies c.p. (2) «Il patrocinio a spese dello Stato è assicurato anche al civilmente obbligato per la pena pecuniaria, se non abbiente (art. 74 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115)». Oltre al codice penale, specifiche disposizioni di legge configurano la qualità di civilmente obbligato per la pena pecuniaria: artt. 9 e 10 della L. 7 gennaio 1929, n. 4 cui fanno riferimento l'art. 107 della L. 17 luglio 1942, n. 907, in materia di monopolio di Stato, e l'art. 331 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, in materia doganale.

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Titolo VI. PERSONA OFFESA DAL REATO. Vai alla dottrina     ↓

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90. Diritti e facoltà della.persona offesa dal reato 1. La persona offesa dal reato, oltre ad esercitare i diritti e le facoltà ad essa espressamente riconosciuti dalla legge (1), in ogni stato e grado del procedimento può presentare memorie e, con esclusione del giudizio di cassazione, indicare elementi di prova (154, 155, 178, lett. c) (2). 2. La persona offesa minore, interdetta per infermità di mente (415 c.c.) o inabilitata (415 c.c.) esercita le facoltà e i diritti a essa attribuiti a mezzo dei soggetti indicati negli artt. 120 e 121 del codice penale. 2 bis. Quando vi è incertezza sulla minore età della persona offesa dal reato, il giudice dispone, anche di ufficio, perizia. Se, anche dopo la perizia, permangono dubbi, la minore età è presunta, ma soltanto ai fini dell'applicazione delle disposizioni processuali (3). 3. Qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà e i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi congiunti (3074 c.p.) di essa o da persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente (4). (1) Si vedano gli artt. 101, 178, lett. c), 154 e 155, 341, 360, 369, 394, 398, 401, 406, 408 ss., 413, 419, 428, 429, 451, 456, 458, 465, 467, 519, 558 e 572 di questo codice. L'art. 609 decies c.p. prevede che venga assicurata l'assistenza affettiva e psicologica al minorenne persona offesa per alcuno dei delitti previsti dagli artt. 609 bis, quater, quinquies e octies. Si veda, inoltre la nota sub artt. 401 e 409. (2) Per il domicilio della persona offesa, si veda l'art. 33 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. (3) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 1, lett. a), n. 1), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212. (4) Le parole: «o da persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente» sono state aggiunte dall'art. 1, comma 1, lett. a), n. 2), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212.

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90 bis. (1) Informazioni alla persona offesa. 1. Alla persona offesa, sin dal primo contatto con l'autorità procedente, vengono fornite, in una lingua a lei comprensibile, informazioni in merito: a) alle modalità di presentazione degli atti di denuncia o querela, al ruolo che assume nel corso delle indagini e del processo, al diritto ad avere conoscenza della data, del luogo del processo e della imputazione e, ove costituita parte civile, al diritto a ricevere notifica della sentenza, anche per estratto; b) alla facoltà di ricevere comunicazione del procedimento e delle iscrizioni di cui all'articolo 335, commi 1, 2 e 3 ter (2); c) alla facoltà di essere avvisata della richiesta di archiviazione; d) alla facoltà di avvalersi della consulenza legale e del patrocinio a spese dello Stato; e) alle modalità di esercizio del diritto all'interpretazione e alla traduzione di atti del procedimento; f) alle eventuali misure di protezione che possono essere disposte in suo favore; g) ai diritti riconosciuti dalla legge nel caso in cui risieda in uno Stato membro dell'Unione europea diverso da quello in cui è stato commesso il reato; h) alle modalità di contestazione di eventuali violazioni dei propri diritti; i) alle autorità cui rivolgersi per ottenere informazioni sul procedimento; l) alle modalità di rimborso delle spese sostenute in relazione alla partecipazione al procedimento penale; m) alla possibilità di chiedere il risarcimento dei danni derivanti da reato; n) alla possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela di cui all'articolo 152 del codice penale, ove possibile, o attraverso la mediazione; o) alle facoltà ad essa spettanti nei procedimenti in cui l'imputato formula richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova o in quelli in cui è applicabile la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto; p) alle strutture sanitarie presenti sul territorio, alle case famiglia, ai centri antiviolenza, alle case rifugio e ai servizi di assistenza alle vittime di reato (3). (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1, comma 1, lett. b), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212. (2) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 1, comma 27, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (3) Le parole: «e alle case rifugio» sono state così sostituite dalle attuali: «, alle case rifugio e ai servizi di assistenza alle vittime di reato» dall'art. 14, comma 2, della L. 19 luglio 2019, n. 69.

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90 ter. (1) Comunicazioni dell'evasione e della scarcerazione. 1. Fermo quanto previsto dall'articolo 299, nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona sono immediatamente comunicati alla persona offesa che ne faccia richiesta, con l'ausilio della polizia giudiziaria, i provvedimenti di scarcerazione e di cessazione della misura di sicurezza detentiva, ed è altresì data tempestiva notizia, con le stesse modalità, dell'evasione dell'imputato in stato di custodia cautelare o del condannato, nonché della volontaria sottrazione dell'internato all'esecuzione della misura di sicurezza detentiva, salvo che risulti, anche nella ipotesi di cui all'articolo 299, il pericolo concreto di un danno per l'autore del reato. 1 bis. Le comunicazioni previste al comma 1 sono sempre effettuate alla persona offesa e al suo difensore, ove nominato, se si procede per i delitti previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 612 bis del codice penale, nonchè dagli articoli 582 e 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del codice penale (2). (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1, comma 1, lett. b), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 15, comma 1, della L. 19 luglio 2019, n. 69.

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90 quater. (1) Condizione di particolare vulnerabilità. 1. Agli effetti delle disposizioni del presente codice, la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltre che dall'età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall'autore del reato. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1, comma 1, lett. b), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212.

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304

91. Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato.(1) (2) 1. Gli enti e le associazioni senza scopo di lucro ai quali, anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede, sono state riconosciute, in forza di legge, finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, possono esercitare (92, 1012), in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato (90, 505, 5116, 572; coord. 212). (1) L'art. 187 undecies, comma 1, del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, introdotto con L. 18 aprile 2005, n. 62, riserva tali diritti e facoltà alla Consob con riguardo ai delitti di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato. Si vedano anche l'art. 8 bis del D.L. 18 giugno 1986, n. 282, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1986, n. 462, in materia di prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari, che consente alle associazioni dei produttori e dei consumatori e alle altre associazioni interessate di costituirsi parte civile indipendentemente dalle prove di danno immediato e diretto, e l'art. 18 della L. 8 luglio 1986, n. 349, che ha istituito il Ministero dell'ambiente e contiene norme in materia di danno ambientale, il quale riconosce alle associazioni di protezione ambientale, individuate con decreto ministeriale, il diritto di intervenire nei giudizi di danno ambientale. Ai sensi dell'art. 23, comma 3, della L. 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dall'art. 4 della L. 3 agosto 1999, n. 265, è consentito alle associazioni di protezione ambientale di cui alla legge n. 349/1986 di proporre «le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al comune e alla provincia, conseguenti a danno ambientale» e, quindi, di costituirsi parte civile nel processo penale. Ai sensi dell'art. 10 della L. 7 marzo 1996, n. 108, possono costituirsi parte civile le fondazioni e le associazioni per la prevenzione del fenomeno dell'usura. L'elenco degli enti ed associazioni legittimati ad agire in giudizio in nome, per conto o a sostegno delle vittime di discriminazioni razziali è stato approvato con D.P.C.M. 16 dicembre 2005. I diritti e le facoltà attribuenti alla persona offesa sono riconosciuti alle organizzazioni sindacali e alle associazioni dei familiari delle vittime di infortuni sul lavoro (art. 1, comma 5, della L. 3 agosto 2007, n. 123). (2) A norma dell'art. 7 della L. 20 luglio 2004, n. 189, le associazioni e gli enti per la tutela degli animali di cui all'art. 19 quater att. c.p. perseguono finalità di tutela degli interessi lesi dai reati previsti dalla legge sopracitata.

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92. Consenso della persona offesa. 1. L'esercizio dei diritti e delle facoltà spettanti agli enti e alle associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato è subordinato al consenso della persona offesa. 2. Il consenso deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata (2699, 2703 c.c.) e può essere prestato a non più di uno degli enti o delle associazioni. È inefficace il consenso prestato a più enti o associazioni. 3. Il consenso può essere revocato in qualsiasi momento con le forme previste dal comma 2. 4. La persona offesa che ha revocato il consenso non può prestarlo successivamente né allo stesso né ad altro ente o associazione. Vai alla dottrina     ↓

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93. Intervento degli enti o delle associazioni. 1. Per l'esercizio dei diritti e delle facoltà previsti dall'art. 91 l'ente o l'associazione presenta all'autorità procedente un atto di intervento che contiene a pena di inammissibilità: a) le indicazioni relative alla denominazione dell'ente o dell'associazione, alla sede, alle disposizioni che riconoscono le finalità di tutela degli interessi lesi, alle generalità del legale rappresentante; b) l'indicazione del procedimento; c) il nome e il cognome del difensore e l'indicazione della procura; d) l'esposizione sommaria delle ragioni che giustificano l'intervento; e) la sottoscrizione del difensore. 2. Unitamente all'atto di intervento sono presentate la dichiarazione di consenso della persona offesa e la procura al difensore se questa è stata conferita nelle forme previste dall'art. 100 comma 1. 3. Se è presentato fuori udienza, l'atto di intervento deve essere notificato alle parti (152 ss.) e produce effetto dal giorno dell'ultima notificazione (95, 5116, 572). 4. L'intervento produce i suoi effetti in ogni stato e grado del procedimento. Vai alla dottrina     ↓

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94. Termine per l'intervento. 1. Gli enti e le associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato possono intervenire nel procedimento fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'art. 484 (491, 572). Vai alla dottrina     ↓

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95. Provvedimenti del giudice. 1. Entro tre giorni dalla notificazione eseguita a norma dell'art. 93 comma 3, le parti possono opporsi con dichiarazione scritta all'intervento dell'ente o dell'associazione. L'opposizione è notificata al legale rappresentante dell'ente o dell'associazione (154), il quale può presentare le sue deduzioni nei cinque giorni successivi. 2. Se l'intervento è avvenuto prima dell'esercizio dell'azione penale (405), sull'opposizione provvede il giudice per le indagini preliminari (328); se è avvenuto nell'udienza preliminare (416 ss.), l'opposizione è proposta prima dell'apertura della discussione (421); se è avvenuto in dibattimento, l'opposizione è proposta a norma dell'art. 491 comma 1. 3. I termini previsti dai commi 1 e 2 sono stabiliti a pena di decadenza. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza (125, 586). 4. In ogni stato e grado del processo il giudice, qualora accerti che non esistono i requisiti per l'esercizio dei diritti e delle facoltà previsti dall'art. 91, dispone anche di ufficio, con ordinanza, l'esclusione dell'ente o dell'associazione. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo VII. DIFENSORE. Vai alla dottrina     ↓

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96. Difensore di fiducia.(1) 1. L'imputato (24 Cost.; 60, 61) ha diritto di nominare non più di due difensori di fiducia (att. 24-27, 34, 65). 2. La nomina è fatta con dichiarazione resa all'autorità procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata (61, 63, 369, 386). 3. La nomina del difensore di fiducia della persona fermata, arrestata (386) o in custodia cautelare (293), finché la stessa non vi ha provveduto, può essere fatta da un prossimo congiunto, con le forme previste dal comma 2 (3074 c.p.). (1) A norma del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, recante l'ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, come modificato dalla L. 24 luglio 1985, n. 406, si distingue fra: avvocati abilitati al patrocinio nel giudizio di Cassazione (artt. 33-35); avvocati abilitati al patrocinio nel giudizio avanti corti d'appello, tribunali e preture (art. 4); praticanti procuratori abilitati al patrocinio avanti le preture del distretto cui appartiene il circondario presso cui sono iscritti e decorso un anno dall'iscrizione (art. 8). Con l'art. 3 della L. 24 febbraio 1997, n. 27 il termine «procuratore legale» va sostituito con il termine «avvocato». Di conseguenza, il praticante procuratore legale diventa «praticante avvocato». Ai sensi del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, l'ufficio del pretore è soppresso a decorrere dal 2 giugno 1999, fatta salva l'attività necessaria per l'esaurimento degli affari pendenti. Le relative competenze sono trasferite al tribunale ordinario, fuori dei casi in cui è diversamente disposto dal predetto provvedimento. A norma dell'art. 7 della L. 16 dicembre 1999, n. 479, il praticante avvocato può esercitare la sua attività professionale nelle cause di competenza del giudice di pace e dinanzi al tribunale in composizione monocratica limitatamente ai reati previsti dall'art. 550 c.p.p. A norma dell'art. 41, comma 12, della L. 31 dicembre 2012, n. 247, nel periodo di svolgimento del tirocinio il praticante avvocato, decorsi sei mesi dall'iscrizione nel registro dei praticanti, purché in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza, può esercitare attività professionale in sostituzione dell'avvocato presso il quale svolge la pratica e comunque sotto il controllo e la responsabilità dello stesso anche se si tratta di affari non trattati direttamente dal medesimo, in ambito penale nei procedimenti di competenza del giudice di pace, in quelli per reati contravvenzionali e in quelli che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, rientravano nella competenza del pretore. L'abilitazione decorre dalla delibera di iscrizione nell'apposito registro.

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97. Difensore di ufficio. 1. L'imputato che non ha nominato un difensore di fiducia o ne è rimasto privo è assistito da un difensore di ufficio (att. 174, 183, 28, 31) (1). 2. Il difensore d'ufficio nominato ai sensi del comma 1 è individuato nell'ambito degli iscritti all'elenco nazionale di cui all'articolo 29 delle disposizioni di attuazione. I Consigli dell'ordine circondariali di ciascun distretto di Corte d'appello predispongono, mediante un apposito ufficio centralizzato, l'elenco dei professionisti iscritti all'albo e facenti parte dell'elenco nazionale ai fini della nomina su richiesta dell'autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria. Il Consiglio nazionale forense fissa, con cadenza annuale, i criteri generali per la nomina dei difensori d'ufficio sulla base della prossimità alla sede del procedimento e della reperibilità (2). 3. Il giudice, il pubblico ministero e la polizia giudiziaria, se devono compiere un atto per il quale è prevista l'assistenza del difensore e la persona sottoposta alle indagini o l'imputato ne sono privi, danno avviso dell'atto al difensore il cui nominativo è comunicato dall'ufficio di cui al comma 2 (3). 4. Quando è richiesta la presenza del difensore e quello di fiducia o di ufficio nominato a norma dei commi 2 e 3 non è stato reperito, non è comparso o ha abbandonato la difesa, il giudice designa come sostituto un altro difensore immediatamente reperibile per il quale si applicano le disposizioni di cui all'articolo 102. Il pubblico ministero e la polizia giudiziaria, nelle medesime circostanze, richiedono un altro nominativo all'ufficio di cui al comma 2, salva, nei casi di urgenza, la designazione di un altro difensore immediatamente reperibile, previa adozione di un provvedimento motivato che indichi le ragioni dell'urgenza. Nel corso del giudizio può essere nominato sostituto solo un difensore iscritto nell'elenco di cui al comma 2 (4). 5. Il difensore di ufficio ha l'obbligo di prestare il patrocinio e può essere sostituito solo per giustificato motivo (att. 303). 6. Il difensore di ufficio cessa dalle sue funzioni se viene nominato un difensore di fiducia. (1) La difesa d'ufficio dell'imputato minorenne va affidata a difensori con specifica preparazione nel diritto minorile (art. 11 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448). (2) Questo comma è stato così, da ultimo, sostituito dall'art. 3 del D.L.vo 30 gennaio 2015, n. 6. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio. (4) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 3 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio.

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98. Patrocinio dei non abbienti. 1. L'imputato (60, 61), la persona offesa dal reato (90), il danneggiato che intende costituirsi parte civile (74) e il responsabile civile (83 ss.) possono chiedere di essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato (6135), secondo le norme della legge sul patrocinio dei non abbienti (att. 32) (1). (1) Si veda il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 sul patrocinio a spese dello Stato (in specie, l'art. 80 - come sostituito con L. 24 febbraio 2005, n. 25 - sulla nomina di un difensore scelto nell'elenco degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato).

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99. Estensione al difensore dei diritti dell'imputato. 1. Al difensore competono le facoltà e i diritti che la legge riconosce all'imputato, a meno che essi siano riservati personalmente a quest'ultimo (46, 141, 419, 438, 446, 571, 589). 2. L'imputato può togliere effetto, con espressa dichiarazione contraria, all'atto compiuto dal difensore prima che, in relazione all'atto stesso, sia intervenuto un provvedimento del giudice. Vai alla dottrina     ↓

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100. Difensore delle altre parti private. 1. La parte civile (78), il responsabile civile (84) e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89) stanno in giudizio col ministero di un difensore, munito di procura speciale (122; att. 24; 83 c.p.c.) conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata dal difensore o da altra persona abilitata (2699, 2703 c.c.) (1). 2. La procura speciale può essere anche apposta in calce o a margine della dichiarazione di costituzione di parte civile, del decreto di citazione (83, 89) o della dichiarazione di costituzione o di intervento del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (84, 85, 89). In tali casi l'autografia della sottoscrizione della parte è certificata dal difensore. 3. La procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell'atto non è espressa volontà diversa. 4. Il difensore può compiere e ricevere, nell'interesse della parte rappresentata, tutti gli atti del procedimento che dalla legge non sono a essa espressamente riservati. In ogni caso non può compiere atti che importino disposizione del diritto in contesa se non ne ha ricevuto espressamente il potere (84 c.p.c.). 5. Il domicilio delle parti private indicate nel comma 1 per ogni effetto processuale si intende eletto presso il difensore (1544). (1) Le parole: «dal difensore o da altra persona abilitata» sono state aggiunte dall'art. 13, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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101. Difensore della persona offesa. 1. La persona offesa dal reato (90 ss.), per l'esercizio dei diritti e delle facoltà ad essa attribuiti, può nominare un difensore nelle forme previste dall'art. 96 comma 2 (369; att. 24, 33). Al momento dell'acquisizione della notizia di reato il pubblico ministero e la polizia giudiziaria informano la persona offesa dal reato di tale facoltà (1). La persona offesa è altresì informata della possibilità dell'accesso al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell'articolo 76 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni (1). 2. Per la nomina dei difensori degli enti e delle associazioni che intervengono a norma dell'art. 93 si applicano le disposizioni dell'art. 100 (2). (1) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. 0a), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (2) L'art. 10 della L. 3 agosto 2004, n. 206, prevede che il patrocinio delle vittime di atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice o dei superstiti sia a totale carico dello Stato.

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102. (1) Sostituto del difensore. 1. Il difensore di fiducia e il difensore d'ufficio possono nominare un sostituto (2). 2. Il sostituto esercita i diritti e assume i doveri del difensore. (1) Per la nomina del sostituto del difensore della persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato, si veda l'art. 101 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come sostituito con L. 24 febbraio 2005, n. 25. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio.

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103. Garanzie di libertà del difensore.(1) (2) 1. Le ispezioni (244) e le perquisizioni (247 ss.) negli uffici dei difensori sono consentite solo: a) quando essi o altre persone che svolgono stabilmente attività nello stesso ufficio sono imputati (60, 61), limitatamente ai fini dell'accertamento del reato loro attribuito; b) per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificamente predeterminate. 2. Presso i difensori e gli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, nonché presso i consulenti tecnici (359) non si può procedere a sequestro (253 ss., 354) (3) di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato (2532). 3. Nell'accingersi a eseguire una ispezione, una perquisizione o un sequestro nell'ufficio di un difensore, l'autorità giudiziaria a pena di nullità avvisa il consiglio dell'ordine forense del luogo perché il presidente o un consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata copia del provvedimento. 4. Alle ispezioni, alle perquisizioni e ai sequestri negli uffici dei difensori procede personalmente il giudice ovvero, nel corso delle indagini preliminari (326 ss.), il pubblico ministero in forza di motivato decreto di autorizzazione del giudice. 5. Non è consentita l'intercettazione (266 ss.) relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei (4) consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite (att. 355). 6. Sono vietati il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza tra l'imputato e il proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato (att. 35). 7. Salvo quanto previsto dal comma 3 e dall'art. 271, i risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, eseguiti in violazione delle disposizioni precedenti, non possono essere utilizzati (191). Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni sono indicate soltanto la data, l'ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta (5). (1) Le garanzie previste da questa norma per il difensore si estendono, in quanto applicabili, ai dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze e a coloro che operano presso enti, centri, associazioni o gruppi che hanno stipulato apposite convenzioni con le unità sanitarie locali (art. 120 comma 7 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, recante il testo unico delle leggi sugli stupefacenti). Si estendono, altresì, agli accertamenti tributari di cui all'art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. (2) Si veda la L. 3 aprile 2001, n. 119, recante disposizioni sull'obbligo del segreto professionale per gli assistenti sociali. (3) Le parole: «Presso i difensori e i consulenti tecnici non si può procedere a sequestro» sono state così sostituite dalle attuali da: «Presso i difensori e gli investigatori ...» fino a: «... procedere a sequestro» dall'art. 1,

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comma 1, lett. a), della L. 7 dicembre 2000, n. 397. L'art. 10, comma 2, del D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28, estende al mediatore la garanzia prevista da questo articolo in quanto applicabili. (4) Le parole da: «degli investigatori privati ...» fino a: «... al procedimento, dei» sono state inserite dall'art. 1, comma 1, lett. b), della L. 7 dicembre 2000, n. 397. (5) Questo periodo è stato aggiunto dall’art. 2, comma 1, lett. a), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 1, del medesimo provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020.

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104. Colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare. 1. L'imputato in stato di custodia cautelare (285) ha diritto di conferire con il difensore fin dall'inizio dell'esecuzione della misura (293; att. 36). 2. La persona arrestata in flagranza (380 ss.) o fermata a norma dell'art. 384 ha diritto di conferire con il difensore subito dopo l'arresto o il fermo. 3. Nel corso delle indagini preliminari (326 ss.) per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater (1), quando sussistono specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, il giudice su richiesta del pubblico ministero può, con decreto motivato, dilazionare, per un tempo non superiore a cinque (2) giorni, l'esercizio del diritto di conferire con il difensore. 4. Nell'ipotesi di arresto o di fermo, il potere previsto dal comma 3 è esercitato dal pubblico ministero fino al momento in cui l'arrestato o il fermato è posto a disposizione del giudice (390). 4 bis. L'imputato in stato di custodia cautelare, l'arrestato e il fermato, che non conoscono la lingua italiana, hanno diritto all'assistenza gratuita di un interprete per conferire con il difensore a norma dei commi precedenti. Per la nomina dell'interprete si applicano le disposizioni del titolo IV del libro II (3). (1) Le parole: «per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater» sono state inserite dall'art. 1, comma 25, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (2) La originaria parola: «sette» è stata così sostituita dall'art. 1 della L. 8 agosto 1995, n. 332. (3) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L.vo 4 marzo 2014, n. 32.

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105. Abbandono e rifiuto della difesa. 1. Il consiglio dell'ordine forense ha competenza esclusiva per le sanzioni disciplinari relative all'abbandono della difesa o al rifiuto della difesa di ufficio. 2. Il procedimento disciplinare è autonomo rispetto al procedimento penale in cui è avvenuto l'abbandono o il rifiuto. 3. Nei casi di abbandono o di rifiuto motivati da violazione dei diritti della difesa, quando il consiglio dell'ordine li ritiene comunque giustificati, la sanzione non è applicata, anche se la violazione dei diritti della difesa è esclusa dal giudice. 4. L'autorità giudiziaria riferisce al consiglio dell'ordine i casi di abbandono della difesa, di rifiuto della difesa di ufficio o, nell'ambito del procedimento, i casi di violazione da parte del difensore dei doveri di lealtà e probità nonché del divieto di cui all'articolo 106, comma 4 bis (1). 5. L'abbandono della difesa delle parti private diverse dall'imputato (74 ss., 83 ss., 89), della persona offesa (90), degli enti e delle associazioni previste dall'art. 91 non impedisce in alcun caso l'immediata continuazione del procedimento e non interrompe l'udienza. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 15 della L. 13 febbraio 2001, n. 45.

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106. Incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento. 1. Salva la disposizione del comma 4 bis (1) la difesa di più imputati può essere assunta da un difensore comune, purché le diverse posizioni non siano tra loro incompatibili. 2. L'autorità giudiziaria, se rileva una situazione di incompatibilità, la indica e ne espone i motivi, fissando un termine per rimuoverla. 3. Qualora l'incompatibilità non sia rimossa, il giudice la dichiara con ordinanza (125) provvedendo alle necessarie sostituzioni a norma dell'art. 97. 4. Se l'incompatibilità è rilevata nel corso delle indagini preliminari, il giudice, su richiesta del pubblico ministero o di taluna delle parti private e sentite le parti interessate, provvede a norma del comma 3 (2). 4 bis. Non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento o in procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o collegato ai sensi dell'articolo 371, comma 2, lettera b). Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei commi 2, 3 e 4 (3). (1) Le parole: «Salva la disposizione del comma 4 bis» sono state premesse dall'art. 16 della L. 13 febbraio 2001, n. 45. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 16 della L. 13 febbraio 2001, n. 45. (3) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 16 della L. 13 febbraio 2001, n. 45.

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107. Non accettazione, rinuncia o revoca del difensore. 1. Il difensore che non accetta l'incarico conferitogli o vi rinuncia ne dà subito comunicazione all'autorità procedente e a chi lo ha nominato. 2. La non accettazione ha effetto dal momento in cui è comunicata all'autorità procedente. 3. La rinuncia non ha effetto finché la parte non risulti assistita da un nuovo difensore di fiducia o da un difensore di ufficio e non sia decorso il termine eventualmente concesso a norma dell'art. 108. 4. La disposizione del comma 3 si applica anche nel caso di revoca. Vai alla dottrina     ↓

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108. (1) Termine per la difesa. 1. Nei casi di rinuncia, di revoca, di incompatibilità, e nel caso di abbandono, il nuovo difensore dell'imputato o quello designato d'ufficio che ne fa richiesta ha diritto a un termine congruo, non inferiore a sette giorni, per prendere cognizione degli atti e per informarsi sui fatti oggetto del procedimento. 2. Il termine di cui al comma 1 può essere inferiore se vi è consenso dell'imputato o del difensore o se vi sono specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione dell'imputato o la prescrizione del reato. In tale caso il termine non può comunque essere inferiore a ventiquattro ore. Il giudice provvede con ordinanza. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 5 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio.

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Libro II. ATTI. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo I. DISPOSIZIONI GENERALI. Vai alla dottrina     ↓

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109. Lingua degli atti. 1. Gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana. 2. Davanti all'autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di appello su un territorio dove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta (1), il cittadino italiano che appartiene a questa minoranza è, a sua richiesta, interrogato (64, 65) o esaminato (194 ss., 208) nella madrelingua e il relativo verbale è redatto anche in tale lingua. Nella stessa lingua sono tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta. Restano salvi gli altri diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali (143; att. 26) (2). 3. Le disposizioni di questo articolo si osservano a pena di nullità (177 ss.). (1) Sono considerate minoranze linguistiche riconosciute quella francese della Val d'Aosta, quelle tedesca e ladina del Trentino Alto Adige e quella slovena della provincia di Trieste. Norme speciali applicabili nel processo penale esistono però solo per i cittadini di lingua francese della Val d'Aosta (art. 38 della L.C. 28 febbraio 1948, n. 4, approvante lo Statuto speciale della regione) e per i cittadini di lingua tedesca del Trentino Alto Adige (in particolare il capo IV del D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, recante attuazione dello Statuto speciale della regione, disciplina l'uso della lingua minoritaria nei rapporti con gli uffici giudiziari e con gli organi giurisdizionali). In materia sono intervenuti il D.L.vo 29 maggio 2001, n. 283 e il D.L.vo 13 giugno 2005, n. 124. Si veda l'art. 8 della L. 23 febbraio 2001, n. 38, recante norme per la tutela della minoranza linguistica slovena della Regione FriuliVenezia Giulia. (2) Ai sensi dell'art. 9, comma 3, della L. 15 dicembre 1999, n. 482, nei procedimenti davanti al giudice di pace è consentito l'uso della lingua ammessa a tutela. Restano ferme le disposizioni di cui all'art. 109 c.p.p.

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110. Sottoscrizione degli atti. 1. Quando è richiesta la sottoscrizione di un atto (att. 39) (1), se la legge non dispone altrimenti (92, 100, 122, 162, 337, 438, 446, 583; 35 att.), è sufficiente la scrittura di propria mano, in fine dell'atto, del nome e cognome di chi deve firmare. 2. Non è valida la sottoscrizione apposta con mezzi meccanici o con segni diversi dalla scrittura. 3. Se chi deve firmare non è in grado di scrivere, il pubblico ufficiale, al quale è presentato l'atto scritto o che riceve l'atto orale, accertata l'identità della persona, ne fa annotazione in fine dell'atto medesimo. (1) Si vedano gli artt. 137, 142, 168, 171, 333, 337, 373, 483, 544 di questo codice.

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111. Data degli atti. 1. Quando la legge richiede la data di un atto, sono indicati il giorno, il mese, l'anno e il luogo in cui l'atto è compiuto. L'indicazione dell'ora è necessaria solo se espressamente prescritta (136). 2. Se l'indicazione della data di un atto è prescritta a pena di nullità (292, lett. e), questa sussiste soltanto nel caso in cui la data non possa stabilirsi con certezza in base ad elementi contenuti nell'atto medesimo o in atti a questo connessi. Vai alla dottrina     ↓

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112. Surrogazione di copie agli originali mancanti. 1. Salvo che la legge disponga altrimenti, quando l'originale di una sentenza o di un altro atto del procedimento, del quale occorre fare uso, è per qualsiasi causa distrutto, smarrito o sottratto e non è possibile recuperarlo, la copia autentica ha valore di originale ed è posta nel luogo in cui l'originale dovrebbe trovarsi (att. 40). 2. A tal fine, il presidente della corte o del tribunale [o il pretore] (1), anche di ufficio, ordina con decreto (125) a chi detiene la copia di consegnarla alla cancelleria, salvo il diritto del detentore di avere gratuitamente un'altra copia autentica. (1) Le parole: «o il pretore» sono state soppresse dall'art. 177 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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113. Ricostituzione di atti. 1. Se non è possibile provvedere a norma dell'art. 112, il giudice, anche di ufficio, accerta il contenuto dell'atto mancante e stabilisce con ordinanza (125) se e in quale tenore esso deve essere ricostituito. 2. Se esiste la minuta dell'atto mancante, questo è ricostituito secondo il tenore della medesima, quando alcuno dei giudici che l'hanno sottoscritto riconosce che questo era conforme alla minuta (att. 41). 3. Quando non si può provvedere a norma dei commi 1 e 2, il giudice dispone con ordinanza la rinnovazione dell'atto mancante, se necessaria e possibile, prescrivendone il modo ed eventualmente indicando anche gli altri atti che devono essere rinnovati. Vai alla dottrina     ↓

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114. Divieto di pubblicazione di atti e di immagini.(1) 1. È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto (329). 2. È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari (405 ss.) ovvero fino al termine dell'udienza preliminare (424), fatta eccezione per l'ordinanza indicata dall'articolo 292 (2). 2 bis. È sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi degli articoli 268, 415 bis o 454 (3). 3. Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento (431), se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado (545), e di quelli del fascicolo del pubblico ministero (433), se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (605). È sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni (5001, 5033) (4). 4. È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse nei casi previsti dall'art. 472 commi 1 e 2. In tali casi il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione anche degli atti o di parte degli atti utilizzati per le contestazioni. Il divieto di pubblicazione cessa comunque quando sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge sugli archivi di Stato (5) ovvero è trascorso il termine di dieci anni dalla sentenza irrevocabile (648) e la pubblicazione è autorizzata dal Ministro di grazia e giustizia. 5. Se non si procede al dibattimento, il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione di atti o di parte di atti quando la pubblicazione di essi può offendere il buon costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto nell'interesse dello Stato ovvero causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private. Si applica la disposizione dell'ultimo periodo del comma 4. 6. È vietata la pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. È altresì vietata la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione dei suddetti minorenni (6). Il tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione (7). 6 bis. È vietata la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta (8). 7. È sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto. (1) La precedente rubrica: «Divieto di pubblicazione di atti» è stata così sostituita dall'attuale dall'art. 14, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Le parole: «, fatta eccezione per l'ordinanza indicata dall'articolo 292» sono state aggiunte dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 2, del medesimo

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provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tale disposizione acquista efficacia a decorrere dal 1° settembre 2020. (3) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento così come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (4) La Corte costituzionale, con sentenza n. 59 del 24 febbraio 1995, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, limitatamente alle parole: «del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli». (5) L'art. 21 del D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409, recante norme in tema di ordinamento e personale degli archivi di Stato, stabilisce che i documenti dei processi penali sono consultabili trascorsi 70 anni dalla data di conclusione del procedimento. (6) Il secondo periodo di questo comma è stato inserito dall'art. 10, comma 8, della L. 3 maggio 2004, n. 112. (7) Il divieto di pubblicazione e divulgazione di notizie e immagini è sancito dall'art. 13 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni. (8) Questo comma è stato inserito dall'art. 14, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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115. Violazione del divieto di pubblicazione. 1. Salve le sanzioni previste dalla legge penale (684 c.p.), la violazione del divieto di pubblicazione previsto dagli artt. 114 e 329 comma 3 lett. b) costituisce illecito disciplinare quando il fatto è commesso da impiegati dello Stato o di altri enti pubblici ovvero da persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. 2. Di ogni violazione del divieto di pubblicazione commessa dalle persone indicate nel comma 1 il pubblico ministero (51) informa l'organo titolare del potere disciplinare. Vai alla dottrina     ↓

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116. Copie, estratti e certificati. 1. Durante il procedimento e dopo la sua definizione, chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio a proprie spese di copie, estratti o certificati di singoli atti (1412, 243, 258, 366, 466; att. 42) (1). 2. Sulla richiesta provvede il pubblico ministero o il giudice che procede al momento della presentazione della domanda ovvero, dopo la definizione del procedimento, il presidente del collegio o il giudice che ha emesso il provvedimento di archiviazione (409) o la sentenza (529 ss.; att. 43). 3. Il rilascio non fa venire meno il divieto di pubblicazione stabilito dall'art. 114. 3 bis. Quando il difensore, anche a mezzo di sostituti, presenta all'autorità giudiziaria atti o documenti, ha diritto al rilascio di attestazione dell'avvenuto deposito, anche in calce ad una copia (2). (1) Gli organi della disciplina sportiva, ai fini esclusivi della propria competenza funzionale, possono chiedere copia degli atti del procedimento penale, fermo restando il divieto di pubblicazione di cui all'articolo 114 (art. 2 comma 3 della L. 13 dicembre 1989, n. 401, sulla frode nelle competizioni sportive). Ai sensi dell'art. 19, comma 4, della L. 18 agosto 2000, n. 248, il Comitato per la tutela della proprietà intellettuale può richiedere copie di atti. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

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117. Richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del pubblico ministero. 1. Fermo quanto disposto dall'art. 371, quando è necessario per il compimento delle proprie indagini (326, 358), il pubblico ministero (51) può ottenere dall'autorità giudiziaria competente, anche in deroga al divieto stabilito dall'art. 329, copie di atti (112, 116) relativi ad altri procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto. L'autorità giudiziaria può trasmettere le copie e le informazioni anche di propria iniziativa (1). 2. L'autorità giudiziaria provvede senza ritardo e può rigettare la richiesta con decreto motivato (125). 2 bis. Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, nell'ambito delle funzioni previste dall'articolo 371 bis, accede al registro delle notizie di reato, al registro di cui all'articolo 81 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nonché a tutti gli altri registri relativi al procedimento penale e al procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione. Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo accede, altresì, alle banche di dati logiche dedicate alle procure distrettuali e realizzate nell'ambito della banca di dati condivisa della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (2). (1) Per l'informativa e la trasmissione di atti all'autorità giudiziaria competente per il procedimento di prevenzione da parte di quella che proceda per il delitto di cui all'art. 416 bis c.p. o per quello di cui all'art. 74 del T.U. in materia di stupefacenti, approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, si veda l'art. 23 bis della L. 13 settembre 1982, n. 646, introdotto dall'art. 9 della L. 19 marzo 1990, n. 55. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 4, comma 9, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356, e poi così sostituito dall'art. 9, comma 3, del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43.

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118. Richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del Ministro dell'interno.(1) 1. Il Ministro dell'interno, direttamente o a mezzo di un ufficiale di polizia giudiziaria (57) o del personale della Direzione investigativa antimafia (2) appositamente delegato, può ottenere dall'autorità giudiziaria competente, anche in deroga al divieto stabilito dall'art. 329, copie di atti (112, 116) di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto, ritenute indispensabili per la prevenzione dei delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza (380). L'autorità giudiziaria può trasmettere le copie e le informazioni anche di propria iniziativa. 1 bis. Ai medesimi fini l'autorità giudiziaria può autorizzare i soggetti indicati nel comma 1 all'accesso diretto al registro previsto dall'art. 335, anche se tenuto in forma automatizzata (3). 2. L'autorità giudiziaria provvede senza ritardo e può rigettare la richiesta con decreto motivato (125). 3. Le copie e le informazioni acquisite a norma del comma 1 sono coperte dal segreto di ufficio. (1) Per le copie e le informazioni indispensabili per la prevenzione o l'accertamento dei delitti in materia di stupefacenti si veda l'art. 102 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, testo unico delle leggi in materia di stupefacenti. (2) Le parole «o del personale della Direzione investigativa antimafia» sono state aggiunte dall'art. 4, comma 10, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (3) Comma aggiunto dall'art. 4, comma 10, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

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118 bis. (1) Richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del Presidente del Consiglio dei ministri. 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri può richiedere all'autorità giudiziaria competente, anche in deroga al divieto stabilito dall'articolo 329, direttamente o a mezzo del direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, copie di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto ritenute indispensabili per lo svolgimento delle attività connesse alle esigenze del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica. 2. Si applicano le disposizioni dell'articolo 118, commi 2 e 3. 3. L'autorità giudiziaria può altresì trasmettere le copie e le informazioni di cui al comma 1 anche di propria iniziativa. Ai medesimi fini l'autorità giudiziaria può autorizzare l'accesso diretto di funzionari delegati dal direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza al registro delle notizie di reato, anche se tenuto in forma automatizzata. (1) Questo articolo è stato inserito, a decorrere dal 12 ottobre 2007, dall'art. 14 della L. 3 agosto 2007, n. 124.

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119. (1) Partecipazione del sordo, muto o sordomuto (2) ad atti del procedimento. 1. Quando un sordo, un muto o un sordomuto (2) vuole o deve fare dichiarazioni, al sordo si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde oralmente; al muto si fanno oralmente le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto; al sordomuto (2) si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto. 2. Se il sordo, il muto o il sordomuto (2) non sa leggere o scrivere, l'autorità procedente nomina uno o più interpreti, scelti di preferenza fra le persone abituate a trattare con lui (143, 144, lett. d). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 341 del 22 luglio 1999, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui non prevede che l'imputato sordo, muto o sordomuto, indipendentemente dal fatto che sappia o meno leggere e scrivere, ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete, scelto di preferenza fra le persone abituate a trattare con lui, al fine di potere comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa. (2) A norma dell'art. 1 della L. 20 febbraio 2006, n. 95, in tutte le disposizioni legislative vigenti, il termine «sordomuto» è sostituito con l'espressione «sordo».

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120. Testimoni ad atti del procedimento. 1. Non possono intervenire come testimoni ad atti del procedimento (2451, 2491, 2501): a) i minori degli anni quattordici e le persone palesemente affette da infermità di mente o in stato di manifesta ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope. La capacità si presume sino a prova contraria; b) le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive (215 c.p.) o a misure di prevenzione (1). (1) In argomento la normativa fondamentale è contenuta nel D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159.

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121. Memorie e richieste delle parti. 1. In ogni stato e grado del procedimento le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito nella cancelleria (38 att., 2911). 2. Sulle richieste ritualmente formulate il giudice provvede senza ritardo e comunque, salve specifiche disposizioni di legge (2993, 3981, 4182, 455), entro quindici giorni (1). (1) Si vedano gli artt. 2 e 3 della L. 13 aprile 1988, n. 117, sulla responsabilità dei magistrati in caso di «diniego di giustizia».

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122. Procura speciale per determinati atti. 1. Quando la legge consente che un atto sia compiuto per mezzo di un procuratore speciale (1), la procura deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata (2699, 2703 c.c.) e deve contenere, oltre alle indicazioni richieste specificamente dalla legge, la determinazione dell'oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce. Se la procura è rilasciata per scrittura privata al difensore, la sottoscrizione può essere autenticata dal difensore medesimo (2). La procura è unita agli atti (att. 37). 2. Per le pubbliche amministrazioni è sufficiente che la procura sia sottoscritta dal dirigente dell'ufficio nella circoscrizione in cui si procede e sia munita del sigillo dell'ufficio. 3. Non è ammessa alcuna ratifica degli atti compiuti nell'interesse altrui senza procura speciale nei casi in cui questa è richiesta dalla legge. (1) Si vedano gli artt. 38, 46, 82, 84, 85, 141, 333, 336 ss., 419, 438, 446, 571, 589, 633 e 645 di questo codice. (2) Il secondo periodo di questo comma è stato inserito dall'art. 13, comma 3, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. A norma dell'art. 13, comma 4, così come modificato dall'art. 3 del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144, questa disposizione si applica anche alle procure conferite prima della data di entrata in vigore della citata legge n. 479/1999.

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123. Dichiarazioni e richieste di persone detenute o internate. 1. L'imputato detenuto o internato in un istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza ha facoltà di presentare impugnazioni, dichiarazioni e richieste con atto ricevuto dal direttore. Esse sono iscritte in apposito registro, sono immediatamente comunicate all'autorità competente e hanno efficacia come se fossero ricevute direttamente dall'autorità giudiziaria. 2. Quando l'imputato è in stato di arresto (284) o di detenzione domiciliare (1) ovvero è custodito in un luogo di cura (286), ha facoltà di presentare impugnazioni, dichiarazioni e richieste con atto ricevuto da un ufficiale di polizia giudiziaria (57), il quale ne cura l'immediata trasmissione all'autorità competente. Le impugnazioni, le dichiarazioni e le richieste hanno efficacia come se fossero ricevute direttamente dall'autorità giudiziaria. 3. Le disposizioni del comma 1 si applicano alle denunce, impugnazioni, dichiarazioni e richieste presentate dalle altre parti private o dalla persona offesa (att. 44) (2). (1) La detenzione domiciliare è prevista dall'art. 47 ter della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario, introdotto dall'art. 13 della L. 10 ottobre 1986, n. 663 e da ultimo modificato dalla L. 27 maggio 1998, n. 165. (2) Si veda l'art. 93 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in merito all'istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

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124. Obbligo di osservanza delle norme processuali. 1. I magistrati, i cancellieri e gli altri ausiliari (126; reg. 1) del giudice, gli ufficiali giudiziari, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria (57) sono tenuti a osservare le norme di questo codice anche quando l'inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale (1). 2. I dirigenti degli uffici vigilano sull'osservanza delle norme anche ai fini della responsabilità disciplinare. (1) Si veda anche la L. 13 aprile 1988, n. 117 recante norme sulla responsabilità civile dei magistrati e il risarcimento dei danni causati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie.

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Titolo II. ATTI E PROVVEDIMENTI

DEL GIUDICE (1). (1) Con riguardo ai rapporti con gli uffici giudiziari e gli organi giurisdizionali da parte dei cittadini di lingua tedesca o ladina si veda il Capo IV del D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, come modificato con D.L.vo 29 maggio 2001, n. 283.

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125. Forme dei provvedimenti del giudice. 1. La legge stabilisce i casi nei quali il provvedimento del giudice assume la forma della sentenza, dell' ordinanza o del decreto. 2. La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano (101 Cost.). 3. Le sentenze e le ordinanze sono motivate, a pena di nullità (111 Cost.; 292, 3 426 , 5463). I decreti sono motivati, a pena di nullità, nei casi in cui la motivazione è espressamente prescritta dalla legge. 4. Il giudice delibera in camera di consiglio senza la presenza dell'ausiliario designato ad assisterlo (126) e delle parti. La deliberazione è segreta. 5. Nel caso di provvedimenti collegiali, se lo richiede un componente del collegio che non ha espresso voto conforme alla decisione, è compilato sommario verbale contenente l'indicazione del dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si riferisce il dissenso e dei motivi dello stesso, succintamente esposti. Il verbale, redatto dal meno anziano dei componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti i componenti, è conservato a cura del presidente in plico sigillato presso la cancelleria dell'ufficio (1). 6. Tutti gli altri provvedimenti sono adottati senza l'osservanza di particolari formalità e, quando non è stabilito altrimenti, anche oralmente. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1 del D.L.vo 30 ottobre 1989, n. 351, entrato in vigore l'1 novembre 1989.

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126. (1) Assistenza al giudice. 1. Il giudice, in tutti gli atti ai quali procede, è assistito dall'ausiliario (135) a ciò designato a norma dell'ordinamento, se la legge non dispone altrimenti (1254; reg. 1). (1) Si vedano l'art. 2, primo comma e l'art. 3, secondo comma, della L. 12 luglio 1975, n. 311, sulle attribuzioni specifiche di cancellieri e segretari giudiziari, che attribuiscono funzioni di assistenza al magistrato al personale delle carriere di concetto ed esecutiva.

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127. Procedimento in camera di consiglio. 1. Quando si deve procedere in camera di consiglio (1), il giudice o il presidente del collegio fissa la data dell'udienza e ne fa dare avviso alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori. L'avviso è comunicato o notificato (148 ss.) almeno dieci giorni prima della data predetta. Se l'imputato è privo di difensore, l'avviso è dato a quello di ufficio (97). 2. Fino a cinque giorni prima dell'udienza possono essere presentate memorie in cancelleria. 3. Il pubblico ministero, gli altri destinatari dell'avviso nonché i difensori sono sentiti se compaiono. Se l'interessato è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice e ne fa richiesta, deve essere sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza (677) del luogo. 4. L'udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell'imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito personalmente e che non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice (att. 101). 5. Le disposizioni dei commi 1, 3 e 4 sono previste a pena di nullità (178, lett. b) e c), 180, 181). 6. L'udienza si svolge senza la presenza del pubblico. 7. Il giudice provvede (att. 45) con ordinanza comunicata o notificata (148 ss.) senza ritardo ai soggetti indicati nel comma 1, che possono proporre ricorso per cassazione (606). 8. Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'ha emessa disponga diversamente con decreto motivato (125). 9. L'inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento è dichiarata dal giudice con ordinanza, anche senza formalità di procedura, salvo che sia altrimenti stabilito. Si applicano le disposizioni dei commi 7 e 8. 10. Il verbale di udienza è redatto soltanto in forma riassuntiva a norma dell'art. 140 comma 2 (2). (1) Le disposizioni relative al procedimento in camera di consiglio sono contenute negli artt. 32, 41, 48, 130, 263, 269, 309, 310, 311, 324, 355, 391, 401, 406, 409, 410, 420, 428, 435, 443, 469, 547, 599, 611, 646, 666, 704, 714, 734, 741 e 743 di questo codice. (2) La Corte costituzionale, con sentenza 3 dicembre 1990, n. 529, ha dichiarato l'illegittimità di questo comma nella parte in cui dopo la parola «redatto» prevede «soltanto» anziché «di regola».

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128. Deposito dei provvedimenti del giudice. 1. Salvo quanto disposto per i provvedimenti emessi nell'udienza preliminare (424) e nel dibattimento (548), gli originali dei provvedimenti del giudice sono depositati in cancelleria entro cinque giorni dalla deliberazione. Quando si tratta di provvedimenti impugnabili (568), l'avviso di deposito contenente l'indicazione del dispositivo è comunicato al pubblico ministero (1532) e notificato (148 ss.) a tutti coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione. Vai alla dottrina     ↓

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129. Obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità. 1. In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza (1) (2). 2. Quando ricorre una causa di estinzione del reato (150 ss. c.p.) ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione (530) o di non luogo a procedere (425) con la formula prescritta. (1) Si vedano gli artt. 408, 411, 442, 444, 455, 459, 469, 531 di questo codice e l'art. 26 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni. (2) Si veda la L. 20 giugno 2003, n. 140, recante norme in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato.

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130. Correzione di errori materiali. 1. La correzione delle sentenze, delle ordinanze e dei decreti (125) inficiati da errori od omissioni che non determinano nullità (177 ss.), e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto, è disposta, anche di ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento (66, 535, 547, 619, 668). Se questo è impugnato, e l'impugnazione non è dichiarata inammissibile, la correzione è disposta dal giudice competente a conoscere dell'impugnazione (att. 48). 1 bis. Quando nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti si devono rettificare solo la specie e la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la correzione è disposta, anche d'ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento. Se questo è impugnato, alla rettificazione provvede la Corte di cassazione a norma dell'articolo 619, comma 2 (1). 2. Il giudice provvede in camera di consiglio a norma dell'art. 127. Dell'ordinanza che ha disposto la correzione è fatta annotazione sull'originale dell'atto. (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 49, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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131. Poteri coercitivi del giudice. 1. Il giudice, nell'esercizio delle sue funzioni, può chiedere l'intervento della polizia giudiziaria (58) e, se necessario, della forza pubblica, prescrivendo tutto ciò che occorre per il sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede (378). Vai alla dottrina     ↓

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132. Accompagnamento coattivo dell'imputato. 1. L'accompagnamento coattivo è disposto, nei casi previsti dalla legge, con decreto motivato, con il quale il giudice ordina di condurre l'imputato alla sua presenza, se occorre anche con la forza (210, 376, 399, 490, 513; att. 46) (1). 2. La persona sottoposta ad accompagnamento coattivo non può essere tenuta a disposizione oltre il compimento dell'atto previsto e di quelli conseguenziali per i quali perduri la necessità della sua presenza. In ogni caso la persona non può essere trattenuta oltre le ventiquattro ore. (1) Si veda l'art. 31 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, per gli imputati minorenni.

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133. (1) Accompagnamento coattivo di altre persone. 1. Se il testimone (194 ss.), il perito (221 ss.), la persona sottoposta all'esame del perito diversa dall'imputato, (2) il consulente tecnico (225, 230 ss.), l'interprete (143 ss.) o il custode di cose sequestrate (259), regolarmente citati o convocati, omettono senza un legittimo impedimento di comparire nel luogo, giorno e ora stabiliti, il giudice può ordinarne l'accompagnamento coattivo e può altresì condannarli, con ordinanza, al pagamento di una somma da € 51 a € 516 a favore della cassa delle ammende nonché alle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa (att. 47). 2. Si applicano le disposizioni dell'art. 132 (376). (1) A norma dell'art. 6 della L. 20 dicembre 2012, n. 237, nel caso in cui, in esecuzione della richiesta di cooperazione della Corte penale internazionale, sia prevista per il compimento di un atto la citazione di un imputato o di altra delle persone indicate in questo articolo, che si trovino all'estero, gli stessi, una volta presenti nel territorio dello Stato, non possono essere sottoposti a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, né assoggettati ad altre misure restrittive della libertà personale, per fatti anteriori alla notifica della citazione. Tale immunità cessa qualora la persona in questione, avendone avuto la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato decorsi cinque giorni dal momento in cui la sua presenza non é più richiesta dall'autorità giudiziaria italiana ovvero, avendolo lasciato, vi abbia fatto volontariamente ritorno. (2) Le parole: «la persona sottoposta all'esame del perito diversa dall'imputato,» sono state inserite dall'art. 26 della L. 30 giugno 2009, n. 85.

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Titolo III. DOCUMENTAZIONE DEGLI ATTI (1). (1) Con riguardo ai rapporti con gli uffici giudiziari e gli organi giurisdizionali da parte dei cittadini di lingua tedesca o ladina si veda il Capo IV del D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, come modificato con D.L.vo 29 maggio 2001, n. 283.

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134. Modalità di documentazione. 1. Alla documentazione degli atti si procede mediante verbale. 2. Il verbale è redatto, in forma integrale (1) o riassuntiva (2), con la stenotipia o altro strumento meccanico (att. 50) ovvero, in caso di impossibilità di ricorso a tali mezzi, con la scrittura manuale. 3. Quando il verbale è redatto in forma riassuntiva è effettuata anche la riproduzione fonografica (139). 4. Quando le modalità di documentazione indicate nei commi 2 e 3 sono ritenute insufficienti, può essere aggiunta la riproduzione audiovisiva se assolutamente indispensabile (att. 48, 49). La riproduzione audiovisiva delle dichiarazioni della persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità è in ogni caso consentita, anche al di fuori delle ipotesi di assoluta indispensabilità (3). (1) Si vedano gli artt. 268, 357, 373, 480 e 510 di questo codice. (2) Si vedano gli artt. 127, 140, 3573, 3733, 420, 5103 e 666 di questo codice. (3) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. c), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212.

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135. Redazione del verbale. 1. Il verbale è redatto dall'ausiliario (126; reg. 1) che assiste il giudice. 2. Quando il verbale è redatto con la stenotipia o altro strumento meccanico, il giudice autorizza l'ausiliario che non possiede le necessarie competenze a farsi assistere da personale tecnico, anche esterno all'amministrazione dello Stato (att. 50, 51). Vai alla dottrina     ↓

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136. Contenuto del verbale. 1. Il verbale contiene la menzione del luogo, dell'anno, del mese, del giorno e, quando occorre, dell'ora in cui è cominciato e chiuso, le generalità delle persone intervenute, l'indicazione delle cause, se conosciute, della mancata presenza di coloro che sarebbero dovuti intervenire, la descrizione di quanto l'ausiliario ha fatto o ha constatato o di quanto è avvenuto in sua presenza nonché le dichiarazioni ricevute da lui o da altro pubblico ufficiale che egli assiste. 2. Per ogni dichiarazione è indicato se è stata resa spontaneamente o previa domanda e, in tale caso, è riprodotta anche la domanda; se la dichiarazione è stata dettata dal dichiarante, o se questi si è avvalso dell'autorizzazione a consultare note scritte, ne è fatta menzione. Vai alla dottrina     ↓

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137. Sottoscrizione del verbale. 1. Salvo quanto previsto dall'art. 483 comma 1, il verbale, previa lettura, è sottoscritto alla fine di ogni foglio dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, dal giudice e dalle persone intervenute, anche quando le operazioni non sono esaurite e vengono rinviate ad altro momento (att. 502). 2. Se alcuno degli intervenuti non vuole o non è in grado di sottoscrivere, ne è fatta menzione con l'indicazione del motivo. Vai alla dottrina     ↓

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138. Trascrizione del verbale redatto con il mezzo della stenotipia. 1. Salvo quanto previsto dall'art. 483 comma 2, i nastri impressi con i caratteri della stenotipia (134, 135) sono trascritti in caratteri comuni non oltre il giorno successivo a quello in cui sono stati formati. Essi sono uniti agli atti del processo, insieme con la trascrizione. 2. Se la persona che ha impresso i nastri è impedita, il giudice dispone che la trascrizione sia affidata a persona idonea anche estranea all'amministrazione dello Stato (att. 51). Vai alla dottrina     ↓

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139. Riproduzione fonografica o audiovisiva. 1. La riproduzione fonografica o audiovisiva (134) è effettuata da personale tecnico, anche estraneo all'amministrazione dello Stato, sotto la direzione dell'ausiliario che assiste il giudice (126). 2. Quando si effettua la riproduzione fonografica, nel verbale è indicato il momento di inizio e di cessazione delle operazioni di riproduzione (136). 3. Per la parte in cui la riproduzione fonografica, per qualsiasi motivo, non ha avuto effetto o non è chiaramente intelligibile, fa prova il verbale redatto in forma riassuntiva. 4. La trascrizione della riproduzione è effettuata da personale tecnico giudiziario. Il giudice può disporre che essa sia affidata a persona idonea estranea all'amministrazione dello Stato (att. 51). 5. Quando le parti vi consentono, il giudice può disporre che non sia effettuata la trascrizione. 6. Le registrazioni fonografiche o audiovisive e le trascrizioni, se effettuate, sono unite agli atti del procedimento (att. 49). Vai alla dottrina     ↓

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140. Modalità di documentazione in casi particolari. 1. Il giudice dispone che si effettui soltanto la redazione contestuale del verbale in forma riassuntiva quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza ovvero quando si verifica una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici. 2. Quando è redatto soltanto il verbale in forma riassuntiva (1), il giudice vigila affinché sia riprodotta nell'originaria genuina espressione la parte essenziale delle dichiarazioni, con la descrizione delle circostanze nelle quali sono rese se queste possono servire a valutarne la credibilità. (1) Si vedano gli artt. 127, 141 bis, 3573, 3733, 420, 5103 e 666 di questo codice.

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141. Dichiarazioni orali delle parti. 1. Quando la legge non impone la forma scritta, le parti possono fare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale (122), richieste o dichiarazioni orali attinenti al procedimento. In tal caso l'ausiliario (126) che assiste il giudice redige il verbale e cura la registrazione delle dichiarazioni a norma degli articoli precedenti. Al verbale è unita, se ne è il caso, la procura speciale. 2. Alla parte che lo richiede è rilasciata, a sue spese, una certificazione ovvero una copia delle dichiarazioni rese (116). Vai alla dottrina     ↓

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141 bis. (1) Modalità di documentazione dell'interrogatorio di persona in stato di detenzione. 1. Ogni interrogatorio di persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione, e che non si svolga in udienza, deve essere documentato integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia, ovvero della consulenza tecnica. Dell'interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti. (1) Articolo inserito dall'art. 2 della L. 8 agosto 1995, n. 332.

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142. Nullità dei verbali. 1. Salve particolari disposizioni di legge, il verbale è nullo (177 ss.) se vi è incertezza assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo IV. TRADUZIONE DEGLI ATTI (1). (1) Con riguardo ai rapporti con gli uffici giudiziari e gli organi giurisdizionali da parte di cittadini di lingua tedesca o ladina si veda il Capo IV del D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, come modificato con D.L.vo 29 maggio 2001, n. 283.

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143. (1) Diritto all'interprete e alla traduzione di atti fondamentali. 1. L'imputato (60, 61) che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente, indipendentemente dall'esito del procedimento, da un interprete al fine di poter comprendere l'accusa contro di lui formulata (att. 941 bis) e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa (109) (2) (3). Ha altresì diritto all'assistenza gratuita di un interprete per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio, ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento. 2. Negli stessi casi l'autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l'esercizio dei diritti e della facoltà della difesa, dell'informazione di garanzia, dell'informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che dispongono l'udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna. 3. La traduzione gratuita di altri atti o anche solo di parte di essi, ritenuti essenziali per consentire all'imputato di conoscere le accuse a suo carico, può essere disposta dal giudice, anche su richiesta di parte, con atto motivato, impugnabile unitamente alla sentenza. 4. L'accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è compiuto dall'autorità giudiziaria. La conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano. 5. L'interprete e il traduttore sono nominati anche quando il giudice, il pubblico ministero o l'ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare. 6. La nomina del traduttore per gli adempimenti di cui ai commi 2 e 3 è regolata dagli articoli 144 e seguenti del presente titolo. La prestazione dell'ufficio di interprete e di traduttore è obbligatoria (366, 373 c.p.; 133; att. 52) (4). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. b), del D.L.vo 4 marzo 2014, n. 32. (2) Il diritto all'interprete ricomprende il diritto alla traduzione del decreto di citazione a giudizio in tutti i suoi elementi costitutivi (Corte cost. 19 gennaio 1993, n. 10). (3) Si veda l'art. 6, n. 3, lett. a) ed e) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con L. 4 agosto 1955, n. 848. (4) A norma della L. 8 luglio 1980, n. 319, all'interprete e al traduttore per l'attività svolta spetta un compenso, la cui misura è stata aggiornata dal D.P.R. 27 luglio 1988, n. 352.

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143 bis. (1) Altri casi di nomina dell'interprete. 1. L'autorità procedente nomina un interprete quando occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intellegibile ovvero quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. La dichiarazione può anche essere fatta per iscritto e in tale caso è inserita nel verbale con la traduzione eseguita dall'interprete. 2. Oltre che nei casi di cui al comma 1 e di cui all'articolo 119, l'autorità procedente nomina, anche d'ufficio, un interprete quando occorre procedere all'audizione della persona offesa che non conosce la lingua italiana nonché nei casi in cui la stessa intenda partecipare all'udienza e abbia fatto richiesta di essere assistita dall'interprete. 3. L'assistenza dell'interprete può essere assicurata, ove possibile, anche mediante l'utilizzo delle tecnologie di comunicazione a distanza, semprechè la presenza fisica dell'interprete non sia necessaria per consentire alla persona offesa di esercitare correttamente i suoi diritti o di comprendere compiutamente lo svolgimento del procedimento. 4. La persona offesa che non conosce la lingua italiana ha diritto alla traduzione gratuita di atti, o parti degli stessi, che contengono informazioni utili all'esercizio dei suoi diritti. La traduzione può essere disposta sia in forma orale che per riassunto se l'autorità procedente ritiene che non ne derivi pregiudizio ai diritti della persona offesa. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1, comma 1, lett. d), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212.

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144. Incapacità e incompatibilità dell'interprete. 1. Non può prestare ufficio di interprete, a pena di nullità (177 ss.): a) il minorenne, l'interdetto (414 c.c.; 32 c.p.), l'inabilitato (415 c.c.) e chi è affetto da infermità di mente; b) chi è interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici (28, 29, 31 c.p.) ovvero è interdetto o sospeso dall'esercizio di una professione o di un'arte (30, 31, 35 c.p.); c) chi è sottoposto a misure di sicurezza personali (215 ss. c.p.) o a misure di prevenzione (1); d) chi non può essere assunto come testimone (197) o ha facoltà di astenersi dal testimoniare (199) o chi è chiamato a prestare ufficio di testimone o di perito (221) ovvero è stato nominato consulente tecnico (225) nello stesso procedimento o in un procedimento connesso (12). Nondimeno, nel caso previsto dall'art. 119, la qualità di interprete può essere assunta da un prossimo congiunto (3074 c.p.) della persona sorda, muta o sordomuta. (1) In argomento la normativa fondamentale è contenuta nel D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159.

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145. Ricusazione e astensione dell'interprete. 1. L'interprete può essere ricusato, per i motivi indicati nell'art. 144, dalle parti private (60, 61, 74, 83, 89) e, in rapporto agli atti compiuti o disposti dal giudice, anche dal pubblico ministero. 2. Quando esiste un motivo di ricusazione, anche se non proposto, ovvero se vi sono gravi ragioni di convenienza per astenersi, l'interprete ha obbligo di dichiararlo. 3. La dichiarazione di ricusazione o astensione può essere presentata fino a che non siano esaurite le formalità di conferimento dell'incarico (146) e, quando si tratti di motivi sopravvenuti ovvero conosciuti successivamente, prima che l'interprete abbia espletato il proprio incarico. 4. Sulla dichiarazione di ricusazione o di astensione decide il giudice con ordinanza (127). Vai alla dottrina     ↓

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146. Conferimento dell'incarico. 1. L'autorità procedente accerta l'identità dell'interprete e gli chiede se versi in una delle situazioni previste dagli artt. 144 e 145. 2. Lo ammonisce poi sull'obbligo di adempiere bene e fedelmente l'incarico affidatogli, senz'altro scopo che quello di far conoscere la verità, e di mantenere il segreto su tutti gli atti che si faranno per suo mezzo o in sua presenza (329). Quindi lo invita a prestare l'ufficio. 2 bis. Quando l'interprete o il traduttore risiede nella circoscrizione di altro tribunale, l'autorità procedente, ove non ritenga di procedere personalmente, richiede al giudice per le indagini preliminari del luogo il compimento delle attività di cui ai commi precedenti (1). (1) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b.bis), del D.L.vo 4 marzo 2016, n. 32, come inserita dall'art. 1 del D.L.vo 23 giugno 2016, n. 129.

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147. Termine per le traduzioni scritte. Sostituzione dell'interprete. 1. Per la traduzione di scritture che richiedono un lavoro di lunga durata, l'autorità procedente fissa all'interprete un termine che può essere prorogato per giusta causa una sola volta. L'interprete può essere sostituito se non presenta entro il termine la traduzione scritta. 2. L'interprete sostituito, dopo essere stato citato a comparire per discolparsi, può essere condannato dal giudice al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da € 51 a € 516 (att. 53). Vai alla dottrina     ↓

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Titolo V. NOTIFICAZIONI (1). (1) Con riguardo ai rapporti con gli uffici giudiziari e gli organi giurisdizionali da parte di cittadini di lingua tedesca o ladina si veda il Capo IV del D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, come modificato con D.L.vo 29 maggio 2001, n. 283.

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148. Organi e forme delle notificazioni. 1. Le notificazioni degli atti, salvo che la legge disponga altrimenti, sono eseguite dall'ufficiale giudiziario o da chi ne esercita le funzioni (att. 54) (1). 2. Nei procedimenti con detenuti ed in quelli davanti al tribunale del riesame, il giudice può disporre che, in caso di urgenza, le notificazioni siano eseguite dalla Polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti, con l'osservanza delle norme del presente titolo (2). 2 bis. L'autorità giudiziaria può disporre che le notificazioni o gli avvisi ai difensori siano eseguiti con mezzi tecnici idonei. L'ufficio che invia l'atto attesta in calce ad esso di avere trasmesso il testo originale (3)(4). 2 ter. Nei procedimenti avanti al tribunale per il riesame il giudice può disporre che, in caso di urgenza, le notificazioni siano eseguite dalle sezioni della polizia giudiziaria presso le procure della Repubblica con le medesime modalità di cui al comma 2 (5). 3. L'atto è notificato per intero, salvo che la legge disponga altrimenti (171, lett. 6 a) ( ), di regola mediante consegna di copia al destinatario oppure, se ciò non è possibile, alle persone indicate nel presente titolo. Quando la notifica non può essere eseguita in mani proprie del destinatario, l'ufficiale giudiziario o la polizia giudiziaria consegnano la copia dell'atto da notificare, fatta eccezione per il caso di notificazione al difensore o al domiciliatario, dopo averla inserita in busta che provvedono a sigillare trascrivendovi il numero cronologico della notificazione e dandone atto nella relazione in calce all'originale e alla copia dell'atto (3). 4. La consegna di copia dell'atto all'interessato da parte della cancelleria ha valore di notificazione. Il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale dell'atto la eseguita consegna e la data in cui questa è avvenuta. 5. La lettura dei provvedimenti alle persone presenti e gli avvisi che sono dati dal giudice verbalmente agli interessati in loro presenza sostituiscono le notificazioni, purché ne sia fatta menzione nel verbale (7) (8). 5 bis. Le comunicazioni, gli avvisi ed ogni altro biglietto o invito consegnati non in busta chiusa a persona diversa dal destinatario recano le indicazioni strettamente necessarie (9). (1) Per la disciplina dell'attività degli ufficiali giudiziari si vedano il D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, recante l'ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari, come sostanzialmente modificato dalla L. 12 luglio 1975, n. 322 e successive integrazioni e modifiche. (2) Questo comma è stato da ultimo così sostituito dall'art. 17, comma 1, lett. a), del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 174, comma 13, lett. a), del D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2004. L'art. 174 del D.L.vo n. 196/2003 è stato poi abrogato dall'art. 27, comma 1, lett. c), n. 3, del D.L.vo 10 agosto 2018, n . 101. Si riporta il testo del comma previgente: «3. L'atto è notificato per intero, salvo che la legge disponga altrimenti». (4) Si veda l'art. 16, comma 4, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221 di cui si riporta il testo: «Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura

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della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2 bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria.». A norma dell'art. 16, comma 9, lett. c bis), del medesimo decreto, così come modificato dall'art. 1, comma 19, n. 1), punto a), n. 1), della L. 24 dicembre 2012, n. 228, tali disposizioni acquistano efficacia a decorrere dal 15 dicembre 2014. (5) Questo comma, aggiunto dall'art. 10 bis del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438, è stato poi abrogato dall'art. 17, comma 1, lett. b), del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155. (6) Si vedano gli artt. 32, 48, 149, 397, 520 e 548 di questo codice. (7) Comma così sostituito dall'art. 1 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (8) Si vedano gli artt. 424, 436, 477 e 545 di questo codice. (9) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 174, comma 13, lett. b), del D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2004. L'art. 174 del D.L.vo n. 196/2003 è stato poi abrogato dall'art. 27, comma 1, lett. c), n. 3, del D.L.vo 10 agosto 2018, n . 101.

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149. (1) Notificazioni urgenti a mezzo del telefono e del telegrafo. 1. Nei casi di urgenza, il giudice può disporre, anche su richiesta di parte, che le persone diverse dall'imputato siano avvisate o convocate a mezzo del telefono a cura della cancelleria [o della polizia giudiziaria] (2) (att. 64). 2. Sull'originale dell'avviso o della convocazione sono annotati il numero telefonico chiamato, il nome, le funzioni o le mansioni svolte dalla persona che riceve la comunicazione, il suo rapporto con il destinatario, il giorno e l'ora della telefonata (att. 552). 3. Alla comunicazione si procede chiamando il numero telefonico corrispondente ai luoghi indicati nell'art. 157 commi 1 e 2. Essa non ha effetto se non è ricevuta dal destinatario ovvero da persona che conviva anche temporaneamente col medesimo. 4. La comunicazione telefonica ha valore di notificazione con effetto dal momento in cui è avvenuta, sempre che della stessa sia data immediata conferma al destinatario mediante telegramma (att. 551). 5. Quando non è possibile procedere nel modo indicato nei commi precedenti, la notificazione è eseguita, per estratto, mediante telegramma (att. 551). (1) Si veda l'art. 16, comma 4, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221 di cui si riporta il testo: «Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2 bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria.». A norma dell'art. 16, comma 9, lett. c bis), del medesimo decreto, così come modificato dall'art. 1, comma 19, n. 1), punto a), n. 1), della L. 24 dicembre 2012, n. 228, tali disposizioni acquistano efficacia a decorrere dal 15 dicembre 2014. (2) Le parole poste fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 9, comma 2, del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438.

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150. (1) Forme particolari di notificazione disposte dal giudice. 1. Quando lo consigliano circostanze particolari, il giudice può prescrivere, anche di ufficio, con decreto motivato in calce all'atto, che la notificazione a persona diversa dall'imputato sia eseguita mediante l'impiego di mezzi tecnici che garantiscano la conoscenza dell'atto (att. 64). 2. Nel decreto sono indicate le modalità necessarie per portare l'atto a conoscenza del destinatario (171, lett. h). (1) Si veda l'art. 16, comma 4, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221 di cui si riporta il testo: «Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2 bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria.». A norma dell'art. 16, comma 9, lett. c bis), del medesimo decreto, così come modificato dall'art. 1, comma 19, n. 1), punto a), n. 1), della L. 24 dicembre 2012, n. 228, tali disposizioni acquistano efficacia a decorrere dal 15 dicembre 2014.

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151. (1) Notificazioni richieste dal pubblico ministero. 1. Le notificazioni di atti del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (358 ss., 551 ss.) sono eseguite dall'ufficiale giudiziario (3692), ovvero dalla polizia giudiziaria nei soli casi di atti di indagine o provvedimenti che la stessa polizia giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire (2). 2. La consegna di copia dell'atto all'interessato da parte della segreteria ha valore di notificazione. Il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale dell'atto la eseguita consegna e la data in cui questa è avvenuta. 3. La lettura dei provvedimenti alle persone presenti e gli avvisi che sono dati dal pubblico ministero verbalmente agli interessati in loro presenza sostituiscono le notificazioni, purché ne sia fatta menzione nel verbale (3). 4. (Omissis) (4). (1) Si veda l'art. 16, comma 4, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221 di cui si riporta il testo: «Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2 bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria.». A norma dell'art. 16, comma 9, lett. c bis), del medesimo decreto, così come modificato dall'art. 1, comma 19, n. 1), punto a), n. 1), della L. 24 dicembre 2012, n. 228, tali disposizioni acquistano efficacia a decorrere dal 15 dicembre 2014. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 17, comma 2, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (4) Questo comma è stato soppresso dall'art. 2 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

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152. Notificazioni richieste dalle parti private. 1. Salvo che la legge disponga altrimenti, le notificazioni richieste dalle parti private possono essere sostituite dall'invio di copia dell'atto effettuata dal difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento (att. 56). Vai alla dottrina     ↓

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153. Notificazioni e comunicazioni al pubblico ministero. 1. Le notificazioni al pubblico ministero (50 ss.) sono eseguite, anche direttamente dalle parti (60, 61, 74, 83, 89) o dai difensori (96 ss.), mediante consegna di copia dell'atto nella segreteria. Il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale e sulla copia dell'atto le generalità di chi ha eseguito la consegna e la data in cui questa è avvenuta. 2. Le comunicazioni di atti e provvedimenti del giudice al pubblico ministero sono eseguite a cura della cancelleria nello stesso modo, salvo che il pubblico ministero prenda visione dell'atto sottoscrivendolo. Il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale dell'atto la eseguita consegna e la data in cui questa è avvenuta (att. 64). Vai alla dottrina     ↓

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154. Notificazioni alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria. 1. Le notificazioni alla persona offesa dal reato (90 ss.) sono eseguite a norma dell'art. 157 commi 1, 2, 3, 4 e 8. Se sono ignoti i luoghi ivi indicati, la notificazione è eseguita mediante deposito dell'atto nella cancelleria. Qualora risulti dagli atti notizia precisa del luogo di residenza o di dimora all'estero, la persona offesa è invitata mediante raccomandata con avviso di ricevimento a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato. Se nel termine di venti giorni dalla ricezione della raccomandata non viene effettuata la dichiarazione o l'elezione di domicilio ovvero se la stessa è insufficiente o risulta inidonea, la notificazione è eseguita mediante deposito dell'atto nella cancelleria. 2. La notificazione della prima citazione al responsabile civile (83 ss.) e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89) è eseguita con le forme stabilite per la prima notificazione all'imputato non detenuto (157). 3. Se si tratta di pubbliche amministrazioni, di persone giuridiche o di enti privi di personalità giuridica, le notificazioni sono eseguite nelle forme stabilite per il processo civile (144, 145 c.p.c.). 4. Le notificazioni alla parte civile (74 ss.), al responsabile civile e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria costituiti in giudizio sono eseguite presso i difensori (100). Il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, se non sono costituiti, devono dichiarare o eleggere il proprio domicilio nel luogo in cui si procede con atto ricevuto dalla cancelleria del giudice competente. In mancanza di tale dichiarazione o elezione o se la stessa è insufficiente o inidonea, le notificazioni sono eseguite mediante deposito nella cancelleria. Vai alla dottrina     ↓

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155. Notificazioni per pubblici annunzi alle persone offese. 1. Quando per il numero dei destinatari o per l'impossibilità di identificarne alcuni, la notificazione nelle forme ordinarie alle persone offese (90 ss.) risulti difficile, l'autorità giudiziaria può disporre, con decreto in calce all'atto da notificare, che la notificazione sia eseguita mediante pubblici annunzi. Nel decreto sono designati, quando occorre, i destinatari nei cui confronti la notificazione deve essere eseguita nelle forme ordinarie e sono indicati i modi che appaiono opportuni per portare l'atto a conoscenza degli altri interessati. 2. In ogni caso, copia dell'atto è depositata nella casa comunale del luogo in cui si trova l'autorità procedente e un estratto è inserito nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. 3. La notificazione si ha per avvenuta quando l'ufficiale giudiziario deposita una copia dell'atto, con la relazione e i documenti giustificativi dell'attività svolta, nella cancelleria o segreteria dell'autorità procedente. Vai alla dottrina     ↓

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156. Notificazioni all'imputato detenuto. 1. Le notificazioni all'imputato detenuto sono eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona. 2. In caso di rifiuto della ricezione se ne fa menzione nella relazione di notificazione (168) e la copia rifiutata è consegnata al direttore dell'istituto o a chi ne fa le veci. Nello stesso modo si provvede quando non è possibile consegnare la copia direttamente all'imputato, perché legittimamente assente. In tal caso, della avvenuta notificazione il direttore dell'istituto informa immediatamente l'interessato con il mezzo più celere (att. 57, 58). 3. Le notificazioni all'imputato detenuto in luogo diverso dagli istituti penitenziari sono eseguite a norma dell'art. 157 (284, 286). 4. Le disposizioni che precedono si applicano anche quando dagli atti risulta che l'imputato è detenuto per causa diversa dal procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione o è internato in un istituto penitenziario. 5. In nessun caso le notificazioni all'imputato detenuto o internato possono essere eseguite con le forme dell'art. 159. Vai alla dottrina     ↓

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157. Prima notificazione all'imputato non detenuto. 1. Salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162, la prima notificazione all'imputato (60, 61) non detenuto è eseguita mediante consegna di copia alla persona. Se non è possibile consegnare personalmente la copia, la notificazione è eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui l'imputato esercita abitualmente l'attività lavorativa, mediante consegna a una persona che conviva anche temporaneamente o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. 2. Qualora i luoghi indicati nel comma 1 non siano conosciuti, la notificazione è eseguita nel luogo dove l'imputato ha temporanea dimora o recapito, mediante consegna a una delle predette persone. 3. Il portiere o chi ne fa le veci sottoscrive l'originale dell'atto notificato (171, lett. g) e l'ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata (reg. 4) (1). 4. La copia non può essere consegnata a persona minore degli anni quattordici o in stato di manifesta incapacità di intendere o di volere. 5. L'autorità giudiziaria dispone la rinnovazione della notificazione quando la copia è stata consegnata alla persona offesa dal reato (90 ss.) e risulta o appare probabile che l'imputato non abbia avuto effettiva conoscenza dell'atto notificato. 6. La consegna alla persona convivente, al portiere o a chi ne fa le veci è effettuata in plico chiuso e la relazione di notificazione (168) è effettuata nei modi previsti dall'articolo 148, comma 3 (att. 80) (2). 7. Se le persone indicate nel comma 1 mancano o non sono idonee o si rifiutano di ricevere la copia, si procede nuovamente alla ricerca dell'imputato, tornando nei luoghi indicati nei commi 1 e 2 (att. 59). 8. Se neppure in tal modo è possibile eseguire la notificazione, l'atto è depositato nella casa del comune dove l'imputato ha l'abitazione, o, in mancanza di questa, del comune dove egli esercita abitualmente la sua attività lavorativa. Avviso del deposito stesso è affisso alla porta della casa di abitazione dell'imputato ovvero alla porta del luogo dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa. L'ufficiale giudiziario dà inoltre comunicazione all'imputato dell'avvenuto deposito a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento (171, lett. f) (1). Gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata (reg. 4). 8 bis. Le notificazioni successive sono eseguite, in caso di nomina di difensore di fiducia ai sensi dell'articolo 96, mediante consegna ai difensori. Il difensore può dichiarare immediatamente all'autorità che procede di non accettare la notificazione. Per le modalità della notificazione si applicano anche le disposizioni previste dall'articolo 148, comma 2 bis (3). (1) Si veda la L. 20 novembre 1982, n. 890, recante norme in tema di notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse alle notificazioni. Si veda, altresì, l'art. 7 del D.L.vo 29 marzo 1993, n. 119, sulle notificazioni alla residenza della persona ammessa allo speciale programma di protezione. (2) Le parole: «è scritta all'esterno del plico stesso» sono state così sostituite dalle attuali dall'art. 174, comma 14 del D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2004. L'art. 174 del D.L.vo n. 196/2003 è stato poi abrogato dall'art. 27, comma 1, lett. c), n. 3, del D.L.vo 10 agosto 2018, n . 101.

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(3) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, del D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito, con modificazioni, nella L. 22 aprile 2005, n. 60.

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158. Prima notificazione all'imputato in servizio militare. 1. La prima notificazione all'imputato (60, 61) militare in servizio attivo il cui stato risulti dagli atti è eseguita nel luogo in cui egli risiede per ragioni di servizio, mediante consegna alla persona. Se la consegna non è possibile, l'atto è notificato presso l'ufficio del comandante il quale informa immediatamente l'interessato della avvenuta notificazione con il mezzo più celere (170; att. 60). Vai alla dottrina     ↓

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159. Notificazioni all'imputato in caso di irreperibilità. 1. Se non è possibile eseguire le notificazioni nei modi previsti dall'art. 157, l'autorità giudiziaria (1) dispone nuove ricerche dell'imputato (60, 61), particolarmente nel luogo di nascita, dell'ultima residenza anagrafica, dell'ultima dimora, in quello dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa e presso l'amministrazione carceraria centrale. Qualora le ricerche non diano esito positivo, l'autorità giudiziaria (1) emette decreto di irreperibilità (160) con il quale, dopo avere designato un difensore all'imputato che ne sia privo, ordina che la notificazione sia eseguita mediante consegna di copia al difensore (151, 4604; att. 61). 2. Le notificazioni in tal modo eseguite sono valide a ogni effetto (4851). L'irreperibile è rappresentato dal difensore. (1) L'espressione originaria «il giudice» è stata così sostituita dall'art. 3 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

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160. Efficacia del decreto di irreperibilità.(1) 1. Il decreto di irreperibilità (159) emesso dal giudice o dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari cessa di avere efficacia con la pronuncia del provvedimento che definisce l'udienza preliminare (424) ovvero, quando questa manchi, con la chiusura delle indagini preliminari. 2. Il decreto di irreperibilità emesso dal giudice per la notificazione degli atti introduttivi dell'udienza preliminare nonché il decreto di irreperibilità emesso dal giudice o dal pubblico ministero per la notificazione del provvedimento che dispone il giudizio cessano di avere efficacia con la pronuncia della sentenza di primo grado. 3. Il decreto di irreperibilità emesso dal giudice di secondo grado e da quello di rinvio cessa di avere efficacia con la pronuncia della sentenza. 4. Ogni decreto di irreperibilità deve essere preceduto da nuove ricerche nei luoghi indicati nell'art. 159. (1) Articolo così sostituito dall'art. 4 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

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161. Domicilio dichiarato, eletto o determinato per le notificazioni. (1) 1.

Il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con l'intervento della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato non detenuto né internato, lo invitano a dichiarare uno dei luoghi indicati nell'art. 157 comma 1 ovvero a eleggere domicilio per le notificazioni (3493), avvertendolo che, nella sua qualità di persona sottoposta alle indagini o di imputato, ha l'obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore (4851). Della dichiarazione o della elezione di domicilio, ovvero del rifiuto di compierla, è fatta menzione nel verbale (134 ss., 171, lett. e). 2. Fuori del caso previsto dal comma 1, l'invito a dichiarare o eleggere domicilio è formulato con l'informazione di garanzia (369) o con il primo atto notificato per disposizione dell'autorità giudiziaria. L'imputato è avvertito che deve comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che in caso di mancanza, di insufficienza o di inidoneità della dichiarazione o della elezione, le successive notificazioni verranno eseguite nel luogo in cui l'atto è stato notificato (171, lett. e). 3. L'imputato detenuto che deve essere scarcerato per causa diversa dal proscioglimento definitivo e l'imputato che deve essere dimesso da un istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza, all'atto della scarcerazione, o della dimissione ha l'obbligo di fare la dichiarazione o l'elezione di domicilio con atto ricevuto a verbale dal direttore dell'istituto. Questi lo avverte a norma del comma 1, iscrive la dichiarazione o elezione nell'apposito registro e trasmette immediatamente il verbale all'autorità che ha disposto la scarcerazione o la dimissione (171, lett. e). 4. Se la notificazione nel domicilio determinato a norma del comma 2 diviene impossibile, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore (4851). Nello stesso modo si procede quando, nei casi previsti dai commi 1 e 3, la dichiarazione o l'elezione di domicilio mancano o sono insufficienti o inidonee. Tuttavia, quando risulta che, per caso fortuito o forza maggiore, l'imputato non è stato nella condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, si applicano le disposizioni degli artt. 157 e 159 (2). (1) Articolo così sostituito dall'art. 5 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (2) Modalità particolari sono determinate dall'art. 13 del D.L.vo 29 marzo 1993, n. 119 per i sottoposti al programma speciale di protezione.

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162. Comunicazione del domicilio dichiarato o del domicilio eletto. 1. Il domicilio dichiarato, il domicilio eletto e ogni loro mutamento sono comunicati dall'imputato all'autorità che procede, con dichiarazione raccolta a verbale (134 ss.) ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da persona autorizzata o dal difensore (att. 39, 62). 2. La dichiarazione può essere fatta anche nella cancelleria del tribunale (1) del luogo nel quale l'imputato si trova. 3. Nel caso previsto dal comma 2 il verbale è trasmesso immediatamente all'autorità giudiziaria che procede. Analogamente si provvede in tutti i casi in cui la comunicazione è ricevuta da una autorità giudiziaria che, nel frattempo, abbia trasmesso gli atti ad altra autorità. 4. Finché l'autorità giudiziaria che procede non ha ricevuto il verbale o la comunicazione, sono valide le notificazioni disposte nel domicilio precedentemente dichiarato o eletto. 4 bis. L'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio non ha effetto se l'autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l'assenso del difensore domiciliatario (2). (1) Le parole: «del pretore» sono state sostituite dalle attuali: «del tribunale» dall'art. 178 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 24, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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163. Formalità per le notificazioni nel domicilio dichiarato o eletto. 1. Per le notificazioni eseguite nel domicilio dichiarato o eletto a norma degli artt. 161 e 162 si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dell'art. 157. Vai alla dottrina     ↓

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164. Durata del domicilio dichiarato o eletto. 1. La determinazione del domicilio dichiarato o eletto (161) è valida per ogni stato e grado del procedimento, salvo quanto è previsto dagli artt. 156 e 613 comma 2. Vai alla dottrina     ↓

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165. Notificazioni all'imputato latitante o evaso. 1. Le notificazioni all'imputato latitante o evaso (296; 385 c.p.) sono eseguite mediante consegna di copia al difensore (170). 2. Se l'imputato è privo di difensore, l'autorità giudiziaria designa un difensore di ufficio (97). 3. L'imputato latitante o evaso è rappresentato a ogni effetto dal difensore. Vai alla dottrina     ↓

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166. Notificazioni all'imputato interdetto o infermo di mente. 1. Se l'imputato è interdetto (414 c.c.; 32 c.p.), le notificazioni si eseguono a norma degli articoli precedenti e presso il tutore; se l'imputato si trova nelle condizioni previste dall'art. 71 comma 1, le notificazioni si eseguono a norma degli articoli precedenti e presso il curatore speciale. Vai alla dottrina     ↓

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167. Notificazioni ad altri soggetti. 1. Le notificazioni a soggetti diversi da quelli indicati negli articoli precedenti si eseguono a norma dell'art. 157 commi 1, 2, 3, 4 e 8, salvi i casi di urgenza previsti dall'art. 149 (att. 65). Vai alla dottrina     ↓

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168. Relazione di notificazione. 1. Salvo quanto previsto dall'art. 157 comma 6, l'ufficiale giudiziario che procede alla notificazione scrive, in calce all'originale e alla copia notificata, la relazione in cui indica l'autorità o la parte privata richiedente, le ricerche effettuate, le generalità della persona alla quale è stata consegnata la copia, i suoi rapporti con il destinatario, le funzioni o le mansioni da essa svolte, il luogo e la data della consegna della copia, apponendo la propria sottoscrizione (171, lett. c). 2. Quando vi è contraddizione tra la relazione scritta sulla copia consegnata e quella contenuta nell'originale, valgono per ciascun interessato le attestazioni contenute nella copia notificata. 3. La notificazione produce effetto per ciascun interessato dal giorno della sua esecuzione. Vai alla dottrina     ↓

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169. Notificazioni all'imputato all'estero. 1. Se risulta dagli atti notizia precisa del luogo di residenza o di dimora all'estero della persona nei cui confronti si deve procedere, il giudice o il pubblico ministero le invia raccomandata con avviso di ricevimento, contenente l'indicazione della autorità che procede, il titolo del reato e la data e il luogo in cui è stato commesso nonché l'invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato. Se nel termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata non viene effettuata la dichiarazione o l'elezione di domicilio ovvero se la stessa è insufficiente o risulta inidonea, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore (4851). 2. Nello stesso modo si provvede se la persona risulta essersi trasferita all'estero successivamente al decreto di irreperibilità emesso a norma dell'art. 159 (1). 3. L'invito previsto dal comma 1 è redatto nella lingua dell'imputato straniero quando dagli atti non risulta che egli conosca la lingua italiana (att. 63) (2). 4. Quando dagli atti risulta che la persona nei cui confronti si deve procedere risiede o dimora all'estero, ma non si hanno notizie sufficienti per provvedere a norma del comma 1, il giudice o il pubblico ministero, prima di pronunciare decreto di irreperibilità (151, 159), dispone le ricerche anche fuori del territorio dello Stato nei limiti consentiti dalle convenzioni internazionali. 5. Le disposizioni precedenti si applicano anche nel caso in cui dagli atti risulti che la persona è detenuta all'estero. (1) Comma così modificato dall'art. 6 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (2) Si veda l'art. 6, n. 3, lett. a) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con L. 4 agosto 1955, n. 848.

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170. Notificazioni col mezzo della posta. 1. Le notificazioni possono essere eseguite anche col mezzo degli uffici postali, nei modi stabiliti dalle relative norme speciali (1). 2. È valida la notificazione anche se eseguita col mezzo di un ufficio postale diverso da quello a cui inizialmente fu diretto il piego. 3. Qualora l'ufficio postale restituisca il piego per irreperibilità del destinatario, l'ufficiale giudiziario provvede alle notificazioni nei modi ordinari. (1) Si veda la L. 20 novembre 1982, n. 890, recante norme in tema di notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse alle notificazioni.

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171. Nullità delle notificazioni. 1. La notificazione è nulla (177 ss.): a) se l'atto è notificato in modo incompleto, fuori dei casi nei quali la legge consente la notificazione per estratto (1483); b) se vi è incertezza assoluta sull'autorità o sulla parte privata richiedente ovvero sul destinatario; c) se nella relazione della copia notificata manca la sottoscrizione di chi l'ha eseguita (168); d) se sono violate le disposizioni circa la persona a cui deve essere consegnata la copia; e) se non è stato dato l'avvertimento nei casi previsti dall'art. 161 commi 1, 2 e 1 3 ( ) e la notificazione è stata eseguita mediante consegna al difensore; f) se è stata omessa l'affissione o non è stata data la comunicazione prescritta dall'art. 157 comma 8; g) se sull'originale dell'atto notificato manca la sottoscrizione della persona indicata nell'art. 157 comma 3; h) se non sono state osservate le modalità prescritte dal giudice nel decreto previsto dall'art. 150 e l'atto non è giunto a conoscenza del destinatario. (1) Le originarie parole «dall'art. 161 commi 2 e 3» sono state così sostituite dall'art. 7 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

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Titolo VI. TERMINI. Vai alla dottrina     ↓

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172. Regole generali. 1. I termini processuali (1) sono stabiliti a ore, a giorni, a mesi o ad anni. 2. I termini si computano secondo il calendario comune. 3. Il termine stabilito a giorni, il quale scade in giorno festivo (2), è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo. 4. Salvo che la legge disponga altrimenti, nel termine non si computa l'ora o il giorno in cui ne è iniziata la decorrenza; si computa l'ultima ora o l'ultimo giorno. 5. Quando è stabilito soltanto il momento finale, le unità di tempo stabilite per il termine si computano intere e libere. 6. Il termine per fare dichiarazioni, depositare documenti o compiere altri atti in un ufficio giudiziario si considera scaduto nel momento in cui, secondo i regolamenti, l'ufficio viene chiuso al pubblico (3). (1) Si veda la L. 7 ottobre 1969, n. 742, sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, dall'1 agosto al 31 agosto, come da ultimo modificata dall'art. 16, comma 1, del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162, a decorrere dall'anno 2015. Detta sospensione non si applica nella procedura di riconoscimento reciproco delle sentenze di condanna a pena detentiva prevista dal D.L.vo 7 settembre 2010, n. 161. (2) L'art. 2 della L. 27 maggio 1949, n. 260, recante disposizioni in materia di ricorrenze festive, come modificato dalla L. 5 marzo 1977, n. 54 e dal D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 792, considera giorni festivi: tutte le domeniche, l'1 gennaio, il 6 gennaio, il 25 aprile, il lunedì dopo Pasqua, l'1 maggio, il 15 agosto, l'1 novembre, l'8, il 25 e il 26 dicembre. A norma dell'art. 1 della L. 20 novembre 2000, n. 336, a decorrere dal 2001, è stata ripristinata la celebrazione della festa nazionale della Repubblica il 2 giugno, che è quindi di nuovo considerato giorno festivo. A norma dell'art. 3 della L. n. 260/1949 e dell'art. 1 della L. 4 marzo 1958, n. 132, sono invece giorni di solennità civile l'11 febbraio, il 28 settembre e il 4 ottobre, i quali però, in base all'art. 2 della L. n. 54/1977 non determinano riduzione dell'orario di lavoro negli uffici pubblici e quindi sono esclusi dalle proroghe dei termini processuali. (3) Si vedano gli artt. 1 e 2 del D.L.vo 9 aprile 1948, n. 437, recante la proroga dei termini, di decadenza in conseguenza del mancato funzionamento degli uffici giudiziari.

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173. Termini a pena di decadenza. Abbreviazione. 1. I termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge (606, lett. c) (1). 2. I termini stabiliti dalla legge a pena di decadenza non possono essere prorogati, salvo che la legge disponga altrimenti. 3. La parte a favore della quale è stabilito un termine può chiederne o consentirne l'abbreviazione con dichiarazione ricevuta nella cancelleria o nella segreteria dell'autorità procedente. (1) Si vedano gli artt. 21, 41, 46, 79, 80, 85, 86, 95, 182, 386, 391, 393, 397, 458, 461, 468, 585 e 646 di questo codice.

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174. Prolungamento dei termini di comparizione. 1. Se la residenza dell'imputato risultante dagli atti ovvero il domicilio dichiarato o eletto a norma dell'art. 161 è fuori del comune nel quale ha sede l'autorità giudiziaria procedente, il termine per comparire (1) è prolungato del numero di giorni necessari per il viaggio. Il prolungamento è di un giorno ogni cinquecento chilometri di distanza, quando è possibile l'uso dei mezzi pubblici di trasporto e di un giorno ogni cento chilometri negli altri casi. Lo stesso prolungamento dei termini ha luogo per gli imputati detenuti o internati fuori del comune predetto. In ogni caso il prolungamento del termine non può essere superiore a tre giorni. Per l'imputato residente all'estero il prolungamento del termine è stabilito dall'autorità giudiziaria, tenendo conto della distanza e dei mezzi di comunicazione utilizzabili. 2. Le stesse disposizioni si applicano quando si tratta di termine stabilito per la presentazione di ogni altra persona per la quale l'autorità procedente emette ordine o invito. (1) Si vedano gli artt. 127, 375, 398, 419, 429, 450, 456, 555, 601 e 666 di questo codice.

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175. Restituzione nel termine. 1. Il pubblico ministero, le parti private e i difensori sono restituiti nel termine stabilito a pena di decadenza (173), se provano di non averlo potuto osservare per caso fortuito o per forza maggiore. La richiesta per la restituzione nel termine è presentata, a pena di decadenza, entro dieci giorni da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore (1). 2. L'imputato condannato con decreto penale, che non ha avuto tempestivamente effettiva conoscenza del provvedimento, è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre opposizione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato (2). 2 bis. La richiesta indicata al comma 2 è presentata, a pena di decadenza, nel termine di trenta giorni da quello in cui l'imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento. In caso di estradizione dall'estero, il termine per la presentazione della richiesta decorre dalla consegna del condannato (3). 3. [La richiesta per la restituzione nel termine è presentata, a pena di decadenza (173), entro dieci giorni da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore ovvero, nei casi previsti dal comma 2, da quello in cui l'imputato ha avuto effettiva conoscenza dell'atto] (4). La restituzione non può essere concessa più di una volta per ciascuna parte in ciascun grado del procedimento. 4. Sulla richiesta decide con ordinanza (125) il giudice che procede al tempo della presentazione della stessa. Prima dell'esercizio dell'azione penale (405) provvede il giudice per le indagini preliminari (328). Se sono stati pronunciati sentenza o decreto di condanna, decide il giudice che sarebbe competente sulla impugnazione o sulla opposizione. 5. L'ordinanza che concede la restituzione nel termine per la proposizione della impugnazione o della opposizione può essere impugnata solo con la sentenza che decide sulla impugnazione o sulla opposizione. 6. Contro l'ordinanza che respinge la richiesta di restituzione nel termine può essere proposto ricorso per cassazione (606 ss.). 7. Quando accoglie la richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione, il giudice, se occorre, ordina la scarcerazione dell'imputato detenuto e adotta tutti i provvedimenti necessari per far cessare gli effetti determinati dalla scadenza del termine (6703). 8. Se la restituzione nel termine è concessa a norma del comma 2, non si tiene conto, ai fini della prescrizione del reato (157 c.p.), del tempo intercorso tra la notificazione della sentenza contumaciale (5483) o del decreto di condanna (4603) e la notificazione alla parte dell'avviso di deposito dell'ordinanza che concede la restituzione. (1) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito, con modificazioni, nella L. 22 aprile 2005, n. 60. (2) Questo comma è stato, da ultimo, così sostituito dall'art. 11, comma 6, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in

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corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità. (3) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 1, lett. c), del D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito, con modificazioni, nella L. 22 aprile 2005, n. 60. (4) Il periodo tra parentesi quadrate è stato soppresso dall'art. 1, comma 1, lett. d), del D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito, con modificazioni, nella L. 22 aprile 2005, n. 60.

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176. Effetti della restituzione nel termine. 1. Il giudice che ha disposto la restituzione provvede, a richiesta di parte e in quanto sia possibile, alla rinnovazione degli atti ai quali la parte aveva diritto di assistere. 2. Se la restituzione nel termine è concessa dalla Corte di cassazione, al compimento degli atti di cui è disposta la rinnovazione provvede il giudice competente per il merito. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo VII. NULLITÀ (1). (1) Con riguardo ai rapporti con gli uffici giudiziari e gli organi giurisdizionali da parte di cittadini di lingua tedesca o ladina si veda il Capo IV del D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, come modificato con D.L.vo 29 maggio 2001, n. 283 (in particolare gli artt. 14, comma 4, 15 comma 7, 16 comma 2, 17 comma 6).

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177. Tassatività. 1. L'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge (606, lett. c). Vai alla dottrina     ↓

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178. Nullità di ordine generale. 1. È sempre prescritta a pena di nullità l'osservanza delle disposizioni concernenti: a) le condizioni di capacità del giudice (33) e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario (179) (1); b) l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale (50, 179) e la sua partecipazione al procedimento; c) l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato (60, 61) e delle altre parti private (74 ss., 83 ss., 89) nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato (90 ss.) e del querelante (336 ss.). (1) Si vedano gli artt. 48, 50, 56, 58 e 67 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12. Per la decorrenza della riforma si veda l'art. 247 dello stesso provvedimento. Per la composizione della corte d'assise e della corte d'assise d'appello si vedano gli artt. 3 e 4 della L. 10 aprile 1951, n. 287. Per la composizione del tribunale di sorveglianza si veda l'art. 70 della L. 26 luglio 1975, n. 354.

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179. Nullità assolute. 1. Sono insanabili e sono rilevate di ufficio in ogni stato e grado del procedimento le nullità previste dall'art. 178 comma 1 lett. a), quelle concernenti l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale (50, 178, lett. b) (1) e quelle derivanti dalla omessa citazione dell'imputato o dall'assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza (2). 2. Sono altresì insanabili e sono rilevate di ufficio in ogni stato e grado del procedimento le nullità definite assolute da specifiche disposizioni di legge (6044). (1) Per i singoli atti in cui si concretizza l'esercizio dell'azione penale si vedano i seguenti articoli di questo codice: art. 4095 per l'imputazione in seguito a rigetto della richiesta di archiviazione; artt. 416 e 417 per la richiesta di rinvio a giudizio; artt. 423, 517 e 518 per la contestazione in udienza del reato connesso o del fatto nuovo; artt. 444 e 557 per la richiesta di sanzione sostitutiva, pena pecuniaria o pena detentiva breve; artt. 449 e 450 per la presentazione o la citazione dell'imputato per il giudizio direttissimo; art. 453 per la richiesta di giudizio immediato; art. 459 per la richiesta di decreto penale di condanna. (2) Si vedano gli artt. 350, 391, 401, 420, 441, 451, 484, 486, 598, 599, 666, 678 e 704 di questo codice.

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180. Regime delle altre nullità di ordine generale. 1. Salvo quanto disposto dall'art. 179, le nullità previste dall'art. 178 sono rilevate anche di ufficio, ma non possono più essere rilevate né dedotte dopo la deliberazione (525) della sentenza di primo grado ovvero, se si sono verificate nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo (6044). Vai alla dottrina     ↓

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181. Nullità relative. 1. Le nullità diverse da quelle previste dagli artt. 178 e 179 comma 2 sono dichiarate su eccezione di parte. 2. Le nullità concernenti gli atti delle indagini preliminari (326 ss., 551 ss.) e quelli compiuti nell'incidente probatorio (392 ss.) e le nullità concernenti gli atti dell'udienza preliminare (419 ss.) devono essere eccepite prima che sia pronunciato il provvedimento previsto dall'art. 424. Quando manchi l'udienza preliminare (444, 449, 453, 459), le nullità devono essere eccepite entro il termine previsto dall'art. 491 comma 1. 3. Le nullità concernenti il decreto che dispone il giudizio (429, 450, 456, 555) ovvero gli atti preliminari al dibattimento devono essere eccepite entro il termine previsto dall'art. 491 comma 1. Entro lo stesso termine, ovvero con l'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere (428), devono essere riproposte le nullità eccepite a norma del primo periodo del comma 2, che non siano state dichiarate dal giudice. 4. Le nullità verificatesi nel giudizio devono essere eccepite con l'impugnazione della relativa sentenza. Vai alla dottrina     ↓

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182. Deducibilità delle nullità. 1. Le nullità previste dagli artt. 180 e 181 non possono essere eccepite da chi vi ha dato o ha concorso a darvi causa ovvero non ha interesse all'osservanza della disposizione violata. 2. Quando la parte vi assiste, la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo. Negli altri casi la nullità deve essere eccepita entro i termini previsti dagli artt. 180 e 181 commi 2, 3 e 4. 3. I termini per rilevare o eccepire le nullità sono stabiliti a pena di decadenza (173). Vai alla dottrina     ↓

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183. Sanatorie generali delle nullità. 1. Salvo che sia diversamente stabilito, le nullità sono sanate: a) se la parte interessata ha rinunciato espressamente a eccepirle ovvero ha accettato gli effetti dell'atto; b) se la parte si è avvalsa della facoltà al cui esercizio l'atto omesso o nullo è preordinato. Vai alla dottrina     ↓

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184. Sanatoria delle nullità delle citazioni, degli avvisi e delle notificazioni. 1. La nullità di una citazione o di un avviso ovvero delle relative comunicazioni e notificazioni è sanata se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire. 2. La parte la quale dichiari che la comparizione è determinata dal solo intento di far rilevare l'irregolarità ha diritto a un termine per la difesa non inferiore a cinque giorni. 3. Quando la nullità riguarda la citazione a comparire al dibattimento, il termine non può essere inferiore a quello previsto dall'art. 429. Vai alla dottrina     ↓

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185. Effetti della dichiarazione di nullità. 1. La nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo. 2. Il giudice che dichiara la nullità di un atto ne dispone la rinnovazione, qualora sia necessaria e possibile, ponendo le spese a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave. 3. La dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito (604). 4. La disposizione del comma 3 non si applica alle nullità concernenti le prove. Vai alla dottrina     ↓

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186. Inosservanza di norme tributarie. 1. Quando la legge assoggetta un atto a una imposta o a una tassa, l'inosservanza della norma tributaria non rende inammissibile l'atto né impedisce il suo compimento, salve le sanzioni finanziarie previste dalla legge. Vai alla dottrina     ↓

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Libro III. PROVE. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo I. DISPOSIZIONI GENERALI. Vai alla dottrina     ↓

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187. Oggetto della.prova 1. Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all' imputazione (404, 554), alla punibilità (45 ss., 85 ss., 308 ss., 384, 387, 398, 463, 599 e 649 c.p.) e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza (133, 200 ss. c.p.). 2. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali. 3. Se vi è costituzione di parte civile (76), sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato (185 c.p.). Vai alla dottrina     ↓

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188. Libertà morale della persona nell'assunzione della prova. 1. Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti (642). Vai alla dottrina     ↓

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189. Prove non disciplinate dalla legge. 1. Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona. Il giudice provvede all'ammissione, sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova. Vai alla dottrina     ↓

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190. Diritto alla prova. 1. Le prove sono ammesse a richiesta di parte (1). Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza (125) escludendo le prove vietate dalla legge (191)e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti (4954, 606, lett. d); att. 38). 2. La legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio (2). 3. I provvedimenti sull'ammissione della prova possono essere revocati sentite le parti in contraddittorio (4954). (1) Si vedano gli artt. 392, 422, 493, 495, 507, 519, 603 e 633 di questo codice. (2) Si vedano gli artt. 70, 195, 224, 237, 507, 508, 511 e 603 di questo codice.

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190 bis. (1) Requisiti della prova in casi particolari. 1. Nei procedimenti per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3 bis, quando è richiesto l'esame di un testimone o di una delle persone indicate nell'articolo 210 e queste hanno già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o in dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate ovvero dichiarazioni i cui verbali sono stati acquisiti a norma dell'articolo 238, l'esame è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze (2). 1 bis. La stessa disposizione si applica quando si procede per uno dei reati previsti dagli articoli 600 bis, primo comma, 600 ter, 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater1, (3) 600 quinquies, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies del codice penale, se l'esame richiesto riguarda un testimone minore degli anni diciotto (4) e, in ogni caso, quando l'esame testimoniale richiesto riguarda una persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità (5)(6). (1) Articolo aggiunto dall'art. 3, comma 3, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 3 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (3) Le parole: «anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater 1,» sono state inserite dall'art. 14, comma 1, della L. 6 febbraio 2006, n. 38. (4) Le parole: «anni sedici» sono state così sostituite dalle attuali: «anni diciotto» dall'art. 14, comma 3, della L. 19 luglio 2019, n. 69. (5) Le parole: «e, in ogni caso, quando l'esame testimoniale richiesto riguarda una persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità» sono state inserite dall'art. 1, comma 1, lett. e), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212. (6) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 13, comma 2, della L. 3 agosto 1998, n. 269.

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191. Prove illegittimamente acquisite. 1. Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate (1). 2. L'inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento (6061, lett. c). 2 bis. Le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque utilizzabili, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale (2). (1) Si vedano gli artt. 62, 63, 103, 195, 197, 203, 234, 240, 254, 270 e 271 di questo codice. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, della L. 14 luglio 2017, n. 110.

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192. Valutazione della prova. 1. Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati (5461, lett. e), 606, lett. e). 2. L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti (2729 c.c.). 3. Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato (110 ss. c.p.) o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 (210) sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità. 4. La disposizione del comma 3 si applica anche alle dichiarazioni rese da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall'art. 371 comma 2 lett. b). Vai alla dottrina     ↓

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193. Limiti di prova stabiliti dalle leggi civili. 1. Nel processo penale non si osservano i limiti di prova stabiliti dalle leggi civili, eccettuati quelli che riguardano lo stato di famiglia e di cittadinanza. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo II. MEZZI DI PROVA. Vai alla dottrina     ↓

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Capo I. TESTIMONIANZA.

194. Oggetto e limiti della testimonianza. 1. Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova (187). Non può deporre sulla moralità dell'imputato, salvo che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità in relazione al reato e alla pericolosità sociale (203 c.p.). 2. L'esame può estendersi anche ai rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra il testimone e le parti o altri testimoni nonché alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne la credibilità. La deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della persona offesa dal reato (90) è ammessa solo quando il fatto dell'imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona. 3. Il testimone è esaminato su fatti determinati (499). Non può deporre sulle voci correnti nel pubblico né esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti. Vai alla dottrina     ↓

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195. Testimonianza indiretta. 1. Quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre. 2. Il giudice può disporre anche di ufficio l'esame delle persone indicate nel comma 1 (190). 3. L'inosservanza della disposizione del comma 1 rende inutilizzabili (191) le dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone, salvo che l'esame di queste risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità. 4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b). Negli altri casi si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo (1) (2). 5. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche quando il testimone abbia avuto comunicazione del fatto in forma diversa da quella orale. 6. I testimoni non possono essere esaminati su fatti comunque appresi dalle persone indicate negli artt. 200 e 201 in relazione alle circostanze previste nei medesimi articoli, salvo che le predette abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati. 7. Non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 305 del 30 luglio 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma ove interpretato nel senso che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono essere chiamati a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese dai testimoni soltanto se acquisite con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), c.p.p., e non anche nel caso in cui, pur ricorrendone le condizioni, tali modalità non siano state osservate.

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196. Capacità di testimoniare. 1. Ogni persona ha la capacità di testimoniare. 2. Qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l'idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice anche di ufficio può ordinare gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge. 3. I risultati degli accertamenti che, a norma del comma 2, siano stati disposti prima dell'esame testimoniale non precludono l'assunzione della testimonianza. Vai alla dottrina     ↓

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197. Incompatibilità con l'ufficio di testimone. 1. Non possono essere assunti come testimoni: a) i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera a), salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 (1); b) salvo quanto previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c), le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12, comma 1 lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 (1); c) il responsabile civile (83) e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89, 208); d) coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice (343), pubblico ministero o loro ausiliario nonché il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi dell'articolo 391 ter (2). (1) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 5 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (2) Le parole da: «nonché il difensore ...» fino alla fine della lettera, sono state aggiunte dall'art. 3 della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

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197 bis. (1) (2) Persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l'ufficio di testimone. 1. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444. 2. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sentito come testimone, inoltre, nel caso previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c). 3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 il testimone è assistito da un difensore. In mancanza di difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio (3) (4). 4. Nel caso previsto dal comma 1 il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Nel caso previsto dal comma 2 il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti. 5. In ogni caso le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette. 6. Alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l'ufficio di testimone ai sensi del presente articolo si applica la disposizione di cui all'articolo 192, comma 3 (3) (5). (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 6 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (2) Ai sensi dell'art. 26, comma 2, della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo, se il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero provvede a rinnovare l'esame dei soggetti indicati negli articoli 64 e 197 bis del codice di procedura penale, come rispettivamente modificato e introdotto dalla presente legge, secondo le forme ivi previste. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 381 del 21 novembre 2006, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei commi 3 e 6 di questo articolo, nella parte in cui prevedono, rispettivamente, l'assistenza di un difensore e l'applicazione della disposizione di cui all'art. 192, comma 3, del medesimo codice di rito anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del medesimo art. 197 bis c.p.p., nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione «per non aver commesso il fatto», divenuta irrevocabile. (4) La Corte costituzionale, con sentenza n. 21 del 26 gennaio 2017, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui prevede l’assistenza di un difensore anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 di questo articolo, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” divenuta irrevocabile. (5) La Corte costituzionale, con sentenza n. 21 del 26 gennaio 2017, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede l’applicazione della disposizione di cui all’art. 192, comma 3, del medesimo codice di rito anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 di questo

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articolo nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” divenuta irrevocabile.

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198. Obblighi del testimone. 1. Il testimone ha l'obbligo di presentarsi (205, 206, 502) al giudice e di attenersi alle prescrizioni date dal medesimo per le esigenze processuali e di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte (207, 497; 366, 372 c.p.) (1). 2. Il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale (63; 384 c.p.). (1) Per le indennità spettanti ai testimoni si veda il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

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199. Facoltà di astensione dei prossimi congiunti. 1. I prossimi congiunti (3074 c.p.) dell'imputato non sono obbligati a deporre. Devono tuttavia deporre quando hanno presentato denuncia (333), querela (336) o istanza (341) ovvero essi o un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato. 2. Il giudice, a pena di nullità (181), avvisa le persone predette della facoltà di astenersi chiedendo loro se intendono avvalersene (1). 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche a chi è legato all'imputato da vincolo di adozione. Si applicano inoltre, limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza coniugale o derivante da un'unione civile tra persone dello stesso sesso (2): a) a chi, pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso; b) al coniuge separato dell'imputato; c) alla persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio o dell'unione civile tra persone dello stesso sesso contratti con l'imputato (3). (1) Si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 416 del 27 dicembre 1996, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 384, secondo comma, c.p., nella parte in cui non prevede l'esclusione della punibilità per false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal renderle, a norma di questo articolo. (2) Le parole: «o derivante da un'unione civile tra persone dello stesso sesso» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L.vo 19 gennaio 2017, n. 6. (3) Le parole: «cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con l'imputato» sono state così sostituite dalle attuali: «cessazione degli effetti civili del matrimonio o dell'unione civile tra persone dello stesso sesso contratti con l'imputato» dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L.vo 19 gennaio 2017, n. 6.

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200. Segreto professionale. 1. Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria (331, 334): a) i ministri di confessioni religiose (8 Cost.), i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano; b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai (coord. 2224) (1); c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche (2) e ogni altro esercente una professione sanitaria; d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale (3). 2. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga (256). 3. Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell'albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell'esercizio della loro professione. Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l'identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni. (1) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 4 della L. 7 dicembre 2000, n. 397. (2) Essendo stata la professione aperta anche agli uomini (si veda il D.M. 14 settembre 1994, n. 740) il segreto professionale va riconosciuto anche agli ostetrici. (3) In particolare si vedano: a) l'art. 6 della L. 11 gennaio 1979, n. 12, recante l'ordinamento della professione di consulente del lavoro, che prevede per questa professione il diritto di astenersi dal testimoniare in presenza del segreto professionale; b) l'art. 120 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, testo unico delle leggi sugli stupefacenti, che per i dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze esclude l'obbligo di deporre su quanto conosciuto per ragione della propria professione. La stessa norma si applica anche a coloro che operano presso enti, centri, associazioni o gruppi che hanno stipulato apposite convenzioni con le unità sanitarie locali (comma 7); c) l'art. 1, comma 1, della L. 3 aprile 2001, n. 119, stabilisce che gli assistenti sociali iscritti all'albo professionale istituito con legge 23 marzo 1993, n. 84, hanno l'obbligo del segreto professionale su quanto hanno conosciuto per ragione della loro professione esercitata sia in regime di lavoro dipendente, pubblico o privato, sia in regime di lavoro autonomo libero-professionale; d) l'art. 10, comma 2, del D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28, riconosce al mediatore il segreto professionale sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione.

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201. Segreto di ufficio. 1. Salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria (331), i pubblici ufficiali (357 c.p.), i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio (358 c.p.) hanno l'obbligo di astenersi dal deporre su fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio che devono rimanere segreti (204; 326 c.p.) (1). 2. Si applicano le disposizioni dell'art. 200 commi 2 e 3. (1) Il segreto d'ufficio non è opponibile nei procedimenti relativi ai reati di cui all'art. 90 Cost. ex art. 6 della L. 5 giugno 1989, n. 219. Il segreto d'ufficio copre le precedenti generalità della persona per la quale è stato disposto il cambiamento delle generalità ex art. 9 del D.L.vo 20 marzo 1993, n. 116 sulla protezione dei collaboratori di giustizia.

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202. (1) (2) (3) Segreto di Stato. 1. I pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato. 2. Se il testimone oppone un segreto di Stato, l'autorità giudiziaria ne informa il Presidente del Consiglio dei ministri, ai fini dell'eventuale conferma, sospendendo ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto. 3. Qualora il segreto sia confermato e per la definizione del processo risulti essenziale la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato, il giudice dichiara non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato. 4. Se entro trenta giorni dalla notificazione della richiesta il Presidente del Consiglio dei ministri non dà conferma del segreto, l'autorità giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per l'ulteriore corso del procedimento. 5. L'opposizione del segreto di Stato, confermata con atto motivato dal Presidente del Consiglio dei ministri, inibisce all'autorità giudiziaria l'acquisizione e l'utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto. 6. Non è, in ogni caso, precluso all'autorità giudiziaria di procedere in base a elementi autonomi e indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto. 7. Quando è sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, qualora il conflitto sia risolto nel senso dell'insussistenza del segreto di Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri non può più opporlo con riferimento al medesimo oggetto. Qualora il conflitto sia risolto nel senso della sussistenza del segreto di Stato, l'autorità giudiziaria non può né acquisire né utilizzare, direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali è stato opposto il segreto di Stato. 8. In nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento. (1) Questo articolo è stato così sostituito, a decorrere dal 12 ottobre 2007, dall'art. 40, comma 1, della L. 3 agosto 2007, n. 124. (2) Si veda l'art. 41 della L. 3 agosto 2007, n. 124, di cui si riporta il testo: «41. (Divieto di riferire riguardo a fatti coperti dal segreto di Stato). 1. Ai pubblici ufficiali, ai pubblici impiegati e agli incaricati di pubblico servizio è fatto divieto di riferire riguardo a fatti coperti dal segreto di Stato. Nel processo penale, in ogni stato e grado del procedimento, salvo quanto disposto dall'articolo 202 del codice di procedura penale, come sostituito dall'articolo 40 della presente legge, se è stato opposto il segreto di Stato, l'autorità giudiziaria ne informa il Presidente del Consiglio dei ministri, nella sua qualità di Autorità nazionale per la sicurezza, per le eventuali deliberazioni di sua competenza. «2. L'autorità giudiziaria, se ritiene essenziale la conoscenza di quanto coperto dal segreto per la definizione del processo, chiede conferma dell'esistenza del segreto di Stato al Presidente del Consiglio dei ministri, sospendendo ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto. «3. Qualora il segreto sia confermato e per la definizione del processo risulti essenziale la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato, il giudice dichiara non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato. «4. Se entro trenta giorni dalla notificazione della richiesta il Presidente del Consiglio dei ministri non dà conferma del segreto, l'autorità giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per l'ulteriore corso del procedimento. «5. L'opposizione del segreto di Stato, confermata con atto motivato dal Presidente del Consiglio dei ministri, inibisce all'autorità giudiziaria l'acquisizione e l'utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto.

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«6. Non è, in ogni caso, precluso all'autorità giudiziaria di procedere in base a elementi autonomi e indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto. «7. Quando è sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, qualora il conflitto sia risolto nel senso dell'insussistenza del segreto di Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri non può più opporlo con riferimento al medesimo oggetto. Qualora il conflitto sia risolto nel senso della sussistenza del segreto di Stato, l'autorità giudiziaria non può né acquisire né utilizzare, direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali è stato opposto il segreto di Stato. «8. In nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento. «9. Il Presidente del Consiglio dei ministri è tenuto a dare comunicazione di ogni caso di conferma dell'opposizione del segreto di Stato ai sensi del presente articolo al Comitato parlamentare di cui all'articolo 30, indicandone le ragioni essenziali. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, su richiesta del Presidente del Comitato parlamentare, espone, in una seduta segreta appositamente convocata, il quadro informativo idoneo a consentire l'esame nel merito della conferma dell'opposizione del segreto di Stato (*). Il Comitato parlamentare, se ritiene infondata l'opposizione del segreto di Stato, ne riferisce a ciascuna delle Camere per le conseguenti valutazioni». (*) Questo periodo è stato inserito dall'art. 11, comma 1, della L. 7 agosto 2012, n. 133. (3) Si veda il D.P.C.M. 8 aprile 2008, recante criteri per l'individuazione delle notizie, delle informazioni, dei documenti, degli atti, delle attività, delle cose e dei luoghi suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato.

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203. Informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza. 1. Il giudice non può obbligare gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria (57) nonché il personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica (1) a rivelare i nomi dei loro informatori (204). Se questi non sono esaminati come testimoni, le informazioni da essi fornite non possono essere acquisite né utilizzate (191). 1 bis. L'inutilizzabilità opera anche nelle fasi diverse dal dibattimento, se gli informatori non sono stati interrogati nè assunti a sommarie informazioni (2). (1) La materia, già regolata dalla L. 24 ottobre 1977, n. 801, è ora disciplinata dalla L. 3 agosto 2007, n. 124, che ha delineato il nuovo “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica”. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 7 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo.

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204. Esclusione del segreto. 1. Non possono essere oggetto del segreto previsto dagli artt. 201, 202 e 203 fatti, notizie o documenti concernenti reati diretti all'eversione dell'ordinamento costituzionale nonché i delitti previsti dagli articoli 285, 416 bis, 416 ter e 422 del codice penale (1) (2). Se viene opposto il segreto, la natura del reato è definita dal giudice. Prima dell'esercizio dell'azione penale (405) provvede il giudice per le indagini preliminari (328) su richiesta di parte (2565; att. 661). 1 bis. Non possono essere oggetto del segreto previsto dagli articoli 201, 202 e 203 fatti, notizie o documenti concernenti le condotte poste in essere da appartenenti ai servizi di informazione per la sicurezza in violazione della disciplina concernente la speciale causa di giustificazione prevista per attività del personale dei servizi di informazione per la sicurezza. Si considerano violazioni della predetta disciplina le condotte per le quali, essendo stata esperita l'apposita procedura prevista dalla legge, risulta esclusa l'esistenza della speciale causa di giustificazione (3). 1 ter. Il segreto di Stato non può essere opposto o confermato ad esclusiva tutela della classifica di segretezza o in ragione esclusiva della natura del documento, atto o cosa oggetto della classifica (3). 1 quater. In nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento (3). 1 quinquies. Quando il Presidente del Consiglio dei ministri non ritenga di confermare il segreto di Stato, provvede, in qualità di Autorità nazionale per la sicurezza, a declassificare gli atti, i documenti, le cose o i luoghi oggetto di classifica di segretezza, prima che siano messi a disposizione dell'autorità giudiziaria competente (3). 2. Del provvedimento che rigetta l'eccezione di segretezza è data comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri (att. 662). (1) Le parole: «nonché i delitti previsti dagli articoli 285, 416 bis, 416 ter e 422 del codice penale» sono state aggiunte, a decorrere dal 12 ottobre 2007, dall'art. 40, comma 2, della L. 3 agosto 2007, n. 124. (2) Si vedano gli artt. 270 bis e 289 bis c.p., la L. 29 maggio 1982, n. 304, recante misure per la difesa dell'ordinamento costituzionale e gli artt. 21 e 29 della L. 18 aprile 1975, n. 110, sul controllo di armi, munizioni ed esplosivi che puniscono, rispettivamente, la distrazione o sottrazione di armi e la detenzione o la sottrazione di esplosivi al fine di sovvertire l'ordinamento dello Stato. Il segreto di Stato non è opponibile nei procedimenti relativi ai reati di cui all'art. 90 Cost. ex art. 6 della L. 5 giugno 1989, n. 219. V., altresì, analoga disposizione nell'art. 10 della L. 29 ottobre 1997, n. 374, sulla messa al bando delle mine antipersona. (3) Questo comma è stato inserito, a decorrere dal 12 ottobre 2007, dall'art. 40, comma 3, della L. 3 agosto 2007, n. 124.

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205. Assunzione della testimonianza del Presidente della Repubblica e di grandi ufficiali dello Stato. 1. La testimonianza del Presidente della Repubblica è assunta nella sede in cui egli esercita la funzione di Capo dello Stato. 2. Se deve essere assunta la testimonianza di uno dei presidenti delle Camere o del Presidente del Consiglio dei Ministri o della Corte costituzionale, questi possono chiedere di essere esaminati nella sede in cui esercitano il loro ufficio, al fine di garantire la continuità e la regolarità della funzione cui sono preposti. 3. Si procede nelle forme ordinarie quando il giudice ritiene indispensabile la comparizione di una delle persone indicate nel comma 2 per eseguire un atto di ricognizione (213 ss.) o di confronto (211 ss.) o per altra necessità. Vai alla dottrina     ↓

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206. Assunzione della testimonianza di agenti diplomatici. 1. Se deve essere esaminato un agente diplomatico o l' incaricato di una missione diplomatica all'estero durante la sua permanenza fuori dal territorio dello Stato, la richiesta per l'esame è trasmessa, per mezzo del Ministero di grazia e giustizia, all'autorità consolare del luogo. Si procede tuttavia nelle forme ordinarie nei casi previsti dall'art. 205 comma 3. 2. Per ricevere le deposizioni di agenti diplomatici della Santa Sede accreditati presso lo Stato italiano ovvero di agenti diplomatici di uno Stato estero accreditati presso lo Stato italiano o la Santa Sede si osservano le convenzioni e le consuetudini internazionali. Vai alla dottrina     ↓

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207. Testimoni sospettati di falsità o reticenza. Testimoni renitenti. 1. Se nel corso dell'esame un testimone rende dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite, il presidente o il giudice glielo fa rilevare rinnovandogli, se del caso, l'avvertimento previsto dall'art. 497 comma 2. Allo stesso avvertimento provvede se un testimone rifiuta di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (199 - 203) e, se il testimone persiste nel rifiuto, dispone l'immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge (476; 366 c.p.). 2. Con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, il giudice, se ravvisa indizi del reato previsto dall'art. 372 del codice penale, ne informa il pubblico ministero trasmettendogli i relativi atti. Vai alla dottrina     ↓

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Capo II. ESAME DELLE PARTI.

208. Richiesta dell'.esame 1. Nel dibattimento, l'imputato (60), la parte civile (74) che non debba essere esaminata come testimone, il responsabile civile (83) e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89) sono esaminati se ne fanno richiesta o vi consentono (503). Vai alla dottrina     ↓

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209. Regole per l'esame. 1. All'esame delle parti si applicano le disposizioni previste dagli artt. 194, 198 comma 2 e 499 e, se è esaminata una parte diversa dall'imputato, quelle previste dall'art. 195 (503). 2. Se la parte rifiuta di rispondere a una domanda, ne è fatta menzione nel verbale. Vai alla dottrina     ↓

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210. (1) Esame di persona imputata in un procedimento connesso. 1. Nel dibattimento, le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12, comma 1, lettera a), nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l'ufficio di testimone, sono esaminate a richiesta di parte, ovvero, nel caso indicato nell'art. 195, anche di ufficio (147, lett. a) (2). 2. Esse hanno obbligo di presentarsi al giudice, il quale, ove occorra, ne ordina l'accompagnamento coattivo. Si osservano le norme sulla citazione dei testimoni (468) (3). 3. Le persone indicate nel comma 1 sono assistite da un difensore che ha diritto di partecipare all'esame. In mancanza di un difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio (96, 97). 4. Prima che abbia inizio l'esame, il giudice avverte le persone indicate nel comma 1 che, salvo quanto disposto dall'art. 66 comma 1, esse hanno facoltà di non rispondere. 5. All'esame si applicano le disposizioni previste dagli artt. 194, 195, 498, 499 e 500 (1922) (4). 6. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche alle persone imputate in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato. Tuttavia a tali persone è dato l'avvertimento previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c), e, se esse non si avvalgono della facoltà di non rispondere, assumono l'ufficio di testimone. Al loro esame si applicano, in tal caso, oltre alle disposizioni richiamate dal comma 5, anche quelle previste dagli articoli 197 bis e 497 (5). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 361 del 2 novembre 1998, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non ne è prevista l'applicazione anche all'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri, già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero. (2) Questo comma è stato così modificato dall'art. 8, comma 1, lett. a), della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2 comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (4) Le parole «194, 195, 499 e 503» sono state così da ultimo sostituite dall'art. 8, comma 1, lett. b), della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (5) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 8, comma 1, lett. c), della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo.

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Capo III. CONFRONTI.

211. Presupposti del.confronto 1. Il confronto è ammesso esclusivamente fra persone già esaminate (194 ss., 208 ss.) o interrogate (64, 65), quando vi è disaccordo fra esse su fatti e circostanze importanti (364, 392). Vai alla dottrina     ↓

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212. Modalità del confronto. 1. Il giudice, richiamate le precedenti dichiarazioni ai soggetti tra i quali deve svolgersi il confronto, chiede loro se le confermano o le modificano, invitandoli, ove occorra, alle reciproche contestazioni. 2. Nel verbale è fatta menzione delle domande rivolte dal giudice, delle dichiarazioni rese dalle persone messe a confronto e di quanto altro è avvenuto durante il confronto (134 ss.). Vai alla dottrina     ↓

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Capo IV. RICOGNIZIONI.

213. Ricognizione di persone. Atti preliminari. 1. Quando occorre procedere a ricognizione personale (392, lett. g), il giudice invita chi deve eseguirla a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento, se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere, se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi siano altre circostanze che possano influire sull'attendibilità del riconoscimento. 2. Nel verbale (135) è fatta menzione degli adempimenti previsti dal comma 1 e delle dichiarazioni rese. 3. L'inosservanza delle disposizioni previste dai commi 1 e 2 è causa di nullità della ricognizione (181). Vai alla dottrina     ↓

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214. Svolgimento della ricognizione. 1. Allontanato colui che deve eseguire la ricognizione, il giudice procura la presenza di almeno due persone il più possibile somiglianti, anche nell'abbigliamento, a quella sottoposta a ricognizione. Invita quindi quest'ultima a scegliere il suo posto rispetto alle altre, curando che si presenti, sin dove è possibile, nelle stesse condizioni nelle quali sarebbe stata vista dalla persona chiamata alla ricognizione. Nuovamente introdotta quest'ultima, il giudice le chiede se riconosca taluno dei presenti e, in caso affermativo, la invita a indicare chi abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certa. 2. Se vi è fondata ragione di ritenere che la persona chiamata alla ricognizione possa subire intimidazione o altra influenza dalla presenza di quella sottoposta a ricognizione, il giudice dispone che l'atto sia compiuto senza che quest'ultima possa vedere la prima. 3. Nel verbale è fatta menzione, a pena di nullità (181), delle modalità di svolgimento della ricognizione. Il giudice può disporre che lo svolgimento della ricognizione sia documentato anche mediante rilevazioni fotografiche o cinematografiche o mediante altri strumenti o procedimenti. Vai alla dottrina     ↓

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215. Ricognizione di cose. 1. Quando occorre procedere alla ricognizione del corpo del reato (2532) o di altre cose pertinenti al reato, il giudice procede osservando le disposizioni dell'art. 213, in quanto applicabili. 2. Procurati, ove possibile, almeno due oggetti simili a quello da riconoscere, il giudice chiede alla persona chiamata alla ricognizione se riconosca taluno tra essi e, in caso affermativo, la invita a dichiarare quale abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certa. 3. Si applicano le disposizioni dell'art. 214 comma 3. Vai alla dottrina     ↓

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216. Altre ricognizioni. 1. Quando dispone la ricognizione di voci, suoni o di quanto altro può essere oggetto di percezione sensoriale, il giudice procede osservando le disposizioni dell'art. 213, in quanto applicabili. 2. Si applicano le disposizioni dell'art. 214 comma 3. Vai alla dottrina     ↓

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217. Pluralità di ricognizioni. 1. Quando più persone sono chiamate a eseguire la ricognizione della medesima persona (213) o del medesimo oggetto (215), il giudice procede con atti separati, impedendo ogni comunicazione tra chi ha compiuto la ricognizione e coloro che devono ancora eseguirla. 2. Se una stessa persona deve eseguire la ricognizione di più persone o di più oggetti, il giudice provvede, per ogni atto, in modo che la persona o l'oggetto sottoposti a ricognizione siano collocati tra persone od oggetti diversi. 3. Si applicano le disposizioni degli articoli precedenti. Vai alla dottrina     ↓

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Capo V. ESPERIMENTI GIUDIZIALI.

218. Presupposti dell'.esperimento giudiziale 1. L'esperimento giudiziale è ammesso quando occorre accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un determinato modo (392, lett. f). 2. L'esperimento consiste nella riproduzione, per quanto è possibile, della situazione in cui il fatto si afferma o si ritiene essere avvenuto e nella ripetizione delle modalità di svolgimento del fatto stesso. Vai alla dottrina     ↓

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219. Modalità dell'esperimento giudiziale. 1. L'ordinanza che dispone l'esperimento giudiziale contiene una succinta enunciazione dell'oggetto dello stesso e l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo in cui si procederà alle operazioni. Con la stessa ordinanza o con un provvedimento successivo il giudice può designare un esperto per l'esecuzione di determinate operazioni. 2. Il giudice dà gli opportuni provvedimenti per lo svolgimento delle operazioni, disponendo per le rilevazioni fotografiche o cinematografiche o con altri strumenti o procedimenti. 3. Anche quando l'esperimento è eseguito fuori dell'aula di udienza, il giudice può adottare i provvedimenti previsti dall'art. 471 al fine di assicurare il regolare compimento dell'atto. 4. Nel determinare le modalità dell'esperimento, il giudice, se del caso, dà le opportune disposizioni affinché esso si svolga in modo da non offendere sentimenti di coscienza e da non esporre a pericolo l'incolumità delle persone o la sicurezza pubblica. Vai alla dottrina     ↓

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Capo VI. PERIZIA.

220. Oggetto della.perizia 1. La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche (141 bis, 299 4 ter, 392, lett. f), 468) (1). 2. Salvo quanto previsto ai fini dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza (656 ss.) non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualità (102 - 104 c.p.) o la professionalità nel reato (105 c.p.), la tendenza a delinquere (108 c.p.), il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche (2). (1) Si vedano l'art. 223 coord. in materia di analisi di campioni; l'art. 74 att. per la perizia nummaria e l'art. 75 att. per le scritture di comparazione. Si veda altresì l'art. 16 della L. 15 febbraio 1996, n. 66, come modificato dall'art. 15 della L. 3 agosto 1998, n. 269, che si riporta: «16. 1. L'imputato per i delitti di cui agli articoli 600 bis, secondo comma, 609 bis, 609 ter, 609 quater e 609 octies del codice penale è sottoposto, con le forme della perizia, ad accertamenti per l'individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, qualora le modalità del fatto possano prospettare un rischio di trasmissione delle patologie medesime». (2) Il divieto di perizia psicologica non vale nel processo penale a carico di minorenni (l'art. 9 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 consente al P.M. e al giudice di sentire il parere di esperti al fine di condurre accertamenti sulla personalità del minore) e nella fase esecutiva della pena (l'art. 80 della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante le norme sull'ordinamento penitenziario, consente all'amministrazione penitenziaria, per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, di avvalersi di esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica).

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221. Nomina del perito. 1. Il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi (att. 67 ss.) o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina (1). Quando la perizia è dichiarata nulla, il giudice cura, ove possibile, che il nuovo incarico sia affidato ad altro perito. 2. Il giudice affida l'espletamento della perizia a più persone quando le indagini e le valutazioni risultano di notevole complessità ovvero richiedono distinte conoscenze in differenti discipline. 3. Il perito ha l'obbligo di prestare il suo ufficio, salvo che ricorra uno dei motivi di astensione previsti dall'art. 36 (366 c.p.). (1) Ai sensi dell'art. 45, comma 1, del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, contenente il regolamento di polizia mortuaria, le autopsie, anche se ordinate dall'autorità giudiziaria, devono essere eseguite dai medici legalmente abilitati all'esercizio professionale.

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222. Incapacità e incompatibilità del perito. 1. Non può prestare ufficio di perito, a pena di nullità: a) il minorenne, l'interdetto (414 c.c.; 32 c.p.), l'inabilitato (415 c.c.) e chi è affetto da infermità di mente; b) chi è interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici (28, 29, 31 c.p.) ovvero è interdetto o sospeso dall'esercizio di una professione o di un'arte (30, 31, 35 c.p.); c) chi è sottoposto a misure di sicurezza personali (215 ss. c.p.) o a misure di prevenzione (1); d) chi non può essere assunto come testimone (197) o ha facoltà di astenersi dal testimoniare (199, 200) o chi è chiamato a prestare ufficio di testimone o di interprete (143); e) chi è stato nominato consulente tecnico (225) nello stesso procedimento o in un procedimento connesso (12). (1) In argomento la normativa fondamentale è contenuta nel D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159.

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223. Astensione e ricusazione del perito. 1. Quando esiste un motivo di astensione, il perito ha l'obbligo di dichiararlo. 2. Il perito può essere ricusato dalle parti nei casi previsti dall'art. 36 a eccezione di quello previsto dal comma 1 lett. h) del medesimo articolo. 3. La dichiarazione di astensione o di ricusazione può essere presentata fino a che non siano esaurite le formalità di conferimento dell'incarico (226) e, quando si tratti di motivi sopravvenuti ovvero conosciuti successivamente, prima che il perito abbia dato il proprio parere (227). 4. Sulla dichiarazione di astensione o di ricusazione decide, con ordinanza (125), il giudice che ha disposto la perizia. 5. Si osservano, in quanto applicabili, le norme sulla ricusazione del giudice (37 ss.). Vai alla dottrina     ↓

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224. Provvedimenti del giudice. 1. Il giudice dispone anche di ufficio (1902, 468) la perizia con ordinanza motivata (125), contenente la nomina del perito, la sommaria enunciazione dell'oggetto delle indagini, l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo fissati per la comparizione del perito (1). 2. Il giudice dispone la citazione del perito (468, 508) e dà gli opportuni provvedimenti per la comparizione delle persone sottoposte all'esame del perito. Adotta tutti gli altri provvedimenti che si rendono necessari per l'esecuzione delle operazioni peritali (2). (1) Si veda l'art. 16 della L. 15 febbraio 1996, n. 66. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 238 del 9 luglio 1996, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui consente che il giudice, nell'ambito delle operazioni peritali, disponga misure che comunque incidano sulla libertà personale dell'indagato o dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste nei «casi» e nei «modi» dalla legge.

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224 bis. (1) Provvedimenti del giudice per le perizie che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale. 1. Quando si procede per delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, per i delitti di cui agli articoli 589 bis e 590 bis del codice penale (2) e negli altri casi espressamente previsti dalla legge, se per l’esecuzione della perizia è necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale, quali il prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale su persone viventi ai fini della determinazione del profilo del DNA o accertamenti medici, e non vi è il consenso della persona da sottoporre all’esame del perito, il giudice, anche d’ufficio, ne dispone con ordinanza motivata l’esecuzione coattiva, se essa risulta assolutamente indispensabile per la prova dei fatti. 2. Oltre a quanto disposto dall’articolo 224, l’ordinanza di cui al comma 1 contiene, a pena di nullità: a) le generalità della persona da sottoporre all’esame e quanto altro valga ad identificarla; b) l’indicazione del reato per cui si procede, con la descrizione sommaria del fatto; c) l’indicazione specifica del prelievo o dell’accertamento da effettuare e delle ragioni che lo rendono assolutamente indispensabile per la prova dei fatti; d) l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore o da persona di fiducia; e) l’avviso che, in caso di mancata comparizione non dovuta a legittimo impedimento, potrà essere ordinato l’accompagnamento coattivo ai sensi del comma 6; f) l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora stabiliti per il compimento dell’atto e delle modalità di compimento. 3. L’ordinanza di cui al comma 1 è notificata all’interessato, all’imputato e al suo difensore nonché alla persona offesa almeno tre giorni prima di quello stabilito per l’esecuzione delle operazioni peritali. 4. Non possono in alcun caso essere disposte operazioni che contrastano con espressi divieti posti dalla legge o che possono mettere in pericolo la vita, l’integrità fisica o la salute della persona o del nascituro, ovvero che, secondo la scienza medica, possono provocare sofferenze di non lieve entità. 5. Le operazioni peritali sono comunque eseguite nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto. In ogni caso, a parità di risultato, sono prescelte le tecniche meno invasive. 6. Qualora la persona invitata a presentarsi per i fini di cui al comma 1 non compare senza addurre un legittimo impedimento, il giudice può disporre che sia accompagnata, anche coattivamente, nel luogo, nel giorno e nell’ora stabiliti. Se, pur comparendo, rifiuta di prestare il proprio consenso agli accertamenti, il giudice dispone che siano eseguiti coattivamente. L’uso di mezzi di coercizione fisica è consentito per il solo tempo strettamente necessario all’esecuzione del prelievo o dell’accertamento. Si applicano le disposizioni dell’articolo 132, comma 2.

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7. L’atto è nullo se la persona sottoposta al prelievo o agli accertamenti non è assistita dal difensore nominato. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 24 della L. 30 giugno 2009, n. 85. (2) Le parole: «, per i delitti di cui agli articoli 589 bis e 590 bis del codice penale» sono state inserite dall'art. 1, comma 4, lett. a), della L. 23 marzo 2016, n. 41.

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225. Nomina del.consulente tecnico 1. Disposta la perizia, il pubblico ministero (359; att. 73) e le parti private hanno facoltà di nominare propri consulenti tecnici in numero non superiore, per ciascuna parte, a quello dei periti (233; att. 152). 2. Le parti private, nei casi e alle condizioni previste dalla legge sul patrocinio statale dei non abbienti, hanno diritto di farsi assistere da un consulente tecnico a spese dello Stato (98) (1). 3. Non può essere nominato consulente tecnico chi si trova nelle condizioni indicate nell'art. 222 comma 1 lett. a), b), c), d) (2333). (1) Si veda il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 sul patrocinio a spese dello Stato.

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226. Conferimento dell'incarico. 1. Il giudice, accertate le generalità del perito, gli chiede se si trova in una delle condizioni previste dagli artt. 222 e 223, lo avverte degli obblighi e delle responsabilità previste dalla legge penale (373 c.p.) e lo invita a rendere la seguente dichiarazione: «consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo nello svolgimento dell'incarico, mi impegno ad adempiere al mio ufficio senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e a mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali». 2. Il giudice formula quindi i quesiti, sentiti il perito, i consulenti tecnici (230, 233), il pubblico ministero e i difensori presenti (att. 76). Vai alla dottrina     ↓

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227. Relazione peritale. 1. Concluse le formalità di conferimento dell'incarico (226), il perito procede immediatamente ai necessari accertamenti e risponde ai quesiti con parere raccolto nel verbale (134 ss.). 2. Se, per la complessità dei quesiti, il perito non ritiene di poter dare immediata risposta, può chiedere un termine al giudice. 3. Quando non ritiene di concedere il termine, il giudice provvede alla sostituzione del perito (231); altrimenti fissa la data, non oltre novanta giorni, nella quale il perito stesso dovrà rispondere ai quesiti e dispone perché ne venga data comunicazione alle parti e ai consulenti tecnici (225, 233). 4. Quando risultano necessari accertamenti di particolare complessità, il termine può essere prorogato dal giudice, su richiesta motivata del perito, anche più volte per periodi non superiori a trenta giorni. In ogni caso, il termine per la risposta ai quesiti, anche se prorogato, non può superare i sei mesi (3922, 508). 5. Qualora sia indispensabile illustrare con note scritte il parere, il perito può chiedere al giudice di essere autorizzato a presentare, nel termine stabilito a norma dei commi 3 e 4, relazione scritta. Vai alla dottrina     ↓

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228. Attività del perito. 1. Il perito procede alle operazioni necessarie per rispondere ai quesiti. A tal fine può essere autorizzato dal giudice a prendere visione degli atti, dei documenti e delle cose prodotti dalle parti dei quali la legge prevede l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento (431; att. 76). 2. Il perito può essere inoltre autorizzato ad assistere all'esame delle parti (208 ss.) e all'assunzione di prove (392 ss., 496 ss.) nonché a servirsi di ausiliari di sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali non implicanti apprezzamenti e valutazioni. 3. Qualora, ai fini dello svolgimento dell'incarico, il perito richieda notizie all'imputato (60, 61), alla persona offesa (90) o ad altre persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini dell'accertamento peritale (191). 4. Quando le operazioni peritali si svolgono senza la presenza del giudice e sorgono questioni relative ai poteri del perito e ai limiti dell'incarico, la decisione è rimessa al giudice, senza che ciò importi sospensione delle operazioni stesse (5082). Vai alla dottrina     ↓

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229. Comunicazioni relative alle operazioni peritali. 1. Il perito indica il giorno, l'ora e il luogo in cui inizierà le operazioni peritali e il giudice ne fa dare atto nel verbale (134 ss.). 2. Della eventuale continuazione delle operazioni peritali il perito dà comunicazione senza formalità alle parti presenti. Vai alla dottrina     ↓

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230. Attività dei consulenti tecnici. 1. I consulenti tecnici (225, 233) possono assistere al conferimento dell'incarico (226) al perito e presentare al giudice richieste, osservazioni e riserve, delle quali è fatta menzione nel verbale (134 ss.). 2. Essi possono partecipare alle operazioni peritali (228), proponendo al perito specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione (227). 3. Se sono nominati dopo l'esaurimento delle operazioni peritali, i consulenti tecnici possono esaminare le relazioni e richiedere al giudice di essere autorizzati a esaminare la persona, la cosa e il luogo oggetto della perizia. 4. La nomina dei consulenti tecnici e lo svolgimento della loro attività non può ritardare l'esecuzione della perizia e il compimento delle altre attività processuali (coord. 223). Vai alla dottrina     ↓

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231. Sostituzione del perito. 1. Il perito può essere sostituito se non fornisce il proprio parere nel termine fissato o se la richiesta di proroga non è accolta ovvero se svolge negligentemente l'incarico affidatogli (227; att. 70 - 72). 2. Il giudice, sentito il perito, provvede con ordinanza (125) alla sua sostituzione, salvo che il ritardo o l'inadempimento sia dipeso da cause a lui non imputabili. Copia dell'ordinanza è trasmessa all'ordine o al collegio cui appartiene il perito. 3. Il perito sostituito, dopo essere stato citato a comparire per discolparsi, può essere condannato dal giudice al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da € 154 a € 1.549. 4. Il perito è altresì sostituito quando è accolta la dichiarazione di astensione o di ricusazione (223). 5. Il perito sostituito deve mettere immediatamente a disposizione del giudice la documentazione e i risultati delle operazioni peritali già compiute. Vai alla dottrina     ↓

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232. Liquidazione del compenso al perito. 1. Il compenso al perito è liquidato con decreto del giudice che ha disposto la perizia, secondo le norme delle leggi speciali (att. 73) (1). (1) Per i compensi spettanti a periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori, si veda la L. 8 luglio 1980, n. 319 e, per i successivi adeguamenti, il D.P.R. 27 luglio 1988, n. 352. Si veda, altresì, il D.M. 30 maggio 2002 del Ministero della Giustizia (in G.U. 5 agosto 2002, n. 182).

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233. Consulenza tecnica fuori dei casi di perizia. 1. Quando non è stata disposta perizia (224), ciascuna parte può nominare, in numero non superiore a due, propri consulenti tecnici (225; att. 73). Questi possono esporre al giudice il proprio parere, anche presentando memorie a norma dell'art. 121. 1 bis. Il giudice, a richiesta del difensore, può autorizzare il consulente tecnico di una parte privata ad esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano, ad intervenire alle ispezioni, ovvero ad esaminare l'oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto. Prima dell'esercizio dell'azione penale l'autorizzazione è disposta dal pubblico ministero a richiesta del difensore. Contro il decreto che respinge la richiesta il difensore può proporre opposizione al giudice, che provvede nelle forme di cui all'articolo 127 (1). 1 ter. L'autorità giudiziaria impartisce le prescrizioni necessarie per la conservazione dello stato originario delle cose e dei luoghi e per il rispetto delle persone (1). 2. Qualora, successivamente alla nomina del consulente tecnico, sia disposta perizia, ai consulenti tecnici già nominati sono riconosciuti i diritti e le facoltà previsti dall'art. 230, salvo il limite previsto dall'art. 225 comma 1. 3. Si applica la disposizione dell'art. 225 comma 3. (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 5 della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

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Capo VII. DOCUMENTI. Vai alla dottrina     ↓

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234. Prova documentale. 1. È consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo. 2. Quando l'originale di un documento del quale occorre far uso è per qualsiasi causa distrutto, smarrito o sottratto e non è possibile recuperarlo, può esserne acquisita copia. 3. È vietata l'acquisizione di documenti (191) che contengono informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti di cui si tratta nel processo o sulla moralità in generale delle parti, dei testimoni, dei consulenti tecnici e dei periti (1957, 203, 240). Vai alla dottrina     ↓

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234 bis. (1) Acquisizione di documenti e dati informatici. 1. È sempre consentita l'acquisizione di documenti e dati informatici conservati all'estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest'ultimo caso, del legittimo titolare. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 2, comma 1 bis, del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43.

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235. Documenti costituenti corpo del reato. 1. I documenti che costituiscono corpo del reato (2532) devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga (1036, 240). Vai alla dottrina     ↓

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236. Documenti relativi al giudizio sulla personalità. 1. È consentita l'acquisizione dei certificati del casellario giudiziale (688), della documentazione esistente presso gli uffici del servizio sociale degli enti pubblici e presso gli uffici di sorveglianza nonché delle sentenze irrevocabili di qualunque giudice italiano (648) e delle sentenze straniere riconosciute (730 ss.) ai fini del giudizio sulla personalità dell'imputato (60, 61) o della persona offesa dal reato (90), se il fatto per il quale si procede deve essere valutato in relazione al comportamento o alle qualità morali di questa. 2. Le sentenze indicate nel comma 1 e i certificati del casellario giudiziale possono inoltre essere acquisiti al fine di valutare la credibilità di un testimone. Vai alla dottrina     ↓

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237. Acquisizione di documenti provenienti dall'imputato. 1. È consentita l'acquisizione, anche di ufficio (190), di qualsiasi documento proveniente dall'imputato, anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto. Vai alla dottrina     ↓

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238. (1) Verbali di prove di altri procedimenti. 1. È ammessa l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale se si tratta di prove assunte nell'incidente probatorio (392 ss.) o nel dibattimento (496 ss.). 2. È ammessa l'acquisizione di verbali di prove assunte in un giudizio civile definito con sentenza che abbia acquistato autorità di cosa giudicata (324 c.p.c.). 2 bis. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 i verbali di dichiarazioni possono essere utilizzati contro l'imputato soltanto se il suo difensore ha partecipato all'assunzione della prova o se nei suoi confronti fa stato la sentenza civile (2). 3. È comunque ammessa l'acquisizione della documentazione di atti che non sono ripetibili. Se la ripetizione dell'atto è divenuta impossibile per fatti o circostanze sopravvenuti, l'acquisizione è ammessa se si tratta di fatti o circostanze imprevedibili (3). 4. Al di fuori dei casi previsti dai commi 1, 2, 2 bis e 3, i verbali di dichiarazioni possono essere utilizzati nel dibattimento soltanto nei confronti dell'imputato che vi consenta; in mancanza di consenso, detti verbali possono essere utilizzati per le contestazioni previste dagli articoli 500 e 503 (4). 5. Salvo quanto previsto dall'articolo 190 bis, resta fermo il diritto delle parti di ottenere a norma dell'articolo 190 l'esame delle persone le cui dichiarazioni sono state acquisite a norma dei commi 1, 2, 2 bis (5) e 4 del presente articolo. (1) Articolo così sostituito dall'art. 3, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 3, comma 1, lett. a), della L. 7 agosto 1997, n. 267, e poi così sostituito dall'art. 9, comma 1, lett. a), della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 9, comma 1, lett. b), della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (4) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 9, comma 1, lett. c), della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (5) Le parole: «, 2 bis» sono state inserite dall'art. 3, comma 1, lett. c), della L. 7 agosto 1997, n. 267.

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238 bis. (1) Sentenze irrevocabili. 1. Fermo quanto previsto dall'articolo 236, le sentenze divenute irrevocabili (648) possono essere acquisite ai fini della prova di fatto in esse accertato e sono valutate a norma degli artt. 187 e 192, comma 3. (1) Articolo aggiunto dall'art. 3, comma 2, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

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239. Accertamento della provenienza dei documenti. 1. Se occorre verificarne la provenienza, il documento è sottoposto per il riconoscimento alle parti private (60, 61, 74 ss., 83 ss., 89) o ai testimoni. Vai alla dottrina     ↓

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240. (1) Documenti anonimi ed atti relativi ad intercettazioni illegali. 1. I documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati, salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall'imputato. 2. Il pubblico ministero dispone l'immediata secretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti. Allo stesso modo provvede per i documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni. Di essi è vietato effettuare copia in qualunque forma e in qualunque fase del procedimento ed il loro contenuto non può essere utilizzato. 3. Il pubblico ministero, acquisiti i documenti, i supporti e gli atti di cui al comma 2, entro quarantotto ore, chiede al giudice per le indagini preliminari di disporne la distruzione. 4. Il giudice per le indagini preliminari entro le successive quarantotto ore fissa l'udienza da tenersi entro dieci giorni, ai sensi dell'articolo 127, dando avviso a tutte le parti interessate, che potranno nominare un difensore di fiducia, almeno tre giorni prima della data dell'udienza (2). 5. Sentite le parti comparse, il giudice per le indagini preliminari legge il provvedimento in udienza e, nel caso ritenga sussistenti i presupposti di cui al comma 2, dispone la distruzione dei documenti, dei supporti e degli atti di cui al medesimo comma 2 e vi dà esecuzione subito dopo alla presenza del pubblico ministero e dei difensori delle parti (2). 6. Delle operazioni di distruzione è redatto apposito verbale, nel quale si dà atto dell'avvenuta intercettazione o detenzione o acquisizione illecita dei documenti, dei supporti e degli atti di cui al comma 2 nonché delle modalità e dei mezzi usati oltre che dei soggetti interessati, senza alcun riferimento al contenuto degli stessi documenti, supporti e atti (3). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1 del D.L. 22 settembre 2006, n. 259, convertito, con modificazioni, nella L. 20 novembre 2006, n. 281. Si vedano altresì gli artt. 3 e 4 del medesimo provvedimento, che si riportano: «3. 1. Chiunque consapevolmente detiene gli atti, i supporti o i documenti di cui sia stata disposta la distruzione ai sensi dell'articolo 240 del codice di procedura penale è punito con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni. «2. Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni se il fatto di cui al comma 1 è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio». «4. 1. A titolo di riparazione può essere richiesta all'autore della pubblicazione degli atti o dei documenti di cui al comma 2 dell'articolo 240 del codice di procedura penale, al direttore responsabile e all'editore, in solido fra loro, una somma di denaro determinata in ragione di cinquanta centesimi per ogni copia stampata, ovvero da 50.000 a 1.000.000 di euro secondo l'entità del bacino di utenza ove la diffusione sia avvenuta con mezzo radiofonico, televisivo o telematico. In ogni caso, l'entità della riparazione non può essere inferiore a 10.000 euro. «2. L'azione può essere proposta da parte di coloro a cui i detti atti o documenti fanno riferimento. L'azione si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della pubblicazione. Agli effetti della prova della corrispondenza degli atti o dei documenti pubblicati con quelli di cui al comma 2 dell'articolo 240 del codice di procedura penale

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fa fede il verbale di cui al comma 6 dello stesso articolo. Si applica l'articolo 25 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. «3. L'azione è esercitata senza pregiudizio di quanto il Garante per la protezione dei dati personali possa disporre ove accerti o inibisca l'illecita diffusione di dati o di documenti, anche a seguito dell'esercizio di diritti da parte dell'interessato. «4. Qualora sia promossa per i medesimi fatti di cui al comma 1 anche l'azione per il risarcimento del danno, il giudice tiene conto, in sede di determinazione e liquidazione dello stesso, della somma corrisposta ai sensi del comma 1». (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 173 del 22 aprile 2009, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede, per la disciplina del contraddittorio, l'applicazione dell'art. 401, commi 1 e 2, dello stesso codice. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 173 del 22 aprile 2009, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non esclude dal divieto di fare riferimento al contenuto dei documenti, supporti e atti, nella redazione del verbale previsto dalla stessa norma, le circostanze inerenti l'attività di formazione, acquisizione e raccolta degli stessi documenti, supporti e atti.

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241. Documenti falsi. 1. Fuori dei casi previsti dall'art. 537, il giudice, se ritiene la falsità di un documento acquisito al procedimento, dopo la definizione di questo, ne informa il pubblico ministero trasmettendogli copia del documento (207). Vai alla dottrina     ↓

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242. Traduzione di documenti. Trascrizione di registrazioni.(1) 1. Quando è acquisito un documento redatto in lingua diversa da quella italiana, il giudice ne dispone la traduzione a norma dell'art. 143 se ciò è necessario alla sua comprensione. 2. Quando è acquisita una registrazione (2), il giudice ne dispone, se necessario, la trascrizione a norma dell'articolo 268, comma 7 (3). (1) La precedente rubrica: «Traduzione di documenti. Trascrizione di nastri magnetofonici» è stata così sostituita dall'attuale rubrica dall'art. 2, comma 1, lett. b), n. 2), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento così come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (2) Le parole: «acquisito un nastro magnetofonico» sono state così sostituite dalle attuali: «acquisita una registrazione» dall'art. 2, comma 1, lett. b), n. 1), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento così come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (3) Le parole: «a norma dell'articolo 268 comma 7» erano state sostituite dalle seguenti: «a norma dell'articolo 493 bis, comma 2» dall’art. 3, comma 1, lett. a), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. Ora le parole: «a norma dell'articolo 493 bis, comma 2» sono state così sostituite dalle attuali: «a norma dell'articolo 268, comma 7» dall'art. 2, comma 1, lett. b), n. 1), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento così come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione.

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243. Rilascio di copie. 1. Quando dispone l'acquisizione di un documento che non deve rimanere segreto, il giudice, a richiesta di chi ne abbia interesse, può autorizzare la cancelleria a rilasciare copia autentica a norma dell'art. 116. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo III. MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA. Vai alla dottrina     ↓

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Capo I. ISPEZIONI. Vai alla dottrina     ↓

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244. Casi e forme delle ispezioni. 1. L'ispezione delle persone, dei luoghi e delle cose (103) è disposta con decreto motivato (1253) quando occorre accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. 2. Se il reato non ha lasciato tracce o effetti materiali, o se questi sono scomparsi o sono stati cancellati o dispersi, alterati o rimossi, l'autorità giudiziaria descrive lo stato attuale e, in quanto possibile, verifica quello preesistente, curando anche di individuare modo, tempo e cause delle eventuali modificazioni. L'autorità giudiziaria può disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione tecnica (359, 364), anche in relazione a sistemi informatici o telematici, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione (1). (1) Le parole da: «, anche in relazione ...» fino a: «... ad impedirne l'alterazione» sono state aggiunte dall'art. 8, comma 1, della L. 18 marzo 2008, n. 48.

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245. Ispezione personale. 1. Prima di procedere all'ispezione personale l'interessato è avvertito della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'art. 120. 2. L'ispezione è eseguita nel rispetto della dignità e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi è sottoposto (13 Cost.; att. 79). 3. L'ispezione può essere eseguita anche per mezzo di un medico. In questo caso l'autorità giudiziaria può astenersi dall'assistere alle operazioni. Vai alla dottrina     ↓

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246. Ispezione di luoghi o di cose. 1. All'imputato e in ogni caso a chi abbia l'attuale disponibilità del luogo in cui è eseguita l'ispezione è consegnata, nell'atto di iniziare le operazioni e sempre che essi siano presenti, copia del decreto che dispone tale accertamento (14 Cost.; 103). 2. Nel procedere all'ispezione dei luoghi, l'autorità giudiziaria può ordinare, enunciando nel verbale (373) i motivi del provvedimento, che taluno non si allontani prima che le operazioni siano concluse e può far ricondurre coattivamente sul posto il trasgressore (131, 378). Vai alla dottrina     ↓

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Capo II. PERQUISIZIONI. Vai alla dottrina     ↓

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247. Casi e forme delle perquisizioni. 1. Quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona il corpo del reato (2532) o cose pertinenti al reato, è disposta perquisizione personale. Quando vi è fondato motivo di ritenere che tali cose si trovino in un determinato luogo ovvero che in esso possa eseguirsi l'arresto dell'imputato (60, 61) o dell'evaso, è disposta perquisizione locale (352). 1 bis. Quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico, ancorché protetto da misure di sicurezza, ne è disposta la perquisizione, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione (1). 2. La perquisizione è disposta con decreto motivato (1253). 3. L'autorità giudiziaria può procedere personalmente ovvero disporre che l'atto sia compiuto da ufficiali di polizia giudiziaria (57) delegati con lo stesso decreto (370) (2). (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 8, comma 2, della L. 18 marzo 2008, n. 48. (2) Cfr. l'art. 68 comma 2 Cost. nonché, per i reati di cui all'art. 90 Cost., l'art. 7 della L. 5 giugno 1989, n. 219.

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248. Richiesta di consegna. 1. Se attraverso la perquisizione si ricerca una cosa determinata, l'autorità giudiziaria può invitare a consegnarla. Se la cosa è presentata, non si procede alla perquisizione, salvo che si ritenga utile procedervi per la completezza delle indagini. 2. Per rintracciare le cose da sottoporre a sequestro (253 ss.) o per accertare altre circostanze utili ai fini delle indagini, l'autorità giudiziaria o gli ufficiali di polizia giudiziaria (57) da questa delegati (370) possono esaminare presso banche atti, documenti e corrispondenza nonché dati, informazioni e programmi informatici (1). In caso di rifiuto, l'autorità giudiziaria procede a perquisizione (255). (1) Le parole: «atti, documenti e corrispondenza presso banche» sono state così sostituite dalle attuali: «presso banche atti, documenti e corrispondenza nonché dati, informazioni e programmi informatici» dall'art. 8, comma 3, della L. 18 marzo 2008, n. 48.

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249. Perquisizioni personali. 1. Prima di procedere alla perquisizione personale è consegnata una copia del decreto all'interessato, con l'avviso della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'art. 120 (356, 365). 2. La perquisizione è eseguita nel rispetto della dignità e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi è sottoposto (13 Cost.; att. 79). Vai alla dottrina     ↓

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250. Perquisizioni locali. 1. Nell'atto di iniziare le perquisizioni, copia del decreto di perquisizione locale è consegnata all'imputato, se presente, e a chi abbia l'attuale disponibilità del luogo, con l'avviso della facoltà di farsi rappresentare o assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'art. 120 (356, 365). 2. Se mancano le persone indicate nel comma 1, la copia è consegnata e l'avviso è rivolto a un congiunto, un coabitante o un collaboratore ovvero, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci (att. 80). 3. L'autorità giudiziaria, nel procedere alla perquisizione locale, può disporre con decreto motivato (1253) che siano perquisite le persone presenti o sopraggiunte, quando ritiene che le stesse possano occultare il corpo del reato (2532) o cose pertinenti al reato. Può inoltre ordinare, enunciando nel verbale i motivi del provvedimento, che taluno non si allontani prima che le operazioni siano concluse. Il trasgressore è trattenuto o ricondotto coattivamente sul posto (131, 378). Vai alla dottrina     ↓

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251. Perquisizioni nel domicilio. Limiti temporali. 1. La perquisizione in un'abitazione o nei luoghi chiusi adiacenti a essa non può essere iniziata prima delle ore sette e dopo le ore venti (14 Cost.). 2. Tuttavia nei casi urgenti l'autorità giudiziaria può disporre per iscritto che la perquisizione sia eseguita fuori dei suddetti limiti temporali (3523; coord. 225). Vai alla dottrina     ↓

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252. Sequestro conseguente a perquisizione. 1. Le cose rinvenute a seguito della perquisizione sono sottoposte a sequestro con l'osservanza delle prescrizioni degli artt. 259 e 260. Vai alla dottrina     ↓

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Capo III. SEQUESTRI. Vai alla dottrina     ↓

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253. Oggetto e formalità del sequestro.(1) (2) 1. L'autorità giudiziaria dispone con decreto motivato (1253) il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l'accertamento dei fatti (103, 714; coord. 229). 2. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo. 3. Al sequestro procede personalmente l'autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria (57) delegato (354, 370) con lo stesso decreto (att. 81; reg. 10, 11). 4. Copia del decreto di sequestro è consegnata all'interessato, se presente. (1) Il sequestro è previsto obbligatoriamente per gli immobili in cui siano stati rinvenuti armi da sparo, esplosivi o ordigni esplosivi o incendiari, a norma dell'art. 3 della L. 8 agosto 1977, n. 533, recante norme sull'ordine pubblico; dall'art. 501 bis c.p., in materia di manovre speculative sulle merci; dall'art. 8 della L. 20 giugno 1952, n. 645, in materia di apologia del fascismo commessa a mezzo stampa; dall'art. 2 della L. 12 dicembre 1960, n. 1591 sull'affissione e esposizione di manifesti, immagine e oggetti contrari al pudore e alla decenza; dall'art. 116 c.s., in materia di guida senza patente. (2) Ai sensi dell'art. 19, comma 4, del D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159, gli ufficiali di P.G., previa autorizzazione del procuratore della Repubblica o del giudice procedente, possono procedere al sequestro, «con le modalità di cui agli artt. 253, 254 e 255 c.p.p.», della documentazione esistente presso uffici della pubblica amministrazione, enti creditizi, imprese, società ed enti di ogni tipo, quando detta documentazione sia ritenuta utile ai fini delle indagini nei confronti di soggetti indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso. La medesima documentazione può essere richiesta, direttamente o a mezzo di ufficiali o agenti di P.G., dal procuratore della Repubblica o dal questore.

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254. Sequestro di corrispondenza. 1. Presso coloro che forniscono servizi postali, telegrafici, telematici o di telecomunicazioni è consentito procedere al sequestro di lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi e altri oggetti di corrispondenza, anche se inoltrati per via telematica, che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere spediti dall'imputato o a lui diretti, anche sotto nome diverso o per mezzo di persona diversa, o che comunque possono avere relazione con il reato (15, 68 Cost.) (1). 2. Quando al sequestro procede un ufficiale di polizia giudiziaria (57), questi deve consegnare all'autorità giudiziaria gli oggetti di corrispondenza sequestrati, senza aprirli o alterarli (2) e senza prendere altrimenti conoscenza del loro contenuto (353). 3. Le carte e gli altri documenti sequestrati che non rientrano fra la corrispondenza sequestrabile sono immediatamente restituiti all'avente diritto e non possono comunque essere utilizzati (1036) (3). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 8, comma 4, lett. a), della L. 18 marzo 2008, n. 48. (2) Le parole: «o alterarli» sono state inserite dall'art. 8, comma 4, lett. b), della L. 18 marzo 2008, n. 48. (3) Ai sensi dell'art. 19, comma 4, del D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159, gli ufficiali di P.G., previa autorizzazione del procuratore della Repubblica o del giudice procedente, possono procedere al sequestro, «con le modalità di cui agli artt. 253, 254 e 255 c.p.p.», della documentazione esistente presso uffici della pubblica amministrazione, enti creditizi, imprese, società ed enti di ogni tipo, quando detta documentazione sia ritenuta utile ai fini delle indagini nei confronti di soggetti indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso. La medesima documentazione può essere richiesta, direttamente o a mezzo di ufficiali o agenti di P.G., dal procuratore della Repubblica o dal questore.

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254 bis. (1) Sequestro di dati informatici presso fornitori di servizi informatici, telematici e di telecomunicazioni. 1. L'autorità giudiziaria, quando dispone il sequestro, presso i fornitori di servizi informatici, telematici o di telecomunicazioni, dei dati da questi detenuti, compresi quelli di traffico o di ubicazione, può stabilire, per esigenze legate alla regolare fornitura dei medesimi servizi, che la loro acquisizione avvenga mediante copia di essi su adeguato supporto, con una procedura che assicuri la conformità dei dati acquisiti a quelli originali e la loro immodificabilità. In questo caso è, comunque, ordinato al fornitore dei servizi di conservare e proteggere adeguatamente i dati originali. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 8, comma 5, della L. 18 marzo 2008, n. 48.

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255. Sequestro presso banche. 1. L'autorità giudiziaria può procedere al sequestro presso banche di documenti, titoli, valori, somme depositate in conto corrente e di ogni altra cosa, anche se contenuti in cassette di sicurezza, quando abbia fondato motivo di ritenere che siano pertinenti al reato, quantunque non appartengano all'imputato o non siano iscritti al suo nome (2482) (1). (1) Ai sensi dell'art. 19, comma 4, del D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159, gli ufficiali di P.G., previa autorizzazione del procuratore della Repubblica o del giudice procedente, possono procedere al sequestro, «con le modalità di cui agli artt. 253, 254 e 255 c.p.p.», della documentazione esistente presso uffici della pubblica amministrazione, enti creditizi, imprese, società ed enti di ogni tipo, quando detta documentazione sia ritenuta utile ai fini delle indagini nei confronti di soggetti indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso. La medesima documentazione può essere richiesta, direttamente o a mezzo di ufficiali o agenti di P.G., dal procuratore della Repubblica o dal questore.

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256. (1) Dovere di esibizione e segreti. 1. Le persone indicate negli artt. 200 e 201 devono consegnare immediatamente all'autorità giudiziaria, che ne faccia richiesta, gli atti e i documenti, anche in originale se così è ordinato, nonché i dati, le informazioni e i programmi informatici, anche mediante copia di essi su adeguato supporto, (2) e ogni altra cosa esistente presso di esse per ragioni del loro ufficio, incarico, ministero, professione o arte, salvo che dichiarino per iscritto che si tratti di segreti di Stato (202) ovvero di segreto inerente al loro ufficio o professione (200). 2. Quando la dichiarazione concerne un segreto di ufficio o professionale (200), l'autorità giudiziaria, se ha motivo di dubitare della fondatezza di essa e ritiene di non potere procedere senza acquisire gli atti, i documenti o le cose indicati nel comma 1, provvede agli accertamenti necessari. Se la dichiarazione risulta infondata, l'autorità giudiziaria dispone il sequestro. 3. Quando la dichiarazione concerne un segreto di Stato, l'autorità giudiziaria ne informa il presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendo che ne sia data conferma. Qualora il segreto sia confermato e la prova sia essenziale per la definizione del processo, il giudice dichiara non doversi procedere per l'esistenza di un segreto di Stato. 4. Qualora, entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta, il Presidente del Consiglio dei Ministri non dia conferma del segreto, l'autorità giudiziaria dispone il sequestro. 5. Si applica la disposizione dell'art. 204. (1) Si veda l'art. 42, comma 8, della L. 3 agosto 2007, n. 124, che così dispone: «8. Qualora l'autorità giudiziaria ordini l'esibizione di documenti classificati per i quali non sia opposto il segreto di Stato, gli atti sono consegnati all'autorità giudiziaria richiedente, che ne cura la conservazione con modalità che ne tutelino la riservatezza, garantendo il diritto delle parti nel procedimento a prenderne visione senza estrarne copia». (2) Le parole: «nonché i dati, le informazioni e i programmi informatici, anche mediante copia di essi su adeguato supporto,» sono state inserite dall'art. 8, comma 6, della L. 18 marzo 2008, n. 48.

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256 bis. (1) Acquisizione di documenti, atti o altre cose da parte dell'autorità giudiziaria presso le sedi dei servizi di informazione per la sicurezza. 1. Quando deve disporre l'acquisizione di documenti, atti o altre cose presso le sedi dei servizi di informazione per la sicurezza, presso gli uffici del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza o comunque presso uffici collegati all'esercizio delle funzioni di informazione per la sicurezza della Repubblica, l'autorità giudiziaria indica nell'ordine di esibizione, in modo quanto più possibile specifico, i documenti, gli atti e le cose oggetto della richiesta. 2. L'autorità giudiziaria procede direttamente sul posto all'esame dei documenti, degli atti e delle cose e acquisisce agli atti quelli strettamente indispensabili ai fini dell'indagine. Nell'espletamento di tale attività, l'autorità giudiziaria può avvalersi della collaborazione di ufficiali di polizia giudiziaria. 3. Quando ha fondato motivo di ritenere che i documenti, gli atti o le cose esibiti non siano quelli richiesti o siano incompleti, l'autorità giudiziaria informa il Presidente del Consiglio dei ministri, che provvede a disporre la consegna di ulteriori documenti, atti o cose o, se ne ricorrono i presupposti, a confermare l'inesistenza di ulteriori documenti, atti o cose. 4. Quando deve essere acquisito, in originale o in copia, un documento, un atto o una cosa, originato da un organismo informativo estero, trasmesso con vincolo di non divulgazione, l'esame e la consegna immediata sono sospesi e il documento, l'atto o la cosa è trasmesso immediatamente al Presidente del Consiglio dei ministri affinché vengano assunte le necessarie iniziative presso l'autorità estera per le relative determinazioni in ordine all'apposizione del segreto di Stato. 5. Nell'ipotesi prevista al comma 4, il Presidente del Consiglio dei ministri autorizza l'acquisizione del documento, dell'atto o della cosa ovvero oppone o conferma il segreto di Stato entro sessanta giorni dalla trasmissione. 6. Se il Presidente del Consiglio dei ministri non si pronuncia nel termine di cui al comma 5, l'autorità giudiziaria acquisisce il documento, l'atto o la cosa. (1) Questo articolo è stato inserito, a decorrere dal 12 ottobre 2007, dall'art. 15 della L. 3 agosto 2007, n. 124.

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256 ter. (1) Acquisizione di atti, documenti o altre cose per i quali viene eccepito il segreto di Stato. 1. Quando devono essere acquisiti, in originale o in copia, documenti, atti o altre cose per i quali il responsabile dell'ufficio detentore eccepisce il segreto di Stato, l'esame e la consegna sono sospesi; il documento, l'atto o la cosa è sigillato in appositi contenitori e trasmesso prontamente al Presidente del Consiglio dei ministri. 2. Nell'ipotesi prevista al comma 1, il Presidente del Consiglio dei ministri autorizza l'acquisizione del documento, dell'atto o della cosa ovvero conferma il segreto di Stato entro trenta giorni dalla trasmissione. 3. Se il Presidente del Consiglio dei ministri non si pronuncia nel termine di cui al comma 2, l'autorità giudiziaria acquisisce il documento, l'atto o la cosa. (1) Questo articolo è stato inserito, a decorrere dal 12 ottobre 2007, dall'art. 16 della L. 3 agosto 2007, n. 124.

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257. Riesame del decreto di sequestro. 1. Contro il decreto di sequestro (253) l'imputato, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell'art. 324. 2. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento. Vai alla dottrina     ↓

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258. Copie dei documenti sequestrati. 1. L'autorità giudiziaria può fare estrarre copia degli atti e dei documenti sequestrati, restituendo gli originali, e, quando il sequestro di questi è mantenuto, può autorizzare la cancelleria o la segreteria a rilasciare gratuitamente copia autentica a coloro che li detenevano legittimamente (116, 243). 2. I pubblici ufficiali (357 c.p.) possono rilasciare copie, estratti o certificati dei documenti loro restituiti dall'autorità giudiziaria in originale o in copia, ma devono fare menzione in tali copie, estratti o certificati del sequestro esistente. 3. In ogni caso la persona o l'ufficio presso cui fu eseguito il sequestro ha diritto di avere copia del verbale (135) dell'avvenuto sequestro. 4. Se il documento sequestrato fa parte di un volume o di un registro da cui non possa essere separato e l'autorità giudiziaria non ritiene di farne estrarre copia, l'intero volume o registro rimane in deposito giudiziario. Il pubblico ufficiale addetto con l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, rilascia agli interessati che li richiedono copie, estratti o certificati delle parti del volume o del registro non soggette al sequestro, facendo menzione del sequestro parziale nelle copie, negli estratti e nei certificati. Vai alla dottrina     ↓

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259. Custodia delle cose sequestrate.(1) 1. Le cose sequestrate sono affidate in custodia alla cancelleria o alla segreteria. Quando ciò non è possibile o non è opportuno, l'autorità giudiziaria dispone che la custodia avvenga in luogo diverso, determinandone il modo e nominando un altro custode, idoneo a norma dell'art. 120 (att. 813, 82; reg. 10, 11). 2. All'atto della consegna, il custode è avvertito dell'obbligo di conservare e di presentare le cose a ogni richiesta dell'autorità giudiziaria nonché delle pene previste dalla legge penale per chi trasgredisce ai doveri della custodia. Quando la custodia riguarda dati, informazioni o programmi informatici, il custode è altresì avvertito dell'obbligo di impedirne l'alterazione o l'accesso da parte di terzi, salva, in quest'ultimo caso, diversa disposizione dell'autorità giudiziaria (2). Al custode può essere imposta una cauzione. Dell'avvenuta consegna, dell'avvertimento dato e della cauzione imposta è fatta menzione nel verbale. La cauzione è ricevuta, con separato verbale (135), nella cancelleria o nella segreteria. (1) Per la destinazione dei beni sequestrati o confiscati a seguito di operazioni anticontrabbando, si veda l'art. 301 bis del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, testo unico delle leggi doganali. Per la destinazione dei beni sequestrati nelle operazioni di contrasto delle immigrazioni clandestine si veda l'art. 12 del D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286. Per l'impiego dei beni sequestrati nelle attività di contrasto della prostituzione minorile si veda l'art. 14 della L. 3 agosto 1998, n. 269. Per quanto riguarda l'amministrazione dei beni confiscati nel quadro della lotta alla delinquenza mafiosa, si veda il D.L. 14 giugno 1989, n. 230, convertito, con modificazioni, in L. 4 agosto 1989, n. 282. (2) Questo periodo è stato inserito dall'art. 8, comma 7, della L. 18 marzo 2008, n. 48.

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260. Apposizione dei sigilli alle cose sequestrate. Cose deperibili. Distruzione di cose sequestrate.(1) 1. Le cose sequestrate si assicurano con il sigillo dell'ufficio giudiziario e con le sottoscrizioni dell'autorità giudiziaria e dell'ausiliario che la assiste (126) ovvero, in relazione alla natura delle cose, con altro mezzo, anche di carattere elettronico o informatico, (2) idoneo a indicare il vincolo imposto a fini di giustizia (349 c.p.). 2. L'autorità giudiziaria fa estrarre copia dei documenti e fa eseguire fotografie o altre riproduzioni delle cose sequestrate che possono alterarsi o che sono di difficile custodia, le unisce agli atti e fa custodire in cancelleria o segreteria gli originali dei documenti, disponendo, quanto alle cose, in conformità dell'art. 259. Quando si tratta di dati, di informazioni o di programmi informatici, la copia deve essere realizzata su adeguati supporti, mediante procedura che assicuri la conformità della copia all'originale e la sua immodificabilità; in tali casi, la custodia degli originali può essere disposta anche in luoghi diversi dalla cancelleria o dalla segreteria (3). 3. Se si tratta di cose che possono alterarsi, l'autorità giudiziaria ne ordina, secondo i casi, l'alienazione o la distruzione (att. 83). 3 bis. L'autorità giudiziaria procede, altresì, anche su richiesta dell'organo accertatore, alla distruzione delle merci di cui sono comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione quando le stesse sono di difficile custodia, ovvero quando la custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica ovvero quando, anche all'esito di accertamenti compiuti ai sensi dell'articolo 360, risulti evidente la violazione dei predetti divieti. L'autorità giudiziaria dispone il prelievo di uno o più campioni con l'osservanza delle formalità di cui all'articolo 364 e ordina la distruzione della merce residua (4). 3 ter. Nei casi di sequestro nei procedimenti a carico di ignoti, la polizia giudiziaria, decorso il termine di tre mesi dalla data di effettuazione del sequestro, può procedere alla distruzione delle merci contraffatte sequestrate, previa comunicazione all'autorità giudiziaria. La distruzione può avvenire dopo 15 giorni dalla comunicazione salva diversa decisione dell'autorità giudiziaria. È fatta salva la facoltà di conservazione di campioni da utilizzare a fini giudiziari (4). (1) Le parole: «. Distruzione di cose sequestrate» sono state aggiunte dall'art. 2, comma 1, lett. a bis), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125. (2) Le parole: «, anche di carattere elettronico o informatico,» sono state inserite dall'art. 8, comma 8, lett. a), della L. 18 marzo 2008, n. 48. (3) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 8, comma 8, lett. b), della L. 18 marzo 2008, n. 48. (4) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125.

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261. Rimozione e riapposizione dei sigilli. 1. L'autorità giudiziaria, quando occorre procedere alla rimozione dei sigilli, ne verifica prima l'identità e l'integrità con l'assistenza dell'ausiliario. Compiuto l'atto per cui si è resa necessaria la rimozione dei sigilli, le cose sequestrate sono nuovamente sigillate dall'ausiliario (126) in presenza dell'autorità giudiziaria. L'autorità giudiziaria e l'ausiliario appongono presso il sigillo la data e la sottoscrizione. Vai alla dottrina     ↓

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262. Durata del sequestro e restituzione delle cose sequestrate. 1. Quando non è necessario mantenere il sequestro a fini di prova, le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, anche prima della sentenza. Se occorre, l'autorità giudiziaria prescrive di presentare a ogni richiesta le cose restituite e a tal fine può imporre cauzione. 2. Nel caso previsto dal comma 1, la restituzione non è ordinata se il giudice dispone, a richiesta del pubblico ministero o della parte civile, che sulle cose appartenenti all'imputato o al responsabile civile sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell'art. 316. 3. Non si fa luogo alla restituzione e il sequestro è mantenuto ai fini preventivi quando il giudice provvede a norma dell'art. 321. 3 bis. Trascorsi cinque anni dalla data della sentenza non più soggetta ad impugnazione, le somme di denaro sequestrate, se non ne è stata disposta la confisca e nessuno ne ha chiesto la restituzione, reclamando di averne diritto, sono devolute allo Stato (1). 4. Dopo la sentenza non più soggetta a impugnazione (4602, 648) le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, salvo che sia disposta la confisca (240 c.p.). (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 2, comma 612, della L. 24 dicembre 2007, n. 244.

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263. Procedimento per la restituzione delle cose sequestrate. 1. La restituzione delle cose sequestrate è disposta dal giudice con ordinanza se non vi è dubbio sulla loro appartenenza (att. 84, 85). 2. Quando le cose sono state sequestrate presso un terzo, la restituzione non può essere ordinata a favore di altri senza che il terzo sia sentito in camera di consiglio con le forme previste dall'art. 127. 3. In caso di controversia sulla proprietà delle cose sequestrate, il giudice ne rimette la risoluzione al giudice civile del luogo competente in primo grado, mantenendo nel frattempo il sequestro. 4. Nel corso delle indagini preliminari (326 ss., 551 ss.), sulla restituzione delle cose sequestrate il pubblico ministero provvede con decreto motivato (1). 5. Contro il decreto del pubblico ministero che dispone la restituzione o respinge la relativa richiesta (2), gli interessati possono proporre opposizione sulla quale il giudice provvede a norma dell'art. 127. 6. Dopo la sentenza non più soggetta a impugnazione (648), provvede il giudice dell'esecuzione (665, 676). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 10 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (2) Le parole: «o respinge la relativa richiesta» sono state introdotte dall'art. 10 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

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264. (1) Provvedimenti in caso di mancata restituzione. 1. Dopo un anno dal giorno in cui la sentenza è divenuta inoppugnabile (648), se la richiesta di restituzione non è stata proposta o è stata respinta, il giudice dell'esecuzione (665) dispone con ordinanza che il denaro, i titoli al portatore, quelli emessi o garantiti dallo Stato anche se non al portatore e i valori di bollo siano depositati nell'ufficio del registro del luogo. Negli altri casi, ordina la vendita delle cose, secondo la loro qualità, nelle pubbliche borse o all'asta pubblica, da eseguirsi a cura della cancelleria. Tuttavia, se tali cose hanno interesse scientifico ovvero pregio di antichità o di arte, ne è ordinata la consegna al Ministero di grazia e giustizia (att. 86, 87, 88; reg. 13). 2. L'autorità giudiziaria può disporre la vendita anche prima del termine indicato nel comma 1 o immediatamente dopo il sequestro, se le cose non possono essere custodite senza pericolo di deterioramento o senza rilevante dispendio. 3. La somma ricavata dalla vendita è versata in deposito giudiziale nell'ufficio postale del luogo. Questa somma e i valori depositati presso l'ufficio del registro, dedotte le spese indicate nell'art. 265, sono devoluti dopo due anni alla cassa delle ammende se nessuno ha provato di avervi diritto. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Si vedano ora gli artt. 151-155 del medesimo provvedimento, di cui si riporta il testo: «Art. 151 (L). (*) (Provvedimenti in caso di mancato ritiro del bene restituito e vendita in casi particolari). 1. Se l'avente diritto alla restituzione delle cose affidate in custodia a terzi, ovvero alla cancelleria, è ignoto o irreperibile, il cancelliere presenta gli atti al magistrato, il quale ordina la vendita delle cose sequestrate da eseguirsi non oltre sessanta giorni dalla data del provvedimento. «2. Con il provvedimento che ordina la vendita delle cose sequestrate, il magistrato stabilisce le modalità della vendita ed il luogo in cui deve eseguirsi. «3. La vendita è disposta dal magistrato, in ogni momento, se i beni non possono essere custoditi senza pericolo di deterioramento o senza rilevante dispendio. Il provvedimento è comunicato all'avente diritto. «4. Il provvedimento che dispone la vendita deve essere affisso per dieci giorni continui nell'albo del tribunale e degli altri uffici giudiziari del circondario. «5. L'elenco dei beni rimasti invenduti deve essere presentato al magistrato che ne dispone la distruzione. «6. Le operazioni di distruzione sono esentate dal pagamento di qualsiasi tributo od onere ai fini degli adempimenti relativi alle formalità per l'annotazione nei pubblici registri. «7. Allo stesso modo si provvede per i beni affidati alla cancelleria per i quali l'avente diritto non ha comunque provveduto al ritiro». «152 (R). (Vendita). 1. La vendita dei beni, secondo la loro qualità, è eseguita a cura dell'ufficio anche a mezzo degli istituti di vendite giudiziarie. «2. Se i beni hanno interesse scientifico o pregio di antichità o di arte, prima della vendita, è avvisato il Ministero della giustizia per l'eventuale destinazione di questi beni al museo criminale presso il Ministero o altri istituti. «3. Il comma 2 si applica anche in caso di beni su cui è stata disposta la confisca». «153 (R). (Modalità di deposito delle somme ricavate dalla vendita dei beni sequestrati e delle somme e dei valori sequestrati). 1. Le somme e i valori in sequestro e le somme ricavate dalla vendita dei beni sequestrati sono depositate presso i concessionari. «2. Con apposita convenzione con i concessionari, da approvarsi con decreto del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sono individuate le modalità tecniche e le forme più idonee e proficue per assicurare alle somme ricavate dalla vendita e alle somme e ai valori in sequestro il vincolo di destinazione di cui all'articolo 154».

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«Art. 154 (L). (*) (Destinazione del ricavato della vendita e di somme e valori). 1. Decorsi tre mesi dalla vendita delle cose sequestrate, se nessuno ha provato di avervi diritto, le somme ricavate dalla vendita sono devolute alla cassa delle ammende, dedotte le spese di cui all'articolo 155. «2. Le somme e i valori sequestrati sono devoluti alla cassa delle ammende decorsi tre mesi dalla rituale comunicazione dell'avviso di cui all'articolo 150, comma 4, senza che l'avente diritto abbia provveduto al ritiro. «3. Se l'avente diritto alla restituzione di somme o di valori sequestrati è ignoto o irreperibile, le somme e i valori sono devoluti alla cassa delle ammende decorsi sei mesi dalla data in cui la sentenza è passata in giudicato o il provvedimento è divenuto definitivo». «155 (L). (Spese nella procedura di vendita di beni sequestrati). 1. Nella procedura di vendita di beni sottoposti a sequestro penale, alcune spese sono prenotate a debito, altre sono anticipate dall'erario. «2. Sono spese prenotate a debito: a) il contributo unificato; b) i diritti di copia. «3. Sono spese anticipate dall'erario: a) le spese di spedizione o l'indennità di trasferta degli ufficiali giudiziari per le notificazioni civili a richiesta d'ufficio; b) le spese ed onorari agli ausiliari del magistrato; c) l'indennità di custodia; d) le spese per gli strumenti di pubblicità dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria». (*) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 9 bis, comma 1, lett. g), del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, nella L. 17 agosto 2005, n. 168. (*) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 9 bis, comma 1, lett. h), del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, nella L. 17 agosto 2005, n. 168.

265. (1) Spese relative al sequestro penale. 1. Le spese occorrenti per la conservazione e per la custodia delle cose sequestrate per il procedimento penale sono anticipate dallo Stato, salvo all'erario il diritto di recupero a preferenza di ogni altro creditore sulle somme e sui valori indicati nell'art. 264. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Si vedano ora gli artt. 151-155 del medesimo provvedimento, riportati in nota sub art. 264 c.p.p.

Capo IV. INTERCETTAZIONI

DI CONVERSAZIONI

O COMUNICAZIONI. Vai alla dottrina     ↓

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266. Limiti di ammissibilità.(1) (2) 1. L'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione è consentita nei procedimenti relativi ai seguenti reati (15 Cost.): a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell' ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'art. 4; b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'art. 4; c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope; d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive; e) delitti di contrabbando; f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, (3) abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, (4) molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono; f bis) delitti previsti dall'articolo 600 ter, terzo comma, del codice penale, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater1 del medesimo codice (5), nonché dall'art. 609 undecies (6)(7). f ter) delitti previsti dagli articoli 444, 473, 474, 515, 516, 517 quater e 633, secondo comma, del codice penale (8) (9); f quater) delitto previsto dall'articolo 612 bis del codice penale (10); f quinquies) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416 bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (11). 2. Negli stessi casi è consentita l'intercettazione di comunicazioni tra presenti, che può essere eseguita anche mediante l'inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile (12). Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall'art. 614 del codice penale, l'intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa (1035) (13). 2 bis. L'intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è sempre consentita nei procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater, e, previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l'utilizzo anche nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale, per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4 (14) (15). (1) La libertà e la segretezza delle comunicazioni sono tutelate dal codice penale negli artt. 615 bis (Interferenze illecite nella vita privata); 617 (Cognizione, interruzione o impedimento illecito di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche); 617 bis (Installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche) e 623 bis (Comunicazioni e conversazioni non telegrafiche o telefoniche). Si vedano, altresì, l'art. 68 comma ultimo Cost. e, per i procedimenti relativi ai delitti di cui all'art. 90 Cost., l'art. 10 della L. Cost. 16 gennaio 1989, n. 1. (2) Si veda anche l'art. 226 delle disposizioni di coordinamento del codice di procedura penale. Inoltre l'art. 1, ottavo comma, del D.L. 6 settembre 1982, n. 629, convertito con modificazioni in L. 12 ottobre 1982, n. 726,

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recante misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, ulteriormente modificato dall'art. 1 della L. 15 novembre 1988, n. 486, attribuisce all'Alto commissario per il coordinamento della lotta contro la mafia un potere di intercettazione telefonica preventiva, a soli fini probatori e privo di valore processuale. Analogo potere, sempre finalizzato alla prosecuzione delle indagini e irrilevante ai fini processuali, è attribuito dall'art. 78 del D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159, al procuratore della Repubblica del luogo dove le operazioni devono essere eseguite, che può autorizzare gli ufficiali di P.G. ad intercettazioni telefoniche o telegrafiche o previste dall'art. 623 bis c.p., per controllare che le persone sottoposte a sorveglianza speciale, cui può essere aggiunto l'obbligo o il divieto di soggiorno, non continuino a porre in essere attività o comportamenti analoghi a quelli che hanno determinato l'applicazione della misura di prevenzione. Si veda anche l'art. 13 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152. (3) Le parole: «usura, abusiva attività finanziaria,» sono state inserite dall'art. 8, comma 1, della L. 7 marzo 1996, n. 108. (4) Le parole: «abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato,» sono state inserite dall'art. 9, comma 5, della L. 18 aprile 2005, n. 62. (5) Le parole: «, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater1 del medesimo codice» sono state aggiunte dall'art. 13 della L. 6 febbraio 2006, n. 38. (6) Le parole: «, nonché dall'art. 609 undecies» sono state aggiunte dall'art. 4, comma 1, del D.L.vo 4 marzo 2014, n. 39. (7) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 12 della L. 3 agosto 1998, n. 269. (8) Le parole: «516 e 517 quater del codice penale;» sono state così sostituite dalle seguenti: «516, 517 quater e 633, secondo comma, del codice penale;» dall'art. 31, comma 1, del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, nella L. 1 dicembre 2018, n. 132. (9) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 14, comma 3, della L. 14 gennaio 2013, n. 9. L'art. 14, comma 1, prevede inoltre che ai delitti di adulterazione o di frode di oli di oliva vergini commessi al fine di conseguire un ingiustificato profitto con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate non si applica la sospensione nel periodo feriale dei termini delle indagini preliminari, la cui durata complessiva non può essere superiore a venti mesi. (10) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 2, comma 1, lett. 0b), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (11) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 2, comma 1, lett. b bis), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento così come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (12) Le parole: «, che può essere eseguita anche mediante l'inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile» sono state aggiunte dall’art. 4, comma 1, lett. a), n. 1), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 1, del medesimo provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020. (13) Una disciplina derogatrice a quanto previsto in questo articolo è stata introdotta in relazione ai delitti di criminalità organizzata dall'art. 13 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 1991, n. 203.

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(14) Le parole: «, e per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata ai sensi dell'articolo 4» inserite dall'art. 1, comma 4, lett. a), della L. 9 gennaio 2019, n. 3, sono state poi così sostituite dalle attuali, con esclusione della virgola: «e, previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l'utilizzo anche nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale, per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4» dall'art. 2, comma 1, lett. c), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento così come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (15) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 4, comma 1, lett. a), n. 2), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 1, del medesimo provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020. A norma dell'art. 6, comma 1, del D.L.vo n. 216/2017, così come modificato dall'art. 2, comma 7, del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7, con applicazione ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, nei procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4 del codice di procedura penale, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.

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266 bis. (1) Intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche. 1. Nei procedimenti relativi ai reati indicati nell'articolo 266, nonché a quelli commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche, è consentita l'intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi. (1) Articolo aggiunto dall'art. 11 della L. 23 dicembre 1993, n. 547, recante modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e di procedura in tema di criminalità informatica.

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267. Presupposti e forme del provvedimento. 1. Il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari (328) l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'art. 266. L'autorizzazione è data con decreto motivato (1253) quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini. Il decreto che autorizza l'intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile indica le ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini; nonchè, se si procede per delitti diversi da quelli di cui all'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater, e dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4, (1) i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono (2)(3). 1 bis. Nella valutazione dei gravi indizi di reato si applica l'articolo 203 (4). 2. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone l'intercettazione con decreto motivato, che va comunicato immediatamente e comunque non oltre le ventiquattro ore al giudice indicato nel comma 1. Il giudice, entro quarantotto ore dal provvedimento, decide sulla convalida con decreto motivato. Se il decreto del pubblico ministero non viene convalidato nel termine stabilito, l'intercettazione non può essere proseguita e i risultati di essa non possono essere utilizzati. 2 bis. Nei casi di cui al comma 2, il pubblico ministero può disporre, con decreto motivato, l'intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile soltanto nei procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater e per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4 (5). A tal fine indica, oltre a quanto previsto dal comma 1, secondo periodo, le ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice. Il decreto è trasmesso al giudice che decide sulla convalida nei termini, con le modalità e gli effetti indicati al comma 2 (6). 3. Il decreto del pubblico ministero che dispone l'intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni. Tale durata non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni, qualora permangano i presupposti indicati nel comma 1. 4. Il pubblico ministero procede alle operazioni personalmente ovvero avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria (57, 370). [L'ufficiale di polizia giudiziaria provvede a norma dell'articolo 268, comma 2 bis, informando preventivamente il pubblico ministero con annotazione sui contenuti delle comunicazioni e conversazioni] (7). 5. In apposito registro riservato gestito, anche con modalità informatiche, e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica, sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o

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prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l'inizio e il termine delle operazioni (892) (8). (1) Le parole: «e per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata ai sensi dell'articolo 4,» inserite dall'art. 1, comma 4, lett. b), della L. 9 gennaio 2019, n. 3, sono state così sostituite dalle attuali senza la virgola finale: «e dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4» dall'art. 2, comma 1, lett. d), n. 1), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento così come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (2) Questo periodo è stato aggiunto dall’art. 4, comma 1, lett. b), n. 1), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 1, del medesimo provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020. (3) Una disciplina derogatrice a quanto previsto in questo articolo è stata introdotta in relazione ai delitti di criminalità organizzata dall'art. 13 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 1991, n. 203 ed estesa ai delitti di sfruttamento della prostituzione e contro la personalità individuale con l'art. 9 della L. 11 agosto 2003, n. 228, sulla tratta delle persone. (4) Questo comma è stato inserito dall'art. 10 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (5) Le parole: «e per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4» sono state aggiunte dall'art. 2, comma 1, lett. d), n. 2), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento così come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (6) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 4, comma 1, lett. b), n. 2), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 1, del medesimo provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020. (7) Questo periodo, aggiunto dall’art. 2, comma 1, lett. c), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216, è stato soppresso dall'art. 2, comma 1, lett. d), n. 3), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (8) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. d), n. 4), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con

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modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. Si riporta il testo previgente: «5. In apposito registro riservato tenuto nell'ufficio del pubblico ministero sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l'inizio e il termine delle operazioni».

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268. (1) (2) Esecuzione delle operazioni. 1. Le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale (135; att. 89). 2. Nel verbale è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate. 2 bis. Il pubblico ministero dà indicazioni e vigila affinchè nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini (3). 2 ter. Il pubblico ministero, con decreto motivato, può disporre che le comunicazioni e conversazioni di cui al comma 2 bis siano trascritte nel verbale quando ne ritiene la rilevanza per i fatti oggetto di prova. Può altresì disporre la trascrizione nel verbale, se necessarie a fini di prova, delle comunicazioni e conversazioni relative a dati personali definiti sensibili dalla legge (4). 3. Le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica (att. 90). Tuttavia, quando tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria. 3 bis. Quando si procede a intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, il pubblico ministero può disporre che le operazioni siano compiute anche mediante impianti appartenenti a privati (5). Per le operazioni di avvio e di cessazione delle registrazioni con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, riguardanti comunicazioni e conversazioni tra presenti, l'ufficiale di polizia giudiziaria può avvalersi di persone idonee di cui all'articolo 348, comma 4 (6). 4. I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero per la conservazione nell'archivio di cui all'articolo 269, comma 1. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati presso l'archivio di cui all'articolo 269, comma 1, insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga (7). 5. Se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la chiusura delle indagini preliminari (405 ss.) (7). 6. Ai difensori (96 ss) delle parti è immediatamente dato avviso che, entro il termine fissato a norma dei commi 4 e 5, per via telematica hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. Scaduto il termine, il giudice dispone l'acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non appaiano irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione ( 271) e di quelli che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza. Il pubblico ministero e i difensori hanno diritto di partecipare allo stralcio e sono avvisati almeno ventiquattro ore prima (7).

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7. Il giudice, anche nel corso delle attività di formazione del fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'articolo 431, dispone la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l'espletamento delle perizie (221 ss.). Le trascrizioni o le stampe sono inserite nel fascicolo per il dibattimento. Il giudice, con il consenso delle parti, può disporre l'utilizzazione delle trascrizioni delle registrazioni ovvero delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche effettuate dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini. In caso di contestazioni si applicano le disposizioni di cui al primo periodo (7). 8. I difensori possono estrarre copia delle trascrizioni e fare eseguire la trasposizione della registrazione su idoneo supporto. In caso di intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche o telematiche i difensori possono richiedere copia su idoneo supporto dei flussi intercettati, ovvero copia della stampa prevista dal comma 7 (7). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 336 del 10 ottobre 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate. (2) Si veda l'art. 78 del D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159, recante codice antimafia, il quale stabilisce che il procuratore della Repubblica del luogo dove le operazioni debbono essere eseguite, può autorizzare gli ufficiali di polizia giudiziaria ad intercettare comunicazioni o conversazioni telefoniche o telegrafiche o quelle indicate nell'articolo 623 bis del codice penale, quando lo ritenga necessario al fine di controllare che i soggetti nei cui confronti sia stata applicata una delle misure di prevenzione di cui al libro I, titolo I, capo II non continuino a porre in essere attività o comportamenti analoghi a quelli che hanno dato luogo all'applicazione della misura di prevenzione. (3) Questo comma, inserito dall’art. 2, comma 1, lett. d), n. 1), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216, è stato poi così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. e), n. 1), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione.Si riporta il testo previgente:«2 bis. È vietata la trascrizione, anche sommaria, delle comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l'oggetto che per i soggetti coinvolti, nonchè di quelle, parimenti non rilevanti, che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge. Nel verbale delle operazioni sono indicate, in tali casi, soltanto la data, l'ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta.». (4) Questo comma, inserito dall’art. 2, comma 1, lett. d), n. 1), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216, è stato poi abrogato dall'art. 2, comma 1, lett. e), n. 2), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione.

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(5) Questo comma è stato inserito dall'art. 12 della L. 23 dicembre 1993, n. 547, recante modificazioni e integrazioni alle norme del codice penale e di procedura in tema di criminalità informatica. (6) Questo periodo è stato aggiunto dall’art. 4, comma 1, lett. c), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 1, del medesimo provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020. (7) Il precedente comma 4 è stato così, da ultimo, sostituito dagli attuali commi da 4 a 8 dall'art. 2, comma 1, lett. e), n. 3), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. Si riporta il testo precedente: «4. I verbali e le registrazioni sono trasmessi al pubblico ministero, per la conservazione nell'archivio di cui all'articolo 269, comma 1, immediatamente dopo la scadenza del termine indicato per lo svolgimento delle operazioni nei provvedimenti di autorizzazione o di proroga. Il pubblico ministero dispone con decreto il differimento della trasmissione dei verbali e delle registrazioni quando la prosecuzione delle operazioni rende necessario, in ragione della complessità delle indagini, che l'ufficiale di polizia giudiziaria delegato all'ascolto consulti le risultanze acquisite. Con lo stesso decreto fissa le prescrizioni per assicurare la tutela del segreto sul materiale non trasmesso».

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268 bis. (1) Deposito di verbali e registrazioni. 1. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, il pubblico ministero deposita le annotazioni, i verbali e le registrazioni, unitamente ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione, e forma l'elenco delle comunicazioni o conversazioni e dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche rilevanti a fini di prova. 2. Ai difensori delle parti è immediatamente dato avviso della facoltà di esaminare gli atti, di prendere visione dell'elenco di cui al comma 1, nonchè di ascoltare le registrazioni e di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. 3. Se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo, non oltre la chiusura delle indagini. (1) Questo articolo, inserito dall’art. 3, comma 1, lett. b), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216, è stato abrogato dall'art. 2, comma 1, lett. q), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione.

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268 ter. (1) Acquisizione al fascicolo delle indagini. 1. L'acquisizione delle comunicazioni o conversazioni utilizzate, nel corso delle indagini preliminari, per l'adozione di una misura cautelare è disposta dal pubblico ministero, con inserimento dei verbali e degli atti ad esse relativi nel fascicolo di cui all'articolo 373, comma 5. 2. Fuori dai casi di cui al comma 1, il pubblico ministero, entro cinque giorni dal deposito, presenta al giudice la richiesta di acquisizione delle comunicazioni o conversazioni e dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche contenuti nell'elenco formato a norma dell'articolo 268 bis, comma 1, e ne dà contestualmente comunicazione ai difensori. 3. I difensori, nel termine di dieci giorni dalla ricezione dell'avviso di cui all'articolo 268 bis, comma 2, hanno facoltà di richiedere l'acquisizione delle comunicazioni o conversazioni e dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche, rilevanti a fini di prova, non comprese nell'elenco formato dal pubblico ministero, ovvero l'eliminazione di quelle, ivi indicate, inutilizzabili o di cui è vietata la trascrizione, anche sommaria, nel verbale, ai sensi di quanto disposto dal comma 2 bis dell'articolo 268. Tale termine può essere prorogato dal giudice per un periodo non superiore a dieci giorni, in ragione della complessità del procedimento e del numero delle intercettazioni. 4. La richiesta, unitamente agli atti allegati, è depositata nella segreteria del pubblico ministero che ne cura l'immediata trasmissione al giudice. 5. Il pubblico ministero e i difensori, sino alla decisione del giudice, possono integrare le richieste e presentare memorie. 6. Il pubblico ministero, in relazione alle comunicazioni o conversazioni di cui al comma 1, può chiedere al giudice, con le modalità e nei termini indicati dai commi precedenti, l'eliminazione dal fascicolo dei verbali e delle registrazioni di cui ritiene, per elementi sopravvenuti, l'irrilevanza. (1) Questo articolo, inserito dall’art. 3, comma 1, lett. b), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216, è stato abrogato dall'art. 2, comma 1, lett. q), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione.

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268 quater. (1) Termini e modalità della decisione del giudice. 1. Decorsi cinque giorni dalla presentazione delle richieste, il giudice dispone con ordinanza, emessa in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori, l'acquisizione delle conversazioni e comunicazioni indicate dalle parti, salvo che siano manifestamente irrilevanti, e ordina, anche d'ufficio, lo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione. A tal fine può procedere all'ascolto delle conversazioni e comunicazioni. 2. Quando necessario, l'ordinanza è emessa all'esito dell'udienza fissata per il quinto giorno successivo alla scadenza del termine indicato al comma 1, con tempestivo avviso al pubblico ministero e ai difensori. 3. Con l'ordinanza viene meno il segreto sugli atti e i verbali delle conversazioni e comunicazioni oggetto di acquisizione. Essi sono inseriti nel fascicolo di cui all'articolo 373, comma 5. A tal fine il giudice ordina la trascrizione sommaria, a cura del pubblico ministero, del contenuto delle comunicazioni o conversazioni acquisite su richiesta dei difensori, se nel verbale delle operazioni di cui all'articolo 268, comma 2, sono indicate soltanto la data, l'ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta. 4. I difensori possono fare eseguire la trasposizione delle registrazioni acquisite su supporto informatico o altro strumento idoneo alla riproduzione dei dati e possono ottenere copia dei verbali delle operazioni concernenti le comunicazioni e conversazioni acquisite. 5. Gli atti e i verbali relativi a comunicazioni e conversazioni non acquisite sono immediatamente restituiti al pubblico ministero per la conservazione nell'archivio riservato di cui all'articolo 269, comma 1. 6. Alle operazioni di acquisizione provvede il giudice per le indagini preliminari che ha autorizzato, convalidato o prorogato le intercettazioni. (1) Questo articolo, inserito dall’art. 3, comma 1, lett. b), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216, è stato abrogato dall'art. 2, comma 1, lett. q), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione.

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269. Conservazione della documentazione. 1. I verbali e le registrazioni, e ogni altro atto ad esse relativo, sono conservati integralmente in apposito archivio gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell'ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni. Non sono coperti da segreto solo i verbali e le registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo di cui all'articolo 373, comma 5, o comunque utilizzati nel corso delle indagini preliminari. Al giudice per le indagini preliminari e ai difensori delle parti, successivamente al deposito effettuato ai sensi degli articoli 268 e 415 bis o nel caso previsto dall'articolo 454, comma 2 bis, per l'esercizio dei loro diritti e facoltà è consentito l'accesso all'archivio e l'ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate (1). 1 bis. Non sono coperti da segreto i verbali e le registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo di cui all'articolo 373, comma 5 (2). 2. Salvo quanto previsto dall'articolo 271 comma 3, le registrazioni sono conservate fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione. Tuttavia gli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, possono chiederne la distruzione, a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato o convalidato l'intercettazione. Il giudice decide in camera di consiglio a norma dell'articolo 127 (3). 3. La distruzione, nei casi in cui è prevista, viene eseguita sotto controllo del giudice. Dell'operazione è redatto verbale (135). (1) Questo comma è stato così, da ultimo, sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. f), n. 1), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. Si riporta il testo previgente: «1. I verbali e le registrazioni, e ogni altro atto ad esse relativo, sono conservati integralmente in apposito archivio riservato presso l'ufficio del pubblico ministero che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni, e sono coperti da segreto. Al giudice per le indagini preliminari e ai difensori dell'imputato per l'esercizio dei loro diritti e facoltà è in ogni caso consentito l'accesso all'archivio e l'ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate.». (2) Questo comma, inserito dall’art. 3, comma 1, lett. c), n. 2), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216, è stato abrogato dall'art. 2, comma 1, lett. f), n. 2), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. f), n, 3), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti

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successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. Si riporta il testo previgente: «2. Salvo quanto previsto dall'art. 271 comma 3, le registrazioni sono conservate fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione. Tuttavia gli interessati, a tutela della riservatezza, possono chiedere la distruzione delle registrazioni non acquisite al giudice che ha autorizzato o convalidato l'intercettazione. Il giudice decide in camera di consiglio a norma dell'art. 127.».

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270. Utilizzazione in altri procedimenti. 1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza e dei reati di cui all'articolo 266, comma 1 (1). 1 bis. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione qualora risultino indispensabili per l'accertamento dei delitti indicati dall'articolo 266, comma 2 bis (2). 2. Ai fini della utilizzazione prevista dal comma 1, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni sono depositati presso l'autorità competente per il diverso procedimento. Si applicano le disposizioni dell'articolo 268, commi 6, 7 e 8 (3). 3. Il pubblico ministero e i difensori delle parti (96 ss.) hanno altresì facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono autorizzate. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. g), n. 01), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. Si riporta il testo previgente: «1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza .». (2) Questo comma, inserito dall’art. 4, comma 1, lett. d), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216, è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. g), n. 1), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento così come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. Si riporta il testo previgente: «1 bis. I risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile non possono essere utilizzati per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza ». (3) Le parole: «dell'art. 268 commi 6, 7 e 8» sono state così sostituite dalle seguenti: «degli articoli 268 bis, 268 ter e 268 quater» dall’art. 3, comma 1, lett. d), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. Le parole: «degli articoli 268 bis , 268 ter e 268 quater » sono state così, da ultimo, sostituite dalle attuali: «dell'articolo 268, commi 6, 7 e 8» dall'art. 2, comma 1, lett. g), n. 2), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali

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disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione.

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270 bis. (1) Comunicazioni di servizio di appartenenti al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza e ai servizi di informazione per la sicurezza. 1. L'autorità giudiziaria, quando abbia acquisito, tramite intercettazioni, comunicazioni di servizio di appartenenti al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza o ai servizi di informazione per la sicurezza, dispone l'immediata secretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti tali comunicazioni. 2. Terminate le intercettazioni, l'autorità giudiziaria trasmette al Presidente del Consiglio dei ministri copia della documentazione contenente le informazioni di cui intende avvalersi nel processo, per accertare se taluna di queste informazioni sia coperta da segreto di Stato. 3. Prima della risposta del Presidente del Consiglio dei ministri, le informazioni ad esso inviate possono essere utilizzate solo se vi è pericolo di inquinamento delle prove, o pericolo di fuga, o quando è necessario intervenire per prevenire o interrompere la commissione di un delitto per il quale sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. Resta ferma la disciplina concernente la speciale causa di giustificazione prevista per attività del personale dei servizi di informazione per la sicurezza. 4. Se entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta il Presidente del Consiglio dei ministri non oppone il segreto, l'autorità giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per l'ulteriore corso del procedimento. 5. L'opposizione del segreto di Stato inibisce all'autorità giudiziaria l'utilizzazione delle notizie coperte dal segreto. 6. Non è in ogni caso precluso all'autorità giudiziaria di procedere in base ad elementi autonomi e indipendenti dalle informazioni coperte dal segreto. 7. Quando è sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, qualora il conflitto sia risolto nel senso dell'insussistenza del segreto di Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri non può più opporlo con riferimento al medesimo oggetto. Qualora il conflitto sia risolto nel senso della sussistenza del segreto di Stato, l'autorità giudiziaria non può acquisire nè utilizzare, direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali è stato opposto il segreto di Stato. 8. In nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento. (1) Questo articolo è stato inserito, a decorrere dal 12 ottobre 2007, dall'art. 28 della L. 3 agosto 2007, n. 124. Ai sensi dell'art. 45, comma 3, della medesima legge, le disposizioni di cui a questo articolo si applicano alle acquisizioni probatorie successive al 12 ottobre 2007, data di entrata in vigore della legge precitata.

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271. Divieti di utilizzazione. 1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge (1035, 266) o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli artt. 267 e 268 commi 1 e 3. 1 bis. Non sono in ogni caso utilizzabili i dati acquisiti nel corso delle operazioni preliminari all'inserimento del captatore informatico sul dispositivo elettronico portatile e i dati acquisiti al di fuori dei limiti di tempo e di luogo indicati nel decreto autorizzativo (1). 2. Non possono essere utilizzate le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni delle persone indicate nell'art. 200 comma 1, quando hanno a oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvo che le stesse persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati (1037). 3. In ogni stato e grado del processo il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni previste dai commi 1, 1 bis (2) e 2 sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato (2532). (1) Questo comma è stato inserito dall’art. 4, comma 1, lett. e), n. 1), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 1, del medesimo provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020. (2) Le parole: «, 1 bis» sono state inserite dall’art. 4, comma 1, lett. e), n. 2), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 1, del medesimo provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020.

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Libro IV. MISURE CAUTELARI. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo I. MISURE CAUTELARI

PERSONALI (1)(2)(3). (1) A norma dell'art. 2 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, nei procedimenti davanti al giudice di pace non si applicano le norme previste da questo titolo. (2) Si vedano l'art. 3 della L. Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 10 della L. Cost. 16 gennaio 1989, n. 1 (per i reati di cui all'art. 96 Cost.). (3) In quanto applicabili queste norme si osservano in materia di misure coercitive previste dall'art. 14 del D.L.vo 7 settembre 2010, n. 161 sul reciproco riconoscimento delle sentenze di condanna a pena detentiva.

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Capo I. DISPOSIZIONI GENERALI.

272. Limitazioni alle libertà della persona. 1. Le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo. Vai alla dottrina     ↓

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273. Condizioni generali di applicabilità delle misure. 1. Nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza (312). 1 bis. Nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza si applicano le disposizioni degli articoli 192, commi 3 e 4, 195, comma 7, 203 e 271, comma 1 (1). 2. Nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione (50 ss. c.p.) o di non punibilità (45 ss., 85 ss. c.p.) (2) o se sussiste una causa di estinzione del reato (4452; 150 ss. c.p.) ovvero una causa di estinzione della pena (171 c.p.) che si ritiene possa essere irrogata (299, 3142, 7362). (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 11 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (2) Casi specifici di non punibilità sono previsti dagli artt. 308, 309, 384, 3873, 3982, 463, 598, 599 e 649 c.p.

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274. Esigenze cautelari. 1. Le misure cautelari sono disposte: a) quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova (292, lett. d), 301; coord. 224), fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio. Le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti (1); b) quando l'imputato (60, 61) si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale (2) pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione (7142, 7152, lett. c). Le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede (3); c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto e attuale (4) pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede (coord. 224). Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (5) nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all'articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni (6). Le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell'imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede (7) (8). (1) Lettera così sostituita dall'art. 3, comma 1, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (2) Le parole: «e attuale» sono state inserite dall'art. 1 della L. 16 aprile 2015, n. 47. (3) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 1 della L. 16 aprile 2015, n. 47. (4) Le parole: «e attuale» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. a), della L. 16 aprile 2015, n. 47. (5) Le parole: «ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni» sono state aggiunte dall'art. 1, comma 1, lett. 0b), del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 94, a decorrere dal 3 luglio 2013. (6) Le parole: «nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all'articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni» sono state aggiunte dall'art. 2, comma 1, lett. b), della L. 16 aprile 2015, n. 47. (7) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. c), della L. 16 aprile 2015, n. 47. (8) Lettera così sostituita dall'art. 3, comma 2, della L. 8 agosto 1995, n. 332.

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275. Criteri di scelta delle misure.(1) 1. Nel disporre le misure (292), il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto. 1 bis. Contestualmente a una sentenza di condanna, l'esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell'articolo 274, comma 1, lettere b) e c) (2). 2. Ogni misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o (3) si ritiene possa essere irrogata. 2 bis. Non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. Salvo quanto previsto dal comma 3 e ferma restando l’applicabilità degli articoli 276, comma 1 ter, e 280, comma 3, non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni. Tale disposizione non si applica nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 423 bis, 572, 612 bis, 612 ter (4) e 624 bis del codice penale, nonché all’articolo 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e quando, rilevata l’inadeguatezza di ogni altra misura, gli arresti domiciliari non possano essere disposti per mancanza di uno dei luoghi di esecuzione indicati nell’articolo 284, comma 1, del presente codice (5). 2 ter. Nei casi di condanna di appello le misure cautelari personali sono sempre disposte, contestualmente alla sentenza, quando, all'esito dell'esame condotto a norma del comma 1 bis, risultano sussistere esigenze cautelari previste dall'articolo 274 e la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall'articolo 380, comma 1, e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole (6). 3. La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate (7). Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 270, 270 bis e 416 bis del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari (8). Salvo quanto previsto dal secondo periodo del presente comma, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater, del presente codice nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600 bis, primo comma, 600 ter, escluso il quarto comma, 600 quinquies e, quando non ricorrano le circostanze attenuanti contemplate, 609 bis, 609 quater e 609 octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure (8). [Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano anche in ordine ai delitti previsti dagli articoli 609 bis, 609 quater e 609

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octies del codice penale, salvo che ricorrano le circostanze attenuanti dagli stessi contemplate] (9) (10). 3 bis. Nel disporre la custodia cautelare in carcere il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all'articolo 275 bis, comma 1 (11). 4. Quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, non può essere disposta nè mantenuta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputato sia persona che ha superato l'età di settanta anni (12). 4 bis. Non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere quando l'imputato è persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'articolo 286 bis, comma 2, ovvero da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere (13). 4 ter. Nell'ipotesi di cui al comma 4 bis, se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e la custodia cautelare presso idonee strutture sanitarie penitenziarie non è possibile senza pregiudizio per la salute dell'imputato o di quella degli altri detenuti, il giudice dispone la misura degli arresti domiciliari presso un luogo di cura o di assistenza o di accoglienza. Se l'imputato è persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, gli arresti domiciliari possono essere disposti presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell'assistenza ai casi di AIDS, ovvero presso una residenza collettiva o casa alloggio di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 5 giugno 1990, n. 135 (13). 4 quater. Il giudice può comunque disporre la custodia cautelare in carcere qualora il soggetto risulti imputato o sia stato sottoposto ad altra misura cautelare per uno dei delitti previsti dall'articolo 380, relativamente a fatti commessi dopo l'applicazione delle misure disposte ai sensi dei commi 4 bis e 4 ter. In tal caso il giudice dispone che l'imputato venga condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie (13). 4 quinquies. La custodia cautelare in carcere non può comunque essere disposta o mantenuta quando la malattia si trova in una fase così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative (13). 5. (Omissis) (14). (1) Per la disciplina delle misure cautelari con riferimento ad imputati minorenni si vedano gli artt. 19 ss. del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni, e gli artt. 36 ss. del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. Per i provvedimenti restrittivi nei confronti dei tossico o alcool/dipendenti che abbiano in corso programmi terapeutici si veda l'art. 89 T.U. 9 ottobre 1990, n. 309, sugli stupefacenti.

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(2) Questo comma è stato inserito dall'art. 16, comma 1, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, e poi così sostituito dall'art. 14, comma 1, lett. a), della L. 26 marzo 2001, n. 128. (3) Le parole: «sia stata o» sono state inserite dall'art. 14, comma 1, lett. b), della L. 26 marzo 2001, n. 128. (4) La parola: «, 612 ter» è stata inserita dall'art. 16, comma 1, della L. 19 luglio 2019, n. 69. (5) Questo comma, inserito dall'art. 4, comma 2, della L. 8 agosto 1995, n. 332, è stato così sostituito dall'art. 8 del D.L. 26 giugno 2014, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 117. (6) Questo comma è stato inserito dall'art. 14, comma 1, lett. c), della L. 26 marzo 2001, n. 128. (7) Il primo periodo di questo comma è stato così sostituito dall'attuale, dall'art. 3 della L. 16 aprile 2015, n. 47. (8) Il secondo periodo di questo comma è stato così sostituito dagli attuali secondo e terzo, dall'art. 4, comma 1, della L. 16 aprile 2015, n. 47. (9) Questo periodo è stato soppresso dall'art. 4, comma 2, della L. 16 aprile 2015, n. 47. (10) Questo comma era stato dapprima modificato dall'art. 5 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 1991, n. 203 e poi sostituito dall'art. 5, comma 1, della L. 8 agosto 1995, n. 332. A norma degli artt. 3 e 4, commi 1 e 2, della L. 16 aprile 2015, n. 47, questo comma è stato da ultimo completamente riformulato. Per il procedimento minorile si veda l'art. 192 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni, come modificato dall'art. 54 del D.L. n. 152/1991. (11) Questo comma è stato inserito dall'art. 4, comma 3, della L. 16 aprile 2015, n. 47. (12) Questo comma, dapprima sostituito dall'art. 1 del D.L. 9 settembre 1991, n. 292, convertito, con modificazioni, nella L. 8 novembre 1991, n. 356, è stato da ultimo così sostituito dall'art. 1, comma 1, della L. 21 aprile 2011, n. 62. A norma dell'art. 1, comma 4, della medesima legge, tali disposizioni si applicano a far data dalla completa attuazione del piano straordinario penitenziario, e comunque a decorrere dal 1° gennaio 2014, fatta salva la possibilità di utilizzare i posti già disponibili a legislazione vigente presso gli istituti a custodia attenuata. Si riporta il testo previgente: «Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, ovvero persona che ha superato l'età di settanta anni [o che si trovi in condizioni di salute particolarmente gravi incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere].». (13) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, lett. b), della L. 12 luglio 1999, n. 231. (14) Questo comma è stato abrogato dall'art. 5, secondo comma, del D.L. 14 maggio 1993, n. 139, recante disposizioni urgenti relative al trattamento di persone affette da HIV, convertito, con modificazioni, nella L. 14 luglio 1993, n. 222. Si veda ora l'art. 89 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in tema di stupefacenti.

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275 bis. (1) (2) Particolari modalità di controllo. 1. Nel disporre la misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, il giudice, salvo che le ritenga non necessarie (3) in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria. Con lo stesso provvedimento il giudice prevede l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione dei mezzi e strumenti anzidetti. 2. L'imputato accetta i mezzi e gli strumenti di controllo di cui al comma 1 ovvero nega il consenso all'applicazione di essi, con dichiarazione espressa resa all'ufficiale o all'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la misura. La dichiarazione è trasmessa al giudice che ha emesso l'ordinanza ed al pubblico ministero, insieme con il verbale previsto dall'articolo 293, comma 1. 3. L'imputato che ha accettato l'applicazione dei mezzi e strumenti di cui al comma 1 è tenuto ad agevolare le procedure di installazione e ad osservare le altre prescrizioni impostegli. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 16, comma 2, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. (2) Si veda il D.M. 2 febbraio 2001 per le modalità di installazione e di uso. (3) Le parole: «se lo ritiene necessario» sono state così sostituite dalle attuali: «salvo che le ritenga non necessarie» dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, nella L. 21 febbraio 2014, n. 10. A norma dell'art. 1, comma 2, dello stesso decreto, l'efficacia di tali disposizioni è differita al giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del presente decreto (G.U. Serie gen. - n. 43 del 21 febbraio 2014).

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276. Provvedimenti in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte. 1. In caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo con altra più grave, tenuto conto dell'entità, dei motivi e delle circostanze della violazione (3853 c.p.). Quando si tratta di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura interdittiva (287 ss.), il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo anche con una misura coercitiva (280 ss., 299 4 ). 1 bis. Quando l'imputato si trova nelle condizioni di cui all'articolo 275, comma 4 bis, e nei suoi confronti è stata disposta misura diversa dalla custodia cautelare in carcere, il giudice, in caso di trasgressione delle prescrizioni inerenti alla diversa misura cautelare, può disporre anche la misura della custodia cautelare in carcere. In tal caso il giudice dispone che l'imputato venga condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie (1). 1 ter. In deroga a quanto previsto nel comma 1, in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, il giudice dispone la revoca della misura e la sostituzione con la custodia cautelare in carcere, salvo che il fatto sia di lieve entità (2). (1) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 2 della L. 12 luglio 1999, n. 231. (2) Questo comma, aggiunto dall'art. 16, comma 3, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, è stato da ultimo così sostituito dall'art. 5 della L. 16 aprile 2015, n. 47.

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277. Salvaguardia dei diritti della persona sottoposta a misure cautelari.(1) 1. Le modalità di esecuzione delle misure devono salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposta, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto. (1) Si vedano gli artt. 1 e 42 bis della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario.

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278. (1) Determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure. 1. Agli effetti dell'applicazione delle misure, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato. Non si tiene conto della continuazione (81 c.p.), della recidiva (2) e delle circostanze del reato (59 ss. c.p.), fatta eccezione della circostanza aggravante prevista al numero 5) dell'articolo 61 del codice penale e (3) della circostanza attenuante prevista dall'art. 62 n. 4 del codice penale nonché delle circostanze [aggravanti] (4) per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle a effetto speciale (633 c.p.) (5). (Omissis) (6). (1) A norma dell'art. 1, comma 1 quater, del D.L. 31 marzo 2014, n. 52, convertito, con modificazioni, nella L. 30 maggio 2014, n. 81, le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima. Per la determinazione della pena a tali effetti si applica l'articolo 278 c.p.p. Per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo non si applica la disposizione di cui al primo periodo. (2) Le parole «della recidiva» originariamente soppresse dall'art. 2 del D.L. 1 marzo 1991, n. 60, convertito, con modificazioni, nella L. 22 aprile 1991, n. 133, sono state reinserite dall'art. 6, comma 1, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (3) Le parole: «della circostanza aggravante prevista al numero 5) dell'articolo 61 del codice penale e» sono state inserite dall'art. 4 della L. 26 marzo 2001, n. 128. (4) La parola «aggravanti» è stata soppressa dall'art. 6, comma 2, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (5) A norma dell'art. 19, comma 5 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni, nella determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari a minorenni, si deve tenere conto anche della diminuente della minore età. (6) L'ultimo periodo, originariamente aggiunto dall'art. 2 del D.L. 1° marzo 1991, n. 60, convertito, con modificazioni, nella L. 22 aprile 1991, n. 133, è stato abrogato dall'art. 6, comma 2, dalla L. 8 agosto 1995, n. 332.

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279. Giudice competente. 1. Sull'applicazione (291) e sulla revoca (276, 299) delle misure nonché sulle modifiche delle loro modalità esecutive, provvede il giudice che procede. Prima dell'esercizio dell'azione penale (405) provvede il giudice per le indagini preliminari (328; att. 91, 92). Vai alla dottrina     ↓

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Capo II. MISURE COERCITIVE. Vai alla dottrina     ↓

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280. (1) Condizioni di applicabilità delle misure coercitive. 1. Salvo quanto disposto dai commi 2 e 3 del presente articolo e dall'art. 391, le misure previste in questo capo possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni (287, 3081, 3142, 7142) (2). 2. La custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque (3) anni e per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni (4). 3. La disposizione di cui al comma 2 non si applica nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare. (1) Articolo così sostituito dall'art. 7 della L. 8 agosto 1995, n. 332. (2) Si veda l'art. 3 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 1991, n. 203. (3) La parola: «quattro» è stata così sostituita dall'attuale: «cinque» dall'art. 1, comma 1, lett. 0a), n. 1), del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 94, a decorrere dal 3 luglio 2013. (4) Le parole: «e per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni» sono state aggiunte all'art. 1, comma 1, lett. 0a), n. 2), del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 94, a decorrere dal 3 luglio 2013.

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281. Divieto di espatrio. 1. Con il provvedimento che dispone il divieto di espatrio, il giudice prescrive all'imputato di non uscire dal territorio nazionale senza l'autorizzazione del giudice che procede (276, 3081). 2. Il giudice dà le disposizioni necessarie per assicurare l'esecuzione del provvedimento, anche al fine di impedire l'utilizzazione del passaporto e degli altri documenti di identità validi per l'espatrio (att. 984) (1). 2 bis. Con l'ordinanza che applica una delle altre misure coercitive previste dal presente capo, il giudice dispone in ogni caso il divieto di espatrio (2) (3). (1) Si vedano la L. 21 novembre 1967, n. 1185, sui passaporti, e il D.P.R. 6 agosto 1974, n. 649, sull'uso della carta di identità e degli altri documenti equipollenti al passaporto ai fini dell'espatrio. (2) Comma aggiunto dall'art. 9, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 109 del 31 marzo 1994, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma.

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282. Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. 1. Con il provvedimento che dispone l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, il giudice prescrive all'imputato di presentarsi ad un determinato ufficio di polizia giudiziaria. 2. Il giudice fissa i giorni e le ore di presentazione tenendo conto dell'attività lavorativa e del luogo di abitazione dell'imputato (276, 3081). Vai alla dottrina     ↓

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282 bis. (1) Allontanamento dalla casa familiare. 1. Con il provvedimento che dispone l'allontanamento il giudice prescrive all'imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede. L'eventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita. 2. Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell'incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni. 3. Il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può altresì ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati. Il giudice determina la misura dell'assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell'obbligato e stabilisce le modalità ed i termini del versamento. Può ordinare, se necessario, che l'assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell'obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante. L'ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo. 4. I provvedimenti di cui ai commi 2 e 3 possono essere assunti anche successivamente al provvedimento di cui al comma 1, sempre che questo non sia stato revocato o non abbia comunque perduto efficacia. Essi, anche se assunti successivamente, perdono efficacia se è revocato o perde comunque efficacia il provvedimento di cui al comma 1. Il provvedimento di cui al comma 3, se a favore del coniuge o dei figli, perde efficacia, inoltre, qualora sopravvenga l'ordinanza prevista dall'articolo 708 del codice di procedura civile ovvero altro provvedimento del giudice civile in ordine ai rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi ovvero al mantenimento dei figli. 5. Il provvedimento di cui al comma 3 può essere modificato se mutano le condizioni dell'obbligato o del beneficiario, e viene revocato se la convivenza riprende. 6. Qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572, (2) 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate, (3) 600, (4) 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 septies .1, 600 septies.2, 601, 602, (5) 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 612, secondo comma, (6) 612 bis, (7) del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'articolo 280, anche con le modalità di controllo previste all'articolo 275 bis (8). (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1, comma 2, della L. 4 aprile 2001, n. 154, contro la violenza nelle relazioni familiari. (2) La parola: «572,» è stata inserita dell'art. 16, comma 1, del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, nella L. 1 dicembre 2018, n. 132. (3) Le parole: «582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate,» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15

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ottobre 2013, n. 119. (4) La parola: «600,» è stata inserita dall'art. 5, comma 1, lett. b), della L. 1° ottobre 2012, n. 172. (5) Le parole: «600 septies.1, 600 septies.2, 601, 602,» sono state inserite dall'art. 5, comma 1, lett. b), della L. 1° ottobre 2012, n. 172. (6) Le parole: «e 609 octies» sono state così sostituite dalle attuali: «, 609 octies e 612, secondo comma,» dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (7) La parola: «612 bis,» è stata inserita dell'art. 16, comma 1, del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, nella L. 1 dicembre 2018, n. 132. (8) Le parole: «, anche con le modalità di controllo previste all'articolo 275 bis» sono state aggiunte dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119.

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282 ter. (1) Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. 1. Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, anche disponendo l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'articolo 275 bis (2). 2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone. 3. Il giudice può, inoltre, vietare all'imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2. 4. Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 9, comma 1, lett. a), del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23 aprile 2009, n. 38. (2) Le parole: «, anche disponendo l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'articolo 275 bis» sono state aggiunte dall'art. 15, comma 2, della L. 19 luglio 2019, n. 69.

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282 quater. (1) Obblighi di comunicazione. 1. I provvedimenti di cui agli articoli 282 bis e 282 ter sono comunicati all'autorità di pubblica sicurezza competente, ai fini dell'eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni. Essi sono altresì comunicati alla parte offesa e, ove nominato, al suo difensore (2) e ai servizi socio-assistenziali del territorio. Quando l'imputato si sottopone positivamente ad un programma di prevenzione della violenza organizzato dai servizi socio-assistenziali del territorio, il responsabile del servizio ne dà comunicazione al pubblico ministero e al giudice ai fini della valutazione ai sensi dell'articolo 299, comma 2 (3). 1 bis. Con la comunicazione prevista dal comma 1, la persona offesa è informata della facoltà di richiedere l'emissione di un ordine di protezione europeo (4). (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 9, comma 1, lett. a), del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23 aprile 2009, n. 38. (2) Le parole: «e, ove nominato, al suo difensore» sono state inserite dall'art. 15, comma 3, della L. 19 luglio 2019, n. 69. (3) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. a bis), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (4) Questo comma è stato inserito dall'art. 4 del D.L.vo 11 febbraio 2015, n. 9.

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283. Divieto e obbligo di dimora.(1) 1. Con il provvedimento che dispone il divieto di dimora, il giudice prescrive all'imputato di non dimorare in un determinato luogo e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede (3081). 2. Con il provvedimento che dispone l'obbligo di dimora, il giudice prescrive all'imputato di non allontanarsi, senza l'autorizzazione del giudice che procede, dal territorio del comune di dimora abituale ovvero, al fine di assicurare un più efficace controllo o quando il comune di dimora abituale non è sede di ufficio di polizia, dal territorio di una frazione del predetto comune o dal territorio di un comune viciniore ovvero di una frazione di quest'ultimo. Se per la personalità del soggetto o per le condizioni ambientali la permanenza in tali luoghi non garantisce adeguatamente le esigenze cautelari previste dall'art. 274, l'obbligo di dimora può essere disposto nel territorio di un altro comune o frazione di esso, preferibilmente nella provincia e comunque nell'ambito della regione ove è ubicato il comune di abituale dimora (3081). 3. Quando dispone l'obbligo di dimora, il giudice indica l'autorità di polizia alla quale l'imputato deve presentarsi senza ritardo e dichiarare il luogo dove fisserà la propria abitazione. Il giudice può prescrivere all'imputato di dichiarare all'autorità di polizia gli orari e i luoghi in cui sarà quotidianamente reperibile per i necessari controlli, con obbligo di comunicare preventivamente alla stessa autorità le eventuali variazioni dei luoghi e degli orari predetti. 4. Il giudice può, anche con separato provvedimento, prescrivere all'imputato di non allontanarsi dall'abitazione in alcune ore del giorno, senza pregiudizio per le normali esigenze di lavoro. 5. Nel determinare i limiti territoriali delle prescrizioni, il giudice considera, per quanto è possibile, le esigenze di alloggio, di lavoro e di assistenza dell'imputato. Quando si tratta di persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma terapeutico di recupero nell'ambito di una struttura autorizzata, il giudice stabilisce i controlli necessari per accertare che il programma di recupero prosegua (2755). 6. Dei provvedimenti del giudice è data in ogni caso immediata comunicazione all'autorità di polizia competente, che ne vigila l'osservanza e fa rapporto al pubblico ministero di ogni infrazione (276; att. 983). (1) Si vedano anche l'art. 3 del D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159, recante codice antimafia, e il D.L. 20 agosto 2001, n. 336, in materia di misure contro la violenza in occasione di competizioni sportive.

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284. Arresti domiciliari.(1) 1. Con il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari, il giudice prescrive all'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta (2) (276, 3081, att. 22, 97 bis, 983) (3). 1 bis. Il giudice dispone il luogo degli arresti domiciliari in modo da assicurare comunque le prioritarie esigenze di tutela della persona offesa dal reato (4). 1 ter. La misura cautelare degli arresti domiciliari non può essere eseguita presso un immobile occupato abusivamente (5). 2. Quando è necessario, il giudice impone limiti o divieti alla facoltà dell'imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono. 3. Se l'imputato non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza, il giudice può autorizzarlo ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero per esercitare una attività lavorativa. 4. Il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, anche di propria iniziativa, possono controllare in ogni momento l'osservanza delle prescrizioni imposte all'imputato. 5. L'imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare (285; reg. 9). 5 bis. Non possono essere, comunque, concessi gli arresti domiciliari a chi sia stato condannato per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per il quale si procede, salvo che il giudice ritenga, sulla base di specifici elementi, che il fatto sia di lieve entità e che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con tale misura (6). A tale fine il giudice assume nelle forme più rapide le relative notizie (7) (8). (1) Con riferimento ad imputati minorenni, si veda l'art. 21 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni. (2) Le parole: «ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta» sono state inserite dall'art. 1, comma 2, della L. 21 aprile 2011, n. 62. A norma dell'art. 1, comma 4, della medesima legge, tali disposizioni si applicano a far data dalla completa attuazione del piano straordinario penitenziario, e comunque a decorrere dal 1° gennaio 2014, fatta salva la possibilità di utilizzare i posti già disponibili a legislazione vigente presso gli istituti a custodia attenuata. (3) Si veda anche l'art. 116 comma 6, lett. b), del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, testo unico delle leggi sugli stupefacenti. (4) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 94, a decorrere dal 3 luglio 2013. (5) Questo comma è stato inserito dall'art. 31 bis del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, nella L. 1 dicembre 2018, n. 132. (6) Le parole: «, salvo che il giudice ritenga, sulla base di specifici elementi, che il fatto sia di lieve entità e che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con tale misura» sono state aggiunte dall'art. 6 della L. 16

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aprile 2015, n. 47. (7) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 5 della L. 26 marzo 2001, n. 128. (8) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 16, comma 4, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4.

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285. Custodia cautelare in carcere.(1) 1. Con il provvedimento che dispone la custodia cautelare, il giudice ordina agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria (57) che l'imputato sia catturato e immediatamente condotto in un istituto di custodia per rimanervi a disposizione dell'autorità giudiziaria (104; att. 94 ss.). 2. Prima del trasferimento nell'istituto la persona sottoposta a custodia cautelare non può subire limitazione della libertà, se non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua traduzione. 3. Per determinare la pena da eseguire, la custodia cautelare subita si computa a norma dell'art. 657, anche quando si tratti di custodia cautelare subita all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione (722) ovvero nel caso di rinnovamento del giudizio a norma dell'art. 11 del codice penale (coord. 216) (2). (1) Si veda l'art. 23 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni, sostituito dall'art. 42 D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12. (2) Esigenze peculiari giustificano modalità particolari di esecuzione della custodia cautelare per gli appartenenti alle forze di polizia (art. 16 della L. 1 aprile 1981, n. 121), per la polizia penitenziaria (art. 20 della L. 15 dicembre 1990, n. 395) e per i collaboratori di giustizia (art. 13 del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito in L. 15 marzo 1991, n. 82 e artt. 7 e 8 del D.M. 24 novembre 1994, n. 687).

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285 bis. (1) Custodia cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri. 1. Nelle ipotesi di cui all'articolo 275, comma 4, se la persona da sottoporre a custodia cautelare sia donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, il giudice può disporre la custodia presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1, comma 3, della L. 21 aprile 2011, n. 62. A norma dell'art. 1, comma 4, della medesima legge, tali disposizioni si applicano a far data dalla completa attuazione del piano straordinario penitenziario, e comunque a decorrere dal 1° gennaio 2014, fatta salva la possibilità di utilizzare i posti già disponibili a legislazione vigente presso gli istituti a custodia attenuata.

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286. Custodia cautelare in luogo di cura. 1. Se la persona da sottoporre a custodia cautelare si trova in stato di infermità di mente che ne esclude o ne diminuisce grandemente la capacità di intendere o di volere, il giudice, in luogo della custodia in carcere, può disporre il ricovero provvisorio in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero, adottando i provvedimenti necessari per prevenire il pericolo di fuga (733). Il ricovero non può essere mantenuto quando risulta che l'imputato non è più infermo di mente (88, 89 c.p.). 2. Si applicano le disposizioni dell'art. 285 commi 2 e 3. Vai alla dottrina     ↓

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286 bis. (1) Divieto di custodia cautelare. 1. Non può essere mantenuta la custodia cautelare in carcere nei confronti di chi sia affetto da infezione da HIV e ricorra una situazione di incompatibilità con lo stato di detenzione. L'incompatibilità sussiste, ed è dichiarata dal giudice, nei casi di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria; negli altri casi l'incompatibilità per infezione da HIV è valutata dal giudice tenendo conto del periodo residuo di custodia cautelare e degli effetti che sulla pericolosità del detenuto hanno le sue attuali condizioni fisiche. La richiesta di accertamento dello stato di incompatibilità può essere fatta dall'imputato, dal suo difensore o dal servizio sanitario penitenziario. Nei casi di incompatibilità il giudice dispone la revoca della misura cautelare ovvero gli arresti domiciliari presso l'abitazione dell'imputato (2). 2. Con decreto del Ministro della sanità, da adottare di concerto con il Ministro di grazia e giustizia (3), sono definiti i casi di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria e sono stabilite le procedure diagnostiche e medico-legali per il loro accertamento (4). 3. Quando ricorrono esigenze diagnostiche al fine di accertare la sussistenza delle condizioni di salute di cui all'articolo 275, comma 4 bis, ovvero esigenze terapeutiche nei confronti di persona che si trovi in tali condizioni, se tali esigenze non possono essere soddisfatte nell'ambito penitenziario, il giudice può disporre il ricovero provvisorio in idonea struttura del Servizio sanitario nazionale per il tempo necessario, adottando, ove occorra, i provvedimenti idonei a evitare il pericolo di fuga. Cessate le esigenze di ricovero, il giudice provvede a norma dell'articolo 275 (4). (1) Articolo aggiunto dall'art. 1 del D.L. 14 maggio 1993, n. 139, recante disposizioni urgenti relative al trattamento di persone affette da HIV, convertito, con modificazioni, nella L. 14 luglio 1993, n. 222. (2) Questo comma è stato abrogato dall'art. 3, lett. a), della L. 12 luglio 1999, n. 231. (3) Si veda il D.M. 21 ottobre 1999 (G.U. Serie gen. - n. 299 del 22 dicembre 1999), nonché il D.M. 7 marzo 2001. (4) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 3, lett. b) della L. 12 luglio 1999, n. 231.

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Capo III. MISURE INTERDITTIVE. Vai alla dottrina     ↓

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287. Condizioni di applicabilità delle misure interdittive. 1. Salvo quanto previsto da disposizioni particolari, le misure previste in questo capo possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni (2882, 2892, 2902, 3082). Vai alla dottrina     ↓

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288. Sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale.(1) 1. Con il provvedimento che dispone la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale (1) (316 ss. c.c.), il giudice priva temporaneamente l'imputato, in tutto o in parte, dei poteri a essa inerenti. 2. Qualora si proceda per un delitto contro la libertà sessuale (609 bis ss. c.p.), ovvero per uno dei delitti previsti dagli artt. 530 (2) e 571 del codice penale, commesso in danno di prossimi congiunti (3074 c.p.), la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'art. 287 comma 1. (1) Le parole: «potestà dei genitori» sono state così sostituite dalle attuali: «responsabilità genitoriale» dall'art. 94 del D.L.vo 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 5 dell’8 gennaio 2014). (2) L'art. 530 è stato abrogato dall'art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66. Si veda ora l'art. 609 quinquies, inserito dalla citata L. n. 66/1996.

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289. Sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio. 1. Con il provvedimento che dispone la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il giudice interdice temporaneamente all'imputato, in tutto o in parte, le attività a essi inerenti. 2. Qualora si proceda per un delitto contro la pubblica amministrazione (314 ss. c.p.), la misura può essere disposta a carico del pubblico ufficiale (357 c.p.) o dell'incaricato di un pubblico servizio (358 c.p.), anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'art. 287 comma 1. Nel corso delle indagini preliminari, prima di decidere sulla richiesta del pubblico ministero di sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il giudice procede all'interrogatorio dell'indagato, con le modalità indicate agli articoli 64 e 65 (1). Se la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio è disposta dal giudice in luogo di una misura coercitiva richiesta dal pubblico ministero, l'interrogatorio ha luogo nei termini di cui al comma 1 bis dell'articolo 294 (2). 3. La misura non si applica agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare. (1) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, della L. 16 luglio 1997, n. 234. (2) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 7 della L. 16 aprile 2015, n. 47.

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289 bis. (1) Divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione. 1. Con il provvedimento che dispone il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, il giudice interdice temporaneamente all'imputato di concludere contratti con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio. Qualora si proceda per un delitto contro la pubblica amministrazione, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'articolo 287, comma 1. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1, comma 4, lett. c), della L. 9 gennaio 2019, n. 3.

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290. Divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali. 1. Con il provvedimento che dispone il divieto di esercitare determinate professioni, imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, il giudice interdice temporaneamente all'imputato, in tutto o in parte, le attività a essi inerenti (1). 2. Qualora si proceda per un delitto contro l'incolumità pubblica (422 ss. c.p.) o contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio (499 ss. c.p.) ovvero per alcuno dei delitti previsti dalle disposizioni penali in materia di società o di consorzi o dagli artt. 353, 355, 373, 380 e 381 del codice penale, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'art. 287 comma 1 (2). (1) «I provvedimenti dell'autorità giudiziaria penale competente comportanti la sospensione cautelare di cui al comma 4 o la revoca della stessa sono comunicati, a cura dell'autorità giudiziaria che procede, al presidente del consiglio notarile del distretto al quale il notaio è iscritto nonché al consiglio notarile distrettuale competente per l'azione disciplinare, se diverso. Sono altresì comunicati all'archivio notarile del distretto al cui collegio il notaio è iscritto» (art. 158 quinquies, L. 16 febbraio 1913, n. 89, come inserito con D.L.vo n. 249/2006). (2) Per un'ipotesi, si veda l'art. 184 del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, in riferimento ai delitti di abuso di informazioni privilegiate e di aggiotaggio su strumenti finanziari.

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Capo IV. FORMA ED ESECUZIONE

DEI PROVVEDIMENTI. Vai alla dottrina     ↓

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291. Procedimento applicativo. 1. Le misure sono disposte su richiesta del pubblico ministero, che presenta al giudice competente (279) gli elementi su cui la richiesta si fonda (299, 306), compresi i verbali di cui all'articolo 268, comma 2, limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti, (1) e comunque conferiti nell'archivio di cui all'articolo 269, (2) nonché tutti gli elementi a favore dell'imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate (3). 1 bis. (Omissis) (4). 1 ter. Quando è necessario, nella richiesta sono riprodotti soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate (5). 2. Se riconosce la propria incompetenza per qualsiasi causa (21 ss.), il giudice, quando ne ricorrono le condizioni e sussiste l'urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari previste dall'art. 274, dispone la misura richiesta con lo stesso provvedimento con il quale dichiara la propria incompetenza. Si applicano in tal caso le disposizioni dell'art. 27. 2 bis. In caso di necessità o urgenza il pubblico ministero può chiedere al giudice, nell'interesse della persona offesa, le misure patrimoniali provvisorie di cui all'articolo 282 bis. Il provvedimento perde afficacia qualora la misura cautelare sia successivamente revocata (6). (1) Le parole: «compresi i verbali di cui all'articolo 268, comma 2, limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti,» sono state inserite dall’art. 3, comma 1, lett. e), n. 1), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 1, del medesimo provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020. (2) Le parole: «e comunque conferiti nell'archivio di cui all'articolo 269,» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. h), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 8, comma 1, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (4) Comma dapprima aggiunto dall'art. 12 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale e poi abrogato dall'art. 8, comma 2, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (5) Questo comma è stato inserito dall’art. 3, comma 1, lett. e), n. 2), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 1, del medesimo provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020. (6) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, della L. 4 aprile 2001, n. 154, contro la violenza nelle relazioni familiari.

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292. Ordinanza del giudice. 1. Sulla richiesta del pubblico ministero il giudice provvede con ordinanza (125; att. 92, 97). 2. L'ordinanza che dispone la misura cautelare contiene, a pena di nullità (181) rilevabile anche d'ufficio: a) le generalità dell'imputato o quanto altro valga a identificarlo; b) la descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate; c) l'esposizione e l'autonoma valutazione (1) delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato (273, 274); c bis) l'esposizione e l'autonoma valutazione (2) dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l'esposizione e l'autonoma valutazione (2) delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all'art. 274 non possono essere soddisfatte con altre misure; d) la fissazione della data di scadenza della misura, in relazione alle indagini da compiere, allorché questa è disposta al fine di garantire l'esigenza cautelare di cui alla lett. a) del comma 1 dell'art. 274 (301); e) la data e la sottoscrizione del giudice (3). 2 bis. L'ordinanza contiene altresì la sottoscrizione dell'ausiliario che assiste il giudice, il sigillo dell'ufficio e, se possibile, l'indicazione del luogo in cui probabilmente si trova l'imputato (4). 2 ter. L'ordinanza è nulla se non contiene la valutazione degli elementi a carico e a favore dell'imputato, di cui all'art. 358, nonché all'articolo 327 bis (5) (6). 2 quater. Quando è necessario per l'esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi, delle comunicazioni e conversazioni intercettate sono riprodotti soltanto i brani essenziali (7). 3. L'incertezza circa il giudice che ha emesso il provvedimento ovvero circa la persona nei cui confronti la misura è disposta esime gli ufficiali e gli agenti incaricati dal darvi esecuzione. (1) Le parole: «e l'autonoma valutazione» sono state inserite dall'art. 8, comma 1, della L. 16 aprile 2015, n. 47. (2) Le parole: «e l'autonoma valutazione» sono state inserite dall'art. 8, comma 2, della L. 16 aprile 2015, n. 47. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 9, comma 1, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (4) Comma aggiunto dall'art. 5 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 1991, n. 203. Si veda anche l'art. 5, comma 3, del D.L. n. 152/1991. (5) Comma inserito dall'art. 9, comma 2, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (6) Le parole: «all'articolo 38 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie» sono state così sostituite dalle attuali: «all'articolo 327 bis» dall'art. 6 della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

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(7) Questo comma è stato inserito dall’art. 3, comma 1, lett. f), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 1, del medesimo provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020.

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293. Adempimenti esecutivi.(1) 1. Salvo quanto previsto dall'articolo 156, l'ufficiale o l'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la custodia cautelare consegna all'imputato copia del provvedimento unitamente a una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa e, per l'imputato che non conosce la lingua italiana, tradotta in una lingua a lui comprensibile, con cui lo informa: a) della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge; b) del diritto di ottenere informazioni in merito all'accusa; c) del diritto all'interprete ed alla traduzione di atti fondamentali; d) del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; e) del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento; f) del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari; g) del diritto di accedere all'assistenza medica di urgenza; h) del diritto di essere condotto davanti all'autorità giudiziaria non oltre cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione, se la misura applicata è quella della custodia cautelare in carcere ovvero non oltre dieci giorni se la persona è sottoposta ad altra misura cautelare; i) del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l'interrogatorio, di impugnare l'ordinanza che dispone la misura cautelare e di richiederne la sostituzione o la revoca (2). 1 bis. Qualora la comunicazione scritta di cui al comma 1 non sia prontamente disponibile in una lingua comprensibile all'imputato, le informazioni sono fornite oralmente, salvo l'obbligo di dare comunque, senza ritardo, comunicazione scritta all'imputato (3). 1 ter. L'ufficiale o l'agente incaricato di eseguire l'ordinanza informa immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato ovvero quello di ufficio designato a norma dell'articolo 97 e redige verbale di tutte le operazioni compiute, facendo menzione della consegna della comunicazione di cui al comma 1 o dell'informazione orale fornita ai sensi del comma 1 bis. Il verbale è immediatamente trasmesso al giudice che ha emesso l'ordinanza e al pubblico ministero (3). 2. Le ordinanze che dispongono misure diverse dalla custodia cautelare (281-283, 288-290) sono notificate all'imputato (148 ss.). 3. Le ordinanze previste dai commi 1 e 2, dopo la loro notificazione o esecuzione, sono depositate nella cancelleria del giudice che le ha emesse insieme alla richiesta del pubblico ministero e agli atti presentati con la stessa (4). Avviso del deposito è notificato al difensore (3093; reg. 6). Il difensore ha diritto di esaminare e di estrarre copia dei verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate di cui all'articolo 291, comma 1 (5). Ha in ogni caso diritto alla trasposizione, su supporto idoneo alla riproduzione dei dati, delle relative registrazioni (6)(7). 4. Copia dell'ordinanza che dispone una misura interdittiva (288 ss.) è trasmessa all'organo eventualmente competente a disporre l'interdizione in via ordinaria. 4 bis. Copia dell'ordinanza che dispone la custodia cautelare in carcere nei confronti di madre di prole di minore età è comunicata al procuratore della

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Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di esecuzione della misura (8). (1) Si vedano anche l'art. 7 del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, in materia di sequestri di persona, convertito, con modificazioni, nella L. 15 marzo 1991, n. 82, l'art. 10 del D.L. 31 dicembre 1991, n. 419, recante istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di estorsioni, convertito, con modificazioni, nella L. 18 febbraio 1992, n. 172. Si vedano, altresì l'art. 98, T.U. 9 ottobre 1990, n. 309, sugli stupefacenti, e l'art. 14 della L. 3 agosto 1998, n. 269, contro la prostituzione minorile e la pedofilia (che consentono di ritardare l'emissione o l'esecuzione dei provvedimenti di cattura e di arresto). (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. a), n. 1), del D.L.vo 1 luglio 2014, n. 101, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (G.U. Serie gen. - n. 164 del 17 luglio 2014). (3) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 1, lett. a), n. 2), del D.L.vo 1 luglio 2014, n. 101, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (G.U. Serie gen. - n. 164 del 17 luglio 2014). (4) Le parole da «insieme alla ... » fino alla fine del periodo sono state aggiunte dall'art. 10 della L. 8 agosto 1995, n. 332. (5) Questo periodo, inserito dall’art. 3, comma 1, lett. g), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216, è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. i), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come, da ultimo, sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione.Si riporta il testo previgente: «Il difensore ha diritto di esame e di copia dei verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate». (6) Questo periodo è stato inserito dall’art. 3, comma 1, lett. g), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come, da ultimo, sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (7) La Corte costituzionale, con sentenza n. 192 del 24 giugno 1997, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede la facoltà per il difensore di estrarre copia, insieme all'ordinanza che ha disposto la misura cautelare, della richiesta del pubblico ministero e degli atti presentati con la stessa. (8) Questo comma è stato aggiunto dell'art. 15 bis, comma 2, lett. b), del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, nella L. 1 dicembre 2018, n. 132.

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294. Interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale.(1) 1. Fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice che ha deciso in ordine all'applicazione della misura cautelare (2) se non vi ha proceduto nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo di indiziato di delitto (3), procede all'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare (285, 286) in carcere (4) immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia, salvo il caso in cui essa sia assolutamente impedita. (Omissis) (5). 1 bis. Se la persona è sottoposta ad altra misura cautelare, sia coercitiva che interdittiva, l'interrogatorio deve avvenire non oltre dieci giorni dalla esecuzione del provvedimento o dalla sua notificazione (6). Il giudice, anche d'ufficio, verifica che all'imputato in stato di custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari sia stata data la comunicazione di cui all'articolo 293, comma 1, o che comunque sia stato informato ai sensi del comma 1bis dello stesso articolo, e provvede, se del caso, a dare o a completare la comunicazione o l'informazione ivi indicate (7). 1 ter. L'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare deve avvenire entro il termine di quarantotto ore se il pubblico ministero ne fa istanza nella richiesta di custodia cautelare (6). 2. Nel caso di assoluto impedimento, il giudice ne dà atto con decreto motivato (125) e il termine per l'interrogatorio decorre nuovamente dalla data in cui il giudice riceve comunicazione della cessazione dell'impedimento o comunque accerta la cessazione dello stesso. 3. Mediante l'interrogatorio il giudice valuta se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari previste [con riferimento alla custodia cautelare] (8) dagli artt. 273, 274 e 275. Quando ne ricorrono le condizioni, provvede, a norma dell'art. 299, alla revoca o alla sostituzione della misura disposta. 4. Ai fini di quanto previsto dal comma 3, l'interrogatorio è condotto dal giudice con le modalità indicate negli articoli 64 e 65. Al pubblico ministero e al difensore, che ha obbligo di intervenire, è dato tempestivo avviso del compimento dell'atto (9). 4 bis. Quando la misura cautelare è stata disposta dalla corte di assise o dal tribunale, all'interrogatorio procede il presidente del collegio o uno dei componenti da lui delegato (10). 5. Per gli interrogatori da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, il giudice o il presidente, nel caso di organo collegiale, (11) qualora non ritenga di procedere personalmente, richiede il giudice per le indagini preliminari del luogo. 6. L'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare (285, 286) da parte del pubblico ministero (364) non può precedere l'interrogatorio del giudice (12). (1) L'originaria rubrica «Interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare» è stata così sostituita dall'attuale per effetto dell'art. 11, comma 1, lett. a) della L. 8 agosto 1995, n. 332. (2) Le originarie parole: «Nel corso delle indagini preliminari, il giudice», sono state così sostituite dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L. 22 febbraio 1999, n. 29, convertito, con modificazioni, nella L. 21 aprile 1999, n. 109.

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(3) Le parole da «se non vi ha proceduto» fino a «indiziato di delitto», sono state inserite dall'art. 13 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (4) Le parole «in carcere» sono state aggiunte dall'art. 11, comma 1, lett. b) della L. 8 agosto 1995, n. 332. (5) L'ultimo periodo di questo comma è stato abrogato dall'art. 11, comma 1, lett. b) della L. 8 agosto 1995, n. 332. (6) Comma inserito dall'art. 11, comma 1, lett. c) della L. 8 agosto 1995, n. 332. (7) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. c), del D.L.vo 1 luglio 2014, n. 101, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (G.U. Serie gen. - n. 164 del 17 luglio 2014). (8) Le parole: «con riferimento alla custodia cautelare» sono state soppresse dall'art. 11, comma 1, lett. d) della L. 8 agosto 1995, n. 332. (9) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 12 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (10) Questo comma è stato inserito dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L. 22 febbraio 1999, n. 29, convertito, con modificazioni, nella L. 21 aprile 1999, n. 109. (11) Le parole: «o il presidente, nel caso di organo collegiale», sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. c), del D.L. 22 febbraio 1999, n. 29, convertito, con modificazioni, nella L. 21 aprile 1999, n. 109. (12) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 11, comma 1, lett. e) della L. 8 agosto 1995, n. 332.

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295. Verbale di vane ricerche. 1. Se la persona nei cui confronti la misura è disposta non viene rintracciata e non è possibile procedere nei modi previsti dall'art. 293, l'ufficiale o l'agente redige egualmente il verbale, indicando specificamente le indagini svolte, e lo trasmette senza ritardo al giudice che ha emesso l'ordinanza (292). 2. Il giudice, se ritiene le ricerche esaurienti, dichiara, nei casi previsti dall'art. 296, lo stato di latitanza. 3. Al fine di agevolare le ricerche del latitante, il giudice o il pubblico ministero, nei limiti e con le modalità previste dagli artt. 266 e 267, può disporre l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione. Si applicano, ove possibile, le disposizioni degli artt. 268, 269 e 270 (1). 3 bis. Fermo quanto disposto nel comma 3 del presente articolo e nel comma 5 dell'articolo 103, il giudice o il pubblico ministero può disporre l'intercettazione di comunicazioni tra presenti quando si tratta di agevolare le ricerche di un latitante in relazione a uno dei delitti previsti dall'articolo 51, comma 3 bis nonché dall'articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4 (2). 3 ter. Nei giudizi davanti alla Corte d'assise, ai fini di quanto previsto dai commi 3 e 3 bis, in luogo del giudice provvede il presidente della Corte (3). (1) Le parole: «le disposizioni degli artt. 268, 269 e 270» sono state così sostituite dalle seguenti: «le disposizioni degli articoli 268, 268 bis, 268 ter, 268 quater, 269 e 270» dall’art. 3, comma 1, lett. h), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. Le stesse parole sono state poi così sostituite dalle attuali: «le disposizioni degli artt. 268, 269 e 270» dall'art. 2, comma 1, lett. l), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come, da ultimo, sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (2) Comma aggiunto dall'art. 3 bis, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. Le parole: «nonché dall'articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4» sono state aggiunte dall'art. 6 del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438. (3) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1 della L. 14 febbraio 2006, n. 56.

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296. Latitanza. 1. È latitante chi volontariamente si sottrae alla custodia cautelare (285, 286), agli arresti domiciliari (284), al divieto di espatrio (281), all'obbligo di dimora (2832) o a un ordine con cui si dispone la carcerazione (656). 2. Con il provvedimento che dichiara la latitanza (295), il giudice designa un difensore di ufficio (97) al latitante che ne sia privo e ordina che sia depositata in cancelleria copia dell'ordinanza con la quale è stata disposta la misura rimasta ineseguita. Avviso del deposito è notificato al difensore (2933). 3. Gli effetti processuali conseguenti alla latitanza operano soltanto nel procedimento penale nel quale essa è stata dichiarata. 4. La qualità di latitante permane fino a che il provvedimento che vi ha dato causa sia stato revocato a norma dell'art. 299 o abbia altrimenti perso efficacia (300 ss., 30910) ovvero siano estinti il reato o la pena (150 ss., 171 ss. c.p.) per cui il provvedimento è stato emesso. 5. Al latitante per ogni effetto è equiparato l'evaso (385 c.p.). Vai alla dottrina     ↓

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297. Computo dei termini di durata delle misure. 1. Gli effetti della custodia cautelare (284, 285, 286) decorrono dal momento della cattura (285, 293), dell'arresto (380, 381) o del fermo (384). 2. Gli effetti delle altre misure (281-283, 288-290) decorrono dal momento in cui l'ordinanza che le dispone è notificata a norma dell'art. 293. 3. Se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell'art. 12, comma 1, lettere b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all'imputazione più grave. La disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma (1) (2) (3). 4. (4) (5) Nel computo dei termini della custodia cautelare si tiene conto dei giorni in cui si sono tenute le udienze e di quelli impiegati per la deliberazione della sentenza nel giudizio di primo grado o nel giudizio sulle impugnazioni solo ai fini della determinazione della durata complessiva della custodia a norma dell'art. 303, comma 4. 5. Se l'imputato è detenuto per un altro reato o è internato per misura di sicurezza (312; 216-227 c.p.), gli effetti della misura decorrono dal giorno in cui è notificata l'ordinanza che la dispone (293), se sono compatibili con lo stato di detenzione o di internamento; altrimenti decorrono dalla cessazione di questo. Ai soli effetti del computo dei termini di durata massima (303), la custodia cautelare si considera compatibile con lo stato di detenzione per esecuzione di pena (656) o di internamento per misura di sicurezza. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 12, comma 1, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 408 del 3 novembre 2005, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 233 del 22 luglio 2011, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui – con riferimento alle ordinanze che dispongono misure cautelari per fatti diversi – non prevede che la regola in tema di decorrenza dei termini in esso stabilita si applichi anche quando, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura. (4) Le originarie parole: «Salvo quanto disposto dall'art. 304, comma 2,» sono state soppresse dall'art. 12, comma 2, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (5) L'art. 1, comma 1, del D.L. 1 marzo 1991, n. 60, convertito, con modificazioni, nella L. 22 aprile 1991, n. 133, ha dettato, di questo comma, l'interpretazione autentica che si riporta: «L'art. 297, comma 4, del codice di procedura penale deve intendersi nel senso che, indipendentemente da una richiesta del pubblico ministero e da un provvedimento del giudice, nel computo dei termini di custodia cautelare stabiliti in relazione alle fasi del giudizio di primo grado o del giudizio sulle impugnazioni non si tiene conto dei giorni in cui si sono tenute le udienze e di quelli impiegati per la deliberazione della sentenza. Dei giorni

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suddetti si tiene invece conto nel computo dei termini di durata complessiva della custodia cautelare stabiliti nell'art. 303, comma 4, del codice di procedura penale, salvo che ricorra l'ipotesi di sospensione prevista dall'art. 304, comma 2, del codice di procedura penale». L'art. 2 della predetta legge di conversione ha, altresì, disposto: «La custodia cautelare ripristinata a norma dell'art. 1 del D.L. 1 marzo 1991, n. 60, nel testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 1 marzo 1991, è mantenuta qualora ricorrano i presupposti previsti dagli artt. 274 e 275 del codice di procedura penale».

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298. Sospensione dell'esecuzione delle misure. 1. L'esecuzione di un ordine con cui si dispone la carcerazione (656) nei confronti di un imputato al quale sia stata applicata una misura cautelare personale per un altro reato ne sospende l'esecuzione, salvo che gli effetti della misura disposta siano compatibili con la espiazione della pena. 2. La sospensione non opera quando la pena è espiata in regime di misure alternative alla detenzione (1). (1) A norma degli artt. 47 ss. della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario, come modificati dalla L. 10 ottobre 1986, n. 663, le misure alternative alla detenzione sono l'affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà.

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Capo V. ESTINZIONE DELLE MISURE. Vai alla dottrina     ↓

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299. Revoca e sostituzione delle misure. 1. Le misure coercitive (280 ss.) e interdittive (287 ss.) sono immediatamente revocate quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dall'art. 273 o dalle disposizioni relative alle singole misure ovvero le esigenze cautelari previste dall'art. 274. 2. Salvo quanto previsto dall'art. 275, comma 3 (1), quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura applicata non appare più proporzionata all'entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata, il giudice sostituisce la misura con un'altra meno grave ovvero ne dispone l'applicazione con modalità meno gravose. 2 bis. I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 relativi alle misure previste dagli articoli 282 bis, 282 ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, devono essere immediatamente comunicati, a cura della polizia giudiziaria, ai servizi socio-assistenziali e alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore (2)(3). 3. Il pubblico ministero e l'imputato richiedono la revoca o la sostituzione delle misure al giudice, il quale provvede con ordinanza entro cinque giorni dal deposito della richiesta. La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli articoli 282 bis, 282 ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti di cui al comma 2 bis del presente articolo, che non sia stata proposta in sede di interrogatorio di garanzia, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest'ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio (4). Il difensore e la persona offesa possono, nei due giorni successivi alla notifica, presentare memorie ai sensi dell'articolo 121 (4). Decorso il predetto termine il giudice procede (4). Il giudice provvede anche di ufficio quando assume l'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare o quando è richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari (328) o dell'assunzione di incidente probatorio (392) ovvero quando procede all'udienza preliminare (418) o al giudizio. 3 bis. Il giudice, prima di provvedere in ordine alla revoca o alla sostituzione delle misure coercitive e interdittive, di ufficio o su richiesta dell'imputato, deve sentire il pubblico ministero. Se nei due giorni successivi il pubblico ministero non esprime il proprio parere, il giudice procede (5). 3 ter. Il giudice, valutati gli elementi addotti per la revoca o la sostituzione delle misure, prima di provvedere può assumere l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini. Se l'istanza di revoca o di sostituzione è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati, il giudice deve assumere l'interrogatorio dell'imputato che ne ha fatto richiesta (6). 4. Fermo quanto previsto dall'art. 276, quando le esigenze cautelari risultano aggravate, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, sostituisce la misura applicata con un'altra più grave ovvero ne dispone l'applicazione con modalità più gravose o applica congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva (7).

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4 bis. Dopo la chiusura delle indagini preliminari, se l'imputato chiede la revoca o la sostituzione della misura con altra meno grave ovvero la sua applicazione con modalità meno gravose, il giudice, se la richiesta non è presentata in udienza, ne dà comunicazione al pubblico ministero, il quale, nei due giorni successivi, formula le proprie richieste. La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli articoli 282 bis, 282 ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti di cui al comma 2 bis del presente articolo, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest'ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio (8)(5). 4 ter. In ogni stato e grado del procedimento, quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, il giudice dispone, anche di ufficio e senza formalità, accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali dell'imputato. Gli accertamenti sono eseguiti al più presto e comunque entro quindici giorni da quello in cui la richiesta è pervenuta al giudice. Se la richiesta di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere è basata sulle condizioni di salute di cui all'art. 275, comma 4 bis (9), ovvero se tali condizioni di salute sono segnalate dal servizio sanitario penitenziario, o risultano in altro modo al giudice, questi, se non ritiene di accogliere la richiesta sulla base degli atti, dispone con immediatezza, e comunque non oltre il termine previsto nel comma 3, gli accertamenti medici del caso, nominando perito ai sensi dell'art. 220 e seguenti, il quale deve tener conto del parere del medico penitenziario e riferire entro il termine di cinque giorni, ovvero, nel caso di rilevata urgenza, non oltre due giorni dall'accertamento. Durante il periodo compreso tra il provvedimento che dispone gli accertamenti e la scadenza del termine per gli accertamenti medesimi, è sospeso il termine previsto dal comma 3 (5) (10). 4 quater. Si applicano altresì le disposizioni di cui all'articolo 286 bis, comma 3 11 ( ). (1) Le parole «Salvo quanto previsto dall'art. 275, comma 3» sono state aggiunte dall'art. 1 del D.L. 9 settembre 1991, n. 292, recante disposizioni in materia di custodia cautelare, convertito, con modificazioni, nella L. 8 novembre 1991, n. 356. (2) Le parole: «al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa» sono state così sostituite dalle attuali: «alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore» dall'art. 15, comma 4, della L. 19 luglio 2019, n. 69. (3) Questo comma è stato inserito dall'art. 2, comma 1, lett. b), n. 1), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (4) Questo periodo è stato inserito dall'art. 2, comma 1, lett. b), n. 2), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (5) Comma aggiunto dall'art. 14 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (6) Questo comma è stato inserito dall'art. 13, comma 1, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (7) Le parole: «o applica congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva» sono state aggiunte dall'art. 9 della L. 16 aprile 2015, n. 47. (8) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. b), n. 3), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119.

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(9) Le originarie parole: «comma 4» sono state sostituite dalle attuali: «comma 4 bis» dall'art. 4, lett. a), della L. 12 luglio 1999, n. 231. (10) L'originario ultimo periodo di questo comma è stato così sostituito dagli attuali ultimi due periodi per effetto dell'art. 5, comma 3, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (11) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 4, lett. b), della L. 12 luglio 1999, n. 231.

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300. Estinzione delle misure per effetto della pronuncia di determinate sentenze. 1. Le misure disposte in relazione a un determinato fatto perdono immediatamente efficacia quando, per tale fatto e nei confronti della medesima persona, è disposta l'archiviazione (408 ss.) ovvero è pronunciata sentenza di non luogo a procedere (425) o di proscioglimento (529 ss.). 2. Se l'imputato si trova in stato di custodia cautelare (284, 285, 286) e con la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere è applicata la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (222 c.p.), il giudice provvede a norma dell'art. 312. 3. Quando, in qualsiasi grado del processo, è pronunciata sentenza di condanna (533), le misure perdono efficacia se la pena irrogata è dichiarata estinta (171 ss. c.p.) ovvero condizionalmente sospesa (163 ss. c.p.). 4. La custodia cautelare perde altresì efficacia quando è pronunciata sentenza di condanna, ancorchè sottoposta a impugnazione, se la durata della custodia già subita non è inferiore all'entità della pena irrogata. 5. Qualora l'imputato prosciolto o nei confronti del quale sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere sia successivamente condannato per lo stesso fatto, possono essere disposte nei suoi confronti misure coercitive (280 ss.) quando ricorrono le esigenze cautelari previste dall'art. 274 comma 1 lett. b) o c). Vai alla dottrina     ↓

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301. Estinzione di misure disposte per esigenze probatorie. 1. Le misure disposte per le esigenze cautelari previste dall'art. 274 comma 1 lett. a) perdono immediatamente efficacia se alla scadenza del termine previsto dall'art. 292 comma 2 lett. d), non ne è ordinata la rinnovazione. 2. La rinnovazione è disposta dal giudice con ordinanza (125), su richiesta del pubblico ministero, anche per più di una volta, entro i limiti previsti dagli artt. 305 e 308 (1). 2 bis. Salvo il disposto dell'art. 292, comma 2, lett. d), quando si procede per reati diversi da quelli previsti dall'art. 407, comma 2, lett. a), numeri da 1 a 6, sia da quelli per il cui accertamento sono richieste investigazioni particolarmente complesse per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l'elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese, ovvero per reati per il cui accertamento è richiesto il compimento di atti di indagine all'estero, la custodia cautelare in carcere disposta per il compimento delle indagini previste dall'art. 274, comma 1, lett. a), non può avere durata superiore a trenta giorni (2). 2 ter. La proroga della medesima misura è disposta, per non più di due volte ed entro il limite complessivo di novanta giorni, dal giudice con ordinanza, su richiesta inoltrata dal pubblico ministero prima della scadenza, valutate le ragioni che hanno impedito il compimento delle indagini per le cui esigenze la misura era stata disposta e previo interrogatorio dell'imputato (2). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 219 dell'8 giugno 1994, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che, ai fini dell'adozione del provvedimento di rinnovazione della misura cautelare personale, debba essere previamente sentito il difensore della persona da assoggettare alla misura. (2) Comma aggiunto dall'art. 14 della L. 8 agosto 1995, n. 332.

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302. (1) (2) Estinzione della custodia per omesso interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare. 1. La custodia cautelare (284, 285, 286) disposta nel corso delle indagini preliminari (326 ss., 551 ss.) perde immediatamente efficacia se il giudice (328) non procede all'interrogatorio entro il termine previsto dall'art. 294. Dopo la liberazione, la misura può essere nuovamente disposta dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, previo interrogatorio, allorchè, valutati i risultati di questo, sussistono le condizioni indicate negli artt. 273, 274 e 275. Nello stesso modo si procede nel caso in cui la persona, senza giustificato motivo, non si presenta a rendere interrogatorio. Si osservano le disposizioni dell'art. 294 commi 3, 4 e 5. (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 77 del 3 aprile 1997, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo limitatamente alle parole: «disposta nel corso delle indagini preliminari». (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 95 del 4 aprile 2001, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non prevede che le misure cautelari coercitive, diverse dalla custodia cautelare, e quelle interdittive, perdono immediatamente efficacia se il giudice non procede all'interrogatorio entro il termine previsto dall'art. 294, comma 1 bis.

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303. (1) (2) Termini di durata massima della custodia cautelare. 1. La custodia cautelare perde efficacia quando: a) dall'inizio della sua esecuzione (297) sono decorsi i seguenti termini (722) senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio o l'ordinanza con cui il giudice dispone il giudizio abbreviato ai sensi dell'articolo 438, ovvero senza che sia stata pronunciata la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti: (3) (4) 1) tre mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni; 2) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni, salvo quanto previsto dal n. 3); 3) un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la pena della reclusione non inferiore nel massimo a venti anni ovvero per uno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, lett. a), sempre che per lo stesso la legge preveda la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni; b) dall'emissione del provvedimento che dispone il giudizio (429, 450, 456, 555) o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado (448, 460, 533): 1) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni; 2) un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dal numero 1); 3) un anno e 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a venti anni; 3 bis) qualora si proceda per i delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), i termini di cui ai numeri 1), 2) e 3) sono aumentati fino a sei mesi. Tale termine è imputato a quello della fase precedente ove non completamente utilizzato, ovvero ai termini di cui alla lettera d) per la parte eventualmente residua. In quest'ultimo caso i termini di cui alla lettera d) sono proporzionalmente ridotti (5); b bis) dall'emissione dell'ordinanza con cui il giudice dispone il giudizio abbreviato o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna ai sensi dell'articolo 442: 1) tre mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni; 2) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto nel numero 1;

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3) nove mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a venti anni (6) (4) (7); c) dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini, senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in grado di appello (605): 1) nove mesi, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a tre anni; 2) un anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a dieci anni; 3) un anno e sei mesi, se vi è stata condanna alla pena dell'ergastolo o della reclusione superiore a dieci anni; d) dalla pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi gli stessi termini previsti dalla lettera c) senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, salve le ipotesi di cui alla lettera b), numero 3 bis) (8). Tuttavia, se vi è stata condanna in primo grado, ovvero se la impugnazione è stata proposta esclusivamente dal pubblico ministero, si applica soltanto la disposizione del comma 4. 2. Nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione (623) o per altra causa (23, 24, 1853, 604), il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, dalla data del provvedimento che dispone il regresso o il rinvio ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i termini previsti dal comma 1 relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento (9). 3. Nel caso di evasione dell'imputato sottoposto a custodia cautelare i termini previsti dal comma 1 decorrono di nuovo, relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento, dal momento in cui venga ripristinata la custodia cautelare. 4. La durata complessiva della custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall'art. 305, non può superare i seguenti termini: a) due anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni; b) quattro anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dalla lettera a); c) sei anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni. (1) Articolo così sostituito dall'art. 2 del D.L. 9 settembre 1991, n. 292, recante disposizioni in materia di custodia cautelare, convertito, con modificazioni, nella L. 8 novembre 1991, n. 356. L'art. 10 dello stesso D.L. n. 292/1991, dispone altresì: «Le disposizioni dell'art. 2, relative ai termini di durata della custodia cautelare, si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto». (2) Si veda l'art. 1, commi 3, 4 e 5, del D.L. 23 ottobre 1996, n. 553, convertito, con modificazioni, nella L. 23 dicembre 1996, n. 652, di cui si riporta il testo: «3. I termini previsti dall'articolo 303, comma 1, del codice di procedura penale sono sospesi dalla data del provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione a quella in cui il dibattimento davanti

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al nuovo giudice perviene allo stato in cui si trovava allorché è intervenuta la dichiarazione di astensione o di ricusazione. «4. La sospensione di cui al comma 3 non può comunque superare il termine di novanta giorni, se si tratta di procedimento per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3 bis, del codice di procedura penale, ovvero il termine di sessanta giorni negli altri casi. Il termine decorre dalla data del provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, ovvero, se il provvedimento è anteriore alla data di entrata in vigore del presente decreto, da quest'ultima data. «5. Nel computo dei termini di cui all'articolo 304, comma 6, del codice di procedura penale, salvo che per il limite relativo alla durata complessiva della custodia cautelare, non si tiene conto del periodo di sospensione di cui ai commi 3 e 4». (3) Le parole da: «dall'inizio della sua esecuzione ...» fino a: «... e 563» sono state così sostituite dalle attuali da: «dall'inizio della sua esecuzione ...» fino a: «... su richiesta delle parti:» dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144. (4) A norma dell'art. 4, comma 1, del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144, queste disposizioni si applicano anche ai giudizi abbreviati in corso alla data di entrata in vigore del citato decreto, sempre che la custodia cautelare non abbia già perso efficacia. (5) Questo numero è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000. (6) Questa lettera è stata inserita dall'art. 1, comma 1, lett. b), del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144. (7) A norma dell'art. 4, comma 2, del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144, nei casi di giudizi abbreviati in corso alla data di entrata in vigore del citato decreto, sempre che la custodia cautelare non abbia già perso efficacia, i termini stabiliti da questa lettera, decorrono dalla data dell'emissione dell'ordinanza con cui il giudice ha disposto il giudizio abbreviato o dalla data in cui ha avuto esecuzione la custodia cautelare, se successiva alla medesima ordinanza. (8) Le parole: «, salve le ipotesi di cui alla lettera b), numero 3 bis)» sono state aggiunte dall'art. 2, comma 1 bis, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000. (9) La Corte costituzionale, con sentenza n. 299 del 22 luglio 2005, ha dichiarato l'illegittimità di questo comma, nella parte in cui non consente di computare ai fini dei termini massimi di fase determinati dall'art. 304, comma 6, dello stesso codice, i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o in gradi diversi dalla fase o dal grado in cui il procedimento è regredito.

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304. (1) (2) (3) Sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare. 1. I termini previsti dall'art. 303 sono sospesi, con ordinanza appellabile a norma dell'art. 310, nei seguenti casi: a) nella fase del giudizio, durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato per impedimento dell'imputato o del suo difensore (486) ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per esigenze di acquisizione della prova (509) o a seguito di concessione di termini per la difesa (108, 451, 519, 520); b) nella fase del giudizio, durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato a causa della mancata presentazione, dell'allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori che rendano privo di assistenza uno o più imputati; c) nella fase del giudizio, durante la pendenza dei termini previsti dall'articolo 544, commi 2 e 3; c bis) nel giudizio abbreviato, durante il tempo in cui l'udienza è sospesa o rinviata per taluno dei casi indicati nelle lettere a) e b) e durante la pendenza dei termini previsti dall'articolo 544, commi 2 e 3 (4) (5). 2. I termini previsti dall'articolo 303 possono essere altresì sospesi quando si procede per taluno dei reati indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), nel caso di dibattimenti o di giudizi abbreviati particolarmente complessi, durante il tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nel giudizio di primo grado (525 ss.) o nel giudizio sulle impugnazioni (6) (5). 3. Nei casi previsti dal comma 2, la sospensione è disposta dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, con ordinanza appellabile a norma dell'art. 310. 4. I termini previsti dall'art. 303, comma 1, lett. a), sono sospesi, con ordinanza appellabile a norma dell'art. 310, se l'udienza preliminare è sospesa o rinviata per taluno dei casi indicati nel comma 1, lettere a) e b), del presente articolo. 5. Le disposizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 1, anche se riferite al giudizio abbreviato, (7) (5) e di cui al comma 4 non si applicano ai coimputati ai quali i casi di sospensione non si riferiscono e che chiedono che si proceda nei loro confronti previa separazione dei processi (8). 6. La durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3 senza tenere conto dell'ulteriore termine previsto dall'articolo 303, comma 1, lettera b), numero 3 bis) (9) e i termini aumentati della metà previsti dall'art. 303, comma 4, ovvero, se più favorevole, i due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza. A tal fine la pena dell'ergastolo è equiparata alla pena massima temporanea (8) (10). 7. Nel computo dei termini di cui al comma 6, salvo che per il limite relativo alla durata complessiva della custodia cautelare, non si tiene conto dei periodi di sospensione di cui al comma 1, lett. b) (8). (1) Articolo così sostituito dall'art. 15, comma 1, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (2) Si veda l'art. 18, commi 3-5, della L. 5 ottobre 2001, n. 367, che si riportano: «3. Nell'ipotesi in cui l'autorità giudiziaria nei procedimenti in corso, a seguito della dichiarazione di inutilizzabilità o di nullità degli atti assunti mediante rogatoria, ritenga di doverli rinnovare, i termini di custodia

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cautelare possono essere sospesi con ordinanza appellabile ai sensi dell'articolo 310 del codice di procedura penale. Si applicano i commi 6 e 7 dell'articolo 304 del medesimo codice. «4. Nell'ipotesi di cui al comma 3, nei processi per i reati di cui all'articolo 407 del codice di procedura penale, i termini di custodia cautelare sono sospesi per il tempo necessario alla rinnovazione degli atti, ai sensi dell'articolo 304, comma 1, del medesimo codice. Restano fermi i limiti di cui ai commi 6 e 7 dell'articolo 304 del codice di procedura penale. «5. Nelle ipotesi di cui ai commi 3 e 4, il termine di prescrizione resta sospeso per il tempo necessario alla rinnovazione degli atti, ai sensi dell'articolo 159 del codice penale». (3) A norma dell'art. 36, comma 2, del D.L. 8 aprile 2020, n. 23, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2020, n. 40, la disposizione di cui al comma 1 del predetto D.L. n. 23/2020, non si applica ai procedimenti penali in cui i termini di cui a questo articolo scadono nei sei mesi successivi all'11 maggio 2020. (4) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144. (5) A norma dell'art. 4, comma 1, del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144, queste disposizioni si applicano anche ai giudizi abbreviati in corso alla data di entrata in vigore del citato decreto, sempre che la custodia cautelare non abbia già perso efficacia. (6) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144. (7) Le parole: «Le disposizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 1» sono state così sostituite dalla attuali da: «Le disposizioni ...» fino a: «... giudizio abbreviato,» dall'art. 2, comma 1, lett. c), del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144. (8) A norma dell'art. 28, comma 2, della L. 8 agosto 1995, n. 332, per i procedimenti in corso, le disposizioni previste da questo comma, si applicano a partire dal novantesimo giorno dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta l'8 agosto 1995. (9) Le parole: «senza tenere conto dell'ulteriore termine previsto dall'articolo 303, comma 1, lettera b), numero 3 bis)» sono state aggiunte dall'art. 2, comma 2, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000. (10) Si veda l'art. 1, commi 3, 4 e 5, del D.L. 23 ottobre 1996, n. 553, convertito, con modificazioni, nella L. 23 dicembre 1996, n. 652, riportato sub art. 303.

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305. Proroga della custodia cautelare. 1. In ogni stato e grado del procedimento di merito, quando è disposta perizia sullo stato di mente dell'imputato (70, 220), i termini di custodia cautelare (284, 285, 286) sono prorogati per il periodo di tempo assegnato per l'espletamento della perizia (227). La proroga è disposta con ordinanza dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, sentito il difensore. L'ordinanza è soggetta a ricorso per cassazione nelle forme previste dall'art. 311 (3012). 2. Nel corso delle indagini preliminari (326 ss., 551 ss.), il pubblico ministero può altresì chiedere la proroga dei termini di custodia cautelare che siano prossimi a scadere, quando sussistono gravi esigenze cautelari che, in rapporto ad accertamenti particolarmente complessi o a nuove indagini disposte ai sensi dell'articolo 415 bis, comma 4 (1), rendano indispensabile il protrarsi della custodia. Il giudice, sentiti il pubblico ministero e il difensore, provvede con ordinanza appellabile a norma dell'art. 310. La proroga è rinnovabile una sola volta. I termini previsti dall'art. 303 comma 1 non possono essere comunque superati di oltre la metà (722) (2). (1) Le parole da: «o a nuove indagini ...» fino a: «... 415 bis, comma 4» sono state inserite dall'art. 2, comma 1 bis, del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 434 del 15 settembre 1995, ha interpretato questo comma, laddove si limita a stabilire che sulla richiesta di proroga dei termini di custodia cautelare, il giudice, sentiti il pubblico ministero ed il difensore, provvede con ordinanza, nel senso che il giudice non possa essere esonerato dal rispetto del contraddittorio, ma semplicemente che non debba essere vincolato all'obbligo di determinate forme, e lasciato libero di scegliere caso per caso, quelle più opportune per assicurare sia pure in modo celere e semplificato una effettiva dialettica tra accusa e difesa.

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306. Provvedimenti conseguenti alla estinzione delle misure. 1. Nei casi in cui la custodia cautelare (284, 285, 286, 299 ss.) perde efficacia secondo le norme del presente titolo, il giudice dispone con ordinanza l'immediata liberazione della persona sottoposta alla misura (att. 97, 98). 2. Nei casi di perdita di efficacia di altre misure cautelari (281-283, 288-290), il giudice adotta con ordinanza i provvedimenti necessari per la immediata cessazione delle misure medesime. Vai alla dottrina     ↓

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307. Provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini. 1. Nei confronti dell'imputato scarcerato per decorrenza dei termini il giudice dispone le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti, solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare (1). 1 bis. Qualora si proceda per taluno dei reati indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), il giudice dispone le misure cautelari indicate dagli articoli 281, 282 e 283 anche cumulativamente (2). 2. La custodia cautelare, ove risulti necessaria a norma dell'art. 275, è tuttavia ripristinata: a) se l'imputato ha dolosamente trasgredito alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1, sempre che, in relazione alla natura di tale trasgressione, ricorra taluna delle esigenze cautelari previste dall'art. 274; b) contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado (448, 460, 533, 605), quando ricorre l'esigenza cautelare prevista dall'art. 274 comma 1 lett. b) (3). 3. Con il ripristino della custodia, i termini relativi alla fase in cui il procedimento si trova decorrono nuovamente ma, ai fini del computo del termine previsto dall'art. 303 comma 4, si tiene conto anche della custodia anteriormente subita. 4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria (57) possono procedere al fermo dell'imputato che, trasgredendo alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1 o nell'ipotesi prevista dal comma 2 lettera b) (4), stia per darsi (5) alla fuga. Del fermo è data notizia senza ritardo, e comunque entro le ventiquattro ore, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo ove il fermo è stato eseguito. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sul fermo di indiziato di delitto (384 ss.). Con il provvedimento di convalida (391), il giudice per le indagini preliminari (328), se il pubblico ministero ne fa richiesta, dispone con ordinanza, quando ne ricorrono le condizioni, la misura della custodia cautelare (284, 285, 286) e trasmette gli atti al giudice competente (279). 5. La misura disposta a norma del comma 4 cessa di avere effetto se, entro venti giorni dalla ordinanza, il giudice competente non provvede a norma del comma 2 lett. a). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2, comma 5, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 2, comma 6, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000. (3) Lettera così modificata dall'art. 5 del D.L. 1 marzo 1991, n. 60, convertito, con modificazioni, nella L. 22 aprile 1991, n. 133, recante modifiche in tema di durata della custodia cautelare. (4) Le parole: «o nell'ipotesi prevista dal comma 2 lettera b)» sono state inserite dall'art. 2, comma 7, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000.

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(5) Le parole: «si è dato» sono state sostituite dalle attuali: «stia per darsi» dall'art. 2, comma 7, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000.

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308. Termini di durata massima delle misure diverse dalla custodia cautelare. 1. Le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare (281, 282, 283) perdono efficacia quando dall'inizio della loro esecuzione (297) è decorso un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dall'art. 303. 2. Le misure interdittive non possono avere durata superiore a dodici mesi e perdono efficacia quando è decorso il termine fissato dal giudice nell'ordinanza. In ogni caso, qualora siano state disposte per esigenze probatorie, il giudice può disporne la rinnovazione nei limiti temporali previsti dal primo periodo del presente comma (1). 2 bis. Nel caso si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316 bis, 316 ter, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater, primo comma, e 320 del codice penale, le misure interdittive perdono efficacia decorsi sei mesi dall'inizio della loro esecuzione. In ogni caso, qualora esse siano state disposte per esigenze probatorie, il giudice può disporne la rinnovazione anche oltre sei mesi dall'inizio dell'esecuzione, fermo restando che comunque la loro efficacia viene meno se dall'inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al triplo dei termini previsti dall'articolo 303 (2). 3. L'estinzione delle misure non pregiudica l'esercizio dei poteri che la legge attribuisce al giudice penale o ad altre autorità nell'applicazione di pene accessorie (28 ss. c.p.) o di altre misure interdittive. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 10, comma 1, della L. 16 aprile 2015, n. 47. (2) Questo comma, inserito dall'art. 1, comma 78, della L. 6 novembre 2012, n. 190, è stato abrogato dall'art. 10, comma 2, della L. 16 aprile 2015, n. 47.

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Capo VI. IMPUGNAZIONI. Vai alla dottrina     ↓

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309. (1) (2) Riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva. 1. Entro dieci giorni dalla esecuzione o notificazione del provvedimento (293), l'imputato può proporre richiesta di riesame, anche nel merito, della ordinanza che dispone una misura coercitiva (280 ss., 3133), salvo che si tratti di ordinanza emessa a seguito di appello del pubblico ministero (310). 2. Per l'imputato latitante (296) il termine decorre dalla data di notificazione eseguita a norma dell'art. 165. Tuttavia, se sopravviene l'esecuzione della misura, il termine decorre da tale momento quando l'imputato prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del provvedimento. 3. Il difensore dell'imputato può proporre la richiesta di riesame entro dieci giorni dalla notificazione dell'avviso di deposito dell'ordinanza che dispone la misura (2933). 3 bis. Nei termini previsti dai commi 1, 2 e 3 non si computano i giorni per i quali è stato disposto il differimento del colloquio, a norma dell'art. 104, comma 3 (3). 4. La richiesta di riesame è presentata nella cancelleria del tribunale indicato nel comma 7. Si osservano le forme previste dagli artt. 582 e 583 (4). 5. Il presidente cura che sia dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente la quale, entro il giorno successivo, e comunque non oltre il quinto giorno, trasmette al tribunale gli atti presentati a norma dell'art. 291, comma 1, nonché tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini (5). 6. Con la richiesta di riesame possono essere enunciati anche i motivi e l'imputato può chiedere di comparire personalmente (6). Chi ha proposto la richiesta ha, inoltre, facoltà di enunciare nuovi motivi davanti al giudice del riesame facendone dare atto a verbale (135 ss.) prima dell'inizio della discussione. 7. Sulla richiesta di riesame decide, in composizione collegiale, (7) il tribunale del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distaccata della corte di appello nella cui circoscrizione è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza (8) (9). 8. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall'articolo 127. L'avviso della data fissata per l'udienza è comunicato, almeno tre giorni prima, al pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7 e, se diverso, a quello che ha richiesto l'applicazione della misura; esso è notificato, altresì, entro lo stesso termine, all'imputato ed al suo difensore (148 ss.). Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria, con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. 8 bis. Il pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura può partecipare all'udienza in luogo del pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7. L'imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente (10)(11). 9. Entro dieci giorni dalla ricezione degli atti il tribunale, se non deve dichiarare l'inammissibilità della richiesta (3112), annulla, riforma o conferma l'ordinanza oggetto del riesame decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza. Il tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all'imputato anche per motivi diversi da quelli

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enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso. Il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l'autonoma valutazione, a norma dell'articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa (12) (13). 9 bis. Su richiesta formulata personalmente dall'imputato entro due giorni dalla notificazione dell'avviso, il tribunale differisce la data dell'udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi siano giustificati motivi. In tal caso il termine per la decisione e quello per il deposito dell'ordinanza sono prorogati nella stessa misura (14). 10. Se la trasmissione degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 o se la decisione sulla richiesta di riesame o il deposito dell'ordinanza del tribunale in cancelleria non intervengono nei termini prescritti, l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata. L'ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi, il giudice può disporre per il deposito un termine più lungo, comunque non eccedente il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione (306; att. 99, 100, 101) (15). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 71 del 15 marzo 1996, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 309 e 310 c.p.p., nella parte in cui non prevedono la possibilità di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nell'ipotesi in cui sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio a norma dell'art. 429 dello stesso codice. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 293 del 6 dicembre 2013, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo in quanto interpretato nel senso che la deducibilità, nel procedimento di riesame, della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure cautelari, prevista dall’art. 297, comma 3, c.p.p., sia subordinata – oltre che alla condizione che, per effetto della retrodatazione, il termine sia già scaduto al momento dell’emissione dell’ordinanza cautelare impugnata – anche a quella che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino da detta ordinanza. (3) Comma inserito dall'art. 16, comma 1, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (4) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 16, comma 2, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (5) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 16, comma 3, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (6) Le parole: «e l'imputato può chiedere di comparire personalmente» sono state aggiunte dall'art. 11, comma 1, della L. 16 aprile 2015, n. 47. (7) Le parole: «, in composizione collegiale,» sono state inserite dopo la parola: «decide» dall'art. 179 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (8) A norma dell'art. 25 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 272, recante norme di attuazione, di coordinamento e transitorie della disciplina del processo penale a carico di imputati minorenni, nel caso di imputati minori è competente il tribunale per i minorenni del luogo dove ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza impugnata. (9) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L. 23 ottobre 1996, n. 553, convertito, con modificazioni, nella L. 23 dicembre 1996, n. 652. (10) L'ultimo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 11, comma 2, della L. 16 aprile 2015, n. 47.

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(11) Il precedente comma 8, già sostituito dall'art. 16, comma 4, della L. 8 agosto 1995, n. 332, è stato così sostituito dagli attuali commi 8 e 8 bis dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L. 23 ottobre 1996, n. 553, convertito, con modificazioni, nella L. 23 dicembre 1996, n. 652. (12) L'ultimo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 11, comma 3, della L. 16 aprile 2015, n. 47. (13) Per la sentenza Corte cost. 22 giugno 1998, n. 232, il termine perentorio per la trasmissione degli atti decorre dal giorno stesso della presentazione della richiesta nella cancelleria del tribunale del riesame. (14) Questo comma è stato inserito dall'art. 11, comma 4, della L. 16 aprile 2015, n. 47. (15) Questo comma, sostituito dall'art. 16, comma 5, della L. 8 agosto 1995, n. 332, è stato da ultimo così sostituito dall'art. 11, comma 5, della L. 16 aprile 2015, n. 47.

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310. (1) Appello. 1. Fuori dei casi previsti dall'art. 309 comma 1, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore possono proporre appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali (291), enunciandone contestualmente i motivi. 2. Si osservano le disposizioni dell'art. 309, commi 1, 2, 3, 4 e 7 (2). Dell'appello è dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale l'ordinanza appellata (att. 100) e gli atti su cui la stessa si fonda. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall'art. 127. Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. Il tribunale decide entro venti giorni dalla ricezione degli atti (att. 99) con ordinanza depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione. L'ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi, il giudice può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione (3) (4). 3. L'esecuzione della decisione con la quale il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare è sospesa fino a che la decisione non sia divenuta definitiva (588). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 71 del 15 marzo 1996, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 309 e 310 c.p.p., nella parte in cui non prevedono la possibilità di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nell'ipotesi in cui sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio a norma dell'art. 429 dello stesso codice. (2) A norma dell'art. 25 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 272, recante norme di attuazione, di coordinamento e transitorie della disciplina del processo penale a carico di imputati minorenni, nel caso di imputati minori è competente il tribunale per i minorenni del luogo dove ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza impugnata. (3) Le parole: «con ordinanza depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione. L'ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi, il giudice può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione» sono state aggiunte dall'art. 12 della L. 16 aprile 2015, n. 47. (4) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 17 della L. 8 agosto 1995, n. 332.

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311. Ricorso per cassazione. 1. Contro le decisioni emesse a norma degli articoli 309 e 310, il pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura, l'imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione (5682) entro dieci giorni (att. 99) dalla comunicazione o dalla notificazione dell'avviso di deposito del provvedimento (1277, 5855, lett. a). Il ricorso può essere proposto anche dal pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7 dell'articolo 309 (1). 2. Entro i termini previsti dall'art. 309 commi 1, 2 e 3, l'imputato e il suo difensore possono proporre direttamente ricorso per cassazione (569) per violazione di legge contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva (280 ss., 3133). La proposizione del ricorso rende inammissibile la richiesta di riesame (309). 3. Il ricorso è presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso la decisione ovvero, nel caso previsto dal comma 2, in quella del giudice che ha emesso l'ordinanza. Il giudice cura che sia dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette gli atti alla Corte di cassazione (att. 100). 4. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, i motivi devono essere enunciati contestualmente al ricorso, ma il ricorrente ha facoltà di enunciare nuovi motivi davanti alla Corte di cassazione, prima dell'inizio della discussione. 5. La Corte di cassazione decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti osservando le forme previste dall'art. 127. 5 bis. Se è stata annullata con rinvio, su ricorso dell'imputato, un'ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva ai sensi dell'articolo 309, comma 9, il giudice decide entro dieci giorni dalla ricezione degli atti e l'ordinanza è depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione. Se la decisione ovvero il deposito dell'ordinanza non intervengono entro i termini prescritti, l'ordinanza che ha disposto la misura coercitiva perde efficacia, salvo che l'esecuzione sia sospesa ai sensi dell'articolo 310, comma 3, e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata (2). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 3, comma 1, del D.L. 23 ottobre 1996, n. 553, convertito, con modificazioni, nella L. 23 dicembre 1996, n. 652. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 13 della L. 16 aprile 2015, n. 47.

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Capo VII. APPLICAZIONE PROVVISORIA

DI MISURE DI SICUREZZA. Vai alla dottrina     ↓

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312. Condizioni di applicabilità. 1. Nei casi previsti dalla legge, l'applicazione provvisoria delle misure di sicurezza (206 c.p.) è disposta dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, in qualunque stato e grado del procedimento, quando sussistono gravi indizi di commissione del fatto e non ricorrono le condizioni previste dall'art. 273 comma 2 (658). Vai alla dottrina     ↓

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313. Procedimento. 1. Il giudice provvede con ordinanza a norma dell'art. 292, previo accertamento sulla pericolosità sociale dell'imputato (203 c.p.). Ove non sia stato possibile procedere all'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini (64, 65) prima della pronuncia del provvedimento, si applica la disposizione dell'art. 294. 2. Salvo quanto previsto dall'art. 299 comma 1, ai fini dell'art. 206 comma 2 del codice penale, il giudice procede a nuovi accertamenti sulla pericolosità sociale dell'imputato nei termini indicati nell'art. 72. 3. Ai fini delle impugnazioni (309 ss.), la misura prevista dall'art. 312 è equiparata alla custodia cautelare (284, 285, 286, 579). Si applicano le norme sulla riparazione per l'ingiusta detenzione (314 ss.). Vai alla dottrina     ↓

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Capo VIII. RIPARAZIONE

PER L'INGIUSTA DETENZIONE (1). (1) Vedi anche l'art. 102 bis att.

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314. (1) (2) (3) (4) Presupposti e modalità della decisione. 1. Chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile (648) perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato (530), ha diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita (284, 285, 286, 3133), qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave (24 Cost.) (5). 2. Lo stesso diritto spetta al prosciolto per qualsiasi causa (529 ss.) o al condannato (533 ss.) che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 (6). 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, alle medesime condizioni, a favore delle persone nei cui confronti sia pronunciato provvedimento di archiviazione (408, 409, 411) ovvero sentenza di non luogo a procedere (425). 4. Il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia computata ai fini della determinazione della misura di una pena (657) ovvero per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all'applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo. 5. Quando con la sentenza o con il provvedimento di archiviazione è stato affermato che il fatto non è previsto dalla legge come reato per abrogazione della norma incriminatrice, il diritto alla riparazione è altresì escluso per quella parte di custodia cautelare sofferta prima dell'abrogazione medesima. (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 310 del 25 luglio 1996, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui non prevede il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione. (2) Il diritto ad una riparazione in caso di arresto o detenzione illegale è previsto dall'art. 5, punto 5 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con L. 4 agosto 1955, n. 848 e dall'art. 9, punto 5 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, ratificato con L. 25 ottobre 1977, n. 881. Inoltre l'art. 14 della L. 13 aprile 1988, n. 117, recante norme in tema di risarcimento dei danni causati nell'esercizio di funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati, prevede espressamente il diritto alla riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta detenzione. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 219 del 20 giugno 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui, nell'ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all'equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni, secondo quanto precisato in motivazione. (4) Si veda l'art. 3 bis, commi 1-4, del D.L. 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, nella L. 17 febbraio 2012, n. 9, di cui si riporta il testo: «1. Le disposizioni dell’articolo 314 del codice di procedura penale si applicano anche ai procedimenti definiti anteriormente alla data di entrata in vigore del medesimo codice, con sentenza passata in giudicato dal 1° luglio 1988. 2. Ai fini di cui al comma 1, il termine per la proposizione della domanda di riparazione è di sei mesi e decorre dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. La domanda di riparazione resta impregiudicata dall’eventuale precedente rigetto che sia stato determinato dalla inammissibilità della stessa

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in ragione della definizione del procedimento in epoca anteriore alla data di entrata in vigore del codice di procedura penale vigente. 3. Il diritto alla riparazione di cui al comma 1 non è comunque trasmissibile agli eredi. 4. Ai fini della determinazione del risarcimento, per il periodo intercorrente tra il 1° luglio 1988 e la data di entrata in vigore del vigente codice di procedura penale, si applicano i commi 2 e 3 dell’articolo 315 del medesimo codice». (5) La Corte costituzionale, con sentenza n. 109 del 2 aprile 1999, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non avere commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziato di delitto, entro gli stessi limiti stabiliti per la custodia cautelare. (6) La Corte costituzionale, con sentenza n. 109 del 2 aprile 1999, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che lo stesso diritto nei medesimi limiti spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto quando, con decisione irrevocabile, siano risultate insussistenti le condizioni per la convalida.

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315. Procedimento per la riparazione. 1. La domanda di riparazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile o è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti è stato pronunciato a norma del comma 3 dell'articolo 314 (1). 2. L'entità della riparazione non può comunque eccedere € 516.456,90 (2). 3. Si applicano, in quanto compatibili, le norme sulla riparazione dell'errore giudiziario (643 ss.). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 15, comma 1, lett. a), della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 15, comma 1, lett. b), della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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Titolo II. MISURE CAUTELARI REALI. Vai alla dottrina     ↓

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Capo I. SEQUESTRO CONSERVATIVO.

316. Presupposti ed effetti del provvedimento.(1) 1. Se vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria (660), delle spese di procedimento (535, 592) e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato, il pubblico ministero, in ogni stato e grado del processo di merito, chiede il sequestro conservativo dei beni mobili o immobili dell'imputato o delle somme o cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento (2622, 3234; 513 ss., 671 ss. c.p.c.). 1 bis. Quando procede per il delitto di omicidio commesso contro il coniuge, anche legalmente separato o divorziato, contro l'altra parte dell'unione civile, anche se l'unione civile è cessata, o contro la persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza, il pubblico ministero rileva la presenza di figli della vittima minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti e, in ogni stato e grado del procedimento, chiede il sequestro conservativo dei beni di cui al comma 1, a garanzia del risarcimento dei danni civili subiti dai figli delle vittime (2). 2. Se vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato (185 ss. c.p.), la parte civile può chiedere il sequestro conservativo dei beni dell'imputato o del responsabile civile, secondo quanto previsto dal comma 1. 3. Il sequestro disposto a richiesta del pubblico ministero giova anche alla parte civile. 4. Per effetto del sequestro i crediti indicati nei commi 1 e 2 si considerano privilegiati (2745 ss. c.c.), rispetto a ogni altro credito non privilegiato di data anteriore e ai crediti sorti posteriormente, salvi, in ogni caso, i privilegi stabiliti a garanzia del pagamento dei tributi. (1) Si veda anche l'art. 218 delle disposizioni di coordinamento del codice di procedura penale. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 3 della L. 11 gennaio 2018, n. 4.

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317. Forma del provvedimento. Competenza. 1. Il provvedimento che dispone il sequestro conservativo a richiesta del pubblico ministero o della parte civile è emesso con ordinanza del giudice che procede. 2. Se è stata pronunciata sentenza di condanna (533), di proscioglimento (529 ss.) o di non luogo a procedere (425), soggetta a impugnazione, il sequestro è ordinato, prima che gli atti siano trasmessi al giudice dell'impugnazione, dal giudice che ha pronunciato la sentenza e, successivamente, dal giudice che deve decidere sull'impugnazione. Dopo il provvedimento che dispone il giudizio (429, 450, 456, 555) e prima che gli atti siano trasmessi al giudice competente, provvede il giudice per le indagini preliminari (328). 3. Il sequestro è eseguito dall'ufficiale giudiziario con le forme prescritte dal codice di procedura civile per l'esecuzione del sequestro conservativo sui beni mobili o immobili (att. 103; 678, 679 c.p.c.). 4. Gli effetti del sequestro cessano quando la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere non è più soggetta a impugnazione (648). La cancellazione della trascrizione del sequestro di immobili è eseguita a cura del pubblico ministero. Se il pubblico ministero non provvede, l'interessato può proporre incidente di esecuzione (666). Vai alla dottrina     ↓

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318. Riesame dell'ordinanza di sequestro conservativo. 1. Contro l'ordinanza di sequestro conservativo chiunque vi abbia interesse può proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell'art. 324. 2. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento (588). Vai alla dottrina     ↓

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319. Offerta di cauzione. 1. Se l'imputato o il responsabile civile offre cauzione idonea a garantire i crediti indicati nell'art. 316, il giudice dispone con decreto che non si faccia luogo al sequestro conservativo e stabilisce le modalità con cui la cauzione deve essere prestata. 2. Se l'offerta è proposta con la richiesta di riesame, il giudice revoca il sequestro conservativo quando ritiene la cauzione proporzionata al valore delle cose sequestrate. 3. Il sequestro è altresì revocato dal giudice se l'imputato o il responsabile civile offre, in qualunque stato e grado del processo di merito, cauzione idonea. Vai alla dottrina     ↓

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320. Esecuzione sui beni sequestrati. 1. Il sequestro conservativo si converte in pignoramento (686 c.p.c.) quando diventa irrevocabile (648) la sentenza di condanna al pagamento di una pena pecuniaria ovvero quando diventa esecutiva (650) la sentenza che condanna l'imputato e il responsabile civile al risarcimento del danno in favore della parte civile (538), fatto salvo quanto previsto dal comma 2 bis dell'articolo 539 (1). La conversione non estingue il privilegio previsto dall'art. 316 comma 4. 2. Salva l'azione per ottenere con le forme ordinarie il pagamento delle somme che rimangono ancora dovute, l'esecuzione forzata sui beni sequestrati ha luogo nelle forme prescritte dal codice di procedura civile (483 ss. c.p.c.). Sul prezzo ricavato dalla vendita dei beni sequestrati e sulle somme depositate a titolo di cauzione e non devolute alla cassa delle ammende, sono pagate, nell'ordine, le somme dovute alla parte civile a titolo di risarcimento del danno e di spese processuali (538, 541), le pene pecuniarie, le spese di procedimento (535, 592, 691) e ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato (191 c.p.). (1) Le parole: «, fatto salvo quanto previsto dal comma 2 bis dell'articolo 539» sono state aggiunte dall'art. 4, comma 2, della L. 11 gennaio 2018, n. 4.

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Capo II. SEQUESTRO PREVENTIVO.

321. Oggetto del sequestro preventivo. 1. Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato (27, 2623; att. 104). Prima dell'esercizio dell'azione penale (405) provvede il giudice per le indagini preliminari (328). 2. Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca (737; 240 c.p.) (1). 2 bis. Nel corso del procedimento penale relativo a delitti previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca (2). 3. Il sequestro è immediatamente revocato a richiesta del pubblico ministero o dell'interessato quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dal comma 1. Nel corso delle indagini preliminari provvede il pubblico ministero con decreto motivato, che è notificato a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione. Se vi è richiesta di revoca dell'interessato, il pubblico ministero, quando ritiene che essa vada anche in parte respinta, la trasmette al giudice, cui presenta richieste specifiche nonché gli elementi sui quali fonda le sue valutazioni. La richiesta è trasmessa non oltre il giorno successivo a quello del deposito nella segreteria (3). 3 bis. Nel corso delle indagini preliminari, quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero. Negli stessi casi, prima dell'intervento del pubblico ministero, al sequestro procedono ufficiali di polizia giudiziaria, i quali, nelle quarantotto ore successive, trasmettono il verbale al pubblico ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito. Questi, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, richiede al giudice la convalida e l'emissione del decreto previsto dal comma 1 entro quarantotto ore dal sequestro, se disposto dallo stesso pubblico ministero, o dalla ricezione del verbale, se il sequestro è stato eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria (4) (5). 3 ter. Il sequestro perde efficacia se non sono osservati i termini previsti dal comma 3 bis ovvero se il giudice non emette l'ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta. Copia dell'ordinanza è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate (4). (1) La confisca è espressamente prevista dalle seguenti leggi speciali: a) art. 116 c.s., approvato con D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, sulla confisca di veicolo; b) art. 6, primo comma, della L. 22 maggio 1975, n. 152, recante disciplina dell'ordine pubblico, sulla confisca in materia di reati concernenti armi ed esplosivi; c) art. 3, terzo comma, della L. 8 agosto 1977, n. 533, recante disciplina dell'ordine pubblico, sulla confisca di immobili in cui siano state rinvenute armi o esplosivi;

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d) art. 85 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, testo unico delle leggi sugli stupefacenti; e) art. 28, comma 2, della L. 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio; f) art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia; g) art. 24 del D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159, codice delle leggi antimafia. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 6, comma 3, della L. 27 marzo 2001, n. 97. (3) Gli ultimi tre periodi di questo comma sono stati aggiunti dall'art. 15 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (4) Comma aggiunto dall'art. 15 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (5) A norma dell'art. 3, comma 4, del D.L.vo 20 febbraio 2006, n. 106, l'assenso scritto del procuratore della Repubblica, ovvero del procuratore aggiunto o del magistrato appositamente delegati non è necessario nel caso di richiesta di misure cautelari personali o reali formulate in occasione di convalida del sequestro preventivo in caso d'urgenza ai sensi di questo comma.

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322. Riesame del decreto di sequestro preventivo. 1. Contro il decreto di sequestro emesso dal giudice (1) l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell'art. 324 (257). 2. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento (588). (1) Le parole: «emesso dal giudice» sono state aggiunte dall'art. 16 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

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322 bis. (1) Appello. 1. Fuori dei casi previsti dall'art. 322, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, possono proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero. 1 bis. Sull'appello decide, in composizione collegiale, (2) il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento (3). 2. L'appello non sospende l'esecuzione del provvedimento. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'art. 310. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall'art. 17 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (2) Le parole: «, in composizione collegiale,» sono state inserite dall'art. 180 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (3) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 4, comma 1, del D.L. 23 ottobre 1996, n. 553, convertito, con modificazioni, nella L. 23 dicembre 1996, n. 652.

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323. Perdita di efficacia del sequestro preventivo. 1. Con la sentenza di proscioglimento (529 ss.) o di non luogo a procedere (425), ancorché soggetta a impugnazione, il giudice ordina che le cose sequestrate siano restituite a chi ne abbia diritto, quando non deve disporre la confisca a norma dell'art. 240 del codice penale. Il provvedimento è immediatamente esecutivo. 2. Quando esistono più esemplari identici della cosa sequestrata e questa presenta interesse a fini di prova, il giudice, anche dopo la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere impugnata dal pubblico ministero, ordina che sia mantenuto il sequestro di un solo esemplare e dispone la restituzione degli altri esemplari. 3. Se è pronunciata sentenza di condanna (533), gli effetti del sequestro permangono quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate. 4. La restituzione non è ordinata se il giudice dispone, a richiesta del pubblico ministero o della parte civile, che sulle cose appartenenti all'imputato o al responsabile civile sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell'art. 316. Vai alla dottrina     ↓

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Capo III. IMPUGNAZIONI. Vai alla dottrina     ↓

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324. Procedimento di riesame. 1. La richiesta di riesame è presentata, nella cancelleria del tribunale indicato nel comma 5, entro dieci giorni dalla data di esecuzione del provvedimento che ha disposto il sequestro o dalla diversa data in cui l'interessato ha avuto conoscenza dell'avvenuto sequestro (257, 318, 355). 2. La richiesta è presentata con le forme previste dall'art. 582. Se la richiesta è proposta dall'imputato non detenuto né internato, questi, ove non abbia già dichiarato o eletto domicilio o non si sia proceduto a norma dell'art. 161 comma 2, deve indicare il domicilio presso il quale intende ricevere l'avviso previsto dal comma 6; in mancanza, l'avviso è notificato mediante consegna al difensore. Se la richiesta è proposta da un'altra persona e questa abbia (135 ss.) omesso di dichiarare il proprio domicilio, l'avviso è notificato mediante deposito in cancelleria (1). 3. La cancelleria dà immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale gli atti su cui si fonda il provvedimento oggetto del riesame. 4. Con la richiesta di riesame possono essere enunciati anche i motivi. Chi ha proposto la richiesta ha, inoltre, facoltà di enunciare nuovi motivi davanti al giudice del riesame, facendone dare atto a verbale (135 ss.) prima dell'inizio della discussione. 5. Sulla richiesta di riesame decide, in composizione collegiale, (2) il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento, nel termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti. 6. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall'art. 127. Almeno tre giorni prima, l'avviso della data fissata per l'udienza è comunicato al pubblico ministero e notificato al difensore e a chi ha proposto la richiesta (148 ss.). Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria. 7. Si applicano le disposizioni dell'articolo 309 commi 9, 9 bis (3) e 10. La revoca del decreto di sequestro può essere parziale e non può essere disposta nei casi indicati nell'art. 240 comma 2 del codice penale. 8. Il giudice del riesame, nel caso di contestazione della proprietà, rinvia la decisione della controversia al giudice civile, mantenendo nel frattempo il sequestro. (1) Quest'ultimo periodo è stato aggiunto dall'art. 18 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (2) Le parole: «, in composizione collegiale,» sono state inserite dopo la parola: «decide» dall'art. 181 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (3) Le parole: «articolo 309, commi 9» sono state così sostituite dalle seguenti: «articolo 309, commi 9, 9 bis», dall'art. 11, comma 6, della L. 16 aprile 2015, n. 47.

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325. Ricorso per cassazione. 1. Contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322 bis e 324 (1), il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge (606, lett. b). 2. Entro il termine previsto dall'art. 324 comma 1, contro il decreto di sequestro emesso dal giudice (1) può essere proposto direttamente ricorso per cassazione (569). La proposizione del ricorso rende inammissibile la richiesta di riesame. 3. Si applicano le disposizioni dell'articolo 311, commi 3, 4 e 5 (2). 4. Il ricorso non sospende l'esecuzione della ordinanza (588). (1) Questo comma è stato così modificato dall'art. 19 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (2) Le parole: «dell'articolo 311, commi 3 e 4» sono state così sostituite dalle seguenti: «dell'articolo 311, commi 3, 4 e 5» dall'art. 1, comma 60, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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Libro V. INDAGINI PRELIMINARI

E UDIENZA PRELIMINARE (1). (1) Per i procedimenti davanti al giudice di pace si vedano gli artt. 11-19 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274.

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Titolo I. DISPOSIZIONI GENERALI. Vai alla dottrina     ↓

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326. Finalità delle indagini preliminari. 1. Il pubblico ministero (358) e la polizia giudiziaria (55) svolgono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale (405; reg. 14). Vai alla dottrina     ↓

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327. Direzione delle indagini preliminari. 1. Il pubblico ministero (51; coord. 238) dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria (58) che, anche dopo la comunicazione della notizia di reato, continua a svolgere attività di propria iniziativa secondo le modalità indicate nei successivi articoli (1). (1) Le parole: «che, anche dopo la comunicazione della notizia di reato, continua a svolgere attività di propria iniziativa secondo le modalità indicate nei successivi articoli» sono state aggiunte dall'art. 7 della L. 26 marzo 2001, n. 128.

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327 bis. (1) Attività investigativa del difensore. 1. Fin dal momento dell'incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI bis del presente libro. 2. La facoltà indicata al comma 1 può essere attribuita per l'esercizio del diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento, nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione. 3. Le attività previste dal comma 1 possono essere svolte, su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 7 della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

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328. Giudice per le indagini preliminari. 1. Nei casi previsti dalla legge, sulle richieste del pubblico ministero, delle parti private (60, 61, 74, 83, 89) e della persona offesa dal reato (90), provvede il giudice per le indagini preliminari (22; att. 105; coord. 238; reg. 16). 1 bis. Quando si tratta di procedimenti per i delitti indicati nell'art. 51 commi 3 bis e 3 quater (1), le funzioni di giudice per le indagini preliminari sono esercitate, salve specifiche disposizioni di legge, da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente (2) (3). 1 ter. Quando si tratta di procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 51, comma 3 quater, le funzioni di giudice per le indagini preliminari sono esercitate, salve specifiche disposizioni di legge, da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente (4). 1 quater. Quando si tratta di procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 51, comma 3 quinquies, le funzioni di giudice per le indagini preliminari e le funzioni di giudice per l'udienza preliminare sono esercitate, salve specifiche disposizioni di legge, da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente (5). (1) Le parole: «comma 3 bis» sono state così sostituite dalle attuali: «commi 3 bis e 3 quater» dall'art. 2, comma 1, lett. 0b), n. 1), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125. (2) Comma aggiunto dall'art. 12 del D.L. 20 novembre 1991, n. 367, istitutivo della Direzione Nazionale Antimafia, convertito, con modificazioni, nella L. 20 gennaio 1992, n. 8. Queste disposizioni, ai sensi dell'art. 15 del medesimo decreto, si applicano solo ai procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. (3) A norma dell'art. 4 bis del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144, la disposizione prevista da questo comma deve essere interpretata nel senso che quando si tratta di procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 51, comma 3 bis, del codice di procedura penale, anche le funzioni di giudice per l'udienza preliminare sono esercitate da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. (4) Questo comma, aggiunto dall'art. 10 bis del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438, è stato abrogato dall'art. 2, comma 1, lett. 0b), n. 2), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125. (5) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. 0b), n. 3), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125.

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329. (1)(2)(3) Obbligo del segreto. 1. Gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero (358 ss.) e dalla polizia giudiziaria (55), le richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste (4) sono coperti dal segreto (326 c.p.) fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza (117, 1181) e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari (405 ss., 554; att. 118). 2. Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può, in deroga a quanto previsto dall'art. 114, consentire, con decreto motivato (125), la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. In tal caso, gli atti pubblicati sono depositati presso la segreteria del pubblico ministero. 3. Anche quando gli atti non sono più coperti dal segreto a norma del comma 1, il pubblico ministero, in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini può disporre con decreto motivato: a) l'obbligo del segreto per singoli atti, quando l'imputato lo consente o quando la conoscenza dell'atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone; b) il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni (114, 115). (1) A norma dell'art. 63, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e dell'art. 33, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificati dall'art. 23 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, l'utilizzazione da parte della Guardia di finanza a fini fiscali di documenti, dati e notizie processuali penali può essere autorizzata dall'autorità giudiziaria anche in deroga a questo articolo. (2) L'art. 7 della L. 14 marzo 2005, n. 41 prevede (comma 1) che il membro nazionale dell'Eurojust possa richiedere e scambiare informazioni scritte in ordine a procedimenti penali anche in deroga all'art. 329; prevede altresì (comma 2) un procedimento di controllo e di impugnazione del decreto che accoglie o rigetta la richiesta. Gli articoli 4, comma 4 e 12, comma 2, della L. 3 agosto 2007, n. 124, subordinano al nulla osta del P.M. — alla luce dell'art. 329 — la trasmissione di informazioni relative ad indagini di polizia giudiziaria richiesta da organi di informazioni e sicurezza. L'autorità giudiziaria può ritardare, ma non negare, le informazioni richieste dal Comitato parlamentare per la sicurezza (art. 31, commi 5 e 6, della L. 3 agosto 2007, n. 124). (3) A norma dell'art. 5, comma 3, della L. 20 dicembre 2012, n. 237, l'autorità giudiziaria, al fine di dare esecuzione alle richieste della Corte penale internazionale, trasmette al Ministro della giustizia, anche in deroga al divieto stabilito da questo articolo, copie di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto. (4) Le parole: «, le richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. f), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 1, del medesimo provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020.

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Titolo II. NOTIZIA DI REATO. Vai alla dottrina     ↓

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330. Acquisizione delle notizie di reato. 1. Il pubblico ministero e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie di reato presentate o trasmesse a norma degli articoli seguenti (att. 109, 127). Vai alla dottrina     ↓

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331. Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio. 1. Salvo quanto stabilito dall'art. 347, i pubblici ufficiali (357 c.p.) e gli incaricati di un pubblico servizio (358 c.p.) che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito (361, 362 c.p.) (1). 2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria (57). 3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto. 4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l'autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero (295 ss. c.p.c.; att. 106; coord. 221) (2). (1) Si veda ad esempio l'art. 39, comma 3, del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, recante approvazione del regolamento di polizia mortuaria, che così dispone: «3. Quando si abbia il sospetto che la morte sia dovuta a reato, il medico settore deve sospendere le operazioni e darne immediata comunicazione all'autorità giudiziaria». Si veda l'art. 3 della L. 13 dicembre 1989, n. 401, sull'obbligo di rapporto all'autorità giudiziaria da parte dei presidenti delle federazioni sportive nazionali e di altri soggetti. Si veda, altresì, il D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196. Si veda inoltre l'art. 19, comma 6, della L. 18 agosto 2000, n. 248, sull'obbligo di denuncia di reato del Comitato per la tutela della proprietà intellettuale. L'art. 18, comma 6, della L. 3 agosto 2007, n. 124, pone a carico del Presidente del Consiglio di informare senza ritardo l'autorità giudiziaria circa reati commessi in violazione di detta legge. I direttori dei servizi di informazione e sicurezza hanno l'obbligo di denuncia dei reati di cui hanno acquisito conoscenza al Presidente del Consiglio (e non all'autorità giudiziaria) il quale può autorizzare un differimento motivato dell'informativa alla polizia giudiziaria (art. 23, commi 6, 7 e 8, della L. 3 agosto 2007, n. 124). (2) Sull'obbligo di segnalare al P.M. lo stato di insolvenza, nei casi in cui il giudice l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile, si veda l'art. 5, n. 2, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, così come sostituito dall'art. 5 del D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5.

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332. Contenuto della denuncia. 1. La denuncia contiene la esposizione degli elementi essenziali del fatto e indica il giorno dell'acquisizione della notizia nonché le fonti di prova già note. Contiene inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. Vai alla dottrina     ↓

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333. (1) Denuncia da parte di privati. 1. Ogni persona che ha notizia di un reato perseguibile di ufficio può farne denuncia. La legge determina i casi in cui la denuncia è obbligatoria (364, 709 c.p.) (2). 2. La denuncia è presentata oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di procuratore speciale (122), al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria (1233); se è presentata per iscritto è sottoscritta dal denunciante o da un suo procuratore speciale (att. 107) (3). 3. Delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto disposto dall'art. 240 (att. 108; reg. 5). (1) La denuncia della scomparsa di persone e le procedure per l'immediata ricerca sono disciplinate dalla L. 14 novembre 2012, n. 203. (2) Si vedano l'art. 70, quinto comma, del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, sull'ordinamento giudiziario, nonché gli artt. 109, 113 e 214 reg. T.U.L.P.S. 6 maggio 1940, n. 635. Obbligo di denuncia è, altresì, previsto dall'art. 3 del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito in L. 15 marzo 1991, n. 82, in materia di sequestro di persona a scopo di estorsione. (3) Si veda l'art. 17, comma 2, della L. 26 marzo 2001, n. 128, che si riporta: «2. Qualora vittime di reati siano soggetti portatori di handicap, persone anziane o altrimenti impedite, in seguito alle richieste di intervento da questi inoltrate un appartenente alle forze dell'ordine si reca al domicilio della vittima stessa anche al fine di stendere e ricevere la relativa denuncia. Le modalità di attuazione del servizio sono stabilite con protocolli di intesa tra comuni e prefetture».

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334. Referto. 1. Chi ha l'obbligo del referto (365, 384 c. p.) deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al pubblico ministero (51) o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria (57) del luogo in cui ha prestato la propria opera o assistenza ovvero, in loro mancanza, all'ufficiale di polizia giudiziaria più vicino. 2. Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze dell'intervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare. 3. Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto, con facoltà di redigere e sottoscrivere un unico atto. Vai alla dottrina     ↓

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334 bis. (1) Esclusione dell'obbligo di denuncia nell'ambito dell'attività di investigazioni difensiva. 1. Il difensore e gli altri soggetti di cui all'articolo 391 bis non hanno obbligo di denuncia neppure relativamente ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso delle attività investigative da essi svolte. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 8 della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

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335. Registro delle notizie di reato.(1) 1. Il pubblico ministero iscrive immediatamente, nell'apposito registro custodito presso l'ufficio, ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa (330) nonché, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito (att. 109, 110; reg. 2, 5) (2). 2. Se nel corso delle indagini preliminari muta la qualificazione giuridica del fatto ovvero questo risulta diversamente circostanziato, il pubblico ministero cura l'aggiornamento delle iscrizioni previste dal comma 1 senza procedere a nuove iscrizioni (4142). 3. Ad esclusione dei casi in cui si procede per uno dei delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), le iscrizioni previste dai commi 1 e 2 sono comunicate alla persona alla quale il reato è attribuito, alla persona offesa e ai rispettivi difensori, ove ne facciano richiesta (3). 3 bis. Se sussistono specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine, il pubblico ministero, nel decidere sulla richiesta, può disporre, con decreto motivato, il segreto sulle iscrizioni per un periodo non superiore a tre mesi e non rinnovabili (3). 3 ter. Senza pregiudizio del segreto investigativo, decorsi sei mesi dalla data di presentazione della denuncia, ovvero della querela, la persona offesa dal reato può chiedere di essere informata dall'autorità che ha in carico il procedimento circa lo stato del medesimo (4). (1) In base all'art. 187 decies del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, introdotto con L. 18 aprile 2005, n. 62, quando ha notizia di un reato di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato il pubblico ministero ne informa senza ritardo il Presidente della Consob. Si veda anche, per un altro caso di informativa dovuta per legge, l'art. 23 bis della L. 13 settembre 1982, n. 646, in materia di misure di prevenzione. Per un'ipotesi di sospensione del procedimento penale dal momento dell'iscrizione della notizia di reato, si veda l'art. 23 del D.L.vo 19 dicembre 1994, n. 758 in materia di lavoro. (2) L'art. 7 della L. 14 marzo 2005, n. 41 prevede che il membro nazionale dell'Eurojust possa accedere al registro delle notizie di reato con la procedura di cui al comma 2. (3) L'originario comma 3, è stato così sostituito dagli attuali commi 3 e 3 bis per effetto dell'art. 18, comma 1, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (4) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 26, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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Titolo III. CONDIZIONI DI PROCEDIBILITÀ (1). (1) Sui riflessi dell'improcedibilità sull'accertamento dell'illecito amministrativo dell'ente, si veda l'art. 37 del D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231.

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336. Querela. 1. La querela (120 ss. c.p.) è proposta mediante dichiarazione nella quale, personalmente o a mezzo di procuratore speciale (122), si manifesta la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato. Vai alla dottrina     ↓

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337. Formalità della querela. 1. La dichiarazione di querela è proposta, con le forme previste dall'art. 333 comma 2, alle autorità alle quali può essere presentata denuncia ovvero a un agente consolare all'estero. Essa, con sottoscrizione autentica (att. 39; 27032 c.c.), può essere anche recapitata da un incaricato o spedita per posta in piego raccomandato. 2. Quando la dichiarazione di querela è proposta oralmente, il verbale (357, 373) in cui essa è ricevuta è sottoscritto (110) dal querelante o dal procuratore speciale (122). 3. La dichiarazione di querela proposta dal legale rappresentante di una persona giuridica, di un ente o di una associazione deve contenere la indicazione specifica della fonte dei poteri di rappresentanza. 4. L'autorità che riceve la querela provvede all'attestazione della data (111) e del luogo della presentazione, all'identificazione della persona che la propone e alla trasmissione degli atti all'ufficio del pubblico ministero (att. 107). Vai alla dottrina     ↓

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338. Curatore speciale per la querela. 1. Nel caso previsto dall'art. 121 del codice penale, il termine per la presentazione della querela (124 c.p.) decorre dal giorno in cui è notificato (148 ss.) al curatore speciale il provvedimento di nomina. 2. Alla nomina provvede, con decreto motivato (125), il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui si trova la persona offesa, su richiesta del pubblico ministero. 3. La nomina può essere promossa anche dagli enti che hanno per scopo la cura, l'educazione, la custodia o l'assistenza dei minorenni. 4. Il curatore speciale ha facoltà di costituirsi parte civile (76) nell'interesse della persona offesa. 5. Se la necessità della nomina del curatore speciale sopravviene dopo la presentazione della querela, provvede il giudice per le indagini preliminari o il giudice che procede. Vai alla dottrina     ↓

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339. Rinuncia alla querela. 1. La rinuncia espressa (1) alla querela è fatta personalmente o a mezzo di procuratore speciale (122), con dichiarazione sottoscritta, rilasciata all'interessato o a un suo rappresentante. La dichiarazione può anche essere fatta oralmente a un ufficiale di polizia giudiziaria (57) o a un notaio, i quali, accertata l'identità del rinunciante, redigono verbale. Questo non produce effetti se non è sottoscritto dal dichiarante. 2. La rinuncia sottoposta a termini o a condizioni non produce effetti. 3. Con la stessa dichiarazione può essere fatta rinuncia anche all'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno (74). (1) Per la rinuncia tacita alla querela si veda l'art. 124 c.p.

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340. Remissione della querela. 1. La remissione della querela (152 ss. c.p.) è fatta e accettata personalmente o a mezzo di procuratore speciale (122), con dichiarazione ricevuta dall'autorità procedente o da un ufficiale di polizia giudiziaria (57) che deve trasmetterla immediatamente alla predetta autorità. 2. La dichiarazione di remissione e quella di accettazione sono fatte con le forme previste per la rinuncia espressa alla querela (339). 3. Il curatore speciale previsto dall'art. 155 comma 4 del codice penale è nominato a norma dell'art. 338. 4. Le spese del procedimento sono a carico del querelato, salvo che nell'atto di remissione sia stato diversamente convenuto (1). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 13 della L. 25 giugno 1999, n. 205.

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341. Istanza di procedimento. 1. L'istanza di procedimento (9, 10, 130 c.p.) è proposta dalla persona offesa con le forme della querela (337). Vai alla dottrina     ↓

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342. Richiesta di procedimento. 1. La richiesta di procedimento (7-11, 127-129, 313 c.p.) è presentata al pubblico ministero con atto sottoscritto dall'autorità competente. Vai alla dottrina     ↓

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343. Autorizzazione a procedere. 1. Qualora sia prevista l'autorizzazione a procedere (313 c.p.), il pubblico ministero ne fa richiesta a norma dell'art. 344. 2. Fino a quando non sia stata concessa l'autorizzazione, è fatto divieto di disporre il fermo (384) o misure cautelari personali (280 ss.) nei confronti della persona rispetto alla quale è prevista l'autorizzazione medesima nonché di sottoporla a perquisizione personale (249, 352) o domiciliare (251, 352), a ispezione personale (245), a ricognizione (213), a individuazione (361), a confronto (211), a intercettazione di conversazioni o di comunicazioni (266). Si può procedere all'interrogatorio solo se l'interessato lo richiede (374). 3. Gli atti previsti dal comma 2 sono consentiti, anche prima della richiesta di autorizzazione, quando la persona è colta nella flagranza (382) di uno dei delitti indicati nell'art. 380 commi 1 e 2. Tuttavia, quando l'autorizzazione a procedere o l'autorizzazione al compimento di determinati atti sono prescritte da disposizioni della Costituzione o di leggi costituzionali (1) (2), si applicano tali disposizioni, nonché, in quanto compatibili con esse, quelle di cui agli articoli 344, 345 e 346 (3). 4. Gli atti compiuti in violazione di quanto stabiliti nei commi 2 e 3 non possono essere utilizzati (191). 5. L'autorizzazione a procedere, una volta concessa, non può essere revocata. (1) L'art. 3, terzo comma, della L. cost. 9 febbraio 1948, n. 1, recante norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie di indipendenza della Corte costituzionale, come modificato dalla L. cost. 22 novembre 1967, n. 2, prescrive l'autorizzazione della Corte stessa quando si proceda nei confronti di un suo membro. (2) Si veda l'art. 68 della Costituzione, così come modificato dall'art. 1 della L. cost. 29 ottobre 1993, n. 3, nonché la L. 20 giugno 2003, n. 140 e, per gli europarlamentari, gli artt. 9 e 10 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità della Comunità Europea (L. 3 maggio 1966, n. 437). (3) Il secondo periodo di questo comma è stato così sostituito dall'art. 2 della L. 20 giugno 2003, n. 140.

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344. Richiesta di autorizzazione a procedere. 1. Il pubblico ministero chiede l'autorizzazione prima di procedere a giudizio direttissimo (449, 566) o di richiedere il giudizio immediato (453 ss.), il rinvio a giudizio (416), il decreto penale di condanna (459) o di emettere il decreto di citazione a giudizio (555) (1). La richiesta deve, comunque, essere presentata entro trenta giorni dalla iscrizione nel registro delle notizie di reato (335) del nome della persona per la quale è necessaria l'autorizzazione (att. 111). 2. Se la persona per la quale è necessaria l'autorizzazione è stata arrestata in flagranza (380 ss.), il pubblico ministero richiede l'autorizzazione a procedere immediatamente e comunque prima della udienza di convalida (391). 3. Il giudice sospende il processo e il pubblico ministero richiede senza ritardo l'autorizzazione a procedere qualora ne sia sorta la necessità dopo che si è proceduto a giudizio direttissimo ovvero dopo che sono state formulate le richieste previste dalla prima parte del comma 1. Se vi è pericolo nel ritardo, il giudice provvede all'assunzione delle prove richieste dalle parti. 4. Quando si procede nei confronti di più persone per alcune delle quali soltanto è necessaria l'autorizzazione e questa tarda ad essere concessa, si può procedere separatamente contro gli imputati per i quali l'autorizzazione non è necessaria (18). (1) I primi due periodi di questo comma sono stati così sostituiti dall'attuale primo periodo dall'art. 182 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Si riporta il testo previgente: «Il pubblico ministero chiede l'autorizzazione prima di procedere a giudizio direttissimo o di richiedere il giudizio immediato, il rinvio a giudizio o il decreto penale di condanna. Nei procedimenti di competenza del pretore, la richiesta deve essere presentata prima dell'emissione del decreto di citazione a giudizio».

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345. Difetto di una condizione di procedibilità. Riproponibilità dell'azione penale. 1. Il provvedimento di archiviazione (411) e la sentenza di proscioglimento (529) o di non luogo a procedere (425), anche se non più soggetta a impugnazione, con i quali è stata dichiarata la mancanza della querela (336), della istanza (341), della richiesta (342) o dell'autorizzazione a procedere (343), non impediscono l'esercizio dell'azione penale per il medesimo fatto e contro la medesima persona se è in seguito proposta la querela, l'istanza, la richiesta o è concessa l'autorizzazione ovvero se è venuta meno la condizione personale che rendeva necessaria l'autorizzazione (4053-4). 2. La stessa disposizione si applica quando il giudice accerta la mancanza di una condizione di procedibilità diversa da quelle indicate nel comma 1 (1), nonché quando, dopo che è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere a norma dell'articolo 72 bis, lo stato di incapacità dell'imputato viene meno o si accerta che è stato erroneamente dichiarato (2). (1) Per un richiamo a questa norma si veda l'art. 13, comma 3 quinquies, del D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, sulle immigrazioni clandestine, come emendato con L. 30 luglio 2002, n. 189. (2) Le parole: «, nonché quando, dopo che è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere a norma dell'articolo 72 bis, lo stato di incapacità dell'imputato viene meno o si accerta che è stato erroneamente dichiarato» sono state aggiunte dall'art. 1, comma 23, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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346. Atti compiuti in mancanza di una condizione di procedibilità. 1. Fermo quanto disposto dall'art. 343, in mancanza di una condizione di procedibilità che può ancora sopravvenire, possono essere compiuti gli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova (348) e, quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove previste dall'art. 392 (att. 112). Vai alla dottrina     ↓

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Titolo IV. ATTIVITÀ A INIZIATIVA

DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA. Vai alla dottrina     ↓

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347. Obbligo di riferire la notizia del reato. 1. Acquisita la notizia di reato (330), la polizia giudiziaria, senza ritardo, riferisce al pubblico ministero, per iscritto, gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione, (55, 357, att. 16) (1). 2. Comunica, inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (332, 349). 2 bis. Qualora siano stati compiuti atti per i quali è prevista l'assistenza del difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, la comunicazione della notizia di reato è trasmessa al più tardi entro quarantotto ore dal compimento dell'atto, salve le disposizioni di legge che prevedono termini particolari (2). 3. Se si tratta di taluno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, lett. a), numeri da 1) a 6) (3) , del presente codice, o di uno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 612 bis e 612 ter del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice penale,  (4) e, in ogni caso, quando sussistono ragioni di urgenza, la comunicazione della notizia di reato è data immediatamente anche in forma orale (5). Alla comunicazione orale deve seguire senza ritardo quella scritta con le indicazioni e la documentazione previste dai commi 1 e 2. 4. Con la comunicazione, la polizia giudiziaria indica il giorno e l'ora in cui ha acquisito la notizia (coord. 221). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (2) Comma aggiunto dall'art. 4, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (3) Le parole: «275, comma 3,» sono state sostituite dalle attuali «407, ... a 6)» per effetto dell'art. 21, comma 2, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (4) Le parole: « , del presente codice, o di uno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 612 bis e 612 ter del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice penale, » sono state inserite dall'art. 1, comma 1, della L. 19 luglio 2019, n. 69. (5) Il primo periodo di questo comma è stato così sostituito dall'art. 4, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

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348. Assicurazione delle fonti di prova. 1. Anche successivamente alla comunicazione della notizia di reato, la polizia giudiziaria continua a svolgere le funzioni indicate nell'art. 55 raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole (326) (1). 2. Al fine indicato nel comma 1, procede, fra l'altro: a) alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi; b) alla ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti; c) al compimento degli atti indicati negli articoli seguenti. 3. Dopo l'intervento del pubblico ministero, la polizia giudiziaria compie gli atti ad essa specificamente delegati a norma dell'articolo 370, esegue le direttive del pubblico ministero ed inoltre svolge di propria iniziativa, informandone prontamente il pubblico ministero, tutte le altre attività di indagine per accertare i reati ovvero richieste da elementi successivamente emersi e assicura le nuove fonti di prova (2). 4. La polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero, compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera (359). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4, comma 2, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 8 della L. 26 marzo 2001, n. 128.

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349. Identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone. 1. La polizia giudiziaria procede alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (3572, lett. d). 2. Alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini può procedersi anche eseguendo, ove occorra, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti (1). 2 bis. Se gli accertamenti indicati dal comma 2 comportano il prelievo di capelli o saliva e manca il consenso dell'interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, del pubblico ministero (2) (3). 3. Quando procede alla identificazione, la polizia giudiziaria invita la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini a dichiarare o a eleggere il domicilio per le notificazioni a norma dell'art. 161. Osserva inoltre le disposizioni dell'art. 66 (64). 4. Se taluna delle persone indicate nel comma 1 rifiuta di farsi identificare ovvero fornisce generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità (496 c.p.), la polizia giudiziaria la accompagna nei propri uffici e ivi la trattiene per il tempo strettamente necessario per la identificazione e comunque non oltre le dodici ore ovvero, previo avviso anche orale al pubblico ministero, non oltre le ventiquattro ore, nel caso che l'identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra l'assistenza dell'autorità consolare o di un interprete ed in tal caso con facoltà per il soggetto di chiedere di avvisare un familiare o un convivente (att. 942; 651 c.p.) (4). 5. Dell'accompagnamento e dell'ora in cui questo è stato compiuto è data immediata notizia al pubblico ministero il quale, se ritiene che non ricorrono le condizioni previste dal comma 4, ordina il rilascio della persona accompagnata. 6. Al pubblico ministero è data altresì notizia del rilascio della persona accompagnata e dell'ora in cui esso è avvenuto. (1) Si vedano anche l'art. 4 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e l'art. 7 del R.D. 6 maggio 1940, n. 635, recante il regolamento per la sua attuazione, nonché il D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 10, comma 1, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155. (3) A norma dell'art. 10, comma 4 quater, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155, le disposizioni di cui a questo comma si osservano anche per le procedure di identificazione di cui all'articolo 11 del decreto legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 maggio 1978, n. 191. (4) Le parole da: «ovvero, previo avviso ...» fino alla fine del comma, sono state aggiunte dall'art. 10, comma 2, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155.

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350. Sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini. 1. Gli ufficiali di polizia giudiziaria (57) assumono, con le modalità previste dall'art. 64, sommarie informazioni utili per le investigazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini che non si trovi in stato di arresto (380 ss.) o di fermo a norma dell'art. 384 (3572, lett. b), e nei casi di cui all’articolo 384 bis (1). 2. Prima di assumere le sommarie informazioni, la polizia giudiziaria invita la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini a nominare un difensore di fiducia e, in difetto, provvede a norma dell'art. 97 comma 3. 3. Le sommarie informazioni sono assunte con la necessaria assistenza del difensore, al quale la polizia giudiziaria dà tempestivo avviso. Il difensore ha l'obbligo di presenziare al compimento dell'atto (179). 4. Se il difensore non è stato reperito o non è comparso, la polizia giudiziaria richiede al pubblico ministero di provvedere a norma dell'art. 97, comma 4. 5. Sul luogo o nell'immediatezza del fatto, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono, anche senza la presenza del difensore, assumere dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, anche se arrestata in flagranza (380 ss.) o fermata a norma dell'art. 384, notizie e indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini. 6. Delle notizie e delle indicazioni assunte senza l'assistenza del difensore sul luogo o nell'immediatezza del fatto a norma del comma 5 è vietata ogni documentazione e utilizzazione. 7. La polizia giudiziaria può altresì ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ma di esse non è consentita la utilizzazione nel dibattimento, salvo quanto previsto dall'art. 503, comma 3 (3572, lett. b) (2). (1) Le parole: «, e nei casi di cui all’articolo 384 bis» sono state aggiunte dall'art. 2, comma 1, lett. b bis), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4, comma 3, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

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351. Altre sommarie informazioni. 1. La polizia giudiziaria assume sommarie informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini (63, 3572, lett. c), 500, 503). Si applicano le disposizioni del secondo e terzo periodo del comma 1 dell'articolo 362 (1) (2). 1 bis. All'assunzione di informazioni da persona imputata in un procedimento connesso ovvero da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall'art. 371, comma 2, lett. b), procede un ufficiale di polizia giudiziaria. La persona predetta, se priva del difensore, è avvisata che è assistita da un difensore di ufficio, ma che può nominarne uno di fiducia. Il difensore deve essere tempestivamente avvisato e ha diritto di assistere all'atto (3). 1 ter. Nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 572, (4) 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quater.1, 600 quinquies, 601, 602, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 609 undecies e 612 bis (5) del codice penale, la polizia giudiziaria, quando deve assumere sommarie informazioni da persone minori, si avvale dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nominato dal pubblico ministero. Allo stesso modo procede quando deve assumere sommarie informazioni da una persona offesa, anche maggiorenne, in condizione di particolare vulnerabilità. In ogni caso assicura che la persona offesa particolarmente vulnerabile, in occasione della richiesta di sommarie informazioni, non abbia contatti con la persona sottoposta ad indagini e non sia chiamata più volte a rendere sommarie informazioni, salva l'assoluta necessità per le indagini (6)(7). (1) L'ultimo periodo di questo comma, aggiunto dall'art. 4, comma 4, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356, è stato così sostituito dall'art. 13, comma 1, della L. 1° marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (2) Per i reati di abuso di informazione privilegiate e di aggiotaggio finanziario, la Consob «compie atti di accertamento delle violazioni», anche procedendo «all'audizione di chiunque appaia informato sui fatti, redigendone processo verbale», e trasmette al pubblico ministero la relazione sull'attività svolta. (3) Comma aggiunto dall'art. 4, comma 4, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (4) Le parole: «572,» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. b ter), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (5) Le parole: «e 609 undecies» sono state così sostituite dalle attuali: «, 609 undecies e 612 bis» dall'art. 2, comma 1, lett. b ter), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (6) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. f), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212. (7) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 5, comma 1, lett. c), della L. 1° ottobre 2012, n. 172.

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352. Perquisizioni.(1) 1. Nella flagranza del reato (382) o nel caso di evasione (385 c.p.), gli ufficiali di polizia giudiziaria (57) procedono a perquisizione personale o locale (247 ss.; coord. 225) quando hanno fondato motivo di ritenere che sulla persona si trovino occultate cose o tracce pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse ovvero che tali cose o tracce si trovino in un determinato luogo o che ivi si trovi la persona sottoposta alle indagini o l'evaso (103, 356; att. 113; 609 c.p.). 1 bis. Nella flagranza del reato, ovvero nei casi di cui al comma 2 quando sussistono i presupposti e le altre condizioni ivi previsti, gli ufficiali di polizia giudiziaria, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione, procedono altresì alla perquisizione di sistemi informatici o telematici, ancorche protetti da misure di sicurezza, quando hanno fondato motivo di ritenere che in questi si trovino occultati dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato che possono essere cancellati o dispersi (2). 2. Quando si deve procedere alla esecuzione di un'ordinanza che dispone la custodia cautelare (293) o di un ordine che dispone la carcerazione nei confronti di persona imputata o condannata (656) per uno dei delitti previsti dall'art. 380 ovvero al fermo di una persona indiziata di delitto (384), gli ufficiali di polizia giudiziaria possono altresì procedere a perquisizione personale o locale se ricorrono i presupposti indicati nel comma 1 e sussistono particolari motivi di urgenza che non consentono la emissione di un tempestivo decreto di perquisizione. 3. La perquisizione domiciliare può essere eseguita anche fuori dei limiti temporali dell'art. 251 quando il ritardo potrebbe pregiudicarne l'esito. 4. La polizia giudiziaria trasmette senza ritardo, e comunque non oltre le quarantotto ore, al pubblico ministero del luogo dove la perquisizione è stata eseguita il verbale delle operazioni compiute (3572, lett. d). Il pubblico ministero, se ne ricorrono i presupposti, nelle quarantotto ore successive, convalida la perquisizione. (1) Norme particolari sulle perquisizioni della polizia giudiziaria sono contenute nell'art. 4 della L. 22 maggio 1975, n. 152, sull'ordine pubblico, come modificata dalla L. 19 marzo 1990, n. 55, recante nuove norme sulla prevenzione della delinquenza mafiosa; nell'art. 27 della stessa L. n. 55/1990; nell'art. 103 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, testo unico della legge sugli stupefacenti; nell'art. 25 bis del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356, sulla criminalità mafiosa; nell'art. 5 del D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito in L. 25 giugno 1993, n. 205, in materia di discriminazioni e genocidio, e nell'art. 12 del D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, sull'immigrazione clandestina. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 9, comma 1, della L. 18 marzo 2008, n. 48.

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353. Acquisizione di plichi o di corrispondenza. 1. Quando vi è necessità di acquisire plichi sigillati o altrimenti chiusi, l'ufficiale di polizia giudiziaria (57) li trasmette intatti al pubblico ministero per l'eventuale sequestro (253 ss.). 2. Se ha fondato motivo di ritenere che i plichi contengano notizie utili alla ricerca e all'assicurazione di fonti di prova che potrebbero andare disperse a causa del ritardo, l'ufficiale di polizia giudiziaria informa col mezzo più rapido il pubblico ministero il quale può autorizzarne l'apertura immediata (356) e l'accertamento del contenuto (1). 3. Se si tratta di lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi o altri oggetti di corrispondenza, anche se in forma elettronica o se inoltrati per via telematica, (2) per i quali è consentito il sequestro a norma dell'art. 254, gli ufficiali di polizia giudiziaria, in caso di urgenza, ordinano a chi è preposto al servizio postale, telegrafico, telematico o di telecomunicazione (3) di sospendere l'inoltro. Se entro quarantotto ore dall'ordine della polizia giudiziaria il pubblico ministero non dispone il sequestro, gli oggetti di corrispondenza sono inoltrati (3572, lett. e). (1) Le parole: «e l'accertamento del contenuto» sono state aggiunte dall'art. 9, comma 2, lett. a), della L. 18 marzo 2008, n. 48. (2) Le parole: «lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi o altri oggetti di corrispondenza» sono state così sostituite dalle attuali da: «lettere, pieghi, ...» fino a: «... o se inoltrati per via telematica,» dall'art. 9, comma 2, lett. b), della L. 18 marzo 2008, n. 48. (3) Le parole: «, telegrafico, telematico o di telecomunicazione» sono state inserite dall'art. 9, comma 2, lett. b), della L. 18 marzo 2008, n. 48.

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354. Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro. 1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria (57) curano che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell'intervento del pubblico ministero. 2. Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini (1), gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose. In relazione ai dati, alle informazioni e ai programmi informatici o ai sistemi informatici o telematici, gli ufficiali della polizia giudiziaria adottano, altresì, le misure tecniche o impartiscono le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne l'alterazione e l'accesso e provvedono, ove possibile, alla loro immediata duplicazione su adeguati supporti, mediante una procedura che assicuri la conformità della copia all'originale e la sua immodificabilità (2). Se del caso, sequestrano il corpo del reato e le cose a questo pertinenti (253, 356; att. 113) (3) (4). 3. Se ricorrono i presupposti previsti dal comma 2, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sulle persone diversi dalla ispezione personale (245, 3572, lett. e); att. 113). [Se gli accertamenti comportano il prelievo di materiale biologico, si osservano le disposizioni del comma 2 bis dell'articolo 349] (5). (1) Le parole: «ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini» sono state inserite dall'art. 9 della L. 26 marzo 2001, n. 128. (2) Questo periodo è stato inserito dall'art. 9, comma 3, della L. 18 marzo 2008, n. 48. (3) Il sequestro è previsto obbligatoriamente per gli immobili in cui sono stati rinvenuti armi da sparo, esplosivi o ordigni esplosivi o incendiari, a norma dell'art. 3 della L. 8 agosto 1977, n. 533, sull'ordine pubblico. (4) Ai sensi dell'art. 1, comma 6, della L. 19 marzo 1990, n. 55, gli ufficiali di P.G., previa autorizzazione del procuratore della Repubblica o del giudice procedenti, possono procedere al sequestro, «con le modalità di cui agli artt. 253, 254 e 255 c.p.p.», della documentazione esistente presso uffici della pubblica amministrazione, enti creditizi, imprese, società ed enti di ogni tipo, quando detta documentazione sia ritenuta utile ai fini delle indagini nei confronti di soggetti indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso. La medesima documentazione può essere richiesta, direttamente o a mezzo di ufficiali o agenti di P. G., dal procuratore della Repubblica o dal questore. (5) L'ultimo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 10, comma 4 ter, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155 e poi soppresso dall'art. 27 della L. 30 giugno 2009, n. 85.

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355. Convalida del sequestro e suo riesame. 1. Nel caso in cui abbia proceduto a sequestro (354), la polizia giudiziaria enuncia nel relativo verbale (357) il motivo del provvedimento e ne consegna copia alla persona alla quale le cose sono state sequestrate. Il verbale è trasmesso senza ritardo, e comunque non oltre le quarantotto ore, al pubblico ministero del luogo dove il sequestro è stato eseguito (coord. 229). 2. Il pubblico ministero, nelle quarantotto ore successive, con decreto motivato (125) convalida il sequestro se ne ricorrono i presupposti ovvero dispone la restituzione delle cose sequestrate (263). Copia del decreto di convalida è immediatamente notificata (148 ss.) alla persona alla quale le cose sono state sequestrate (1). 3. Contro il decreto di convalida, la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre, entro dieci giorni dalla notifica del decreto ovvero dalla diversa data in cui l'interessato ha avuto conoscenza dell'avvenuto sequestro, richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell'art. 324 (257). 4. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento (588). (1) La restituzione è doverosa anche in presenza del superamento del termine di quarantotto ore (Corte cost. 8 aprile 1993, n. 151).

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356. Assistenza del difensore. 1. Il difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ha facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato, agli atti previsti dagli artt. 352 e 354 oltre che all'immediata apertura del plico autorizzata dal pubblico ministero a norma dell'art. 353 comma 2 (178, lett. c); att. 114). Vai alla dottrina     ↓

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357. Documentazione dell'attività di polizia giudiziaria. 1. La polizia giudiziaria annota secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini, anche sommariamente, tutte le attività svolte, comprese quelle dirette alla individuazione delle fonti di prova (att. 115). 2. Fermo quanto disposto in relazione a specifiche attività, redige verbale dei seguenti atti: a) denunce (333), querele (336) e istanze (341) presentate oralmente; b) sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini (350); c) informazioni assunte, a norma dell'art. 351 (1); d) perquisizioni (352) e sequestri (354); e) operazioni e accertamenti previsti dagli artt. 349, 353 e 354; f) atti, che descrivono fatti e situazioni, eventualmente compiuti sino a che il pubblico ministero non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini (348). 3. Il verbale (135) è redatto da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria (57) nelle forme e con le modalità previste dall'art. 373. 4. La documentazione dell'attività di polizia giudiziaria è posta a disposizione del pubblico ministero. 5. A disposizione del pubblico ministero sono altresì poste le denunce, le istanze e le querele presentate per iscritto, i referti (334), il corpo del reato e le cose pertinenti al reato (253). (1) Lettera così sostituita dall'art. 4, comma 5, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

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Titolo V. ATTIVITÀ DEL PUBBLICO MINISTERO. Vai alla dottrina     ↓

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358. Attività di indagine del pubblico ministero. 1. Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell'art. 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini. Vai alla dottrina     ↓

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359. Consulenti tecnici del pubblico ministero. 1. Il pubblico ministero, quando procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, può nominare e avvalersi di consulenti, che non possono rifiutare la loro opera (348, 366 c.p. e 141 bis). 2. Il consulente può essere autorizzato dal pubblico ministero ad assistere a singoli atti di indagine (att. 73). Vai alla dottrina     ↓

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359 bis. (1) Prelievo coattivo di campioni biologici su persone viventi. 1. Fermo quanto disposto dall’articolo 349, comma 2 bis, quando devono essere eseguite le operazioni di cui all’articolo 224 bis e non vi è il consenso della persona interessata, il pubblico ministero ne fa richiesta al giudice per le indagini preliminari che le autorizza con ordinanza quando ricorrono le condizioni ivi previste. 2. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone lo svolgimento delle operazioni con decreto motivato contenente i medesimi elementi previsti dal comma 2 dell’articolo 224 bis, provvedendo a disporre l’accompagnamento coattivo, qualora la persona da sottoporre alle operazioni non si presenti senza addurre un legittimo impedimento, ovvero l’esecuzione coattiva delle operazioni, se la persona comparsa rifiuta di sottoporvisi. Entro le quarantotto ore successive il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari la convalida del decreto e dell’eventuale provvedimento di accompagnamento coattivo. Il giudice provvede con ordinanza al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive, dandone avviso immediatamente al pubblico ministero e al difensore. 3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, le disposizioni degli articoli 132, comma 2, e 224 bis, commi 2, 4 e 5, si applicano a pena di nullità delle operazioni e di inutilizzabilità delle informazioni così acquisite. Si applicano le disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo 191. 3 bis. Nei casi di cui agli articoli 589 bis e 590 bis del codice penale, qualora il conducente rifiuti di sottoporsi agli accertamenti dello stato di ebbrezza alcolica ovvero di alterazione correlata all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, se vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, il decreto di cui al comma 2 e gli ulteriori provvedimenti ivi previsti possono, nei casi di urgenza, essere adottati anche oralmente e successivamente confermati per iscritto. Gli ufficiali di polizia giudiziaria procedono all'accompagnamento dell'interessato presso il più vicino presidio ospedaliero al fine di sottoporlo al necessario prelievo o accertamento e si procede all'esecuzione coattiva delle operazioni se la persona rifiuta di sottoporvisi. Del decreto e delle operazioni da compiersi è data tempestivamente notizia al difensore dell'interessato, che ha facoltà di assistervi, senza che ciò possa comportare pregiudizio nel compimento delle operazioni. Si applicano le previsioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 365. Entro le quarantotto ore successive, il pubblico ministero richiede la convalida del decreto e degli eventuali ulteriori provvedimenti al giudice per le indagini preliminari, che provvede al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive, dandone immediato avviso al pubblico ministero e al difensore. Le operazioni devono sempre svolgersi nel rispetto delle condizioni previste dai commi 4 e 5 dell'articolo 224 bis (2). (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 25 della L. 30 giugno 2009, n. 85. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 4, lett. b), della L. 23 marzo 2016, n. 41.

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360. Accertamenti tecnici non ripetibili. 1. Quando gli accertamenti previsti dall'art. 359 riguardano persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione, il pubblico ministero avvisa, senza ritardo, la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa dal reato (90) e i difensori (96, 101) del giorno, dell'ora e del luogo fissati per il conferimento dell'incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici (233; att. 117). 2. Si applicano le disposizioni dell'art. 364 comma 2. 3. I difensori nonché i consulenti tecnici eventualmente nominati hanno diritto di assistere al conferimento dell'incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve. 4. Qualora, prima del conferimento dell'incarico, la persona sottoposta alle indagini formuli riserva di promuovere incidente probatorio (392, 393), il pubblico ministero dispone che non si proceda agli accertamenti salvo che questi, se differiti, non possano più essere utilmente compiuti. 4 bis. La riserva di cui al comma 4 perde efficacia e non può essere ulteriormente formulata se la richiesta di incidente probatorio non è proposta entro il termine di dieci giorni dalla formulazione della riserva stessa (1). 5. Fuori del caso di inefficacia della riserva di incidente probatorio previsto dal comma 4 bis, (2) se il pubblico ministero, malgrado l'espressa riserva formulata dalla persona sottoposta alle indagini e pur non sussistendo le condizioni indicate nell'ultima parte del comma 4, ha ugualmente disposto di procedere agli accertamenti, i relativi risultati non possono essere utilizzati nel dibattimento (3) (431, lett. c); att. 116, 117, 240 bis). (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 28, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (2) Le parole: «Fuori del caso di inefficacia della riserva di incidente probatorio previsto dal comma 4 bis,» sono state premesse dall'art. 1, comma 29, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (3) Le parole: «agli effetti del giudizio» sono state sostituite dalle parole: «nel dibattimento» dall'art. 5, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

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1002

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1003

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1004

361. Individuazione di persone e di cose. 1. Quando è necessario per la immediata prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero procede alla individuazione di persone, di cose o di quanto altro può essere oggetto di percezione sensoriale (213 ss.). 2. Le persone, le cose e gli altri oggetti sono presentati ovvero sottoposti in immagine a chi deve eseguire la individuazione. 3. Se ha fondata ragione di ritenere che la persona chiamata alla individuazione possa subire intimidazione o altra influenza dalla presenza di quella sottoposta a individuazione, il pubblico ministero adotta le cautele previste dall'art. 214 comma 2. Vai alla dottrina     ↓

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362. Assunzione di informazioni. 1. Il pubblico ministero assume informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini. Alle persone già sentite dal difensore o dal suo sostituto non possono essere chieste informazioni sulle domande formulate e sulle risposte date (1). Si applicano le disposizioni degli articoli 197, 197 bis, 198, 199, 200, 201, 202 e 203 (2) (3). 1 bis. Nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 351, comma 1 ter, il pubblico ministero, quando deve assumere informazioni da persone minori, si avvale dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile. Allo stesso modo provvede quando deve assumere sommarie informazioni da una persona offesa, anche maggiorenne, in condizione di particolare vulnerabilità (4). In ogni caso assicura che la persona offesa particolarmente vulnerabile, in occasione della richiesta di sommarie informazioni, non abbia contatti con la persona sottoposta ad indagini e non sia chiamata più volte a rendere sommarie informazioni, salva l'assoluta necessità per le indagini (4)(5). 1 ter. Quando si procede per i delitti previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 612 bis del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell'interesse della persona offesa (6). (1) Il secondo periodo di questo articolo è stato inserito dall'art. 9 della L. 7 dicembre 2000, n. 397. (2) L'ultimo periodo di questo comma è stato così da ultimo sostituito dall'art. 13, comma 2, della L. 1° marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (3) Si vedano l'art. 371, comma 2, c.p. e l'art. 381, comma 4 bis, c.p.p., nonché l'art. 28, comma 1 della L. 8 agosto 1995, n. 332. (4) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. g), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212. (5) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 5, comma 1, lett. d), della L. 1° ottobre 2012, n. 172. (6) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, della L. 19 luglio 2019, n. 69.

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363. Interrogatorio di persona imputata in un procedimento connesso. 1. Le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 sono interrogate dal pubblico ministero sui fatti per cui si procede nelle forme previste dall'art. 210 commi 2, 3, 4 e 6 (1). 2. La disposizione del comma 1 si applica anche alle persone imputate di un reato collegato a quello per cui si procede, nel caso previsto dall'art. 371 comma 2, lett. b). (1) Le originarie parole: «3 e 4» sono state così sostituite dalle attuali: «3, 4 e 6» dall'art. 8, comma 2, della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo.

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364. Nomina e assistenza del difensore. 1. Il pubblico ministero, se deve procedere a interrogatorio (64, 65, 2946), ovvero a ispezione (1034, 244), a individuazione di persone (1) o confronto (211) cui deve partecipare la persona sottoposta alle indagini, la invita a presentarsi a norma dell'art. 375. 2. La persona sottoposta alle indagini priva del difensore è altresì avvisata che è assistita da un difensore di ufficio, ma che può nominarne uno di fiducia (96, 97). 3. Al difensore di ufficio o a quello di fiducia in precedenza nominato è dato avviso almeno ventiquattro ore prima del compimento degli atti indicati nel comma 1 e delle ispezioni a cui non deve partecipare la persona sottoposta alle indagini (att. 65). 4. Il difensore ha in ogni caso diritto di assistere agli atti indicati nei commi 1 e 3, fermo quanto previsto dall'art. 245. 5. Nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l'assicurazione delle fonti di prova, il pubblico ministero può procedere a interrogatorio, a ispezione, a individuazione di persone (2) o a confronto anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo e comunque tempestivamente. L'avviso può essere omesso quando il pubblico ministero procede a ispezione e vi è fondato motivo di ritenere che le tracce o gli altri effetti materiali del reato possano essere alterati. È fatta salva, in ogni caso, la facoltà del difensore d'intervenire. 6. Quando procede nei modi previsti dal comma 5, il pubblico ministero deve specificamente indicare, a pena di nullità, i motivi della deroga e le modalità dell'avviso (181). 7. È vietato a coloro che intervengono agli atti di fare segni di approvazione o disapprovazione. Quando assiste al compimento degli atti, il difensore può presentare al pubblico ministero richieste, osservazioni e riserve delle quali è fatta menzione nel verbale (373, lett. b-c). (1) Le parole: «, a individuazione di persone» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L.vo 15 settembre 2016, n. 184. (2) Le parole: «, a individuazione di persone» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L.vo 15 settembre 2016, n. 184.

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1010

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365. Atti ai quali il difensore ha diritto di assistere senza avviso. 1. Il pubblico ministero, quando procede al compimento di atti di perquisizione (247 ss.) o sequestro (253 ss.), chiede alla persona sottoposta alle indagini, che sia presente, se è assistita da un difensore di fiducia (96) e, qualora ne sia priva, designa un difensore di ufficio a norma dell'art. 97 comma 3. 2. Il difensore ha facoltà di assistere al compimento dell'atto, fermo quanto previsto dall'art. 249. 3. Si applicano le disposizioni dell'art. 364 comma 7. Vai alla dottrina     ↓

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366. Deposito degli atti cui hanno diritto di assistere i difensori. 1. Salvo quanto previsto da specifiche disposizioni, i verbali degli atti compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria (357, 373) ai quali il difensore (96) ha diritto di assistere, sono depositati nella segreteria del pubblico ministero entro il terzo giorno successivo al compimento dell'atto, con facoltà per il difensore di esaminarli ed estrarne copia (116) nei cinque giorni successivi. Quando non è stato dato avviso del compimento dell'atto (356, 365), al difensore è immediatamente notificato l'avviso di deposito e il termine decorre dal ricevimento della notificazione (att. 653, 118). Il difensore ha facoltà di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano e, se si tratta di documenti, di estrarne copia (1). 2. Il pubblico ministero, con decreto motivato, può disporre, per gravi motivi, che il deposito degli atti indicati nel comma 1 e l'esercizio della facoltà indicata nel terzo periodo dello stesso comma siano ritardati, senza pregiudizio di ogni altra attività del difensore, per non oltre trenta giorni. Contro il decreto del pubblico ministero la persona sottoposta ad indagini ed il difensore possono proporre opposizione al giudice, che provvede ai sensi dell'articolo 127 (2). (1) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 10, comma 1, della L. 7 dicembre 2000, n. 397. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 10, comma 2, della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

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1015

367. Memorie e richieste dei difensori. 1. Nel corso delle indagini preliminari (326 ss., 551 ss.), i difensori (96 ss.) hanno facoltà di presentare memorie e richieste scritte al pubblico ministero. Vai alla dottrina     ↓

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368. Provvedimenti del giudice sulla richiesta di sequestro. 1. Quando, nel corso delle indagini preliminari (326 ss., 551 ss.), il pubblico ministero ritiene che non si debba disporre il sequestro (253 ss.) richiesto dall'interessato, trasmette la richiesta con il suo parere, al giudice per le indagini preliminari (328). Vai alla dottrina     ↓

1017

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369. Informazione di garanzia 1. Solo quando deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere (360, 364, 365), il pubblico ministero invia (1) per posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa (90 ss.) una informazione di garanzia con indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto e con invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia (96). 1 bis. Il pubblico ministero informa altresì la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa del diritto alla comunicazione previsto dall'articolo 335, comma 3 (2). 2. Qualora ne ravvisi la necessità ovvero l'ufficio postale restituisca il piego per irreperibilità del destinatario, il pubblico ministero può disporre che l'informazione di garanzia sia notificata a norma dell'art. 151 (3) (4). (1) Le originarie parole: «Sin dal compimento del primo atto al quale il difensore ha diritto di assistere, il pubblico ministero invia» sono state così sostituite dall'art. 19 della L. 8 agosto 1995, n. 332. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b), del D.L.vo 1 luglio 2014, n. 101, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (G.U. Serie gen. - n. 164 del 17 luglio 2014). (3) A norma dell'art. 7 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni, oltre che al minore, l'informazione di garanzia deve essere notificata anche all'esercente la responsabilità genitoriale. (4) Si veda l'art. 57 del D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

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1019

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1020

369 bis. (1) (2) Informazione della persona sottoposta alle indagini sul diritto di difesa. 1. Al compimento del primo atto a cui il difensore ha diritto di assistere e, comunque, prima dell'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi del combinato disposto degli articoli 375, comma 3, e 416, ovvero, al più tardi, contestualmente all'avviso della conclusione delle indagini preliminari ai sensi dell'articolo 415 bis, (3) il pubblico ministero, a pena di nullità degli atti successivi, notifica alla persona sottoposta alle indagini la comunicazione della nomina del difensore d'ufficio. 2. La comunicazione di cui al comma 1 deve contenere: a) l'informazione della obbligatorietà della difesa tecnica nel processo penale, con l'indicazione della facoltà e dei diritti attribuiti dalla legge alla persona sottoposta alle indagini; b) il nominativo del difensore d'ufficio e il suo indirizzo e recapito telefonico; c) l'indicazione della facoltà di nominare un difensore di fiducia con l'avvertimento che, in mancanza, l'indagato sarà assistito da quello nominato d'ufficio; d) l'indicazione dell'obbligo di retribuire il difensore d'ufficio ove non sussistano le condizioni per accedere al beneficio di cui alla lettera e) e l'avvertimento che, in caso di insolvenza, si procederà ad esecuzione forzata; d bis) l'informazione del diritto all'interprete ed alla traduzione di atti fondamentali (4); e) l'indicazione delle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 19 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio. (2) Si vedano gli artt. 14 ss. del D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, così come modificato dal D.L.vo 29 maggio 2001, n. 283. (3) Le parole: «ovvero, al più tardi, contestualmente all'avviso della conclusione delle indagini preliminari ai sensi dell'articolo 415 bis,» sono state inserite dall'art. 1, comma 1, lett. d), n. 1), del D.L.vo 1 luglio 2014, n. 101, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (G.U. Serie gen. - n. 164 del 17 luglio 2014). (4) Questa lettera è stata inserita dall'art. 1, comma 1, lett. d), n. 2), del D.L.vo 1 luglio 2014, n. 101, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (G.U. Serie gen. - n. 164 del 17 luglio 2014).

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1021

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1022

370. Atti diretti e.atti delegati 1. Il pubblico ministero compie personalmente ogni attività di indagine. Può avvalersi della polizia giudiziaria per il compimento di attività di indagine e di atti specificamente delegati (2473, 2533), ivi compresi gli interrogatori (64, 65, 141 bis, 2946) ed i confronti (211) cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà, con l'assistenza necessaria del difensore (1). 2. Quando procede a norma del comma 1, la polizia giudiziaria osserva le disposizioni degli artt. 364, 365 e 373. 2 bis. Se si tratta di uno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 612 bis e 612 ter del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5, 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, la polizia giudiziaria procede senza ritardo al compimento degli atti delegati dal pubblico ministero (2). 2 ter. Nei casi di cui al comma 2 bis, la polizia giudiziaria pone senza ritardo a disposizione del pubblico ministero la documentazione dell'attività nelle forme e con le modalità previste dall'articolo 357 (2). 3. Per singoli atti da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, il pubblico ministero, qualora non ritenga di procedere personalmente, può delegare, secondo la rispettiva competenza per materia, il pubblico ministero presso il tribunale [o la pretura] (3) del luogo. 4. Quando ricorrono ragioni di urgenza o altri gravi motivi, il pubblico ministero delegato a norma del comma 3 ha facoltà di procedere di propria iniziativa anche agli atti che a seguito dello svolgimento di quelli specificamente delegati appaiono necessari ai fini delle indagini. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 5, comma 3, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 3, comma 1, della L. 19 luglio 2019, n. 69. (3) Le parole: «o la pretura» sono state soppresse dall'art. 183 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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1023

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371. Rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero. 1. Gli uffici diversi del pubblico ministero che procedono a indagini collegate, si coordinano tra loro per la speditezza, economia ed efficacia delle indagini medesime. A tali fini provvedono allo scambio di atti e di informazioni nonché alla comunicazione delle direttive rispettivamente impartite alla polizia giudiziaria. Possono altresì procedere, congiuntamente, al compimento di specifici atti (1). 2. Le indagini di uffici diversi del pubblico ministero si considerano collegate: a) se i procedimenti sono connessi a norma dell'art. 12 [ovvero si tratta di reato continuato o di reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre] (2); b) se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza (3); c) se la prova di più reati deriva, anche in parte, dalla stessa fonte. 3. Salvo quanto disposto dall'art. 12, il collegamento delle indagini non ha effetto sulla competenza. (1) Si veda anche l'art. 118 bis delle norme di attuazione. Per un'ipotesi particolare di informativa tra pubblici ministeri si veda altresì l'art. 23 bis L. 13 settembre 1982, n. 646, inserito dall'art. 9 della L. 19 marzo 1990, n. 55, in tema di procedimento di prevenzione. (2) Le parole da: «ovvero» sino alla fine di questa lettera sono state soppresse dall'art. 1, comma 4, della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (3) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 1, comma 5, della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo.

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371 bis. (1) Attività di coordinamento del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.(2) 1. Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (3) esercita le sue funzioni in relazione ai procedimenti per i delitti indicati nell'art. 51 comma 3 bis e comma 3 quater (4) e in relazione ai procedimenti di prevenzione antimafia (5) e antiterrorismo (3). In relazione ai procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, comma 3 bis (6) dispone della direzione investigativa antimafia e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia e impartisce direttive intese a regolarne l'impiego a fini investigativi (7). In relazione ai procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, comma 3 quater, si avvale altresì dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia e impartisce direttive intese a regolarne l'impiego a fini investigativi (8). 2. Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (9) esercita funzioni di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali al fine di rendere effettivo il coordinamento delle attività di indagine, di garantire la funzionalità dell'impiego della polizia giudiziaria nelle sue diverse articolazioni e di assicurare la completezza e tempestività delle investigazioni. 3. Per lo svolgimento delle funzioni attribuitegli dalla legge, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (10), in particolare: a) d'intesa con i procuratori distrettuali interessati, assicura il collegamento investigativo anche per mezzo dei magistrati della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (10); b) cura, mediante applicazioni temporanee dei magistrati della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (10) e delle procure distrettuali (11), la necessaria flessibilità e mobilità che soddisfino specifiche e contingenti esigenze investigative o processuali; c) ai fini del coordinamento investigativo e della repressione dei reati provvede all'acquisizione e all'elaborazione di notizie, informazioni e dati attinenti alla criminalità organizzata e ai delitti di terrorismo, anche internazionale (12); d) (Omissis) (13); e) (Omissis) (13); f) impartisce ai procuratori distrettuali specifiche direttive alle quali attenersi per prevenire o risolvere contrasti riguardanti le modalità secondo le quali realizzare il coordinamento nell'attività di indagine; g) riunisce i procuratori distrettuali interessati al fine di risolvere i contrasti che, malgrado le direttive specifiche impartite, sono insorti e hanno impedito di promuovere o di rendere effettivo il coordinamento; h) dispone con decreto motivato, reclamabile al procuratore generale presso la corte di cassazione, l'avocazione delle indagini preliminari relative a taluno dei delitti indicati nell'art. 51 comma 3 bis e comma 3 quater (14) quando non hanno dato esito le riunioni disposte al fine di promuovere o rendere effettivo il coordinamento e questo non è stato possibile a causa della: 1) perdurante e ingiustificata inerzia nella attività di indagine; 2) ingiustificata e reiterata violazione dei doveri previsti dall'art. 371 ai fini del coordinamento delle indagini;

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3) (Omissis) (13). 4. Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (15) provvede alla avocazione dopo aver assunto sul luogo le necessarie informazioni personalmente o tramite un magistrato della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (15) all'uopo designato. Salvi casi particolari, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (15) o il magistrato da lui designato non può delegare per il compimento degli atti di indagine altri uffici del pubblico ministero. (1) Articolo aggiunto dall'art. 7 del D.L. 20 novembre 1991, n. 367, istitutivo della Direzione Nazionale Antimafia, convertito, con modificazioni, nella L. 20 gennaio 1992, n. 8. Queste disposizioni, ai sensi dell'art. 15 del medesimo decreto, si applicano solo ai procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. Inoltre l'art. 16, comma 2, del predetto decreto prevede che esse decorrano dalla pubblicazione sulla G.U. del D.M. che fissa la data di entrata in funzione della Direzione Nazionale Antimafia (D.M. 5 gennaio 1993, in G.U. n. 36 del 13 febbraio 1993). Si veda il D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196. (2) Le parole: «e antiterrorismo» sono state aggiunte dall'art. 9, comma 4, lett. a), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (3) Le parole: «e antiterrorismo» sono state inserite dall'art. 9, comma 4, lett. b), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (4) Le parole: «e comma 3 quater» sono state inserite dall'art. 9, comma 4, lett. b), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (5) Le parole: «e in relazione ai procedimenti di prevenzione antimafia» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125. (6) Le parole: «A tal fine» sono state così sostituite dalle attuali: «In relazione ai procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, comma 3 bis» dall'art. 9, comma 4, lett. b), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (7) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 9, comma 4, lett. b), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (8) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 9, comma 4, lett. b), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (9) Le parole: «e antiterrorismo» sono state inserite dall'art. 9, comma 4, lett. c), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (10) Le parole: «e antiterrorismo» sono state inserite dall'art. 9, comma 4, lett. d), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (11) Le parole: «direzioni distrettuali antimafia» sono state così sostituite dalle attuali: «procure distrettuali» dall'art. 9, comma 4, lett. d), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (12) Le parole: «e ai delitti di terrorismo, anche internazionale» sono state aggiunte dall'art. 9, comma 4, lett. d), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (13) Lettere e numero soppressi dalla legge di conversione del D.L. n. 367/1991. (14) Le parole: «e comma 3 quater» sono state inserite dall'art. 9, comma 4, lett. d), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (15) Le parole: «e antiterrorismo» sono state inserite dall'art. 9, comma 4, lett. e), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43.

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372. Avocazione delle indagini. 1. Il procuratore generale presso la corte di appello (512) dispone, con decreto motivato (125), e assunte, quando occorre, le necessarie informazioni, l'avocazione (412) delle indagini preliminari quando: a) in conseguenza dell'astensione (52) o della incompatibilità del magistrato designato, non è possibile provvedere alla sua tempestiva sostituzione; b) il capo dell'ufficio del pubblico ministero ha omesso di provvedere alla tempestiva sostituzione del magistrato designato per le indagini nei casi previsti dall'art. 36 comma 1 lett. a), b), d), e) (533). 1 bis. Il procuratore generale presso la corte di appello, assunte le necessarie informazioni, dispone altresì con decreto motivato l'avocazione delle indagini preliminari relative ai delitti previsti dagli artt. 270 bis, 280, 285, 286, 289 bis, 305, 306, 416 nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza e 422 del codice penale quando, trattandosi di indagini collegate, non risulta effettivo il coordinamento delle indagini previste dall'art. 371, comma 1 e non hanno dato esito le riunioni per il coordinamento disposte o promosse dal procuratore generale anche d'intesa con altri procuratori generali interessati (1). (1) Comma aggiunto dall'art. 3 del D.L. 9 settembre 1991, n. 292, recante disposizioni in materia di custodia cautelare e di avocazione dei procedimenti penali, convertito, con modificazioni, nella L. 8 novembre 1991, n. 356 e così sostituito dall'art. 8 del D.L. 20 novembre 1991, n. 367, istitutivo della Direzione Nazionale Antimafia, convertito, con modificazioni, nella L. 20 gennaio 1992, n. 8. Queste disposizioni, ai sensi dell'art. 15 del medesimo decreto, si applicano solo ai procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. Inoltre l'art. 16, comma 2, del predetto decreto prevede che esse decorrano dalla pubblicazione sulla G.U. del D.M. che fissa la data di entrata in funzione della Direzione Nazionale Antimafia. (D.M. 5 gennaio 1993, in G.U. n. 36 del 13 febbraio 1993).

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373. Documentazione degli atti. 1. Salvo quanto disposto in relazione a specifici atti, è redatto verbale: a) delle denunce (333), querele (336) e istanze (341) di procedimento presentate oralmente; b) degli interrogatori (64, 374) e dei confronti (211) con la persona sottoposta alle indagini; c) delle ispezioni (244), delle perquisizioni (247) e dei sequestri (253); d) delle sommarie informazioni assunte a norma dell'art. 362 (1); d bis) dell'interrogatorio assunto a norma dell'art. 363 (1); e) degli accertamenti tecnici compiuti a norma dell'art. 360. 2. Il verbale è redatto secondo le modalità previste nel titolo III del libro II (135). 3. Alla documentazione delle attività di indagine preliminare, diverse da quelle previste dal comma 1, si procede soltanto mediante la redazione del verbale in forma riassuntiva (140) ovvero, quando si tratta di atti a contenuto semplice o di limitata rilevanza, mediante le annotazioni ritenute necessarie (att. 119). 4. Gli atti sono documentati nel corso del loro compimento ovvero immediatamente dopo quando ricorrono insuperabili circostanze, da indicarsi specificamente, che impediscono la documentazione contestuale. 5. L'atto contenente la notizia di reato (330) e la documentazione relativa alle indagini sono conservati in apposito fascicolo presso l'ufficio del pubblico ministero assieme agli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria a norma dell'art. 357 (416, 454, 459). 6. Alla redazione del verbale e delle annotazioni provvede l'ufficiale di polizia giudiziaria o l'ausiliario che assiste il pubblico ministero. Si applica la disposizione dell'art. 142. (1) L'originaria lettera d) è stata sostituita dalle attuali lettere d) e d bis) dall'art. 5, comma 4, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

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374. Presentazione spontanea. 1. Chi ha notizia che nei suoi confronti sono svolte indagini, ha facoltà di presentarsi al pubblico ministero e di rilasciare dichiarazioni. 2. Quando il fatto per cui si procede è contestato a chi si presenta spontaneamente e questi è ammesso a esporre le sue discolpe, l'atto così compiuto equivale per ogni effetto all'interrogatorio. In tale ipotesi, si applicano le disposizioni previste dagli artt. 64, 65 e 364. 3. La presentazione spontanea non pregiudica l'applicazione di misure cautelari (272 ss.). Vai alla dottrina     ↓

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375. Invito a presentarsi. 1. Il pubblico ministero invita la persona sottoposta alle indagini a presentarsi quando deve procedere ad atti che ne richiedono la presenza (360, 361, 364). 2. L'invito a presentarsi contiene: a) le generalità o le altre indicazioni personali che valgono a identificare la persona sottoposta alle indagini; b) il giorno, l'ora e il luogo della presentazione nonché l'autorità davanti alla quale la persona deve presentarsi; c) il tipo di atto per il quale l'invito è predisposto; d) l'avvertimento che il pubblico ministero potrà disporre a norma dell'art. 132 l'accompagnamento coattivo in caso di mancata presentazione senza che sia stato addotto legittimo impedimento (376). 3. Quando la persona è chiamata a rendere l'interrogatorio, l'invito contiene altresì la sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute. L'invito può inoltre contenere, ai fini di quanto previsto dall'art. 453 comma 1, l'indicazione degli elementi e delle fonti di prova e l'avvertimento che potrà essere presentata richiesta di giudizio immediato (1). 4. L'invito a presentarsi è notificato (151) almeno tre giorni prima di quello fissato per la comparizione, salvo che, per ragioni di urgenza, il pubblico ministero ritenga di abbreviare il termine, purché sia lasciato il tempo necessario per comparire. (1) Il secondo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 26 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

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376. Accompagnamento coattivo per procedere a interrogatorio o a confronto. 1. Quando si tratta di procedere ad atti di interrogatorio o confronto (364), l'accompagnamento coattivo (132) è disposto dal pubblico ministero su autorizzazione del giudice (328). Vai alla dottrina     ↓

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377. Citazioni di persone informate sui fatti. 1. Il pubblico ministero può emettere decreto di citazione quando deve procedere ad atti che richiedono la presenza della persona offesa e delle persone in grado di riferire su circostanze utili ai fini delle indagini (362). 2. Il decreto contiene: a) le generalità della persona; b) il giorno, l'ora e il luogo della comparizione nonché l'autorità davanti alla quale la persona deve presentarsi; c) l'avvertimento che il pubblico ministero potrà disporre a norma dell'art. 133 l'accompagnamento coattivo in caso di mancata comparizione senza che sia stato addotto legittimo impedimento. 3. Il pubblico ministero provvede allo stesso modo per la citazione del consulente tecnico (359) dell'interprete (143) e del custode delle cose sequestrate (259). Vai alla dottrina     ↓

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378. Poteri coercitivi del pubblico ministero. 1. Il pubblico ministero ha, nell'esercizio delle sue funzioni, i poteri indicati nell'art. 131. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo VI. ARRESTO IN FLAGRANZA E FERMO (1)(2). (1) Nei procedimenti davanti al giudice di pace non si applicano le norme previste da questo titolo ai sensi dell'art. 2 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274. (2) Si veda l'art. 214 delle disposizioni di coordinamento del c.p.p.

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379. Determinazione della pena. 1. Agli effetti delle disposizioni di questo titolo, la pena è determinata a norma dell'art. 278. Vai alla dottrina     ↓

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380. (1) Arresto obbligatorio in flagranza. 1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria (57) procedono all'arresto di chiunque è colto in flagranza (382) di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni (383; coord. 230). 2. Anche fuori dei casi previsti dal comma 1, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all'arresto (coord. 230) di chiunque è colto in flagranza di uno dei seguenti delitti non colposi, consumati o tentati: a) delitti contro la personalità dello Stato previsti nel titolo I del libro II del codice penale (241 ss. c.p.) per i quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni; a bis) delitto di violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti previsto dall'articolo 338 del codice penale (2); b) delitto di devastazione e saccheggio previsto dall'art. 419 del codice penale; c) delitti contro l'incolumità pubblica previsti nel titolo VI del libro II del codice penale (422 ss. c.p.) per i quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni o nel massimo a dieci anni; d) delitto di riduzione in schiavitù previsto dall'art. 600, delitto di prostituzione minorile previsto dall'articolo 600 bis, primo comma, delitto di pornografia minorile previsto dall'articolo 600 ter, commi primo e secondo, anche se relativo al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater1, (3) e delitto di iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile previsto dall'articolo 600 quinquies del codice penale (4); d.1) delitti di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro previsti dall'articolo 603 bis, secondo comma, del codice penale (5); d bis) delitto di violenza sessuale previsto dall'articolo 609 bis, escluso il caso previsto dal terzo comma, e delitto di violenza sessuale di gruppo previsto dall'articolo 609 octies del codice penale (6); d ter) delitto di atti sessuali con minorenne di cui all’articolo 609 quater, primo e secondo comma, del codice penale (7); e) delitto di furto quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall'art. 4 della L. 8 agosto 1977, n. 533, (8) o taluna delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 625, primo comma, numeri 2), prima ipotesi, 3) e 5), nonché 7 bis) (9), del codice penale, salvo che ricorra, in questi ultimi casi, la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale (10); e bis) delitti di furto previsti dall'articolo 624 bis del codice penale, salvo che ricorra la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale (11) (12); f) delitto di rapina previsto dall'art. 628 del codice penale e di estorsione previsto dall'art. 629 del codice penale (12); f bis) delitto di ricettazione, nell'ipotesi aggravata di cui all'articolo 648, primo comma, secondo periodo, del codice penale (13);

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g) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall'art. 2, terzo comma della L. 18 aprile 1975 n. 110 (14); h) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope puniti a norma dell'art. 73 del testo unico approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo (15)(16); i) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni (17) (18); l) delitti di promozione, costituzione, direzione e organizzazione delle associazioni segrete previste dall'art. 1 della L. 25 gennaio 1982 n. 17 (19) (20), delle associazioni di carattere militare previste dall'art. 1 della L. 17 aprile 1956 n. 561 (21), delle associazioni, dei movimenti o dei gruppi previsti dagli artt. 1 e 2 della L. 20 giugno 1952 n. 645 (22), delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 3, comma 3, della L. 13 ottobre 1975, n. 654 (23); l bis) delitti di partecipazione, promozione, direzione e organizzazione della associazione di tipo mafioso prevista dall'art. 416 bis del codice penale (24); l ter) delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e di atti persecutori, previsti dall'articolo 572 e dall'articolo 612 bis del codice penale (25); m) delitti di promozione, direzione, costituzione e organizzazione della associazione per delinquere prevista dall'art. 416 commi 1 e 3 del codice penale, se l'associazione è diretta alla commissione di più delitti fra quelli previsti dal comma 1 o dalle lett. a), b), c), d), f), g), i) del presente comma; m bis) delitti di fabbricazione, detenzione o uso di documento di identificazione falso previsti dall'articolo 497 bis del codice penale (26); m ter) delitti di promozione, direzione, organizzazione, finanziamento o effettuazione di trasporto di persone ai fini dell'ingresso illegale nel territorio dello Stato, di cui all'articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni (27); m quater) delitto di omicidio colposo stradale previsto dall'articolo 589 bis, secondo e terzo comma, del codice penale (28); m quinquies) delitto di resistenza o di violenza contro una nave da guerra, previsto dall'articolo 1100 del codice della navigazione (29). 3. Se si tratta di delitto perseguibile a querela (336 ss.; 120 c.p.), l'arresto in flagranza è eseguito se la querela viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente nel luogo. Se l'avente diritto dichiara di rimettere la querela, l'arrestato è posto immediatamente in libertà. (1) Ai sensi dell'art. 8, comma 1 bis, della L. 13 dicembre 1989, n. 401, così come sostituito dall'art. 1, comma 1, del D.L. 24 febbraio 2003, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 24 aprile 2003, n. 88, oltre che nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, per i quali è obbligatorio o facoltativo l'arresto ai sensi degli articoli 380 e 381 c.p.p., l'arresto è altresì consentito nel caso di reati di cui all'art. 6 bis, comma 1, e all'art. 6, commi 1 e 6, della citata legge n. 401/1989.

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(2) Questa lettera è stata inserita dall'art. 2 della L. 3 luglio 2017, n. 105. (3) Le parole: «anche se relativo al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater1,» sono state inserite dall'art. 12, comma 1, della L. 6 febbraio 2006, n. 38. (4) Le parole da: «delitto di prostituzione minorile ...» fino a: «... 600 quinquies» sono state inserite dall'art. 11 della L. 3 agosto 1998, n. 269. (5) Questa lettera è stata inserita dall'art. 4 della L. 29 ottobre 2016, n. 199. (6) Questa lettera è stata inserita dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23 aprile 2009, n. 38. (7) Questa lettera è stata inserita dall'art. 5, comma 1, lett. e), della L. 1° ottobre 2012, n. 172. (8) Questa legge reca disposizioni in materia di ordine pubblico. Il citato art. 4 riguarda il furto commesso su armi, munizioni o esplosivi. (9) Le parole: «, nonché 7 bis)» sono state inserite dall'art. 8, comma 2, del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (10) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 3, comma 25, lett. a), della L. 15 luglio 2009, n. 94. (11) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 10, comma 2, della L. 26 marzo 2001, n. 128. (12) A norma dell'art. 558, comma 4 ter, c.p.p., così come inserito dall'art. 1, comma 1, lett. b), del D.L. 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, nella L. 17 febbraio 2012, n. 9, il pubblico ministero dispone che l’arrestato sia custodito presso idonee strutture nella disponibilità degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto o che hanno avuto in consegna l’arrestato. (13) Questa lettera è stata inserita dall'art. 8, comma 2, del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (14) Lettera così sostituita dall'art. 10 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 1991, n. 203. (15) Le parole: «salvo che ricorra la circostanza prevista dal comma 5 del medesimo articolo» sono state così sostituite dalle attuali: «salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo» dall'art. 2, comma 1 bis, del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, nella L. 21 febbraio 2014, n. 10. (16) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 2 del D.L. 8 agosto 1991, n. 247, recante norme in tema di arresto in flagranza in materia di sostanze stupefacenti, convertito, con modificazioni, nella L. 5 ottobre 1991, n. 314. (17) Le parole: «non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni» sono state così sostituite dalle attuali: «non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni» dall'art. 13, comma 1, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155. (18) Si vedano il D.L. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, in L. 6 febbraio 1980, n. 15, recante misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica; l'art. 11 della L. 29 maggio 1982, n. 304, recante misure urgenti per la difesa dell'ordinamento costituzionale e gli artt. 21 e 29 della L. 18 aprile 1975, n. 110, sul controllo di armi, munizioni ed esplosivi. (19) Questa legge reca norme di attuazione dell'art. 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e scioglimento dell'associazione denominata P2. (20) Le parole: «della associazione di tipo mafioso prevista dall'art. 416 bis comma 2 del codice penale» sono state soppresse dall'art. 4, comma 6, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (21) Si tratta della legge con cui è stato ratificato il D.L.vo 14 febbraio 1948, n. 43 avente ad oggetto il divieto delle associazioni di carattere militare.

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(22) Questa legge reca norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista. (23) Le parole «, delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 3, comma 3, della L. 13 ottobre 1975, n. 654» sono state aggiunte dall'art. 6 del D.L. 26 aprile 1993, n. 122, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 1993, n. 205. (24) Lettera aggiunta dall'art. 4, comma 6, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (25) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 2, comma 1, lett. c), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (16 ottobre 2013). (26) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 2, comma 1 ter, lett. a), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (27) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 3 bis, comma 2, del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (28) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 1, comma 5, lett. a), della L. 23 marzo 2016, n. 41. (29) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 3 bis del D.L. 14 giugno 2019, n. 53, convertito, con modificazioni, nella L. 8 agosto 2019, n. 77.

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381. (1) Arresto facoltativo in flagranza.(2) 1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria (57) hanno facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza (382) di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni ovvero di un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (3433) (3) (4). 2. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno altresì facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza di uno dei seguenti delitti (5): a) peculato mediante profitto dell'errore altrui previsto dall'art. 316 del codice penale; b) corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio prevista dagli artt. 319 comma 4 (6) e 321 del codice penale; c) violenza o minaccia a pubblico ufficiale prevista dall'art. 336 comma 2 del codice penale (7); d) commercio e somministrazione di medicinali guasti e di sostanze alimentari nocive previsti dagli artt. 443 e 444 del codice penale; e) corruzione di minorenni prevista dall'art. 530 del codice penale (8); f) lesione personale prevista dall'art. 582 del codice penale; f bis) violazione di domicilio prevista dall’articolo 614, primo e secondo comma, del codice penale (9); g) furto previsto dall'art. 624 del codice penale; h) danneggiamento aggravato a norma dell'art. 635 comma 2 del codice penale; i) truffa prevista dall'art. 640 del codice penale; l) appropriazione indebita prevista dall'art. 646 del codice penale; l bis) offerta, cessione o detenzione di materiale pornografico previste dagli articoli 600 ter, quarto comma, e 600 quater del codice penale, anche se relative al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater1 del medesimo codice (10); m) alterazione di armi e fabbricazione di esplosivi non riconosciuti previste dagli artt. 3 e 24 comma 1 della L. 18 aprile 1975 n. 110 (11); m bis) fabbricazione, detenzione o uso di documento di identificazione falso previsti dall'articolo 497 bis del codice penale (12); m ter) falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, prevista dall'articolo 495 del codice penale (13); m quater) fraudolente alterazioni per impedire l'identificazione o l'accertamento di qualità personali, previste dall'articolo 495 ter del codice penale (13); m quinquies) delitto di lesioni colpose stradali gravi o gravissime previsto dall'articolo 590 bis, secondo, terzo, quarto e quinto comma, del codice penale (14). 3. Se si tratta di delitto perseguibile a querela (336 ss.; 120 c.p.), l'arresto in flagranza può essere eseguito se la querela viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente nel luogo. Se l'avente diritto dichiara di rimettere la querela, l'arrestato è posto immediatamente in libertà.

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4. Nelle ipotesi previste dal presente articolo si procede all'arresto in flagranza soltanto se la misura è giustificata dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto. 4 bis. Non è consentito l'arresto della persona richiesta di fornire informazioni dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero per reati concernenti il contenuto delle informazioni o il rifiuto di fornirle (15). (1) Ai sensi dell'art. 8, comma 1 bis, della L. 13 dicembre 1989, n. 401, così come sostituito dall'art. 1, comma 1, del D.L. 24 febbraio 2003, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 24 aprile 2003, n. 88, oltre che nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, per i quali è obbligatorio o facoltativo l'arresto ai sensi degli articoli 380 e 381 c.p.p., l'arresto è altresì consentito nel caso di reati di cui all'art. 6 bis, comma 1, e all'art. 6, commi 1 e 6, della citata legge n. 401/1989. (2) Per le ipotesi di arresto in flagranza di minori si vedano l'art. 16 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni, e successive modifiche. (3) A norma dell'art. 3 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 1991, n. 203, è consentito l'arresto anche fuori dei casi di flagranza della persona che ha posto in essere una condotta punibile a norma dell'art. 385 c.p., e nell'udienza di convalida il giudice, se ne ricorrono i presupposti, dispone l'applicazione di una delle misure coercitive previste dalla legge anche al di fuori dei limiti previsti dall'art. 280 c.p.p. (4) Il primo comma dell'art. un. del D.P.R. 4 luglio 1980, n. 575 (Esclusione di misure restrittive della libertà personale per la flagranza di reati connessi con l'esercizio ferrotramviario), mantenuto in vigore dall'art. 2302 coord., dispone: «Il personale addetto all'esercizio delle Ferrovie dello Stato, sia terrestre che marittimo, e di altre ferrovie o tranvie pubbliche ha l'obbligo di non abbandonare il servizio nel caso di sinistro o incidenti o ogni altra evenienza che possa configurare ipotesi di reato nel quale sia coinvolto nello svolgimento e a causa delle mansioni inerenti alla circolazione ferrotranviaria ed alle attività ad essa specificamente e direttamente connesse. In tal caso il personale suindicato non è soggetto ad arresto per flagranza di reato». L'ottavo comma dell'art. 189 del nuovo codice della strada, emanato con D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, in vigore dall'1 gennaio 1993, così dispone: «Il conducente che si fermi ed occorrendo, presti assistenza a coloro che hanno subito danni alla persona, mettendosi immediatamente a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, quando dall'incidente derivi il delitto di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, non è soggetto all'arresto stabilito per il caso di flagranza di reato». A norma dell'art. 189, comma 8 bis, c.s., il conducente che omette di fermarsi in caso di incidente con danno alle persone, non è passibile di arresto se entro le 24 ore successive si mette a disposizione degli organi di polizia giudiziaria. (5) Comma così modificato dall'art. 21 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (6) L'art. 319 c.p. si compone ora di un solo comma per effetto della sostituzione effettuata dall'art. 7 della L. 26 aprile 1990, n. 86, recante modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. (7) L'originario riferimento all'art. 336, comma 2, seconda ipotesi è stato così modificato dall'art. 22 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12. (8) L'art. 530 c.p. è stato abrogato dall'art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66. Si veda ora l'art. 609 quinquies. (9) Questa lettera è stata inserita dall'art. 3, comma 25, lett. b), della L. 15 luglio 2009, n. 94.

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(10) Questa lettera è stata inserita dall'art. 12, comma 2, della L. 6 febbraio 2006, n. 38. (11) Questa legge reca norme sul controllo di armi, munizioni ed esplosivi. (12) Questa lettera, aggiunta dall'art. 13, comma 2, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155, è stata abrogata dall'art. 2, comma 1 ter, lett. b), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (13) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 2, comma 1, lett. b bis), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125. (14) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 1, comma 5, lett. b), della L. 23 marzo 2016, n. 41. (15) Comma aggiunto dall'art. 26 della L. 8 agosto 1995, n. 332.

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382. Stato di flagranza. 1. È in stato di flagranza chi viene colto nell'atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima (1). 2. Nel reato permanente lo stato di flagranza dura fino a quando non è cessata la permanenza. (1) L'art. 8, comma 1 ter, della L. 13 dicembre 1989, n. 401, norme di contrasto dei fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive, così dispone: «Nei casi di cui al comma 1 bis, quando non è possibile procedere immediatamente all'arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell'articolo 382 del codice di procedura penale colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerge inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l'arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro quarantotto ore dal fatto.».

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383. Facoltà di arresto da parte dei privati. 1. Nei casi previsti dall'art. 380 ogni persona è autorizzata a procedere all'arresto in flagranza, quando si tratta di delitti perseguibili di ufficio. 2. La persona che ha eseguito l'arresto deve senza ritardo consegnare l'arrestato e le cose costituenti il corpo del reato (253) alla polizia giudiziaria la quale redige il verbale della consegna (357) e ne rilascia copia. Vai alla dottrina     ↓

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384. (1) Fermo di indiziato di delitto. 1. Anche fuori dei casi di flagranza (382), quando sussistono specifici elementi che, anche in relazione alla impossibilità di identificare l'indiziato, (2) fanno ritenere fondato il pericolo di fuga, il pubblico ministero dispone il fermo della persona gravemente indiziata di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni ovvero di un delitto concernente le armi da guerra e gli esplosivi (att. 122) o di un delitto commesso per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico (3). 2. Nei casi previsti dal comma 1 e prima che il pubblico ministero abbia assunto la direzione delle indagini, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono al fermo di propria iniziativa (348). 3. La polizia giudiziaria procede inoltre al fermo di propria iniziativa qualora sia successivamente individuato l'indiziato ovvero sopravvengano specifici elementi, quali il possesso di documenti falsi, che rendano fondato il pericolo che l'indiziato sia per darsi alla fuga (4) e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del pubblico ministero (3074; coord. 230). (1) A norma dell'art. 77 del D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159, nei confronti dei soggetti elencati dall'art. 4 del medesimo D.L.vo, il fermo di indiziato di delitto è consentito anche al di fuori dei limiti di cui a questo articolo, purchè si tratti di reato per il quale è consentito l'arresto facoltativo in flagranza ai sensi dell'articolo 381 del Codice di Procedura penale. (2) Le parole: «, anche in relazione alla impossibilità di identificare l'indiziato,» sono state inserite dall'art. 11 della L. 26 marzo 2001, n. 128. (3) Le parole da: «o di un delitto commesso ...» fino alla fine del comma sono state aggiunte dall'art. 13, comma 3, lett. a), del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155. (4) Le parole: «specifici elementi che rendano fondato il pericolo che l'indiziato sia per darsi alla fuga» sono state così sostituite dalle attuali: «specifici elementi, quali il possesso di documenti falsi, che rendano fondato il pericolo che l'indiziato sia per darsi alla fuga» dall'art. 13, comma 3, lett. b), del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155.

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384 bis. (1) Allontanamento d'urgenza dalla casa familiare. 1. Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica, l'allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all'articolo 282 bis, comma 6, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l'integrità fisica o psichica della persona offesa. La polizia giudiziaria provvede senza ritardo all'adempimento degli obblighi di informazione previsti dall'articolo 11 del decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, e successive modificazioni. 2. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui agli articoli 385 e seguenti del presente titolo. Si osservano le disposizioni di cui all'articolo 381, comma 3. Della dichiarazione orale di querela si dà atto nel verbale delle operazioni di allontanamento. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 2, comma 1, lett. d), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119.

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385. Divieto di arresto o di fermo in determinate circostanze. 1. L'arresto (380 ss.) o il fermo (384) non è consentito quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell'adempimento di un dovere (51 c.p.) o nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità (47 ss., 85 ss. c.p.) (1). (1) Casi specifici di non punibilità sono previsti dagli artt. 308, 309, 384, 3872, 3982, 463, 598, 599 e 649 c.p.

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386. Doveri della polizia giudiziaria in caso di arresto o di fermo. (1) (2) 1.

Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto o il fermo o hanno avuto in consegna l'arrestato, ne danno immediata notizia al pubblico ministero del luogo ove l'arresto o il fermo è stato eseguito. Consegnano all'arrestato o al fermato una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa e, se questi non conosce la lingua italiana, tradotta in una lingua a lui comprensibile, con cui lo informano: a) della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge; b) del diritto di ottenere informazioni in merito all'accusa; c) del diritto all'interprete ed alla traduzione di atti fondamentali; d) del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; e) del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda l'arresto o il fermo; f) del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari; g) del diritto di accedere all'assistenza medica di urgenza; h) del diritto di essere condotto davanti all'autorità giudiziaria per la convalida entro novantasei ore dall'avvenuto arresto o fermo; i) del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l'interrogatorio e di proporre ricorso per cassazione contro l'ordinanza che decide sulla convalida dell'arresto o del fermo (3). 1 bis. Qualora la comunicazione scritta di cui al comma 1 non sia prontamente disponibile in una lingua comprensibile all'arrestato o al fermato, le informazioni sono fornite oralmente, salvo l'obbligo di dare comunque, senza ritardo, comunicazione scritta all'arrestato o al fermato (4). 2. Dell'avvenuto arresto o fermo gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria informano immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato ovvero quello di ufficio designato dal pubblico ministero a norma dell'art. 97 (1042; att. 120). 3. Qualora non ricorra l'ipotesi prevista dall'art. 389 comma 2, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria pongono l'arrestato o il fermato a disposizione del pubblico ministero al più presto e comunque non oltre ventiquattro ore dall'arresto o dal fermo. Entro il medesimo termine trasmettono il relativo verbale (357), anche per via telematica (5), salvo che il pubblico ministero autorizzi una dilazione maggiore. Il verbale contiene l'eventuale nomina del difensore di fiducia, l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo in cui l'arresto o il fermo è stato eseguito e l'enunciazione delle ragioni che lo hanno determinato nonché la menzione dell'avvenuta consegna della comunicazione scritta o dell'informazione orale fornita ai sensi del comma 1 bis (6)(7). 4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria pongono l'arrestato o il fermato a disposizione del pubblico ministero mediante la conduzione nella casa circondariale o mandamentale del luogo dove l'arresto o il fermo è stato eseguito (5662; att. 941, 972; reg. 7), salvo quanto previsto dall'articolo 558 (7) (8). 5. Il pubblico ministero può disporre che l'arrestato o il fermato sia custodito, in uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell'art. 284 (9) ovvero, se ne possa derivare grave pregiudizio per le indagini, presso altra casa circondariale o mandamentale.

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6. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria trasmettono il verbale di fermo anche al pubblico ministero che lo ha disposto, se diverso da quello indicato nel comma 1. 7. L'arresto o il fermo diviene inefficace se non sono osservati i termini previsti dal comma 3 (10). (1) Per i doveri della P.G. in caso di arresto o fermo di un minorenne si veda l'art. 18 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni. (2) Si vedano gli artt. 14 ss. del D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, così come modificato dal D.L.vo 29 maggio 2001, n. 283. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. e), n. 1), del D.L.vo 1 luglio 2014, n. 101, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (G.U. Serie gen. - n. 164 del 17 luglio 2014). (4) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 1, lett. e), n. 2), del D.L.vo 1 luglio 2014, n. 101, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (G.U. Serie gen. - n. 164 del 17 luglio 2014). (5) Le parole: «, anche per via telematica» sono state inserite dall'art. 1, comma 1, lett. a bis), del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 94, a decorrere dal 3 luglio 2013. (6) Le parole: «nonché la menzione dell'avvenuta consegna della comunicazione scritta o dell'informazione orale fornita ai sensi del comma 1 bis» sono state aggiunte dall'art. 1, comma 1, lett. e), n. 3), del D.L.vo 1 luglio 2014, n. 101, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (G.U. Serie gen. - n. 164 del 17 luglio 2014). (7) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 23 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (8) Le parole: «, salvo quanto previsto dall’articolo 558» sono state aggiunte dall'art. 1, comma 01, del D.L. 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, nella L. 17 febbraio 2012, n. 9. (9) Le originarie parole: «se infermo, presso la propria abitazione o in luogo di cura» sono state così sostituite dall'art. 20 della L. 8 agosto 1995, n. 332. (10) Comma così modificato dall'art. 23 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

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1067

387. Avviso dell'arresto o del fermo ai familiari. 1. La polizia giudiziaria, con il consenso dell'arrestato (380 ss.) o del fermato (384), deve senza ritardo dare notizia ai familiari dell'avvenuto arresto o fermo. Vai alla dottrina     ↓

1068

387 bis. (1) Adempimenti della polizia giudiziaria nel caso di arresto o di fermo di madre di prole di minore età. 1. Nell'ipotesi di arresto o di fermo di madre con prole di minore età, la polizia giudiziaria che lo ha eseguito, senza ritardo, ne dà notizia al pubblico ministero territorialmente competente, nonchè al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo dell'arresto o del fermo. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 15 bis, comma 2, lett. a), del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, nella L. 1 dicembre 2018, n. 132.

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1069

388. Interrogatorio dell'arrestato o del fermato. 1. Il pubblico ministero può procedere all'interrogatorio dell'arrestato (380 ss.) o del fermato (384), dandone tempestivo avviso al difensore di fiducia ovvero, in mancanza, al difensore di ufficio (96, 97). 2. Durante l'interrogatorio, osservate le forme previste dall'art. 64, il pubblico ministero informa l'arrestato o il fermato del fatto per cui si procede e delle ragioni che hanno determinato il provvedimento comunicandogli inoltre gli elementi a suo carico e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, le fonti. Vai alla dottrina     ↓

1070

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1071

389. Casi di immediata liberazione dell'arrestato o del fermato. 1. Se risulta evidente che l'arresto (380 ss.) o il fermo (384) è stato eseguito per errore di persona o fuori dei casi previsti dalla legge o se la misura dell'arresto o del fermo è divenuta inefficace a norma degli artt. 386 comma 7 e 390 comma 3, il pubblico ministero dispone con decreto motivato che l'arrestato o il fermato sia posto immediatamente in libertà (att. 121). 2. La liberazione è altresì disposta prima dell'intervento del pubblico ministero dallo stesso ufficiale di polizia giudiziaria, che ne informa subito il pubblico ministero del luogo dove l'arresto o il fermo è stato eseguito (att. 973, 120). Vai alla dottrina     ↓

1072

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1073

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1074

390. (1) (2) Richiesta di convalida dell'arresto o del fermo. 1. Entro quarantotto ore dall'arresto (380 ss.) o dal fermo (384) il pubblico ministero, qualora non debba ordinare la immediata liberazione dell'arrestato o del fermato (389), richiede la convalida al giudice per le indagini preliminari competente in relazione al luogo dove l'arresto o il fermo è stato eseguito (7163; att. 122). 2. Il giudice fissa l'udienza di convalida al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive dandone avviso, senza ritardo, al pubblico ministero e al difensore. 3. L'arresto o il fermo diviene inefficace se il pubblico ministero non osserva le prescrizioni del comma 1. 3 bis. Se non ritiene di comparire, il pubblico ministero trasmette al giudice, per l'udienza di convalida, le richieste in ordine alla libertà personale con gli elementi su cui le stesse si fondano (3). (1) A norma dell'art. 3, comma 4, del D.L.vo 20 febbraio 2006, n. 106, l'assenso scritto del procuratore della Repubblica, ovvero del procuratore aggiunto o del magistrato appositamente delegati non è necessario nel caso di richiesta di misure cautelari personali o reali formulate in occasione della richiesta di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo di indiziato ai sensi di questo articolo. (2) L'opposizione dell'esistenza della speciale causa di giustificazione, da parte di appartenenti ai servizi segreti, obbliga l'autorità giudiziaria alle verifiche del caso, previa sospensione dell'esecuzione del provvedimento restrittivo (art. 19 della L. 3 agosto 2007, n. 124). (3) Comma aggiunto dall'art. 24 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

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1075

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1076

391. Udienza di convalida. 1. L'udienza di convalida si svolge in camera di consiglio (127) con la partecipazione necessaria [del pubblico ministero e] (1) del difensore (3862) dell'arrestato o del fermato (att. 123). 2. Se il difensore di fiducia o di ufficio non è stato reperito o non è comparso, il giudice provvede a norma dell'art. 97 comma 4. Il giudice altresì, anche d'ufficio, verifica che all'arrestato o al fermato sia stata data la comunicazione di cui all'articolo 386, comma 1, o che comunque sia stato informato ai sensi del comma 1 bis dello stesso articolo, e provvede, se del caso, a dare o a completare la comunicazione o l'informazione ivi indicate (2). 3. Il pubblico ministero, se comparso, indica i motivi dell'arresto o del fermo e illustra le richieste in ordine alla libertà personale (291). Il giudice procede quindi all'interrogatorio dell'arrestato o del fermato, salvo che questi non abbia potuto o si sia rifiutato di comparire (5036); sente in ogni caso il suo difensore (3). 4. Quando risulta che l'arresto (380) o il fermo (384) è stato legittimamente eseguito e sono stati osservati i termini previsti dagli artt. 386 comma 3 (4) e 390 comma 1, il giudice provvede alla convalida con ordinanza (att. 138). Contro l'ordinanza che decide sulla convalida, il pubblico ministero e l'arrestato o il fermato possono proporre ricorso per cassazione (606). 5. Se ricorrono le condizioni di applicabilità previste dall'art. 273 e taluna delle esigenze cautelari previste dall'art. 274, il giudice dispone l'applicazione di una misura coercitiva a norma dell'art. 291. Quando l'arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'articolo 381, comma 2, ovvero per uno dei delitti per i quali è consentito anche fuori dai casi di flagranza, l'applicazione della misura è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lettera c), e 280 (5) (3) (6). 6. Quando non provvede a norma del comma 5, il giudice dispone con ordinanza la immediata liberazione dell'arrestato o del fermato. 7. Le ordinanze previste dai commi precedenti, se non sono pronunciate in udienza, sono comunicate o notificate a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione. Le ordinanze pronunciate in udienza sono comunicate al pubblico ministero e notificate all'arrestato o al fermato, se non comparsi. I termini per l'impugnazione decorrono dalla lettura del provvedimento in udienza ovvero dalla sua comunicazione o notificazione. L'arresto o il fermo cessa di avere efficacia se l'ordinanza di convalida non è pronunciata o depositata nelle quarantotto ore successive al momento in cui l'arrestato o il fermato è stato posto a disposizione del giudice (13 Cost.) (3). (1) Inciso soppresso dall'art. 25 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (2) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. f), del D.L.vo 1 luglio 2014, n. 101, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (G.U. Serie gen. - n. 164 del 17 luglio 2014). (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 25 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

1077

(4) Il riferimento al comma 4 è stato soppresso dall'art. 25 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (5) Il secondo periodo di questo comma è stato così sostituito dall'art. 12 della L. 26 marzo 2001, n. 128. (6) Si veda anche l'art. 3 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 1991, n. 203.

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1078

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1079

Titolo VI bis . INVESTIGAZIONI DIFENSIVE (1)(2). (1) Per i rapporti con la tutela della privacy, si veda il D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196. (2) Questo titolo è stato inserito dall'art. 11 della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

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1080

391 bis. Colloquio, ricezione di dichiarazioni e assunzione di informazioni da parte del difensore. 1. Salve le incompatibilità previste dall'articolo 197, comma 1, lettere c) e d), per acquisire notizie il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati o i consulenti tecnici possono conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa. In questo caso, l'acquisizione delle notizie avviene attraverso un colloquio non documentato. 2. Il difensore o il sostituto possono inoltre chiedere alle persone di cui al comma 1 una dichiarazione scritta ovvero di rendere informazioni da documentare secondo le modalità previste dall'articolo 391 ter. 3. In ogni caso, il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati o i consulenti tecnici avvertono le persone indicate nel comma 1: a) della propria qualità e dello scopo del colloquio; b) se intendono semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di documentazione; c) dell'obbligo di dichiarare se sono sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato; d) della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; e) del divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e le risposte date; f) delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione. 4. Alle persone già sentite dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero non possono essere richieste notizie sulle domande formulate o sulle risposte date. 5. Per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da una persona sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato, è dato avviso, almeno ventiquattro ore prima, al suo difensore la cui presenza è necessaria. Se la persona è priva di difensore, il giudice, su richiesta del difensore che procede alle investigazioni, dispone la nomina di un difensore di ufficio ai sensi dell'articolo 97. 5 bis. Nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 351, comma 1 ter, il difensore, quando assume informazioni da persone minori, si avvale dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile (1). 6. Le dichiarazioni ricevute e le informazioni assunte in violazione di una delle disposizioni di cui ai commi precedenti non possono essere utilizzate. La violazione di tali disposizioni costituisce illecito disciplinare ed è comunicata dal giudice che procede all'organo titolare del potere disciplinare. 7. Per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da persona detenuta, il difensore deve munirsi di specifica autorizzazione del giudice che procede nei confronti della stessa, sentiti il suo difensore ed il pubblico ministero. Prima dell'esercizio dell'azione penale l'autorizzazione è data dal giudice per le indagini preliminari. Durante l'esecuzione della pena provvede il magistrato di sorveglianza. 8. All'assunzione di informazioni non possono assistere la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa e le altre parti private.

1081

9. Il difensore o il sostituto interrompono l'assunzione di informazioni da parte della persona non imputata ovvero della persona non sottoposta ad indagini, qualora essa renda dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità a suo carico. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. 10. Quando la persona in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa abbia esercitato la facoltà di cui alla lettera d) del comma 3, il pubblico ministero, su richiesta del difensore, ne dispone l'audizione che fissa entro sette giorni dalla richiesta medesima. Tale disposizione non si applica nei confronti delle persone sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento e nei confronti delle persone sottoposte ad indagini o imputate in un diverso procedimento nelle ipotesi previste dall'articolo 210. L'audizione si svolge alla presenza del difensore che per primo formula le domande. Anche con riferimento alle informazioni richieste dal difensore si applicano le disposizioni dell'articolo 362. 11. Il difensore, in alternativa all'audizione di cui al comma 10, può chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza o all'esame della persona che abbia esercitato la facoltà di cui alla lettera d) del comma 3, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 392, comma 1. (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 5, comma 1, lett. f), della L. 1° ottobre 2012, n. 172.

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1082

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1083

391 ter. Documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni. 1. La dichiarazione di cui al comma 2 dell'articolo 391 bis, sottoscritta dal dichiarante, è autenticata dal difensore o da un suo sostituto, che redige una relazione nella quale sono riportati: a) la data in cui ha ricevuto la dichiarazione; b) le proprie generalità e quelle della persona che ha rilasciato la dichiarazione; c) l'attestazione di avere rivolto gli avvertimenti previsti dal comma 3 dell'articolo 391 bis; d) i fatti sui quali verte la dichiarazione. 2. La dichiarazione è allegata alla relazione. 3. Le informazioni di cui al comma 2 dell'articolo 391 bis sono documentate dal difensore o da un suo sostituto che possono avvalersi per la materiale redazione del verbale di persone di loro fiducia. Si osservano le disposizioni contenute nel titolo III del libro secondo, in quanto applicabili. Vai alla dottrina     ↓

1084

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1085

391 quater. (1) Richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione. 1. Ai fini delle indagini difensive, il difensore può chiedere i documenti in possesso della pubblica amministrazione e di estrarne copia a sue spese. 2. L'istanza deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o lo detiene stabilmente. 3. In caso di rifiuto da parte della pubblica amministrazione si applicano le disposizioni degli articoli 367 e 368. (1) Si veda l'art. 24, comma 6, della L. 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito con L. 11 febbraio 2005, n, 15, sul diritto di accesso “per difendere i propri interessi giuridici”.

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1086

391 quinquies. Potere di segretazione del pubblico ministero. 1. Se sussistono specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine, il pubblico ministero può, con decreto motivato, vietare alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell'indagine di cui hanno conoscenza. Il divieto non può avere una durata superiore a due mesi. 2. Il pubblico ministero, nel comunicare il divieto di cui al comma 1 alle persone che hanno rilasciato le dichiarazioni, le avverte delle responsabilità penali conseguenti all'indebita rivelazione delle notizie. Vai alla dottrina     ↓

1087

391 sexies. Accesso ai luoghi e documentazione. 1. Quando effettuano un accesso per prendere visione dello stato dei luoghi e delle cose ovvero per procedere alla loro descrizione o per eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi, il difensore, il sostituto e gli ausiliari indicati nell'articolo 391 bis possono redigere un verbale nel quale sono riportati: a) la data ed il luogo dell'accesso; b) le proprie generalità e quelle delle persone intervenute; c) la descrizione dello stato dei luoghi e delle cose; d) l'indicazione degli eventuali rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi eseguiti, che fanno parte integrante dell'atto e sono allegati al medesimo. Il verbale è sottoscritto dalle persone intervenute. Vai alla dottrina     ↓

1088

391 septies. Accesso ai luoghi privati o non aperti al pubblico. 1. Se è necessario accedere a luoghi privati o non aperti al pubblico e non vi è il consenso di chi ne ha la disponibilità, l'accesso, su richiesta del difensore, è autorizzato dal giudice, con decreto motivato che ne specifica le concrete modalità. 2. Nel caso di cui al comma 1, la persona presente è avvertita della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'articolo 120. 3. Non è consentito l'accesso ai luoghi di abitazione e loro pertinenze, salvo che sia necessario accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. Vai alla dottrina     ↓

1089

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1090

391 octies. Fascicolo del difensore. 1. Nel corso delle indagini preliminari e nell'udienza preliminare, quando il giudice deve adottare una decisione con l'intervento della parte privata, il difensore può presentargli direttamente gli elementi di prova a favore del proprio assistito. 2. Nel corso delle indagini preliminari il difensore che abbia conoscenza di un procedimento penale può presentare gli elementi difensivi di cui al comma 1 direttamente al giudice, perché ne tenga conto anche nel caso in cui debba adottare una decisione per la quale non è previsto l'intervento della parte assistita. 3. La documentazione di cui ai commi 1 e 2, in originale o, se il difensore ne richiede la restituzione, in copia, è inserita nel fascicolo del difensore, che è formato e conservato presso l'ufficio del giudice per le indagini preliminari. Della documentazione il pubblico ministero può prendere visione ed estrarre copia prima che venga adottata una decisione su richiesta delle altre parti o con il loro intervento. Dopo la chiusura delle indagini preliminari il fascicolo del difensore è inserito nel fascicolo di cui all'articolo 433. 4. Il difensore può, in ogni caso, presentare al pubblico ministero gli elementi di prova a favore del proprio assistito. Vai alla dottrina     ↓

1091

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1092

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1093

391 nonies. Attività investigativa preventiva. 1. L'attività investigativa prevista dall'articolo 327 bis, con esclusione degli atti che richiedono l'autorizzazione o l'intervento dell'autorità giudiziaria, può essere svolta anche dal difensore che ha ricevuto apposito mandato per l'eventualità che si instauri un procedimento penale. 2. Il mandato è rilasciato con sottoscrizione autenticata e contiene la nomina del difensore e l'indicazione dei fatti ai quali si riferisce. Vai alla dottrina     ↓

1094

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1095

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1096

391 decies. Utilizzazione della documentazione delle investigazioni difensive. 1. Delle dichiarazioni inserite nel fascicolo del difensore le parti possono servirsi a norma degli articoli 500, 512 e 513. 2. Fuori del caso in cui è applicabile l'articolo 234, la documentazione di atti non ripetibili compiuti in occasione dell'accesso ai luoghi, presentata nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, è inserita nel fascicolo previsto dall'articolo 431. 3. Quando si tratta di accertamenti tecnici non ripetibili, il difensore deve darne avviso, senza ritardo, al pubblico ministero per l'esercizio delle facoltà previste, in quanto compatibili, dall'articolo 360. Negli altri casi di atti non ripetibili di cui al comma 2, il pubblico ministero, personalmente o mediante delega alla polizia giudiziaria, ha facoltà di assistervi. 4. Il verbale degli accertamenti compiuti ai sensi del comma 3 e, quando il pubblico ministero ha esercitato la facoltà di assistervi, la documentazione degli atti compiuti ai sensi del comma 2 sono inseriti nel fascicolo del difensore e nel fascicolo del pubblico ministero. Si applica la disposizione di cui all'articolo 431, comma 1, lettera c). Vai alla dottrina     ↓

1097

Titolo VII. INCIDENTE PROBATORIO (1). (1) A norma dell'art. 2 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, nei procedimenti davanti al giudice di pace non si applicano le disposizioni previste da questo titolo.

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1098

392. Casi.(1) 1. Nel corso delle indagini preliminari (326 ss.) il pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possono chiedere al giudice che si proceda con incidente probatorio (703, 346, 467, 551): a) all'assunzione della testimonianza (194 ss.) di una persona, quando vi è fondato motivo di ritenere che la stessa non potrà essere esaminata nel dibattimento per infermità o altro grave impedimento; b) all'assunzione di una testimonianza quando, per elementi concreti e specifici, vi è fondato motivo di ritenere che la persona sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità affinché non deponga o deponga il falso; c) all'esame della persona sottoposta alle indagini (61) su fatti concernenti la responsabilità di altri, [quando ricorre una delle circostanze previste dalle lett. a) e b)] (2); d) all'esame delle persone indicate nell'art. 210, [quando ricorre una delle circostanze previste dalle lett. a) e b)] (2) e all'esame dei testimoni di giustizia (3); e) al confronto (211) tra persone che in altro incidente probatorio o al pubblico ministero hanno reso dichiarazioni discordanti, quando ricorre una delle circostanze previste dalle lett. a) e b); f) a una perizia (220 ss.) o a un esperimento giudiziale (218), se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile; g) a una ricognizione (213 ss.), quando particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare l'atto al dibattimento. 1 bis. Nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 572, 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater.1, 600 quinquies, 601, 602, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 609 undecies e 612 bis del codice penale il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1. In ogni caso, quando la persona offesa versa in condizione di particolare vulnerabilità, il pubblico ministero, anche su richiesta della stessa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della sua testimonianza (4)(5). 2. Il pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possono altresì chiedere una perizia che, se fosse disposta nel dibattimento (508), ne potrebbe determinare una sospensione superiore a sessanta giorni ovvero che comporti l’esecuzione di accertamenti o prelievi su persona vivente previsti dall’articolo 224 bis (6). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 77 del 10 marzo 1994, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 392 e 393 c.p.p., nella parte in cui non consentono che, nei casi previsti dalla prima di tali disposizioni, l'incidente probatorio possa essere richiesto ed eseguito anche nella fase dell'udienza preliminare. (2) Le parole poste tra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 4, comma 1, della L. 7 agosto 1997, n. 267.

1099

Si veda altresì l'art. 6, comma 1, della medesima legge che si riporta: «1. Nei procedimenti penali in corso, il pubblico ministero può avvalersi della facoltà di cui al comma 1, lettere c) e d) dell'articolo 392 del codice di procedura penale, come modificate dall'articolo 4 della presente legge, anche dopo l'esercizio dell'azione penale, se ne fa richiesta al giudice per le indagini preliminari entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». (3) Le parole: «e all'esame dei testimoni di giustizia» sono state aggiunte dall'art. 21 della L. 11 gennaio 2018, n. 6. (4) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. h), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212. (5) Questo comma, inserito dall'art. 13, comma 1, della L. 15 febbraio 1996, n. 66, è stato così, da ultimo, sostituito dall'art. 5, comma 1, lett. g), della L. 1° ottobre 2012, n. 172. (6) Le parole: «ovvero che comporti l’esecuzione di accertamenti o prelievi su persona vivente previsti dall’articolo 224 bis» sono state aggiunte dall'art. 28 della L. 30 giugno 2009, n. 85.

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1100

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1101

393. Richiesta.(1) 1. La richiesta è presentata entro i termini per la conclusione delle indagini preliminari (405 ss., 553) e comunque in tempo sufficiente per l'assunzione della prova prima della scadenza dei medesimi termini (400) e indica: a) la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono l'oggetto e le ragioni della sua rilevanza per la decisione dibattimentale; b) le persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova (396); c) le circostanze che, a norma dell'art. 392, rendono la prova non rinviabile al dibattimento (493). 2. La richiesta proposta dal pubblico ministero indica anche i difensori (96) delle persone interessate a norma del comma 1 lett. b), la persona offesa (90) e il suo difensore (101). 2 bis. Con la richiesta di incidente probatorio di cui all'articolo 392, comma 1 bis, il pubblico ministero deposita tutti gli atti di indagine compiuti (2). 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si osservano a pena di inammissibilità. 4. Il pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possono chiedere la proroga del termine delle indagini preliminari ai fini dell'esecuzione dell'incidente probatorio (406, 407). Il giudice provvede con decreto motivato, concedendo la proroga per il tempo indispensabile all'assunzione della prova quando risulta che la richiesta di incidente probatorio non avrebbe potuto essere formulata anteriormente. Nello stesso modo il giudice provvede se il termine per le indagini preliminari scade durante l'esecuzione dell'incidente probatorio. Del provvedimento è data in ogni caso comunicazione al procuratore generale presso la corte di appello (153). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 77 del 10 marzo 1994, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 392 e 393 c.p.p., nella parte in cui non consentono che, nei casi previsti dalla prima di tali disposizioni, l'incidente probatorio possa essere richiesto ed eseguito anche nella fase dell'udienza preliminare. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 13, comma 2, della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

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394. Richiesta della persona offesa. 1. La persona offesa (90) può chiedere al pubblico ministero di promuovere un incidente probatorio. 2. Se non accoglie la richiesta, il pubblico ministero pronuncia decreto motivato e lo fa notificare (154) alla persona offesa (5513). Vai alla dottrina     ↓

1103

395. Presentazione e notificazione della richiesta. 1. La richiesta di incidente probatorio è depositata nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari (328), unitamente a eventuali cose o documenti, ed è notificata (148 ss.) a cura di chi l'ha proposta, secondo i casi, al pubblico ministero e alle persone indicate nell'art. 393 comma 1 lett. b). La prova della notificazione è depositata in cancelleria. Vai alla dottrina     ↓

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396. Deduzioni. 1. Entro due giorni dalla notificazione della richiesta (395, 400), il pubblico ministero ovvero la persona sottoposta alle indagini può presentare deduzioni sull'ammissibilità e sulla fondatezza della richiesta, depositare cose, produrre documenti nonché indicare altri fatti che debbano costituire oggetto della prova e altre persone interessate a norma dell'art. 393 comma 1, lett. b). 2. Copia delle deduzioni è consegnata dalla persona sottoposta alle indagini alla segreteria del pubblico ministero, che comunica senza ritardo al giudice le indicazioni necessarie per gli avvisi (3983). La persona sottoposta alle indagini può prendere visione ed estrarre copia (116) delle deduzioni da altri presentate. Vai alla dottrina     ↓

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397. Differimento dell'incidente probatorio. 1. Il pubblico ministero può chiedere che il giudice (328) disponga il differimento dell'incidente probatorio richiesto dalla persona sottoposta alle indagini quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagine preliminare (326 ss.). Il differimento non è consentito quando pregiudicherebbe l'assunzione della prova. 2. La richiesta di differimento è presentata a pena di inammissibilità nella cancelleria del giudice entro il termine previsto dall'art. 396 comma 1 e indica: a) l'atto o gli atti di indagine preliminare che l'incidente probatorio pregiudicherebbe e le cause del pregiudizio; b) il termine del differimento richiesto. 3. Il giudice, se non dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di incidente probatorio, provvede entro due giorni con ordinanza (125, 400) con la quale accoglie, dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di differimento. L'ordinanza di inammissibilità o di rigetto è immediatamente comunicata al pubblico ministero (153, 398). 4. Nell'accogliere la richiesta di differimento il giudice fissa l'udienza (401) per l'incidente probatorio non oltre il termine strettamente necessario al compimento dell'atto o degli atti di indagine preliminare indicati nel comma 2 lett. a). L'ordinanza è immediatamente comunicata al pubblico ministero e notificata per estratto (148 ss.) alle persone indicate nell'art. 393 comma 1 lett. b). La richiesta di differimento e l'ordinanza sono depositate all'udienza. Vai alla dottrina     ↓

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398. Provvedimenti sulla richiesta di incidente probatorio. 1. Entro due giorni (400) dal deposito della prova della notifica (395) e comunque dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 396 comma 1, il giudice pronuncia ordinanza (125) con la quale accoglie, dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di incidente probatorio. L'ordinanza di inammissibilità o di rigetto è immediatamente comunicata al pubblico ministero e notificata alle persone interessate (148 ss., 552). 2. Con l'ordinanza che accoglie la richiesta il giudice stabilisce (att. 124): a) l'oggetto della prova nei limiti della richiesta e delle deduzioni (393, 396); b) le persone interessate all'assunzione della prova individuate sulla base della richiesta e delle deduzioni; c) la data dell'udienza. Tra il provvedimento e la data dell'udienza non può intercorrere un termine superiore a dieci giorni (400). 3. Il giudice fa notificare (148 ss.) alla persona sottoposta alle indagini, alla persona offesa (90) e ai difensori (96 ss.) avviso del giorno, dell'ora e del luogo in cui si deve procedere all'incidente probatorio almeno due giorni prima della data fissata (400) con l'avvertimento che nei due giorni precedenti l'udienza possono prendere cognizione ed estrarre copia delle dichiarazioni già rese dalla persona da esaminare (1). Nello stesso termine l'avviso è comunicato al pubblico ministero (153). 3 bis. La persona sottoposta alle indagini e i difensori delle parti hanno diritto di ottenere copia degli atti depositati ai sensi dell'articolo 393, comma 2 bis (2). 4. Se si deve procedere a più incidenti probatori, essi sono assegnati alla medesima udienza, sempreché non ne derivi ritardo. 5. Quando ricorrono ragioni di urgenza e l'incidente probatorio non può essere svolto nella circoscrizione del giudice competente, quest'ultimo può delegare il giudice per le indagini preliminari del luogo dove la prova deve essere assunta. 5 bis. Nel caso di indagini che riguardano ipotesi di reato previste dagli articoli 572, (3) 600, (4) 600 bis, 600 ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater1, (5) 600 quinquies (6), 601, 602, (4) 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 octies, 609 undecies (7) e 612 bis(8) del codice penale, il giudice, ove fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minorenni (9), con l'ordinanza di cui al comma 2, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all'incidente probatorio, quando le esigenze di tutela delle persone (10) lo rendono necessario od opportuno. A tal fine l'udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l'abitazione della persona interessata all'assunzione della prova (11). Le dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di produzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia ovvero della consulenza tecnica. Dell'interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti (12) (13) (14). 5 ter. Il giudice, su richiesta di parte, applica le disposizioni di cui al comma 5 bis quando fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano maggiorenni in

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condizione di particolare vulnerabilità, desunta anche dal tipo di reato per cui si procede (15). 5 quater. Fermo quanto previsto dal comma 5 ter, quando occorre procedere all'esame di una persona offesa che versa in condizione di particolare vulnerabilità si applicano le disposizioni di cui all'articolo 498, comma 4 quater (16). (1) Le parole da: «con l'avvertimento che nei due giorni ... » fino a: «rese dalla persona da esaminare» sono state inserite dall'art. 4, comma 2, della L. 7 agosto 1997, n. 267. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 14, comma 1, della L. 15 febbraio 1996, n. 66. (3) Le parole: «572,» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. e), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (4) Le parole: «600,» e: «601, 602,» sono state inserite dall'art. 15, comma 8, della L. 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone. (5) Le parole: «anche se relativo al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater1,» sono state inserite dall'art. 14, comma 3, della L. 6 febbraio 2006, n. 38. (6) Le parole: «600 bis, 600 ter, 600 quinquies» sono state inserite dall'art. 13, comma 4, della L. 3 agosto 1998, n. 269. (7) Le parole: «, 609 undecies» sono state inserite dall'art. 5, comma 1, lett. h), della L. 1° ottobre 2012, n. 172. (8) Le parole: «e 609 octies» sono state così sostituite dalle attuali: «, 609 octies e 612 bis» dall'art. 9, comma 1, lett. c), n.1), del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23 aprile 2009, n. 38. (9) Le parole: «vi siano minori di anni sedici» sono state così sostituite dalle attuali: «vi siano minorenni» dall'art. 9, comma 1, lett. c), n. 2), del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23 aprile 2009, n. 38. (10) Le parole: «quando le esigenze del minore» sono state così sostituite dalle attuali: «quando le esigenze di tutela delle persone» dall'art.9, comma 1, lett. c), n. 3), del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23 aprile 2009, n. 38. (11) Le parole: «l'abitazione dello stesso minore» sono state così sostituite dalle attuali: «l'abitazione della persona interessata all'assunzione della prova» dall'art. 9, comma 1, lett. c), n. 4), del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23 aprile 2009, n. 38. (12) Questo comma è stato inserito dall'art. 14, comma 2, della L. 15 febbraio 1996, n. 66. (13) La Corte costituzionale, con sentenza n. 262 del 9 luglio 1998, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede l'ipotesi di reato di cui all'art. 609 quinquies (Corruzione di minorenne) del codice penale fra quelle in presenza delle quali, ove fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minori di anni sedici, il giudice stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all'incidente probatorio, quando le esigenze del minore lo rendono necessario od opportuno. (14) La Corte costituzionale, con sentenza n. 63 del 29 gennaio 2005, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che il giudice possa provvedere nei modi ivi previsti all'assunzione della prova ove fra le persone interessate ad essa vi sia un maggiorenne infermo di mente, quando le esigenze di questi lo rendano necessario od opportuno. (15) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 3 del D.L.vo 4 marzo 2014, n. 24. (16) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. i), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212.

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399. Accompagnamento coattivo della persona sottoposta alle indagini. 1. Se la persona sottoposta alle indagini, la cui presenza è necessaria per compiere un atto da assumere con l'incidente probatorio, non compare senza addurre un legittimo impedimento, il giudice ne ordina l'accompagnamento coattivo (132; att. 46). Vai alla dottrina     ↓

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400. Provvedimenti per i casi di urgenza. 1. Quando per assicurare l'assunzione della prova è indispensabile procedere con urgenza all'incidente probatorio, il giudice dispone con decreto motivato (125) che i termini previsti dagli articoli precedenti siano abbreviati nella misura necessaria (552). Vai alla dottrina     ↓

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401. Udienza. 1. L'udienza si svolge in camera di consiglio (127) con la partecipazione necessaria (179) del pubblico ministero e del difensore della persona sottoposta alle indagini (61, 96). Ha altresì diritto di parteciparvi il difensore della persona offesa (90 ss., 101). 2. In caso di mancata comparizione del difensore della persona sottoposta alle indagini, il giudice designa altro difensore a norma dell'art. 97 comma 4. 3. La persona sottoposta alle indagini e la persona offesa hanno diritto di assistere all'incidente probatorio quando si debba esaminare un testimone o un'altra persona. Negli altri casi possono assistere previa autorizzazione del giudice (1). 4. Non è consentita la trattazione e la pronuncia di nuovi provvedimenti su questioni relative all'ammissibilità e fondatezza della richiesta. 5. Le prove sono assunte con le forme stabilite per il dibattimento (495 ss.). Il difensore della persona offesa può chiedere al giudice di rivolgere domande alle persone sottoposte ad esame. 6. Salvo quanto previsto dall'art. 402, è vietato estendere l'assunzione della prova a fatti riguardanti persone diverse da quelle i cui difensori partecipano all'incidente probatorio. È in ogni caso vietato verbalizzare dichiarazioni riguardanti tali soggetti. 7. Se l'assunzione della prova non si conclude nella medesima udienza, il giudice ne dispone il rinvio al giorno successivo non festivo, salvo che lo svolgimento delle attività di prova richieda un termine maggiore. 8. Il verbale (134 ss.), le cose e i documenti acquisiti nell'incidente probatorio sono trasmessi al pubblico ministero. I difensori hanno diritto di prenderne visione ed estrarne copia (116). (1) Nel senso che la persona offesa ha la facoltà di partecipare anche attraverso un consulente tecnico alla perizia disposta con incidente probatorio, si veda Corte cost. 28 dicembre 1990, n. 559.

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402. Estensione dell'incidente probatorio. 1. Se il pubblico ministero o il difensore della persona sottoposta alle indagini (101) chiede che la prova si estenda ai fatti o alle dichiarazioni previsti dall'art. 401 comma 6, il giudice, se ne ricorrono i requisiti, dispone le necessarie notifiche a norma dell'art. 398 comma 3 rinviando l'udienza per il tempo strettamente necessario e comunque non oltre tre giorni. La richiesta non è accolta se il rinvio pregiudica l'assunzione della prova. Vai alla dottrina     ↓

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403. Utilizzabilità delle prove assunte con incidente probatorio. 1. Nel dibattimento (470 ss.) le prove assunte con l'incidente probatorio sono utilizzabili soltanto nei confronti degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione (191). 1 bis. Le prove di cui al comma 1 non sono utilizzabili nei confronti dell'imputato raggiunto solo successivamente all'incidente probatorio da indizi di colpevolezza se il difensore non ha partecipato alla loro assunzione, salvo che i suddetti indizi siano emersi dopo che la ripetizione dell'atto sia divenuta impossibile (1). (1) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 5 della L. 7 agosto 1997, n. 267.

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404. Efficacia dell'incidente probatorio nei confronti della parte civile. 1. La sentenza pronunciata sulla base di una prova assunta con incidente probatorio a cui il danneggiato dal reato non è stato posto in grado di partecipare (401) non produce gli effetti previsti dall'art. 652, salvo che il danneggiato stesso ne abbia fatta accettazione anche tacita. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo VIII. CHIUSURA

DELLE INDAGINI PRELIMINARI (1). (1) Nei procedimenti davanti al giudice di pace non si applicano le norme relative alla proroga del termine per le indagini previste da questo titolo, ai sensi dell'art. 2 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274.

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405. Inizio dell'azione penale. Forme e termini. 1. Il pubblico ministero, quando non deve richiedere l'archiviazione (408), esercita l'azione penale (50), formulando l'imputazione, nei casi previsti nei titoli II, III, IV e V del libro VI (444 ss.) ovvero con richiesta di rinvio a giudizio (416 ss., 550; att. 129; coord. 231). 1 bis. Il pubblico ministero, al termine delle indagini, formula richiesta di archiviazione quando la Corte di cassazione si è pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell'articolo 273, e non sono stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini (1) (2). 2. Salvo quanto previsto dall'art. 415 bis (3), il pubblico ministero richiede il rinvio a giudizio entro sei mesi (406, 407) dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato (335; att. 127) (4). Il termine è di un anno se si procede per taluno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, lett. a) (4) (5). 3. Se è necessaria la querela (336), l'istanza (341) o la richiesta di procedimento (342), il termine decorre dal momento in cui queste pervengono al pubblico ministero. 4. Se è necessaria l'autorizzazione a procedere (343), il decorso del termine è sospeso dal momento della richiesta a quello in cui l'autorizzazione perviene al pubblico ministero. (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 3 della L. 20 febbraio 2006, n. 46. Si veda l'art. 10 della medesima legge, di cui si riporta il testo: «10. 1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima. «2. L'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della presente legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile (*) (**) (***). «3. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità di cui al comma 2 può essere proposto ricorso per cassazione contro le sentenze di primo grado. «4. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte di assise di appello o di una corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione. «5. Nei limiti delle modificazioni apportate dall'articolo 8 della presente legge possono essere presentati i motivi di cui all'articolo 585, comma 4, del codice di procedura penale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». (*) La Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 6 febbraio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile. (**) La Corte costituzionale, con sentenza n. 320 del 20 luglio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto dal pubblico ministero, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, contro una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato, è dichiarato inammissibile. (***) La Corte costituzionale, con sentenza n. 85 del 4 aprile 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto prima dell'entrata in vigore della medesima

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legge dall'imputato, a norma dell'art. 593 c.p.p., contro una sentenza di proscioglimento, relativa a reato diverso dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, sia dichiarato inammissibile. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 121 del 24 aprile 2009, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma. (3) Le parole: «Salvo quanto previsto dall'art. 415 bis» sono state premesse a questo comma dall'art. 17, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (4) Per il regime transitorio si veda, però, l'art. 258 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271, recante le norme di attuazione, transitorie e di coordinamento del codice di procedura penale. (5) L'ultimo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 6, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

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406. Proroga del termine.(1) 1. Il pubblico ministero, prima della scadenza, può richiedere al giudice (328), per giusta causa, la proroga del termine previsto dall'art. 405. La richiesta contiene l'indicazione della notizia di reato e l'esposizione dei motivi che la giustificano. 2. Ulteriori proroghe possono essere richieste dal pubblico ministero nei casi di particolare complessità delle indagini ovvero di oggettiva impossibilità di concluderle entro il termine prorogato (407). 2 bis. Ciascuna proroga può essere autorizzata dal giudice per un tempo non superiore a sei mesi. 2 ter. Qualora si proceda per i reati di cui agli articoli 572, (2) 589, secondo comma, 589 bis, 590, terzo comma, 590 bis (3) e 612 bis(4) del codice penale, la proroga di cui al comma 1 può essere concessa per non più di una volta (5). 3. La richiesta di proroga è notificata (148 ss.), a cura del giudice, con l'avviso della facoltà di presentare memorie entro cinque giorni dalla notificazione, alla persona sottoposta alle indagini nonché alla persona offesa dal reato (90, 91) che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere esserne informata. Il giudice provvede entro dieci giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle memorie. 4. Il giudice autorizza la proroga del termine con ordinanza (125) emessa in camera di consiglio senza intervento del pubblico ministero e dei difensori. 5. Qualora ritenga che allo stato degli atti non si debba concedere la proroga, il giudice, entro il termine previsto dal comma 3 secondo periodo, fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa notificare avviso al pubblico ministero, alla persona sottoposta alle indagini nonché, nell'ipotesi prevista dal comma 3, alla persona offesa dal reato. Il procedimento si svolge nelle forme previste dall'art. 127. 5 bis. Le disposizioni dei commi 3, 4 e 5 non si applicano se si procede per taluno dei delitti indicati nell'art. 51, comma 3 bis e nell'articolo 407, comma 2, lettera a), numeri 4 e 7 bis (6). In tali casi, il giudice provvede con ordinanza entro dieci giorni dalla presentazione della richiesta, dandone comunicazione al pubblico ministero. 6. Se non ritiene di respingere la richiesta di proroga, il giudice autorizza con ordinanza il pubblico ministero a proseguire le indagini. 7. Con l'ordinanza che respinge la richiesta di proroga, il giudice, se il termine per le indagini preliminari è già scaduto, fissa un termine non superiore a dieci giorni per la formulazione delle richieste del pubblico ministero a norma dell'art. 405. 8. Gli atti di indagine compiuti dopo la presentazione della richiesta di proroga e prima della comunicazione del provvedimento del giudice sono comunque utilizzabili, sempre che, nel caso di provvedimento negativo, non siano successivi alla data di scadenza del termine originariamente previsto per le indagini. (1) Articolo così sostituito dall'art. 6, comma 2, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (2) Le parole: «572,» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. f), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (3) Le parole: «589, secondo comma, 590, terzo comma,» sono state così sostituite dalle seguenti: «589, secondo comma, 589 bis, 590, terzo comma, 590 bis», dall'art. 1, comma 5, lett. c), della L. 23 marzo 2016, n. 41.

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(4) Le parole: «e 590, terzo comma,» sono state così sostituite dalle attuali: «, 590, terzo comma, e 612 bis» dall'art. 2, comma 1, lett. f), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (5) Questo comma è stato inserito dall'art. 4, comma 1, della L. 21 febbraio 2006, n. 102. (6) Le parole: «e nell'articolo 407, comma 2, lettera a), n. 7 bis» sono state inserite dall'art. 3, comma 1, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000. Successivamente, le parole: «e nell'articolo 407, comma 2, lettera a), n. 7 bis» sono state così sostituite dalle parole: «e nell'articolo 407, comma 2, lettera a), numeri 4 e 7 bis», dall'art. 1, comma 1, del D.L. 5 aprile 2001, n. 98, convertito nella L. 14 maggio 2001, n. 196.

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407. Termini di durata massima delle indagini preliminari.(1) 1. Salvo quanto previsto dall'art. 393 comma 4, la durata delle indagini preliminari non può comunque superare diciotto mesi (553) (2). 2. La durata massima è tuttavia di due anni se le indagini preliminari riguardano: a) i delitti appresso indicati: 1) delitti di cui agli articoli 285, 286, 416 bis e 422 del codice penale, 291 ter, limitatamente alle ipotesi aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del comma 2, e 291 quater, comma 4, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (3) (4); 2) delitti consumati o tentati di cui agli artt. 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630 dello stesso codice penale; 3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (4); 4) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, [270 bis, secondo comma,] (5) e 306, secondo comma, del codice penale (6) (7) (4); 5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall'art. 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110; 6) delitti di cui agli artt. 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 80, comma 2, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni; 7) delitto di cui all'art. 416 del codice penale nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza (8); 7 bis) dei delitti previsti dagli articoli 600, (9) 600 bis, primo comma, 600 ter, primo e secondo comma (10), 601, 602, (9) 609 bis nelle ipotesi aggravate previste dall' articolo 609 ter, 609 quater, 609 octies del codice penale, nonché dei delitti previsti dall’articolo 12, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni (11) (12); b) notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l'elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese (13); c) indagini che richiedono il compimento di atti all'estero (727 ss.); d) procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero a norma dell'art. 371. 3. Salvo quanto previsto dall'art. 415 bis (14), qualora il pubblico ministero non abbia esercitato l'azione penale (405) o richiesto l'archiviazione (408, 411, 415) nel

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termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati. 3 bis. In ogni caso il pubblico ministero è tenuto a esercitare l'azione penale o a richiedere l'archiviazione entro il termine di tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all'articolo 415 bis. Nel caso di cui al comma 2, lettera b), del presente articolo, su richiesta presentata dal pubblico ministero prima della scadenza, il procuratore generale presso la corte di appello può prorogare, con decreto motivato, il termine per non più di tre mesi, dandone notizia al procuratore della Repubblica. Il termine di cui al primo periodo del presente comma è di quindici mesi per i reati di cui al comma 2, lettera a), numeri 1), 3) e 4), del presente articolo. Ove non assuma le proprie determinazioni in ordine all'azione penale nel termine stabilito dal presente comma, il pubblico ministero ne dà immediata comunicazione al procuratore generale presso la corte di appello (15). (1) Per il regime transitorio, si veda, però, l'art. 258 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271, recante le norme di attuazione, transitorie e di coordinamento del codice di procedura penale. (2) L'art. 14, comma 1, della L. 14 gennaio 2013, n. 9, prevede inoltre che ai delitti di adulterazione o di frode di oli di oliva vergini commessi al fine di conseguire un ingiustificato profitto con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate non si applica la sospensione nel periodo feriale dei termini delle indagini preliminari, la cui durata complessiva non può essere superiore a venti mesi. (3) Questo numero è stato così sostituito dall'art. 5 della L. 19 marzo 2001, n. 92, sulla repressione del contrabbando di tabacchi lavorati. (4) A norma dell'art. 17, comma 6, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155, per i procedimenti relativi ai delitti previsti da questo numero, non si applicano le modificazioni recate dai commi 1, 2 e 3 del presente articolo e rimane ferma la disciplina vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto. (5) Le parole poste fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 1, comma 5 quater, del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438. (6) Le parole: «nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, 270 bis, secondo comma, e 306, secondo comma, del codice penale» sono state inserite dall'art. 1, comma 2, del D.L. 5 aprile 2001, n. 98, convertito nella L. 14 maggio 2001, n. 196. (7) Ai sensi dell'art. 3, comma 1, del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438, nei procedimenti per i delitti previsti dall'articolo 270 ter del codice penale e per i delitti di cui all'articolo 407 comma 2 lettera a), n. 4 del codice di procedura penale, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203. (8) Lettera dapprima sostituita dall'art. 6, comma 3, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356 e poi così sostituita dall'art. 21, comma 1, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (9) Le parole: «600,» e: «602,» sono state inserite dall'art. 6, comma 1, lett. c), della L. 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone. (10) Le parole: «600 bis, comma 1, 600 ter, comma 1,» sono state così sostituite dalle attuali: «600 bis, primo comma, 600 ter, primo e secondo comma» dall'art. 5, comma 1, lett. i), della L. 1° ottobre 2012, n. 172.

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(11) Le parole: «, nonché dei delitti previsti dall’articolo 12, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni» sono state aggiunte dall'art. 1, comma 27, della L. 15 luglio 2009, n. 94. (12) Questo numero è stato aggiunto dall'art. 3, comma 2, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000. (13) Si veda l'art. 9 del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, che così dispone: «9. 1. Nei procedimenti penali in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto legge, aventi ad oggetto i reati di cui agli articoli 285 e 422 del codice penale, commessi anteriormente alla data di entrata in vigore del codice di procedura penale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, il termine di durata massima delle indagini preliminari è di sei anni ove ricorra l'ipotesi di cui alla lettera b) del comma 2 dell'articolo 407 del codice di procedura penale». (14) Le parole: «Salvo quanto previsto dall'art. 415 bis» sono state premesse a questo comma dall'art. 17, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (15) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 30, lett. a), della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. A norma dell’art. 1, comma 36, della L. 23 giugno 2017, n. 103, le disposizioni di cui a questo comma si applicano ai procedimenti nei quali le notizie di reato sono iscritte nell'apposito registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale successivamente alla data di entrata in vigore della predetta legge.

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408. Richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato. 1. Entro i termini previsti dagli articoli precedenti, il pubblico ministero, se la notizia di reato (330) è infondata, presenta al giudice richiesta di archiviazione (411; att. 125). Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate (373) e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari (392 ss.; att. 127). 2. L'avviso della richiesta è notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere essere informata circa l'eventuale archiviazione (154; att. 126). 3. Nell'avviso è precisato che, nel termine di venti giorni (1), la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari (410). 3 bis. Per i delitti commessi con violenza alla persona e per il reato di cui all'articolo 624 bis del codice penale (2), l'avviso della richiesta di archiviazione è in ogni caso notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa ed il termine di cui al comma 3 è elevato a trenta giorni (3) (4). (1) Le parole: «nel termine di dieci giorni» sono state così sostituite dalle seguenti: «nel termine di venti giorni» dall'art. 1, comma 31, lett. a), della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (2) Le parole: «e per il reato di cui all'articolo 624 bis del codice penale» sono state inserite dall'art. 1, comma 31, lett. b), della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (3) Le parole: «venti giorni» sono state così sostituite dalle seguenti: «trenta giorni» dall'art. 1, comma 31, lett. b), della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (4) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. g), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119.

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409. (1) (2) Provvedimenti del giudice sulla richiesta di archiviazione. 1. Fuori dei casi in cui sia stata presentata l'opposizione prevista dall'art. 410, il giudice, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato (125) e restituisce gli atti al pubblico ministero (554). Il provvedimento che dispone l'archiviazione è notificato alla persona sottoposta alle indagini se nel corso del procedimento è stata applicata nei suoi confronti la misura della custodia cautelare (3). 2. Se non accoglie la richiesta, il giudice entro tre mesi (4) fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso al pubblico ministero, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa dal reato (90, 91). Il procedimento si svolge nelle forme previste dall'art. 127. Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria con facoltà del difensore di estrarne copia (5). 3. Della fissazione dell'udienza il giudice dà inoltre comunicazione al procuratore generale presso la corte di appello (153, 412). 4. A seguito dell'udienza, il giudice, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica con ordinanza al pubblico ministero, fissando il termine indispensabile per il compimento di esse, altrimenti provvede entro tre mesi sulle richieste (6). 5. Fuori del caso previsto dal comma 4, il giudice, quando non accoglie la richiesta di archiviazione, dispone con ordinanza che, entro dieci giorni, il pubblico ministero formuli l'imputazione (405). Entro due giorni dalla formulazione dell'imputazione, il giudice fissa con decreto l'udienza preliminare (att. 128). Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli artt. 418 e 419. 6. L'ordinanza di archiviazione è ricorribile per cassazione (606) solo nei casi di nullità previsti dall'art. 127 comma 5 (7) (8). (1) L'art. 21, comma 2, del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, ha previsto che il provvedimento di archiviazione o la sentenza irrevocabile che esclude la rilevanza penale del fatto sono comunicati all'ufficio competente; alla comunicazione provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi. (2) Si veda la L. 20 giugno 2003, n. 140, in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato. (3) L'ultimo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 15, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (4) Le parole: «entro tre mesi» sono state inserite dall'art. 1, comma 32, lett. a), della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (5) Questo periodo è stato così sostituito dall'art. 12 della L. 7 dicembre 2000, n. 397. (6) Le parole: «, altrimenti provvede entro tre mesi sulle richieste» sono state aggiunte dall'art. 1, comma 32, lett. b), della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (7) La persona offesa è legittimata a ricorrere per cassazione contro l'ordinanza di archiviazione pronunciata a seguito di udienza in camera di consiglio della cui fissazione non le sia stato dato avviso (Corte cost. 16 luglio 1991, n. 353). (8) Questo comma è stato abrogato dall'art. 1, comma 32, lett. c), della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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410. Opposizione alla richiesta di archiviazione. 1. Con l'opposizione alla richiesta di archiviazione la persona offesa dal reato (90, 91) chiede la prosecuzione delle indagini preliminari indicando, a pena di inammissibilità, l'oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova. 2. Se l'opposizione è inammissibile e la notizia di reato è infondata, il giudice (328) dispone l'archiviazione con decreto motivato (125) e restituisce gli atti al pubblico ministero. 3. Fuori dei casi previsti dal comma 2, il giudice provvede a norma dell'art. 409, commi 2, 3, 4 e 5, ma, in caso di più persone offese, l'avviso per l'udienza è notificato al solo opponente. Vai alla dottrina     ↓

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410 bis. (1) Nullità del provvedimento di archiviazione. 1. Il decreto di archiviazione è nullo se è emesso in mancanza dell'avviso di cui ai commi 2 e 3 bis dell'articolo 408 e al comma 1 bis dell'articolo 411 ovvero prima che il termine di cui ai commi 3 e 3 bis del medesimo articolo 408 sia scaduto senza che sia stato presentato l'atto di opposizione. Il decreto di archiviazione è altresì nullo se, essendo stata presentata opposizione, il giudice omette di pronunciarsi sulla sua ammissibilità o dichiara l'opposizione inammissibile, salvi i casi di inosservanza dell'articolo 410, comma 1. 2. L'ordinanza di archiviazione è nulla solo nei casi previsti dall'articolo 127, comma 5. 3. Nei casi di nullità previsti dai commi 1 e 2, l'interessato, entro quindici giorni dalla conoscenza del provvedimento, può proporre reclamo innanzi al tribunale in composizione monocratica, che provvede con ordinanza non impugnabile, senza intervento delle parti interessate, previo avviso, almeno dieci giorni prima, dell'udienza fissata per la decisione alle parti medesime, che possono presentare memorie non oltre il quinto giorno precedente l'udienza. 4. Il giudice, se il reclamo è fondato, annulla il provvedimento oggetto di reclamo e ordina la restituzione degli atti al giudice che ha emesso il provvedimento. Altrimenti conferma il provvedimento o dichiara inammissibile il reclamo, condannando la parte privata che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento e, nel caso di inammissibilità, anche al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende nei limiti di quanto previsto dall'articolo 616, comma 1. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1, comma 33, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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411. Altri casi di archiviazione. 1. Le disposizioni degli articoli 408, 409, 410 e 410 bis (1) si applicano anche quando risulta che manca una condizione di procedibilità (345), che la persona sottoposta alle indagini non è punibile ai sensi dell'articolo 131 bis del codice penale per particolare tenuità del fatto (2), che il reato è estinto (att. 141; 150 ss. c.p.) o che il fatto non è previsto dalla legge come reato (coord. 232). 1 bis. Se l'archiviazione è richiesta per particolare tenuità del fatto, il pubblico ministero deve darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, precisando che, nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta. Il giudice, se l'opposizione non è inammissibile, procede ai sensi dell'articolo 409, comma 2, e, dopo avere sentito le parti, se accoglie la richiesta, provvede con ordinanza. In mancanza di opposizione, o quando questa è inammissibile, il giudice procede senza formalità e, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato. Nei casi in cui non accoglie la richiesta il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell'articolo 409, commi 4 e 5 (3). (1) Le parole: «degli articoli 408, 409 e 410» sono state così sostituite dalle seguenti: «degli articoli 408, 409, 410 e 410 bis» dall'art. 1, comma 34, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (2) Le parole: «, che la persona sottoposta alle indagini non è punibile ai sensi dell'articolo 131 bis del codice penale per particolare tenuità del fatto» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L.vo 16 marzo 2015, n. 28. (3) Questo comma è stato inserito dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L.vo 16 marzo 2015, n. 28.

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412. Avocazione delle indagini preliminari per mancato esercizio dell'azione penale. 1. Il procuratore generale presso la corte di appello, se il pubblico ministero non esercita l'azione penale o non richiede l'archiviazione nel termine previsto dall'articolo 407, comma 3 bis, dispone, con decreto motivato, l'avocazione delle indagini preliminari (1). Il procuratore generale svolge le indagini preliminari indispensabili e formula le sue richieste entro trenta giorni dal decreto di avocazione (258 trans.). 2. Il procuratore generale può altresì disporre l'avocazione a seguito della comunicazione prevista dall'art. 409 comma 3. (1) Questo periodo è stato così sostituito dall'art. 1, comma 30, lett. b), della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. A norma dell’art. 1, comma 36, della L. 23 giugno 2017, n. 103, tali disposizioni si applicano ai procedimenti nei quali le notizie di reato sono iscritte nell'apposito registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale successivamente alla data di entrata in vigore della predetta legge.

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413. Richiesta della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa dal reato. 1. La persona sottoposta alle indagini o la persona offesa dal reato (90, 91) può chiedere al procuratore generale di disporre l'avocazione a norma dell'art. 412 comma 1. 2. Disposta l'avocazione, il procuratore generale svolge le indagini preliminari indispensabili e formula le sue richieste entro trenta giorni dalla richiesta proposta a norma del comma 1. Vai alla dottrina     ↓

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414. Riapertura delle indagini. 1. Dopo il provvedimento di archiviazione emesso a norma degli articoli precedenti, il giudice (328) autorizza con decreto motivato (125) la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero motivata dalla esigenza di nuove investigazioni (att. 157). 2. Quando è autorizzata la riapertura delle indagini, il pubblico ministero procede a nuova iscrizione a norma dell'art. 335. Vai alla dottrina     ↓

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415. (1) Reato commesso da persone ignote. 1. Quando è ignoto l'autore del reato il pubblico ministero, entro sei mesi dalla data della registrazione della notizia di reato, presenta al giudice richiesta di archiviazione ovvero di autorizzazione a proseguire le indagini. 2. Quando accoglie la richiesta di archiviazione ovvero di autorizzazione a proseguire le indagini, il giudice pronuncia decreto motivato e restituisce gli atti al pubblico ministero. Se ritiene che il reato sia da attribuire a persona già individuata ordina che il nome di questa sia iscritto nel registro delle notizie di reato. 2 bis. Il termine di cui al comma 2 dell'articolo 405 decorre dal provvedimento del giudice (2). 3. Si osservano in quanto applicabili, le altre disposizioni di cui al presente titolo. 4. Nell'ipotesi di cui all'articolo 107 bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, la richiesta di archiviazione ed il decreto del giudice che accoglie la richiesta sono pronunciati cumulativamente con riferimento agli elenchi trasmessi dagli organi di polizia con l'eventuale indicazione delle denunce che il pubblico ministero o il giudice intendono escludere, rispettivamente, dalla richiesta o dal decreto. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 16, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 35, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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415 bis. (1) Avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari. 1. Prima della scadenza del termine previsto dal comma 2 dell'articolo 405, anche se prorogato, il pubblico ministero, se non deve formulare richiesta di archiviazione ai sensi degli articoli 408 e 411, fa notificare alla persona sottoposta alle indagini e al difensore nonché, quando si procede per i reati di cui agli articoli 572 e 612 bis del codice penale, anche al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa (2) avviso della conclusione delle indagini preliminari. 2. L'avviso contiene la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto, con l'avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del pubblico ministero e che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia. 2 bis. Qualora non si sia proceduto ai sensi dell'articolo 268, commi 4, 5 e 6, l'avviso contiene inoltre l'avvertimento che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà di esaminare per via telematica gli atti depositati relativi ad intercettazioni ed ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche e che hanno la facoltà di estrarre copia delle registrazioni o dei flussi indicati come rilevanti dal pubblico ministero. Il difensore può, entro il termine di venti giorni, depositare l'elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia. Sull'istanza provvede il pubblico ministero con decreto motivato. In caso di rigetto dell'istanza o di contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti il difensore può avanzare al giudice istanza affinchè si proceda nelle forme di cui all'articolo 268, comma 6 (3). 3. L'avviso contiene altresì l'avvertimento che l'indagato ha facoltà, entro il termine di venti giorni, di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Se l'indagato chiede di essere sottoposto ad interrogatorio il pubblico ministero deve procedervi (4). 4. Quando il pubblico ministero, a seguito delle richieste dell'indagato, dispone nuove indagini, queste devono essere compiute entro trenta giorni dalla presentazione della richiesta. Il termine può essere prorogato dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, per una sola volta e per non più di sessanta giorni. 5. Le dichiarazioni rilasciate dall'indagato, l'interrogatorio del medesimo ed i nuovi atti di indagine del pubblico ministero, previsti dai commi 3 e 4, sono utilizzabili se compiuti entro il termine stabilito dal comma 4, ancorché sia decorso il termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice per l'esercizio dell'azione penale o per la richiesta di archiviazione. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 17, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Le parole: «nonché, quando si procede per i reati di cui agli articoli 572 e 612 bis del codice penale, anche al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. h), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (3) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. m), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo

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provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (4) A norma dell'art. 221, comma 11, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, nella L. 17 luglio 2020, n. 77, al fine di consentire il deposito telematico degli atti nella fase delle indagini preliminari, con decreto del Ministro della giustizia non avente natura regolamentare è autorizzato il deposito con modalità telematica, presso gli uffici del pubblico ministero, di memorie, documenti, richieste e istanze di cui a questo comma, nonchè di atti e documenti da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, secondo le disposizioni stabilite con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, anche in deroga alle disposizioni del decreto emanato ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24. Il deposito si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento direttoriale di cui al primo periodo. Il decreto di cui al primo periodo è adottato previo accertamento da parte del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia della funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici.

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Titolo IX. UDIENZA PRELIMINARE (1). (1) A norma dell'art. 2 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, le norme previste da questo titolo non si applicano nei procedimenti davanti al giudice di pace.

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416. Presentazione della richiesta del pubblico ministero. 1. La richiesta di rinvio a giudizio è depositata dal pubblico ministero nella cancelleria del giudice (328). La richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall'avviso previsto dall'articolo 415 bis, nonché dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'articolo 375, comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini abbia chiesto di essere sottoposta ad interrogatorio entro il termine di cui all'articolo 415 bis, comma 3 (1) (2). 2. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato (330), la documentazione relativa alle indagini espletate (373) e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari (294, 392 ss.; att. 130). Il corpo del reato (253) e le cose pertinenti al reato sono allegati al fascicolo, qualora non debbano essere custoditi altrove. 2 bis. Qualora si proceda per i reati di cui agli articoli 589, secondo comma, e 589 bis del codice penale (3), la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero deve essere depositata entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari (4). (1) L'ultimo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 2, comma 2, della L. 16 luglio 1997, n. 234. A norma dell'art. 3 della medesima legge, questo comma, così come modificato dall'art. 2, comma 2, della L. n. 234/1997, non si applica ai procedimenti penali nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia già stata depositata richiesta di rinvio a giudizio o sia già stato emesso decreto di citazione a giudizio. (2) Le parole: «dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'articolo 375, comma 3» sono state così sostituite dalle seguenti da: «dall'avviso previsto dall'articolo ...» fino alla fine del comma, dall'art. 17, comma 3, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (3) Le parole: «per il reato di cui all'articolo 589, secondo comma, del codice penale» sono state così sostituite dalle seguenti: «per i reati di cui agli articoli 589, secondo comma, e 589 bis del codice penale», dall'art. 1, comma 5, lett. d), della L. 23 marzo 2016, n. 41. (4) Questo comma è stato inserito dall'art. 4, comma 2, della L. 21 febbraio 2006, n. 102.

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417. Requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio. 1. La richiesta di rinvio a giudizio contiene: a) le generalità dell'imputato (60) o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità della persona offesa dal reato (90) qualora ne sia possibile l'identificazione; b) l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge (1); c) l'indicazione delle fonti di prova acquisite; d) la domanda al giudice di emissione del decreto che dispone il giudizio (429); e) la data e la sottoscrizione. (1) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 18, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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418. Fissazione dell'udienza. 1. Entro cinque (1) giorni dal deposito della richiesta (416), il giudice fissa con decreto il giorno, l'ora e il luogo dell'udienza in camera di consiglio (127), provvedendo a norma dell'art. 97 quando l'imputato è privo di difensore di fiducia. 2. Tra la data di deposito della richiesta e la data dell'udienza non può intercorrere un termine superiore a trenta giorni (4095). (1) La parola: «due» è stata così sostituita dall'attuale: «cinque» dall'art. 19, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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419. (1) (2) Atti introduttivi. 1. Il giudice fa notificare (148 ss.) all'imputato (60) e alla persona offesa (90), della quale risulti agli atti l'identità e il domicilio, l'avviso del giorno, dell'ora e del luogo dell'udienza, con la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero (4095, 416) e con l'avvertimento all'imputato che, qualora non compaia, si applicheranno le disposizioni di cui agli articoli 420 bis, 420 ter, 420 quater e 420 quinquies (3). 2. L'avviso è altresì comunicato al pubblico ministero (153) e notificato (att. 653) al difensore dell'imputato con l'avvertimento della facoltà di prendere visione degli atti e delle cose trasmessi a norma dell'art. 416 comma 2 e di presentare memorie e produrre documenti (att. 131). 3. L'avviso [comunicato al pubblico ministero] (4) contiene inoltre l'invito a trasmettere la documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio (att. 131). 4. Gli avvisi sono notificati e comunicati almeno dieci giorni prima della data dell'udienza. Entro lo stesso termine è notificata la citazione del responsabile civile (83) e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89). 5. L'imputato può rinunciare all'udienza preliminare e richiedere il giudizio immediato (453, 4583) con dichiarazione presentata in cancelleria, personalmente o a mezzo di procuratore speciale (122), almeno tre giorni prima della data dell'udienza. L'atto di rinuncia è notificato al pubblico ministero e alla persona offesa dal reato a cura dell'imputato. 6. Nel caso previsto dal comma 5, il giudice emette decreto di giudizio immediato (455). 7. Le disposizioni dei commi 1 e 4 sono previste a pena di nullità (177 ss.). (1) Per lo svolgimento dell'udienza preliminare nel processo minorile si veda l'art. 31 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni. (2) Nel senso che è compito del giudice dell'udienza preliminare differire congruamente l'udienza ove le indagini suppletive del pubblico ministero sopravvengano in tempi tali da non consentire un'adeguata difesa, si veda Corte cost. 3 febbraio 1994, n. 16. (3) Le parole da: «e con l'avvertimento ...» fino a: «... giudicato in contumacia» sono state aggiunte dall'art. 2 quinquies del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144. Le parole: «non comparendo sarà giudicato in contumacia» sono state così sostituite dalle attuali: «, qualora non compaia, si applicheranno le disposizioni di cui agli articoli 420 bis, 420 ter, 420 quater e 420 quinquies» dall'art. 9, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità. (4) Le parole poste fra parentesi quadre sono state soppresse dall'art. 13 della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

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420. (1) Costituzione delle parti. 1. L'udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell'imputato. 2. Il giudice procede agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti ordinando la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e delle notificazioni di cui dichiara la nullità. 3. Se il difensore dell'imputato non è presente il giudice provvede a norma dell'art. 97, comma 4. 4. Il verbale dell'udienza preliminare è redatto di regola in forma riassuntiva a norma dell'articolo 140, comma 2; il giudice, su richiesta di parte, dispone la riproduzione fonografica o audiovisiva ovvero la redazione del verbale con la stenotipia. (1) Questo articolo è stato sostituito dagli attuali articoli da 420 a 420 quinquies dall'art. 19, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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420 bis. (1) Assenza dell'imputato. 1. Se l'imputato, libero o detenuto, non è presente all'udienza e, anche se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistervi, il giudice procede in sua assenza. 2. Salvo quanto previsto dall'articolo 420 ter, il giudice procede altresì in assenza dell'imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l'imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso dell'udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo. 3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, l'imputato è rappresentato dal difensore. È altresì rappresentato dal difensore ed è considerato presente l'imputato che, dopo essere comparso, si allontana dall'aula di udienza o che, presente ad una udienza, non compare ad udienze successive. 4. L'ordinanza che dispone di procedere in assenza dell'imputato è revocata anche d'ufficio se, prima della decisione, l'imputato compare. Se l'imputato fornisce la prova che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, il giudice rinvia l'udienza e l'imputato può chiedere l'acquisizione di atti e documenti ai sensi dell'articolo 421, comma 3. Nel corso del giudizio di primo grado, l'imputato ha diritto di formulare richiesta di prove ai sensi dell'articolo 493. Ferma restando in ogni caso la validità degli atti regolarmente compiuti in precedenza, l'imputato può altresì chiedere la rinnovazione di prove già assunte. Nello stesso modo si procede se l'imputato dimostra che versava nell'assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento e che la prova dell'impedimento è pervenuta con ritardo senza sua colpa. 5. Il giudice revoca altresì l'ordinanza e procede a norma dell'articolo 420 quater se risulta che il procedimento, per l'assenza dell'imputato, doveva essere sospeso ai sensi delle disposizioni di tale articolo. (1) A norma dell'art. 19, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479, l'art. 420 c.p.p. è stato così sostituito dagli attuali articoli da 420 a 420 quinquies. Questo articolo è stato, da ultimo, così sostituito dall'art. 9, comma 2, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità.

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420 ter. (1) Impedimento a comparire dell'imputato o del difensore. 1. Quando l'imputato, anche se detenuto, non si presenta all'udienza e risulta che l'assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, il giudice, con ordinanza, anche d'ufficio, rinvia ad una nuova udienza e dispone che sia rinnovato l'avviso all'imputato, a norma dell'articolo 419, comma 1. 2. Con le medesime modalità di cui al comma 1 il giudice provvede quando appare probabile che l'assenza dell'imputato sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore. Tale probabilità è liberamente valutata dal giudice e non può formare oggetto di discussione successiva né motivo di impugnazione. 3. Quando l'imputato, anche se detenuto, non si presenta alle successive udienze e ricorrono le condizioni previste dal comma 1, il giudice rinvia anche d'ufficio l'udienza, fissa con ordinanza la data della nuova udienza e ne dispone la notificazione all'imputato. 4. In ogni caso la lettura dell'ordinanza che fissa la nuova udienza sostituisce la citazione e gli avvisi per tutti coloro che sono o devono considerarsi presenti. 5. Il giudice provvede a norma del comma 1 nel caso di assenza del difensore, quando risulta che l'assenza stessa è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento, purché prontamente comunicato. Tale disposizione non si applica se l'imputato è assistito da due difensori e l'impedimento riguarda uno dei medesimi ovvero quando il difensore impedito ha designato un sostituto o quando l'imputato chiede che si proceda in assenza del difensore impedito. 5 bis. Agli effetti di cui al comma 5 il difensore che abbia comunicato prontamente lo stato di gravidanza si ritiene legittimamente impedito a comparire nei due mesi precedenti la data presunta del parto e nei tre mesi successivi ad esso (2). (1) A norma dell'art. 19, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479, l'art. 420 c.p.p. è stato così sostituito dagli attuali articoli da 420 a 420 quinquies. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 466, della L. 27 dicembre 2017, n. 205, a decorrere dal 1° gennaio 2018.

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420 quater. (1) (2) Sospensione del processo per assenza dell'imputato. 1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 420 bis e 420 ter e fuori delle ipotesi di nullità della notificazione, se l'imputato non è presente il giudice rinvia l'udienza e dispone che l'avviso sia notificato all'imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria. 2. Quando la notificazione ai sensi del comma 1 non risulta possibile, e sempre che non debba essere pronunciata sentenza a norma dell'articolo 129, il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo nei confronti dell'imputato assente. Si applica l'articolo 18, comma 1, lettera b). Non si applica l'articolo 75, comma 3. 3. Durante la sospensione del processo, il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili. (1) A norma dell'art. 19, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479, l'art. 420 c.p.p. è stato così sostituito dagli attuali articoli da 420 a 420 quinquies. Questo articolo è stato, da ultimo, così sostituito dall'art. 9, comma 3, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità. (2) Si veda l'art. 41 del D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

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420 quinquies. (1) Nuove ricerche dell'imputato e revoca della sospensione del processo. 1. Alla scadenza di un anno dalla pronuncia dell'ordinanza di cui al comma 2 dell'articolo 420 quater, o anche prima quando ne ravvisi l'esigenza, il giudice dispone nuove ricerche dell'imputato per la notifica dell'avviso. Analogamente provvede a ogni successiva scadenza annuale, qualora il procedimento non abbia ripreso il suo corso. 2. Il giudice revoca l'ordinanza di sospensione del processo: a) se le ricerche di cui al comma 1 hanno avuto esito positivo; b) se l'imputato ha nel frattempo nominato un difensore di fiducia; c) in ogni altro caso in cui vi sia la prova certa che l'imputato è a conoscenza del procedimento avviato nei suoi confronti; d) se deve essere pronunciata sentenza a norma dell'articolo 129. 3. Con l'ordinanza di revoca della sospensione del processo, il giudice fissa la data per la nuova udienza, disponendo che l'avviso sia notificato all'imputato e al suo difensore, alle altre parti private e alla persona offesa, nonché comunicato al pubblico ministero. 4. All'udienza di cui al comma 3 l'imputato può formulare richiesta ai sensi degli articoli 438 e 444. (1) A norma dell'art. 19, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479, l'art. 420 c.p.p. è stato così sostituito dagli attuali articoli da 420 a 420 quinquies. Questo articolo è stato, da ultimo, così sostituito dall'art. 9, comma 4, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità.

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421. Discussione. 1. Conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti (420 e 3044), il giudice dichiara aperta la discussione. 2. Il pubblico ministero espone sinteticamente i risultati delle indagini preliminari (326 ss.) e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio. L'imputato può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio, per il quale si applicano le disposizioni degli articoli 64 e 65 (1). Su richiesta di parte, il giudice dispone che l'interrogatorio sia reso nelle forme previste dagli articoli 498 e 499 (2). Prendono poi la parola, nell'ordine, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (100) e dell' imputato (96) che espongono le loro difese. Il pubblico ministero e i difensori possono replicare una sola volta. 3. Il pubblico ministero e i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo trasmesso a norma dell'art. 416 comma 2 nonché gli atti e i documenti ammessi dal giudice prima dell'inizio della discussione (4192-3). 4. Se il giudice ritiene di poter decidere allo stato degli atti, dichiara chiusa la discussione. (1) Il secondo periodo di questo comma è stato così sostituito dall'art. 20 della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Il terzo periodo di questo comma è stato inserito dall'art. 2, comma 2, della L. 7 agosto 1997, n. 267.

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421 bis. (1) Ordinanza per l'integrazione delle indagini. 1. Quando non provvede a norma del comma 4 dell'articolo 421, il giudice, se le indagini preliminari sono incomplete, indica le ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare. Del provvedimento è data comunicazione al procuratore generale presso la corte d'appello. 2. Il procuratore generale presso la corte d'appello può disporre con decreto motivato l'avocazione delle indagini a seguito della comunicazione prevista dal comma 1. Si applica, in quanto compatibile, la disposizione dell'articolo 412, comma 1. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 21 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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422. (1) Attività di integrazione probatoria del giudice. 1. Quando non provvede a norma del comma 4 dell'articolo 421, ovvero a norma dell'articolo 421 bis, il giudice può disporre, anche d'ufficio, l'assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere. 2. Il giudice, se non è possibile procedere immediatamente all'assunzione delle prove, fissa la data della nuova udienza e dispone la citazione dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle persone indicate nell'articolo 210 di cui siano stati ammessi l'audizione o l'interrogatorio. 3. L'audizione e l'interrogatorio delle persone indicate nel comma 2 sono condotti dal giudice. Il pubblico ministero e i difensori possono porre domande, a mezzo del giudice, nell'ordine previsto dall'articolo 421, comma 2. Successivamente, il pubblico ministero e i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni. 4. In ogni caso l'imputato può chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio, per il quale si applicano le disposizioni degli articoli 64 e 65. Su richiesta di parte, il giudice dispone che l'interrogatorio sia reso nelle forme previste dagli articoli 498 e 499. 4 bis. Se la richiesta di cui al comma 1 ha ad oggetto conversazioni o comunicazioni intercettate e non acquisite si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 268 ter e 268 quater (2). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 22 della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Questo comma, aggiunto dall’art. 3, comma 1, lett. i), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216, è stato soppresso dall'art. 2, comma 1, lett. n), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell’art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 30 aprile 2020. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come, da ultimo, sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione.

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423. Modificazione dell'imputazione. 1. Se nel corso dell'udienza il fatto risulta diverso da come è descritto nell'imputazione (417) ovvero emerge un reato connesso a norma dell'art. 12 comma 1 lett. b), o una circostanza aggravante, il pubblico ministero modifica l'imputazione e la contesta all'imputato presente. Se l'imputato non è presente, la modificazione dell'imputazione è comunicata al difensore (96, 97), che rappresenta l'imputato ai fini della contestazione (516, 517). 2. Se risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il pubblico ministero ne fa richiesta e vi è il consenso dell'imputato (518). Vai alla dottrina     ↓

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424. Provvedimenti del giudice.(1) 1. Subito dopo che è stata dichiarata chiusa la discussione (4214, 4227), il giudice procede alla deliberazione pronunciando sentenza di non luogo a procedere (425) o decreto che dispone il giudizio (429). 2. Il giudice dà immediata lettura del provvedimento. La lettura equivale a notificazione per le parti presenti. 3. Il provvedimento è immediatamente depositato in cancelleria. Le parti hanno diritto di ottenerne copia. 4. Qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi della sentenza di non luogo a procedere, il giudice provvede non oltre il trentesimo giorno da quello della pronuncia (544). (1) Per il processo minorile si vedano gli artt. 32 e 32 bis del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni.

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425. (1) Sentenza di non luogo a procedere. 1. Se sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, se il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero quando risulta che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non punibile per qualsiasi causa, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere, indicandone la causa nel dispositivo. 2. Ai fini della pronuncia della sentenza di cui al comma 1, il giudice tiene conto delle circostanze attenuanti. Si applicano le disposizioni dell'articolo 69 del codice penale. 3. Il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio. 4. Il giudice non può pronunciare sentenza di non luogo a procedere se ritiene che dal proscioglimento dovrebbe conseguire l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca (2). 5. Si applicano le disposizioni dell'articolo 537. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 23, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Le parole: «diversa dalla confisca» sono state aggiunte dall'art. 2 sexies del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144.

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426. Requisiti della sentenza. 1. La sentenza contiene (546): a) l'intestazione in nome del popolo italiano e l'indicazione dell'autorità che l'ha pronunciata; b) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private (74, 83, 89); c) l'imputazione (417, 423); d) l'esposizione sommaria dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata; e) il dispositivo, con l'indicazione degli articoli di legge applicati; f) la data e la sottoscrizione del giudice. 2. In caso di impedimento del giudice, la sentenza è sottoscritta dal presidente del tribunale previa menzione della causa della sostituzione (4424). 3. Oltre che nel caso previsto dall'art. 125 comma 3, la sentenza è nulla (181) se manca o è incompleto nei suoi elementi essenziali il dispositivo ovvero se manca la sottoscrizione del giudice. Vai alla dottrina     ↓

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427. Condanna del querelante alle spese e ai danni. 1. Quando si tratta di reato per il quale si procede a querela della persona offesa (336 ss., 120 c.p.), con la sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso (425) il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato (691) (1) (2). 2. Nei casi previsti dal comma 1, il giudice, quando ne è fatta domanda, condanna inoltre il querelante alla rifusione delle spese sostenute dall'imputato e, se il querelante si è costituito parte civile (76), anche di quelle sostenute dal responsabile civile citato o intervenuto (83 ss.). Quando ricorrono giusti motivi, le spese possono essere compensate in tutto o in parte (542). 3. Se vi è colpa grave il giudice può condannare il querelante a risarcire i danni all'imputato e al responsabile civile che ne abbiano fatto domanda. 4. Contro il capo della sentenza di non luogo a procedere che decide sulle spese e sui danni, possono proporre impugnazione, a norma dell'art. 428, il querelante, l'imputato e il responsabile civile. 5. Se il reato è estinto per remissione della querela (152 ss. c.p.), si applica la disposizione dell'art. 340 comma 4. (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 180 del 21 aprile 1993, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell'imputato per non aver commesso il fatto, che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche quando risulti che l'attribuzione del reato all'imputato non sia ascrivibile a colpa del querelante. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 423 del 3 dicembre 1993, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell'imputato perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche in assenza di qualsiasi colpa a questi ascrivibile nell'esercizio del diritto di querela.

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428. (1) Impugnazione della sentenza di non luogo a procedere. 1. Contro la sentenza di non luogo a procedere possono proporre appello (2): a) il procuratore della Repubblica e il procuratore generale, nei casi di cui all'articolo 593 bis, comma 2 (3); b) l'imputato, salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso. 2. La persona offesa può proporre appello (2) nei soli casi di nullità previsti dall'articolo 419, comma 7. [La persona offesa costituita parte civile può proporre ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606] (4). 3. Sull'impugnazione la corte di appello decide in camera di consiglio con le forme previste dall'articolo 127. In caso di appello del pubblico ministero, la corte, se non conferma la sentenza, pronuncia decreto che dispone il giudizio, formando il fascicolo per il dibattimento secondo le disposizioni degli articoli 429 e 431, o sentenza di non luogo a procedere con formula meno favorevole all'imputato. In caso di appello dell'imputato, la corte, se non conferma la sentenza, pronuncia sentenza di non luogo a procedere con formula più favorevole all'imputato (5). 3 bis. Contro la sentenza di non luogo a procedere pronunciata in grado di appello possono ricorrere per cassazione l'imputato e il procuratore generale solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell'articolo 606 (5). 3 ter. Sull'impugnazione la corte di cassazione decide in camera di consiglio con le forme previste dall'articolo 611 (5). 3 quater. Sono inappellabili le sentenze di non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa (6). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 4 della L. 20 febbraio 2006, n. 46. Si veda l'art. 10 della medesima legge, di cui si riporta il testo: «10. 1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima. «2. L'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della presente legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile (*) (**) (***). «3. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità di cui al comma 2 può essere proposto ricorso per cassazione contro le sentenze di primo grado. «4. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte di assise di appello o di una corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione. «5. Nei limiti delle modificazioni apportate dall'articolo 8 della presente legge possono essere presentati i motivi di cui all'articolo 585, comma 4, del codice di procedura penale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». (*) La Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 6 febbraio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile. (**) La Corte costituzionale, con sentenza n. 320 del 20 luglio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto dal pubblico ministero, prima

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dell'entrata in vigore della medesima legge, contro una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato, è dichiarato inammissibile. (***) La Corte costituzionale, con sentenza n. 85 del 4 aprile 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto prima dell'entrata in vigore della medesima legge dall'imputato, a norma dell'art. 593 c.p.p., contro una sentenza di proscioglimento, relativa a reato diverso dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, sia dichiarato inammissibile. (2) Le parole: «ricorso per cassazione» sono state così sostituite dalla seguente: «appello» dall'art. 1, comma 38, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (3) Le parole: «nei casi di cui all'articolo 593 bis, comma 2» sono state aggiunte dall'art. 3, comma 2, del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11. (4) Questo periodo è stato soppresso dall'art. 1, comma 39, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (5) L'originario comma 3 è stato così sostituito dagli attuali commi 3, 3 bis e 3 ter, dall'art. 1, comma 40 della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (6) Questo comma è stato inserito dall'art. 2, comma 2, del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11.

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429. Decreto che dispone il giudizio. 1. Il decreto che dispone il giudizio contiene (att. 132): a) le generalità dell'imputato e le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private (74, 83, 89), con l'indicazione dei difensori (96 ss.); b) l'indicazione della persona offesa dal reato qualora risulti identificata (90, 91); c) l'enunciazione, in forma chiara e precisa, (1) del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge; d) l'indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono; e) il dispositivo, con l'indicazione del giudice competente per il giudizio; f) l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia (487); g) la data e la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario che l'assiste (126). 2. Il decreto è nullo (178 ss.) se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dal comma 1 lett. c) e f). 2 bis. Se si procede per delitto punito con la pena dell'ergastolo e il giudice dà al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, tale da rendere ammissibile il giudizio abbreviato, il decreto che dispone il giudizio contiene anche l'avviso che l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato entro quindici giorni dalla lettura del provvedimento o dalla sua notificazione. Si applicano le disposizioni dell'articolo 458 (2). 3. Tra la data del decreto e la data fissata per il giudizio deve intercorrere un termine non inferiore a venti giorni. 3 bis. Qualora si proceda per i reati di cui agli articoli 589, secondo comma, e 589 bis del codice penale (3), il termine di cui al comma 3 non può essere superiore a sessanta giorni (4). 4. Il decreto è notificato all'imputato contumace nonché all'imputato e alla persona offesa comunque non presenti alla lettura del provvedimento di cui al comma 1 dell'articolo 424 almeno venti giorni prima della data fissata per il giudizio (5). (1) Le parole: «, in forma chiara e precisa,» sono state aggiunte dall'art. 18, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 4 della L. 12 aprile 2019, n. 33. Tali disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge (G.U. Serie gen. - n. 93 del 19 aprile 2019), fissata il giorno successivo a quello della sua pubblicazione (20 aprile 2019). (3) Le parole: «per il reato di cui all'articolo 589, secondo comma, del codice penale» sono state così sostituite dalle seguenti: «per i reati di cui agli articoli 589, secondo comma, e 589 bis del codice penale», dall'art. 1, comma 5, lett. e), della L. 23 marzo 2016, n. 41. (4) Questo comma è stato inserito dall'art. 4, comma 3, della L. 21 febbraio 2006, n. 102. (5) Questo comma è stato dapprima sostituito dall'art. 23 della L. 16 dicembre 1999, n. 479 e poi di nuovo così sostituito dall'art. 2 septies del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno

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2000, n. 144.

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430. (1) Attività integrativa di indagine del pubblico ministero e del difensore. 1. Successivamente all'emissione del decreto che dispone il giudizio, il pubblico ministero e il difensore possono, ai fini delle proprie richieste al giudice del dibattimento, compiere attività integrativa di indagine, fatta eccezione degli atti per i quali è prevista la partecipazione dell'imputato o del difensore di questo. 2. La documentazione relativa all'attività indicata nel comma 1 è immediatamente depositata nella segreteria del pubblico ministero con facoltà delle parti di prenderne visione e di estrarne copia. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 14 della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

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430 bis. (1) Divieto di assumere informazioni. 1. È vietato al pubblico ministero, alla polizia giudiziaria e al difensore assumere informazioni dalla persona ammessa ai sensi dell'articolo 507 o indicata nella richiesta di incidente probatorio o ai sensi dell'articolo 422, comma 2, ovvero nella lista prevista dall'articolo 468 e presentata dalle altre parti processuali. Le informazioni assunte in violazione del divieto sono inutilizzabili. 2. Il divieto di cui al comma 1 cessa dopo l'assunzione della testimonianza e nei casi in cui questa non sia ammessa o non abbia luogo. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 25 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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431. (1)(2) Fascicolo per il dibattimento. 1. Immediatamente dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio, il giudice provvede nel contraddittorio delle parti alla formazione del fascicolo per il dibattimento. Se una delle parti ne fa richiesta il giudice fissa una nuova udienza, non oltre il termine di quindici giorni, per la formazione del fascicolo. Nel fascicolo per il dibattimento sono raccolti: a) gli atti relativi alla procedibilità dell'azione penale e all'esercizio dell'azione civile; b) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria; c) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dal pubblico ministero e dal difensore (3); d) i documenti acquisiti all'estero mediante rogatoria internazionale e i verbali degli atti non ripetibili assunti con le stesse modalità; e) i verbali degli atti assunti nell 'incidente probatorio; f) i verbali degli atti, diversi da quelli previsti dalla lettera d), assunti all'estero a seguito di rogatoria internazionale ai quali i difensori sono stati posti in grado di assistere e di esercitare le facoltà loro consentite dalla legge italiana; g) il certificato generale del casellario giudiziario e gli altri documenti indicati nell'articolo 236; h) il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custoditi altrove. 2. Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 26 della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Nel fascicolo previsto da questo articolo entrano a far parte i verbali degli atti non ripetibili posti in essere dalla squadra investigativa comune (art. 6, comma 2, del D.L.vo 15 febbraio 2016 n. 34). (3) Le parole: «e dal difensore» sono state aggiunte dall'art. 15 della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

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432. Trasmissione e custodia del fascicolo per il dibattimento. 1. Il decreto che dispone il giudizio (429) è trasmesso senza ritardo, con il fascicolo previsto dall'art. 431 e con l'eventuale provvedimento che abbia disposto misure cautelari in corso di esecuzione (292), alla cancelleria del giudice competente per il giudizio. Vai alla dottrina     ↓

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433. Fascicolo del pubblico ministero. 1. Gli atti diversi da quelli previsti dall'art. 431 sono trasmessi al pubblico ministero con gli atti acquisiti all'udienza preliminare (419, 421, 422) unitamente al verbale dell'udienza (4205). 2. I difensori (96 ss.) hanno facoltà di prendere visione ed estrarre copia, nella segreteria del pubblico ministero, degli atti raccolti nel fascicolo formato a norma del comma 1. 3. Nel fascicolo del pubblico ministero ed in quello del difensore (1) è altresì inserita la documentazione dell'attività prevista dall'art. 430 quando di essa le parti si sono servite per la formulazione di richieste al giudice del dibattimento e quest'ultimo le ha accolte (reg. 19). (1) Le parole: «ed in quello del difensore» sono state inserite dall'art. 16 della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

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Titolo X. REVOCA DELLA SENTENZA

DI NON LUOGO A PROCEDERE. Vai alla dottrina     ↓

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434. Casi di revoca. 1. Se dopo la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere (425) sopravvengono o si scoprono nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare il rinvio a giudizio (429), il giudice per le indagini preliminari (328), su richiesta del pubblico ministero, dispone la revoca della sentenza. Vai alla dottrina     ↓

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435. Richiesta di revoca. 1. Nella richiesta di revoca il pubblico ministero indica le nuove fonti di prova, specifica se queste sono già state acquisite o sono ancora da acquisire e richiede, nel primo caso, il rinvio a giudizio (416) e, nel secondo, la riapertura delle indagini. 2. Con la richiesta sono trasmessi alla cancelleria del giudice gli atti relativi alle nuove fonti di prova. 3. Il giudice, se non dichiara inammissibile la richiesta, designa un difensore all'imputato che ne sia privo (97), fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso al pubblico ministero, all'imputato (60), al difensore e alla persona offesa (90, 91). Il procedimento si svolge nelle forme previste dall'art. 127. Vai alla dottrina     ↓

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436. Provvedimenti del giudice. 1. Sulla richiesta di revoca il giudice provvede con ordinanza (125). 2. Quando revoca la sentenza di non luogo a procedere, il giudice, se il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio (435), fissa l'udienza preliminare (418), dandone avviso agli interessati presenti (1485) e disponendo per gli altri la notificazione (148 ss.), altrimenti ordina la riapertura delle indagini. 3. Con l'ordinanza di riapertura delle indagini, il giudice stabilisce per il loro compimento un termine improrogabile non superiore a sei mesi. 4. Entro la scadenza del termine, il pubblico ministero, qualora sulla base dei nuovi atti di indagine non debba chiedere l'archiviazione (408, 411), trasmette alla cancelleria del giudice la richiesta di rinvio a giudizio. Vai alla dottrina     ↓

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437. Ricorso per cassazione. 1. Contro l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di revoca (435) il pubblico ministero può proporre ricorso per cassazione solamente per i motivi indicati all'articolo 606, comma 1, lettere b), d) ed e) (1). (1) Le parole: «solamente per i motivi indicati all'articolo 606, comma 1, lettere b), d) ed e)» sono state aggiunte dall'art. 6, comma 1, della L. 26 marzo 2001, n. 128.

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1216

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Libro VI. PROCEDIMENTI SPECIALI. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo I. GIUDIZIO ABBREVIATO (1)(2)(3). (1) Si veda l'art. 4 ter del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144, di cui si riporta il testo: «4 ter. 1. Salvo quanto previsto dai commi seguenti, le disposizioni di cui agli articoli 438 e seguenti del codice di procedura penale come modificate o sostituite dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, si applicano ai processi nei quali, ancorché sia scaduto il termine per la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato, non sia ancora iniziata l'istruzione dibattimentale alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. «2. Nei processi penali per reati puniti con la pena dell'ergastolo, in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e nei quali prima della data di entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479, era scaduto il termine per la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato, l'imputato, nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, può chiedere che il processo, ai fini di cui all'articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale, sia immediatamente definito, anche sulla base degli atti contenuti nel fascicolo di cui all'articolo 416, comma 2, del medesimo codice. «3. La richiesta di cui al comma 2 è ammessa se è presentata: a) nel giudizio di primo grado prima della conclusione dell'istruzione dibattimentale; b) nel giudizio di appello, qualora sia stata disposta la rinnovazione dell'istruzione ai sensi dell'articolo 603 del codice di procedura penale, prima della conclusione della istruzione stessa; c) nel giudizio di rinvio, se ricorrono le condizioni di cui alle lettere a) e b). «4. La volontà dell'imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3, del codice di procedura penale. «5. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza, disponendo l'acquisizione del fascicolo di cui all'articolo 416, comma 2, del codice di procedura penale. «6. Ai fini della deliberazione, il giudice utilizza, oltre agli atti contenuti nel fascicolo di cui al comma 5, le prove assunte in precedenza. «7. Per quanto non previsto nel presente articolo, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 441, escluso il comma 3, e 442 del codice di procedura penale, nonché l'articolo 443 del medesimo codice se la sentenza è pronunciata nel giudizio di primo grado». (2) Si veda l'art. 8 del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, che così dispone: «8. 1. Nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto legge, nei casi in cui è applicabile o è stata applicata la pena dell'ergastolo con isolamento diurno, se è stata formulata la richiesta di giudizio abbreviato, ovvero la richiesta di cui al comma 2 dell'articolo 4 ter del decreto legge 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144, l'imputato può revocare la richiesta nel termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. In tali casi il procedimento riprende secondo il rito ordinario dallo stato in cui si trovava allorché era stata fatta la richiesta. Gli atti di istruzione eventualmente compiuti sono utilizzabili nei limiti stabiliti dall'articolo 511 del codice di procedura penale. «2. Quando per effetto dell'impugnazione del pubblico ministero possono essere applicate le disposizioni di cui all'articolo 7, l'imputato può revocare la richiesta di cui al comma 1 nel termine di trenta giorni dalla conoscenza dell'impugnazione del pubblico ministero o, se questa era stata proposta anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nel termine di trenta giorni da quest'ultima data. Si applicano le disposizioni di cui al secondo ed al terzo periodo del comma 1.

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«3. Nelle ipotesi di cui ai commi 1 e 2 si applicano le disposizioni del comma 2 dell'articolo 303 del codice di procedura penale». (3) A norma dell'art. 2 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, nei procedimenti davanti al giudice di pace non si applicano le norme previste da questo titolo.

438. (1) Presupposti del giudizio abbreviato. 1. L'imputato può chiedere che il processo sia definito all'udienza preliminare allo stato degli atti, salve le disposizioni di cui al comma 5 del presente articolo e all'articolo 441, comma 5. 1 bis. Non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo (2). 2. La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422. 3. La volontà dell'imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3. 4. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato. Quando l'imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvede solo dopo che sia decorso il termine non superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal pubblico ministero, per lo svolgimento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa. In tal caso, l'imputato ha facoltà di revocare la richiesta (3). 5. L'imputato, ferma restando la utilizzabilità ai fini della prova degli atti indicati nell'articolo 442, comma 1 bis, può subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione. Il giudice dispone il giudizio abbreviato se l'integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili. In tal caso il pubblico ministero può chiedere l'ammissione di prova contraria. Resta salva l'applicabilità dell'articolo 423. 5 bis. Con la richiesta presentata ai sensi del comma 5 può essere proposta, subordinatamente al suo rigetto, la richiesta di cui al comma 1, oppure quella di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 (4). 6. In caso di dichiarazione di inammissibilità o di rigetto, ai sensi, rispettivamente, dei commi 1 bis e 5, la richiesta può essere riproposta fino al termine previsto dal comma 2 (5). 6 bis. La richiesta di giudizio abbreviato proposta nell'udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Essa preclude altresì ogni questione sulla competenza per territorio del giudice (6). 6 ter. Qualora la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell'udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile ai sensi del comma 1 bis, il giudice, se all'esito del dibattimento ritiene che per il fatto accertato sia ammissibile il giudizio abbreviato, applica la riduzione della pena ai sensi dell'articolo 442, comma 2 (7). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 27 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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(2) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 1, lett. a), della L. 12 aprile 2019, n. 33. Tali disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge (G.U. Serie gen. - n. 93 del 19 aprile 2019), fissata il giorno successivo a quello della sua pubblicazione (20 aprile 2019). (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1, comma 41, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (4) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 42, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (5) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. b), della L. 12 aprile 2019, n. 33. Tali disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge (G.U. Serie gen. - n. 93 del 19 aprile 2019), fissata il giorno successivo a quello della sua pubblicazione (20 aprile 2019). (6) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 43, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (7) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. c), della L. 12 aprile 2019, n. 33. Tali disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge (G.U. Serie gen. - n. 93 del 19 aprile 2019), fissata il giorno successivo a quello della sua pubblicazione (20 aprile 2019).

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439. (1) Richiesta di giudizio abbreviato. 1. La richiesta è depositata in cancelleria unitamente all'atto di consenso del pubblico ministero almeno cinque giorni prima della data fissata per l'udienza (418). 2. La richiesta e il consenso possono essere presentati anche nel corso dell'udienza preliminare fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 28 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

440. (1) Provvedimenti del giudice. 1. Sulla richiesta il giudice (328) provvede con ordinanza (125), con la quale dispone il giudizio abbreviato se ritiene che il processo possa essere definito allo stato degli atti. 2. L'ordinanza di accoglimento o di rigetto è depositata in cancelleria almeno tre giorni prima della data dell'udienza. Nel caso previsto dall'art. 439 comma 2, il giudice decide immediatamente in udienza, dando lettura dell'ordinanza. 3. In caso di rigetto, la richiesta può essere riproposta fino al termine previsto dall'art. 439 comma 2. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 28 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

441. (1) Svolgimento del giudizio abbreviato. 1. Nel giudizio abbreviato si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste per l'udienza preliminare, fatta eccezione per quelle di cui agli articoli 422 e 423. 2. La costituzione di parte civile, intervenuta dopo la conoscenza dell'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, equivale ad accettazione del rito abbreviato. 3. Il giudizio abbreviato si svolge in camera di consiglio; il giudice dispone che il giudizio si svolga in pubblica udienza quando ne fanno richiesta tutti gli imputati. 4. Se la parte civile non accetta il rito abbreviato non si applica la disposizione di cui all'articolo 75, comma 3. 5. Quando il giudice ritiene di non poter decidere allo stato degli atti assume, anche d'ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione. Resta salva in tale caso l'applicabilità dell'articolo 423. 6. All'assunzione delle prove di cui al comma 5 del presente articolo e all'articolo 438, comma 5, si procede nelle forme previste dall'articolo 422, commi 2, 3 e 4. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 29 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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441 bis. (1) Provvedimenti del giudice a seguito di nuove contestazioni sul giudizio abbreviato. 1. Se, nei casi disciplinati dagli articoli 438, comma 5, e 441, comma 5, il pubblico ministero procede alle contestazioni previste dall'articolo 423, comma 1, l'imputato può chiedere che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie. 1 bis. Se, a seguito delle contestazioni, si procede per delitti puniti con la pena dell'ergastolo, il giudice revoca, anche d'ufficio, l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l'udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione. Si applica il comma 4 (2). 2. La volontà dell'imputato è espressa nelle forme previste dall'articolo 438, comma 3. 3. Il giudice, su istanza dell'imputato o del difensore, assegna un termine non superiore a dieci giorni, per la formulazione della richiesta di cui ai commi 1 e 2 ovvero per l'integrazione della difesa, e sospende il giudizio per il tempo corrispondente. 4. Se l'imputato chiede che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie, il giudice revoca l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l'udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione. Gli atti compiuti ai sensi degli articoli 438, comma 5, e 441, comma 5, hanno la stessa efficacia degli atti compiuti ai sensi dell'articolo 422. La richiesta di giudizio abbreviato non può essere riproposta. Si applicano le disposizioni dell'articolo 303, comma 2 (3). 5. Se il procedimento prosegue nelle forme del giudizio abbreviato, l'imputato può chiedere l'ammissione di nuove prove, in relazione alle contestazioni ai sensi dell'articolo 423, anche oltre i limiti previsti dall'articolo 438, comma 5, ed il pubblico ministero può chiedere l'ammissione di prova contraria. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 2 octies del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 2 della L. 12 aprile 2019, n. 33. Tali disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge (G.U. Serie gen. - n. 93 del 19 aprile 2019), fissata il giorno successivo a quello della sua pubblicazione (20 aprile 2019). (3) L'ultimo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 7 bis del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4.

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442. Decisione.(1) (2) (3) 1. Terminata la discussione (421), il giudice provvede a norma degli artt. 529 e seguenti (576, 651, 652). 1 bis. Ai fini della deliberazione il giudice utilizza gli atti contenuti nel fascicolo di cui all'articolo 416, comma 2, la documentazione di cui all'articolo 419, comma 3, e le prove assunte nell'udienza (4). 2. In caso di condanna (533), la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione e di un terzo se si procede per un delitto (5). [Alla pena dell'ergastolo (6) è sostituita quella della reclusione di anni trenta] (7). [Alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell'ergastolo] (8) (9). 3. La sentenza è notificata (148 ss.) all'imputato che non sia comparso (att. 134). 4. Si applica la disposizione dell'art. 426 comma 2. (1) La Corte costituzionale, con sentenza 15 febbraio 1991, n. 81, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 438, 439, 440 e 442 c.p.p., nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, in caso di dissenso, sia tenuto ad enunciarne le ragioni e nella parte in cui non prevede che il giudice, quando, a dibattimento concluso, ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, possa applicare all'imputato la riduzione di pena contemplata dall'art. 442, comma 2, dello stesso codice. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 23 del 31 gennaio 1992, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 438, 439, 440 e 442 del c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice, all'esito del dibattimento, ritenendo che il processo poteva — su richiesta dell'imputato e con il consenso del pubblico ministero — essere definito allo stato degli atti dal giudice per le indagini preliminari, possa applicare la riduzione di pena prevista dall'art. 442, secondo comma, dello stesso codice. (3) L'art. 21, comma 2 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, ha previsto che il provvedimento di archiviazione o la sentenza irrevocabile che esclude la rilevanza penale del fatto sono comunicati all'ufficio competente; alla comunicazione provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi. (4) Questo comma è stato inserito dall'art. 30, comma 1, lett. a), della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (5) Le parole: «è diminuita di un terzo» sono state così sostituite dalle seguenti: «è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione e di un terzo se si procede per un delitto» dall'art. 1, comma 44, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (6) Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, l'espressione: «pena dell'ergastolo» deve intendersi riferita all'ergastolo senza isolamento diurno. La Corte costituzionale, con sentenza n. 210 del 18 luglio 2013, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, del D.L. n. 341/2000. (7) Il secondo periodo di questo comma, aggiunto dall'art. 30, comma 1, lett. b), della L. 16 dicembre 1999, n. 479, è stato abrogato dall'art. 3 della L. 12 aprile 2019, n. 33. Tali disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge (G.U. Serie gen. - n. 93 del 19 aprile 2019), fissata il giorno successivo a quello della sua pubblicazione (20 aprile 2019). (8) La Corte costituzionale, con sentenza 8 febbraio 1990, n. 66 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei primi tre commi dell'art. 247 delle disposizioni transitorie del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono che il pubblico ministero, in caso di dissenso, debba enunciarne le ragioni e nella parte in cui non

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prevedono che il giudice, quando, a dibattimento concluso, ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, possa applicare all'imputato la riduzione di pena contemplata dall'art. 442, comma 2, c.p.p. (9) Il terzo periodo di questo comma, aggiunto dall'art. 7, comma 2, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, è stato abrogato dall'art. 3 della L. 12 aprile 2019, n. 33. Tali disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge (G.U. Serie gen. - n. 93 del 19 aprile 2019), fissata il giorno successivo a quello della sua pubblicazione (20 aprile 2019).

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443. Limiti all'appello. 1. L'imputato e il pubblico ministero non possono proporre appello contro le sentenze di proscioglimento [, quando l'appello tende ad ottenere una diversa formula] (1) (2) (3). 2. L'imputato non può proporre appello contro le sentenze di condanna a una pena che comunque non deve essere eseguita (163, 174 c.p.) ovvero alla sola pena pecuniaria (4). 3. Il pubblico ministero non può proporre appello contro le sentenze di condanna, salvo che si tratti di sentenza che modifica il titolo del reato (521). 4. Il giudizio di appello si svolge con le forme previste dall'art. 599. (1) Le parole fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 2 della L. 20 febbraio 2006, n. 46. La Corte costituzionale, con sentenza n. 320 del 20 luglio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui, modificando questo comma, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse a seguito di giudizio abbreviato. Si veda l'art. 10 della medesima legge, di cui si riporta il testo: «10. 1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima. «2. L'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della presente legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile (*)(**)(***). «3. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità di cui al comma 2 può essere proposto ricorso per cassazione contro le sentenze di primo grado. «4. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte di assise di appello o di una corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione. «5. Nei limiti delle modificazioni apportate dall'articolo 8 della presente legge possono essere presentati i motivi di cui all'articolo 585, comma 4, del codice di procedura penale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». (*) La Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 6 febbraio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile. (**) La Corte costituzionale, con sentenza n. 320 del 20 luglio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto dal pubblico ministero, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, contro una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato, è dichiarato inammissibile. (***) La Corte costituzionale, con sentenza n. 85 del 4 aprile 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto prima dell'entrata in vigore della medesima legge dall'imputato, a norma dell'art. 593 c.p.p., contro una sentenza di proscioglimento, relativa a reato diverso dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, sia dichiarato inammissibile. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 31, comma 1, lett. a), della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 274 del 29 ottobre 2009, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, come modificato dall'art. 1 della L. 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui esclude che l'imputato possa proporre appello contro le sentenze di assoluzione per difetto di imputabilità, derivante da vizio totale di mente.

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(4) Questo comma è stato abrogato dall'art. 31, comma 1, lett. b), della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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Titolo II. APPLICAZIONE DELLA PENA

SU RICHIESTA DELLE PARTI (1)(2). (1) A norma dell'art. 2 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, nei procedimenti davanti al giudice di pace non si applicano le norme previste da questo titolo. (2) A norma dell'art. 25 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni, le disposizioni di questo titolo non si applicano nel procedimento davanti al tribunale per i minorenni.

444. Applicazione della pena su richiesta. 1. L'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva (1) o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria (2) (3). 1 bis. Sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater, i procedimenti per i delitti di cui agli articoli 600 bis, (4) 600 ter, primo, secondo, terzo e quinto comma, 600 quater, secondo comma, 600 quater1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600 quinquies, nonché 609 bis, 609 ter, 609 quater e 609 octies del codice penale, (5) nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale, qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria (2) (3). 1 ter. Nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater e 322 bis del codice penale, l'ammissibilità della richiesta di cui al comma 1 è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato (6). 2. Se vi è il consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129, il giudice, sulla base degli atti, se ritiene corrette la qualificazione giuridica del fatto, l'applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti, nonché congrua la pena indicata, ne dispone con sentenza l'applicazione enunciando nel dispositivo che vi è stata la richiesta delle parti. Se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda; l'imputato è tuttavia condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, salvo che ricorrano giusti motivi per la compensazione totale o parziale. Non si applica la disposizione dell'articolo 75, comma 3. Si applica l'articolo 537 bis (7)(8). 3. La parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l'efficacia alla concessione della sospensione condizionale della pena (163 c.p.). In questo caso il giudice, se ritiene che la sospensione condizionale non può essere concessa, rigetta la richiesta (563) (9).

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3 bis. Nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis del codice penale, la parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l'efficacia all'esenzione dalle pene accessorie previste dall'articolo 317 bis del codice penale ovvero all'estensione degli effetti della sospensione condizionale anche a tali pene accessorie. In questi casi il giudice, se ritiene di applicare le pene accessorie o ritiene che l'estensione della sospensione condizionale non possa essere concessa, rigetta la richiesta (10). (1) Si vedano gli artt. 53 ss. della L. 24 novembre 1981, n. 689. (2) L'originario comma 1 è stato così sostituito dagli attuali commi 1 e 1 bis, dall'art. 1 della L. 12 giugno 2003, n. 134. (3) Si veda l'art. 5 della L. 12 giugno 2003, n. 134, che si riporta: «1. L'imputato, o il suo difensore munito di procura speciale, e il pubblico ministero, nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, in cui sia prevista la loro partecipazione, possono formulare la richiesta di cui all'articolo 444 del codice di procedura penale, come modificato dalla presente legge, anche nei processi penali in corso di dibattimento nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, risulti decorso il termine previsto dall'articolo 446, comma 1 del codice di procedura penale, e ciò anche quando sia già stata presentata tale richiesta, ma vi sia stato il dissenso da parte del pubblico ministero o la richiesta sia stata rigettata da parte del giudice, e sempre che la nuova richiesta non costituisca mera riproposizione della precedente. «2. Su richiesta dell'imputato il dibattimento è sospeso per un periodo non inferiore a quarantacinque giorni per valutare l'opportunità della richiesta e durante tale periodo sono sospesi i termini di prescrizione e di custodia cautelare. «3. Le disposizioni dell'articolo 4 si applicano anche ai procedimenti in corso. Per tali procedimenti la Corte di cassazione può applicare direttamente le sanzioni sostitutive». (4) Le parole: «600 bis, primo e terzo comma,» sono state così sostituite dalle attuali: «600 bis,» dall'art. 5, comma 1, lett. l), della L. 1 ottobre 2012, n. 172. (5) Le parole da: «i procedimenti per i delitti ...» fino a: «... 609 octies del codice penale,» sono state inserite dall'art. 11 della L. 6 febbraio 2006, n. 38. (6) Questo comma è stato inserito dall'art. 6 della L. 27 maggio 2015, n. 69. (7) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 5, comma 3, della L. 11 gennaio 2018, n. 4. (8) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 32, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (9) La concessione della sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'osservanza di prescrizioni. Ai sensi dell'art. 260 del D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, il giudice, pronunciando sentenza ex art. 444 c.p.p., ordina il ripristino dello stato dell'ambiente, e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all'eliminazione del danno o del pericolo per l'ambiente. (10) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 4, lett. d), della L. 9 gennaio 2019, n. 3.

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445. Effetti dell'applicazione della pena su richiesta. 1. La sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l'applicazione di pene accessorie (19, 20 c.p.) (1) e di misure di sicurezza (215 c.p.), fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'articolo 240 del codice penale (2) (3). Nei casi previsti dal presente comma è fatta salva l'applicazione del comma 1 ter (4). 1 bis. Salvo quanto previsto dall'articolo 653, la sentenza prevista dall'art. 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna (3). 1 ter. Con la sentenza di applicazione della pena di cui all'articolo 444, comma 2, del presente codice per taluno dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis del codice penale, il giudice può applicare le pene accessorie previste dall'articolo 317 bis del codice penale (5). 2. Il reato è estinto, ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, (6) se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena (att. 136, 137). (1) Si veda l'art. 1, comma 7, del D.L. 22 dicembre 1994, n. 717, convertito nella L. 24 febbraio 1995, n. 45, recante «Misure urgenti per prevenire fenomeni di violenza in occasione di competizioni agonistiche». (2) Per ipotesi di confisca comunque da disporre si vedano l'art. 12 sexies del D.L. 8 giugno 1996, n. 306, convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356, in tema di criminalità mafiosa; l'art. 5 comma 3 del D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito in L. 25 giugno 1993, n. 205 in materia di discriminazione e genocidio; l'art. 644 ultimo comma c.p. in tema di usura; l'art. 259, comma 2, del D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, in tema di traffico illecito di rifiuti; l'art. 180 comma 5 del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, in materia di abuso di informazioni privilegiate; l'art. 12, comma 4 del D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, recante disciplina dell'immigrazione; l'art. 171 sexies della L. 22 aprile 1941, n. 633, sul diritto d'autore, come inserito con L. 18 agosto 2000, n. 148; l'art. 16, comma 3 del D.L.vo 9 aprile 2003, n. 96, in materia di esportazioni di prodotti e tecnologie a duplice uso; l'art. 544 sexies c.p., introdotto con l'art. 1 della L. 20 luglio 2004, n. 139, sul divieto di maltrattamento di animali; l'art. 2, comma 5, del D.L.vo 12 gennaio 2007, n. 11, sul commercio di merci utilizzabili per la pena di morte e la tortura. (3) L'originario comma 1 è stato così sostituito dagli attuali commi 1 e 1 bis, dall'art. 1, comma 1, lett. a), della L. 12 giugno 2003, n. 134. (4) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 1, comma 4, lett. e), n. 1), della L. 9 gennaio 2019, n. 3. (5) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 4, lett. e), n. 2), della L. 9 gennaio 2019, n. 3. (6) Le parole da: «, ove sia stata irrogata ...» fino a: «a pena pecuniaria,» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. b), della L. 12 giugno 2003, n. 134.

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446. Richiesta di applicazione della pena e consenso. 1. Le parti possono formulare la richiesta prevista dall'articolo 444, comma 1, fino alla presentazione delle conclusioni di cui agli articoli 421, comma 3, e 422, comma 3, e fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo. Se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro il termine e con le forme stabilite dall'articolo 458, comma 1 (1). 2. La richiesta e il consenso nell'udienza sono formulati oralmente; negli altri casi sono formulati con atto scritto. 3. La volontà dell'imputato è espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale (122) e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'art. 583 comma 3. 4. Il consenso sulla richiesta può essere dato entro i termini previsti dal comma 1, anche se in precedenza era stato negato (2). 5. Il giudice, se ritiene opportuno verificare la volontarietà della richiesta o del consenso, dispone la comparizione dell'imputato. 6. Il pubblico ministero, in caso di dissenso, deve enunciarne le ragioni. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 33, comma 1, lett. a), della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 33, comma 1, lett. b), della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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447. Richiesta di applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari. 1. Nel corso delle indagini preliminari (326 ss., 5632), il giudice, se è presentata una richiesta congiunta o una richiesta con il consenso scritto dell'altra parte, fissa, con decreto (125) in calce alla richiesta, l'udienza per la decisione, assegnando, se necessario, un termine al richiedente per la notificazione all'altra parte. Almeno tre giorni prima dell'udienza il fascicolo del pubblico ministero è depositato nella segreteria del giudice. 2. Nell'udienza il pubblico ministero e il difensore sono sentiti se compaiono. 3. Se la richiesta è presentata da una parte, il giudice fissa con decreto un termine all'altra parte per esprimere il consenso o il dissenso e dispone che la richiesta e il decreto siano notificati a cura del richiedente (148 ss.). Prima della scadenza del termine non è consentita la revoca o la modifica della richiesta e in caso di consenso si procede a norma del comma 1. Vai alla dottrina     ↓

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448. Provvedimenti del giudice. 1. Nell'udienza prevista dall'articolo 447, nell'udienza preliminare, nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato, il giudice, se ricorrono le condizioni per accogliere la richiesta prevista dall'articolo 444, comma 1, pronuncia immediatamente sentenza. Nel caso di dissenso da parte del pubblico ministero o di rigetto della richiesta da parte del giudice per le indagini preliminari, l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può rinnovare la richiesta e il giudice, se la ritiene fondata, pronuncia immediatamente sentenza. La richiesta non è ulteriormente rinnovabile dinanzi ad altro giudice. Nello stesso modo il giudice provvede dopo la chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione quando ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero o il rigetto della richiesta (1). 2. In caso di dissenso, il pubblico ministero può proporre appello (594); negli altri casi la sentenza è inappellabile. 2 bis. Il pubblico ministero e l'imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena o della misura di sicurezza (2). 3. Quando la sentenza è pronunciata nel giudizio di impugnazione, il giudice decide sull'azione civile a norma dell'art. 578. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 34, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 50, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. A norma dell'art. 1, comma 51, della L. 23 giugno 2017, n. 103, le disposizioni di cui a questo comma non si applicano nei procedimenti nei quali la richiesta di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale è stata presentata anteriormente alla data di entrata in vigore della predetta legge.

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Titolo III. GIUDIZIO DIRETTISSIMO (1)(2)(3). (1) A norma dell'art. 12 bis del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356, per i reati concernenti le armi e gli esplosivi, il pubblico ministero procede al giudizio direttissimo anche fuori dei casi previsti dagli artt. 449 e 558 c.p.p., salvo che siano necessarie speciali indagini. Per ulteriori ipotesi di giudizio direttissimo, si veda l'art. 6 comma 5 del D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito in L. 25 giugno 1993, n. 205, in materia di discriminazioni e genocidio, e l'art. 13 del D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di immigrazioni clandestine, come emendato con L. 30 luglio 2002, n. 189. (2) Per le condizioni di applicabilità del giudizio direttissimo davanti al tribunale per i minorenni si veda l'art. 25 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni. (3) A norma dell'art. 2 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, nei procedimenti davanti al giudice di pace non si applicano le norme previste da questo titolo.

449. Casi e modi del giudizio direttissimo. 1. Quando una persona è stata arrestata in flagranza di un reato (380 ss.), il pubblico ministero, se ritiene di dover procedere, può presentare direttamente l'imputato in stato di arresto davanti al giudice del dibattimento (566), per la convalida e il contestuale giudizio, entro quarantotto ore dall'arresto (coord. 233). Si applicano al giudizio di convalida le disposizioni dell'art. 391, in quanto compatibili. 2. Se l'arresto non è convalidato, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero. Il giudice procede tuttavia a giudizio direttissimo quando l'imputato e il pubblico ministero vi consentono. 3. Se l'arresto è convalidato, si procede immediatamente al giudizio. 4. Il pubblico ministero, quando l'arresto in flagranza è già stato convalidato, procede al giudizio direttissimo presentando l'imputato in udienza non oltre il trentesimo giorno dall'arresto, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini (1). 5. Il pubblico ministero procede inoltre al giudizio direttissimo, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, nei confronti della persona che nel corso dell'interrogatorio ha reso confessione (2). L'imputato libero è citato a comparire (4502 -3 ) a una udienza non successiva al trentesimo (3) giorno dalla iscrizione nel registro delle notizie di reato (335). L'imputato in stato di custodia cautelare (284, 285, 286) per il fatto per cui si procede è presentato all'udienza entro il medesimo termine. Quando una persona è stata allontanata d'urgenza dalla casa familiare ai sensi dell'articolo 384 bis, la polizia giudiziaria può provvedere, su disposizione del pubblico ministero, alla sua citazione per il giudizio direttissimo e per la contestuale convalida dell'arresto entro le successive quarantotto ore, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini (4). In tal caso la polizia giudiziaria provvede comunque, entro il medesimo termine, alla citazione per l'udienza di convalida indicata dal pubblico ministero (4). 6. Quando il reato per cui è richiesto il giudizio direttissimo risulta connesso (12) con altri reati per i quali mancano le condizioni che giustificano la scelta di tale rito, si

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procede separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini (18, 19). Se la riunione (17) risulta indispensabile, prevale in ogni caso il rito ordinario. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. c), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125. (2) Questo periodo è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. d), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125. (3) La parola: «quindicesimo» è stata così sostituita dalla parola: «trentesimo» dall'art. 2, comma 1, lett. d), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125. (4) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. h bis), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119.

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450. Instaurazione del giudizio direttissimo. 1. Quando procede a giudizio direttissimo, (1) il pubblico ministero fa condurre direttamente all'udienza l'imputato arrestato in flagranza (380 ss.) o in stato di custodia cautelare (284, 285, 286; att. 138). 2. Se l'imputato è libero, il pubblico ministero lo cita a comparire all'udienza per il giudizio direttissimo. Il termine per comparire non può essere inferiore a tre giorni. 3. La citazione contiene i requisiti previsti dall'art. 429 comma 1 lett. a), b), c), f), con l'indicazione del giudice competente per il giudizio nonché la data e la sottoscrizione. Si applica inoltre la disposizione dell'art. 429 comma 2. 4. Il decreto, unitamente al fascicolo previsto dall'art. 431, formato dal pubblico ministero, è trasmesso alla cancelleria del giudice competente per il giudizio. 5. Al difensore (96, 97) è notificato (148 ss.) senza ritardo a cura del pubblico ministero l'avviso della data fissata per il giudizio (att. 653). 6. Il difensore ha facoltà di prendere visione e di estrarre copia, nella segreteria del pubblico ministero, della documentazione relativa alle indagini espletate. (1) Le parole: «Se ritiene di procedere a giudizio direttissimo,» sono state così sostituite dalle attuali: «Quando procede a giudizio direttissimo,» dall'art. 2, comma 1, lett. e), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125.

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451. Svolgimento del giudizio direttissimo. 1. Nel corso del giudizio direttissimo si osservano le disposizioni degli artt. 470 e seguenti. 2. La persona offesa (90, 91) e i testimoni possono essere citati anche oralmente da un ufficiale giudiziario o da un agente di polizia giudiziaria (57). 3. Il pubblico ministero, l'imputato e la parte civile possono presentare nel dibattimento testimoni senza citazione (468). 4. Il pubblico ministero, fuori del caso previsto dall'art. 450 comma 2, contesta l'imputazione (493) all'imputato presente. 5. Il presidente avvisa l'imputato della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato (438) ovvero l'applicazione della pena a norma dell'art. 444. 6. L'imputato è altresì avvisato della facoltà di chiedere un termine (172) per preparare la difesa non superiore a dieci giorni. Quando l'imputato si avvale di tale facoltà, il dibattimento è sospeso fino all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine. Vai alla dottrina     ↓

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452. Trasformazione del rito. 1. Se il giudizio direttissimo risulta promosso fuori dei casi previsti dall'art. 449, il giudice dispone con ordinanza (125) la restituzione degli atti al pubblico ministero. 2. Se l'imputato chiede il giudizio abbreviato, il giudice, prima che sia dichiarato aperto il dibattimento, dispone con ordinanza la prosecuzione del giudizio con il rito abbreviato. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 438, commi 3 e 5, 441, 441 bis, 442 e 443; si applicano altresì le disposizioni di cui all'articolo 438, comma 6 bis (1); nel caso di cui all'articolo 441 bis, comma 4, il giudice, revocata l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato, fissa l'udienza per il giudizio direttissimo (2) (3). (1) Le parole: «si applicano altresì le disposizioni di cui all'articolo 438, comma 6 bis;» sono state inserite dall'art. 1, comma 45, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 35 della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (3) Questo periodo è stato così sostituito dall'art. 2 nonies, comma 1, del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144.

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Titolo IV. GIUDIZIO IMMEDIATO (1). (1) A norma dell'art. 2 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, nei procedimenti davanti al giudice di pace non si applicano le norme previste da questo titolo.

453. Casi e modi di giudizio immediato. 1. Quando la prova appare evidente, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, il pubblico ministero chiede (1) il giudizio immediato se la persona sottoposta alle indagini è stata interrogata (65, 294, 364, 374, 388) sui fatti dai quali emerge l'evidenza della prova ovvero, a seguito di invito a presentarsi emesso con l'osservanza delle forme indicate nell'art. 375 comma 3 secondo periodo, la stessa abbia omesso di comparire, sempre che non sia stato addotto un legittimo impedimento e che non si tratti di persona irreperibile (2). 1 bis. Il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dai termini di cui all'articolo 454, comma 1, e comunque entro centottanta giorni dall'esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini (3). 1 ter. La richiesta di cui al comma 1 bis è formulata dopo la definizione del procedimento di cui all'articolo 309, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame (3). 2. Quando il reato per cui è richiesto il giudizio immediato risulta connesso (12) con altri reati per i quali mancano le condizioni che giustificano la scelta di tale rito, si procede separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini (18, 19). Se la riunione (17) risulta indispensabile, prevale in ogni caso il rito ordinario. 3. L'imputato può chiedere il giudizio immediato a norma dell'art. 419 comma 5 (4583). (1) Le parole: «il pubblico ministero può chiedere» sono state così sostituite dalle attuali: «salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, il pubblico ministero chiede» dall'art. 2, comma 1, lett. f), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 27 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (3) Questo comma è stato inserito dall'art. 2, comma 1, lett. g), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125.

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454. Presentazione della richiesta del pubblico ministero. 1. Entro novanta giorni dalla iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335, il pubblico ministero trasmette la richiesta di giudizio immediato alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari (328) (1). 2. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato (330 ss.), la documentazione relativa alle indagini espletate (373) e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari. Il corpo del reato (253) e le cose pertinenti al reato, sono allegati al fascicolo, qualora non debbano essere custoditi altrove (259). 2 bis. Qualora non abbia proceduto ai sensi dell'articolo 268, commi 4, 5 e 6, con la richiesta il pubblico ministero deposita l'elenco delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche rilevanti ai fini di prova. Entro quindici giorni dalla notifica prevista dall'articolo 456, comma 4, il difensore può depositare l'elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia. Sull'istanza provvede il pubblico ministero con decreto motivato. In caso di rigetto dell'istanza o di contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti il difensore può avanzare al giudice istanza affinchè si proceda nelle forme di cui all'articolo 268, comma 6. Il termine di cui al presente comma può essere prorogato di dieci giorni su richiesta del difensore (2). (1) Per il regime transitorio si veda, però, l'art. 258 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271, recante le norme di attuazione, transitorie e di coordinamento del codice di procedura penale. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. o), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione.

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455. Decisione sulla richiesta di giudizio immediato. 1. Il giudice, entro cinque giorni, emette decreto con il quale dispone il giudizio immediato ovvero rigetta la richiesta ordinando la trasmissione degli atti al pubblico ministero. 1 bis. Nei casi di cui all'articolo 453, comma 1 bis, il giudice rigetta la richiesta se l'ordinanza che dispone la custodia cautelare è stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (1). (1) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. h), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125.

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456. Decreto di giudizio immediato. 1. Al decreto che dispone il giudizio immediato si applicano le disposizioni dell'art. 429 commi 1 e 2. 2. Il decreto contiene anche l'avviso che l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato (438) ovvero l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 (1) (2). 3. Il decreto è comunicato al pubblico ministero (153) e notificato (148 ss.) all'imputato e alla persona offesa almeno trenta (3) giorni prima della data fissata per il giudizio. 4. All'imputato e alla persona offesa, unitamente al decreto, è notificata la richiesta del pubblico ministero. 5. Al difensore dell'imputato (96, 97) è notificato avviso della data fissata per il giudizio entro il termine previsto dal comma 3 (att. 653). (1) L'omissione o l'insufficienza dell'avviso circa la facoltà di chiedere i riti alternativi determina una nullità di ordine generale, ex art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. (Corte cost. 25 maggio 2004, n. 148). (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 19 del 14 febbraio 2020, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio immediato contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. (3) La parola: «venti» è stata così sostituita dall'art. 14, comma 1, della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo.

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457. Trasmissione degli atti. 1. Decorsi i termini previsti dall'art. 458 comma 1, il decreto che dispone il giudizio immediato (456) è trasmesso, con il fascicolo formato a norma dell'art. 431, al giudice competente per il giudizio. 2. Gli atti non inseriti nel fascicolo previsto dal comma 1 sono restituiti al pubblico ministero. Si applica la disposizione dell'art. 433 comma 2. Vai alla dottrina     ↓

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458. (1) Richiesta di giudizio abbreviato. 1. L'imputato, a pena di decadenza (173), può chiedere il giudizio abbreviato (438) depositando nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari (328) la richiesta, con la prova della avvenuta notifica al pubblico ministero, entro quindici giorni (2) dalla notificazione del decreto di giudizio immediato (4563). [Il pubblico ministero ha il termine di cinque giorni dalla notificazione della richiesta per esprimere il proprio consenso] (3) (4). Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 438, comma 6 bis (5). Con la richiesta l'imputato può eccepire l'incompetenza per territorio del giudice (5). 2. Il giudice fissa con decreto l'udienza in camera di consiglio dandone avviso almeno cinque giorni prima al pubblico ministero, all'imputato, al difensore e alla persona offesa. Qualora riconosca la propria incompetenza, il giudice la dichiara con sentenza e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente. Nel giudizio si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 438, commi 3 e 5, 441, 441 bis, 442 e 443; nel caso di cui all'articolo 441 bis, comma 4, il giudice, revocata l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato, fissa l'udienza per il giudizio immediato (6). 3. Le disposizioni del presente articolo non si applicano quando il giudizio immediato è stato richiesto dall'imputato a norma dell'art. 419 comma 5 (4534). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 1 del 22 gennaio 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo e dell’art. 1, comma 1, del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), nella parte in cui prevedono che, nel processo minorile, nel caso di giudizio abbreviato richiesto dall’imputato in seguito a un decreto di giudizio immediato, la composizione dell’organo giudicante sia quella monocratica del giudice per le indagini preliminari e non quella collegiale prevista dall’art. 50 bis, comma 2, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario). (2) Le parole: «entro sette giorni» sono state così sostituite dall'art. 14, comma 2, della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (3) Il periodo riportato tra parentesi quadre è stato soppresso dall'art. 36, comma 1, lett. a), della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (4) La Corte costituzionale, con sentenza n. 120 del 16 aprile 2002, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui prevede che il termine entro cui l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato decorre dalla notificazione del decreto di giudizio immediato, anziché dall'ultima notificazione, all'imputato o al difensore, rispettivamente del decreto ovvero dell'avviso della data fissata per il giudizio immediato. (5) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 1, comma 46, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (6) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1, comma 47, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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Titolo V. PROCEDIMENTO PER DECRETO (1)(2). (1) A norma dell'art. 25 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni, le disposizioni di questo titolo non si applicano nel procedimento davanti al tribunale per i minorenni. (2) A norma dell'art. 2 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, nei procedimenti davanti al giudice di pace non si applicano le norme previste da questo titolo.

459. (1) Casi di procedimento per decreto. 1. Nei procedimenti per reati perseguibili di ufficio ed in quelli perseguibili a querela se questa è stata validamente presentata e se il querelante non ha nella stessa dichiarato di opporvisi, il pubblico ministero, quando ritiene che si debba applicare soltanto una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva, può presentare al giudice per le indagini preliminari, entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato e previa trasmissione del fascicolo, richiesta motivata di emissione del decreto penale di condanna, indicando la misura della pena (2). 1 bis. Nel caso di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, il giudice, per determinare l'ammontare della pena pecuniaria, individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell'ammontare di cui al periodo precedente il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma di euro 75 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva e non può superare di tre volte tale ammontare. Alla pena pecuniaria irrogata in sostituzione della pena detentiva si applica l'articolo 133 ter del codice penale (3). 2. Il pubblico ministero può chiedere l'applicazione di una pena diminuita sino alla metà rispetto al minimo edittale. 3. Il giudice, quando non accoglie la richiesta, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129, restituisce gli atti al pubblico ministero. 4. Del decreto penale è data comunicazione al querelante. 5. Il procedimento per decreto non è ammesso quando risulta la necessità di applicare una misura di sicurezza personale. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 37, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 23 del 27 febbraio 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma - come sostituito dall’art. 37, comma 1, della legge 16 dicembre 1999, n. 479 nella parte in cui prevede la facoltà del querelante di opporsi, in caso di reati perseguibili a querela, alla definizione del procedimento con l’emissione di decreto penale di condanna. (3) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 53, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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460. Requisiti del decreto di condanna. 1. Il decreto di condanna contiene: a) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgano a identificarlo nonché, quando occorre, quelle della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89); b) l'enunciazione del fatto, delle circostanze e delle disposizioni di legge violate; c) la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui è fondata la decisione, comprese le ragioni dell'eventuale diminuzione della pena al di sotto del minimo edittale; d) il dispositivo; e) l'avviso che l'imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria possono proporre opposizione entro quindici giorni dalla notificazione del decreto (1752, 462) e che l'imputato può chiedere mediante l'opposizione il giudizio immediato (453) ovvero il giudizio abbreviato (438) o l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 (att. 1413) (1); f) l'avvertimento all'imputato e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria che, in caso di mancata opposizione, il decreto diviene esecutivo; g) l'avviso che l'imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria hanno la facoltà di nominare un difensore (96, 100); h) la data e la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario che lo assiste. 2. Con il decreto di condanna il giudice applica la pena nella misura richiesta dal pubblico ministero indicando l'entità della eventuale diminuzione della pena stessa al di sotto del minimo edittale; ordina la confisca, nei casi previsti dall'articolo 240, secondo comma, del codice penale, o la restituzione delle cose sequestrate; concede la sospensione condizionale della pena [e la non menzione della condanna nel certificato penale spedito a richiesta di privati] (2). Nei casi previsti dagli articoli 196 e 197 del codice penale, dichiara altresì la responsabilità della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (3). 3. Copia del decreto è comunicata al pubblico ministero ed è notificata con il precetto al condannato, al difensore d'ufficio o al difensore di fiducia eventualmente nominato ed alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (4). 4. Se non è possibile eseguire la notificazione per irreperibilità dell'imputato, il giudice revoca il decreto penale di condanna e restituisce gli atti al pubblico ministero (5). 5. Il decreto penale di condanna non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento, né l'applicazione di pene accessorie. Anche se divenuto esecutivo non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo. Il reato è estinto se nel termine di cinque anni, quando il decreto concerne un delitto, ovvero di due anni, quando il decreto concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale e la condanna non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena (6).

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(1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 201 del 21 luglio 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questa lettera, nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere mediante l’opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova. (2) Le parole poste fra parentesi quadre sono state soppresse dall'art. 2 decies del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 37, comma 2, lett. a), della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (4) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 20 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio. (5) La Corte costituzionale, con sentenza n. 504 del 18 novembre 2000, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede la revoca del decreto penale di condanna e la restituzione degli atti al pubblico ministero anche nel caso in cui non sia possibile la notificazione nel domicilio dichiarato a norma dell'art. 161 del codice di procedura penale. (6) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 37, comma 2, lett. b), della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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461. Opposizione. 1. Nel termine di quindici giorni dalla notificazione del decreto (4603), l'imputato (60) e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89), personalmente o a mezzo del difensore (96, 100) eventualmente nominato, possono proporre opposizione mediante dichiarazione ricevuta nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari che ha emesso il decreto ovvero nella cancelleria del tribunale (1) o del giudice di pace (2) del luogo in cui si trova l'opponente (att. 140). 2. La dichiarazione di opposizione deve indicare, a pena di inammissibilità, gli estremi del decreto di condanna, la data del medesimo e il giudice che lo ha emesso. Ove non abbia già provveduto in precedenza, nella dichiarazione l'opponente può nominare un difensore di fiducia. 3. Con l'atto di opposizione l'imputato può chiedere al giudice che ha emesso il decreto di condanna il giudizio immediato (453), ovvero il giudizio abbreviato (438) o l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 (464, 5652). 4. L'opposizione è inammissibile, oltre che nei casi indicati nel comma 2, quando è proposta fuori termine (462, 648) o da persona non legittimata. 5. Se non è proposta opposizione o se questa è dichiarata inammissibile, il giudice che ha emesso il decreto di condanna ne ordina l'esecuzione (463, 650). 6. Contro l'ordinanza di inammissibilità l'opponente può proporre ricorso per cassazione (606, 648). (1) Le parole: «della pretura» sono state sostituite dalle attuali: «del tribunale» dall'art. 184 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (2) Le parole: «o del giudice di pace» sono state inserite dall'art. 45, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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462. Restituzione nel termine per proporre opposizione. 1. L'imputato (60) e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89) sono restituiti nel termine per proporre opposizione a norma dell'art. 175. Vai alla dottrina     ↓

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463. Opposizione proposta soltanto da alcuni interessati. 1. L'esecuzione del decreto di condanna (4615) pronunciato a carico di più persone imputate dello stesso reato rimane sospesa nei confronti di coloro che non hanno proposto opposizione (461) fino a quando il giudizio conseguente all'opposizione proposta da altri coimputati non sia definito con pronuncia irrevocabile (648). 2. Se l'opposizione è proposta dal solo imputato o dalla sola persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, gli effetti si estendono anche a quella fra le dette parti che non ha proposto opposizione. Vai alla dottrina     ↓

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464. Giudizio conseguente all'opposizione. 1. Se l'opponente ha chiesto il giudizio immediato, il giudice emette decreto a norma dell'articolo 456, commi 1, 3 e 5. Se l'opponente ha chiesto il giudizio abbreviato, il giudice fissa con decreto l'udienza dandone avviso almeno cinque giorni prima al pubblico ministero, all'imputato, al difensore e alla persona offesa; nel giudizio si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 438, commi 3 e 5, 441, 441 bis, 442 e 443; si applicano altresì le disposizioni di cui all'articolo 438, comma 6 bis (1); nel caso di cui all'articolo 441 bis, comma 4, il giudice, revocata l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato, fissa l'udienza per il giudizio conseguente all'opposizione (2) (3). Se l'opponente ha chiesto l'applicazione della pena a norma dell'articolo 444, il giudice fissa con decreto un termine entro il quale il pubblico ministero deve esprimere il consenso, disponendo che la richiesta e il decreto siano notificati al pubblico ministero a cura dell'opponente (4). Ove il pubblico ministero non abbia espresso il consenso nel termine stabilito ovvero l'imputato non abbia formulato nell'atto di opposizione alcuna richiesta, il giudice emette decreto di giudizio immediato (456) (5) (6). 2. Il giudice, se è presentata domanda di oblazione (162, 162 bis c.p.) contestuale all'opposizione, decide sulla domanda stessa prima di emettere i provvedimenti a norma del comma 1. 3. Nel giudizio conseguente all'opposizione, l'imputato non può chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta, né presentare domanda di oblazione. In ogni caso, il giudice revoca il decreto penale di condanna (7). 4. Il giudice può applicare in ogni caso una pena anche diversa e più grave di quella fissata nel decreto di condanna e revocare i benefici già concessi (4602). 5. Con la sentenza che proscioglie l'imputato perché il fatto non sussiste, non è previsto dalla legge come reato ovvero è commesso in presenza di una causa di giustificazione (50 ss. c.p.), il giudice revoca il decreto di condanna anche nei confronti degli imputati dello stesso reato che non hanno proposto opposizione (463). (1) Le parole: «si applicano altresì le disposizioni di cui all'articolo 438, comma 6 bis;» sono state inserite dall'art. 1, comma 48, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (2) Le parole da: «al giudizio» fino alla fine del periodo, sono state sostituite dalle attuali da: «nel giudizio ...» fino a: «... conseguente all'opposizione» dall'art. 2 nonies, comma 3, del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 169 del 23 maggio 2003, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo periodo nella parte in cui non prevede che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, l'imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre il giudizio abbreviato. (4) L'originario primo periodo è stato così sostituito dagli attuali primi tre periodi dall'art. 37, comma 3, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (5) La Corte costituzionale, con sentenza n. 81 del 15 febbraio 1991, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, in caso di dissenso, sia tenuto ad enunciarne le ragioni e nella parte in cui non prevede che il giudice, quando, a dibattimento concluso,

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ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, possa applicare all'imputato la riduzione di pena contemplata dall'art. 442, comma 2, dello stesso codice. (6) La Corte costituzionale, con sentenza n. 23 del 31 gennaio 1992, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma (con riferimento al testo dell'articolo antecedente alla L. 479/99), nella parte in cui non prevede che il giudice, all'esito del dibattimento, ritenendo che il processo poteva essere definito allo stato degli atti dal giudice per le indagini preliminari, possa applicare la riduzione di pena prevista dall'art. 442, secondo comma, dello stesso codice. (7) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 37, comma 4, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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Titolo V bis. SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO

CON MESSA ALLA PROVA (1). (1) Questo Titolo è stato aggiunto dall'art. 4, comma 1, lett. a), della L. 28 aprile 2014, n. 67.

464 bis. Sospensione del procedimento con messa alla prova. 1. Nei casi previsti dall'articolo 168 bis del codice penale l'imputato può formulare richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. 2. La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro il termine e con le forme stabiliti dall'articolo 458, comma 1. Nel procedimento per decreto, la richiesta è presentata con l'atto di opposizione. 3. La volontà dell'imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3. 4. All'istanza è allegato un programma di trattamento, elaborato d'intesa con l'ufficio di esecuzione penale esterna, ovvero, nel caso in cui non sia stata possibile l'elaborazione, la richiesta di elaborazione del predetto programma. Il programma in ogni caso prevede: a) le modalità di coinvolgimento dell'imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile; b) le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all'attività di volontariato di rilievo sociale; c) le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa. 5. Al fine di decidere sulla concessione, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice può acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell'imputato. Tali informazioni devono essere portate tempestivamente a conoscenza del pubblico ministero e del difensore dell'imputato. Vai alla dottrina     ↓

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464 ter. Richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari. 1. Nel corso delle indagini preliminari, il giudice, se è presentata una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, trasmette gli atti al pubblico ministero affinchè esprima il consenso o il dissenso nel termine di cinque giorni. 2. Se il pubblico ministero presta il consenso, il giudice provvede ai sensi dell'articolo 464 quater. 3. Il consenso del pubblico ministero deve risultare da atto scritto e sinteticamente motivato, unitamente alla formulazione dell'imputazione. 4. Il pubblico ministero, in caso di dissenso, deve enunciarne le ragioni. In caso di rigetto, l'imputato può rinnovare la richiesta prima dell'apertura del dibattimento di primo grado e il giudice, se ritiene la richiesta fondata, provvede ai sensi dell'articolo 464 quater. Vai alla dottrina     ↓

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464 quater. Provvedimento del giudice ed effetti della pronuncia. 1. Il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129, decide con ordinanza nel corso della stessa udienza, sentite le parti nonché la persona offesa, oppure in apposita udienza in camera di consiglio, della cui fissazione è dato contestuale avviso alle parti e alla persona offesa. Si applica l'articolo 127. 2. Il giudice, se ritiene opportuno verificare la volontarietà della richiesta, dispone la comparizione dell'imputato. 3. La sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all'articolo 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. A tal fine, il giudice valuta anche che il domicilio indicato nel programma dell'imputato sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato. 4. Il giudice, anche sulla base delle informazioni acquisite ai sensi del comma 5 dell'articolo 464 bis, e ai fini di cui al comma 3 del presente articolo può integrare o modificare il programma di trattamento, con il consenso dell'imputato. 5. Il procedimento non può essere sospeso per un periodo: a) superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria; b) superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria. 6. I termini di cui al comma 5 decorrono dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova dell'imputato. 7. Contro l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l'imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa. La persona offesa può impugnare autonomamente per omesso avviso dell'udienza o perchè, pur essendo comparsa, non è stata sentita ai sensi del comma 1. L'impugnazione non sospende il procedimento. 8. Nel caso di sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica l'articolo 75, comma 3. 9. In caso di reiezione dell'istanza, questa può essere riproposta nel giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Vai alla dottrina     ↓

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464 quinquies. Esecuzione dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova. 1. Nell'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice stabilisce il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie imposti devono essere adempiuti; tale termine può essere prorogato, su istanza dell'imputato, non più di una volta e solo per gravi motivi. Il giudice può altresì, con il consenso della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute a titolo di risarcimento del danno. 2. L'ordinanza è immediatamente trasmessa all'ufficio di esecuzione penale esterna che deve prendere in carico l'imputato. 3. Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice, sentiti l'imputato e il pubblico ministero, può modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma restando la congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità della messa alla prova. Vai alla dottrina     ↓

1291

464 sexies. Acquisizione di prove durante la sospensione del procedimento con messa alla prova. 1. Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili e quelle che possono condurre al proscioglimento dell'imputato. Vai alla dottrina     ↓

1292

464 septies. Esito della messa alla prova. 1. Decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento dell'imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ritiene che la prova abbia avuto esito positivo. A tale fine acquisisce la relazione conclusiva dell'ufficio di esecuzione penale esterna che ha preso in carico l'imputato e fissa l'udienza per la valutazione dandone avviso alle parti e alla persona offesa. 2. In caso di esito negativo della prova, il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso. Vai alla dottrina     ↓

1293

464 octies. Revoca dell'ordinanza. 1. La revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta anche d'ufficio dal giudice con ordinanza. 2. Al fine di cui al comma 1 del presente articolo il giudice fissa l'udienza ai sensi dell'articolo 127 per la valutazione dei presupposti della revoca, dandone avviso alle parti e alla persona offesa almeno dieci giorni prima. 3. L'ordinanza di revoca è ricorribile per cassazione per violazione di legge. 4. Quando l'ordinanza di revoca è divenuta definitiva, il procedimento riprende il suo corso dal momento in cui era rimasto sospeso e cessa l'esecuzione delle prescrizioni e degli obblighi imposti. Vai alla dottrina     ↓

1294

464 novies. Divieto di riproposizione della richiesta di messa alla prova. 1. Nei casi di cui all'articolo 464 septies, comma 2, ovvero di revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, l'istanza non può essere riproposta. Vai alla dottrina     ↓

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Libro VII. GIUDIZIO (1). (1) Per i procedimenti davanti al giudice di pace si vedano gli artt. 20-35 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274.

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Titolo I. ATTI PRELIMINARI

AL DIBATTIMENTO. Vai alla dottrina     ↓

1297

465. Atti del presidente del tribunale o della corte di assise. 1. Il presidente del tribunale o della corte di assise, ricevuto il decreto che dispone il giudizio (432, 457), può, con decreto (125), per giustificati motivi, anticipare l'udienza (429, lett. f) o differirla non più di una volta. 2. Il provvedimento è comunicato (153) al pubblico ministero e notificato (148 ss.) alle parti private (60, 76, 83, 89), alla persona offesa (90, 91) e ai difensori (96 ss.); nel caso di anticipazione, fermi restando i termini previsti dall'art. 429 commi 3 e 4, il provvedimento (432) è comunicato e notificato almeno sette giorni prima della nuova udienza (1813). Vai alla dottrina     ↓

1298

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1299

466. Facoltà dei difensori. 1. Durante il termine per comparire (4293), le parti e i loro difensori hanno facoltà di prendere visione, nel luogo dove si trovano, delle cose sequestrate, di esaminare in cancelleria gli atti e i documenti raccolti nel fascicolo per il dibattimento (432) e di estrarne copia. Vai alla dottrina     ↓

1300

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1301

467. Atti urgenti.(1) 1. Nei casi previsti dall'art. 392, il presidente del tribunale o della corte di assise dispone, a richiesta di parte, l'assunzione delle prove non rinviabili, osservando le forme previste per il dibattimento (496 ss., 559). 2. Del giorno, dell'ora e del luogo stabiliti per il compimento dell'atto è dato avviso almeno ventiquattro ore prima al pubblico ministero, alla persona offesa (90, 91) e ai difensori (96 ss.; att. 653). 3. I verbali degli atti compiuti sono inseriti nel fascicolo per il dibattimento (431). (1) A norma dell'art. 2 quinto comma della L. 7 ottobre 1969, n. 742, sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, come sostituito dall'art. 240 bis delle norme di coordinamento del codice di procedura penale, la sospensione dei termini non opera nelle ipotesi previste dall'art. 467 c.p.p.

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468. Citazione di testimoni, periti e consulenti tecnici. 1. Le parti che intendono chiedere l'esame di testimoni (194 ss., 497 ss.), periti o consulenti tecnici (220 ss., 501) nonché delle persone indicate nell'art. 210 (1) devono, a pena di inammissibilità (173), depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, la lista con la indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame (4933). 2. Il presidente del tribunale o della corte di assise, quando ne sia fatta richiesta, autorizza con decreto la citazione dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell'articolo 210, escludendo le testimonianze vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti. Il presidente può stabilire che la citazione dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell' sia effettuata per la data fissata per il dibattimento ovvero per altre successive udienze nelle quali ne sia previsto l'esame. In ogni caso, il provvedimento non pregiudica la decisione sull'ammissibilità della prova a norma dell'articolo 495 (2). 3. I testimoni e i consulenti tecnici indicati nelle liste possono anche essere presentati direttamente al dibattimento. 4. In relazione alle circostanze indicate nelle liste, ciascuna parte può chiedere la citazione a prova contraria di testimoni, periti e consulenti tecnici non compresi nella propria lista, ovvero presentarli al dibattimento. 4 bis. La parte che intende chiedere l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale deve farne espressa richiesta unitamente al deposito delle liste. Se si tratta di verbali di dichiarazioni di persone delle quali la stessa o altra parte chiede la citazione, questa è autorizzata dal presidente solo dopo che in dibattimento il giudice ha ammesso l'esame a norma dell'articolo 495 (3). 5. Il presidente in ogni caso dispone di ufficio la citazione del perito nominato nell'incidente probatorio a norma dell'art. 392 comma 2 (att. 142, 144; reg. 22). (1) Le parole: «nonché delle persone indicate nell'art. 210» sono state inserite dall'art. 38, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 38, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (3) Comma aggiunto dall'art. 7, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

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469. Proscioglimento prima del dibattimento. 1. Salvo quanto previsto dall'art. 129 comma 2, se l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita (336 ss., 649) ovvero se il reato è estinto (150 ss. c.p.) e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento, il giudice, in camera di consiglio (127), sentiti il pubblico ministero e l'imputato e se questi non si oppongono, pronuncia sentenza inappellabile (593) di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo (5583). 1 bis. La sentenza di non doversi procedere è pronunciata anche quando l'imputato non è punibile ai sensi dell'articolo 131 bis del codice penale, previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare (1). (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 3, comma 1, lett. a), del D.L.vo 16 marzo 2015, n. 28.

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Titolo II. DIBATTIMENTO. Vai alla dottrina     ↓

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Capo I. DISPOSIZIONI GENERALI.

470. Disciplina dell'udienza. 1. La disciplina dell'udienza e la direzione del dibattimento sono esercitate dal presidente che decide senza formalità (1256); in sua assenza la disciplina dell'udienza è esercitata dal pubblico ministero. 2. Per l'esercizio delle funzioni indicate in questo capo, il presidente o il pubblico ministero si avvale, ove occorra, anche della forza pubblica (131, 378), che dà immediata esecuzione ai relativi provvedimenti. Vai alla dottrina     ↓

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471. Pubblicità dell'udienza. 1. L'udienza è pubblica (att. 146, 147; reg. 21) a pena di nullità (181, 472). 2. Non sono ammessi nell'aula di udienza coloro che non hanno compiuto gli anni diciotto, le persone che sono sottoposte a misure di prevenzione e quelle che appaiono in stato di ubriachezza, di intossicazione o di squilibrio mentale. 3. Se alcuna di queste persone deve intervenire all'udienza come testimone (196), è fatta allontanare non appena la sua presenza non è più necessaria. 4. Non è consentita la presenza in udienza di persone armate, fatta eccezione per gli appartenenti alla forza pubblica, né di persone che portino oggetti atti a molestare. Le persone che turbano il regolare svolgimento dell'udienza sono espulse per ordine del presidente o, in sua assenza, del pubblico ministero, con divieto di assistere alle ulteriori attività processuali. 5. Per ragioni di ordine, il presidente può disporre, in casi eccezionali, che l'ammissione nell'aula di udienza sia limitata a un determinato numero di persone. 6. I provvedimenti menzionati nel presente articolo sono dati oralmente e senza formalità (1256). Vai alla dottrina     ↓

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1311

472. Casi in cui si procede a porte chiuse. 1. Il giudice dispone che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse (1144; att. 1474) quando la pubblicità (470) può nuocere al buon costume ovvero, se vi è richiesta dell'autorità competente, quando la pubblicità può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell'interesse dello Stato. [Il giudice dispone che si proceda a porte chiuse alle operazioni di cui all'articolo 268 ter quando le parti rinnovano richieste non accolte o richiedono acquisizioni, anche ulteriori, e quando le ragioni della rilevanza a fini di prova emergono nel corso dell'istruzione dibattimentale] (1). 2. Su richiesta dell'interessato, il giudice dispone che si proceda a porte chiuse all'assunzione di prove che possano causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni ovvero delle parti private in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell'imputazione. Quando l'interessato è assente o estraneo al processo, il giudice provvede d'ufficio (1144; att. 1474). 3. Il giudice dispone altresì che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse quando la pubblicità può nuocere alla pubblica igiene, quando avvengono da parte del pubblico manifestazioni che turbano il regolare svolgimento delle udienze ovvero quando è necessario salvaguardare la sicurezza di testimoni o di imputati (4732). 3 bis. Il dibattimento relativo ai delitti previsti dagli articoli 600, (2) 600 bis, 600 ter, 600 quinquies, (3) 601, 602, (2) 609 bis, 609 ter e 609 octies del codice penale si svolge a porte aperte; tuttavia, la persona offesa può chiedere che si proceda a porte chiuse anche solo per una parte di esso. Si procede sempre a porte chiuse quando la parte offesa è minorenne. In tali procedimenti non sono ammesse domande sulla vita privata o sulla sessualità della persona offesa se non sono necessarie alla ricostruzione del fatto (4). 4. Il giudice può disporre che avvenga a porte chiuse l'esame dei minorenni. (1) Questo periodo, aggiunto dall’art. 3, comma 1, lett. l), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216, è stato soppresso dall'art. 2, comma 1, lett. p), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come, da ultimo, sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (2) Le parole: «600,» e: «601, 602,» sono state inserite dall'art. 15, comma 9, della L. 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone. (3) Le parole: «600 bis, 600 ter, 600 quinquies,» sono state inserite dall'art. 13, comma 5, della L. 3 agosto 1998, n. 269. (4) Questo comma è stato inserito dall'art. 15 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

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473. Ordine di procedere a porte chiuse.(1) 1. Nei casi previsti dall'art. 472, il giudice, sentite le parti, dispone, con ordinanza (125, 586) pronunciata in pubblica udienza, che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse. L'ordinanza è revocata con le medesime forme quando sono cessati i motivi del provvedimento. 2. Quando si è ordinato di procedere a porte chiuse, non possono per alcun motivo essere ammesse nell'aula di udienza persone diverse da quelle che hanno il diritto o il dovere di intervenire (147 ter). Nei casi previsti dall'art. 472 comma 3, il giudice può consentire la presenza dei giornalisti. 3. I testimoni, i periti e i consulenti tecnici sono assunti secondo l'ordine in cui vengono chiamati e, fatta eccezione di quelli che sia necessario trattenere nell'aula di udienza, vi rimangono per il tempo strettamente necessario. (1) Per lo svolgimento dell'udienza dibattimentale davanti al tribunale per i minorenni si veda l'art. 33 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni.

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474. Assistenza dell'imputato all'udienza. 1. L'imputato assiste all'udienza libero nella persona, anche se detenuto, salvo che in questo caso siano necessarie cautele per prevenire il pericolo di fuga o di violenza. Vai alla dottrina     ↓

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475. Allontanamento coattivo dell'imputato. 1. L'imputato che, dopo essere stato ammonito, persiste nel comportarsi in modo da impedire il regolare svolgimento dell'udienza, è allontanato dall'aula con ordinanza (125, 586) del presidente. 2. L'imputato allontanato si considera presente ed è rappresentato dal difensore (4882). 3. L'imputato allontanato può essere riammesso nell'aula di udienza, in ogni momento, anche di ufficio. Qualora l'imputato debba essere nuovamente allontanato, il giudice può disporre con la stessa ordinanza che sia espulso dall'aula, con divieto di partecipare ulteriormente al dibattimento se non per rendere le dichiarazioni previste dagli artt. 503 e 523 comma 5. Vai alla dottrina     ↓

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1320

476. Reati commessi in udienza. 1. Quando viene commesso un reato in udienza, il pubblico ministero procede a norma di legge, disponendo l'arresto dell'autore nei casi consentiti (380, 381). 2. Non è consentito l'arresto del testimone in udienza per reati concernenti il contenuto della deposizione (207). Vai alla dottrina     ↓

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1322

477. Durata e prosecuzione del dibattimento. 1. Quando non è assolutamente possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il presidente dispone che esso venga proseguito nel giorno seguente non festivo. 2. Il giudice può sospendere il dibattimento soltanto per ragioni di assoluta necessità e per un termine massimo che, computate tutte le dilazioni, non oltrepassi i dieci giorni, esclusi i festivi (1). 3. Il presidente dà oralmente gli avvisi opportuni e l'ausiliario (126) ne fa menzione nel verbale. Gli avvisi sostituiscono le citazioni e le notificazioni per coloro che sono comparsi o debbono considerarsi presenti (1485, 475, 488). (1) Si vedano gli artt. 3, 47, 71, 344, 451, 479, 508, 509, 519, 520 e 604 di questo codice.

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1325

478. Questioni incidentali. 1. Sulle questioni incidentali proposte dalle parti nel corso del dibattimento il giudice decide immediatamente con ordinanza (125, 586), previa discussione nei modi previsti dall'art. 491. Vai alla dottrina     ↓

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1328

479. Questioni civili o amministrative. 1. Fermo quanto previsto dall'art. 3, qualora la decisione sull'esistenza del reato dipenda dalla risoluzione di una controversia civile o amministrativa di particolare complessità, per la quale sia già in corso un procedimento presso il giudice competente, il giudice penale, se la legge non pone limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa, può disporre la sospensione del dibattimento (477), fino a che la questione non sia stata decisa con sentenza passata in giudicato. 2. La sospensione è disposta con ordinanza (125, 586), contro la quale può essere proposto ricorso per cassazione (606). Il ricorso non ha effetto sospensivo (588). 3. Qualora il giudizio civile o amministrativo non si sia concluso nel termine di un anno, il giudice, anche di ufficio, può revocare l'ordinanza di sospensione. Vai alla dottrina     ↓

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1330

480. Verbale di udienza. 1. L'ausiliario (126) che assiste il giudice redige il verbale (135 ss., 146 bis e 147 ter att.) di udienza, nel quale sono indicati: a) il luogo, la data, l'ora di apertura e di chiusura dell'udienza; b) i nomi e i cognomi dei giudici; c) il nome e il cognome del rappresentante del pubblico ministero, le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo, nonché le generalità delle altre parti e dei loro rappresentanti, i nomi e i cognomi dei difensori (96 ss.). 2. Il verbale di udienza è inserito nel fascicolo per il dibattimento (431). Vai alla dottrina     ↓

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481. Contenuto del verbale. 1. Il verbale descrive le attività svolte in udienza e riporta sinteticamente le richieste e le conclusioni del pubblico ministero e dei difensori (136, 4942, 510). 2. I provvedimenti dati oralmente dal presidente sono riprodotti in modo integrale. I provvedimenti del giudice pubblicati in udienza mediante lettura sono allegati al verbale. Vai alla dottrina     ↓

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482. Diritto delle parti in ordine alla documentazione. 1. Le parti hanno diritto di fare inserire nel verbale (481), entro i limiti strettamente necessari, ogni dichiarazione a cui abbiano interesse, purché non contraria alla legge (141). Le memorie scritte (121) presentate dalle parti a sostegno delle proprie richieste e conclusioni sono allegate al verbale. 2. Il presidente può disporre, anche di ufficio, che l'ausiliario (126), dia lettura di singole parti del verbale al fine di verificarne la fedeltà e la completezza. Sulla domanda di rettificazione o di cancellazione nonché sulle questioni relative a quanto previsto dal comma 1, il presidente decide con ordinanza (125, 586). Vai alla dottrina     ↓

1333

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1334

483. Sottoscrizione e trascrizione del verbale. 1. Subito dopo la conclusione dell'udienza o la chiusura del dibattimento (524), il verbale (135), sottoscritto alla fine di ogni foglio dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, è presentato al presidente per l'apposizione del visto (137). 2. Salvo quanto stabilito dall'art. 528, i nastri impressi con i caratteri della stenotipia sono trascritti in caratteri comuni non oltre tre giorni dalla loro formazione (138). 3. I verbali e le trascrizioni sono acclusi al fascicolo per il dibattimento (431). Vai alla dottrina     ↓

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Capo II. ATTI INTRODUTTIVI (1). (1) Si veda l'art. 65 del D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

484. Costituzione delle parti. 1. Prima di dare inizio al dibattimento (492), il presidente controlla la regolare costituzione delle parti. 2. Qualora il difensore dell'imputato non sia presente, il presidente designa come sostituto altro difensore a norma dell'art. 97 comma 4. 2 bis. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 420 bis, 420 ter, 420 quater e 420 quinquies (1). (1) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 39, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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485. (1) Rinnovazione della citazione. 1. Il giudice dispone, anche di ufficio, che sia rinnovata la citazione a giudizio (429) quando è provato o appare probabile che l'imputato non ne abbia avuto effettiva conoscenza, sempre che il fatto non sia dovuto a sua colpa e fuori dei casi di notificazione mediante consegna al difensore a norma degli artt. 159, 161 comma 4 e 169 (18, lett. c), 487; att. 143). 2. La probabilità che l'imputato non abbia avuto conoscenza della citazione è liberamente valutata dal giudice. Tale valutazione non può formare oggetto di discussione successiva né motivo di impugnazione. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 39, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

486. (1) Impedimento a comparire dell'imputato o del difensore. 1. Quando l'imputato, anche se detenuto, non si presenta alla prima udienza e risulta che l'assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, il giudice con ordinanza (125, 586), anche di ufficio, sospende (477) o rinvia il dibattimento, fissa la data della nuova udienza e dispone che sia rinnovata la citazione a giudizio (4874). 2. Nello stesso modo il giudice provvede quando appare probabile che l'assenza dell'imputato sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore. La probabilità è liberamente valutata dal giudice e non può formare oggetto di discussione successiva né motivo di impugnazione (18, lett. c), 4871). 3. Quando l'imputato, anche se detenuto, non si presenta alle successive udienze e ricorrono le condizioni previste dal comma 1, il giudice sospende o rinvia anche di ufficio il dibattimento, fissa con ordinanza la data della nuova udienza e ne dispone la notificazione (148 ss.) all'imputato. 4. In ogni caso la lettura dell'ordinanza che fissa la nuova udienza sostituisce la citazione e gli avvisi per tutti coloro che sono o devono considerarsi presenti (1485, 475, 488). 5. Il giudice provvede a norma del comma 3 anche nel caso di assenza del difensore (96, 97), quando risulta che la stessa è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento purché prontamente comunicato. Tale disposizione non si applica se l'imputato è assistito da due difensori e l'impedimento riguarda uno dei medesimi ovvero quando il difensore impedito ha designato un sostituto (102) o quando l'imputato chiede che si proceda in assenza del difensore impedito (488; att. 231). (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 39, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

487. (1) Contumacia dell'imputato. 1. Se l'imputato, libero o detenuto, non compare all'udienza e non ricorrono le condizioni indicate negli artt. 485 e 486 commi 1 e 2, il giudice, sentite le parti, ne dichiara la contumacia (125, 586), salvo che risulti la nullità dell'atto di citazione (4292, 5552) o della sua notificazione (171). In tal caso il giudice pronuncia ordinanza con la quale rinvia il dibattimento e dispone la rinnovazione degli atti nulli.

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2. L'imputato, quando si procede in sua contumacia, è rappresentato nel dibattimento dal difensore (490). 3. Se l'imputato compare prima della decisione (525 ss.), il giudice revoca l'ordinanza che ha dichiarato la contumacia. In tal caso l'imputato può rendere le dichiarazioni previste dall'art. 494 e, se la comparizione avviene prima dell'inizio della discussione finale (523), può chiedere di essere sottoposto all'esame a norma dell'art. 503. In ogni caso il dibattimento non può essere sospeso o rinviato a causa della comparizione tardiva. 4. L'ordinanza dichiarativa della contumacia è nulla se al momento della pronuncia vi è la prova che l'assenza dell'imputato è dovuta a mancata conoscenza della citazione a norma dell'art. 485 comma 1 ovvero ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento (4861). 5. Se la prova indicata nel comma 4 perviene dopo la pronuncia dell'ordinanza prevista dal comma 1, ma prima della decisione, il giudice revoca l'ordinanza medesima e, se l'imputato non è comparso, sospende o rinvia anche di ufficio il dibattimento (477). Restano comunque validi gli atti compiuti in precedenza, ma se l'imputato ne fa richiesta e dimostra che la prova è pervenuta con ritardo senza sua colpa, il giudice dispone l'assunzione o la rinnovazione degli atti che ritiene rilevanti ai fini della decisione (6034). 6. Quando si procede a carico di più imputati, si applicano le disposizioni dell'art. 18 comma 1, lett. c) e d). (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 39, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

488. (1) Assenza e allontanamento volontario dell'imputato. 1. Le disposizioni degli artt. 486 e 487 non si applicano quando l'imputato, anche se impedito, chiede o consente che il dibattimento avvenga in sua assenza o se, detenuto, rifiuta di assistervi. L'imputato in tali casi è rappresentato dal difensore (490). 2. L'imputato che, dopo essere comparso, si allontana dall'aula di udienza è considerato presente ed è rappresentato dal difensore (4773). 3. Le disposizioni del comma 2 si applicano anche quando l'imputato detenuto evade in qualsiasi momento del dibattimento ovvero durante gli intervalli di esso. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 39, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

489. (1) Dichiarazioni dell'imputato contro il quale si è proceduto in assenza nell'udienza preliminare. 1. L'imputato contro il quale si è proceduto in assenza nel corso dell'udienza preliminare può chiedere di rendere le dichiarazioni previste dall'articolo 494. 2. Se l'imputato fornisce la prova che l'assenza nel corso dell'udienza preliminare è riconducibile alle situazioni previste dall'articolo 420 bis, comma 4, è rimesso nel termine per formulare le richieste di cui agli articoli 438 e 444. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 10, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato

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pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità.

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490. Accompagnamento coattivo dell'imputato assente.[o contumace] (1) 1. Il giudice, a norma dell'art. 132, può disporre l'accompagnamento coattivo dell'imputato assente (486, 488) [o contumace] (487) (1), quando la sua presenza è necessaria per l'assunzione di una prova diversa dall'esame. (1) Le parole: «o contumace» sono state soppresse dall'art. 10, comma 2, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità.

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491. Questioni preliminari. 1. Le questioni concernenti la competenza per territorio o per connessione (212-3, 23), le nullità indicate nell'art. 181 commi 2 e 3, la costituzione di parte civile (80), la citazione o l'intervento del responsabile civile (83 ss.) e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89) e l'intervento degli enti e delle associazioni previsti dall'art. 91 sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti (484) e sono decise immediatamente. 2. La disposizione del comma 1 si applica anche alle questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento (431) e la riunione o la separazione dei giudizi (17, 18), salvo che la possibilità di proporle sorga soltanto nel corso del dibattimento. 3. Le questioni preliminari sono discusse dal pubblico ministero e da un difensore (96 ss.) per ogni parte privata (60, 76, 83, 89). La discussione deve essere contenuta nei limiti di tempo strettamente necessari alla illustrazione delle questioni. Non sono ammesse repliche. 4. Il giudice provvede in merito agli atti che devono essere acquisiti al fascicolo per il dibattimento ovvero eliminati da esso (att. 148). 5. Sulle questioni preliminari il giudice decide con ordinanza (125, 586). Vai alla dottrina     ↓

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492. Dichiarazione di apertura del dibattimento. 1. Compiute le attività indicate negli artt. 484 e seguenti, il presidente dichiara aperto il dibattimento. 2. L'ausiliario che assiste il giudice (126) dà lettura dell'imputazione (429, 555). Vai alla dottrina     ↓

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493. (1) Richieste di prova. 1. Il pubblico ministero, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato nell'ordine indicano i fatti che intendono provare e chiedono l'ammissione delle prove. 2. È ammessa l'acquisizione di prove non comprese nella lista prevista dall'articolo 468 quando la parte che le richiede dimostra di non averle potute indicare tempestivamente. 3. Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva. 4. Il presidente impedisce ogni divagazione, ripetizione e interruzione e ogni lettura o esposizione del contenuto degli atti compiuti durante le indagini preliminari. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 40 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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493 bis. (1) Trascrizione delle intercettazioni. 1. Il giudice dispone, su richiesta delle parti, la trascrizione delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche acquisite. 2. Per le operazioni di trascrizione e stampa si osservano le forme, i modi e le garanzie previsti per l'espletamento delle perizie. 3. Delle trascrizioni, delle registrazioni e delle stampe le parti possono estrarre copia. (1) Questo articolo, inserito dall’art. 3, comma 1, lett. m), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216, è stato abrogato dall'art. 2, comma 1, lett. q), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento, così come, da ultimo, sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione.

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494. Dichiarazioni spontanee dell'imputato. 1. Esaurita l'esposizione introduttiva, il presidente informa l'imputato che egli ha facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione (4873, 489, 5235) e non intralcino l'istruzione dibattimentale (496 ss.). Se nel corso delle dichiarazioni l'imputato non si attiene all'oggetto dell'imputazione, il presidente lo ammonisce e, se l'imputato persiste, gli toglie la parola. 2. L'ausiliario (126) riproduce integralmente le dichiarazioni rese a norma del comma 1, salvo che il giudice disponga che il verbale sia redatto in forma riassuntiva (140, 481). Vai alla dottrina     ↓

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495. Provvedimenti del giudice in ordine alla prova. 1. Il giudice, sentite le parti, provvede con ordinanza (125, 586) all'ammissione delle prove, a norma degli artt. 190, comma 1 e 190 bis (4682, 515) (1). Quando è stata ammessa l'acquisizione di verbali di prove di altri procedimenti, il giudice provvede in ordine alla richiesta di nuova assunzione della stessa prova solo dopo l'acquisizione della documentazione relativa alla prova dell'altro procedimento (2). 2. L'imputato ha diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico; lo stesso diritto spetta al pubblico ministero in ordine alle prove a carico dell'imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico (606, lett. d). 3. Prima che il giudice provveda sulla domanda, le parti hanno facoltà di esaminare i documenti (234 ss.) di cui è chiesta l'ammissione. 4. Nel corso dell'istruzione dibattimentale (496 ss.), il giudice decide con ordinanza sulle eccezioni proposte dalle parti in ordine alla ammissibilità delle prove. Il giudice, sentite le parti, può revocare con ordinanza l'ammissione di prove che risultano superflue o ammettere prove già escluse (509). 4 bis. Nel corso dell'istruzione dibattimentale ciascuna delle parti può rinunziare, con il consenso dell'altra parte, all'assunzione delle prove ammesse a sua richiesta (3). (1) Le parole: «dell'art. 190, comma 1» sono state sostituite dalle attuali: «degli artt. 190, comma 1 e 190 bis» dall'art. 3, comma 4, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (2) L'ultimo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 7, comma 3, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (3) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 17 della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

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Capo III. ISTRUZIONE DIBATTIMENTALE.

496. Ordine nell'assunzione delle prove. 1. L'istruzione dibattimentale inizia con l'assunzione delle prove richieste dal pubblico ministero e prosegue con l'assunzione di quelle richieste da altre parti, nell'ordine previsto dall'art. 493 comma 2. 2. Le parti possono concordare un diverso ordine di assunzione delle prove. Vai alla dottrina     ↓

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497. Atti preliminari all'esame dei testimoni. 1. I testimoni (194 ss.) sono esaminati l'uno dopo l'altro nell'ordine prescelto dalle parti che li hanno indicati (498; att. 145, 149). 2. Prima che l'esame abbia inizio, il presidente avverte il testimone dell'obbligo di dire la verità. Salvo che si tratti di persona minore degli anni quattordici, il presidente avverte altresì il testimone delle responsabilità previste dalla legge penale per i testimoni falsi o reticenti (207; 372 c.p.) e lo invita a rendere la seguente dichiarazione: «Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza». Lo invita quindi a fornire le proprie generalità. 2 bis. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia esteri, i dipendenti dei servizi di informazione per la sicurezza, (1) gli ausiliari, nonché le interposte persone, chiamati a deporre, in ogni stato e grado del procedimento, in ordine alle attività svolte sotto copertura ai sensi dell’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e della L. 3 agosto 2007, n. 124, (2) e successive modificazioni, invitati a fornire le proprie generalità, indicano quelle di copertura utilizzate nel corso delle attività medesime (3). 3. L'osservanza delle disposizioni del comma 2 è prescritta a pena di nullità (181). (1) Le parole: «i dipendenti dei servizi di informazione per la sicurezza,» sono state inserite dall'art. 8, comma 1, del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (2) Le parole: «e della L. 3 agosto 2007, n. 124,» sono state inserite dall'art. 8, comma 1, del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (3) Questo comma è stato inserito dall'art. 8, comma 3, della L. 13 agosto 2010, n. 136.

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498. (1) Esame diretto e controesame dei testimoni. 1. Le domande sono rivolte direttamente dal pubblico ministero o dal difensore che ha chiesto l'esame del testimone (493, 5674). 2. Successivamente altre domande possono essere rivolte dalle parti che non hanno chiesto l'esame, secondo l'ordine indicato nell'art. 496 (505, 506). 3. Chi ha chiesto l'esame può proporre nuove domande. 4. L'esame testimoniale del minorenne è condotto dal presidente su domande e contestazioni proposte dalle parti. Nell'esame il presidente può avvalersi dell'ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile. Il presidente, sentite le parti, se ritiene che l'esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste, dispone con ordinanza (125, 586) che la deposizione prosegua nelle forme previste dai commi precedenti. L'ordinanza può essere revocata nel corso dell'esame (4724). 4 bis. Si applicano, se una parte lo richiede ovvero se il presidente lo ritiene necessario, le modalità di cui all'articolo 398, comma 5 bis (2). 4 ter. Quando si procede per i reati di cui agli articoli 572, (3) 600, (4) 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quinquies, 601, 602, (4) 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 octies e 612 bis (5) del codice penale, l'esame del minore vittima del reato ovvero del maggiorenne infermo di mente vittima del reato (6) viene effettuato, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l'uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico (2) (7). 4 quater. Fermo quanto previsto dai precedenti commi, quando occorre procedere all'esame di una persona offesa che versa in condizione di particolare vulnerabilità, il giudice, se la persona offesa o il suo difensore ne fa richiesta, dispone l'adozione di modalità protette (8). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 283 del 30 luglio 1997, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui non consente, nel caso di testimone maggiorenne infermo di mente, che il presidente, sentite le parti, ove ritenga che l'esame del teste ad opera delle parti possa nuocere alla personalità del teste medesimo, ne conduca direttamente l'esame su domande e contestazioni proposte dalle parti. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 13, comma 6, della L. 3 agosto 1998, n. 269. (3) Le parole: «572,» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. i), n. 1), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (4) Le parole: «600,» e: «601, 602,» sono state inserite dall'art. 15, comma 10, della L. 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone. (5) Le parole:«e 609 octies» sono state così sostituite dalle attuali: «, 609 octies e 612 bis», dall'art. 9, comma 1, lett. d), n. 1), del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23 aprile 2009, n. 38. (6) Le parole: «ovvero del maggiorenne infermo di mente vittima del reato» sono state inserite dall'art. 9, comma 1, lett. d), n. 2), del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23 aprile 2009, n. 38. (7) La Corte costituzionale, con sentenza n. 63 del 29 gennaio 2005, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui non prevede che l'esame del maggiorenne infermo di mente

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vittima del reato sia effettuato, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l'uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico. (8) Questo comma, aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. i), n. 2), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119, è stato così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. l), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212.

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499. Regole per l'esame testimoniale.(1) 1. L'esame testimoniale si svolge mediante domande su fatti specifici. 2. Nel corso dell'esame sono vietate le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte. 3. Nell'esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone e da quella che ha un interesse comune sono vietate le domande che tendono a suggerire le risposte. 4. Il presidente cura che l'esame del testimone sia condotto senza ledere il rispetto della persona. 5. Il testimone può essere autorizzato dal presidente a consultare, in aiuto della memoria, documenti da lui redatti (5142). 6. Durante l'esame, il presidente, anche di ufficio, interviene per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni, ordinando, se occorre, l'esibizione del verbale nella parte in cui le dichiarazioni sono state utilizzate per le contestazioni (2). (1) Si vedano l'art. 147 bis att. e l'art. 6 comma 3 del D.M. 24 novembre 1994, n. 687, sui collaboratori di giustizia. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 15 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo.

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500. (1) (2) Contestazioni nell'esame testimoniale. 1. Fermi i divieti di lettura e di allegazione, le parti, per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti o sulle circostanze da contestare il testimone abbia già deposto. 2. Le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste. 3. Se il teste rifiuta di sottoporsi all'esame o al controesame di una delle parti, nei confronti di questa non possono essere utilizzate, senza il suo consenso, le dichiarazioni rese ad altra parte, salve restando le sanzioni penali eventualmente applicabili al dichiarante. 4. Quando, anche per le circostanze emerse nel dibattimento, vi sono elementi concreti per ritenere che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinchè non deponga ovvero deponga il falso, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero precedentemente rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del dibattimento e quelle previste dal comma 3 possono essere utilizzate. 5. Sull'acquisizione di cui al comma 4 il giudice decide senza ritardo, svolgendo gli accertamenti che ritiene necessari, su richiesta della parte, che può fornire gli elementi concreti per ritenere che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità. 6. A richiesta di parte, le dichiarazioni assunte dal giudice a norma dell'articolo 422 sono acquisite al fascicolo del dibattimento e sono valutate ai fini della prova nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro assunzione, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal presente articolo. Fuori dal caso previsto dal periodo precedente, si applicano le disposizioni di cui ai commi 2, 4 e 5. 7. Fuori dai casi di cui al comma 4, su accordo delle parti le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero precedentemente rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del dibattimento. (1) Questo articolo è stato da ultimo così sostituito dall'art. 16 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (2) A norma dell'art. 26, comma 3, della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo, le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare, se già acquisite al fascicolo per il dibattimento, sono valutate a norma dei commi 3, 4, 5 e 6 del previgente articolo 500, che si riportano: «3. Le dichiarazioni utilizzate per la contestazione possono essere valutate dal giudice per stabilire la credibilità della persona esaminata. «4. Quando, a seguito della contestazione, sussiste difformità rispetto al contenuto della deposizione, le dichiarazioni utilizzate per la contestazione sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento e sono valutate come prova dei fatti in esse affermati se sussistono altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità. «5. Le dichiarazioni acquisite a norma del comma 4 sono valutate come prova dei fatti in esse affermati quando, anche per le modalità della deposizione o per altre circostanze emerse dal dibattimento, risulta che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non deponga o deponga il falso ovvero risultano altre situazioni che hanno compromesso la genuinità dell'esame.

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«6. Le dichiarazioni assunte dal giudice a norma dell'articolo 422 costituiscono prova dei fatti in esse affermati, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal presente articolo». Si veda altresì l'art. 26, commi 4 e 5, della citata legge n. 63/2001, che si riporta: «4. Quando le dichiarazioni di cui al comma 3 sono state rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del difensore, si applica la disposizione del comma 2 dell'articolo 1 del decreto legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000, n. 35, soltanto se esse siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio 2000. Se sono state acquisite successivamente, si applica il comma 1 bis dell'articolo 526 del codice di procedura penale, come introdotto dall'articolo 19 della presente legge. «5. Alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento, e già valutate ai fini delle decisioni, si applicano nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione le disposizioni vigenti in materia di valutazione della prova al momento delle decisioni stesse».

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501. Esame dei periti e dei consulenti tecnici. 1. Per l'esame dei periti (468) e dei consulenti tecnici (220 ss.) si osservano le disposizioni sull'esame dei testimoni (497 ss.), in quanto applicabili (att. 152). 2. Il perito e il consulente tecnico hanno in ogni caso facoltà di consultare documenti, note scritte e pubblicazioni, che possono essere acquisite anche di ufficio. Vai alla dottrina     ↓

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502. Esame a domicilio di testimoni, periti e consulenti tecnici. 1. In caso di assoluta impossibilità di un testimone (194 ss.), di un perito (220 ss.) o di un consulente tecnico (225, 233, 359) a comparire per legittimo impedimento (att. 145), il giudice, a richiesta di parte, può disporne l'esame nel luogo in cui si trova, dando comunicazione, a norma dell'art. 477 comma 3, del giorno, dell'ora e del luogo dell'esame. 2. L'esame si svolge con le forme previste dagli articoli precedenti, esclusa la presenza del pubblico. L'imputato (60) e le altre parti private (76, 83, 89) sono rappresentati dai rispettivi difensori (96, 97, 100). Il giudice, quando ne è fatta richiesta, ammette l'intervento personale dell'imputato interessato all'esame. Vai alla dottrina     ↓

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503. Esame delle parti private. 1. Il presidente dispone l'esame delle parti che ne abbiano fatto richiesta o che vi abbiano consentito, secondo il seguente ordine: parte civile (76 ss.), responsabile civile (83 ss.), persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89) e imputato (60, 475; att. 150). 2. L'esame si svolge nei modi previsti dagli artt. 498 e 499. Ha inizio con le domande del difensore o del pubblico ministero che l'ha chiesto e prosegue con le domande, secondo i casi, del pubblico ministero e dei difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, del coimputato e dell'imputato. Quindi, chi ha iniziato l'esame può rivolgere nuove domande. 3. Fermi i divieti di lettura (514) e di allegazione, il pubblico ministero e i difensori, per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dalla parte esaminata (3507, 364, 374, 388, 421) e contenute nel fascicolo del pubblico ministero (433). Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti e sulle circostanze da contestare la parte abbia già deposto (26). 4. Si applica la disposizione dell'art. 500, comma 2 (1). 5. Le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento (431), se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal comma 3 (2384) (2). 6. La disposizione prevista dal comma 5 si applica anche per le dichiarazioni rese a norma degli artt. 294, 299, comma 3 ter (3), 391 e 422. (1) Le parole: «dell'art. 500 comma 3» sono state così sostituite dall'art. 17 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 8, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (3) Le parole: «299, comma 3 ter» sono state inserite dall'art. 13, comma 2, della L. 8 agosto 1995, n. 332.

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504. Opposizioni nel corso dell'esame dei testimoni. 1. Salvo che la legge disponga diversamente, sulle opposizioni formulate nel corso dell'esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle parti private (500 - 503) il presidente decide immediatamente e senza formalità. Vai alla dottrina     ↓

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505. Facoltà degli enti e delle associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato. 1. Gli enti e le associazioni intervenuti nel processo a norma dell'art. 93 possono chiedere al presidente di rivolgere domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici e alle parti private che si sono sottoposte a esame (499 503). Possono altresì chiedere al giudice l'ammissione di nuovi mezzi di prova utili all'accertamento dei fatti (5116). Vai alla dottrina     ↓

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506. Poteri del presidente in ordine all'esame dei testimoni e delle parti private. 1. Il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, in base ai risultati delle prove assunte nel dibattimento a iniziativa delle parti o a seguito delle letture disposte a norma degli artt. 511, 512 e 513, può indicare alle parti temi di prova nuovi o più ampi, utili per la completezza dell'esame. 2. Il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, può rivolgere domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici, alle persone indicate nell'articolo 210 ed alle parti già esaminate, solo dopo l'esame e il controesame. Resta salvo il diritto delle parti di concludere l'esame secondo l'ordine indicato negli articoli 498, commi 1 e 2, e 503, comma 2 (1). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 41 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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507. Ammissione di nuove prove. 1. Terminata l'acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario, può disporre anche di ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prove (509, 5192, 5236) (1). 1 bis. Il giudice può disporre a norma del comma 1 anche l'assunzione di mezzi di prova relativi agli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento a norma degli articoli 431, comma 2, e 493, comma 3 (2). (1) Nel senso che il potere conferito al giudice dall'art. 507 è un potere suppletivo contro la negligenza e inerzia delle parti, si veda Corte cost. 26 marzo 1993, n. 111. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 42 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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508. Provvedimenti conseguenti all'ammissione della perizia nel dibattimento. 1. Se il giudice, di ufficio o su richiesta di parte, dispone una perizia (224), il perito è immediatamente citato a comparire e deve esporre il suo parere nello stesso dibattimento (att. 144, 145). Quando non è possibile provvedere in tale modo, il giudice pronuncia ordinanza (125, 586) con la quale, se è necessario, sospende il dibattimento (477) e fissa la data della nuova udienza nel termine massimo di sessanta giorni (att. 152). 2. Con l'ordinanza il giudice designa un componente del collegio per l'esercizio dei poteri previsti dall'art. 228. 3. Nella nuova udienza il perito risponde ai quesiti ed è esaminato a norma dell'art. 501. Vai alla dottrina     ↓

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509. Sospensione del dibattimento per esigenze istruttorie. 1. Nei casi previsti dagli artt. 495 comma 4, 506 e 507 il giudice, qualora non sia possibile provvedere nella medesima udienza, sospende il dibattimento per il tempo strettamente necessario, fissando la data della nuova udienza (477). Vai alla dottrina     ↓

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510. Verbale di assunzione dei mezzi di prova. 1. Nel verbale sono indicate le generalità dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e degli interpreti ed è fatta menzione di quanto previsto dall'art. 497 comma 2. 2. L'ausiliario che assiste il giudice (126) documenta nel verbale lo svolgimento dell'esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle parti private (499 503), riproducendo integralmente in forma diretta le domande poste dalle parti o dal presidente nonché le risposte delle persone esaminate. 3. Quando il giudice dispone che il verbale sia redatto solo in forma riassuntiva, i poteri di vigilanza previsti dall'art. 140 comma 2 sono esercitati dal presidente (481). Vai alla dottrina     ↓

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511. Letture consentite. 1. Il giudice, anche di ufficio, dispone che sia data lettura, integrale o parziale, degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento (431, 5061, 515). 2. La lettura di verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo l'esame della persona che le ha rese (499 - 503), a meno che l'esame non abbia luogo. 3. La lettura della relazione peritale (227) è disposta solo dopo l'esame del perito (501). 4. La lettura dei verbali delle dichiarazioni orali di querela (336) o di istanza (341) è consentita ai soli fini dell'accertamento della esistenza della condizione di procedibilità (431, lett. a). 5. In luogo della lettura, il giudice, anche di ufficio, può indicare specificamente gli atti utilizzabili ai fini della decisione (526). L'indicazione degli atti equivale alla loro lettura. Il giudice dispone tuttavia la lettura, integrale o parziale, quando si tratta di verbali di dichiarazioni e una parte ne fa richiesta. Se si tratta di altri atti, il giudice è vincolato alla richiesta di lettura solo nel caso di un serio disaccordo sul contenuto di essi. 6. La facoltà di chiedere la lettura o l'indicazione degli atti, prevista dai commi 1 e 5, è attribuita anche agli enti e alle associazioni intervenuti a norma dell'art. 93 (505). Vai alla dottrina     ↓

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511 bis. (1) Lettura di verbali di prove di altri procedimenti. 1. Il giudice, anche di ufficio, dispone che sia data lettura dei verbali degli atti indicati nell'articolo 238. Si applica il comma 2 dell'articolo 511. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall'art. 8, comma 1 bis, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

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512. Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione. 1. Il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, (1) dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private (2) e dal giudice nel corso della udienza preliminare (422) quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione (5061) (3). 1 bis. È sempre consentita la lettura dei verbali relativi all'acquisizione ed alle operazioni di distruzione degli atti di cui all'articolo 240 (4). (1) Le parole: «dalla polizia giudiziaria,» sono state aggiunte dall'art. 8, comma 2, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (2) Le parole: «, dai difensori delle parti private» sono state inserite dall'art. 18 della L. 7 dicembre 2000, n. 397. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 218 del 20 ottobre 2020, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall’imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), che, avendo ricevuto l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), sia stato citato per essere sentito come testimone. (4) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 2 del D.L. 22 settembre 2006, n. 259, convertito, con modificazioni, nella L. 20 novembre 2006, n. 281.

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512 bis. (1) Lettura di dichiarazioni rese da persona residente all'estero. 1. Il giudice, a richiesta di parte, può disporre, tenuto conto degli altri elementi di prova acquisiti, che sia data lettura dei verbali di dichiarazioni rese da persona residente all'estero anche a seguito di rogatoria internazionale se essa, essendo stata citata, non è comparsa e solo nel caso in cui non ne sia assolutamente possibile l'esame dibattimentale. (1) Questo articolo, aggiunto dall'art. 8, comma 2 bis, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356, è stato così sostituito dall'art. 43 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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513. (1) (2) Lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare. 1. Il giudice, se l'imputato è [contumace o] (3) assente (488) ovvero rifiuta di sottoporsi all'esame (208, 503) dispone, a richiesta di parte, che sia data lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero (364, 374, 388) o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero o al giudice (294, 391) nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare (421, 422), ma tali dichiarazioni non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso salvo che ricorrano i presupposti di cui all'articolo 500, comma 4 (4). 2. Se le dichiarazioni sono state rese dalle persone indicate nell'articolo 210, comma 1, (5) il giudice, a richiesta di parte, dispone, secondo i casi, l'accompagnamento coattivo (132) del dichiarante o l'esame a domicilio o la rogatoria internazionale (727 ss.) ovvero l'esame in altro modo previsto dalla legge con le garanzie del contraddittorio. Se non è possibile ottenere la presenza del dichiarante, ovvero procedere all'esame in uno dei modi suddetti, si applica la disposizione dell'articolo 512 qualora la impossibilità dipenda da fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni. Qualora il dichiarante si avvalga della facoltà di non rispondere, il giudice dispone la lettura dei verbali (5061) contenenti le suddette dichiarazioni soltanto con l'accordo delle parti (6). 3. Se le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo sono state assunte ai sensi dell'articolo 392, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 511. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1 della L. 7 agosto 1997, n. 267. (2) Si veda altresì l'art. 6, commi 2-6, della L. 7 agosto 1997, n. 267, di cui si riporta il testo: «2. Nel giudizio di primo grado in corso, quando è stata disposta la lettura, nei confronti di altri senza il loro consenso, dei verbali delle dichiarazioni, rese dalle persone indicate nell'articolo 513 del codice di procedura penale al pubblico ministero, alla polizia giudiziaria da questi delegata o al giudice nel corso delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare, ove le parti la richiedano, il giudice dispone la citazione delle predette persone per un nuovo esame. «3. Se è in corso il giudizio di appello e la decisione sul punto, cui si riferiscono i motivi di impugnazione, implica l'utilizzazione delle dichiarazioni delle persone di cui al comma 2, ove la parte interessata la richieda è disposta la rinnovazione parziale del dibattimento, al fine di ottenere la citazione di coloro che avevano reso tali dichiarazioni. «4. Se è in corso giudizio di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Corte di cassazione, nei limiti della cognizione devoluta, si applica la disposizione di cui al comma 3. «5. Disposta la citazione delle persone indicate nei commi precedenti, ove esse si siano ulteriormente avvalse della facoltà di non rispondere ovvero non si siano presentate, nonostante il ricorso alle misure di cui al comma 2, primo periodo, dell'articolo 513 del codice di procedura penale, come sostituito dall'articolo 1 della presente legge, le dichiarazioni rese in precedenza possono essere valutate come prova dei fatti in esse affermati, solo se la loro attendibilità sia confermata da altri elementi di prova, non desunti da dichiarazioni rese al pubblico ministero, alla polizia giudiziaria da questi delegata o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, di cui sia stata data lettura ai sensi dell'articolo 513 del codice di procedura penale, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge. «6. Il corso della prescrizione rimane sospeso per il tempo necessario per la citazione e l'assunzione delle dichiarazioni delle persone indicate nei commi precedenti. La durata della sospensione, che decorre dal momento

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in cui è disposto il rinnovo della citazione delle persone indicate nell'articolo 513 del codice di procedura penale fino all'udienza stabilita per il nuovo esame, non può in ogni caso superare il termine di sei mesi». (3) Le parole: «contumace o» sono state soppresse dall'art. 10, comma 3, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità. (4) Le parole da: «salvo che ricorrano ...» sino alla fine del comma sono state aggiunte dall'art. 18, comma 1, lett. a), della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (5) Le parole: «, comma 1» sono state inserite dall'art. 18, comma 1, lett, b), della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (6) La Corte costituzionale, con sentenza n. 361 del 2 novembre 1998, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'ultimo periodo di questo comma (nel testo vigente anteriormente le modifiche apportate dalla L. 7 agosto 1997, n. 267), nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell'accordo delle parti alla lettura si applica l'art. 500, commi 2 bis e 4, del codice di procedura penale.

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514. (1) Letture vietate. 1. Fuori dei casi previsti dagli articoli. 511, 512, 512 bis e 513, non può essere data lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dall'imputato, dalle persone indicate nell'articolo 210 e dai testimoni alla polizia giudiziaria, al pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nella udienza preliminare, a meno che nell'udienza preliminare le dichiarazioni siano state rese nelle forme previste dagli articoli 498 e 499, alla presenza dell'imputato o del suo difensore. 2. Fuori dei casi previsti dall'articolo 511, è vietata la lettura dei verbali e degli altri atti di documentazione delle attività compiute dalla polizia giudiziaria (357). L'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria (57) esaminato come testimone può servirsi di tali atti a norma dell'articolo 499, comma 5. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, della L. 7 agosto 1997, n. 267.

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515. Allegazione di atti al fascicolo per il dibattimento. 1. I verbali degli atti di cui è stata data lettura (511 ss.) e i documenti ammessi a norma dell'art. 495 sono inseriti, unitamente al verbale di udienza, nel fascicolo per il dibattimento (431). Vai alla dottrina     ↓

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Capo IV. NUOVE CONTESTAZIONI.

516. (1)(2)(3)(4) Modifica della imputazione. 1. Se nel corso dell'istruzione dibattimentale (496 ss.) il fatto risulta diverso (423) da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio (429, 450, 456, 555), e non appartiene alla competenza di un giudice superiore (23), il pubblico ministero modifica l'imputazione e procede alla relativa contestazione (520, 522). 1 bis. Se a seguito della modifica il reato risulta attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale (33 bis) anziché monocratica (33 ter), l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione del giudice è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, immediatamente dopo la nuova contestazione ovvero, nei casi indicati dagli articoli 519 comma 2 e 520 comma 2, prima del compimento di ogni altro atto nella nuova udienza fissata a norma dei medesimi articoli (517) (5). 1 ter. Se a seguito della modifica risulta un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare, e questa non si è tenuta, l'inosservanza delle relative disposizioni è eccepita, a pena di decadenza, entro il termine indicato dal comma 1 bis (6). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 265 del 30 giugno 1994, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 530 del 29 dicembre 1995, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162 bis del codice penale, relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 333 del 18 dicembre 2009, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale. (4) La Corte costituzionale, con sentenza n. 273 del 5 dicembre 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. La Corte costituzionale, con sentenza n. 206 del 17 luglio 2017, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione della pena a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. La Corte costituzionale, con sentenza n. 14 dell'11 febbraio 2020, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui, in seguito alla modifica dell’originaria imputazione, non prevede la facoltà

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dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova. (5) Il comma 1 bis è stato aggiunto dall'art. 186 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (6) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 47, comma 4, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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517. (1)(2)(3)(4)(5)(6)(7)(8) Reato concorrente e circostanze aggravanti risultanti dal dibattimento. 1. Qualora nel corso dell'istruzione dibattimentale (496 ss.) emerga un reato connesso a norma dell'art. 12 comma 1 lett. b) ovvero una circostanza aggravante (423) e non ve ne sia menzione nel decreto che dispone il giudizio (429, 450, 456, 555) il pubblico ministero contesta all'imputato il reato o la circostanza, purché la cognizione non appartenga alla competenza di un giudice superiore (520, 522). 1 bis. Si applicano le disposizioni previste dall'articolo 516, commi 1 bis e 1 ter 9 ( ). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 265 del 30 giugno 1994, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 530 del 29 dicembre 1995, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162 bis del codice penale, relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 333 del 18 dicembre 2009, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale. (4) La Corte costituzionale, con sentenza n. 237 del 26 ottobre 2012, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. (5) La Corte costituzionale, con sentenza n. 184 del 25 giugno 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione di pena, a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, in seguito alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale. (6) La Corte costituzionale, con sentenza n. 139 del 9 luglio 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui, nel caso di contestazione di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione. (7) La Corte costituzionale, con sentenza n. 141 del 5 luglio 2018, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui, in seguito alla nuova contestazione di una circostanza aggravante, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova.

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(8) La Corte costituzionale, con sentenza n. 82 dell'11 aprile 2019, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione della pena, a norma dell’art. 444 cod. proc. pen., relativamente al reato concorrente emerso nel corso del dibattimento e che forma oggetto di nuova contestazione. (9) Questo comma, aggiunto dall'art. 187 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, è stato così sostituito dall'art. 47, comma 5, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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518. Fatto nuovo risultante dal dibattimento. 1. Fuori dei casi previsti dall'articolo 517, il pubblico ministero procede nelle forme ordinarie se nel corso del dibattimento (484 ss.) risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo (423) non enunciato nel decreto che dispone il giudizio (429, 450, 456, 555) e per il quale si debba procedere di ufficio. 2. Tuttavia il presidente, qualora il pubblico ministero ne faccia richiesta, può autorizzare la contestazione nella medesima udienza, se vi è consenso dell'imputato presente e non ne deriva pregiudizio per la speditezza dei procedimenti (522). Vai alla dottrina     ↓

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519. Diritti delle parti. 1. Nei casi previsti dagli artt. 516, 517 e 518 comma 2, salvo che la contestazione abbia per oggetto la recidiva (99 c.p.), il presidente informa l'imputato che può chiedere un termine per la difesa. 2. Se l'imputato ne fa richiesta, il presidente sospende il dibattimento (477, 509) per un tempo non inferiore al termine per comparire previsto dall'art. 429, ma comunque non superiore a quaranta giorni. In ogni caso l'imputato può chiedere l'ammissione di nuove prove a norma dell'art. 507 (1) (2). 3. Il presidente dispone la citazione della persona offesa (178, lett. c), osservando un termine non inferiore a cinque giorni (522) (3). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 241 del 3 giugno 1992, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma: a) nella parte in cui, nei casi previsti dall'art. 516 c.p.p., non consente al pubblico ministero e alle parti private diverse dall'imputato di chiedere l'ammissione di nuove prove; b) dell'inciso «a norma dell'art. 507». (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 50 del 20 febbraio 1995, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui, in caso di nuova contestazione effettuata a norma dell'art. 517 c.p.p., non consente al pubblico ministero e alle parti private diverse dall'imputato di chiedere l'ammissione di nuove prove. (3) Sulla possibilità di una tardiva costituzione di parte civile in relazione alle imputazioni contestate suppletivamente si veda Corte cost. 3 aprile 1996, n. 98.

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1416

520. Nuove contestazioni all'imputato [contumace o] (1) assente. 1. Quando intende contestare i fatti o le circostanze indicati negli artt. 516 e 517 all'imputato [contumace o] (1) assente (488), il pubblico ministero chiede al presidente che la contestazione sia inserita nel verbale del dibattimento (480 ss.) e che il verbale sia notificato per estratto all'imputato. 2. In tal caso il presidente sospende il dibattimento (477) e fissa una nuova udienza per la prosecuzione, osservando i termini indicati nell'art. 519 commi 2 e 3 (522). (1) Le parole: «contumace o» sono state soppresse dall'art. 10, comma 4, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità.

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521. Correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza. 1. Nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza (5 ss., 23) né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale (33 bis) anziché monocratica (33 ter) (1), [ovvero non risulti tra quelli per i quali è prevista l'udienza preliminare e questa non si sia tenuta] (2). 2. Il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli artt. 516, 517 e 518 comma 2 (522). 3. Nello stesso modo il giudice procede se il pubblico ministero ha effettuato una nuova contestazione fuori dei casi previsti dagli artt. 516, 517 e 518 comma 2. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 188 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Si riporta il testo previgente: «1. Nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza». (2) Le parole da: «, ovvero non risulti ...» fino alla fine del comma, sono state aggiunte dall'art. 47, comma 6, della L. 16 dicembre 1999, n. 479 e poi soppresse dall'art. 2 undecies del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144.

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1419

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521 bis. (1) Modifiche della composizione del giudice a seguito di nuove contestazioni. 1. Se, in seguito ad una diversa definizione giuridica o alle contestazioni previste dagli articoli 516, comma 1 bis e 1 ter, 517, comma 1 bis, e 518, il reato risulta tra quelli attribuiti alla cognizione del tribunale per cui è prevista l'udienza preliminare e questa non si è tenuta, il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero (2). 2. L'inosservanza della disposizione prevista dal comma 1 deve essere eccepita, a pena di decadenza, nei motivi di impugnazione (581). (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 189 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 47, comma 7, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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522. Nullità della sentenza per difetto di contestazione. 1. L'inosservanza delle disposizioni previste in questo capo è causa di nullità (177 ss.). 2. La sentenza di condanna (533) pronunciata per un fatto nuovo, per un reato concorrente o per una circostanza aggravante senza che siano state osservate le disposizioni degli articoli precedenti è nulla soltanto nella parte relativa al fatto nuovo, al reato concorrente o alla circostanza aggravante (604, 606, lett. c). Vai alla dottrina     ↓

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Capo V. DISCUSSIONE FINALE.

523. Svolgimento della discussione. 1. Esaurita l'assunzione delle prove (496 ss.), il pubblico ministero e successivamente i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato (96, 97, 100) formulano e illustrano le rispettive conclusioni, anche in ordine alle ipotesi previste dall'articolo 533, comma 3 bis (1). 2. La parte civile (76) presenta conclusioni scritte, che devono comprendere, quando sia chiesto il risarcimento dei danni, anche la determinazione del loro ammontare. 3. Il presidente dirige la discussione e impedisce ogni divagazione, ripetizione e interruzione. 4. Il pubblico ministero e i difensori delle parti private possono replicare; la replica è ammessa una sola volta e deve essere contenuta nei limiti strettamente necessari per la confutazione degli argomenti avversari. 5. In ogni caso l'imputato e il difensore devono avere, a pena di nullità (181), la parola per ultimi se la domandano (4753). 6. La discussione non può essere interrotta per l'assunzione di nuove prove, se non in caso di assoluta necessità. Se questa si verifica, il giudice provvede a norma dell'art. 507. (1) Le parole: «, anche in ordine alle ipotesi previste dall'articolo 533, comma 3 bis» sono state aggiunte dall'art. 4, comma 1 bis, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000.

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524. Chiusura del dibattimento. 1. Esaurita la discussione, il presidente dichiara chiuso il dibattimento. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo III. SENTENZA. Vai alla dottrina     ↓

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Capo I. DELIBERAZIONE.

525. Immediatezza della deliberazione. 1. La sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento (524). 2. Alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta (179), gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. Se alla deliberazione devono concorrere i giudici supplenti in sostituzione dei titolari impediti, i provvedimenti già emessi conservano efficacia se non sono espressamente revocati. 3. Salvo quanto previsto dall'art. 528, la deliberazione non può essere sospesa se non in caso di assoluta impossibilità. La sospensione è disposta dal presidente con ordinanza (125). Vai alla dottrina     ↓

1429

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1430

526. Prove utilizzabili ai fini della deliberazione. 1. Il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento (496 ss.). 1 bis. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore (1) (2). (1) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 19 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo. (2) Si vedano i commi 4 e 5 dell'art. 26 della L. 1 marzo 2001, n. 63, sul giusto processo, che così dispongono: «4. Quando le dichiarazioni di cui al comma 3 sono state rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del difensore, si applica la disposizione del comma 2 dell'articolo 1 del decreto legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000, n. 35, soltanto se esse siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio 2000. Se sono state acquisite successivamente, si applica il comma 1 bis dell'articolo 526 del codice di procedura penale, come introdotto dall'articolo 19 della presente legge. «5. Alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento, e già valutate ai fini delle decisioni, si applicano nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione le disposizioni vigenti in materia di valutazione della prova al momento delle decisioni stesse».

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1432

527. Deliberazione collegiale. 1. Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide separatamente le questioni preliminari (491) non ancora risolte e ogni altra questione relativa al processo. Qualora l'esame del merito non risulti precluso dall'esito della votazione, sono poste in decisione le questioni di fatto e di diritto concernenti l'imputazione e, se occorre, quelle relative all'applicazione delle pene (533) e delle misure di sicurezza (199 ss. c.p.) nonché quelle relative alla responsabilità civile (538). 2. Tutti i giudici enunciano le ragioni della loro opinione e votano su ciascuna questione qualunque sia stato il voto espresso sulle altre. Il presidente raccoglie i voti cominciando dal giudice con minore anzianità di servizio e vota per ultimo. Nei giudizi davanti alla corte di assise votano per primi i giudici popolari, cominciando dal meno anziano per età. 3. Se nella votazione sull'entità della pena o della misura di sicurezza si manifestano più di due opinioni, i voti espressi per la pena o la misura di maggiore gravità si riuniscono a quelli per la pena o la misura gradatamente inferiore, fino a che venga a risultare la maggioranza. In ogni altro caso, qualora vi sia parità di voti, prevale la soluzione più favorevole all'imputato. Vai alla dottrina     ↓

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528. Lettura del verbale in camera di consiglio. 1. Qualora sia necessaria la lettura del verbale di udienza (480) redatto con la stenotipia ovvero l'ascolto o la visione di riproduzioni fonografiche o audiovisive di atti del dibattimento, il giudice sospende la deliberazione e procede in camera di consiglio alle operazioni necessarie, con l'assistenza dell'ausiliario (126) ed eventualmente del tecnico incaricato della documentazione. Vai alla dottrina     ↓

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Capo II. DECISIONE. Sezione I. SENTENZA DI PROSCIOGLIMENTO.

529. Sentenza di non doversi procedere. 1. Se l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita (336 ss., 649), il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere indicandone la causa nel dispositivo. 2. Il giudice provvede nello stesso modo quando la prova dell'esistenza di una condizione di procedibilità è insufficiente o contraddittoria. Vai alla dottrina     ↓

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1437

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1438

530. (1) Sentenza di assoluzione. 1. Se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile (85 ss. c.p.) o non punibile per un'altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo. 2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile. 3. Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione (50 ss. c.p.) o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a norma del comma 1. 4. Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza (300, 579; 199 ss. c.p.). (1) L'art. 21, comma 2 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, ha previsto che il provvedimento di archiviazione o la sentenza irrevocabile che esclude la rilevanza penale del fatto sono comunicati all'ufficio competente; alla comunicazione provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi.

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1440

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1441

531. Dichiarazione di estinzione del reato. 1. Salvo quanto disposto dall'art. 129 comma 2, il giudice, se il reato è estinto (150 ss. c.p.), pronuncia sentenza di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo (469). 2. Il giudice provvede nello stesso modo quando vi è dubbio sull'esistenza di una causa di estinzione del reato. Vai alla dottrina     ↓

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1443

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1444

532. Provvedimenti sulle misure cautelari personali. 1. Con la sentenza di proscioglimento, il giudice ordina la liberazione dell'imputato in stato di custodia cautelare (284, 285, 286) e dichiara la cessazione delle altre misure cautelari personali (300, 306) eventualmente disposte (281-283, 287-290). 2. La stessa disposizione si applica nel caso di sentenza di condanna che concede la sospensione condizionale della pena (163 c.p.). Vai alla dottrina     ↓

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Sezione II. SENTENZA DI CONDANNA.

533. Condanna dell'imputato.(1) 1. Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza (2). 2. Se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene (71 ss. c.p.) o sulla continuazione (81 c.p.). Nei casi previsti dalla legge il giudice dichiara il condannato delinquente o contravventore abituale o professionale o per tendenza (102 ss. c.p.). 3. Quando il giudice ritiene di dover concedere la sospensione condizionale della pena (163 c.p.) o la non menzione della condanna (175 c.p.) nel certificato del casellario giudiziale, provvede in tal senso con la sentenza di condanna. 3 bis. Quando la condanna riguarda procedimenti per i delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), anche se connessi ad altri reati, il giudice può disporre, nel pronunciare la sentenza, la separazione dei procedimenti anche con riferimento allo stesso condannato quando taluno dei condannati si trovi in stato di custodia cautelare e, per la scadenza dei termini e la mancanza di altri titoli, sarebbe rimesso in libertà (3). (1) Contenuti ulteriori della sentenza di condanna sono previsti da specifica normativa: privazione dei diritti elettorali e pubblici nonché cessazione dell'efficacia della registrazione della stampa (artt. 5 comma 2 e 8 comma 3 della L. 20 giugno 1952, n. 645, sul partito fascista); demolizione delle opere abusive (art. 31, comma 9, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380); divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche e obbligo di presentarsi durante lo svolgimento delle competizioni (art. 6 comma 7 della L. 13 dicembre 1989, n. 401); divieto di espatrio e ritiro della patente di guida (art. 85, T.U. 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di stupefacenti); sanzioni amministrative pecuniarie e sanzioni amministrative accessorie (art. 222 comma 1 del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285 c.s.); modalità di svolgimento della attività non retribuita (art. 2 comma 1 del D.M. 4 agosto 1994, n. 569, in materia di discriminazione e genocidio); comunicazione alla Consob della sentenza (art. 179 del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58). (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 5 della L. 20 febbraio 2006, n. 46. Si veda l'art. 10 della medesima legge, di cui si riporta il testo: «10. 1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima. «2. L'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della presente legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile (*)(**)(***). «3. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità di cui al comma 2 può essere proposto ricorso per cassazione contro le sentenze di primo grado. «4. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte di assise di appello o di una corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione.

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«5. Nei limiti delle modificazioni apportate dall'articolo 8 della presente legge possono essere presentati i motivi di cui all'articolo 585, comma 4, del codice di procedura penale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». (*) La Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 6 febbraio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile. (**) La Corte costituzionale, con sentenza n. 320 del 20 luglio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto dal pubblico ministero, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, contro una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato, è dichiarato inammissibile. (***) La Corte costituzionale, con sentenza n. 85 del 4 aprile 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto prima dell'entrata in vigore della medesima legge dall'imputato, a norma dell'art. 593 c.p.p., contro una sentenza di proscioglimento, relativa a reato diverso dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, sia dichiarato inammissibile. (3) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 4, comma 1, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000.

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1447

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1448

534. Condanna del civilmente obbligato per la pena pecuniaria. 1. Nei casi previsti dagli artt. 196 e 197 del codice penale e nelle leggi speciali, il giudice condanna la persona civilmente obbligata (89) a pagare, se il condannato risulterà insolvibile, una somma pari alla pena pecuniaria a questo inflitta (4602, 5752). Vai alla dottrina     ↓

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535. Condanna alle spese. 1. La sentenza di condanna pone a carico del condannato il pagamento delle spese processuali [relative ai reati cui la condanna si riferisce (691)] (1). 2. I condannati per lo stesso reato o per reati connessi (12) sono obbligati in solido al pagamento delle spese. I condannati in uno stesso giudizio per reati non connessi sono obbligati in solido alle sole spese comuni relative ai reati per i quali è stata pronunciata condanna (2). 3. Sono poste a carico del condannato le spese di mantenimento durante la custodia cautelare (285), a norma dell'art. 692. 4. Qualora il giudice non abbia provveduto circa le spese, la sentenza è rettificata a norma dell'art. 130. (1) Le parole poste fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 67, comma 2, lett. a), della L. 18 giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009. (2) Questo comma è stato abrogato dall'art. 67, comma 2, lett. b), della L. 18 giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009.

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1451

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1452

536. Pubblicazione della sentenza come effetto della condanna. 1. Nei casi previsti dall'art. 36 del codice penale, il giudice stabilisce nel dispositivo se la sentenza deve essere pubblicata per intero o per estratto e designa il giornale o i giornali in cui deve essere inserita (694) (1) (2). (1) Le sentenze soggette a forme di pubblicità particolare vanno redatte, a cura dell'ufficio, in lingua tedesca o ladina, oltre che in italiano (artt. 27 e 32 del D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, come modificato con D.L.vo 29 maggio 2001, n. 283). (2) L'art. 12 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, ricollega alla condanna per un delitto tributario previsto dal decreto stesso, la pubblicazione della sentenza a norma dell'art. 36 c.p.

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1453

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1454

537. Pronuncia sulla falsità di documenti. 1. La falsità di un atto o di un documento, accertata con sentenza di condanna, è dichiarata nel dispositivo (241, 675). 2. Con lo stesso dispositivo è ordinata la cancellazione totale o parziale, secondo le circostanze e, se è il caso, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma dell'atto o del documento, con la prescrizione del modo con cui deve essere eseguita. La cancellazione, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma non è ordinata quando possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento. 3. La pronuncia sulla falsità è impugnabile, anche autonomamente, con il mezzo previsto dalla legge per il capo che contiene la decisione sull'imputazione (568). 4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche nel caso di sentenza di proscioglimento (425). Vai alla dottrina     ↓

1455

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537 bis. (1) Indegnità a succedere. 1. Quando pronuncia sentenza di condanna per uno dei fatti previsti dall'articolo 463 del codice civile, il giudice dichiara l'indegnità dell'imputato a succedere. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall'art. 5, comma 2, della L. 11 gennaio 2018, n. 4.

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Sezione III. DECISIONE SULLE QUESTIONI CIVILI.

538. Condanna per la responsabilità civile. 1. Quando pronuncia sentenza di condanna (533), il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta a norma degli artt. 74 e seguenti. 2. Se pronuncia condanna dell'imputato al risarcimento del danno, il giudice provvede altresì alla liquidazione, salvo che sia prevista la competenza di altro giudice. 3. Se il responsabile civile è stato citato (83) o è intervenuto (85) nel giudizio, la condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno è pronunciata anche contro di lui in solido, quando è riconosciuta la sua responsabilità (574 ss.). Vai alla dottrina     ↓

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539. Condanna generica ai danni e provvisionale. 1. Il giudice, se le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno (5382), pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile. 2. A richiesta della parte civile (76), l'imputato e il responsabile civile (83 ss.) sono condannati al pagamento di una provvisionale nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova (5402). 2 bis. Nel caso di cui al comma 1, quando si procede per l'omicidio del coniuge, anche legalmente separato o divorziato, dell'altra parte dell'unione civile, anche se l'unione civile è cessata, o della persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza, il giudice, rilevata la presenza di figli della vittima minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti, costituiti come parte civile, provvede, anche d'ufficio, all'assegnazione di una provvisionale in loro favore, in misura non inferiore al 50 per cento del presumibile danno, da liquidare in separato giudizio civile; nel caso vi siano beni dell'imputato già sottoposti a sequestro conservativo, in deroga all'articolo 320, comma 1, il sequestro si converte in pignoramento con la sentenza di condanna in primo grado, nei limiti della provvisionale accordata (1). (1) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 4, comma 1, della L. 11 gennaio 2018, n. 4.

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1462

540. Provvisoria esecuzione delle disposizioni civili. 1. La condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno (538) è dichiarata provvisoriamente esecutiva, a richiesta della parte civile, quando ricorrono giustificati motivi (coord. 213). 2. La condanna al pagamento della provvisionale (539) è immediatamente esecutiva. Vai alla dottrina     ↓

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541. Condanna alle spese relative all'azione civile. 1. Con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno (538), il giudice condanna l'imputato (60) e il responsabile civile (83 ss.) in solido al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile (751), salvo che ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale (att. 153). 2. Con la sentenza che rigetta la domanda indicata nel comma 1 o che assolve l'imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità (530), il giudice, se ne è fatta richiesta, condanna la parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato e dal responsabile civile per effetto dell'azione civile, sempre che non ricorrano giustificati motivi per la compensazione totale o parziale. Se vi è colpa grave, può inoltre condannarla al risarcimento dei danni causati all'imputato o al responsabile civile (574 ss.). Vai alla dottrina     ↓

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1466

542. Condanna del querelante alle spese e ai danni. 1. Nel caso di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso, quando si tratta di reato perseguibile a querela (336 ss.), si applicano le disposizioni dell'art. 427 per ciò che concerne la condanna del querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato (691) nonché alla rifusione delle spese e al risarcimento del danno in favore dell'imputato e del responsabile civile (574 ss.). 2. L'avviso del deposito della sentenza è notificato al querelante. Vai alla dottrina     ↓

1467

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1468

543. Ordine di pubblicazione della sentenza come riparazione del danno. 1. La pubblicazione della sentenza di condanna a norma dell'art. 186 del codice penale è ordinata dal giudice su richiesta della parte civile (76) con la stessa sentenza. 2. La pubblicazione ha luogo a spese del condannato e, se del caso, anche del responsabile civile (83 ss.), per una o due volte, per estratto o per intero, in giornali indicati dal giudice. 3. Se l'inserzione non avviene nel termine stabilito dal giudice con la sentenza, la parte civile può provvedervi direttamente con diritto a ripetere le spese dall'obbligato (536, 694). Vai alla dottrina     ↓

1469

Capo III. ATTI SUCCESSIVI

ALLA DELIBERAZIONE.

544. Redazione della sentenza. 1. Conclusa la deliberazione (525 ss.), il presidente redige e sottoscrive il dispositivo. Subito dopo è redatta una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza è fondata. 2. Qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi in camera di consiglio, vi si provvede non oltre il quindicesimo (1) giorno da quello della pronuncia (548, 585; att. 154). 3. Quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa per il numero delle parti o per il numero e la gravità delle imputazioni, il giudice, se ritiene di non poter depositare la sentenza nel termine previsto dal comma 2, può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia (548, 585; att. 154). 3 bis. Nelle ipotesi previste dall'articolo 533, comma 3 bis, il giudice provvede alla stesura della motivazione per ciascuno dei procedimenti separati, accordando precedenza alla motivazione della condanna degli imputati in stato di custodia cautelare. In tal caso il termine di cui al comma 3 è raddoppiato per la motivazione della sentenza cui non si è accordata precedenza (2). (1) L'originario termine di trenta giorni è stato ridotto a quindici dall'art. 6 del D.L. 1 marzo 1991, n. 60, convertito con modificazioni dalla L. 22 aprile 1991, n. 133, recante modifiche in tema di durata della custodia cautelare. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 4, comma 2, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000.

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1470

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1471

545. Pubblicazione della sentenza. 1. La sentenza è pubblicata in udienza dal presidente o da un giudice del collegio mediante la lettura del dispositivo. 2. La lettura della motivazione redatta a norma dell'art. 544 comma 1 segue quella del dispositivo e può essere sostituita con un'esposizione riassuntiva. 3. La pubblicazione prevista dal comma 2 equivale a notificazione della sentenza per le parti che sono o devono considerarsi presenti all'udienza (4752, 4872, 488). Vai alla dottrina     ↓

1472

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1473

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1474

546. Requisiti della sentenza. 1. La sentenza contiene: a) l'intestazione «in nome del popolo italiano» e l'indicazione dell'autorità che l'ha pronunciata; b) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private (76, 83, 89); c) l' imputazione (429, 450, 456, 516 ss., 555); d) l'indicazione delle conclusioni delle parti; e) la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e con l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo: 1) all'accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all'imputazione e alla loro qualificazione giuridica; 2) alla punibilità e alla determinazione della pena, secondo le modalità stabilite dal comma 2 dell'articolo 533, e della misura di sicurezza; 3) alla responsabilità civile derivante dal reato; 4) all'accertamento dei fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali (1). f) il dispositivo, con l'indicazione degli articoli di legge applicati; g) la data e la sottoscrizione del giudice. 2. La sentenza emessa dal giudice collegiale è sottoscritta dal presidente e dal giudice estensore. Se, per morte o altro impedimento, il presidente non può sottoscrivere, alla sottoscrizione provvede, previa menzione dell'impedimento, il componente più anziano del collegio; se non può sottoscrivere l'estensore, alla sottoscrizione, previa menzione dell'impedimento, provvede il solo presidente (4262, 5676, 6151). 3. Oltre che nel caso previsto dall'art. 125 comma 3, la sentenza è nulla se manca o è incompleto nei suoi elementi essenziali il dispositivo ovvero se manca la sottoscrizione del giudice (181). (1) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 1, comma 52, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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1475

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1476

547. Correzione della sentenza. 1. Fuori dei casi previsti dall'art. 546 comma 3, se occorre completare la motivazione insufficiente ovvero se manca o è incompleto alcuno degli altri requisiti previsti dall'art. 546, si procede anche di ufficio alla correzione della sentenza a norma dell'art. 130. Vai alla dottrina     ↓

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1478

548. Deposito della sentenza.(1) 1. La sentenza è depositata in cancelleria immediatamente dopo la pubblicazione (545) ovvero entro i termini previsti dall'art. 544 commi 2 e 3. Il pubblico ufficiale addetto vi appone la sottoscrizione e la data del deposito. 2. Quando la sentenza non è depositata entro il trentesimo giorno o entro il diverso termine indicato dal giudice a norma dell'art. 544 comma 3, l'avviso di deposito è comunicato al pubblico ministero e notificato (148 ss.) alle parti private cui spetta il diritto di impugnazione. È notificato altresì a chi risulta difensore dell'imputato al momento del deposito della sentenza (att. 653). 3. L'avviso di deposito con l'estratto della sentenza è in ogni caso [notificato all'imputato contumace e] (2) comunicato al procuratore generale presso la corte di appello (5852; att. 232; reg. 23). (1) Nel caso di sentenza non contestualmente motivata e depositata oltre il quindicesimo giorno dalla pronuncia, va comunque notificato alle parti e comunicato al pubblico ministero l'avviso di deposito (Corte cost. 30 luglio 1993, n. 364). (2) Le parole fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 10, comma 5, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità.

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1479

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1480

Libro VIII. PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE

IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA (1). (1) Questo libro è stato così sostituito dall'art. 44 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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1481

Titolo I. DISPOSIZIONE GENERALE.

549. Norme applicabili al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica. 1. Nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, per tutto ciò che non è previsto nel presente libro o in altre disposizioni, si osservano le norme contenute nei libri che precedono, in quanto applicabili. Vai alla dottrina     ↓

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Titolo II. CITAZIONE DIRETTA A GIUDIZIO.

550. Casi di citazione diretta a giudizio. 1. Il pubblico ministero esercita l'azione penale con la citazione diretta a giudizio quando si tratta di contravvenzioni ovvero di delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva (1). Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 415 bis. Per la determinazione della pena si osservano le disposizioni dell'articolo 4. 2. La disposizione del comma 1 si applica anche quando si procede per uno dei seguenti reati: a) violenza o minaccia a un pubblico ufficiale prevista dall'articolo 336 del codice penale; b) resistenza a un pubblico ufficiale prevista dall'articolo 337 del codice penale; c) oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell'articolo 343, secondo comma, del codice penale; d) violazione di sigilli aggravata a norma dell'articolo 349, secondo comma, del codice penale; e) rissa aggravata a norma dell'articolo 588, secondo comma, del codice penale, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime; e bis) lesioni personali stradali, anche se aggravate, a norma dell'articolo 590 bis del codice penale (2); f) furto aggravato a norma dell'articolo 625 del codice penale; g) ricettazione prevista dall'articolo 648 del codice penale. 3. Se il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale con citazione diretta per un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare e la relativa eccezione è proposta entro il termine indicato dall'articolo 491, comma 1, il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero. (1) Le parole: «, anche congiunta a pena pecuniaria» sono state così sostituite dalla attuali: «o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva» dall'art. 2 duodecies del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144. (2) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 1, comma 5, lett. f), della L. 23 marzo 2016, n. 41.

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1484

551. Procedimenti connessi. 1. Nel caso di procedimenti connessi, se la citazione diretta a giudizio è ammessa solo per alcuni di essi, il pubblico ministero presenta per tutti la richiesta di rinvio a giudizio a norma dell'articolo 416. Vai alla dottrina     ↓

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552. Decreto di citazione a giudizio. 1. Il decreto di citazione a giudizio contiene: a) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private, con l'indicazione dei difensori; b) l'indicazione della persona offesa, qualora risulti identificata; c) l'enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge; d) l'indicazione del giudice competente per il giudizio nonché del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia; e) l'avviso che l'imputato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore di ufficio; f) l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può presentare le richieste previste dagli articoli 438 e 444 ovvero presentare domanda di oblazione; g) l'avviso che il fascicolo relativo alle indagini preliminari è depositato nella segreteria del pubblico ministero e che le parti e i loro difensori hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia; h) la data e la sottoscrizione del pubblico ministero e dell'ausiliario che lo assiste. 1 bis. Qualora si proceda per taluni dei reati previsti dall'articolo 590, terzo comma, del codice penale e per i reati previsti dall'articolo 590 bis del medesimo codice (1), il decreto di citazione a giudizio deve essere emesso entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari (2). 1 ter. Qualora si proceda per taluni dei reati previsti dall'articolo 590, terzo comma, del codice penale e per i reati previsti dall'articolo 590 bis del medesimo codice (3), la data di comparizione di cui al comma 1, lettera d), è fissata non oltre novanta giorni dalla emissione del decreto (2). 2. Il decreto è nullo se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dalle lettere c), d), e) ed f) del comma 1. Il decreto è altresì nullo se non è preceduto dall'avviso previsto dall'articolo 415 bis, nonché dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'articolo 375, comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini lo abbia richiesto entro il termine di cui al comma 3 del medesimo articolo 415 bis. 3. Il decreto di citazione è notificato all'imputato, al suo difensore e alla parte offesa almeno sessanta giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione. Nei casi di urgenza, di cui deve essere data motivazione, il termine è ridotto a quarantacinque giorni. 4. Il decreto di citazione è depositato dal pubblico ministero nella segreteria unitamente al fascicolo contenente la documentazione, gli atti e le cose indicati nell'articolo 416, comma 2.

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(1) Le parole: «e per i reati previsti dall'articolo 590 bis del medesimo codice» sono state inserite dall'art. 1, comma 5, lett. g), n. 1), della L. 23 marzo 2016, n. 41. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 4, comma 4, della L. 21 febbraio 2006, n. 102. (3) Le parole: «e per i reati previsti dall'articolo 590 bis del medesimo codice» sono state inserite dall'art. 1, comma 5, lett. g), n. 2), della L. 23 marzo 2016, n. 41.

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1487

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1488

553. Trasmissione degli atti al giudice dell'udienza di comparizione in dibattimento. 1. Il pubblico ministero forma il fascicolo per il dibattimento e lo trasmette al giudice con il decreto di citazione immediatamente dopo la notificazione. Vai alla dottrina     ↓

1489

554. Atti urgenti. 1. Il giudice per le indagini preliminari è competente ad assumere gli atti urgenti a norma dell'articolo 467 e provvede sulle misure cautelari fino a quando il decreto, unitamente al fascicolo per il dibattimento, non è trasmesso al giudice a norma dell'articolo 553, comma 1. Vai alla dottrina     ↓

1490

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1491

555. Udienza di comparizione a seguito della citazione diretta. 1. Almeno sette giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione, le parti devono, a pena di inammissibilità, depositare in cancelleria le liste dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell'articolo 210 di cui intendono chiedere l'esame. 2. Prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l'imputato o il pubblico ministero può presentare la richiesta prevista dall'articolo 444, comma 1; l'imputato, inoltre, può richiedere il giudizio abbreviato o presentare domanda di oblazione. 3. Il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, verifica se il querelante è disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione. 4. Se deve procedersi al giudizio, le parti, dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, indicano i fatti che intendono provare e chiedono l'ammissione delle prove; inoltre, le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva. 5. Per tutto ciò che non è espressamente previsto si osservano le disposizioni contenute nel libro settimo, in quanto compatibili. Vai alla dottrina     ↓

1492

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1493

Titolo III. PROCEDIMENTI SPECIALI.

556. Giudizio abbreviato e applicazione della pena su richiesta. 1. Per il giudizio abbreviato e per l'applicazione della pena su richiesta si osservano, rispettivamente, le disposizioni dei titoli I e II del libro sesto, in quanto applicabili. 2. Se manca l'udienza preliminare, si applicano, secondo i casi, le disposizioni degli articoli 555, comma 2, 557 e 558, comma 8. Si osserva altresì, in quanto applicabile, la disposizione dell'articolo 441 bis; nel caso di cui al comma 4 di detto articolo, il giudice, revocata l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato, fissa l'udienza per il giudizio (1). (1) Il secondo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 2 nonies, comma 4, del D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144.

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557. Procedimento per decreto. 1. Con l'atto di opposizione l'imputato chiede al giudice di emettere il decreto di citazione a giudizio ovvero chiede il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena a norma dell'articolo 444 o presenta domanda di oblazione. 2. Nel giudizio conseguente all'opposizione, l'imputato non può chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta, né presentare domanda di oblazione. In ogni caso, il giudice revoca il decreto penale di condanna. 3. Si osservano le disposizioni del titolo V del libro sesto, in quanto applicabili. Vai alla dottrina     ↓

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558. Convalida dell'arresto e giudizio direttissimo. 1. Gli ufficiali o gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto in flagranza o che hanno avuto in consegna l'arrestato lo conducono direttamente davanti al giudice del dibattimento per la convalida dell'arresto e il contestuale giudizio, sulla base della imputazione formulata dal pubblico ministero. In tal caso citano anche oralmente la persona offesa e i testimoni e avvisano il difensore di fiducia o, in mancanza quello designato di ufficio a norma dell'articolo 97, comma 3. 2. Quando il giudice non tiene udienza, gli ufficiali o gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto o che hanno avuto in consegna l'arrestato gliene danno immediata notizia e presentano l'arrestato all'udienza che il giudice fissa entro quarantotto ore dall'arresto. Non si applica la disposizione prevista dall'articolo 386, comma 4. 3. Il giudice al quale viene presentato l'arrestato autorizza l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria a una relazione orale e quindi sente l'arrestato per la convalida dell'arresto. 4. Se il pubblico ministero ordina che l'arrestato in flagranza sia posto a sua disposizione, lo può presentare direttamente all'udienza, in stato di arresto, per la convalida e il contestuale giudizio, entro quarantotto ore dall'arresto. Si applicano al giudizio di convalida le disposizioni dell'art. 391, in quanto compatibili (1). 4 bis. Salvo quanto previsto dal comma 4 ter, nei casi di cui ai commi 2 e 4 il pubblico ministero dispone che l’arrestato sia custodito in uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell’articolo 284. In caso di mancanza, indisponibilità o inidoneità di tali luoghi, o quando essi sono ubicati fuori dal circondario in cui è stato eseguito l’arresto, o in caso di pericolosità dell’arrestato, il pubblico ministero dispone che sia custodito presso idonee strutture nella disponibilità degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto o che hanno avuto in consegna l’arrestato. In caso di mancanza, indisponibilità o inidoneità di tali strutture, o se ricorrono altre specifiche ragioni di necessità o di urgenza, il pubblico ministero dispone con decreto motivato che l’arrestato sia condotto nella casa circondariale del luogo dove l’arresto è stato eseguito ovvero, se ne possa derivare grave pregiudizio per le indagini, presso altra casa circondariale vicina (2). 4 ter. Nei casi previsti dall’articolo 380, comma 2, lettere e bis) ed f), il pubblico ministero dispone che l’arrestato sia custodito presso idonee strutture nella disponibilità degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto o che hanno avuto in consegna l’arrestato. Si applica la disposizione di cui al comma 4 bis, terzo periodo (2). 5. Se l'arresto non è convalidato, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero. Il giudice procede tuttavia a giudizio direttissimo quando l'imputato e il pubblico ministero vi consentono. 6. Se l'arresto è convalidato a norma dei commi precedenti, si procede immediatamente al giudizio. 7. L'imputato ha facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a cinque giorni. Quando l'imputato si avvale di tale facoltà, il dibattimento è sospeso fino all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine.

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8. Subito dopo l'udienza di convalida, l'imputato può formulare richiesta di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta. In tal caso il giudizio si svolge davanti allo stesso giudice del dibattimento. Si applicano le disposizioni dell'articolo 452, comma 2. 9. Il pubblico ministero può, altresì, procedere al giudizio direttissimo nei casi previsti dall'articolo 449, commi 4 e 5. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, nella L. 17 febbraio 2012, n. 9. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 1, lett. b), del D.L. 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, nella L. 17 febbraio 2012, n. 9.

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Titolo IV. DIBATTIMENTO.

559. Dibattimento. 1. Il dibattimento si svolge secondo le norme stabilite per il procedimento davanti al tribunale in composizione collegiale, in quanto applicabili. 2. Anche fuori dei casi previsti dall'articolo 140, il verbale di udienza è redatto soltanto in forma riassuntiva se le parti vi consentono e il giudice non ritiene necessaria la redazione in forma integrale. 3. L'esame diretto e il controesame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici, delle persone indicate nell'articolo 210 e delle parti private sono svolti dal pubblico ministero e dai difensori. Su concorde richiesta delle parti, l'esame può essere condotto direttamente dal giudice sulla base delle domande e contestazioni proposte dal pubblico ministero e dai difensori. 4. In caso di impedimento del giudice, la sentenza è sottoscritta dal presidente del tribunale previa menzione della causa della sostituzione. Vai alla dottrina     ↓

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560. (1) Giudizio abbreviato. 1. Nel corso delle indagini preliminari (326 ss., 551 ss.) ovvero nel termine di quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione a giudizio (5551, lett. e), l'imputato può formulare richiesta di giudizio abbreviato (5668). 2. Sulla richiesta formulata nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero provvede entro cinque giorni e, se presta il consenso, emette decreto di citazione a giudizio e trasmette gli atti al giudice per le indagini preliminari (557; att. 1602, 161). 3. Il decreto di citazione a giudizio contiene le indicazioni previste dall'art. 555 comma 1 lett. a), b), c), f), g), h), nonché l'indicazione del giudice per le indagini preliminari competente per il giudizio e del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione (att. 161). 4. Il decreto di citazione è notificato (148 ss.) all'imputato (60) e alla persona offesa (90, 91) almeno cinque giorni prima della data fissata per l'udienza. Entro il medesimo termine è notificato al difensore dell'imputato avviso della data dell'udienza. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 44 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

561. (1) Udienza per il giudizio abbreviato. 1. L'udienza si svolge in camera di consiglio a norma dell'art. 420. 2. Il giudice sente la persona offesa (90, 91) e l'imputato (60), se comparsi. Successivamente il pubblico ministero e i difensori (96 ss.) formulano e illustrano le rispettive conclusioni utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo depositato a norma dell'art. 554 comma 4. 3. Se il giudice ritiene di potere decidere allo stato degli atti, provvede a norma dell'art. 442. Contro la sentenza può essere proposto appello nei limiti previsti dall'art. 443. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 44 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

562. (1) Trasformazione del rito. 1. Nel corso dell'udienza (561) il giudice, se ritiene di non potere decidere allo stato degli atti, li restituisce al pubblico ministero, il quale contestualmente emette altro decreto di citazione a giudizio fissando l'udienza davanti al giudice del dibattimento per una data non successiva a venti giorni da quella della restituzione degli atti. 2. Il decreto di citazione non contiene le indicazioni previste dall'art. 555 comma 1 lett. e), f) e g). 3. La lettura del decreto equivale a notificazione per le parti presenti (1485). Il decreto è notificato alle parti non presenti almeno cinque giorni prima della data dell'udienza. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 44 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

563. (1) Applicazione della pena su richiesta. 1. Si osservano le disposizioni del titolo II del libro VI, in quanto applicabili.

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2. Se la richiesta è formulata nel corso delle indagini preliminari (326 ss., 551 ss.), il pubblico ministero, entro cinque giorni, esprime consenso o dissenso. Se presta il consenso, formula l'imputazione e trasmette gli atti al giudice per le indagini preliminari (550, lett. b), fissando la data dell'udienza. Del luogo, del giorno e dell'ora dell'udienza è notificato avviso (148 ss.) all'imputato (60), al difensore (96) e alla persona offesa (90, 91) almeno cinque giorni prima (att. 1602). 3. Se non sussistono le condizioni per l'applicazione della pena su richiesta, il giudice e il pubblico ministero provvedono a norma dell'art. 562. 4. Se la richiesta è formulata dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 555 comma 1 lett. e), è competente a decidere il giudice del dibattimento. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 44 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

564. (1) Tentativo di conciliazione. 1. In caso di reati perseguibili a querela (336; 120 c.p.), il pubblico ministero, anche prima di compiere atti di indagine preliminare (358 ss.), può citare il querelante e il querelato a comparire davanti a sè al fine di verificare se il querelante è disposto a rimettere la querela (340) e il querelato ad accettare la remissione, avvertendoli che possono farsi assistere dai difensori (96 ss.). (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 44 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

565. (1) Procedimento per decreto. 1. Si osservano le disposizioni del titolo V del libro VI. 2. Con l'atto di opposizione l'imputato chiede al giudice di emettere decreto che dispone il giudizio (555) ovvero chiede il giudizio abbreviato (560 ss.) o l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 (563; att. 160). (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 44 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

566. (1) Convalida dell'arresto e giudizio direttissimo. 1. Gli ufficiali o gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto in flagranza o che hanno avuto in consegna l'arrestato (379 ss.) lo conducono direttamente davanti al giudice del dibattimento per la convalida dell'arresto (391) e il contestuale giudizio (coord. 233), sulla base della imputazione formulata dal pubblico ministero. In tal caso citano anche oralmente la persona offesa (90, 91) e i testimoni (194 ss.) e avvisano il difensore di fiducia (96) o, in mancanza, quello designato di ufficio a norma dell'art. 97 comma 3 (att. 1622 , 163). 2. Quando il giudice non tiene udienza, gli ufficiali o gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto o che hanno avuto in consegna l'arrestato, gliene danno immediata notizia e presentano l'arrestato all'udienza che il giudice fissa entro quarantotto ore dall'arresto. Non si applica la disposizione prevista dall'art. 386 comma 4. 3. Il giudice al quale viene presentato l'arrestato autorizza l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria a una relazione orale e quindi sente l'arrestato per la convalida dell'arresto.

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4. Se il pubblico ministero ordina che l'arrestato in flagranza sia posto a sua disposizione a norma dell'art. 386, lo può presentare direttamente all'udienza, in stato di arresto, per la convalida e il contestuale giudizio, entro quarantotto ore dall'arresto. Se il giudice non tiene udienza, la fissa, a richiesta del pubblico ministero, al più presto e comunque entro le successive quarantotto ore. Si applicano al giudizio di convalida le disposizioni dell'art. 391, in quanto compatibili (449). 5. Se l'arresto non è convalidato, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero. Il giudice procede tuttavia a giudizio direttissimo quando l'imputato e il pubblico ministero vi consentono. 6. Se l'arresto è convalidato a norma dei commi precedenti, si procede immediatamente al giudizio. 7. L'imputato ha facoltà di richiedere un termine per preparare la difesa non superiore a cinque giorni. Quando l'imputato si avvale di tale facoltà, il dibattimento è sospeso fino all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine (4516). 8. Subito dopo l'udienza di convalida, l'imputato può formulare richiesta di giudizio abbreviato (560) ovvero di applicazione della pena a norma dell'art. 444 (563). In tal caso, se vi è consenso del pubblico ministero, il giudizio si svolge davanti allo stesso giudice del dibattimento. Si applicano le disposizioni dell'art. 452 comma 2. 9. Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, il pubblico ministero procede a norma del titolo II del presente libro (551 ss.). (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 44 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

567. (1) Dibattimento. 1. Il dibattimento si svolge secondo le norme previste dai titoli II e III del libro VII, in quanto applicabili (470 ss.; att. 162). 2. Le liste dei testimoni, periti o consulenti tecnici di cui le parti intendono chiedere l'esame a norma dell'art. 468 devono, a pena di inammissibilità, essere depositate in cancelleria almeno due giorni prima della data fissata per il dibattimento. 3. Anche fuori dei casi previsti dall'art. 140, il verbale di udienza (480) è redatto soltanto in forma riassuntiva se le parti vi consentono. 4. Sull'accordo delle parti, l'esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle parti private può essere condotto dal giudice sulla base delle domande e contestazioni proposte dal pubblico ministero e dai difensori (498, 501, 503). 5. Subito dopo la redazione e la sottoscrizione del dispositivo, il giudice redige anche la motivazione, a meno che questa non risulti di particolare complessità (544). 6. In caso di impedimento del giudice, la sentenza è sottoscritta dal presidente del tribunale [del circondario] previa menzione della causa della sostituzione. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 44 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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Libro IX. IMPUGNAZIONI (1). (1) Per i procedimenti davanti al giudice di pace si vedano gli artt. 36-39 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274.

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Titolo I. DISPOSIZIONI GENERALI.

568. Regole generali. 1. La legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione (591) e determina il mezzo con cui possono essere impugnati (att. 168). 2. Sono sempre soggetti a ricorso per cassazione (111 Cost.), quando non sono altrimenti impugnabili (309 ss.), i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze, salvo quelle sulla competenza che possono dare luogo a un conflitto di giurisdizione o di competenza a norma dell'art. 28. 3. Il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce. Se la legge non distingue tra le diverse parti, tale diritto spetta a ciascuna di esse. 4. Per proporre impugnazione è necessario avervi interesse. 4 bis. Il pubblico ministero propone impugnazione diretta a conseguire effetti favorevoli all'imputato solo con ricorso per cassazione (1). 5. L'impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che l'ha proposta. Se l'impugnazione è proposta a un giudice incompetente, questi trasmette gli atti al giudice competente. (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 1, del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11.

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569. Ricorso immediato per cassazione. 1. La parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado (593) può proporre direttamente ricorso per cassazione (606) (1). 2. Se la sentenza è appellata da una delle altre parti, si applica la disposizione dell'art. 580. Tale disposizione non si applica se, entro quindici giorni dalla notificazione del ricorso (584), le parti che hanno proposto appello dichiarano tutte di rinunciarvi (589) per proporre direttamente ricorso per cassazione. In tale caso, l'appello si converte in ricorso e le parti devono presentare entro quindici giorni dalla dichiarazione suddetta nuovi motivi, se l'atto di appello non aveva i requisiti per valere come ricorso. 3. La disposizione del comma 1 non si applica nei casi previsti dall'art. 606 comma 1 lett. d) ed e). In tali casi, il ricorso eventualmente proposto si converte in appello. 4. Fuori dei casi in cui nel giudizio di appello si sarebbe dovuta annullare la sentenza di primo grado (604), la Corte di cassazione, quando pronuncia l'annullamento con rinvio (623) della sentenza impugnata a norma del comma 1, dispone che gli atti siano trasmessi al giudice competente per l'appello. (1) Per l'impugnabilità della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto pronunciata nei confronti di un minore, si veda l'art. 27, secondo comma, del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni.

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570. Impugnazione del pubblico ministero. 1. Il [procuratore della Repubblica presso la pretura (51, 550), il] (1) procuratore della Repubblica presso il tribunale e il procuratore generale presso la corte di appello possono proporre impugnazione, nei casi stabiliti dalla legge, quali che siano state le conclusioni (523) del rappresentante del pubblico ministero. Salvo quanto previsto dall'articolo 593 bis, comma 2, il procuratore generale (2) può proporre impugnazione nonostante l'impugnazione o l' acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento. 2. L'impugnazione può essere proposta anche dal rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni. 3. Il rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni e che ne fa richiesta nell'atto di appello può partecipare al successivo grado di giudizio quale sostituto del procuratore generale presso la corte di appello. La partecipazione è disposta dal procuratore generale presso la corte di appello qualora lo ritenga opportuno. Gli avvisi spettano in ogni caso al procuratore generale (584). (1) Le parole: «procuratore della Repubblica presso la pretura, il» sono state soppresse dall'art. 200 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (2) Le parole: «Il procuratore generale» sono state così sostituite dalle attuali: «Salvo quanto previsto dall'articolo 593 bis, comma 2, il procuratore generale» dall'art. 1, comma 2, del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11.

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571. Impugnazione dell'imputato.(1) 1. Salvo quanto previsto per il ricorso per cassazione dall'articolo 613, comma 1, (2) l'imputato può proporre impugnazione personalmente o per mezzo di un procuratore speciale (122) nominato anche prima della emissione del provvedimento (att. 166). 2. Il tutore per l'imputato soggetto alla tutela (424 c.c.) e il curatore speciale per l'imputato incapace di intendere o di volere, che non ha tutore (71), possono proporre l'impugnazione che spetta all'imputato. 3. Può inoltre proporre impugnazione il difensore (96) dell'imputato al momento del deposito del provvedimento ovvero il difensore nominato a tal fine. [Tuttavia, contro una sentenza contumaciale (487), il difensore può proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste] (3). 4. L'imputato, nei modi previsti per la rinuncia (589), può togliere effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore (992). Per l'efficacia della dichiarazione nel caso previsto dal comma 2, è necessario il consenso del tutore o del curatore speciale. (1) A norma dell'art. 34 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni, l'esercente la responsabilità genitoriale può proporre l'impugnazione che spetta all'imputato minorenne. (2) Le parole: «Salvo quanto previsto per il ricorso per cassazione dall'articolo 613, comma 1,» sono state premesse dall'art. 1, comma 54, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (3) Le parole riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall'art. 46 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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572. Richiesta della parte civile o della persona offesa. 1. La parte civile (76), la persona offesa (90), anche se non costituita parte civile, e gli enti e le associazioni intervenuti a norma degli artt. 93 e 94, possono presentare richiesta motivata al pubblico ministero di proporre impugnazione a ogni effetto penale. 2. Il pubblico ministero, quando non propone impugnazione, provvede con decreto motivato (125) da notificare al richiedente. Vai alla dottrina     ↓

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573. Impugnazione per i soli interessi civili. 1. L'impugnazione per i soli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale. 2. L'impugnazione per i soli interessi civili non sospende l'esecuzione delle disposizioni penali del provvedimento impugnato (588). Vai alla dottrina     ↓

1518

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574. Impugnazione dell'imputato per gli interessi civili. 1. L'imputato può proporre impugnazione contro i capi della sentenza che riguardano la sua condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno e contro quelli relativi alla rifusione delle spese processuali (535, 538 ss.). 2. L'imputato può altresì proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza di assoluzione relative alle domande da lui proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali (5412, 542). 3. L'impugnazione è proposta col mezzo previsto per le disposizioni penali della sentenza. 4. L'impugnazione dell'imputato contro la pronuncia di condanna penale o di assoluzione estende i suoi effetti alla pronuncia di condanna alle restituzioni, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali, se questa pronuncia dipende dal capo o dal punto impugnato. Vai alla dottrina     ↓

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575. Impugnazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. 1. Il responsabile civile (83) può proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza riguardanti la responsabilità dell'imputato e contro quelle relative alla condanna di questi e del responsabile civile alle restituzioni, al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese processuali (538 ss.). L'impugnazione è proposta col mezzo che la legge attribuisce all'imputato. 2. Lo stesso diritto spetta alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89) nel caso in cui sia stata condannata. 3. Il responsabile civile può altresì proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza di assoluzione relative alle domande proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali (5412, 542). Vai alla dottrina     ↓

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576. Impugnazione della parte civile e del querelante. 1. La parte civile (74 ss.) può proporre impugnazione [, con il mezzo previsto per il pubblico ministero,] (1) (2) contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile (538 ss.) e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio (529 ss.). La parte civile può altresì (3) (2) proporre impugnazione contro la sentenza pronunciata a norma dell'art. 442 quando ha consentito alla abbreviazione del rito. 2. Lo stesso diritto compete al querelante condannato a norma dell'art. 542. (1) Le parole fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 6, comma 1, lett. a), della L. 20 febbraio 2006, n. 46. (2) Si veda l'art. 10 della L. 20 febbraio 2006, n. 46, di cui si riporta il testo: «10. 1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima. «2. L'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della presente legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile (*) (**) (***). «3. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità di cui al comma 2 può essere proposto ricorso per cassazione contro le sentenze di primo grado. «4. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte di assise di appello o di una corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione. «5. Nei limiti delle modificazioni apportate dall'articolo 8 della presente legge possono essere presentati i motivi di cui all'articolo 585, comma 4, del codice di procedura penale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». (*) La Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 6 febbraio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile. (**) La Corte costituzionale, con sentenza n. 320 del 20 luglio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto dal pubblico ministero, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, contro una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato, è dichiarato inammissibile. (***) La Corte costituzionale, con sentenza n. 85 del 4 aprile 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto prima dell'entrata in vigore della medesima legge dall'imputato, a norma dell'art. 593 c.p.p., contro una sentenza di proscioglimento, relativa a reato diverso dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, sia dichiarato inammissibile. (3) Le parole: «Con lo stesso mezzo e negli stessi casi può» sono state così sostituite dalle attuali: «La parte civile può altresì» dall'art. 6, comma 1, lett. b), della L. 20 febbraio 2006, n. 46.

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577. (1) Impugnazione della persona offesa per i reati di ingiuria e diffamazione. 1. La persona offesa costituita parte civile può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro le sentenze di condanna e di proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 9, comma 1, della L. 20 febbraio 2006, n. 46. Si veda l'art. 10 della medesima legge, di cui si riporta il testo: «10. 1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima. «2. L'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della presente legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile (*)(**)(***). «3. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità di cui al comma 2 può essere proposto ricorso per cassazione contro le sentenze di primo grado. «4. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte di assise di appello o di una corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione. «5. Nei limiti delle modificazioni apportate dall'articolo 8 della presente legge possono essere presentati i motivi di cui all'articolo 585, comma 4, del codice di procedura penale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». (*) La Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 6 febbraio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile. (**) La Corte costituzionale, con sentenza n. 320 del 20 luglio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto dal pubblico ministero, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, contro una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato, è dichiarato inammissibile. (***) La Corte costituzionale, con sentenza n. 85 del 4 aprile 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto prima dell'entrata in vigore della medesima legge dall'imputato, a norma dell'art. 593 c.p.p., contro una sentenza di proscioglimento, relativa a reato diverso dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, sia dichiarato inammissibile.

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1526

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1527

578. Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per.prescrizione 1. Quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile (538 ss.), il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia (151 c.p.) o per prescrizione (157 c.p.), decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Vai alla dottrina     ↓

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1530

578 bis. (1) Decisione sulla confisca in casi particolari nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione. 1. Quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell'articolo 240 bis del codice penale e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall'articolo 322 ter del codice penale (2), il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 6, comma 4, del D.L.vo 1 marzo 2018, n. 21. (2) Le parole: «o la confisca prevista dall'articolo 322 ter del codice penale» sono state inserite dall'art. 1, comma 4, lett. f), della L. 9 gennaio 2019, n. 3.

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1531

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1532

579. Impugnazione di sentenze che dispongono misure di sicurezza. 1. Contro le sentenze di condanna (533 ss.), o di proscioglimento (529 ss.) (1) è data impugnazione anche per ciò che concerne le misure di sicurezza (199 ss. c.p.), se l'impugnazione è proposta per un altro capo della sentenza che non riguardi esclusivamente gli interessi civili. 2. L'impugnazione contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le misure di sicurezza (205 c.p.) è proposta a norma dell'art. 680 comma 2. 3. L'impugnazione contro la sola disposizione che riguarda la confisca (240 c.p.) è proposta con gli stessi mezzi previsti per i capi penali. (1) Le parole: «di proscioglimento o di non luogo a procedere» sono state così sostituite dalle attuali: «o di proscioglimento» dall'art. 23, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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1534

580. (1) Conversione del ricorso in appello. 1. Quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi, nel caso in cui sussista la connessione di cui all'articolo 12, il ricorso per cassazione si converte nell'appello. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 7 della L. 20 febbraio 2006, n. 46. Si veda l'art. 10 della medesima legge, di cui si riporta il testo: «10. 1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima. «2. L'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della presente legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile (*) (**) (***). «3. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità di cui al comma 2 può essere proposto ricorso per cassazione contro le sentenze di primo grado. «4. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte di assise di appello o di una corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione. «5. Nei limiti delle modificazioni apportate dall'articolo 8 della presente legge possono essere presentati i motivi di cui all'articolo 585, comma 4, del codice di procedura penale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». (*) La Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 6 febbraio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile. (**) La Corte costituzionale, con sentenza n. 320 del 20 luglio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto dal pubblico ministero, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, contro una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato, è dichiarato inammissibile. (***) La Corte costituzionale, con sentenza n. 85 del 4 aprile 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto prima dell'entrata in vigore della medesima legge dall'imputato, a norma dell'art. 593 c.p.p., contro una sentenza di proscioglimento, relativa a reato diverso dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, sia dichiarato inammissibile.

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1535

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581. (1) Forma dell'impugnazione. 1. L'impugnazione si propone con atto scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo e il giudice che lo ha emesso, con l'enunciazione specifica, a pena di inammissibilità: a) dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione; b) delle prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione; c) delle richieste, anche istruttorie; d) dei motivi, con l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1, comma 55, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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1538

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582. Presentazione dell'impugnazione. 1. Salvo che la legge disponga altrimenti (123), l'atto di impugnazione è presentato personalmente ovvero a mezzo di incaricato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (583). Il pubblico ufficiale addetto vi appone l'indicazione del giorno in cui riceve l'atto e della persona che lo presenta, lo sottoscrive, lo unisce agli atti del procedimento e rilascia, se richiesto, attestazione della ricezione. 2. Le parti private (60, 76, 83, 89) e i difensori (96 ss.) possono presentare l'atto di impugnazione anche nella cancelleria del tribunale (1) o del giudice di pace (2) del luogo in cui si trovano, se tale luogo è diverso da quello in cui fu emesso il provvedimento, ovvero davanti a un agente consolare all'estero. In tali casi, l'atto viene immediatamente trasmesso alla cancelleria del giudice che emise il provvedimento impugnato (591). (1) Le parole: «della pretura» sono state sostituite dalle parole: «del tribunale» dall'art. 201 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (2) Le parole: «o del giudice di pace» sono state inserite dall'art. 45, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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1541

583. Spedizione dell'atto di impugnazione. 1. Le parti e i difensori possono proporre l'impugnazione con telegramma ovvero con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata alla cancelleria indicata nell'art. 582 comma 1. Il pubblico ufficiale addetto allega agli atti la busta contenente l'atto di impugnazione e appone su quest'ultimo l'indicazione del giorno della ricezione e la propria sottoscrizione. 2. L'impugnazione si considera proposta nella data di spedizione della raccomandata o del telegramma. 3. Se si tratta di parti private (60, 76, 83, 89), la sottoscrizione dell'atto deve essere autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata (1) o dal difensore (591; att. 39). (1) Si veda l'art. 21 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, recante testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui si riporta il testo: «21 (R). (Autenticazione delle sottoscrizioni). 1. L'autenticità della sottoscrizione di qualsiasi istanza o dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da produrre agli organi della pubblica amministrazione, nonché ai gestori di servizi pubblici è garantita con le modalità di cui all'art. 38, comma 2 e comma 3. «2. Se l'istanza o la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà è presentata a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1 o a questi ultimi al fine della riscossione da parte di terzi di benefici economici, l'autenticazione è redatta da un notaio, cancelliere, segretario comunale, dal dipendente addetto a ricevere la documentazione o altro dipendente incaricato dal Sindaco; in tale ultimo caso, l'autenticazione è redatta di seguito alla sottoscrizione e il pubblico ufficiale, che autentica, attesta che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, previo accertamento dell'identità del dichiarante, indicando le modalità di identificazione, la data ed il luogo di autenticazione, il proprio nome, cognome e la qualifica rivestita, nonché apponendo la propria firma e il timbro dell'ufficio».

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1542

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1543

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1544

584. Notificazione della impugnazione. 1. A cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, l'atto di impugnazione è comunicato al pubblico ministero presso il medesimo giudice ed è notificato alle parti private senza ritardo (1485, 595; att. 164, 165, 166). Vai alla dottrina     ↓

1545

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1546

585. Termini per l'impugnazione. 1. Il termine per proporre impugnazione, per ciascuna delle parti, è: a) di quindici giorni, per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio (127) e nel caso previsto dall'art. 544 comma 1; b) di trenta giorni, nel caso previsto dall'art. 544 comma 2; c) di quarantacinque giorni, nel caso previsto dall'art. 544 comma 3. 2. I termini previsti dal comma 1 decorrono: a) dalla notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito del provvedimento emesso in seguito a procedimento in camera di consiglio (128); b) dalla lettura del provvedimento in udienza, quando è redatta anche la motivazione, per tutte le parti che sono state o che debbono considerarsi presenti nel giudizio, anche se non sono presenti alla lettura (545); c) dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza (548) ovvero nel caso previsto dall'art. 548 comma 2, dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell'avviso di deposito; d) dal giorno in cui è stata eseguita [la notificazione o] (1) la comunicazione dell'avviso di deposito con l'estratto del provvedimento (548), [per l'imputato contumace e] (1) per il procuratore generale presso la corte di appello rispetto ai provvedimenti emessi in udienza da qualsiasi giudice della sua circoscrizione diverso dalla corte di appello. 3. Quando la decorrenza è diversa per l'imputato e per il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo. 4. Fino a quindici giorni prima dell'udienza possono essere presentati nella cancelleria del giudice della impugnazione motivi nuovi nel numero di copie necessarie per tutte le parti (611; att. 167). L'inammissibilità dell'impugnazione si estende ai motivi nuovi. 5. I termini previsti dal presente articolo sono stabiliti a pena di decadenza (173, 591; att. 99). (1) Le parole fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 11, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità.

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1547

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1548

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1549

586. Impugnazione di ordinanze emesse nel dibattimento. 1. Quando non è diversamente stabilito dalla legge, l'impugnazione contro le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari (465 ss.) ovvero nel dibattimento (470 ss.) può essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l'impugnazione contro la sentenza. L'impugnazione è tuttavia ammissibile anche se la sentenza è impugnata soltanto per connessione con l'ordinanza. 2. L'impugnazione dell'ordinanza è giudicata congiuntamente a quella contro la sentenza, salvo che la legge disponga altrimenti. 3. Contro le ordinanze in materia di libertà personale (292, 299, 304 ss., 309 ss.) è ammessa l'impugnazione immediata, indipendentemente dall'impugnazione contro la sentenza (591). Vai alla dottrina     ↓

1550

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1551

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1552

587. Estensione dell'impugnazione. 1. Nel caso di concorso di più persone in uno stesso reato (12; 110 c.p.), l'impugnazione proposta da uno degli imputati, purché non fondata su motivi esclusivamente personali, giova anche agli altri imputati (5953, 601). 2. Nel caso di riunione di procedimenti (17) per reati diversi, l'impugnazione proposta da un imputato giova a tutti gli altri imputati soltanto se i motivi riguardano violazioni della legge processuale e non sono esclusivamente personali (5922). 3. L'impugnazione proposta dall'imputato (571, 574) giova anche al responsabile civile (83) e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89). 4. L'impugnazione proposta dal responsabile civile o dalla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (575) giova all'imputato anche agli effetti penali, purché non sia fondata su motivi esclusivamente personali. Vai alla dottrina     ↓

1553

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1554

588. Sospensione della esecuzione. 1. Dal momento della pronuncia, durante i termini per impugnare (585) e fino all'esito del giudizio di impugnazione, l'esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa, salvo che la legge disponga altrimenti (573, 666, 680) (1). 2. Le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale (309 ss.) non hanno in alcun caso effetto sospensivo. (1) A norma dell'art. 41 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni, è escluso l'effetto sospensivo dell'appello contro i provvedimenti del magistrato di sorveglianza per i minorenni, in materia di misure di sicurezza, salva diversa disposizione del tribunale per i minorenni.

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1555

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1556

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1557

589. Rinuncia all'impugnazione. 1. Il pubblico ministero presso il giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato può rinunciare alla impugnazione da lui proposta (570) fino all'apertura del dibattimento (492, 602, 614). Successivamente la dichiarazione di rinuncia può essere effettuata prima dell'inizio della discussione dal pubblico ministero presso il giudice della impugnazione, anche se l'impugnazione stessa è stata proposta da altro pubblico ministero. 2. Le parti private (60, 76, 83, 89) possono rinunciare all'impugnazione anche per mezzo di procuratore speciale (122). 3. La dichiarazione di rinuncia (569, 591) è presentata a uno degli organi competenti a ricevere l'impugnazione nelle forme e nei modi previsti dagli artt. 581, 582 e 583 ovvero, in dibattimento, prima dell'inizio della discussione. 4. Quando l'impugnazione è trattata e decisa in camera di consiglio (428, 599, 611), la dichiarazione di rinuncia può essere effettuata, prima dell'udienza, dal pubblico ministero che ha proposto l'impugnazione e, successivamente, dal pubblico ministero presso il giudice dell'impugnazione, anche se la stessa è stata proposta da altro pubblico ministero. Vai alla dottrina     ↓

1558

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1559

590. Trasmissione di atti in seguito all'impugnazione. 1. Al giudice della impugnazione sono trasmessi senza ritardo il provvedimento impugnato, l'atto di impugnazione (581) e gli atti del procedimento (reg. 15). Vai alla dottrina     ↓

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591.

Inammissibilità

dell'impugnazione. 1.

L'impugnazione

è

inammissibile (568): a) quando è proposta da chi non è legittimato o non ha interesse; b) quando il provvedimento non è impugnabile; c) quando non sono osservate le disposizioni degli artt. 581, 582, 583, 585 e 586; d) quando vi è rinuncia all'impugnazione (589). 2. Il giudice dell'impugnazione, anche di ufficio, dichiara con ordinanza (125) l'inammissibilità e dispone l'esecuzione del provvedimento impugnato. 3. L'ordinanza è notificata (148 ss.) a chi ha proposto l'impugnazione ed è soggetta a ricorso per cassazione (606). Se l'impugnazione è stata proposta personalmente dall'imputato (571), l'ordinanza è notificata anche al difensore (96, 97). 4. L'inammissibilità, quando non è stata rilevata a norma del comma 2, può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento. Vai alla dottrina     ↓

1561

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1562

592. Condanna alle spese nei giudizi di impugnazione. 1. Con il provvedimento che rigetta o dichiara inammissibile l'impugnazione (605, 616, 634, 637), la parte privata che l'ha proposta è condannata alle spese del procedimento (535). 2. I coimputati che hanno partecipato al giudizio a norma dell'art. 587 sono condannati alle spese in solido con l'imputato che ha proposto l'impugnazione. 3. L'imputato che nel giudizio di impugnazione riporta condanna penale è condannato alle spese dei precedenti giudizi, anche se in questi sia stato prosciolto. 4. Nei giudizi di impugnazione per i soli interessi civili, la parte privata soccombente è condannata alle spese (573). Vai alla dottrina     ↓

1563

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1564

Titolo II. APPELLO. Vai alla dottrina     ↓

1565

593. (1) (2) (3) Casi di appello. 1. Salvo quanto previsto dagli articoli 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680, l'imputato può appellare contro le sentenze di condanna mentre il pubblico ministero può appellare contro le medesime sentenze solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato (4). 2. Il pubblico ministero può appellare contro le sentenze di proscioglimento. L'imputato può appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse al termine del dibattimento, salvo che si tratti di sentenze di assoluzione perchè il fatto non sussiste o perchè l'imputato non lo ha commesso (4). 3. Sono in ogni caso (5) inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda e le sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa (6). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1 della L. 20 febbraio 2006, n. 46. Si veda l'art. 10 della medesima legge, di cui si riporta il testo: «10. 1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima. «2. L'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della presente legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile (*)(**)(***). «3. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità di cui al comma 2 può essere proposto ricorso per cassazione contro le sentenze di primo grado. «4. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte di assise di appello o di una corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione. «5. Nei limiti delle modificazioni apportate dall'articolo 8 della presente legge possono essere presentati i motivi di cui all'articolo 585, comma 4, del codice di procedura penale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». (*) La Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 6 febbraio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile. (**) La Corte costituzionale, con sentenza n. 320 del 20 luglio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto dal pubblico ministero, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, contro una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato, è dichiarato inammissibile. (***) La Corte costituzionale, con sentenza n. 85 del 4 aprile 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto prima dell'entrata in vigore della medesima legge dall'imputato, a norma dell'art. 593 c.p.p., contro una sentenza di proscioglimento, relativa a reato diverso dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, sia dichiarato inammissibile. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 6 febbraio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della L. 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui, sostituendo questo articolo, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603, comma 2, c.p.p, se la nuova prova è decisiva.

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(3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 85 del 4 aprile 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della L. 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui, sostituendo questo articolo, esclude che l'imputato possa appellare contro le sentenze di proscioglimento relative a reati diversi dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva. (4) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11. (5) Le parole: «in ogni caso» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11. (6) Le parole: «e le sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11.

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1567

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1568

593 bis. (1) Appello del pubblico ministero. 1. Nei casi consentiti, contro le sentenze del giudice per le indagini preliminari, della corte d'assise e del tribunale può appellare il procuratore della Repubblica presso il tribunale. 2. Il procuratore generale presso la corte d'appello può appellare soltanto nei casi di avocazione o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 3, comma 1, del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11.

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1569

594. (1) Appello del pubblico ministero. 1. Nei casi consentiti, contro le sentenze del giudice per le indagini preliminari, della corte di assise e del tribunale possono appellare il procuratore generale presso la corte di appello e il procuratore della Repubblica presso il tribunale; contro le sentenze del giudice per le indagini preliminari presso la pretura e contro le sentenze del pretore possono appellare il procuratore generale presso la corte di appello e il procuratore della Repubblica presso la pretura. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 218 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

595. Appello incidentale. 1. L'imputato che non ha proposto impugnazione può proporre appello incidentale entro quindici giorni da quello in cui ha ricevuto la notificazione prevista dall'art. 584 (1). 2. L'appello incidentale è proposto, presentato e notificato a norma degli artt. 581, 582, 583 e 584. 3. Entro quindici giorni dalla notificazione dell'impugnazione presentata dalle altre parti, l'imputato può presentare al giudice, mediante deposito in cancelleria, memorie o richieste scritte (2). 4. L'appello incidentale perde efficacia in caso di inammissibilità dell'appello principale (591) o di rinuncia allo stesso (589). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. a), del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. b), del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11.

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1570

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1571

596. Giudice competente. 1. Sull'appello proposto contro le sentenze pronunciate dal tribunale (6) decide la corte di appello (1). 2. Sull'appello proposto contro le sentenze della corte di assise decide la corte di assise di appello. 3. Salvo quanto previsto dall'art. 428, sull'appello contro le sentenze pronunciate dal giudice per le indagini preliminari [presso il tribunale] (2), decidono, rispettivamente, la corte di appello e la corte di assise di appello, a seconda che si tratti di reato di competenza del tribunale (6) o della corte di assise (5). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 202, comma 1, lett. a), del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Si riporta il testo previgente: «1. Sull'appello proposto contro le sentenze pronunciate dal tribunale, dal pretore e dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura decide la corte di appello». (2) Le parole: «presso il tribunale» sono state soppresse dall'art. 202, comma 1, lett. b), del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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597. Cognizione del giudice di appello. 1. L'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti (581, lett. c, 5854). 2. Quando appellante è il pubblico ministero: a) se l'appello riguarda una sentenza di condanna (533 ss.), il giudice può, entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di sicurezza (199 ss. c.p.) e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge; b) se l'appello riguarda una sentenza di proscioglimento (529 ss.), il giudice può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nella lett. a) ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata; c) se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi determinati dalla legge, le pene accessorie (28 ss. c.p.) e le misure di sicurezza. 3. Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado. 4. In ogni caso, se è accolto l'appello dell'imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita. 5. Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena (163 c.p.), la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale (175 c.p.) e una o più circostanze attenuanti; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell'art. 69 del codice penale. Vai alla dottrina     ↓

1573

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1574

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1575

598. Estensione delle norme sul giudizio di primo grado al giudizio di appello. 1. In grado di appello si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni relative al giudizio di primo grado, salvo quanto previsto dagli articoli seguenti (523 ss.; att. 168). Vai alla dottrina     ↓

1576

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1577

599. Decisioni in camera di consiglio. 1. Quando l'appello ha esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze, o l'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche (62 bis c.p.), di sanzioni sostitutive (1), della sospensione condizionale della pena (163 c.p.) o della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale (175 c.p.), la corte provvede in camera di consiglio con le forme previste dall'art. 127. 2. L'udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell'imputato che ha manifestato la volontà di comparire (1274, 486). 3. Nel caso di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, il giudice assume le prove in camera di consiglio, a norma dell'art. 603, con la necessaria partecipazione del pubblico ministero e dei difensori. Se questi non sono presenti quando è disposta la rinnovazione, il giudice fissa una nuova udienza e dispone che copia del provvedimento sia comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori (148 ss.). 4. La corte, anche al di fuori dei casi di cui al comma 1, provvede in camera di consiglio altresì quando le parti, nelle forme previste dall'articolo 589, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l'accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l'imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d'accordo (2). 5. Il giudice, se ritiene di non potere accogliere, allo stato, la richiesta, ordina la citazione a comparire al dibattimento. In questo caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma possono essere riproposte nel dibattimento (2). (1) Si vedano gli artt. 53 ss. della L. 24 novembre 1981, n. 689, recante modifiche al sistema penale. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1 della L. 19 gennaio 1999, n. 14 e poi abrogato dall'art. 2, comma 1, lett. i), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125.

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1578

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1579

599 bis. (1)(2) Concordato anche con rinuncia ai motivi di appello. 1. La corte provvede in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall'articolo 589, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l'accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l'imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d'accordo. 2. Sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater, i procedimenti per i delitti di cui agli articoli 600 bis, 600 ter, primo, secondo, terzo e quinto comma, 600 quater, secondo comma, 600 quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600 quinquies, 609 bis, 609 ter, 609 quater e 609 octies del codice penale, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza. 3. Il giudice, se ritiene di non poter accogliere, allo stato, la richiesta, ordina la citazione a comparire al dibattimento. In questo caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma possono essere riproposte nel dibattimento. 4. Fermo restando quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 53, il procuratore generale presso la corte di appello, sentiti i magistrati dell'ufficio e i procuratori della Repubblica del distretto, indica i criteri idonei a orientare la valutazione dei magistrati del pubblico ministero nell'udienza, tenuto conto della tipologia dei reati e della complessità dei procedimenti. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1, comma 56, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (2) A norma dell'art. 1, comma 72, della L. 23 giugno 2017, n. 103, i presidenti delle corti di appello, con la relazione sull'amministrazione della giustizia prevista dall'articolo 86 dell'ordinamento giudiziario, di cui al R. D. 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, riferiscono dati e valutazioni circa la durata dei giudizi di appello avverso le sentenze di condanna, nonché dati e notizie sull'andamento dei giudizi di appello definiti ai sensi del presente articolo.

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1580

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1581

600. Provvedimenti in ordine all'esecuzione delle condanne civili. 1. Se il giudice di primo grado ha omesso di pronunciare sulla richiesta di provvisoria esecuzione proposta a norma dell'art. 540 comma 1 ovvero l'ha rigettata, la parte civile (76) può riproporla mediante impugnazione della sentenza di primo grado (576) al giudice di appello il quale, a richiesta della parte, provvede con ordinanza in camera di consiglio. 2. Il responsabile civile (83) e l'imputato (60) possono chiedere con le stesse forme la revoca o la sospensione della provvisoria esecuzione. 3. Su richiesta delle stesse parti, il giudice di appello può disporre, con le forme previste dal comma 1, che sia sospesa l'esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale (5392) quando possa derivarne grave e irreparabile danno (1). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 353 del 27 luglio 1994, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che il giudice di appello può disporre la sospensione dell'esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale «quando possa derivarne grave e irreparabile danno», anziché «quando ricorrono gravi motivi».

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1582

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601. Atti preliminari al giudizio. 1. Fuori dei casi previsti dall'art. 591, il presidente ordina senza ritardo la citazione dell'imputato appellante; ordina altresì la citazione dell'imputato non appellante se vi è appello del pubblico ministero (593), se ricorre alcuno dei casi previsti dall'art. 587 o se l'appello è proposto per i soli interessi civili (573). 2. Quando si procede in camera di consiglio a norma dell'art. 599, ne è fatta menzione nel decreto di citazione. 3. Il decreto di citazione per il giudizio di appello contiene i requisiti previsti dall'art. 429 comma 1 lett. a), f), g) nonché l'indicazione del giudice competente. Il termine per comparire non può essere inferiore a venti giorni. 4. È ordinata in ogni caso la citazione del responsabile civile (83), della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89) e della parte civile (76); questa è citata anche quando ha appellato il solo imputato contro una sentenza di proscioglimento. 5. Almeno venti giorni prima della data fissata per il giudizio di appello, è notificato (148 ss.) avviso ai difensori (96 ss.). 6. Il decreto di citazione è nullo se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dall'art. 429 comma 1 lett. f). Vai alla dottrina     ↓

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602. Dibattimento di appello. 1. Nell'udienza, il presidente o il consigliere da lui delegato fa la relazione della causa. 1 bis. Se le parti richiedono concordemente l'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello a norma dell'articolo 599 bis, il giudice, quando ritiene che la richiesta deve essere accolta, provvede immediatamente; altrimenti dispone la prosecuzione del dibattimento. La richiesta e la rinuncia ai motivi non hanno effetto se il giudice decide in modo difforme dall'accordo (1). 2. Se le parti richiedono concordemente l'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello a norma dell'articolo 599, comma 4, il giudice, quando ritiene che la richiesta deve essere accolta, provvede immediatamente; altrimenti dispone per la prosecuzione del dibattimento. La richiesta e la rinuncia ai motivi non hanno effetto se il giudice decide in modo difforme dall'accordo (2). 3. Nel dibattimento può essere data lettura, anche di ufficio, di atti del giudizio di primo grado nonché, entro i limiti previsti dagli artt. 511 ss., di atti compiuti nelle fasi antecedenti. 4. Per la discussione si osservano le disposizioni dell'art. 523. (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 57, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (2) Questo comma è stato dapprima sostituito dall'art. 2 della legge 19 gennaio 1999, n. 14 e successivamente abrogato dall'art. 2, comma 1, lett. l), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125.

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603. (1) Rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. 1. Quando una parte, nell'atto di appello o nei motivi presentati a norma dell'art. 585 comma 4, ha chiesto la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado (496 ss.) o l'assunzione di nuove prove, il giudice, se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. 2. Se le nuove prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nei limiti previsti dall'art. 495 comma 1. 3. La rinnovazione dell'istruzione dibattimentale è disposta di ufficio se il giudice la ritiene assolutamente necessaria (6046). 3 bis. Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (2). 4. Il giudice dispone, altresì, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale quando l'imputato, contumace in primo grado (487), ne fa richiesta e prova di non essere potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore o per non avere avuto conoscenza del decreto di citazione, sempre che in tal caso il fatto non sia dovuto a sua colpa, ovvero, quando l'atto di citazione per il giudizio di primo grado è stato notificato mediante consegna al difensore nei casi previsti dagli artt. 159, 161 comma 4 e 169, non si sia sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti del procedimento (485) (3). 5. Il giudice provvede con ordinanza (125, 586), nel contraddittorio delle parti. 6. Alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, disposta a norma dei commi precedenti, si procede immediatamente. In caso di impossibilità, il dibattimento è sospeso per un termine non superiore a dieci giorni (477). (1) Si veda l'art. 6 della L. 7 agosto 1997, n. 267. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 58, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (3) Questo comma è stato abrogato dall'art. 11, comma 2, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità.

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604. Questioni di nullità. 1. Il giudice di appello, nei casi previsti dall'art. 522, dichiara la nullità in tutto o in parte della sentenza appellata e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, quando vi è stata condanna per un fatto diverso (516) o applicazione di una circostanza (517) aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di una circostanza aggravante ad effetto speciale, sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti (623). 2. Quando sono state ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti o sono state applicate circostanze aggravanti diverse da quelle previste dal comma 1, il giudice di appello esclude le circostanze aggravanti, effettua, se occorre, un nuovo giudizio di comparazione e ridetermina la pena. 3. Quando vi è stata condanna per un reato concorrente (517) o per un fatto nuovo (518), il giudice di appello dichiara nullo il relativo capo della sentenza ed elimina la pena corrispondente, disponendo che del provvedimento sia data notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni. 4. Il giudice di appello, se accerta una delle nullità indicate nell'art. 179, da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio (429, 450, 456, 555) o della sentenza di primo grado, la dichiara con sentenza e rinvia gli atti al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità. Nello stesso modo il giudice provvede se accerta una delle nullità indicate nell'art. 180 che non sia stata sanata (183, 184) e da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado. 5. Se si tratta di altre nullità che non sono state sanate, il giudice di appello può ordinare la rinnovazione degli atti nulli o anche, dichiarata la nullità, decidere nel merito, qualora riconosca che l'atto non fornisce elementi necessari al giudizio. 5 bis. Nei casi in cui si sia proceduto in assenza dell'imputato, se vi è la prova che si sarebbe dovuto provvedere ai sensi dell'articolo 420 ter o dell'articolo 420 quater, il giudice di appello dichiara la nullità della sentenza e dispone il rinvio degli atti al giudice di primo grado. Il giudice di appello annulla altresì la sentenza e dispone la restituzione degli atti al giudice di primo grado qualora l'imputato provi che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo di primo grado. Si applica l'articolo 489, comma 2 (1). 6. Quando il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto (150 ss. c.p.) o che l'azione penale non poteva essere iniziata o proseguita (336 ss., 649), il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo, la rinnovazione del dibattimento e decide nel merito. 7. Quando il giudice di primo grado ha respinto la domanda di oblazione (162, 162 bis c.p.), il giudice di appello, se riconosce erronea tale decisione, accoglie la domanda e sospende il dibattimento fissando un termine massimo non superiore a dieci giorni per il pagamento delle somme dovute (477). Se il pagamento avviene nel termine, il giudice di appello pronuncia sentenza di proscioglimento. 8. Nei casi previsti dal comma 1, se annulla una sentenza della corte di assise o del tribunale collegiale, il giudice di appello dispone la trasmissione degli atti ad altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale ovvero, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini. Se annulla una sentenza del tribunale monocratico o di un giudice

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per le indagini preliminari, dispone la trasmissione degli atti al medesimo tribunale; tuttavia il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata (33 octies, 34) (2). (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 11, comma 3, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 203 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Si riporta il testo previgente: «8. Nei casi previsti dal comma 1, se annulla una sentenza della corte di assise o del tribunale, il giudice di appello dispone la trasmissione degli atti ad altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale ovvero, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini. Se annulla una sentenza di un pretore o di un giudice per le indagini preliminari, dispone la trasmissione degli atti alla medesima pretura o al medesimo tribunale; tuttavia il pretore o il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata».

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605. Sentenza. 1. Fuori dei casi previsti dall'art. 604, il giudice di appello pronuncia sentenza con la quale conferma o riforma la sentenza appellata (592). 2. Le pronunce del giudice di appello sull'azione civile sono immediatamente esecutive. 3. Copia della sentenza di appello, con gli atti del procedimento, è trasmessa senza ritardo, a cura della cancelleria, al giudice di primo grado, quando questi è competente per l'esecuzione (665) e non è stato proposto ricorso per cassazione (606). Vai alla dottrina     ↓

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Titolo III. RICORSO PER CASSAZIONE. Vai alla dottrina     ↓

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Capo I. DISPOSIZIONI GENERALI.

606. Casi di ricorso. 1. Il ricorso per cassazione può essere proposto per i seguenti motivi: a) esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri; b) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale; c) inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (177 ss.), di inutilizzabilità (191), di inammissibilità o di decadenza (173); d) mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell'istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall'articolo 495, comma 2 (1) (2); e) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame (3) (2). 2. Il ricorso, oltre che nei casi e con gli effetti determinati da particolari disposizioni, può essere proposto contro le sentenze pronunciate in grado di appello (605) o inappellabili (593). 2 bis. Contro le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace, il ricorso può essere proposto soltanto per i motivi di cui al comma 1, lettere a), b) e c) (4). 3. Il ricorso è inammissibile se è proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge o manifestamente infondati ovvero, fuori dei casi previsti dagli artt. 569 e 609 comma 2, per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello. (1) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 8, comma 1, lett. a), della L. 20 febbraio 2006, n. 46. (2) Si veda l'art. 10 della L. 20 febbraio 2006, n. 46, di cui si riporta il testo: «10. 1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima. «2. L'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della presente legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile (*)(**)(***). «3. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità di cui al comma 2 può essere proposto ricorso per cassazione contro le sentenze di primo grado. «4. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte di assise di appello o di una corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione. «5. Nei limiti delle modificazioni apportate dall'articolo 8 della presente legge possono essere presentati i motivi di cui all'articolo 585, comma 4, del codice di procedura penale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». (*) La Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 6 febbraio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di

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proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile. (**) La Corte costituzionale, con sentenza n. 320 del 20 luglio 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto dal pubblico ministero, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, contro una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato, è dichiarato inammissibile. (***) La Corte costituzionale, con sentenza n. 85 del 4 aprile 2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede che l'appello proposto prima dell'entrata in vigore della medesima legge dall'imputato, a norma dell'art. 593 c.p.p., contro una sentenza di proscioglimento, relativa a reato diverso dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, sia dichiarato inammissibile. (3) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 8, comma 1, lett. b), della L. 20 febbraio 2006, n. 46. (4) Questo comma è stato inserito dall'art. 5, comma 1, del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11.

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607. Ricorso dell'imputato. 1. L'imputato può ricorrere per cassazione contro la sentenza di condanna o di proscioglimento (574) ovvero contro la sentenza inappellabile di non luogo a procedere (593). 2. Può, inoltre, ricorrere contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le spese processuali (535, 592). Vai alla dottrina     ↓

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608. Ricorso del pubblico ministero. 1. Il procuratore generale presso la corte di appello può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza di condanna o di proscioglimento pronunciata in grado di appello (605) o inappellabile (593). 1 bis. Se il giudice di appello pronuncia sentenza di conferma di quella di proscioglimento, il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell'articolo 606 (1). 2. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza inappellabile, di condanna o di proscioglimento, pronunciata dalla corte di assise, dal tribunale o dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale (443, 4472). 3. Il procuratore della Repubblica presso la pretura può proporre ricorso per cassazione contro ogni sentenza inappellabile, di condanna o di proscioglimento, pronunciata dal pretore o dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura (2). 4. Il procuratore generale e il procuratore della Repubblica presso il tribunale possono anche ricorrere nei casi previsti dall'articolo 569 e da altre disposizioni di legge (3). (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 69, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (2) Questo comma è stato soppresso dall'art. 204, comma 1, lett. a), del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 204, comma 1, lett. b), del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Si riporta il testo previgente: «4. Il procuratore generale, il procuratore della Repubblica presso il tribunale e il procuratore della Repubblica presso la pretura possono anche ricorrere nei casi previsti dall'art. 569 e da altre disposizioni di legge».

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609. Cognizione della Corte di cassazione. 1. Il ricorso attribuisce alla Corte di cassazione la cognizione del procedimento limitatamente ai motivi proposti (606). 2. La corte decide altresì le questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo e quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello. Vai alla dottrina     ↓

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Capo II. PROCEDIMENTO.

610. Atti preliminari. 1. Il presidente della corte di cassazione, se rileva una causa di inammissibilità dei ricorsi, li assegna ad apposita sezione. Il presidente della sezione fissa la data per la decisione in camera di consiglio. La cancelleria dà comunicazione del deposito degli atti e della data dell'udienza al procuratore generale ed ai difensori nel termine di cui al comma 5. L'avviso contiene l'enunciazione della causa di inammissibilità rilevata con riferimento al contenuto dei motivi di ricorso (1). Si applica il comma 1 dell'articolo 611. Ove non venga dichiarata l'inammissibilità, gli atti sono rimessi al presidente della corte (2). 1 bis. Il presidente della corte di cassazione provvede all'assegnazione dei ricorsi alle singole sezioni secondo i criteri stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario (2). 2. Il presidente, su richiesta del procuratore generale, dei difensori delle parti o anche di ufficio, assegna il ricorso alle sezioni unite quando le questioni proposte sono di speciale importanza o quando occorre dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni. 3. Il presidente della corte, se si tratta delle sezioni unite, ovvero il presidente della sezione fissa la data per la trattazione del ricorso in udienza pubblica o in camera di consiglio e designa il relatore. Il presidente dispone altresì la riunione dei giudizi nei casi previsti dall'art. 17 e la separazione dei medesimi quando giovi alla speditezza della decisione. 4. La cancelleria dà immediata comunicazione al procuratore generale del deposito degli atti per la eventuale richiesta della dichiarazione di inammissibilità del ricorso (3). 5. Almeno trenta giorni prima della data dell'udienza, la cancelleria ne dà avviso al procuratore generale e ai difensori, indicando se il ricorso sarà deciso a seguito di udienza pubblica ovvero in camera di consiglio. [In quest'ultimo caso, l'avviso deve inoltre precisare se vi è la richiesta di dichiarazione di inammissibilità, enunciando la causa dedotta] (4). 5 bis. Nei casi previsti dall'articolo 591, comma 1, lettere a), limitatamente al difetto di legittimazione, b), c), esclusa l'inosservanza delle disposizioni dell'articolo 581, e d), la corte dichiara senza formalità di procedura l'inammissibilità del ricorso. Allo stesso modo la corte dichiara l'inammissibilità del ricorso contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e contro la sentenza pronunciata a norma dell'articolo 599 bis. Contro tale provvedimento è ammesso il ricorso straordinario a norma dell'articolo 625 bis (5). (1) Le parole: «con riferimento al contenuto dei motivi di ricorso» sono state aggiunte dall'art. 1, comma 61, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (2) L'originario comma 1 è stato così sostituito dagli attuali commi 1 e 1 bis dall'art. 6, comma 2, lett. a), della L. 26 marzo 2001, n. 128. (3) Questo comma è stato abrogato dall'art. 6, comma 2, lett. b), della L. 26 marzo 2001, n. 128.

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(4) L'ultimo periodo di questo comma è stato soppresso dall'art. 6, comma 2, lett. c), della L. 26 marzo 2001, n. 128. (5) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 62, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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611. Procedimento in camera di consiglio. 1. Oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge (411, 4289), la corte procede in camera di consiglio quando deve decidere su ogni ricorso contro provvedimenti non emessi nel dibattimento, fatta eccezione delle sentenze pronunciate a norma dell'art. 442. Se non è diversamente stabilito (32, 413, 48, 305, 311) e in deroga a quanto previsto dall'art. 127, la corte giudica sui motivi, sulle richieste del procuratore generale e sulle memorie delle altre parti senza intervento dei difensori. Fino a quindici giorni prima dell'udienza, tutte le parti possono presentare motivi nuovi (5854) e memorie e, fino a cinque giorni prima, possono presentare memorie di replica. 2. Nello stesso modo la corte procede quando è stata richiesta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso (591, 6063). Se non dichiara l'inammissibilità, la corte fissa la data per la decisione del ricorso in udienza pubblica (1). (1) Questo comma è stato abrogato dall'art. 6, comma 3, della L. 26 marzo 2001, n. 128.

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612. Sospensione dell'esecuzione della condanna civile. 1. A richiesta dell'imputato o del responsabile civile, la Corte di cassazione può sospendere, in pendenza del ricorso, l'esecuzione della condanna civile, quando può derivarne grave e irreparabile danno (540, 600, 605). La decisione sulla richiesta di sospensione della condanna civile è adottata dalla Corte di cassazione con ordinanza in camera di consiglio (611). Vai alla dottrina     ↓

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613. Difensori. 1. [Salvo che la parte non vi provveda personalmente,] (1) l'atto di ricorso, le memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione. Davanti alla corte medesima le parti sono rappresentate dai difensori. 2. Per tutti gli atti che si compiono nel procedimento davanti alla corte, il domicilio delle parti è presso i rispettivi difensori, salvo quanto previsto dal comma 4. Il difensore è nominato per la proposizione del ricorso o successivamente; in mancanza di nomina il difensore è quello che ha assistito la parte nell'ultimo giudizio, purché abbia i requisiti indicati nel comma 1 (164). 3. Se l'imputato è privo del difensore di fiducia (96), il presidente del collegio provvede a norma dell'art. 97. 4. Gli avvisi che devono essere dati al difensore (att. 653) sono notificati anche all'imputato che non sia assistito da difensore di fiducia. 5. Quando il ricorso concerne gli interessi civili (573 ss.), il presidente, se la parte ne fa richiesta, nomina un difensore secondo le norme sul patrocinio dei non abbienti (98) (2). (1) Le parole fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 1, comma 63, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (2) Si veda il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 sul patrocinio a spese dello Stato.

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614. Dibattimento. 1. Le norme concernenti la pubblicità, la polizia e la disciplina delle udienze (470 ss.) e la direzione della discussione (523, 602) nei giudizi di primo e di secondo grado si osservano davanti alla Corte di cassazione, in quanto siano applicabili (reg. 25). 2. Le parti private possono comparire per mezzo dei loro difensori (6131). 3. Nell'udienza stabilita, il presidente procede alla verifica della costituzione delle parti e della regolarità degli avvisi, dandone atto a verbale; quindi, il presidente o un consigliere da lui delegato fa la relazione della causa. 4. Dopo la requisitoria del pubblico ministero, i difensori (96, 97, 101) della parte civile (76), del responsabile civile (83), della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89) e dell'imputato (60) espongono nell'ordine le loro difese. Non sono ammesse repliche (att. 171). Vai alla dottrina     ↓

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Capo III. SENTENZA.

615. Deliberazione e pubblicazione. 1. La Corte di cassazione delibera la sentenza in camera di consiglio subito dopo terminata la pubblica udienza salvo che, per la molteplicità o per l'importanza delle questioni da decidere, il presidente ritenga indispensabile differire la deliberazione ad altra udienza prossima. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli artt. 527 e 546. 2. Se non provvede a norma degli artt. 620, 622 e 623, la corte dichiara inammissibile (591, 6063) o rigetta il ricorso (616). 3. La sentenza è pubblicata in udienza subito dopo la deliberazione, mediante lettura del dispositivo fatta dal presidente o da un consigliere da lui delegato. 4. Prima della lettura, il dispositivo è sottoscritto dal presidente. Vai alla dottrina     ↓

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616. (1) Spese e sanzione pecuniaria in caso di rigetto o di inammissibilità del ricorso. 1. Con il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso (615), la parte privata che lo ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento (535, 691). Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la parte privata è inoltre condannata con lo stesso provvedimento al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da € 258 a € 2.065, che può essere aumentata fino al triplo, tenuto conto della causa di inammissibilità del ricorso (2). Nello stesso modo si può provvedere quando il ricorso è rigettato (592). 1 bis. Gli importi di cui al comma 1 sono adeguati ogni due anni con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in relazione alla variazione, accertata dall'Istituto nazionale di statistica, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel biennio precedente (3). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 186 del 13 giugno 2000, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui non prevede che la Corte di cassazione, in caso di inammissibilità del ricorso, possa non pronunciare la condanna in favore della Cassa delle ammende, a carico della parte privata che abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità. (2) Le parole: «, che può essere aumentata fino al triplo, tenuto conto della causa di inammissibilità del ricorso» sono state aggiunte dall'art. 1, comma 64, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (3) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 65, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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1620

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1621

617. Motivazione e deposito. 1. Conclusa la deliberazione, il presidente o il consigliere da lui designato redige la motivazione (att. 173). Si osservano le disposizioni concernenti la sentenza nel giudizio di primo grado, in quanto applicabili (544). 2. La sentenza, sottoscritta dal presidente e dall'estensore, è depositata in cancelleria non oltre il trentesimo giorno dalla deliberazione (reg. 26). 3. Qualora il presidente lo disponga, la corte si riunisce in camera di consiglio per la lettura e l'approvazione del testo della motivazione. Sulle proposte di rettifica, integrazione o cancellazione la corte delibera senza formalità (att. 174). Vai alla dottrina     ↓

1622

618. Decisioni delle sezioni unite. 1. Se una sezione della corte rileva che la questione di diritto sottoposta al suo esame ha dato luogo, o può dar luogo, a un contrasto giurisprudenziale, su richiesta delle parti o di ufficio, può con ordinanza rimettere il ricorso alle sezioni unite (att. 170, 172, 1733). 1 bis. Se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso (1). 1 ter. Il principio di diritto può essere enunciato dalle sezioni unite, anche d'ufficio, quando il ricorso è dichiarato inammissibile per una causa sopravvenuta (1). (1) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 66, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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1623

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1624

619. Rettificazione di errori non determinanti annullamento. 1. Gli errori di diritto nella motivazione (617) e le erronee indicazioni di testi di legge non producono l'annullamento della sentenza impugnata, se non hanno avuto influenza decisiva sul dispositivo. La corte tuttavia specifica nella sentenza le censure e le rettificazioni occorrenti. 2. Quando nella sentenza impugnata si deve soltanto rettificare la specie o la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la Corte di cassazione vi provvede senza pronunciare annullamento. 3. Nello stesso modo si provvede nei casi di legge più favorevole all'imputato, anche se sopravvenuta dopo la proposizione del ricorso, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto. Vai alla dottrina     ↓

1625

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1626

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1627

620. Annullamento senza rinvio. 1. Oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge, la corte pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio: a) se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se il reato è estinto (150 ss. c.p.) o se l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita (336 ss., 649); b) se il reato non appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario (621); c) se il provvedimento impugnato contiene disposizioni che eccedono i poteri della giurisdizione, limitatamente alle medesime; d) se la decisione impugnata consiste in un provvedimento non consentito dalla legge; e) se la sentenza è nulla a norma e nei limiti dell'art. 522 in relazione a un reato concorrente (621); f) se la sentenza è nulla a norma e nei limiti dell'art. 522 in relazione a un fatto nuovo (621); g) se la condanna è stata pronunciata per errore di persona (68); h) se vi è contraddizione fra la sentenza o l'ordinanza impugnata e un'altra anteriore concernente la stessa persona e il medesimo oggetto, pronunciata dallo stesso o da un altro giudice penale (621); i) se la sentenza impugnata ha deciso in secondo grado su materia per la quale non è ammesso l'appello (593, 621); l) se la corte ritiene di poter decidere, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, o di rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito o di adottare i provvedimenti necessari, e in ogni altro caso in cui ritiene superfluo il rinvio (1). (1) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 1, comma 67, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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1628

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1629

621. Effetti dell'annullamento senza rinvio. 1. Nel caso previsto dall'art. 620 comma 1 lett. b), la corte dispone che gli atti siano trasmessi all'autorità competente, che essa designa; in quello previsto dalla lett. e) e in quello previsto dalla lett. f), la corte dispone che del provvedimento sia data notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni; in quello previsto dalla lett. h), ordina l'esecuzione della prima sentenza o ordinanza, ma, se si tratta di una sentenza di condanna, ordina l'esecuzione della sentenza che ha inflitto la condanna meno grave determinata a norma dell'art. 669; in quello previsto dalla lett. i), ritiene il giudizio qualificando l'impugnazione come ricorso; in quello previsto dalla lett. l), procede alla determinazione della pena o dà i provvedimenti che occorrono. Vai alla dottrina     ↓

1630

622. Annullamento della sentenza ai soli effetti civili. 1. Fermi gli effetti penali della sentenza, la Corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato (538 ss., 576), rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile (578). Vai alla dottrina     ↓

1631

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1632

623. Annullamento con rinvio. 1. Fuori dei casi previsti dagli artt. 620 e 622 (185, 5694): a) se è annullata un'ordinanza, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento (1); b) se è annullata una sentenza di condanna nei casi previsti dall'articolo 604, commi 1, 4 e 5 bis, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice di primo grado (2); c) se è annullata la sentenza di una corte di assise di appello o di una corte di appello ovvero di una corte di assise o di un tribunale in composizione collegiale (3), il giudizio è rinviato rispettivamente a un'altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini (att. 175); d) se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale; tuttavia, il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata (33 octies, 34) (4). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 183 del 3 luglio 2013, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questa lettera e dell'art. 34, comma 1, c.p.p., nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, ai sensi dell’art. 671 del medesimo codice. La medesima Corte ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale di questa lettera e dell'art. 34, comma 1, c.p.p., nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del concorso formale, ai sensi dell’art. 671 dello stesso codice. (2) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 11, comma 4, della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità. (3) Le parole: «in composizione collegiale» sono state aggiunte dopo le parole: «o di un tribunale» dall'art. 205 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (4) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 205 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Si riporta il testo previgente: «d) se è annullata la sentenza di un pretore o di un giudice per le indagini preliminari, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi alla medesima pretura o al medesimo tribunale; tuttavia, il pretore o il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata».

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1633

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1634

624. Annullamento parziale. 1. Se l'annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata (648) nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata. 2. La Corte di cassazione, quando occorre, dichiara nel dispositivo quali parti della sentenza diventano irrevocabili. L'omissione di tale dichiarazione è riparata dalla corte stessa in camera di consiglio con ordinanza che deve trascriversi in margine o in fine della sentenza e di ogni copia di essa posteriormente rilasciata. L'ordinanza può essere pronunciata di ufficio ovvero su domanda del giudice competente per il rinvio, del pubblico ministero presso il medesimo giudice o della parte privata interessata. La domanda si propone senza formalità. 3. La Corte di cassazione provvede in camera di consiglio senza l'osservanza delle forme previste dall'art. 127. Vai alla dottrina     ↓

1635

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1636

624 bis. (1) Cessazione delle misure cautelari. 1. La corte di cassazione, nel caso di annullamento della sentenza d'appello, dispone la cessazione delle misure cautelari. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 6, comma 5, della L. 26 marzo 2001, n. 128.

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1637

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1638

625. Provvedimenti conseguenti alla sentenza. 1. In caso di annullamento con rinvio (623), la cancelleria della Corte di cassazione trasmette senza ritardo gli atti del processo con la copia della sentenza al giudice che deve procedere al nuovo giudizio. 2. In caso di rigetto o di dichiarazione di inammissibilità del ricorso (6152), la cancelleria trasmette gli atti e la copia del solo dispositivo al giudice che ha emesso la decisione impugnata. 3. In caso di annullamento senza rinvio (620) o di rettificazione (619), la cancelleria trasmette al giudice indicato nel comma 2 gli atti e la copia della sentenza. 4. In ogni caso la cancelleria del giudice che ha emesso la decisione impugnata esegue annotazione, in margine o in fine dell'originale, della decisione della corte (reg. 27). Vai alla dottrina     ↓

1639

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1640

625 bis. (1) Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto. 1. È ammessa, a favore del condannato, la richiesta per la correzione dell'errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla corte di cassazione. 2. La richiesta è proposta dal procuratore generale o dal condannato, con ricorso presentato alla corte di cassazione entro centottanta giorni dal deposito del provvedimento. La presentazione del ricorso non sospende gli effetti del provvedimento, ma, nei casi di eccezionale gravità, la corte provvede, con ordinanza, alla sospensione. 3. L'errore materiale di cui al comma 1 può essere rilevato dalla corte di cassazione, d'ufficio, in ogni momento e senza formalità. L'errore di fatto può essere rilevato dalla corte di cassazione, d'ufficio, entro novanta giorni dalla deliberazione (2). 4. Quando la richiesta è proposta fuori dell'ipotesi prevista al comma 1 o, quando essa riguardi la correzione di un errore di fatto, fuori del termine previsto al comma 2, ovvero risulta manifestamente infondata, la corte, anche d'ufficio, ne dichiara con ordinanza l'inammissibilità; altrimenti procede in camera di consiglio, a norma dell'articolo 127 e, se accoglie la richiesta, adotta i provvedimenti necessari per correggere l'errore. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 6, comma 6, della L. 26 marzo 2001, n. 128. (2) Le parole: «e senza formalità. L'errore di fatto può essere rilevato dalla corte di cassazione, d'ufficio, entro novanta giorni dalla deliberazione» sono state aggiunte dall'art. 1, comma 68, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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1641

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1642

625 ter. (1) Rescissione del giudicato. 1. Il condannato o il sottoposto a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo, può chiedere la rescissione del giudicato qualora provi che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo. 2. La richiesta è presentata, a pena di inammissibilità, personalmente dall'interessato o da un difensore munito di procura speciale autenticata nelle forme dell'articolo 583, comma 3, entro trenta giorni dal momento dell'avvenuta conoscenza del procedimento. 3. Se accoglie la richiesta, la Corte di cassazione revoca la sentenza e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Si applica l'articolo 489, comma 2. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 1, comma 70, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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1643

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1644

626. Effetti della sentenza sui provvedimenti di natura personale o reale. 1. Quando, in seguito alla sentenza della Corte di cassazione deve cessare una misura cautelare (272 ss.) ovvero una pena accessoria (28 ss. c.p.) o una misura di sicurezza (312 ss., 5304, 5331; 199 ss. c.p.), la cancelleria ne comunica immediatamente il dispositivo al procuratore generale presso la corte medesima perché dia i provvedimenti occorrenti. Vai alla dottrina     ↓

1645

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1646

627. (1) Giudizio di rinvio dopo annullamento. 1. Nel giudizio di rinvio non è ammessa discussione sulla competenza attribuita con la sentenza di annullamento (623), salvo quanto previsto dall'art. 25. 2. Il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le limitazioni stabilite dalla legge. Se è annullata una sentenza di appello e le parti ne fanno richiesta, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (603) per l'assunzione delle prove rilevanti per la decisione. 3. Il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa (6282). 4. Non possono rilevarsi nel giudizio di rinvio nullità (178 ss.), anche assolute, o inammissibilità, verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari. 5. Se taluno degli imputati, condannati con la sentenza annullata, non aveva proposto ricorso, l'annullamento pronunciato rispetto al ricorrente giova anche al non ricorrente, salvo che il motivo dell'annullamento sia esclusivamente personale (587). L'imputato che può giovarsi di tale effetto estensivo deve essere citato e ha facoltà di intervenire nel giudizio di rinvio. (1) Si veda l'art. 6 della L. 7 agosto 1997, n. 267.

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1647

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1648

628. Impugnabilità della sentenza del giudice di rinvio. 1. La sentenza del giudice di rinvio può essere impugnata con ricorso per cassazione se pronunciata in grado di appello e col mezzo previsto dalla legge se pronunciata in primo grado. 2. In ogni caso la sentenza del giudice di rinvio può essere impugnata soltanto per motivi non riguardanti i punti già decisi dalla Corte di cassazione ovvero per inosservanza della disposizione dell'art. 627 comma 3. Vai alla dottrina     ↓

1649

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1650

Titolo IV. REVISIONE. Vai alla dottrina     ↓

1651

629. Condanne soggette a revisione. 1. È ammessa in ogni tempo a favore dei condannati, nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna (533 ss.) o delle sentenze emesse ai sensi dell'articolo 444, comma 2, (1) o dei decreti penali di condanna (460), divenuti irrevocabili (648), anche se la pena è già stata eseguita (656 ss.) o estinta (171 ss. c.p.). (1) Le parole: «o delle sentenze emesse ai sensi dell'articolo 444, comma 2,» sono state inserite dall'art. 3, comma 1, della L. 12 giugno 2003, n. 134.

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1652

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1653

629 bis. (1) Rescissione del giudicato. 1. Il condannato o il sottoposto a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo, può ottenere la rescissione del giudicato qualora provi che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo. 2. La richiesta è presentata alla corte di appello nel cui distretto ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento, a pena di inammissibilità, personalmente dall'interessato o da un difensore munito di procura speciale autenticata nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3, entro trenta giorni dal momento dell'avvenuta conoscenza del procedimento. 3. La corte di appello provvede ai sensi dell'articolo 127 e, se accoglie la richiesta, revoca la sentenza e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Si applica l'articolo 489, comma 2. 4. Si applicano gli articoli 635 e 640. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1, comma 71, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.

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1654

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1655

630. (1) (2) Casi di revisione. 1. La revisione può essere richiesta: a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza (533 ss.) o del decreto penale di condanna (460) non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile (648) del giudice ordinario o di un giudice speciale; b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata (395 c.p.c.), che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'art. 3 ovvero una delle questioni previste dall'art. 479; c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'art. 631 (668); d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato (647). (1) Si veda anche l'art. 8, commi 3-5, del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 1991, n. 203. (2) La Corte costituzionale con sentenza n. 113 del 7 aprile 2011, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo.

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1656

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1657

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1658

631. Limiti della revisione. 1. Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena d'inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 o 531. Vai alla dottrina     ↓

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1660

632. Soggetti legittimati alla richiesta. 1. Possono chiedere la revisione: a) il condannato o un suo prossimo congiunto (3074 c.p.) ovvero la persona che ha sul condannato l'autorità tutoria (357, 424 c.p.c.) e, se il condannato è morto, l'erede o un prossimo congiunto; b) il procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto fu pronunciata la sentenza di condanna. Le persone indicate nella lett. a) possono unire la propria richiesta a quella del procuratore generale. Vai alla dottrina     ↓

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633. Forma della richiesta. 1. La richiesta di revisione è proposta personalmente o per mezzo di un procuratore speciale (122). Essa deve contenere l'indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano e deve essere presentata, unitamente a eventuali atti e documenti, nella cancelleria della corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'articolo 11 (1). 2. Nei casi previsti dall'art. 630 comma 1 lett. a) e b), alla richiesta devono essere unite le copie autentiche delle sentenze o dei decreti penali di condanna ivi indicati. 3. Nel caso previsto dall'art. 630 comma 1 lett. d), alla richiesta deve essere unita copia autentica della sentenza irrevocabile di condanna per il reato ivi indicato. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1, comma 1, della L. 23 novembre 1998, n. 405.

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1662

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634. Declaratoria d'inammissibilità. 1. Quando la richiesta è proposta fuori delle ipotesi previste dagli artt. 629 e 630 o senza l'osservanza delle disposizioni previste dagli artt. 631, 632, 633, 641 ovvero risulta manifestamente infondata, la corte di appello anche di ufficio dichiara con ordinanza l'inammissibilità e può condannare il privato che ha proposto la richiesta al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da € 258 a € 2.065. 2. L'ordinanza è notificata (148 ss.) al condannato e a colui che ha proposto la richiesta, i quali possono ricorrere per cassazione (606). In caso di accoglimento del ricorso, la Corte di cassazione rinvia il giudizio di revisione ad altra corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'articolo 11 (1). (1) Le originarie parole: «In caso di accoglimento del ricorso, la Corte di cassazione rinvia il giudizio di revisione ad altra sezione della corte di appello che ha pronunciato l'ordinanza prevista dal comma 1 o alla corte di appello più vicina», sono state così sostituite dall'art. 1, comma 2, della L. 23 novembre 1998, n. 405.

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1664

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1665

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1666

635. Sospensione dell'esecuzione.(1) 1. La corte di appello può in qualunque momento disporre, con ordinanza (125), la sospensione dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza (656 ss.), applicando, se del caso, una delle misure coercitive previste dagli artt. 281, 282, 283 e 284. In ogni caso di inosservanza della misura, la corte di appello revoca l'ordinanza e dispone che riprenda l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza. 2. Contro l'ordinanza che decide sulla sospensione dell'esecuzione, sull'applicazione delle misure coercitive e sulla revoca, possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero e il condannato (606). (1) Si veda anche l'art. 8, commi 3-5, del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 1991, n. 203.

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1667

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1668

636. Giudizio di revisione. 1. Il presidente della corte di appello emette il decreto di citazione a norma dell'art. 601. 2. Si osservano le disposizioni del titolo I (465 ss.) e del titolo II (470 ss.) del libro VII in quanto siano applicabili e nei limiti delle ragioni indicate nella richiesta di revisione. Vai alla dottrina     ↓

1669

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1670

637. Sentenza. 1. La sentenza è deliberata secondo le disposizioni degli artt. 525, 526, 527 e 528. 2. In caso di accoglimento della richiesta di revisione, il giudice revoca la sentenza di condanna (533 ss.) o il decreto penale di condanna (460) e pronuncia il proscioglimento (529 ss.) indicandone la causa nel dispositivo (1). 3. Il giudice non può pronunciare il proscioglimento esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio. 4. In caso di rigetto della richiesta, il giudice condanna la parte privata che l'ha proposta al pagamento delle spese processuali (535) e, se è stata disposta la sospensione (635), dispone che riprenda l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza. (1) L'art. 5, comma 2, lett. a), del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, prevede l'eliminazione dal casellario giudiziale dell'iscrizione dei provvedimenti giudiziari revocati a seguito di revisione.

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1671

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1672

638. Revisione a favore del condannato defunto. 1. In caso di morte del condannato dopo la presentazione della richiesta di revisione, il presidente della corte di appello nomina un curatore, il quale esercita i diritti che nel processo di revisione sarebbero spettati al condannato. Vai alla dottrina     ↓

1673

639. Provvedimenti in accoglimento della richiesta.(1) 1. La corte di appello, quando pronuncia sentenza di proscioglimento a seguito di accoglimento della richiesta di revisione, anche nel caso previsto dall'art. 638, ordina la restituzione delle somme pagate in esecuzione della condanna per le pene pecuniarie (660), per le misure di sicurezza patrimoniali (658 ss.), per le spese processuali (691) e di mantenimento in carcere (188 c.p.) e per il risarcimento dei danni a favore della parte civile citata per il giudizio di revisione. Ordina altresì la restituzione delle cose che sono state confiscate, a eccezione di quelle previste nell'art. 240 comma 2 n. 2 del codice penale. (1) Si veda anche l'art. 8, commi 3-5, del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 1991, n. 203.

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1674

640. Impugnabilità della sentenza. 1. La sentenza pronunciata nel giudizio di revisione è soggetta al ricorso per cassazione (606 ss.). Vai alla dottrina     ↓

1675

641. Effetti dell'inammissibilità o del rigetto. 1. L'ordinanza che dichiara inammissibile la richiesta (634) o la sentenza che la rigetta (637) non pregiudica il diritto di presentare una nuova richiesta fondata su elementi diversi. Vai alla dottrina     ↓

1676

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1677

642. Pubblicazione della sentenza di accoglimento della richiesta. 1. La sentenza di accoglimento (637), a richiesta dell'interessato, è affissa per estratto, a cura della cancelleria, nel comune in cui la sentenza di condanna era stata pronunciata e in quello dell'ultima residenza del condannato. L'ufficiale giudiziario deposita in cancelleria il certificato delle eseguite affissioni. 2. Su richiesta dell'interessato, il presidente della corte di appello dispone con ordinanza che l'estratto della sentenza sia pubblicato a cura della cancelleria in un giornale, indicato nella richiesta; le spese della pubblicazione sono a carico della cassa delle ammende (694). Vai alla dottrina     ↓

1678

643. Riparazione dell'.errore giudiziario 1. Chi è stato prosciolto in sede di revisione, se non ha dato causa per dolo o colpa grave all'errore giudiziario, ha diritto a una riparazione commisurata alla durata della eventuale espiazione della pena o internamento e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna. 2. La riparazione si attua mediante pagamento di una somma di denaro ovvero, tenuto conto delle condizioni dell'avente diritto e della natura del danno, mediante la costituzione di una rendita vitalizia. L'avente diritto, su sua domanda, può essere accolto in un istituto a spese dello Stato. 3. Il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della pena detentiva che sia computata nella determinazione della pena da espiare per un reato diverso, a norma dell'art. 657 comma 2. Vai alla dottrina     ↓

1679

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1680

644. Riparazione in caso di morte. 1. Se il condannato muore, anche prima del procedimento di revisione, il diritto alla riparazione spetta al coniuge, ai discendenti e ascendenti, ai fratelli e sorelle, agli affini entro il primo grado e alle persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta. 2. A tali persone, tuttavia, non può essere assegnata a titolo di riparazione una somma maggiore di quella che sarebbe stata liquidata al prosciolto. La somma è ripartita equitativamente in ragione delle conseguenze derivate dall'errore a ciascuna persona. 3. Il diritto alla riparazione non spetta alle persone che si trovino nella situazione di indegnità prevista nell'art. 463 del codice civile. Vai alla dottrina     ↓

1681

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1682

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1683

645. Domanda di riparazione. 1. La domanda di riparazione è proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni dal passaggio in giudicato (648) della sentenza di revisione ed è presentata per iscritto, unitamente ai documenti ritenuti utili, personalmente o per mezzo di procuratore speciale (122), nella cancelleria della corte di appello che ha pronunciato la sentenza. 2. Le persone indicate nell'art. 644 possono presentare la domanda nello stesso termine, anche per mezzo del curatore indicato nell'art. 638 ovvero giovarsi della domanda già proposta da altri. Se la domanda è presentata soltanto da alcuna delle predette persone, questa deve fornire l'indicazione degli altri aventi diritto (att. 176). Vai alla dottrina     ↓

1684

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1685

646. Procedimento e decisione. 1. Sulla domanda di riparazione la corte di appello decide in camera di consiglio osservando le forme previste dall'art. 127. 2. La domanda, con il provvedimento che fissa l'udienza, è comunicata al pubblico ministero (1532) ed è notificata (148 ss.) a cura della cancelleria, al Ministro del tesoro presso l'Avvocatura dello Stato che ha sede nel distretto della corte e a tutti gli interessati, compresi gli aventi diritto che non hanno proposto la domanda. 3. L'ordinanza che decide sulla domanda di riparazione è comunicata al pubblico ministero e notificata a tutti gli interessati, i quali possono ricorrere per cassazione (606 ss.). 4. Gli interessati che, dopo aver ricevuto la notificazione prevista dal comma 2, non formulano le proprie richieste nei termini e nelle forme previsti dall'art. 127 comma 2, decadono dal diritto di presentare la domanda di riparazione successivamente alla chiusura del procedimento stesso. 5. Il giudice, qualora ne ricorrano le condizioni, assegna all'interessato una provvisionale a titolo di alimenti (438 c.c.). Vai alla dottrina     ↓

1686

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1687

647. Risarcimento del danno e riparazione. 1. Nel caso previsto dall'art. 630 comma 1, lett. d), lo Stato, se ha corrisposto la riparazione, si surroga (1203 c.c.), fino alla concorrenza della somma pagata, nel diritto al risarcimento dei danni contro il responsabile. Vai alla dottrina     ↓

1688

Libro X. ESECUZIONE (1). (1) Per i procedimenti davanti al giudice di pace si vedano gli articoli 40-46 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274.

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1689

Titolo I. GIUDICATO.

648. Irrevocabilità delle sentenze e dei decreti penali. 1. Sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione (629 ss.). 2. Se l'impugnazione è ammessa, la sentenza è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporla (585) o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile (591). Se vi è stato ricorso per cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l'ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso (611, 615). 3. Il decreto penale di condanna (460) è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile (461). Vai alla dottrina     ↓

1690

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1691

649. (1) Divieto di un secondo giudizio. 1. L'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili (648) non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli artt. 69 comma 2 e 345. 2. Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento (529 ss.) o di non luogo a procedere (425), enunciandone la causa nel dispositivo (2). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 200 del 21 luglio 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale. (2) Si veda l'art. 5 del D.L. 28 dicembre 1993, n. 544, convertito, con modificazioni, nella L. 14 febbraio 1994, n. 120.

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1692

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1693

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1694

650. Esecutività delle sentenze e dei decreti penali. 1. Salvo che sia diversamente disposto, le sentenze e i decreti penali hanno forza esecutiva quando sono divenuti irrevocabili (648). 2. Le sentenze di non luogo a procedere (425) hanno forza esecutiva quando non sono più soggette a impugnazione (428; reg. 28). Vai alla dottrina     ↓

1695

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1696

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1697

651. Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno. 1. La sentenza penale irrevocabile (648) di condanna pronunciata in seguito a dibattimento (533 ss.) ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale (862). 2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata a norma dell'art. 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato (4451, 4605). Vai alla dottrina     ↓

1698

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1699

651 bis. (1) Efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno. 1. La sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del prosciolto e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale. 2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto a norma dell'articolo 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall'art. 3, comma 1, lett. b), del D.L.vo 16 marzo 2015, n. 28, corretto con avviso di rettifica in G.U. Serie gen. - n. 68 del 23 marzo 2015.

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1700

652. Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno. 1. La sentenza penale irrevocabile (648) di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento (530) ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l'azione in sede civile a norma dell'articolo 75, comma 2 (404) (1). 2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a norma dell'art. 442, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato. (1) Le originarie parole da: «promosso dal danneggiato . . .» sino alla fine del comma sono state così sostituite dall'art. 9 della L. 27 marzo 2001, n. 97.

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1701

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1702

653. Efficacia della sentenza penale [di assoluzione] (1) nel giudizio disciplinare. 1. La sentenza penale irrevocabile (648) di assoluzione [pronunciata in seguito a dibattimento] (1) (530) ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero (2) che l'imputato non lo ha commesso (3) (4). 1 bis. La sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso (5). (1) Le parole fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 1 della L. 27 marzo 2001, n. 97. (2) Le parole: «non costituisce illecito penale ovvero» sono state inserite dall'art. 1 della L. 27 marzo 2001, n. 97. (3) La sentenza per frode in competizione sportive non influisce in alcun modo sull'omologazione delle gare né su ogni altro provvedimento di competenza degli organi sportivi (art. 2 comma 1 della L. 13 dicembre 1989, n. 401, in materia di frode in competizioni sportive). (4) Si veda anche l'art. 117 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, recante il testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui si riporta il testo: «117. (Sospensione del procedimento disciplinare in pendenza del giudizio penale). Qualora per il fatto addebitato all'impiegato sia stata iniziata azione penale il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso». (5) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1 della L. 27 marzo 2001, n. 97. La Corte costituzionale, con sentenza n. 394 del 25 luglio 2002, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, comma 1, della L. 27 marzo 2001, n. 97, nella parte in cui prevede che gli articoli 1 e 2 della stessa legge si riferiscono anche alle sentenze di applicazione della pena su richiesta pronunciate anteriormente alla sua entrata in vigore.

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1703

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1704

654. Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi. 1. Nei confronti dell'imputato (60), della parte civile (76 ss.) e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale (862), la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento (648) ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa (4605). Vai alla dottrina     ↓

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1706

Titolo II. ESECUZIONE DEI PROVVEDIMENTI

GIURISDIZIONALI.

655. Funzioni del pubblico ministero. 1. Salvo che sia diversamente disposto, il pubblico ministero presso il giudice indicato nell'art. 665 cura di ufficio l'esecuzione dei provvedimenti (reg. 29). 2. Il pubblico ministero propone le sue richieste al giudice competente e interviene in tutti i procedimenti di esecuzione (6664). 3. Quando occorre, il pubblico ministero può chiedere il compimento di singoli atti a un ufficio del pubblico ministero di altra sede. 4. Se per l'esecuzione di un provvedimento è necessaria l' autorizzazione (343), il pubblico ministero ne fa richiesta all'autorità competente; l'esecuzione è sospesa fino a quando l'autorizzazione non è concessa. Allo stesso modo si procede quando la necessità dell'autorizzazione è sorta nel corso dell'esecuzione. 5. I provvedimenti del pubblico ministero dei quali è prescritta nel presente titolo (6564, 6575, 6591, 6633) la notificazione al difensore, sono notificati, a pena di nullità, entro trenta giorni dalla loro emissione, al difensore nominato dall'interessato o, in mancanza, a quello designato dal pubblico ministero a norma dell'art. 97, senza che ciò determini la sospensione o il ritardo dell'esecuzione (reg. 342). Vai alla dottrina     ↓

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1708

656. (1) (2) Esecuzione delle pene detentive. 1. Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il pubblico ministero emette ordine di esecuzione con il quale, se il condannato non è detenuto, ne dispone la carcerazione. Copia dell'ordine è consegnata all'interessato. 2. Se il condannato è già detenuto, l'ordine di esecuzione è comunicato al Ministro di grazia e giustizia e notificato all'interessato. 3. L'ordine di esecuzione contiene le generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e quant'altro valga a identificarla, l'imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie all'esecuzione. L'ordine è notificato al difensore del condannato. 3 bis. L'ordine di esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva nei confronti di madre di prole di minore età è comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di esecuzione della sentenza (3). 4. L'ordine che dispone la carcerazione è eseguito secondo le modalità previste dall'articolo 277. 4 bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 9, lett. b), quando la residua pena da espiare, computando le detrazioni previste dall'articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero, prima di emettere l'ordine di esecuzione, previa verifica dell'esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinchè provveda all'eventuale applicazione della liberazione anticipata. Il magistrato di sorveglianza provvede senza ritardo con ordinanza adottata ai sensi dell'articolo 69 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. La presente disposizione non si applica nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (4). 4 ter. Quando il condannato si trova in stato di custodia cautelare in carcere il pubblico ministero emette l'ordine di esecuzione e, se ricorrono i presupposti di cui al comma 4 bis, trasmette senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza per la decisione sulla liberazione anticipata (4). 4 quater. Nei casi previsti dal comma 4 bis, il pubblico ministero emette i provvedimenti previsti dai commi 1, 5 e 10 dopo la decisione del magistrato di sorveglianza (4). 5. Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni, quattro anni nei casi previsti dall'articolo 47 ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, (5) o sei (6) anni nei casi in cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione. L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell'esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l'avviso che entro trenta giorni può essere presentata (7) istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessaria, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47 ter e 50, comma 1,

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della L. 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all'articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 dello stesso testo unico. L'avviso informa altresì che, ove non sia presentata l'istanza o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico (8) l'esecuzione della pena avrà corso immediato (9). 6. L'istanza deve essere presentata dal condannato o dal difensore di cui al comma 5 ovvero allo scopo nominato (10) al pubblico ministero, il quale la trasmette, unitamente alla documentazione, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero. Se l'istanza non è corredata dalla documentazione utile, questa, salvi i casi di inammissibilità, (11) può essere depositata nella cancelleria del tribunale di sorveglianza fino a cinque giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'art. 666, comma 3 (12). Resta salva, in ogni caso, la facoltà del tribunale di sorveglianza di procedere anche d'ufficio alla richiesta di documenti o di informazioni, o all'assunzione di prove a norma dell'articolo 666, comma 5 (12). Il tribunale di sorveglianza decide non prima del trentesimo e non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della richiesta (13). 7. La sospensione dell'esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta, anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima, diversamente motivata, sia in ordine alla sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. 8. Salva la disposizione del comma 8 bis, (14) qualora l'istanza non sia tempestivamente presentata, o il tribunale di sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga, il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell'esecuzione. Il pubblico ministero provvede analogamente quando l'istanza presentata è inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, nonché, nelle more della decisione del tribunale di sorveglianza, quando il programma di recupero di cui all'articolo 94 del medesimo testo unico non risulta iniziato entro cinque giorni dalla data di presentazione della relativa istanza o risulta interrotto (15). A tal fine il pubblico ministero, nel trasmettere l'istanza al tribunale di sorveglianza, dispone gli opportuni accertamenti (15). 8 bis. Quando è provato o appare probabile che il condannato non abbia avuto effettiva conoscenza dell'avviso di cui al comma 5, il pubblico ministero può assumere, anche presso il difensore, le opportune informazioni, all'esito delle quali può disporre la rinnovazione della notifica (16). 9. La sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta: a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli articoli 423 bis, 572, secondo comma, 612 bis, terzo comma (17), 624 bis del codice penale, [e per i delitti in cui ricorre l'aggravante di cui all'articolo 61, primo comma, numero 11 bis), del medesimo codice,] (18) fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'articolo 89 del testo unico di cui al decreto del

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Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni (19) (20); b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva; c ) nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, del codice penale (21) (22). 10. Nella situazione considerata dal comma 5, se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, e se la residua pena da espiare determinata ai sensi del comma 4 bis non supera i limiti indicati dal comma 5, (23) il pubblico ministero sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardi al tribunale di sorveglianza perché provveda alla eventuale applicazione di una delle misure alternative di cui al comma 5 (24). Fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. Agli adempimenti previsti dall'articolo 47 ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, provvede in ogni caso il magistrato di sorveglianza (25). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 1 della L. 27 maggio 1998, n. 165. Per l'individuazione del P.M. competente alla trasmissione all'estero di sentenze di condanna si veda l’art. 4 del D.L.vo 7 settembre 2010, n. 161. (2) Si veda l'art. 1 della L. 26 novembre 2010, n. 199, recante disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno. (3) Questo comma è stato inserito dell'art. 15 bis, comma 2, lett. c), del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, nella L. 1 dicembre 2018, n. 132. (4) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b), n. 1), del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 94, a decorrere dal 3 luglio 2013. (5) Le parole: «, quattro anni nei casi previsti dall'articolo 47 ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354,» sono state inserite dall'art. 1, comma 1, lett. b), n. 2), del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 94, a decorrere dal 3 luglio 2013. (6) Le parole: «ovvero a quattro» sono state così sostituite dalle attuali: «o sei» dall'art. 4 undevicies, comma 1, lett. a), del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, nella L. 21 febbraio 2006, n. 49. (7) Le originarie parole: «consegnati al condannato con l'avviso che egli, entro trenta giorni, può presentare» sono state così sostituite dalle attuali ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. a), del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. (8) Le parole da: «nonché la certificazione . . .» sino alle parole: «. . . decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,» sono state aggiunte dall'art. 10, comma 1, lett. b), del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4 e poi così sostituite dalle attuali: «o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico» dall'art. 4 undevicies, comma 1, lett. a), del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, nella L. 21 febbraio 2006, n. 49. (9) La Corte costituzionale, con sentenza n. 41 del 2 marzo 2018, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni.

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(10) Le parole: «dal condannato o dal difensore di cui al comma 5 ovvero allo scopo nominato» sono state inserite dall'art. 10, comma 1, lett. c), del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. (11) Le parole: «prescritta o necessaria, questa» sono state così sostituite dalle attuali: «utile, questa, salvi i casi di inammissibilità,» dall'art. 4 undevicies, comma 1, lett. b), del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, nella L. 21 febbraio 2006, n. 49. (12) Questo periodo è stato inserito dall'art. 10, comma 1, lett. d), del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. (13) Il periodo precedente: «Il tribunale di sorveglianza decide entro quarantacinque giorni dal ricevimento dell'istanza» è stato così sostituito dall'attuale: «Il tribunale di sorveglianza decide non prima del trentesimo e non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della richiesta» dall'art. 4, comma 1, lett. a), del D.L.vo 2 ottobre 2018, n. 123. (14) Le parole: «Salva la disposizione del comma 8 bis,» sono state inserite dall'art. 10, comma 1, lett. e), del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. (15) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 4 undevicies, comma 1, lett. c), del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, nella L. 21 febbraio 2006, n. 49. (16) Questo comma è stato inserito dall'art. 10, comma 1, lett. f), del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. (17) Le parole: «624, quando ricorrono due o più circostanze tra quelle indicate dall'articolo 625» sono state così sostituite dalle attuali: «572, secondo comma, 612 bis, terzo comma» dall'art. 1, comma 1, lett. b), n. 3), punto a), del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 94, a decorrere dal 3 luglio 2013. (18) Le parole da: «nonché di cui agli articoli ...» fino a: «... numero 11 bis), del medesimo codice,» sono state inserite dall'art. 2, comma 1, lett. m), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125. Le parole fra parentesi quadrate sono state poi soppresse dall’art. 1, comma 1, lett. b), n. 3), punto a), del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 94, a decorrere dal 3 luglio 2013. (19) Le parole da: «, fatta eccezione ...» fino alla fine della lettera sono state aggiunte dall'art. 4 undevicies, comma 1, lett. d), del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, nella L. 21 febbraio 2006, n. 49. (20) La Corte costituzionale, con sentenza n. 125 del 1° giugno 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questa lettera, come modificata dall’art. 2, comma 1, lettera m), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della L. 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione nei confronti delle persone condannate per il delitto di furto con strappo. La Corte costituzionale, con sentenza n. 90 del 28 aprile 2017, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questa lettera, nella parte in cui non consente la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva nei confronti dei minorenni condannati per i delitti ivi elencati. (21) Questa lettera è stata soppressa dall'art. 1, comma 1, lett. b), n. 3), punto b), del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 94, a decorrere dal 3 luglio 2013. (22) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 9 della L. 5 dicembre 2005, n. 251. A norma dell'art. 4, comma 2, del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, nella L. 21 febbraio 2006, n. 49, la disposizione di cui a questa lettera non si applica nei confronti di condannati, tossicodipendenti o

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alcooldipendenti, che abbiano in corso, al momento del deposito della sentenza definitiva, un programma terapeutico di recupero presso i servizi pubblici per l'assistenza ai tossicodipendenti ovvero nell'ambito di una struttura autorizzata nei casi in cui l'interruzione del programma può pregiudicarne la disintossicazione. In tale caso il pubblico ministero stabilisce i controlli per accertare che il tossicodipendente o l'alcooldipendente prosegua il programma di recupero fino alla decisione del tribunale di sorveglianza e revoca la sospensione dell'esecuzione quando accerta che la persona lo ha interrotto. (23) Le parole: «e se la residua pena da espiare determinata ai sensi del comma 4 bis non supera i limiti indicati dal comma 5,» sono state inserite dall’art. 1, comma 1, lett. b), n. 4), del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 94, a decorrere dal 3 luglio 2013. (24) Le originarie parole: «, senza formalità, all'eventuale applicazione della misura alternativa della detenzione domiciliare» sono state così sostituite dalle attuali: «alla eventuale applicazione di una delle misure alternative di cui al comma 5» dall'art. 10, comma 1, lett. g), del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. (25) Esigenze peculiari che giustificano modalità particolari di esecuzione delle pene detentive sono previste per gli appartenenti alle forze di polizia (art. 79 della L. 1 aprile 1981, n. 121), per la polizia penitenziaria (art. 20 della L. 15 dicembre 1990, n. 395) e per i collaboratori di giustizia (art. 13 bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito in L. 15 marzo 1991, n. 82 e artt. 7 e 8 del D.M. 24 novembre 1994, n. 687).

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657. Computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo. 1. Il pubblico ministero, nel determinare la pena detentiva da eseguire (738), computa il periodo di custodia cautelare subita (284 ss.) per lo stesso o per altro reato, anche se la custodia è ancora in corso (2853, 722). Allo stesso modo procede in caso di applicazione provvisoria di una misura di sicurezza detentiva (312 ss.), se questa non è stata applicata definitivamente. 2. Il pubblico ministero computa altresì il periodo di pena detentiva espiata per un reato diverso, quando la relativa condanna è stata revocata (637), quando per il reato è stata concessa amnistia (151 c.p.) o quando è stato concesso indulto (174 c.p.), nei limiti dello stesso (6433). 3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, il condannato può chiedere al pubblico ministero che i periodi di custodia cautelare e di pena detentiva espiata, operato il ragguaglio, siano computati per la determinazione della pena pecuniaria o della sanzione sostitutiva da eseguire (660, 661), nei casi previsti dal comma 2, può altresì chiedere che le sanzioni sostitutive espiate siano computate nelle sanzioni sostitutive da eseguire per altro reato. 4. In ogni caso sono computate soltanto la custodia cautelare subita o le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire. 5. Il pubblico ministero provvede con decreto, che deve essere notificato al condannato e al suo difensore (6555; att. 194). Vai alla dottrina     ↓

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657 bis. (1) Computo del periodo di messa alla prova dell'imputato in caso di revoca. 1. In caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente a quello della prova eseguita. Ai fini della detrazione, tre giorni di prova sono equiparati a un giorno di reclusione o di arresto, ovvero a 250 euro di multa o di ammenda. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 4, comma 1, lett. b), della L. 28 aprile 2014, n. 67.

658. Esecuzione delle misure di sicurezza ordinate con sentenza. 1. Quando deve essere eseguita una misura di sicurezza (199 ss. c.p.), diversa dalla confisca (240 c.p.), ordinata con sentenza, il pubblico ministero presso il giudice indicato nell'art. 665 trasmette gli atti al pubblico ministero presso il magistrato di sorveglianza competente per i provvedimenti previsti dall'art. 679. Le misure di sicurezza di cui sia stata ordinata l'applicazione provvisoria a norma dell'art. 312 sono eseguite dal pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento, il quale provvede a norma dell'art. 659 comma 2 (reg. 312) (1). (1) Modalità particolari di esecuzione delle misure di sicurezza nei confronti dei collaboratori di giustizia sono previste dagli artt. 13 bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito in L. 15 marzo 1991, n. 82 e dagli artt. 7 e 8 del D.M. 24 novembre 1994, n. 687. Per i minorenni si vedano gli artt. 36 e 40 del D.P.R. 22 settembre 1998, n. 448. Per l’individuazione del P.M. competente alla trasmissione all’estero di sentenze di condanna si veda l’art. 4 del D.L.vo. 7 settembre 2010, n. 161.

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659. Esecuzione di provvedimenti del giudice di sorveglianza. 1. Quando a seguito di un provvedimento del giudice di sorveglianza (677 ss.) deve essere disposta la carcerazione o la scarcerazione del condannato, il pubblico ministero che cura l'esecuzione della sentenza di condanna emette ordine di esecuzione con le modalità previste dall'art. 656 comma 4 (6555) (1). Tuttavia, nei casi di urgenza, il pubblico ministero presso il giudice di sorveglianza che ha adottato il provvedimento può emettere ordine provvisorio di esecuzione che ha effetto fino a quando non provvede il pubblico ministero competente. 1 bis. Quando a seguito di un provvedimento del giudice di sorveglianza deve essere disposta la scarcerazione del condannato per uno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 612 bis del codice penale, nonchè dagli articoli 582 e 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del codice penale, il pubblico ministero che cura l'esecuzione ne dà immediata comunicazione, a mezzo della polizia giudiziaria, alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore (2). 2. I provvedimenti relativi alle misure di sicurezza diverse dalla confisca (658) sono eseguiti dal pubblico ministero presso il giudice di sorveglianza che li ha adottati. Il pubblico ministero comunica in copia il provvedimento all'autorità di pubblica sicurezza e, quando ne è il caso, emette ordine di esecuzione, con il quale dispone la consegna o la liberazione dell'interessato. (1) Dopo la sostituzione dell'art. 656 con L. 27 maggio 1998, n. 165, il rinvio va interpretato al comma 3 e non più 4. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 15, comma 5, della L. 19 luglio 2019, n. 69.

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660. (1) Esecuzione delle pene pecuniarie. 1. Le condanne a pena pecuniaria sono eseguite nei modi stabiliti dalle leggi e dai regolamenti (att. 181). 2. Quando è accertata la impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa, il pubblico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente (677) per la conversione (136 c.p.), il quale provvede previo accertamento dell'effettiva insolvibilità (reg. 30) del condannato e, se ne è il caso, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (89, 534). Se la pena è stata rateizzata, è convertita la parte non ancora pagata (att. 182; reg. 30). 3. In presenza di situazioni di insolvenza, il magistrato di sorveglianza può disporre la rateizzazione della pena a norma dell'art. 133 ter del codice penale se essa non è stata disposta con la sentenza di condanna ovvero può differire la conversione per un tempo non superiore a sei mesi. Alla scadenza del termine fissato, se lo stato di insolvenza perdura, è disposto un nuovo differimento, altrimenti è ordinata la conversione. Ai fini della estinzione della pena per decorso del tempo (172, 173 c.p.), non si tiene conto del periodo durante il quale l'esecuzione è stata differita. 4. Con l'ordinanza che dispone la conversione, il magistrato di sorveglianza determina le modalità delle sanzioni conseguenti in osservanza delle norme vigenti. 5. Il ricorso contro l'ordinanza di conversione ne sospende l'esecuzione (588). (1) Questo articolo era stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, che ha recepito i DD.PP.RR. 30 maggio 2002, n. 113 e 30 maggio 2002, n. 114, recante rispettivamente il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di giustizia e il Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di giustizia. La Corte costituzionale, con sentenza n. 212 del 18 giugno 2003, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 113, nella parte in cui abroga l'art. 660 c.p.p.

661. Esecuzione delle sanzioni sostitutive. 1. Per l'esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata (1), il pubblico ministero trasmette l'estratto della sentenza di condanna al magistrato di sorveglianza territorialmente competente (677) che provvede in osservanza delle leggi vigenti (2). 2. La pena pecuniaria, quale sanzione sostitutiva, è eseguita a norma dell'art. 660 (reg. 31). (1) Si vedano gli artt. 55, 56 della L. 24 novembre 1981, n. 689, recante modifiche al sistema penale. (2) Si vedano gli artt. 62 ss. della L. 24 novembre 1981, n. 689, recante modifiche al sistema penale.

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662. Esecuzione delle pene accessorie. 1. Per l'esecuzione delle pene accessorie (19, 28 ss. c.p.), il pubblico ministero, fuori dei casi previsti dagli artt. 32 e 34 del codice penale, trasmette l'estratto della sentenza di condanna agli organi della polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza e, occorrendo, agli altri organi interessati, indicando le pene accessorie da eseguire. Nei casi previsti dagli artt. 32 e 34 del codice penale, il pubblico ministero trasmette l'estratto della sentenza al giudice civile competente (att. 183). 2. Quando alla sentenza di condanna consegue una delle pene accessorie previste dagli artt. 28, 30, 32 bis e 34 del codice penale, per la determinazione della relativa durata si computa la misura interdittiva di contenuto corrispondente eventualmente disposta a norma degli artt. 288, 289 e 290 (1). (1) Per una attività preliminare agli adempimenti di cui all'art. 662 si veda l'art. 3 del D.M. 4 agosto 1994, n. 569, sull'esecuzione della pena accessoria conseguente a condanna per discriminazioni o genocidio.

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663. Esecuzione di pene concorrenti. 1. Quando la stessa persona è stata condannata con più sentenze o decreti penali per reati diversi, il pubblico ministero determina la pena da eseguirsi, in osservanza delle norme sul concorso di pene (80 c.p.). 2. Se le condanne sono state inflitte da giudici diversi, provvede il pubblico ministero presso il giudice indicato nell'art. 665 comma 4. 3. Il provvedimento del pubblico ministero è notificato al condannato e al suo difensore (6555; att. 194). Vai alla dottrina     ↓

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664. Esecuzione di altre sanzioni pecuniarie. 1. Le somme dovute per sanzioni disciplinari pecuniarie o per condanna alla perdita della cauzione o in conseguenza della dichiarazione di inammissibilità o di rigetto di una richiesta (1), sono devolute alla cassa delle ammende anche quando ciò non sia espressamente stabilito (att. 1803, 184). 2. I relativi provvedimenti possono essere revocati dal giudice, su richiesta dell'interessato o del pubblico ministero, prima della conclusione della fase del procedimento nella quale sono stati adottati, sempre che la revoca non sia vietata. 3. I provvedimenti non più revocabili si eseguono nei modi previsti per il recupero delle spese processuali anticipate dallo Stato (2). 4. Per l'esecuzione delle sanzioni conseguenti a violazioni amministrative accertate nel processo penale, il pubblico ministero trasmette l'estratto della sentenza esecutiva all'autorità amministrativa competente. (1) Si vedano gli artt. 44, 48, 133, 147, 231, 616, 634 e 694 di questo codice. (2) Questo comma è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Si veda ora l'art. 202 del medesimo provvedimento, di cui si riporta il testo: «202 (L). (Applicabilità della procedura alle sanzioni pecuniarie processuali). 1. Secondo le disposizioni di questa parte sono recuperate le somme dovute, in base alle norme del codice di procedura civile e del codice di procedura penale, per sanzioni pecuniarie o per condanna alla perdita della cauzione o in conseguenza della dichiarazione di inammissibilità o di rigetto di una richiesta sulla base di provvedimenti non più revocabili».

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Titolo III. ATTRIBUZIONI DEGLI ORGANI

GIURISDIZIONALI. Capo I. GIUDICE DELL'ESECUZIONE.

665. Giudice competente. 1. Salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento è il giudice che lo ha deliberato (1). 2. Quando è stato proposto appello (593 ss.), se il provvedimento è stato confermato o riformato soltanto in relazione alla pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili, è competente il giudice di primo grado; altrimenti è competente il giudice di appello. 3. Quando vi è stato ricorso per cassazione e questo è stato dichiarato inammissibile o rigettato (6152) ovvero quando la corte ha annullato senza rinvio (620) il provvedimento impugnato, è competente il giudice di primo grado, se il ricorso fu proposto contro provvedimento inappellabile ovvero a norma dell'art. 569, e il giudice indicato nel comma 2 negli altri casi. Quando è stato pronunciato l'annullamento con rinvio (623), è competente il giudice di rinvio. 4. Se l'esecuzione concerne più provvedimenti emessi da giudici diversi, è competente il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo. Tuttavia, se i provvedimenti sono stati emessi da giudici ordinari e giudici speciali, è competente in ogni caso il giudice ordinario (2). 4 bis. Se l'esecuzione concerne più provvedimenti emessi dal tribunale in composizione monocratica e collegiale, l'esecuzione è attribuita in ogni caso al collegio (2). (1) A norma dell'art. 15 della L. 20 dicembre 2012, n. 237, in materia di esecuzione dei provvedimenti della Corte penale internazionale, il giudice competente ai sensi di questo comma, è la Corte di appello di Roma. (2) Questo comma è stato così sostituito dagli attuali commi 4 e 4 bis dall'art. 206 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Si riporta il testo previgente: «4. Se l'esecuzione concerne più provvedimenti emessi da giudici diversi, è competente il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo. Tuttavia, se i provvedimenti sono stati emessi dal pretore e da altro giudice ordinario, è competente in ogni caso quest'ultimo; se sono stati emessi da giudici ordinari e giudici speciali, è competente il giudice ordinario».

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666. Procedimento di esecuzione. 1. Il giudice dell'esecuzione procede a richiesta del pubblico ministero (655), dell'interessato o del difensore (reg. 29). 2. Se la richiesta appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, il giudice o il presidente del collegio, sentito il pubblico ministero, la dichiara inammissibile con decreto motivato (125), che è notificato entro cinque giorni all'interessato. Contro il decreto può essere proposto ricorso per cassazione (606). 3. Salvo quanto previsto dal comma 2, il giudice o il presidente del collegio, designato il difensore di ufficio all'interessato che ne sia privo, fissa la data dell'udienza in camera di consiglio (127) e ne fa dare avviso alle parti e ai difensori (att. 653). L'avviso è comunicato o notificato (148 ss.) almeno dieci giorni prima della data predetta. Fino a cinque giorni prima dell'udienza possono essere depositate memorie in cancelleria (1) (2) (3). 4. L'udienza si svolge con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero. L'interessato che ne fa richiesta è sentito personalmente; tuttavia, se è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice, è sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo, salvo che il giudice ritenga di disporre la traduzione. 5. Il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno; se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del contraddittorio (att. 185). 6. Il giudice decide con ordinanza. Questa è comunicata o notificata senza ritardo alle parti e ai difensori, che possono proporre ricorso per cassazione. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni sulle impugnazioni e quelle sul procedimento in camera di consiglio davanti alla Corte di cassazione (611). 7. Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'ha emessa disponga diversamente (588). 8. Se l'interessato è infermo di mente, l'avviso previsto dal comma 3 è notificato anche al tutore o al curatore (424 c.c.); se l'interessato ne è privo, il giudice o il presidente del collegio nomina un curatore provvisorio. Al tutore e al curatore competono gli stessi diritti dell'interessato. 9. Il verbale di udienza è redatto soltanto in forma riassuntiva a norma dell'art. 140 comma 2 (4). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 135 del 21 maggio 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma e degli articoli 678, comma 1 e 679, comma 1, c.p.p, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell’udienza pubblica. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 97 del 5 giugno 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma e dell'art. 678, comma 1, c.p.p., nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento davanti al tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza si svolga nelle forme dell’udienza pubblica.

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(3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 109 del 15 giugno 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma e degli articoli 667, comma 4, e 676 c.p.p, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l’ordinanza in materia di applicazione della confisca si svolga, davanti al giudice dell’esecuzione, nelle forme dell’udienza pubblica. (4) La Corte costituzionale, con sentenza 3 dicembre 1990, n. 529, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui dopo la parola «redatto» prevede «soltanto» anziché «di regola».

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1730

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1731

667. Dubbio sull'identità fisica della persona detenuta. 1. Se vi è ragione di dubitare dell'identità della persona arrestata per esecuzione di pena (656) o perché evasa mentre scontava una condanna, il giudice dell'esecuzione la interroga e compie ogni indagine utile alla sua identificazione anche a mezzo della polizia giudiziaria (1). 2. Quando riconosce che non si tratta della persona nei cui confronti deve compiersi l'esecuzione, ne ordina immediatamente la liberazione. Se l'identità rimane incerta, ordina la sospensione dell'esecuzione, dispone la liberazione del detenuto e invita il pubblico ministero a procedere a ulteriori indagini. 3. Se appare evidente che vi è stato un errore di persona e non è possibile provvedere tempestivamente a norma dei commi 1 e 2, la liberazione può essere ordinata in via provvisoria con decreto motivato dal pubblico ministero del luogo dove l'arrestato si trova. Il provvedimento del pubblico ministero ha effetto fino a quando non provvede il giudice competente, al quale gli atti sono immediatamente trasmessi. 4. Il giudice dell'esecuzione provvede in ogni caso senza formalità con ordinanza comunicata al pubblico ministero e notificata all'interessato. Contro l'ordinanza possono proporre opposizione davanti allo stesso giudice il pubblico ministero, l'interessato e il difensore; in tal caso si procede a norma dell'art. 666. L'opposizione è proposta, a pena di decadenza, entro quindici giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'ordinanza (1) (2). 5. Se la persona detenuta deve essere giudicata per altri reati, l'ordinanza è comunicata all'autorità giudiziaria procedente. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 28 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 109 del 15 giugno 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma e degli articoli 666, comma 3, e 676 c.p.p, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l’ordinanza in materia di applicazione della confisca si svolga, davanti al giudice dell’esecuzione, nelle forme dell’udienza pubblica.

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1732

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1733

668. Persona condannata per errore di nome. 1. Se una persona è stata condannata in luogo di un'altra per errore di nome, il giudice dell'esecuzione provvede alla correzione nelle forme previste dall'art. 130 soltanto se la persona contro cui si doveva procedere è stata citata come imputato anche sotto altro nome per il giudizio; altrimenti si provvede a norma dell'art. 630 comma 1 lett. c). In ogni caso l'esecuzione contro la persona erroneamente condannata è sospesa. Vai alla dottrina     ↓

1734

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669. Pluralità di sentenze per il medesimo fatto contro la stessa persona. 1. Se più sentenze di condanna divenute irrevocabili (648) sono state pronunciate contro la stessa persona per il medesimo fatto (649), il giudice ordina l'esecuzione della sentenza con cui si pronunciò la condanna meno grave, revocando le altre (att. 193). 2. Quando le pene irrogate sono diverse, l'interessato può indicare la sentenza che deve essere eseguita. Se l'interessato non si avvale di tale facoltà prima della decisione del giudice dell'esecuzione, si applicano le disposizioni dei commi 3 e 4. 3. Se si tratta di pena pecuniaria e pena detentiva, si esegue la pena pecuniaria. Se si tratta di pene detentive o pecuniarie di specie diversa, si esegue la pena di minore entità; se le pene sono di uguale entità, si esegue rispettivamente l'arresto o l'ammenda. Se si tratta di pena detentiva o pecuniaria e della sanzione sostitutiva della semidetenzione o della libertà controllata (1), si esegue, in caso di pena detentiva, la sanzione sostitutiva e, in caso di pena pecuniaria, quest'ultima. 4. Quando le pene principali sono uguali, si tiene conto della eventuale applicazione di pene accessorie (19, 20, 28 ss. c.p.) o di misure di sicurezza (199 ss.) e degli altri effetti penali. Quando le condanne sono identiche, si esegue la sentenza divenuta irrevocabile per prima. 5. Se la sentenza revocata era stata in tutto o in parte eseguita, l'esecuzione si considera come conseguente alla sentenza rimasta in vigore. 6. Le stesse disposizioni si applicano se si tratta di più decreti penali (460) o di sentenze e di decreti ovvero se il fatto è stato giudicato in concorso formale con altri fatti o quale episodio di un reato continuato (81 c.p.), premessa, ove necessaria, la determinazione della pena corrispondente. 7. Se più sentenze di non luogo a procedere (425) o più sentenze di proscioglimento (529 ss.) sono state pronunciate nei confronti della stessa persona per il medesimo fatto, il giudice, se l'interessato entro il termine previsto dal comma 2 non indica la sentenza che deve essere eseguita, ordina l'esecuzione della sentenza più favorevole, revocando le altre. 8. Salvo quanto previsto dagli artt. 69 comma 2 e 345, se si tratta di una sentenza di proscioglimento e di una sentenza di condanna (533 ss.) o di un decreto penale, il giudice ordina l'esecuzione della sentenza di proscioglimento revocando la decisione di condanna. Tuttavia, se il proscioglimento è stato pronunciato per estinzione del reato (150 ss. c.p.) verificatasi successivamente alla data in cui è divenuta irrevocabile la decisione di condanna, si esegue quest'ultima. 9. Se si tratta di una sentenza di non luogo a procedere e di una sentenza pronunciata in giudizio o di un decreto penale, il giudice ordina l'esecuzione della sentenza pronunciata in giudizio o del decreto. (1) Si vedano gli artt. 55 e 56 della L. 24 novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale».

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670. Questioni sul titolo esecutivo. 1. Quando il giudice dell'esecuzione accerta che il provvedimento manca o non è divenuto esecutivo, valutata anche nel merito l'osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del condannato, lo dichiara con ordinanza e sospende l'esecuzione, disponendo, se occorre, la liberazione dell'interessato e la rinnovazione della notificazione non validamente eseguita. In tal caso decorre nuovamente il termine per l'impugnazione (585). 2. Quando è proposta impugnazione od opposizione, il giudice dell'esecuzione, dopo aver provveduto sulla richiesta dell'interessato, trasmette gli atti al giudice di cognizione competente. La decisione del giudice dell'esecuzione non pregiudica quella del giudice dell'impugnazione o dell'opposizione, il quale, se ritiene ammissibile il gravame, sospende con ordinanza l'esecuzione che non sia già stata sospesa (588). 3. Se l'interessato, nel proporre richiesta perché sia dichiarata la non esecutività del provvedimento, eccepisce che comunque sussistono i presupposti e le condizioni per la restituzione nel termine a norma dell'art. 175, e la relativa richiesta non è già stata proposta al giudice dell'impugnazione, il giudice dell'esecuzione, se non deve dichiarare la non esecutività del provvedimento, decide sulla restituzione. In tal caso, la richiesta di restituzione nel termine non può essere riproposta al giudice dell'impugnazione. Si applicano le disposizioni dell'art. 175 commi 7 e 8. Vai alla dottrina     ↓

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671. Applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato. 1. Nel caso di più sentenze o decreti penali irrevocabili (648) pronunciati in procedimenti distinti contro la stessa persona, il condannato o il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell'esecuzione (665) l'applicazione della disciplina del concorso formale (811 c.p.) o del reato continuato (812 c.p.), sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione (att. 186). Fra gli elementi che incidono sull'applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza (1). 2. Il giudice dell'esecuzione provvede determinando la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto (att. 187, 188). 2 bis. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 81, quarto comma, del codice penale (2). 3. Il giudice dell'esecuzione può concedere altresì la sospensione condizionale della pena (163 c.p.) e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale (175 c.p.), quando ciò consegue al riconoscimento del concorso formale o della continuazione. Adotta infine ogni altro provvedimento conseguente. (1) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 4 vicies del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, nella L. 21 febbraio 2006, n. 49. (2) Questo comma è stato inserito dall'art. 5, comma 2, della L. 5 dicembre 2005, n. 251.

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1740

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1741

672. Applicazione dell'amnistia e dell'indulto. 1. Per l'applicazione dell'amnistia (151 c.p.) o dell'indulto (174 c.p.) il giudice dell'esecuzione (665) procede a norma dell'art. 667 comma 4 (1). 2. Quando, in conseguenza dell'applicazione dell'amnistia o dell'indulto, occorre applicare o modificare una misura di sicurezza a norma dell'art. 210 del codice penale, il giudice dell'esecuzione dispone la trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza (677). 3. Il pubblico ministero che cura l'esecuzione della sentenza di condanna (655) può disporre provvisoriamente la liberazione del condannato detenuto ovvero la cessazione delle sanzioni sostitutive (2) e delle misure alternative (3), prima che essa sia definitivamente ordinata con il provvedimento che applica l'amnistia o l'indulto. 4. L'amnistia e l'indulto devono essere applicati, qualora il condannato ne faccia richiesta, anche se è terminata l'esecuzione della pena. 5. L'amnistia e l'indulto condizionati hanno per effetto di sospendere l'esecuzione della sentenza o del decreto penale fino alla scadenza del termine stabilito nel decreto di concessione o, se non fu stabilito termine, fino alla scadenza del quarto mese dal giorno della pubblicazione del decreto. L'amnistia e l'indulto condizionati si applicano definitivamente se, alla scadenza del termine, è dimostrato l'adempimento delle condizioni o degli obblighi ai quali la concessione del beneficio è subordinata. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 29 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (2) Si vedano gli artt. 53 ss. della L. 24 novembre 1981, n. 689, recante modifiche al sistema penale. (3) A norma degli artt. 47 ss. della L. 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario, come modificati dalla L. 10 ottobre 1986, n. 663, le misure alternative alla detenzione sono l'affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà.

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1742

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1743

673. Revoca della sentenza per abolizione del reato. 1. Nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell'esecuzione (665) revoca la sentenza di condanna (533 ss.) o il decreto penale (460) dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti (att. 193; 22 c.p.) (1). 2. Allo stesso modo provvede quando è stata emessa sentenza di proscioglimento (530, 531) o di non luogo a procedere (425, 469) per estinzione del reato o per mancanza di imputabilità. (1) A norma dell'art. 30, u.c., della L. 11 marzo 1953, n. 87, recante norme sulla costituzione e il funzionamento della Corte costituzionale, in seguito alla declaratoria di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice cessano l'esecuzione e tutti gli effetti penali della condanna. Si veda l'art. 5, comma 2, lett. a), del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313.

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1744

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1745

674. Revoca di altri provvedimenti. 1. La revoca della sospensione condizionale della pena (168 c.p.), della grazia o dell'amnistia o dell'indulto condizionati (151, 174 c.p.) e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale (1753 c.p.) è disposta dal giudice dell'esecuzione (665), qualora non sia stata disposta con la sentenza di condanna per altro reato. 1 bis. Il giudice dell'esecuzione provvede altresì alla revoca della sospensione condizionale della pena quando rileva l'esistenza delle condizioni di cui al terzo comma dell'articolo 168 del codice penale (1). (1) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 2, della L. 26 marzo 2001, n. 128.

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1746

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1747

675. Falsità di documenti. 1. Se la falsità di un atto o di un documento, accertata a norma dell'art. 537, non è stata dichiarata nel dispositivo della sentenza e non è stata proposta impugnazione per questo capo, ogni interessato può chiedere al giudice dell'esecuzione (665) che la dichiari. 2. La cancellazione totale del documento, disposta dal giudice della cognizione o dell'esecuzione, è eseguita mediante annotazione della sentenza o dell'ordinanza a margine di ciascuna pagina del medesimo e attestazione di tale adempimento nel verbale, con la dichiarazione che il documento non può avere alcun effetto giuridico. Il documento rimane allegato al verbale e una copia di questo è rilasciata in sostituzione del documento stesso a chi lo possedeva o lo aveva in deposito, quando la copia è stata chiesta per un legittimo interesse. 3. Negli altri casi, il testo del documento, quale risulta in seguito alla cancellazione parziale o alla ripristinazione, rinnovazione o riforma, è inserito per intero nel verbale. Se il documento era in deposito pubblico, è restituito al depositario unitamente a una copia autentica del verbale a cui deve rimanere allegato. Se il documento era posseduto da un privato, la cancelleria lo conserva allegato al verbale e ne rilascia copia quando questa è richiesta per un legittimo interesse. Tale copia vale come originale per ogni effetto giuridico. 4. Per l'osservanza dei predetti adempimenti, il giudice o il presidente del collegio dà le disposizioni occorrenti nel relativo verbale. Vai alla dottrina     ↓

1748

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1749

676. (1) Altre competenze. 1. Il giudice dell'esecuzione (665) è competente a decidere in ordine all'estinzione del reato (151 ss. c.p.) dopo la condanna, all'estinzione della pena (171 ss. c.p.) quando la stessa non consegue alla liberazione condizionale (176 c.p.) o all'affidamento in prova al servizio sociale (2), in ordine alle pene accessorie (19, 28 ss. c.p.), alla confisca (240 c.p.) o alla restituzione delle cose sequestrate (262) [o alla devoluzione allo Stato delle somme di denaro sequestrate ai sensi del comma 3 bis dell'articolo 262] (3). In questi casi il giudice dell'esecuzione procede a norma dell'art. 667 comma 4 (4). 2. Qualora sorga controversia sulla proprietà delle cose confiscate, si applica la disposizione dell'art. 263 comma 3. 3. Quando accerta l'estinzione del reato o della pena, il giudice dell'esecuzione la dichiara anche di ufficio adottando i provvedimenti conseguenti. (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 109 del 15 giugno 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo e degli articoli 666, comma 3, e 667, comma 4, c.p.p, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l’ordinanza in materia di applicazione della confisca si svolga, davanti al giudice dell’esecuzione, nelle forme dell’udienza pubblica. (2) Si vedano gli artt. 47 e 47 bis della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario, come sostituiti dagli artt. 11 e 12 della L. 10 ottobre 1986, n. 663, recante modifiche della suddetta normativa. (3) Le parole: «o alla devoluzione allo Stato delle somme di denaro sequestrate ai sensi del comma 3 bis dell'articolo 262», inserite dall'art. 2, comma 613, della L. 24 dicembre 2007, n. 244, sono state successivamente soppresse dall'art. 2, comma 9, del D.L. 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, nella L. 13 novembre 2008, n. 181. (4) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 30 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

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1750

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1751

Capo II. MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA.

677. Competenza per territorio. 1. La competenza a conoscere le materie attribuite alla magistratura di sorveglianza appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione sull'istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l'interessato all'atto della richiesta, della proposta o dell'inizio di ufficio del procedimento (1). 2. Quando l'interessato non è detenuto o internato, la competenza, se la legge non dispone diversamente (2), appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sul luogo in cui l'interessato ha la residenza o il domicilio. Se la competenza non può essere determinata secondo il criterio sopra indicato, essa appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata la sentenza di condanna, di proscioglimento o di non luogo a procedere, e, nel caso di più sentenze di condanna o di proscioglimento, al tribunale o al magistrato di sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata la sentenza divenuta irrevocabile per ultima. 2 bis. Il condannato, non detenuto, ha l'obbligo, a pena di inammissibilità, di fare la dichiarazione o l'elezione di domicilio con la domanda con la quale chiede una misura alternativa alla detenzione o altro provvedimento attribuito dalla legge alla magistratura di sorveglianza. Il condannato, non detenuto, ha altresì l'obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dall'articolo 161 (3). (1) Si vedano gli artt. 69 ss. della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario, come da ultimo modificati dalla L. 10 ottobre 1986, n. 663, recante modifiche della suddetta normativa. (2) Si veda l'art. 47, terzo comma, della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario, come da ultimo sostituito dall'art. 11 della L. 10 ottobre 1986, n. 663, recante modifiche della suddetta normativa. (3) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 9, comma 4, del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438.

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1752

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1753

678. Procedimento di sorveglianza. 1. Il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti alle misure di sicurezza e alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere, e il tribunale di sorveglianza, nelle materie di sua competenza, se non diversamente previsto, procedono, a richiesta del pubblico ministero, dell'interessato, del difensore o di ufficio, a norma dell'articolo 666. Quando vi è motivo di dubitare dell'identità fisica di una persona, procedono comunque a norma dell'articolo 667, comma 4 (1). 1 bis. Il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti alla rateizzazione e alla conversione delle pene pecuniarie, alla remissione del debito e alla esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata, e il tribunale di sorveglianza, nelle materie relative alle richieste di riabilitazione, alla valutazione sull'esito dell'affidamento in prova, anche in casi particolari, alla dichiarazione di estinzione del reato conseguente alla liberazione condizionale e al differimento dell'esecuzione della pena nei casi previsti dal primo comma, numeri 1) e 2), dell'articolo 146 del codice penale, procedono a norma dell'articolo 667, comma 4 (2). 1 ter. Quando la pena da espiare non è superiore a un anno e sei mesi, per la decisione sulle istanze di cui all'articolo 656, comma 5, il presidente del tribunale di sorveglianza, acquisiti i documenti e le necessarie informazioni, designa il magistrato relatore e fissa un termine entro il quale questi, con ordinanza adottata senza formalità, può applicare in via provvisoria una delle misure menzionate nell'articolo 656, comma 5. L'ordinanza di applicazione provvisoria della misura è comunicata al pubblico ministero e notificata all'interessato e al difensore, i quali possono proporre opposizione al tribunale di sorveglianza entro il termine di dieci giorni. Il tribunale di sorveglianza, decorso il termine per l'opposizione, conferma senza formalità la decisione del magistrato. Quando non è stata emessa o confermata l'ordinanza provvisoria, o è stata proposta opposizione, il tribunale di sorveglianza procede a norma del comma 1. Durante il termine per l'opposizione e fino alla decisione sulla stessa, l'esecuzione dell'ordinanza è sospesa (3). 2. Quando si procede nei confronti di persona sottoposta a osservazione scientifica della personalità (4), il giudice acquisisce la relativa documentazione e si avvale, se occorre, della consulenza dei tecnici del trattamento. 3. Le funzioni di pubblico ministero sono esercitate, davanti al tribunale di sorveglianza, dal procuratore generale presso la corte di appello e, davanti al magistrato di sorveglianza, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale della sede dell'ufficio di sorveglianza (att. 189). 3.1. Quando ne fa richiesta l'interessato l'udienza si svolge in forma pubblica. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 471 e 472 (5). 3.2. L'avviso di fissazione dell'udienza, notificato all'interessato, contiene, a pena di nullità, l'avvertimento della facoltà di parteciparvi personalmente. Se l'interessato detenuto o internato ne fa richiesta, il giudice dispone la traduzione. Si applicano in ogni caso le forme e le modalità di partecipazione a distanza nei procedimenti in camera di consiglio previste dalla legge. La partecipazione all'udienza avviene a distanza anche quando l'interessato, detenuto o internato, ne fa richiesta ovvero

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quando lo stesso è detenuto o internato in un luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice. Ove lo ritenga opportuno, il giudice dispone la traduzione dell'interessato (5). 3 bis. Il tribunale di sorveglianza e il magistrato di sorveglianza, nelle materie di rispettiva competenza, quando provvedono su richieste di provvedimenti incidenti sulla libertà personale di condannati da Tribunali o Corti penali internazionali, danno immediata comunicazione della data dell'udienza e della pertinente documentazione al Ministro della giustizia, che tempestivamente ne informa il Ministro degli affari esteri e, qualora previsto da accordi internazionali, l'organismo che ha pronunciato la condanna (6). (1) Questo comma è stato, da ultimo, così sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. b), n. 1), del D.L.vo 2 ottobre 2018, n. 123. (2) Questo comma, aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. c), del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, nella L. 21 febbraio 2014, n. 10, è stato così sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. b), n. 2), del D.L.vo 2 ottobre 2018, n. 123. (3) Questo comma è stato inserito dall'art. 4, comma 1, lett. b), n. 3), del D.L.vo 2 ottobre 2018, n. 123. (4) Si veda l'art. 13 della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario. (5) Questo comma è stato inserito dall'art. 4, comma 1, lett. b), n. 4), del D.L.vo 2 ottobre 2018, n. 123. (6) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 3 del D.L. 26 giugno 2014, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 117.

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1755

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1756

679. Misure di sicurezza. 1. Quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata, fuori dei casi previsti dall'art. 312, ordinata con sentenza (533), o deve essere ordinata successivamente (658), il magistrato di sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero o di ufficio, accerta se l'interessato è persona socialmente pericolosa (203 c.p.) e adotta i provvedimenti conseguenti, premessa, ove occorra, la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato (102-105 c.p.). Provvede altresì, su richiesta del pubblico ministero, dell'interessato, del suo difensore o di ufficio su ogni questione relativa nonché sulla revoca della dichiarazione di tendenza a delinquere (att. 190, 191; 108 c.p.) (1). 2. Il magistrato di sorveglianza sovraintende alla esecuzione delle misure di sicurezza personali (211, 215 c.p.). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 135 del 21 maggio 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma e degli articoli 666, comma 3 e 678, comma 1, c.p.p, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell’udienza pubblica.

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1757

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1758

680. Impugnazione di provvedimenti relativi alle misure di sicurezza. 1. Contro i provvedimenti del magistrato di sorveglianza concernenti le misure di sicurezza e la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere (679), possono proporre appello (593) al tribunale di sorveglianza il pubblico ministero, l'interessato e il difensore. 2. Fuori dei casi previsti dall'art. 579 commi 1 e 3, il tribunale di sorveglianza giudica anche sulle impugnazioni contro sentenze di condanna (533 ss.) o di proscioglimento (529 ss.) (1) concernenti le disposizioni che riguardano le misure di sicurezza. 3. Si osservano le disposizioni generali sulle impugnazioni (568 ss.), ma l'appello non ha effetto sospensivo (588), salvo che il tribunale disponga altrimenti. (1) Le parole: «, di proscioglimento o di non luogo a procedere» sono state così sostituite dalle attuali: «o di proscioglimento» dall'art. 23, comma 2, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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1759

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1760

681. Provvedimenti relativi alla grazia. 1. La domanda di grazia (174 c.p.), diretta al Presidente della Repubblica, è sottoscritta dal condannato o da un suo prossimo congiunto (3074 c.p.) o dal convivente o dal tutore o dal curatore ovvero da un avvocato o procuratore legale (1) ed è presentata al Ministro di grazia e giustizia. 2. Se il condannato è detenuto, o internato, la domanda può essere presentata al magistrato di sorveglianza (677), il quale, acquisiti tutti gli elementi di giudizio utili e le osservazioni del procuratore generale presso la corte di appello del distretto ove ha sede il giudice indicato nell'art. 665, la trasmette al ministro con il proprio parere motivato (2). Se il condannato non è detenuto o internato, la domanda può essere presentata al predetto procuratore generale il quale, acquisite le opportune informazioni, la trasmette al ministro con le proprie osservazioni. 3. La proposta di grazia è sottoscritta dal presidente del consiglio di disciplina ed è presentata al magistrato di sorveglianza, che procede a norma del comma 2. 4. La grazia può essere concessa anche in assenza di domanda o proposta. Emesso il decreto di grazia, il pubblico ministero presso il giudice indicato nell'art. 665 ne cura la esecuzione ordinando, quando è il caso, la liberazione del condannato e adottando i provvedimenti conseguenti (2103 c.p.; att. 192). 5. In caso di grazia sottoposta a condizioni, si provvede a norma dell'art. 672 comma 5. (1) L'albo dei procuratori legali è stato soppresso con l'art. 1 della L. 24 febbraio 1997, n. 27. (2) Cfr. gli artt. 69 ord. penit.; 76, comma 2, lett. c), e 109 reg. penit.

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1761

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1762

682. Liberazione condizionale. 1. Il tribunale di sorveglianza (677) decide sulla concessione e sulla revoca della liberazione condizionale (176 c.p.; coord. 236; reg. 32). 2. Se la liberazione non è concessa per difetto del requisito del ravvedimento, la richiesta non può essere riproposta prima che siano decorsi sei mesi dal giorno in cui è divenuto irrevocabile il provvedimento di rigetto. Vai alla dottrina     ↓

1763

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1764

683. Riabilitazione. 1. Il tribunale di sorveglianza (677), su richiesta dell'interessato, decide sulla riabilitazione (178 c.p.), anche se relativa a condanne pronunciate da giudici speciali, quando la legge non dispone altrimenti, e sull'estinzione della pena accessoria nel caso di cui all'articolo 179, settimo comma, del codice penale (1). Decide altresì sulla revoca della riabilitazione (2), qualora essa non sia stata disposta con la sentenza di condanna per altro reato (att. 193; reg. 33). 2. Nella richiesta sono indicati gli elementi dai quali può desumersi la sussistenza delle condizioni previste dall'art. 179 del codice penale. Il tribunale acquisisce la documentazione necessaria. 3. Se la richiesta è respinta per difetto del requisito della buona condotta, essa non può essere riproposta prima che siano decorsi due anni dal giorno in cui è divenuto irrevocabile il provvedimento di rigetto. (1) Le parole: «, e sull'estinzione della pena accessoria nel caso di cui all'articolo 179, settimo comma, del codice penale» sono state aggiunte dall'art. 1, comma 4, lett. g), n. 1), della L. 9 gennaio 2019, n. 3. (2) Le parole: «della riabilitazione» sono state inserite dall'art. 1, comma 4, lett. g), n. 2), della L. 9 gennaio 2019, n. 3.

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1765

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1766

684. Rinvio dell'esecuzione. 1. Il tribunale di sorveglianza (677) provvede in ordine al differimento dell'esecuzione delle pene detentive e delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata (1) nei casi previsti dagli artt. 146 e 147 del codice penale, salvo quello previsto dall'art. 147 comma 1 n. 1) del codice penale, nel quale provvede il Ministro di grazia e giustizia. Il tribunale ordina, quando occorre, la liberazione del detenuto e adotta gli altri provvedimenti conseguenti (2). 2. Quando vi è fondato motivo per ritenere che sussistono i presupposti perché il tribunale disponga il rinvio, il magistrato di sorveglianza può ordinare il differimento dell'esecuzione, o, se la protrazione della detenzione può cagionare grave pregiudizio al condannato, la liberazione del detenuto. Il provvedimento conserva effetto fino alla decisione del tribunale, al quale il magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti. (1) Si vedano gli artt. 55 e 56 della L. 24 novembre 1981, n. 689, recante modifiche al sistema penale. (2) La Corte costituzionale, con sentenza 31 maggio 1990, n. 274 ha dichiarato l'illegittimità di questo comma nella parte in cui attribuisce al Ministro di grazia e giustizia e non al tribunale di sorveglianza la competenza a provvedere sull'istanza di differimento della pena proposta ai sensi dell'art. 1471, n. 1, c.p.

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1767

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Titolo IV. CASELLARIO GIUDIZIALE (1). (1) Sulle modalità di redazione della scheda del casellario per i cittadini di lingua tedesca o ladina si vedano gli artt. 28 e 32 del D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, come modificato con D.L.vo 29 maggio 2001, n. 283.

685. (1) Uffici del casellario giudiziale. 1. Presso ciascun tribunale, sotto la vigilanza del procuratore della Repubblica, l'ufficio del casellario raccoglie e conserva l'estratto dei provvedimenti e le annotazioni di cui è prescritta l'iscrizione, concernenti le persone nate nel circondario (att. 194). 2. Gli estratti dei provvedimenti e le annotazioni concernenti persone nate all'estero o delle quali non si è potuto accertare il luogo di nascita nel territorio dello Stato, si conservano nell'ufficio del casellario presso il tribunale di Roma (reg. 34). (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 52, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003.

686. (1) Iscrizioni nel casellario giudiziale. 1. Nel casellario giudiziale, oltre le annotazioni prescritte da particolari disposizioni di legge (att. 194), si iscrivono per estratto: a) nella materia penale, regolata dal codice penale o da leggi speciali: 1) le sentenze di condanna e i decreti penali appena divenuti irrevocabili (648), salvo quelli concernenti contravvenzioni per le quali è ammessa la definizione in via amministrativa o l'oblazione, ai sensi dell'art. 162 del codice penale, sempre che per le stesse non sia stata concessa la sospensione condizionale della pena (163 c.p.); 2) i provvedimenti emessi dagli organi giurisdizionali dell'esecuzione (666 ss.) non più soggetti a impugnazione che riguardano la pena, le misure di sicurezza (199 ss. c.p.), gli effetti penali della condanna, l'applicazione dell'amnistia (151 c.p.) e la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere (102-105, 108 c.p.); 3) i provvedimenti che riguardano l'applicazione di pene accessorie (19, 28 ss. c.p.); 4) le sentenze non più soggette a impugnazione che hanno prosciolto l'imputato (529 ss.) o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità (425) o disposto una misura di sicurezza o dichiarato estinto il reato per applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato (444, 4452); b) nella materia civile: 1) le sentenze passate in giudicato (324 c.p.c.) che hanno pronunciato l'interdizione o l'inabilitazione e i provvedimenti che le revocano (712-720 c.p.c.); 2) le sentenze con le quali l'imprenditore è stato dichiarato fallito; 3) le sentenze di omologazione del concordato fallimentare (130, 181 l. fall.) e quelle che hanno dichiarato la riabilitazione del fallito (144 l. fall.); 4) i decreti di chiusura del fallimento (119 l. fall.);

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c) i provvedimenti amministrativi relativi alla perdita o alla revoca della cittadinanza e all'espulsione dello straniero; d) i provvedimenti definitivi che riguardano l'applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale semplice o con divieto od obbligo di soggiorno (att. 1942). 2. Quando sono state riconosciute dall'autorità giudiziaria (730), sono pure iscritte, nei casi previsti dal comma 1 lett. a), le sentenze pronunciate da autorità giudiziarie straniere. 3. Nel casellario si iscrive altresì, se si tratta di condanna penale, la menzione del luogo e del tempo in cui la pena fu scontata e dell'eventuale applicazione di misure alternative alla detenzione ovvero la menzione che non fu in tutto o in parte scontata, per amnistia (151 c.p.), indulto, grazia (174 c.p.), liberazione condizionale (176 c.p.) o per altra causa; devono inoltre essere iscritti i provvedimenti che dichiarano o revocano la riabilitazione (178, 180 c.p.). (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 52, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003.

687. (1) Eliminazione delle iscrizioni. 1. Le iscrizioni nel casellario sono eliminate appena si ha notizia ufficiale dell'accertata morte della persona alla quale si riferiscono ovvero sono trascorsi ottanta anni dalla nascita della persona medesima (coord. 237). 2. Sono inoltre eliminate le iscrizioni relative: a) alle sentenze e ai decreti revocati a seguito di revisione (637) o a norma dell'art. 673; b) alle sentenze di proscioglimento o di non luogo a procedere per difetto di imputabilità (425, 530), trascorsi dieci anni in caso di delitto o tre anni in caso di contravvenzione dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile (648) o, se trattasi di sentenza di non luogo a procedere, è scaduto il termine per l'impugnazione (585); c) alle sentenze o ai decreti di condanna per contravvenzioni per le quali è stata inflitta la pena dell'ammenda, salvo che sia stato concesso alcuno dei benefici previsti dagli artt. 163 e 175 del codice penale, trascorsi dieci anni dal giorno in cui la pena è stata eseguita ovvero si è in altro modo estinta. 3. Qualora siano state applicate misure di sicurezza, i termini previsti dal comma 2 decorrono dalla data della revoca della misura di sicurezza (207, 2363 c.p.) e, se questa è stata applicata o sostituita con provvedimento successivo alla sentenza, anche la relativa iscrizione è eliminata. 3 bis. Nella materia civile, sono eliminate le iscrizioni relative: a) ai provvedimenti indicati nell'art. 686 comma 1 lett. b), nn. 2 e 4, quando il fallimento è stato revocato con sentenza passata in giudicato; b) ai provvedimenti indicati nell'art. 686 comma 1 lett. c) quando sono stati annullati con provvedimento amministrativo o con sentenza passata in giudicato. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 52, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13

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febbraio 2003.

688. (1) Certificati del casellario giudiziale. 1. Ogni organo avente giurisdizione penale ha il diritto di ottenere, per ragioni di giustizia penale, il certificato di tutte le iscrizioni esistenti al nome di una determinata persona. Uguale diritto appartiene a tutte le amministrazioni pubbliche e agli enti incaricati di pubblici servizi, quando il certificato è necessario per provvedere a un atto delle loro funzioni, in relazione alla persona cui il certificato stesso si riferisce (att. 1942, 196). 2. Il pubblico ministero può richiedere, per ragioni di giustizia penale, il predetto certificato concernente la persona sottoposta alle indagini (61), l'imputato (60) o il condannato. Il pubblico ministero e il difensore possono altresì chiedere, previa autorizzazione del giudice procedente, il certificato medesimo concernente la persona offesa dal reato (90) o un testimone, per i fini indicati dall'art. 236 (att. 110, 1942, 196). 3. Nei certificati spediti per ragioni di elettorato non si fa menzione delle condanne e di altri provvedimenti che non hanno influenza sul diritto elettorale (att. 195). (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 52, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003.

689. (1) Certificati richiesti dall'interessato. 1. La persona alla quale le iscrizioni del casellario si riferiscono ha diritto di ottenere i relativi certificati senza motivare la domanda. 2. I certificati rilasciati a norma del comma 1 sono: a) certificato generale, nel quale sono riportate tutte le iscrizioni esistenti ad eccezione: 1) delle condanne delle quali è stato ordinato che non si faccia menzione nel certificato a norma dell'art. 175 del codice penale, purché il beneficio non sia stato revocato; 2) delle condanne per contravvenzioni punibili con la sola ammenda e delle condanne per reati estinti a norma dell'art. 167 comma 1 del codice penale; 3) delle condanne per reati per i quali si è verificata la causa speciale di estinzione prevista dall'art. 556 del codice penale; 4) delle condanne in relazione alle quali è stata definitivamente applicata l'amnistia (151 c.p.) e di quelle per le quali è stata dichiarata la riabilitazione, senza che questa sia stata in seguito revocata (180 c.p.); 5) delle sentenze previste dall'art. 445 e delle sentenze che hanno dichiarato estinto il reato per applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato nonché dei decreti penali; 6) delle condanne per fatti che la legge ha cessato di considerare come reati, quando la relativa iscrizione non è stata eliminata; 7) dei provvedimenti riguardanti misure di sicurezza conseguenti a sentenze di proscioglimento (530) o di non luogo a procedere (425), quando le misure sono state revocate (207, 2363 c.p.);

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8) dei provvedimenti indicati nell'art. 686 comma 1 lett. b), n. 1), quando l'interdizione o la inabilitazione è stata revocata; 9) dei provvedimenti concernenti il fallimento, quando il fallito è stato riabilitato con sentenza definitiva; b) certificato penale, nel quale sono riportate tutte le iscrizioni esistenti ad eccezione di quelle indicate nella lett. a), nn. 1), 2), 3), 4), 5), 6) e 7) e di quelle indicate nell'art. 686 comma 1 lett. b) e c); c) certificato civile, nel quale sono riportate le iscrizioni indicate nell'art. 686 comma 1 lett. b) e c) ad eccezione di quelle indicate nei nn. 8) e 9) della lett. a) del presente comma nonché i provvedimenti concernenti le pene accessorie portanti limitazioni alla capacità del condannato. 3. Quando è menzionata una condanna, nel certificato è indicata anche l'eventuale applicazione di misure alternative alla detenzione o l'avvenuta estinzione della pena per una delle cause indicate nell'art. 686 comma 3. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 52, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003.

690. (1) Questioni concernenti le iscrizioni e i certificati. 1. Sulle questioni concernenti le iscrizioni e i certificati decide, in composizione monocratica e con le forme stabilite dall'art. 666, il tribunale del luogo dove ha sede l'ufficio del casellario giudiziale. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 52, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003.

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Titolo V. SPESE.

691. (1) Anticipazione delle spese. 1. Le spese dei procedimenti penali sono anticipate dallo Stato a eccezione di quelle relative agli atti richiesti dalle parti private non ammesse al patrocinio statale dei non abbienti (98; att. 144). 2. Al recupero delle spese processuali anticipate dallo Stato si procede, in esecuzione del provvedimento del giudice che ne impone l'obbligo, secondo le forme stabilite dalle leggi e dai regolamenti (att. 181, 199, 200). (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Si vedano ora gli artt. 4 e 200 del medesimo provvedimento, di cui si riporta il testo: «4 (L). (Anticipazione delle spese). 1. Le spese del processo penale sono anticipate dall'erario, ad eccezione di quelle relative agli atti chiesti dalle parti private e di quelle relative alla pubblicazione della sentenza, ai sensi dell'articolo 694, comma 1, del codice di procedura penale e dell'articolo 76, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. «2. Se la parte è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, l'erario anticipa anche le spese relative agli atti chiesti dalla parte privata, secondo le previsioni della parte III del presente testo unico». «200 (L). (Applicabilità della procedura nel processo penale). 1. Secondo le disposizioni di questa parte sono recuperate le spese processuali penali, le pene pecuniarie, le sanzioni amministrative pecuniarie e le spese di mantenimento dei detenuti, nonché le spese nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato».

692. Spese della custodia cautelare. 1. Quando l'imputato è condannato a pena detentiva per il reato per il quale fu sottoposto a custodia cautelare (284 ss.), sono poste a suo carico le spese per il mantenimento durante il periodo di custodia (5355; att. 1815). 2. Se la custodia cautelare supera la durata della pena, sono detratte le spese relative alla maggiore durata. 3. All'esazione si provvede secondo le norme stabilite per le spese conseguenti alla carcerazione per l'esecuzione della condanna (1). (1) Questo comma è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Si veda ora l'art. 200 del medesimo provvedimento, di cui si riporta il testo: «200 (L). (Applicabilità della procedura nel processo penale). 1. Secondo le disposizioni di questa parte sono recuperate le spese processuali penali, le pene pecuniarie, le sanzioni amministrative pecuniarie e le spese di mantenimento dei detenuti, nonché le spese nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato».

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693. (1) Provvedimenti in caso d'insolvibilità. 1. La cancelleria del giudice che ha pronunciato sentenza di condanna alla rifusione delle spese anticipate dallo Stato comunica, per le necessarie informazioni, le generalità dell'obbligato dichiarato insolvibile all'ufficio provinciale di polizia tributaria, indicando il titolo e l'ammontare del credito. 2. L'ufficio di polizia tributaria assume informazioni sulle reali condizioni economiche della persona dichiarata insolvibile e su ogni mutamento in esse avvenuto. Quando gli risulta la solvibilità, comunica senza ritardo le informazioni alla cancelleria che le ha richieste, la quale procede al recupero del credito. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

694. Spese per la pubblicazione di sentenze e obbligo di inserzione. 1. Il direttore o vice direttore responsabile di un giornale o periodico deve pubblicare, senza diritto ad anticipazione o a rifusione di spese (691) non più tardi dei tre giorni successivi a quello in cui ne ha ricevuto ordine dall'autorità competente per l'esecuzione, la sentenza di condanna irrevocabile (648) pronunciata contro di lui o contro altri per pubblicazione avvenuta nel suo giornale. 2. Fuori di questo caso, quando l'inserzione di una sentenza penale in un giornale è ordinata dal giudice (536, 543, 642; 36, 165, 186, 3473, 448, 475, 4983, 501 bis, 518 c.p.), il direttore o vice direttore responsabile del giornale o periodico designato deve eseguirla, a richiesta del pubblico ministero o della persona obbligata o autorizzata a provvedervi, [previa anticipazione delle spese per l'importo e nei modi stabiliti dalle disposizioni sulla tariffa penale] (1) (2). 3. La pubblicazione ordinata dal giudice per estratto o per intero può essere eseguita anche in foglio di supplemento dello stesso formato, corpo e carattere della parte principale del giornale o periodico, da unirsi a ciascuna copia di questo e in un unico contesto esattamente riprodotto. 4. Se il direttore o il vice direttore responsabile contravviene alle disposizioni precedenti, è condannato in solido con l'editore e con il proprietario della tipografia al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma fino a € 1.549. (1) Si veda il R.D.L. 9 luglio 1936, n. 1539, relativo alla pubblicazione delle sentenze penali nei giornali. Per altri casi di pubblicazione si vedano le seguenti disposizioni: a) art. 9 della L. 8 febbraio 1948, n. 47, recante disposizioni sulla stampa, in tema di reati commessi mediante pubblicazione in un periodico; b) art. 6 della L. 30 aprile 1962, n. 283, recante disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari; c) artt. 28, quinto comma, e 38 della L. 20 maggio 1970, n. 300, recante norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, in tema di violazioni alla citata legge; d) art. 6 della L. 20 novembre 1971, n. 1062, recante norme sulla tutela delle opere d'arte; e) art. 12 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, recante nuova disciplina sui reati fiscali; f) art. 26 del D.L.vo 22 maggio 1999, n. 251, recante disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi; g) art. 76 del D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

1775

(2) Le parole poste fra parentesi quadrate sono state abrogate dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

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695. (1) Questioni sulle spese processuali. 1. Sulle questioni concernenti le materie previste nel presente titolo decide il giudice dell'esecuzione, che procede con le forme indicate nell'art. 666. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

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Libro XI. RAPPORTI GIURISDIZIONALI

CON AUTORITÀ STRANIERE. Vai alla dottrina     ↓

1778

Titolo I. DISPOSIZIONI GENERALI. Vai alla dottrina     ↓

1779

696. (1) Prevalenza del diritto dell'Unione europea, delle convenzioni e del diritto internazionale generale. 1. Nei rapporti con gli Stati membri dell'Unione europea le estradizioni, le domande di assistenza giudiziaria internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi all'amministrazione della giustizia in materia penale, sono disciplinati dalle norme del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché dagli atti normativi adottati in attuazione dei medesimi. Se tali norme mancano o non dispongono diversamente, si applicano le norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e le norme di diritto internazionale generale. 2. Nei rapporti con Stati diversi da quelli membri dell'Unione europea le estradizioni, le domande di assistenza giudiziaria internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi all'amministrazione della giustizia in materia penale, sono disciplinati dalle norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale. 3. Se le norme indicate ai commi 1 e 2 mancano o non dispongono diversamente, si applicano le norme del presente libro. 4. Il Ministro della giustizia può, in ogni caso, non dare corso alle domande di cooperazione giudiziaria quando lo Stato richiedente non dia idonee garanzie di reciprocità. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1780

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1781

Titolo I bis . PRINCIPI GENERALI DEL MUTUO RICONOSCIMENTO

DELLE DECISIONI E DEI PROVVEDIMENTI

GIUDIZIARI TRA STATI MEMBRI

DELL'UNIONE EUROPEA (1) . (1) Questo titolo è stato inserito dall'art. 3, comma 1, lett. a), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1782

696 bis. Principio del mutuo riconoscimento. 1. Il principio del mutuo riconoscimento è disciplinato dalle norme del presente titolo e dalle altre disposizioni di legge attuative del diritto dell'Unione europea. 2. Le decisioni e i provvedimenti giudiziari emessi dalle competenti autorità degli altri Stati membri possono essere riconosciuti ed eseguiti nel territorio dello Stato; l'autorità giudiziaria può richiedere alle competenti autorità degli altri Stati membri l'esecuzione dei propri provvedimenti e decisioni. Vai alla dottrina     ↓

1783

696 ter. Tutela dei diritti fondamentali della persona nel mutuo riconoscimento. 1. L'autorità giudiziaria provvede al riconoscimento e all'esecuzione se non sussistono fondate ragioni per ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti che configurano una grave violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato, dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dall'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea o dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Vai alla dottrina     ↓

1784

696 quater. Modalità di trasmissione delle decisioni giudiziarie. 1. L'autorità giudiziaria competente riceve direttamente le decisioni e i provvedimenti da riconoscere ed eseguire nel territorio dello Stato. 2. L'autorità giudiziaria trasmette direttamente alle competenti autorità giudiziarie degli altri Stati membri le decisioni e i provvedimenti da riconoscere ed eseguire, dandone comunicazione al Ministro della giustizia nei casi e nei modi previsti dalla legge, anche ai fini dell'esercizio dei poteri di cui all'articolo 696 sexies. 3. La documentazione e gli accertamenti integrativi, nonché le ulteriori informazioni necessarie all'esecuzione delle decisioni e dei provvedimenti dei quali sia chiesto il riconoscimento, sono oggetto di trasmissione diretta tra le autorità giudiziarie degli Stati membri. Vai alla dottrina     ↓

1785

696 quinquies. Limiti al sindacato delle decisioni giudiziarie degli altri Stati membri. 1. L'autorità giudiziaria riconosce ed esegue le decisioni e i provvedimenti giudiziari degli altri Stati membri senza sindacarne le ragioni di merito, salvo che sia altrimenti previsto. È in ogni caso assicurato il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato. Vai alla dottrina     ↓

1786

696 sexies. Poteri del Ministro della giustizia. 1. Il Ministro della giustizia, nei casi e nei modi previsti dalla legge, garantisce l'osservanza delle condizioni eventualmente poste in casi particolari dall'autorità giudiziaria dello Stato membro per dare esecuzione alle decisioni giudiziarie di cui è stato chiesto il riconoscimento, sempre che tali condizioni non contrastino con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato. 2. Il Ministro della giustizia verifica l'osservanza delle condizioni poste dall'autorità giudiziaria italiana per l'esecuzione delle decisioni e dei provvedimenti nel territorio di altro Stato membro. Vai alla dottrina     ↓

1787

696 septies. Mutuo riconoscimento e responsabilità da reato degli enti. 1. In materia di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie riguardanti la responsabilità da reato degli enti, nei rapporti con gli Stati membri dell'Unione europea, si osservano le norme di questo titolo nonché quelle contenute in altre disposizioni di legge attuative del diritto dell'Unione europea. Vai alla dottrina     ↓

1788

696 octies. Modalità di esecuzione. 1. L'autorità giudiziaria riconosce ed esegue le decisioni e i provvedimenti giudiziari di altri Stati membri senza ritardo e con modalità idonee ad assicurarne la tempestività e l'efficacia. 2. All'esecuzione delle decisioni e dei provvedimenti giudiziari al cui riconoscimento l'interessato ha prestato il consenso si provvede senza formalità, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona. Vai alla dottrina     ↓

1789

696 novies. Impugnazioni. 1. Le decisioni sul riconoscimento e l'esecuzione di un provvedimento emesso dall'autorità giudiziaria di altro Stato membro sono impugnabili nei casi e con i mezzi previsti dalla legge. 2. Avverso le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale è ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge. 3. Non è ammessa l'impugnazione per motivi di merito, salvo quanto previsto dall'articolo 696 quinquies. 4. L'impugnazione non ha effetto sospensivo, salvo che sia diversamente previsto. Vai alla dottrina     ↓

1790

696 decies. Tutela dei terzi di buona fede. 1. I terzi di buona fede interessati dall'esecuzione della decisione di riconoscimento sono tutelati nei casi e con i mezzi previsti dalla legge. Ai terzi è assicurata la partecipazione al procedimento di riconoscimento con le forme e le garanzie che la legge assicura nei procedimenti analoghi già regolati dall'ordinamento interno. Vai alla dottrina     ↓

1791

Titolo II. ESTRADIZIONE. Vai alla dottrina     ↓

1792

Capo I. ESTRADIZIONE PER L'ESTERO. Sezione I. PROCEDIMENTO.

697. Estradizione e poteri del Ministro della giustizia.(1) 1. Salvo che sia diversamente stabilito, la consegna (2) a uno Stato estero di una persona per l'esecuzione di una sentenza straniera di condanna a pena detentiva o di altro provvedimento restrittivo della libertà personale può aver luogo soltanto mediante estradizione (26 Cost.; 13 c.p.). 1 bis. Il Ministro della giustizia non dà corso alla domanda di estradizione quando questa può compromettere la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato (3). 1 ter. Fermo quanto previsto dal comma 1 bis, quando un accordo internazionale prevede il potere di rifiutare l'estradizione di un cittadino senza regolarne l'esercizio, il Ministro della giustizia rifiuta l'estradizione tenendo conto della gravità del fatto, della rilevanza degli interessi lesi dal reato e delle condizioni personali dell'interessato (3). 1 quater. Il Ministro della giustizia concede l'estradizione della persona che ha prestato il consenso a norma dell'articolo 701, comma 2, sempre che non sussistano le ragioni ostative di cui all'articolo 705, comma 2 (3). 1 quinquies. La decisione di non dare corso alla domanda di estradizione è comunicata dal Ministro della giustizia allo Stato estero e all'autorità giudiziaria (3). 2. Nel concorso di più domande di estradizione, il Ministro della giustizia (1) ne stabilisce l'ordine di precedenza. A tal fine egli tiene conto di tutte le circostanze del caso e in particolare della data di ricezione delle domande, della gravità e del luogo di commissione del reato o dei reati, della nazionalità e della residenza della persona richiesta e della possibilità di una riestradizione dallo Stato richiedente a un altro Stato. (1) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 4, comma 1, lett. a), n. 3), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Le parole: «La consegna» sono state così sostituite dalle attuali: «Salvo che sia diversamente stabilito, la consegna» dall'art. 4, comma 1, lett. a), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Questo comma è stato inserito dall'art. 4, comma 1, lett. a), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1793

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1794

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1795

698. Reati politici. Tutela dei diritti fondamentali della persona. 1. Non può essere concessa l'estradizione per un reato politico (10, 26 Cost.; 83 c.p.) (1) né quando vi è ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali (3 Cost.) ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona (7052). 2. Se il fatto per il quale è domandata l'estradizione è punito con la pena di morte secondo la legge dello Stato estero, l'estradizione può essere concessa solo quando l'autorità giudiziaria accerti che è stata adottata una decisione irrevocabile che irroga una pena diversa dalla pena di morte o, se questa è stata inflitta, è stata commutata in una pena diversa, comunque nel rispetto di quanto stabilito dal comma 1 (2). (1) Un'eccezione a questo principio è contemplata nella L.C. 21 giugno 1967, n. 1, per i delitti di genocidio. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 5, comma 1, della L. 21 luglio 2016, n. 149.

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1796

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1797

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1798

699. Principio di specialità. 1. La concessione dell'estradizione (704-705), l'estensione dell'estradizione già concessa (710) e la riestradizione (711) sono sempre subordinate alla condizione espressa che, per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l'estradizione è stata concessa o estesa ovvero da quello per il quale la riestradizione è stata concessa, l'estradato non venga sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o misura di sicurezza né assoggettato ad altra misura restrittiva della libertà personale né consegnato ad altro Stato. 2. La disposizione del comma 1 non si applica quando l'estradato, avendone avuta la possibilità, non ha lasciato il territorio dello Stato al quale è stato consegnato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva liberazione ovvero, avendolo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno (721). 3. Il ministro può inoltre subordinare la concessione dell'estradizione ad altre condizioni che ritiene opportune. 4. Il ministro verifica l'osservanza della condizione di specialità e delle altre condizioni eventualmente apposte. Vai alla dottrina     ↓

1799

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1800

700. Documenti a sostegno della domanda. 1. L'estradizione è consentita soltanto sulla base di una domanda alla quale sia allegata copia del provvedimento restrittivo della libertà personale o della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla domanda stessa (att. 201). 2. Alla domanda devono essere allegati: a) una relazione sui fatti addebitati alla persona della quale è domandata l'estradizione, con l'indicazione del tempo e del luogo di commissione dei fatti stessi e della loro qualificazione giuridica; b) il testo delle disposizioni di legge applicabili [, con l'indicazione se per il fatto per cui è domandata l'estradizione è prevista dalla legge dello Stato estero la pena di morte e, in tal caso, quali assicurazioni lo Stato richiedente fornisce che tale pena non sarà inflitta o, se già inflitta, che non sarà eseguita] (1); b bis) il provvedimento di commutazione della pena nei casi di cui all'articolo 698, comma 2 (2); c) i dati segnaletici e ogni altra possibile informazione atta a determinare l'identità e la nazionalità della persona della quale è domandata l'estradizione. (1) Le parole tra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 4, comma 1, lett. b), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Questa lettera è stata inserita dall'art. 4, comma 1, lett. b), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1801

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1802

701. Garanzia giurisdizionale. 1. L'estradizione di un imputato o di un condannato all'estero non può essere concessa senza la decisione favorevole della corte di appello (704-705). 2. Tuttavia, non si fa luogo al giudizio della corte di appello quando l'imputato o il condannato all'estero acconsente all'estradizione richiesta. L'eventuale consenso deve essere espresso alla presenza del difensore e, se del caso, dell'interprete (1) e di esso è fatta menzione nel verbale (att. 202). 3. La decisione favorevole della corte di appello e il consenso della persona non rendono obbligatoria l'estradizione. 4. La competenza a decidere appartiene, nell'ordine, alla corte di appello nel cui distretto l'imputato o il condannato ha la residenza, la dimora o il domicilio nel momento in cui la domanda di estradizione perviene al Ministro della giustizia (2) ovvero alla corte di appello che ha ordinato l'arresto provvisorio previsto dall'art. 715 o alla corte di appello il cui presidente ha provveduto alla convalida dell'arresto previsto dall'art. 716. Se la competenza non può essere determinata nei modi così indicati è competente la Corte di appello di Roma. (1) Le parole: «e, se del caso, dell'interprete» sono state inserite dall'art. 4, comma 1, lett. c), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 4, comma 1, lett. c), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1803

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1804

702. (1) Intervento dello Stato richiedente. 1. A condizione di reciprocità, lo Stato richiedente ha la facoltà di intervenire nel procedimento davanti alla corte di appello e alla Corte di cassazione (704, 706) facendosi rappresentare da un avvocato abilitato al patrocinio davanti all'autorità giudiziaria italiana. (1) Si veda l’art. 12 del D.L.vo 7 settembre 2010, n. 161 sul reciproco riconoscimento delle sentenze di condanna a pena detentiva.

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1805

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1806

703. Accertamenti del procuratore generale. 1. Il Ministro della giustizia quando ritiene di dare corso alla domanda di estradizione, la trasmette entro trenta giorni dal ricevimento con i documenti che vi sono allegati al procuratore generale presso la corte di appello competente a norma dell'articolo 701, comma 4 (1). 2. Salvo che si sia già provveduto a norma dell'articolo 717, il procuratore generale, ricevuta la domanda, dispone la comparizione davanti a sè dell'interessato e provvede alla sua identificazione. Procede, altresì, all'interrogatorio dello stesso e ne raccoglie, previa informazione sulle conseguenze, l'eventuale consenso all'estradizione o la rinuncia al principio di specialità. L'interessato è avvisato che è assistito da un difensore di ufficio, ma che può nominarne uno di fiducia. L'atto è compiuto alla necessaria presenza del difensore cui deve essere dato avviso almeno ventiquattro ore prima. Il consenso all'estradizione e la rinuncia al principio di specialità non sono validi se non sono espressi alla presenza del difensore. La rinuncia dell'estradato alla garanzia del principio di specialità è irrevocabile alle condizioni stabilite dall'articolo 717, comma 2 bis (2). 3. Il procuratore generale richiede alle autorità straniere, per mezzo del Ministro della giustizia, la documentazione e le informazioni suppletive che ritiene necessarie. Ove previsto dalle convenzioni internazionali, la richiesta è inoltrata direttamente dal procuratore generale, che ne dà comunicazione al Ministro della giustizia (3). 4. Il procuratore generale, entro trenta giorni (4) dalla data in cui la domanda di estradizione gli è pervenuta, presenta alla corte di appello la requisitoria. 5. La requisitoria è depositata nella cancelleria della corte di appello, unitamente agli atti e alle cose sequestrate. La cancelleria cura la notificazione (148 ss.) dell'avviso del deposito alla persona della quale è richiesta l'estradizione, al suo difensore e all'eventuale rappresentante dello Stato richiedente (702), i quali, entro dieci giorni, hanno facoltà di prendere visione e di estrarre copia della requisitoria e degli atti nonché di esaminare le cose sequestrate e di presentare memorie. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. d), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. d), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. d), n. 3), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (4) Le parole: «tre mesi» sono state così sostituite dalle attuali: «trenta giorni» dall'art. 4, comma 1, lett. d), n. 4), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1807

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1808

704. Procedimento davanti alla corte di appello. 1. Scaduto il termine previsto dall'art. 703 comma 5, il presidente della corte fissa l'udienza per la decisione, con decreto da comunicarsi (153) al procuratore generale e da notificarsi (148 ss.) alla persona della quale è richiesta l'estradizione, al suo difensore (7032) e all'eventuale rappresentante dello Stato richiedente (702), almeno dieci giorni prima, a pena di nullità. Provvede inoltre a designare un difensore di ufficio (97) alla persona che ne sia priva e, ove necessario, nomina un interprete (1). Fino a cinque giorni prima dell'udienza possono essere presentate memorie in cancelleria. 2. La corte decide con sentenza in camera di consiglio, entro sei mesi dalla presentazione della requisitoria, (2) sull'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione, dopo aver assunto le informazioni e disposto gli accertamenti ritenuti necessari, sentiti (3) il pubblico ministero, il difensore e, se comparsi (4), la persona della quale è richiesta l'estradizione e il rappresentante dello Stato richiedente (7123). 3. Quando la decisione è favorevole all'estradizione, la corte, se vi è richiesta del Ministro della giustizia, dispone la custodia cautelare in carcere della persona da estradare che si trovi in libertà. Provvede, altresì, al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti, stabilendo quali devono essere consegnati allo Stato richiedente (5). 4. Quando la decisione è contraria all'estradizione, la corte revoca (299), le misure cautelari applicate e dispone in ordine alla restituzione delle cose sequestrate (263). (1) Le parole: «e, ove necessario, nomina un interprete» sono state aggiunte dall'art. 4, comma 1, lett. e), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Le parole: «, entro sei mesi dalla presentazione della requisitoria,» sono state inserite dall'art. 4, comma 1, lett. e), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Le parole: «e dopo aver sentito» sono state così sostituite dalle attuali: «, sentiti» dall'art. 4, comma 1, lett. e), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (4) Le parole: «se compaiono» sono state così sostituite dalle attuali: «se comparsi» dall'art. 4, comma 1, lett. e), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (5) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. e), n. 3), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1809

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1810

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1811

705. Condizioni per la decisione. 1. Quando non esiste convenzione o questa non dispone diversamente, la corte di appello pronuncia sentenza favorevole all'estradizione se sussistono gravi indizi di colpevolezza ovvero se esiste una sentenza irrevocabile di condanna e se, per lo stesso fatto, nei confronti della persona della quale è domandata l'estradizione, non è in corso procedimento penale né è stata pronunciata sentenza irrevocabile (648) nello Stato. 2. La corte di appello pronuncia comunque sentenza contraria all'estradizione: a) se, per il reato per il quale l'estradizione è stata domandata, la persona è stata o sarà sottoposta a un procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali; b) se la sentenza per la cui esecuzione è stata domandata l'estradizione contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato; c) se vi è motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero alla pena di morte o a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona (1); c bis) se ragioni di salute o di età comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona richiesta (1). (1) L'originaria lettera c) è stata così sostituita dalle attuali lettere c) e c bis) dall'art. 4, comma 1, lett. f), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1812

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1813

706. Ricorso per cassazione. 1. Contro la sentenza della corte di appello (705) può essere proposto ricorso per cassazione, anche per il merito, dalla persona interessata, dal suo difensore (7032), dal procuratore generale e dal rappresentante dello Stato richiedente (702, 7123; att. 203). La corte decide entro sei mesi dal ricevimento del ricorso (1). 2. Nel giudizio davanti alla Corte di cassazione si applicano le disposizioni dell'art. 704. (1) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 4, comma 1, lett. g), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1814

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1815

707. Rinnovo della domanda di estradizione. 1. La sentenza contraria all'estradizione (705) preclude la pronuncia di una successiva sentenza favorevole a seguito di un'ulteriore domanda presentata per i medesimi fatti dallo stesso Stato, salvo che la domanda sia fondata su elementi che non siano già stati valutati dall'autorità giudiziaria. Vai alla dottrina     ↓

1816

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1817

708. Provvedimento di estradizione. Consegna. 1. Il Ministro della giustizia (1) decide in merito all'estradizione entro quarantacinque giorni dalla ricezione del verbale che dà atto del consenso all'estradizione (7012) ovvero dalla notizia della scadenza del termine per l'impugnazione o dal deposito della sentenza della Corte di cassazione (706). 2. Scaduto tale termine senza che sia intervenuta la decisione del ministro, la persona della quale è stata chiesta l'estradizione, se detenuta, è posta in libertà. 3. La persona medesima è altresì posta in libertà in caso di diniego dell'estradizione. 4. Il Ministro della giustizia (2) comunica senza indugio allo Stato richiedente la decisione e, se questa è positiva, il luogo della consegna e la data a partire dalla quale sarà possibile procedervi, dando altresì precise indicazioni circa le limitazioni alla libertà personale subite dall'estradando ai fini dell'estradizione. 5. Il termine per la consegna è di quindici giorni dalla data stabilita a norma del comma 4 e, su domanda motivata dello Stato richiedente, può essere prorogato di altri venti giorni. Il termine per la consegna è sospeso in caso di sospensione dell'efficacia della decisione del Ministro della giustizia da parte del competente giudice amministrativo e riprende a decorrere dalla data di deposito del provvedimento di revoca del provvedimento cautelare o del provvedimento con cui è accolto il gravame proposto avverso il provvedimento cautelare o della sentenza che rigetta il ricorso ovvero della decisione che dichiara l'estinzione del giudizio (3). 6. Il provvedimento di concessione dell'estradizione perde efficacia se, nel termine fissato, lo Stato richiedente non provvede a prendere in consegna l'estradando; in tale caso quest'ultimo viene posto in libertà. (1) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 4, comma 1, lett. h), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 4, comma 1, lett. h), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 5, comma 2, della L. 21 luglio 2016, n. 149.

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1818

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1819

709. Sospensione della consegna. Consegna temporanea. Esecuzione all'estero. 1. L'esecuzione dell'estradizione è sospesa se l'estradando deve essere giudicato nel territorio dello Stato o vi deve scontare una pena per reati commessi prima o dopo quello per il quale l'estradizione è stata concessa. Ove sia disposta la sospensione, il Ministro della giustizia, sentita l'autorità giudiziaria competente per il procedimento in corso nello Stato o per l'esecuzione della pena, può procedere alla consegna temporanea allo Stato richiedente della persona da estradare, concordandone termini e modalità (1). 2. Il ministro può inoltre, osservate le disposizioni del capo II del titolo IV (742 ss.), convenire che la pena da scontare abbia esecuzione nello Stato richiedente. (1) Questo periodo è stato così sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. i), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1820

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1821

710. Estensione dell'estradizione concessa. 1. In caso di nuova domanda di estradizione, presentata dopo la consegna dell'estradato e avente a oggetto un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l'estradizione è già stata concessa (699), si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del presente capo (697 ss.). Alla domanda devono essere allegate le dichiarazioni della persona interessata, rese davanti a un giudice dello Stato richiedente, in ordine alla richiesta estensione dell'estradizione. 2. La corte di appello procede in assenza della persona interessata. 3. Non si fa luogo al giudizio davanti alla corte di appello se l'estradato, con le dichiarazioni previste dal comma 1, ha consentito all'estensione richiesta. Vai alla dottrina     ↓

1822

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1823

711. Riestradizione. 1. Le disposizioni dell'art. 710 si applicano anche nel caso in cui lo Stato al quale la persona è stata consegnata domanda il consenso alla riestradizione della stessa persona verso un altro Stato (699). Vai alla dottrina     ↓

1824

712. Transito. 1. Quando l'estradizione di una persona da uno Stato terzo a un altro richiede il transito sul territorio italiano, il Ministro della giustizia lo autorizza, su domanda dello Stato richiedente l'estradizione, salvo che il transito non comprometta la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato (1). 2. Il transito non può essere autorizzato: a) se l'estradizione è stata concessa per fatti non previsti come reati dalla legge italiana (13 c.p.); b) se ricorre taluna delle ipotesi previste dall'articolo 698 (2); c) se si tratta di un cittadino italiano e la sua estradizione allo Stato che ha richiesto il transito non potrebbe essere concessa (26 Cost.; 13 c.p.). 3. Se la persona estradata non ha consentito al transito con dichiarazione resa davanti all'autorità giudiziaria dello Stato che ha concesso l'estradizione, l'autorizzazione è data previa decisione della corte di appello di Roma, resa in camera di consiglio (3). 4. L'autorizzazione non è richiesta quando il transito avviene per via aerea e non è previsto lo scalo nel territorio dello Stato. Tuttavia, se lo scalo si verifica, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei commi precedenti e quelle della sezione II del presente capo. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. l), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 4, comma 1, lett. l), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. l), n. 3), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1825

713. Misure di sicurezza applicate all'estradato. 1. Le misure di sicurezza applicate al prosciolto o al condannato nello Stato, che successivamente venga estradato, sono eseguite quando lo stesso ritorna per qualsiasi causa nel territorio dello Stato, previo nuovo accertamento della pericolosità sociale (679; 199 ss. c.p.). Vai alla dottrina     ↓

1826

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1827

Sezione II. MISURE CAUTELARI.

714. Misure coercitive e sequestro. 1. In ogni tempo la persona della quale è domandata l'estradizione (700) può essere sottoposta, a richiesta del Ministro della giustizia (1), a misure coercitive (281-286). Parimenti, in ogni tempo, può essere disposto, a richiesta del Ministro della giustizia (1), il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato per il quale è domandata l'estradizione (7043). 2. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del titolo I del libro IV (272 ss.), riguardanti le misure coercitive, fatta eccezione di quelle degli artt. 273 e 280, e le disposizioni del capo III del titolo III del libro III (253 ss.). Nell'applicazione delle misure coercitive si tiene conto in particolare dell'esigenza di garantire che la persona della quale è domandata l'estradizione non si sottragga all'eventuale consegna (274, lett. b). 3. Le misure coercitive e il sequestro non possono comunque essere disposti se vi sono ragioni per ritenere che non sussistono le condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione. 4. Le misure coercitive sono revocate (718) se dall'inizio della loro esecuzione è trascorso un anno senza che la corte di appello abbia pronunciato la sentenza favorevole all'estradizione ovvero, in caso di ricorso per cassazione contro tale sentenza, un anno e sei mesi senza che sia stato esaurito il procedimento davanti all'autorità giudiziaria. A richiesta del procuratore generale, detti termini possono essere prorogati, anche più volte, per un periodo complessivamente non superiore a tre mesi, quando è necessario procedere ad accertamenti di particolare complessità (2). 4 bis. Le misure coercitive sono altresì revocate se sono trascorsi tre mesi dalla pronuncia della decisione favorevole del Ministro della giustizia sulla richiesta di estradizione senza che l'estradando sia stato consegnato allo Stato richiedente. Il termine è sospeso dalla data di deposito del ricorso presentato al giudice amministrativo avverso la decisione del Ministro della giustizia, fino alla data di deposito della sentenza che rigetta il ricorso o della decisione che dichiara l'estinzione del giudizio, comunque per un periodo non superiore a sei mesi (3). 5. La competenza a provvedere a norma dei commi precedenti appartiene alla corte di appello o, nel corso del procedimento davanti alla Corte di cassazione, alla corte medesima (717). (1) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 4, comma 1, lett. m), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 35 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (3) Questo comma è stato inserito dall'art. 5, comma 3, della L. 21 luglio 2016, n. 149.

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1828

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1829

715. Applicazione provvisoria di misure cautelari. 1. Su domanda dello Stato estero e a richiesta motivata del Ministro della giustizia (1), la corte di appello può disporre, in via provvisoria, una misura coercitiva (281-286) prima che la domanda di estradizione sia pervenuta. 2. La misura può essere disposta (716) se: a) lo Stato estero ha dichiarato che nei confronti della persona è stato emesso provvedimento restrittivo della libertà personale ovvero sentenza di condanna a pena detentiva e che intende presentare domanda di estradizione; b) lo Stato estero ha fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato e delle pene previste per lo stesso, nonché gli elementi (2) per l'esatta identificazione della persona; c) vi è pericolo di fuga (274, lett. b). 3. La competenza a disporre la misura appartiene, nell'ordine, alla corte di appello nel cui distretto la persona ha la residenza, la dimora o il domicilio ovvero alla corte di appello del distretto in cui risulta che la persona si trova. Se la competenza non può essere determinata nei modi così indicati, è competente la Corte di appello di Roma. 4. La corte di appello può altresì disporre il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato (253). 5. Il Ministro della giustizia (3) dà immediata comunicazione allo Stato estero dell'applicazione in via provvisoria della misura coercitiva e dell'eventuale sequestro. 6. Le misure cautelari sono revocate (718) se entro quaranta giorni dalla predetta comunicazione non sono pervenuti al Ministero degli affari esteri o a quello della giustizia (4) la domanda di estradizione e i documenti previsti dall'art. 700 (7165, 717). (1) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 4, comma 1, lett. n), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Le parole: «gli elementi sufficienti» sono state così sostituite dalle attuali: «delle pene previste per lo stesso, nonché gli elementi» dall'art. 4, comma 1, lett. n), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 4, comma 1, lett. n), n. 3), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (4) Le parole: «di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «della giustizia» dall'art. 4, comma 1, lett. n), n. 4), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1830

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1831

716. Arresto da parte della polizia giudiziaria. 1. Nei casi di urgenza, la polizia giudiziaria (57) può procedere all'arresto della persona nei confronti della quale sia stata presentata domanda di arresto provvisorio se ricorrono le condizioni previste dall'art. 715 comma 2. Essa provvede altresì al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato (253). 2. L'autorità che ha proceduto all'arresto ne informa immediatamente il Ministro della giustizia (1) e al più presto, e comunque non oltre quarantotto ore, pone l'arrestato a disposizione del presidente della corte di appello nel cui distretto l'arresto è avvenuto, mediante la trasmissione del relativo verbale. 3. Quando non deve disporre la liberazione dell'arrestato, il presidente della corte di appello, entro le successive quarantotto ore, convalida l'arresto con ordinanza disponendo, se ne ricorrono i presupposti l'applicazione di una misura coercitiva. Dei provvedimenti dati informa immediatamente il Ministro della giustizia (2). 4. La misura coercitiva è revocata (718) se il Ministro della giustizia (1) non ne chiede il mantenimento entro dieci giorni dalla convalida. 5. Si applicano le disposizioni dell'art. 715 commi 5 e 6 (717). (1) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 4, comma 1, lett. o), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. o), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1832

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1833

717. Audizione della persona sottoposta a una misura coercitiva. 1. Quando è stata applicata una misura coercitiva a norma degli artt. 714, 715 e 716, il presidente della corte di appello, al più presto e comunque entro cinque giorni dalla esecuzione della misura ovvero dalla convalida prevista dall'art. 716, provvede all'identificazione della persona, al suo interrogatorio, e ne raccoglie, previa informazione sulle conseguenze giuridiche che ne derivano, l'eventuale consenso all'estradizione o la rinuncia alla garanzia del principio di specialità, facendone menzione nel verbale (1). 2. Ai fini di provvedere agli adempimenti previsti dal comma 1, il presidente della corte di appello invita l'interessato a nominare un difensore di fiducia (96) designando, in difetto di tale nomina, un difensore di ufficio a norma dell'art. 97 comma 3. Gli adempimenti di cui al comma 1 sono compiuti alla necessaria presenza del difensore, al quale è dato avviso almeno ventiquattro ore prima (2). Il consenso all'estradizione e la rinuncia alla garanzia del principio di specialità non sono validi se non sono espressi alla presenza del difensore (2) (3). 2 bis. La rinuncia dell'estradato alla garanzia del principio di specialità è irrevocabile, salvo l'intervento di fatti nuovi che modifichino la situazione esistente al momento della rinuncia (4). (1) Le parole: «e ne raccoglie l'eventuale consenso all'estradizione facendone menzione nel verbale» sono state così sostituite dalle attuali: «, al suo interrogatorio, e ne raccoglie, previa informazione sulle conseguenze giuridiche che ne derivano, l'eventuale consenso all'estradizione o la rinuncia alla garanzia del principio di specialità, facendone menzione nel verbale» dall'art. 4, comma 1, lett. p), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) L'originario secondo periodo è stato così sostituito dagli attuali secondo e terzo periodo dall'art. 4, comma 1, lett. p), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Questa norma è applicabile in materia di misure coercitive previste dall’art. 14 del D.L.vo 7 settembre 2010, n. 161 sul reciproco riconoscimento delle sentenze di condanna a pena detentiva. (4) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 4, comma 1, lett. p), n. 3), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1834

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1835

718. Revoca e sostituzione delle misure. 1. La revoca e la sostituzione delle misure previste dagli articoli precedenti sono disposte in camera di consiglio (127) dalla corte di appello o, nel corso del procedimento davanti alla Corte di cassazione, dalla corte medesima (611). 2. La revoca è sempre disposta se il Ministro della giustizia (1) ne fa richiesta. (1) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 4, comma 1, lett. q), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1836

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1837

719. Impugnazione dei provvedimenti relativi alle misure cautelari. 1. Copia dei provvedimenti emessi dal presidente della corte di appello o dalla corte di appello a norma degli articoli precedenti è comunicata e notificata (148 ss.), dopo la loro esecuzione, al procuratore generale presso la corte di appello, alla persona interessata e al suo difensore, i quali possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge (606). Vai alla dottrina     ↓

1838

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1839

Capo II. ESTRADIZIONE DALL'ESTERO.

720. Domanda di estradizione. 1. Il Ministro della giustizia (1) è competente a domandare a uno Stato estero l'estradizione di un imputato o di un condannato nei cui confronti debba essere eseguito un provvedimento restrittivo della libertà personale (280 ss., 312, 656 ss.). A tal fine il procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto si procede o è stata pronunciata la sentenza di condanna ne fa richiesta al Ministro di grazia e giustizia, trasmettendogli gli atti e i documenti necessari. 2. L'estradizione può essere domandata di propria iniziativa dal Ministro di grazia e giustizia. 3. Il Ministro della giustizia (2) può decidere di non presentare la domanda di estradizione o di differirne la presentazione, quando la richiesta può pregiudicare la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato, (3) dandone comunicazione all'autorità giudiziaria richiedente. 4. Il Ministro della giustizia (4) è competente a decidere in ordine all'accettazione delle condizioni eventualmente poste dallo Stato estero per concedere l'estradizione, purché non contrastanti con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano. L'autorità giudiziaria è vincolata al rispetto delle condizioni accettate. 5. Il Ministro della giustizia (4) può disporre, al fine di estradizione, le ricerche all'estero dell'imputato o del condannato e domandarne l'arresto provvisorio. (1) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 5, comma 1, lett. a), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 5, comma 1, lett. a), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Le parole: «, quando la richiesta può pregiudicare la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato,» sono state inserite dall'art. 5, comma 1, lett. a), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (4) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 5, comma 1, lett. a), n. 3), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1840

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1841

721. (1) Principio di specialità. 1. La persona estradata non può essere sottoposta a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza detentiva, nè assoggettata ad altra misura restrittiva della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l'estradizione è stata concessa. 2. Quando le convenzioni internazionali o le condizioni poste prevedono che un fatto anteriore alla consegna non possa essere giudicato, il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo se l'azione penale è stata esercitata, sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. 3. Avverso l'ordinanza di cui al comma 2 possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore. Il ricorso non ha effetto sospensivo. 4. La sospensione del processo non impedisce il compimento degli atti urgenti, l'assunzione delle prove non rinviabili, nonché di quelle che possono determinare il proscioglimento per fatti anteriori alla consegna. 5. Il principio di specialità non opera quando: a) lo Stato estero ha consentito all'estensione; b) l'estradato ha espresso il proprio consenso con le modalità indicate nell'articolo 717, commi 2 e 2 bis; c) l'estradato, avendone avuta la possibilità, non ha lasciato il territorio dello Stato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva liberazione oppure se, dopo averlo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 5, comma 1, lett. b), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1842

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1843

721 bis. (1) Estensione dell'estradizione. 1. Ai fini della richiesta di estensione dell'estradizione può essere emessa ordinanza di custodia cautelare quando sussistono gravi indizi di colpevolezza. 2. L'esecuzione dell'ordinanza resta sospesa fino alla concessione della estensione dell'estradizione ed è revocata, anche d'ufficio, in caso di rifiuto da parte dello Stato estero. 3. Concessa l'estensione, su richiesta del pubblico ministero l'ordinanza di custodia cautelare è confermata ai fini dell'esecuzione, soltanto se, fermi i gravi indizi di colpevolezza, sussistono esigenze cautelari a norma degli articoli 274 e seguenti. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 5, comma 1, lett. c), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1844

722. (1) Custodia cautelare all'estero. 1. La custodia cautelare all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato è computata ai sensi dell'articolo 303, fermo quanto previsto dall'articolo 304, comma 6. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 5, comma 1, lett. d), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1845

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1846

722 bis. (1) Riparazione per ingiusta detenzione. 1. La custodia cautelare all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato è computata ai fini della riparazione per ingiusta detenzione nei casi indicati all'articolo 314. (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 5, comma 1, lett. e), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1847

Titolo III. ROGATORIE INTERNAZIONALI. Vai alla dottrina     ↓

1848

Capo I. ROGATORIE DALL'ESTERO.

723. (1) Poteri del Ministro della giustizia. 1. Il Ministro della giustizia provvede sulla domanda di assistenza giudiziaria di un'autorità straniera, trasmettendola per l'esecuzione all'autorità giudiziaria competente entro trenta giorni dalla ricezione della stessa, salvo quanto previsto dal comma 3 (att. 201). 2. Quando le convenzioni in vigore tra gli Stati membri dell'Unione europea, ovvero gli atti adottati dal Consiglio e dal Parlamento dell'Unione europea, prevedono un intervento del Ministro, questi può disporre con decreto di non dare corso alla esecuzione della domanda di assistenza giudiziaria nei casi e nei limiti stabiliti dalle convenzioni e dagli atti indicati. 3. Nei rapporti con Stati diversi da quelli membri dell'Unione europea, tale potere può essere esercitato altresì in caso di pericolo per la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato. 4. Quando un accordo internazionale prevede la trasmissione diretta della richiesta di assistenza, l'autorità giudiziaria che la riceve ne trasmette copia senza ritardo al Ministero della giustizia. 5. Il Ministro della giustizia non dà altresì corso alla rogatoria quando risulta evidente che gli atti richiesti sono espressamente vietati dalla legge o sono contrari ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano o ancora quando vi sono fondate ragioni per ritenere che considerazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali o sociali possano influire negativamente sullo svolgimento o sull'esito del processo e non risulta che l'imputato abbia liberamente espresso il suo consenso alla rogatoria. 6. Nei casi in cui la richiesta di assistenza ha ad oggetto la citazione di un testimone, di un perito o di un imputato davanti all'autorità giudiziaria straniera, il Ministro della giustizia ha facoltà di non dare corso alla stessa quando lo Stato richiedente non offre idonea garanzia in ordine all'immunità della persona citata. Il Ministro ha altresì facoltà di non dare corso alla richiesta di assistenza giudiziaria quando lo Stato richiedente non dà idonee garanzie di reciprocità. 7. Nei casi in cui il Ministro della giustizia esercita il potere di cui al presente articolo ne dà comunicazione alle autorità giudiziarie interessate. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 6, comma 1, lett. a), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1849

724. (1) Procedimento di esecuzione. 1. Le richieste di assistenza giudiziaria per le attività di acquisizione probatoria e di sequestro di beni a fini di confisca sono trasmesse al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto del luogo nel quale deve compiersi l'attività richiesta. 2. Il procuratore della Repubblica, ricevuti gli atti trasmessi dal Ministro della giustizia o direttamente dall'autorità straniera a norma di convenzioni internazionali in vigore per lo Stato, se la rogatoria ha per oggetto acquisizioni probatorie da compiersi davanti al giudice ovvero attività che secondo la legge italiana devono essere svolte dal giudice, presenta senza ritardo le proprie richieste al giudice per le indagini preliminari. 3. Negli altri casi il procuratore della Repubblica dà senza ritardo esecuzione alla richiesta, con decreto motivato. 4. Quando la domanda di assistenza ha ad oggetto atti che devono essere eseguiti in più distretti all'esecuzione provvede il procuratore del luogo nel quale deve compiersi il maggior numero di atti, ovvero, se di eguale numero, quello nel cui distretto deve compiersi l'atto di maggiore importanza investigativa. 5. Se il procuratore della Repubblica ritiene che deve provvedere alla esecuzione altro ufficio, trasmette allo stesso immediatamente gli atti; in caso di contrasto si applicano gli articoli 54, 54 bis e 54 ter. 6. Quando è previsto l'intervento del giudice, in caso di contrasto, gli atti sono trasmessi alla Corte di cassazione che decide secondo le forme previste dagli articoli 32, comma 1, e 127, in quanto compatibili. L'avviso di cui all'articolo 127, comma 1, è comunicato soltanto al procuratore generale presso la Corte di cassazione. La Corte di cassazione trasmette gli atti all'autorità giudiziaria designata, comunicando la decisione al Ministero della giustizia. 7. L'esecuzione della domanda di assistenza giudiziaria è negata: a) se gli atti richiesti sono vietati dalla legge o sono contrari a principi dell'ordinamento giuridico dello Stato; b) se il fatto per cui procede l'autorità straniera non è previsto come reato dalla legge italiana e non risulta che l'imputato abbia liberamente espresso il suo consenso alla domanda di assistenza giudiziaria; c) se vi sono fondate ragioni per ritenere che considerazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali o sociali possano influire sullo svolgimento o sull'esito del processo e non risulta che l'imputato abbia liberamente espresso il suo consenso alla domanda di assistenza giudiziaria (723). 8. L'esecuzione della richiesta di assistenza giudiziaria è sospesa quando da essa può derivare pregiudizio alle indagini o a procedimenti penali in corso. 9. Il procuratore della Repubblica trasmette senza ritardo al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo copia delle richieste di assistenza dell'autorità straniera che si riferiscono ai delitti di cui all'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 6, comma 1, lett. b), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

1850

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1851

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1852

725. (1) Esecuzione delle rogatorie. 1. Per il compimento degli atti richiesti si applicano le disposizioni del presente codice, salva l'osservanza delle forme espressamente richieste dall'autorità giudiziaria straniera che non siano contrarie ai principi dell'ordinamento giuridico dello Stato. 2. Si applica l'articolo 370, comma 3. 3. L'autorità giudiziaria può autorizzare, con decreto motivato, la presenza al compimento degli atti richiesti di rappresentanti o incaricati dell'autorità richiedente. Quando la richiesta proviene da autorità diverse da quelle di Stati membri dell'Unione europea, l'autorizzazione è comunicata al Ministro della giustizia. 4. Se nel corso dell'esecuzione il procuratore della Repubblica rileva l'opportunità del compimento di atti ulteriori non indicati nella richiesta, ne informa senza ritardo l'autorità richiedente ai fini dell'integrazione della richiesta. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 724, commi 7 e 9. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 6, comma 1, lett. c), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1853

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1854

726. Citazione di testimoni a richiesta dell'autorità straniera. 1. La citazione dei testimoni (7241) residenti o dimoranti nel territorio dello Stato, richiesta da una autorità giudiziaria straniera, è trasmessa al procuratore della Repubblica del luogo in cui deve essere eseguita, il quale provvede per la notificazione a norma dell'art. 167. Vai alla dottrina     ↓

1855

726 bis. (1) Notifica diretta all'interessato. 1. Quando le convenzioni o gli accordi internazionali consentono la notificazione diretta all'interessato a mezzo posta e questa non viene utilizzata, anche la richiesta dell'autorità giudiziaria straniera di notificazione all'imputato residente o dimorante nel territorio dello Stato è trasmessa al procuratore della Repubblica del luogo in cui deve essere eseguita, che provvede per la notificazione a norma degli articoli 156, 157 e 158. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 11 della L. 5 ottobre 2001, n. 367.

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1856

726 ter. (1) Rogatoria proveniente da autorità amministrativa straniera. 1. Quando la richiesta di assistenza giudiziaria in un procedimento concernente un reato è presentata da un'autorità amministrativa di altro Stato, essa è trasmessa per l'esecuzione al procuratore della Repubblica del luogo nel quale devono essere compiuti gli atti richiesti. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni del presente Capo. (1) Questo articolo, inserito dall'art. 11 della L. 5 ottobre 2001, n. 367, è stato così sostituito dall'art. 6, comma 1, lett. d), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1857

726 quater. (1) Trasferimento temporaneo all'estero di persone detenute. 1. Sulle richieste di trasferimento temporaneo a fini di indagine di persone detenute o internate, previste da accordi internazionali in vigore per lo Stato, provvede il Ministro della giustizia, sentita l'autorità giudiziaria procedente ovvero il magistrato di sorveglianza quando si tratti di soggetto condannato o internato e acquisite le informazioni relative alla situazione processuale, alle condizioni di salute e alle eventuali esigenze di sicurezza. 2. In caso di accoglimento, il Ministro della giustizia indica il termine entro il quale la persona deve essere riconsegnata, che non può comunque eccedere il tempo strettamente necessario all'espletamento dell'atto. 3. L'autorità giudiziaria italiana concorda con l'autorità straniera competente le modalità del trasferimento e della detenzione nello Stato richiedente. 4. Il trasferimento temporaneo è rifiutato se: a) la persona detenuta non vi acconsente; b) il trasferimento può prolungare la sua detenzione. 5. Il trasferimento temporaneo è subordinato alla condizione che la persona trasferita non sia perseguita, detenuta o sottoposta a qualsiasi altra restrizione della libertà personale nello Stato richiedente per fatti commessi o condanne pronunciate prima del suo temporaneo trasferimento, salvo che: a) il testimone, il perito o l'imputato, avendone avuta la possibilità, non ha lasciato il territorio dello Stato richiedente trascorsi quindici giorni dal momento in cui la sua presenza non è più richiesta dall'autorità giudiziaria; b) avendolo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno. 6. La persona trasferita rimane in stato di detenzione nel territorio dello Stato estero, salvo che l'autorità giudiziaria italiana ne disponga la liberazione. La detenzione al di fuori del territorio nazionale si considera ad ogni effetto come sofferta in Italia. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 6, comma 1, lett. e), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1858

726 quinquies. (1) Audizione mediante videoconferenza o altra trasmissione audiovisiva. 1. Nei casi previsti dagli accordi internazionali, l'audizione e la partecipazione all'udienza davanti all'autorità giudiziaria straniera della persona sottoposta ad indagini, dell'imputato, del testimone, del consulente tecnico o del perito che si trovi nello Stato può essere eseguita mediante videoconferenza o altra forma di collegamento audiovisivo a distanza. 2. L'autorità giudiziaria competente ai sensi dell'articolo 724 procede all'esecuzione della richiesta, salvo che sia contraria ai principi fondamentali dell'ordinamento. L'audizione e la partecipazione a distanza della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato è subordinata all'acquisizione del consenso dello stesso. 3. L'autorità giudiziaria e l'autorità richiedente concordano le modalità dell'audizione o della partecipazione a distanza, nonché le eventuali misure relative alla protezione della persona di cui è richiesto l'esame o la partecipazione a distanza. 4. Per la citazione della persona di cui è richiesta l'audizione o la partecipazione a distanza si applicano le norme del presente codice. 5. L'autorità giudiziaria provvede all'identificazione della persona di cui è richiesta l'audizione o la partecipazione e assicura, ove necessario, la presenza di un interprete e la traduzione degli atti nei casi previsti dalla legge. 6. L'audizione è direttamente condotta dall'autorità richiedente secondo il proprio diritto interno, in presenza dell'autorità nazionale che, assistita se del caso da un interprete, assicura il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano. 7. Al termine delle operazioni è redatto processo verbale attestante la data e il luogo di esecuzione delle medesime, l'identità della persona sentita o che ha partecipato all'udienza, fatte salve le misure eventualmente concordate per la protezione della stessa, nonché l'identità e le qualifiche di tutte le altre persone presenti, le eventuali prestazioni di giuramento e le condizioni tecniche in cui si è svolto il collegamento. Il processo verbale, sottoscritto dall'autorità giudiziaria procedente, è trasmesso all'autorità richiedente. 8. Si applicano le norme di cui agli articoli 366, 367, 368, 369, 371 bis, 372 e 373 del codice penale per i fatti commessi nel corso dell'audizione in videoconferenza. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 6, comma 1, lett. e), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1859

726 sexies. (1) Audizione mediante teleconferenza. 1. Nei casi previsti dagli accordi internazionali, l'audizione del testimone o del perito che si trovi nello Stato e la cui comparizione davanti all'autorità richiedente non sia possibile od opportuna può essere eseguita mediante teleconferenza. 2. Si applicano le disposizioni dell'articolo 726 quinquies, comma 8, nonché in quanto compatibili le ulteriori disposizioni del medesimo articolo. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 6, comma 1, lett. e), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1860

Capo II. ROGATORIE ALL'ESTERO.

727. (1) Trasmissione di rogatorie ad autorità straniere. 1. Le richieste di assistenza giudiziaria per comunicazioni, notificazioni e per attività di acquisizione probatoria sono trasmesse al Ministro della giustizia il quale provvede all'inoltro all'autorità estera entro trenta giorni dalla ricezione. Il Ministro comunica senza ritardo all'autorità giudiziaria richiedente la data di ricezione della domanda. 2. Quando le convenzioni in vigore tra gli Stati membri dell'Unione europea, ovvero le disposizioni del diritto dell'Unione europea, prevedono l'intervento del Ministro della giustizia, questi può disporre con decreto che non si dia corso all'inoltro della richiesta di assistenza giudiziaria nei casi e nei limiti stabiliti dalle convenzioni e dagli atti indicati. Nei rapporti con Stati diversi da quelli membri dell'Unione europea, tale potere può essere esercitato, oltre a quanto previsto dalle convenzioni, in caso di pericolo per la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato. 3. Il Ministro della giustizia comunica tempestivamente all'autorità richiedente l'avvenuto inoltro, ovvero il decreto di cui al comma 2 (att. 204). 4. Quando la richiesta di assistenza giudiziaria non è stata inoltrata dal Ministro della giustizia entro trenta giorni dalla ricezione e non sia stato emesso il decreto previsto dal comma 2, l'autorità giudiziaria può provvedere all'inoltro diretto all'agente diplomatico o consolare italiano, informandone il Ministro. 5. Nei casi urgenti, l'autorità giudiziaria provvede all'inoltro diretto a norma del comma 4 dopo che copia della richiesta di assistenza è stata ricevuta dal Ministro della giustizia. Resta salva l'applicazione della disposizione del comma 2 sino al momento della trasmissione della domanda, da parte dell'agente diplomatico o consolare, all'autorità straniera. 6. Quando un accordo internazionale prevede la trasmissione diretta della richiesta di assistenza giudiziaria, l'autorità giudiziaria ne trasmette copia senza ritardo al Ministro della giustizia. 7. Quando, nei rapporti di assistenza giudiziaria con Stati diversi da quelli membri dell'Unione europea, le convenzioni internazionali prevedono la trasmissione diretta delle domande di assistenza, l'autorità giudiziaria provvede alla trasmissione diretta decorsi dieci giorni dalla ricezione della copia della stessa da parte del Ministro della giustizia. Entro il termine indicato, il Ministro della giustizia può esercitare il potere di cui al comma 2. 8. In ogni caso, copia delle richieste di assistenza giudiziaria formulate nell'ambito di procedimenti relativi ai delitti di cui all'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater, è trasmessa senza ritardo al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. 9. Quando, a norma di accordi internazionali, la richiesta di assistenza giudiziaria può essere eseguita secondo quanto previsto dall'ordinamento giuridico dello Stato, l'autorità giudiziaria indica all'autorità dello Stato estero le modalità e le forme stabilite dalla legge ai fini dell'utilizzabilità degli atti richiesti.

1861

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 7, comma 1, lett. a), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1862

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1863

728. (1) Immunità temporanea della persona citata. 1. Nei casi in cui la domanda di assistenza giudiziaria ha ad oggetto la citazione di un testimone, di un perito o di un imputato davanti all'autorità giudiziaria italiana, la persona citata, qualora compaia, non può essere sottoposta a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza nè assoggettata ad altre misure restrittive della libertà personale per fatti anteriori alla notifica della citazione (280 ss., 312, 656 ss.), salvo che: a) il testimone, il perito o l'imputato, avendone avuta la possibilità, non ha lasciato il territorio dello Stato trascorsi quindici giorni dal momento in cui la sua presenza non è più richiesta dall'autorità giudiziaria; b) avendolo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 7, comma 1, lett. b), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1864

729. (1) Utilizzabilità degli atti assunti per rogatoria. 1. Nei casi in cui lo Stato estero abbia posto condizioni all'utilizzabilità degli atti richiesti, l'autorità giudiziaria è vincolata al rispetto di tali condizioni. 2. Se lo Stato estero dà esecuzione alla richiesta di assistenza con modalità diverse da quelle indicate dall'autorità giudiziaria ai sensi dell'articolo 727, comma 9, gli atti compiuti sono inutilizzabili solo nei casi in cui l'inutilizzabilità è prevista dalla legge. 3. Non possono in ogni caso essere utilizzate le dichiarazioni, da chiunque rese, aventi ad oggetto il contenuto di atti inutilizzabili. 4. Si applica la disposizione dell'articolo 191, comma 2. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 7, comma 1, lett. c), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1865

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1866

729 bis. (1) Acquisizione di atti e informazioni da autorità straniere. 1. La documentazione relativa ad atti e a informazioni spontaneamente trasmessi dall'autorità di altro Stato può essere acquisita al fascicolo del pubblico ministero. 2. L'autorità giudiziaria è vincolata al rispetto delle condizioni eventualmente poste all'utilizzabilità degli atti e delle informazioni spontaneamente trasmessi a norma del comma 1. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 7, comma 1, lett. d), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1867

729 ter. (1) Trasferimento temporaneo in Italia di persone detenute. 1. L'autorità giudiziaria può richiedere il trasferimento temporaneo nel territorio italiano di persona detenuta in altro Stato, al fine del compimento di un atto di indagine o per l'assunzione di una prova. 2. L'autorità giudiziaria italiana concorda con l'autorità straniera competente le modalità del trasferimento e il termine entro cui la persona detenuta deve fare rientro nello Stato richiesto, tenuto conto delle condizioni di salute fisica e mentale della persona interessata, nonché del livello di sicurezza indicato dall'autorità dello Stato richiesto. 3. Ai fini dell'esecuzione il procuratore della Repubblica dispone che la persona temporaneamente trasferita sia custodita, per la durata del trasferimento temporaneo, nella casa circondariale del luogo di compimento dell'atto di indagine o di prova. Le spese di mantenimento sono a carico dello Stato italiano. 4. La persona trasferita rimane in stato di detenzione sul territorio nazionale, salvo che l'autorità straniera non ne chieda la liberazione. 5. Quando il trasferimento temporaneo è condizionato al fatto che la persona trasferita non può essere perseguita, detenuta o sottoposta a qualsiasi altra restrizione della libertà personale nello Stato italiano per fatti commessi o condanne pronunciate prima del suo temporaneo trasferimento, l'immunità cessa qualora il testimone, il perito o l'imputato, avendone avuta la possibilità, non ha lasciato il territorio dello Stato trascorsi quindici giorni dal momento in cui la sua presenza non è più richiesta dall'autorità giudiziaria ovvero, avendolo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 7, comma 1, lett. d), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1868

729 quater. (1) Audizione mediante videoconferenza o altra trasmissione audiovisiva. 1. Nei casi previsti dagli accordi internazionali, l'audizione e la partecipazione all'udienza davanti all'autorità giudiziaria italiana della persona sottoposta ad indagini, dell'imputato, del testimone o del perito che si trovi all'estero e che non possa essere trasferito in Italia, può essere eseguita mediante videoconferenza o altra forma di collegamento audiovisivo a distanza. 2. L'audizione e la partecipazione a distanza della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato è subordinata all'acquisizione del consenso dello stesso. Si applicano, in ogni caso, le disposizioni di cui all'articolo 205 ter delle disposizioni di attuazione. 3. L'autorità giudiziaria e l'autorità straniera competente concordano le modalità della citazione, dell'audizione o della partecipazione a distanza, nonché le eventuali misure relative alla protezione della persona di cui è richiesto l'esame o la partecipazione all'udienza. 4. L'autorità giudiziaria richiede all'autorità straniera di identificare la persona da sentire o di cui è chiesta la partecipazione all'udienza e di comunicarle tempestivamente i diritti che le vengono riconosciuti dall'ordinamento italiano e, ove necessario, quelli relativi alla traduzione e alla interpretazione, al fine di garantirne l'effettivo esercizio. 5. L'imputato e la persona sottoposta alle indagini sono necessariamente assistiti dal difensore e devono essere informati dei diritti e delle facoltà che sono loro riconosciuti dall'ordinamento interno e da quello dello Stato richiedente. I testimoni e i periti sono informati della facoltà di astensione prevista dall'ordinamento interno e da quello dello Stato richiesto. 6. L'autorità giudiziaria può mettere a disposizione dello Stato richiesto i mezzi tecnici per procedere all'audizione mediante videoconferenza, ove necessario. 7. Nel verbale redatto dall'autorità giudiziaria procedente deve darsi atto che l'attività è stata compiuta mediante collegamento a distanza. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 7, comma 1, lett. d), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1869

729 quinquies. (1) Squadre investigative comuni. 1. Quando le convenzioni in vigore tra gli Stati membri dell'Unione europea, ovvero le disposizioni del diritto dell'Unione europea prevedono l'impiego di squadre investigative comuni, il procuratore della Repubblica può richiedere la costituzione di una o più squadre investigative comuni con le modalità e alle condizioni stabilite dalla legge. 2. Nei rapporti con le autorità giudiziarie di Stati diversi da quelli membri dell'Unione europea il procuratore della Repubblica può richiedere la costituzione di una o più squadre investigative comuni con le modalità e alle condizioni stabilite dalla legge, nei casi previsti dagli accordi internazionali. Della costituzione di una o più squadre investigative comuni è data comunicazione al Ministro della giustizia. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 7, comma 1, lett. d), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1870

Titolo IV. EFFETTI DELLE SENTENZE

PENALI STRANIERE.

ESECUZIONE ALL'ESTERO

DI SENTENZE PENALI ITALIANE. Vai alla dottrina     ↓

1871

Capo I. EFFETTI DELLE SENTENZE

PENALI STRANIERE.

730. Riconoscimento delle sentenze penali straniere per gli effetti previsti dal codice penale. 1. Il Ministro della giustizia (1), quando riceve una sentenza penale di condanna o di proscioglimento pronunciata all'estero nei confronti di cittadini italiani o di stranieri o di apolidi residenti nello Stato ovvero di persone sottoposte a procedimento penale nello Stato, trasmette senza ritardo al procuratore generale presso la corte di appello, nel distretto della quale ha sede l'ufficio del casellario locale del luogo di nascita della persona cui è riferito il provvedimento giudiziario straniero, o, se questo è sconosciuto, (2) presso la Corte di appello di Roma (3), una copia della sentenza, unitamente alla traduzione in lingua italiana, con gli atti che vi siano allegati, e con le informazioni e la documentazione del caso. Trasmette inoltre l'eventuale richiesta indicata nell'art. 12 comma 2 del codice penale. 2. Il procuratore generale, se deve essere dato riconoscimento alla sentenza straniera per gli effetti previsti dall'art. 12 comma 1 nn. 1, 2 e 3 del codice penale, promuove il relativo procedimento con richiesta alla corte di appello. A tale scopo, anche per mezzo del Ministero della giustizia (4), può chiedere alle autorità estere competenti le informazioni che ritiene opportune. 2 bis. Quando il procuratore generale è informato dall'autorità straniera, anche per il tramite del Ministero della giustizia, dell'esistenza di una sentenza penale di condanna pronunciata all'estero, ne richiede la trasmissione all'autorità straniera con le forme previste dalle convenzioni internazionali in vigore con lo Stato estero ovvero, in mancanza, (5) con rogatoria, ai fini del riconoscimento ai sensi del comma 2 (6). 3. La richiesta alla corte di appello contiene la specificazione degli effetti per i quali il riconoscimento è domandato. (1) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 8, comma 1, lett. a), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Le parole: «, se questo è sconosciuto,» sono state inserite dall'art. 8, comma 1, lett. a), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Le parole: «competente ai fini dell'iscrizione» sono state così sostituite dalle attuali da: «locale del luogo ...» fino a: «... appello di Roma» dall'art. 53, comma 2, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003. (4) Le parole: «ministero di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministero della giustizia» dall'art. 8, comma 1, lett. a), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (5) Le parole: «con le forme previste dalle convenzioni internazionali in vigore con lo Stato estero ovvero, in mancanza,» sono state inserite dall'art. 8, comma 1, lett. a), n. 3), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (6) Questo comma è stato inserito dall'art. 14 della L. 5 ottobre 2001, n. 367.

1872

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1873

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1874

731. Riconoscimento delle sentenze penali straniere a norma di accordi internazionali. 1. Il Ministro della giustizia (1), se ritiene che a norma di un accordo internazionale deve avere esecuzione nello Stato una sentenza penale pronunciata all'estero o comunque che a essa devono venire attribuiti altri effetti nello Stato, ne richiede il riconoscimento. A tale scopo trasmette al procuratore generale presso la corte di appello nel distretto della quale ha sede l'ufficio del casellario locale del luogo di nascita della persona cui è riferito il provvedimento giudiziario straniero, o, se questo è sconosciuto, (2) presso la Corte di appello di Roma (3), una copia della sentenza, unitamente alla traduzione in lingua italiana, con gli atti che vi siano allegati, e con la documentazione e le informazioni disponibili. Trasmette inoltre l'eventuale domanda di esecuzione nello Stato da parte dello Stato estero ovvero l'atto con cui questo Stato acconsente all'esecuzione. Le informazioni supplementari, eventualmente necessarie, possono essere richieste e ottenute con qualsiasi mezzo idoneo a garantire l'autenticità della documentazione e della provenienza (4). 1 bis. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche quando si tratta dell'esecuzione di una confisca ed il relativo provvedimento è stato adottato dall'autorità giudiziaria straniera con atto diverso dalla sentenza di condanna (5). 2. Il procuratore generale promuove il riconoscimento con richiesta alla corte di appello. Ove ne ricorrano i presupposti, richiede che il riconoscimento sia deliberato anche agli effetti previsti dall'art. 12 comma 1 nn. 1, 2 e 3 del codice penale. (1) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 8, comma 1, lett. b), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Le parole: «, se questo è sconosciuto,» sono state inserite dall'art. 8, comma 1, lett. b), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Le parole: «competente ai fini dell'iscrizione» sono state così sostituite dalle attuali da: «locale del luogo ...» fino a: «... appello di Roma» dall'art. 53, comma 2, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003. (4) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 8, comma 1, lett. b), n. 3), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (5) Comma aggiunto dall'art. 7 della L. 9 agosto 1993, n. 328, recante ratifica ed esecuzione della convenzione sul riciclaggio.

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1875

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1876

732. Riconoscimento delle sentenze penali straniere per gli effetti civili. 1. Chi ha interesse a far valere in giudizio le disposizioni penali di una sentenza straniera per conseguire le restituzioni o il risarcimento del danno o per altri effetti civili, può domandare il riconoscimento della sentenza alla corte di appello nel distretto della quale ha sede l'ufficio del casellario locale del luogo di nascita della persona cui è riferito il provvedimento giudiziario straniero, o alla Corte di appello di Roma (1) (2). (1) Le parole: «competente ai fini dell'iscrizione» sono state così sostituite dalle attuali da: «locale del luogo ...» fino a: «... appello di Roma» dall'art. 53, comma 3, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003. (2) A norma dell'art. 10, comma 3, del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sul processo penale a carico di imputati minorenni, rispetto al procedimento penale minorile non può essere riconosciuta la sentenza penale straniera per conseguire le restituzioni o il risarcimento del danno.

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1877

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1878

733. Presupposti del riconoscimento. 1. La sentenza straniera non può essere riconosciuta se: a) la sentenza non è divenuta irrevocabile per le leggi dello Stato in cui è stata pronunciata; b) la sentenza contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato, ovvero quando le condizioni poste dallo Stato straniero per l'esecuzione della sentenza della quale è chiesto il riconoscimento sono contrarie a tali principi (1); c) la sentenza non è stata pronunciata da un giudice indipendente e imparziale ovvero l'imputato non è stato citato a comparire in giudizio davanti all'autorità straniera ovvero non gli è stato riconosciuto il diritto a essere interrogato in una lingua a lui comprensibile e a essere assistito da un difensore; d) vi sono fondate ragioni per ritenere che considerazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali o sociali abbiano influito sullo svolgimento o sull'esito del processo; e) il fatto per il quale è stata pronunciata la sentenza non è previsto come reato dalla legge italiana; f) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato sentenza irrevocabile (648, 649); g) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è in corso nello Stato procedimento penale. 1 bis. Salvo quanto previsto nell'articolo 735 bis, la sentenza straniera non può essere riconosciuta ai fini dell'esecuzione di una confisca se questa ha per oggetto beni la cui confisca non sarebbe possibile secondo la legge italiana qualora per lo stesso fatto si procedesse nello Stato (2). (1) Le parole: «, ovvero quando le condizioni poste dallo Stato straniero per l'esecuzione della sentenza della quale è chiesto il riconoscimento sono contrarie a tali principi» sono state aggiunte dall'art. 8, comma 1, lett. c), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Comma aggiunto dall'art. 8 della L. 9 agosto 1993, n. 328, recante ratifica ed esecuzione della convenzione sul riciclaggio.

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1879

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1880

734. (1) Deliberazione della corte di appello. 1. La corte di appello delibera in ordine al riconoscimento senza ritardo, e comunque non oltre novanta giorni dal ricevimento della richiesta, pronunciando sentenza, nella quale enuncia espressamente gli effetti che ne conseguono, osservate le forme di cui all'articolo 127 (730-733, 741). 2. Nei casi disciplinati dagli articoli 730, 732 e 741 la corte di appello decide sulla base della richiesta scritta del procuratore generale e delle memorie presentate dalle parti. 3. Avverso la decisione della corte di appello il procuratore generale, l'interessato e il difensore possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge (606). La decisione della Corte di cassazione è adottata entro sessanta giorni dal ricevimento del ricorso. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 8, comma 1, lett. d), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1881

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1882

734 bis. (1) Poteri del Ministro in materia di esecuzione della decisione dello Stato estero. 1. Il Ministro della giustizia assicura il rispetto delle condizioni eventualmente poste dallo Stato estero per l'esecuzione della sentenza della quale è stato chiesto il riconoscimento, purchè non contrastanti con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall'art. 8, comma 1, lett. e), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1883

735. Determinazione della pena e ordine di confisca. 1. La corte di appello, quando pronuncia il riconoscimento ai fini dell'esecuzione di una sentenza straniera, determina la pena che deve essere eseguita nello Stato. 2. A tal fine essa converte la pena stabilita nella sentenza straniera in una delle pene previste per lo stesso fatto dalla legge italiana. Tale pena, per quanto possibile, deve corrispondere per natura a quella inflitta con la sentenza straniera. La quantità della pena è determinata, tenendo eventualmente conto dei criteri di ragguaglio previsti dalla legge italiana (135 c.p.), sulla base di quella fissata nella sentenza straniera; tuttavia tale quantità non può eccedere il limite massimo previsto per lo stesso fatto dalla legge italiana. Quando la quantità della pena non è stabilita nella sentenza straniera, la corte la determina sulla base dei criteri indicati negli artt. 133, 133 bis e 133 ter del codice penale. 3. In nessun caso la pena così determinata può essere più grave di quella stabilita nella sentenza straniera. 4. Se nello Stato estero nel quale fu pronunciata la sentenza l'esecuzione della pena è stata condizionalmente sospesa, la corte dispone inoltre, con la sentenza di riconoscimento, la sospensione condizionale della pena a norma del codice penale (163 c.p.); se in detto Stato il condannato è stato liberato sotto condizione, la corte sostituisce alla misura straniera la liberazione condizionale (176 c.p.) e il magistrato di sorveglianza, nel determinare le prescrizioni relative alla libertà vigilata, non può aggravare il trattamento sanzionatorio complessivo stabilito nei provvedimenti stranieri. 4 bis. Se la decisione prevede la concessione di benefici riconosciuti nello Stato di emissione, diversi da quelli di cui al comma 4, essi sono convertiti in misure analoghe previste dall'ordinamento giuridico italiano (1). 5. Per determinare la pena pecuniaria l'ammontare stabilito nella sentenza straniera è convertito nel pari valore in euro (2) al cambio del giorno in cui il riconoscimento è deliberato. 6. Quando la corte pronuncia il riconoscimento ai fini dell'esecuzione di una confisca (240 c.p.), questa è ordinata con la stessa sentenza di riconoscimento, fermo quanto previsto dall'articolo 733, comma 1 bis (3). (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 8, comma 1, lett. f), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Le parole: «lire italiane» sono state così sostituite dalle attuali: «euro» dall'art. 8, comma 1, lett. f), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Le parole: «, fermo quanto previsto dall'articolo 733, comma 1 bis» sono state aggiunte dall'art. 8, comma 1, lett. f), n. 3), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1884

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1885

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1886

735 bis. (1) Confisca consistente nella imposizione del pagamento di una somma di denaro. 1. Nel caso di esecuzione di un provvedimento straniero di confisca consistente nella imposizione del pagamento di una somma di denaro corrispondente al valore del prezzo, del prodotto o del profitto di un reato, si applicano le disposizioni sull'esecuzione delle pene pecuniarie, ad eccezione di quella concernente il rispetto del limite massimo di pena previsto dall'articolo 735, comma 2. (1) Articolo aggiunto dall'art. 9 della L. 9 agosto 1993, n. 328, recante ratifica ed esecuzione della convenzione sul riciclaggio.

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1887

736. Misure coercitive 1. Su richiesta del procuratore generale, la corte di appello competente per il riconoscimento di una sentenza straniera ai fini dell'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale (730, 731), può disporre una misura coercitiva nei confronti del condannato che si trovi nel territorio dello Stato. 2. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del titolo I del libro IV (272 ss.) riguardanti le misure coercitive, fatta eccezione di quelle dell'art. 273. 3. Il presidente della corte di appello, al più presto e comunque entro cinque giorni dalla esecuzione della misura coercitiva, provvede alla identificazione e all'audizione (1) della persona. Si applica la disposizione dell'art. 717 comma 2. 4. La misura coercitiva, disposta a norma del presente articolo, è revocata (299) se dall'inizio della sua esecuzione sono trascorsi novanta giorni (2) senza che la corte di appello abbia pronunciato sentenza di riconoscimento (734), ovvero, in caso di ricorso per cassazione (606) contro tale sentenza, cinque mesi (3) senza che sia intervenuta sentenza irrevocabile di riconoscimento (648). 5. La revoca e la sostituzione della misura coercitiva sono disposte in camera di consiglio (127) dalla corte di appello. 6. Copia dei provvedimenti emessi dalla corte è comunicata e notificata, dopo la loro esecuzione, al procuratore generale, alla persona interessata e al suo difensore, i quali possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge. (1) Le parole: «e all'audizione» sono state inserite dall'art. 8, comma 1, lett. g), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Le parole: «sei mesi» sono state così sostituite dalle attuali: «novanta giorni» dall'art. 8, comma 1, lett. g), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Le parole: «dieci mesi» sono state così sostituite dalle attuali: «cinque mesi» dall'art. 8, comma 1, lett. g), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1888

737. Sequestro 1. Su richiesta del procuratore generale, la corte di appello competente per il riconoscimento di una sentenza straniera ai fini dell'esecuzione di una confisca (7356) può ordinare il sequestro delle cose assoggettabili a confisca (240 c.p.). 2. Se la corte non accoglie la richiesta, contro la relativa ordinanza può essere proposto ricorso per cassazione (606) da parte del procuratore generale. Contro l'ordinanza che dispone il sequestro può essere proposto ricorso per cassazione per violazione di legge da parte dell'interessato. Il ricorso non ha effetto sospensivo (588). 3. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni che regolano l'esecuzione del sequestro preventivo (321 ss.) (1). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 10 della L. 9 agosto 1993, n. 328, recante ratifica ed esecuzione della convenzione sul riciclaggio.

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1889

737 bis. (1) Indagini e sequestro a fini di confisca. 1. Nei casi previsti da convenzioni internazionali, al fine di dar corso alla domanda dell'autorità straniera di procedere ad indagini su beni che possono divenire oggetto di una successiva richiesta di esecuzione di una confisca, anche se non ancora adottata, ovvero di procedere al sequestro di tali beni, si applicano gli articoli 723, 724 e 725 (2). 2. A tal fine il Ministro della giustizia trasmette la richiesta, unitamente agli atti allegati, al procuratore distrettuale competente ai sensi dell'articolo 724 (2). 3. L'esecuzione della richiesta di indagini o sequestro è negata: a) se gli atti richiesti sono contrari ai principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, o sono vietati dalla legge, ovvero se si tratta di atti che non sarebbero consentiti qualora si procedesse nello Stato per gli stessi fatti; b) se vi sono ragioni per ritenere che non sussistono le condizioni per la successiva esecuzione della confisca. 3 bis. L'autorità giudiziaria comunica al Ministro della giustizia l'adozione del provvedimento di sequestro richiesto dall'autorità straniera (3). 4. Per l'esecuzione di indagini si osservano le disposizioni dell'articolo 725 (4). 5. Nei casi di richiesta di sequestro, si applicano le disposizioni dell'articolo 737, commi 2 e 3 (4). 6. Il sequestro ordinato ai sensi di questo articolo perde efficacia e si dispone (5) la restituzione delle cose sequestrate a chi ne abbia diritto, se, entro un anno (6) dal momento in cui esso è stato eseguito, lo Stato estero non richiede l'esecuzione della confisca. Il termine può essere prorogato anche più volte per un periodo massimo di sei mesi (7); sulla richiesta decide l'autorità giudiziaria (8) che ha ordinato il sequestro. (1) Articolo aggiunto dall'art. 11 della L. 9 agosto 1993, n. 328, recante ratifica ed esecuzione della convenzione sul riciclaggio. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 8, comma 1, lett. h), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Questo comma è stato inserito dall'art. 8, comma 1, lett. h), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (4) Questo comma è stato soppresso dall'art. 8, comma 1, lett. h), n. 3), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (5) Le parole: «la corte d'appello ordina» sono state così sostituite dalle attuali: «si dispone» dall'art. 8, comma 1, lett. h), n. 4), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (6) Le parole: «entro due anni» sono state così sostituite dalle attuali: «entro un anno» dall'art. 8, comma 1, lett. h), n. 4, del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (7) Le parole: «due anni» sono state così sostituite dalle attuali: «sei mesi» dall'art. 8, comma 1, lett. h), n. 4, del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (8) Le parole: «la corte d'appello» sono state così sostituite dalle attuali: «l'autorità giudiziaria» dall'art. 8, comma 1, lett. h), n. 4, del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1890

738. Esecuzione conseguente al riconoscimento. 1. Nei casi di riconoscimento ai fini dell'esecuzione della sentenza straniera (735), le pene e la confisca conseguenti al riconoscimento sono eseguite secondo la legge italiana. La pena espiata nello Stato di condanna è computata ai fini dell'esecuzione. 2. All'esecuzione provvede di ufficio il procuratore generale presso la corte di appello che ha deliberato il riconoscimento (6551). Tale corte è equiparata, a ogni effetto, al giudice che ha pronunciato sentenza di condanna in un procedimento penale ordinario. Vai alla dottrina     ↓

1891

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1892

739. Divieto di estradizione e di nuovo procedimento. 1. Nei casi di riconoscimento ai fini dell'esecuzione della sentenza straniera, salvo che si tratti dell'esecuzione di una confisca (735), il condannato non può essere estradato né sottoposto di nuovo a procedimento penale nello Stato per lo stesso fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze (649; 112 c.p.). Vai alla dottrina     ↓

1893

740. Esecuzione della pena pecuniaria e devoluzione di cose confiscate. 1. La somma ricavata dall'esecuzione della pena pecuniaria è versata alla cassa delle ammende; è invece versata allo Stato di condanna, a sua richiesta, qualora quest'ultimo Stato nelle medesime circostanze provvederebbe al versamento a favore dello Stato italiano. 2. Le cose confiscate sono devolute allo Stato. Esse sono invece devolute, a sua richiesta, allo Stato nel quale è stata pronunciata la sentenza riconosciuta, qualora quest'ultimo Stato nelle medesime circostanze provvederebbe alla devoluzione allo Stato italiano. Vai alla dottrina     ↓

1894

740 bis. (1) Devoluzione ad uno Stato estero delle cose confiscate. 1. Nei casi previsti dagli accordi internazionali in vigore per lo Stato, le cose confiscate con sentenza definitiva o con altro provvedimento irrevocabile sono devolute allo Stato estero nel quale è stata pronunciata la sentenza ovvero è stato adottato il provvedimento di confisca. 2. La devoluzione di cui al comma 1 è ordinata quando ricorrono i seguenti presupposti: a) lo Stato estero ne ha fatto espressa richiesta; b) la sentenza ovvero il provvedimento di cui al comma 1 sono stati riconosciuti nello Stato ai sensi degli articoli 731, 733 e 734. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 5, comma 1, della L. 3 agosto 2009, n. 116.

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1895

740 ter. (1) Ordine di devoluzione. 1. La Corte di appello, nel deliberare il riconoscimento della sentenza straniera o del provvedimento di confisca, ordina la devoluzione delle cose confiscate ai sensi dell'articolo 740 bis. 2. Copia del provvedimento è immediatamente trasmessa al Ministro della giustizia, che concorda le modalità della devoluzione con lo Stato richiedente. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 5, comma 1, della L. 3 agosto 2009, n. 116.

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1896

741. Procedimento relativo al riconoscimento delle disposizioni civili di sentenze penali straniere. 1. A domanda dell'interessato, nel medesimo procedimento e con la stessa sentenza prevista dall'art. 734 possono essere dichiarate efficaci le disposizioni civili della sentenza penale straniera di condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno (732). 2. Negli altri casi, la domanda è proposta da chi ne ha interesse alla corte di appello nel distretto della quale le disposizioni civili della sentenza penale straniera dovrebbero essere fatte valere. Si osservano le disposizioni degli artt. 733 e 734. Vai alla dottrina     ↓

1897

Capo II. ESECUZIONE ALL'ESTERO

DI SENTENZE PENALI ITALIANE (1). (1) Per la non applicabilità di queste norme si veda l'art. 4 del D.L.vo 7 settembre 2010, n. 161

742. Poteri del Ministro della giustizia (1) e presupposti dell'esecuzione all'estero. 1. Nei casi previsti da accordi internazionali o dall'art. 709 comma 2, il Ministro della giustizia, anche su domanda del pubblico ministero competente, chiede (2) l'esecuzione all'estero delle sentenze penali ovvero vi acconsente quando essa è richiesta dallo Stato estero, sempre che non contrasti con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato (3). 2. L'esecuzione all'estero di una sentenza penale di condanna a pena restrittiva della libertà personale può essere domandata o concessa solo se il condannato, reso edotto delle conseguenze, ha liberamente dichiarato di acconsentirvi e l'esecuzione nello Stato estero è idonea a favorire il suo reinserimento sociale. 3. L'esecuzione all'estero di una sentenza penale di condanna a pena restrittiva della libertà personale è ammissibile, anche se non ricorrono le condizioni previste dal comma 2, quando il condannato si trova nel territorio dello Stato richiesto e l'estradizione è stata negata o non è comunque possibile. (1) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 9, comma 1, lett. a), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Le parole: «il ministro di grazia e giustizia domanda» sono state così sostituite dalle attuali: «il Ministro della giustizia, anche su domanda del pubblico ministero competente, chiede» dall'art. 9, comma 1, lett. a), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Le parole: «, sempre che non contrasti con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato» sono state aggiunte dall'art. 9, comma 1, lett. a), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1898

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1899

742 bis. (1) Poteri del Ministro della giustizia in materia di esecuzione della decisione nello Stato estero. 1. Il Ministro della giustizia vigila sull'osservanza delle condizioni eventualmente poste per l'esecuzione nello Stato estero della sentenza della quale è stato chiesto il riconoscimento. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 9, comma 1, lett. b), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1900

743. Deliberazione della corte di appello. 1. La domanda di esecuzione all'estero di una sentenza di condanna a pena restrittiva della libertà personale (7422) non è ammessa senza previa deliberazione favorevole della corte di appello nel cui distretto fu pronunciata la condanna. A tale scopo il Ministro della giustizia (1) trasmette gli atti al procuratore generale affinché promuova il procedimento davanti alla corte di appello. 2. La corte delibera con sentenza, osservate le forme previste dall'art. 127, nei termini di cui all'articolo 734 (2). 3. Qualora sia necessario il consenso del condannato, esso deve essere prestato davanti all'autorità giudiziaria italiana. Se il condannato si trova all'estero, il consenso può essere prestato davanti all'autorità consolare italiana ovvero davanti all'autorità giudiziaria dello Stato estero. 4. La sentenza è soggetta a ricorso per cassazione per violazione di legge (3) (606) da parte del procuratore generale presso la corte di appello, dell'interessato e del difensore (4). (1) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 9, comma 1, lett. c), n. 1), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Le parole: «, nei termini di cui all'articolo 734» sono state aggiunte dall'art. 9, comma 1, lett. c), n. 2), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (3) Le parole: «per violazione di legge» sono state inserite dall'art. 9, comma 1, lett. c), n. 3), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (4) Le parole: «e dell'interessato» sono state così sostituite dalle attuali: «, dell'interessato e del difensore» dall'art. 9, comma 1, lett. c), n. 3), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1901

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1902

744. Limiti dell'esecuzione della condanna all'estero. 1. In nessun caso il Ministro della giustizia (1) può domandare l'esecuzione all'estero di una sentenza penale di condanna a pena restrittiva della libertà personale (7422) se si ha motivo di ritenere che il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti. (1) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 9, comma 1, lett. d), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1903

745. Richiesta di misure cautelari all'estero. 1. Se è domandata l'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale (7422 ) e il condannato si trova all'estero, il Ministro della giustizia (1) ne richiede la custodia cautelare. 2. Nel domandare l'esecuzione di una confisca, il Ministro ha facoltà di richiedere il sequestro. 2 bis. Il Ministro ha altresì facoltà, nei casi previsti da accordi internazionali, di richiedere lo svolgimento di indagini per l'identificazione e la ricerca di beni che si trovano all'estero e che possono divenire oggetto di una domanda di esecuzione di confisca, nonché di richiedere il loro sequestro (2). (1) Le parole: «ministro di grazia e giustizia» sono state così sostituite dalle attuali: «Ministro della giustizia» dall'art. 9, comma 1, lett. e), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149. (2) Comma aggiunto dall'art. 12 della L. 9 agosto 1993, n. 328, recante ratifica ed esecuzione della convenzione sul riciclaggio.

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1904

746. Effetti sull'esecuzione nello Stato. 1. L'esecuzione della pena nello Stato è sospesa dal momento in cui ha inizio l'esecuzione nello Stato richiesto e per tutta la durata della medesima. 2. La pena non può più essere eseguita nello Stato quando, secondo le leggi dello Stato richiesto, essa è stata interamente espiata. Vai alla dottrina     ↓

1905

Titolo IV bis (1). TRASFERIMENTO DEI PROCEDIMENTI PENALI. (1) Questo titolo è stato inserito dall'art. 10, comma 1, lett. a), del D.L.vo 3 ottobre 2017, n. 149.

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1906

746 bis. Disposizioni generali. 1. Salve le disposizioni speciali in materia di conflitti di giurisdizione con le autorità giudiziarie degli Stati membri dell'Unione europea, possono essere disposti, quando previsto dalle convenzioni internazionali, sia il trasferimento del procedimento penale in favore dell'autorità giudiziaria di altro Stato perchè essa proceda che l'assunzione, nello Stato, del procedimento penale pendente davanti all'autorità giudiziaria di Stato estero. 2. Il trasferimento del procedimento penale o la sua assunzione sono disposti fino a quando non sia esercitata l'azione penale. 3. Il trasferimento è disposto in favore dell'autorità giudiziaria di altro Stato che presenti più stretti legami territoriali con il fatto per il quale si procede o con le fonti di prova. Ai fini della decisione si tiene conto dei seguenti criteri: a) luogo in cui è avvenuta la maggior parte dell'azione, dell'omissione o dell'evento; b) luogo in cui si è verificata la maggior parte delle conseguenze dannose; c) luogo in cui si trovano il maggior numero di persone offese, di testimoni o delle fonti di prova; d) impossibilità di procedere ad estradizione dell'indagato che ha trovato rifugio nello Stato richiesto; e) luogo in cui risiede, dimora, è domiciliato ovvero si trova l'indagato. Vai alla dottrina     ↓

1907

746 ter. Assunzione di procedimenti penali dall'estero. 1. Il Ministro della giustizia, ricevuta richiesta di assunzione nello Stato di un procedimento penale, la trasmette all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente. 2. Nel caso in cui le convenzioni internazionali prevedono il rapporto diretto tra autorità giudiziarie, il pubblico ministero dà tempestiva comunicazione al Ministro della giustizia del provvedimento di assunzione, reso all'esito delle consultazioni con l'autorità giudiziaria dello Stato estero. 3. La decisione di assunzione del procedimento è notificata alla persona offesa con l'avviso della facoltà di proporre querela, se questa è richiesta soltanto dall'ordinamento dello Stato. Il termine per la presentazione della querela decorre dalla notificazione dell'avviso. 4. La querela presentata nello Stato estero conserva efficacia nell'ordinamento interno. 5. Nel caso di misure cautelari disposte nel procedimento assunto in Italia, si applica l'articolo 27, ma il termine per l'adozione dei relativi provvedimenti è di trenta giorni dalla ricezione degli atti. 6. Il periodo di custodia cautelare sofferto all'estero è computato ai sensi e per gli effetti degli articoli 303, comma 4, 304 e 657. Si applica il comma 2 dell'articolo 303. 7. Gli atti di acquisizione probatoria compiuti all'estero conservano la loro efficacia e sono utilizzabili secondo la legge italiana, sempre che non contrastino con i principi fondamentali dell'ordinamento. 8. Il Ministro della giustizia informa tempestivamente lo Stato estero delle decisioni assunte dalle autorità giudiziarie italiane. Vai alla dottrina     ↓

1908

746 quater. Trasferimento di procedimenti penali all'estero. 1. Quando il pubblico ministero ha notizia della pendenza di un procedimento penale all'estero, per gli stessi fatti per i quali si è proceduto all'iscrizione a norma dell'articolo 335, adotta le proprie determinazioni in relazione al trasferimento del procedimento, dopo essersi consultato con la competente autorità straniera. 2. La decisione sul trasferimento del procedimento all'estero è comunicata al Ministro della giustizia che, nel termine di trenta giorni dalla ricezione degli atti, può vietarne l'esecuzione quando sono compromessi la sicurezza, la sovranità o altri interessi essenziali dello Stato, nonché nei casi previsti dal comma 4. Della decisione del Ministro è data comunicazione al pubblico ministero. 3. Quando gli accordi internazionali prevedono la decisione di autorità centrali, il pubblico ministero inoltra al Ministro della giustizia richiesta motivata di trasferimento del procedimento. Entro il termine di trenta giorni dalla ricezione degli atti, il Ministro può disporre il trasferimento sempre che non ricorrano le condizioni di cui ai commi 2 e 4, dandone tempestiva comunicazione all'autorità straniera e al pubblico ministero che procede. 4. Non può disporsi il trasferimento del procedimento se vi è motivo di ritenere che lo Stato estero non assicuri, nel procedimento, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento, ovvero se vi è motivo di ritenere che l'indagato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona. 5. Il procedimento penale è sospeso dal momento della trasmissione al Ministro della giustizia della decisione prevista dal comma 2 o della richiesta motivata prevista al comma 3 e sino alla comunicazione della decisione del Ministro. In ogni caso possono essere compiuti gli atti urgenti o irripetibili. 6. A seguito della comunicazione del trasferimento all'estero del procedimento penale ovvero decorso il termine di cui al comma 2 senza che il Ministro abbia esercitato il potere di diniego, il giudice emette decreto di archiviazione. Non si applicano gli articoli 408, 409 e 410. Il decreto di archiviazione è comunicato alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere essere informata circa l'eventuale archiviazione. 7. Resta fermo quanto stabilito dall'articolo 414 quando l'azione penale non è esercitata nello Stato estero nel termine convenuto all'atto del trasferimento, sempre che la decisione assunta nello Stato estero non determini il divieto di un secondo giudizio. Dell'avvenuta riapertura delle indagini è data comunicazione allo Stato estero. Vai alla dottrina     ↓

1909

NORME DI ATTUAZIONE, DI COORDINAMENTO, TRANSITORIE E REGOLAMENTARI DEL NUOVO CODICE DI PROCEDURA PENALE

1910

1. D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271. Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 182 del 5 agosto 1989) (1) e avviso di rettifica in Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 227 del 28 settembre 1989. (1) In vigore dal 24 ottobre 1989.

Titolo I. NORME DI ATTUAZIONE. Capo I. DISPOSIZIONI RELATIVE AL GIUDICE.

1. (1) Modalità di determinazione della competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati. 1. Agli effetti di quanto stabilito dall'art. 11 del codice, il distretto di corte di appello nel cui capoluogo ha sede il giudice competente è determinato sulla base della tabella A allegata alle presenti norme. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 6 della L. 2 dicembre 1998, n. 420.

2. Riunione di processi. 1. Se più processi che possono essere riuniti a norma dell'art. 17 del codice pendono davanti a diversi giudici o a diverse sezioni dello stesso ufficio giudiziario, il dirigente dell'ufficio o della sezione designa per la eventuale riunione il giudice o la sezione cui è stato assegnato per primo uno dei processi, salvo che sussistano rilevanti esigenze di servizio ovvero la designazione possa pregiudicare la rapida definizione dei processi medesimi. In tali ultime ipotesi provvede con decreto motivato. 1 bis. Fermo quanto previsto dalla seconda parte del comma 1, nel caso indicato dall'articolo 17 comma 1 bis del codice il dirigente dell'ufficio o della sezione designa per l'eventuale riunione il giudice o la sezione che procede in composizione collegiale cui è stato assegnato per primo uno dei processi. Se la riunione non viene disposta, gli atti sono restituiti (1). (1) Il comma 1 bis è stato aggiunto dall'art. 208 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

Capo II.

1911

DISPOSIZIONI RELATIVE

AL PUBBLICO MINISTERO.

3. (1) Designazione del pubblico ministero. 1. I titolari degli uffici del pubblico ministero (51 c.p.p.) curano che, ove possibile, alla trattazione del procedimento provvedano, per tutte le fasi del relativo grado, il magistrato o i magistrati originariamente designati. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 7, comma 1, lett. b), del D.L.vo 20 febbraio 2006, n. 106, con efficacia a decorrere dal novantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. Serie gen. - n. 66 del 20 marzo 2006).

4. Contrasto tra pubblici ministeri. 1. Quando ricorre l'ipotesi prevista dall'art. 54 comma 2 del codice, il pubblico ministero trasmette immediatamente al procuratore generale presso la corte di appello o presso la Corte di cassazione gli atti del procedimento in originale o in copia.

4 bis. (1) Formalità delle richieste per la trasmissione a un diverso ufficio del pubblico ministero. 1. La richiesta al procuratore generale di cui all'articolo 54 quater, comma 3, del codice, deve essere depositata presso la segreteria del medesimo, unitamente a copia della richiesta presentata al pubblico ministero. 2. Ai fini della determinazione dell'ufficio del pubblico ministero che deve procedere, il procuratore generale presso la corte di appello o presso la Corte di cassazione, verificata l'ammissibilità della richiesta, può richiedere la trasmissione di copia degli atti del procedimento. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 48 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

4 ter. (1) Nucleo di polizia penitenziaria a supporto delle funzioni del procuratore nazionale antimafia. 1. Nell'esercizio delle funzioni di cui all'articolo 371 bis, commi 1 e 2, del codice e con specifico riferimento all'acquisizione, all'analisi ed all'elaborazione dei dati e delle informazioni provenienti dall'ambiente penitenziario, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo si avvale di un apposito nucleo costituito, fino a un massimo di venti unità, nell'ambito del Corpo di polizia penitenziaria e composto da personale del medesimo Corpo. L'assegnazione al predetto nucleo non determina l'attribuzione di emolumenti aggiuntivi. (1) Questo articolo è stato aggiunto dell'art. 15 ter, comma 1, del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, nella L. 1 dicembre 2018, n. 132.

Capo III. DISPOSIZIONI RELATIVE

ALLA POLIZIA GIUDIZIARIA.

1912

5. Composizione delle sezioni di polizia giudiziaria. 1. Le sezioni di polizia giudiziaria (56 c.p.p.) sono composte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza nonché del Corpo forestale dello Stato (1). 2. Quando lo richiedono particolari esigenze di specializzazione dell'attività di polizia giudiziaria, su richiesta del procuratore generale presso la corte di appello e del procuratore della Repubblica interessato, possono essere applicati presso le sezioni, con provvedimento delle amministrazioni di appartenenza, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria di altri organi. Si osservano le disposizioni dell'art. 8 in quanto applicabili. 3. Al personale indicato nel comma 2 si applicano le disposizioni dell'art. 10. (1) Le parole: «nonché del Corpo forestale dello Stato» sono state aggiunte dall'art. 4, comma 7, della L. 3 febbraio 2011, n. 4.

6. Costituzione dell'organico delle sezioni. 1. L'organico delle sezioni di polizia giudiziaria (c.p.p. 56) è costituito da personale in numero non inferiore al doppio di quello dei magistrati previsti nell'organico delle procure della Repubblica (1). 2. Almeno due terzi dell'organico sono riservati ad ufficiali di polizia giudiziaria. 3. Fermi restando i limiti previsti dai commi 1 e 2, entro il 15 gennaio di ogni biennio il Ministro di grazia e giustizia, di concerto con i Ministri dell'interno, della difesa e delle finanze, determina con decreto l'organico delle sezioni, tenuto conto delle esigenze connesse all'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria e sentito il procuratore generale presso la corte di appello interessato. Nel decreto è fissato, per ogni sezione, il contingente assegnato a ciascuna forza di polizia, tenuto conto dei rispettivi organici (20). 4. Il personale applicato a norma dell'art. 5 comma 2 non viene calcolato nell'organico delle sezioni. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 209 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Si riporta il testo previgente: «1. L'organico delle sezioni di polizia giudiziaria è costituito: a) da personale in numero non inferiore al doppio di quello dei magistrati previsti nell'organico delle procure della Repubblica presso i tribunali; b) da personale in numero non inferiore al doppio di quello dei magistrati previsti nell'organico delle procure della Repubblica presso le preture».

7. Ripianamento organico e posti vacanti. 1. Le amministrazioni rispettivamente interessate provvedono al ripianamento organico entro novanta giorni dalla pubblicazione del decreto previsto dall'art. 6 comma 3. 2. Quando si deve provvedere alla copertura delle vacanze, l'elenco di queste è pubblicato senza ritardo sul bollettino dell'amministrazione interessata su richiesta del procuratore generale presso la corte di appello. 3. Nell'ipotesi indicata nel comma 2, l'amministrazione interessata provvede alla copertura entro novanta giorni dalla richiesta del procuratore generale (20).

1913

8. (1) Assegnazione alle sezioni. 1. Gli interessati alla assegnazione alle sezioni di polizia giudiziaria (56 c.p.p.) presentano domanda alla amministrazione di appartenenza entro trenta giorni dalla pubblicazione delle vacanze indicando, se lo ritengono, tre sedi di preferenza. 2. Le domande, con il parere dell'ufficio o comando da cui dipendono gli interessati, sono trasmesse senza ritardo al procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto è stata dichiarata la vacanza. 3. Quando mancano le domande o queste sono in numero inferiore al triplo delle vacanze, ciascuna amministrazione indica al procuratore generale, individuato a norma del comma 2, coloro che possono essere presi in considerazione ai fini della assegnazione alle sezioni sino a raggiungere, tenendo conto anche delle eventuali domande, un numero triplo a quello delle vacanze. 4. Un terzo dei soggetti indicati dalla amministrazione di appartenenza deve avere svolto attività di polizia giudiziaria per almeno due anni nelle sezioni o nei servizi di polizia giudiziaria. 5. Per ogni candidato, l'amministrazione di appartenenza trasmette contestualmente copia della documentazione caratteristica. 6. L'assegnazione è disposta senza ritardo con provvedimento dell'amministrazione di appartenenza su richiesta nominativa congiunta del procuratore generale presso la corte di appello e del procuratore della Repubblica interessato. 7. Non sono considerate le domande e le posizioni rispetto alle quali ricorrono divieti previsti da leggi o da regolamenti concernenti gli ordinamenti delle amministrazioni di appartenenza (20). (1) A norma dell'art. 3, comma 74, della L. 24 dicembre 2003, n. 350, questo comma si interpreta nel senso che la domanda prodotta dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza è da considerare, ai fini dell'applicazione della legge 10 marzo 1987, n. 100, come domanda di trasferimento di sede.

9. Direzione e coordinamento delle sezioni. 1. Il capo dell'ufficio presso cui è istituita la sezione (56 c.p.p.) la dirige e ne coordina l'attività in relazione alle richieste formulate dai singoli magistrati a norma dell'art. 58 del codice. 2. Per ciascuna forza di polizia che compone la sezione, l'ufficiale di polizia giudiziaria più elevato in grado o con qualifica superiore è responsabile del personale appartenente alla propria amministrazione. 10. Stato giuridico e carriera del personale delle sezioni. 1. Lo stato giuridico e la carriera del personale delle sezioni (56 c.p.p.) sono disciplinati dagli ordinamenti delle amministrazioni di appartenenza (5). 2. Ai fini della compilazione della documentazione caratteristica del personale, nei casi previsti dai rispettivi ordinamenti, il capo dell'ufficio presso cui è istituita la sezione fornisce elementi informativi che concorrono alla formazione della valutazione.

1914

3. Il personale delle sezioni è esonerato, quanto all'impiego, dai compiti e dagli obblighi derivanti dagli ordinamenti delle amministrazioni di appartenenza non inerenti alle funzioni di polizia giudiziaria, salvo che per casi eccezionali o per esigenze di istruzione e addestrative, previo consenso del capo dell'ufficio presso il quale la sezione è istituita.

11. Trasferimenti del personale delle sezioni. 1. I trasferimenti del personale della sezione di polizia giudiziaria (56 c.p.p.) sono disposti dall'amministrazione di appartenenza su proposta motivata del capo dell'ufficio presso cui è istituita la sezione ovvero, su iniziativa della amministrazione, previo nulla osta del medesimo e del procuratore generale presso la corte di appello. 2. Qualora il trasferimento si renda necessario in relazione alla progressione di carriera, è sufficiente il tempestivo avviso al capo dell'ufficio e al procuratore generale da parte dell'amministrazione. 12. Servizi di polizia giudiziaria. 1. Agli effetti di quanto previsto dall'art. 56 del codice, sono servizi di polizia giudiziaria tutti gli uffici e le unità ai quali è affidato dalle rispettive amministrazioni o dagli organismi previsti dalla legge il compito di svolgere in via prioritaria e continuativa le funzioni indicate nell'art. 55 del codice (1). 2. Entro il termine stabilito per l'entrata in vigore del codice, le amministrazioni o gli organismi dai quali dipendono i servizi indicati nel comma 1 comunicano al procuratore generale presso la corte di appello e al procuratore della Repubblica presso il tribunale il nome e il grado degli ufficiali che dirigono i servizi di polizia giudiziaria e specifici settori o articolazioni di questi. 3. Salvo quanto disposto dall'art. 14, ogni variazione dell'elenco degli ufficiali indicati nel comma 2 deve essere comunicata senza ritardo. (1) Per quanto concerne la polizia penitenziaria si veda il D.M. 14 giugno 2007.

13. Servizi operanti in ambito più vasto del circondario. 1. Quando i servizi di polizia giudiziaria (56 c.p.p.) sono costituiti per attività da svolgere in ambito territoriale più vasto del circondario, l'ufficiale preposto è responsabile verso il procuratore generale del distretto dove ha sede il servizio.

14. Allontanamento dei dirigenti dei servizi. 1. Per allontanare anche provvisoriamente dalla sede o assegnare ad altri uffici i dirigenti dei servizi di polizia giudiziaria o di specifici settori o articolazioni di questi (56 c.p.p.), le amministrazioni dalle quali essi dipendono devono ottenere il consenso del procuratore generale presso la corte di appello e del procuratore della Repubblica presso il tribunale. 2. Il diniego deve essere motivato. Qualora l'allontanamento si renda necessario ai fini della progressione in carriera, il consenso non può essere negato.

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15. Promozioni. 1. Le promozioni degli addetti alle sezioni di polizia giudiziaria (56 c.p.p.) non possono essere disposte senza il parere favorevole del procuratore generale presso la corte di appello e del capo dell'ufficio presso cui è istituita la sezione. 2. Le promozioni degli ufficiali che dirigono i servizi o specifici settori o articolazioni di questi non possono essere disposte senza il parere favorevole del procuratore generale presso la corte di appello e del procuratore della Repubblica presso il tribunale. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche quando l'ufficiale o l'agente ha cessato dalle funzioni di polizia giudiziaria da non più di due anni.

16. Sanzioni disciplinari. 1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che senza giustificato motivo omettono di riferire nel termine previsto all'autorità giudiziaria la notizia del reato, che omettono o ritardano l'esecuzione di un ordine dell'autorità giudiziaria o lo eseguono soltanto in parte o negligentemente o comunque violano ogni altra disposizione di legge relativa all'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria (59 c.p.p.), sono soggetti alla sanzione disciplinare della censura e, nei casi più gravi, alla sospensione dall'impiego per un tempo non eccedente sei mesi. 2. Nei confronti degli ufficiali e degli agenti indicati nell'art. 56 comma 1 lett. b) del codice può essere altresì disposto l'esonero dal servizio presso le sezioni. 3. Fuori delle trasgressioni previste dal comma 1, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria rimangono soggetti alle sanzioni disciplinari stabilite dai propri ordinamenti.

17. Procedimento disciplinare. 1. L'azione disciplinare è promossa dal procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto l'ufficiale o l'agente presta servizio. Dell'inizio dell'azione disciplinare è data comunicazione all'amministrazione dalla quale dipende l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria. 2. L'addebito è contestato all'incolpato per iscritto. La contestazione indica succintamente il fatto e la specifica trasgressione della quale l'incolpato è chiamato a rispondere. Essa è notificata all'incolpato e contiene l'avviso che, fino a cinque giorni prima dell'udienza, egli può presentare memorie, produrre documenti e richiedere l'audizione di testimoni. 3. Competente a giudicare è una commissione composta: a) da un presidente di sezione della corte di appello che la presiede e da un magistrato di tribunale, nominati ogni due anni dal consiglio giudiziario; b) da un ufficiale di polizia giudiziaria, scelto, a seconda dell'appartenenza dell'incolpato, fra tre ufficiali di polizia giudiziaria nominati ogni due anni rispettivamente dal questore, dal comandante di legione dei carabinieri e dal comandante di zona della guardia di finanza. Se l'incolpato non appartiene alla Polizia di Stato, ai carabinieri o alla guardia di finanza, a comporre la commissione è invece chiamato un ufficiale di polizia giudiziaria appartenente alla stessa amministrazione dell'incolpato e nominato ogni due anni dagli organi che la rappresentano.

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4. Nel procedimento disciplinare si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dell'art. 127 del codice. L'accusa è esercitata dal procuratore generale che ha promosso l'azione disciplinare o da un suo sostituto. L'incolpato ha facoltà di nominare un difensore scelto tra gli appartenenti alla propria amministrazione ovvero tra gli avvocati e i procuratori iscritti negli albi professionali. In mancanza di tale nomina, il presidente della commissione designa un difensore di ufficio individuato secondo le modalità previste dall'art. 97 del codice (18). 5. Il procuratore generale presso la corte di appello comunica i provvedimenti all'amministrazione di appartenenza dell'ufficiale o agente di polizia giudiziaria nei cui confronti è stata promossa l'azione disciplinare.

18. Ricorso. 1. Contro la decisione emessa a norma dell'art. 17 l'incolpato e il procuratore generale presso la corte di appello possono proporre ricorso a una commissione che ha sede presso il Ministero di grazia e giustizia ed è composta: a) da un magistrato della Corte di cassazione che la presiede e da un magistrato che esercita funzioni di appello, nominati ogni quattro anni dal Consiglio Superiore della Magistratura; b) da un ufficiale di polizia giudiziaria scelto, a seconda dell'appartenenza dell'incolpato, fra i tre nominati ogni quattro anni rispettivamente dal capo della polizia e dai comandanti generali dei carabinieri e della guardia di finanza. Se l'incolpato non appartiene alla Polizia di Stato, ai carabinieri o alla guardia di finanza, a comporre la commissione è chiamato un ufficiale di polizia giudiziaria appartenente alla stessa amministrazione dell'incolpato e nominato ogni quattro anni dagli organi che la rappresentano. 2. L'accusa è esercitata da un magistrato della procura generale presso la Corte di cassazione. 3. L'incolpato ha facoltà di nominare un difensore scelto tra gli avvocati e i procuratori iscritti negli albi professionali. In mancanza di tale nomina, il presidente della commissione designa un difensore di ufficio individuato secondo le modalità previste dall'art. 97 del codice. 4. La decisione è immediatamente trasmessa per l'esecuzione all'amministrazione cui appartiene l'ufficiale o l'agente. 5. Contro la decisione l'incolpato e il procuratore generale presso la Corte di cassazione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge. Il ricorso non sospende l'esecuzione della decisione. Si osservano le disposizioni dell'art. 611 del codice, in quanto applicabili (1). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 394 del 4 dicembre 1998, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma.

19. Sospensione cautelare. 1. Le commissioni previste dagli artt. 17 e 18 possono disporre la sospensione cautelare dell'ufficiale o dell'agente dalle funzioni di polizia giudiziaria.

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20. Disposizione transitoria. 1. Il personale di polizia giudiziaria attualmente operante presso gli uffici giudiziari è mantenuto nelle sue funzioni fino a che non siano costituite per la prima volta le sezioni di polizia giudiziaria. 2. Per la prima costituzione delle sezioni di polizia giudiziaria, il decreto previsto dall'art. 6 comma 3 è emesso non oltre un mese prima della data di entrata in vigore del codice. 3. Il personale è assegnato alle sezioni a norma degli artt. 7 e 8; tuttavia, al ripianamento si provvede entro trenta giorni dal decreto indicato nel comma 2 e alla assegnazione si provvede non oltre i sessanta giorni successivi. Capo IV. DISPOSIZIONI RELATIVE

ALLE PARTI PRIVATE E AI DIFENSORI.

21. Notizie da chiedere all'imputato nel primo atto cui egli è presente. 1. Quando procede a norma dell'art. 66 del codice, il giudice o il pubblico ministero invita l'imputato o la persona sottoposta alle indagini a dichiarare se ha un soprannome o uno pseudonimo, se ha beni patrimoniali e quali sono le sue condizioni di vita individuale, familiare e sociale. Lo invita inoltre a dichiarare se è sottoposto ad altri processi penali, se ha riportato condanne nello Stato o all'estero e, quando ne è il caso, se esercita o ha esercitato uffici o servizi pubblici o servizi di pubblica necessità e se ricopre o ha ricoperto cariche pubbliche.

22. Comparizione delle persone in stato di arresto o di detenzione domiciliare. 1. Quando una persona in stato di arresto o di detenzione domiciliare deve comparire per ragioni di giustizia davanti all'autorità giudiziaria, il giudice competente a norma dell'art. 279 del codice ovvero il magistrato di sorveglianza del luogo dove si svolge la detenzione, se non ritiene di dover disporre l'accompagnamento o la traduzione per salvaguardare comprovate esigenze processuali o di sicurezza, autorizza l'allontanamento dal luogo di arresto o di detenzione per il tempo strettamente necessario. In tal caso detta le opportune prescrizioni e dà comunicazione del provvedimento all'ufficio di polizia giudiziaria territorialmente competente. Il giudice per le indagini preliminari provvede sentito il pubblico ministero. 2. L'autorizzazione prevista dal comma 1 può essere concessa anche quando la traduzione sia stata disposta da altra autorità giudiziaria davanti alla quale la persona deve comparire.

23. Assenza delle parti private diverse dall'imputato. 1. L'assenza delle parti private diverse dall'imputato regolarmente citate non determina la sospensione o il rinvio del dibattimento, né la nuova fissazione della udienza preliminare a norma degli articoli 420 bis e 420 ter (1) del codice.

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2. Fermo quanto previsto dall'art. 82 comma 2 del codice, nel caso di mancata comparizione delle parti private diverse dall'imputato, la sentenza è notificata alle stesse per estratto unitamente all'avviso di deposito della sentenza. (1) Le originarie parole: «a norma dell'art. 420 comma 4» sono state così sostituite dalle attuali dall'art. 49, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

24. Nomina di più difensori. 1. La nomina di ulteriori difensori si considera senza effetto finché la parte non provvede alla revoca delle nomine precedenti che risultano in eccedenza rispetto al numero previsto dagli artt. 96, 100 e 101 del codice.

25. Divieto di consigli circa la scelta del difensore di fiducia. 1. Costituisce grave infrazione disciplinare per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria e per tutti i dipendenti dell'amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena dare consigli sulla scelta del difensore di fiducia (96 c.p.p.).

26. Nomina del difensore nei casi di uso di lingua diversa dall'italiano. 1. Anche nei casi di uso di lingua diversa dall'italiano nel procedimento, l'imputato e le altre parti private hanno il diritto di nominare il difensore senza alcun limite derivante dall'appartenenza etnica o linguistica dello stesso. 2. Nei casi previsti dall'art. 109 comma 2 del codice, quando ciò serve ad assicurare l'effettività della difesa, l'autorità giudiziaria, nell'individuare il difensore di ufficio o nel designare il sostituto del difensore a norma dell'art. 97 comma 4 del codice, tiene conto dell'appartenenza etnica o linguistica dell'imputato.

27. Documentazione della qualità di difensore. 1. Quando è richiesto, il difensore documenta la sua qualità esibendo: a) la certificazione della nomina fatta con dichiarazione orale all'autorità procedente; b) la copia della nomina recante l'attestazione dell'avvenuto deposito, nel caso di consegna da parte del difensore; c) la copia della nomina, certificata conforme all'originale da parte del difensore, e l'originale della ricevuta postale, nel caso di trasmissione a mezzo di raccomandata; d) la copia del verbale o dell'avviso indicati nell'art. 30, nel caso di nomina di ufficio.

28. Comunicazione del nominativo del difensore di ufficio. 1. Il nominativo del difensore di ufficio (97 c.p.p.) è comunicato senza ritardo all'imputato con l'avvertimento che può essere nominato, in qualunque momento, un difensore di fiducia.

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29. Elenchi e tabelle dei difensori di ufficio. 1. Il Consiglio nazionale forense predispone e aggiorna, con cadenza trimestrale, l'elenco alfabetico degli avvocati iscritti negli albi, disponibili ad assumere le difese d'ufficio (97 c.p.p.) (1). 1 bis. L'inserimento nell'elenco di cui al comma 1 è disposto sulla base di almeno uno dei seguenti requisiti: a) partecipazione a un corso biennale di formazione e aggiornamento professionale in materia penale, organizzato dal Consiglio dell'ordine circondariale o da una Camera penale territoriale o dall'Unione delle Camere penali, della durata complessiva di almeno 90 ore e con superamento di esame finale; b) iscrizione all'albo da almeno cinque anni ed esperienza nella materia penale, comprovata dalla produzione di idonea documentazione; c) conseguimento del titolo di specialista in diritto penale, secondo quanto previsto dall'articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (2). 1 ter. La domanda di inserimento nell'elenco nazionale di cui al comma 1 è presentata al Consiglio dell'ordine circondariale di appartenenza, che provvede alla trasmissione degli atti, con allegato parere, al Consiglio nazionale forense. Avverso la decisione di rigetto della domanda è ammessa opposizione ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199 (3). 1 quater. Ai fini della permanenza nell'elenco dei difensori d'ufficio sono condizioni necessarie: a) non avere riportato sanzioni disciplinari definitive superiori all'ammonimento; b) l'esercizio continuativo di attività nel settore penale comprovato dalla partecipazione ad almeno dieci udienze camerali o dibattimentali per anno, escluse quelle di mero rinvio (3). 1 quinquies. Il professionista iscritto nell'elenco nazionale deve presentare, con cadenza annuale, la relativa documentazione al Consiglio dell'ordine circondariale, che la inoltra, con allegato parere, al Consiglio nazionale forense. In caso di mancata presentazione della documentazione, il professionista è cancellato d'ufficio dall'elenco nazionale (3). 1 sexies. I professionisti iscritti all'elenco nazionale non possono chiedere la cancellazione dallo stesso prima del termine di due anni (3). 2. È istituito presso l'ordine forense di ciascun capoluogo del distretto di corte d'appello un apposito ufficio con recapito centralizzato che, mediante linee telefoniche dedicate, fornisce i nominativi dei difensori d'ufficio a richiesta dell'autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria. Non si ricorre al sistema informatizzato se il procedimento concerne materie che riguardano competenze specifiche (4). 3. L'ufficio di cui al comma 2 gestisce separatamente gli elenchi dei difensori d'ufficio di ciascun ordine forense esistente nel distretto di corte d'appello (5). 4. Il sistema informatizzato di cui al comma 2 deve garantire: a) che l'indicazione dei nominativi rispetti un criterio di rotazione automatico tra gli iscritti nell'elenco di cui al comma 1; b) che sia evitata l'attribuzione contestuale di nomine, ad un unico difensore, per procedimenti pendenti innanzi ad autorità giudiziarie e di polizia distanti tra di

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loro e, comunque, dislocate in modo da non permettere l'effettività della difesa; c) l'istituzione di un turno differenziato, per gli indagati e gli imputati detenuti, o arrestati all'estero in esecuzione di mandato di arresto europeo nell'ambito di procedura attiva di consegna, al fine di agevolare la tempestiva nomina di un difensore che assista quello officiato nello Stato di esecuzione (6) che assicuri, attraverso un criterio di rotazione giornaliera dei nominativi, la reperibilità di un numero di difensori d'ufficio corrispondente alle esigenze (7). 5. L'autorità giudiziaria e, nei casi previsti, la polizia giudiziaria, individuano il difensore richiedendone il nominativo all'ufficio di cui al comma 2 (8). 6. Il presidente del consiglio dell'ordine forense o un componente da lui delegato vigila sul rispetto dei criteri per l'individuazione e la designazione del difensore d'ufficio (9). 7. I difensori inseriti nei turni giornalieri di cui al comma 4, lettera c), hanno l'obbligo della reperibilità (10). 8. Il presidente del tribunale e il presidente del consiglio dell'ordine forense vigilano sul rispetto della tabella e dei criteri per l'individuazione e la designazione dei difensori di ufficio (11). 9. I difensori inseriti nella tabella hanno l'obbligo della reperibilità (11). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L.vo 30 gennaio 2015, n. 6. A norma dell'art. 2 del D.L.vo 30 gennaio 2015, n. 6, gli iscritti negli elenchi dei difensori d'ufficio predisposti dai Consigli dell'ordine circondariali sono iscritti automaticamente, dalla data di entrata in vigore del presente decreto, nell'elenco nazionale previsto da questo comma. Alla scadenza del termine di un anno, il professionista che intenda mantenere l'iscrizione deve presentare la documentazione prevista dall'articolo 29, comma 1 quater, att. c.p.p. (2) Questo comma, inserito dall'art. 7 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio, è stato così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L.vo 30 gennaio 2015, n. 6. (3) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 1, lett. b), del D.L.vo 30 gennaio 2015, n. 6. (4) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 8 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio. (5) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 9 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio. (6) Le parole: «o arrestati all'estero in esecuzione di mandato di arresto europeo nell'ambito di procedura attiva di consegna, al fine di agevolare la tempestiva nomina di un difensore che assista quello officiato nello Stato di esecuzione» sono state inserite dall'art. 3 del D.L.vo 15 settembre 2016, n. 184. (7) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 10 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio. (8) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 11 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio. (9) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 12 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio. (10) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 13 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio. (11) Questo comma è stato abrogato dall'art. 14 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio. Per un richiamo esplicito si veda l'art. 13, comma 8, del D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, sulle immigrazioni clandestine, come emendato con L. 30 luglio 2002, n. 189.

30. Comunicazione al difensore di ufficio. 1. Al difensore di ufficio è data comunicazione della individuazione effettuata a norma dell'art. 97 comma 3 (1) del codice (27d).

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2. Allo stesso modo è comunicata la designazione al sostituto nei casi previsti dall'art. 97 comma 4 del codice. 3. Nel caso previsto dall'art. 97 comma 5 del codice, il difensore di ufficio che si trova nell'impossibilità di adempiere l'incarico e non ha nominato un sostituto deve avvisare immediatamente l'autorità giudiziaria, indicandone le ragioni, affinché si provveda alla sostituzione (2). (1) Le originarie parole: «commi 2 e 3» sono state così sostituite dalle parole: «comma 3», dall'art. 15 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio. (2) Questo comma è stato così modificato dall'art. 16 della L. 6 marzo 2001, n. 60.

31. Diritto alla retribuzione del difensore di ufficio. 1. Fermo quanto previsto dalle norme sul gratuito patrocinio, l'attività del difensore di ufficio (97 c.p.p.) è in ogni caso retribuita.

32. (1) Recupero dei crediti professionali. 1. Le procedure intraprese per il recupero dei crediti professionali vantati dai difensori d'ufficio nei confronti degli indagati, degli imputati e dei condannati inadempienti sono esenti da bolli, imposte e spese. 2. Al difensore d'ufficio è corrisposto il compenso nella misura e secondo le modalità previste dalla legge 30 luglio 1990, n. 217, quando dimostri di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali (2). 3. Lo Stato, con le forme e le procedure di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, ha diritto di ripetere le somme di cui al comma 1, salvo che la persona assistita dal difensore d'ufficio versi nelle condizioni per essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato (2). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 17 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio. (2) Questo comma è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

32 bis. (1) Retribuzione del difensore d'ufficio di persona irreperibile. 1. Il difensore d'ufficio della persona sottoposta alle indagini, dell'imputato e del condannato irreperibile è retribuito secondo le norme relative al patrocinio a spese dello Stato nelle forme di cui all'articolo 1, comma 5, della legge 30 luglio 1990, n. 217, con diritto di ripetizione delle somme a carico di chi si è reso successivamente reperibile. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 18 della L. 6 marzo 2001, n. 60, sulla difesa d'ufficio, e poi abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

33. Domicilio della persona offesa. 1. Il domicilio della persona offesa dal reato che abbia nominato un difensore si intende eletto presso quest'ultimo (101 c.p.p.).

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34. Designazione del sostituto del difensore. 1. Il difensore designa il sostituto (102 c.p.p.) nelle forme indicate nell'art. 96 comma 2 del codice.

35. Corrispondenza e colloqui telefonici del difensore con l'imputato. 1. Ai fini di quanto previsto dall'art. 103 comma 6 del codice, la busta della corrispondenza tra l'imputato ed il suo difensore deve riportare: a) il nome ed il cognome dell'imputato; b) il nome, il cognome e la qualifica professionale del difensore; c) la dicitura «corrispondenza per ragioni di giustizia» con la sottoscrizione del mittente e l'indicazione del procedimento cui la corrispondenza si riferisce. 2. Quando mittente è il difensore, la sottoscrizione è autenticata dal presidente del consiglio dell'ordine forense di appartenenza o da un suo delegato. 3. Se l'imputato è detenuto, l'autorità che ne ha la custodia appone il proprio timbro o firma sulla busta chiusa che già reca le indicazioni suddette, senza che ciò ritardi l'inoltro della corrispondenza. 4. Alla corrispondenza tra l'imputato detenuto e il suo difensore, recante le indicazioni stabilite nei commi 1 e 2, non si applicano le disposizioni dell'art. 18 commi 8 e 9 della L. 26 luglio 1975 n. 354 (1) e degli artt. 20 comma 1 e 36 commi 7 e 8 del D.P.R. 29 aprile 1976 n. 431 (2). 5. Ai fini di quanto previsto dall'art. 103 comma 5 del codice, quando sono autorizzati colloqui telefonici tra l'imputato detenuto e il suo difensore, come risultante dall'indicazione del relativo procedimento, non si applica la disposizione dell'art. 37 comma 8 del D.P.R. 29 aprile 1976 n. 431. (1) Legge sull'ordinamento penitenziario. (2) Si veda ora il D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230.

36. Accesso del difensore al luogo di custodia. 1. Per conferire con la persona fermata, arrestata o sottoposta a custodia cautelare, il difensore ha diritto di accedere ai luoghi in cui la persona stessa si trova custodita (104 c.p.p.). 2. A tale fine la qualità di difensore, che non risulti in qualsiasi modo all'autorità che esercita la custodia, è documentata a norma dell'art. 27 o con altro mezzo equipollente. 3. Quando è disposta la dilazione prevista dall'art. 104 commi 3 e 4 del codice, copia del relativo decreto è consegnata a chi esercita la custodia ed è da questi esibita all'arrestato, al fermato, alla persona sottoposta a custodia cautelare o al difensore che richiedono il colloquio. 37. Procura speciale rilasciata in via preventiva. 1. La procura speciale prevista dall'art. 122 del codice può essere rilasciata anche preventivamente, per l'eventualità in cui si verifichino i presupposti per il compimento dell'atto al quale la procura si riferisce.

38. (1) Facoltà dei difensori per l'esercizio del diritto alla prova. 1. Al fine di esercitare il diritto alla prova previsto dall'art. 190 del codice, i difensori,

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anche a mezzo di sostituti e di consulenti tecnici, hanno facoltà di svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito e di conferire con le persone che possano dare informazioni. 2. L'attività prevista dal comma 1 può essere svolta su incarico del difensore da investigatori autorizzati. 2 bis. Il difensore della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa può presentare direttamente al giudice elementi che egli reputa rilevanti ai fini della decisione da adottare. 2 ter. La documentazione presentata al giudice è inserita nel fascicolo relativo agli atti di indagine in originale o in copia, se la persona sottoposta alle indagini ne richiede la restituzione. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 23 della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

Capo V. DISPOSIZIONI RELATIVE AGLI ATTI.

39. Autenticazione della sottoscrizione di atti. 1. Fermo quanto previsto da speciali disposizioni, l'autenticazione della sottoscrizione di atti (110 c.p.p.) per i quali il codice prevede tale formalità può essere effettuata, oltre che dal funzionario di cancelleria, dal notaio, dal difensore, dal sindaco, da un funzionario delegato dal sindaco, dal segretario comunale, dal giudice di pace (1), dal presidente del consiglio dell'ordine forense o da un consigliere da lui delegato. (1) A norma dell'art. 39 della L. 21 novembre 1991, n. 374, in tutte le disposizioni di legge in cui vengono usate le espressioni «conciliatore», «giudice conciliatore» e «vice conciliatore» ovvero «ufficio di conciliazione», queste debbono intendersi sostituite rispettivamente con le espressioni «giudice di pace» e «ufficio del giudice di pace».

40. Copia dell'atto che surroga l'originale mancante. 1. Nel caso previsto dall'art. 112 comma 1 del codice, la cancelleria attesta sulla copia autentica dell'atto che si tratta di copia che tiene luogo, ad ogni effetto, dell'originale distrutto, smarrito o sottratto.

41. Atto ricostituito. 1. Quando si procede a norma dell'art. 113 commi 1 e 2 del codice, sull'atto ricostituito sono indicati gli estremi dell'ordinanza che ha disposto la ricostituzione.

42. Trasmissione a distanza di copia di atti. 1. Il rilascio di copie di atti del procedimento, nei casi previsti dalla legge, può avvenire mediante la trasmissione a distanza con mezzi tecnici idonei, previo accertamento della legittimazione del richiedente. In tal caso l'ufficio presso il quale l'atto si trova attesta, in calce ad esso, di aver trasmesso il testo originale (116 c.p.p.).

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43. Autorizzazione al rilascio di copia di atti. 1. L'autorizzazione prevista dall'art. 116 comma 2 del codice non è richiesta nei casi in cui è riconosciuto espressamente al richiedente il diritto al rilascio di copie, estratti o certificati di atti.

44. Comunicazione delle dichiarazioni e richieste di persone detenute o internate. 1. Le impugnazioni, le richieste e le altre dichiarazioni previste dall'art. 123 del codice sono comunicate nel giorno stesso, o al più tardi nel giorno successivo, all'autorità giudiziaria competente mediante estratto o copia autentica, anche per mezzo di lettera raccomandata. Nei casi di speciale urgenza, la comunicazione può avvenire anche con telegramma confermato da lettera raccomandata ovvero mediante l'uso di altri mezzi tecnici idonei. In tal caso l'ufficio presso il quale l'atto si trova attesta, in calce a esso, di aver trasmesso il testo originale.

45. Relazione nel procedimento in camera di consiglio. 1. Nel procedimento in camera di consiglio davanti alle corti e ai tribunali, la relazione orale è svolta, appena compiuti gli atti introduttivi, da un componente del collegio previamente designato dal presidente (127 c.p.p.).

45 bis. (1) Partecipazione al procedimento in camera di consiglio a distanza. 1. [Nei casi previsti dall'articolo 146 bis, commi 1 e 1 bis (2),] (3) la partecipazione dell'imputato o del condannato all'udienza nel procedimento in camera di consiglio avviene a distanza nei casi e secondo quanto previsto dall'articolo 146 bis, commi 1, 1 bis, 1 ter e 1 quater (4). 2. La partecipazione a distanza è comunicata o notificata dal giudice o dal presidente del collegio (5) unitamente all'avviso di cui all'articolo 127, comma 1, del codice. 3. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dall'articolo 146 bis, commi 2, 3, 4, 4 bis (6) e 6. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1 della L. 7 gennaio 1998, n. 11. (2) Le originarie parole: «Nei casi previsti dall'articolo 146 bis, comma 1» sono state così sostituite dalle attuali: «Nei casi previsti dall'articolo 146 bis, commi 1 e 1 bis» dall'art. 13 del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. (3) Le parole fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 1, comma 78, lett. a), della L. 23 giugno 2017, n. 103. A norma dell'art. 2, comma 2, del D.L. 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, nella L. 21 settembre 2018, n. 108, l'efficacia delle disposizioni di questo comma, fatta salva l'eccezione di cui al comma 81 dello stesso articolo 1, per le persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti ivi indicati, è sospesa dalla data di entrata in vigore del presente decreto (26 luglio 2018) fino al 15 febbraio 2019. A norma dell’art. 1, comma 81, della L. 23 giugno 2017, n. 103, le disposizioni di cui a questo comma acquistano efficacia decorso un anno dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale (4 luglio 2017), fatta eccezione per le disposizioni del predetto comma 78 relativamente alle persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti di cui agli articoli 270 bis, primo comma, e 416 bis, secondo comma, del codice penale,

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nonché di cui all'articolo 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. (4) Le parole: «nei casi e secondo quanto previsto dall'articolo 146 bis, commi 1, 1 bis, 1 ter e 1 quater» sono state inserite dall'art. 1, comma 78, lett. a), della L. 23 giugno 2017, n. 103. A norma dell'art. 2, comma 2, del D.L. 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, nella L. 21 settembre 2018, n. 108, l'efficacia delle disposizioni di questo comma, fatta salva l'eccezione di cui al comma 81 dello stesso articolo 1, per le persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti ivi indicati, è sospesa dalla data di entrata in vigore del presente decreto (26 luglio 2018) fino al 15 febbraio 2019. A norma dell’art. 1, comma 81, della L. 23 giugno 2017, n. 103, le disposizioni di cui a questo comma acquistano efficacia decorso un anno dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale (4 luglio 2017), fatta eccezione per le disposizioni del predetto comma 78 relativamente alle persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti di cui agli articoli 270 bis, primo comma, e 416 bis, secondo comma, del codice penale, nonché di cui all'articolo 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. (5) Le parole: «disposta dal giudice con ordinanza o dal presidente del collegio con decreto motivato, che sono comunicati o notificati» sono state così sostituite dalle seguenti: «comunicata o notificata dal giudice o dal presidente del collegio» dall'art. 1, comma 78, lett. b), della L. 23 giugno 2017, n. 103. A norma dell'art. 2, comma 2, del D.L. 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, nella L. 21 settembre 2018, n. 108, l'efficacia delle disposizioni di questo comma, fatta salva l'eccezione di cui al comma 81 dello stesso articolo 1, per le persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti ivi indicati, è sospesa dalla data di entrata in vigore del presente decreto (26 luglio 2018) fino al 15 febbraio 2019. A norma dell’art. 1, comma 81, della L. 23 giugno 2017, n. 103, le disposizioni di cui a questo comma acquistano efficacia decorso un anno dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale (4 luglio 2017), fatta eccezione per le disposizioni del predetto comma 78 relativamente alle persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti di cui agli articoli 270 bis, primo comma, e 416 bis, secondo comma, del codice penale, nonché di cui all'articolo 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. (6) Le parole: «, 4 bis» sono state inserite dall'art. 1, comma 78, lett. c), della L. 23 giugno 2017, n. 103. A norma dell'art. 2, comma 2, del D.L. 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, nella L. 21 settembre 2018, n. 108, l'efficacia delle disposizioni di questo comma, fatta salva l'eccezione di cui al comma 81 dello stesso articolo 1, per le persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti ivi indicati, è sospesa dalla data di entrata in vigore del presente decreto (26 luglio 2018) fino al 15 febbraio 2019. A norma dell’art. 1, comma 81, della L. 23 giugno 2017, n. 103, le disposizioni di cui a questo comma acquistano efficacia decorso un anno dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale (4 luglio 2017), fatta eccezione per le disposizioni del predetto comma 78 relativamente alle persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti di cui agli articoli 270 bis, primo comma, e 416 bis, secondo comma, del codice penale, nonché di cui all'articolo 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.

46. Esecuzione dell'accompagnamento coattivo. 1. Il provvedimento che dispone l'accompagnamento coattivo è trasmesso, a cura della cancelleria o della segreteria dell'autorità giudiziaria che lo ha emesso, all'organo che deve provvedere alla esecuzione. Copia del provvedimento è consegnata all'interessato (132 c.p.p.).

47. Revoca della condanna pecuniaria inflitta alle persone non comparse. 1. La condanna al pagamento di una somma a norma dell'art. 133 del

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codice è revocata con ordinanza dal giudice quando sono ritenute fondate le giustificazioni addotte dall'interessato.

48. Cancellature, variazioni e aggiunte negli atti. 1. Le cancellature che occorre eseguire nelle sentenze, nelle ordinanze, nei decreti, nei verbali (134 c.p.p.) o in altri atti del procedimento sono fatte in modo da lasciare leggere le parole cancellate. 2. Alle variazioni e alle aggiunte che occorre eseguire prima della sottoscrizione si provvede con postille, che devono essere approvate.

49. Conservazione dei nastri e dei supporti fonografici e audiovisivi. 1. I nastri o i supporti contenenti le riproduzioni fonografiche o audiovisive (134 c.p.p.) sono racchiusi in apposite custodie numerate e sigillate. 2. Ciascuna custodia, a sua volta, è racchiusa in un involucro, sul quale è trascritto il numero della custodia e sono indicati gli estremi del procedimento e le generalità delle persone alle quali si riferiscono le riproduzioni nonché la data in cui le singole riproduzioni sono state effettuate. 3. Al fine di evitarne il deterioramento, i nastri o i supporti possono essere conservati anche in contenitori separati dagli atti processuali (reg. c.p.p. 24).

50. Redazione del verbale in forma stenotipica o con altro strumento meccanico. 1. Quando il verbale è redatto in forma stenotipica o con altro strumento meccanico, esso può essere formato da più ausiliari o da più tecnici autorizzati a norma dell'art. 135 del codice, ciascuno dei quali lo sottoscrive per la parte di rispettiva competenza. 2. Se lo strumento meccanico impiegato non comporta la immediata impressione di caratteri comuni di scrittura, il relativo nastro è sottoscritto dai soli verbalizzanti.

51. Personale tecnico impiegato per la documentazione degli atti. 1. Quando rileva l'esigenza di avvalersi di personale tecnico estraneo all'amministrazione dello Stato per la documentazione degli atti, nei casi previsti dagli artt. 135 comma 2, 138 comma 2 e 139 comma 4 del codice, l'autorità giudiziaria ne fa richiesta al Presidente della Corte di appello (1) perché provveda alla scelta del personale idoneo. 2. Al fine indicato nel comma 1, il Ministero della giustizia, nei limiti delle risorse finanziarie attribuite e con le modalità di cui al comma 3 bis, stipula contratti di durata biennale con imprese o cooperative di servizi specialistici (2). 3. Nell'ambito della politica di decentramento amministrativo e di contenimento della spesa pubblica, le procedure di cui al comma 2 possono essere delegate, per ciascun distretto, al Presidente della Corte di appello (3). 3 bis. Il Direttore generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi, al fine di attuare la delega di cui al comma 3, individua, sentito il Direttore generale della giustizia penale, gli schemi di contratto di cui al comma 2, nonché, previo

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monitoraggio delle caratteristiche e del costo medio di mercato di prestazioni analoghe od equivalenti, la tipologia ed il costo massimo delle prestazioni (4). (1) Le originarie parole: «al capo dell'Ufficio giudiziario» sono state così sostituite dall'art. 9, comma 1, lett. a), del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, nella L. 17 agosto 2005, n. 168. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 9, comma 1, lett. b), del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, nella L. 17 agosto 2005, n. 168. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 9, comma 1, lett. c), del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, nella L. 17 agosto 2005, n. 168. (4) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 9, comma 1, lett. d), del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, nella L. 17 agosto 2005, n. 168.

51 bis. (1) Assistenza dell'interprete e traduzione degli atti. 1. Per ciascuno dei casi previsti dall'articolo 143, comma 1, secondo periodo, del codice, l'imputato ha diritto all'assistenza gratuita dell'interprete per un colloquio con il difensore. Se per fatti o circostanze particolari l'esercizio del diritto di difesa richiede lo svolgimento di più colloqui in riferimento al compimento di un medesimo atto processuale, l'assistenza gratuita dell'interprete può essere assicurata per più di un colloquio. 2. Quando ricorrono particolari ragioni di urgenza e non è possibile avere prontamente una traduzione scritta degli atti di cui all'articolo 143, comma 2, del codice l'autorità giudiziaria dispone, con decreto motivato, se ciò non pregiudica il diritto di difesa dell'imputato, la traduzione orale, anche in forma riassuntiva, redigendo contestualmente verbale. 3. L'imputato può rinunciare espressamente, anche a mezzo di procuratore speciale, alla traduzione scritta degli atti. La rinuncia produce effetti solo se l'imputato ha consapevolezza delle conseguenze che da essa derivano, anche per avere a tal fine consultato il difensore. In tal caso il contenuto degli atti è tradotto oralmente, anche in forma riassuntiva. 4. Nei casi di cui ai commi 2 e 3 della traduzione orale è effettuata anche la riproduzione fonografica. 5. Ove vi siano strumenti tecnici idonei, l'autorità procedente può disporre l'assistenza dell'interprete mediante l'utilizzo delle tecnologie di comunicazione a distanza, salvo che ciò possa causare concreto pregiudizio al diritto di difesa. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 2, comma 1, lett. 0a), del D.L.vo 4 marzo 2016, n. 32, come inserita dall'art. 2, comma 1, del D.L.vo 23 giugno 2016, n. 129.

52. Citazione dell'interprete. 1. Con il provvedimento di nomina è disposta la notificazione all'interprete del relativo decreto di citazione. Nei casi urgenti l'interprete può essere citato anche oralmente per mezzo dell'ufficiale giudiziario o della polizia giudiziaria (143 c.p.p.).

53. Sanzione pecuniaria inflitta all'interprete nel corso delle indagini preliminari. 1. Nel corso delle indagini preliminari, quando si verifica

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l'ipotesi prevista dall'art. 147 comma 2 del codice, il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari di provvedere all'applicazione della sanzione pecuniaria.

54. Copie degli atti da notificare. 1. Quando l'atto da notificare viene trasmesso all'ufficiale giudiziario (148 c.p.p.), questi deve formarne un numero di copie uguale a quello dei destinatari della notificazione. 2. Tengono luogo dell'originale le copie, trasmesse con mezzi tecnici idonei, quando l'ufficio che ha emesso l'atto attesta, in calce ad esso, di aver trasmesso il testo originale. 3. Quando la notificazione viene eseguita a mezzo della polizia giudiziaria, l'atto è trasmesso all'ufficio di polizia competente per territorio con numero di copie uguale a quello dei destinatari della notificazione.

55. Modalità di attuazione delle notificazioni urgenti a mezzo del telefono o del telegrafo. 1. Alla spedizione del telegramma previsto dall'art. 149 commi 4 e 5 del codice provvede la cancelleria o la segreteria. 2. La copia e la ricevuta di spedizione del telegramma e il testo del fonogramma previsto dall'art. 149 comma 2 del codice, con l'indicazione della persona che lo trasmette, di quella che lo riceve, dell'ora e del giorno di trasmissione, sono allegati agli atti del procedimento a cura della cancelleria o della segreteria.

56. Notificazione a mezzo posta effettuata dal difensore. 1. Ai fini previsti dall'art. 152 del codice, il difensore che ha spedito l'atto da notificare con lettera raccomandata documenta tale spedizione depositando in cancelleria copia dell'atto inviato, attestandone la conformità all'originale, e l'avviso di ricevimento. 2. Il difensore indica altresì se l'atto è stato spedito in busta chiusa o in piego.

57. Rifiuto di ricezione dell'atto notificato all'imputato detenuto. 1. Gli atti che l'imputato detenuto si è rifiutato di ricevere e che devono essere consegnati al direttore dell'istituto a norma dell'art. 156 comma 2 del codice sono inseriti nel fascicolo personale del detenuto (58). Se l'imputato richiede che gli atti depositati gli siano consegnati, della consegna è fatta menzione in apposito registro (reg. c.p.p. 8).

58. Informazione all'imputato detenuto legittimamente assente. 1. Il direttore dell'istituto annota nel registro indicato nell'art. 57 data, ora e modalità dell'informazione prevista dall'art. 156 comma 2 del codice.

59. Secondo accesso per la prima notificazione all'imputato non detenuto. 1. Nel caso previsto dall'art. 157 comma 7 del codice, nella relazione di notificazione è indicata anche l'ora in cui sono avvenuti gli accessi. In caso di mancanza o inidoneità delle persone indicate nell'art. 157 comma 1 del codice, il

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secondo accesso deve avvenire in uno dei giorni successivi e in orario diverso da quello del primo accesso.

60. Informazione dell'avvenuta notificazione all'imputato in servizio militare. 1. Il comandante militare che ha provveduto alla informazione a norma dell'art. 158 del codice annota data, ora e modalità in apposito registro.

61. Documentazione delle nuove ricerche dell'imputato. 1. La polizia giudiziaria, in caso di nuove ricerche disposte a norma dell'art. 159 del codice, ne fa relazione all'autorità richiedente, indicando i luoghi in cui le ricerche sono state svolte, gli ufficiali e gli agenti che le hanno eseguite, i nomi dei familiari dell'imputato reperiti e le notizie dagli stessi fornite circa il luogo in cui il loro congiunto si trova.

62. Indicazione delle generalità del domiciliatario. 1. Nell'eleggere il domicilio a norma dell'art. 162 del codice, l'imputato è tenuto a indicare anche le generalità del domiciliatario.

63. Traduzione dell'avviso inviato all'imputato straniero all'estero. 1. Ai fini di quanto previsto dall'art. 169 comma 3 del codice, all'avviso redatto in lingua italiana e sottoscritto dalla autorità giudiziaria che procede è allegata la traduzione nella lingua ufficiale dello Stato in cui l'imputato risulta essere nato.

64. Comunicazione di atti. 1. La comunicazione di atti del giudice ad altro giudice si esegue mediante trasmissione di copia dell'atto con lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero mediante consegna al personale di cancelleria, che ne rilascia ricevuta su apposito registro custodito presso la cancelleria del giudice che ha emesso l'atto. 2. La comunicazione di atti dal giudice al pubblico ministero (153 c.p.p.), che ha sede diversa da quella del giudice, si esegue mediante trasmissione di copia dell'atto con lettera raccomandata con avviso di ricevimento. 3. In caso di urgenza o quando l'atto contiene disposizioni concernenti la libertà personale, la comunicazione è eseguita col mezzo più celere nelle forme previste dagli artt. 149 e 150 del codice ovvero è eseguita dalla polizia giudiziaria mediante consegna di copia dell'atto presso la cancelleria o la segreteria. In questo ultimo caso, la polizia redige verbale, copia del quale è trasmessa al giudice che ha emesso l'atto. 4. Ai fini delle comunicazioni previste dai commi precedenti, la copia può essere trasmessa con mezzi tecnici idonei, quando il funzionario di cancelleria del giudice che ha emesso l'atto attesta, in calce ad esso, di aver trasmesso il testo originale.

64 bis. (1) Trasmissione obbligatoria di provvedimenti al giudice civile. 1. Ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi o delle cause relative ai figli minori di età o all'esercizio della potestà

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genitoriale, copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongono la sostituzione o la revoca, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, del provvedimento con il quale è disposta l'archiviazione e della sentenza emessi nei confronti di una delle parti in relazione ai reati previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 612 bis e 612 ter del codice penale, nonchè dagli articoli 582 e 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del codice penale è trasmessa senza ritardo al giudice civile procedente. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 14, comma 1, della L. 19 luglio 2019, n. 69.

65. (1) Obblighi del difensore non iscritto nell'albo del circondario. 1. Il difensore che non è iscritto nell'albo del circondario dove ha sede l'ufficio giudiziario presso cui è in corso il procedimento deve comunicare il proprio domicilio quando questo non risulti già dagli atti. 2. Nel corso delle indagini preliminari, ai fini delle notificazioni degli avvisi, i difensori, se non hanno domicilio nel circondario dove ha sede l'ufficio giudiziario presso cui è in corso il procedimento, devono eleggere domicilio nel medesimo circondario entro cinque giorni dalla nomina. 3. Se il difensore non ha fatto la comunicazione o l'elezione di domicilio a norma dei commi 1 e 2, l'autorità giudiziaria procedente dispone che la notificazione degli avvisi sia eseguita presso il presidente del consiglio dell'ordine forense. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 9, comma 3, del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438.

Capo VI. DISPOSIZIONI RELATIVE ALLE PROVE.

66. Procedimento di esclusione del segreto. 1. Nei fatti, notizie e documenti indicati nell'art. 204 comma 1 del codice non sono compresi i nomi degli informatori. 2. Quando perviene la comunicazione prevista dall'articolo 204, comma 2, del codice, il Presidente del Consiglio dei ministri, con atto motivato, conferma il segreto, se ritiene che non ricorrano i presupposti indicati nei commi 1, 1 bis e 1 ter dello stesso articolo, perché il fatto, la notizia o il documento coperto dal segreto di Stato non concerne il reato per cui si procede. In mancanza, decorsi trenta giorni dalla notificazione della comunicazione, il giudice dispone il sequestro del documento o l'esame del soggetto interessato (1). 3. Quando è stata confermata l'opposizione del segreto di Stato a norma del comma 2, si osservano le disposizioni dell'art. 16 della L. 24 ottobre 1977, n. 801 (2). (1) Questo comma è stato così sostituito, a decorrere dal 12 ottobre 2007, dall'art. 40, comma 4, lett. a), della L. 3 agosto 2007, n. 124.

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(2) Questo comma è stato abrogato, a decorrere dal 12 ottobre 2007, dall'art. 40, comma 4, lett. b), della L. 3 agosto 2007, n. 124.

67. Albo dei periti presso il tribunale. 1. Presso ogni tribunale è istituito un albo dei periti, diviso in categorie (221 c.p.p.). 2. Nell'albo sono sempre previste le categorie di esperti in medicina legale, psichiatria, contabilità, ingegneria e relative specialità, infortunistica del traffico e della circolazione stradale, balistica, chimica, analisi e comparazione della grafia interpretariato e traduzione (1)(2). 3. Quando il giudice nomina come perito un esperto non iscritto negli albi, designa, se possibile, una persona che svolge la propria attività professionale presso un ente pubblico. 4. Nel caso previsto dal comma 3, il giudice indica specificamente nell'ordinanza di nomina le ragioni della scelta. 5. In ogni caso il giudice evita di designare quale perito le persone che svolgano o abbiano svolto attività di consulenti di parte in procedimenti collegati a norma dell'art. 371 comma 2 del codice. (1) Le parole: «interpretariato e traduzione.» sono state aggiunte dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L.vo 4 marzo 2014, n. 32. (2) Le parole: «analisi e comparazione della grafia» sono state sostituite all'originaria parola: «grafologia» dall'art. 11 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

67 bis. (1) Elenco nazionale degli interpreti e traduttori. 1. Ogni tribunale trasmette per via telematica al Ministero della giustizia l'elenco aggiornato, in formato elettronico, degli interpreti e dei traduttori iscritti nell'albo dei periti di cui all'articolo 67. L'autorità giudiziaria si avvale di tale elenco nazionale e nomina interpreti e traduttori diversi da quelli ivi inseriti solo in presenza di specifiche e particolari esigenze. 2. L'elenco nazionale di cui al comma 1 è consultabile dall'autorità giudiziaria, dagli avvocati e dalla polizia giudiziaria sul sito istituzionale del Ministero della giustizia, nel rispetto della normativa vigente sul trattamento dei dati personali. Le modalità di consultazione dell'elenco nazionale sono definite con decreto del Ministro della giustizia, da adottarsi entro il termine di otto mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 2, comma 1, lett. a bis), del D.L.vo 4 marzo 2016, n. 32, come inserita dall'art. 2, comma 2, del D.L.vo 23 giugno 2016, n. 129.

68. Formazione e revisione dell'albo dei periti. 1. L'albo dei periti previsti dall'art. 67 è tenuto a cura del presidente del tribunale ed è formato da un comitato da lui presieduto e composto dal procuratore della Repubblica presso il medesimo tribunale, [dal pretore dirigente, dal procuratore della Repubblica presso la pretura,] (1) dal presidente del consiglio dell'ordine forense, dal presidente dell'ordine, del collegio ovvero delle associazioni rappresentative a livello nazionale delle

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professioni non regolamentate (2) a cui appartiene la categoria di esperti per la quale si deve provvedere ovvero da loro delegati. 2. Il comitato decide sulla richiesta di iscrizione e di cancellazione dall'albo. 3. Il comitato può assumere informazioni e delibera a maggioranza dei voti. In caso di parità di voti, prevale il voto del presidente. 4. Il comitato provvede ogni due anni alla revisione dell'albo per cancellare gli iscritti per i quali è venuto meno alcuno dei requisiti previsti dall'art. 69 comma 3 o è sorto un impedimento a esercitare l'ufficio di perito. (1) Le parole: «dal pretore dirigente, dal procuratore della Repubblica presso la pretura,» sono state soppresse dall'art. 210 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (2) Le parole: «dell'ordine o del collegio» sono state così sostituite dalle attuali: «dell'ordine, del collegio ovvero delle associazioni rappresentative a livello nazionale delle professioni non regolamentate» dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L.vo 4 marzo 2014, n. 32.

69. Requisiti per la iscrizione all'albo dei periti. 1. Salvo quanto previsto dal comma 3, possono ottenere l'iscrizione all'albo le persone fornite di speciale competenza nella materia. 2. La richiesta di iscrizione, diretta al presidente del tribunale, deve essere accompagnata dall'estratto dell'atto di nascita, dal certificato generale del casellario giudiziale, dal certificato di residenza nella circoscrizione del tribunale e dai titoli e documenti attestanti la speciale competenza del richiedente. 3. Non possono ottenere l'iscrizione all'albo le persone: a) condannate con sentenza irrevocabile alla pena della reclusione per delitto non colposo, salvo che sia intervenuta riabilitazione; b) che si trovano in una delle situazioni di incapacità previste dall'art. 222 comma 1 lett. a), b), c) del codice; c) cancellate o radiate dal rispettivo albo professionale a seguito di provvedimento disciplinare definitivo. 4. La richiesta di iscrizione nell'albo resta sospesa per il tempo in cui la persona è imputata di delitto non colposo per il quale è consentito l'arresto in flagranza ovvero è sospesa dal relativo albo professionale (702).

70. Sanzioni applicabili agli iscritti nell'albo dei periti. 1. Agli iscritti nell'albo dei periti che non abbiano adempiuto agli obblighi derivanti dal conferimento dell'incarico possono essere applicate, su segnalazione del giudice procedente, le sanzioni dell'avvertimento, della sospensione dall'albo per un periodo non superiore ad un anno o della cancellazione. 2. È disposta la sospensione dall'albo nei confronti delle persone che si trovano nelle situazioni previste dall'art. 69 comma 4 per il tempo in cui perdurano le situazioni medesime. 3. È disposta la cancellazione dall'albo anche prima della scadenza del termine stabilito per la revisione degli albi, nei confronti degli iscritti per i quali è venuto meno alcuno dei requisiti previsti dall'art. 69 comma 3.

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4. Competente a decidere è il comitato previsto nell'art. 68.

71. Procedimento per l'applicazione delle sanzioni. 1. Ai fini della applicazione delle sanzioni previste dall'art. 70, il presidente del tribunale contesta l'addebito al perito mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, invitandolo a fornire deduzioni scritte entro il termine di dieci giorni dalla ricezione della raccomandata. Decorso tale termine e assunte se del caso informazioni, il comitato delibera a norma dell'art. 68 comma 2. 72. Reclamo avverso le decisioni del comitato. 1. Entro quindici giorni dalla notificazione, contro le decisioni del comitato può essere proposto reclamo sul quale decide una commissione composta dal presidente della corte di appello nel cui distretto ha sede il comitato, dal procuratore generale della Repubblica presso la corte medesima, dal presidente del consiglio dell'ordine forense, dal presidente dell'ordine o del collegio professionale cui l'interessato appartiene ovvero dai loro delegati. 2. Della commissione non possono far parte persone che abbiano partecipato alla decisione oggetto del reclamo. 3. La commissione decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti.

72 bis. (1) Prelievo di campioni biologici e accertamenti medici su minori e su persone incapaci o interdette. 1. Nei casi previsti dagli articoli 224 bis e 359 bis del codice, se la persona da sottoporre a prelievo di campioni biologici o ad accertamenti medici è minore, incapace ovvero interdetta per infermità di mente, il consenso è prestato dal genitore o dal tutore, i quali possono presenziare alle operazioni. 2. Ai fini di cui al comma 1, se il genitore o il tutore mancano o non sono reperibili, ovvero si trovano in conflitto di interessi con la persona da sottoporre a prelievo di campioni biologici o ad accertamenti medici, il consenso è prestato da un curatore speciale nominato dal giudice, il quale può presenziare alle operazioni. 3. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui agli articoli 224 bis e 359 bis del codice. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 29 della L. 30 giugno 2009, n. 85.

72 ter. (1) Redazione del verbale delle operazioni. 1. Nel verbale relativo alle operazioni di prelievo di campioni biologici o all’effettuazione di accertamenti medici è fatta espressa menzione del consenso eventualmente prestato dalla persona sottoposta ad esame. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 29 della L. 30 giugno 2009, n. 85.

72 quater. (1) Distruzione dei campioni biologici. 1. All’esito della perizia su campioni biologici, ai sensi dell’articolo 224 bis del codice, il giudice dispone l’immediata distruzione del campione prelevato, salvo che non ritenga la conservazione assolutamente indispensabile. La distruzione è effettuata a cura del

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perito il quale ha proceduto alla relativa analisi, che ne redige verbale da allegare agli atti. 2. Dopo la definizione del procedimento con decreto di archiviazione o dopo che è stata pronunciata sentenza non più soggetta ad impugnazione, la cancelleria procede, in ogni caso e senza ritardo, alla distruzione dei campioni biologici prelevati ai sensi degli articoli 224 bis e 359 bis del codice. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 29 della L. 30 giugno 2009, n. 85.

73. Consulente tecnico del pubblico ministero. 1. Il pubblico ministero nomina il consulente tecnico (225 c.p.p.) scegliendo di regola una persona iscritta negli albi dei periti. Per la liquidazione del compenso al consulente tecnico si osservano le disposizioni previste per il perito (232 c.p.p.). 74. Consulenza o (1) perizia nummaria. 1. Nei procedimenti per la falsificazione di biglietti di banca o di monete metalliche è nominato consulente o (2) perito rispettivamente un tecnico della direzione generale della Banca d'Italia o un tecnico della direzione generale del tesoro. 2. Se l'autorità giudiziaria che ha disposto la perizia non ha sede in Roma, può richiedere per il relativo espletamento il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma. A tal fine l'autorità rogante pronuncia ordinanza con la quale formula i quesiti, indica le parti e i difensori da convocare e trasmette gli atti, anche in copia, il corpo del reato e i documenti occorrenti per l'espletamento della perizia. Il giudice per le indagini preliminari provvede nelle forme previste per l'incidente probatorio. (1) Le parole: «Consulenza o» sono state premesse dall'art. 1, comma 2, lett. a), del D.L.vo 21 giugno 2016, n. 125. (2) Le parole: «consulente o» sono state inserite dall'art. 1, comma 2, lett. b), del D.L.vo 21 giugno 2016, n. 125.

75. Scritture di comparazione. 1. Nei procedimenti per falsità in atti, il giudice ordina la presentazione di scritture di comparazione che si trovano presso pubblici ufficiali o presso incaricati di un pubblico servizio. Ammette inoltre ogni altra scrittura quando non vi è dubbio sulla sua autenticità, ordinando, se necessario, atti di perquisizione e di sequestro. Analogamente provvede il pubblico ministero nelle indagini preliminari. 2. Il giudice può disporre che l'imputato, se possibile alla presenza del perito, rilasci una scrittura di comparazione facendo menzione dell'eventuale rifiuto dell'imputato stesso e di quant'altro interessi per valutare la genuinità della scrittura.

76. Consegna al perito di documenti o di altri oggetti. 1. Quando il giudice ritiene necessario disporre la consegna al perito di documenti in originale o di altri oggetti, della consegna è redatto verbale a cura del funzionario di cancelleria. In tal caso, il giudice può disporre che dei documenti venga estratta copia autentica.

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77. Attività di investigazione della polizia in materia di armi e di sostanze stupefacenti. 1. Il dirigente del servizio di polizia giudiziaria può essere autorizzato dal giudice a prelevare, dopo l'espletamento della perizia, armi, munizioni, esplosivi e altri oggetti o sostanze equiparate occorrenti ai fini di investigazione o di prevenzione nonché alla raccolta ed elaborazione dei relativi dati, sempre che tale attività non comporti modifiche o alterazioni degli oggetti o delle sostanze medesime. Analoga autorizzazione può essere concessa anche dopo che è stata disposta la confisca e la distruzione ovvero dopo la chiusura del giudizio di primo grado, se la perizia non ha avuto luogo. 2. Dopo il provvedimento di archiviazione perché è ignoto l'autore del reato ovvero dopo che la sentenza è divenuta inoppugnabile, il giudice può autorizzare il dirigente del servizio di polizia giudiziaria a prelevare gli oggetti e le sostanze indicate nel comma 1 anche per l'espletamento di accertamenti tecnici che ne determinano modifiche o alterazioni. 3. In ogni stato e grado del processo, il giudice può autorizzare il dirigente del servizio di polizia giudiziaria a prelevare, ai fini previsti dal comma 1, campioni di sostanze stupefacenti o psicotrope sequestrate o confiscate, se il quantitativo lo consente. Nel relativo verbale viene dato atto del quantitativo e della natura presunta della sostanza prelevata. 4. Delle operazioni di prelievo e di restituzione degli oggetti e delle sostanze previsti dai commi 1 e 3 è redatto verbale a cura del pubblico ufficiale addetto alla cancelleria.

78. Acquisizione di atti di un procedimento penale straniero. 1. La documentazione di atti di un procedimento penale compiuti da autorità giudiziaria straniera può essere acquisita a norma dell'art. 238 del codice. 2. Gli atti non ripetibili compiuti dalla polizia straniera possono essere acquisiti nel fascicolo per il dibattimento se le parti vi consentono ovvero dopo l'esame testimoniale dell'autore degli stessi, compiuto anche mediante rogatoria all'estero in contraddittorio.

79. Esecuzione di perquisizioni ed ispezioni personali. 1. Le perquisizioni e le ispezioni personali (245, 249 c.p.p.) sono fatte eseguire da persona dello stesso sesso di quella che vi è sottoposta, salvi i casi di impossibilità o di urgenza assoluta. 2. La disposizione del comma 1 non si applica quando le operazioni sono eseguite da persona esercente la professione sanitaria.

80. Esecuzione di perquisizioni locali. 1. Se la copia del decreto di perquisizione locale è consegnata al portiere o a chi ne fa le veci, si applica la disposizione di cui all'articolo 148, comma 3, del codice (1). 2. Se non si può provvedere a norma dell'art. 250 comma 2 del codice, la copia del decreto di perquisizione è depositata presso la cancelleria o la segreteria

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dell'autorità giudiziaria che procede, e di tale deposito è affisso un avviso alla porta del luogo dove è stata eseguita la perquisizione. (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 174, comma 15, del D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2004. L'art. 174 del D.L.vo n. 196/2003 è stato poi abrogato dall'art. 27, comma 1, lett. c), n. 3, del D.L.vo 10 agosto 2018, n . 101. Si riporta il testo del comma previgente: «1. Quando la copia del decreto di perquisizione locale è consegnata al portiere o a chi ne fa le veci, si applica la disposizione dell'art. 157 comma 6 del codice».

81. Redazione del verbale di sequestro. 1. Il verbale di sequestro (253 ss. c.p.p.) contiene l'elenco delle cose sequestrate, la descrizione delle cautele adottate per assicurarle e l'indicazione della specie e del numero dei sigilli apposti (reg. c.p.p. 10). 2. Le carte sono numerate e sottoscritte singolarmente da chi procede al sequestro. Se ciò non è possibile, esse sono rinchiuse in uno o più pacchi sigillati, numerati e timbrati. 3. Il verbale indica anche il luogo della custodia. Il provvedimento previsto dall'art. 259 comma 1 secondo periodo del codice può essere adottato, quando ne ricorrono le condizioni, anche da chi ha provveduto al sequestro. Quando è nominato un custode, questi dichiara di assumere gli obblighi di legge e sottoscrive il verbale. L'inosservanza di queste formalità non esime il custode, che abbia assunto l'ufficio, dall'adempimento dei suoi doveri e dalla relativa responsabilità disciplinare e penale. 4. Sulle cose sequestrate ovvero sui pacchi in cui esse sono rinchiuse è apposta l'indicazione del procedimento al quale si riferiscono.

82. Attività per il deposito e la custodia delle cose sequestrate. 1. Le cose sequestrate sono annotate in apposito registro nel quale la cancelleria o la segreteria indica il numero del procedimento a cui si riferiscono, il cognome e il nome della persona a cui appartengono, se sono noti, e quelli della persona il cui nome è stato iscritto nel registro delle notizie di reato, le trasmissioni ad altri uffici giudiziari e le restituzioni. 2. Le cose sequestrate non possono essere rimosse dal luogo in cui sono custodite, se non nei casi consentiti dalla legge. Quando i sigilli appaiono rotti o alterati, si procede alla verificazione delle cose sequestrate, a cura della cancelleria o della segreteria. Di ogni verificazione e in tutti i casi di rimozione e riapposizione di sigilli è redatto verbale. 3. Con decreto del Ministro di grazia e giustizia saranno dettate le disposizioni regolamentari per il deposito e la custodia delle cose sequestrate (reg. c.p.p. 112). 4. Fino alla data di entrata in vigore del decreto previsto dal comma 3, le cose sequestrate, che a norma dell'art. 259 del codice andrebbero depositate nella segreteria del pubblico ministero, sono depositate nella cancelleria [della pretura o] (1) del tribunale e annotate nei relativi registri. La stessa cancelleria provvede altresì agli adempimenti previsti dall'art. 83.

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(1) Le parole: «della pretura o» sono state soppresse dall'art. 211 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

83. (1) Vendita o distruzione delle cose deperibili. 1. La vendita delle cose indicate nell'art. 260 comma 3 del codice è eseguita a cura della cancelleria o della segreteria anche a trattativa privata. 2. Allo stesso modo si procede per la distruzione delle cose. Tuttavia a questa può procedersi anche avvalendosi di persona idonea o della polizia giudiziaria che ha eseguito il sequestro. Delle operazioni compiute è redatto verbale da allegare agli atti. 3. L'autorità giudiziaria, prima che si proceda alle operazioni indicate nei commi 1 e 2, dispone il prelievo dei campioni, quando ciò è possibile, dando avviso al difensore. (1) Si veda il disposto dell'art. 171 sexies, comma 1, della L. 22 aprile 1941, n. 633, come inserito dalla L. 18 agosto 2000, n. 248.

84. (1) Restituzione delle cose sequestrate. 1. La restituzione delle cose sequestrate (263 c.p.p.) è disposta dall'autorità giudiziaria, di ufficio o su richiesta dell'interessato esente da bollo. Della avvenuta restituzione è redatto verbale. 2. La restituzione è concessa a condizione che prima siano pagate le spese per la custodia e la conservazione delle cose sequestrate, salvo che siano stati pronunciati provvedimento di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o sentenza di proscioglimento ovvero che le cose sequestrate appartengano a persona diversa dall'imputato o che il decreto di sequestro sia stato revocato a norma dell'art. 324 del codice. Le spese di custodia e di conservazione sono in ogni caso dovute dall'avente diritto alla restituzione per il periodo successivo al trentesimo giorno decorrente dalla data in cui il medesimo ha ricevuto la comunicazione del provvedimento di restituzione (reg. c.p.p. 12). (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Si veda ora l'art. 150 del medesimo provvedimento, di cui si riporta il testo, così come modificato dall'art. 9 bis, comma 1, lett. f), del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, nella L. 17 agosto 2005, n. 168: «150 (L). (Restituzione di beni sequestrati). 1. La restituzione dei beni sequestrati è disposta dal magistrato d'ufficio o su richiesta dell'interessato esente da bollo; è comunque disposta dal magistrato quando la sentenza è diventata inoppugnabile. Della avvenuta restituzione è redatto verbale. «2. La restituzione è concessa a condizione che prima siano pagate le spese per la custodia e la conservazione delle cose sequestrate, salvo che siano stati pronunciati provvedimento di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o sentenza di proscioglimento ovvero che le cose sequestrate appartengano a persona diversa dall'imputato o che il decreto di sequestro sia stato revocato a norma dell'articolo 324 del codice di procedura penale. «3. Le spese di custodia e di conservazione sono in ogni caso dovute dall'avente diritto alla restituzione per il periodo successivo al trentesimo giorno decorrente dalla data in cui il medesimo ha ricevuto la comunicazione del provvedimento di restituzione. «4. Il provvedimento di restituzione è comunicato all'avente diritto ed al custode. Con il medesimo provvedimento è data comunicazione che le spese di custodia e conservazione delle cose sequestrate, decorsi trenta giorni dalla ricezione della comunicazione, sono in ogni caso a carico dell'avente diritto alla restituzione e

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che le somme o valori sequestrati, decorsi tre mesi dalla rituale comunicazione senza che l'avente diritto abbia provveduto al ritiro, sono devoluti alla cassa delle ammende».

85. Restituzione con imposizione di prescrizioni. 1. Quando sono state sequestrate cose che possono essere restituite previa esecuzione di specifiche prescrizioni, l'autorità giudiziaria, se l'interessato consente, ne ordina la restituzione impartendo le prescrizioni del caso e imponendo una idonea cauzione a garanzia della esecuzione delle prescrizioni nel termine stabilito (263 c.p.p.). 2. Scaduto il termine, se le prescrizioni non sono adempiute, l'autorità giudiziaria provvede a norma dell'art. 260 comma 3 del codice qualora ne ricorrano le condizioni.

86. Vendita o distruzione delle cose confiscate. 1. La cancelleria provvede alla vendita delle cose di cui è stata ordinata la confisca, salvo che per esse sia prevista una specifica destinazione (reg. c.p.p. 13). 2. Il giudice dispone la distruzione delle cose confiscate se la vendita non è opportuna. All'affidamento dell'incarico procede la cancelleria. Il giudice può disporre che alla distruzione proceda la polizia giudiziaria che ha eseguito il sequestro.

86 bis. (1) Destinazione dei beni informatici o telematici sequestrati o confiscati in quanto utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 473, 474, 615 ter, 615 quater, 615 quinquies, 617 bis, 617 ter, 617 quater, 617 quinquies, 617 sexies, 635 bis, 635 ter, 635 quater, 635 quinquies, 640 ter e 640 quinquies del codice penale. 1. I beni e gli strumenti informatici o telematici oggetto di sequestro che, a seguito di analisi tecnica forense, risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 473, 474, 615 ter, 615 quater, 615 quinquies, 617 bis, 617 ter, 617 quater, 617 quinquies, 617 sexies, 635 bis, 635 ter, 635 quater, 635 quinquies, 640 ter e 640 quinquies del codice penale sono affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale con facoltà d'uso, salvo che vi ostino esigenze processuali, agli organi di polizia che ne facciano richiesta per l'impiego in attività di contrasto ai crimini informatici, ovvero ad altri organi dello Stato per finalità di giustizia. 2. I beni e gli strumenti di cui al comma 1, ove acquisiti dallo Stato a seguito di procedimento definitivo di confisca, sono assegnati alle amministrazioni che ne facciano richiesta e che ne abbiano avuto l'uso ovvero, ove non vi sia stato un precedente affidamento in custodia giudiziale, agli organi di polizia che ne facciano richiesta per l'impiego in attività di contrasto ai crimini informatici ovvero ad altri organi dello Stato per finalità di giustizia. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 2 della L. 15 febbraio 2012, n. 12.

86 ter. (1) Destinazione dei beni confiscati in quanto utilizzati per la commissione del reato di esercizio abusivo della professione sanitaria. 1. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice per l'esercizio abusivo di una professione sanitaria, i beni

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immobili confiscati sono trasferiti al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, per essere destinati a finalità sociali e assistenziali. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 12, comma 7, della L. 11 gennaio 2018, n. 3.

87. (1) Cose di cui è stata ordinata la consegna al Ministero di grazia e giustizia. 1. Il provvedimento con cui è ordinata la consegna al Ministero di grazia e giustizia delle cose indicate nell'art. 264 comma 1 del codice, è comunicato al Ministero medesimo. 2. Il Ministro di grazia e giustizia può disporre che le cose di cui è stata ordinata la consegna siano rimesse al museo criminale presso il Ministero o ad altri istituti. Se non ritiene di provvedere in questo modo, le cose sono messe in vendita a norma dell'art. 264 del codice. 3. Allo stesso modo si provvede se delle cose aventi interesse scientifico ovvero pregio di antichità o di arte è stata disposta la confisca. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

88. Destinazione delle monete metalliche e dei biglietti di banca confiscati. 1. I biglietti di banca e le monete metalliche, di cui è stata accertata la falsità e ordinata la confisca, sono trasferiti rispettivamente alla filiale della Banca d'Italia o alla sezione della tesoreria provinciale più vicina, a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento, immediatamente dopo che questo è divenuto esecutivo. 2. La disposizione del comma 1 si applica anche agli strumenti e agli altri oggetti destinati esclusivamente alla falsificazione dei quali è stata ordinata la confisca.

89. (1) Verbale e registrazioni delle intercettazioni. 1. Il verbale delle operazioni previsto dall'articolo 268 comma 1 del codice contiene l'indicazione degli estremi del decreto che ha disposto l'intercettazione, la descrizione delle modalità di registrazione, l'annotazione del giorno e dell'ora di inizio e di cessazione della intercettazione nonchè i nominativi delle persone che hanno preso parte alle operazioni. Quando si procede ad intercettazione delle comunicazioni e conversazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, il verbale indica il tipo di programma impiegato e, ove possibile, i luoghi in cui si svolgono le comunicazioni o conversazioni. 2. Ai fini dell'installazione e dell'intercettazione attraverso captatore informatico in dispositivi elettronici portatili, devono essere impiegati programmi conformi ai requisiti tecnici stabiliti con decreto del Ministro della giustizia. 3. Nei casi previsti dal comma 2 le comunicazioni intercettate sono conferite, dopo l'acquisizione delle necessarie informazioni in merito alle condizioni tecniche di sicurezza e di affidabilità della rete di trasmissione, esclusivamente negli impianti della procura della Repubblica. Durante il trasferimento dei dati sono operati controlli costanti di integrità che assicurino l'integrale corrispondenza tra quanto intercettato, registrato e trasmesso.

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4. Quando è impossibile il contestuale trasferimento dei dati intercettati, il verbale di cui all'articolo 268 del codice dà atto delle ragioni impeditive e della successione cronologica degli accadimenti captati e delle conversazioni intercettate. 5. Al termine delle operazioni si provvede, anche mediante persone idonee di cui all'articolo 348 del codice, alla disattivazione del captatore con modalità tali da renderlo inidoneo a successivi impieghi. Dell'operazione si dà atto nel verbale. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 2, comma 2, lett. a), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento così come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. Si riporta il testo previgente: «Art. 89. - Verbale e nastri registrati delle intercettazioni - 1. Il verbale delle operazioni previsto dall’art. 268 comma 1 del codice contiene l’indicazione degli estremi del decreto che ha disposto l’intercettazione, la descrizione delle modalità di registrazione, l’annotazione del giorno e dell’ora di inizio e di cessazione della intercettazione nonché i nominativi delle persone che hanno preso parte alle operazioni. Quando si procede ad intercettazione delle comunicazioni e conversazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, il verbale indica il tipo di programma impiegato e i luoghi in cui si svolgono le comunicazioni o conversazioni. 2. I nastri contenenti le registrazioni, racchiusi in apposite custodie numerate e sigillate, sono collocati in un involucro sul quale sono indicati il numero delle registrazioni contenute, il numero dell’apparecchio controllato, i nomi, se possibile, delle persone le cui conversazioni sono state sottoposte ad ascolto e il numero che, con riferimento alla registrazione consentita, risulta dal registro delle intercettazioni previsto dall’art. 267 comma 5 del codice. 2 bis. Ai fini dell’installazione e dell’intercettazione attraverso captatore informatico in dispositivi elettronici portatili possono essere impiegati soltanto programmi conformi ai requisiti tecnici stabiliti con decreto del Ministro della giustizia. 2 ter. Nei casi previsti dal comma 2 bis le comunicazioni intercettate sono trasferite, dopo l’acquisizione delle necessarie informazioni in merito alle condizioni tecniche di sicurezza e di affidabilità della rete di trasmissione, esclusivamente verso gli impianti della procura della Repubblica. Durante il trasferimento dei dati sono operati controlli costanti di integrità, in modo da assicurare l’integrale corrispondenza tra quanto intercettato e quanto trasmesso e registrato. 2 quater. Quando è impossibile il contestuale trasferimento dei dati intercettati, il verbale di cui all’articolo 268 del codice dà atto delle ragioni tecniche impeditive e della successione cronologica degli accadimenti captati e delle conversazioni intercettate. 2 quinquies. Al termine delle operazioni si provvede, anche mediante persone idonee di cui all’articolo 348 del codice, alla disattivazione del captatore con modalità tali da renderlo inidoneo a successivi impieghi. Dell’operazione si dà atto nel verbale.».

89 bis. (1) Archivio delle intercettazioni. 1. Nell'archivio digitale istituito dall'articolo 269, comma 1, del codice, tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica, sono custoditi i verbali, gli atti e le registrazioni delle intercettazioni a cui afferiscono. 2. L'archivio è gestito con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione relativa alle intercettazioni non necessarie per il procedimento, ed a

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quelle irrilevanti o di cui è vietata l'utilizzazione ovvero riguardanti categorie particolari di dati personali come definiti dalla legge o dal regolamento in materia. Il Procuratore della Repubblica impartisce, con particolare riguardo alle modalità di accesso, le prescrizioni necessarie a garantire la tutela del segreto su quanto ivi custodito. 3. All'archivio possono accedere, secondo quanto stabilito dal codice, il giudice che procede e i suoi ausiliari, il pubblico ministero e i suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati all'ascolto, i difensori delle parti, assistiti, se necessario, da un interprete. Ogni accesso è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data, ora iniziale e finale, e gli atti specificamente consultati. 4. I difensori delle parti possono ascoltare le registrazioni con apparecchio a disposizione dell'archivio e possono ottenere copia delle registrazioni e degli atti quando acquisiti a norma degli articoli 268, 415 bis e 454 del codice. Ogni rilascio di copia è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data e ora di rilascio e gli atti consegnati in copia. (1) Questo articolo, inserito dall’art. 5, comma 1, lett. b), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216, è stato così sostituito dall'art. 2, comma 2, lett. b), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento così come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. Si riporta il testo previgente: «Art. 89 bis. - Archivio riservato delle intercettazioni - 1. Presso l’ufficio del pubblico ministero è istituito l’archivio riservato previsto dall’articolo 269, comma 1, del codice, nel quale sono custoditi le annotazioni, i verbali, gli atti e le registrazioni delle intercettazioni a cui afferiscono. 2. L’archivio è gestito, anche con modalità informatiche, e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del procuratore della Repubblica, con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione custodita. Il procuratore della Repubblica impartisce, con particolare riguardo alle modalità di accesso, le prescrizioni necessarie a garantire la tutela del segreto su quanto ivi custodito. 3. All’archivio possono accedere, secondo quanto stabilito dal codice, il giudice che procede e i suoi ausiliari, il pubblico ministero e i suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati all’ascolto, i difensori delle parti, assistiti, se necessario, da un interprete. Ogni accesso è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data, ora iniziale e finale, e gli atti specificamente consultati. 4. I difensori delle parti possono ascoltare le registrazioni con apparecchio a disposizione dell’archivio, ma non possono ottenere copia delle registrazioni e degli atti ivi custoditi.».

90. (1) Intercettazioni disposte dalla procura della Repubblica presso la pretura. 1. Le intercettazioni disposte dalla procura della Repubblica presso la pretura sono eseguite presso gli impianti installati nella procura della Repubblica presso il tribunale. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 218 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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Capo VII. DISPOSIZIONI RELATIVE

ALLE MISURE CAUTELARI.

91. Giudice competente in ordine alle misure cautelari. 1. Nel corso degli atti preliminari al dibattimento, i provvedimenti concernenti le misure cautelari sono adottati, secondo la rispettiva competenza, dal tribunale in composizione collegiale o monocratica (1), dalla corte di assise, dalla corte di appello o dalla corte di assise di appello; dopo la pronuncia della sentenza e prima della trasmissione degli atti a norma dell'art. 590 del codice, provvede il giudice che ha emesso la sentenza; durante la pendenza del ricorso per cassazione, provvede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. (1) Le parole: «dal pretore, dal tribunale» sono state sostituite dalle parole: «dal tribunale in composizione collegiale o monocratica» dall'art. 212 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

92. Trasmissione dell'ordinanza che dispone la misura cautelare. 1. L'ordinanza che dispone la misura cautelare (292 c.p.p.) è immediatamente trasmessa, in duplice copia, a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento, all'organo che deve provvedere all'esecuzione ovvero, nel corso delle indagini preliminari, al pubblico ministero che ne ha fatto richiesta, il quale ne cura l'esecuzione. 1 bis. Contestualmente sono restituiti al pubblico ministero, per la conservazione nell'archivio [riservato] (1) di cui all'articolo 89 bis, gli atti contenenti le comunicazioni e conversazioni intercettate ritenute dal giudice non rilevanti o inutilizzabili (2). (1) La parola fra parentesi quadrate è stata soppressa dall'art. 2, comma 2, lett. c), del D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, del medesimo provvedimento così come da ultimo sostituito dall'art. 1, comma 2, del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. (2) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 5, comma 1, lett. c), del D.L.vo 29 dicembre 2017, n. 216. A norma dell’art. 9, comma 1, del medesimo provvedimento, così come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, tali disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020.

93.

Deposito

del

verbale

di

interrogatorio. 1.

Il verbale dell'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare (294 c.p.p.) è trasmesso al pubblico ministero. I difensori hanno diritto di prenderne visione ed estrarne copia.

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94. Ingresso in istituti penitenziari. 1. Il pubblico ufficiale preposto a un istituto penitenziario non può ricevere né ritenervi alcuno se non in forza di un provvedimento dell'autorità giudiziaria o di un avviso di consegna da parte di un ufficiale di polizia giudiziaria. 1 bis. Copia del provvedimento che costituisce titolo di custodia è inserito nella cartella personale del detenuto. All'atto del colloquio previsto dall'art. 23, quarto comma, del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n. 431 (1), o anche successivamente, il direttore o l'operatore penitenziario da lui designato accerta, se del caso, con l'ausilio di un interprete, che l'interessato abbia precisa conoscenza del provvedimento che ne dispone la custodia e gliene illustra, ove occorra, i contenuti (2). 1 ter. L'autorità giudiziaria che dispone la custodia cautelare in carcere o che pronuncia un provvedimento da cui non consegua la rimessione in libertà del detenuto dispone che copia del provvedimento sia trasmessa, a cura della polizia giudiziaria o della cancelleria, al direttore dell'istituto penitenziario perché provveda a quando stabilito dal comma 1 bis (2). 1 quater. Il detenuto ha sempre diritto di consultare la propria cartella personale e di ottenere copia dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria in essa contenuti (2). 2. Nondimeno, se si presenta nell'istituto una persona che dichiari di avere commesso un reato per il quale è obbligatorio l'arresto in flagranza, ivi deve essere trattenuto a norma dell'art. 349 del codice ad opera degli appartenenti al personale di custodia che abbiano qualità di ufficiale o di agente di polizia giudiziaria (57 c.p.p.), i quali redigono verbale e ne danno immediata notizia alla autorità giudiziaria competente. 3. Allo stesso modo si procede nei confronti di un latitante che si sia sottratto alla esecuzione della custodia cautelare, di un evaso o di un condannato in via definitiva che non sia in grado di produrre copia dell'ordine di esecuzione. (1) Si veda ora il D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230. (2) Comma inserito dall'art. 23 della L. 8 agosto 1995, n. 332.

95. Esecuzione della custodia cautelare nei confronti dell'internato per misura di sicurezza. 1. Con l'ordinanza che dispone la custodia cautelare nei confronti di persona internata per misura di sicurezza, il giudice ne dispone il trasferimento nell'istituto di custodia, salvo quanto previsto dall'art. 286 del codice.

96. Separazione degli imputati detenuti. 1. Negli istituti di custodia gli imputati in uno stesso procedimento o comunque in uno stesso reato devono essere tenuti separati tra loro, se l'autorità giudiziaria abbia così ordinato. In mancanza di tale ordine, la separazione deve essere disposta sempre che lo consentano le possibilità dell'istituto.

97. (1) Comunicazioni al servizio informatico. 1. I provvedimenti con i quali è disposta una misura cautelare personale (292 c.p.p.) sono comunicati, a cura della cancelleria del giudice che li ha emessi, al servizio informatico istituito con

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decreto del Ministro di grazia e giustizia, quando la misura ha avuto esecuzione. La stessa comunicazione è altresì data quando è dichiarato lo stato di latitanza (reg. c.p.p. 29b). 2. Nel caso di fermo o di arresto in flagranza, alla comunicazione prevista dal comma 1 provvede la direzione dell'istituto di custodia al quale il fermato o l'arrestato è consegnato (3884 c.p.p.). 3. Deve essere altresì data immediata comunicazione al servizio previsto dal comma 1 del provvedimento con cui è ordinata la immediata liberazione dell'arrestato o del fermato (389 c.p.p.) nonché di ogni provvedimento estintivo o modificativo delle misure cautelari personali. Alla comunicazione provvede la cancelleria o la segreteria dell'autorità giudiziaria che ha adottato il provvedimento. (1) Si riporta il testo dell'art. 38, comma 1, del D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, nella L. 29 novembre 2007, n. 222: «1. Al fine di potenziare gli strumenti di conoscenza dei precedenti giudiziari individuali, il Ministero della giustizia provvede alla realizzazione della banca dati delle misure cautelari di cui all'articolo 97 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché al rafforzamento della struttura informatica del Registro generale del casellario giudiziale ed alla sua integrazione su base nazionale con i carichi pendenti, prevedendo il relativo sistema di certificazione».

97 bis. (1) Modalità di esecuzione del provvedimento che applica gli arresti domiciliari. 1. A seguito del provvedimento che sostituisce la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, l'imputato raggiunge senza accompagnamento il luogo di esecuzione della misura, individuato ai sensi dell'articolo 284 del codice; del provvedimento emesso, il giudice informa il pubblico ministero e la polizia giudiziaria che possono, anche di propria iniziativa, controllare l'osservanza delle prescrizioni imposte. 2. Qualora il giudice, anche a seguito della segnalazione operata dal pubblico ministero, dal direttore dell'istituto penitenziario o dalle forze di polizia, ritenga sussistenti specifiche esigenze processuali ovvero altre esigenze di sicurezza, con il provvedimento di sostituzione di cui al comma 1 dispone che l'imputato venga accompagnato dalle forze di polizia presso il luogo di esecuzione degli arresti domiciliari. (1) Questo articolo, inserito dall'art. 27 della L. 8 agosto 1995, n. 332, è stato così sostituito dall'art. 4 del D.L. 26 giugno 2014, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 117.

98. Cessazione delle misure cautelari estinte. 1. Quando l'imputato, sottoposto a custodia cautelare deve essere liberato, il giudice, con il provvedimento emesso a norma dell'art. 306 del codice, ordina al direttore dell'istituto di custodia l'immediata dimissione. L'ordine è trasmesso con urgenza. 2. Nel caso di imputato custodito in luogo di cura, il provvedimento previsto dal comma 1 è trasmesso, con urgenza, al direttore del servizio psichiatrico ospedaliero dove l'imputato è ricoverato nonché alla polizia giudiziaria incaricata della custodia, la quale provvede agli adempimenti previsti dall'art. 161 comma 3 del codice.

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3. Nel caso di imputato agli arresti domiciliari o sottoposto alle misure del divieto e dell'obbligo di dimora, il giudice comunica, con urgenza, il provvedimento previsto dal comma 1, oltre che all'imputato, anche alla polizia giudiziaria competente a controllare l'osservanza delle prescrizioni imposte con le suddette misure. Nel caso della misura dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, la comunicazione della cessazione deve essere data, oltre che all'imputato, anche all'ufficio di polizia giudiziaria competente. 4. In caso di cessazione della misura del divieto di espatrio e delle misure interdittive, il giudice dispone la comunicazione del provvedimento all'imputato e, se del caso, rispettivamente, all'organo competente ad assicurare la esecuzione della misura ovvero a quello eventualmente competente a disporre l'interdizione in via ordinaria.

99. Inammissibilità della richiesta di riesame. 1. La disposizione dell'art. 585 comma 5 del codice si applica anche ai termini per le impugnazioni previsti dal libro IV del codice (272 ss. c.p.p.).

100. Trasmissione degli atti in caso di impugnazione. 1. Quando è impugnato un provvedimento concernente la libertà personale (309 ss. c.p.p.), la cancelleria o la segreteria della autorità giudiziaria procedente trasmette, in originale o in copia, al giudice competente gli atti necessari per decidere sull'impugnazione, con precedenza assoluta su ogni altro affare e, comunque, entro il giorno successivo alla ricezione dell'avviso della proposizione dell'impugnazione previsto dagli artt. 309, 310 e 311 del codice.

101. Termine per la decisione sulla richiesta di riesame. 1. Nel procedimento previsto dall'art. 309 del codice, se l'udienza è rinviata a norma dell'art. 127 comma 4 del codice, il termine per la decisione sulla richiesta di riesame decorre nuovamente dalla data in cui il giudice riceve comunicazione della cessazione dell'impedimento o comunque accerta la cessazione dello stesso. 2. Quando l'imputato è detenuto o internato in luogo posto fuori del circondario del tribunale competente, il termine previsto dall'art. 309 comma 10 del codice decorre dal momento in cui pervengono al tribunale gli atti assunti dal magistrato di sorveglianza a norma dell'art. 127 comma 3 del codice. Il magistrato di sorveglianza senza ritardo assume le dichiarazioni dell'imputato, previo tempestivo avviso al difensore e trasmette gli atti al tribunale con il mezzo più celere.

102. Domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione. 1. La domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione (314 c.p.p.) è presentata presso la cancelleria della corte di appello nel cui distretto è stata pronunciata la sentenza o il provvedimento di archiviazione che ha definito il procedimento. Nel caso di sentenza emessa dalla Corte di cassazione, è competente la corte di appello nel cui distretto è stato emesso il provvedimento impugnato.

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102 bis. (1) (2) Reintegrazione nel posto di lavoro perduto per ingiusta detenzione. 1. Chiunque sia stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell'art. 285 del codice ovvero a quella degli arresti domicialiari ai sensi dell'art. 284 del codice e sia stato perciò stesso licenziato dal posto di lavoro che occupava prima dell'applicazione della misura, ha diritto di essere reintegrato nel posto di lavoro medesimo qualora venga pronunciata in suo favore sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero venga disposto provvedimento di archiviazione. (1) Articolo inserito dall'art. 24 della L. 8 agosto 1995, n. 332. (2) Il diritto al prolungamento del rapporto di lavoro o al reintegro è previsto per i pubblici dipendenti dall'art. 3, comma 57, L. 24 dicembre 2003, n. 350, come emendato con D.L. 16 marzo 2004, n. 66, convertito, con modificazioni, nella L. 11 maggio 2004, n. 126, a seguito di sentenza definitiva di proscioglimento o archiviazione.

103. Trascrizione e cancellazione del sequestro conservativo. 1. Per la trascrizione e la cancellazione del sequestro conservativo richiesto dal pubblico ministero (316 ss. c.p.p.), l'ufficio del conservatore dei registri immobiliari non può esigere alcuna tassa o diritto, salva l'azione contro il condannato.

104. (1) Esecuzione del sequestro preventivo. 1. Il sequestro preventivo è eseguito: a) sui mobili e sui crediti, secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili; b) sugli immobili o mobili registrati, con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici; c) sui beni aziendali organizzati per l’esercizio di un’impresa, oltre che con le modalità previste per i singoli beni sequestrati, con l’immissione in possesso dell’amministratore, con l’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese presso il quale è iscritta l’impresa; d) sulle azioni e sulle quote sociali, con l’annotazione nei libri sociali e con l’iscrizione nel registro delle imprese; e) sugli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico, con la registrazione nell’apposito conto tenuto dall’intermediario ai sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213. Si applica l’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170. 2. Si applica altresì la disposizione dell’articolo 92. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 2, comma 9, lett. a), della L. 15 luglio 2009, n. 94.

104 bis. (1) Amministrazione dei beni sottoposti a sequestro preventivo e a sequestro e confisca in casi particolari. Tutela dei terzi nel giudizio.(2) 1. Nel caso in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione, esclusi quelli destinati ad affluire nel Fondo unico giustizia, di cui all’articolo 61, comma 23, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6

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agosto 2008, n. 133, l’autorità giudiziaria nomina un amministratore giudiziario scelto nell’Albo di cui all'articolo 35 del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni (3). Con decreto motivato dell’autorità giudiziaria la custodia dei beni suddetti può tuttavia essere affidata a soggetti diversi da quelli indicati al periodo precedente. 1 bis. Il giudice che dispone il sequestro nomina un amministratore giudiziario ai fini della gestione. Si applicano le norme di cui al libro I, titolo III, del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni (4) (5). 1 ter. I compiti del giudice delegato alla procedura sono svolti nel corso di tutto il procedimento dal giudice che ha emesso il decreto di sequestro ovvero, nel caso di provvedimento emesso da organo collegiale, dal giudice delegato nominato ai sensi e per gli effetti dell'articolo 35, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni (4). 1 quater. Le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati nonché quelle in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro previste dal codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, si applicano ai casi di sequestro e confisca in casi particolari previsti dall'articolo 240 bis del codice penale o dalle altre disposizioni di legge che a questo articolo rinviano, nonché agli altri casi di sequestro e confisca di beni adottati nei procedimenti relativi ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3 bis, del codice. In tali casi l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata coadiuva l'autorità giudiziaria nell'amministrazione e nella custodia dei beni sequestrati, fino al provvedimento di confisca emesso dalla corte di appello e, successivamente a tale provvedimento, amministra i beni medesimi secondo le modalità previste dal citato codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno (6) (7). 1 quinquies. Nel processo di cognizione devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro, di cui l'imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo (6). 1 sexies. Le disposizioni dei commi 1 quater e 1 quinquies si applicano anche nel caso indicato dall'articolo 578 bis del codice (6). (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 2, comma 9, lett. b), della L. 15 luglio 2009, n. 94. (2) La precedente rubrica: «Amministrazione dei beni sottoposti a sequestro preventivo» è stata così sostituita dall'attuale dall'art. 6, comma 3, lett. a), n. 1), del D.L.vo 1 marzo 2018, n. 21. (3) Le parole: «all’articolo 2 sexies, comma 3, della legge 31 maggio 1965, n. 575» sono state così sostituite dalle attuali: «all'articolo 35 del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni» dall'art. 30, comma 2, lett. a), della L. 17 ottobre 2017, n. 161. (4) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 30, comma 2, lett. b), della L. 17 ottobre 2017, n. 161. (5) A norma dell'art. 373, comma 1, lett. a), del D.L.vo 12 gennaio 2019, n. 14, il comma 1 bis è stato così sostituito dal seguente: «1 bis. Si applicano le disposizioni di cui al Libro I, titolo III, del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni nella parte in cui recano la disciplina della nomina e revoca dell'amministratore, dei compiti, degli obblighi dello stesso e della gestione dei beni. Quando il sequestro è disposto ai sensi dell'articolo 321, comma 2, del codice ai fini della tutela dei terzi e nei rapporti con la procedura

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di liquidazione giudiziaria si applicano, altresì, le disposizioni di cui al titolo IV del Libro I del citato decreto legislativo.». A norma dell’art. 389, comma 1, del medesimo provvedimento, così come modificato dall'art. 5, comma 1, del D.L. 8 aprile 2020, n. 23, convertito, con modificazioni, nella L. 6 giugno 2020, n. 40, tali disposizioni entreranno in vigore il 1° settembre 2021. (6) Questo comma è stato inserito dall'art. 6, comma 3, lett. a), n. 2), del D.L.vo 1 marzo 2018, n. 21. (7) A norma dell'art. 373, comma 1, lett. b), del D.L.vo 12 gennaio 2019, n. 14, il comma 1 quater è stato così sostituito dal seguente: «1 quater. Ai casi di sequestro e confisca in casi particolari previsti dall'articolo 240 bis del codice penale o dalle altre disposizioni di legge che a questo articolo rinviano, nonchè agli altri casi di sequestro e confisca di beni adottati nei procedimenti relativi ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3 bis, del codice, si applicano le disposizioni del titolo IV del Libro I del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Si applicano inoltre le disposizioni previste dal medesimo decreto legislativo in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati e di esecuzione del sequestro. In tali casi l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata coadiuva l'autorità giudiziaria nell'amministrazione e nella custodia dei beni sequestrati, fino al provvedimento di confisca emesso dalla corte di appello e, successivamente a tale provvedimento, amministra i beni medesimi secondo le modalità previste dal citato decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno». A norma dell’art. 389, comma 1, del medesimo provvedimento, così come modificato dall'art. 5, comma 1, del D.L. 8 aprile 2020, n. 23, convertito, con modificazioni, nella L. 6 giugno 2020, n. 40, tali disposizioni entreranno in vigore il 1° settembre 2021.

Capo VIII. DISPOSIZIONI RELATIVE

ALLE INDAGINI PRELIMINARI.

105. Registrazione e conservazione dei provvedimenti del giudice per le indagini preliminari. 1. Con il regolamento previsto dall'art. 206 comma 1 sono stabiliti i casi e le modalità di registrazione e di custodia dei provvedimenti del giudice per le indagini preliminari.

106. Informativa al giudice civile o amministrativo che ha redatto denuncia di reato. 1. Nel caso previsto dall'art. 331 comma 4 del codice, il procuratore della Repubblica informa senza ritardo il giudice civile o amministrativo delle richieste da lui formulate alla conclusione delle indagini preliminari.

107. Attestazione della presentazione di denuncia o querela ovvero della mancata identificazione dell'autore del reato. 1. La persona che presenta una denuncia (333 c.p.p.) o che propone una querela (337 c.p.p.) ha diritto di ottenere attestazione della ricezione dalla autorità davanti alla quale la denuncia o la querela è stata presentata o proposta. L'attestazione può essere apposta in calce alla copia dell'atto.

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2. Anche nel corso delle indagini preliminari, la persona offesa e il danneggiato possono ottenere dal pubblico ministero attestazione relativa alla mancata identificazione della persona alla quale il reato è attribuito, sempre che ciò non pregiudichi l'esito delle indagini.

107 bis. (1) Denunce a carico di ignoti. 1. Le denunce a carico di ignoti sono trasmesse all'ufficio di procura competente da parte degli organi di polizia, unitamente agli eventuali atti di indagine svolti per la identificazione degli autori del reato, con elenchi mensili. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 50 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

107 ter. (1) Assistenza dell'interprete per la proposizione o presentazione di denuncia o querela. 1. La persona offesa che non conosce la lingua italiana, se presenta denuncia o propone querela dinnanzi alla procura della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto, ha diritto di utilizzare una lingua a lei conosciuta. Negli stessi casi ha diritto di ottenere, previa richiesta, la traduzione in una lingua a lei conosciuta dell'attestazione di ricezione della denuncia o della querela. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212.

108. Denunce e altri documenti anonimi. 1. Con regolamento del Ministro di grazia e giustizia sono stabilite le modalità di conservazione delle denunce anonime (3333 c.p.p.) e degli altri documenti anonimi che non possono essere utilizzati nel procedimento.

108 bis. (1) Modalità particolari di trasmissione della notizia di reato. 1. Tiene luogo della comunicazione scritta la comunicazione della notizia di reato consegnata su supporto magnetico o trasmessa per via telematica. Nei casi di urgenza, le indicazioni e la documentazione previste dall'art. 347 commi 1 e 2 del codice sono trasmesse senza ritardo. 2. Quando la comunicazione è eseguita nelle forme previste dal comma 1, la polizia giudiziaria indica altresì la data di consegna e di trasmissione. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall'art. 4, comma 7, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

108 ter. (1) Denunce e querele per reati commessi in altro Stato dell'Unione europea. 1. Quando la persona offesa denunciante o querelante sia residente o abbia il domicilio nel territorio dello Stato, il procuratore della Repubblica trasmette al procuratore generale presso la Corte di appello le denunce o le querele per reati commessi in altri Stati dell'Unione europea, affinchè ne curi l'invio all'autorità giudiziaria competente.

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(1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L.vo 15 dicembre 2015, n. 212.

109. Ricezione della notizia di reato. 1. La segreteria della procura della Repubblica annota sugli atti che possono contenere notizie di reato la data e l'ora in cui sono pervenuti in ufficio e li sottopone immediatamente al procuratore della Repubblica per l'eventuale iscrizione nel registro delle notizie di reato (335 c.p.p.). 110. Richiesta dei certificati. 1. Non appena il nome della persona alla quale il reato è attribuito è stato iscritto nel registro indicato nell'art. 335 del codice, la segreteria richiede: a) i certificati anagrafici; b) il certificato previsto dall'art. 688 del codice; c) il certificato del casellario dei carichi pendenti (1). c bis) il certificato del casellario giudiziale europeo (2). 2. Fino alla entrata in funzione di un servizio centralizzato informatico, i certificati delle iscrizioni indicate nel comma 1 lett. c) sono acquisiti secondo le disposizioni del pubblico ministero (3). (1) Le parole: «delle iscrizioni relative ai procedimenti per i quali la persona ha assunto la qualità di imputato» sono state così sostituite dalle attuali dall'art. 53, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003. (2) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 11 del D.L.vo 12 maggio 2016, n. 74. (3) Questo comma è stato abrogato dall'art. 52, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003.

110 bis. (1) Richiesta di comunicazione delle iscrizioni. 1. Quando vi è richiesta di comunicazione delle iscrizioni contenute nel registro delle notizie di reato a norma dell'art. 335, comma 3, del codice, la segreteria della procura della Repubblica, se la risposta è positiva e non sussistono gli impedimenti a rispondere di cui all'art. 335, commi 3 e 3 bis del codice, fornisce le informazioni richieste precedute dalla formula: “Risultano le seguenti iscrizioni suscettibili di comunicazione”. In caso contrario, risponde con la formula: “Non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazione”. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 18, comma 2, della L. 8 agosto 1995, n. 332.

111. Requisiti della richiesta di autorizzazione a procedere. 1. Con la richiesta di autorizzazione a procedere (344 c.p.p.), il pubblico ministero enuncia il fatto per il quale intende procedere, indicando le norme di legge che si assumono violate, e fornisce all'autorità competente gli elementi sui quali la richiesta si fonda.

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112. Attività della polizia giudiziaria in mancanza di una condizione di procedibilità. 1. La polizia giudiziaria riferisce senza ritardo al pubblico ministero l'attività di indagine prevista dall'art. 346 del codice. Se sussistono ragioni di urgenza o si tratta di taluno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, lett. a), numeri da 1) a 6) (1), la comunicazione è data immediatamente anche in forma orale (2). La documentazione delle attività compiute è prontamente trasmessa al pubblico ministero se questi ne fa richiesta. (1) Le parole: «275, comma 3,» sono state sostituite dalle attuali: «407 ... a 6)» per effetto dell'art. 21, comma 2, della L. 8 agosto 1995, n. 332. (2) L'originario primo periodo di questo articolo è stato sostituito dagli attuali primi due periodi dall'art. 4, comma 8, del D. L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

113. Accertamenti urgenti della polizia giudiziaria. 1. Nei casi di particolare necessità e urgenza, gli atti previsti dagli artt. 352 e 354 commi 2 e 3 del codice possono essere compiuti anche dagli agenti di polizia giudiziaria. 114. Avvertimento del diritto all'assistenza del difensore. 1. Nel procedere al compimento degli atti indicati nell'art. 356 del codice, la polizia giudiziaria avverte la persona sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia.

115. Annotazioni e verbali della polizia giudiziaria. 1. Le annotazioni previste dall'art. 357 comma 1 del codice contengono l'indicazione dell'ufficiale o dell'agente di polizia giudiziaria che ha compiuto le attività di indagine, del giorno, dell'ora e del luogo in cui sono state eseguite e la enunciazione succinta del loro risultato. Quando assume dichiarazioni ovvero quando per il compimento di atti si avvale di altre persone, la polizia giudiziaria annota altresì le relative generalità e le altre indicazioni personali utili per la identificazione (119). 1 bis. Le annotazioni di cui al comma 1, se riguardanti le attività di indagine condotte da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria nel corso delle operazioni sotto copertura ai sensi dell’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni, contengono le generalità di copertura dagli stessi utilizzate nel corso delle attività medesime (1). 2. Copia delle annotazioni e dei verbali redatti a norma dell'art. 357 del codice è conservata presso l'ufficio di polizia giudiziaria. (1) Questo comma è stato inserito dall'art. 8, comma 4, lett. a), della L. 13 agosto 2010, n. 136.

116. Indagini sulla morte di una persona per la quale sorge sospetto di reato. 1. Se per la morte di una persona sorge sospetto di reato, il procuratore della Repubblica accerta la causa della morte e, se lo ravvisa necessario, ordina l'autopsia secondo le modalità previste dall'art. 360 del codice ovvero fa richiesta di incidente probatorio, dopo aver compiuto le indagini occorrenti per

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l'identificazione. Trattandosi di persona sconosciuta, ordina che il cadavere sia esposto nel luogo pubblico a ciò designato e, occorrendo, sia fotografato; descrive nel verbale le vesti e gli oggetti rinvenuti con esso, assicurandone la custodia. Nei predetti casi la sepoltura non può essere eseguita senza l'ordine del procuratore della Repubblica. 2. Il disseppellimento di un cadavere può essere ordinato, con le dovute cautele, dall'autorità giudiziaria se vi sono gravi indizi di reato.

117. Accertamenti tecnici che modificano lo stato dei luoghi, delle cose o delle persone. 1. Le disposizioni previste dall'art. 360 del codice si applicano anche nei casi in cui l'accertamento tecnico determina modificazioni delle cose, dei luoghi o delle persone tali da rendere l'atto non ripetibile.

118. Deposito di atti compiuti nel corso delle indagini preliminari. 1. Gli atti compiuti nel corso delle indagini preliminari, ai quali i difensori hanno diritto di assistere, sono raccolti in fascicolo separato; sulla copertina del fascicolo è segnata la data del deposito nella segreteria del pubblico ministero. Scaduto il termine fissato dalla legge, gli atti sono riuniti a quelli non depositati.

118 bis. (1) Coordinamento delle indagini. 1. Il procuratore della Repubblica, quando procede a indagini per taluno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2 lett. a) del codice, nonchè per i delitti di cui agli articoli 452 bis, 452 quater, 452 sexies e 452 octies del codice penale, (2) ne dà notizia al procuratore generale presso la corte di appello nonchè all'Agenzia delle entrate ai fini dei necessari accertamenti (3). Se rileva trattarsi di indagini collegate, il procuratore generale ne dà segnalazione ai procuratori generali e ai procuratori della Repubblica del distretto interessati al coordinamento. Il procuratore della Repubblica, quando procede a indagini per i delitti di cui agli articoli 452 bis, 452 quater, 452 sexies e 452 octies del codice penale e all'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, ne dà altresì notizia al Procuratore nazionale antimafia (4) (5). 2. Quando, di loro iniziativa o a seguito della segnalazione prevista dal comma 1, più uffici del pubblico ministero procedono a indagini collegate, i procuratori della Repubblica ne danno notizia al procuratore generale del rispettivo distretto. 3. Quando il coordinamento, di cui ai commi precedenti, non è stato promosso o non risulta effettivo, il procuratore generale presso la corte di appello può riunire i procuratori della Repubblica che procedono a indagini collegate. Se i procuratori della Repubblica appartengono a distretti diversi, la riunione è promossa dai procuratori generali presso le corti di appello interessate, di intesa tra loro. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall'art. 9 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale. (2) Le parole: «, nonchè per i delitti di cui agli articoli 452 bis, 452 quater, 452 sexies e 452 octies del codice penale,» sono state inserite dall'art. 1, comma 7 della L. 22 maggio 2015, n. 68.

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(3) Le parole: «nonchè all'Agenzia delle entrate ai fini dei necessari accertamenti» sono state inserite dall'art. 1, comma 7, della L. 22 maggio 2015, n. 68. (4) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 1, comma 7, della L. 22 maggio 2015, n. 68. (5) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 3 del D.L. 9 settembre 1991, n. 292, recante disposizioni in materia di custodia cautelare, convertito, con modificazioni, nella L. 8 novembre 1991, n. 356.

119. Annotazione di atti del pubblico ministero. 1. Per le annotazioni previste dall'art. 373 comma 3 del codice si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'art. 115 comma 1.

120. Adempimenti conseguenti all'arresto o al fermo. 1. Agli adempimenti previsti dall'art. 386 del codice possono provvedere anche ufficiali e agenti di polizia giudiziaria diversi da quelli che hanno eseguito l'arresto o il fermo. Se l'arresto o il fermo è stato eseguito da agenti di polizia giudiziaria, questi provvedono a darne immediata notizia all'ufficiale di polizia giudiziaria competente ad adottare il provvedimento di liberazione previsto dall'art. 389 comma 2 del codice.

121. Liberazione dell'arrestato o del fermato. 1. Oltre che nei casi previsti dall'art. 389 del codice, il pubblico ministero dispone con decreto motivato che l'arrestato o il fermato sia posto immediatamente in libertà quando ritiene di non dovere richiedere l'applicazione di misure coercitive. 2. Nel caso di liberazione prevista dal comma 1, il giudice, nel fissare l'udienza di convalida, ne dà avviso, senza ritardo, anche alla persona liberata.

122. Trasmissione della richiesta di convalida. 1. Con la richiesta di convalida prevista dall'art. 390 del codice, il pubblico ministero trasmette al giudice il verbale di arresto o di fermo e copia della documentazione attestante che l'arrestato o il fermato è stato tempestivamente condotto nel luogo di custodia; trasmette altresì il decreto di fermo emesso a norma dell'art. 384 comma 1 del codice. 123. (1) Luogo di svolgimento dell'udienza di convalida e dell'interrogatorio del detenuto. 1. Salvo quanto previsto dall'art. 121, nonchè dagli artt. 449 comma 1 e 558 del codice, l'udienza di convalida (391 c.p.p.) si svolge nel luogo dove l'arrestato o il fermato è custodito salvo che nel caso di custodia nel proprio domicilio o altro luogo di privata dimora. Nel medesimo luogo si svolge l'interrogatorio della persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione. Tuttavia, quando sussistono eccezionali motivi di necessità o di urgenza il giudice con decreto motivato può disporre il trasferimento dell'arrestato, del fermato o del detenuto per la comparizione davanti a sè. Il procuratore capo della Repubblica predispone le necessarie misure organizzative per assicurare il rispetto dei termini di cui all’articolo 558 del codice. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. a), del D.L. 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, nella L. 17 febbraio 2012, n. 9.

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124. Ordinanza che accoglie la richiesta di incidente probatorio. 1. Con l'ordinanza che accoglie la richiesta di incidente probatorio (398 c.p.p.) il giudice dispone la citazione delle persone che devono comparire per l'assunzione della prova. Quando occorre procedere a una perizia, con la stessa ordinanza il giudice nomina il perito.

125. Richiesta di archiviazione. 1. Il pubblico ministero presenta al giudice la richiesta di archiviazione (408 c.p.p.) quando ritiene l'infondatezza della notizia di reato perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio.

126. Avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione. 1. Nel caso previsto dall'art. 408 comma 2 del codice, il pubblico ministero trasmette gli atti al giudice per le indagini preliminari dopo la presentazione dell'opposizione della persona offesa ovvero dopo la scadenza del termine indicato nel comma 3 del medesimo articolo.

127. Comunicazione delle notizie di reato al procuratore generale. 1. La segreteria del pubblico ministero trasmette ogni settimana al procuratore generale presso la corte di appello un elenco delle notizie di reato contro persone note per le quali non è stata esercitata l'azione penale o richiesta l'archiviazione entro il termine previsto dalla legge o prorogato dal giudice (405, 406 c.p.p.).

128. Fissazione della udienza preliminare nel caso di mancato accoglimento della richiesta di archiviazione. 1. Nel caso previsto dall'art. 409 comma 5 del codice, il giudice fa notificare all'imputato e alla persona offesa dal reato il decreto di fissazione dell'udienza preliminare, nel quale sono enunciati gli elementi previsti dall'art. 417 comma 1 lett. a), b), c) del codice.

129. Informazioni sull'azione penale. 1. Quando esercita l'azione penale (405 c.p.p.) nei confronti di un impiegato dello Stato o di altro ente pubblico, il pubblico ministero informa l'autorità da cui l'impiegato dipende, dando notizia dell'imputazione. Quando si tratta di personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica, ne dà comunicazione anche al comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato (1). 2. Quando l'azione penale è esercitata nei confronti di un ecclesiastico o di un religioso del culto cattolico, l'informazione è inviata all'ordinario della diocesi a cui appartiene l'imputato. 3. Quando esercita l'azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l'erario, il pubblico ministero informa il procuratore generale presso la Corte dei conti, dando notizia della imputazione. Quando esercita l'azione penale per i delitti di cui agli articoli 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater, 320, 321, 322, 322 bis, 346

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bis, 353 e 353 bis del codice penale, il pubblico ministero informa il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, dando notizia dell'imputazione (2). 3 bis. Il pubblico ministero invia la informazione contenente la indicazione delle norme di legge che si assumono violate anche quando taluno dei soggetti indicati nei commi 1 e 2 è stato arrestato o fermato ovvero si trova in stato di custodia cautelare (3). 3 ter. Quando esercita l'azione penale per i reati previsti nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovvero per i reati previsti dal codice penale o da leggi speciali comportanti un pericolo o un pregiudizio per l'ambiente, il pubblico ministero informa il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Regione nel cui territorio i fatti si sono verificati, dando notizia dell'imputazione (4). Qualora i reati di cui al primo periodo arrechino un concreto pericolo alla tutela della salute o alla sicurezza agroalimentare, il pubblico ministero informa anche il Ministero della salute o il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. [Il pubblico ministero, nell'informazione, indica le norme di legge che si assumono violate] (5). Le sentenze e i provvedimenti definitori di ciascun grado di giudizio sono trasmessi per estratto, a cura della cancelleria del giudice che ha emesso i provvedimenti medesimi, alle amministrazioni indicate nei primi due periodi del presente comma. I procedimenti di competenza delle amministrazioni di cui ai periodi precedenti, che abbiano ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, possono essere avviati o proseguiti anche in pendenza del procedimento penale, in conformità alle norme vigenti. Per le infrazioni di maggiore gravità, sanzionate con la revoca di autorizzazioni o con la chiusura di impianti, l'ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell'accertamento dei fatti addebitati, può sospendere il procedimento amministrativo fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare strumenti cautelari (6). (1) Si veda l'art. 9 della L. 7 febbraio 1990, n. 19, recante modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti, di cui si riporta il testo: «9. 1. Il pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale. È abrogata ogni contraria disposizione di legge. «2. La destituzione può sempre essere inflitta all'esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni. Quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a causa del procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore ad anni cinque. Decorso tale termine la sospensione cautelare è revocata di diritto. «3. Per i loro dipendenti le regioni provvedono ad adeguare i rispettivi ordinamenti ai principi fondamentali espressi nel presente articolo». Si veda anche l'art. 18, comma 5, del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 198. Si veda, altresì, l'art. 174 quinquies della L. 22 aprile 1941, n. 633, sulla comunicazione al questore dell'esercizio dell'azione penale per reati contro il diritto d'autore. La notizia all'Inail e all'Ipsema dell'esercizio dell'azione penale per i delitti di omicidio colposo e di lesioni colpose da violazione della normativa antinfortunistica, anche ai fini della costituzione di parte civile, è prevista rispettivamente dall'art. 2 della L. 3 agosto 2007, n. 123 e dall'art. 61 del D.L.vo 9 aprile 2008, n. 81. (2) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 7 della L. 27 maggio 2015, n. 69. (3) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 20 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

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(4) Le parole: «, dando notizia dell'imputazione» sono state aggiunte dall'art. 1, comma 73, lett. a), della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (5) Questo periodo è stato soppresso dall'art. 1, comma 73, lett. b), della L. della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (6) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 4 del D.L. 10 dicembre 2013, n. 136, convertito, con modificazioni, nella L. 6 febbraio 2014, n. 6.

130. Contenuto del fascicolo trasmesso dal pubblico ministero con la richiesta di rinvio a giudizio. 1. Se gli atti di indagine preliminare riguardano più persone o più imputazioni, il pubblico ministero forma il fascicolo previsto dall'art. 416 comma 2 del codice, inserendovi gli atti ivi indicati per la parte che si riferisce alle persone o alle imputazioni per cui viene esercitata l'azione penale. 2. In ogni caso il pubblico ministero può, a fini di indagine, trattenere copia della documentazione e degli atti trasmessi al giudice.

130 bis. (1) Separazione dei procedimenti in fase di indagine. 1. Il pubblico ministero, prima dell'esercizio dell'azione penale, procede di regola separatamente quando ricorrono le ragioni di urgenza indicate nell'articolo 18, comma 1, lettera e bis) del codice. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1, comma 4, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000.

131. Deposito degli atti per l'udienza preliminare. 1. Durante il termine per comparire e fino alla conclusione dell'udienza preliminare, le parti, la persona offesa e i difensori hanno facoltà di prendere visione, nel luogo dove si trovano, degli atti e delle cose indicati nell'art. 419 commi 2 e 3 del codice e di estrarre copia degli atti suddetti.

131 bis. (1) Liberazione dell'imputato prosciolto. 1. L'imputato detenuto nei cui confronti è pronunciata la sentenza di cui all'art. 425 del codice è posto in libertà immediatamente dopo la lettura del dispositivo. Si applicano le disposizioni di cui al comma 2 dell'art. 154 bis. (1) Articolo aggiunto dall'art. 4, comma 1, della L. 12 dicembre 1992, n. 492, recante disposizioni in materia di traduzioni di soggetti in condizione di restrizione.

132. Decreto che dispone il giudizio davanti alla corte di assise o al tribunale. 1. Quando la corte di assise o il tribunale è diviso in sezioni, il decreto che dispone il giudizio (429 c.p.p.) contiene anche l'indicazione della sezione davanti alla quale le parti devono comparire (reg. c.p. p. 20). 2. Per ogni processo il presidente del tribunale, in seguito alla richiesta del giudice per le indagini preliminari, comunica anche con mezzi telematici, sulla base

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dei criteri determinati dal Consiglio Superiore della Magistratura, il giorno e l'ora della comparizione e, quando occorre, anche la sezione da indicare nel decreto che dispone il giudizio (160).

132 bis. (1) Formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi. 1. Nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi è assicurata la priorità assoluta: a) ai processi relativi ai delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale e ai delitti di criminalità organizzata, anche terroristica; a bis) ai delitti previsti dagli articoli 572 e da 609 bis a 609 octies e 612 bis del codice penale (2); a ter) ai processi relativi ai delitti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale verificatisi in presenza delle circostanze di cui agli articoli 52, secondo, terzo e quarto comma, e 55, secondo comma, del codice penale (3); b) ai processi relativi ai delitti commessi in violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro e delle norme in materia di circolazione stradale, ai delitti di cui al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché ai delitti puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni; c) ai processi a carico di imputati detenuti, anche per reato diverso da quello per cui si procede; d) ai processi nei quali l'imputato è stato sottoposto ad arresto o a fermo di indiziato di delitto, ovvero a misura cautelare personale, anche revocata o la cui efficacia sia cessata; e) ai processi nei quali è contestata la recidiva, ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale; f) ai processi da celebrare con giudizio direttissimo e con giudizio immediato; f bis) ai processi relativi ai delitti di cui agli articoli 317, 319, 319 ter, 319 quater, 320, 321 e 322 bis del codice penale (4). f ter) ai processi nei quali vi sono beni sequestrati in funzione della confisca di cui all'articolo 12 sexies del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni (5). 2. I dirigenti degli uffici giudicanti adottano i provvedimenti organizzativi necessari per assicurare la rapida definizione dei processi per i quali è prevista la trattazione prioritaria. (1) Questo articolo, aggiunto dall'art. 1, comma 5, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, è stato così sostituito dall'art. 2 bis del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125. Si veda inoltre l'art. 2 ter del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125, di cui si riporta il testo: «1. Al fine di assicurare la rapida definizione dei processi pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per i quali è prevista la trattazione prioritaria, nei provvedimenti adottati ai sensi del comma 2 dell'articolo 132 bis delle disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, come sostituito dall'articolo 2 bis del presente decreto, i dirigenti degli uffici possono individuare i criteri e le

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modalità di rinvio della trattazione dei processi per reati commessi fino al 2 maggio 2006 in ordine ai quali ricorrono le condizioni per l'applicazione dell'indulto, ai sensi della legge 31 luglio 2006, n. 241, e la pena eventualmente da infliggere può essere contenuta nei limiti di cui all'articolo 1, comma 1, della predetta legge. Nell'individuazione dei criteri di rinvio di cui al presente comma i dirigenti degli uffici tengono, altresì, conto della gravità e della concreta offensività del reato, del pregiudizio che può derivare dal ritardo per la formazione della prova e per l'accertamento dei fatti, nonché dell'interesse della persona offesa. «2. Il rinvio della trattazione del processo non può avere durata superiore a diciotto mesi e il termine di prescrizione del reato rimane sospeso per tutta la durata del rinvio. «3. Il rinvio non può essere disposto se l'imputato si oppone ovvero se è già stato dichiarato chiuso il dibattimento. «4. I provvedimenti di cui al comma 1 sono tempestivamente comunicati al Consiglio superiore della magistratura. Il Consiglio superiore della magistratura e il ministro della giustizia valutano gli effetti dei provvedimenti adottati dai dirigenti degli uffici sull'organizzazione e sul funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, nonché sulla trattazione prioritaria e sulla durata dei processi. In sede di comunicazioni sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, il ministro della giustizia riferisce alle Camere le valutazioni effettuate ai sensi del presente comma. «5. La parte civile costituita può trasferire l'azione in sede civile. In tal caso, i termini a comparire, di cui all'articolo 163 bis del codice di procedura civile, sono abbreviati fino alla metà e il giudice fissa l'ordine di trattazione delle cause dando precedenza al processo relativo all'azione trasferita. Non si applica la disposizione dell'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale. «6. Nel corso dei processi di primo grado relativi ai reati in ordine ai quali, in caso di condanna, deve trovare applicazione la legge 31 luglio 2006, n. 241, l'imputato o il suo difensore munito di procura speciale e il pubblico ministero, se ritengono che la pena possa essere contenuta nei limiti di cui all'articolo 1, comma 1, della medesima legge n. 241 del 2006, nella prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, possono formulare richiesta di applicazione della pena ai sensi degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale, anche se risulti decorso il termine previsto dall'articolo 446, comma 1, del codice di procedura penale. «7. La richiesta di cui al comma 6 può essere formulata anche quando sia già stata in precedenza presentata altra richiesta di applicazione della pena, ma vi sia stato il dissenso da parte del pubblico ministero ovvero la stessa sia stata rigettata dal giudice, sempre che la nuova richiesta non costituisca mera riproposizione della precedente.». (2) Questa lettera è stata inserita dall'art. 2, comma 2, del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119. (3) Questa lettera è stata inserita dall'art. 9 della L. 26 aprile 2019, n. 36. (4) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 1, comma 74, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. (5) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 30, comma 2, lett. c), della L. 17 ottobre 2017, n. 161. Si segnala che il testo originario della citata L. n. 161/2017 aggiunge la lettera f bis; la lettera è stata rinumerata in f ter, in quanto si è ritenuto trattarsi di un errore di elencazione poiché la lettera f bis era stata già aggiunta dalla L. 23 giugno 2017, n. 103.

133. Notificazione del decreto che dispone il giudizio. 1. Il decreto che dispone il giudizio è notificato, a norma dell'art. 429 comma 4 del codice, anche alle altre parti private non presenti all'udienza preliminare. 1 bis. Il decreto è altresì comunicato alle amministrazioni o enti di appartenenza quando è emesso nei confronti di dipendenti di amministrazioni pubbliche o di enti

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pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica, per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater (1) e 320 del codice penale e dall'articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383 (2). (1) Le parole: «, 319 quater» sono state inserite dall'art. 1, comma 79, della L. 6 novembre 2012, n. 190. (2) Questo comma è stato aggiunto dall'articolo 3, comma 5, della L. 27 marzo 2001, n. 97.

Capo IX. DISPOSIZIONI RELATIVE

AI PROCEDIMENTI SPECIALI.

134. Sentenza emessa nel giudizio abbreviato nei confronti di imputato non comparso. 1. La sentenza emessa nel giudizio abbreviato (442 c.p.p.) è notificata per estratto all'imputato non comparso, unitamente all'avviso di deposito della sentenza medesima.

134 bis. (1) Partecipazione a distanza nel giudizio abbreviato. 1. Nei casi previsti dall'articolo 146 bis, commi 1, 1 bis e 1 quater (2), la partecipazione dell'imputato avviene a distanza anche quando il giudizio abbreviato si svolge in pubblica udienza. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 14 del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. (2) Le parole: «e 1 bis» sono state così sostituite dalle seguenti: «, 1 bis e 1 quater» dall'art. 1, comma 79, della L. 23 giugno 2017, n. 103. A norma dell'art. 2, comma 2, del D.L. 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, nella L. 21 settembre 2018, n. 108, l'efficacia delle disposizioni di questo comma, fatta salva l'eccezione di cui al comma 81 dello stesso articolo 1, per le persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti ivi indicati, è sospesa dalla data di entrata in vigore del presente decreto (26 luglio 2018) fino al 15 febbraio 2019. A norma dell’art. 1, comma 81, della L. 23 giugno 2017, n. 103, le disposizioni di cui a questo comma acquistano efficacia decorso un anno dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale (4 luglio 2017), fatta eccezione per le disposizioni del predetto comma 79 relativamente alle persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti di cui agli articoli 270 bis, primo comma, e 416 bis, secondo comma, del codice penale, nonché di cui all'articolo 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.

135. (1) Decisione nel giudizio sulla richiesta di applicazione della pena. 1. Il giudice, per decidere sulla richiesta di applicazione della pena rinnovata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ordina l'esibizione degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero. Se la richiesta è accolta, gli atti esibiti vengono inseriti nel fascicolo per il dibattimento; altrimenti gli atti sono immediatamente restituiti al pubblico ministero. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 52 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

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136. Limiti all'effetto estintivo. 1. L'effetto estintivo previsto dall'art. 445 comma 2 del codice non si produce se la persona nei cui confronti la pena è stata applicata si sottrae volontariamente alla sua esecuzione.

137. Concorso formale e continuazione. 1. Nel caso di applicazione della pena richiesta dalle parti con più sentenze per reati unificati a norma dell'art. 81 del codice penale, il termine di estinzione previsto dall'art. 445 comma 2 del codice decorre nuovamente per tutti i reati dalla data in cui è divenuta irrevocabile l'ultima sentenza. 2. La disciplina del concorso formale e del reato continuato è applicabile anche quando concorrono reati per i quali la pena è applicata su richiesta delle parti e altri reati (188). 138. Formazione del fascicolo per il dibattimento nel giudizio direttissimo. 1. In tutti i casi di giudizio direttissimo (449 ss. c.p.p.) con imputato in stato di arresto o di custodia cautelare, il pubblico ministero forma il fascicolo per il dibattimento a norma dell'art. 431 del codice. Quando l'imputato è presentato davanti al giudice del dibattimento per la convalida dell'arresto e il contestuale giudizio, il fascicolo medesimo è formato subito dopo il giudizio di convalida dal pubblico ministero presente all'udienza.

139. Facoltà dei difensori di prendere visione del fascicolo trasmesso con la richiesta di giudizio immediato. 1. Durante i termini previsti dall'art. 458 del codice, le parti e i difensori hanno facoltà di prendere visione ed estrarre copia, nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari, del fascicolo trasmesso a norma dell'art. 454 comma 2 del codice.

140. Facoltà dei difensori di prendere visione del fascicolo trasmesso con la richiesta di decreto penale di condanna. 1. Durante il termine per proporre opposizione (461 c.p.p.), le parti e i difensori hanno facoltà di prendere visione ed estrarre copia, nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari, del fascicolo trasmesso a norma dell'art. 459 comma 1 del codice. Capo X. DISPOSIZIONI RELATIVE

AL PROCEDIMENTO DI OBLAZIONE.

141. Procedimento di oblazione. 1. Se la domanda di oblazione è proposta nel corso delle indagini preliminari [ovvero a norma dell'art. 557 del codice] (1), il pubblico ministero la trasmette, unitamente agli atti del procedimento, al giudice per le indagini preliminari.

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2. Il pubblico ministero, anche prima di presentare richiesta di decreto penale (459 ss. c.p.p.), può avvisare l'interessato, ove ne ricorrano i presupposti, che ha facoltà di chiedere di essere ammesso all'oblazione e che il pagamento dell'oblazione estingue il reato. 3. Quando per il reato per il quale si è proceduto è ammessa l'oblazione e non è stato dato l'avviso previsto dal comma 2, nel decreto penale deve essere fatta menzione della relativa facoltà dell'imputato. 4. Quando è proposta domanda di oblazione, il giudice, acquisito il parere del pubblico ministero, se respinge la domanda pronuncia ordinanza disponendo, se del caso, la restituzione degli atti al pubblico ministero; altrimenti ammette all'oblazione e fissa con ordinanza la somma da versare, dandone avviso all'interessato. Avvenuto il versamento della somma, il giudice, se la domanda è stata proposta nel corso delle indagini preliminari, trasmette gli atti al pubblico ministero per le sue determinazioni; in ogni altro caso dichiara con sentenza l'estinzione del reato. Non si applica la disposizione dell'articolo 75, comma 3, del codice (2). 4 bis. In caso di modifica dell'originaria imputazione in altra per la quale sia ammissibile l'oblazione, l'imputato è rimesso in termini per chiedere la medesima. Il giudice, se accoglie la domanda, fissa un termine non superiore a dieci giorni, per il pagamento della somma dovuta. Se il pagamento avviene nel termine il giudice dichiara con sentenza l'estinzione del reato (3). (1) Le parole tra parentesi sono state soppresse dall'art. 53, comma 1, lett. a), della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) Le parole da: «Non si applica la disposizione ...» fino alla fine del comma sono state aggiunte dall'art. 53, comma 1, lett. b), della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (3) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 53, comma 1, lett. c), della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

Capo X bis. DISPOSIZIONI IN MATERIA DI MESSA ALLA PROVA (1). (1) Questo Capo è stato inserito dall'art. 5 della L. 28 aprile 2014, n. 67.

141 bis. Avviso del pubblico ministero per la richiesta di ammissione alla messa alla prova. 1. Il pubblico ministero, anche prima di esercitare l'azione penale, può avvisare l'interessato, ove ne ricorrano i presupposti, che ha la facoltà di chiedere di essere ammesso alla prova, ai sensi dell'articolo 168 bis del codice penale, e che l'esito positivo della prova estingue il reato.

141 ter. Attività dei servizi sociali nei confronti degli adulti ammessi alla prova. 1. Le funzioni dei servizi sociali per la messa alla prova, disposta ai sensi dell'articolo 168 bis del codice penale, sono svolte dagli uffici locali di esecuzione penale esterna, nei modi e con i compiti previsti dall'articolo 72 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. 2. Ai fini del comma 1, l'imputato rivolge richiesta all'ufficio locale di esecuzione penale esterna competente affinchè predisponga un programma di trattamento.

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L'imputato deposita gli atti rilevanti del procedimento penale nonchè le osservazioni e le proposte che ritenga di fare. 3. L'ufficio di cui al comma 2, all'esito di un'apposita indagine socio-familiare, redige il programma di trattamento, acquisendo su tale programma il consenso dell'imputato e l'adesione dell'ente o del soggetto presso il quale l'imputato è chiamato a svolgere le proprie prestazioni. L'ufficio trasmette quindi al giudice il programma accompagnandolo con l'indagine socio-familiare e con le considerazioni che lo sostengono. Nell'indagine e nelle considerazioni, l'ufficio riferisce specificamente sulle possibilità economiche dell'imputato, sulla capacità e sulla possibilità di svolgere attività riparatorie nonchè sulla possibilità di svolgimento di attività di mediazione, anche avvalendosi a tal fine di centri o strutture pubbliche o private presenti sul territorio. 4. Quando è disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, l'ufficio di cui al comma 2 informa il giudice, con la cadenza stabilita nel provvedimento di ammissione e comunque non superiore a tre mesi, dell'attività svolta e del comportamento dell'imputato, proponendo, ove necessario, modifiche al programma di trattamento, eventuali abbreviazioni di esso ovvero, in caso di grave o reiterata trasgressione, la revoca del provvedimento di sospensione. 5. Alla scadenza del periodo di prova, l'ufficio di cui al comma 2 trasmette al giudice una relazione dettagliata sul decorso e sull'esito della prova medesima. 6. Le relazioni periodiche e quella finale dell'ufficio di cui al comma 2 del presente articolo sono depositate in cancelleria non meno di dieci giorni prima dell'udienza di cui all'articolo 464 septies del codice, con facoltà per le parti di prenderne visione ed estrarne copia. Capo XI. DISPOSIZIONI RELATIVE

AL DIBATTIMENTO.

142. Citazione di testimoni, periti, interpreti, consulenti tecnici e imputati di un procedimento connesso.(1) 1. (Omissis) (2). 2. Quando per le notificazioni dei testimoni, dei periti, degli interpreti, dei consulenti tecnici e delle persone indicate nell'art. 210 del codice (3) è richiesto l'ufficiale giudiziario, le parti devono consegnare al medesimo gli atti di citazione in tempo utile e nel numero di copie necessario. 3. L'atto di citazione contiene: a) l'indicazione della parte richiedente e dell'imputato nonché del decreto che ha autorizzato la citazione; b) le generalità e il domicilio della persona da citare; c) il giorno, l'ora e il luogo della comparizione e il giudice davanti al quale la persona citata deve presentarsi; d) l'indicazione degli obblighi e delle facoltà previsti dagli artt. 198, 210 e 226 del codice (4);

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e) l'avvertimento che, in caso di mancata comparizione non dovuta a legittimo impedimento, la persona citata potrà, a norma dell'art. 133 del codice, essere accompagnata a mezzo della polizia giudiziaria e condannata al pagamento di una somma da € 51 a € 516 a favore della cassa delle ammende e alla rifusione delle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa. 4. Quando la citazione è disposta di ufficio il decreto di citazione contiene i requisiti previsti dal comma 3 lett. b), c), d), e) nonché l'indicazione dell'imputato. (1) L'originaria rubrica è stata così sostituita dall'art. 2, comma 2 del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (2) Comma soppresso dall'art. 2, comma 2 del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (3) Le parole da: «dei testimoni . . .» a: «. . . nell'art. 210 del codice» sono state aggiunte dall'art. 2, comma 2, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356. (4) Lettera così sostituita dall'art. 2, comma 2, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

143. Rinnovazione della citazione a giudizio. 1. Negli atti preliminari al dibattimento, in tutti i casi in cui occorre, per qualunque motivo, rinnovare la citazione a giudizio (485 c.p.p.) o la relativa notificazione, vi provvede il presidente.

143 bis. (1) Adempimenti in caso di sospensione del processo per assenza dell'imputato. 1. Quando il giudice dispone la sospensione ai sensi dell'articolo 420 quater del codice, la relativa ordinanza e il decreto di fissazione dell'udienza preliminare ovvero il decreto che dispone il giudizio o il decreto di citazione a giudizio sono trasmessi alla locale sezione di polizia giudiziaria, per l'inserimento nel Centro elaborazione dati, di cui all'articolo 8 della legge 1º aprile 1981, n. 121, e successive modificazioni. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 14 della L. 28 aprile 2014, n. 67. A norma dell'art. 15 bis, comma 1, della L. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla L. 11 agosto 2014, n. 118 con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità.

144. (1) Spese e indennità per i testimoni, periti e consulenti tecnici. 1. Gli importi delle spese e delle indennità dovuti ai testimoni, periti e consulenti tecnici citati a richiesta delle parti private non ammesse al gratuito patrocinio sono anticipati dalle parti richiedenti (468 c.p.p.; reg. c.p.p. 22). 2. Il presidente può esonerare l'imputato, che ne faccia domanda, dalla anticipazione degli importi indicati nel comma 1, per tutte o alcune delle persone di cui è chiesta la citazione.

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3. Con il regolamento previsto dall'art. 206 comma 1 sono disciplinate le modalità di liquidazione e di versamento degli importi indicati nel comma 1. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 199 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Si veda ora l'art. 199 del medesimo provvedimento, di cui si riporta il testo: «199 (L). (Pagamento delle spese di viaggio e indennità spettanti a testimoni e consulenti tecnici citati a richiesta di parte nel processo penale). 1. Le spese di viaggio e le indennità spettanti a testimoni e consulenti tecnici citati a richiesta di parte nel processo penale sono quantificate dal funzionario addetto all'ufficio che emette ordine di pagamento a carico della parte che ha richiesto la citazione».

145. Comparizione dei testimoni, periti, consulenti tecnici e interpreti. 1. I testimoni, i periti, i consulenti tecnici e gli interpreti citati devono trovarsi presenti all'inizio dell'udienza (468 , 497, 501 c.p.p.). 2. Se il dibattimento deve protrarsi per più giorni, il presidente, sentiti il pubblico ministero e i difensori, può stabilire il giorno in cui ciascuna persona deve comparire.

145 bis. (1) Aule di udienza protette. 1. Nei procedimenti per taluno dei reati indicati nell'articolo 51, comma 3 bis, del codice, quando è necessario, per ragioni di sicurezza, utilizzare aule protette e queste non siano disponibili nella sede giudiziaria territorialmente competente, il Presidente della Corte d'appello, su proposta del Presidente del Tribunale, individua l'aula protetta per il dibattimento nell'ambito del distretto. Qualora l'aula protetta non sia disponibile nell'ambito del distretto, il Ministero della giustizia fornisce al Presidente della Corte d'appello nel cui distretto si trova il giudice competente l'indicazione dell'aula disponibile, individuata nel distretto di corte d'appello più vicino. 2. Il provvedimento di cui ai commi che precedono è adottato prima della notificazione del decreto di citazione che dispone il giudizio a norma dell'articolo 133. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall'art. 6 del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4.

146. Aula di udienza dibattimentale. 1. Nelle aule di udienza per il dibattimento (470 c.p.p.), i banchi riservati al pubblico ministero e ai difensori sono posti allo stesso livello di fronte all'organo giudicante. Le parti private siedono a fianco dei propri difensori, salvo che sussistano esigenze di cautela. Il seggio delle persone da sottoporre ad esame è collocato in modo da consentire che le persone stesse siano agevolmente visibili sia dal giudice che dalle parti. 146 bis. (1) (2) Partecipazione al dibattimento a distanza. 1. La persona che si trova in stato di detenzione per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3 bis, nonché nell'articolo 407, comma 2, lettera a), numero 4), del codice, partecipa a distanza alle udienze dibattimentali dei processi nei quali è imputata, anche relativi a reati per i quali sia in libertà. Allo stesso modo partecipa alle udienze penali e alle udienze civili nelle quali deve essere esaminata quale testimone (3).

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1 bis. La persona ammessa a programmi o misure di protezione, comprese quelle di tipo urgente o provvisorio, partecipa a distanza alle udienze dibattimentali dei processi nei quali è imputata (4). 1 ter. Ad esclusione del caso in cui sono state applicate le misure di cui all'articolo 41 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, il giudice può disporre con decreto motivato, anche su istanza di parte, la presenza alle udienze delle persone indicate nei commi 1 e 1 bis del presente articolo qualora lo ritenga necessario (5). 1 quater. Fuori dei casi previsti dai commi 1 e 1 bis, il giudice può disporre con decreto motivato la partecipazione a distanza anche quando sussistano ragioni di sicurezza, qualora il dibattimento sia di particolare complessità e sia necessario evitare ritardi nel suo svolgimento, ovvero quando si deve assumere la testimonianza di persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario (5). 2. Il presidente del tribunale o della corte di assise nella fase degli atti preliminari, oppure il giudice nel corso del dibattimento, dà comunicazione alle autorità competenti nonché alle parti e ai difensori della partecipazione al dibattimento a distanza (6). 3. Quando è disposta la partecipazione a distanza, è attivato un collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza e il luogo della custodia, con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto. Se il provvedimento è adottato nei confronti di più imputati che si trovano, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in luoghi diversi, ciascuno è posto altresì in grado, con il medesimo mezzo, di vedere ed udire gli altri. 4. È sempre consentito al difensore o a un suo sostituto di essere presente nel luogo dove si trova l'imputato. Il difensore o il suo sostituto presenti nell'aula di udienza e l'imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei. 4 bis. In tutti i processi nei quali si procede con il collegamento audiovisivo ai sensi dei commi precedenti, il giudice, su istanza, può consentire alle altre parti e ai loro difensori di intervenire a distanza assumendosi l'onere dei costi del collegamento (7). 5. Il luogo dove l'imputato si collega in audiovisione è equiparato all'aula di udienza. 6. Un ausiliario abilitato ad assistere il giudice in udienza designato dal giudice o, in caso di urgenza, dal presidente è presente nel luogo ove si trova l'imputato e ne attesta l'identità dando atto che non sono posti impedimenti o limitazioni all'esercizio dei diritti e delle facoltà a lui spettanti. Egli dà atto altresì della osservanza delle disposizioni di cui al comma 3 ed al secondo periodo del comma 4 nonché, se ha luogo l'esame, delle cautele adottate per assicurarne la regolarità con riferimento al luogo ove si trova. A tal fine interpella, ove occorra, l'imputato ed il suo difensore. Durante il tempo del dibattimento in cui non si procede ad esame dell'imputato il giudice o, in caso di urgenza, il presidente, può designare ad essere presente nel luogo ove si trova l'imputato, in vece dell'ausiliario, un ufficiale di polizia giudiziaria scelto tra coloro che non svolgono, né hanno svolto, attività di investigazione o di protezione con riferimento all'imputato o ai fatti a lui riferiti. Delle operazioni svolte

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l'ausiliario o l'ufficiale di polizia giudiziaria redigono verbale a norma dell'articolo 136 del codice. 7. Se nel dibattimento occorre procedere a confronto o ricognizione dell'imputato o ad altro atto che implica l'osservazione della sua persona, il giudice, ove lo ritenga indispensabile, sentite le parti, dispone la presenza dell'imputato nell'aula di udienza per il tempo necessario al compimento dell'atto. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 2 della L. 7 gennaio 1998, n. 11. (2) A norma dell'art. 221, comma 9, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, nella L. 17 luglio 2020, n. 77, fermo restando quanto previsto da questo articolo, la partecipazione a qualsiasi udienza penale degli imputati in stato di custodia cautelare in carcere o detenuti per altra causa e dei condannati detenuti è assicurata, con il consenso delle parti e, ove possibile, mediante collegamenti audiovisivi a distanza individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, applicate, in quanto compatibili, le disposizioni dei commi 3, 4 e 5 di questo stesso articolo. Il consenso dell'imputato o del condannato è espresso personalmente o a mezzo di procuratore speciale. L'udienza è tenuta con la presenza del giudice, del pubblico ministero e dell'ausiliario del giudice nell'ufficio giudiziario e si svolge con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti. Prima dell'udienza il giudice fa comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista laparte cipazione il giorno, l'ora e le modalità del collegamento. (3) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 1, comma 77, lett. a), della L. 23 giugno 2017, n. 103. A norma dell'art. 2, comma 2, del D.L. 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, nella L. 21 settembre 2018, n. 108, l'efficacia delle disposizioni di questo comma, fatta salva l'eccezione di cui al comma 81 dello stesso articolo 1, per le persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti ivi indicati, è sospesa dalla data di entrata in vigore del presente decreto (26 luglio 2018) fino al 15 febbraio 2019. A norma dell’art. 1, comma 81, della L. 23 giugno 2017, n. 103, le disposizioni di cui a questo comma acquistano efficacia decorso un anno dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale (4 luglio 2017), fatta eccezione per le disposizioni del predetto comma 77 relativamente alle persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti di cui agli articoli 270 bis, primo comma, e 416 bis, secondo comma, del codice penale, nonché di cui all'articolo 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. Si riporta il testo previgente: «1. Quando si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3 bis, nonché nell'articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4 (*) del codice, nei confronti di persona che si trova, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere, la partecipazione al dibattimento avviene a distanza nei seguenti casi: a) qualora sussistano gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico; b) qualora il dibattimento sia di particolare complessità e la partecipazione a distanza risulti necessaria ad evitare ritardi nel suo svolgimento. L'esigenza di evitare ritardi nello svolgimento del dibattimento è valutata anche in relazione al fatto che nei confronti dello stesso imputato siano contemporaneamente in corso distinti processi presso diverse sedi giudiziarie; [c) qualora si tratti di detenuto nei cui confronti è stata disposta l'applicazione delle misure di cui all'articolo 41 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni ed integrazioni] (**)». (*) Le parole: «nonché nell'articolo 407 comma 2 lettera a) n. 4» sono state inserite dall'art. 8, comma 1, lett. a), del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438. (**) Questa lettera è stata soppressa dall'art. 15, comma 1, lett. a), del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4.

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(4) Questo comma, inserito dall'art. 15, comma 1, lett. b), del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, è stato da ultimo così sostituito dall'art. 1, comma 77, lett. b), della L. 23 giugno 2017, n. 103. A norma dell'art. 2, comma 2, del D.L. 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, nella L. 21 settembre 2018, n. 108, l'efficacia delle disposizioni di questo comma, fatta salva l'eccezione di cui al comma 81 dello stesso articolo 1, per le persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti ivi indicati, è sospesa dalla data di entrata in vigore del presente decreto (26 luglio 2018) fino al 15 febbraio 2019. A norma dell’art. 1, comma 81, della L. 23 giugno 2017, n. 103, le disposizioni di cui a questo comma acquistano efficacia decorso un anno dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale (4 luglio 2017), fatta eccezione per le disposizioni del predetto comma 77 relativamente alle persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti di cui agli articoli 270 bis, primo comma, e 416 bis, secondo comma, del codice penale, nonché di cui all'articolo 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. Si riporta il testo previgente: «Fuori dei casi previsti dal comma 1, la partecipazione al dibattimento avviene a distanza anche quando si procede nei confronti di detenuto al quale sono state applicate le misure di cui all'articolo 41 bis, comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni nonché, ove possibile, quando si deve udire, in qualità di testimone, persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario, salvo, in quest’ultimo caso, diversa motivata disposizione del giudice (*)». (*) Questo comma, inserito dall'art. 15, comma 1, lett. b), del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, è stato poi così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. b bis), del D.L. 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, nella L. 17 febbraio 2012, n. 9. A norma dell'art. 2, comma 1 bis, del medesimo decreto, qualora la persona in stato di arresto o di fermo necessiti di assistenza medica o psichiatrica la presa in carico spetta al Servizio sanitario nazionale, ai sensi del D.P.C.M. 1° aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 30 maggio 2008. (5) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 77, lett. c), della L. 23 giugno 2017, n. 103. A norma dell'art. 2, comma 2, del D.L. 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, nella L. 21 settembre 2018, n. 108, l'efficacia delle disposizioni di questo comma, fatta salva l'eccezione di cui al comma 81 dello stesso articolo 1, per le persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti ivi indicati, è sospesa dalla data di entrata in vigore del presente decreto (26 luglio 2018) fino al 15 febbraio 2019. A norma dell’art. 1, comma 81, della L. 23 giugno 2017, n. 103, le disposizioni di cui a questo comma acquistano efficacia decorso un anno dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale (4 luglio 2017), fatta eccezione per le disposizioni del predetto comma 77 relativamente alle persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti di cui agli articoli 270 bis, primo comma, e 416 bis, secondo comma, del codice penale, nonché di cui all'articolo 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. (6) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1, comma 77, lett. d), della L. 23 giugno 2017, n. 103. A norma dell'art. 2, comma 2, del D.L. 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, nella L. 21 settembre 2018, n. 108, l'efficacia delle disposizioni di questo comma, fatta salva l'eccezione di cui al comma 81 dello stesso articolo 1, per le persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti ivi indicati, è sospesa dalla data di entrata in vigore del presente decreto (26 luglio 2018) fino al 15 febbraio 2019. A norma dell’art. 1, comma 81, della L. 23 giugno 2017, n. 103, le disposizioni di cui a questo comma acquistano efficacia decorso un anno dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale (4 luglio 2017), fatta eccezione per le disposizioni del predetto comma 77 relativamente alle persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti di cui agli articoli 270 bis, primo comma, e 416 bis, secondo comma, del codice penale, nonché di cui all'articolo 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.

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Si riporta il testo previgente: «2. La partecipazione al dibattimento a distanza è disposta, anche d'ufficio, dal presidente del tribunale o della corte di assise con decreto motivato emesso nella fase degli atti preliminari, ovvero dal giudice con ordinanza nel corso del dibattimento. Il decreto è comunicato alle parti e ai difensori almeno dieci giorni prima dell'udienza». (7) Questo comma è stato inserito dall'art. 1, comma 77, lett. e), della L. 23 giugno 2017, n. 103. A norma dell'art. 2, comma 2, del D.L. 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, nella L. 21 settembre 2018, n. 108, l'efficacia delle disposizioni di questo comma, fatta salva l'eccezione di cui al comma 81 dello stesso articolo 1, per le persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti ivi indicati, è sospesa dalla data di entrata in vigore del presente decreto (26 luglio 2018) fino al 15 febbraio 2019. A norma dell’art. 1, comma 81, della L. 23 giugno 2017, n. 103, le disposizioni di cui a questo comma acquistano efficacia decorso un anno dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale (4 luglio 2017), fatta eccezione per le disposizioni del predetto comma 77 relativamente alle persone che si trovano in stato di detenzione per i delitti di cui agli articoli 270 bis, primo comma, e 416 bis, secondo comma, del codice penale, nonché di cui all'articolo 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.

147. Riprese audiovisive dei dibattimenti. 1. Ai fini dell'esercizio del diritto di cronaca, il giudice con ordinanza, se le parti consentono, può autorizzare in tutto o in parte la ripresa fotografica, fonografica o audiovisiva ovvero la trasmissione radiofonica o televisiva del dibattimento, purché non ne derivi pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell'udienza o alla decisione (471 c.p.p.). 2. L'autorizzazione può essere data anche senza il consenso delle parti quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento. 3. Anche quando autorizza la ripresa o la trasmissione a norma dei commi 1 e 2, il presidente vieta la ripresa delle immagini di parti, testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti e di ogni altro soggetto che deve essere presente, se i medesimi non vi consentono o la legge ne fa divieto. 4. Non possono in ogni caso essere autorizzate le riprese o le trasmissioni dei dibattimenti che si svolgono a porte chiuse a norma dell'art. 472 commi 1, 2 e 4 del codice.

147 bis. (1) (2) Esame degli operatori sotto copertura, (3) delle persone che collaborano con la giustizia e degli imputati di reato connesso. 1. L'esame in dibattimento delle persone ammesse, in base alla legge, a programmi o misure di protezione anche di tipo urgente o provvisorio si svolge con le cautele necessarie alla tutela della persona sottoposta all'esame, determinate, d'ufficio ovvero su richiesta di parte o dell'autorità che ha disposto il programma o le misure di protezione, dal giudice o, nei casi di urgenza, dal presidente del tribunale o della corte di assise. 1 bis. L’esame in dibattimento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia esteri, degli ausiliari e delle interposte persone, che abbiano operato in attività sotto copertura ai sensi dell’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni, si svolge sempre con le cautele necessarie alla tutela e alla riservatezza della persona sottoposta all’esame e

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con modalità determinate dal giudice o, nei casi di urgenza, dal presidente, in ogni caso idonee a evitare che il volto di tali soggetti sia visibile (4). 2. Ove siano disponibili strumenti tecnici idonei, il giudice o il presidente, sentite le parti, può disporre, anche d'ufficio, che l'esame si svolga a distanza, mediante collegamento audiovisivo che assicuri la contestuale visibilità delle persone presenti nel luogo dove la persona sottoposta ad esame si trova. In tal caso, un ausiliario abilitato ad assistere il giudice in udienza, designato dal giudice o, in caso di urgenza, dal presidente, è presente nel luogo ove si trova la persona sottoposta ad esame e ne attesta le generalità, dando atto della osservanza delle disposizioni contenute nel presente comma nonché delle cautele adottate per assicurare la regolarità dell'esame con riferimento al luogo ove egli si trova. Delle operazioni svolte l'ausiliario redige verbale a norma dell'articolo 136 del codice. 3. Salvo che il giudice ritenga assolutamente necessaria la presenza della persona da esaminare, l'esame si svolge a distanza secondo le modalità previste dal comma 2 nei seguenti casi: a) quando l’esame è disposto nei confronti di persone ammesse al piano provvisorio di protezione previsto dall’articolo 13, comma 1, del decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni, o alle speciali misure di protezione di cui al citato articolo 13, commi 4 e 5, del medesimo decreto legge (5); a bis) quando l'esame o altro atto istruttorio è disposto nei confronti di persone ammesse al piano provvisorio o al programma definitivo per la protezione dei testimoni di giustizia (6); b) quando nei confronti della persona sottoposta ad esame è stato emesso il decreto di cambiamento delle generalità di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119; in tale caso, nel procedere all'esame, il giudice o il presidente si uniforma a quanto previsto dall'articolo 6, comma 6, del medesimo decreto legislativo e dispone le cautele idonee ad evitare che il volto della persona sia visibile; c) quando nell'ambito di un processo per taluno dei delitti previsti dall'articolo 51 comma 3 bis dall'articolo 407 comma 2 lettera a) n. 4 del codice devono essere esaminate le persone indicate dall'art. 210 del codice nei cui confronti si procede per uno dei delitti previsti dall'articolo 51 comma 3 bis o dall'articolo 407 comma 2 lettera a) n. 4 del codice, anche se vi è stata separazione dei procedimenti (7); c bis) quando devono essere esaminati ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia esteri, nonchè ausiliari e interposte persone, in ordine alle attività dai medesimi svolte nel corso delle operazioni sotto copertura di cui all’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni. In tali casi, il giudice o il presidente dispone le cautele idonee ad evitare che il volto di tali soggetti sia visibile (8). 4. Se la persona da esaminare deve essere assistita da un difensore si applicano le disposizioni previste dall'articolo 146 bis, commi 3, 4 e 6. 5. Le modalità di cui al comma 2 possono essere altresì adottate, a richiesta di parte, per l'esame della persona di cui è stata disposta la nuova assunzione a norma dell'articolo 495, comma 1, del codice, o quando vi siano gravi difficoltà ad assicurare la comparizione della persona da sottoporre ad esame.

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(1) Questo articolo, aggiunto dall'art. 7, comma 2, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356, è stato così sostituito dagli attuali artt. 147 bis e 147 ter, a norma dell'art. 3 della L. 7 gennaio 1998, n. 11. (2) A norma dell'art. 221, comma 9, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, nella L. 17 luglio 2020, n. 77, fermo restando quanto previsto da questo articolo, la partecipazione a qualsiasi udienza penale degli imputati in stato di custodia cautelare in carcere o detenuti per altra causa e dei condannati detenuti è assicurata, con il consenso delle parti e, ove possibile, mediante collegamenti audiovisivi a distanza individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, applicate, in quanto compatibili, le disposizioni dei commi 3, 4 e 5 del citato articolo 146 bis del presente provvedimento. Il consenso dell'imputato o del condannato è espresso personalmente o a mezzo di procuratore speciale. L'udienza è tenuta con la presenza del giudice, del pubblico ministero e dell'ausiliario del giudice nell'ufficio giudiziario e si svolge con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti. Prima dell'udienza il giudice fa comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista laparte cipazione il giorno, l'ora e le modalità del collegamento. (3) Le parole: «degli operatori sotto copertura,» sono state inserite dall'art. 8, comma 4, lett. b), n. 1), della L. 13 agosto 2010, n. 136. (4) Questo comma è stato inserito dall'art. 8, comma 4, lett. b), n. 2), della L. 13 agosto 2010, n. 136. (5) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 11, comma 2, della L. 13 agosto 2010, n. 136. (6) Questa lettera è stata inserita dall'art. 24, comma 1, della L. 11 gennaio 2018, n. 6. (7) Questa lettera è stata così sostituita dall'art. 8, comma 1, lett. c), del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438. (8) Questa lettera è stata aggiunta dall'art. 8, comma 4, lett. b), n. 3), della L. 13 agosto 2010, n. 136.

147 ter. (1) Ricognizione in dibattimento delle persone che collaborano con la giustizia. 1. Quando nel dibattimento occorre procedere a ricognizione della persona nei cui confronti è stato emesso il decreto di cambiamento delle generalità di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119, ovvero ad altro atto che implica l'osservazione del corpo della medesima, il giudice, ove lo ritenga indispensabile, ne autorizza o ordina la citazione o ne dispone l'accompagnamento coattivo per il tempo necessario al compimento dell'atto. 2. Durante tutto il tempo in cui la persona è presente nell'aula di udienza, il dibattimento si svolge a porte chiuse a norma dell'articolo 473, comma 2, del codice. 3. Se l'atto da assumere non ne rende necessaria l'osservazione, il giudice dispone le cautele idonee ad evitare che il volto della persona sia visibile. (1) Questo articolo è stato sostituito con l'attuale art. 147 bis al precedente articolo 147 bis, a norma dell'art. 3 della L. 7 gennaio 1998, n. 11.

148. Eliminazione di atti dal fascicolo per il dibattimento. 1. Gli atti del fascicolo per il dibattimento dei quali il giudice ha disposto la eliminazione a norma dell'art. 491 comma 4 del codice, sono restituiti al pubblico ministero.

149. Regole da osservare prima dell'esame testimoniale. 1. L'esame del testimone deve avvenire in modo che nel corso della udienza nessuna delle

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persone citate prima di deporre possa comunicare con alcuna delle parti o con i difensori o consulenti tecnici, assistere agli esami degli altri o vedere o udire o essere altrimenti informata di ciò che si fa nell'aula di udienza.

150. Esame delle parti private. 1. L'esame delle parti private, nell'ordine previsto dall'art. 503 comma 1 del codice, ha luogo appena terminata l'assunzione delle prove a carico dell'imputato.

151. Assunzione di nuove prove. 1. Nel caso previsto dall'art. 507 del codice, il giudice dispone l'assunzione dei nuovi mezzi di prova secondo l'ordine previsto dall'art. 496 del codice, se le prove sono state richieste dalle parti. 2. Quando è stato disposto d'ufficio l'esame di una persona, il presidente vi provvede direttamente stabilendo, all'esito, la parte che deve condurre l'esame diretto. 152. Facoltà delle parti nel caso di perizia disposta nel dibattimento. 1. Quando il giudice ha disposto la citazione del perito a norma dell'art. 508 comma 1 del codice, le parti hanno facoltà di presentare al dibattimento, anche senza citazione, i propri consulenti tecnici a norma dell'art. 225 del codice.

153. Liquidazione delle spese processuali in favore della parte civile. 1. Agli effetti dell'art. 541 comma 1 del codice, le spese sono liquidate dal giudice sulla base della nota che la parte civile presenta al più tardi insieme alle conclusioni.

154. Redazione non immediata dei motivi della sentenza. 1. Nei casi previsti dall'art. 544 commi 2 e 3 del codice, il presidente provvede personalmente alla redazione della motivazione o designa un estensore tra i componenti del collegio. 2. L'estensore consegna la minuta della sentenza al presidente il quale, se sorgono questioni sulla motivazione, ne dà lettura al collegio, che può designare un altro estensore. 3. La minuta, sottoscritta dall'estensore e dal presidente, è consegnata alla cancelleria per la formazione dell'originale. 4. Il presidente e l'estensore, verificata la corrispondenza dell'originale alla minuta, sottoscrivono la sentenza. 4 bis. Il Presidente della corte d'appello può prorogare, su richiesta motivata del giudice che deve procedere alla redazione della motivazione, i termini previsti dall'articolo 544, comma 3, del codice, per una sola volta e per un periodo massimo di novanta giorni, esonerando, se necessario, il giudice estensore da altri incarichi. Per i giudizi di primo grado provvede il presidente del tribunale. In ogni caso del provvedimento è data comunicazione al Consiglio superiore della magistratura (1). (1) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 4, comma 2 bis, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4. Ai sensi dell'art. 5 del predetto provvedimento, questa disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 341/2000.

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154 bis. (1) Liberazione dell'imputato prosciolto. 1. L'imputato detenuto è posto in libertà immediatamente dopo la lettura in udienza del dispositivo della sentenza di proscioglimento, se non detenuto per altra causa. 2. L'imputato prosciolto e la persona di cui è comunque disposta l'immediata liberazione sono accompagnati, separatamente dai soggetti da tradurre, presso l'istituto penitenziario, per il disbrigo delle formalità conseguenti alla liberazione; se ne fanno richiesta, possono recarsi presso l'istituto anche senza accompagnamento. È vietato l'uso di qualsiasi mezzo di coercizione fisica. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall'art. 4, comma 2, della L. 12 dicembre 1992, n. 492, recante disposizioni in materia di traduzioni di soggetti in condizione di restrizione. L'art. 4, comma 3, della citata legge, prevede che la direzione dell'istituto penitenziario comunichi all'autorità giudiziaria, al momento dell'uscita dall'istituto per la traduzione presso la sede dell'ufficio giudiziario, se l'imputato è detenuto anche per altra causa.

154 ter. (1) Comunicazione della sentenza. 1. La cancelleria del giudice che ha pronunciato sentenza penale nei confronti di un lavoratore dipendente di un'amministrazione pubblica ne comunica il dispositivo all'amministrazione di appartenenza e, su richiesta di questa, trasmette copia integrale del provvedimento. La comunicazione e la trasmissione sono effettuate con modalità telematiche, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, entro trenta giorni dalla data del deposito. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 70 del D.L.vo 27 ottobre 2009, n. 150.

Capo XII. DISPOSIZIONI RELATIVE

AL PROCEDIMENTO

DAVANTI AL TRIBUNALE

IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA (1). (1) Questa rubrica è stata così sostituita dall'art. 213 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. La rubrica precedente era: «DISPOSIZIONI RELATIVE AL PROCEDIMENTO DAVANTI AL PRETORE».

155. (1) Decisione sulla richiesta di incidente probatorio. 1. Ai fini della decisione prevista dall'art. 551 comma 2 del codice, il giudice per le indagini preliminari può chiedere in visione il fascicolo contenente la documentazione relativa alle indagini espletate. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 54, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

156. (1) Opposizione alla richiesta di archiviazione. 1. La persona offesa dal reato, con l'opposizione alla richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, indica gli elementi di prova che giustificano il rigetto della richiesta stessa.

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2. A seguito dell'opposizione, il giudice per le indagini preliminari provvede a norma dell'art. 554 comma 2 del codice. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 54, comma 1, della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

157. (1) Ulteriori indagini. Avocazione. 1. Quando emette decreto di archiviazione, il giudice per le indagini preliminari, se rileva l'esistenza di ulteriori indagini, ne informa il procuratore generale presso la corte di appello. Questi, se ne ravvisa i presupposti, richiede la riapertura delle indagini a norma dell'art. 414 del codice. 2. Quando è accolta la richiesta del procuratore generale, le nuove indagini restano avocate. (1) La Corte costituzionale, con sentenza 12 ottobre 1990 n. 445, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo.

158. (1) Avocazione nel caso di mancato accoglimento della richiesta di archiviazione. 1. Nel caso previsto dall'art. 554 comma 2 del codice, il pubblico ministero comunica immediatamente l'ordinanza al procuratore generale presso la corte di appello che può disporre l'avocazione con decreto motivato entro cinque giorni dalla comunicazione della ordinanza medesima. Decorso tale termine, il pubblico ministero formula l'imputazione entro i cinque giorni successivi. 2. Il decreto con il quale il procuratore generale dispone l'avocazione è immediatamente comunicato al pubblico ministero. 3. Disposta l'avocazione, il procuratore generale formula l'imputazione entro il termine previsto dall'art. 554 comma 2 del codice ai fini degli adempimenti previsti dagli artt. 555 e seguenti del codice. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 54 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

159. Indicazione dei procedimenti speciali nel decreto di citazione a giudizio. 1. Nel decreto di citazione a giudizio (555 c.p.p.) sono indicati i procedimenti speciali, e i relativi articoli di legge, che possono trovare applicazione nel caso concreto. 2. Il pubblico ministero, nel decreto di citazione a giudizio, può manifestare il proprio consenso all'applicazione della pena su richiesta, indicando gli elementi previsti dall'articolo 444, comma 1, del codice (1). (1) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 55 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

160. Determinazione della data dell'udienza dibattimentale o del procedimento speciale. 1. Ai fini dell'emissione del decreto di citazione a giudizio ovvero del decreto che dispone il giudizio a seguito di opposizione a decreto penale, la richiesta prevista dall'art. 132 comma 2 è proposta al presidente del tribunale rispettivamente dal pubblico ministero o dal giudice per le indagini preliminari.

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2. Quando il pubblico ministero deve fissare l'udienza davanti al giudice per le indagini preliminari a norma degli artt. 556 comma 2, 557, 560 comma 2, 563 comma 2 del codice, l'individuazione della data dell'udienza è effettuata, su richiesta del pubblico ministero, dal presidente della sezione dei giudici per le indagini preliminari ovvero, quando questi manchi, dal presidente del tribunale (reg. c.p.p. 20) (1). (1) Questo comma è stato abrogato dall'art. 54 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

161. (1) Deposito degli atti per il giudizio abbreviato. 1. Nel decreto di citazione emesso dal pubblico ministero per il giudizio abbreviato a norma dell'art. 560 commi 2 e 3 del codice, in luogo di quanto previsto dall'art. 555 comma 1 lett. g) del codice, è contenuto l'avviso che il fascicolo relativo alle indagini preliminari è depositato nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari, con facoltà per le parti e i loro difensori di prenderne visione e di estrarne copia. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 54 della L. 16 dicembre 1999, n. 479.

162. Delega delle funzioni di pubblico ministero in udienza dibattimentale. 1. La delega prevista dall'art. 72 del R.D. 30 gennaio 1941 n. 12 (1) è conferita con atto scritto di cui è fatta annotazione in apposito registro ed è esibita in dibattimento. 2. Nel caso di giudizio direttissimo, la delega può essere conferita anche per la partecipazione alla contestuale udienza di convalida. 3. Quando si presenta la necessità di prestare il consenso all'applicazione della pena su richiesta o al giudizio abbreviato ovvero si deve procedere a nuove contestazioni, il pubblico ministero delegato può procedere a consultazioni con il procuratore della Repubblica. 4. Il giudice (2), nel caso previsto dal comma 3, può sospendere l'udienza per il tempo strettamente necessario. (1) Si tratta della legge fondamentale sull'ordinamento giudiziario di cui si veda l'art. 72 nel testo sostituito dall'art. 22 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, recante adeguamento della suddetta normativa al nuovo rito penale e modificato dall'art. 1 del D.L.vo 2 febbraio 1990, n. 15. (2) La parola: «pretore» è stata sostituita dalla parola: «giudice» dall'art. 215 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

163. Presentazione dell'arrestato per la convalida. 1. Nel caso previsto dall'art. 558 (1) comma 1, la presentazione dell'arrestato al giudice (2) per la convalida e il contestuale giudizio è disposta dal procuratore della Repubblica [presso la pretura] (3) con l'atto mediante il quale formula l'imputazione. 2. Gli ufficiali o gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto consegnano immediatamente gli atti al pubblico ministero presente all'udienza. (1) La originaria parola: «566» è stata così sostituita dall'attuale: «558» dall'art. 51 della L. 16 dicembre 1999, n. 479. (2) La parola: «pretore» è stata sostituita dalla parola: «giudice» dall'art. 216 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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(3) Le parole: «presso la pretura» sono state soppresse dall'art. 216 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

Capo XII bis . DISPOSIZIONI RELATIVE

ALLE SEZIONI DISTACCATE

DEL TRIBUNALE (1). (1) Questo capo è stato inserito dall'art. 217 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l'istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

163 bis. Inosservanza delle disposizioni sulle attribuzioni delle sezioni distaccate del tribunale. 1. L'inosservanza delle disposizioni di ordinamento giudiziario relative alla ripartizione tra sede principale e sezioni distaccate, o tra diverse sezioni distaccate, dei procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione monocratica è rilevata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. 2. Il giudice, se ravvisa l'inosservanza o ritiene comunque non manifestamente infondata la relativa questione, rimette gli atti al presidente del tribunale, che provvede con decreto non impugnabile.

163 ter. Presentazione dell'atto di impugnazione presso la sezione distaccata. 1. Nei casi previsti dagli articoli 461 comma 1 e 582 comma 2 del codice, le dichiarazioni e le impugnazioni possono essere presentate anche nella cancelleria della sezione distaccata del tribunale. Capo XIII. DISPOSIZIONI

RELATIVE ALLE IMPUGNAZIONI.

164. Deposito delle copie dell'atto di impugnazione e formazione dei relativi fascicoli. 1. Le parti devono depositare le copie dell'atto di impugnazione occorrenti per la notificazione prevista dall'art. 584 del codice. 2. Le parti devono inoltre depositare, presso la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, due copie dell'atto di impugnazione, nel caso di appello, e cinque copie, nel caso di ricorso per cassazione, oltre a una copia per il procuratore generale (167). 3. Se non sono depositate le copie indicate nei commi 1 e 2, la cancelleria provvede a farle a spese di chi ha presentato l'impugnazione. [I diritti dovuti per le copie sono triplicati] (1). [Qualora chi ha proposto l'impugnazione, a seguito della richiesta da parte della cancelleria a mezzo di lettera raccomandata con tassa a carico del destinatario, non provveda al pagamento della somma dovuta, il dirigente

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dell'ufficio di cancelleria emette ingiunzione di pagamento immediatamente esecutiva nei confronti del medesimo e del suo difensore se quest'ultimo ha sottoscritto l'atto] (1). [Si osservano le disposizioni previste dal R.D. 14 aprile 1910, n. 639 per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato (167)] (1). 4. A cura della cancelleria presso il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato sono formati, nel caso di appello, tre fascicoli e, nel caso di ricorso per cassazione, sei fascicoli contenenti ciascuno una copia della sentenza impugnata e degli atti di impugnazione. (1) Questo periodo è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

165. Annotazione della impugnazione in calce al provvedimento impugnato. 1. Prima della notificazione (584 c.p.p.), l'impugnazione è annotata in calce al provvedimento impugnato, con la indicazione di chi l'ha proposta e della data della proposizione. 2. Le copie del provvedimento impugnato trasmesse al giudice dell'impugnazione contengono le indicazioni previste dal comma 1.

165 bis. (1) Adempimenti connessi alla trasmissione degli atti al giudice dell'impugnazione. 1. Gli atti da trasmettere al giudice dell'impugnazione devono contenere, in distinti allegati formati subito dopo la presentazione dell'atto di impugnazione, a cura del giudice o del presidente del collegio che ha emesso il provvedimento impugnato, i seguenti dati: a) i nominativi dei difensori, di fiducia o d'ufficio, con indicazione della data di nomina; b) le dichiarazioni o elezioni o determinazioni di domicilio, con indicazione delle relative date; c) i termini di prescrizione riferiti a ciascun reato, con indicazione degli atti interruttivi e delle specifiche cause di sospensione del relativo corso, ovvero eventuali dichiarazioni di rinuncia alla prescrizione; d) i termini di scadenza delle misure cautelari in atto, con indicazione della data di inizio e di eventuali periodi di sospensione o proroga. 2. Nel caso di ricorso per cassazione, a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, è inserita in separato fascicolo allegato al ricorso, qualora non già contenuta negli atti trasmessi, copia degli atti specificamente indicati da chi ha proposto l'impugnazione ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), del codice; della loro mancanza è fatta attestazione. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 7 del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11.

166. (1) Comunicazione al procuratore generale dell'appello dell'imputato. 1. Qualora non sia stata proposta impugnazione da parte del procuratore generale, l'appello dell'imputato (570, 571 c.p.p.) è comunicato anche al procuratore generale agli effetti dell'art. 595 del codice. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 6 del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11.

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166 bis. (1) Poteri del procuratore generale in materia di impugnazione delle sentenze di primo grado. 1. Al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni relative all'impugnazione delle sentenze di primo grado, il procuratore generale presso la corte d'appello promuove intese o altre forme di coordinamento con i procuratori della Repubblica del distretto. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 8 del D.L.vo 6 febbraio 2018, n. 11.

167. Nuovi motivi della impugnazione già proposta. 1. Nel caso di presentazione dei motivi nuovi, si applicano le disposizioni dell'art. 164 commi 2 e 3 e devono essere specificati i capi e i punti enunciati a norma dell'art. 581 comma 1 lett. a) del codice, ai quali i motivi si riferiscono.

168. Disposizione di rinvio. 1. Nei giudizi di impugnazione (593 ss. c.p.p.) si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di attuazione relative al giudizio di primo grado. 169. Riduzione dei termini nel giudizio di cassazione. 1. Nei casi di urgenza, le parti possono chiedere la riduzione dei termini stabiliti per il giudizio di cassazione (610 c.p.p.). Il presidente, se accoglie la richiesta, dispone con decreto la riduzione dei termini in misura non superiore a un terzo. Del provvedimento di riduzione è fatta menzione negli avvisi. 2. Con l'atto di ricorso o anche successivamente le parti possono rinunciare agli avvisi.

169 bis. (1) Sezione della corte di cassazione per l'esame dell'inammissibilità dei ricorsi. 1. La sezione di cui al comma 1 dell'articolo 610 del codice è predeterminata con rotazione biennale dal provvedimento tabellare riguardante la corte di cassazione. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 6, comma 4, della L. 26 marzo 2001, n. 128.

170. Sezioni unite. 1. Le Sezioni unite sono convocate con decreto del presidente della Corte di cassazione o del presidente aggiunto da lui delegato e sono composte con magistrati di tutte le sezioni penali. Il collegio è presieduto dal presidente della corte ovvero, su sua delegazione, dal presidente aggiunto o da un presidente di sezione (610, 618 c.p.p.).

171. Questione dedotta nel corso della discussione. 1. Se una questione è dedotta per la prima volta nel corso della discussione, il presidente può concedere nuovamente la parola alle parti già intervenute (614 c.p.p.).

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172. Restituzione alla sezione di ricorsi già rimessi alle Sezioni unite. 1. Nel caso previsto dall'art. 618 del codice, il presidente della Corte di cassazione può restituire alla sezione il ricorso qualora siano stati assegnati alle Sezioni unite altri ricorsi sulla medesima questione o il contrasto giurisprudenziale risulti superato. 2. In nessun caso può essere restituito il ricorso che, dopo una decisione delle Sezioni unite, è stato rimesso da una sezione della Corte di cassazione con l'enunciazione delle ragioni che possono dar luogo a un nuovo contrasto giurisprudenziale.

173. Motivazione della sentenza. Enunciazione del principio di diritto. 1. Nella sentenza della Corte di cassazione i motivi del ricorso sono enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (617 c.p.p.). 2. Nel caso di annullamento con rinvio, la sentenza enuncia specificamente il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi. 3. Quando il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite, la sentenza enuncia sempre il principio di diritto sul quale si basa la decisione.

174. Rettifiche ed integrazioni alla motivazione. 1. Nel caso previsto dall'art. 617 comma 3 del codice, alla redazione del testo rettificato o integrato provvede la Corte di cassazione in camera di consiglio. Quando ciò non è possibile, provvede un consigliere che può anche essere diverso da quello precedentemente designato per la redazione della motivazione. 175. Determinazione del giudice di rinvio. 1. Per determinare ai fini del giudizio di rinvio (623 c.p.p.) la corte di appello, la corte di assise di appello, la corte di assise o il tribunale più vicino, si tiene conto della distanza chilometrica ferroviaria, e se del caso marittima, tra i capoluoghi del distretto o, rispettivamente, del circolo o del circondario.

176. Rilascio dei documenti da unire alla domanda di riparazione dell'errore giudiziario. 1. I documenti da unire alla domanda di riparazione dell'errore giudiziario, a norma dell'art. 645 del codice, sono rilasciati gratuitamente dagli uffici competenti e sono esenti da imposta di bollo. Capo XIV. DISPOSIZIONI RELATIVE

AL GIURÌ D'ONORE.

177. Deferimento del giudizio ad un giurì d'onore. 1. Agli effetti dell'art. 597 del codice penale, la facoltà di deferire a un giurì d'onore il giudizio sulla

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verità del fatto s'intende esercitata quando i componenti il giurì hanno accettato la nomina. L'accettazione deve risultare da atto scritto. 2. Nel deferire il giudizio previsto dal comma 1, le parti interessate, se non dichiarano espressamente di rinunciare al diritto al risarcimento e alla riparazione, possono demandare al giurì il relativo accertamento e le conseguenti pronunce in via equitativa. 3. Su richiesta delle parti interessate, la nomina dei componenti il giurì può essere fatta dal presidente del tribunale. 4. Su richiesta delle parti interessate, la nomina dei componenti il giurì può essere fatta da associazioni legalmente riconosciute come enti morali. I componenti sono scelti fra le persone iscritte in appositi albi formati dalle stesse associazioni e approvati dal presidente del tribunale. 5. Se vengono a mancare per qualunque causa tutti o alcuni dei componenti il giurì, il presidente del tribunale o le associazioni provvedono alla loro sostituzione.

178. Componenti del giurì d'onore. Termine per la pronuncia del verdetto. 1. Il giurì d'onore si compone di uno o più membri in numero dispari. 2. Il giurì deve pronunciare il verdetto nel termine di tre mesi dal giorno dell'accettazione. Il presidente del tribunale per gravi motivi può prorogare questo termine fino ad altri tre mesi.

179. Procedimento davanti al giurì d'onore. 1. Le sedute del giurì non sono pubbliche. 2. I componenti del giurì sono obbligati al segreto per tutto ciò che concerne gli atti compiuti, salvo che per il verdetto. 3. È vietata la pubblicazione, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa di informazione, degli atti e documenti concernenti il giudizio, fatta eccezione per il verdetto. Sono applicabili gli artt. 684 e 685 del codice penale. 4. Quando lo ritiene necessario, il giurì può, anche di sua iniziativa, sentire testimoni. 5. Il giurì, quando è stato nominato nei modi indicati nell'art. 177 commi 3 e 4, può chiedere documenti e informazioni alle pubbliche amministrazioni, le quali hanno l'obbligo di fornirli, salvo che vi ostino gravi ragioni di servizio, e compiere altri accertamenti.

180. Sanzioni pecuniarie. 1. I componenti del giurì che violano gli obblighi stabiliti dall'art. 178 comma 2 o dall'art. 179 comma 2 possono essere condannati al pagamento di una somma da € 25 a € 258 a favore della cassa delle ammende. 2. Nel caso in cui il giurì sia stato nominato nei modi indicati nell'art. 177 commi 3 e 4, il testimone che omette senza legittimo impedimento di comparire nel luogo, giorno e ora stabiliti, può essere condannato al pagamento di una somma da € 12 a € 129 a favore della cassa delle ammende. 3. Le condanne previste dai commi 1 e 2 sono pronunciate dal presidente del tribunale, sentito il trasgressore, e alla loro esecuzione provvede la cancelleria del tribunale, osservate le disposizioni dell'art. 664 del codice.

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Capo XV. DISPOSIZIONI

RELATIVE ALLA ESECUZIONE.

181. (1) Esecuzione delle pene pecuniarie e recupero delle spese. 1. Entro trenta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza o del decreto penale di condanna, la cancelleria del giudice dell'esecuzione provvede al recupero delle pene pecuniarie (660 c.p.p.) e delle spese del procedimento (691 c.p.p.) nei confronti del condannato. 2. A tal fine la cancelleria notifica al condannato l'estratto della sentenza in forma esecutiva o il decreto unitamente all'atto di precetto contenente l'intimazione di pagare entro dieci giorni dalla notificazione o, se si tratta di decreto, dalla scadenza del termine per proporre opposizione, le somme in esso specificamente indicate per pena pecuniaria, spese recuperabili per intero e spese recuperabili in misura fissa. 3. L'avviso di pagamento e il precetto per le pene pecuniarie pagabili ratealmente contengono l'indicazione dell'importo e della scadenza delle singole rate; il termine per il pagamento decorre dalla scadenza suddetta. La stessa disposizione si osserva quando la rateizzazione è disposta dal magistrato di sorveglianza a norma dell'art. 660 comma 3 del codice. In ogni caso non sono dovuti interessi per la rateizzazione. 4. La specifica contenuta nell'atto di precetto sostituisce la nota delle spese. 5. La procedura prevista nel presente articolo si applica anche per il recupero delle spese di mantenimento in carcere (692 c.p.p.). (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Si veda ora l'art. 236 del medesimo provvedimento, di cui si riporta il testo: «236 (L). (Pene pecuniarie rateizzate). 1. Per le pene pecuniarie rateizzate, rispettivamente ai sensi dell'articolo 133 ter del codice penale e dell'articolo 238, l'invito al pagamento o il provvedimento del giudice nella fase della conversione contiene l'indicazione dell'importo e la scadenza delle singole rate. «2. Il termine per il pagamento decorre dalla scadenza delle singole rate. «3. Non sono dovuti interessi per la rateizzazione. «4. In caso di mancato pagamento di una rata il debitore decade automaticamente dal beneficio ed è tenuto al pagamento, in un'unica soluzione, della restante parte del suo debito».

182. (1) Procedura in caso di insolvibilità. 1. Se la procedura esecutiva per il recupero della pena pecuniaria o di una rata di essa ha esito negativo, la cancelleria del giudice dell'esecuzione trasmette copia degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma dell'art. 660 del codice. 2. Al fine di accertare la effettiva insolvibilità del condannato e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, il magistrato di sorveglianza dispone le opportune indagini nel luogo dove il condannato o il civilmente obbligato ha il domicilio o la residenza ovvero si ha ragione di ritenere che possieda beni o cespiti di reddito e richiede, se necessario, informazioni agli organi finanziari. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. L'art. 237 del medesimo provvedimento regolava la procedura in caso di insolvibilità; la Corte costituzionale con sentenza n. 212 del 18

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giugno 2003, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dello stesso articolo 237, degli articoli 238 e 299, nella parte in cui abrogava l'art. 660 c.p.p., facendo quindi rivivere questo articolo.

183. Richiesta di applicazione di pena accessoria. 1. Quando alla condanna consegue di diritto una pena accessoria predeterminata dalla legge nella specie e nella durata, il pubblico ministero ne richiede l'applicazione al giudice dell'esecuzione se non si è provveduto con la sentenza di condanna (662 c.p.p.). 183 bis. (1) Esecuzione della misura di sicurezza dell’espulsione del cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea e dell’apolide. 1. L’espulsione del cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea e dell’apolide dal territorio dello Stato è eseguita dal questore secondo le modalità di cui all’articolo 13, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 1, comma 4, della L. 15 luglio 2009, n. 94.

183 ter. (1) Esecuzione della misura di sicurezza dell'allontanamento del cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea e di un suo familiare. 1. L'allontanamento del cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea o di un suo familiare, di cui agli articoli 2, comma 1, lettera b), e 3, comma 2, [lettera a),] (2) del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, è disposto in conformità ai criteri ed alle modalità fissati dall'articolo 20 del medesimo decreto legislativo. (1) Questo articolo, inserito dall'art. 1, comma 4, della L. 15 luglio 2009, n. 94, è stato così sostituito dall'art. 2, comma 1, del D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito, con modificazioni, nella L. 2 agosto 2011, n. 129. (2) Le parole fra parentesi quadrate sono state soppresse dall'art. 1, comma 2, della L. 6 agosto 2013, n. 97.

183 quater. (1) Esecuzione della confisca in casi particolari. 1. Competente a emettere i provvedimenti di confisca in casi particolari previsti dall'articolo 240 bis del codice penale o da altre disposizioni di legge che a questo articolo rinviano dopo l'irrevocabilità della sentenza, è il giudice di cui all'articolo 666, commi 1, 2 e 3, del codice. Il giudice, sulla richiesta di sequestro e contestuale confisca proposta dal pubblico ministero, provvede nelle forme previste dall'articolo 667, comma 4, del codice. L'opposizione è proposta, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione o notificazione del decreto. 2. In caso di morte del soggetto nei cui confronti è stata disposta la confisca con sentenza di condanna passata in giudicato, il relativo procedimento inizia o prosegue, a norma dell'articolo 666 del codice, nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa. 3. L'autorità giudiziaria competente ad amministrare i beni sequestrati è il giudice che ha disposto il sequestro ovvero, se organo collegiale, il giudice delegato nominato dal collegio stesso. L'opposizione ai provvedimenti adottati, ove consentita, è

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presentata, nelle forme dell'articolo 666 del codice, allo stesso giudice ovvero, nel caso di provvedimento del giudice delegato, al collegio. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 6, comma 3, lett. b), del D.L.vo 1 marzo 2018, n. 21.

184. Forma dei provvedimenti che applicano altre sanzioni pecuniarie. 1. Salvo che la legge disponga altrimenti, i provvedimenti previsti dall'art. 664 comma 1 del codice sono adottati con ordinanza.

185. Assunzione delle prove nel procedimento di esecuzione. 1. Il giudice, nell'assumere le prove a norma dell'art. 666 comma 5 del codice, procede senza particolari formalità anche per quanto concerne la citazione e l'esame dei testimoni e l'espletamento della perizia.

186. Applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato. 1. Le copie delle sentenze o decreti irrevocabili, se non sono allegate alla richiesta prevista dall'art. 671 comma 1 del codice, sono acquisite di ufficio.

187. Determinazione del reato più grave. 1. Per l'applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato da parte del giudice dell'esecuzione si considera violazione più grave quella per la quale è stata inflitta la pena più grave, anche quando per alcuni reati si è proceduto con giudizio abbreviato (671 c.p.p.).

188. Concorso formale e reato continuato nel caso di più sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti. 1. Fermo quanto previsto dall'art. 137, nel caso di più sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti pronunciate in procedimenti distinti contro la stessa persona, questa e il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell'esecuzione l'applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato (671 c.p.p.), quando concordano sulla entità della sanzione sostitutiva o della pena detentiva, sempre che quest'ultima non superi complessivamente cinque anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, ovvero due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, nei casi previsti nel comma 1 bis dell'articolo 444 del codice (1). Nel caso di disaccordo del pubblico ministero, il giudice, se lo ritiene ingiustificato, accoglie ugualmente la richiesta. (1) Le parole: «, sempre che quest'ultima non superi complessivamente due anni di reclusione o di arresto, soli o congiunti a pena pecuniaria», sono state così sostituite dalle attuali da: «detentiva, sempre ...» fino a: «... articolo 444 del codice» a norma dell'art. 1 della L. 2 agosto 2004, n. 205, sul patteggiamento allargato plurimo.

189. Comunicazione dei provvedimenti del giudice di sorveglianza. 1. Il dispositivo dei provvedimenti esecutivi del giudice di sorveglianza (678 c.p.p.) che incidono sulla durata della pena, o sulla data in cui la stessa deve avere inizio o termine, è comunicato senza ritardo, a cura della cancelleria presso il giudice

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medesimo, al pubblico ministero competente per l'esecuzione della sentenza di condanna. Le medesime disposizioni si applicano ai provvedimenti esecutivi del giudice di sorveglianza concernenti le misure di sicurezza (678 c.p.p.).

190. Prescrizioni per la persona sottoposta a libertà vigilata. 1. Il magistrato di sorveglianza stabilisce le prescrizioni alle quali deve attenersi la persona sottoposta a libertà vigilata a norma dell'art. 228 del codice penale (679 c.p.p.). 2. Le prescrizioni sono trascritte in una carta precettiva che è consegnata all'interessato con obbligo di conservarla e di presentarla ad ogni richiesta dell'autorità. In caso di irreperibilità, il magistrato di sorveglianza provvede a norma dell'art. 231 del codice penale. 3. Il vigilato non può, senza autorizzazione del magistrato di sorveglianza, trasferire la propria residenza o dimora in un comune diverso e deve informare gli organi ai quali è stata affidata la vigilanza di ogni mutamento di abitazione nell'ambito del comune. 4. In caso di trasferimento non autorizzato, di successiva irreperibilità e di altre trasgressioni, il magistrato di sorveglianza provvede a norma dell'art. 231 del codice penale. 5. Copia delle prescrizioni indicate nel comma 1 è comunicata agli organi e alle persone cui è affidata la vigilanza a norma degli artt. 228 e 232 del codice penale nonché al centro di servizio sociale. 6. La vigilanza è esercitata in modo da non rendere difficoltosa alla persona che vi è sottoposta la ricerca di un lavoro e da consentirle di attendervi con la necessaria tranquillità.

191. Applicazione del divieto di soggiorno. 1. Il provvedimento del magistrato di sorveglianza che applica il divieto di soggiorno in determinati luoghi a norma dell'art. 233 del codice penale è immediatamente comunicato dalla cancelleria agli organi di pubblica sicurezza dei comuni o delle province cui si riferisce il divieto. Di ogni trasgressione gli organi predetti fanno rapporto al magistrato di sorveglianza per i provvedimenti conseguenti (679 c.p.p.).

192. Annotazione del decreto di grazia. 1. Il pubblico ministero competente a norma dell'art. 681 comma 4 del codice provvede senza ritardo affinché il decreto di grazia sia annotato sull'originale della sentenza o del decreto penale di condanna.

193. Annotazione del provvedimento di riabilitazione e di revoca delle sentenze di condanna. 1. Il provvedimento che concerne la riabilitazione, divenuto irrevocabile, è annotato nella sentenza di condanna a cura della cancelleria del giudice che l'ha emessa. Allo stesso modo si procede per i provvedimenti di revoca adottati a norma degli artt. 669 e 673 del codice (reg. c.p.p. 33).

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194. (1) Iscrizioni nel casellario giudiziale. 1. Sono iscritti nel casellario giudiziale previsto dall'art. 685 del codice anche i provvedimenti del pubblico ministero indicati negli artt. 657 e 663 del codice nonché quelli con i quali è concessa la riabilitazione prevista dall'art. 15 della L. 3 agosto 1988 n. 327. 2. Dei provvedimenti indicati nell'art. 686 comma 1 lett. d) del codice si fa menzione solo nei certificati previsti dall'art. 688 del codice. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 52, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003.

195. (1) Richiesta del certificato spedito per ragioni di elettorato. 1. Il certificato spedito per ragioni di elettorato (688 c.p.p.) può essere richiesto anche da una persona diversa da quella alla quale le iscrizioni del casellario si riferiscono. Nella domanda deve essere specificato e dimostrato il legittimo interesse del richiedente. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 52, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003.

196. (1) Iscrizione delle sentenze di applicazione di sanzioni sostitutive a richiesta dell'imputato. 1. Le sentenze che hanno dichiarato estinto il reato per applicazione di sanzioni sostitutive a richiesta dell'imputato previste dall'art. 77 della L. 24 novembre 1981 n. 689 si iscrivono solo agli effetti dell'art. 80 della medesima legge. Di tali provvedimenti non si fa menzione nei certificati richiesti dalle amministrazioni pubbliche e dagli enti incaricati di pubblici servizi a norma dell'art. 688 comma 1 del codice. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 52, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003.

197. (1) Condanne da non menzionare nei certificati richiesti dall'interessato. 1. Nei certificati rilasciati a richiesta dell'interessato (689 c.p.p.) non si fa menzione delle condanne per i reati per i quali è stata dichiarata la speciale causa di estinzione prevista dall'art. 544 del codice penale, abrogato dall'art. 1 della L. 5 agosto 1981 n. 442. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 52, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003.

198. Certificati che possono essere chiesti dall'interessato. (Omissis) (1). (1) Articolo soppresso dall'art. 34 del D.L.vo 14 gennaio 1991, n. 12, recante norme integrative e correttive del processo penale.

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199. (1) Recupero delle spese del procedimento. 1. Le spese del procedimento anticipate dall'erario (691 c.p.p.), sono recuperate per intero. Tuttavia, le imposte di bollo, i diritti di cancelleria, i diritti e le indennità di trasferta spettanti all'ufficiale giudiziario, le spese postali e telegrafiche per la notificazione degli atti a richiesta dell'ufficio o per l'invio dell'informazione di garanzia e il diritto di chiamata di causa sono recuperati nella misura fissa stabilita con regolamento del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia. Il regolamento determina la misura stessa, con riferimento al numero degli atti e delle attività mediamente compiute in ciascun procedimento e delle disposizioni di legge che regolano l'imposizione; fissa altresì le percentuali e le modalità di ripartizione delle somme in questione. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Si veda ora l'art. 205 del medesimo provvedimento, di cui si riporta il testo: «205 (L). (Recupero intero, forfettizzato e per quota) (*). 1. Le spese del processo penale anticipate dall’erario sono recuperate nei confronti di ciascun condannato, senza vincolo di solidarietà, nella misura fissa stabilita con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400. L’ammontare degli importi può essere rideterminato ogni anno al fine di garantire l’integrale recupero delle somme anticipate dall’erario (**). «2. Il decreto di cui al comma 1 determina la misura del recupero con riferimento al grado di giudizio e al tipo di processo. Il giudice, in ragione della complessità delle indagini e degli atti compiuti, nella statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali può disporre che gli importi siano aumentati sino al triplo. Sono recuperate per intero, oltre quelle previste dal comma 2 bis, le spese per la consulenza tecnica e per la perizia, le spese per la pubblicazione della sentenza penale di condanna e le spese per la demolizione di opere abusive e per la riduzione in pristino dei luoghi, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 32, comma 12, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. «2 bis. Le spese relative alle prestazioni previste dall'articolo 96 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, e quelle funzionali all'utilizzo delle prestazioni medesime sono recuperate in misura fissa stabilita con decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (***). «2 ter. Il decreto di cui al comma 2 bis determina la misura del recupero con riferimento al costo medio delle singole tipologie di prestazione. L'ammontare degli importi può essere rideterminato ogni anno (***). «2 quater. Gli importi di cui al comma 2 bis, nonché le spese per la consulenza tecnica e per la perizia, le spese per la pubblicazione della sentenza penale di condanna e le spese per la demolizione di opere abusive e per la riduzione in pristino dei luoghi, di cui al comma 2, sono recuperati nei confronti di ciascun condannato in misura corrispondente alla quota del debito da ciascuno dovuta in base al decreto di cui al comma 1, senza vincolo di solidarietà (****). «2 quinquies. Il contributo unificato e l’imposta di registro prenotati a debito per l’azione civile nel processo penale sono recuperati nei confronti di ciascun condannato al risarcimento del danno in misura corrispondente alla quota del debito da ciascuno dovuta, senza vincolo di solidarietà (****). «2 sexies. Gli oneri tributari relativi al sequestro conservativo di cui all’articolo 316 del codice di procedura penale sono recuperati nei confronti del condannato a carico del quale è stato disposto il sequestro conservativo.» (****). (*) Rubrica così sostituita dall'art. 67, comma 3, lett. e), n. 1), della L. 18 giugno 2009, n. 69. Per le disposizioni transitorie, si veda il comma 4 del medesimo art. 67, della L. 18 giugno 2009, n. 69. (**) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 67, comma 3, lett. e), n. 2), della L. 18 giugno 2009, n. 69. Per le disposizioni transitorie, si veda il comma 4 del medesimo art. 67, della L. 18 giugno 2009, n. 69.

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(***) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 327, della L. 30 dicembre 2004, n. 311, a decorrere dal 1 gennaio 2005. (****) Questo comma è stato aggiunto dall'art. 67, comma 3, lett. e), n. 3), della L. 18 giugno 2009, n. 69. Per le disposizioni transitorie, si veda il comma 4 del medesimo art. 67, della L. 18 giugno 2009, n. 69.

200. (1) Annotazione delle spese anticipate dall'erario. 1. Al momento della iscrizione dell'ordine di pagamento nel registro delle spese di giustizia, la cancelleria o la segreteria iscrive l'importo delle spese anticipate dall'erario (691 c.p.p.) e recuperabili per intero a norma dell'art. 199 nella distinta delle spese allegata al fascicolo, indicando la data e l'atto cui l'anticipazione si riferisce. 2. L'importo della somma anticipata è altresì annotato a margine dell'atto predetto. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

Capo XVI. DISPOSIZIONI RELATIVE

AI RAPPORTI GIURISDIZIONALI

CON AUTORITÀ STRANIERE.

201. Traduzione delle domande provenienti da un'autorità straniera. 1. Le domande provenienti da un'autorità straniera (700 c.p.p.) nonché i relativi atti e documenti sono accompagnati da una traduzione in lingua italiana.

202. Consenso dell'interessato alla estradizione per l'estero. 1. Fuori dei casi previsti dagli artt. 703 e 717 del codice, il consenso dell'interessato alla estradizione è prestato davanti al presidente della corte di appello nel rispetto delle garanzie previste dall'art. 701 comma 2. Il verbale è compilato in due originali, uno dei quali è trasmesso senza ritardo, a cura della cancelleria, al Ministro di grazia e giustizia. 203. Comunicazioni al Ministro di grazia e giustizia in merito alla estradizione. 1. La cancelleria comunica senza ritardo al Ministro di grazia e giustizia l'avvenuta scadenza del termine per l'impugnazione della sentenza della corte d'appello o l'avvenuto deposito della sentenza della Corte di cassazione (706 c.p.p.). Trasmette, inoltre, al Ministro di grazia e giustizia copia della sentenza della corte di appello non più soggetta a impugnazione ovvero copia della sentenza della Corte di cassazione.

204. Comunicazioni all'autorità giudiziaria che ha trasmesso la rogatoria all'estero. 1. Le comunicazioni previste dall'art. 727 comma 3 del codice devono pervenire all'autorità giudiziaria richiedente senza ritardo. Le comunicazioni dell'avvenuto inoltro della rogatoria ovvero dell'emissione del decreto

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previsto dall'art. 727 comma 2 del codice devono comunque pervenire entro cinque giorni dalle rispettive date di inoltro e di emissione.

204 bis. (1) Comunicazioni dell'autorità giudiziaria in tema di rogatoria. 1. Quando un accordo internazionale prevede la trasmissione diretta della richiesta di assistenza giudiziaria, l'autorità giudiziaria indicata dagli articoli 724, 726 e 726 ter del codice che riceve direttamente la richiesta ovvero l'autorità giudiziaria che la invia direttamente all'autorità straniera ne trasmette senza ritardo copia al Ministero della giustizia. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 15 della L. 5 ottobre 2001, n. 367.

205. Richiesta del testo di leggi straniere. 1. L'autorità giudiziaria, per ragioni di ufficio, può richiedere al Ministro di grazia e giustizia il testo di leggi straniere.

205 bis. (1) Irrevocabilità del consenso nell'ambito di procedure di cooperazione giudiziaria. 1. Quando è previsto dal codice o da accordi internazionali, per l'espletamento di determinati atti, che l'interessato esprima il proprio consenso in una procedura di cooperazione giudiziaria, il consenso espresso non può essere revocato, salvo che l'interessato ignorasse circostanze di fatto rilevanti ai fini della sua decisione ovvero esse si siano successivamente modificate. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 16 della L. 5 ottobre 2001, n. 367.

205 ter. (1) Partecipazione al processo a distanza per l'imputato detenuto all'estero. 1. La partecipazione all'udienza dell'imputato detenuto all'estero, che non possa essere trasferito in Italia, ha luogo attraverso il collegamento audiovisivo, quando previsto da accordi internazionali e secondo la disciplina in essi contenuta. Per quanto non espressamente disciplinato dagli accordi internazionali, si applica la disposizione dell'articolo 146 bis. 2. Non può procedersi a collegamento audiovisivo se lo Stato estero non assicura la possibilità di presenza del difensore o di un sostituto nel luogo in cui viene assunto l'atto e se quest'ultimo non ha possibilità di colloquiare riservatamente con il suo assistito. 3. L'imputato ha diritto alla presenza dell'interprete se non conosce la lingua del luogo ove l'atto è compiuto o quella usata per rivolgergli le domande. 4. La detenzione dell'imputato all'estero non può comportare la sospensione o il differimento dell'udienza quando è possibile la partecipazione all'udienza in collegamento audiovisivo, nei casi in cui l'imputato non dà il consenso o rifiuta di assistere. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all'articolo 420 ter del codice. 5. La partecipazione all'udienza attraverso il collegamento audiovisivo del testimone o del perito si svolge secondo le modalità e i presupposti previsti dagli

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accordi internazionali. Per quanto non espressamente disciplinato, si applica, in quanto compatibile, la disposizione dell'articolo 147 bis. (1) Questo articolo è stato inserito dall'art. 16 della L. 5 ottobre 2001, n. 367.

Capo XVII. DISPOSIZIONE FINALE.

206. (1) Regolamento ministeriale. 1. Con decreto del Ministro di grazia e giustizia sono adottate le disposizioni regolamentari che concernono (105, 144): a) la tenuta, anche in forma automatizzata, dei registri e degli altri strumenti di registrazione in materia penale; b) le modalità di formazione e di tenuta dei fascicoli degli uffici giudiziari penali; c) le altre attività necessarie per l'attuazione del codice non disciplinate dal presente decreto. 2. Il decreto previsto dal comma 1 e quello previsto dall'art. 199 sono emanati entro il 30 settembre 1989; all'uopo il Consiglio di Stato deve pronunziarsi entro quindici giorni dalla richiesta del parere (2). (1) Si veda l'art. 25 della L. 7 dicembre 2000, n. 397, che si riporta: «25. 1. Le disposizioni regolamentari di cui all'articolo 206 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, sono modificate conformemente a quanto previsto dalla presente legge». (2) Si vedano i DD.MM. 30 settembre 1989, n. 334 e 11 ottobre 1989, n. 347.

Titolo II. NORME DI COORDINAMENTO.

207. Ambito di applicazione delle disposizioni del codice. 1. Le disposizioni del codice si osservano nei procedimenti relativi a tutti i reati anche se previsti da leggi speciali, salvo quanto diversamente stabilito in questo titolo e nel titolo III (241 ss.).

208. Corrispondenza tra gli istituti e le disposizioni del codice e del codice abrogato. 1. Quando nelle leggi o nei decreti sono richiamati istituti o disposizioni del codice abrogato, il richiamo s'intende riferito agli istituti o alle disposizioni del codice che disciplinano la corrispondente materia.

209. Corrispondenza tra uffici e organi del codice e del codice abrogato. 1. Quando leggi o decreti indicano uffici o organi giudiziari con la denominazione del codice abrogato, l'indicazione si intende riferita agli uffici o agli organi giudiziari ai quali il codice attribuisce funzioni corrispondenti o analoghe.

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210. Competenza. 1. Continuano a osservarsi le disposizioni di leggi o decreti che regolano la competenza per materia (5 ss. c.p.p.) o per territorio (8 ss. c.p.p.) in deroga alla disciplina del codice nonché le disposizioni che prevedono la competenza del giudice penale in ordine a violazioni connesse a fatti costituenti reato.

211. Rapporti tra azione civile e azione penale. 1. Salvo quanto disposto dall'art. 75 comma 2 del codice, quando disposizioni di legge prevedono la sospensione necessaria del processo civile o amministrativo a causa della pendenza di un processo penale, il processo civile o amministrativo è sospeso fino alla definizione del processo penale se questo può dare luogo a una sentenza che abbia efficacia di giudicato nell'altro processo e se è già stata esercitata l'azione penale.

212. Costituzione di parte civile e intervento nel processo. 1. Quando leggi o decreti consentono la costituzione di parte civile o l'intervento nel processo penale al di fuori delle ipotesi indicate nell'art. 74 del codice, è consentito solo l'intervento nei limiti e alle condizioni previsti dagli artt. 91, 92, 93 e 94 del codice. 2. Resta in vigore l'art. 240 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (1). (1) Si tratta della legge fallimentare.

213. Responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti e provvisoria esecuzione. 1. Continua ad osservarsi la disposizione dell'art. 5 bis del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito nella L. 26 febbraio 1977, n. 39 (1). (1) Questa legge reca modifiche alla disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. Si riporta l'art. 5 bis citato: «5 bis. Le sentenze che pronunciano condanna a favore del danneggiato per il pagamento delle indennità spettanti a norma della presente legge e della L. 24 dicembre 1969, n. 990 (*), sono provvisoriamente esecutive». (*) Legge sull'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore e natanti.

214. Arresto o cattura da parte di organi che non esercitano funzioni penali. 1. Sono abrogate le disposizioni di leggi o decreti che prevedono l'arresto o la cattura da parte di organi giudiziari che non esercitano funzioni penali.

215. Rilascio del passaporto. 1. È abrogato l'art. 3 comma 1, lett. c) della L. 21 novembre 1967, n. 1185 (1). (1) Questa legge reca norme sui passaporti.

216. Modalità di esecuzione della custodia cautelare, delle pene e delle misure di sicurezza. 1. Continuano a osservarsi le disposizioni di leggi o decreti che prevedono speciali modalità per l'esecuzione della custodia cautelare,

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delle pene e delle misure di sicurezza in istituti penitenziari (285 , 312, 656, 658 c.p.p.).

217. Applicazione provvisoria di pene accessorie. 1. È abrogato l'art. 140 del codice penale. 2. È abrogata, altresì, ogni altra disposizione che prevede l'applicazione provvisoria di pene accessorie.

218. Ipoteca legale. 1. Sono abrogate le disposizioni del codice penale che prevedono l'ipoteca legale (189, 190 c.p.). 2. L'ipoteca legale per illeciti penali prevista da altre disposizioni di legge è sostituita con il sequestro conservativo secondo le norme del codice (316 ss. c.p.p.). 219. Associazioni segrete. 1. Continuano ad osservarsi le disposizioni processuali della L. 25 gennaio 1982, n. 17 (1). (1) La legge reca norme di attuazione dell'art. 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e scioglimento della Loggia P2.

220. Attività ispettive e di vigilanza.(1) 1. Quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale sono compiuti con l'osservanza delle disposizioni del codice. (1) Si veda l'art. 187 decies, comma 2, del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, introdotto con L. 18 aprile 2005, n. 62, sull'informativa del Presidente della Consob al pubblico ministero.

221. Modalità particolari per la denuncia delle notizie di reato. 1. Continuano ad osservarsi le disposizioni di leggi o decreti che prevedono modalità diverse da quelle indicate negli artt. 331 e 347 del codice per l'inoltro della denuncia all'autorità giudiziaria ovvero consentono di presentare la denuncia stessa ad altra autorità che a quella abbia l'obbligo di riferire.

222. Investigatori privati. 1. Fino all'approvazione della nuova disciplina sugli investigatori privati, l'autorizzazione a svolgere le attività indicate nell'articolo 327 bis del codice (1) è rilasciata dal prefetto agli investigatori che abbiano maturato una specifica esperienza professionale che garantisca il corretto esercizio dell'attività. 2. In deroga a quanto previsto dall'art. 135 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, l'incarico è iscritto in uno speciale registro in cui sono annotati: a) le generalità e l'indirizzo del difensore committente; b) la specie degli atti investigativi richiesti; c) la durata delle indagini, determinata al momento del conferimento dell'incarico.

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3. Nell'ambito delle indagini previste dal presente articolo non si applica la disposizione dell'art. 139 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773. 4. Ai fini di quanto disposto dall'articolo 103, commi 2 e 5, del codice, il difensore comunica il conferimento dell'incarico previsto dal comma 2 del presente articolo all'autorità giudiziaria procedente (2). (1) Le precedenti parole: «nell'art. 38» sono state così sostituite dalle attuali dall'art. 24, comma 1, lett. a), della L. 7 dicembre 2000, n. 397. Per il patrocinio a spese dello Stato dei non abbienti si veda l'art. 101 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come sostituito con L. 24 febbraio 2005, n. 25. (2) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 24, comma 1, lett. b), della L. 7 dicembre 2000, n. 397.

223. Analisi di campioni e garanzie per l'interessato. 1. Qualora nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione, a cura dell'organo procedente è dato, anche oralmente, avviso all'interessato del giorno, dell'ora e del luogo ove le analisi verranno effettuate. L'interessato o persona di sua fiducia appositamente designata possono presenziare alle analisi, eventualmente con l'assistenza di un consulente tecnico. A tali persone spettano i poteri previsti dall'art. 230 del codice. 2. Se leggi o decreti prevedono la revisione delle analisi e questa sia richiesta dall'interessato, a cura dell'organo incaricato della revisione, almeno tre giorni prima, deve essere dato avviso del giorno, dell'ora e del luogo ove la medesima verrà effettuata all'interessato ed al difensore eventualmente nominato. Alle operazioni di revisione l'interessato e il difensore hanno diritto di assistere personalmente, con l'assistenza eventuale di un consulente tecnico. A tali persone spettano i poteri previsti dall'art. 230 del codice. 3. I verbali di analisi non ripetibili e i verbali di revisione di analisi sono raccolti nel fascicolo per il dibattimento, sempre che siano state osservate le disposizioni dei commi 1 e 2.

224. Violazione del foglio di via da parte dello straniero. 1. Continuano a osservarsi le disposizioni dell'art. 152 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 che prevedono l'arresto dello straniero munito di foglio di via obbligatorio che si allontani dall'itinerario prescritto (1). 2. Se l'arresto è convalidato e ricorre taluna delle esigenze cautelari previste dall'art. 274 lett. a) e c) del codice ovvero concreto pericolo di fuga, in deroga a quanto stabilito nell'art. 280 del codice il giudice, su richiesta del pubblico ministero, dispone l'applicazione di una misura coercitiva. 3. Nei casi di applicazione di misure coercitive a norma del comma 2, si applicano, ridotti di due terzi, i termini di durata previsti dall'art. 303 del codice per i delitti puniti con la reclusione non superiore nel massimo a sei anni, ma la durata complessiva delle misure non può comunque superare il termine di tre mesi. 4. Le disposizioni del presente articolo si applicano non oltre il termine di due anni a decorrere dall'entrata in vigore del codice.

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(1) L'art. 152 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, è stato abrogato dall'art. 13 del D.L. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 1990, n. 39, sull'ingresso, il soggiorno e la regolarizzazione dei cittadini extracomunitari.

225. (1) Perquisizioni domiciliari. 1. Continuano ad osservarsi le disposizioni dell'art. 41 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 e dell'art. 33 della L. 7 gennaio 1929, n. 4 (2). (1) Si veda l'art. 102 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come sostituito con L. 24 febbraio 2005, n. 25. (2) Questa legge reca norme per la repressione delle violazioni finanziarie.

226. (1) (2) Intercettazione e controlli preventivi sulle comunicazioni. 1. Il Ministro dell'interno o, su sua delega, i responsabili dei servizi centrali di cui all'articolo 12 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, nonché il questore o il comandante provinciale dei Carabinieri e della Guardia di finanza, richiedono al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a controllo ovvero, nel caso non sia determinabile, del distretto in cui sono emerse le esigenze di prevenzione, l'autorizzazione all'intercettazione di comunicazioni o conversazioni, anche per via telematica, nonché all'intercettazione di comunicazioni o conversazioni tra presenti anche se queste avvengono nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale, quando sia necessario per l'acquisizione di notizie concernenti la prevenzione di delitti di cui all'articolo 407 comma 2 lettera a) n. 4 e 51 comma 3 bis del codice, nonché di quelli di cui all'articolo 51, comma 3 quater, del codice, commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche (3). Il Ministro dell'interno può altresì delegare il Direttore della Direzione investigativa antimafia limitatamente ai delitti di cui all'articolo 51 comma 3 bis del codice. 2. Il procuratore della Repubblica, qualora vi siano elementi investigativi che giustifichino l'attività di prevenzione e lo ritenga necessario, autorizza l'intercettazione per la durata massima di giorni quaranta, prorogabile per periodi successivi di giorni venti ove permangano i presupposti di legge. L'autorizzazione alla prosecuzione delle operazioni è data dal pubblico ministero con decreto motivato, nel quale deve essere dato chiaramente atto dei motivi che rendono necessaria la prosecuzione delle operazioni. 3. Delle operazioni svolte e dei contenuti intercettati è redatto verbale sintetico che, unitamente ai supporti utilizzati, è depositato presso il procuratore che ha autorizzato le attività entro cinque giorni dal termine delle stesse. Il predetto termine è di dieci giorni se sussistono esigenze di traduzione delle comunicazioni o conversazioni (4). Il procuratore, verificata la conformità delle attività compiute all'autorizzazione, dispone l'immediata distruzione dei supporti e dei verbali. 3 bis. In deroga a quanto previsto dal comma 3, il procuratore può autorizzare, per un periodo non superiore a ventiquattro mesi, la conservazione dei dati acquisiti, anche relativi al traffico telematico, esclusi comunque i contenuti delle

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comunicazioni, quando gli stessi sono indispensabili per la prosecuzione dell'attività finalizzata alla prevenzione di delitti di cui al comma 1 (5). 4. Con le modalità e nei casi di cui ai commi 1 e 3, può essere autorizzato il tracciamento delle comunicazioni telefoniche e telematiche, nonché l'acquisizione dei dati esterni relativi alle comunicazioni telefoniche e telematiche intercorse e l'acquisizione di ogni altra informazione utile in possesso degli operatori di telecomunicazioni. 5. In ogni caso gli elementi acquisiti attraverso le attività preventive non possono essere utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi. In ogni caso le attività di intercettazione preventiva di cui ai commi precedenti, e le notizie acquisite a seguito delle attività medesime, non possono essere menzionate in atti di indagine nè costituire oggetto di deposizione nè essere altrimenti divulgate. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall'art. 5, comma 1, del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438. Si vedano altresì i commi 3-3 ter dell'art. 5 del medesimo D.L., che si riportano: «3. Le intercettazioni di comunicazioni telefoniche e telematiche di cui all'articolo 226 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, come sostituito dal comma 1, sono eseguite con impianti installati presso la Procura della Repubblica o presso altre idonee strutture individuate dal procuratore che concede l'autorizzazione. «3 bis. Chiunque divulga a persone non autorizzate o pubblica, anche solo parzialmente, il contenuto delle intercettazioni di cui all'articolo 226 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, come sostituito dal comma 1, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. «3 ter. Chiunque, nel corso delle operazioni sotto copertura di cui all'articolo 4, indebitamente rivela ovvero divulga i nomi degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che effettuano le operazioni stesse, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da due a sei anni». (2) Si veda l'art. 4 del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155, di cui si riporta il testo: «4. (*) (Nuove norme per il potenziamento dell'attività informativa). 1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri può delegare i direttori dei servizi di informazione per la sicurezza di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 3 agosto 2007, n. 124, a richiedere l'autorizzazione per svolgere le attività di cui all'articolo 226 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e successive modificazioni, quando siano ritenute indispensabili per l'espletamento delle attività loro demandate dagli articoli 6 e 7 della legge 3 agosto 2007, n. 124. «2. L'autorizzazione di cui al comma 1 è richiesta al procuratore generale presso la corte di appello di Roma. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 dell'articolo 226 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e successive modificazioni.». (*) Questo articolo, da prima modificato dalla legge di conversione 31 luglio 2005, n. 155 e dall'art. 13, della L. 3 agosto 2007, n. 124, è stato da ultimo così sostituito dall'art. 12, comma 1, della l. 7 agosto 2012, n. 133. (3) Le parole: «, nonché di quelli di cui all'articolo 51, comma 3 quater, del codice, commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche» sono state aggiunte dall'art. 2, comma 1 quater, lett. a), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43. (4) Questo periodo è stato aggiunto dall'art. 4, comma 3, del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43.

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(5) Questo comma è stato inserito dall'art. 2, comma 1 quater, lett. b), del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43.

227 − 228. (Omissis) (1). (1) Questi articoli sono stati abrogati dall'art. 136 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, testo unico delle leggi sugli stupefacenti.

229. Disposizioni speciali in materia di sequestri. 1. Continuano ad osservarsi, se più brevi, i termini previsti da leggi o decreti per la trasmissione del verbale di sequestro effettuato dalla polizia giudiziaria e per la successiva convalida (355 c.p.p.). In ogni caso i provvedimenti relativi ai sequestri per il procedimento penale sono assoggettati soltanto ai rimedi previsti dal codice.

230. Fermo, arresto e cattura. 1. Le disposizioni dell'art. 384 del codice si osservano anche quando leggi o decreti prevedono il fermo o l'arresto fuori dei casi di flagranza per delitti punibili con la reclusione superiore nel massimo a tre anni. 2. Ai fini della determinazione di effetti giuridici diversi dalla cattura, se in leggi o decreti si fa riferimento a reati per i quali è previsto il mandato o l'ordine di cattura obbligatorio, il riferimento deve intendersi operato ai delitti non colposi consumati o tentati previsti dall'art. 380 commi 1 e 2 lett. a), b), d), f), i) del codice nonché, se la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni, dalle lett. c), g), h) dello stesso comma 2. Se il riferimento è fatto a reati per i quali è previsto il mandato o l'ordine di cattura facoltativo, esso deve intendersi operato ai delitti indicati nell'art. 380 del codice diversi da quelli menzionati nel primo periodo del presente comma. 3. Restano in vigore l'art. 133 comma 4 del D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 (1) e l'art. unico, comma 1, del D.P.R. 4 luglio 1980, n. 575 (2). (1) Si veda ora l'art. 189, comma 8, del nuovo codice della strada, emanato con D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, in vigore dall'1 gennaio 1993. (2) L'art. un., comma 1, del D.P.R. 4 luglio 1980, n. 575, così dispone: «Il personale addetto all'esercizio delle ferrovie dello Stato, sia terrestre che marittimo, e di altre ferrovie o tramvie pubbliche ha l'obbligo di non abbandonare il servizio nel caso di sinistro o incidenti o ogni altra evenienza che possa configurare ipotesi di reato nel quale sia coinvolto nello svolgimento e a causa delle mansioni inerenti alla circolazione ferrotramviaria ed alle attività ad essa specificamente e direttamente connesse. In tal caso il personale suindicato non è soggetto ad arresto per flagranza di reato».

231. Esercizio dell'azione penale da parte di organi diversi dal pubblico ministero. 1. Sono abrogate le disposizioni di leggi o decreti che prevedono l'esercizio dell'azione penale da parte di organi diversi dal pubblico ministero (405 c.p.p.).

232. Corrispondenza tra sentenza istruttoria, sentenza di non luogo a procedere e provvedimento di archiviazione. 1. Le sentenze

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istruttorie di non doversi procedere emesse a norma del codice abrogato sono equiparate, nei corrispondenti casi, ai provvedimenti di archiviazione per mancanza di una condizione di procedibilità (411 c.p.p.) o per essere ignoto l'autore del reato (415 c.p.p.) ovvero alle sentenze di non luogo a procedere previste dal codice (425 c.p.p.).

233. Giudizio direttissimo. 1. Sono abrogate le disposizioni di leggi o decreti che prevedono il giudizio direttissimo in casi, con forme o termini diversi da quelli indicati nel codice. 2. Tuttavia, il pubblico ministero, procede al giudizio direttissimo, anche fuori dei casi previsti dagli artt. 449 e 566 del codice, per i reati concernenti le armi e gli esplosivi e per i reati commessi con il mezzo della stampa (1) (2). (1) La Corte costituzionale, con sentenza 8 febbraio 1991 n. 68, ha dichiarato illegittimo questo comma. (2) A norma dell'art. 12 bis del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356, per i reati concernenti le armi e gli esplosivi, il pubblico ministero procede al giudizio direttissimo anche fuori dei casi previsti dagli artt. 449 e 558 c.p.p., salvo che siano necessarie speciali indagini.

234. Richiesta di sanzioni sostitutive da parte dell'imputato. 1. Salvo quanto stabilito dall'art. 248 comma 4, sono abrogati gli artt. 77, 78, 79 e 80 della L. 24 novembre 1981, n. 689 (1). (1) Si tratta della legge recante «modifiche al sistema penale».

235. Violazioni di leggi finanziarie. 1. Nei procedimenti relativi a violazioni delle leggi finanziarie continua ad osservarsi la disposizione dell'art. 53 della L. 7 gennaio 1929, n. 4 (1). (1) Questa legge reca norme per la repressione delle violazioni finanziarie.

236. Disposizioni concernenti il tribunale di sorveglianza. 1. Competente a dichiarare l'estinzione della pena in conseguenza della liberazione condizionale o dell'affidamento in prova al servizio sociale (1) è il tribunale di sorveglianza (682 c.p.p.). 2. Nelle materie di competenza del tribunale di sorveglianza continuano ad osservarsi le disposizioni processuali della L. 26 luglio 1975, n. 354 diverse da quelle contenute nel capo II bis del titolo II della stessa legge (2) (3). (1) Si veda l'art. 47 della L. 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario. (2) Si tratta degli artt. 71 ss. della L. n. 354/1975 sull'ordinamento penitenziario. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 53 del 16 febbraio 1993, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma e degli artt. 14 ter, primo, secondo e terzo comma, e 30 bis della L. 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui non consentono l'applicazione degli artt. 666 e 678 c.p.p. nel procedimento di reclamo avverso il decreto del magistrato di sorveglianza che esclude dal computo della detenzione il periodo trascorso in permesso premio.

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237. (1) Eliminazione di iscrizioni dal casellario giudiziale. 1. Sono eliminate dal casellario giudiziale le iscrizioni non previste dal codice e dalle relative disposizioni di attuazione. Per le iscrizioni concernenti reati di competenza del tribunale per i minorenni si osserva quanto stabilito nel D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 e nelle relative norme di attuazione, di coordinamento e transitorie. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 52, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal 45° giorno a partire dalla data di pubblicazione avvenuta sul Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2003.

238. Individuazione del pubblico ministero e del giudice per le indagini preliminari nel procedimento di assise. 1. Per i reati di competenza della corte di assise le indagini preliminari (327, 328 c.p.p.) sono svolte dal procuratore della Repubblica presso il tribunale individuato a norma degli artt. 8, 9, 10, 11 e 16 del codice. Con i medesimi criteri è individuato il giudice per le indagini preliminari. È fatto salvo quanto previsto dagli artt. 51, comma 3 bis e 328 comma 1 bis del codice (1). 2. Il procuratore della Repubblica indicato nel comma 1 partecipa al dibattimento davanti alla corte di assise e, nelle ipotesi di giudizio direttissimo, presenta l'imputato davanti al giudice del dibattimento. 3. Sono abrogati gli artt. 3 e 4 della L. 24 novembre 1951, n. 1324 (2). (1) L'ultimo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 4 del D.L. 20 novembre 1991, n. 367, istitutivo della Direzione Nazionale Antimafia, convertito, con modificazioni, nella L. 20 gennaio 1992, n. 8. Questa disposizione, ai sensi dell'art. 15 del medesimo decreto, si applica solo ai procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. (2) Gli artt. 3 e 4 della L. n. 1324/1951, recante modifiche alla L. 10 aprile 1951, n. 287, sul riordinamento dei giudizi di assise, disciplinavano la competenza per l'istruzione e le modalità per il giudizio direttissimo avanti la corte di assise.

239. Interruzione della prescrizione. 1. Il comma 2 dell'art. 160 del codice penale è sostituito dal seguente: (Omissis).

240. (1) Trattamento sanitario del detenuto. 1. Il provvedimento previsto dall'art. 11 comma 2 della L. 26 luglio 1975, n. 354 è adottato con ordinanza dal giudice che procede. Prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari. Dopo la pronuncia della sentenza di primo grado provvede il magistrato di sorveglianza. 2. Il provvedimento è revocato appena sono cessate le ragioni che lo hanno determinato e può essere modificato per garantire le esigenze di sicurezza che siano sopravvenute. La competenza per la revoca e per la modifica è determinata a norma del comma 1. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 2 del D.L.vo 2 ottobre 2018, n. 123.

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240 bis. (1) Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. L'art. 2 della L. 7 ottobre 1969, n. 742, è sostituito dal seguente: (Omissis). (1) Questo articolo è stato aggiunto dal D.L.vo 20 luglio 1990, n. 193.

Titolo III. NORME TRANSITORIE.

241. Procedimenti in corso che si trovano in una fase diversa da quella istruttoria. 1. Salvo quanto previsto dal presente titolo, i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del codice proseguono con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti se a tale data è stata già richiesta la citazione a giudizio ovvero sono stati emessi sentenza istruttoria di proscioglimento non irrevocabile, ordinanza di rinvio a giudizio, decreto di citazione a giudizio o decreto penale di condanna ovvero è stato disposto il giudizio direttissimo.

242. Procedimenti in fase istruttoria che proseguono con le norme anteriormente vigenti. 1. La disposizione dell'art. 241 si osserva altresì: a) nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del codice quando è stato compiuto un atto di istruzione del quale è previsto il deposito e il fatto è stato contestato all'imputato ovvero enunciato in un mandato o in un ordine rimasto senza effetto; b) quando, prima dell'entrata in vigore del codice, è stato eseguito l'arresto in flagranza o il fermo; c) nei procedimenti connessi a norma dell'art. 45 del codice abrogato per i quali le condizioni indicate nelle lett. a) e b) ricorrono anche relativamente a uno solo degli indiziati o imputati ovvero a una sola delle imputazioni, sempre che alla data di entrata in vigore del codice i procedimenti siano già riuniti. 2. Quando si procede con istruzione sommaria, se entro il 31 dicembre 1990 (1) non è stato ancora richiesto il decreto di citazione a giudizio o richiesta la sentenza di proscioglimento o non è stato disposto il giudizio direttissimo, il pubblico ministero entro i successivi trenta giorni trasmette il fascicolo con le sue conclusioni al giudice istruttore. Questi provvede agli adempimenti previsti dall'art. 372 del codice abrogato ed entro sessanta giorni dalla scadenza del termine ivi indicato pronuncia sentenza di proscioglimento od ordinanza di rinvio a giudizio. 3. Quando si procede con istruzione formale, se l'istruzione è ancora in corso alla data del 31 dicembre 1990 ovvero, quando si tratta dei reati indicati nell'art. 407 comma 2 lett. a) del codice, alla data del 30 giugno 1997 (2), il giudice istruttore entro cinque giorni deposita il fascicolo in cancelleria, dandone avviso al pubblico ministero a norma dell'art. 369 del codice abrogato. Entro sessanta giorni dalla scadenza del termine previsto dall'art. 372 del codice abrogato, il giudice istruttore pronuncia sentenza di proscioglimento od ordinanza di rinvio a giudizio (3). 4. Nei procedimenti di competenza del pretore (4), se alla data del 31 dicembre 1990 (1) l'istruzione è ancora in corso, il pretore (4) entro trenta giorni pronuncia

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sentenza di proscioglimento, decreto di citazione a giudizio o decreto penale di condanna ovvero dispone il giudizio direttissimo. (1) Termine così stabilito, da ultimo, dall'art. 1 del D.L.vo 17 ottobre 1990, n. 293, recante nuova disciplina dei procedimenti in fase di istruzione formale che proseguono con le norme del codice di procedura penale abrogato, in vigore dal 20 ottobre 1990. (2) Termine così da ultimo stabilito dall'art. 1 della L. 2 luglio 1996, n. 343, recante proroga dei termini relativi ai procedimenti penali in fase di istruzione formale. A norma dell'art. 1 della L. 27 giugno 1997, n. 183, questo termine è ulteriormente prorogato al 31 dicembre 1997, limitatamente ai procedimenti nei quali siano contestati i delitti previsti dagli articoli 285, 286, 422 e 428 c.p. (3) Questo comma è stato così sostituito dall'art. 1 del D.L.vo 17 ottobre 1990, n. 293, recante nuova disciplina dei procedimenti in fase di istruzione formale che proseguono con le norme del codice di procedura penale abrogato, in vigore dal 20 ottobre 1990. (4) Ai sensi del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, l'ufficio del pretore è soppresso a decorrere dal 2 giugno 1999, fatta salva l'attività necessaria per l'esaurimento degli affari pendenti. Le relative competenze sono trasferite al tribunale ordinario, fuori dei casi in cui è diversamente disposto dal predetto provvedimento.

243. Revoca delle sentenze di proscioglimento. 1. Le sentenze istruttorie di proscioglimento emesse nei procedimenti indicati nell'art. 242 comma 1 possono essere revocate nei casi e con le forme previste dal titolo X del libro V del codice (434 ss. c.p.p.). 2. In caso di revoca di una sentenza istruttoria di proscioglimento si osservano le disposizioni del codice. Gli atti di polizia giudiziaria e gli atti istruttori già compiuti sono considerati ad ogni effetto come compiuti nel corso delle indagini preliminari (258); tuttavia, quando si tratta di esperimenti giudiziali, perizie o ricognizioni, anche compiuti all'estero col rispetto del contraddittorio, i relativi verbali sono raccolti nel fascicolo previsto dall'art. 431 del codice (1). (1) Comma così modificato dall'art. 2 del D.L.vo 17 ottobre 1990, n. 293, recante nuova disciplina dei procedimenti in fase di istruzione formale che proseguono con le norme del codice di procedura penale abrogato, in vigore dal 20 ottobre 1990.

244. Disciplina applicabile in caso di regressione dei procedimenti alla fase istruttoria. 1. Le disposizioni dell'art. 243 comma 2 si osservano anche quando, dopo la scadenza dei termini indicati nell'art. 242 commi 2, 3 e 4, i procedimenti proseguiti con l'applicazione delle norme vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del codice regrediscono per qualunque motivo alla fase istruttoria ovvero quando i termini suddetti non sono rispettati. In tali casi si osservano altresì le seguenti disposizioni (1): a) i termini che, secondo il codice, decorrono dal momento in cui è effettuata taluna delle iscrizioni nel registro previsto dall'art. 335, sono computati a partire dalla data del provvedimento che dispone la regressione del procedimento o la trasmissione degli atti al pubblico ministero; b) alle nullità relative verificatesi nel corso dell'istruzione si applica l'art. 181 commi 1 e 2 del codice;

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c) alla parte civile ritualmente costituita spettano nelle indagini preliminari i poteri attribuiti dal codice alla persona offesa (258). 2. Quando non sono rispettati i termini indicati nell'art. 242 commi 2, 3 e 4, il pubblico ministero, il giudice istruttore o il pretore (2) comunica al procuratore generale presso la corte di appello che ne informa il Ministro di grazia e giustizia, le ragioni che hanno impedito l'osservanza dei predetti termini e dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero. (1) Comma così modificato dall'art. 2 del D.L.vo 17 ottobre 1990, n. 293, recante nuova disciplina dei procedimenti in fase di istruzione formale che proseguono con le norme del codice di procedura penale abrogato, in vigore dal 20 ottobre 1990. (2) Ai sensi del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, l'ufficio del pretore è soppresso a decorrere dal 2 giugno 1999, fatta salva l'attività necessaria per l'esaurimento degli affari pendenti. Le relative competenze sono trasferite al tribunale ordinario, fuori dei casi in cui è diversamente disposto dal predetto provvedimento.

245. Disposizioni del codice applicabili ai procedimenti che proseguono con le norme anteriormente vigenti. 1. Nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del codice che proseguono con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti si osservano le disposizioni degli artt. 246, 247, 248, 249, 250, 251, 252, 253, 254, 255, 256 e 257. 2. Nei procedimenti indicati nel comma 1 si osservano, inoltre, le seguenti disposizioni del codice: a) art. 104 (colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare); b) art. 192 (valutazione della prova); c) art. 200 (segreto professionale); d) art. 207 (testimoni sospettati di falsità o reticenza. Testimoni renitenti); e) art. 296 comma 3, per i soli procedimenti pendenti nella fase istruttoria (latitanza); f) art. 298 (sospensione dell'esecuzione delle misure); g) artt. 314 e 315 (riparazione per l'ingiusta detenzione); h) art. 476 comma 2 (divieto di arresto del testimone in udienza); i) art. 486 comma 5 (assenza del difensore); l) art. 508 commi 1 e 2 (perizia in dibattimento); m) art. 564 (tentativo di conciliazione); n) art. 578 (decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione); o) art. 586 (impugnazione di ordinanze emesse nel dibattimento); p) art. 597 commi 4 e 5 (sentenza d'appello); q) art. 599 (decisioni d'appello in camera di consiglio).

246. Questioni pregiudiziali. 1. Per la risoluzione delle questioni pregiudiziali si osservano le disposizioni del codice nonché quelle delle leggi vigenti. Se è stata disposta la sospensione del processo e questa non è più consentita, la relativa ordinanza è revocata.

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247. Giudizio abbreviato. 1. Prima che siano state compiute le formalità di apertura del dibattimento di primo grado, l'imputato può chiedere, nella forma prevista dall'art. 438 del codice, che il processo sia definito allo stato degli atti a norma dell'art. 442 del codice. 2. Alla presentazione della richiesta il giudice, sospese le formalità di apertura del dibattimento se già iniziate, ne dà avviso al pubblico ministero, che nei cinque giorni successivi esprime o nega il proprio consenso. Se il consenso interviene e il giudice ritiene di poter decidere allo stato degli atti, fissa con ordinanza l'udienza in camera di consiglio, dandone avviso al pubblico ministero, all'imputato, al difensore e alla parte civile. All'udienza, il pubblico ministero e i difensori della parte civile e dell'imputato illustrano, nell'ordine, le rispettive conclusioni; l'imputato può chiedere di essere interrogato dopo le conclusioni del pubblico ministero. Terminata la discussione, il giudice pronuncia sentenza a norma dell'art. 442 del codice. La sentenza ha autorità di cosa giudicata nel giudizio civile se la parte civile ha presentato le sue conclusioni all'udienza. Si osservano le disposizioni previste dall'art. 443 del codice. 3. Il giudice, se non vi è il consenso del pubblico ministero o se ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, pronuncia ordinanza con la quale dispone procedersi nelle forme ordinarie (1). 4. Quando la richiesta prevista dal comma 1 è formulata nel corso dell'istruzione, la competenza a provvedere spetta al giudice istruttore. Se si procede con istruzione sommaria, la richiesta è depositata presso la segreteria del pubblico ministero il quale, se esprime il proprio consenso, la trasmette al giudice istruttore unitamente agli atti del processo. Nei procedimenti di competenza del pretore (2) il consenso è espresso dal pubblico ministero indicato nell'art. 550 comma 1 lett. a) del codice. Si osservano in ogni caso, in quanto applicabili, le disposizioni previste dai commi 1, 2 e 3. 5. Quando si procede a carico di più imputati o per più imputazioni e sussistono i presupposti per definire il processo allo stato degli atti solo per alcuni degli imputati o per alcune delle imputazioni, il giudice, anche di ufficio, dispone con ordinanza la separazione dei procedimenti. (1) La Corte costituzionale, con sentenza 8 febbraio 1990, n. 66, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei primi tre commi, nella parte in cui non prevedono che il pubblico ministero, in caso di dissenso, debba enunciare le ragioni e nella parte in cui non prevedono che il giudice, quando, a dibattimento concluso, ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, possa applicare all'imputato la riduzione di pena contemplata dall'art. 442, comma 2, c.p.p. (2) Ai sensi del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, l'ufficio del pretore è soppresso a decorrere dal 2 giugno 1999, fatta salva l'attività necessaria per l'esaurimento degli affari pendenti. Le relative competenze sono trasferite al tribunale ordinario, fuori dei casi in cui è diversamente disposto dal predetto provvedimento.

248. Applicazione della pena su richiesta delle parti. 1. Prima che siano compiute le formalità di apertura del dibattimento di primo grado, l'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 del codice. Se la richiesta non è formulata in udienza, il giudice ne dà avviso all'altra parte che, nei cinque giorni successivi, esprime o nega il proprio consenso. La richiesta e il consenso sono espressi nelle forme previste dall'art. 446 commi 2, 3 e 6 del codice. Il giudice, se non deve provvedere a norma dell'art. 421 del

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codice abrogato e sempre che ne sussistano i presupposti, pronuncia la sentenza prevista dall'art. 444 comma 2 del codice. Si osservano le disposizioni previste dagli artt. 444 comma 2, 445 e 448 del codice. Quando non pronuncia sentenza, il giudice dispone con ordinanza procedersi nelle forme ordinarie. 2. Se la richiesta è formulata nel corso dell'istruzione, la competenza a provvedere spetta al giudice istruttore, osservate, in quanto compatibili, le disposizioni previste dall'art. 447 del codice. Quando si procede con istruzione sommaria, la richiesta dell'imputato è depositata presso la segreteria del pubblico ministero il quale, se esprime il proprio consenso, la trasmette al giudice istruttore unitamente agli atti del processo, altrimenti emette decreto motivato di dissenso. Quando il pubblico ministero ritiene che il processo possa essere definito con la sentenza prevista dall'art. 444 del codice, notifica all'imputato avviso di deposito della richiesta che intende rivolgere al giudice; se l'imputato esprime il proprio consenso, il pubblico ministero trasmette la richiesta, il consenso e gli atti del procedimento al giudice istruttore che provvede a norma del primo periodo del presente comma. Nei procedimenti di competenza del pretore (1), il consenso o il dissenso motivato è espresso dal pubblico ministero indicato nell'art. 550 comma 1 lett. a) del codice. 3. Si osservano le disposizioni previste dall'art. 247 comma 5. 4. Continuano ad osservarsi le disposizioni relative alla applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato, a norma della L. 24 novembre 1981, n. 689, se la richiesta medesima è stata formulata anteriormente all'entrata in vigore del codice e sempre che l'interessato non si avvalga delle facoltà previste dall'art. 247 e dal presente articolo. (1) Ai sensi del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, l'ufficio del pretore è soppresso a decorrere dal 2 giugno 1999, fatta salva l'attività necessaria per l'esaurimento degli affari pendenti. Le relative competenze sono trasferite al tribunale ordinario, fuori dei casi in cui è diversamente disposto dal predetto provvedimento.

249. Procedimento per decreto. 1. Quando ritiene di emettere decreto di condanna, il pretore (1) può applicare una pena diminuita sino alla metà rispetto al minimo edittale. 2. Nei procedimenti di competenza del tribunale, sino alla chiusura dell'istruzione sommaria o formale, il pubblico ministero può chiedere al giudice istruttore di emettere decreto di condanna nei casi previsti dall'art. 459 del codice, anche per una pena diminuita fino alla metà rispetto al minimo edittale. Se il giudice accoglie la richiesta emette il decreto, altrimenti si procede secondo le forme ordinarie. Per il decreto di condanna e per l'eventuale giudizio di opposizione davanti al tribunale si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni del codice abrogato. (1) Ai sensi del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, l'ufficio del pretore è soppresso a decorrere dal 2 giugno 1999, fatta salva l'attività necessaria per l'esaurimento degli affari pendenti. Le relative competenze sono trasferite al tribunale ordinario, fuori dei casi in cui è diversamente disposto dal predetto provvedimento.

250. Disciplina delle misure cautelari, del fermo, dell'arresto e delle pene accessorie. 1. Successivamente alla data di entrata in vigore del codice può procedersi al fermo solo nei casi e alle condizioni previste dal codice. I mandati

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di cattura e gli ordini e i mandati di arresto possono essere emessi solo se ricorrono i presupposti indicati negli artt. 273, 274 e 280 del codice. 2. I provvedimenti sulla libertà personale disposti anteriormente alla data di entrata in vigore del codice sono revocati se non ricorrono i presupposti indicati nell'ultima parte del comma 1 ovvero, quando sono stati disposti con il provvedimento di convalida dell'arresto o di conferma della convalida, se sono relativi a reati per i quali il codice non consente l'arresto in flagranza. 3. Quando i provvedimenti indicati nel comma 2 sono stati emessi esclusivamente al fine di evitare il pericolo per l'acquisizione della prova, il termine previsto dall'art. 292 lett. d) del codice è fissato su richiesta di parte ovvero di ufficio se il provvedimento non è stato ancora eseguito. Competente a fissare il suddetto termine è il giudice che procede o, nel corso dell'istruzione sommaria, il giudice istruttore su richiesta del pubblico ministero o del pretore (1). 4. Alla data di entrata in vigore del codice cessa l'esecuzione delle pene accessorie provvisoriamente applicate. Il giudice indicato nel comma 3 può disporre in sostituzione di esse, qualora ne ricorrano le condizioni, le misure interdittive previste nel capo III del titolo I del libro IV del codice (287 ss. c.p.p.). (1) Ai sensi del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, l'ufficio del pretore è soppresso a decorrere dal 2 giugno 1999, fatta salva l'attività necessaria per l'esaurimento degli affari pendenti. Le relative competenze sono trasferite al tribunale ordinario, fuori dei casi in cui è diversamente disposto dal predetto provvedimento.

251. Durata delle misure cautelari e restituzione della cauzione. 1. Quando si procede nei confronti di un imputato che si trovi in stato di custodia cautelare si osservano le disposizioni del codice sui termini di durata della custodia stessa calcolati a decorrere dalla data di entrata in vigore del codice. Tuttavia, la durata della custodia cautelare non può superare i termini previsti dalle norme del codice abrogato. 2. Le misure previste dall'art. 282 comma 1 del codice abrogato, imposte anteriormente alla data di entrata in vigore del codice, sono revocate quando dalla loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari a quello indicato nell'art. 308, comma 1, del codice. 3. Se alla data di entrata in vigore del codice non è stata pronunciata l'ordinanza prevista dal comma 4 ovvero quella prevista dal comma 6 dell'art. 292 del codice abrogato, la cauzione è restituita a richiesta dell'imputato o dei suoi eredi ed i fideiussori sono liberati.

252. Infermità di mente sopravvenuta all'imputato. 1. Quando l'imputato si trova ricoverato per infermità di mente sopravvenuta a norma dell'art. 88 del codice abrogato, o tale infermità è accertata successivamente alla data di entrata in vigore del codice, si osservano le disposizioni previste dagli artt. 72 e 73 commi 1, 2 e 3 del codice. 2. I provvedimenti previsti dall'art. 73 commi 1, 2 e 3 del codice sono adottati senza ritardo dal giudice anche di ufficio.

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253. Trasferimento delle funzioni della sezione istruttoria. 1. Le funzioni attribuite dal codice abrogato alla sezione istruttoria sono esercitate dalla corte di appello.

254. Formule di proscioglimento. 1. Le sentenze di proscioglimento possono essere pronunciate solo con le formule previste dal codice. 255. Ricorso immediato per cassazione. 1. La parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado può proporre direttamente ricorso per cassazione. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dell'art. 569 del codice.

256. Criteri per il rinvio a giudizio. 1. La richiesta e il decreto di citazione a giudizio nonché l'ordinanza di rinvio a giudizio sono emessi solo quando il pubblico ministero, il pretore (1) o il giudice istruttore ritengono che gli elementi di prova raccolti siano sufficienti a determinare, all'esito della istruttoria dibattimentale, la condanna dell'imputato. (1) Ai sensi del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, l'ufficio del pretore è soppresso a decorrere dal 2 giugno 1999, fatta salva l'attività necessaria per l'esaurimento degli affari pendenti. Le relative competenze sono trasferite al tribunale ordinario, fuori dei casi in cui è diversamente disposto dal predetto provvedimento.

257. Criteri per l'emissione delle sentenze di proscioglimento. 1. Ai fini della pronuncia delle sentenze istruttorie di proscioglimento ovvero di quelle previste dall'art. 421 del codice abrogato, il giudice può tenere conto delle diminuzioni di pena derivanti da circostanze attenuanti e applicare le disposizioni dell'art. 69 del codice penale. 258. (1) Procedimenti che proseguono secondo le disposizioni del codice. 1. I procedimenti in corso diversi da quelli indicati negli artt. 241 e 242 proseguono con l'osservanza delle disposizioni del codice, ma i termini previsti dagli artt. 405 comma 2 e 553 comma 1 del codice sono di dodici mesi e il termine di durata massima delle indagini preliminari scade il 31 dicembre 1991. 2. Il termine per la richiesta di giudizio immediato previsto dall'art. 454 comma 1 del codice è di nove mesi; il termine per la richiesta di emissione del decreto penale di condanna previsto dall'art. 459 comma 1 del codice è di dodici mesi. 3. Detti termini sono computati dalla data di entrata in vigore del codice. Per gli atti di polizia giudiziaria e per gli atti istruttori si osservano le disposizioni previste dagli artt. 243 comma 2 e 244 comma 1. 4. Qualora alla scadenza dei termini per le indagini preliminari il pubblico ministero non abbia esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione, la proroga prevista dagli artt. 406 comma 1 e 553 comma 2 del codice opera di diritto fino al 31 dicembre 1991 per i procedimenti indicati nel comma 1 e per la durata di dodici mesi per i procedimenti relativi alle notizie di reato pervenute agli uffici di procura della Repubblica dalla data di entrata in vigore del codice fino a tutto il 31 maggio 1990.

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Per i suddetti procedimenti, in deroga a quanto previsto dall'art. 412 comma 1 del codice, il procuratore generale presso la corte di appello ha facoltà di avocare le indagini preliminari qualora il pubblico ministero non abbia esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione nei termini. Nei casi di proroga dei termini per le indagini preliminari previsti dal presente comma, la richiesta di emissione del decreto penale di condanna, in deroga a quanto previsto dall'art. 459 comma 1 del codice, può essere trasmessa entro il termine prorogato. (1) Questo articolo, già sostituito dall'art. 1 del D.L.vo 17 febbraio 1990, n. 24 e modificato dall'art. 4 del D.L.vo 22 giugno 1990, n. 161, è stato così sostituito, da ultimo, dall'art. 1 del D.L.vo 7 dicembre 1990, n. 369, in vigore dall'8 dicembre 1990, recante ulteriore prolungamento dei termini per le indagini preliminari nel regime transitorio.

259. Disciplina della competenza e della riunione dei procedimenti. 1. Ai fini della determinazione della competenza per materia e per territorio le disposizioni del codice si applicano solo per i reati commessi successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. 2. La riunione non può essere disposta e la connessione non opera tra i procedimenti che proseguono con l'osservanza del codice abrogato e quelli per i quali si applica il codice.

260. Esecuzione. 1. Nelle materie regolate dal libro X del codice (648 ss. c.p.p.) si osservano le disposizioni ivi previste anche per i provvedimenti emessi anteriormente alla data di entrata in vigore del codice e per i procedimenti già iniziati a tale data, ferma restando la competenza del giudice davanti al quale i procedimenti medesimi sono in corso. Allegato (1) Spostamenti di competenza per i procedimenti penali nei quali un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato.

TabellaA Dal distretto di Roma Perugia Firenze Genova Torino Milano Brescia Venezia Trento Trieste

Al distretto di Perugia Firenze Genova Torino Milano Brescia Venezia Trento Trieste Bologna

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Bologna Ancona L'Aquila Campobasso Bari Lecce Potenza Cagliari

Ancona L'Aquila Campobasso Bari Lecce Potenza Catanzaro Roma (2) Caltanissetta Catania Messina Reggio Calabria Catanzaro Salerno Napoli Roma

Palermo Caltanissetta Catania Messina Reggio Calabria Catanzaro Salerno Napoli

(1) Questa tabella è stata allegata dall' art. 7 della L. 2 dicembre 1998, n. 420. (2) Il capoverso «Cagliari ... Palermo» è stato così sostituito dall'attuale «Cagliari ... Roma» dall'art. 1 della L. 24 luglio 2003, n. 199. Tale disposizione si applica ai procedimenti concernenti i reati commessi e ai giudizi civili iniziati successivamente alla data di entrata in vigore della predetta legge (G.U. n. 178 del 2 agosto 2003).

2. D.M. 30 settembre 1989, n. 334. Regolamento per l'esecuzione del codice di procedura penale ( Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 233 del 5 ottobre 1989).

1. 1. I compiti che il codice, le norme di attuazione e il presente regolamento attribuiscono all'ausiliario, al funzionario di cancelleria, al pubblico ufficiale, alla cancelleria o alla segreteria si intendono attribuiti al personale di cancelleria e di segreteria secondo le mansioni a ciascuno spettanti a norma delle disposizioni sullo stato giuridico. 2. Il dirigente dell'ufficio di cancelleria o di segreteria, con ordine di servizio, ripartisce i compiti fra il personale, in modo da assicurare la continuità ed efficienza del servizio.

2. (1) 1. Gli uffici giudiziari tengono, nella materia penale, i registri obbligatori conformi ai modelli approvati con decreto del Ministro di grazia e giustizia. Possono altresì tenere i registri sussidiari, senza carattere ufficiale, che ritengono utili.

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2. I registri non devono presentare alterazioni o abrasioni. Se occorre eseguire cancellature, le stesse sono fatte in modo da lasciar leggere le parole cancellate. 3. I registri sono tenuti in luogo non accessibile al pubblico e possono essere consultati solo dal personale autorizzato. (1) Si veda il D.M. 27 marzo 2000, n. 264, recante regolamento per la tenuta dei registri presso gli uffici giudiziari.

3. 1. Nella formazione dei fascicoli si osservano le disposizioni seguenti: a) gli atti e le produzioni sono inseriti nel fascicolo in ordine cronologico a cura della cancelleria o segreteria, che provvede alla numerazione delle singole pagine; b) la copertina del fascicolo deve contenere le generalità della persona a cui è attribuito il reato nonché la data e il numero della iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335 del codice. 2. Il fascicolo deve contenere: a) l'indice degli atti e delle produzioni; b) l'elenco delle cose sequestrate; c) la distinta delle spese anticipate dall'erario, diverse da quelle per le quali è stabilito il recupero in misura fissa; d) la copia della sentenza o del decreto penale di condanna.

4. 1. Le comunicazioni previste dall'art. 157 commi 3 e 8 del codice sono spedite in plico chiuso e contengono: a) il nome del destinatario della notificazione; b) la indicazione della natura dell'atto notificato e del luogo della notificazione; c) la data e la firma dell'ufficiale giudiziario. 2. Ricorrendone le ipotesi, le comunicazioni contengono altresì la indicazione del giudice o del pubblico ministero che ha emesso il provvedimento notificato nonché del luogo e della data di comparizione. 5. 1. Le denunce e gli altri documenti anonimi (333 c.p.p.) che non possono essere utilizzati nel procedimento sono annotati in apposito registro suddiviso per anni, nel quale sono iscritti la data in cui il documento è pervenuto e il relativo oggetto. 2. Il registro e i documenti sono custoditi presso la procura della Repubblica con modalità tali da assicurarne la riservatezza. 3. Decorsi cinque anni da quando i documenti indicati nel comma 1 sono pervenuti alla procura della Repubblica, i documenti stessi e il registro sono distrutti con provvedimento adottato annualmente dal procuratore della Repubblica. Delle relative operazioni è redatto verbale.

6. 1. La cancelleria o la segreteria dell'autorità giudiziaria che ha emesso un provvedimento relativo alla libertà personale di persona detenuta o internata lo comunica all'autorità preposta all'istituto penitenziario. A quest'ultima autorità sono

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comunicati per estratto i provvedimenti che dispongono la rimessione per qualunque causa del procedimento ad altra autorità giudiziaria e gli estratti delle sentenze.

7. 1. L'autorità preposta a un istituto penitenziario o un funzionario da essa delegato iscrive in un registro, in ordine cronologico, il cognome, il nome, il luogo e la data di nascita, la cittadinanza, la lingua, lo stato, il domicilio dichiarato o eletto, i contrassegni personali delle persone che riceve in custodia, il giorno della loro entrata nell'istituto, il tempo e il luogo del loro arresto con l'indicazione del provvedimento in forza del quale furono arrestate, dell'autorità a disposizione della quale si trova il detenuto e del nome di chi ha proceduto alla consegna. Nello stesso registro sono iscritti la data dell'uscita dall'istituto, il provvedimento che la ordina e la dichiarazione o l'elezione di domicilio prevista dall'art. 161 comma 3 del codice. 2. Nel registro sono altresì annotati i provvedimenti comunicati a norma dell'art. 6.

8. 1. La disposizione dell'art. 24 comma 2 del D.P.R. 29 aprile 1976, n. 431 (1), relativa alla vidimazione da parte del magistrato di sorveglianza, si applica anche al registro previsto dall'art. 57 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271. (1) Si veda ora il D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230.

9. 1. Nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica della persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari (284 c.p.p.). 2. La disposizione del comma 1 non si applica se la misura degli arresti domiciliari è eseguita presso le comunità terapeutiche o di riabilitazione individuate con decreto del Ministro di grazia e giustizia, sentite le regioni interessate, tra quelle che svolgono funzioni di recupero sociale senza finalità di lucro.

10. 1. L'elenco previsto dall'art. 81 comma 1 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271 è formato assegnando un distinto numero a ciascuna cosa sequestrata. Più cose sequestrate possono essere raggruppate sotto un unico numero quando esse sono della stessa specie e non rilevano per la loro individualità. 2. L'autorità che ha proceduto al sequestro cura che ciascuna cosa o ciascun gruppo di cose siano contraddistinti, mediante le modalità ritenute più idonee, da un numero corrispondente a quello con il quale la cosa o il gruppo di cose sono indicati nell'elenco richiamato dal comma 1. 11. 1. Se le cose sequestrate sono oggetti preziosi, monete, carte di pubblico credito indicate nell'art. 458 c.p. o altri titoli al portatore, si provvede, appena pervengono nella cancelleria o nella segreteria, alla loro verificazione, osservate le disposizioni dell'art. 261 del codice. Allo stesso modo si procede per ogni altra cosa sequestrata quando i sigilli appaiono rotti o alterati. Delle operazioni è compilato verbale che viene unito agli atti.

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2. Fino alla data di entrata in vigore del decreto previsto dall'art. 82 comma 3 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271, il denaro sequestrato, se l'autorità giudiziaria non dispone diversamente, è depositato nell'ufficio postale secondo le norme che disciplinano i depositi giudiziari (1). (1) Questo comma è stato abrogato dall'art. 301 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

12. (1) Con la comunicazione prevista dall'art. 84 comma 2 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271 è dato avviso all'avente diritto alla restituzione che le spese di custodia e di conservazione delle cose sequestrate, decorsi trenta giorni dalla ricezione della comunicazione stessa, sono in ogni caso a suo carico. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 301 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

13. 1. La vendita delle cose confiscate può essere eseguita dalla cancelleria anche a mezzo degli istituti di vendite giudiziarie.

14. 1. Nel corso delle indagini preliminari (326 ss. c.p.p.) possono essere compiuti atti del procedimento anche nei giorni festivi. 15. 1. La cancelleria del giudice che ha emesso un provvedimento che definisce una fase o un grado del processo ne comunica l'estratto alla segreteria del pubblico ministero per l'annotazione nel registro delle notizie di reato. 2. Alla stessa segreteria è comunicata la trasmissione degli atti a norma dell'art. 590 del codice o la rimessione per qualunque causa del procedimento ad altra autorità giudiziaria.

16. 1. Salvo quanto previsto dall'art. 17, la cancelleria del giudice per le indagini preliminari annota in apposito registro, sotto un unico numero d'ordine, tutti i provvedimenti relativi a un medesimo procedimento adottati nel corso delle indagini preliminari o a seguito della chiusura di queste (326 ss., 405 ss. c.p.p.). 2. Gli originali dei provvedimenti del giudice per le indagini preliminari sono custoditi nel fascicolo relativo agli atti di indagine presso la segreteria del pubblico ministero. Per le sentenze e per i decreti di condanna emessi dal giudice per le indagini preliminari si applica la disposizione dell'art. 23. 3. Il giudice per le indagini preliminari può disporre l'esibizione dei provvedimenti da lui emessi nel corso delle indagini.

17. 1. Può prescindersi dall'annotazione prevista dall'art. 16 comma 1 per i decreti di archiviazione emessi a norma dell'art. 415 del codice qualora, prima della richiesta di archiviazione, non sia stato emesso alcun provvedimento da parte del giudice per le indagini preliminari. In tal caso, la segreteria del pubblico ministero trasmette alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari i fascicoli contenenti le richieste di archiviazione per essere ignoto l'autore del reato accompagnati da un

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elenco in duplice esemplare. Uno degli esemplari è restituito alla segreteria del pubblico ministero con attestazione di ricevuta da parte della cancelleria del giudice. 2. Quando, a seguito della procedura prevista dal comma 1, è emesso decreto di archiviazione, la cancelleria del giudice allega agli atti da restituire alla segreteria del pubblico ministero un elenco in duplice esemplare, nel quale, con riferimento a ciascun procedimento, è indicata la data del decreto di archiviazione. Un esemplare di tale elenco, con l'attestazione di ricevuta da parte della segreteria del pubblico ministero, è conservato nella cancelleria del giudice in raccolta annuale.

18. 1. La segreteria del pubblico ministero dà avviso senza ritardo ai difensori del deposito della documentazione relativa all'attività integrativa di indagine prevista dall'art. 430 del codice.

19. 1. La cancelleria del giudice per le indagini preliminari, nel trasmettere al pubblico ministero il fascicolo a norma dell'art. 433 del codice, annota nell'indice gli atti acquisiti successivamente al deposito della richiesta di rinvio a giudizio nonché quelli che sono stati raccolti nel fascicolo per il dibattimento. In quest'ultimo fascicolo sono inseriti l'elenco delle cose sequestrate e la distinta delle spese non soggette a recupero in misura fissa.

20. 1. Il ruolo per i dibattimenti davanti al tribunale, alla corte di assise e al pretore (1) è formato a norma degli artt. 132 e 160 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271. 2. Il ruolo per i dibattimenti davanti alla corte di appello e alla corte di assise di appello è formato ogni venti giorni dal presidente della corte di appello o da un consigliere da lui delegato. 3. Il ruolo è affisso a cura della cancelleria all'ingresso dell'aula di udienza almeno un giorno prima di quello dell'udienza. 4. Ai dibattimenti si procede secondo l'ordine del ruolo e conformemente agli orari indicati sui decreti che dispongono il giudizio, salvo che per ragioni di urgenza o per altro giustificato motivo, il presidente o il pretore (1) ordini che sia tenuto in precedenza un determinato dibattimento iscritto nel ruolo. 5. È in ogni caso data precedenza ai dibattimenti con imputati in custodia cautelare. (1) Ai sensi del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, l'ufficio del pretore è soppresso a decorrere dal 2 giugno 1999, fatta salva l'attività necessaria per l'esaurimento degli affari pendenti. Le relative competenze sono trasferite al tribunale ordinario, fuori dei casi in cui è diversamente disposto dal predetto provvedimento.

21. 1. L'ufficiale giudiziario o chi ne esercita le funzioni deve trovarsi nell'aula prima che cominci l'udienza (470 ss. c.p.p.). Quando il giudice entra nell'aula di udienza ne dà l'annuncio ad alta voce e quando il giudice si ritira in camera di consiglio resta nell'aula agli ordini del pubblico ministero. 2. Durante l'udienza l'ufficiale giudiziario o chi ne esercita le funzioni deve: a) impedire qualunque comunicazione tra i testimoni esaminati e quelli da esaminare nonché fra questi ultimi e gli estranei;

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b) vigilare perché i testimoni non assistano al dibattimento prima di essere esaminati; c) curare che siano osservate le disposizioni dell'art. 471 del codice e impedire che sia turbato l'ordine dell'udienza; d) eseguire gli ordini del presidente o, in sua assenza, del pubblico ministero.

22. (1) 1. Gli importi delle spese e delle indennità che devono essere anticipati dalle parti private a norma dell'art. 144 comma 1 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271 sono determinati provvisoriamente dalla cancelleria con nota in calce al provvedimento che ha autorizzato la citazione dei testimoni, periti e consulenti tecnici. Le contestazioni sull'ammontare delle spese e delle indennità sono risolte dal giudice per le indagini preliminari o dal presidente senza formalità. 2. La parte interessata provvede al versamento delle somme determinate a norma del comma 1 mediante apertura di libretto presso un ufficio postale a titolo di deposito giudiziario. 3. Il cancelliere, ricevuto in consegna il libretto, attesta l'avvenuto versamento, anche di seguito al provvedimento indicato nel comma 1. Per la liquidazione delle spese e delle indennità agli aventi diritto e la restituzione in favore del depositante della somma eventualmente residuata sul libretto, continuano a osservarsi le disposizioni che regolano i depositi giudiziari. 4. L'ufficiale giudiziario o chi ne esercita le funzioni provvede a notificare la citazione delle persone indicate nel comma 1 previa esibizione da parte dell'interessato di copia del provvedimento che ha autorizzato la citazione e dell'attestato di versamento previsto dal comma 3. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 301 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

23. 1. Gli originali delle sentenze e dei decreti penali di condanna sono raccolti in appositi volumi custoditi nella cancelleria del giudice che li ha emessi (16).

24. 1. I nastri e i supporti previsti dall'art. 49 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271 dei quali è stata eseguita la trascrizione sono trasmessi senza ritardo alla cancelleria del giudice della impugnazione se questi ne fa richiesta.

25. 1. Prima dell'udienza della Corte di cassazione (614 c.p.p.), la cancelleria trasmette al presidente e ai consiglieri copia del provvedimento impugnato, dell'atto di impugnazione e delle memorie. 26. 1. Con decreto del presidente della Corte di cassazione sono stabiliti i criteri per la individuazione delle sentenze dalle quali devono essere tratte le massime e per la redazione delle stesse.

27. 1. Fermo quanto previsto dall'art. 625 comma 4 del codice, la cancelleria annota sull'originale della sentenza o del decreto di condanna l'irrevocabilità del

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provvedimento, dandone comunicazione alla segreteria del pubblico ministero per le conseguenti annotazioni sul registro previsto dall'art. 335 del codice.

28. 1. La cancelleria, quando un provvedimento diviene esecutivo per non essere stata proposta impugnazione od opposizione, ne trasmette l'estratto senza ritardo, e comunque entro cinque giorni, al pubblico ministero presso il giudice indicato nell'art. 665 del codice. Fermo quanto previsto dall'art. 626 del codice, allo stesso modo provvede la cancelleria della Corte di cassazione quando l'esecuzione consegue alla decisione della stessa corte. 2. L'estratto del provvedimento contiene le generalità della persona nei confronti della quale deve essere eseguito, l'imputazione, il dispositivo e, quando ne è il caso, l'attestazione che non è stata proposta impugnazione od opposizione. All'estratto è allegata copia dei dispositivi dei provvedimenti che hanno definito gli eventuali altri gradi del procedimento. 3. Allo stesso modo si procede quando la legge stabilisce che l'impugnazione non sospende l'esecuzione del provvedimento. 4. Il pubblico ministero promuove senza ritardo l'esecuzione del provvedimento.

29. 1. Per l'esecuzione delle sentenze e dei decreti di condanna la segreteria del pubblico ministero procede ai seguenti adempimenti: a) eseguiti i necessari accertamenti, iscrive ciascuna sentenza di condanna a pene detentive nel registro delle esecuzioni; le sentenze di condanna a pene pecuniarie o a sanzioni sostitutive, i decreti di condanna nonché le sentenze di condanna a pene detentive la cui esecuzione è sospesa sono iscritti nel registro delle esecuzioni nel caso di conversione in pena detentiva o di revoca della sospensione. Con l'iscrizione è annotato il provvedimento con il quale è stata promossa l'esecuzione della sentenza o del decreto di condanna; b) forma un fascicolo con un numero progressivo corrispondente a quello del registro, nel quale sono raccolti l'estratto indicato nell'art. 28, il certificato del casellario giudiziale riguardante il condannato, i dati acquisiti presso il servizio informatico previsto dall'art. 97 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271 nonché copia degli atti del procedimento di grazia e dei provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria in sede di esecuzione. Di tutti gli atti viene formato un indice; c) sottopone al pubblico ministero il fascicolo, anche per l'adozione dei provvedimenti previsti dagli artt. 657 e 663 del codice; d) trasmette al direttore dell'istituto penitenziario dove si trova il condannato un foglio, sottoscritto dal pubblico ministero, con l'indicazione della quantità di pena da eseguire e della data in cui termina l'esecuzione; e) comunica al direttore predetto ogni successivo provvedimento che incida sull'esecuzione della pena.

30. (1) 1. Nei casi previsti dall'art. 660 comma 2 del codice, il magistrato di sorveglianza, se accerta che il condannato è solvibile, restituisce gli atti al pubblico ministero.

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2. Il pubblico ministero comunica l'esito degli accertamenti sulla solvibilità alla cancelleria del giudice dell'esecuzione che provvede al rinnovo degli atti esecutivi. (1) Questo articolo è stato abrogato dall'art. 301 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

31. 1. Per l'esecuzione delle sanzioni sostitutive (661 c.p.p.), la cancelleria del magistrato di sorveglianza iscrive in apposito registro l'estratto del provvedimento che le ha disposte e forma un fascicolo nel quale sono raccolti l'estratto medesimo e tutti gli atti del procedimento. 2. Allo stesso modo si procede per l'esecuzione delle misure di sicurezza diverse dalla confisca (658 c.p.p.). 32. 1. Il provvedimento con il quale viene respinta la richiesta di liberazione anticipata (1) o di liberazione condizionale (682 c.p.p.; 176 c.p.) è comunicato, a cura della cancelleria, al direttore dell'istituto di pena presso il quale il condannato è ristretto perché ne sia presa nota nella cartella biografica. (1) Si vedano gli artt. 54 e 70 della L. 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario, come sostituiti dagli artt. 18 e 22 della L. 10 ottobre 1986, n. 663, recante modifiche della suddetta normativa.

33. 1. La cancelleria del giudice che emette i provvedimenti di riabilitazione o di revoca previsti dall'art. 193 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271 ne trasmette l'estratto per l'annotazione alla cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza di condanna. 34. 1. La cancelleria o la segreteria dell'autorità giudiziaria che ha emesso un provvedimento del quale è prevista l'iscrizione nel casellario giudiziale ne comunica senza ritardo, anche avvalendosi di mezzi tecnici idonei, l'estratto al casellario indicato nell'art. 685 del codice. 2. Allo stesso modo la segreteria del pubblico ministero indicato nell'art. 655 comunica gli eventi relativi alla espiazione della pena di cui è prevista l'iscrizione.

35. 1. Il giudice istruttore e il pretore (1) trasmettono senza ritardo al pubblico ministero gli atti dei procedimenti indicati nell'art. 258 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271. La segreteria del pubblico ministero provvede all'iscrizione dei procedimenti medesimi nel registro previsto dall'art. 335 del codice. (1) Ai sensi del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, l'ufficio del pretore è soppresso a decorrere dal 2 giugno 1999, fatta salva l'attività necessaria per l'esaurimento degli affari pendenti. Le relative competenze sono trasferite al tribunale ordinario, fuori dei casi in cui è diversamente disposto dal predetto provvedimento.

36. 1. Il presente regolamento entra in vigore lo stesso giorno dell'entrata in vigore del codice di procedura penale, approvato con D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447.

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MODIFICHE INTERVENUTE IN CORSO DI STAMPA

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MODIFICHE INTERVENUTE IN CORSO DI STAMPA

1. D.L. 28 ottobre 2020, n. 137. Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 269 del 28 ottobre 2020) ed errata corrige in Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 271 del 30 ottobre 2020 , convertito, con modificazioni, nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 319 del 24 dicembre 2020). (Estratto). Titolo III. MISURE IN MATERIA DI SALUTE

E SICUREZZA E ALTRE

DISPOSIZIONI URGENTI.

23. Disposizioni per l'esercizio dell'attività giurisdizionale nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19. 1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35 si applicano le disposizioni di cui ai commi da 2 a 9 ter. Resta ferma fino alla scadenza del medesimo termine l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 221 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 ove non espressamente derogate dalle disposizioni del presente articolo. 2. Nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero e la polizia giudiziaria possono avvalersi di collegamenti da remoto, individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, per compiere atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone, salvo che il difensore della persona sottoposta alle indagini si opponga, quando l'atto richiede la sua presenza. Le persone chiamate a partecipare all'atto sono tempestivamente invitate a presentarsi presso l'ufficio di polizia giudiziaria più vicino al luogo di residenza, che abbia in dotazione strumenti idonei ad assicurare il collegamento da remoto. Presso tale ufficio le persone partecipano al

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compimento dell'atto in presenza di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, che procede alla loro identificazione. Il compimento dell'atto avviene con modalità idonee a salvaguardarne, ove necessario, la segretezza e ad assicurare la possibilità per la persona sottoposta alle indagini di consultarsi riservatamente con il proprio difensore. Il difensore partecipa da remoto mediante collegamento dal proprio studio, salvo che decida di essere presente nel luogo ove si trova il suo assistito. Il pubblico ufficiale che redige il verbale dà atto nello stesso delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l'identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni, nonché dell'impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell'articolo 137, comma 2, del codice di procedura penale. La partecipazione delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare è assicurata con le modalità di cui al comma 4. Con le medesime modalità di cui al presente comma il giudice può procedere all'interrogatorio di cui all'articolo 294 del codice di procedura penale. 3. Le udienze dei procedimenti civili e penali alle quali è ammessa la presenza del pubblico possono celebrarsi a porte chiuse, ai sensi, rispettivamente, dell'articolo 128 del codice di procedura civile e dell'articolo 472, comma 3, del codice di procedura penale. 4. La partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate, in stato di custodia cautelare, fermate o arrestate, è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell'articolo 146 bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. Il comma 9 dell'articolo 221 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, è abrogato. 5. Le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice possono essere tenute mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Lo svolgimento dell'udienza avviene con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti. Prima dell'udienza il giudice fa comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione giorno, ora e modalità del collegamento. I difensori attestano l'identità dei soggetti assistiti, i quali, se liberi o sottoposti a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, partecipano all'udienza solo dalla medesima postazione da cui si collega il difensore. In caso di custodia dell'arrestato o del fermato in uno dei luoghi indicati dall'articolo 284, comma 1, del codice di procedura penale, la persona arrestata o fermata e il difensore possono partecipare all'udienza di convalida da remoto anche dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria attrezzato per la videoconferenza, quando disponibile. In tal caso, l'identità della persona arrestata o fermata è accertata dall'ufficiale di polizia giudiziaria presente. L'ausiliario del giudice partecipa all'udienza dall'ufficio giudiziario e dà atto nel verbale d'udienza delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l'identità dei soggetti partecipanti e di tutte

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le ulteriori operazioni, nonché dell'impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell'articolo 137, comma 2, del codice di procedura penale, o di vistarlo, ai sensi dell'articolo 483, comma 1, del codice di procedura penale. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano, qualora le parti vi acconsentano, anche alle udienze preliminari e dibattimentali. Resta esclusa, in ogni caso, l'applicazione delle disposizioni del presente comma alle udienze nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti, nonché alle ipotesi di cui agli articoli 392, 441 e 523 del codice di procedura penale. 6. Il giudice può disporre che le udienze civili in materia di separazione consensuale di cui all'articolo 711 del codice di procedura civile e di divorzio congiunto di cui all'articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 siano sostituite dal deposito telematico di note scritte di cui all'articolo 221, comma 4, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nel caso in cui tutte le parti che avrebbero diritto a partecipare all'udienza vi rinuncino espressamente con comunicazione, depositata almeno quindici giorni prima dell'udienza, nella quale dichiarano di essere a conoscenza delle norme processuali che prevedono la partecipazione all'udienza, di aver aderito liberamente alla possibilità di rinunciare alla partecipazione all'udienza, di confermare le conclusioni rassegnate nel ricorso e, nei giudizi di separazione e divorzio, di non volersi conciliare. 7. In deroga al disposto dell'articolo 221, comma 7, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, il giudice può partecipare all'udienza anche da un luogo diverso dall'ufficio giudiziario. 8. Per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione a norma degli articoli 127 e 614 del codice di procedura penale la Corte di cassazione procede in Camera di consiglio senza l'intervento del procuratore generale e dei difensori delle altre parti, salvo che una delle parti private o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale. Entro il quindicesimo giorno precedente l'udienza, il procuratore generale formula le sue richieste con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata. La cancelleria provvede immediatamente a inviare, con lo stesso mezzo, l'atto contenente le richieste ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, possono presentare con atto scritto, inviato alla cancelleria della corte a mezzo di posta elettronica certificata, le conclusioni. Alla deliberazione si procede con le modalità di cui al comma 9; non si applica l'articolo 615, comma 3, del codice di procedura penale e il dispositivo è comunicato alle parti. La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal procuratore generale o dal difensore abilitato a norma dell'articolo 613 del codice di procedura penale entro il termine perentorio di venticinque giorni liberi prima dell'udienza e presentata, a mezzo di posta elettronica certificata, alla cancelleria. Le previsioni di cui al presente comma non si applicano ai procedimenti per i quali l'udienza di trattazione ricade entro il termine di quindici giorni dall'entrata in vigore del presente decreto. Per i procedimenti nei quali l'udienza ricade tra il sedicesimo e il trentesimo giorno dall'entrata in vigore del presente decreto la richiesta di discussione orale deve essere formulata entro dieci giorni dall'entrata in vigore del presente decreto. 8 bis. Per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione in udienza pubblica a norma degli articoli 374, 375, ultimo comma, e 379 del codice di procedura civile, la

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Corte di cassazione procede in camera di consiglio senza l'intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, salvo che una delle parti o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale. Entro il quindicesimo giorno precedente l'udienza, il procuratore generale formula le sue conclusioni motivate con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata. La cancelleria provvede immediatamente a inviare, con lo stesso mezzo, l'atto contenente le conclusioni ai difensori delle parti che, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, possono depositare memorie ai sensi dell'articolo 378 del codice di procedura civile con atto inviato alla cancelleria a mezzo di posta elettronica certificata. La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal procuratore generale o dal difensore di una delle parti entro il termine perentorio di venticinque giorni liberi prima dell'udienza e presentata, a mezzo di posta elettronica certificata, alla cancelleria. Le previsioni di cui al presente comma non si applicano ai procedimenti per i quali l'udienza di trattazione ricade entro il termine di quindici giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Per i procedimenti nei quali l'udienza ricade tra il sedicesimo e il trentesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto la richiesta di discussione orale deve essere formulata entro dieci giorni dalla predetta data di entrata in vigore. 9. Nei procedimenti civili e penali le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato Camera di consiglio a tutti gli effetti di legge. Nei procedimenti penali, dopo la deliberazione, il presidente del collegio o il componente del collegio da lui delegato sottoscrive il dispositivo della sentenza o l'ordinanza e il provvedimento è depositato in cancelleria ai fini dell'inserimento nel fascicolo il prima possibile. Nei procedimenti penali le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle deliberazioni conseguenti alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio, svolte senza il ricorso a collegamento da remoto. 9 bis. La copia esecutiva delle sentenze e degli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria di cui all'articolo 475 del codice di procedura civile può essere rilasciata dal cancelliere in forma di documento informatico previa istanza, da depositare in modalità telematica, della parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento. La copia esecutiva di cui al primo periodo consiste in un documento informatico contenente la copia, anche per immagine, della sentenza o del provvedimento del giudice, in calce ai quali sono aggiunte l'intestazione e la formula di cui all'articolo 475, terzo comma, del codice di procedura civile e l'indicazione dellaparte a favore della quale la spedizione è fatta. Il documento informatico così formato è sottoscritto digitalmente dal cancelliere. La firma digitale del cancelliere tiene luogo, ai sensi dell'articolo 24, comma 2, del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, del sigillo previsto dall'articolo 153, primo comma, secondo periodo, delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368. Il difensore o il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio possono estrarre dal fascicolo informatico il duplicato e la copia analogica o informatica della copia esecutiva in forma di documento informatico. Le copie

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analogiche e informatiche, anche per immagine, della copia esecutiva in forma di documento informatico estratte dal fascicolo informatico e munite dell'attestazione di conformità a norma dell'articolo 16 undecies del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, equivalgono all'originale. 9 ter. In ragione delle limitazioni poste dalle misure antipandemiche, l'incolpato e il suo difensore possono partecipare all'udienza di cui all'articolo 18 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, mediante collegamento da remoto, a mezzo dei sistemi informativi individuati e resi disponibili con provvedimento del direttore dell'ufficio dei sistemi informativi del Consiglio superiore della magistratura. Prima dell'udienza, la sezione disciplinare fa comunicare all'incolpato e al difensore, che abbiano fatto richiesta di partecipare da remoto, giorno, ora e modalità del collegamento. 10. Le disposizioni di cui al presente articolo, nonché quelle di cui all'articolo 221 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, in quanto compatibili, si applicano altresì ai procedimenti relativi agli arbitrati rituali e alla magistratura militare. 10 bis. All'allegato 1 al decreto legge 30 luglio 2020, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 settembre 2020, n. 124, il numero 33 bis è abrogato. 10 ter. All'articolo 190 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «1 bis. Nel processo amministrativo le modalità di pagamento telematico dei diritti di copia sono quelle previste nelle forme e con le modalità disciplinate dalle regole tecniche del processo amministrativo telematico, con decreto del Presidente del Consiglio di Stato».

10 quater. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate alla relativa attuazione vi provvedono con le sole risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

23 bis. Disposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica da COVID-19. 1. A decorrere dal 9 novembre 2020 e fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, fuori dai casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l'imputato manifesti la volontà di comparire. 2. Entro il decimo giorno precedente l'udienza, il pubblico ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, o a mezzo dei sistemi che sono resi disponibili e individuati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati. La cancelleria invia l'atto immediatamente, per via telematica, ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del decreto

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legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, possono presentare le conclusioni con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica, ai sensi dell'articolo 24 del presente decreto. 3. Alla deliberazione la corte di appello procede con le modalità di cui all'articolo 23, comma 9. Il dispositivo della decisione è comunicato alle parti. 4. La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal pubblico ministero o dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza ed è trasmessa alla cancelleria della corte di appello attraverso i canali di comunicazione, notificazione e deposito rispettivamente previsti dal comma 2. Entro lo stesso termine perentorio e con le medesime modalità l'imputato formula, a mezzo del difensore, la richiesta diparte cipare all'udienza. 5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei procedimenti nei quali l'udienza per il giudizio di appello è fissata entro quindici giorni a far data dal 9 novembre 2020. 6. In deroga alla disposizione di cui al comma 4, nei procedimenti nei quali l'udienza è fissata tra il sedicesimo e il trentesimo giorno dalla data del 9 novembre 2020, la richiesta di discussione orale o di partecipazione dell'imputato all'udienza è formulata entro il termine perentorio di cinque giorni a far data dal 9 novembre 2020. 7. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche nei procedimenti di cui agli articoli 10 e 27 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e all'articolo 310 del codice di procedura penale. In quest'ultimo caso, la richiesta di discussione orale di cui al comma 4 deve essere formulata entro il termine perentorio di cinque giorni liberi prima dell'udienza.

23 ter. Disposizioni sulla sospensione del corso della prescrizione e dei termini di custodia cautelare nei procedimenti penali, nonché sulla sospensione dei termini nel procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati, nel periodo di emergenza epidemiologica da COVID-19. 1. A decorrere dal 9 novembre 2020 e fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, i giudizi penali sono sospesi durante il tempo in cui l'udienza è rinviata per l'assenza del testimone, del consulente tecnico, del perito o dell'imputato in procedimento connesso i quali siano stati citati a comparire per esigenze di acquisizione della prova, quando l'assenza è giustificata dalle restrizioni ai movimenti imposte dall'obbligo di quarantena o dalla sottoposizione a isolamento fiduciario in conseguenza delle misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 sul territorio nazionale previste dalla legge o dalle disposizioni attuative dettate con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro della salute. Per lo stesso periodo di tempo sono sospesi il corso della prescrizione e i termini previsti dall'articolo 303 del codice di procedura penale. 2. Nei casi di cui al comma 1, l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione delle restrizioni ai

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movimenti, dovendosi avere riguardo, in caso contrario, agli effetti della durata della sospensione del corso della prescrizione e dei termini previsti dall'articolo 303 del codice di procedura penale, al tempo della restrizione aumentato di sessanta giorni. 3. Nel computo dei termini di cui all'articolo 304, comma 6, del codice di procedura penale, salvo che per il limite relativo alla durata complessiva della custodia cautelare, non si tiene conto dei periodi di sospensione di cui al comma 1. 4. Il corso dei termini di cui all'articolo 15, commi 2 e 6, del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, è sospeso durante il tempo in cui il procedimento disciplinare è rinviato per l'assenza del testimone, del consulente tecnico, del perito o di altra persona citata a comparire per esigenze di acquisizione della prova, quando l'assenza è giustificata dalle restrizioni ai movimenti imposte dall'obbligo di quarantena o dalla sottoposizione a isolamento fiduciario in conseguenza delle misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 sul territorio nazionale previste dalla legge o dalle disposizioni attuative dettate con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro della salute. Agli effetti della durata della sospensione dei termini si applica la disposizione di cui al comma 2.

23 quater. Unità ulteriori che concorrono alla determinazione dei saldi di finanza pubblica del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche. 1. Agli enti indicati nell'elenco 1 annesso al presente decreto, in quanto unità che, secondo criteri stabiliti dal Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell'Unione europea (SEC 2010), di cui al regolamento (UE) n. 549/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, concorrono alla determinazione dei saldi di finanza pubblica del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche, si applicano in ogni caso le disposizioni in materia di equilibrio dei bilanci e sostenibilità del debito delle amministrazioni pubbliche, ai sensi e per gli effetti degli articoli 3 e 4 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, nonché quelle in materia di obblighi di comunicazione dei dati e delle informazioni rilevanti in materia di finanza pubblica. 2. All'articolo 11, comma 6, lettera b), del codice della giustizia contabile, di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, dopo le parole: «operata dall'ISTAT» sono aggiunte le seguenti: «, ai soli fini dell'applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica».

2. L. 30 dicembre 2020, n. 178. Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023 (Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 322 del 30 dicembre 2020). (Estratto).

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Sezione I. MISURE QUANTITATIVE PER LA

REALIZZAZIONE DEGLI OBIETTIVI

PROGRAMMATICI.

1. Risultati differenziali. Norme in materia di entrata e di spesa e altre disposizioni. Fondi speciali. 1. - 1014. (Omissis) 1015. Nel processo penale, all’imputato assolto, con sentenza divenuta irrevocabile, perché il fatto non sussiste, perché non ha commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, è riconosciuto il rimborso delle spese legali nel limite massimo di euro 10.500. 1016. Il rimborso di cui al comma 1015 è ripartito in tre quote annuali di pari importo, a partire dall’anno successivo a quello in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, e non concorre alla formazione del reddito ai sensi del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. 1017. Il rimborso di cui al comma 1015 è riconosciuto dietro presentazione di fattura del difensore, con espressa indicazione della causale e dell’avvenuto pagamento, corredata di parere di congruità del competente Consiglio dell’ordine degli avvocati, nonché di copia della sentenza di assoluzione con attestazione di cancelleria della sua irrevocabilità. 1018. Il rimborso di cui al comma 1015 non è riconosciuto nei seguenti casi: a) assoluzione da uno o più capi di imputazione e condanna per altri reati; b) estinzione del reato per avvenuta amnistia o prescrizione; c) sopravvenuta depenalizzazione dei fatti oggetto di imputazione. 1019. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti i criteri e le modalità di erogazione dei rimborsi di cui al comma 1015, nonché le ulteriori disposizioni ai fini del contenimento della spesa nei limiti di cui al comma 1020, attribuendo rilievo al numero di gradi di giudizio cui l’assolto è stato sottoposto e alla durata del giudizio. 1020. Per la finalità dei commi da 1015 a 1019, nello stato di previsione del Ministero della giustizia è istituito il Fondo per il rimborso delle spese legali agli imputati assolti, con la dotazione di euro 8 milioni annui a decorrere dall’anno 2021, che costituisce limite complessivo di spesa per l’erogazione dei rimborsi di cui al comma 1015. 1021. Il Ministero della giustizia provvede agli adempimenti di cui ai commi da 1015 a 1020 con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. 1022. Le disposizioni dei commi da 1015 a 1021 si applicano nei casi di sentenze di assoluzione divenute irrevocabili successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge. 1023. - 1150. (Omissis)

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INDICE ANALITICO-ALFABETICO

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INDICE ANALITICO ALFABETICO

A Abbandono della difesa: dell'imputato, c.p.p. 105. delle parti diverse dall'imputato, c.p.p. 1055. termine per la difesa, c.p.p. 108. Abbreviazione dei termini: a pena di decadenza, c.p.p. 173. avviso al difensore, c.p.p. 3645. in c.s. di mancata restituzione delle c.s. sequestrate, c.p.p. 2642. nell'incidente probatorio, c.p.p. 400. per l'invito a presentarsi, c.p.p. 3754. Abitazione: divieto di allontanarsi negli arresti domiciliari, c.p.p. 284; nel divieto ed obbligo di dimora, c.p.p. 2834. perquisizioni nel domicilio, c.p.p. 251. Abitualità: dichiarazione nella sentenza di condanna, c.p.p. 533. inammissibilità delle perizie per stabilire l'abitualità, c.p.p. 220. procedimento di sorveglianza, c.p.p. 678-680. Abolitio criminis: revoca della sentenza, c.p.p. 673. riparazione per ingiusta detenzione, c.p.p. 314. Accertamento-i:

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della pericolosità sociale, c.p.p. 313, 679. sulla capacità dell'imputato, c.p.p. 70. sulla provenienza dei documenti, c.p.p. 239. tecnici non ripetibili, c.p.p. 360; att. c.p.p. 117. tecnici, c.p.p. 359. urgenti di polizia giudiziaria, c.p.p. 354; att. c.p.p. 113. Accesso: del difensore al luogo di custodia, att. c.p.p. 36. divieto nell'aula di udienza, c.p.p. 471. Accettazione: degli effetti degli atti nulli, c.p.p. 183. della remissione della querela, c.p.p. 340. Accompagnamento coattivo: dell'imputato, c.p.p. 132, 490. della persona sottoposta alle indagini, c.p.p. 349, 375, 376, 399; att. c.p.p. 942. di altre persone, c.p.p. 133, 377; att. c.p.p. 47. di imputato in procedimento connesso, c.p.p. 210, 513. esecuzione, att. c.p.p. 46. per procedere a interrogatorio o a confronto, c.p.p. 376. Acquisizione: delle comunicazioni e conversazioni, c.p.p. 268 ter. delle notizie del reato, c.p.p. 330. di atti di un procedimento penale straniero, att. c.p.p. 78. di dichiarazioni a seguito di contestazioni, c.p.p. 500, 503. di documenti e dati informatici, c.p.p. 234 bis. di plichi o di corrispondenza, c.p.p. 353. di scritti o di altri documenti, c.p.p. 234, 243, 256 bis, 256 ter. Affinità: astensione del giudice, c.p.p. 36.

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diritto di riparazione in c.s. di morte del prosciolto per revisione, c.p.p. 644. soggetti legittimati alla richiesta di revisione, c.p.p. 632. Agenti: assunzione di testimonianza, c.p.p. 206. attività a iniziativa della polizia giudiziaria, c.p.p. 347 ss. di polizia giudiziaria, c.p.p. 57. divieto di testimonianza indiretta, c.p.p. 1954. obbligo di osservanza delle norme processuali, c.p.p. 124. Si veda anche Polizia giudiziaria. Aggravanti: enunciazione nella richiesta di rinvio a giudizio, c.p.p. 417; nel decreto che dispone il giudizio, c.p.p. 429. per la determinazione della competenza, c.p.p. 4. risultanti dal dibattimento, c.p.p. 517, 520. Albo: dei periti presso il tribunale, att. c.p.p. 67; formazione e revisione, att. c.p.p. 68; requisiti per l'iscrizione, att. c.p.p. 69; sanzioni applicabili agli iscritti, att. c.p.p. 70. speciale dei difensori della Corte di cassazione, c.p.p. 613. Alcool: alcooldipendente: criteri di scelta delle misure cautelari personali, c.p.p. 2754; divieto ed obbligo di dimora, c.p.p. 2835. Alienazione: c.s. alterabili, c.p.p. 2603. Allontanamento: coattivo dell'imputato, c.p.p. 475. d'urgenza dalla c.s. familiare, c.p.p. 384 bis. dall'aula di udienza, c.p.p. 471. 2026

divieto: nelle ispezioni, c.p.p. 2462; nelle perquisizioni, c.p.p. 250. volontario dell'imputato, c.p.p. 488. Amnistia: applicazione e declaratoria, c.p.p. 129, 531, 578, 672; trans. c.p.p. 245. revoca, c.p.p. 674. Annotazione: del decreto di grazia, att. c.p.p. 192. del provvedimento di riabilitazione e di revoca delle sentenze di condanna, att. c.p.p. 193. dell'attività di polizia giudiziaria, c.p.p. 357; att. c.p.p. 115. dell'ordinanza di correzione degli errori materiali, c.p.p. 1302. della impugnazione, att. c.p.p. 165. delle attività del pubblico ministero, c.p.p. 3733; att. c.p.p. 119. delle decisioni della Corte di cassazione, c.p.p. 6254. delle spese anticipate dall'erario, att. c.p.p. 200. Annullamento: della sentenza: in appello, c.p.p. 604; in Cassazione, c.p.p. 620, 621, 622, 623, 624; att. c.p.p. 173; ai soli effetti civili, c.p.p. 622. Annunzi: pubblici in tema di notificazioni, c.p.p. 155. Anonime-i: denunce, c.p.p. 333; att. c.p.p. 107, 108. documenti, c.p.p. 240; att. c.p.p. 108. Apertura: del dibattimento, c.p.p. 492. Appello:

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atti preliminari al giudizio, c.p.p. 601; decreto di citazione, c.p.p. 601. casi, c.p.p. 310, 428, 443, 448, 593. cognizione del giudice, c.p.p. 597; trans. c.p.p. 245. comunicazione al procuratore generale, att. c.p.p. 166. concordato anche con rinuncia ai motivi di appello, c.p.p. 599 bis. conversione del ricorso, c.p.p. 569, 580. decisioni in camera di consiglio, c.p.p. 599; att. c.p.p. 45; trans. c.p.p. 245. del pubblico ministero, c.p.p. 570, 593 bis. di ordinanze in materia di misure cautelari personali, c.p.p. 310. di provvedimenti relativi alle misure di sicurezza, c.p.p. 680. di sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 428. di sentenze applicative della pena su richiesta delle parti, c.p.p. 448. di sentenze di condanna, c.p.p. 593, 597. di sentenze nel giudizio abbreviato, c.p.p. 443. dibattimento, c.p.p. 602. estensione delle norme sul giudizio di primo grado, c.p.p. 598. giudice competente, c.p.p. 596; decisioni sulla competenza, c.p.p. 24. incidentale, c.p.p. 595. nuove prove, c.p.p. 5993. oblazione, c.p.p. 6047. provvedimenti di esecuzione delle condanne civili, c.p.p. 600. questioni di nullità, c.p.p. 604. richiesta congiunta di accoglimento, c.p.p. 599, 602. rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, c.p.p. 603; sospensione, c.p.p. 6036. sentenza, c.p.p. 605. Applicazione: del divieto di soggiorno, att. c.p.p. 191. dell'amnistia e dell'indulto, c.p.p. 672. della disciplina del concorso formale e del reato continuato, c.p.p. 671. provvisoria delle misure di sicurezza: condizioni, c.p.p. 312; procedimento, c.p.p. 313, 5304; esecuzione, c.p.p. 658. provvisoria di pene accessorie, coord. c.p.p. 217; cessazione dell'esecuzione, trans. c.p.p. 250. 2028

richiesta di pena accessoria, att. c.p.p. 183. Applicazione della pena su richiesta delle parti: c.p.p. 444; trans. c.p.p. 248. decisione, att. c.p.p. 135. destinazione dei beni confiscati, att. c.p.p. 86 ter. effetti, c.p.p. 445; att. c.p.p. 136, 137. nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, c.p.p. 556. non menzione della condanna, c.p.p. 689. richiesta e consenso, c.p.p. 446. richiesta nel corso di indagini preliminari, c.p.p. 447. sentenza, c.p.p. 448. Apposizione: di sigilli alle c.s. sequestrate, c.p.p. 260; rimozione e riapposizione, c.p.p. 261. Archiviazione: avviso della richiesta, c.p.p. 408; att. c.p.p. 126. casi, c.p.p. 408, 411. nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, c.p.p. 554; att. c.p.p. 156. nullità del provvedimento di, c.p.p. 410 bis. opposizione alla richiesta, c.p.p. 410. provvedimenti del giudice sulla richiesta, c.p.p. 409; fissazione dell'udienza preliminare in c.s. di mancato accoglimento, att. c.p.p. 128. reato commesso da persone ignote, c.p.p. 415. riapertura delle indagini, c.p.p. 414. richiesta per infondatezza della notizia di reato, c.p.p. 408; att. c.p.p. 125. Arrestato: c.s. di immediata liberazione, c.p.p. 389; att. c.p.p. 121. interrogatorio, c.p.p. 388.

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Arresti domiciliari: c.p.p. 284; att. c.p.p. 97 bis. Si veda Misure cautelari. Arresto: adempimenti della polizia giudiziaria per madre di prole di minore età, c.p.p. 387 bis. avviso ai familiari, c.p.p. 387. avviso al difensore, c.p.p. 388. c.s. di immediata liberazione dell'arrestato, c.p.p. 389; att. c.p.p. 121. colloqui con il difensore, c.p.p. 104; att. c.p.p. 36. da parte della polizia giudiziaria nell'estradizione, c.p.p. 716; audizione dell'arrestato, c.p.p. 717. dello straniero munito di foglio di via obbligatorio, coord. c.p.p. 244. determinazione della pena, c.p.p. 379. divieto, c.p.p. 385; del testimone in udienza, c.p.p. 476; trans. c.p.p. 245. doveri della polizia giudiziaria, c.p.p. 386; adempimenti, att. c.p.p. 120. facoltà da parte dei privati, c.p.p. 383. giudizio direttissimo, c.p.p. 449, 559. in flagranza: obbligatorio, c.p.p. 380; facoltativo, c.p.p. 381; stato, c.p.p. 382. in udienza, c.p.p. 476; trans. c.p.p. 245; divieto di arresto del testimone, c.p.p. 476. interrogatorio dell'arrestato, c.p.p. 388. richiesta di convalida, c.p.p. 390; att. c.p.p. 122. stato di flagranza, c.p.p. 382. udienza di convalida, c.p.p. 391; att. c.p.p. 123. Assenza: dell'imputato nel dibattimento, c.p.p. 420 accompagnamento coattivo, c.p.p. 490. di parti private diverse dall'imputato, att. c.p.p. 23. dichiarazione dell'imputato assente, c.p.p. 489 nuove contestazioni, c.p.p. 520. nuove ricerche dell'imputato, c.p.p. 420 quinquies. 2030

bis,

488;

revoca della sospensione, c.p.p. 420 quinquies. sospensione del processo per assenza dell'imputato, c.p.p. 420 quater; adempimenti att. c.p.p. 143 bis. Assistenza: al giudice, c.p.p. 126. del difensore, c.p.p. 356; avvertimento, att. c.p.p. 114; ad atti del pubblico ministero, c.p.p. 364, 365, 366. dell'imputato all'udienza, c.p.p. 474. Assoluzione: sentenza di, c.p.p. 530; applicazione di misure di sicurezza, c.p.p. 5304; liberazione dell'imputato, c.p.p. 532. Astensione: degli interpreti, c.p.p. 145. dei periti, c.p.p. 223. dei testimoni: facoltà dei prossimi congiunti, c.p.p. 199; segreto professionale, c.p.p. 200; segreto d'ufficio, c.p.p. 201; segreto di Stato, c.p.p. 202. del giudice, c.p.p. 36, 39, 42, 43. del pubblico ministero, c.p.p. 52, 53. Attenuanti: agli effetti della competenza, c.p.p. 4. determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari, c.p.p. 278. determinazione della pena per l'arresto e fermo, c.p.p. 379. Attestazione: della presentazione di denuncia o querela, ovvero della mancata identificazione dell'autore del reato, att. c.p.p. 107. Atti procedurali: allegazione al fascicolo del dibattimento, c.p.p. 515.

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cancellature, variazioni e aggiunte negli atti, att. c.p.p. 48. comunicazione, att. c.p.p. 64. coperti dal segreto, c.p.p. 329. copie, estratti, certificati, c.p.p. 116; richiesta da parte del pubblico ministero, c.p.p. 117; richiesta da parte del Ministro dell'interno, c.p.p. 118; trasmissione a distanza, att. c.p.p. 42. data. c.p.p. 111. del giudice, c.p.p. 125-133; compiuti da giudice incompetente, c.p.p. 54; da giudice ricusato, c.p.p. 42; forma, c.p.p. 125. deposito degli atti per l'udienza preliminare, att. c.p.p. 131. deposito di atti cui hanno diritto di assistere i difensori, c.p.p. 366; att. c.p.p. 118. diretti e delegati, c.p.p. 370. diritto del difensore di assistervi senza avviso, c.p.p. 365. divieto di pubblicazione di atti ed immagini, c.p.p. 114, 115. introduttivi all'udienza preliminare, c.p.p. 419. lettura per sopravvenuta impossibilità di ripetizione, c.p.p. 512. lingua, c.p.p. 109. memorie e richieste delle parti, c.p.p. 121. modalità di documentazione, c.p.p. 134, 140, 373. notificazioni, c.p.p. 148-171. nullità, c.p.p. 177-186. partecipazione del sordo, muto o sordomuto, c.p.p. 119. preliminari al dibattimento, c.p.p. 465-469. preliminari al giudizio di Cassazione, c.p.p. 610. preliminari al giudizio di appello, c.p.p. 601. preliminari all'esame dei testimoni, c.p.p. 497. procura speciale, c.p.p. 122. richiesta di trasmissione a un diverso p.m., c.p.p. 54 quater. ricostituzione di atti, c.p.p. 113; att. c.p.p. 41. rinnovazione per effetto della restituzione in termine, c.p.p. 176. sottoscrizione, c.p.p. 110; att. c.p.p. 39. surrogazione di copie agli originali mancanti, c.p.p. 112; att. c.p.p. 40. testimoni, c.p.p. 120. traduzioni, c.p.p. 143-147. urgenti, c.p.p. 467. verbale: redazione, c.p.p. 135; contenuto, c.p.p. 136; sottoscrizione, c.p.p. 137; trascrizione con stenotipia, c.p.p. 138; riproduzione fonografica o audiovisiva, c.p.p. 139; nullità, c.p.p. 142. 2032

Attività: a iniziativa della polizia giudiziaria, c.p.p. 347-357. dei consulenti tecnici, c.p.p. 230. del perito, c.p.p. 228. del pubblico ministero, c.p.p. 358-378; integrativa d'indagine del pubblico ministero, c.p.p. 430. della polizia giudiziaria in mancanza di una condizione di procedibilità, att. c.p.p. 112. di investigazione della polizia in materia di armi e di sostanze stupefacenti, att. c.p.p. 77. ispettive e di vigilanza, coord. c.p.p. 220. per il deposito e la custodia delle c.s. sequestrate, att. c.p.p. 82. Aula: di udienza dibattimentale, att. c.p.p. 146; ammissione, c.p.p. 471. Ausiliari: attribuzione dei compiti, reg. c.p.p. 1. del giudice, c.p.p. 126. redazione del verbale, c.p.p. 135, 136, 480, 4942, 5102. Autenticazione: della sottoscrizione, att. c.p.p. 39. Autonomia del pubblico ministero: c.p.p. 53. Autorità: straniere: rapporti giurisdizionali, c.p.p. 696-746 quater. Autorizzazione a procedere: c.p.p. 343. divieti, c.p.p. 3432; irrevocabilità, c.p.p. 3434. nell'esecuzione, c.p.p. 655. richiesta del pubblico ministero, c.p.p. 344; requisiti, att. c.p.p. 111. termini per l'inizio dell'azione penale, c.p.p. 4054. Avocazione: 2033

delle indagini preliminari per mancato esercizio dell'azione penale, c.p.p. 412; richiesta della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa, c.p.p. 413. delle indagini, c.p.p. 372. funzioni del pubblico ministero in c.s. di, c.p.p. 512. mancato accoglimento della richiesta di archiviazione, att. c.p.p. 158. riapertura delle indagini, att. c.p.p. 157. Avviso: al difensore: del deposito di ordinanze che dispongono misure cautelari, c.p.p. 2933, 2962; dell'interrogatorio, c.p.p. 2944; del compimento di interrogatorio, ispezione o confronto, c.p.p. 364; notificazione degli avvisi al difensore non iscritto nell'albo del circondario, att. c.p.p. 653; dell'assunzione di sommarie informazioni, c.p.p. 350. all'imputato privo del difensore di fiducia nel ricorso per cassazione, c.p.p. 6134. all'indagato della conclusione delle indagini preliminari, c.p.p. 415 bis. atti ai quali il difensore ha diritto di assistere senza avviso, c.p.p. 365. del compimento di atti urgenti, c.p.p. 4672. del deposito degli atti cui hanno diritto di assistere i difensori, c.p.p. 366. del deposito dei provvedimenti del giudice, c.p.p. 128. del deposito della sentenza di condanna alle spese al querelante, c.p.p. 5422. del deposito della sentenza, c.p.p. 548, 585; att. c.p.p. 23. del deposito nella c.s. del comune dell'atto da notificare, c.p.p. 1578. del procedimento in camera di consiglio, c.p.p. 127. dell'arresto o del fermo ai familiari, c.p.p. 387. dell'udienza di convalida alla persona liberata, att. c.p.p. 1212. della data dell'incidente probatorio, c.p.p. 398, 552. della data dell'udienza preliminare, c.p.p. 419, 5562. della data di udienza in camera di consiglio nel procedimento di esecuzione, c.p.p. 6663.

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della data di udienza nel ricorso in Cassazione, c.p.p. 6105. della data fissata per il giudizio direttissimo, c.p.p. 4505. della data fissata per il giudizio immediato, c.p.p. 4565. della facoltà di farsi rappresentare o assistere da persona di fiducia nelle perquisizioni locali, c.p.p. 2501. della presentazione della richiesta di riesame, c.p.p. 3243. della richiesta di archiviazione, alla persona offesa, c.p.p. 4082-3; att. c.p.p. 126. rinnovazione, c.p.p. 420 bis. rinuncia, att. c.p.p. 169. sanatoria delle nullità, c.p.p. 184. verbale, sostitutivo della notifica, c.p.p. 1483, 151, 477. Avvocato: segreto professionale, c.p.p. 200. sottoscrizione della domanda di grazia, c.p.p. 681. Si veda anche Difensore. Azione civile: citazione del civilmente obbligato per la pena pecuniaria, c.p.p. 89. citazione del responsabile civile, c.p.p. 83; costituzione, c.p.p. 84; intervento volontario, c.p.p. 85; richiesta di esclusione, c.p.p. 86; esclusione d'ufficio, c.p.p. 87. condanna alle spese relative, c.p.p. 541; condanna del querelante, c.p.p. 542. condanna generica ai danni, c.p.p. 539. condanna per la responsabilità civile, c.p.p. 538. costituzione di parte civile, c.p.p. 76; formalità, c.p.p. 78; termine, c.p.p. 79; revoca, c.p.p. 82. effetti dell'ammissione o dell'esclusione della parte civile o del responsabile civile, c.p.p. 88. efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo, c.p.p. 651; efficacia della sentenza penale di assoluzione, c.p.p. 652; efficacia della sentenza penale in altri giudizi, c.p.p. 654. legittimazione, c.p.p. 74, 77. provvisionale, c.p.p. 539.

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provvisoria esecuzione delle disposizioni civili, c.p.p. 540. pubblicazione della sentenza, c.p.p. 543. rapporti con l'azione penale, c.p.p. 75; coord. c.p.p. 211. richiesta di esclusione della parte civile, c.p.p. 80; esclusione d'ufficio, c.p.p. 81.

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B Banca: confisca dei biglietti di banca, att. c.p.p. 88. esame di atti, documenti e corrispondenza, c.p.p. 2482. sequestro presso, c.p.p. 255. Benefici di legge: non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, c.p.p. 5333. sospensione condizionale della pena, c.p.p. 5333. Biglietti: di banca confiscati, att. c.p.p. 88. Bis in idem: divieto, c.p.p. 649. Bollo: inosservanza delle norme tributarie, c.p.p. 186.

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C Cadavere: disseppellimento, att. c.p.p. 1162. Camera di consiglio: decisione in, c.p.p. 3, 32, 41, 48, 130, 263, 269, 309, 310, 324, 391, 401, 406, 409, 418, 428, 435, 469, 528, 544, 553, 585, 599, 600, 611, 612, 617, 646, 666, 718, 736. in Cassazione, c.p.p. 611. in appello, c.p.p. 599. procedimento, c.p.p. 127; rinvio, c.p.p. 1274; relazione, att. c.p.p. 45. Cancellature: negli atti, att. c.p.p. 48. Cancellazione: delle scritture offensive, c.p.p. 598. Capacità: accertamenti sulla c.p.p. 70; sospensione del procedimento, c.p.p. 71, 72; provvedimenti cautelari, c.p.p. 73. di intervenire come testimoni ad atti del procedimento, c.p.p. 120. di testimoniare, c.p.p. 196. processuale della parte civile, c.p.p. 77. regole generali per l'interrogatorio, c.p.p. 64. Si veda anche Incapacità. Carabinieri: appartenenti alla polizia giudiziaria, c.p.p. 57. Carcerazione:

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ordine di, c.p.p. 3522, 656. preventiva: si veda Custodia cautelare. Casellario giudiziale: certificati, c.p.p. 688; richiesti dall'interessato, c.p.p. 689; att. c.p.p. 198; per ragioni di elettorato, c.p.p. 6883; att. c.p.p. 195; acquisizione, c.p.p. 236. iscrizioni, c.p.p. 686; att. c.p.p. 194; eliminazione, c.p.p. 687; questioni concernenti le iscrizioni, c.p.p. 690; delle sentenze di applicazione di sanzioni sostitutive, att. c.p.p. 196. non menzione della condanna, c.p.p. 6892; att. c.p.p. 1942, 197. uffici, c.p.p. 685. Caso fortuito: contumacia dell'imputato, c.p.p. 487. impedimento a comparire dell'imputato, c.p.p. 486. mancata comunicazione del mutamento del luogo dichiarato o eletto, c.p.p. 161. restituzione nel termine, c.p.p. 175. rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, c.p.p. 603. Cassa delle ammende: deposito presso, c.p.p. 320. devoluzione, c.p.p. 44, 48, 264, 616, 634, 664, 694, 740. sanzione pecuniaria dell'interprete sostituito, c.p.p. 147; att. c.p.p. 53; del perito sostituito, c.p.p. 231; di persone convocate non comparse, c.p.p. 133; revoca, att. c.p.p. 47. Cassazione: annullamento con rinvio, c.p.p. 623; parziale, c.p.p. 624; provvedimenti conseguenti alla sentenza, c.p.p. 625; effetti sui provvedimenti di natura personale o reale, c.p.p. 626; giudizio di rinvio dopo l'annullamento, c.p.p. 627; determinazione del giudice di rinvio, att. c.p.p. 175; impugnabilità della sentenza del giudice di rinvio, c.p.p. 628.

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annullamento della sentenza: senza rinvio, c.p.p. 620; effetti dell'annullamento, c.p.p. 621; ai soli effetti civili, c.p.p. 622. atti preliminari, c.p.p. 610. avvisi ad imputato privo di difensore di fiducia, c.p.p. 6134; rinuncia, att. c.p.p. 169. c.s. di ricorso, c.p.p. 606. cognizione della Corte, c.p.p. 609. conversione del ricorso in appello, c.p.p. 580. decisioni delle Sezioni unite, c.p.p. 618; att. c.p.p. 170, 172. deliberazione e pubblicazione della sentenza, c.p.p. 615. dibattimento, c.p.p. 614. difensori, c.p.p. 613. motivazione e deposito della sentenza, c.p.p. 617; att. c.p.p. 174. procedimento in camera di consiglio, c.p.p. 611. rettificazione di errori non determinanti annullamento, c.p.p. 619. ricorso contro l'ordinanza che rigetta la richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 437. ricorso contro la sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 428. ricorso contro le sentenze di estradizione, c.p.p. 706. ricorso contro ordinanze che dispongono una misura coercitiva, c.p.p. 311; contro ordinanze che dispongono una misura cautelare reale, c.p.p. 325. ricorso contro ordinanze del giudice di esecuzione, c.p.p. 666. ricorso contro provvedimenti che dispongono sulla libertà personale, c.p.p. 568. ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, c.p.p. 625 bis. ricorso: casi, c.p.p. 666; dell'imputato, c.p.p. 607; del pubblico ministero, c.p.p. 608; inammissibilità, c.p.p. 606, 610, 611; motivi, c.p.p. 611; att. c.p.p. 167; immediato, c.p.p. 569; trans. c.p.p. 255. riduzione dei termini, att. c.p.p. 169. rimessione del processo, c.p.p. 45-48. risoluzione dei conflitti di giurisdizione e di competenza, c.p.p. 31, 32. riunione o separazione dei giudizi, c.p.p. 610. sospensione del dibattimento, per la soluzione di questioni civili o amministrative, c.p.p. 479. sospensione dell'esecuzione della condanna civile, c.p.p. 612. spese e sanzione pecuniaria in c.s. di rigetto per inammissibilità del ricorso, c.p.p. 616.

2040

Cassette di sicurezza: sequestro, c.p.p. 255. Cattura: dell'imputato, c.p.p. 285. Si veda Misure cautelari personali. Cause di non punibilità: declaratoria immediata, c.p.p. 129. divieto di arresto o di fermo, c.p.p. 385. inapplicabilità di misure cautelari, c.p.p. 273. sentenza: di non luogo a procedere, c.p.p. 425; di assoluzione, c.p.p. 530. Cause estintive del reato: effetti dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, c.p.p. 4452; att. c.p.p. 136. obbligo di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, c.p.p. 129. Si veda anche Oblazione. Cause estintive della pena: applicazione dell'amnistia o indulto, c.p.p. 672. riabilitazione, c.p.p. 683. Cauzione: durata del sequestro e restituzione delle c.s. sequestrate, c.p.p. 262; esecuzione sui beni sequestrati, c.p.p. 320. esecuzione di altre sanzioni pecuniarie, c.p.p. 664. imposta al custode delle c.s. sequestrate, c.p.p. 259. offerta nel sequestro conservativo, c.p.p. 319. Certificati: dei documenti sequestrati, c.p.p. 258. del casellario giudiziale, c.p.p. 688, 689, 690.

2041

di singoli atti, c.p.p. 116. richiesta nelle indagini preliminari, att. c.p.p. 110. Si veda anche Casellario giudiziale e Documenti. Chiusura: del dibattimento, c.p.p. 524. della discussione nell'udienza preliminare, c.p.p. 4214. delle indagini preliminari, c.p.p. 405-415 bis, 554. Cinematografo: prova documentale, c.p.p. 234. svolgimento della ricognizione, c.p.p. 214. Circostanze: contestazione in dibattimento, c.p.p. 517. per la determinazione della competenza, c.p.p. 4. Si veda anche Aggravanti e Attenuanti. Citazione: decreto che dispone il giudizio, c.p.p. 429. decreto di citazione a giudizio nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, c.p.p. 552. decreto di giudizio immediato, c.p.p. 456. dei periti, c.p.p. 224, 468. dei testimoni, c.p.p. 468; att. c.p.p. 142; a richiesta dell'autorità straniera nelle rogatorie dall'estero, c.p.p. 726. del civilmente obbligato per la pena pecuniaria, c.p.p. 89. del consulente tecnico, c.p.p. 3773, 468; att. c.p.p. 142. del custode delle c.s. sequestrate, c.p.p. 3773. del responsabile civile, c.p.p. 83. dell'interprete, c.p.p. 3773; att. c.p.p. 52, 142. della persona offesa, c.p.p. 451, 519, 558. di persona imputata in un procedimento connesso, c.p.p. 2102. di persone informate sui fatti, c.p.p. 377, 422. in appello, c.p.p. 601. nel giudizio di revisione, c.p.p. 636.

2042

nel giudizio direttissimo, c.p.p. 450, 451. nell'udienza preliminare, c.p.p. 422. rinnovazione della citazione nel dibattimento, c.p.p. 485; att. c.p.p. 143. sanatoria delle nullità, c.p.p. 184. Civilmente obbligato per la pena pecuniaria: citazione, c.p.p. 89. condanna, c.p.p. 534. difensore, c.p.p. 100. impugnazione, c.p.p. 575. incompatibilità con l'ufficio di testimone, c.p.p. 197. notificazioni, c.p.p. 154. opposizione a decreto penale, c.p.p. 463. richiesta dell'esame nel dibattimento, c.p.p. 208, 503. Cognizione: del giudice, c.p.p. 2; di appello, c.p.p. 597. della Corte di cassazione, c.p.p. 609. Coimputati: condanna alle spese, c.p.p. 535. incompatibilità con l'ufficio di testimone, c.p.p. 197. interrogatorio di imputato in un procedimento connesso, c.p.p. 363. opposizione proposta soltanto da alcuni interessati, c.p.p. 463, 464. separazione dei processi, c.p.p. 18. Colloqui: del difensore con l'imputato, c.p.p. 104; telefonici, att. c.p.p. 35. dilazione del diritto, c.p.p. 1043. Comparizione: dei testimoni, periti, consulenti tecnici e interpreti, att. c.p.p. 145. dell'imputato contumace, c.p.p. 487. delle persone in stato di arresto o di detenzione domiciliare, att. c.p.p. 22.

2043

mancata dell'imputato, c.p.p. 486. Competenza: a decidere sulla ricusazione, c.p.p. 40. conflitti, c.p.p. 28-32; casi, c.p.p. 28; cessazione del conflitto, c.p.p. 29; proposizione, c.p.p. 30; risoluzione, c.p.p. 32. connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari o speciali, c.p.p. 13. del giudice dell'esecuzione, c.p.p. 665. del tribunale, c.p.p. 6. della Magistratura di sorveglianza, c.p.p. 677. della corte di assise, c.p.p. 5. per connessione, c.p.p. 12-16; casi, c.p.p. 12; limiti, c.p.p. 14. per i procedimenti riguardanti i magistrati, c.p.p. 11. per l'applicazione di misure cautelari personali, c.p.p. 279; att. c.p.p. 91. per materia, c.p.p. 5-7; determinata dalla connessione, c.p.p. 15. per reati commessi all'estero, c.p.p. 10. per territorio, c.p.p. 8-11; regole generali, c.p.p. 8; regole suppletive, c.p.p. 9; determinata dalla connessione, c.p.p. 16. provvedimenti sulla c.p.p. 20-27; difetto, c.p.p. 21; nel corso delle indagini preliminari, c.p.p. 22; nel dibattimento di primo grado, c.p.p. 23; in appello, c.p.p. 24; in Cassazione, c.p.p. 25. questioni preliminari, c.p.p. 491. regole per la determinazione, c.p.p. 4. Si veda anche Incompetenza. Computo: dei termini di durata delle misure cautelari, c.p.p. 297. dei termini, c.p.p. 172. Comunicazione: al Ministro di grazia e giustizia in merito all'estradizione, att. c.p.p. 203. al difensore di ufficio, att. c.p.p. 30. al procuratore generale dell'appello dell'imputato, att. c.p.p. 166. al pubblico ministero, c.p.p. 153. al servizio informatico, att. c.p.p. 97. 2044

all'autorità giudiziaria che ha trasmesso la rogatoria all'estero, att. c.p.p. 204. dei provvedimenti del giudice di sorveglianza, att. c.p.p. 189. del divieto e obbligo di dimora, c.p.p. 2836. del domicilio dichiarato o eletto, c.p.p. 162. del nominativo del difensore d'ufficio, att. c.p.p. 28. delle dichiarazioni e richieste di persone detenute o internate, att. c.p.p. 44. delle iscrizioni contenute nel registro delle notizie di reato (richiesta), att. c.p.p. 110 bis. delle notizie di reato al procuratore generale, att. c.p.p. 127. di atti ad altro giudice o al pubblico ministero, att. c.p.p. 64. relative alle operazioni peritali, c.p.p. 229. Comunicazioni informatiche o telematiche: intercettazioni, c.p.p. 266 bis. Comunicazioni telegrafiche o telefoniche: intercettazioni, c.p.p. 266 ss. Si veda anche Intercettazioni (di conversazioni o comunicazioni). Concorso di reati: formale, att. c.p.p. 137, 186. Condanna: alle spese, c.p.p. 535; relative all'azione civile, c.p.p. 541; nei giudizi di impugnazione, c.p.p. 592; in Cassazione, c.p.p. 616. decreto, c.p.p. 459, 460. del civilmente obbligato per la pena pecuniaria, c.p.p. 534. del querelante alle spese e ai danni, c.p.p. 427, 542. dell'imputato, c.p.p. 533. generica a danni e provvisionale, c.p.p. 539; provvisoria esecuzione, c.p.p. 540. nel giudizio abbreviato, c.p.p. 442. non menzione nel certificato del casellario giudiziale c.p.p. 689; att. c.p.p. 197. per la responsabilità civile, c.p.p. 538. 2045

pubblicazione della sentenza penale, c.p.p. 536. riconoscimento delle sentenze penali straniere, c.p.p. 730. riparazione del danno mediante pubblicazione della sentenza, c.p.p. 543; spese, c.p.p. 694, 695. sentenza di, c.p.p. 533-537. Condizioni: di procedibilità, c.p.p. 336-346; difetto, c.p.p. 345, 411; atti compiuti in mancanza, c.p.p. 346; att. c.p.p. 112. Confessione: giudizio direttissimo, c.p.p. 4495. Confisca: applicazione della pena su richiesta delle parti: effetti della condanna, c.p.p. 4451. consistente nella imposizione del pagamento di una somma di denaro, c.p.p. 735 bis. esecuzione all'estero, c.p.p. 745. indagini e sequestro, c.p.p. 737 bis. Conflitti: di competenza e di giurisdizione, c.p.p. 28-32. Si veda anche Competenza e giurisdizione. Confronti: accompagnamento coattivo, c.p.p. 376. atti diretti del pubblico ministero, c.p.p. 370. modalità, c.p.p. 212. nell'incidente probatorio, c.p.p. 392, lett. e). nomina e assistenza del difensore, c.p.p. 364. presupposti, c.p.p. 211. Congiunti: astensione del giudice, c.p.p. 36, lett. e).

2046

diritti e facoltà della persona offesa dal reato, c.p.p. 903. diritto alla riparazione in c.s. di morte, c.p.p. 644. facoltà di astensione dalla testimonianza, c.p.p. 199. nomina del difensore di persona arrestata, fermata o in stato di custodia cautelare, c.p.p. 96. soggetti legittimati alla richiesta di revisione, c.p.p. 632. sottoscrizione della domanda di grazia, c.p.p. 681. Connessione: casi, c.p.p. 12. competenza per materia, c.p.p. 15; per territorio, c.p.p. 16. composizione del giudice, c.p.p. 33 quater. di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali, c.p.p. 13. limiti, c.p.p. 14. Consegna: dell'estradando, c.p.p. 708, 709. Consenso: applicazione della pena su richiesta delle parti, c.p.p. 444, 446. del condannato per l'esecuzione all'estero di sentenze penali italiane, c.p.p. 743. del pubblico ministero al giudizio abbreviato, c.p.p. 438, 452, 556. della persona offesa, c.p.p. 92. Conservazione: dei nastri e dei supporti fonografici ed audiovisivi, att. c.p.p. 49; reg. c.p.p. 24. Consiglio dell'ordine forense: avviso in c.s. di ispezione, perquisizione o sequestro presso l'ufficio del difensore, c.p.p. 103. competenza per le sanzioni disciplinari relative all'abbandono di difesa, c.p.p. 105. elenchi dei difensori d'ufficio, c.p.p. 97; att. c.p.p. 29.

2047

Consulenti tecnici: accertamenti tecnici non ripetibili, c.p.p. 360. accompagnamento coattivo, c.p.p. 133. attività, c.p.p. 230; coord. c.p.p. 223. citazione, c.p.p. 377, 468; att. c.p.p. 142. comparizione, att. c.p.p. 145. consulenza tecnica fuori dei c.s. di perizia, c.p.p. 233. dei non abbienti, c.p.p. 2252. del pubblico ministero, c.p.p. 359; att. c.p.p. 73. divieto di intercettazione relativa a conversazioni, c.p.p. 103. divieto di procedere a sequestro presso, c.p.p. 1032. esame, c.p.p. 501, 502, 504. incapacità e incompatibilità, c.p.p. 222, 225. nomina, c.p.p. 225, 233. segreto professionale, c.p.p. 200. spese ed indennità, att. c.p.p. 144. Contestazione: dell'accusa, c.p.p. 65; modificazione dell'imputazione, c.p.p. 423. nell'esame delle parti private, c.p.p. 503. nell'esame testimoniale, c.p.p. 500. nuova, c.p.p. 516-522; all'imputato assente, c.p.p. 520. Continuazione: applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato, c.p.p. 671; att. c.p.p. 186. concorso formale e reato continuato, att. c.p.p. 137, 188. Contrasto: tra pubblici ministeri, c.p.p. 542; att. c.p.p. 4. Contravventore: declaratoria di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere, c.p.p. 5332, 679. Controesame: c.p.p. 498, 501, 503. 2048

Convalida: del sequestro, c.p.p. 355. dell'arresto o del fermo, c.p.p. 390; att. c.p.p. 122; udienza, c.p.p. 391; att. c.p.p. 123. delle intercettazioni disposte dal pubblico ministero, c.p.p. 267. delle perquisizioni, c.p.p. 352. nel giudizio direttissimo, c.p.p. 449. Convenzioni internazionali: c.p.p. 696. Conversazioni telefoniche: Si veda Comunicazioni telegrafiche o telefoniche ed Intercettazioni. Conversione: del ricorso in appello, c.p.p. 580. dell'appello in ricorso, c.p.p. 569; trans. c.p.p. 255. di pene pecuniarie in detentive, c.p.p. 660. Copie: acquisizione in luogo dell'originale smarrito o distrutto, c.p.p. 2342. autorizzazione al rilascio, att. c.p.p. 43. degli atti da notificare, att. c.p.p. 54. dei documenti sequestrati, c.p.p. 258, 2602. del verbale di sequestro, c.p.p. 258. delle trascrizioni di registrazioni, c.p.p. 2688. richiesta, c.p.p. 116, 117, 118, 118 bis; att. c.p.p. 42. rilascio, c.p.p. 243. spese per copie fatte dalla cancelleria, att. c.p.p. 164. Corpo del reato: documenti costituenti, c.p.p. 235. fascicolo del dibattimento, c.p.p. 431. nozione, c.p.p. 2532. presentazione della richiesta del pubblico ministero, c.p.p. 416; nel giudizio immediato, c.p.p. 454. Correzione: 2049

della sentenza, c.p.p. 547. delle erronee generalità dell'imputato, c.p.p. 663. di errori materiali, c.p.p. 130; annotazione dell'ordinanza di correzione, c.p.p. 1302. Si veda anche Rettificazione. Corrispondenza: acquisizione, c.p.p. 353. esaminazione presso banche, c.p.p. 248. garanzie di libertà del difensore, c.p.p. 103; att. c.p.p. 35. sequestro, c.p.p. 254. Corte d'appello: estradizione per l'estero: competenza, c.p.p. 701-704. Si veda Appello. Corte di assise: competenza, c.p.p. 5. Corte di cassazione: Si veda Cassazione. Cosa giudicata: Si veda Giudicato. Cose: deperibili, c.p.p. 260; vendita o distruzione, att. c.p.p. 83. di cui è stata ordinata la consegna al Ministro di grazia e giustizia, att. c.p.p. 87. individuazione, c.p.p. 361. ispezione, c.p.p. 246. ricognizione, c.p.p. 215. sequestrate: custodia, c.p.p. 259; apposizione di sigilli, c.p.p. 260; restituzione, c.p.p. 262, 263; vendita, c.p.p. 264.

2050

Costituzione: del responsabile civile, c.p.p. 84. di parte civile, c.p.p. 76; formalità, c.p.p. 78; termine, c.p.p. 79; revoca, c.p.p. 82. in carcere, c.p.p. 6562. Si veda Parte civile. Crediti: esecuzione sui beni sequestrati, c.p.p. 3202. Culti: libera pratica, Cost. 8. Cumulo: di pene inflitte con sentenze o decreti penali diversi, c.p.p. 663, 671. Si veda anche Concorso di reati. Curatore: capacità processuale della parte civile, c.p.p. 77. domanda di riparazione dell'errore giudiziario, c.p.p. 645. impugnazione dell'imputato incapace, c.p.p. 571. incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento, c.p.p. 343. notificazioni all'imputato interdetto o infermo di mente, c.p.p. 166, 666. per la domanda di grazia, c.p.p. 681. revisione a favore del condannato defunto, c.p.p. 638. sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato, c.p.p. 71. speciale per la querela, c.p.p. 338. Custode: accompagnamento coattivo, c.p.p. 133. delle c.s. sequestrate, c.p.p. 259.

2051

Custodia: delle c.s. sequestrate, c.p.p. 259; att. c.p.p. 81, 82. Custodia cautelare: a seguito di riconoscimento di una sentenza straniera, c.p.p. 736. adempimenti esecutivi, c.p.p. 293. all'estero, c.p.p. 722. arresti domiciliari, c.p.p. 2845. colloqui con il difensore, c.p.p. 104; att. c.p.p. 36; nomina del difensore di fiducia, c.p.p. 96. computo dei termini di durata, c.p.p. 297; att. c.p.p. 251; termini di durata massima, c.p.p. 303; sospensione dei termini di durata, c.p.p. 304. computo nell'esecuzione, c.p.p. 657. criteri di scelta delle misure, c.p.p. 2753. esecuzione nei confronti dell'internato per misura di sicurezza, att. c.p.p. 95. estinzione della misura, c.p.p. 300, 306; att. c.p.p. 98; per esigenze probatorie, c.p.p. 301; per omesso interrogatorio, c.p.p. 302. in carcere, c.p.p. 285. in luogo di cura, c.p.p. 286. interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale, c.p.p. 294; att. c.p.p. 93; regole generali per l'interrogatorio, c.p.p. 64. modalità di esecuzione, att. c.p.p. 216. nel procedimento di estradizione, c.p.p. 704, 714 ss. proroga, c.p.p. 305. revoca, c.p.p. 299. riparazione per ingiusta detenzione, c.p.p. 314. ripristino, c.p.p. 307. sospensione dell'esecuzione delle misure, c.p.p. 298. spese, c.p.p. 692; condanna alle spese, c.p.p. 535. Si veda anche Misure cautelari personali.

2052

D Danni: azione civile per il risarcimento, c.p.p. 74-89. condanna alle restituzioni ed al risarcimento, c.p.p. 538. condanna del querelante, c.p.p. 427, 542. condanna generica e provvisionale, c.p.p. 539. decisione sugli effetti civili nel c.s. di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, c.p.p. 578. dichiarazione di rinuncia all'azione civile, c.p.p. 339. efficacia della sentenza di condanna nel giudizio civile o amministrativo, c.p.p. 651. efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo, c.p.p. 652. esecuzione sui beni sequestrati, c.p.p. 320. impugnazione del responsabile civile e del civilmente obbligato, c.p.p. 575; della parte civile, c.p.p. 576. impugnazione dell'imputato per gli interessi civili, c.p.p. 574. procedimento di riconoscimento delle disposizioni civili di sentenze penali straniere, c.p.p. 741. provvedimenti in ordine all'esecuzione delle condanne civili, c.p.p. 600; sospensione dell'esecuzione, c.p.p. 612. provvisoria esecuzione delle disposizioni civili, c.p.p. 540. riconoscimento delle sentenze penali straniere per gli effetti civili, c.p.p. 732. riparazione dell'errore giudiziario, c.p.p. 643, 647. riparazione mediante pubblicazione della sentenza c.p.p. 543. Si veda anche Risarcimento del danno. Data: degli atti, c.p.p. 111. del decreto che dispone il giudizio, c.p.p. 429; att. c.p.p. 160. dell'udienza preliminare, c.p.p. 419; fissazione della nuova udienza, c.p.p. 4204. della consegna dell'atto nelle notificazioni, c.p.p. 148. della sentenza, c.p.p. 546. relazione di notificazione, c.p.p. 168.

2053

Dati informatici: sequestro presso fornitori, c.p.p. 254 bis Decadenza: dall'esercizio della responsabilità genitoriale, c.p.p. 662. deducibilità delle nullità, c.p.p. 1823. inosservanza delle norme processuali a pena di, c.p.p. 606 lett. c). intervento volontario del responsabile civile, c.p.p. 85. provvedimenti del giudice, c.p.p. 95. richiesta di esclusione: della parte civile, c.p.p. 80; del responsabile civile, c.p.p. 86. richiesta di giudizio abbreviato, c.p.p. 458. richiesta per la restituzione nel termine, c.p.p. 1753. rilevazione dell'incompetenza, c.p.p. 21, 23. termine per la costituzione di parte civile, c.p.p. 79. termini: a pena di, c.p.p. 173, 182, 5855; att. c.p.p. 99. Decisione: delle Sezioni unite, c.p.p. 618. in camera di consiglio: si veda Camera di consiglio. nel giudizio sulla richiesta di applicazione di pena, att. c.p.p. 135. sulla richiesta di incidente probatorio, att. c.p.p. 155. sulle questioni civili, c.p.p. 538-543. Declaratoria: immediata di cause di non punibilità, c.p.p. 129. Decorrenza: dei termini: regole generali, c.p.p. 172; provvedimenti in c.s. di scarcerazione, c.p.p. 307; per l'impugnazione, c.p.p. 585. Decreto: che dispone il giudizio, c.p.p. 424, 429; davanti alla corte di assise o al tribunale, att. c.p.p. 132; notifiche, c.p.p. 4294; att. c.p.p. 133. di abbreviazione dei termini nell'incidente probatorio, c.p.p. 400. 2054

di archiviazione, c.p.p. 409, 415. di autorizzazione a proseguire le indagini a carico di ignoti, c.p.p. 415. di autorizzazione alle intercettazioni di comunicazioni, c.p.p. 267. di citazione a giudizio nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, c.p.p. 552; indicazione dei procedimenti speciali, att. c.p.p. 159. di citazione di persone informate sui fatti, c.p.p. 377. di citazione di testimoni, periti e consulenti tecnici, c.p.p. 468; att. c.p.p. 142. di giudizio immediato, c.p.p. 456. di grazia, c.p.p. 681; annotazione, att. c.p.p. 192. di irreperibilità, c.p.p. 159; validità, c.p.p. 151. forme dei provvedimenti del giudice, c.p.p. 125. procedimento per, c.p.p. 459-464. Si veda anche Procedimento per decreto. Si veda anche Citazione. Delega: alla polizia giudiziaria da parte del P.M., c.p.p. 370. esecuzione delle rogatorie, c.p.p. 725. funzioni della polizia giudiziaria, c.p.p. 55, 247. per l'incidente probatorio, c.p.p. 3985. Deliberazione: collegiale, c.p.p. 527. della corte di appello nell'esecuzione all'estero di sentenze penali italiane, c.p.p. 743. della sentenza, c.p.p. 525-528, 615. immediatezza, c.p.p. 525. prove utilizzabili, c.p.p. 526. Denaro: offerta o promessa: assunzione di testimonianza di persona esposta a, c.p.p. 392. provvedimenti in c.s. di mancata restituzione delle c.s. sequestrate, c.p.p. 264. riparazione dell'errore giudiziario, c.p.p. 643. 2055

sequestro presso banche, c.p.p. 255. Denuncia: anonima, c.p.p. 3333; att. c.p.p. 108; reg. c.p.p. 5. attestazione della presentazione, att. c.p.p. 107. da parte dei privati, c.p.p. 333. da parte di pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, c.p.p. 331. di conflitto di giurisdizione e competenza, c.p.p. 302; comunicazione al giudice in conflitto, c.p.p. 31. dichiarazioni e richieste di persone detenute o internate, c.p.p. 123; att. c.p.p. 44. esclusione dell'obbligo, c.p.p. 334 bis. incompatibilità del giudice per atti compiuti nel procedimento, c.p.p. 34. informativa al giudice civile o amministrativo, att. c.p.p. 106. modalità particolari per le notizie di reato, coord. c.p.p. 221. obbligo di deposizione per i prossimi congiunti, c.p.p. 199. referto: si veda Notizia (di reato) e Referto. registro delle notizie di reato, c.p.p. 335. Deposito: degli atti cui hanno diritto di assistere i difensori, c.p.p. 366; att. c.p.p. 118. degli atti per il giudizio abbreviato, att. c.p.p. 161. degli atti per l'udienza preliminare, c.p.p. 419; att. c.p.p. 131. dei provvedimenti del giudice, c.p.p. 128. del fascicolo del pubblico ministero, c.p.p. 433. del verbale d'interrogatorio, att. c.p.p. 93. dell'ordinanza che concede la restituzione nel termine, c.p.p. 175. dell'ordinanza che dispone misure cautelari personali, c.p.p. 293, 296. della documentazione relativa all'attività integrativa d'indagine del pubblico ministero, c.p.p. 430; reg. c.p.p. 18. della richiesta di rinvio a giudizio, c.p.p. 416. della sentenza, c.p.p. 548, 617. delle copie dell'atto di impugnazione, att. c.p.p. 164. delle c.s. sequestrate, att. c.p.p. 82.

2056

delle memorie e richieste delle parti, c.p.p. 121. delle registrazioni e verbali di intercettazioni, c.p.p. 268, 268 bis; att. c.p.p. 89. notifica dell'avviso di, c.p.p. 542; decorrenza dei termini per l'impugnazione, c.p.p. 585. notificazione mediante, c.p.p. 154. Detenuto: applicazione dell'amnistia e dell'indulto, c.p.p. 672. assenza o allontanamento volontario dell'imputato, c.p.p. 488. assistenza dell'imputato all'udienza, c.p.p. 474. computo dei termini di durata delle misure, c.p.p. 297. contumacia dell'imputato, c.p.p. 487. dichiarazioni e richieste, c.p.p. 123; att. c.p.p. 44. domicilio dichiarato, eletto o determinato, c.p.p. 161. dubbio sull'identità fisica della persona, c.p.p. 667. esecuzione delle pene detentive, c.p.p. 656. impedimento a comparire dell'imputato, c.p.p. 486. notificazioni all'imputato, c.p.p. 156; att. c.p.p. 57, 58. prima notificazione all'imputato non detenuto, c.p.p. 157; att. c.p.p. 59. procedimento in camera di consiglio, c.p.p. 127. provvedimenti relativi alla grazia, c.p.p. 681. rinvio dell'esecuzione, c.p.p. 684. separazione degli imputati, att. c.p.p. 96. Si veda Custodia cautelare. Detenzione: domiciliare, c.p.p. 123; att. c.p.p. 22. esecuzione delle sanzioni sostitutive, c.p.p. 661, 678, 684. ingiusta: reintegrazione nel posto di lavoro, att. c.p.p. 102 bis; riparazione, c.p.p. 314, 315; att. c.p.p. 102. per uso personale di sostanze stupefacenti; coord. c.p.p. 227 (abrogato). Determinazione: del distretto di corte di appello più vicino, att. c.p.p. 1. del giudice di rinvio, att. c.p.p. 175. 2057

del reato più grave, att. c.p.p. 187. della competenza, c.p.p. 4. della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari, c.p.p. 278. della pena ai fini dell'esecuzione di una sentenza straniera, c.p.p. 735. della pena per l'arresto e il fermo, c.p.p. 379. Dibattimento: allegazione di atti al fascicolo, c.p.p. 515. allontanamento coattivo dell'imputato, c.p.p. 475. ammissione di nuove prove, c.p.p. 507; att. c.p.p. 151. assistenza dell'imputato all'udienza, c.p.p. 474. atti introduttivi, c.p.p. 484 ss. atti preliminari all'esame dei testimoni, c.p.p. 497. atti preliminari, c.p.p. 465-469; facoltà dei difensori, c.p.p. 466; urgenti, c.p.p. 467; rinnovazione della citazione a giudizio, att. c.p.p. 143. aula di udienza dibattimentale, att. c.p.p. 146. chiusura, c.p.p. 524. citazione di testimoni, periti e consulenti tecnici, c.p.p. 468; att. c.p.p. 142. correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, c.p.p. 521. costituzione delle parti, c.p.p. 484. dichiarazione di apertura, c.p.p. 492. dichiarazioni spontanee dell'imputato, c.p.p. 494. diritti delle parti, c.p.p. 519. disciplina dell'udienza, c.p.p. 470. discussione finale, c.p.p. 523, 524. divieto di pubblicazione di atti ed immagini, c.p.p. 114. durata e prosecuzione, c.p.p. 477. esame dei periti e dei consulenti tecnici, c.p.p. 501; esame a domicilio di testimoni, periti e consulenti tecnici, c.p.p. 502; opposizioni, c.p.p. 504. esame delle parti private, c.p.p. 503; att. c.p.p. 150; opposizioni, c.p.p. 504. esame diretto e controesame dei testimoni, c.p.p. 498; regole per l'esame testimoniale, c.p.p. 500; att. c.p.p. 149; contestazioni nell'esame testimoniale, c.p.p. 500; opposizioni, c.p.p. 504.

2058

espulsione dell'imputato dall'aula, c.p.p. 4753. facoltà degli enti e delle associazioni rappresentativi d'interessi lesi dal reato, c.p.p. 505. fascicolo, c.p.p. 431; trasmissione e custodia, c.p.p. 432; eliminazione di atti, c.p.p. 491; att. c.p.p. 148. fatto nuovo, c.p.p. 518. impedimento a comparire dell'imputato o del difensore, c.p.p. 486; contumacia, c.p.p. 487; assenza e allontanamento volontario dell'imputato, c.p.p. 488; dichiarazioni dell'imputato contro il quale si è proceduto in assenza, c.p.p. 489; accompagnamento coattivo dell'imputato assente, c.p.p. 490. impugnazioni di ordinanze, c.p.p. 586. in Cassazione, c.p.p. 614. in appello, c.p.p. 602. istruzione dibattimentale, c.p.p. 496 ss. letture: consentite, c.p.p. 511; vietate, c.p.p. 514; di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione, c.p.p. 512; delle dichiarazioni rese dall'imputato, c.p.p. 513. modifica dell'imputazione, c.p.p. 516. nullità della sentenza per difetto di contestazione, c.p.p. 522. nuove contestazioni all'imputato assente, c.p.p. 520. nuove contestazioni, c.p.p. 516-522. ordine nell'assunzione delle prove, c.p.p. 496. porte chiuse: c.s. in cui si procede, c.p.p. 472; ordine di procedere, c.p.p. 473. poteri del presidente, c.p.p. 506. proscioglimento prima del dibattimento, c.p.p. 469. provvedimenti conseguenti all'ammissione della perizia, c.p.p. 508; facoltà delle parti, att. c.p.p. 152. provvedimenti del giudice in ordine alla prova, c.p.p. 495. pubblicità dell'udienza, c.p.p. 471. questioni civili o amministrative, c.p.p. 479. questioni incidentali, c.p.p. 478. questioni preliminari, c.p.p. 491. reati commessi in udienza, c.p.p. 476. reato concorrente e circostanze aggravanti, c.p.p. 517. richieste di prova, c.p.p. 493. rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello, c.p.p. 603. rinnovazione della citazione, c.p.p. 485; att. c.p.p. 143. rinvio, c.p.p. 4871. 2059

riprese audiovisive dei dibattimenti, att. c.p.p. 147. sentenza, c.p.p. 525-548. sospensione per esigenze istruttorie, c.p.p. 509. sospensione, c.p.p. 4772, 519, 520. svolgimento della discussione, c.p.p. 523. verbale di assunzione dei mezzi di prova, c.p.p. 510. verbale di udienza, c.p.p. 480; contenuto, c.p.p. 481; diritto delle parti in ordine alla documentazione, c.p.p. 482; sottoscrizione e trascrizione, c.p.p. 483; lettura in camera di consiglio, c.p.p. 528. Dichiarazioni: contenuto del verbale, c.p.p. 136, 481. dell'imputato: divieto di testimonianza, c.p.p. 62. di domicilio: dell'imputato, c.p.p. 161; della persona offesa all'estero, c.p.p. 154; del responsabile civile e della persona civilmente obbligata non costituiti, c.p.p. 154. di persone detenute o internate, c.p.p. 123; att. c.p.p. 44. indizianti, c.p.p. 63. induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria, c.p.p. 377 bis. orali delle parti, c.p.p. 141. spontanee dell'imputato, c.p.p. 494. spontanee: alla polizia giudiziaria, c.p.p. 350; al pubblico ministero, c.p.p. 374. Difensore: c.p.p. 96-108; att. c.p.p. 21-38. abbandono e rifiuto della difesa, c.p.p. 105. albo speciale della Corte di cassazione, c.p.p. 613. assistenza alle perquisizioni ed agli accertamenti e sequestri, c.p.p. 356; avvertimento, att. c.p.p. 114. atti ai quali ha diritto di assistere senza avviso, c.p.p. 365. avvisi: si veda Avviso. colloqui con l'imputato in custodia cautelare, c.p.p. 104; accesso al luogo di custodia, att. c.p.p. 36. corrispondenza e colloqui telefonici con l'imputato, att. c.p.p. 35. dell'imputato latitante, c.p.p. 296. della persona offesa, c.p.p. 101; domicilio della persona offesa, att. c.p.p. 33.

2060

delle altre parti private, c.p.p. 100. deposito degli atti cui hanno diritto di assistere i difensori, c.p.p. 366. di fiducia, c.p.p. 96; divieto di consigli circa la scelta, att. c.p.p. 25. di ufficio, c.p.p. 97; comunicazione del nominativo, att. c.p.p. 28; elenchi e tabelle, att. c.p.p. 29; comunicazione, att. c.p.p. 30; diritto alla retribuzione, att. c.p.p. 31. diritto di assistere ad accertamenti tecnici non ripetibili, c.p.p. 3603. documentazione della qualità, att. c.p.p. 27. esposizione introduttiva e richieste di prova, c.p.p. 493. estensione dei diritti dell'imputato, c.p.p. 99. facoltà dei difensori per l'esercizio del diritto alla prova, att. c.p.p. 38. facoltà di prendere visione del fascicolo trasmesso con la richiesta di decreto penale di condanna, att. c.p.p. 140. facoltà negli atti preliminari al dibattimento, c.p.p. 466. garanzie di libertà, c.p.p. 103; att. c.p.p. 35. impedimento a comparire, c.p.p. 420 ter, 486. impugnazione, c.p.p. 571. incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento, c.p.p. 106. invito a nominarlo, c.p.p. 63. memorie e richieste, c.p.p. 367. nomina di più difensori, att. c.p.p. 24. nomina e assistenza ad atti disposti dal P.M., c.p.p. 364. nomina nei c.s. di uso di lingua diversa dall'italiano, att. c.p.p. 26. non accettazione, rinuncia o revoca, c.p.p. 107. non iscritto all'albo del circondario, att. c.p.p. 65. patrocinio dei non abbienti, c.p.p. 98; ammissione al gratuito patrocinio, att. c.p.p. 32. procura speciale per determinati atti, c.p.p. 122; rilasciata in via preventiva, att. c.p.p. 37. rappresentanza, c.p.p. 100, 159, 165, 423. segreto professionale, c.p.p. 200, 256. sostituto, c.p.p. 102; designazione, att. c.p.p. 34. termine per la difesa, c.p.p. 108. Si vedano anche Avvocato e Investigazioni difensive. Difesa:

2061

abbandono e rifiuto, c.p.p. 105. incompatibilità, c.p.p. 106. termine, c.p.p. 108. Si veda anche Investigazioni difensive. Differimento: dell'esecuzione della pena, c.p.p. 684. dell'incidente probatorio, c.p.p. 397. della conversione della pena pecuniaria, c.p.p. 660. Dimora: divieto e obbligo di, c.p.p. 283. notificazioni, c.p.p. 157. Direttore: di giornale o periodico, c.p.p. 694. Diritti: dei cittadini, Cost. 13-54. Disciplina: del concorso formale e del reato continuato, c.p.p. 671. dell'udienza, c.p.p. 470; in Cassazione, c.p.p. 614. Dispositivo: decreto che dispone il giudizio, c.p.p. 429. deposito dei provvedimenti del giudice, c.p.p. 128. effetti della sentenza sui provvedimenti di natura, personale o reale, c.p.p. 626. esecuzione delle pene detentive, c.p.p. 656. falsità di documenti, c.p.p. 675. lettura, c.p.p. 545. pubblicazione della sentenza come effetto della condanna, c.p.p. 536. redazione e sottoscrizione, c.p.p. 544, 615.

2062

requisiti: della sentenza, c.p.p. 426, 546; del decreto di condanna, c.p.p. 460. Dissenso: del pubblico ministero nella richiesta di applicazione della pena, c.p.p. 446, 448. della parte nella richiesta di applicazione della pena, c.p.p. 446. nei provvedimenti collegiali, c.p.p. 125. Distruzione: di c.s. sottoposte a sequestro, c.p.p. 260; att. c.p.p. 83. di documentazione, c.p.p. 269. di merci, c.p.p. 260. di sentenza o di altro atto del procedimento, c.p.p. 112, 113. Divieto: allontanamento coattivo dell'imputato, c.p.p. 475. autorizzazione a procedere, c.p.p. 343. copie, estratti e certificati, c.p.p. 116. di arresto o di fermo in determinate circostanze, c.p.p. 385. di assistere alle ulteriori attività processuali, c.p.p. 471. di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, c.p.p 282 ter. di dimora, c.p.p. 283. Si veda anche Misure cautelari. di espatrio, c.p.p. 281. Si veda anche Misure cautelari. di estradizione e di nuovo procedimento, c.p.p. 739. di pubblicazione di atti ed immagini, c.p.p. 114; violazione del divieto, c.p.p. 115. di soggiorno, att. c.p.p. 191. di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato, c.p.p. 62. di un secondo giudizio, c.p.p. 649. di utilizzazione delle intercettazioni, c.p.p. 271. obblighi di comunicazione, c.p.p. 282 quater. obbligo del segreto, c.p.p. 3293. temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali, c.p.p. 290. Si veda anche Misure cautelari. Documentazione: 2063

conservazione, c.p.p. 269. degli atti del pubblico ministero, c.p.p. 373; att. c.p.p. 119. degli atti, c.p.p. 134-142. dell'attività di polizia giudiziaria, c.p.p. 357; att. c.p.p. 115. dell'attività integrativa di indagine del pubblico ministero, c.p.p. 430, 433. dell'interrogatorio di persona in stato di detenzione, c.p.p. 141 bis. delle nuove ricerche dell'imputato, att. c.p.p. 61. di atti non ripetibili, c.p.p. 238; att. c.p.p. 78. dichiarazioni orali delle parti, c.p.p. 141. diritti delle parti, c.p.p. 482. modalità, c.p.p. 134; in c.s. particolari, c.p.p. 140. riproduzione fonografica o audiovisiva, c.p.p. 139. verbale: si veda Verbale e Atti procedurali. Documenti: c.p.p. 234-243. accertamento della provenienza, c.p.p. 239. anonimi ed atti relativi ad intercettazioni illegali, c.p.p. 240; att. c.p.p. 108. concernenti reati diretti all'eversione dell'ordinamento costituzionale, c.p.p. 204. copie dei documenti sequestrati, c.p.p. 258. costituenti corpo di reato, c.p.p. 235. esame presso banche, c.p.p. 248. falsi, c.p.p. 241, 675; att. c.p.p. 75; pronuncia, c.p.p. 537. prova documentale, c.p.p. 234. provenienti dall'imputato, c.p.p. 237. relativi al giudizio sulla personalità, c.p.p. 236. relativi all'oggetto della difesa, c.p.p. 1032. rilascio di copie, c.p.p. 243. sequestro: di corrispondenza, c.p.p. 254; presso banche, c.p.p. 255. traduzione, c.p.p. 242. verbali di prove di altri procedimenti, c.p.p. 238. Domicilio: arresti domiciliari, c.p.p. 284. comunicazione, c.p.p. 162. della persona offesa, att. c.p.p. 33.

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dichiarato, eletto o determinato per le notificazioni, c.p.p. 161. durata, c.p.p. 164. esame a domicilio di testimoni, periti e consulenti tecnici, c.p.p. 502. formalità per le notificazioni, c.p.p. 163. indicazione delle generalità del domiciliatario, att. c.p.p. 62. limiti di ammissibilità nelle intercettazioni, c.p.p. 266. perquisizioni, c.p.p. 251; coord. c.p.p. 225. presso il difensore, c.p.p. 100, 6132. Donna: allattamento e gravidanza, c.p.p. 275. Doveri: di esibizione, c.p.p. 256. Dubbio: sull'appartenenza delle c.s. sequestrate, c.p.p. 263. sull'esistenza di cause di giustificazione o di non punibilità, c.p.p. 530. sull'identità fisica della persona detenuta, c.p.p. 667. Si veda anche Identità.

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E Editore: spese per la pubblicazione di sentenze e obbligo di inserzione, c.p.p. 694. Effetti civili: annullamento della sentenza in Cassazione, c.p.p. 622. decisione nel c.s. di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, c.p.p. 578. riconoscimento delle sentenze penali straniere, c.p.p. 732. Effetti delle sentenze penali straniere: c.p.p. 730-741. deliberazione della corte d'appello, c.p.p. 734. determinazione della pena e ordine di confisca, c.p.p. 735. divieto di estradizione e di nuovo procedimento, c.p.p. 739. esecuzione conseguente al riconoscimento, c.p.p. 738. esecuzione della pena pecuniaria e devoluzione di c.s. confiscate, c.p.p. 740. misure coercitive, c.p.p. 736. poteri del Ministro in materia di esecuzione, c.p.p. 734 bis, 742 bis. procedimento relativo al riconoscimento delle disposizioni civili di sentenze penali straniere, c.p.p. 741. riconoscimento delle sentenze penali straniere: per gli effetti del codice penale, c.p.p. 730; a norma di accordi internazionali, c.p.p. 731; per gli effetti civili, c.p.p. 732; presupposti, c.p.p. 733. sequestro, c.p.p. 737. Efficacia: della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno, c.p.p. 652. della sentenza penale di assoluzione nel giudizio disciplinare, c.p.p. 653. della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno, c.p.p. 651.

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della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi, c.p.p. 654. di giudicato del decreto penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo, c.p.p. 4605. Elezione: di domicilio, c.p.p. 154, 161, 169. Eliminazione: degli atti del fascicolo del dibattimento, c.p.p. 4914; att. c.p.p. 148. di errori od omissioni, c.p.p. 130. Enti ed associazioni: consenso della persona offesa, c.p.p. 92. difensore, c.p.p. 93, 100, 101. diritti e facoltà, c.p.p. 91, 505, 511. intervento, c.p.p. 93, 491; termine, c.p.p. 94. provvedimenti del giudice, c.p.p. 95. Si veda anche Persona offesa dal reato. Erede: soggetti legittimati alla richiesta di revisione, c.p.p. 632. Errore: di nome, c.p.p. 66, 668. giudiziario (riparazione), c.p.p. 643-647. materiale (correzione), c.p.p. 130, 547; att. c.p.p. 48; ricorso straordinario, c.p.p. 625 bis. non determinante annullamento (rettifica), c.p.p. 619. sull'identità fisica dell'imputato, c.p.p. 68, 389. Si veda anche Riparazione. Esame: a domicilio di testimoni, periti e consulenti tecnici, c.p.p. 502. atti preliminari all'esame dei testimoni, c.p.p. 497.

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contestazioni nell'esame testimoniale, c.p.p. 500. dei periti e dei consulenti tecnici, c.p.p. 501. delle parti private, c.p.p. 503; att. c.p.p. 150. delle parti, c.p.p. 208-210. di persona imputata in un procedimento connesso, c.p.p. 210. diretto e controesame dei testimoni, c.p.p. 498. incidente probatorio, c.p.p. 392. oggetto e limiti della testimonianza, c.p.p. 194. opposizioni, c.p.p. 504. poteri del presidente, c.p.p. 506. regole, c.p.p. 209, 499; att. c.p.p. 149. richiesta, c.p.p. 208. testimonianza di agenti diplomatici, c.p.p. 206. testimonianza indiretta, c.p.p. 195. Esclusione: del responsabile civile (richiesta), c.p.p. 86. della parte civile (richiesta), c.p.p. 80. di ufficio del responsabile civile, c.p.p. 87. di ufficio della parte civile, c.p.p. 81. effetti, c.p.p. 88. provvedimenti del giudice, c.p.p. 954. Esecuzione: Magistratura di sorveglianza, c.p.p. 677-684. all'estero di sentenze penali italiane, c.p.p. 742-746. applicazione dell'amnistia e dell'indulto, c.p.p. 672. applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato, c.p.p. 671; att. c.p.p. 186, 187, 188. computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo, c.p.p. 657. dei provvedimenti giurisdizionali, c.p.p. 655-664. deliberazione della corte di appello, c.p.p. 743. della pena pecuniaria e devoluzione di c.s. confiscate, c.p.p. 740. delle misure di sicurezza ordinate con sentenza, c.p.p. 658. delle pene accessorie, c.p.p. 662; att. c.p.p. 183. delle pene detentive, c.p.p. 656.

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delle pene pecuniarie, c.p.p. 660; procedura in c.s. di insolvibilità, att. c.p.p. 182. delle rogatorie, c.p.p. 723. delle sanzioni sostitutive, c.p.p. 661. di altre sanzioni pecuniarie, c.p.p. 664; forma dei provvedimenti che applicano altre sanzioni pecuniarie, att. c.p.p. 184. di pene concorrenti, c.p.p. 663. di provvedimenti del giudice di sorveglianza, c.p.p. 659. di sentenza straniera conseguente al riconoscimento, c.p.p. 738. disposizioni relative all'esecuzione, att. c.p.p. 181-200. dubbio sull'identità fisica della persona detenuta, c.p.p. 667. effetti sull'esecuzione nello Stato, c.p.p. 746. esecutività delle sentenze e dei decreti penali, c.p.p. 650. falsità di documenti, c.p.p. 675. funzioni del pubblico ministero, c.p.p. 655. giudicato, c.p.p. 648-654. giudice competente, c.p.p. 665, 676. limiti dell'esecuzione della condanna all'estero, c.p.p. 744. persona condannata per errore di nome, c.p.p. 668. pluralità di sentenze per il medesimo fatto contro la stessa persona, c.p.p. 669. presupposti dell'esecuzione all'estero, c.p.p. 742. procedimento, c.p.p. 666; assunzione delle prove, att. c.p.p. 185. provvedimenti in ordine all'esecuzione delle condanne civili, c.p.p. 600. provvedimenti relativi alla grazia, c.p.p. 681; att. c.p.p. 192. provvisoria esecuzione delle disposizioni civili, c.p.p. 540. questioni sul titolo esecutivo, c.p.p. 670. revoca della sentenza per abolizione del reato, c.p.p. 673. revoca di altri provvedimenti, c.p.p. 674. richiesta di misure cautelari all'estero, c.p.p. 745. rinvio, c.p.p. 684. sospensione dell'esecuzione della condanna civile, c.p.p. 612. sospensione in c.s. di revisione, c.p.p. 635. Espatrio: divieto di, c.p.p. 281. Esperimento giudiziale:

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incidente probatorio, c.p.p. 392. modalità, c.p.p. 219. presupposti, c.p.p. 218. Espulsione: dello straniero: iscrizioni nel casellario giudiziale, c.p.p. 686. Estero: assunzione della testimonianza di agenti diplomatici, c.p.p. 206. competenza per reati commessi all'estero, c.p.p. 10. esecuzione all'estero di sentenze penali italiane, c.p.p. 742-746. estradizione: per l'estero, c.p.p. 697-719; dall'estero, c.p.p. 720-722. Si veda anche Estradizione per l'estero ed Estradizione dall'estero. notificazioni, c.p.p. 154; all'imputato, c.p.p. 169. rogatorie dall'estero, c.p.p. 723-726. termini di durata massima delle indagini preliminari, c.p.p. 407. Estinzione: del reato: si veda Cause estintive del reato. della custodia per omesso interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare, c.p.p. 302. della pena: si veda Cause estintive della pena. delle misure cautelari personali, c.p.p. 299-308. Si veda anche Misure cautelari personali. delle misure per effetto della pronuncia di determinate sentenze, c.p.p. 300. di misure disposte per esigenze probatorie, c.p.p. 301. provvedimenti conseguenti all'estinzione delle misure, c.p.p. 306. Estinzione del reato: Si veda Cause estintive del reato. Estinzione della pena: Si veda Cause estintive della pena. Estradizione dall'estero:

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custodia cautelare all'estero, c.p.p. 722. divieto di estradizione e di nuovo procedimento, c.p.p. 739. domanda di estradizione, c.p.p. 720. estensione dell'estradizione, c.p.p. 721 bis. principio di specialità, c.p.p. 721. riparazione per ingiusta detenzione, c.p.p. 722 bis. Estradizione per l'estero: accertamenti del procuratore generale, c.p.p. 703. applicazione provvisoria di misure cautelari, c.p.p. 715. arresto da parte della polizia giudiziaria, c.p.p. 716. audizione della persona sottoposta a una misura coercitiva, c.p.p. 717. condizioni per la decisione, c.p.p. 705. consegna, c.p.p. 708; sospensione, c.p.p. 709; temporanea, c.p.p. 709. consenso dell'interessato, att. c.p.p. 202. documenti a sostegno della domanda, c.p.p. 700. estensione dell'estradizione concessa, c.p.p. 710. garanzia giurisdizionale, c.p.p. 701. impugnazione dei provvedimenti relativi alle misure cautelari, c.p.p. 719. intervento dello Stato richiedente, c.p.p. 702. misure cautelari, c.p.p. 714-719. misure coercitive e sequestro, c.p.p. 714. misure di sicurezza applicate all'estradato, c.p.p. 713. poteri del Ministro di grazia e giustizia, c.p.p. 697. principio di specialità, c.p.p. 699. procedimento davanti alla corte di appello, c.p.p. 704. provvedimento di estradizione, c.p.p. 708. reati politici, c.p.p. 698. revoca e sostituzione delle misure, c.p.p. 718. ricorso per cassazione, c.p.p. 706. riestradizione, c.p.p. 711. rinnovo della domanda di estradizione, c.p.p. 707. transito, c.p.p. 712. Età:

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criteri di scelta delle misure cautelari personali, c.p.p. 2754. incertezza sull'età dell'imputato, c.p.p. 67. Evasione: dall'udienza dibattimentale, c.p.p. 4883. perquisizioni in c.s. di evasione, c.p.p. 352.

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F Falsità: c.s. di revisione, c.p.p. 630. dei documenti, c.p.p. 241, 675; pronuncia, c.p.p. 537. dei testimoni, c.p.p. 207. di generalità o documenti di identificazione, c.p.p. 3494. udienza preliminare, c.p.p. 425. Familiari: avviso dell'arresto o del fermo, c.p.p. 387. riparazione dell'errore giudiziario, c.p.p. 643. Farmacisti: segreto professionale, c.p.p. 200, 256. Fascicolo: allegazione di atti, c.p.p. 515. atti urgenti, c.p.p. 559. chiusura delle indagini preliminari, c.p.p. 554. contenuto del fascicolo trasmesso al pubblico ministero con la richiesta di rinvio a giudizio, att. c.p.p. 130. contestazioni nell'esame testimoniale, c.p.p. 500. decreto di citazione a giudizio, c.p.p. 555. del pubblico ministero, c.p.p. 433. divieto di pubblicazione di atti, c.p.p. 144. documentazione degli atti, c.p.p. 373. eliminazione di atti, att. c.p.p. 148. facoltà dei difensori, c.p.p. 466; att. c.p.p. 139, 140. nel giudizio direttissimo, c.p.p. 450; att. c.p.p. 138. nel giudizio immediato, c.p.p. 454; trasmissione degli atti, c.p.p. 457; facoltà dei difensori di prendere visione del fascicolo, att. c.p.p. 139. nel procedimento per decreto, c.p.p. 459; facoltà dei difensori di prenderne visione, att. c.p.p. 140. per il dibattimento, c.p.p. 431. 2073

presentazione della richiesta di rinvio a giudizio, c.p.p. 416. questioni preliminari, c.p.p. 491. richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, c.p.p. 408. trasmissione e custodia, c.p.p. 432. verbale d'udienza, c.p.p. 480; sottoscrizione e trascrizione, c.p.p. 483. Fatto: diverso nell'istruzione dibattimentale, c.p.p. 516. modificazione dell'imputazione, c.p.p. 423. nuovo risultante dal dibattimento, c.p.p. 518. questioni di nullità in appello, c.p.p. 604. Fermo: adempimenti della polizia giudiziaria per madre di prole di minore età, c.p.p. 387 bis. autorizzazione a procedere, c.p.p. 343. avviso ai familiari, c.p.p. 387. c.s. di immediata liberazione, c.p.p. 389; att. c.p.p. 121. colloqui con il difensore, c.p.p. 104. computo dei termini di durata delle misure, c.p.p. 297. determinazione della pena, c.p.p. 379. di indiziato di reato, c.p.p. 384. divieto in determinate circostanze, c.p.p. 385. doveri della polizia giudiziaria, c.p.p. 386. interrogatorio del fermato, c.p.p. 388. provvedimenti in c.s. di scarcerazione per decorrenza dei termini, c.p.p. 307. richiesta di convalida, c.p.p. 390. udienza di convalida, c.p.p. 391. Figli: Si veda anche Congiunti. Flagranza: arresto facoltativo, c.p.p. 381. 2074

arresto in flagranza, c.p.p. 379-391. arresto obbligatorio, c.p.p. 380. autorizzazione a procedere, c.p.p. 343; richiesta, c.p.p. 344. c.s. e modi del giudizio direttissimo, c.p.p. 449; instaurazione del giudizio, c.p.p. 450. colloqui con il difensore, c.p.p. 104. determinazione della pena, c.p.p. 379. facoltà di arresto da parte dei privati, c.p.p. 383. perquisizioni, c.p.p. 352. richiesta di copie di atti e di informazioni del Ministro dell'interno, c.p.p. 118. sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte indagini, c.p.p. 350. stato, c.p.p. 382. utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti, c.p.p. 270. Forza maggiore: impedimento a comparire dell'imputato o del difensore, c.p.p. 486. omessa comunicazione del mutamento del luogo dichiarato o eletto, c.p.p. 161. restituzione nel termine, c.p.p. 175. rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, c.p.p. 603. Forza pubblica: poteri coercitivi del giudice, c.p.p. 131. poteri coercitivi del pubblico ministero, c.p.p. 378. presenza in udienza di persone armate, c.p.p. 471.

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G Generalità: condanna per errore di nome, c.p.p. 668. dell'imputato: verifica, c.p.p. 66; att. c.p.p. 21; errore, c.p.p. 68; rettifica delle generalità, c.p.p. 663. di persona detenuta: dubbio, c.p.p. 667. Si veda Identità. Genitori: sospensione dall'esercizio della potestà, c.p.p. 288. Giornalista: dovere di esibizione e segreti, c.p.p. 256. segreto professionale, c.p.p. 200. Giudicato: c.p.p. 648-654. decisione civile sullo stato di famiglia o di cittadinanza, c.p.p. 3. divieto di un secondo giudizio, c.p.p. 649. esecutività delle sentenze e dei decreti penali, c.p.p. 650. esecuzione, c.p.p. 655 ss. giudizi civili o amministrativi: efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione, c.p.p. 654. giudizio civile o amministrativo di danno: efficacia della sentenza di condanna, c.p.p. 651; efficacia della sentenza di assoluzione, c.p.p. 652. giudizio disciplinare: efficacia della sentenza di assoluzione, c.p.p. 653. inefficacia del decreto penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo, c.p.p. 460. irrevocabilità delle sentenze e dei decreti penali, c.p.p. 648. iscrizioni nel casellario giudiziale, c.p.p. 686. questioni civili o amministrative, c.p.p. 479. rapporto tra azione civile e azione penale, c.p.p. 75. rescissione, c.p.p. 625 ter, 629 bis.

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termine per la proposizione della domanda di riparazione, c.p.p. 645. Giudice: assistenza, c.p.p. 126. astensione, c.p.p. 36. atti e provvedimenti, c.p.p. 125-133. capacità, c.p.p. 33, 178, lett. a). cognizione, c.p.p. 2. concorso di astensione e di ricusazione, c.p.p. 39. dell'esecuzione, c.p.p. 665; altre competenze, c.p.p. 676. deposito dei provvedimenti, c.p.p. 128. di pace, c.p.p. 461 e 582. di rinvio, c.p.p. 627. di sorveglianza, c.p.p. 659, 677-684. Si veda anche Magistratura di sorveglianza. forme dei provvedimenti, c.p.p. 125. incompatibilità: determinata da atti compiuti nel procedimento, c.p.p. 34; per ragioni di parentela, affinità o coniugio, c.p.p. 35. per le indagini preliminari, c.p.p. 328; incompetenza, c.p.p. 22; atti urgenti, c.p.p. 559; registrazione e conservazione dei provvedimenti, att. c.p.p. 105. Si veda anche Indagini preliminari. poteri coercitivi, c.p.p. 131. provvedimenti in c.s. di accoglimento della dichiarazione di astensione, o ricusazione, c.p.p. 42. provvedimenti sulla richiesta di archiviazione, c.p.p. 409. ricusazione, c.p.p. 37; termini e forme per la dichiarazione, c.p.p. 38; competenza, c.p.p. 40; decisione, c.p.p. 41; sanzioni in c.s. d'inammissibilità o di rigetto, c.p.p. 44. sostituzione del giudice astenuto o ricusato, c.p.p. 43. Giudizio: c.p.p. 465-547. civile o amministrativo, c.p.p. 651, 652, 654. di rinvio, c.p.p. 627; impugnabilità della sentenza, c.p.p. 628. disciplinare, c.p.p. 105, 653. divieto di un secondo giudizio, c.p.p. 649. Giudizio abbreviato: c.p.p. 438-443.

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a seguito di opposizione a decreto penale, c.p.p. 461, 464. decisione, c.p.p. 442; att. c.p.p. 134. esclusione d'ufficio del responsabile civile, c.p.p. 87. limiti all'appello, c.p.p. 443. nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, c.p.p. 556. presupposti, c.p.p. 438. provvedimenti del giudice, c.p.p. 441 bis. richiesta, c.p.p. 458, 460, 555. svolgimento, c.p.p. 441. trasformazione del rito, c.p.p. 452. Giudizio direttissimo: c.p.p. 449-452. assunzione della qualità di imputato, c.p.p. 60. c.s. e modi, c.p.p. 449. formazione del fascicolo per il dibattimento, att. c.p.p. 138. instaurazione, c.p.p. 450. nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, c.p.p. 558. svolgimento, c.p.p. 451. trasformazione del rito, c.p.p. 452. Giudizio immediato: c.p.p. 453-458. a seguito di opposizione a decreto penale, c.p.p. 461, 464. atti introduttivi all'udienza preliminare, c.p.p. 419. c.s. e modi, c.p.p. 453. decisione sulla richiesta di giudizio immediato, c.p.p. 455. decreto, c.p.p. 456. efficacia del decreto di irreperibilità, c.p.p. 160. facoltà dei difensori di prendere visione del fascicolo trasmesso con la richiesta di giudizio immediato, att. c.p.p. 139. presentazione della richiesta del pubblico ministero, c.p.p. 454. richiesta di giudizio abbreviato, c.p.p. 458. trasmissione degli atti, c.p.p. 457. Giudizio per decreto: Si veda Procedimento per decreto.

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Giurisdizione: c.p.p. 1-3. annullamento senza rinvio, c.p.p. 620. conflitti, c.p.p. 28-32. della Magistratura di sorveglianza, c.p.p. 677. difetto, c.p.p. 20. effetti delle decisioni della Corte di cassazione, c.p.p. 25. legittimazione ad ottenere certificati del casellario giudiziale, c.p.p. 688. penale, c.p.p. 1. provvedimenti sulla, c.p.p. 20-27. regole generali per le impugnazioni, c.p.p. 568. Giurì d'onore: componenti, att. c.p.p. 178; sanzioni pecuniarie, att. c.p.p. 180. deferimento, att. c.p.p. 177. procedimento, att. c.p.p. 179. Giustizia: Ministro di grazia e giustizia: si veda Ministro. Grandi ufficiali di Stato: assunzione della testimonianza, c.p.p. 205. Gratuito patrocinio: c.p.p. 98. ammissione, att. c.p.p. 32. Grazia: annotazione del decreto, att. c.p.p. 192. provvedimenti relativi, c.p.p. 681. revoca, c.p.p. 674. rinvio dell'esecuzione della pena, c.p.p. 684.

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I Identificazione-i: dell'arrestato per esecuzione di pena, c.p.p. 667. dell'imputato, c.p.p. 66. di persone da parte della P.G., c.p.p. 349. mancata dell'autore del reato, c.p.p. 415; att. c.p.p. 1072. Identità: condanna per errore di nome, c.p.p. 668. dell'imputato: verifica, c.p.p. 66; att. c.p.p. 21; errore, c.p.p. 68; rettifica delle generalità, c.p.p. 663. di persona detenuta: dubbio, c.p.p. 667. Ignoti (Reato commesso da): attestazione sulla mancata identificazione dell'autore del reato, att. c.p.p. 1072. decreto di archiviazione o di autorizzazione a proseguire le indagini, c.p.p. 415. denunce a carico, att. c.p.p. 107 bis. Immunità: Presidente della Repubblica, Cost. 90. consiglieri regionali, Cost. 122. di persona citata: davanti all'autorità giudiziaria straniera, c.p.p. 723; davanti all'autorità giudiziaria italiana, c.p.p. 728. membri del Parlamento, Cost. 68. Impedimento a comparire: del difensore, c.p.p. 4865. dell'imputato, c.p.p. 486; svolgimento del dibattimento in sua assenza, c.p.p. 488. Impiegati pubblici:

2080

Si veda Pubblico impiegato. Impugnazioni (in genere): annotazione in calce al provvedimento impugnato, att. c.p.p. 165. appello, c.p.p. 593-605. conversione del mezzo di impugnazione, c.p.p. 569, 580. dei provvedimenti relativi alle misure cautelari: personali, c.p.p. 309 ss.; reali, c.p.p. 324, 325; nel procedimento di estradizione, c.p.p. 719. del civilmente obbligato per la pena pecuniaria, c.p.p. 575. del curatore speciale, c.p.p. 5712. del difensore, c.p.p. 5713. del procuratore speciale, c.p.p. 5711. del pubblico ministero, c.p.p. 570. del querelante, c.p.p. 576. del responsabile civile, c.p.p. 575. del tutore, c.p.p. 5712. dell'imputato, c.p.p. 571; detenuto o internato, c.p.p. 123; per gli interessi civili, c.p.p. 574. dell'ordinanza che concede la restituzione nel termine, c.p.p. 1755. della parte civile, c.p.p. 576. della persona offesa per i reati di ingiuria e diffamazione, c.p.p. 577. della sentenza del giudice di rinvio, c.p.p. 628. della sentenza di estradizione, c.p.p. 706. della sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 428. della sentenza di revisione, c.p.p. 640. delle sentenze che dispongono misure di sicurezza, c.p.p. 579. di ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari, nel dibattimento, in materia di libertà personale, c.p.p. 586. disposizioni generali, c.p.p. 568-592. estensione, c.p.p. 587. forma, c.p.p. 581. in c.s. di amnistia o prescrizione, c.p.p. 578. inammissibilità, c.p.p. 591; notificazione e impugnazione dell'ordinanza, c.p.p. 5913. interesse ad impugnare, c.p.p. 5684. legittimazione, c.p.p. 5683. motivi, c.p.p. 581, lett. c); nuovi, c.p.p. 5854; att. c.p.p. 167. 2081

norme di attuazione, att. c.p.p. 164-176. notificazione, c.p.p. 584; deposito delle copie occorrenti, att. c.p.p. 164. per i soli interessi civili, c.p.p. 573; dell'imputato, c.p.p. 574. poteri del procuratore generale, att. c.p.p. 166 bis. presentazione, c.p.p. 582. restituzione nel termine, c.p.p. 1752. revisione, c.p.p. 629-647. richiesta al P.M. di impugnare della parte civile o della persona offesa, c.p.p. 572. ricorso immediato per cassazione, c.p.p. 569. ricorso per cassazione, c.p.p. 5682, 606-628. rinuncia: del P.M., c.p.p. 5891; delle parti private, c.p.p. 5892. sospensione dell'esecuzione, c.p.p. 588. spedizione, c.p.p. 583. spese, c.p.p. 592. termini, c.p.p. 585. trasmissione degli atti, c.p.p. 590; att. c.p.p. 100; adempimenti connessi alla trasmissione degli atti al giudice dell'impugnazione, att. c.p.p. 165 bis. Imputato: accompagnamento coattivo, c.p.p. 132, 490. allontanamento: coattivo, c.p.p. 475; volontario, c.p.p. 420 quinquies, 488. assente, c.p.p. 488; accompagnamento coattivo, c.p.p. 490. assistenza all'udienza, c.p.p. 474. assunzione della qualità di, c.p.p. 60. capacità, c.p.p. 70-72 bis. detenuto: dichiarazioni e richieste, c.p.p. 123; separazione negli istituti di custodia, att. c.p.p. 96. dichiarazioni: divieto di testimonianza sulle, c.p.p. 62; indizianti, c.p.p. 63; spontanee nel dibattimento, c.p.p. 494; lettura nel dibattimento, c.p.p. 513. difensore, c.p.p. 96, 97; patrocinio dei non abbienti, c.p.p. 98; colloqui con l'imputato, c.p.p. 104; difesa di più imputati nello stesso procedimento, c.p.p. 106. documenti provenienti dall', c.p.p. 237. esame, c.p.p. 208-210, 503. 2082

età (incertezza), c.p.p. 67. identificazione: verifica e rettifica delle generalità, c.p.p. 66; errore di persona, c.p.p. 68. immunità temporanea, c.p.p. 728. impedimento a comparire: nell'udienza in camera di consiglio, c.p.p. 1274; nell'udienza preliminare, c.p.p. 4204, 420 ter; nel dibattimento, c.p.p. 486; in appello, c.p.p. 5992. impugnazione, c.p.p. 571, 575; appello, c.p.p. 593; ricorso per cassazione, c.p.p. 607. in procedimento connesso: dichiarazioni, c.p.p. 1923, 5132; impossibilità di testimoniare, c.p.p. 197; esame, c.p.p. 210, 392, lett. d); interrogatorio, c.p.p. 363. infermità mentale, c.p.p. 73. interrogatorio, c.p.p. 64, 65, 421, 422. latitante, c.p.p. 165, 296. morte, c.p.p. 69. notificazioni, c.p.p. 148 ss.; al detenuto, c.p.p. 156; al non detenuto, c.p.p. 157; al militare, c.p.p. 158; all'irreperibile, c.p.p. 159; al latitante o evaso, c.p.p. 165; all'interdetto o infermo di mente, c.p.p. 166; all'estero, c.p.p. 169. presunzione di innocenza, Cost. 27. verifica dei procedimenti a carico, c.p.p. 66 bis. Imputazione: contestazioni nuove: nell'udienza preliminare, c.p.p. 4232; nel dibattimento, c.p.p. 516-522. correlazione con la sentenza, c.p.p. 521. formulazione, c.p.p. 405. modificazione: nell'udienza preliminare, c.p.p. 423; nel dibattimento, c.p.p. 516. Inammissibilità: dell'atto introduttivo nel procedimento in camera di consiglio, c.p.p. 1279. dell'impugnazione, c.p.p. 591. dell'opposizione alla richiesta di archiviazione, c.p.p. 4102. della richiesta di revisione, c.p.p. 634.

2083

Incapacità: del consulente tecnico, c.p.p. 2253. del perito, c.p.p. 222. dell'imputato, c.p.p. 70-72 bis. dell'interprete, c.p.p. 144. di testimoniare ad atti del procedimento, c.p.p. 120. Si veda anche Capacità. Incaricato di pubblico servizio: denuncia, c.p.p. 331. dovere di esibizione, c.p.p. 256. segreto: di ufficio, c.p.p. 201; di Stato, c.p.p. 202. sospensione dall'esercizio, c.p.p. 289. Incidente probatorio: accompagnamento coattivo dell'indagato, c.p.p. 399. casi, c.p.p. 392. deduzioni, c.p.p. 396. differimento, c.p.p. 397. efficacia nei confronti della parte civile, c.p.p. 404. estensione, c.p.p. 402. giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica, c.p.p. 551, 552; att. c.p.p. 155. proroga del termine delle indagini preliminari, c.p.p. 3934. richiesta, c.p.p. 392; della persona offesa, c.p.p. 394; presentazione e notificazione, c.p.p. 395; provvedimenti, c.p.p. 398. riserva di promuovimento, c.p.p. 360. udienza, c.p.p. 401. urgenza, c.p.p. 400. utilizzabilità delle prove nel dibattimento, c.p.p. 403. Incompatibilità: con l'ufficio di testimone, c.p.p. 197. del consulente tecnico, c.p.p. 225. del difensore, c.p.p. 106, 108. del giudice, c.p.p. 34, 35. del perito, c.p.p. 222. 2084

dell'interprete, c.p.p. 144. Incompetenza: del giudice, c.p.p. 21-27. dichiarazione: nelle indagini preliminari, c.p.p. 22; nel dibattimento di primo grado, c.p.p. 23; decisioni del giudice d'appello, c.p.p. 24; decisioni della Corte di cassazione, c.p.p. 25. misure cautelari disposte dal giudice incompetente, c.p.p. 27. prove acquisite dal giudice incompetente, c.p.p. 26. rilevazione, c.p.p. 21. trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente, c.p.p. 54. Indagini collegate: c.p.p. 371. Indagini preliminari: attività a iniziativa della P.G., c.p.p. 347-357. attività del P.M., c.p.p. 358-378. attività di integrazione probatoria del giudice, c.p.p. 422. avocazione, c.p.p. 372, 412, 413. chiusura, c.p.p. 405-415, 554. collegate, c.p.p. 371. condizioni di procedibilità, c.p.p. 336-346; difetto, c.p.p. 345; atti compiuti in mancanza di, c.p.p. 346. direzione, c.p.p. 327. disposizioni generali, c.p.p. 326-329. durata, c.p.p. 405-407, 553. finalità, c.p.p. 326. giudice, c.p.p. 328. giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica, c.p.p. 551-554. incidente probatorio, c.p.p. 392-404, 551, 552. informazione di garanzia, c.p.p. 369. memorie e richieste dei difensori, c.p.p. 367. notizia di reato, c.p.p. 330-335. ordinanza per l'integrazione, c.p.p. 421 bis. riapertura, c.p.p. 414, 4362; att. c.p.p. 157. segreto, c.p.p. 329.

2085

Indennità: per periti, testimoni e consulenti tecnici, att. c.p.p. 144. Individuazione (di persone e cose): c.p.p. 361. divieto, c.p.p. 3432. Indizi: applicazione provvisoria di misure di sicurezza, c.p.p. 312. dichiarazioni indizianti, c.p.p. 63. fermo di indiziato, c.p.p. 384. misure cautelari personali, c.p.p. 273. presupposto delle intercettazioni, c.p.p. 267. valutazione della prova, c.p.p. 1922. Indulto: applicazione, c.p.p. 672; revoca dell'indulto condizionato, c.p.p. 674. Infermità: custodia cautelare, c.p.p. 286. incapacità di prestare l'ufficio di interprete, c.p.p. 144. incapacità di prestare l'ufficio di perito o consulente tecnico, c.p.p. 222, 225. incapacità di testimoniare ad atti del procedimento, c.p.p. 120. mentale sopravvenuta, c.p.p. 70-73. Informatori: della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza, c.p.p. 203. Informazione di garanzia: c.p.p. 369. Informazione-i: assunte dal pubblico ministero, c.p.p. 362, 373. assunte dalla polizia giudiziaria, c.p.p. 350, 351, 357.

2086

della persona sottoposta alle indagini sul diritto di difesa, c.p.p. 369 bis. divieto di assunzione, c.p.p. 430 bis. richieste dal Ministro dell'interno, c.p.p. 118. richieste dal pubblico ministero, c.p.p. 117. Inosservanza: di norme tributarie, c.p.p. 186. Insolvenza: del condannato, c.p.p. 660. Insolvibilità (del condannato): conversione di pene pecuniarie, c.p.p. 660; att. c.p.p. 182. obbligazione civile per il pagamento delle pene pecuniarie, c.p.p. 534. per le sanzioni disciplinari pecuniarie, c.p.p. 664. per le spese anticipate dallo Stato, c.p.p. 693. Intercettazioni (di conversazioni o comunicazioni): acquisizione al fascicolo, c.p.p. 268 ter. ammissibilità (limiti), c.p.p. 266. archivio riservato, att. c.p.p. 89 bis. autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, c.p.p. 267. divieti di utilizzazione, c.p.p. 271. divieto: quando sia necessaria l'autorizzazione a procedere, c.p.p. 3432-3; conversazione dei difensori, consulenti tecnici o loro ausiliari, c.p.p. 1035. esecuzione, c.p.p. 268; att. c.p.p. 90. forma del provvedimento, c.p.p. 267. informatiche o telematiche, c.p.p. 266 bis. presupposti, c.p.p. 267. preventive, coord. c.p.p. 226. registrazione, c.p.p. 268; trascrizione, c.p.p. 268; deposito, c.p.p. 268 bis; conservazione, c.p.p. 269; att. c.p.p. 89; distruzione, c.p.p. 269, 2713.

2087

registro, c.p.p. 2675. termini e modalità delle decisioni del giudice, c.p.p. 268 quater. tra presenti, c.p.p. 2662. urgenza, c.p.p. 2672. utilizzazione in altri procedimenti, c.p.p. 270. verbale, c.p.p. 268; att. c.p.p. 89; deposito, c.p.p. 268 bis, conservazione, c.p.p. 269. Interdetti: Si veda Incapacità. Interdizione: esecuzione, c.p.p. 662. Interessi: civili: si veda Impugnazioni (in genere). Internato: audizione: nel procedimento in camera di consiglio, c.p.p. 127; nel procedimento d'esecuzione, c.p.p. 666. decorrenza delle misure cautelari, c.p.p. 2975. dichiarazioni e richieste, c.p.p. 123. domanda di grazia, c.p.p. 681. notificazioni, c.p.p. 156. termini di comparizione, c.p.p. 174. Interprete: accompagnamento coattivo, c.p.p. 133. assistenza, att. c.p.p. 51 bis. astensione, c.p.p. 145. citazione, att. c.p.p. 52; nelle indagini preliminari, c.p.p. 377. comparizione, att. c.p.p. 145. conferimento dell'incarico, c.p.p. 146. elenchi nazionali, att. c.p.p. 67 bis. incapacità, c.p.p. 144. incompatibilità, c.p.p. 144. 2088

nomina, c.p.p. 143, 143 bis. obbligatorietà dell'ufficio, c.p.p. 1434. ricusazione, c.p.p. 145. sostituzione, c.p.p. 147. termine, c.p.p. 147. traduzioni scritte, c.p.p. 147. Si veda anche Interpretazione (Falsa). Interrogatorio: accompagnamento coattivo, c.p.p. 376. avviso al difensore, c.p.p. 294, 364, 388. da parte del giudice, c.p.p. 294, 391, 421, 422. da parte del pubblico ministero, c.p.p. 294, 364, 374, 388; divieto di delega, c.p.p. 370. dell'arrestato o del fermato, c.p.p. 388. dell'imputato, c.p.p. 4212, 4224. della persona sottoposta a misura cautelare personale, c.p.p. 294. di persona imputata in un procedimento commesso o di un reato collegato, c.p.p. 363. facoltà di non rispondere, c.p.p. 643, 653. modalità di documentazione, c.p.p. 141 bis. quando sia necessaria l'autorizzazione a procedere, c.p.p. 3432-3. regole generali, c.p.p. 64. verbale (deposito), c.p.p. 366; att. c.p.p. 93. Intervento: del responsabile civile, c.p.p. 85. dello Stato richiedente l'estradizione, c.p.p. 702. di enti e associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato, c.p.p. 93-95. Inutilizzabilità: atti compiuti dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari, c.p.p. 4073. di atti compiuti in violazione delle garanzie di libertà del difensore, c.p.p. 1037.

2089

di atti quando sia necessaria l'autorizzazione a procedere, c.p.p. 3434. di carte e documenti non sequestrabili, c.p.p. 2543. dichiarazioni indizianti, c.p.p. 63. dichiarazioni spontanee dell'indagato, c.p.p. 3507. documenti anonimi, c.p.p. 240. informazioni fornite dagli informatori della polizia giudiziaria, c.p.p. 203. informazioni rese sul luogo o nell'immediatezza del fatto, c.p.p. 3506. intercettazioni, c.p.p. 2701, 271. nella testimonianza indiretta, c.p.p. 195. prove illegittimamente acquisite, c.p.p. 191. Investigatori privati: c.p.p. 103, 200, 327 bis, 391 bis, 391 sexies; coord. c.p.p. 222. Investigazioni: in materia di armi e stupefacenti, att. c.p.p. 77. Investigazioni difensive: accesso ai luoghi, c.p.p. 391 sexies; privati o non aperti al pubblico, c.p.p. 391 septies. assunzione di informazioni, c.p.p. 391 bis. attività investigativa preventiva, c.p.p. 391 nonies. colloquio, c.p.p. 391 bis. di difensori per individuare elementi di prova, c.p.p. 197, 327 bis, 391 bis, 391 decies, 415 bis, 430. documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni, c.p.p. 391 ter. fascicolo del difensore, c.p.p. 391 octies. potere di segretazione del P.M., c.p.p. 391 quinquies. ricezione di dichiarazioni, c.p.p. 391 bis. richiesta di documentazione alla P.A., c.p.p. 391 quater. utilizzazione della documentazione, c.p.p. 391 decies. Invito a presentarsi: c.p.p. 375. Ipoteca:

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legale: abrogazioni, coord. c.p.p. 218. Irreperibilità (Notificazioni in c.s. di): decreto di, c.p.p. 159; validità, c.p.p. 1514; efficacia, c.p.p. 160; nuove ricerche, att. c.p.p. 61. imputato all'estero, c.p.p. 169. Irresponsabilità (del Presidente della Repubblica): Cost. 90. Irretroattività (della legge penale): Cost. 25. Irrevocabilità: delle sentenze e dei decreti penali, c.p.p. 648. Ispezione: c.s. e forme, c.p.p. 244. del pubblico ministero, c.p.p. 364. di luoghi o di cose, c.p.p. 246. negli uffici del difensore, c.p.p. 103. personale, c.p.p. 245; att. c.p.p. 79; divieto quando sia necessaria l'autorizzazione a procedere, c.p.p. 3432-3. Istanza: di procedimento, c.p.p. 341, 345. incompatibilità, astensione o ricusazione del giudice che ha proposto istanza, c.p.p. 343, 36, lett. g), 37, lett. a). Istruzione dibattimentale: ammissione di nuove prove, c.p.p. 507. esame dei periti e consulenti tecnici, c.p.p. 501; a domicilio, c.p.p. 502. esame delle parti private, c.p.p. 503; poteri del presidente, c.p.p. 506. esame testimoniale, c.p.p. 497 ss.; contestazioni, c.p.p. 500; opposizioni, c.p.p. 504; a domicilio, c.p.p. 502; poteri del presidente, c.p.p. 506. facoltà di enti ed associazioni, c.p.p. 505. letture, c.p.p. 511-515. 2091

nuove contestazioni, c.p.p. 516-522. ordine di assunzione delle prove, c.p.p. 496. sospensione del dibattimento, c.p.p. 509. verbale, c.p.p. 510. Istruzione scolastica: Cost. 34.

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L Latitanza: notificazioni, c.p.p. 165. nozione, c.p.p. 296. Leggi straniere: richiesta del testo, att. c.p.p. 205. Lettura-e: consentite, c.p.p. 511. della sentenza di non luogo a procedere o del decreto che dispone il giudizio, c.p.p. 424. delle dichiarazioni dell'imputato nelle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, c.p.p. 513. delle dichiarazioni rese da persona residente all'estero, c.p.p. 512 bis. di atti del giudizio di primo grado in appello, c.p.p. 602. per sopravvenuta impossibilità di ripetizione, c.p.p. 512. pubblicazione della sentenza mediante, c.p.p. 545, 615. vietate, c.p.p. 514. Liberazione: condizionale, c.p.p. 682. dell'arrestato o del fermato, c.p.p. 3803, 389, 3916; att. c.p.p. 121. dell'imputato prosciolto, c.p.p. 532. in c.s. di sospensione condizionale della pena, c.p.p. 5322. in sede di esecuzione: per errore di persona, c.p.p. 667; per questioni sul titolo esecutivo, c.p.p. 670; applicazione dell'amnistia e dell'indulto, c.p.p. 672; grazia, c.p.p. 681; rinvio dell'esecuzione, c.p.p. 684. per estinzione delle misure cautelari, c.p.p. 306. Libertà: della persona (limitazioni), c.p.p. 272 ss. 2093

morale nell'assunzione della prova, c.p.p. 188, 189. vigilata, att. c.p.p. 190. Si veda anche Misure di sicurezza personali. Lingua: degli atti, c.p.p. 109; att. c.p.p. 26. ignoranza della lingua italiana, c.p.p. 143-147. Lista testimoniale: c.p.p. 468, 4932. Luoghi-luogo: accertamenti urgenti sui, c.p.p. 354; tecnici non ripetibili, c.p.p. 360. arresti domiciliari, c.p.p. 284. custodia cautelare in luogo di cura, c.p.p. 286. divieto e obbligo di dimora, c.p.p. 283. ispezioni di, c.p.p. 244, 246. perquisizioni di, c.p.p. 247, 250, 251.

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M Magistrati-o: competenza per i procedimenti riguardanti, c.p.p. 11. obbligo di osservanza delle norme processuali, c.p.p. 124. Magistratura di sorveglianza: competenza per territorio, c.p.p. 677. comunicazione dei provvedimenti del giudice di sorveglianza, att. c.p.p. 189. esecuzione dei provvedimenti del giudice di sorveglianza, c.p.p. 659. liberazione condizionale, c.p.p. 682. misure di sicurezza, c.p.p. 679, 680. procedimento, c.p.p. 678. provvedimenti relativi alla grazia, c.p.p. 681. riabilitazione, c.p.p. 683. rinvio dell'esecuzione, c.p.p. 684. Malattia: Si veda anche Infermità. Medici: ispezione compiuta da, c.p.p. 2453. referto: obbligo, c.p.p. 334. segreto professionale, c.p.p. 200, lett. c); obbligo di esibizione, c.p.p. 256. Memorie: dei difensori nelle indagini preliminari, c.p.p. 367. dell'offeso dal reato, c.p.p. 90. delle parti, c.p.p. 121; allegazione al verbale, c.p.p. 482. giudizio di estradizione, c.p.p. 703, 704. procedimento d'esecuzione, c.p.p. 666. procedimento in camera di consiglio, c.p.p. 127.

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Messa alla prova attività dei servizi sociali, att. c.p.p. 141 ter. avviso del P.M., att. c.p.p. 141 bis. Mezzi (di prova): c.p.p. 194-243. confronti, c.p.p. 211, 212. documenti, c.p.p. 234-243. esame delle parti, c.p.p. 208-210. esperimenti giudiziali, c.p.p. 218, 219. perizia, c.p.p. 220-233. ricognizioni, c.p.p. 213-217. testimonianza, c.p.p. 194-207. Mezzi (di ricerca della prova): c.p.p. 244-271. intercettazioni, c.p.p. 266-271. ispezioni, c.p.p. 244-246. perquisizioni, c.p.p. 247-252. sequestri, c.p.p. 253-265. Militare-i: notificazioni all'imputato in servizio militare, c.p.p. 158. Ministro: del tesoro: notificazione della domanda di riparazione, c.p.p. 6462. dell'interno: richiesta di copie e informazioni, c.p.p. 118. di grazia e giustizia: estradizione per l'estero, c.p.p. 697, 708, 712, 714-716, 718; estradizione dall'estero, c.p.p. 720; rogatorie dall'estero, c.p.p. 723; rogatorie all'estero, c.p.p. 727; esecuzione all'estero di sentenze italiane, c.p.p. 742; richiesta di misure cautelari all'estero, c.p.p. 745. Minoranza linguistica: diritti, c.p.p. 109. Minori:

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divieto d'accesso nell'aula di udienza, c.p.p. 4712. divieto di pubblicazione di generalità e immagine, c.p.p. 1146. incapacità di prestare l'ufficio di interprete, c.p.p. 144. incapacità di prestare l'ufficio di perito, c.p.p. 222; di consulente tecnico, c.p.p. 2253. limiti alla connessione di procedimenti, c.p.p. 14. testimonianza: divieto, c.p.p. 120; esame, c.p.p. 4984. Misure cautelari: esecuzione all'estero di sentenze italiane, c.p.p. 745. in c.s. di estradizione, c.p.p. 714-719, 722. riconoscimento di sentenze straniere, c.p.p. 736, 737. Si veda anche Misure cautelari personali e Misure cautelari reali. Misure cautelari personali: applicazione provvisoria di misura di sicurezza, c.p.p. 312, 313. cessazione, c.p.p. 624 bis. condizioni di applicabilità, c.p.p. 273, 280, 287. criteri di scelta, c.p.p. 275. custodia cautelare all'estero, c.p.p. 722. determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure, c.p.p. 278. disposizioni generali, c.p.p. 272-279. divieti di disporre la custodia cautelare, c.p.p. 2754-5. divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, c.p.p 282 ter; obblighi di comunicazione, c.p.p 282 quater. divieto quando sia necessaria l'autorizzazione a procedere, c.p.p. 3432. durata delle misure: decorrenza dei termini, c.p.p. 297; termini di durata massima, c.p.p. 303, 308; sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare, c.p.p. 304; proroga della custodia cautelare, c.p.p. 305; scarcerazione per decorrenza dei termini, c.p.p. 307. esecuzione, c.p.p. 293; sospensione, c.p.p. 298. esigenze cautelari, c.p.p. 274. estinzione, c.p.p. 299-308; provvedimenti conseguenti, c.p.p. 306; cessazione delle misure estinte, att. c.p.p. 98.

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estradizione, c.p.p. 714-719, 722. giudice competente, c.p.p. 279; att. c.p.p. 91; misure disposte da giudice incompetente, c.p.p. 27. impugnazioni, c.p.p. 309-311; att. c.p.p. 100: riesame, c.p.p. 309; att. c.p.p. 99, 101; appello, c.p.p. 310; ricorso per cassazione, c.p.p. 311; in c.s. di estradizione, c.p.p. 719; applicazione provvisoria di misure di sicurezza, c.p.p. 3133. interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale, c.p.p. 294; estinzione della custodia per omesso interrogatorio, c.p.p. 302. latitanza, c.p.p. 296. Si veda anche Latitanza. limitazioni alle libertà della persona, c.p.p. 272; salvaguardia dei diritti della persona, c.p.p. 277. misure coercitive, c.p.p. 280-286: divieto di espatrio, c.p.p. 281; obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, c.p.p. 282; allontanamento dalla c.s. familiare, c.p.p. 282 bis; divieto e obbligo di dimora, c.p.p. 283; arresti domiciliari, c.p.p. 284; att. c.p.p. 97 bis; custodia cautelare in carcere, c.p.p. 285; custodia cautelare in luogo di cura, c.p.p. 286; riesame, c.p.p. 309; procedura di riconoscimento di sentenze penali straniere, c.p.p. 736. misure interdittive, c.p.p. 287-290: sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale, c.p.p. 288; sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, c.p.p. 289; divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione, c.p.p. 289 bis; divieto temporaneo di esercitare determinate professioni o imprese, c.p.p. 290. obblighi di comunicazione, c.p.p. 282 quater. ordinanza, c.p.p. 292; trasmissione, att. c.p.p. 92. particolari modalità di controllo, c.p.p. 275 bis. procedimento applicativo, c.p.p. 291. provvedimenti in c.s. di proscioglimento, c.p.p. 532. provvedimenti in c.s. di trasgressione alle prescrizioni imposte, c.p.p. 276. reintegrazione nel posto di lavoro perduto per ingiusta detenzione, att. c.p.p. 102 bis. revoca, c.p.p. 299; in c.s. di estradizione, c.p.p. 718. richiesta di misure cautelari all'estero, c.p.p. 745. riparazione per l'ingiusta detenzione, c.p.p. 314, 315; applicazione provvisoria di misure di sicurezza, c.p.p. 3133. ripristino, c.p.p. 307. 2098

scarcerazione, c.p.p. 306, 307. sostituzione, c.p.p. 299; in c.s. di estradizione, c.p.p. 718. verbale di vane ricerche, c.p.p. 295. Misure cautelari reali: ricorso per cassazione, c.p.p. 325. riesame, c.p.p. 324. sequestro conservativo, c.p.p. 316-320; att. c.p.p. 103. Si veda anche Sequestro conservativo. sequestro preventivo, c.p.p. 321-323; att. c.p.p. 104. Si veda anche Sequestro preventivo. Misure coercitive: Si veda Misure cautelari personali. Misure di prevenzione: divieto di accesso nell'aula di udienza, c.p.p. 4712. incapacità di prestare l'ufficio d'interprete, c.p.p. 144. incapacità di prestare l'ufficio di perito, c.p.p. 222; di consulente tecnico, c.p.p. 225. incapacità di testimoniare ad atti del procedimento, c.p.p. 120. Misure di sicurezza patrimoniali: esecuzione, c.p.p. 658, 6592, 679. provvedimento del giudice, c.p.p. 5304, 533. Misure di sicurezza personali: applicate all'estero, c.p.p. 713. applicazione provvisoria, c.p.p. 312, 313; computo nella determinazione della pena detentiva, c.p.p. 6571. applicazione, c.p.p. 5304, 533. divieto di prestare l'ufficio d'interprete, c.p.p. 144. divieto di prestare l'ufficio di perito, c.p.p. 222; di consulente tecnico, c.p.p. 2253. divieto di testimoniare ad atti del procedimento, c.p.p. 120.

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effetti dell'estinzione del reato o della pena, c.p.p. 672. esecuzione, c.p.p. 658, 6592, 679. impugnazioni, c.p.p. 3133, 579, 680. inammissibilità del procedimento per decreto, c.p.p. 459. Misure interdittive: Si veda Misure cautelari personali. Modifica: dell'imputazione, c.p.p. 423, 516. Modificazione: di persone, c.s. o luoghi: accertamenti tecnici non ripetibili, c.p.p. 360; incidente probatorio, c.p.p. 392, lett. f). Monete: confiscate (destinazione delle), att. c.p.p. 88. Morte: del condannato (riparazione), c.p.p. 644. dell'imputato, c.p.p. 69. pena di, Cost. 27. sospetto di reato, att. c.p.p. 116. Si veda anche Estinzione. Motivazione: dei provvedimenti del giudice, c.p.p. 125. della sentenza di cassazione, c.p.p. 617; errori di diritto (rettificazione), c.p.p. 619. della sentenza, c.p.p. 544, 546; lettura, c.p.p. 545; insufficiente, c.p.p. 547. mancanza o illogicità della, c.p.p. 606, lett. e). Motivi:

2100

del decreto di condanna, c.p.p. 460. dell'impugnazione, c.p.p. 581; nuovi, c.p.p. 5853. della sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 424, 426. di astensione, c.p.p. 36, 223. di ricorso per cassazione, c.p.p. 606. di ricusazione, c.p.p. 37, 144, 223. Multa: esecuzione, c.p.p. 660. Muto: dichiarazioni nel procedimento, c.p.p. 119, 144, lett. d).

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N Nastri magnetofonici: conservazione, att. c.p.p. 49. trascrizione, c.p.p. 242. Ne bis in idem: c.p.p. 649. Nome: persona condannata per errore di, c.p.p. 668. Nomina: del consulente tecnico, c.p.p. 225, 233. del curatore speciale all'imputato incapace, c.p.p. 71; alla parte civile incapace, c.p.p. 77. del curatore speciale per la querela, c.p.p. 338; per la remissione, c.p.p. 340. del custode delle c.s. sequestrate, c.p.p. 259. del difensore, c.p.p. 96, 97, 101. del perito, c.p.p. 221. dell'interprete, c.p.p. 143. Non menzione: della condanna nel certificato del casellario giudiziale: revoca, c.p.p. 674; nei certificati spediti per ragioni di elettorato, c.p.p. 6883. di taluni provvedimenti nei certificati richiesti dall'interessato, c.p.p. 689. Norme: processuali (obbligo di osservanza), c.p.p. 124. tributarie (inosservanza), c.p.p. 186. Notai:

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segreto professionale, c.p.p. 200, lett. b); dovere di esibizione, c.p.p. 256. Notificazioni: a pubbliche amministrazioni, persone giuridiche, ecc., c.p.p. 1543. ad altri soggetti, c.p.p. 167. al civilmente obbligato per la pena pecuniaria, c.p.p. 154. al pubblico ministero, c.p.p. 153. al responsabile civile, c.p.p. 154. all'imputato: detenuto, c.p.p. 156; att. c.p.p. 57, 58; non detenuto, c.p.p. 157; att. c.p.p. 59; in servizio militare, c.p.p. 158; att. c.p.p. 60; irreperibile, c.p.p. 159; latitante o evaso, c.p.p. 165; interdetto o infermo di mente, c.p.p. 166; all'estero, c.p.p. 169; att. c.p.p. 63. alla parte civile, c.p.p. 154. alla persona offesa, c.p.p. 154; per pubblici annunzi, c.p.p. 155. avvisi verbali, c.p.p. 1485, 1513. col mezzo della posta, c.p.p. 170; att. c.p.p. 56. copie degli atti da notificare, att. c.p.p. 54. decreto di irreperibilità, c.p.p. 159, 160. degli avvisi relativi all'udienza preliminare, c.p.p. 419. dei provvedimenti relativi alle misure cautelari in c.s. di estradizione, c.p.p. 719; alle misure coercitive in c.s. di riconoscimento di sentenze penali straniere, c.p.p. 736. del decreto che dispone il giudizio, c.p.p. 429, 555. del decreto di citazione del responsabile civile, c.p.p. 83. del decreto di condanna, c.p.p. 460. del decreto di giudizio immediato, c.p.p. 456. dell'avviso della richiesta di archiviazione, c.p.p. 408. dell'estratto della sentenza, c.p.p. 548; att. c.p.p. 23. dell'impugnazione, c.p.p. 584. dell'informazione di garanzia, c.p.p. 369. dell'invito a presentarsi, c.p.p. 375. dell'ordinanza che decide sulla domanda di riparazione, c.p.p. 646. dell'ordinanza che dichiara inammissibile l'impugnazione, c.p.p. 591. dell'ordinanza che dispone la rimessione del processo, c.p.p. 48. dell'ordinanza che dispone una misura cautelare diversa dalla custodia, c.p.p. 293. dell'ordinanza d'inammissibilità della revisione, c.p.p. 634. 2103

dell'ordinanza di applicazione dell'amnistia e dell'indulto, c.p.p. 672. dell'ordinanza nel procedimento di esecuzione, c.p.p. 666. dell'ordinanza nel procedimento in camera di consiglio, c.p.p. 127. della costituzione di parte civile, c.p.p. 78; della revoca, c.p.p. 82. della sentenza conclusiva del giudizio abbreviato, c.p.p. 442. domicilio dichiarato, eletto o determinato, c.p.p. 161, 163; comunicazione del, c.p.p. 162; att. c.p.p. 62; durata del, c.p.p. 164. forme, c.p.p. 148; a mezzo telefonico o telegrafico, c.p.p. 149; particolari, c.p.p. 150; per pubblici annunzi, c.p.p. 155; a mezzo posta, c.p.p. 170. lettura equivalente a, c.p.p. 4242, 5453. nell'incidente probatorio, c.p.p. 3942, 395, 397, 398. nullità, c.p.p. 171. organi, c.p.p. 148. per pubblici annunzi, c.p.p. 155. relazione, c.p.p. 168. richieste dal pubblico ministero, c.p.p. 151. richieste dalle parti private, c.p.p. 152. rinnovazione, c.p.p. 1575; nell'esecuzione, c.p.p. 670. urgenti a mezzo telefonico o telegrafico, c.p.p. 149; modalità di attuazione, att. c.p.p. 55. Notizia (di reato): acquisizione, c.p.p. 330. archiviazione per infondatezza della, c.p.p. 408. comunicazione al procuratore generale, att. c.p.p. 127. conservazione dell'atto contenente la, c.p.p. 3735. denuncia, c.p.p. 331-333. obbligo di riferire la, c.p.p. 347. referto, c.p.p. 334. registro, c.p.p. 335; richiesta di comunicazione delle iscrizioni, att. c.p.p. 110 bis. ricezione della, att. c.p.p. 109. Nullità: assolute, c.p.p. 179. deducibilità, c.p.p. 182. 2104

dei verbali, c.p.p. 142. del decreto che dispone il giudizio, c.p.p. 429; del decreto di citazione in giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica, c.p.p. 555. della sentenza, c.p.p. 5463; per difetto di contestazione, c.p.p. 522; della sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 4263. delle notificazioni, c.p.p. 171. delle ricognizioni, c.p.p. 2133. di ordine generale, c.p.p. 178; regime, c.p.p. 179, 180. effetti della dichiarazione, c.p.p. 185. in appello, c.p.p. 604; del decreto di citazione, c.p.p. 6016. nel procedimento in camera di consiglio, c.p.p. 1275. ordinanza che dispone una misura cautelare, c.p.p. 2922. relative, c.p.p. 181. sanatorie, c.p.p. 183; nullità di citazioni, avvisi e notificazioni, c.p.p. 184. tassatività, c.p.p. 177. Nuove-i: nuove contestazioni, c.p.p. 423, 516-522. nuove prove, c.p.p. 507, 603; sopravvenute dopo la condanna, c.p.p. 630. nuovi motivi (nelle impugnazioni), c.p.p. 309, 311, 324, 585, 611, att. c.p.p. 167.

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O Obbligato (civilmente per la pena pecuniaria): Si veda Civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Obbligo: del segreto, c.p.p. 329. della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, c.p.p. 129. di dimora, c.p.p. 283. di osservanza delle norme processuali, c.p.p. 124. di presentazione alla polizia giudiziaria, c.p.p. 282. di riferire la notizia di un reato, c.p.p. 331, 347. Oblazione: domanda di oblazione contestuale all'opposizione nel procedimento per decreto, c.p.p. 4642. in appello, c.p.p. 6047. procedimento, att. c.p.p. 141. Offeso (dal reato): Si veda Persona offesa dal reato. Opposizione: al decreto di restituzione delle c.s. sequestrate, c.p.p. 263. al decreto penale di condanna, c.p.p. 461-464. all'intervento di enti o associazioni, c.p.p. 95. alla richiesta di archiviazione, c.p.p. 410. nel corso dell'esame testimoniale, c.p.p. 504. Ordinanza: c.p.p. 125. che decide sull'esclusione della parte civile, c.p.p. 80, 81; del responsabile civile, c.p.p. 86, 87. che decide sulla domanda di riparazione, c.p.p. 646.

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che decide sulla richiesta di incidente probatorio, c.p.p. 398; di differimento dell'incidente probatorio, c.p.p. 397. che dichiara l'inammissibilità dell'impugnazione, c.p.p. 591. che dichiara la contumacia dell'imputato, c.p.p. 487. che dispone l'esperimento giudiziale, c.p.p. 219. che dispone la conversione delle pene pecuniarie, c.p.p. 660. che dispone la correzione di errori materiali, c.p.p. 130. che dispone la liberazione di persona sottoposta a custodia cautelare, c.p.p. 306; di persona arrestata o fermata, c.p.p. 391. che dispone la perizia, c.p.p. 224. che dispone la riunione o separazione dei processi, c.p.p. 19. che dispone una misura cautelare, c.p.p. 293, 317; che dispone la rinnovazione, c.p.p. 301. di ammissione delle prove, c.p.p. 190, 495. di inammissibilità della richiesta di revisione, c.p.p. 634. di sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato, c.p.p. 71. dibattimentale sulle questioni incidentali, c.p.p. 478. dibattimentale sulle questioni preliminari, c.p.p. 491. impugnazione, c.p.p. 586. nel procedimento in camera di consiglio, c.p.p. 127. per l'applicazione provvisoria di misura di sicurezza, c.p.p. 313. sull'archiviazione, c.p.p. 409. sulla dichiarazione di astensione o ricusazione dell'interprete, c.p.p. 145; del perito, c.p.p. 223. sulla richiesta di restituzione nel termine, c.p.p. 175. sulla richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 436. Osservazioni: dei consulenti tecnici, c.p.p. 2301, 3603. del difensore, c.p.p. 3603, 3647. Ostetriche: segreto professionale, c.p.p. 200, 256.

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P Pacchi postali: sequestro, c.p.p. 254, 3533. Pagamento (delle pene pecuniarie): Si veda Insolvenza e Insolvibilità (del condannato). Parentela: astensione del giudice, c.p.p. 36. facoltà di astenersi dal testimoniare, c.p.p. 199. incompatibilità del giudice, c.p.p. 35. Parlamentari (immunità): Cost. 68. Parte civile: ammissione (effetti), c.p.p. 88. applicazione della pena su richiesta, c.p.p. 444. capacità processuale, c.p.p. 77. citazione in appello, c.p.p. 601. conclusioni scritte, c.p.p. 5232. condanna alle spese, c.p.p. 541; att. c.p.p. 153. costituzione, c.p.p. 76; danneggiato incapace, c.p.p. 77; formalità, c.p.p. 78; termine, c.p.p. 79; revoca, c.p.p. 82; questioni concernenti la costituzione, c.p.p. 491. difensore, c.p.p. 100. efficacia dell'incidente probatorio, c.p.p. 404. efficacia della sentenza penale nel giudizio civile o amministrativo di danno, c.p.p. 651, 652. esame nel dibattimento, c.p.p. 208, 209, 503. esclusione, c.p.p. 80, 81; effetti, c.p.p. 88. giudizio abbreviato, c.p.p. 441. gratuito patrocinio, c.p.p. 98. impugnazioni, c.p.p. 576-577. legittimazione, c.p.p. 74. notificazioni, c.p.p. 152, 154. rapporti tra azione civile e penale, c.p.p. 75. 2108

richiesta di impugnazione, c.p.p. 572. richiesta di sequestro conservativo, c.p.p. 316. Parti private: conclusioni, c.p.p. 523. condanna alle spese nei giudizi di impugnazione, c.p.p. 592, 616, 637. consulenti tecnici delle, c.p.p. 225. dichiarazioni e richieste, c.p.p. 123. difensore, c.p.p. 100. esame nel dibattimento, c.p.p. 503. notificazioni, c.p.p. 152, 154; dell'impugnazione, c.p.p. 584. presentazione dell'impugnazione, c.p.p. 5822. Si veda anche Civilmente obbligato per la pena pecuniaria; Imputato; Parte civile; Persona offesa dal reato; Responsabile civile. Patrocinio: dei non abbienti, c.p.p. 98; att. c.p.p. 32. Patteggiamento: Si veda Applicazione della pena su richiesta delle parti. Pena-e: determinazione della: per l'applicazione di misure cautelari personali, c.p.p. 278; per l'arresto e il fermo, c.p.p. 379; in c.s. di riconoscimento di sentenze penali straniere, c.p.p. 735. esecuzione delle: pene detentive, c.p.p. 656, 657; pene pecuniarie, cp.p. 660; att. c.p.p. 182; pene accessorie, c.p.p. 662; att. c.p.p. 183; pene concorrenti, c.p.p. 663. Si veda anche Esecuzione. Pericolosità sociale: accertamento, c.p.p. 313, 679. Perito:

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accompagnamento coattivo, c.p.p. 133. albo, att. c.p.p. 67 ss. astensione e ricusazione, c.p.p. 233. attività, c.p.p. 228. ausiliari, c.p.p. 228. citazione, c.p.p. 2242, 468. comparizione, att. c.p.p. 145. comunicazioni relative alle operazioni peritali, c.p.p. 229. conferimento dell'incarico, c.p.p. 226. consegna di documenti o altri oggetti, att. c.p.p. 76. esame dibattimentale, c.p.p. 501, 502. immunità, c.p.p. 723, 728. incapacità e incompatibilità, c.p.p. 222. liquidazione del compenso, c.p.p. 232. nomina, c.p.p. 221. obbligatorietà dell'ufficio, c.p.p. 221. quesiti, c.p.p. 226; risposta, c.p.p. 227; termine per rispondere, c.p.p. 2272. relazione peritale, c.p.p. 227. sostituzione, c.p.p. 231. spese e indennità, att. c.p.p. 144. Perizia: collegiale, c.p.p. 2212. lettura della relazione peritale in dibattimento, c.p.p. 5113. nel dibattimento (provvedimenti conseguenti), c.p.p. 508; facoltà delle parti, att. c.p.p. 152. nell'incidente probatorio, c.p.p. 392, lett. f). nummaria, att. c.p.p. 74. oggetto, c.p.p. 220. sullo stato di mente dell'imputato, c.p.p. 70. Si veda anche Perito. Perquisizione-i: casi, c.p.p. 247; assistenza del difensore, c.p.p. 365. divieto quando sia necessaria l'autorizzazione a procedere, c.p.p. 3432-3. domiciliari, c.p.p. 251. 2110

eseguite dalla polizia giudiziaria, c.p.p. 352; assistenza del difensore, c.p.p. 356. forme, c.p.p. 247. locali, c.p.p. 250. negli uffici dei difensori, c.p.p. 103. personali, c.p.p. 249. richiesta di consegna, c.p.p. 248. sequestro conseguente, c.p.p. 252. Persona offesa dal reato: avvisi: accertamenti tecnici non ripetibili, c.p.p. 360; incidente probatorio, c.p.p. 398; dell'udienza per la discussione sulla proroga delle indagini preliminari, c.p.p. 4065; richiesta di archiviazione, c.p.p. 4082, 409, 410; udienza preliminare, c.p.p. 419; del compimento di atti urgenti, c.p.p. 4672. citazione, c.p.p. 377, 5193; per il giudizio direttissimo, c.p.p. 4512; per la convalida dell'arresto davanti al tribunale in composizione monocratica, c.p.p. 558. curatore speciale per la querela, c.p.p. 338. denuncia e querele: assistenza dell'interprete, att. c.p.p. 107 ter; per reati commessi in altro Stato UE, att. c.p.p. 108 ter. detenuta o internata (dichiarazioni e richieste), c.p.p. 1233. difensore, c.p.p. 101. diritti e facoltà, c.p.p. 90. domicilio, att. c.p.p. 33. enti e associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato, c.p.p. 91; consenso della persona offesa, c.p.p. 92. gratuito patrocinio, c.p.p. 98. impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 4283. impugnazione per i reati di ingiuria e diffamazione, c.p.p. 577. informazione di garanzia, c.p.p. 369. informazioni, c.p.p. 90 bis; comunicazioni dell’evasione e della scarcerazione, c.p.p. 90 ter; condizione di particolare vulnerabilità, c.p.p. 90 quater. istanza di procedimento, c.p.p. 341. notifica: del decreto che dispone il giudizio, c.p.p. 4294; del decreto di giudizio immediato, c.p.p. 4563; del decreto di citazione per

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giudizio abbreviato nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, c.p.p. 552. notificazioni, c.p.p. 154-155. nullità relative alla citazione in giudizio della, c.p.p. 178, lett. c). opposizione alla richiesta di archiviazione, c.p.p. 410. partecipazione agli accertamenti tecnici non ripetibili, c.p.p. 360. richiesta di avocazione, c.p.p. 413. richiesta di impugnazione, c.p.p. 572. richiesta di incidente probatorio, c.p.p. 394; diritto di assistervi, c.p.p. 4013. Persona sottoposta alle indagini: accertamento del pubblico ministero, c.p.p. 358. accompagnamento coattivo, c.p.p. 376, 399. assistenza del difensore, c.p.p. 356, 364. dichiarazioni indizianti, c.p.p. 632. diritti e garanzie, c.p.p. 61. divieto di testimonianza, c.p.p. 62. estensione delle disposizioni relative all'imputato, c.p.p. 612. identificazione da parte della polizia giudiziaria, c.p.p. 349. informazione di garanzia, c.p.p. 369. interrogatorio, c.p.p. 64, 65, 294, 364, 374, 388. presentazione al pubblico ministero: spontanea, c.p.p. 374; invito, c.p.p. 375. richiesta di avocazione, c.p.p. 413. richiesta di incidente probatorio, c.p.p. 392. sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, c.p.p. 350. Si veda anche Indagini preliminari. Persona-e: civilmente obbligata per la pena pecuniaria: si veda Civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Plichi: acquisizione, c.p.p. 353. apertura, c.p.p. 3532, 356.

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Polizia giudiziaria: accertamenti urgenti, c.p.p. 354; att. c.p.p. 113. acquisizione di plichi o corrispondenza, c.p.p. 353. adempimenti per arresto o fermo di madre di prole di minore età, c.p.p. 387 bis. agenti, c.p.p. 57. arresto in flagranza e fermo, c.p.p. 380 ss.; att. c.p.p. 120; nell'estradizione, c.p.p. 716. assicurazione delle fonti di prova, c.p.p. 348. attività a iniziativa della, c.p.p. 347-357; att. c.p.p. 112. attività delegata, c.p.p. 370. attività investigativa in materia di armi e stupefacenti, att. c.p.p. 77. direzione, c.p.p. 56, 327. disponibilità, c.p.p. 58, 327. documentazione dell'attività, c.p.p. 357. funzioni, c.p.p. 55. identificazioni, c.p.p. 349. informatori, c.p.p. 203. intercettazioni, c.p.p. 267, 268. notificazioni eseguite dalla, c.p.p. 1482, 149, 151. notizia di reato: acquisizione, c.p.p. 330; ricezione della denuncia, c.p.p. 331, 333; trasmissione del referto, c.p.p. 334; obbligo di riferire la, c.p.p. 347. obbligo di osservazione delle norme processuali, c.p.p. 124. obbligo di presentazione alla, c.p.p. 282. perquisizioni, c.p.p. 247, 248, 352. sanzioni disciplinari, att. c.p.p. 16 ss. sequestri, c.p.p. 253, 254, 354. servizi e sezioni, c.p.p. 56; att. c.p.p. 5-15. sommarie informazioni, c.p.p. 350, 351. subordinazione, c.p.p. 59. ufficiali, c.p.p. 57. verbali, c.p.p. 3572; att. c.p.p. 115. Potere-i: coercitivi del giudice, c.p.p. 131; del pubblico ministero, c.p.p. 378. Presentazione:

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al pubblico ministero: spontanea, c.p.p. 374; invito a presentarsi, c.p.p. 375; accompagnamento coattivo, c.p.p. 376. alla polizia giudiziaria, c.p.p. 282. Presidente: del Consiglio dei Ministri, della Camera dei deputati, della Corte costituzionale, del Senato: testimonianza, c.p.p. 205. Presidente della Repubblica: alto tradimento o attentato alla Costituzione, Cost. 90. concessione di amnistia e indulto, Cost. 79. disposizioni costituzionali, Cost. 83-90. testimonianza, c.p.p. 205. Privati: denuncia da parte di, c.p.p. 333. facoltà di arresto, c.p.p. 383. Procedibilità: condizioni di, c.p.p. 336-346. difetto di una condizione di, c.p.p. 345; atti compiuti, c.p.p. 236. Si veda anche Autorizzazione a procedere; Istanza; Querela; Richiesta. Procedimenti speciali: Si veda Applicazione della pena su richiesta della parte; Giudizio abbreviato; Giudizio direttissimo; Giudizio immediato; Procedimento per decreto. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica: c.p.p. 549-559. atti urgenti, c.p.p.554. c.s. di citazione diretta a giudizio, c.p.p. 550. decreto di citazione a giudizio, c.p.p. 552. norme applicabili, c.p.p. 549. procedimenti connessi, c.p.p. 551. 2114

trasmissione degli atti al giudice dell'udienza di comparizione in dibattimento, c.p.p. 553. udienza di comparizione a seguito della citazione diretta, c.p.p. 555. Procedimento per decreto: casi, c.p.p. 459. davanti al tribunale in composizione monocratica, c.p.p. 557. opposizione, c.p.p. 461; restituzione nel termine, c.p.p. 462; proposta solo da alcuni interessati, c.p.p. 463; giudizio, c.p.p. 464. Procedimento-i: applicativo delle misure cautelari, c.p.p. 291. atti del procedimento, c.p.p. 109 ss. connessione di, c.p.p. 12 ss. di applicazione provvisoria di misure di sicurezza, c.p.p. 313. di esecuzione, c.p.p. 666. di estradizione, c.p.p. 697 ss. di riesame, c.p.p. 309, 318, 322, 324, 355. di riparazione dell'errore giudiziario, c.p.p. 646. di sorveglianza, c.p.p. 678. disciplinare: contro i difensori, c.p.p. 105; per omissioni della polizia giudiziaria, att. c.p.p. 17 ss. in camera di consiglio, c.p.p. 127; in cassazione, c.p.p. 611. per il riconoscimento di disposizioni civili di sentenze penali straniere, c.p.p. 741. per la restituzione delle c.s. sequestrate, c.p.p. 263. per la riparazione per l'ingiusta detenzione, c.p.p. 315. riguardanti i magistrati, c.p.p. 11, att. 1. rogatorie dall'estero, c.p.p. 724. Si veda anche Procedimenti speciali. Processo-i: rimessione, c.p.p. 45-49. riunione, c.p.p. 17, 19. separazione, c.p.p. 18, 19. Procura:

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del difensore delle parti private diverse dall'imputato, c.p.p. 100. speciale per determinati atti, c.p.p. 122. Si veda anche Procuratore speciale. Procuratore della Repubblica: impugnazione, c.p.p. 570; della sentenza di non luogo a procedere; c.p.p. 428; appello, c.p.p. 594; ricorso in cassazione, c.p.p. 608. Si veda anche Pubblico ministero. Procuratore generale: avocazione, c.p.p. 372, 412-413. comunicazioni al, c.p.p. 4093, 4224, 5483, 5542, 7041. esecuzione all'estero di sentenze penali italiane, c.p.p. 743. estradizione dall'estero, c.p.p. 720. estradizione per l'estero: accertamenti, c.p.p. 703; ricorso in cassazione, c.p.p. 706. impugnazione, c.p.p. 570; della sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 428; appello, c.p.p. 594; ricorso in cassazione, c.p.p. 608; richiesta di revisione, c.p.p. 632. riconoscimento delle sentenze penali straniere, c.p.p. 731; richiesta di misure coercitive o sequestro, c.p.p. 736, 737. rogatorie (procedimento), c.p.p. 724. Si veda anche Pubblico ministero. Procuratore legale: Si veda Avvocato. Procuratore speciale: degli enti e delle associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato, c.p.p. 93. del responsabile civile, c.p.p. 84, 85. della parte civile, c.p.p. 76, 783. domanda di riparazione dell'errore giudiziario, c.p.p. 645. per l'impugnazione, c.p.p. 571; rinuncia, c.p.p. 589. per la dichiarazione di ricusazione, c.p.p. 384.

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per la presentazione di denuncia, c.p.p. 333; di querela, c.p.p. 336, 339, 340. richiesta di giudizio abbreviato, c.p.p. 438; di applicazione della pena, c.p.p. 446. richiesta di revisione, c.p.p. 633. Professione-i: divieto di esercizio, c.p.p. 290. Proroga: dei termini, c.p.p. 172, 173. della custodia cautelare, c.p.p. 305. della durata delle operazioni di intercettazione, c.p.p. 267. delle indagini preliminari, c.p.p. 3934, 406. termine per la consegna dell'estradato, c.p.p. 7085. termine per le traduzioni scritte, c.p.p. 147; per la relazione peritale, c.p.p. 227. Proscioglimento: Si veda Sentenza. Prossimi congiunti: Si veda Congiunti. Prova-e: acquisite da giudice incompetente, c.p.p. 26. ammissione, c.p.p. 190, 495; di nuove prove nel dibattimento, c.p.p. 507; in appello, c.p.p. 603. assicurazione delle fonti di, c.p.p. 348. assunzione nell'incidente probatorio, c.p.p. 392 ss.; utilizzabilità, c.p.p. 403. confronti, c.p.p. 211-212. diritto alla, c.p.p. 190; facoltà dei difensori, att. c.p.p. 38. documentale, c.p.p. 234-243. esame delle parti, c.p.p. 208-210. esperimenti giudiziali, c.p.p. 218, 219. 2117

illegittimamente acquisite, c.p.p. 191. intercettazioni, c.p.p. 266-271. ispezioni, c.p.p. 244-246. limiti, c.p.p. 193. mancata assunzione, c.p.p. 6061, lett. d). mezzi di ricerca della, c.p.p. 244-271. non disciplinate dalla legge, c.p.p. 189. oggetto, c.p.p. 187. ordine nell'assunzione, c.p.p. 496. perizia, c.p.p. 220-233. perquisizioni, c.p.p. 247-252. procedimento di esecuzione, c.p.p. 6665. richieste nel dibattimento, c.p.p. 493, 495. ricognizioni, c.p.p. 213-217. rispetto della libertà di autodeterminazione, c.p.p. 188. segreti, c.p.p. 200-204. sequestri, c.p.p. 253-265. testimoniale, c.p.p. 194-207. utilizzabilità ai fini della deliberazione, c.p.p. 526. valutazione, c.p.p. 192. verbali della polizia giudiziaria, c.p.p. 357. Provvedimenti del giudice: c.p.p. 125-133. ausiliario, c.p.p. 126. deposito, c.p.p. 128. forme, c.p.p. 125. Provvisionale: c.p.p. 5392. nel procedimento di riparazione dell'errore giudiziario, c.p.p. 6465. sospensione dell'esecuzione in appello, c.p.p. 6003. Pubblicazione-i: della sentenza come effetto della condanna, c.p.p. 536; come riparazione del danno, c.p.p. 543; spese, c.p.p. 694. della sentenza di revisione, c.p.p. 642. della sentenza, c.p.p. 545, 615. di atti: divieto, c.p.p. 114; deroga, c.p.p. 3292. 2118

Pubblici annunzi: notificazioni per, c.p.p. 155. Pubblicità: dell'udienza dibattimentale, c.p.p. 471. Pubblico impiegato: dovere di esibizione, c.p.p. 256. informazioni sull'azione penale, att. c.p.p. 129. segreto di ufficio, c.p.p. 201; segreto di Stato, c.p.p. 202. Pubblico ministero: accertamenti tecnici non ripetibili, c.p.p. 360. accompagnamento coattivo, c.p.p. 376. acquisizione delle notizie di reato, c.p.p. 330 ss. assunzione di informazioni, c.p.p. 362. astensione, c.p.p. 52. attività diretta e delegata, c.p.p. 370. attività, c.p.p. 358 ss. autonomia in udienza, c.p.p. 53. avocazione delle indagini, c.p.p. 372, 412. azione penale, c.p.p. 50. citazioni, c.p.p. 377. competenza, c.p.p. 51. consulenti tecnici, c.p.p. 225, 233, 359. contrasti tra pubblici ministeri, c.p.p. 54; att. c.p.p. 4. delega delle funzioni, att. c.p.p. 162. denuncia di conflitto, c.p.p. 302. discussione nell'udienza preliminare, c.p.p. 421. documentazione dell'attività, c.p.p. 373; att. c.p.p. 119. esposizione introduttiva e richiesta di prove nel dibattimento, c.p.p. 493. fascicolo del, c.p.p. 433. fermo di indiziato, c.p.p. 384. impugnazioni, c.p.p. 570, 572; appello, c.p.p. 595; ricorso in cassazione, c.p.p. 608.

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indagini, c.p.p. 326, 327, 358; integrative, c.p.p. 430; collegate, c.p.p. 371. individuazioni, c.p.p. 361. informazione di garanzia, c.p.p. 369. intercettazioni, c.p.p. 266 ss. interrogatori, c.p.p. 363, 364, 388. invito a presentarsi, c.p.p. 375. nel procedimento di sorveglianza, c.p.p. 6783. nell'esecuzione, c.p.p. 655. notificazioni e comunicazioni, c.p.p. 151, 153. obbligo di osservanza delle norme processuali, c.p.p. 124. poteri coercitivi, c.p.p. 378. presentazione spontanea al, c.p.p. 374. richiesta: di archiviazione, c.p.p. 408, 554; di convalida dell'arresto o del fermo, c.p.p. 390; di copie e informazioni, c.p.p. 117; di incidente probatorio, c.p.p. 392, 551; di rimessione del processo, c.p.p. 45; di rinvio a giudizio, c.p.p. 416; di trasmissione degli atti a un diverso p.m., c.p.p. 54 quater; att. c.p.p. 4 bis. sostituzione, c.p.p. 524, 53. uffici, c.p.p. 51; rapporti, c.p.p. 371. Pubblico servizio: sospensione dall'esercizio, c.p.p. 289. Si veda anche Incaricato di pubblico servizio. Pubblico ufficiale: denuncia, c.p.p. 331. dovere di esibizione, c.p.p. 256. segreto di ufficio, c.p.p. 201, di Stato, c.p.p. 202. Pubblico ufficio: sospensione dall'esercizio, c.p.p. 289. Si veda anche Pubblico ufficiale.

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Q Querela: curatore speciale, c.p.p. 338. dichiarazione di, c.p.p. 336. formalità, c.p.p. 337. incompatibilità, astensione o ricusazione del giudice che ha proposto querela, c.p.p. 343, 36, lett. g), 37, lett. a). istanza di procedimento, c.p.p. 341. mancanza di, c.p.p. 345, 346. orale, c.p.p. 3372, 380, 381. richiesta di procedimento, c.p.p. 342. rinuncia, c.p.p. 339. Si veda anche Querelante. Querelante: condanna alle spese e ai danni, c.p.p. 427, 542. impugnazione, c.p.p. 576. Questioni: concernenti le iscrizioni e i certificati del casellario, c.p.p. 690. decisione sulle questioni civili, c.p.p. 538 ss. dedotte nel corso della discussione, att. c.p.p. 171. di nullità in appello, c.p.p. 604. incidentali, c.p.p. 2; nel dibattimento, c.p.p. 478. pregiudiziali, c.p.p. 3, 479. preliminari, c.p.p. 491. sul titolo esecutivo, c.p.p. 670. sulle spese processuali, c.p.p. 695.

2121

R Rapporti giurisdizionali con autorità straniere: effetti delle sentenze penali straniere, c.p.p. 730-741; poteri del Ministro, c.p.p. 734 bis. esecuzione all'estero di sentenze italiane, c.p.p. 742-746; poteri del Ministro, c.p.p. 742 bis. estradizione, c.p.p. 697-722. prevalenza del diritto europeo, delle convenzioni e del diritto internazionale, c.p.p. 696. rogatorie internazionali, c.p.p. 723-729. Si veda anche Estradizione dall'estero; Estradizione per l'estero; Rogatorie internazionali. Rapporto: dell'imputato irreperibile, c.p.p. 159; latitante o evaso, c.p.p. 165; allontanato o assente, c.p.p. 475, 488; contumace, c.p.p. 487. della parte civile, c.p.p. 77. dello Stato richiedente l'estradizione, c.p.p. 702, 706. in giudizio: si veda Difensore-i. tra azione civile e penale, c.p.p. 75. Si veda anche Denuncia e Notizia di reato. Reato-i: collegati, c.p.p. 1924, 197, lett. b), 2105, 3632, 371. commessi in udienza, c.p.p. 476. commesso da ignoti, c.p.p. 415. competenza, c.p.p. 10. concorrente emerso nell'udienza preliminare, c.p.p. 423; nel dibattimento, c.p.p. 517. concorso di, c.p.p. 671; att. c.p.p. 186 ss. connessione, c.p.p. 12 ss. continuato, c.p.p. 671; att. c.p.p. 186 ss. estinzione: competenza del giudice dell'esecuzione, c.p.p. 676. notizia di, c.p.p. 330-335. per i quali sono ammesse le intercettazioni, c.p.p. 266. persona offesa dal reato: si veda Persona offesa dal reato. 2122

politici: estradizione, c.p.p. 698. Recidiva: agli effetti della competenza, c.p.p. 4. ai fini dell'applicazione di misure cautelari, c.p.p. 278. ai fini dell'arresto e del fermo, c.p.p. 379. Referto: c.p.p. 334. Reformatio in peius (divieto): c.p.p. 597. Registrazioni: di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, c.p.p. 268; conservazione, c.p.p. 269. fonografiche o audiovisive, c.p.p. 139. Registro: dei decreti che dispongono intercettazioni, c.p.p. 2675. delle notizie di reato, c.p.p. 335. Relazione-i: di notificazione, c.p.p. 168. Remissione della querela: Si veda Querela. Renitenza: del testimone, c.p.p. 207. Responsabile civile: citazione, c.p.p. 83, 491; notificazione, c.p.p. 4194. costituzione, c.p.p. 84. difensore, c.p.p. 100. effetti dell'ammissione o dell'esclusione, c.p.p. 88. esame dibattimentale, c.p.p. 208, 209, 503. esclusione, c.p.p. 86, 87.

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gratuito patrocinio, c.p.p. 98. impugnazione, c.p.p. 575. intervento volontario, c.p.p. 85, 491. notificazioni, c.p.p. 154. Responsabilità: civile (condanna), c.p.p. 538, 539. Responsabilità genitoriale: sospensione, c.p.p. 288. Restituzione: di c.s. sequestrate, c.p.p. 262 ss. Si veda anche Sequestro penale. nel termine, c.p.p. 175; effetti, c.p.p. 176; per opporsi a decreto penale, c.p.p. 462; in c.s. di richiesta di non esecutività di provvedimento, c.p.p. 6703. Restituzioni: azione civile per le, c.p.p. 74 ss. condanna alle, c.p.p. 538; provvisoria esecuzione, c.p.p. 540; impugnazioni, c.p.p. 574 ss. decisione sulla domanda per le, c.p.p. 538. Retribuzione del difensore d'ufficio di persona irresponsabile: c.p.p. 32 bis. Rettificazione: delle generalità dell'imputato, c.p.p. 663. di errori materiali, c.p.p. 130, 535, 547, 619; att. c.p.p. 174. Revisione: c.p.p. 629-647. a favore del condannato defunto, c.p.p. 638. casi, c.p.p. 630. condanne soggette, c.p.p. 629. giudizio, c.p.p. 636. limiti, c.p.p. 631.

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richiesta: forma, c.p.p. 633; declaratoria d'inammissibilità, c.p.p. 634, 641; accoglimento o rigetto, c.p.p. 637, 641; provvedimenti in accoglimento, c.p.p. 639. riparazione dell'errore giudiziario, c.p.p. 643 ss. Si veda anche Riparazione. sentenza, c.p.p. 637; impugnabilità, c.p.p. 640; pubblicazione, c.p.p. 642. soggetti legittimati, c.p.p. 632. sospensione dell'esecuzione, c.p.p. 635. Revoca: del difensore, c.p.p. 107, 108. della costituzione di parte civile, c.p.p. 82. della dichiarazione di tendenza a delinquere, c.p.p. 679. della sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 434-437: casi, c.p.p. 434; richiesta, c.p.p. 435; provvedimenti del giudice, c.p.p. 436; ricorso in cassazione, c.p.p. 437. della sentenza in c.s. di accoglimento della richiesta di revisione, c.p.p. 637. della sentenza per abolizione del reato, c.p.p. 673. della sospensione condizionale della pena, c.p.p. 674. delle misure cautelari personali, c.p.p. 299. di grazia, amnistia o indulto condizionati, c.p.p. 674. Riabilitazione: c.p.p. 683. Riapertura delle indagini: a seguito di revoca della sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 436. dopo il provvedimento di archiviazione, c.p.p. 414; att. c.p.p. 157. Richiesta: del testo di leggi straniere, att. c.p.p. 205. di applicazione della pena, c.p.p. 446, 447. di applicazione di pena accessoria, att. c.p.p. 183. di applicazione provvisoria di misure di sicurezza, c.p.p. 312. di archiviazione, c.p.p. 408 ss.; att. c.p.p. 125, 126. di autorizzazione a procedere, c.p.p. 344; requisiti, att. c.p.p. 111. di avocazione delle indagini, c.p.p. 413. 2125

di citazione del civilmente obbligato per la pena pecuniaria, c.p.p. 89. di consegna nelle perquisizioni, c.p.p. 248. di convalida dell'arresto o del fermo, c.p.p. 390; trasmissione, att. c.p.p. 122. di copie di atti e di informazioni, c.p.p. 117, 118. di decreto di condanna, c.p.p. 459. di esame delle parti, c.p.p. 208. di esclusione della parte civile, c.p.p. 80; del responsabile civile, c.p.p. 86. di giudizio abbreviato, c.p.p. 4522, 458. di giudizio immediato, c.p.p. 454, 455. di impugnazione, c.p.p. 572. di incidente probatorio, c.p.p. 393 ss., 551. di misure cautelari all'estero, c.p.p. 745. di procedimento: delitti commessi all'estero, c.p.p. 342. di revisione, c.p.p. 633. di revoca della sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 435. di riesame delle ordinanze sulle misure cautelari, c.p.p. 309, 318, 324. di rimessione del processo, c.p.p. 46, 47, 49. di rinvio a giudizio, c.p.p. 405; proroga del termine, c.p.p. 406; presentazione, c.p.p. 416; requisiti formali, c.p.p. 417. per la restituzione nel termine, c.p.p. 175. Richieste: dei difensori, c.p.p. 367. delle parti, c.p.p. 121. di certificati, att. c.p.p. 110; del casellario giudiziale, c.p.p. 688, 689; att. c.p.p. 195, 198. di persone detenute o internate, c.p.p. 123. di prova, c.p.p. 468, 493. Ricognizioni: di cose, c.p.p. 215. di persone, c.p.p. 213, 214. di voci o suoni, c.p.p. 216. divieto, c.p.p. 3432.

2126

nell'incidente probatorio, c.p.p. 392, lett. g). pluralità, c.p.p. 217. Riconoscimento: agli effetti penali, c.p.p. 730; a norma di accordi internazionali, c.p.p. 731; per gli effetti civili, c.p.p. 732; presupposti, c.p.p. 733; deliberazione e provvedimenti connessi, c.p.p. 734 ss.; esecuzione, c.p.p. 738, 740. delle disposizioni civili di sentenze penali straniere, c.p.p. 741. principio del mutuo riconoscimento, c.p.p. 696 bis - 696 decies. Ricorso per cassazione: Si veda Cassazione. Ricostituzione: di atti, c.p.p. 113. Ricovero: provvisorio in luogo di cura, c.p.p. 286. Ricusazione: casi, c.p.p. 37. competenza a decidere, c.p.p. 40. concorso con l'astensione, c.p.p. 39. decisione sulla dichiarazione di, c.p.p. 41. del perito, c.p.p. 223; sostituzione, c.p.p. 2314. dell'interprete, c.p.p. 145. provvedimenti, c.p.p. 42. sanzioni, c.p.p. 44. sostituzione del giudice, c.p.p. 43. termini e forme per la dichiarazione, c.p.p. 38. Riesame: del provvedimento di sequestro, c.p.p. 257; sequestro conservativo, c.p.p. 318; sequestro preventivo, c.p.p. 322; procedimento, c.p.p.

2127

324; decreto di convalida del sequestro di P.G., c.p.p. 355. delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva, c.p.p. 309. Rifiuto: della difesa, c.p.p. 105. di assistere al dibattimento, c.p.p. 488. di farsi identificare dalla polizia giudiziaria, c.p.p. 3494. di testimonianza, c.p.p. 207. Rilascio di copie: Si veda Copie. Rilievi della polizia giudiziaria: c.p.p. 354. Rimessione (del processo): casi, c.p.p. 45. decisione, c.p.p. 48. effetti della richiesta, c.p.p. 47. richiesta, c.p.p. 46; nuova, c.p.p. 49. Rimozione: di sigilli, c.p.p. 261. Rinnovazione: dell'istruzione dibattimentale in appello, c.p.p. 5993, 603. della citazione, c.p.p. 485. della notificazione, c.p.p. 1575. di atti: mancanti, c.p.p. 113; nulli, c.p.p. 185; in c.s. di restituzione nel termine, c.p.p. 176; in appello, c.p.p. 6045. Rinuncia: a far valere una nullità, c.p.p. 183, 184. all'appello, c.p.p. 569, 5954. all'impugnazione, c.p.p. 589, 591. all'udienza preliminare, c.p.p. 4195.

2128

dei motivi d'appello, c.p.p. 5994. della difesa, c.p.p. 107. Rinvio: a giudizio, c.p.p. 405; richiesta, c.p.p. 416, 417, 435. al giudice civile, c.p.p. 622. annullamento con, c.p.p. 623 ss.; giudizio di, c.p.p. 627 ss. annullamento senza, c.p.p. 620, 621. del dibattimento, c.p.p. 486, 487. del giudizio di revisione, c.p.p. 6342. dell'esecuzione della pena: infermità psichica sopravvenuta, c.p.p. 684. dell'udienza in camera di consiglio, c.p.p. 127; in appello, c.p.p. 599. per nullità accertate dal giudice d'appello, c.p.p. 6044. Riparazione: dell'errore giudiziario, c.p.p. 643; in c.s. di morte, c.p.p. 644; domanda, c.p.p. 645; att. c.p.p. 176; procedimento e decisione, c.p.p. 646; surrogazione dello Stato nel diritto al risarcimento del danno, c.p.p. 647. per l'ingiusta detenzione: custodia cautelare all'estero, c.p.p. 722 bis; presupposti, c.p.p. 314; att. c.p.p. 102; procedimento, c.p.p. 315. Riprese audiovisive: dei dibattimenti, att. c.p.p. 147. Riproduzione fonografica o audiovisiva: c.p.p. 134, 139. Risarcimento del danno: azione civile per il, c.p.p. 74 ss. condanna al: generica, c.p.p. 539; provvisoria esecuzione, c.p.p. 540; impugnazioni, c.p.p. 574 ss. decisione sulla domanda di, c.p.p. 538. Riunione di processi: c.p.p. 17, 19; att. c.p.p. 2.

2129

disposta in cassazione, c.p.p. 610. questioni preliminari concernenti la, c.p.p. 491. Rogatorie internazionali: all'estero, c.p.p. 727-729 quinquies; trasmissione, c.p.p. 727; immunità temporanea della persona citata, c.p.p. 728; trasferimento temporaneo, c.p.p. 726 quater; utilizzabilità degli atti, c.p.p. 729. audizione: mediante videoconferenza, c.p.p. 726 quinquies, 729 quater; mediante teleconferenza, c.p.p. 726 sexies. dall'estero, c.p.p. 723-726: poteri del Ministro di giustizia, c.p.p. 723; garanzia di immunità e reciprocità, c.p.p. 723; procedimento, c.p.p. 724; esecuzione, c.p.p. 725; citazione di testimoni, c.p.p. 726; trasferimento temporaneo, c.p.p. 729 ter. squadre investigative comuni, c.p.p. 729 quinquies.

2130

S Sanatoria delle nullità: c.p.p. 183, 184. Sanzioni disciplinari: abbandono o rifiuto della difesa, c.p.p. 105. esecuzione, c.p.p. 664. ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, att. c.p.p. 16 ss. violazione del divieto di pubblicazione, c.p.p. 115. Sanzioni pecuniarie: accompagnamento coattivo, c.p.p. 133. esecuzione, c.p.p. 664. in c.s. di inammissibilità del ricorso per cassazione, c.p.p. 616. in c.s. di inammissibilità della richiesta di revisione, c.p.p. 634. in c.s. di inammissibilità o rigetto della dichiarazione di ricusazione, c.p.p. 44. in c.s. di rigetto o inammissibilità della richiesta di rimessione del processo, c.p.p. 484. interprete sostituito, c.p.p. 147. perito sostituito, c.p.p. 2313. spese per la pubblicazione di sentenze, c.p.p. 6944. Si veda anche Pena-e. Sanzioni sostitutive: applicazione della pena su richiesta, c.p.p. 444. esecuzione, c.p.p. 661; in c.s. di più sentenze per lo stesso fatto, c.p.p. 669; rinvio, c.p.p. 684. Scarcerazione: Si veda Liberazione e Misure cautelari personali. Scritture di comparazione: att. c.p.p. 75. Segreto-i: di Stato: astensione dal testimoniare, c.p.p. 202; dovere di esibizione, c.p.p. 256. 2131

di ufficio: astensione dal testimoniare, c.p.p. 201; dovere di esibizione, c.p.p. 256. esclusione, c.p.p. 204; att. c.p.p. 66. obbligo del, c.p.p. 329; divieto di pubblicazione di atti ed immagini, c.p.p. 114. professionale: facoltà di non testimoniare, c.p.p. 200; dovere di esibizione, c.p.p. 256. Seminfermità: Si veda Infermità. Sentenza: c.p.p. 125, 525-548. annullamento, c.p.p. 620 ss. assoluzione, c.p.p. 530. condanna, c.p.p. 533-537 bis: dell'imputato, c.p.p. 533; del civilmente obbligato per la pena pecuniaria, c.p.p. 534; alle spese, c.p.p. 535, 541, 542, 616. correlazione tra l'imputazione e la sentenza, c.p.p. 521. correzione di errori materiali, c.p.p. 130, 547. decisione sulle questioni civili, c.p.p. 538-543. declaratoria immediata di determinate cause di non punibilità, c.p.p. 129. del giudice di rinvio, c.p.p. 627, 628. deliberazione, c.p.p. 525-528, 615. deposito, c.p.p. 548, 617. di appello, c.p.p. 605. di cassazione, c.p.p. 615 ss. di non doversi procedere, c.p.p. 529. di non luogo a procedere, c.p.p. 425-428; revoca, c.p.p. 434-437. di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, c.p.p. 651 bis. di revisione, c.p.p. 637; impugnabilità, c.p.p. 640. dichiarazione di estinzione del reato, c.p.p. 531. dispositivo, c.p.p. 544, 546, lett. f). efficacia del giudicato in altri giudizi, c.p.p. 651-654. esecutività, c.p.p. 650. esecuzione, c.p.p. 655 ss.; all'estero, c.p.p. 742 ss. irrevocabilità, c.p.p. 648. iscrizioni nel casellario giudiziale, c.p.p. 685 ss.

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nullità per difetto di contestazione, c.p.p. 522. penale straniera: riconoscimento, c.p.p. 730 ss. Si veda anche Riconoscimento. pluralità per il medesimo fatto contro la stessa persona, c.p.p. 669. pronuncia sulla falsità di documenti, c.p.p. 537. proscioglimento, c.p.p. 529-532; prima del dibattimento, c.p.p. 469. pubblicazione, c.p.p. 536, 543, 545, 615, 642, 694. redazione, c.p.p. 544. requisiti, c.p.p. 546. revoca per abolizione del reato, c.p.p. 673. Si veda anche Motivazione e Motivi. Separazione di processi: c.p.p. 18, 19. disposta in cassazione, c.p.p. 610. questioni preliminari concernenti la, c.p.p. 491. Sequestro conservativo: competenza, c.p.p. 317. conversione in pignoramento, c.p.p. 320. offerta di cauzione, c.p.p. 319. presupposti, c.p.p. 316. provvedimento: effetti, c.p.p. 316; forma, c.p.p. 317; riesame, c.p.p. 318. trascrizione e cancellazione, att. c.p.p. 103. Sequestro penale: ai fini della confisca, c.p.p. 737 bis. conseguente a perquisizione, c.p.p. 252. copie dei documenti sequestrati, c.p.p. 258. c.s. deperibili, c.p.p. 260; att. c.p.p. 83. custodia delle c.s. sequestrate, c.p.p. 259; att. c.p.p. 82. della polizia giudiziaria, c.p.p. 354; convalida, c.p.p. 355; assistenza del difensore, c.p.p. 356. di corrispondenza, c.p.p. 254. disposto dal pubblico ministero, c.p.p. 3533, 365. dovere di esibizione, c.p.p. 256. durata, c.p.p. 262. formalità, c.p.p. 253; riesame del decreto, c.p.p. 257. 2133

in pendenza del procedimento di riconoscimento di sentenza penale straniera, c.p.p. 737. nel procedimento di estradizione, c.p.p. 704, 714, 715. oggetto, c.p.p. 253. presso banche, c.p.p. 255. presso i consulenti tecnici, c.p.p. 103. presso i difensori, c.p.p. 103. provvedimenti del giudice sulla richiesta, c.p.p. 368. restituzione delle c.s. sequestrate, c.p.p. 262-264, 6761; att. c.p.p. 84 ss. richiesta di sequestro all'estero, c.p.p. 745. sigilli alle c.s. sequestrate, c.p.p. 260; rimozione o riapposizione, c.p.p. 261. verbale, att. c.p.p. 81. Sequestro preventivo: impugnazioni, c.p.p. 322, 324, 325. norme applicabili, att. c.p.p. 104, 104 bis. oggetto, c.p.p. 321. perdita di efficacia, c.p.p. 323. revoca, c.p.p. 3213. Servizi di polizia giudiziaria: Si veda Polizia giudiziaria. Servizio: pubblico: si veda Pubblico servizio. Servizio militare: notificazioni ad imputato in, c.p.p. 158. Sezioni di polizia giudiziaria: Si veda Polizia giudiziaria. Sezioni unite:

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Si veda Cassazione. Sigilli: alle c.s. sequestrate: si veda Sequestro penale. Sistema informatico o telematico: intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche. Sommarie informazioni: alla polizia giudiziaria, c.p.p. 350, 351. nell'udienza preliminare, c.p.p. 422. Sordo-sordomuto: interprete, c.p.p. 144. partecipazione ad atti del procedimento, c.p.p. 119. Sospensione: cautelare dell'ufficiale o agente di P.G., att. c.p.p. 19. dall'esercizio della responsabilità genitoriale, c.p.p. 288. dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, c.p.p. 289. dei termini delle indagini preliminari per accertamenti sulla capacità dell'imputato, c.p.p. 70. dei termini di durata massima della custodia cautelare, c.p.p. 304. del dibattimento, c.p.p. 4516, 4772, 479, 486, 487, 508, 509, 519, 520, 6036, 6047. del procedimento con messa alla prova, c.p.p. 464 bis - 464 nonies. del procedimento per incapacità dell'imputato, c.p.p. 71; revoca, c.p.p. 72. del processo civile, c.p.p. 75. del processo: questioni pregiudiziali, c.p.p. 3; rimessione del processo, c.p.p. 47; autorizzazione a procedere, c.p.p. 3443. dell'esecuzione dell'estradizione, c.p.p. 709. dell'esecuzione della pena, in c.s. di esecuzione all'estero, c.p.p. 746. dell'esecuzione delle misure cautelari personali, c.p.p. 298.

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dell'esecuzione, c.p.p. 588, 6003, 612, 635, 6554, 6672, 668, 670, 6725. della deliberazione della sentenza, c.p.p. 525, 528. Sostituto del difensore: c.p.p. 97, 102. Sostituzione: del giudice astenuto o ricusato, c.p.p. 43. del perito, c.p.p. 231. del pubblico ministero astenuto, c.p.p. 52, 53. di misure cautelari, c.p.p. 276, 299, 718. Sottoscrizione: degli atti, c.p.p. 110; att. c.p.p. 39. dei difensori su atti del procedimento in cassazione, c.p.p. 613. del verbale, c.p.p. 137, 483. della denuncia di reato, c.p.p. 3332. della domanda o proposta di grazia, c.p.p. 681. della querela, c.p.p. 337; della rinuncia, c.p.p. 339. della richiesta di applicazione della pena, c.p.p. 4463. della richiesta di giudizio abbreviato, c.p.p. 4383. della richiesta di procedimento, c.p.p. 342. della richiesta di rimessione del processo, c.p.p. 462. della sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 426, lett. f). della sentenza, c.p.p. 544, 546; di cassazione, c.p.p. 615, 617. Spese: anticipazione delle, c.p.p. 691; recupero, att. c.p.p. 181, 199; annotazione, att. c.p.p. 200. condanna alle, c.p.p. 133, 427, 535, 541, 542, 592, 616, 637. del sequestro penale, c.p.p. 265. della custodia cautelare, c.p.p. 692. insolvibilità, c.p.p. 693. per il mantenimento in carcere, att. c.p.p. 1815. per la pubblicazione di sentenze, c.p.p. 694. per la rinnovazione di atto nullo, c.p.p. 1852. per testimoni, periti e consulenti tecnici, att. c.p.p. 144.

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questioni sulle, c.p.p. 695. Stato: di incapacità: si veda Incapacità. Stenotipia: redazione del verbale, c.p.p. 134; trascrizione, c.p.p. 138, 4832, 528. Straniero: espulsione dello, att. c.p.p. 183 bis, 183 ter. notificazioni all'imputato, c.p.p. 169. Stupefacenti: delitti concernenti gli: intercettazioni, c.p.p. 266; arresto obbligatorio in flagranza, c.p.p. 380. divieto di custodia cautelare di tossicodipendente, c.p.p. 275. divieto di testimoniare ad atti del procedimento per persone in stato di intossicazione da, c.p.p. 120. divieto e obbligo di dimora, c.p.p. 2835. Surrogazione: dello Stato che ha corrisposto la riparazione del danno, c.p.p. 647. di copie agli originali mancanti, c.p.p. 112.

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T Tassatività delle nullità: c.p.p. 177. Telefono (o telegrafo): intercettazioni di comunicazioni, c.p.p. 266. notificazioni col, c.p.p. 149. Tempo: di notte: perquisizioni domiciliari, c.p.p. 251. Tendenza a delinquere: dichiarazione, c.p.p. 5332, 678; revoca, c.p.p. 679; impugnazioni, c.p.p. 680. divieto di perizia, c.p.p. 2202. iscrizione nel casellario giudiziale, c.p.p. 686, n. 2. Termine-i: a pena di decadenza, c.p.p. 21, 23, 79, 80, 85, 86, 95, 182, 458, 585, 606; att. c.p.p. 99. abbreviazione, c.p.p. 173; nell'incidente probatorio, c.p.p. 400. computo e decorrenza, c.p.p. 172. di comparizione: prolungamento, c.p.p. 174. di durata delle misure cautelari, c.p.p. 297, 303, 308; sospensione, c.p.p. 304; proroga, c.p.p. 305. di durata massima delle indagini preliminari, c.p.p. 407, 553; in c.s. di riapertura in seguito a revoca della sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 4363. per eccepire o rilevare le nullità, c.p.p. 181, 182, 184. per il deposito della sentenza, c.p.p. 544. per il parere del perito, c.p.p. 227, 231. per l'eliminazione delle iscrizioni dal casellario giudiziale, c.p.p. 687. per l'impugnazione, c.p.p. 585. per l'inizio dell'azione penale, c.p.p. 405; proroga, c.p.p. 406. per l'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare, c.p.p. 294. 2138

per l'opposizione a decreto di condanna, c.p.p. 461. per la convalida dell'arresto o del fermo, c.p.p. 3917. per la costituzione di parte civile, c.p.p. 79. per la dichiarazione di ricusazione, c.p.p. 38. per la difesa, c.p.p. 108, 5191; nel giudizio direttissimo, c.p.p. 4516. per la domanda di riparazione, c.p.p. 646. per la richiesta di rimessione del processo, c.p.p. 46. per le impugnazioni dei provvedimenti che dispongono una misura cautelare, c.p.p. 309, 311, 324, 325. per le traduzioni scritte, c.p.p. 147. restituzione nel, c.p.p. 175; effetti, c.p.p. 176; per proporre opposizione contro il decreto di condanna, c.p.p. 462. Si veda anche Decadenza. Testimone-testimonianza: accompagnamento coattivo, c.p.p. 133. ad atti del procedimento, c.p.p. 120. astensione: prossimi congiunti, c.p.p. 199; segreto professionale, c.p.p. 200; segreto d'ufficio, c.p.p. 201; segreto di Stato, c.p.p. 202; esclusione del segreto, c.p.p. 204. audizione nell'udienza preliminare, c.p.p. 422. capacità di testimoniare, c.p.p. 196. citazione, c.p.p. 468; oggetto di rogatoria, c.p.p. 723, 726, 728. comparizione, att. c.p.p. 145. credibilità (valutazione), c.p.p. 236. dei presidenti delle Camere, o del Consiglio dei Ministri, o della Corte costituzionale, c.p.p. 2052. del Presidente della Repubblica, c.p.p. 2051. di agenti diplomatici, c.p.p. 206. divieto di prestare l'ufficio di interprete, c.p.p. 144; ufficio di perito, c.p.p. 222, 225. divieto sulle dichiarazioni dell'imputato, c.p.p. 62. esame in dibattimento, c.p.p. 497 ss.: atti preliminari, c.p.p. 497; esame diretto e controesame, c.p.p. 498; del minore, c.p.p. 4984; regole, c.p.p. 499; contestazioni, c.p.p. 500; a domicilio, c.p.p. 502; opposizioni, c.p.p. 504; facoltà di enti e associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato, c.p.p. 505; poteri del presidente, c.p.p. 506.

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immunità temporanea del testimone citato con rogatoria all'estero, c.p.p. 728. incompatibilità, c.p.p. 197. indiretta, c.p.p. 195. informatore della polizia giudiziaria, c.p.p. 203. lettura dei verbali delle dichiarazioni, c.p.p. 511, 514. limiti, c.p.p. 194. liste testimoniali, c.p.p. 468. nell'incidente probatorio, c.p.p. 392. obblighi, c.p.p. 198. oggetto, c.p.p. 194. persone imputate o giudicate in procedimento connesso o per reato collegato, c.p.p. 197 bis. persone imputate o giudicate in procedimento connesso o per reato collegato, c.p.p. 197 bis. renitenti, falsi o reticenti, c.p.p. 207; divieto di arresto in udienza, c.p.p. 476. spese e indennità, att. c.p.p. 144. Tossicodipendente: Si veda Stupefacenti. Traduzione: degli atti, c.p.p. 143-147. Si veda anche Interprete. dell'invito a dichiarare o eleggere domicilio inviato all'imputato all'estero, att. c.p.p. 63. delle domande provenienti da autorità straniera, att. c.p.p. 201. di documenti, c.p.p. 242. Trascrizione: del verbale redatto con la stenotipia, c.p.p. 138, 4832. delle intercettazioni, c.p.p. 493 bis. di nastri magnetofonici, c.p.p. 2422. di riproduzione fonografica o audiovisiva, c.p.p. 139. Trasmissione:

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degli atti a giudice competente in c.s. di impugnazione proposta a giudice incompetente, c.p.p. 568. degli atti al giudice di primo grado in c.s. di nullità dichiarate in appello, c.p.p. 604. degli atti al pubblico ministero, in c.s. di mancata correlazione tra imputazione contestata e sentenza, c.p.p. 521. degli atti al tribunale in composizione monocratica, c.p.p. 553. degli atti relativi alla querela al pubblico ministero, c.p.p. 337. del verbale di arresto o fermo, c.p.p. 3863, 716. della denuncia di reato, c.p.p. 331. della richiesta di giudizio immediato, c.p.p. 454. di atti ad altro ufficio del pubblico ministero, c.p.p. 54. di atti all'autorità competente in c.s. di difetto di giurisdizione, c.p.p. 20. di atti conseguenti alla sentenza di cassazione, c.p.p. 625. di atti in seguito a dichiarazione di incompetenza, c.p.p. 22-24. di rogatorie ad autorità straniere, c.p.p. 727. Tribunale: competenza, c.p.p. 6. composizione collegiale, c.p.p. 33 bis. composizione monocratica, c.p.p. 33 ter. di sorveglianza, c.p.p. 677 ss. presidente: atti, c.p.p. 465, 467; disciplina dell'udienza e direzione del dibattimento, c.p.p. 470; poteri in ordine all'esame dei testimoni e delle parti private, c.p.p. 506. sezioni distaccate, att. c.p.p. 163 bis-163 ter. Tutore: astensione del giudice che sia tutore di una delle parti private, c.p.p. 36, lett. b); ricusazione, c.p.p. 37. della parte civile, c.p.p. 77. della persona offesa dal reato, c.p.p. 90. impugnazioni del, c.p.p. 571. notificazioni presso il, c.p.p. 166. sottoscrizione della domanda di grazia, c.p.p. 681.

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U Udienza: di convalida dell'arresto o del fermo, c.p.p. 391. in camera di consiglio, c.p.p. 127. nel dibattimento: Si veda Udienza dibattimentale. per l'incidente probatorio, c.p.p. 401. preliminare, c.p.p. 416 ss. Si veda Udienza preliminare Udienza dibattimentale: a porte chiuse, c.p.p. 472, 473. allontanamento coattivo dell'imputato, c.p.p. 475; volontario, c.p.p. 488. anticipazione o differimento, c.p.p. 465. assistenza dell'imputato, c.p.p. 474. contumacia, c.p.p. 487. disciplina, c.p.p. 470. impedimento a comparire in, c.p.p. 486. pubblicità, c.p.p. 471. reati commessi in, c.p.p. 476. verbale di, c.p.p. 480 ss. Si veda anche Dibattimento. Udienza preliminare: c.p.p. 416-433. atti introduttivi, c.p.p. 419. attività integrativa di indagine del P.M., c.p.p. 430. costituzione delle parti, c.p.p. 420. decreto che dispone il giudizio, c.p.p. 429; att. c.p.p. 132; notificazione, att. c.p.p. 133. deposito di atti, c.p.p. 131. discussione, c.p.p. 421. fissazione, c.p.p. 418. in seguito a rigetto della richiesta di archiviazione, c.p.p. 4095; att. c.p.p. 128. modificazione dell'imputazione, c.p.p. 423. ordinanza per l'integrazione delle indagini, c.p.p. 421 bis. provvedimenti del giudice, c.p.p. 424. 2142

richiesta del pubblico ministero, c.p.p. 416, 417. sentenza di non luogo a procedere, c.p.p. 425-428. Ufficiale giudiziario: compiti, reg. c.p.p. 21, 224. notificazioni, c.p.p. 148, 151. obbligo di osservanza delle norme processuali, c.p.p. 124. Ufficiale pubblico: Si veda Pubblico ufficiale. Ufficiali di polizia giudiziaria: c.p.p. 57. arresto in flagranza e fermo, c.p.p. 380 ss., 558. attività a iniziativa della polizia giudiziaria, c.p.p. 347 ss. divieto di testimonianza indiretta, c.p.p. 195. intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, c.p.p. 2674. obbligo di osservanza delle norme processuali, c.p.p. 124. perquisizioni, c.p.p. 2473, 352. richiesta di copie di atti e di informazioni, c.p.p. 118. sequestri, c.p.p. 2533, 2542. Si veda anche Polizia giudiziaria.

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V Valori: sequestro di, c.p.p. 254, 255, 353; provvedimenti in c.s. di mancata restituzione, c.p.p. 264. Vendita: di c.s. confiscate, att. c.p.p. 86. di c.s. sequestrate, c.p.p. 264; c.s. deperibili, c.p.p. 260; att. c.p.p. 83. Verbale: contenente l'indicazione del dissenziente nei provvedimenti collegiali, c.p.p. 125. contenuto, c.p.p. 136, 481. dell'arresto o del fermo, c.p.p. 386. dell'attività del pubblico ministero, c.p.p. 373. dell'attività della polizia giudiziaria, c.p.p. 357. delle operazioni di intercettazione, c.p.p. 268; deposito, c.p.p. 268 bis; conservazione, c.p.p. 269. di assunzione dei mezzi di prova, c.p.p. 510. di interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare: deposito, att. c.p.p. 93. di prove di altri procedimenti, c.p.p. 238; procedimento straniero, att. c.p.p. 78. di sequestro, att. c.p.p. 81. di udienza dibattimentale, c.p.p. 480-483; contenuto, c.p.p. 481; diritti delle parti, c.p.p. 482; sottoscrizione e trascrizione, c.p.p. 483; lettura in camera di consiglio, c.p.p. 528. di vane ricerche, c.p.p. 295. in forma riassuntiva, c.p.p. 134, 1402; procedimento in camera di consiglio, c.p.p. 12710; dell'udienza preliminare, c.p.p. 4205; in dibattimento, c.p.p. 559; procedimento di esecuzione, c.p.p. 6669. lettura, c.p.p. 511-515. nullità, c.p.p. 142. redazione, c.p.p. 134, 135; att. c.p.p. 50, 51.

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sottoscrizione, c.p.p. 137, 483. trascrizione del verbale redatto con la stenotipia, c.p.p. 138, 483. Vizio di mente: Si veda Infermità.

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COMMENTI AUTORALI

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C.p.p. Capo II. Competenza COMMENTO Il Capo in commento, relativo al tema della competenza, fissa i criteri normativi funzionali all'attuazione di una ordinata distribuzione, in senso orizzontale e verticale, delle regiudicande penali, ed all'individuazione del giudice naturale precostituito per legge ai sensi dell'art. 25 comma 1, Cost., nel pieno rispetto del principio della buona efficienza dell'amministrazione giudiziaria. La precostituzione dell'organo giudicante, anteriormente all'insorgere della controversia sui fatti oggetto di imputazione, è predisposta dall'ordinamento giudiziario a garanzia dell'indipendenza di colui il quale è chiamato a pronunciarsi e, contestualmente, della libertà dei cittadini. I due cardini di ripartizione individuati dal legislatore sono: - la competenza per materia, che consente di suddividere il lavoro tra i diversi uffici giudiziari in ragione sia del criterio qualitativo (natura e tipologia del reato) sia di quello quantitativo (entità e gravità della pena edittale); - la competenza per territorio, che permette di individuare, tra i vari uffici giudiziari dello stesso tipo dislocati sul territorio della Repubblica, quello competente a conoscere del procedimento. Accanto alle due tradizionali figure di ripartizione il legislatore ne ha introdotte ex novo altrettante: - la competenza per connessione, la quale tiene conto della necessità di operare una trattazione unitaria di cause collegate alla luce di parametri di riferimento tassativamente prefissati, in conformità ai principi di celerità e speditezza dell'attività processuale; - la competenza funzionale, la quale fa riferimento alla distribuzione del carico giudiziario di un medesimo procedimento, in virtù del principio di separazione delle diverse fasi processuali fatto proprio dal modello accusatorio dell'attuale codice di rito. Regole particolari sono poi dettate per la individuazione del giudice relativamente ai reati commessi all'estero [c.p. 10] ed ai procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona indagata, imputata, offesa o danneggiata dal reato (criterio della circolarità). Riguardo agli imputati che al momento del fatto erano minorenni non operano le ordinarie regole di connessione, essendo riservata l'esclusiva cognizione delle cause di questo tipo al Tribunale minorile. Infine, circa le regole di individuazione della competenza del giudice di pace penale, occorre far rinvio a quanto previsto dagli artt. 4-8 del D.Lgs. n. 274 del 2000.

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C.p.p. Capo IV. Provvedimenti sulla giurisdizione e sulla competenza COMMENTO Il Capo in commento disciplina i profili relativi ai provvedimenti che devono essere adottati laddove si riscontri, su iniziativa delle parti o in via officiosa, il mancato rispetto o l'erronea applicazione delle regole dettate dall'ordinamento in tema di individuazione della giurisdizione e della competenza dell'organo giudicante. Si tratta di meccanismi di controllo funzionali a garantire l'esercizio dell'attività giurisdizionale da parte del giudice naturale precostituito per legge in relazione allo specifico procedimento, in osservanza di quanto previsto dal dettato costituzionale. Dal punto di vista sistematico, occorre previamente sottolineare come le norme in esame fissino tutta una serie di termini da rispettare e di attività da compiere che, nell'intento, appaiono finalizzati ad ottenere una soluzione rapida e definitiva delle questioni attinenti alla giurisdizione e alla competenza, in modo tale da consentire uno sviluppo dell'attività cognitiva che non possa essere più intralciato dalla sollevazione di eccezioni o di rilievi tardivi in grado di provocare la regressione di una vicenda processuale che ormai si approssimi alla sua definizione.

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C.p.p. Capo V. Conflitti di giurisdizione e di competenza COMMENTO Il Capo in commento ha la funzione di disciplinare quei peculiari scenari della vicenda processuale che possono delinearsi laddove l'operatività delle norme sulla giurisdizione e sulla competenza non permetta di individuare in modo inequivocabile il giudice naturale deputato a conoscere dei fatti oggetto di imputazione. Si tratta, in particolare, delle situazioni in cui più organi giudicanti ritengano di essere dotati contemporaneamente di giurisdizione o di competenza in relazione ad una singola fattispecie criminosa, o, viceversa, di esserne privi, determinando, così, o il pericolo di giudicati contrastanti su un medesimo fatto oppure un vero e proprio stallo processuale che preclude l'esercizio della giurisdizione. In simili situazioni il legislatore affida il compito di risolvere tali questioni controverse in modo definitivo e vincolante alla Corte di Cassazione, giudice naturale di tutte le questioni attinenti alla giurisdizione e alla competenza che possono prospettarsi nel nostro ordinamento.

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C.p.p. Capo VI. Capacità e composizione del giudice COMMENTO Il Capo in commento individua tra le condizioni che devono necessariamente sussistere ai fini di un corretto svolgimento dell'attività giurisdizionale da parte del suo titolare, la capacità dell'organo giudicante e l'osservanza delle regole relative alla sua composizione collegiale o monocratica, sottolineando, al contempo, lo stretto legame di pregiudizialità esistente tra la ritualità dell'investitura e il valido esercizio della funzione. Infatti, affinché il magistrato giudicante possa emettere una sentenza produttiva di effetti vincolanti per le parti riguardo ai fatti oggetto di imputazione, è necessario che l'atto con il quale è chiamato a ricoprire l'ufficio sia conforme al dettato delle norme sull'Ordinamento giudiziario; proprio per questo è corretto affermare che l'autorità della pronuncia giurisdizionale si fonda esclusivamente su quel complesso di precetti che regolano il conferimento dell'incarico ai soggetti delegati ad amministrare la giustizia.

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C.p.p. Capo VI bis . Provvedimenti sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale COMMENTO Il Capo in commento, a completamento dell'impianto normativo relativo alla distribuzione degli affari giudiziari tra tribunale in composizione collegiale e tribunale in composizione monocratica, contiene l'insieme delle disposizioni di stampo processuale volte a gestire e risolvere le eventuali patologie che vengano a manifestarsi a causa di un difettoso funzionamento dei meccanismi di attribuzione delle fattispecie criminose e i relativi effetti sugli atti già compiuti e sulle prove già acquisite. Interesse sotteso all'intero capo è, sicuramente, quello di tutelare i diritti difensivi dell'imputato rientranti nell'ambito delle garanzie costituzionali sancite espressamente dall'art. 24 Cost. e maggiormente preservati da una cognizione di stampo collegiale; a tal fine è, pertanto, approntato un novero di precetti che comporta la regressione del processo in tutti i casi in cui sia tempestivamente sollevata la questione relativa al mancato rispetto delle norme sul riparto di attribuzione, anche se ciò non comporta l'invalidità degli atti compiuti e l'inutilizzabilità delle prove acquisite.

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C.p.p. Capo VII. Incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice COMMENTO Il Capo in commento è costituito da un insieme di precetti predisposti dal legislatore al fine di far fronte a tutte quelle situazioni, attuali o potenziali, in grado di porre in pericolo o di pregiudicare l'imparzialità nell'esercizio della funzione giurisdizionale da parte del suo titolare, sotto il duplice profilo della sua terzietà rispetto agli altri soggetti coinvolti nella vicenda processuale e dell'assenza di qualsiasi valutazione preventiva di uno, o di alcuni, dei diversi aspetti della regiudicanda che possa negativamente incidere sulla serenità di giudizio, cioè sulla neutralità di una statuizione che deve fondarsi esclusivamente su quanto emerge dal contesto della singola fase procedimentale. Si tratta, evidentemente, di regole la cui effettiva operatività risulta cruciale affinché la dinamica della cognizione penale, così come congegnata dal legislatore, possa realmente conformarsi a quei valori dell'imparzialità e della terzietà dell'autorità giurisdizionale che risultano cardini ineliminabili di un processo “giusto”. Del resto la centralità e la delicatezza di queste disposizioni di “salvaguardia” è comprovata dalla innumerevole serie di pronunce attraverso cui la Corte Costituzionale è intervenuta a precisarne connotati e limiti, spesso sollecitando lo stesso legislatore ad assumere posizioni più nitide o, addirittura, radicalmente nuove sulle varie problematiche evidenziatesi nei concreti sviluppi delle singole realtà processuali. Occorre, infine, sottolineare che, pur essendo accomunate dalla medesima ratio “garantista” precedentemente esplicitata, le disposizioni in esame incidono su ambiti diversi poiché, mentre le varie fattispecie di incompatibilità attengono a situazioni e attività che si contestualizzano all'interno del singolo procedimento, astensione e ricusazione sono istituti che operano con riguardo a presupposti e condizioni che si collocano all'esterno della vicenda processuale e che necessitano di un accertamento di merito in grado di rilevarne la portata pregiudizievole.

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C.p.p. Capo VIII. Rimessione del processo COMMENTO Il Capo in commento fissa la disciplina relativa a quella peculiare ipotesi di trasferimento del processo, cioè di passaggio della titolarità dei poteri di cognizione e di decisione da un ufficio giudiziario dislocato su un determinato territorio ad un altro, che l'ordinamento eccezionalmente contempla in relazione a situazioni ambientali particolarmente gravi che possono in qualche modo pregiudicare la serenità e l'imparzialità di giudizio dell'organo competente. Si tratta evidentemente di una fattispecie derogatoria rispetto al principio del giudice naturale precostituito per legge, la cui funzione è quella di garantire l'obiettività massima nell'esercizio della funzione giurisdizionale da parte dell'organo deputato a pronunciarsi in via definitiva sui fatti oggetto di imputazione. Proprio l'eccezionalità di una simile previsione ha imposto al legislatore l'indicazione tassativa dei presupposti che possono giustificare il passaggio del processo da una sede giudiziaria ad un'altra, nell'ottica di salvaguardare quel “giusto processo” di cui sono cardini allo stesso modo rilevanti tanto la precostituzione del giudice quanto il corretto e imparziale esercizio della giurisdizione. Peraltro tutto il sistema in esame è stato di recente oggetto di un'importante opera di riforma che ha inciso in modo netto su alcuni dei suoi tratti caratterizzanti, al punto da rendere opportune nuove valutazioni in ordine ai diversi profili operativi della rimessione e alla loro conformità ai precetti costituzionali. Appare altresì opportuno evidenziare, in sede di introduzione della specifica disciplina, come la rimessione si distingua nettamente dalla ricusazione del giudice. Infatti quest'ultima attiene al giudice-persona fisica che sia legato ai soggetti della vicenda processuale o alla regiudicanda da relazioni tali da comprometterne l'imparzialità di decisione, mentre la rimessione riguarda l'intero ufficio giudiziario che risulta competente a pronunciarsi secondo le regole ordinarie ma che vede pregiudicata l'obiettività nell'esercizio della giurisdizione da situazioni esterne e ambientali particolarmente gravi che rendono opportuno il passaggio ad una sede diversa.

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C.p.p. Titolo I. Giudice COMMENTO Il Titolo in commento riguarda l'organo al quale l'ordinamento attribuisce in via esclusiva, ex art. 102 Cost., l'esercizio della funzione giurisdizionale, cioè il compito di decidere l'esito della vicenda processuale penale sulla base del principio del giusto processo affermato nell'art. 111 della Costituzione. La collocazione topografica delle norme in questione, all'interno del codice di rito vigente, si rivela sicuramente non casuale, ma finalizzata ad affermare la centralità del ruolo del giudice nel contesto di un processo concepito non più come strumento per la realizzazione della pretesa punitiva in relazione ai fatti oggetto di imputazione, bensì quale “sistema di garanzie” nel cui ambito vengano contemperati i diritti fondamentali dell'imputato e l'esigenza di accertamento della verità processuale. Dal punto di vista ordinamentale, alla luce dei diversi precetti costituzionali relativi alla magistratura intesa come potere dello Stato e al giudice quale organo deputato all'esercizio della giurisdizione, preclusa in radice la possibilità di istituire giudici straordinari, chiamati, cioè, a pronunciarsi su un fatto determinato verificatosi prima della loro istituzione, all'interno della categoria dei giudici ordinari si possono effettuare le seguenti distinzioni: - giudici togati (magistrati professionali appartenenti all'ordinamento giudiziario in via definitiva, nominati per concorso sulla base di quanto previsto dall'art. 106 comma 1, Cost.) e giudici laici (cittadini chiamati ad esercitare la funzione giurisdizionale temporaneamente sulla base di specifici requisiti fissati dalla legge, come i giudici di pace o i sei membri laici della corte d'assise); - giudici monocratici (l'organo giudicante è costituito da una sola persona fisica) e giudici collegiali (l'organo giudicante è composto da una pluralità di persone fisiche). Rispetto alle funzioni esercitate, gli organi giudicanti ordinari possono essere così suddivisi: - giudice di pace, organo monocratico; - giudice per le indagini preliminari e giudice per l'udienza preliminare, entrambi monocratici; - tribunale ordinario, il quale giudica in composizione monocratica o collegiale (in tal caso con il numero invariabile di tre componenti) a seconda della gravità o delle peculiarità del reato; - corte d'assise, organo collegiale composto da otto membri di cui due togati e sei laici; - corte d'appello, organo collegiale composto da tre magistrati togati; - corte d'assise d'appello, organo collegiale la cui composizione ricalca quella della corte d'assise di primo grado; - magistrato di sorveglianza, organo monocratico;

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- tribunale di sorveglianza, organo collegiale composto da quattro magistrati di cui due togati e due laici; - Corte di Cassazione, giudice supremo di legittimità, costituita in Sezioni chiamate a giudicare con il numero invariabile di cinque votanti, o di nove nel caso di composizione a Sezioni unite.

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C.p.p. Titolo II. Pubblico ministero COMMENTO Il Titolo in commento prende in considerazione il ruolo e le funzioni svolte dal pubblico ministero, contribuendo, così, a delineare gli aspetti peculiari della sua posizione nel contesto dell'ordinamento giuridico processuale penale. Si tratta di un magistrato al quale l'apparato statale attribuisce la titolarità esclusiva dell'azione penale. La Costituzione all'art. 112, infatti, sancisce espressamente il “monopolio” di questa funzione in capo alla pubblica accusa e tale principio non ammette eccezione alcuna. Pertanto, attraverso l'adempimento dei suoi doveri istituzionali, il pubblico ministero agisce non per la tutela di interessi personali ma per salvaguardare l'interesse pubblico al perseguimento del soggetto che si sia reso colpevole di un fatto astrattamente previsto dalla legge come reato, di una condotta, perciò, che abbia destato allarme sociale. In quanto appartenente al potere giudiziario, egli gode dell'autonomia e dell'indipendenza dall'ingerenza di altri apparati istituzionali allo stesso modo in cui ciò avviene per i magistrati che svolgono funzioni giudicanti; per questo gli si estendono anche tutte le garanzie di inamovibilità previste dall'art. 117 Cost., nel senso, cioè, che egli non può essere destinatario di un provvedimento di trasferimento dalla sede in cui esercita le sue funzioni senza il consenso del Consiglio Superiore della Magistratura. Inoltre, la Costituzione attribuisce al medesimo la direzione della polizia giudiziaria [Cost. 109], la quale, perciò, può agire in sede investigativa solo su ordine o delega del magistrato medesimo. Nonostante il codice di rito si ispiri al modello accusatorio, il pubblico ministero conserva ancora oggi poteri inquisitori di portata assai pregnante, tali da pregiudicare, per molti aspetti, quella parità delle armi tra accusa e difesa che risulta principio cardine dell'attuale processo penale. Per questo il legislatore di recente è intervenuto attraverso provvedimenti di riforma, a livello di legge ordinaria (es. L. n. 397 del 2000 sulle indagini difensive) e di norme costituzionali (nuova formulazione dell'art. 111 Cost.), che hanno cercato di condurre le due parti contrapposte sul piano di un'effettiva parità che trovi la sua massima espressione nel contraddittorio dibattimentale, sede nella quale magistrato inquirente e imputato assistito dal proprio difensore, attraverso le prove addotte in giudizio, forniscono all'organo giudicante gli elementi utili per addivenire ad una pronuncia sui fatti oggetto di imputazione.

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C.p.p. Titolo III. Polizia giudiziaria COMMENTO Il Titolo in commento disciplina i profili strutturali e funzionali della polizia giudiziaria, cioè di quel corpo di ufficiali e agenti al quale l'ordinamento attribuisce la funzione peculiare di svolgere tutte le attività relative all'accertamento e alla repressione delle condotte criminose. Premesso che non ci si trova dinanzi ad uno specifico apparato appositamente predisposto, bensì ad un insieme di soggetti, appartenenti alla Polizia di Stato, ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza e alle altre Forze di polizia, chiamati a svolgere funzioni di polizia giudiziaria, norma costituzionale di riferimento, a fondamento di quanto previsto dal Titolo in esame, è l'articolo 109 della Carta fondamentale in base al quale l'autorità giudiziaria ha il potere di disporre direttamente di tutti coloro ai quali l'ordinamento attribuisce la titolarità dei compiti suddetti. Si tratta evidentemente di una relazione di dipendenza funzionale la quale, peraltro, giustifica la collocazione codicistica della polizia giudiziaria tra i soggetti del procedimento: infatti, nel caso di specie, non viene in rilievo la qualità di parte titolare di una specifica pretesa alla pronuncia giurisdizionale in forza di un peculiare interesse sostanziale, bensì il coinvolgimento in quell'attività investigativa di cui è dominus indiscusso il pubblico ministero deputato all'esercizio dell'azione penale nei confronti di colui al quale ritiene di attribuire la responsabilità di specifici accadimenti penalmente rilevanti.

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C.p.p. Titolo IV. Imputato COMMENTO Il Titolo in commento contiene le disposizioni relative all'assunzione della qualità di imputato da parte del soggetto a carico del quale viene ipotizzata la responsabilità per il compimento dei fatti che l'ordinamento qualifica come fattispecie criminose, nonché le norme che individuano le principali garanzie che devono essere assicurate al soggetto medesimo nel corso della partecipazione alla fase processuale vera e propria. In sede introduttiva appare opportuno evidenziare il netto mutamento di prospettiva che si è registrato con il passaggio dal modello inquisitorio al sistema accusatorio delineato dall'attuale codice di rito. Infatti, vigente il Codice Rocco del 1930, la qualità di imputato veniva assunta in relazione al verificarsi di un ampio novero di presupposti e condizioni, quali l'arresto da parte della polizia, l'indicazione del soggetto quale reo nella denuncia o nella querela o in qualsiasi altro atto della dinamica procedimentale fino ad arrivare alla fase delle investigazioni, cioè in tutte quelle situazioni in cui da elementi conoscitivi di qualunque genere fosse possibile ipotizzare il coinvolgimento della persona nei fatti oggetto di accertamento. Con l'entrata in vigore del nuovo codice di rito, la suddivisione del procedimento in fasi ben distinte ha avuto come logica conseguenza la tipizzazione delle fattispecie nelle quali il complesso degli elementi di indagine consente una prospettazione ragionevolmente probabile della responsabilità del soggetto nei cui confronti il pubblico ministero decida di formulare l'imputazione. Proprio per questo il legislatore ha inteso collegare l'assunzione di tale status, con tutto il corredo di garanzie ad esso relative, al preciso momento del passaggio dalle attività investigative alla contestazione dell'addebito penalmente rilevante, con la conseguente instaurazione di quel rapporto processuale tra organo titolare della giurisdizione e privato cittadino nel cui contesto le varie norme del titolo in esame mirano a salvaguardare la piena esplicazione del diritto di difesa e, più in generale, del diritto ad un processo “giusto” conformemente a quanto previsto dalla Carta Costituzionale.

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C.p.p. Titolo V. Parte civile, responsabile civile e civilmente obbligato per la pena pecuniaria COMMENTO Nel processo penale, accanto alla triade di soggetti qualificabili come parti necessarie del procedimento, ovvero l'imputato, il pubblico ministero ed il giudice, ve ne sono altre la cui presenza è solo eventuale, cioè la parte civile, il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, alle quali si riferiscono le norme del Titolo in commento. I poteri attribuiti a questi soggetti processuali sono tutti funzionali ad ottenere il risarcimento o a rispondere per i danni patrimoniali e non patrimoniali che siano diretta conseguenza del fatto criminoso commesso dall'autore del reato. Infatti, la fattispecie concreta, oltre ad offendere l'interesse pubblico tutelato dalla norma penale, può determinare il verificarsi di un danno risarcibile consistente o in un nocumento di rilevanza patrimoniale (liquidabile secondo le norme previste dal codice civile e quantificabile nella perdita subìta e nel mancato guadagno, oltre alla eventuale reintegrazione dello status quo ante) o in un pregiudizio di natura non direttamente patrimoniale, bensì afferente alle sofferenze fisiche, morali e psicologiche subite dalla vittima. La fonte normativa di tali obbligazioni civili scaturenti dal reato deve rinvenirsi nell'articolo 185 c.p., in forza del quale ogni fattispecie penalmente rilevante obbliga alle restituzioni ed al risarcimento il responsabile della medesima e tutte le persone che, secondo le leggi civili [c.c. 2043, 2058, 2059], devono rispondere per il fatto a lui attribuibile. Il legislatore attuale, diversamente da quanto prescritto nel codice del 1930, ha pertanto predisposto un procedimento ispirato alla massima semplificazione idoneo a far valere le pretese civilistiche già nel processo penale, senza dover necessariamente attendere gli esiti cognitivi del medesimo per poi sfruttarne la rilevanza nella naturale sede civilistica. Il sistema così congegnato realizza, quindi, la piena soddisfazione delle esigenze di razionalizzazione e di eliminazione delle inutili duplicazioni delle attività di stampo giurisdizionale che invece risulterebbero pregiudicate laddove giudice penale e giudice civile fossero chiamati a conoscere dello stesso fatto, seppure per fini differenti.

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C.p.p. Titolo VI. Persona offesa dal reato COMMENTO La matrice accusatoria dell'attuale codice di rito e, in particolare, la scelta del contraddittorio quale principio cardine degli sviluppi di tutta la vicenda procedimentale rendono ragione dell'innovativa introduzione, tra i soggetti del processo, della persona offesa dal reato e dell'attribuzione ad essa di tutta una serie di poteri e facoltà che trovano espressione principalmente nella fase delle indagini preliminari ma che sono in grado di incidere, direttamente o indirettamente, anche sugli ulteriori passaggi dell'attività di ricostruzione della verità processuale. In particolare, confrontando l'attuale sistema con quello previgente, risulta evidentemente incrementata la possibilità per il soggetto in capo al quale concretamente si concentrano e vivono gli interessi salvaguardati dalla norma penale violata di intervenire accanto al magistrato inquirente nell'attività di ricerca di quegli elementi di prova che possono essere utili ai fini delle determinazioni inerenti la formulazione dell'imputazione, sollecitandone o indirizzandone le investigazioni e, in qualche modo, controllando il rispetto da parte del pubblico ministero del principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale. Si può ragionevolmente affermare, quindi, che la persona offesa dal reato sia attualmente deputata a svolgere un “accessorio” ruolo di supporto a quelle che sono le attribuzioni istituzionali della pubblica accusa, senza, peraltro, che ciò comporti sempre un'automatica concordia di posizioni e di scelte procedimentali tra i soggetti in questione, come dimostra la possibilità riconosciuta alla persona offesa di opporsi alla richiesta di archiviazione avanzata dall'autorità giudiziaria. Occorre, altresì, sottolineare come, pur essendole stata riconosciuta un'autonoma e distinta sfera di azione, la persona offesa dal reato non può essere definita parte processuale in senso proprio, dal momento che sono assai scarni i poteri e le facoltà attraverso cui essa, in quanto tale, può influire sulle attività che trovano la loro sede naturale nel dibattimento e che risultano prodromiche alle determinazioni conclusive in ordine alla responsabilità dell'imputato. Assai probabile è, invece, che la persona offesa, laddove abbia subìto le conseguenze pregiudizievoli, patrimoniali e morali, della condotta criminosa, si costituisca tempestivamente nel processo in qualità di parte civile, potendo così contribuire in modo più incisivo al dipanarsi della dialettica processuale.

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C.p.p. Titolo VII. Difensore COMMENTO Il Titolo in commento contiene la disciplina relativa alla figura del difensore, cui il legislatore ha assegnato un ruolo di particolare rilievo anche da un punto di vista sistematico. Infatti egli rappresenta uno dei tre “pilastri professionali” attorno a cui ruota tutto il processo penale, accanto al giudice ed al pubblico ministero, essendo chiamato a svolgere i compiti istituzionali di tutela degli interessi del proprio assistito attraverso tutti i poteri che gli sono conferiti dall'ordinamento giuridico. In particolare la difesa tecnica trova il suo referente normativo cardine nell'art. 24, comma 2 della Carta Costituzionale nel quale si riconosce e si garantisce l'inviolabilità delle prerogative attraverso cui essa si esprime in ogni stato e grado del procedimento. In una dialettica accusatoria, come è quella prospettata dal “codice Vassalli”, la figura del difensore di fiducia assume, peraltro, una funzione ancora più densa di significato laddove ci si soffermi a considerare il contributo che lo stesso reca partecipando direttamente a quel contraddittorio che è la principale fonte di verità processuale nell'ambito di un processo “giusto” [Cost. 111], permettendo in tal modo allo stesso magistrato giudicante di avere una visione completa dei fatti, al fine di emettere una pronuncia che sia il più possibile aderente alla realtà storica degli accadimenti oggetto di cognizione. Poteri e diritti della difesa hanno di recente ricevuto un notevole ampliamento a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 397 del 2000 in materia di indagini difensive, con cui è stato riconosciuto all'avvocato il potere di raccogliere autonomamente tutti gli elementi di prova che egli ritenga utili al fine ricostruire la posizione giuridica del suo cliente in termini a lui favorevoli pur nel rispetto dei limiti imposti dalla legge stessa. È di tutta evidenza, perciò, che il ruolo del difensore è diventato sempre più centrale proprio in ragione del rilevante apporto che egli fornisce alla dinamica della cognizione penale attraverso prerogative sempre più incidenti e finalizzate a determinare un effettivo equilibrio fra le parti processuali. Occorre altresì precisare in sede introduttiva il fatto che il patrocinatore svolge sia funzioni di assistenza, ovvero di consulenza durante l'iter processuale e di integrazione della manifestazione di volontà del proprio assistito, che di rappresentanza in senso stretto, in tutti quei casi in cui si sostituisce alla persona assistita mediante l'esercizio di poteri di sua esclusiva competenza (es. esame e controesame dei testimoni ai sensi dell'art. 498) o di quelli riconosciuti al difeso ai sensi dell'art. 99. Tuttavia, anche in quest'ultimo caso la sua supplenza nell'esercizio delle facoltà riconosciute alla parte processuale tutelata non determina il venir meno delle stesse in capo all'originario titolare, ma semplicemente comporta il correlarsi di attività tra loro concorrenti finalizzate comunque alla salvaguardia della posizione processuale del privato.

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C.p.p. Libro X. Esecuzione COMMENTO Il Libro in commento esplicita dettagliatamente le condizioni e le regole di sviluppo della fase esecutiva della vicenda processuale, la quale risulta strutturalmente funzionale a dare concreta attuazione ai precetti che scaturiscono dagli esiti cui è addivenuta la giurisdizione penale nella ricostruzione dei fatti oggetto di imputazione e nell'accertamento delle relative responsabilità. Si tratta, quindi, di un passaggio assai delicato della dinamica procedimentale, la cui decisività risulta facilmente percepibile laddove si ponga mente agli effetti che la concreta operatività delle statuizioni giudiziali è in grado di determinare sulla sfera giuridica soggettiva, in particolare per ciò che attiene alle potenziali e svariate restrizioni che può subire la sfera di libertà dell'interessato garantita e protetta a livello costituzionale. Proprio alla luce di tali considerazioni, appaiono ragionevoli le opzioni effettuate in tale contesto dall'ordinamento processuale vigente, in punto di asserita centralità e rilevanza del giudicato penale, da un lato, e di giurisdizionalizzazione della fase esecutiva, dall'altro. Quanto al primo profilo, infatti, solo un dispositivo che abbia acquisito il crisma della definitività, in quanto non più suscettibile di alcuna rivisitazione in sede di gravame, risulta idoneo a produrre effetti concretamente incidenti sulle situazioni giuridicamente rilevanti di cui i vari destinatari sono titolari, soprattutto laddove vengano in rilievo declaratorie di colpevolezza la cui portata cogente è costituzionalmente dipendente dalla immutabilità della pronuncia giudiziale. Riguardo, poi, ai peculiari connotati del procedimento esecutivo vero e proprio, pur restando centrale il ruolo dinamicamente ricoperto dal pubblico ministero in qualità di depositario istituzionale della pretesa punitiva dello Stato, il sistema vigente riserva rilevanti spazi operativi all'intervento dell'autorità giurisdizionale, nella persona del giudice dell'esecuzione o del giudice di sorveglianza, la quale è deputata a pronunciarsi su ogni questione controversa riguardante le modalità di attuazione del comando giudiziale, nonché la validità e le possibili manipolazioni del titolo esecutivo, le quali possono anche tradursi, di fatto, in una rimodulazione della pena originariamente irrogata. Appare, quindi, evidente come la delicatezza degli interessi in gioco e il carattere delle scelte effettuate dall'ordinamento in sede di strutturazione della fase esecutiva impongano anche in questo ambito, compatibilmente con le caratteristiche peculiari del medesimo, la piena esplicazione di quei principi del “giusto processo” che la Costituzione oggi postula come parametri cogenti di ogni forma di esercizio della giurisdizione. Con L. 20 dicembre 2012, n. 237 sono state approvate le norme per l'adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale.

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Rinviando al commento riportato alla rubrica del Libro XI sia per un approfondimento circa il percorso istitutivo e le funzioni della Corte penale internazionale, sia per una disamina della parte della citata L. 237/2012 dedicata alla consegna alla Corte penale internazionale di persone che si trovino sul territorio italiano, occorre qui soffermarsi sui contenuti del Capo III del citato provvedimento. Il Capo III(articoli da 15 a 24) del provvedimento disciplina il profilo dell'esecuzione dei provvedimenti della Corte penale internazionale. La competenza a conoscere dell'esecuzione del provvedimento ai sensi dell'art. 665, comma 1, c.p.p. è attribuita alla Corte d'appello di Roma (articolo 15). Nel caso in cui l'Italia - a seguito di sentenza definitiva - sia individuata dalla Corte internazionale come Stato di espiazione di una pena detentiva, in base all'articolo 16 il Ministro della Giustizia deve: - chiedere alla Corte d'appello il riconoscimento della sentenza della Corte penale internazionale. Il comma 3 dell'articolo 16 elenca le ipotesi in presenza delle quali la sentenza della Corte penale internazionale non può essere riconosciuta: la sentenza non è irrevocabile; contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico; per lo stesso fatto e nei confronti del medesimo soggetto è stata pronunciata in Italia una sentenza irrevocabile. Il comma 4 specifica che la corte di appello di Roma, previo procedimento in camera di consiglio, delibera con sentenza in ordine al riconoscimento: tale sentenza è soggetta a ricorso per cassazione da parte del procuratore generale presso la corte di appello e dell'interessato, ai sensi dell'art. 734, co. 2, c.p.p.; - in caso di riconoscimento, comunicare alla Corte penale internazionale che la designazione è stata accettata e trasmettere gli atti al procuratore generale presso la Corte di appello. L'articolo 17 dispone che l'esecuzione della pena avverrà in base all'ordinamento penitenziario italiano(L. n. 354 del 1975) e in conformità allo statuto e al regolamento di procedura e prova della Corte penale internazionale. Si ricorda che l'art. 51, paragrafo 1, dello Statuto della Corte penale internazionale prevede che «Il Regolamento di procedura e di prova entra in vigore al momento della sua adozione da parte dell'Assemblea degli Stati Parti a maggioranza di due terzi dei suoi membri». Il regolamento è in vigore dal 9 settembre 2002, il giorno stesso in cui è stato adottato. Non sono necessarie procedure di ratifica. Il Ministro della giustizia, previa informazione alla Corte penale internazionale, potrà disporre che il trattamento penitenziario del detenuto per i delitti previsti dalla legge in commento avvenga secondo il regime carcerario speciale di cui all'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario (comma 2). L'esame di tali detenuti può avvenire in aule protette o a distanza, in base alle norme di attuazione del c.p.p. (comma 3). Come da Statuto della Corte penale, spetta a quest'ultima – con le modalità da concordare col Ministro della giustizia - il controllo sull'esecuzione carceraria, fermo restando, comunque, l'adozione dei provvedimenti necessari ad assicurare la libertà e la riservatezza delle comunicazioni tra il detenuto e la stessa Corte (articolo 18). Il Ministro della giustizia dovrà inoltre trasmettere immediatamente alla Corte penale internazionale ogni richiesta del detenuto di accesso a qualsivoglia beneficio penitenziario o misura alternativa alla detenzione; se la Corte internazionale ritiene

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di non consentire l'accesso ad una misura prevista dal nostro ordinamento, il Ministro può chiedere alla Corte di disporre il trasferimento del condannato in altro Stato. L'articolo 19 disciplina gli ulteriori obblighi di tempestiva informazione alla Corte penale internazionale a carico del Ministro della Giustizia. In particolare, l'autorità italiana dovrà comunicare: - il decesso o l'evasione del condannato (obbligo di informazione immediata); - la scarcerazione per avvenuta espiazione della pena (con due mesi di anticipo); - i procedimenti penali e ogni altra circostanza rilevante che concerne il condannato (obbligo di comunicazione tempestiva). Con riferimento al luogo di espiazione della pena, questa potrà avvenire in base all'articolo 20 in una sezione speciale di un istituto penitenziario ovvero in un carcere militare, secondo la normativa vigente. L'articolo 21 del provvedimento dispone in ordine all'esecuzione delle pene pecuniarie: su richiesta del procuratore generale, la Corte d'appello di Roma può provvedere all'esecuzione della confisca dei profitti e dei beni disposta dalla Corte internazionale (compresa, se del caso, la cd. “confisca per equivalente”); i beni confiscati – fatti salvi i diritti dei terzi di buona fede - vengono messi a disposizione della Corte penale internazionale per il tramite del Ministero della giustizia, che agirà in base a modalità da individuare con decreto (comma 5; il rinvio al decreto ministeriale è stato introdotto dal Senato). Il medesimo articolo 21 dispone anche in merito all'esecuzione degli ordini di riparazionea favore delle vittime (art. 75 Statuto), o per il risarcimento delle persone illegalmente arrestate o ingiustamente condannate (art. 85 Statuto); in tal caso, l'esecuzione avviene secondo le forme e i contenuti stabiliti dalla Corte penale internazionale. Nel caso di difficoltà nell'esecuzione di provvedimenti sopra indicati, l'articolo 22 disciplina la procedura di consultazionecon la Corte penale internazionale, la cui finalità è anche la conservazione dei mezzi di prova. L'articolo 23 reca una serie di disposizioni in materia di giurisdizione. Il comma 1 specifica che, per i fini di cui al presente provvedimento, si applicano le disposizioni vigenti in materia di riparto tra la giurisdizione ordinaria e quella penale militare. Il comma 2 stabilisce che, per i fatti rientranti nella giurisdizione penale militare, le funzioni degli uffici giudiziari previste dalla presente legge siano esercitate dai corrispondenti uffici giudiziari militari. Il comma 3 dispone che, limitatamente ai fatti di cui al comma precedente, le funzioni attribuite dal presente provvedimento al Ministro della giustizia siano esercitate d'intesa con il Ministro della difesa, restando salva la competenza esclusiva del Ministero della difesa per quanto attiene all'ordinamento penitenziario militare.

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C.p.p. Titolo I. Disposizioni generali COMMENTO La materia dei rapporti giurisdizionali fra Stati stranieri è disciplinata, in via primaria, dalla normativa di carattere internazionale e corollario di tale assunto è il fatto che le disposizioni contenute in questa parte del codice di rito hanno una valenza meramente suppletiva non potendo trovare applicazione laddove contrastino con la normativa convenzionale di matrice internazionalistica. Tale assunto rimane fermo anche in seguito alla riforma del Libro XI, ad opera del D.Lgs. n. 149/2017: invero, l’adeguamento delle disposizioni del codice di rito continua a rivestire solo valore residuale. Di conseguenza, sia nei rapporti con autorità giurisdizionali di Stati membri dell’Unione europea che con Stati extra UE dovranno essere applicate le norme sovranazionali. La normativa del codice di procedura penale è, quindi, destinata ad assumere carattere sussidiario rispetto alle norme sovranazionali (di derivazione europea e internazionale). In relazione ai rapporti con Paesi membri dell’Unione europea, la cooperazione giudiziaria in materia penale dovrà essere realizzata secondo la disciplina del Trattato dell’Unione europea, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dei relativi atti attuativi. Se tali norme mancano o non dispongono diversamente, dovranno applicarsi le norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e le norme di diritto internazionale generale. Qualora tali norme manchino o non dispongano diversamente, troveranno applicazione le norme del c.p.p. in materia. Analogamente, nei rapporti con gli Stati extra UE, la cooperazione giudiziaria si dovrà, invece, svolgere secondo la disciplina delle norme delle convenzioni internazionali e del diritto internazionale generale. Qualora tali norme manchino o non dispongano diversamente, si dovrà fare ricorso alle norme del c.p.p. in materia. Come risulta dal dossier parlamentare reso a margine dell’atto di Governo n. 434 (settembre 2017), stante l’affermato carattere sussidiario della disciplina del libro XI del codice di rito penale, lo schema di decreto legislativo, prima, ed il decreto legislativo, poi, intendono colmare il vuoto normativo che si creerebbe ove tale disciplina dovesse trovare applicazione in mancanza di una diversa regolamentazione derivante dalla citata normativa sovranazionale. L’intervento normativo intende sia rafforzare la cooperazione giudiziaria penale all’interno dell’Unione sia regolare i rapporti con le autorità giudiziarie dei Paesi extra UE con i quali sono in vigore plurime convenzioni e accordi internazionali; i rapporti con tali Paesi andranno, infatti, regolamentati in maniera diversa rispetto a quelli con i Paesi membri dell’Unione europea. In base allo schema di decreto ed al decreto n. 149/2017, la cooperazione giudiziaria nell’Unione dovrà, in sostanza, avvenire: - sia sulla base dell’attuale sistema rogatoriale (assistenza giudiziaria); - sia su quella del mutuo riconoscimento delle decisioni e dei provvedimenti tra Stati membri.

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Ulteriore parametro di riferimento nella materia dei rapporti giurisdizionali fra Stati stranieri è la Carta Costituzionale, che contiene disposizioni atte a sancire fondamentali principi di ordine generale: - l'art. 10: “l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”; - l'art. 11: “l'Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a questo scopo”; - l'art. 26: “l'estradizione del cittadino italiano può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali e non può essere in alcun caso ammessa per reati politici”. La Suprema Corte ci ricorda che il principio del “ne bis in idem” internazionale, previsto dall'art. 54 della Convenzione applicativa dell'Accordo di Schengen, può trovare applicazione anche nel caso in cui, sullo stesso fatto e nei confronti dello stesso soggetto, sia stata emessa una pronuncia di archiviazione dell'Autorità giudiziaria estera, a condizione che il soggetto interessato adempia all'onere di dimostrare, mediante la produzione degli atti del giudizio ovvero dei verbali di causa, che con il suddetto provvedimento è stato compiuto un apprezzamento nel merito in ordine all'infondatezza della notizia di reato e che tale apprezzamento ha condotto ad un giudizio definitivo di non colpevolezza, suscettibile di passaggio in cosa giudicata ed avente, quindi, efficacia preclusiva all'instaurazione di un nuovo giudizio sui medesimi fatti (così Cassazione n. 7385 del 2007). Inoltre, la Corte di Cassazione, prima sezione penale, con sentenza n. 2966/2014 (depositata l’8 luglio 2014) è intervenuta sull’applicazione del ne bis in idem internazionale in caso di cittadini stranieri condannati all’estero per un reato commesso in Italia. La Suprema Corte riconosce che l’indicato principio si sta affermando sul piano internazionale tanto da poter essere qualificato “come principio tendenziale cui aspira l’ordinamento internazionale”, ma ha escluso che, al di là della sua applicazione pattizia, come nel caso della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, il principio possa essere applicato in via generale non avendo natura consuetudinaria. Di conseguenza, non trattandosi di un principio generale di diritto come tale riconducibile alle norme di diritto internazionale generale non può essere immesso nell’ordinamento italiano tramite l’articolo 10 della Costituzione. Pertanto, il principio ne bis in idem sul piano internazionale ha natura limitata e non può estendersi ai rapporti con Stati non parti di specifici trattati come la Convenzione Schengen.

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C.p.p. Titolo I bis . Principi generali del mutuo riconoscimento delle decisioni e dei provvedimenti giudiziari tra Stati membri dell'Unione Europea COMMENTO L’articolo 3 del D.Lgs. 3 ottobre 2017, n. 149 ha introdotto il presente Titolo Ibis, comprensivo di nove articoli (artt. da 696 bis a 696 decies), dedicato specificamente ai principi generali del mutuo riconoscimento delle decisioni e dei provvedimenti tra Stati membri dell’Unione europea. Tale norma ha dato attuazione all’art. 3, comma 1, lett. f) della L. n. 149 del 2016, il quale, nello specifico, ha attribuito al Governo la delega ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di mutuo riconoscimento delle sentenze e delle altre decisioni giudiziarie nei rapporti con gli altri Stati membri dell'Unione europea, stabilendo la necessità di: 1) prevedere che le decisioni giudiziarie emesse dalle competenti autorità degli altri Stati membri dell'Unione europea possano essere eseguite nel territorio dello Stato e che l'autorità giudiziaria possa richiedere alle competenti autorità degli altri Stati membri dell'Unione europea l'esecuzione di proprie decisioni in conformità al principio del mutuo riconoscimento; prevedere che altre disposizioni di legge si applichino solo se compatibili con le norme contenute nel codice di procedura penale e che, in ogni caso, l'esecuzione della decisione non pregiudichi l'osservanza degli obblighi internazionali assunti dallo Stato; 2) prevedere che le decisioni giudiziarie da eseguire nel territorio dello Stato possano essere trasmesse direttamente all'autorità giudiziaria territorialmente competente per l'esecuzione e che l'autorità giudiziaria possa trasmettere direttamente allo Stato di esecuzione le decisioni delle quali si chieda il riconoscimento, con comunicazione al Ministro della giustizia nei casi e nei modi previsti dalla legge; prevedere che per gli Stati membri dell'Unione europea si instauri la corrispondenza diretta tra le autorità giudiziarie, anche ai fini della trasmissione della documentazione e degli accertamenti integrativi nonché delle ulteriori informazioni necessari all'esecuzione delle decisioni delle quali sia chiesto il riconoscimento; 3) prevedere il potere del Ministro della giustizia di garantire, nei casi e nei modi previsti dalla legge, l'osservanza delle condizioni eventualmente richieste in casi particolari per l'esecuzione, all'estero o nel territorio dello Stato, della decisione della quale è stato chiesto il riconoscimento, purché non contrastanti con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato; 4) prevedere che, nei casi e nei modi previsti dalla legge, il riconoscimento delle decisioni giudiziarie possa essere chiesto anche ai fini dell'esecuzione delle stesse all'estero o nel territorio dello Stato nei confronti di persone giuridiche; 5) prevedere che la decisione sul riconoscimento della decisione da eseguire nel territorio dello Stato sia adottata con la massima urgenza e comunque in tempi e con modalità idonei ad assicurarne la tempestività e l'efficacia; prevedere regole speciali

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per l'esecuzione di decisioni al riconoscimento delle quali l'interessato ha prestato consenso; 6) prevedere che l'autorità giudiziaria, nei casi previsti dalla legge, in conformità alle indicazioni contenute negli atti normativi dell'Unione europea, dia esecuzione alle decisioni giudiziarie degli altri Stati membri dell'Unione europea e che non possa essere sindacato il merito della decisione, il cui riconoscimento sia chiesto dall'autorità di altri Stati membri dell'Unione europea, salva l'osservanza delle disposizioni necessarie ad assicurare in ogni caso il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato; 7) prevedere l'impugnabilità, senza effetto sospensivo della loro esecutività, delle decisioni di riconoscimento, salvi casi specifici da regolare in ragione della rilevanza dei beni della persona coinvolti dalle procedure di riconoscimento; 8) prevedere idonei rimedi a tutela dei diritti dei terzi di buona fede eventualmente pregiudicati dall'esecuzione della decisione. L’inclusione di un nucleo di disposizioni generali applicabili al mutuo riconoscimento, in apertura del libro XI, subito dopo l’art. 696 relativo al differente profilo della cooperazione giudiziaria, mira a guidare l’interprete, nonché il futuro legislatore, tra i criteri ispiratori delle disposizioni del diritto dell’Unione Europea già emanate o che verranno emanate. Invero, le autorità giudiziarie dovranno avvalersi di regimi diversi: da un lato, l’assistenza giudiziaria tradizionale e dall’altro lato, il reciproco riconoscimento. Il primo regime ha dato luogo a molti protocolli e convenzioni e vi si può ricorrere in tutti i casi, a prescindere dal tipo di atto di indagine o dal tipo di prova di cui si tratta. D’altro canto, si può ricorrere al reciproco riconoscimento solo per le parti contemplate da uno degli strumenti europei attualmente adottati. Come risulta dalla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Riconoscimento reciproco delle decisioni definitive in materia penale -COM/2000/0495-, in generale, si considera che il riconoscimento reciproco sia un principio basato sull'idea che, nonostante un altro Stato possa non trattare una specifica questione in maniera uguale o simile a quella dello Stato stesso, la decisione adottata sarà tale da essere accettata come equivalente alla decisione che avrebbe adottato lo Stato interessato. La reciproca fiducia, non solo nell'adeguatezza della normativa dei propri partner, bensì anche nella corretta applicazione di tale normativa, è un fattore importante del riconoscimento reciproco. Sulla base di tale idea d'equivalenza e della fiducia reciproca, le conclusioni alle quali è giunto un altro Stato membro possono avere effetto sulla sfera d'influenza giuridica dello Stato membro interessato. Di conseguenza, una decisione adottata da un'autorità in uno Stato membro potrebbe essere accettata in quanto tale in un altro Stato, anche nell'ipotesi in cui in tale Stato non esista un'autorità analoga, o in grado di adottare tali decisioni, oppure nel caso in cui tale autorità avesse adottato una decisione totalmente differente in un caso comparabile. Riconoscere una decisione estera in materia penale significa attribuire a tale decisione effetti al di fuori dello Stato in cui è stata adottata, sia attribuendole gli effetti giuridici stabiliti dal diritto penale dello Stato estero, sia tenendone conto affinché esplichi gli effetti stabiliti dal diritto penale dello Stato che ha riconosciuto tale decisione. Il principio del riconoscimento reciproco procede spesso, ma non sempre, di pari passo con un

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determinato grado di armonizzazione dell'attività degli Stati membri, che spesso consente, in effetti, di accettare più facilmente i risultati raggiunti in un altro Stato. D'altro canto, il riconoscimento reciproco può in certa misura rendere inutile tale armonizzazione.

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C.p.p. Titolo II. Estradizione COMMENTO L'estradizione è una forma di collaborazione internazionale finalizzata alla persecuzione della criminalità oltre i confini territoriali dei singoli Stati. Essa, più tecnicamente, consiste nella consegna di un soggetto, da parte dello Stato nel quale questi si trova, ad altro Stato che dovrà giudicarlo (estradizione cognitiva) o nel quale dovrà scontare una condanna già pronunciata (estradizione esecutiva). Esistono due tipi di estradizione: - attiva, quando è l'Italia a richiedere ad un altro Stato la consegna di un soggetto che ivi si trova al fine di sottoporlo a giudizio o ad esecuzione della pena in territorio italiano; - passiva, quando, invece, è uno Stato estero a richiedere allo Stato italiano la consegna dell'imputato o del condannato. L'estradizione, sia attiva che passiva, può essere concessa solo se il fatto illecito, per il quale è richiesta, è considerato reato sia nello Stato in cui l'estradando si trova, sia in quello che intende ottenerne la consegna. A tal fine, non assume rilievo alcuno l'identità di sanzione, contando solo che la medesima condotta sia perseguita in entrambi gli Stati, fra i quali, inoltre, deve essere stata stipulata una convenzione di estradizione e, ove questa manchi, l'estradizione non deve essere espressamente vietata da convenzioni internazionali. Il nostro ordinamento prevede talune limitazioni all'estradizione: - non può essere concessa per i cittadini italiani ma solo per gli stranieri (tranne i casi in cui convenzioni internazionali prevedano il contrario); - non è ammissibile per delitti politici [c.p. 8, Cost. 26] o per reati che in altri Paesi sono perseguiti con la pena di morte, né per reati militari e fiscali; - è preclusa nel caso in cui si può presumere che il reo, nello Stato di destinazione, verrebbe sottoposto a trattamenti disumani. Il principio nullum crimen sine previa lege poenali impone che, anche in materia di estradizione, sussista la garanzia che lo Stato richiedente non proceda al giudizio dell'estradando sulla base di una legge successiva alla commissione del reato. Se anche in ipotesi la pena dovesse essere riferita alla fattispecie in precedenza prevista dall'ordinamento dello Stato richiedente, tuttavia resta pur sempre vero che il giudizio sulla base della nuova fattispecie non consente di procedere alla estradizione, essendo venuti meno i presupposti della originaria richiesta e prospettandosi un giudizio sulla base di una norma penale successiva alla commissione del reato (così Cassazione n. 5708 del 2005). La L. 149/2016, prima, ed il D.Lgs. 149/2017, poi, sono intervenuti a modificare anche la disciplina dell’estradizione: invero, sono state molte le direttive dettate dallo schema di decreto legislativo n. 149/2016 per la nuova disciplina dell’estradizione (art. 4, comma 1 lett. d, L. n. 149/2016), materia attualmente disciplinata nel titolo II

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del libro XI c.p.p., ove si distingue tra “estradizione passiva” (capo I: artt. 697-719 c.p.p.) ed “estradizione attiva” (capo II: artt. 720-722 c.p.p.). L’obiettivo perseguito dal legislatore era ed è quello di “differenziare le aree di esercizio delle concorrenti potestà dell’autorità politica e dell’autorità giudiziaria, in modo da evitare la sovrapposizione di valutazioni riferite ai medesimi parametri” (così si legge negli Atti parlamentari, Camera dei Deputati, XVII Legislatura, Disegni di legge e Relazioni, Documenti, Disegno di legge n. 2813, cit., p. 3). Innanzitutto, si è previsto il potere del Ministro della Giustizia di non dare corso alla domanda di estradizione soltanto laddove questa possa compromettere interessi essenziali dello Stato (come la sovranità o la sicurezza della Repubblica) – dandone comunicazione allo Stato richiedente e all’autorità giudiziaria (art. 4, comma 1 lett. d n. 1, l. n. 149/2016) –, di subordinare a specifiche condizioni la concessione dell’estradizione e di rifiutare l’estradizione del cittadino, salvo quanto previsto da accordi internazionali (art. 4, comma 1 lett. d n. 2, l. n. 149/2016), in ossequio a quanto previsto dall’art. 26 Cost.. Per quanto concerne il c.d. principio di specialità – in base al quale non è consentito allo Stato richiedente di processare e punire l’estradato per fatti diversi da quelli indicati nella domanda di estradizione – è stata stabilita (art. 4, comma 1 lett. d n. 5, l. n. 149/2016) l’irrevocabilità della rinuncia da parte della persona estradata, salvo che intervengano fatti nuovi che modifichino la situazione di fatto esistente al momento della rinuncia (dando, così, seguito alla sentenza della Cassazione, Sez. Un., 29 novembre 2007, n. 11971). Si prevede, inoltre, che nell’estradizione dall’estero il principio di specialità operi come causa di sospensione del procedimento (con sospensione automatica della prescrizione) e dell’esecuzione della pena, senza che sia preclusa l’assunzione di atti urgenti o di prove non rinviabili o comunque idonee a determinare il proscioglimento dell’estradato per fatti anteriori alla consegna (art. 4 comma 1 lett. d n. 12, l. n. 149/2016). La decisione sulla richiesta di estradizione per l’estero è attribuita alla corte d’appello, su richiesta del procuratore generale della Repubblica (art. 4, comma 1 lett. d n. 3, l. n. 149/2016). In assenza di convenzione, l’estradizione dovrà essere concessa qualora sussistano gravi indizi di colpevolezza ovvero una sentenza irrevocabile di condanna e se, per i medesimi fatti, non è in corso un procedimento penale in Italia, né è già stata pronunciata sentenza irrevocabile nello Stato (art. 4, comma 1 lett. d n. 6, l. n. 149/2016). L’estradizione dovrà, invece, essere negata se: il fatto per il quale è richiesta è punito con la pena di morte dalla legge dello Stato estero; il procedimento penale che sarà seguito non assicura il rispetto dei diritti fondamentali; la sentenza irrevocabile che dovrà essere eseguita contiene disposizioni contrarie ai princìpi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano; se si ritiene che la persona possa essere sottoposta ad atti persecutori o discriminatori ovvero a pene crudeli, disumane o degradanti. Altri punti qualificanti in materia di estradizione previsti nella delega – in ossequio a ragioni di equità – sono la previsione che la custodia cautelare subita all’estero ai fini dell’estradizione sia computata ad ogni effetto processuale (art. 4, comma 1 lett. d n. 10, l. n. 149/2016) e la previsione della riparazione per l’ingiusta detenzione subita all’estero a fini estradizionali (art. 4, comma 1 lett. d n. 13, l. n. 149/2016 – si veda, sul punto, In divenire la disciplina dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere: appunti sulla L. 21 luglio 2016, n. 149 di Nicola Treggiani).

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In sostanza, l’articolo 4 dello schema di decreto legislativo (di cui il successivo D.Lgs. n. 149/2017 è attuativo), nel modificare gli articoli da 697 a 718 del codice di procedura penale, in tema di estradizione verso l’estero, opera in un’ottica di semplificazione e snellezza del procedimento, mirando altresì al rafforzamento delle garanzie difensive dell’estradando. Inoltre, la struttura del procedimento appare confermata: l’estradizione, infatti, si realizza mediante una fase giurisdizionale (presso la Corte d’appello) e una fase amministrativa (che vede protagonista il Ministro della Giustizia, che apre e chiude il procedimento). Più nel dettaglio, il citato articolo 4 della legge delega, nei suoi punti salienti, risulta essere così articolato: - la lettera a) del comma 1 contiene i criteri ed i principi relativi alla materia dell’assistenza giudiziaria ai fini di giustizia penale. Le modifiche promosse con la proposta di legge delega sono tutte orientate alla maggiore semplificazione e velocizzazione delle cd. rogatorie passive, quelle cioè relative alle ipotesi in cui autorità straniere richiedano assistenza di carattere giudiziario penale all’ordinamento italiano. La nuova normativa proposta distingue le modalità di adempimento alla richiesta in dipendenza dell’appartenenza o meno del Paese richiedente all’Unione Europea. Mantenendo fermo, infatti, il ruolo formale di filtro alla richiesta del Ministro della Giustizia, limita nel primo caso il suo potere discrezionale di non dare corso alla attività processuale con conseguente richiesta soltanto “nei casi e nei limiti stabiliti dalle convenzioni in vigore tra gli Stati ovvero dagli atti adottati dal Consiglio dell’Unione Europea”. L’esecuzione non è più affidata alla Corte d’appello competente per il distretto in cui gli atti devono essere compiuti, perché, come si legge nella relazione di accompagnamento alle norme, si è registrata la “difficoltà, per un giudice come la Corte d’appello, di governare materie ed esigenze investigative affidate ordinariamente alle competenze di organi diversi.” Ed in effetti, coerente con tale impostazione, fondata sulla specificità delle funzioni requirenti e di investigazione, è la scelta di affidare l’incombente, per le richieste che comportino l’attività di acquisizione probatoria e sequestro di beni a fini di confisca, al procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto nel quale si deve procedere; - il numero 7) del comma 1 estende la procedura, così come descritta, anche alle ipotesi in cui l’assistenza giudiziaria, sempre relativa ad un procedimento concernente un reato, sia richiesta da autorità amministrativa, e non giudiziaria, di altri Stati. È promosso l’utilizzo, per l’audizione di testimoni e periti, degli strumenti di videoconferenza o conferenza telefonica, di cui devono essere disciplinate le modalità e le condizioni di utilizzabilità, ma solo –per intuibili ragioni di affidamento istituzionale presuntivo– nei rapporti con gli Stati membri dell’Unione europea e nei casi previsti da convenzioni internazionali; - i numeri 9, 10 ed 11 del comma 1 contengono previsioni di delega relative alla possibilità che siano costituite, previo accordo con le competenti autorità degli Stati membri dell’Unione europea, ovvero quando previsto da accordi internazionali con altri Stati, squadre investigative comuni; - il numero 12) della lettera a) del comma 1 riguarda l’acquisizione e l’utilizzazione di atti ed informazioni trasmessi spontaneamente da autorità di altro Stato; - una diversa forma specifica di assistenza è oggetto del numero 13) che assegna al Ministro, previa interlocuzione con l’autorità giudiziaria, il compito di provvedere

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sulle richieste di trasferimento temporaneo ai fini di indagine di persone detenute o internate, sulla base di accordi internazionali in vigore per lo Stato; - la lett. b), comma 1 del disegno di legge delega indica i principi e i criteri direttivi cui dovranno essere informati gli emanandi decreti legislativi in materia di estradizione, materia che, in atto, trova la propria disciplina al titolo II del libro XI, ove sono compiutamente regolamentati gli aspetti procedimentali dell’istituto, ai capi I (artt. 697-719 c.p.p.) e II (artt. 720-722 c.p.p.), dedicati, rispettivamente, all’estradizione verso l’estero (c.d. “passiva”) ed a quella dall’estero (c.d. “attiva”). Il primo di tali principi, declinato ai numeri 1), 2) e 5), contiene l’esplicita attribuzione al Ministro della giustizia di un potere di interdizione delle procedure estradizionali attive e passive a tutela di interessi supremi della Repubblica (sovranità, sicurezza o altri interessi essenziali), con onere, a suo carico, di comunicazione all’autorità giudiziaria e, in caso di estradizione passiva, anche allo Stato richiedente. Al Ministro della giustizia spetterà, del pari, il potere di subordinare a specifiche condizioni la concessione dell’estradizione e di rifiutare, in casi predeterminati, l’estradizione del cittadino prevista da accordi internazionali. Al numero 3) sono, poi, enucleati i poteri del Procuratore generale della Repubblica a fronte di una richiesta di estradizione (identificare ed interrogare la persona di cui è chiesta l’estradizione e richiedere direttamente all’autorità straniera, con contestuale comunicazione al Ministro della giustizia, la documentazione e le informazioni che ritiene necessarie). I numeri 6) e 7) disciplinano i rapporti tra custodia cautelare e domanda di estradizione nel senso, da un canto, che la custodia cautelare subita all’estero ai fini dell’estradizione sia computata ad ogni effetto processuale e, dall’altro, che, in caso di presentazione di una richiesta di estensione dell’estradizione, possa essere adottata un’ordinanza che dispone la custodia cautelare, la cui esecuzione è destinata a restare sospesa fino alla concessione dell’estradizione suppletiva e della quale è prevista la revoca per il caso di rifiuto della stessa estradizione suppletiva. Il numero 4) interviene, invece, sul principio di specialità dell’estradizione – in base al quale lo Stato richiedente non può processare e punire l’estradando per fatti diversi da quelli indicati nella domanda di estradizione – stabilendo l’irrevocabilità, per l’ipotesi di estradizione sia attiva che passiva, del potere di rinunzia, che la persona estradata può esercitare, salvo il caso che norme convenzionali lo escludano, solo mediante dichiarazione raccolta dal giudice. La revoca alla rinunzia al principio di specialità è, tuttavia, possibile laddove intervengano fatti nuovi che modificano la situazione di fatto esistente al momento della rinunzia: disposizione, quest’ultima, che traduce in diritto positivo quanto già sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 11971 del 29 novembre 2007. In forza della previsione del numero 8), l’applicazione del principio di specialità determinerà, sul piano processuale, la sospensione del procedimento - cui conseguirà ipso jure la sospensione del decorso della prescrizione - e dell’esecuzione della pena relativi ai fatti non compresi nella domanda di estradizione. Gli effetti processuali del principio di specialità vengono, quindi, regolati in modo tale da coniugare la massima portata espansiva di quello che costituisce fondamentale garanzia di civiltà giuridica con l’esigenza di pienezza dell’esercizio della funzione giurisdizionale nella misura compatibile con l’attuazione del medesimo principio. In concreto, si prevede che la sospensione non precluda il compimento di atti urgenti e

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l’assunzione di prove non rinviabili o comunque idonee a determinare il proscioglimento dell’estradato per fatti anteriori alla consegna. Al numero 9), infine, con disposizione che, al pari di quella relativa al computo della custodia cautelare patita all’estero a fini estradizionali, risponde ad obiettive istanze di equità, si prevede la riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta all’estero ai medesimi fini; - la lett. c) del comma 1 del disegno di legge delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di riconoscimento di sentenze penali di altri Stati ed esecuzione di sentenze penali italiane all’estero, prevedendo forme e condizioni “secondo criteri di massima semplificazione” (n. 1) e disciplinando “condizioni e forme del trasferimento delle procedure” (n. 2); - la lett. d), comma 1 del disegno di legge delega, invece, il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei rapporti con gli altri Stati membri dell’Unione europea. In argomento il numero 1) prevede, innanzitutto, che le decisioni adottate dalle autorità giudiziarie degli Stati dell’Unione europea possano essere eseguite nel territorio dello Stato. Inoltre, secondo il numero 2) l’autorità giudiziaria italiana può essere destinataria diretta delle decisioni giudiziarie che devono essere eseguite nel territorio dello Stato e può richiedere, in conformità al principio del mutuo riconoscimento, l’esecuzione di proprie decisioni alle autorità degli altri Stati dell’Unione europea; mutuo riconoscimento che, secondo quanto previsto dal numero 4), concerne anche le pronunce emesse nei confronti di persone giuridiche. Il numero 5) prevede, poi, che la decisione sul riconoscimento debba essere adottata con la massima urgenza e in modo da assicurarne tempestività ed efficacia, con la previsione di regole speciali nel caso in cui l’interessato abbia prestato il consenso all’esecuzione. Secondo quanto stabilito dal numero 3), il Ministro della giustizia mantiene il potere di garantire, nei casi e nei modi previsti dalla legge, l’osservanza delle condizioni eventualmente richieste, in casi particolari, per l’esecuzione all’estero o nel territorio dello Stato della pronuncia della quale è stato chiesto il riconoscimento, fermo restando il venir meno del potere di preventiva valutazione ministeriale. A mente della previsione del numero 6), l’autorità giudiziaria italiana, nei casi previsti dalla legge, dà esecuzione alle decisioni giudiziarie degli altri Stati dell’Unione europea anche nel caso in cui il fatto non sia previsto come reato dalla legge nazionale e non possa essere sindacato il merito della decisione giudiziaria, salvo il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. Il disegno di legge delega, inoltre, prevede che debba essere stabilita l’impugnabilità - in genere senza effetto sospensivo - del provvedimento che disponga l’esecuzione della pronuncia di cui sia stato chiesto il riconoscimento da parte dell’autorità giudiziaria di altro paese membro dell’Unione europea (numero 7). Infine, il disegno di legge prevede l’introduzione di rimedi a tutela dei diritti dei terzi di buona fede, i quali siano stati eventualmente pregiudicati dall’esecuzione della sentenza (numero 8).

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C.p.p. Titolo III. Rogatorie internazionali COMMENTO La rogatoria internazionale consiste in un incarico che un'autorità giudiziaria conferisce ad un'omologa autorità straniera al fine di compiere attività di acquisizione probatoria, o comunque, di tipo processuale (notificazioni, comunicazioni), per rendere possibile il corretto svolgimento di un procedimento in corso. Le rogatorie internazionali si dividono in due distinte categorie: - rogatorie passive, o dall'estero: si presentano quando l'autorità straniera si rivolge a quella nazionale per la realizzazione di un determinato atto; in ipotesi del genere è previsto il doppio intervento del ministro della giustizia e della Corte d'appello; - rogatorie attive, o all'estero: si configurano quando l'autorità italiana si rivolge a quella straniera per compiere una certa attività; in tali casi è chiamato a pronunciarsi il solo ministro guardasigilli in considerazione del fatto che la proposta proviene direttamente dai giudici. Le rogatorie vanno tenute distinte dall'estradizione, perché se è vero che entrambe sono finalizzate a disciplinare i rapporti di collaborazione fra Stati esteri, è altrettanto vero che risulta completamente diverso l'oggetto che le caratterizza: le rogatorie, infatti, afferiscono alla realizzazione di attività tecniche relative al processo, l'estradizione, invece, concerne la consegna dell'imputato o del condannato. Appare rilevante, infine, sottolineare che i principi generali di cui all'art. 696 (Prevalenza delle convenzioni e del diritto internazionale generale) trovano applicazione anche in tema di rogatorie internazionali.

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C.p.p. Titolo IV. Effetti delle sentenze penali straniere. Esecuzione all'estero di sentenze penali italiane COMMENTO Il Titolo in oggetto tratta degli “effetti delle sentenze penali straniere” e della “esecuzione all'estero di sentenze penali italiane”. La normativa qui disciplinata ha natura meramente suppletiva e integrativa, dato che, in tema, il diritto internazionale prevale su quello interno. Pur sussistendo alcune convenzioni internazionali in materia, tuttavia, la disciplina appare piuttosto lacunosa e generica, tanto da sollecitare il legislatore a predisporre una regolamentazione capace di porre rimedio alle relative problematiche almeno dal punto di vista interno. Il fenomeno della rilevanza di sentenze straniere in Italia e, viceversa, quello della rilevanza di sentenze italiane all'estero ha acquistato notevole importanza negli ultimi decenni dopo che la criminalità ha esteso il proprio ambito di azione oltre i confini nazionali ed è spesso accaduto che vi fosse diversità di trattamento cognitivo e sanzionatorio tra lo Stato che pronuncia la sentenza penale e quello nel quale il soggetto interessato risiede o ha la cittadinanza. Il D.Lgs. n. 149/2017 ha modificato gli articoli da 730 a 737 bis del codice di procedura penale. Le novità introdotte sono principalmente volte alla semplificazione e accelerazione del procedimento che porta al riconoscimento della decisione da parte della corte d’appello, mediante previsione di termini entro i quali deve intervenire la decisione camerale della Corte d’appello e della Corte di cassazione.

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C.p.p. Titolo IV bis . Trasferimento dei procedimenti penali COMMENTO Il D.Lgs. n. 149 del 2017 ha introdotto disposizioni funzionali a prevenire conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali: in particolare, la possibilità del reciproco trasferimento dei procedimenti penali tra Stati membri dell’Unione Europea mira a risolvere eventuali conflitti di giurisdizione ed a prevenire ad una soluzione concordata tra gli Stati. Fino al D.Lgs. n. 149 del 2017, tale materia non era disciplinata nel codice di procedura penale: oggi, la relativa disciplina è dettata dal codice di rito con l’inserimento nel libro XI di un nuovo Titolo IV bis, composto da tre nuove disposizioni (artt. 746 bis, 746 ter e 746 quater c.p.p.). Nello specifico, come si legge nel parere n. 434 reso dal Senato ai sensi dell’articolo 4, della legge 21 luglio 2016, n. 149, il quadro normativo che emergeva dalle iniziative dell’Unione Europea ha fatto ritenere non più rinviabile l’introduzione di una regola da cui discende la necessità di prevenire a livello nazionale una “cessazione” del procedimento penale pendente, ma anche l’esigenza di rispettare il principio del ne bis in idem, principio fondamentale sia a livello di Unione Europea che a livello internazionale. Al riguardo, facendo eco ad una precedente pronuncia della Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione, pur avendo fino ad ora escluso la configurabilità del ne bis in idem quale norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta, ravvisandone l’operatività solo nei rapporti fra gli Stati aderenti agli strumenti convenzionali che espressamente lo prevedono, tuttavia non ha escluso che in futuro sia riconosciuta a tale principio la natura di norma di diritto internazionale generale o di rango consuetudinario ai sensi dell’art. 10 Cost., proprio alla luce dell’inclusione dello stesso in un numero sempre più ampio di strumenti sovranazionali. Anche la Corte di Giustizia Europea ha avuto modo, in più di un’occasione, di sottolineare il rilievo fondamentale che il principio del divieto del doppio giudizio ha assunto nell’ordinamento europeo: in particolare, la Corte lo ha ascritto fra i principi cardine, in quanto garantisce la libertà di circolazione delle persone nel territorio europeo: invero, nessun cittadino dell’Unione Europea si sentirebbe libero di circolare se venisse perseguito o arrestato per un fatto per il quale è stato già giudicato nel suo o in un altro Paese dell’Unione Europea. Inoltre, l’Unione Europea ha evidenziato che il principio del ne bis in idem riceve maggiore rispetto ove vengano eliminate le condizioni che danno origine ai cd. processi paralleli: arrestarsi ad uno stadio precedente costituisce una ragione di economia processuale, in quanto permette di evitare che siano pronunciate sentenze che si risolvono a posteriori come inutiliter data, in quanto in contrasto con il principio de quo. A fronte di ciò, a livello europeo, è stata approvata la decisione quadro 2009/948/GAI, “sulla prevenzione e risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali”, alla quale l’Italia ha dato esecuzione con il D.Lgs. n. 29 del 2016.

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A fronte di ciò, nell’introdurre il Titolo IV bis in commento, il legislatore ha cercato di prevedere norme coerenti, da un lato, con le disposizioni introdotte in sede di esecuzione della Decisione Quadro 2009/948/GAI e, dall’altro lato, con le norme introdotte in tale materia in sede di ratifica degli Accordi aggiuntivi alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, conclusi con la Svizzera, l’Austria e la Germania. Nello specifico, l’obiettivo perseguito dal legislatore è stato quello di prevedere un adeguato meccanismo che permetta il trasferimento dei procedimenti, avendo riguardo al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale per il trasferimento “attivo”: invero, lo strumento in questione è stato introdotto al fine di prevenire contrasti e di disciplinare conflitti anche potenziali di giurisdizione, munendo l’ordinamento giuridico di un minimo contenuto di disciplina diretto a trovare attuazione, al di là della disciplina dettata in ambito UE dalla citata decisione quadro, ove non diversamente stabilito dalle singole convenzioni internazionali. In questo modo, si sono andate a consentire forme controllate di rinuncia alla giurisdizione in favore dell’autorità straniera. Tale strumento, per vero, è stato introdotto al fine di prevenire contrasti e di disciplinare conflitti anche potenziali di giurisdizione.

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C.p.p. Libro XI. Rapporti giurisdizionali con autorità straniere COMMENTO Il Libro in commento tratta dei rapporti giurisdizionali con le autorità straniere, rapporti che negli ultimi anni si sono notevolmente intensificati a causa delle profonde mutazioni storico-politiche che hanno caratterizzato la società moderna. Fino ai primi anni del novecento la “cooperazione penale” fra Stati, benché prevista, trovava in pratica scarsa applicazione, posto che gli effetti del fenomeno delinquenziale erano in larga parte circoscritti entro il territorio nazionale. Attualmente la situazione è notevolmente cambiata e il fenomeno della criminalità ha investito ambiti territoriali che oltrepassano i confini nazionali. Il legislatore ha così avvertito l'esigenza di predisporre una disciplina quanto mai scrupolosa tesa a regolare le forme di collaborazione fra il nostro Paese e altri Stati stranieri, soprattutto per quanto attiene all'esecuzione di determinati provvedimenti, all'espletamento di atti processuali, al riconoscimento degli effetti delle sentenze penali straniere e all'esecuzione all'estero delle sentenze italiane. Vale la pena sottolineare che la normativa in tema di rapporti con le autorità straniere ha subìto importanti modifiche a seguito dell'entrata in vigore della L. 5 ottobre 2001, n. 367, sulle rogatorie internazionali, tesa a garantire elevati livelli di cooperazione fra Stati, pur sempre nel rispetto dei principi fondamentali riconosciuti nella Carta Costituzionale. Con D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161, recante “Disposizioni per conformare il diritto interno alla Decisione Quadro 2008/909/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione Europea”, entrato in vigore il 5 dicembre 2011, è stata consentita l'esecuzione di una sentenza di condanna pronunciata dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro dell'Unione Europea nello Stato membro di cittadinanza della persona condannata o in un altro Stato membro che abbia espresso il consenso a riceverla. L'ambito applicativo dell'istituto presenta punti di contatto sia con quello della Convenzione sul trasferimento delle persone condannate adottata a Strasburgo il 21 marzo 1983 (ratificata in Italia con legge 25 luglio 1988 n. 334) sia con quello della Decisione Quadro sul mandato di arresto europeo 2002/584/GAI (attuata in Italia con legge 22 aprile 2005 n. 69). Con L. 20 dicembre 2012, n. 237 sono state approvate le norme per l'adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale. La Corte penale internazionale (CPI) è un'“istituzione permanente che può esercitare la giurisdizione sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale”, come recita l'articolo 1 dello Statuto istitutivo della Corte(Statuto di Roma).

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Lo Statuto è stato adottato a Roma il 17 luglio 1998 dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite ed è entrato in vigore il 1° luglio 2002, in conformità a quanto disposto dall'articolo 126 dello Statuto stesso, che ha fissato la condizione del deposito di almeno 60 strumenti di ratifica, adesione o accettazione dello Statuto di Roma. L'Italia ha ratificato lo Statuto mediante la legge 12 luglio 1999, n. 232. Gli Stati che attualmente hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale sono 121: tra questi non figurano gli Stati Uniti, Israele, il Sudan, la Cina, la Russia e tutti i Paesi arabi – anche se alcuni degli Stati menzionati hanno a suo tempo firmato lo Statuto, senza però dar seguito a quell'atto, e anzi sconfessando in un secondo momento la stessa firma. Successivamente, con la legge 6 ottobre 2005, n. 213, il nostro Paese ha innalzato il contributo obbligatorio alla CPI, in relazione all'incremento delle spese amministrative e per le attività operative della Corte medesima, nella misura di 3.241.000 euro annui. Come strutturata in base allo Statuto, la Corte – che non è organo dell'ONU ma un'istanza giurisdizionale istituita per via pattizia - potrà: - giudicare singoli individui accusati di genocidio, di crimini contro l'umanità e di crimini di guerra; - emettere sentenze di condanna alla reclusione fino a trenta anni o anche di ergastolo (in questo caso sulla base dell'estrema gravità del crimine e della situazione personale del condannato); - esercitare la sua giurisdizione in modo complementare rispetto a quella degli Stati. Lo Statuto - ossia lo strumento normativo primario per disciplinare le finalità, la struttura ed il funzionamento della Corte penale internazionale - individua i principi posti a base dell'attività giurisdizionale in materia, ravvisati essenzialmente nell'indipendenza dei giudici, nella cooperazione della Corte con gli Stati, nei presupposti normativi della nuova funzione giudiziaria internazionale, nonché nell'automaticità dell'attivazione della giurisdizione stessa. Lo Statuto si compone di 128 articoli, preceduti da un preambolo, ed è diviso nei seguenti 13 capitoli: 1) istituzione della Corte; 2) giurisdizione, ricevibilità, legge applicabile; 3) principi generali di diritto penale; 4) composizione ed amministrazione della Corte; 5) indagini e incriminazione; 6) processo; 7) pene; 8) appello e revisione; 9) cooperazione ed assistenza giudiziaria internazionali; 10) esecuzione; 11) Assemblea degli Stati parti, 12) finanziamento; 13) clausole finali. Di particolare rilievo appare anzitutto l'acquisizione nello Statuto della Corte dei più significativi - e condivisi - principi in materia di diritto e procedura penale. Si tratta, in particolare, dei principi della responsabilità penale personale, del “nullum crimen, nulla poena sine lege”, della irretroattività della legge penale, del ne bis in idem, del giudice naturale, del contraddittorio e dell'equo processo. La Corte potrà giudicare solo i crimini commessi dopo l'entrata in vigore dello Statuto ed avrà, inizialmente, competenza sui cosiddetti core-crimes ossia sul genocidio, sui crimini contro l'umanità e di guerra. La Corte potrà esercitare il proprio potere giurisdizionale anche sul crimine di aggressione, ma solo successivamente all'adozione della disposizione che, in accordo con le relative norme della Carta dell'ONU, definirà il crimine stesso, stabilendone le

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condizioni di perseguibilità. Tale definizione dovrebbe essere adottata con la Conferenza di revisione dello Statuto, la prima delle quali si prevede dopo almeno sette anni dalla data di vigenza dello stesso. Il crimine di genocidio viene definito secondo quanto già previsto dalla convenzione ONU del 1948; nei crimini contro l'umanità rientrano diverse fattispecie criminose commesse contro le popolazioni civili, nonché numerosi reati a sfondo sessuale come lo stupro, la schiavitù sessuale, la costrizione alla prostituzione e alla sterilizzazione, la gravidanza forzata. Per la configurazione dei crimini di guerra rientranti nella giurisdizione della Corte è necessario l'inserimento di tali atti in un piano o disegno politico, mentre per l'individuazione dei relativi comportamenti illeciti si fa riferimento alle violazioni della Convenzione di Ginevra del 1949 ed alle regole ed usi applicabili nei conflitti armati. Ricadono nell'ambito dei crimini di guerra anche gli atti commessi in conflitti armati interni (“conflitti armati non di carattere internazionale”), escluse le rivolte e i disordini isolati. La Corte è poi competente per la perseguibilità di una serie di reati contro l'amministrazione della giustizia come la falsa testimonianza resa innanzi alla stessa Corte, la subornazione di testimoni, la presentazione volontaria di prove false, l'intimidazione o la ritorsione, la corruzione attiva o passiva nei confronti di un funzionario della Corte. Uno dei principi fondamentali previsti dallo Statuto è la complementarità della giurisdizione della Corte penale internazionale rispetto a quelle degli Stati parte. In ragione di tale principio, gli Stati parte si impegnano ad inserire nei rispettivi ordinamenti nazionali le norme incriminatrici di cui all'art. 5 dello Statuto precisando la giurisdizione anche della Corte per la cognizione delle stesse. La Corte, pertanto, potrà procedere per uno dei crimini indicati nello Statuto soltanto se per tale fatto gli Stati che avrebbero giurisdizione primaria non procedano, ovvero abbiano proceduto in maniera negligente. L'articolo 20 sancisce il basilare principio del ne bis in idem in ordine ai reati perseguiti dalla Corte, prevedendo altresì l'eccezione di una giurisdizione concorrente in caso di inefficienza dei sistemi giudiziari nazionali. Una delle questioni sulle quali nel corso della Conferenza di Roma si è maggiormente discusso è stata quella relativa all'estensione della giurisdizione della Corte stessa, ossia la precisazione di criteri di collegamento tra i fatti qualificati come reati dallo Statuto e la relativa attribuzione della cognizione sugli stessi. La Corte, infatti, al contrario del Tribunale internazionale per i crimini nella exJugoslavia, nato in virtù di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, viene istituita in seguito a trattato internazionale che obbliga soltanto gli Stati che ne sono parte (ovvero che lo abbiano ratificato). Nello stesso tempo, lo Statuto affida un preciso ruolo al Consiglio di Sicurezza in materia di procedibilità per i reati di competenza della Corte che abbiano comportato, in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. La soluzione adottata in relazione ai meccanismi di attribuzione della competenza della Corte ha da più parti suscitato critiche e riserve. È infatti previsto che la Corte avrà giurisdizione circa i reati di sua competenza quando siano avvenuti nel territorio di uno Stato aderente allo Statuto o che, in base ad un apposito accordo, abbia accettato la giurisdizione della Corte, oppure quando l'autore del crimine sia cittadino

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di uno di tali Stati. La Corte dovrà quindi ottenere, verosimilmente nella grande maggioranza dei casi, il consenso dello Stato di nazionalità dell'imputato o dello Stato sul cui territorio è stato perpetrato il crimine prima di poter esercitare la propria giurisdizione. Come è stato osservato, tale criterio potrebbe essere ancor più penalizzante se si pensa che molto spesso i crimini vengono commessi nel contesto di conflitti interni dove la nazionalità dell'autore del crimine e quella della vittima coincidono. Tali criteri non saranno invece vincolanti - e la giurisdizione della Corte non sarà quindi soggetta a limiti - nel caso in cui sia lo stesso Consiglio di sicurezza dell'ONU a sottoporre al Procuratore presso la Corte uno o più dei fatti criminosi previsti dall'art. 5 dello Statuto, che abbiano comportato una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali. Un ulteriore limite alla giurisdizione della Corte è poi quello relativo al contenuto della disposizione transitoria introdotta dall'articolo 124 dello Statuto (che recepisce la cosiddetta clausola opt-out), che consente ad uno Stato, al momento della ratifica del Trattato, di non accettare, per un periodo di sette anni successivo all'entrata in vigore dello Statuto, la giurisdizione della Corte sui crimini di guerra se commessi da un suo cittadino o sul suo territorio. Altra norma che limita in qualche modo l'indipendenza della Corte penale internazionale è quella prevista dall'art. 16 dello Statuto, per effetto della quale al Consiglio di sicurezza dell'ONU è consentito, con risoluzione, di chiedere la sospensione delle indagini o del proseguimento dell'azione penale per un anno, con facoltà di rinnovare la richiesta. Apposite procedure di cooperazione tra la Corte e gli Stati dovranno disciplinare lo svolgimento di atti di indagine sul territorio di uno Stato. La richiesta di assistenza giudiziaria costituirà modalità necessaria di acquisizione delle prove nel corso delle indagini e l'esclusione della celebrazione del processo in contumacia renderà necessaria la consegna dell'imputato da parte dello Stato ove verrà localizzato e arrestato. Uno degli aspetti più discussi durante la Conferenza è stato quello della possibilità o meno dello svolgimento di indaginiin locoda parte del Procuratore presso la Corte sul territorio di uno Stato: sul punto, lo Statuto si limita a prevedere l'ipotesi in cui lo Stato parte, per manifesta incapacità del proprio sistema giudiziario nazionale, non sia in grado di cooperare con la Corte ai sensi delle norme dello Statuto: in tal caso, la Camera preliminare potrà autorizzare il Procuratore a svolgere indagini direttamente in loco sul territorio dello Stato parte. Il Capo Idella citata L. n. 237 del 2012 (articoli da 1 a 10) contiene le disposizioni generali, individuando le autorità competenti e le modalità di cooperazione con la Corte penale internazionale. In particolare, l'articolo 1 sancisce l'obbligo di cooperazione, ovvero afferma che la cooperazione dello Stato italiano con la Corte penale internazionale avviene sulla base delle disposizioni contenute nello Statuto della Corte stessa, nel limite del rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano. Tale principio viene ripreso anche in altri articoli del provvedimento (artt. 3 e 13). La compatibilità con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato costituisce un limite all'attività di cooperazione giudiziaria internazionale in

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materia penale tradizionalmente previsto dalle disposizioni codicistiche (si vedano in particolare gli articoli 705, 720, 723 e 733 del codice di procedura penale). Con riferimento ai profili della cooperazione internazionale in materia penale, la rilevanza del limite della compatibilità con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato è stata specificamente riconosciuta dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 379 del 1995, in relazione ad un caso di rogatoria testimoniale all'estero. L'articolo 2 attribuisce al Ministro della giustizia il ruolo di autorità centrale per la cooperazione con la Corte penale internazionale. Ai sensi del comma 1, spetta quindi al Ministro in via esclusivala cura dei rapporti di cooperazione con la Corte previo accordo, ove ritenga che ne ricorra la necessità, con i Ministri interessati (in particolare, in base all'articolo 23, con il Ministro della difesa per i reati commessi da militari italiani o in loro danno), altre istituzioni o altri organi dello Stato. Spetta, altresì, al Ministro ricevere le richieste di cooperazione provenienti dalla Corte e presentare ad essa atti e richieste. In base a quanto disposto dal comma 2, compete allo stesso Ministro stabilire l'ordine di precedenza, nel caso di concorso di più domande di cooperazione provenienti dalla Corte penale internazionale e da uno o più Stati esteri. Il successivo comma 3 specifica che è parimenti compito del Ministro della giustizia, nel dare seguito alla richieste di cooperazione, assicurare il rispetto del carattere riservato delle stesse e che l'esecuzione avvenga in tempi rapidi e con le modalità dovute (nel testo approvato dalla Camera: “nei tempi e con le modalità dovuti”). L'articolo 3, stabilisce che (comma 1), in materia di consegna, cooperazione ed esecuzione di pene, si osservano - salvo che non sia diversamente disposto dalla legge 237/2012 stessa e dallo Statuto della Corte penale internazionale - le norme contenute nel Libro XI del codice di procedura penale, relativo ai rapporti giurisdizionali con autorità straniere, titoli II (Estradizione), III (Rogatorie internazionali) e IV (Effetti delle sentenze penali straniere e esecuzione all'estero di sentenze penali italiane). Il comma 2 del medesimo articolo 3 specifica poi che per il compimento degli atti di cooperazione richiesti si applicano le norme del codice di procedura penale, fatta salva l'osservanza delle forme espressamente richieste dalla Corte penale internazionale non contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano. L'articolo 4 disciplina le modalità di esecuzione della cooperazione giudiziaria con la Corte penale internazionale. Al riguardo, se il Ministro della giustizia si configura come l'autorità di riferimento dal punto di vista politico e amministrativo, la corte d'appello di Roma concentra su di sé le competenze giudiziarie. A tali autorità giudiziarie vanno sostituite le corrispondenti autorità giudiziarie militari (il PG presso la corte d'appello militare di Roma e la corte d'appello militare di Roma) se la richiesta di collaborazione riguarda reati commessi da militari italiani in servizio o considerati tali ai sensi del codice penale militare di pace (art. 23). Ai sensi del comma 1, infatti, le richieste formulate dalla Corte penale internazionale sono trasmesse dal Ministro al procuratore generale presso la corte d'appello di Roma perché vi dia esecuzione ovvero assista il Procuratore della Corte penale internazionale nel compimento di attività da eseguire nel territorio italiano (ai sensi dell'art. 99, par. 4 dello Statuto.

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Il comma 2 dispone che, qualora la richiesta della Corte penale internazionale abbia per oggetto un'attività di indagine o acquisizione di prove, il Procuratore generale chieda alla corte d'appello di Roma di dare esecuzione alla richiesta. Il successivo comma 3 stabilisce che - qualora ne ricorrano le condizioni - la corte d'appello di Roma dà esecuzione alla richiesta con decreto con il quale delega all'attuazione – un proprio componente o il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui gli atti devono essere compiuti. Il comma 4 sancisce che, se la Corte penale internazionale ne ha fatto domanda, l'autorità giudiziaria comunica la data e il luogo di esecuzione degli atti richiesti, precisando che i giudici e il Procuratore della Corte penale internazionale sono ammessi ad assistere all'esecuzione degli atti e possono proporre domande, nonché suggerire modalità esecutive. Ai sensi del comma 5, le citazioni e le altre notificazioni richieste dalla Corte penale internazionale sono direttamente eseguite dal procuratore generale presso la corte d'appello di Roma; solo qualora sussistano motivate ragioni, debbono essere trasmesse al PM presso il tribunale del luogo in cui devono essere eseguite, che ad ogni modo deve provvedere senza ritardo. Il comma 6, prevede che possano essere accompagnati coattivamente davanti alla Corte penale internazionale coloro che – testimoni, periti, persone sottoposte ad esame dal perito, consulente tecnico, interprete o custode di cose sequestrate – sebbene citati, non siano spontaneamente comparsi davanti alla Corte. L'articolo 5, nel disciplinare la trasmissione di atti e documenti, al comma 1, vieta la trasmissione alla Corte penale internazionale di atti e documenti acquisiti all'estero e dichiarati riservati al momento dell'acquisizione senza il necessario consenso dello Stato da cui provengono, facendo salva l'applicazione dell'articolo 73 dello Statuto della Corte. Il comma 2 consente al Ministro della giustizia, previa intesa con i Ministri interessati, di sospendere la trasmissione di atti e documenti alla Corte penale internazionale ovvero l'espletamento di atti di indagine o di acquisizione di prove, quando ritenga che tali attività possano compromettere la sicurezza nazionale; in tal caso si procede alle consultazioni stabilite dall'articolo 72 dello Statuto della Corte penale internazionale. Il successivo comma 3 prevede che, fermo restando il disposto del comma 2, l'autorità giudiziaria italiana cooperi con la Corte internazionale anche trasmettendo – attraverso il Ministro della giustizia – copie di atti di procedimenti penali (e informazioni scritte sul loro contenuto) anche in deroga all'obbligo del segreto sugli atti d'indagine previsto dall'art. 329 c.p.p. Da ultimo, il comma 4 vieta l'utilizzo dei documenti inviati a sostegno della richiesta di cooperazione nell'ambito di altri procedimenti in difetto del necessario consenso della Corte penale internazionale. L'articolo 6, disciplina il caso in cui, in esecuzione di una richiesta di assistenza della Corte penale internazionale, sia necessario citare in Italia una persona che si trova all'estero. In tale evenienza, per garantire il buon esito della cooperazione, il comma 1 stabilisce che la persona (imputato, ma anche eventualmente testimone, perito, consulente o custode) che entra nel nostro territorio non potrà essere sottoposta a qualsivoglia restrizione della libertà personale per fatti antecedenti la notifica della citazione.

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In base al comma 2 tale immunità temporanea cessa se la persona permane in Italia trascorsi 5 giorni dal momento in cui sono venute meno le ragioni per le quali era richiesta la sua presenza, ovvero da quando egli, pur uscito dal paese, vi abbia fatto volontario ritorno. L'articolo 7, disciplina il patrocinio a spese dello Stato, disponendo l'applicabilità delle relative disposizioni anche alle procedure di esecuzione di richieste della Corte penale internazionale da adempiere nel territorio italiano e consentendo quindi l'accesso al gratuito patrocinio della persona nei cui confronti la Corte procede. L'articolo 8, disciplina invece l'ipotesi di richieste da parte dell'autorità giudiziaria italiana alla Corte internazionale (ex art. 93, par. 10 dello statuto): la richiesta è formulata per il tramite del procuratore generale presso la corte d'appello di Roma, che si rivolgerà a sua volta al Ministro della giustizia il quale provvederà ad inoltrare la richiesta alla Corte internazionale (comma 1). Al riguardo, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni sulle rogatorie all'estero (Libro XI, titolo III, capo II, c.p.p.). In particolare, il comma 2 precisa che se il Ministro non provvede ad inoltrare la richiesta entro 30 giorni, il PG presso la corte d'appello può trasmettere direttamente la richiesta alla Corte internazionale, informando il Ministro (ex art. 727, comma 4, c.p.p.). L'articolo 9, prevede che il procuratore generale presso la corte d'appello di Roma, e il procuratore generale militare presso la corte militare d'appello, assistano se richiesti - alle consultazioni con la Corte penale internazionale previste dallo Statuto. Si ricorda, infatti, che in può occasioni lo Statuto prevede “consultazioni” tra la Corte penale internazionale ed i singoli Stati: ciò accade, ad esempio, quando lo Stato esiga di proteggere informazioni attinenti la sicurezza nazionale (art. 72) ovvero in presenza di una specifica richiesta di arresto o di consegna (art. 91) o, più in generale, quando si tratti di fornire alcune misure di assistenza (art. 93). L'articolo 10 novella il codice penale. Il Capo II (articoli da 11 a 14) disciplina la consegna alla Corte penale internazionale di persone che si trovino sul territorio italiano. In base all'articolo 11, se la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto ovvero una sentenza di condanna a pena detentiva a carico di una persona che si trovi sul territorio italiano, il procuratore generale presso la Corte di appello di Roma chiede alla stessa Corte d'appello l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere (comma 1). La Corte d'appello provvede con ordinanza ricorribile in Cassazione in base all'art. 719 c.p.p. La presentazione del ricorso non sospende l'esecuzione della misura cautelare (comma 2). Il comma 3, disciplina la possibile richiesta, da parte di colui che è sottoposto alla custodia cautelare in carcere, di libertà provvisoria, ai sensi dell'art. 59 dello Statuto, delineando il seguente iter: - richiesta di libertà provvisoria; - trasmissione della richiesta dal procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma al Ministro della Giustizia e da quest'ultimo alla Corte penale internazionale; - decisione sulla richiesta da parte della Corte d'appello di Roma con ordinanza ricorribile in Cassazione ai sensi dell'art. 719 c.p.p.;

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- in caso di concessione della libertà provvisoria, la Corte d'appello di Roma può imporre prescrizioni (divieto di espatrio, obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, divieto e obbligo di dimora) per evitare il pericolo di fuga; - possibile sostituzione della custodia in carcere con altre misure cautelari in presenza di gravi motivi di salute. Eseguita la misura della custodia cautelare in carcere, entro tre giorni il presidente della Corte di appello identifica la persona e verifica il suo eventuale consenso alla consegna alla Corte penale internazionale (si applicano le disposizioni previste dal codice di procedura penale per l'estradizione). In base all'articolo 12, la misura della custodia cautelare è revocata se: - dall'inizio dell'esecuzione è trascorso un anno senza che la Corte di appello si sia pronunciata sulla richiesta di consegna (termini previsti dall'art. 714, co. 4, c.p.p.; - la Corte d'appello si è pronunciata negando la consegna; - sono trascorsi 20 giorni dal consenso dell'interessato alla consegna e il Ministro della giustizia non ha ancora emesso il decreto per realizzare la consegna; - sono trascorsi 15 giorni dalla data fissata per la presa in consegna da parte della Corte penale internazionale ed essa non è avvenuta; il termine per la consegna può peraltro essere prorogato su richiesta della medesima Corte, senza oltrepassare il limite dell'anno dall'inizio dell'esecuzione della misura. L'articolo 13 riguarda la procedura per la consegna. Il comma 1 disciplina la fase delle conclusioni del procuratore generale presso la corte d'appello di Roma prevedendo che questi depositi la sua requisitoria nella cancelleria della Corte, che dovrà comunicare il deposito e la data dell'udienza alle parti. Il comma 2 stabilisce che la corte d'appello decide con il procedimento in camera di consiglio e con la partecipazione necessaria del difensore. Il giudice italiano può negare la consegna solonelle seguenti ipotesi (comma 3): - la Corte penale internazionale non ha emesso una sentenza irrevocabile di condanna o un provvedimento restrittivo della libertà personale; - non vi è corrispondenza tra l'identità della persona richiesta e di quella oggetto della procedura di consegna; - la richiesta della Corte penale internazionale contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico. Si ricorda che questo limite ricorre frequentemente in relazione ai rapporti con le autorità straniere, si pensi agli articoli 723 e 733 c.p.p. in relazione alle rogatorie internazionali ed al riconoscimento delle sentenze straniere; - per lo stesso fatto e la stessa persona è stata pronunciata in Italia una sentenza irrevocabile, fatto salvo quanto stabilito nell'art. 89, par. 2, dello statuto. Nel caso in cui venga eccepito il difetto di giurisdizionedella Corte penale internazionale, la Corte d'appello di Roma dovrà sospendere – salva la manifesta infondatezza – “con ordinanza” il procedimento, in attesa di una pronuncia della medesima Corte penale (comma 4). Il comma 5 stabilisce che il ricorso per cassazione può essere proposto anche in riferimento alle condizioni precisate dal comma 3 ed ha effetto sospensivo. In base al comma 6 la Corte penale internazionale può assistere all'udienza per mezzo di un proprio rappresentante.

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Sia nell'ipotesi di consenso dell'interessato, sia in quella di favorevole pronuncia della Corte d'appello di Roma, spetta al Ministro della giustizia – con proprio decreto - provvedere entro 20 giorni alla consegna, prendendo accordi con la Corte penale internazionale sul tempo, il luogo e le concrete modalità. L'articolo 14 stabilisce che la misura della custodia cautelare in carcere può essere disposta provvisoriamente, anche prima che pervenga dalla Corte internazionale la richiesta di consegna, purché la stessa Corte abbia dichiarato di avere emesso un provvedimento restrittivo della libertà personale, abbia altresì dichiarato che intende presentare richiesta di consegna e abbia fornito la descrizione dei fatti nonché elementi idonei a identificare con certezza la persona, annunciando l'intenzione di richiederne la consegna. Anche per l'applicazione provvisoria della misura della custodia cautelare si osserva l'art. 11 (v. sopra). In tal caso, la custodia cautelare sarà revocata se entro 30 giorni la Corte internazionale non richiede la consegna. Si rinvia al commento riportato sotto la rubrica del Libro X per la disamina del restante articolato normativo della citata L. 237/2012, in particolare dedicato all'esecuzione dei provvedimenti della Corte penale internazionale. In tema di cooperazione penale fra Stati, è intervenuto il D.Lgs. 3 ottobre 2017, n. 149 (Disposizioni di modifica del Libro XI del Codice di procedura penale in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere). Il citato decreto attua l’art. 4 della legge 21 luglio 2016, n. 149, recante “Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e delega al Governo per la sua attuazione. Delega al Governo per la riforma del libro XI del codice di procedura penale. Modifiche alle disposizioni in materia di estradizione per l’estero: termine per la consegna e durata massima delle misure coercitive”. Nello specifico, la legge n. 149/2016 ha delegato il Governo a riformare il libro XI del codice processuale penale, dedicato ai “Rapporti giurisdizionali con autorità straniere” ed ha, inoltre, introdotto specifiche modifiche ad alcune disposizioni del codice relative all’estradizione passiva (artt. 698, 708 e 714 c.p.p.). Con la legge de qua è stata autorizzata la ratifica della Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000, avente ad oggetto l’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione Europea. Insieme alla Convenzione di Bruxelles, le ulteriori forme convenzionali di assistenza giudiziaria nello spazio giuridico europeo sono: - la Convenzione europea sulla mutua assistenza giudiziaria penale del 20 aprile 1959, ratificata dall'Italia con la legge 215/1961 (e i suoi due relativi Protocolli addizionali del 17 marzo 1978 e dell'8 novembre 2001); - la Convenzione di applicazione degli Accordi di Schengen del 19 giugno 1990 (ratificata dall'Italia con la legge 388/1993). Le Convenzioni, nel loro complesso, prevedono la possibilità di impiegare lo strumento della rogatoria per acquisire qualunque tipo di prova, attraverso attività sia di ricerca che di formazione della stessa. È, comunque, lasciata salva l'applicabilità di eventuali disposizioni più favorevoli contenute in singoli accordi tra Stati (art. 26 Convenzione del 1959 e art. 1 della Convenzione di Bruxelles del 2000).

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Come si legge nel dossier redatto dagli organi parlamentari in relazione all’Atto di Governo n. 434 (settembre 2017), la Convenzione ha come scopo l’esigenza di “completare”, quindi integrare e sostituire, gli strumenti convenzionali preesistenti e appartenenti ad altri ambiti giuridici, al fine di migliorare la collaborazione giudiziaria in materia penale attraverso un'assistenza giudiziaria rapida, efficace, compatibile con i principi fondamentali del diritto interno degli Stati membri e con i principi della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo del 1950. La Convenzione del 2000 individua l’ambito dell’attività comune, favorendo per quanto possibile lo scambio diretto di richieste tra le autorità giudiziarie dell’Unione nell’ambito di una progressiva omogeneizzazione dei sistemi penali nazionali in tema di acquisizione della prova. Essa costituisce, quindi, uno strumento generale di cooperazione e, al contempo, disciplina nello specifico forme particolari di assistenza. I contenuti della Convenzione di Bruxelles sono stati recepiti nell’ordinamento interno - in base alla delega prevista dall’art. 3 della legge 149 - con un recente decreto legislativo (D.Lgs. 5 aprile 2017, n. 52), il cui articolato si sviluppa in quattro titoli: il primo, dedicato alle disposizioni generali, chiarisce l’ambito applicativo della normativa e raggruppa le più significative novità introdotte dalla Convenzione, volte essenzialmente alla semplificazione dei rapporti tra autorità giudiziarie straniere (artt. 1-9); il secondo e il terzo titolo concernono, rispettivamente, le specifiche forme di assistenza giudiziaria, come il trasferimento temporaneo di detenuti, audizione di indagati, testimoni e periti in videoconferenza, squadre investigative comuni (artt. 1018), nonché le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (artt. 19-23); il quarto titolo contiene le disposizioni finali, in cui sono specificate le modalità di entrata in vigore della nuova normativa (artt. 24-26). La disorganicità della disciplina volta all'acquisizione transfrontaliera delle prove, di cui si ha da tempo consapevolezza a livello di Unione europea e di cui è figlia la stessa Convenzione di Bruxelles, ha medio tempore condotto ad una nuova impostazione che ha tenuto conto della necessaria flessibilità dell'assistenza giudiziaria europea. Tale consapevolezza - testimoniata sia dai contenuti del Libro verde del 2009 della Commissione europea (sulla ricerca delle prove in materia penale) sia dal programma di Stoccolma adottato dal Consiglio europeo nello stesso anno – ha portato, con la direttiva 2014/41/CE, ad introdurre un unico strumento europeo di raccolta transnazionale delle prove, denominato ordine europeo d'indagine (OEI), applicabile a qualsiasi atto d'indagine, tranne all'istituzione di una squadra investigativa comune e all'acquisizione di prove nell'ambito di tale squadra. Il D.lgs 21 giugno 2017, n. 108, adottato in attuazione della legge di delegazione europea per il 2014 (legge n. 114 del 2015), ha attuato la citata direttiva 2014/41/UE relativa all'ordine europeo di indagine penale (cd. OEI). Tale fonte normativa costituisce attualmente lo strumento generale per l’acquisizione ed il trasferimento delle prove all’interno degli Stati membri, fissando termini rigorosi di risposta per questi ultimi. L’ordine europeo consente, tra l’altro, il sequestro probatorio, il trasferimento temporaneo di persone detenute, i controlli dei conti bancari e delle operazioni finanziarie di persone sottoposte a indagini o imputati, le operazioni di infiltrazione e l’intercettazione di telecomunicazioni e le misure di protezione delle prove. Il provvedimento sostituisce la maggior parte delle forme tradizionali di assistenza giudiziaria transfrontaliera.

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Deve segnalarsi, quindi, la stratificazione normativa tra diverse fonti che si è determinata anche per il ritardo con cui il nostro Paese ha autorizzato la ratifica della Convenzione del 2000. Infatti, l’art. 34 della citata direttiva 2014/41/UE sull’ordine europeo di indagine penale ha stabilito che -a decorrere dal 22 maggio 2017- la disciplina della stessa direttiva (ad eccezione di quella sulle squadre investigative comuni) sostituisce le corrispondenti disposizioni delle convenzioni UE, tra cui proprio la citata Convenzione di Bruxelles del 2000 sull’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati dell’Unione che, quindi, attuata dal D.Lgs. 52/2017, sembra aver avuto vigenza estremamente limitata. Tale effetto era stato del resto già prefigurato dallo stesso Governo che, nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo attuativo della Convenzione (ora D.Lgs. 52 del 2017), rilevava che, con riguardo ai Paesi membri dell’Unione europea, le corrispondenti disposizioni della Convenzione sono destinate ad essere sostituite dalla direttiva 2014/41/UE relativa all'ordine europeo di indagine penale. In base all'art. 35 della citata direttiva, è previsto che solo «le richieste di assistenza giudiziaria ricevute anteriormente al 22 maggio 2017 continuino ad essere disciplinate dagli strumenti esistenti relativi all'assistenza giudiziaria in materia penale». Lo spazio applicativo della disciplina di attuazione della Convenzione del 2000 -oltre che in relazione alle domande di assistenza pervenute da Paesi membri entro la citata data del 22 maggio 2017sembra, quindi, residuare per le richieste di assistenza giudiziaria da parte di Paesi membri dell’Unione cui non si applica la direttiva 2014/41/UE (quali Danimarca ed Irlanda). Inoltre, negli ultimi anni, l’obiettivo di una maggiore cooperazione nel settore dell’assistenza giudiziaria penale è stato perseguito nel nostro ordinamento con l’attuazione nel 2016 di una serie di decisioni quadro ispirate al principio del mutuo riconoscimento e della libera circolazione dei mezzi di prova. Il riferimento va, in particolare, ai decreti legislativi relativi: - alle squadre investigative comuni (D.Lgs. 34/2016, di attuazione della decisione quadro 2002/465/GAI); - all’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio (D.Lgs. 35/2016, di attuazione della decisione quadro 2003/577/GAI); - all’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie (D.Lgs. 37/2016, di attuazione della decisione quadro 2005/214/GAI); - al rafforzamento dei diritti processuali delle persone e all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo (D.Lgs. 31/2016, di attuazione della decisione quadro 2009/299/GAI); - all’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare (D.Lgs. 36/2016, di attuazione della decisione quadro 2009/829/GAI); - all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle sentenze e delle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive (D.Lgs. 38/2016, di attuazione della decisione quadro 2008/947/GAI); alla prevenzione e alla risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali (D.Lgs. 29/2016, di attuazione della decisione quadro 2009/948/GAI); - alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri

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dell'Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale. (D.Lgs. 73/2016, di attuazione della decisione quadro 2008/675/GAI); - all'organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario (D.Lgs. 74/2016, di attuazione della decisione quadro 2009/315/GAI); - all’istituzione del Sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS), (D.Lgs. 75/2016, di attuazione della decisione 2009/316/GAI). È in questo quadro normativo che si inserisce la citata legge delega n. 149/2016, che trova la sua ratio “nell’unanime riconoscimento dell’inadeguatezza dell’attuale sistema normativo di assistenza giudiziaria, a fronte di una criminalità, specie quella organizzata, che ha esteso il raggio di azione ben oltre i confini del territorio di un singolo Stato, e sa ben sfruttare tutte le opportunità offerte dalla globalizzazione dei mercati e dalle nuove tecnologie di comunicazione e di gestione dell’informazione. La modifica di questo settore del codice di rito penale costituisce una priorità di azione anche nella prospettiva della ratifica di molte convenzioni internazionali, che in anni recenti hanno dato il segno di una sempre maggiore volontà di cooperazione nel contrasto ai fenomeni criminali. Appare opportuno, in chiave di semplificazione, introdurre regole speciali per la cooperazione tra le autorità degli Stati che non fanno parte dell’Unione Europea, che andranno distinte dalla regolamentazione dei rapporti con i Paesi membri dell’Unione Europea” (si veda in tal senso l’Atto del Governo n. 434, sottoposto a parere parlamentare in data 31 luglio 2017). La delega valorizza la distinzione tra cooperazione in materia penale con le autorità degli Stati che non fanno parte dell’Unione Europea e cooperazione con i Paesi che sono invece membri dell’Unione: posto che la cooperazione giudiziaria tra Stati non è più un’opzione, ma è diventata un’esigenza, è evidente che non può soggiacere alle medesime regole, essendo diversi i rapporti internazionali tra i diversi Stati. Una maggiore semplificazione è certamente possibile in ambito UE, ma lo sforzo è quello di cercare di rendere meno complessi anche i rapporti con gli altri Stati (si veda in tal senso: In divenire la disciplina dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere: appunti sulla L. 21 luglio 2016, n. 149, Nicola Treggiani, www.penalecontemporaneo.it). L’articolo 2 del citato D.Lgs. 149/2017 sostituisce l’art. 696 c.p.p. per affermare il principio di prevalenza del diritto dell’Unione europea, delle convenzioni e del diritto internazionale generale. L’articolo 3 del D.Lgs. n. 149/2017 (sul punto, si veda il successivo commento al Titolo-I bis) prevede l’introduzione del Titolo I-bis, Principi generali del mutuo riconoscimento delle decisioni e dei provvedimenti giudiziari tra Stati membri dell’Unione europea, comprensivo di nove articoli (artt. 696 bis-696 decies). L’articolo 4 della medesima legge (sul punto, si veda il successivo Titolo II, Estradizione) ha individuato i principi e i criteri direttivi di delega, prevedendo la necessità di tenere distinti i rapporti con le autorità di Stati membri dell'Unione Europea da quelli con le autorità di Stati diversi anche se, in entrambi i casi, è riconosciuto il potere del Ministro della giustizia di rifiutare la cooperazione, se lo Stato richiedente assistenza non fornisce idonee garanzie di reciprocità. Questa distinzione è stata ripresa dai principi relativi alla disciplina processuale dell'assistenza giudiziaria a fini di giustizia penale, che delinea, a seconda dei casi,

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specifici poteri di intervento del Ministro della giustizia. Ciò, pur nel quadro di una depoliticizzazione dei rapporti in materia di assistenza giudiziaria prevista dai criteri di delega, che hanno sancito prevalentemente la diretta corrispondenza tra le autorità giudiziarie dei Paesi dell’Unione europea. La delega per la riforma del libro XI del codice di rito penale ha previsto numerosi principi e criteri direttivi specifici relativi, tra l’altro, a: - differenziazione delle fonti in materia di cooperazione giudiziaria penale in relazione all’appartenenza o meno del Paese all’Unione europea e poteri del Ministro della giustizia; - trasmissione ed esecuzione delle richieste di assistenza non più alla corte d’appello ma al procuratore della Repubblica distrettuale; - risoluzione dei conflitti quando gli atti da compiere investano le competenze di distretti giudiziari diversi; - mutuo riconoscimento di sentenze ed altre decisioni giudiziarie; - estradizione attiva e passiva; - impiego della videoconferenza; - squadre investigative comuni; - trasferimento temporaneo di persone detenute a fini investigativi; - riconoscimento di sentenze penali straniere e mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei rapporti con Stati membri UE; - trasferimento dei procedimenti giurisdizionali. L’articolo 4, comma 2 del D.Lgs. 149/2017 ha, poi, previsto che nella redazione dei decreti legislativi il Governo doveva tener conto delle eventuali modificazioni della normativa vigente sopravvenute fino al momento di esercizio della delega ed anche che i decreti legislativi dovevano contenere le necessarie disposizioni di coordinamento con le altre norme vigenti in materia. L’articolo 5 del D.Lgs. 149/2017 modifica gli articoli da 720 a 722 del codice di procedura penale, in materia di estradizione dall’estero, in attuazione del comma 1, lett. d), nn. da 9 a 13 della norma di delega, introducendo anche ulteriori disposizioni (artt. 721-bis e 722-bis c.p.p.). L’articolo 6 introduce modifiche alla disciplina dell’assistenza giudiziaria richiesta al giudice italiano dalle autorità giudiziarie estere (il cd. versante passivo dell’assistenza), le quali modifiche interessano gli articoli da 723 a 726-sexies del codice processuale penale. Si tratta di disposizioni che regolano specifici strumenti di assistenza, già disciplinati da normativa UE ed internazionale. Le modifiche alla disciplina del versante attivo dell’assistenza giudiziaria (cioè alla disciplina delle rogatorie richieste dall’autorità giudiziaria italiana a quella estera), di cui all’articolo 7 dello schema di decreto, riguardano gli artt. da 727 a 729 quinquies del codice di rito penale. L’articolo 8 del D.Lgs. n. 149/2017 modifica gli articoli da 730 a 737-bis del codice di procedura penale. Le novità introdotte sono principalmente volte alla semplificazione ed accelerazione del procedimento che porta al riconoscimento della decisione da parte della corte d’appello, in attuazione del comma 1, lett. e) della norma di delega. L’articolo 9 interviene sugli articoli da 742 a 743 del codice di procedura, in tema di esecuzione di sentenza all’estero.

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L’articolo 10 prevede la possibilità del reciproco trasferimento dei procedimenti penali tra Stati membri della UE e mira a risolvere eventuali conflitti di giurisdizione, nonché a pervenire ad una soluzione concordata tra gli Stati. Tale materia non è attualmente disciplinata dal codice di procedura penale. Viene quindi adeguata – in attuazione del comma 1, lett. g) della delega - la disciplina del codice di rito con l’inserimento nel libro XI di un nuovo Titolo IV-bis composto da tre nuove disposizioni.

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C.p.p. Libro I. Soggetti COMMENTO Il Libro in commento è costituito dalle norme relative ai profili dei diversi protagonisti della vicenda processuale. In via preliminare, appare opportuno sottolineare come la scelta di collocare tali disposizioni all'inizio del codice di rito è perfettamente coerente con le peculiarità del modello accusatorio per il quale ha optato il legislatore del 1989, il quale da un processo inquisitorio caratterizzato dalla centralità dell'azione penale, alla cui disciplina erano, appunto, riservate le norme di apertura del codice previgente, è addivenuto alla costruzione di un nuovo sistema di regole funzionali a garantire una corretta dialettica tra accusa e difesa nell'accertamento della verità processuale, al cospetto di un giudice terzo e imparziale. Ogni soggetto coinvolto in tale contesto dinamico risulta avere, pertanto, una sua precisa dimensione e collocazione a seconda del ruolo che è chiamato a ricoprire. Si è, in altri termini, in presenza di una normativa sistematica che, partendo da colui che esercita l'attività giurisdizionale, si sviluppa attraverso la regolamentazione degli aspetti strutturali e funzionali del pubblico ministero, della polizia giudiziaria, dell'imputato, della parte civile, del responsabile civile e civilmente obbligato per pena pecuniaria, della persona offesa dal reato e del difensore. La disciplina, senza dubbio organica e nutrita, non presenta, tuttavia, prescrizioni specifiche in relazione agli ausiliari del giudice e del pubblico ministero né ad altri protagonisti del processo, quali testimoni, periti e consulenti tecnici, i cui profili vengono trattati in contesti del codice diversi dal libro in esame, sulla base della considerazione precipua del ruolo da essi svolto nel procedimento di formazione del quadro istruttorio. Pur rilevando l'assenza di una definizione legislativa “neutra” della nozione di soggetto processuale, risulta senza dubbio utile una distinzione tra tale figura e quella di parte processuale in senso proprio. Se nella prima categoria sono annoverabili indistintamente tutti coloro i quali prendono parte alla vicenda processuale, con il termine “parte” si fa esclusivo riferimento a chi è titolare del diritto alla pronuncia giurisdizionale finale sulla base di uno specifico interesse, personale (imputato, ed eventualmente persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, parte civile e responsabile civile) o istituzionale (pubblico ministero), fatto valere nel procedimento nel rispetto dei principi che lo informano. È evidente, pertanto, come la qualità di parte non possa essere riconosciuta né all'organo giudicante, vista la sua posizione istituzionale di terzietà e imparzialità (art. 111 Cost.), né alla persona offesa dal reato, in considerazione della sua funzione sollecitatoria, né alla polizia giudiziaria e al difensore, le cui attività sono semplicemente funzionali a sostenere, nelle rispettive sfere di azione, il pubblico ministero, nell'esercizio dell'azione penale, e l'imputato, nell'esercizio del diritto costituzionale alla difesa della propria situazione in relazione all'imputazione formulata.

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In base a quanto stabilito dall'art. 23, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176 (c.d. “decreto ristori”), per consentire l'esercizio dell'attività giurisdizionale nella vigenza della emergenza epidemiologica da covid-19 «[…]. 2. Nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero e la polizia giudiziaria possono avvalersi di collegamenti da remoto, individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, per compiere atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone, salvo che il difensore della persona sottoposta alle indagini si opponga, quando l'atto richiede la sua presenza. Le persone chiamate a partecipare all'atto sono tempestivamente invitate a presentarsi presso l'ufficio di polizia giudiziaria più vicino al luogo di residenza, che abbia in dotazione strumenti idonei ad assicurare il collegamento da remoto. Presso tale ufficio le persone partecipano al compimento dell'atto in presenza di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, che procede alla loro identificazione. Il compimento dell'atto avviene con modalità idonee a salvaguardarne, ove necessario, la segretezza e ad assicurare la possibilità per la persona sottoposta alle indagini di consultarsi riservatamente con il proprio difensore. Il difensore partecipa da remoto mediante collegamento dal proprio studio, salvo che decida di essere presente nel luogo ove si trova il suo assistito. Il pubblico ufficiale che redige il verbale dà atto nello stesso delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l'identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni, nonchè dell'impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell'articolo 137, comma 2, del codice di procedura penale. La partecipazione delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare è assicurata con le modalità di cui al comma 4. Con le medesime modalità di cui al presente comma il giudice può procedere all'interrogatorio di cui all'articolo 294 del codice di procedura penale. 3. Le udienze dei procedimenti civili e penali alle quali è ammessa la presenza del pubblico possono celebrarsi a porte chiuse, ai sensi, rispettivamente, dell'articolo 128 del codice di procedura civile e dell'articolo 472, comma 3, del codice di procedura penale. 4. La partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate, in stato di custodia cautelare, fermate o arrestate, è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell'articolo 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. Il comma 9 dell'articolo 221 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, è abrogato. 5. Le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice possono essere tenute mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Lo svolgimento dell'udienza avviene con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti. Prima

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dell'udienza il giudice fa comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione giorno, ora e modalità del collegamento. I difensori attestano l'identità dei soggetti assistiti, i quali, se liberi o sottoposti a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, partecipano all'udienza solo dalla medesima postazione da cui si collega il difensore. In caso di custodia dell'arrestato o del fermato in uno dei luoghi indicati dall'articolo 284, comma 1, del codice di procedura penale, la persona arrestata o fermata e il difensore possono partecipare all'udienza di convalida da remoto anche dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria attrezzato per la videoconferenza, quando disponibile. In tal caso, l'identità della persona arrestata o fermata è accertata dall'ufficiale di polizia giudiziaria presente. L'ausiliario del giudice partecipa all'udienza dall'ufficio giudiziario e dà atto nel verbale d'udienza delle modalità di collegamento da remoto utilizzate, delle modalità con cui si accerta l'identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni, nonchè dell'impossibilità dei soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell'articolo 137, comma 2, del codice di procedura penale, o di vistarlo, ai sensi dell'articolo 483, comma 1, del codice di procedura penale. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano, qualora le parti vi acconsentano, anche alle udienze preliminari e dibattimentali. Resta esclusa, in ogni caso, l'applicazione delle disposizioni del presente comma alle udienze nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti, nonchè alle ipotesi di cui agli articoli 392, 441 e 523 del codice di procedura penale. 6. […]. 7. In deroga al disposto dell'articolo 221, comma 7, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, il giudice può partecipare all'udienza anche da un luogo diverso dall'ufficio giudiziario. 8. Per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione a norma degli articoli 127 e 614 del codice di procedura penale la Corte di cassazione procede in Camera di consiglio senza l'intervento del procuratore generale e dei difensori delle altre parti, salvo che una delle parti private o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale. Entro il quindicesimo giorno precedente l'udienza, il procuratore generale formula le sue richieste con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata. La cancelleria provvede immediatamente a inviare, con lo stesso mezzo, l'atto contenente le richieste ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, possono presentare con atto scritto, inviato alla cancelleria della corte a mezzo di posta elettronica certificata, le conclusioni. Alla deliberazione si procede con le modalità di cui al comma 9; non si applica l'articolo 615, comma 3, del codice di procedura penale e il dispositivo è comunicato alle parti. La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal procuratore generale o dal difensore abilitato a norma dell'articolo 613 del codice di procedura penale entro il termine perentorio di venticinque giorni liberi prima dell'udienza e presentata, a mezzo di posta elettronica certificata, alla cancelleria. Le previsioni di cui al presente comma non si applicano ai procedimenti per i quali l'udienza di trattazione ricade entro il termine di quindici giorni dall'entrata in vigore del presente decreto. Per i procedimenti nei quali l'udienza ricade tra il sedicesimo e il trentesimo giorno dall'entrata in vigore del presente decreto la richiesta di

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discussione orale deve essere formulata entro dieci giorni dall'entrata in vigore del presente decreto. 8-bis. […]. 9. Nei procedimenti civili e penali le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato Camera di consiglio a tutti gli effetti di legge. Nei procedimenti penali, dopo la deliberazione, il presidente del collegio o il componente del collegio da lui delegato sottoscrive il dispositivo della sentenza o l'ordinanza e il provvedimento è depositato in cancelleria ai fini dell'inserimento nel fascicolo il prima possibile. Nei procedimenti penali le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle deliberazioni conseguenti alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio, svolte senza il ricorso a collegamento da remoto. 9-bis. […] 9-ter. In ragione delle limitazioni poste dalle misure antipandemiche, l'incolpato e il suo difensore possono partecipare all'udienza di cui all'articolo 18 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, mediante collegamento da remoto, a mezzo dei sistemi informativi individuati e resi disponibili con provvedimento del direttore dell'ufficio dei sistemi informativi del Consiglio superiore della magistratura. Prima dell'udienza, la sezione disciplinare fa comunicare all'incolpato e al difensore, che abbiano fatto richiesta di partecipare da remoto, giorno, ora e modalità del collegamento. 10. […]». Il successivo art. 23-bis D.L. 137/2020, conv. in L. 176/2020, stabilisce che: «1. A decorrere dal 9 novembre 2020 e fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 1 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, fuori dai casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l'imputato manifesti la volontà di comparire. 2. Entro il decimo giorno precedente l'udienza, il pubblico ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, o a mezzo dei sistemi che sono resi disponibili e individuati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati. La cancelleria invia l'atto immediatamente, per via telematica, ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del decretolegge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, possono presentare le conclusioni con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica, ai sensi dell'articolo 24 del presente decreto. 3. Alla deliberazione la corte di appello procede con le modalità di cui all'articolo 23, comma 9. Il dispositivo della decisione è comunicato alle parti.

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4. La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal pubblico ministero o dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza ed è trasmessa alla cancelleria della corte di appello attraverso i canali di comunicazione, notificazione e deposito rispettivamente previsti dal comma 2. Entro lo stesso termine perentorio e con le medesime modalità l'imputato formula, a mezzo del difensore, la richiesta di partecipare all'udienza. 5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei procedimenti nei quali l'udienza per il giudizio di appello è fissata entro quindici giorni a far data dal 9 novembre 2020. 6. In deroga alla disposizione di cui al comma 4, nei procedimenti nei quali l'udienza è fissata tra il sedicesimo e il trentesimo giorno dalla data del 9 novembre 2020, la richiesta di discussione orale o di partecipazione dell'imputato all'udienza è formulata entro il termine perentorio di cinque giorni a far data dal 9 novembre 2020. 7. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche nei procedimenti di cui agli articoli 10 e 27 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e all'articolo 310 del codice di procedura penale. In quest'ultimo caso, la richiesta di discussione orale di cui al comma 4 deve essere formulata entro il termine perentorio di cinque giorni liberi prima dell'udienza». L'art. 23-ter del medesimo D.L. 137/2020, conv. in L. 176/2020, dispone che: «1. A decorrere dal 9 novembre 2020 e fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 1 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, i giudizi penali sono sospesi durante il tempo in cui l'udienza è rinviata per l'assenza del testimone, del consulente tecnico, del perito o dell'imputato in procedimento connesso i quali siano stati citati a comparire per esigenze di acquisizione della prova, quando l'assenza è giustificata dalle restrizioni ai movimenti imposte dall'obbligo di quarantena o dalla sottoposizione a isolamento fiduciario in conseguenza delle misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 sul territorio nazionale previste dalla legge o dalle disposizioni attuative dettate con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro della salute. Per lo stesso periodo di tempo sono sospesi il corso della prescrizione e i termini previsti dall'articolo 303 del codice di procedura penale. 2. Nei casi di cui al comma 1, l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione delle restrizioni ai movimenti, dovendosi avere riguardo, in caso contrario, agli effetti della durata della sospensione del corso della prescrizione e dei termini previsti dall'articolo 303 del codice di procedura penale, al tempo della restrizione aumentato di sessanta giorni. 3. Nel computo dei termini di cui all'articolo 304, comma 6, del codice di procedura penale, salvo che per il limite relativo alla durata complessiva della custodia cautelare, non si tiene conto dei periodi di sospensione di cui al comma 1. 4. Il corso dei termini di cui all'articolo 15, commi 2 e 6, del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, è sospeso durante il tempo in cui il procedimento disciplinare è rinviato per l'assenza del testimone, del consulente tecnico, del perito o di altra persona citata a comparire per esigenze di acquisizione della prova, quando

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l'assenza è giustificata dalle restrizioni ai movimenti imposte dall'obbligo di quarantena o dalla sottoposizione a isolamento fiduciario in conseguenza delle misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 sul territorio nazionale previste dalla legge o dalle disposizioni attuative dettate con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro della salute. Agli effetti della durata della sospensione dei termini si applica la disposizione di cui al comma 2». Il successivo art. 24 del citato D.L. 137/2020, conv. in L. 176/2020 al fine di semplificare le attività di deposito di atti, documenti e istanze, nella vigenza della emergenza epidemiologica da covid-19, stabilisce che: «In deroga a quanto previsto dall'articolo 221, comma 11, del decreto-legge n. 34 del 2020 convertito con modificazioni dalla legge n. 77 del 2020, fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, il deposito di memorie, documenti, richieste ed istanze indicate dall'articolo 415-bis, comma 3, del codice di procedura penale presso gli uffici delle procure della repubblica presso i tribunali avviene, esclusivamente, mediante deposito dal portale del processo penale telematico individuato con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia e con le modalità stabilite nel medesimo provvedimento, anche in deroga alle previsioni del decreto emanato ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24. Il deposito degli atti si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento. 2. Con uno o più decreti del Ministro della giustizia, saranno indicati gli ulteriori atti per quali sarà reso possibile il deposito telematico nelle modalità di cui al comma 1. 3. Gli uffici giudiziari, nei quali è reso possibile il deposito telematico ai sensi dei commi 1 e 2, sono autorizzati all'utilizzo del portale, senza necessità di ulteriore verifica o accertamento da parte del Direttore generale dei servizi informativi automatizzati. 4. Per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, è consentito il deposito con valore legale mediante invio dall'indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui all'articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44. Il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici. Con il medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e alla sottoscrizione digitale e le ulteriori modalità di invio. Quando il messaggio di posta elettronica certificata eccede la dimensione massima stabilita nel provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al presente comma, il deposito può essere eseguito mediante l'invio di più messaggi di

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posta elettronica certificata. Il deposito è tempestivo quando è eseguito entro la fine del giorno di scadenza. 5. Ai fini dell'attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati tramite posta elettronica certificata ai sensi del comma 4, il personale di segreteria e di cancelleria degli uffici giudiziari provvede ad annotare nel registro la data di ricezione e ad inserire l'atto nel fascicolo telematico. Ai fini della continuità della tenuta del fascicolo cartaceo provvede, altresì, all'inserimento nel predetto fascicolo di copia analogica dell'atto ricevuto con l'attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell'ufficio e dell'intestazione della casella di posta elettronica certificata di provenienza. 6. Per gli atti di cui al comma 1 e per quelli che saranno individuati ai sensi del comma 2 l'invio tramite posta elettronica certificata non è consentito e non produce alcun effetto di legge. 6-bis. Fermo quanto previsto dagli articoli 581, 582, comma 1, e 583 del codice di procedura penale, quando il deposito di cui al comma 4 ha ad oggetto un'impugnazione, l'atto in forma di documento informatico è sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 e contiene la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all'originale. 6-ter. L'impugnazione è trasmessa tramite posta elettronica certificata dall'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore a quello dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, individuato ai sensi del comma 4, con le modalità e nel rispetto delle specifiche tecniche ivi indicate. Non si applica la disposizione di cui all'articolo 582, comma 2, del codice di procedura penale. 6-quater. I motivi nuovi e le memorie sono proposti, nei termini rispettivamente previsti, secondo le modalità indicate nei commi 6-bis e 6-ter, con atto in formato elettronico trasmesso tramite posta elettronica certificata dall'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore a quello dell'ufficio del giudice dell'impugnazione, individuato ai sensi del comma 4. 6-quinquies. Le disposizioni di cui ai commi 6-bis, 6-ter e 6-quater si applicano a tutti gli atti di impugnazione, comunque denominati, e, in quanto compatibili, alle opposizioni di cui agli articoli 410, 461 e 667, comma 4, del codice di procedura penale e ai reclami giurisdizionali previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354. Nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, l'atto di impugnazione, in deroga a quanto disposto dal comma 6-ter, è trasmesso all'indirizzo di posta elettronica certificata del tribunale di cui all'articolo 309, comma 7, del codice di procedura penale. 6-sexies. Fermo quanto previsto dall'articolo 591 del codice di procedura penale, nel caso di proposizione dell'atto ai sensi del comma 6-bis l'impugnazione è altresì inammissibile: a) quando l'atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore; b) quando le copie informatiche per immagine di cui al comma 6-bis non sono sottoscritte digitalmente dal difensore per conformità all'originale; c) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui al comma 4;

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d) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è intestato al difensore; e) quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all'articolo 309, comma 7, del codice di procedura penale dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4. 6-septies. Nei casi previsti dal comma 6-sexies, il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato dichiara, anche d'ufficio, con ordinanza l'inammissibilità dell'impugnazione e dispone l'esecuzione del provvedimento impugnato. 6-octies. Le disposizioni del comma 6-sexies si applicano, in quanto compatibili, agli atti indicati al comma 6-quinquies. 6-novies. Ai fini dell'attestazione del deposito degli atti trasmessi tramite posta elettronica certificata ai sensi dei commi da 6-bis a 6-quinquies e della continuità della tenuta del fascicolo cartaceo, la cancelleria provvede ai sensi del comma 5. 6-decies. Le disposizioni di cui ai commi da 6-bis a 6-novies si applicano agli atti di impugnazione di qualsiasi tipo, agli atti di opposizione e ai reclami giurisdizionali proposti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Fino alla suddetta data conservano efficacia gli atti di impugnazione di qualsiasi tipo, gli atti di opposizione e i reclami giurisdizionali in formato elettronico, sottoscritti digitalmente, trasmessi a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto alla casella di posta elettronica certificata del giudice competente, ai sensi del comma 4. […].».

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C.p.p. Titolo I. Disposizioni generali COMMENTO Il Titolo in commento, nel disciplinare la materia degli atti del processo, prende in considerazione un particolare aspetto dell'atto stesso: la forma. Il nostro ordinamento giuridico, al fine di garantire in maniera effettiva i diritti di coloro che si trovano coinvolti in un procedimento penale, ha predisposto che gli atti principali del processo abbiano una forma vincolata. In particolare, nel Titolo in oggetto, vengono analizzate, da un lato, le modalità di esternazione dell'atto compiuto e, dall'altro, la sua documentazione: le prime possono manifestarsi in diversi modi (oralmente, per iscritto, attraverso atteggiamenti) e servono ad esprimere quanto contenuto nell'atto; la seconda, anch'essa di varia natura, permette di conservare quanto svolto nel corso delle attività espletate, al fine di renderne possibile l'utilizzazione ed il controllo da parte degli organi a ciò preposti. Principio ispiratore dell'attuale codice di rito è quello dell'oralità degli atti: corollario di tale assunto è il fatto che gli atti nel processo sono adottati normalmente in forma orale, tranne i casi in cui la legge stabilisce diversamente; quanto alle forme di documentazione, quelle disciplinate dal codice in commento sono il verbale, l'annotazione e la riproduzione fonografica o audiovisiva. Altro principio fondamentale del sistema vigente è quello della segretezza degli atti, funzionale alla tutela sia della dignità di coloro che sono implicati in un procedimento penale, sia delle indagini effettuate, che potrebbero essere compromesse dalla libera conoscibilità e divulgabilità di talune delle relative risultanze.

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C.p.p. Titolo II. Atti e provvedimenti del giudice COMMENTO Il presente Titolo del codice disciplina la materia relativa agli atti e provvedimenti del giudice, strumenti attraverso i quali l'organo giudicante pronuncia le sue decisioni sia nel corso che al termine del procedimento. L'esigenza di semplificare al massimo le modalità di svolgimento del processo tramite l'eliminazione di tutti i passaggi superflui indurrebbe a pensare che il legislatore abbia inteso lasciare ampia libertà di forme, ma così non è. Apparentemente sembra idonea una distinzione fra la fase delle indagini preliminari e quella del processo vero e proprio, dove nel primo caso gli atti potrebbero essere considerati a forma libera, perché prevarrebbe l'interesse al raggiungimento degli scopi investigativi, mentre nel secondo a forma vincolata. Un'analisi rigorosa della materia, però, mette subito in luce l'infondatezza di tale assunto, in considerazione del fatto che durante le indagini preliminari entrano in gioco interessi e misure che possono incidere sulla libertà personale, bene costituzionalmente garantito e, in quanto tale, suscettibile di limitazioni soltanto a seguito di provvedimenti tipizzati e precostituiti nelle loro forme. Da questa breve e generale analisi sugli atti del giudice si può dedurre che i provvedimenti, pur esistendo anche a forma libera, sono per la maggior parte a forma vincolata. Le tre principali fattispecie provvedimentali sono: - la sentenza; - l'ordinanza; - il decreto. Tutte rispondono a tre diverse funzioni e sottostanno ad una differente regolamentazione giuridica.

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C.p.p. Titolo III. Documentazione degli atti COMMENTO Il Titolo III del Libro II del codice predispone una disciplina generale sulla documentazione, attività necessaria perché degli atti compiuti nel corso del procedimento rimanga traccia. Dal punto di vista strettamente concettuale la documentazione può essere definita come l'insieme di operazioni attraverso le quali gli atti delle singole fasi procedimentali vengono inseriti all'interno del procedimento complessivamente inteso, affinché le parti e il giudice possano avere la possibilità di conoscerli per esercitare un'attività di controllo sulla loro legittimità e per tenerne a memoria il contenuto. Il momento conclusivo dell'opera di documentazione è la formazione del documento che, in termini generali, può essere definito come l'atto o l'oggetto espressione di un pensiero, di una dichiarazione o di un'attività svolta. Esso è riconoscibile da determinati requisiti, che possono essere così sintetizzati: - redazione in forma scritta; - cristallizzazione in un qualunque oggetto materiale capace di rappresentare un determinato evento o fatto; - riconoscibilità dell'autore; - contenuto comprendente la narrazione di un fatto (documento espositivo) o la dichiarazione di una volontà (documento dichiarativo); - contenuto giuridicamente rilevante. In un ordinamento processuale ispirato ai principi del modello accusatorio, la possibilità di adottare provvedimenti anche in forma orale ha comportato un forte aumento delle fattispecie di documentazione: pertanto lo scopo primario di una disciplina di tal genere trova fondamento nel fatto che il legislatore ha inteso mettere a disposizione mezzi di documentazione rapidi e sicuri, per evitare le lungaggini dovute alla complessità e lentezza di certe strumentazioni, che si ripercuotono, poi, sulla durata del procedimento, garantendo, al tempo stesso, un elevato grado di efficienza. Le norme contenute nel presente titolo trattano quasi esclusivamente (fanno eccezione gli artt. 141 e 141-bis) dell'attività documentativa del giudice; per quanto concerne il pubblico ministero l'art. 373 rinvia alla disciplina relativa agli atti del giudice; mentre per la polizia giudiziaria si fa riferimento alle modalità di documentazione del pubblico ministero, determinandosi così un “doppio rinvio” [357].

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C.p.p. Titolo IV. Traduzione degli atti COMMENTO Il Titolo in oggetto disciplina la problematica relativa alla traduzione degli atti. Tale materia si basa su argomentazioni che trovano fondamento in alcuni principi costituzionalmente garantiti e socialmente acquisiti, come il diritto inviolabile di difesa [Cost. 24] e quello di uguaglianza di tutti i cittadini [Cost. 3]. Verità inconfutabile è il fatto che i suddetti diritti vengono assicurati in maniera effettiva soltanto quando la persona coinvolta in un procedimento penale, di lingua diversa dall'italiano o comunque non in grado di comprendere la lingua italiana, ha la possibilità di comunicare e di comprendere le accuse che gli vengono mosse. La disciplina sulla traduzione degli atti trova riscontro normativo non soltanto sul piano nazionale, ma anche internazionale: alcune Convenzioni, infatti, quali quella per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali o il Patto internazionale sui diritti civili e politici, stabiliscono che l'accusato deve essere messo in condizione di poter avere cognizione dei motivi dell'accusa che gli viene rivolta.

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C.p.p. Titolo V. Notificazioni COMMENTO 1. Richiesta di archiviazione. 2. Se la consegna de visu all'imputato militare non è possibile, l'atto è notificato presso l'ufficio del comandante [158].

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C.p.p. Titolo V. Notificazioni COMMENTO Il Titolo in argomento tratta la problematica relativa alla notificazione, istituto previsto dal nostro ordinamento, da un lato, per assicurare che gli atti del procedimento possano essere conosciuti da soggetti diversi rispetto a quelli che li hanno formati e, dall'altro, per garantire “celerità processuale”. Le modalità attraverso le quali le notificazioni vengono eseguite si compongono di tre distinti momenti: - fase d'impulso: l'organo esecutivo riceve l'ordine di notificare un determinato atto, che può consistere in un atto procedimentale (esempio n. 1) o nell'avviso di un'operazione da realizzare o già realizzata; - fase di esecuzione: l'organo esecutivo cerca l'interessato e consegna l'atto; - fase documentativa: l'organo esecutivo certifica formalmente l'attività svolta (relata di notifica). Nel dettaglio, il codice contiene una normativa piuttosto particolareggiata dalla quale emerge che il destinatario può ricevere la notificazione sia in maniera diretta che mediata: nel primo caso si parla di conoscenza reale, nel secondo di conoscenza legale (esempio n. 2). Ultimato il procedimento di notificazione sussiste una presunzione legale di conoscenza dell'atto consegnato; pertanto la possibilità di ricorrere all'espediente della conoscenza legale è concesso soltanto quando non è ipotizzabile pervenire alla conoscenza reale dell'atto da notificare, dopo che sono state eseguite tutte le attività, previste dalla legge, tese a rintracciare il destinatario.

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C.p.p. Titolo VI. Termini COMMENTO Il procedimento penale è costituito da un complesso di atti che si susseguono secondo una connessione logica e cronologica: ogni atto della sequenza, infatti, trova in quello che lo precede il suo antecedente logico necessario. In tale contesto si colloca la disciplina sui termini processuali, che, da un lato, circoscrive il limite temporale entro il quale una certa attività può essere eseguita e, dall'altro, sancisce la caducazione del valore giuridico di un atto. I termini possono essere: - acceleratori: sono previsti per rendere più celere lo svolgimento delle attività processuali e si configurano quando l'atto deve essere compiuto entro un certo termine stabilito; - dilatori: inibiscono ad un soggetto di eseguire una determinata attività prima della scadenza del termine stesso; - perentori: entro i quali l'atto deve essere necessariamente compiuto, pena la perdita del potere di realizzarlo; - ordinatori: termini la cui scadenza non comporta la decadenza del potere di compiere l'atto, ma ai quali può conseguire una sanzione disciplinare.

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C.p.p. Titolo VII. Nullità COMMENTO Gli atti del processo penale sono, per la maggior parte, a forma vincolata; è la stessa legge, cioè, a stabilire preventivamente i requisiti legali di cui i medesimi devono essere dotati per poter produrre effetti giuridicamente rilevanti e per poter svolgere le funzioni a cui sono preordinati. Quando l'atto si discosta dallo schema legale prestabilito si configurano diverse ipotesi di invalidità, che possono essere qualificate come segue: - decadenza: l'atto è invalido quando viene compiuto dopo la scadenza di un termine perentorio; - nullità: l'atto risulta essere privo dei requisiti previsti dalla legge. Esistono tre diverse tipologie di nullità: assolute, a regime intermedio e relative; esse si distinguono per il differente rilievo dell'interesse tutelato dalla norma che viene elusa, per i diversi effetti che provocano sul procedimento e per la diversificata disciplina in materia di sanatoria dei vizi; - inammissibilità: la richiesta di una parte, priva dei requisiti stabiliti dalla legge, non può essere presa in considerazione dal giudice di merito; - inutilizzabilità: incide sul valore probatorio dell'atto e si configura quando il giudice non può farvi riferimento ai fini della decisione. Il nostro sistema, basato sul principio di economia processuale, ha portato il legislatore a dare rilevanza alla cosiddetta conservazione degli atti imperfetti: ciò implica che un atto è in grado di produrre gli effetti suoi propri, seppur precari, anche se non è perfettamente valido, prima che ne sia dichiarata l'invalidità definitiva o prima che esso venga sanato. L'atto non conforme al paradigma legale non sempre configura un'ipotesi di invalidità, esistendo anche la mera irregolarità. Essa sussiste quando l'atto contiene un vizio, ma tale vizio non è considerato dall'ordinamento giuridicamente rilevante; da ciò discende la perfetta validità ed efficacia dell'atto stesso e il giudice avrà la facoltà di considerarlo nella formulazione della decisione e di valutarne il valore probatorio.

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C.p.p. Libro II. Atti COMMENTO Il Libro in commento regola la materia degli atti compiuti nel corso del processo penale. Per delimitare e circoscrivere in maniera precisa il perimetro di riferimento del presente libro, è bene distinguere le nozioni di fatto e di atto giuridico: il primo può essere definito come un qualunque fenomeno umano o naturale capace di produrre effetti giuridicamente rilevanti; il secondo, invece, consiste in un fatto giuridico dotato di un quid pluris costituito dalla consapevolezza e volontarietà dell'atto da parte del soggetto che lo pone in essere. Tuttavia nel nostro ordinamento giuridico non sono rinvenibili norme in grado di dare una definizione unitaria del termine “atto”, ed in materia processual-penalistica esso può essere inteso come quel fatto o comportamento realizzato da un soggetto a ciò legittimato e destinato a pervenire all'emanazione di una pronuncia penale. Premesso quanto sopra e partendo dalla considerazione che l'attuale impostazione del sistema si articola in due grandi fasi all'interno delle quali si sviluppa l'intera vicenda processuale penale - il procedimento (fase della indagini preliminari) e il processo vero e proprio (fasi successive alle indagini preliminari) - può asserirsi che il primo atto del procedimento coincide con il primo atto compiuto immediatamente dopo la ricezione della notizia di reato da parte degli organi competenti.

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C.p.p. Titolo I. Disposizioni generali COMMENTO Le disposizioni contenute nel presente Titolo costituiscono la disciplina generale in tema di prove. Prima di addentrarci in modo approfondito nella materia è utile fare delle precisazioni terminologiche, iniziando dalla distinzione tra il concetto di “prova” e quello di “indizio”. È prova rappresentativa quella per la quale da un determinato fatto si evince, in via deduttiva, il fatto che deve essere provato; è indizio (o prova logica) quel fatto noto, denominato circostanza indiziante, tramite il quale si deduce il fatto che deve essere provato, per mezzo di massime di esperienza o leggi scientifiche. La massima di esperienza può essere definita una regola che rappresenta il comportamento normalmente tenuto dalla generalità dei consociati in presenza di casi simili e si basa su dati scientificamente provati o su esperienze assiduamente ripetute. Ai fini della decisione giudiziale ricoprono un ruolo importante anche i cosiddetti fatti notori, che, secondo la giurisprudenza, non costituiscono oggetto di prova, ma nemmeno necessitano di particolari argomentazioni per essere accertati e verificati: essi consistono in fatti considerati come acquisiti da un determinato gruppo sociale, al quale appartiene anche il giudice e che non richiedono dimostrazioni in punto di prova.

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C.p.p. Capo VII. Documenti COMMENTO In termini generali il documento può essere definito come l'atto o l'oggetto espressione di un pensiero. Esso è riconoscibile da determinati requisiti, che possono essere così sintetizzati: - deve essere redatto in forma scritta; - deve esserne riconoscibile l'autore; - deve contenere la narrazione di un fatto (documento espositivo) o la dichiarazione di una volontà (documento dichiarativo); - deve avere un contenuto giuridicamente rilevante. L'attuale codice di rito, tuttavia, ha ampliato enormemente il concetto di “documento”, ricomprendendo al suo interno qualsiasi scritto o strumento atto a rappresentare fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualunque altro mezzo. I documenti rappresentano la cosiddetta prova precostituita la quale, formatasi al di fuori del procedimento, entra a far parte di questo attraverso il meccanismo dell'acquisizione.

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C.p.p. Titolo II. Mezzi di prova COMMENTO Affinché il convincimento del giudice possa formarsi, è necessario che l'esistenza o l'inesistenza di un fatto venga provata; il nostro ordinamento giuridico pone a carico delle parti il cosiddetto onere della prova, in virtù del quale le stesse parti sono tenute a ricercare gli elementi idonei alla ricostruzione dei fatti oggetto del thema decidendum. I fatti possono essere rappresentati dinanzi al giudice attraverso: - i mezzi di prova: strumenti che mettono a disposizione del giudice elementi che possono essere immediatamente utilizzati per la formazione del proprio convincimento (la testimonianza, l'esame delle parti, i confronti, le ricognizioni, gli esperimenti giudiziali, la perizia e i documenti); - i mezzi di ricerca della prova: strumenti che consentono, in via mediata, di acquisire elementi dotati di valenza probatoria (le ispezioni, le perquisizioni, il sequestro probatorio e le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni) ovvero, più precisamente, quelle fonti di prova operative nel dibattimento. I procedimenti attraverso i quali i mezzi di prova disciplinati dal presente Capo vengono assunti sono caratterizzati da dinamiche di svolgimento che consentono, sia al giudice che alle parti, di verificare l'attendibilità della fonte istruttoria. Tali mezzi di prova, peraltro, possono considerarsi tipici, in quanto disciplinati dalla legge; tuttavia, è utile ricordare che, non essendo in vigore, in materia di prove, il principio di tassatività, è possibile che venga ammessa al processo anche una prova atipica, laddove sussistano i requisiti legali imposti dal legislatore (si rinvia al commento sub art. 189).

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C.p.p. Capo I. Ispezioni COMMENTO L'ispezione è un tipico mezzo di ricerca della prova a sorpresa, attraverso il quale si cerca di accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. Essa viene disposta con decreto motivato, che può essere emesso dall'autorità giudiziaria, dunque non soltanto dal giudice, ma anche dal pubblico ministero. In via eccezionale, inoltre, e tranne il caso di ispezione personale, può essere direttamente eseguita dalla polizia giudiziaria durante le indagini preliminari, quando il pubblico ministero non può effettuarla immediatamente e vi è il rischio che lo stato delle persone, dei luoghi o delle cose venga modificato, sviando, così, le corretta ricostruzione della verità processuale. Nonostante l'apparente somiglianza, l'ispezione va tenuta distinta dalla perquisizione: mentre, infatti, la prima, come detto, ha la finalità di accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato su persone, luoghi o cose, la seconda viene effettuata o per ricercare il corpo del reato o le cose pertinenti al reato su persone o in luoghi determinati, o per arrestare l'imputato o l'evaso che presumibilmente si trova in un determinato posto.

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C.p.p. Capo II. Perquisizioni COMMENTO La perquisizione presuppone l'esistenza di un fondato motivo che consente di ritenere che il corpo del reato o le cose pertinenti al reato si trovino sulla persona o in un determinato luogo. La legittimazione a procedere all'atto non è legata, quindi, a meri sospetti, ma deve ancorarsi all'esistenza di indizi di rilievo convergenti verso la probabilità del rinvenimento della res, oggetto della ricerca sulla persona o nel luogo in cui è disposta la perquisizione. Ciò postula la previa individuazione del thema probandum poiché in tale ambito ha senso la ricerca di un dato afferente a un reato; altrimenti, in difetto di un riconosciuto nesso strumentale con l'attività criminosa, non di mezzo di ricerca della prova si tratta, ma di mezzo di acquisizione della notitia criminis, come tale inammissibile perché in violazione della libertà individuale latu sensu che ha i suoi referenti negli artt. 13 e 14 della Costituzione (così Cassazione n. 1686 del 1993). Dal punto di vista terminologico, la perquisizione può essere definita come quel mezzo di ricerca della prova attraverso il quale: - si ricercano, in persone o luoghi, il corpo del reato o cose pertinenti al reato: corpo del reato sono i mezzi attraverso i quali il fatto criminoso viene compiuto o le cose che rappresentano il prezzo, il prodotto o il profitto dell'illecito; - si esegue, in un dato luogo, l'arresto dell'imputato o dell'evaso: l'imputato è la persona nei confronti della quale si procede nel corso di un procedimento penale; l'evaso è colui che trovandosi in un legittimo stato di arresto o detenzione elude la sorveglianza degli organi deputati a svolgere un'attività di vigilanza; il concetto di evasione non presuppone necessariamente la fuga o l'allontanamento definitivo, essendo sufficiente ad integrarlo anche la sottrazione temporanea dalla sfera di vigilanza degli agenti. La perquisizione può essere effettuata: - dalla polizia giudiziaria: quando il colpevole è colto nella flagranza di reato (stato di chi viene colto nell'atto di commettere il reato o subito dopo il reato viene inseguito ed è sorpreso con cose o tracce dalle quali appare che il soggetto ha commesso il fatto immediatamente prima), quando il reo evade, o, infine, quando vi è una delega del pubblico ministero; - dall'autorità giudiziaria: giudice e pubblico ministero.

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C.p.p. Capo III. Sequestri COMMENTO Il codice disciplina tre distinti tipi di sequestro, contemplati secondo una collocazione sistematica disomogenea: mentre, infatti, il sequestro probatorio è incluso fra i mezzi di ricerca della prova, il sequestro conservativo e quello preventivo fanno parte delle misure cautelari. Nonostante le diverse finalità che li contraddistinguono e la conseguente diversificata disciplina normativa, il procedimento di verifica delle modalità di esecuzione del provvedimento, di fronte al tribunale del riesame, è uniforme per tutti e tre i tipi di sequestro. Prima di addentrarci nella trattazione particolareggiata della materia, appare utile dare una sintetica definizione delle tre fattispecie di sequestro: - sequestro conservativo [➠316-320]: misura cautelare disposta sulle cose dell'imputato per evitare che i propri beni mobili o immobili vengano dispersi, recando pregiudizio ai crediti derivanti dalla sentenza che potrebbe venire emessa; - sequestro preventivo [➠321-323]: misura cautelare applicata per evitare che le cose pertinenti al reato vengano utilizzate per aggravare le conseguenze dell'illecito commesso o per commettere ulteriori fatti criminosi; - sequestro probatorio [➠253-265]: mezzo di ricerca della prova per il quale una determinata cosa viene sottratta alla disponibilità di un soggetto e vi si impone un vincolo di indisponibilità, al fine di evitare che ne venga mutata la consistenza materiale recando pregiudizio al corretto accertamento della verità processuale. Il sequestro, che normalmente viene disposto durante la fase delle indagini preliminari e dopo l'espletamento di un'ispezione o di una perquisizione, può essere eseguito: - dalla polizia giudiziaria: quando sussistono ragioni di urgenza che non rendono possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria o quando vi è una delega del pubblico ministero; - dal pubblico ministero; - dal giudice: durante la fase dibattimentale. Alcune ipotesi di sequestro possono essere cumulativamente disposte sullo stesso oggetto: mentre, però, non è pacifico in giurisprudenza e dottrina se il sequestro probatorio possa essere eseguito insieme a quello preventivo, nonostante la diversità dei presupposti e delle finalità, è, invece, generalmente accettato che il sequestro conservativo sia disposto accanto a quello probatorio o preventivo, essendo differenti le modalità di esecuzione, consistenti, per il primo, nel pignoramento, che sottrae la cosa dal punto di vista giuridico, per i secondi nella indisponibilità materiale del bene. Ricordiamo che a seguito dell’entrata in vigore del Codice antimafia (D.Lgs. 159/2011, nel testo profondamente novellato dalla L. 17 ottobre 2017, n. 161) è stata ridisciplinata tutta la normativa relativa alle misure di prevenzione patrimoniali nei confronti (artt. 4 e da 16 a 34bis):

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a) degli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416-bis c.p.; b) dei soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ovvero del delitto di cui all’articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, o del delitto di cui all’articolo 418 del codice penale; c) di coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; d) di coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; e) di coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio, nonchè dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica; f) degli indiziati di uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-quater, del codice di procedura penale e di coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I del titolo VI del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice, nonchè alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale ovvero a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’articolo 270-sexies del codice penale; g) di coloro che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno 1952, n. 645, e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente; h) coloro che compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti alla ricostituzione del partito fascista ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 645 del 1952, in particolare con l'esaltazione o la pratica della violenza; i) di coloro che – fuori dei casi di cui alle lettere f), g) e h), siano stati condannati per uno dei delitti previsti nella legge 2 ottobre 1967, n. 895, e negli articoli 8 e seguenti della legge 14 ottobre 1974, n. 497, e successive modificazioni, quando debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato alla lettera f); l) degli istigatori, dei mandanti e dei finanziatori dei reati indicati nelle lettere precedenti. È finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o altri beni, conoscendo lo scopo cui sono destinati; m) delle persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza di cui all'articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401; n) delle persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza sportiva, nonchè alle persone che, per il loro comportamento, debba ritenersi, anche sulla base della partecipazione in più occasioni alle medesime manifestazioni, ovvero della reiterata

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applicazione nei loro confronti del divieto previsto dallo stesso articolo, che sono dediti alla commissione di reati che mettono in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica, ovvero l’incolumità delle persone in occasione o a causa dello svolgimento di manifestazioni sportive; o) dei soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 640-bis o del delitto di cui all’articolo 416 del codice penale, finalizzato alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319quater, 320, 321, 322 e 322-bis del medesimo codice; p) dei soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 612-bis del codice penale; q) delle persone fisiche e giuridiche segnalate al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite, o ad altro organismo internazionale competente per disporre il congelamento di fondi o di risorse economiche, quando vi sono fondati elementi per ritenere che i fondi o le risorse possano essere dispersi, occultati o utilizzati per il finanziamento di organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali.

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C.p.p. Capo IV. Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni COMMENTO L'ultimo mezzo di ricerca della prova disciplinato dal codice di procedura penale sono le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, la cui disciplina sostanziale incontra dei rilevanti limiti che derivano dalla difesa della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, considerate inviolabili dalla “Carta costituzionale”. L'art. 15 Cost. infatti, stabilisce espressamente che la limitazione di tali diritti può essere disposta soltanto con atto motivato dell'autorità giudiziaria e nel rispetto delle garanzie sancite dalla legge. Dal punto di vista terminologico, l'intercettazione (rituale) può essere definita come la percezione, da parte di un soggetto terzo, di comunicazioni o conversazioni riservate, che avviene senza che il mittente e il destinatario se ne accorgano (apprensione occulta); la captazione di tali forme comunicative viene operata, in genere, attraverso l'installazione di apposite apparecchiature tecniche. L'intercettazione di comunicazioni interprivate presuppone, quindi, per essere qualificata tale, una serie di requisiti (così Cassazione n. 36747 del 2003): - i soggetti devono comunicare tra loro col preciso intento di escludere eventuali estranei dal contenuto della comunicazione e secondo modalità tali da tenere quest'ultima segreta: una espressione che, pur rivolta ad un soggetto determinato, venga effettuata in modo poco discreto sì da renderla percepibile ai terzi (ad esempio parlando ad alta voce in pubblico, servendosi di onde radio liberamente captabili), non integra il concetto di “corrispondenza” o di “comunicazione”, bensì quello di manifestazione, con l'effetto che si rimane al di fuori del fenomeno in esame e viene in considerazione l'art. 21 (libertà di manifestazione del pensiero) e non l'art. 15 (diritto alla riservatezza) Cost.; peraltro la volontaria scelta di modalità comunicative che rendano accessibili a terzi i corrispondenti dati di conoscenza pone la cognizione di questi ultimi fuori dalla garanzia assicurata proprio dall'art. 15 Cost.; - è necessario l'uso di strumenti tecnici di percezione (elettro-meccanici o elettronici) particolarmente invasivi ed insidiosi, idonei a superare le cautele elementari che dovrebbero garantire la libertà e segretezza del colloquio e a captarne i contenuti: tanto è desumibile dalla lettera della norma di cui all'art. 268 che impone di effettuare, di regola, le operazioni di intercettazione “per mezzo degli impianti installati nella Procura della Repubblica” ed eccezionalmente “mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria”; non sussiste, pertanto, intercettazione “rituale” se l'operatore non si avvale dei detti strumenti e se la cognizione non avviene mediante la predisposizione di un apparato tecnico capace di captare la comunicazione mentre si svolge (particolare è il caso, riconducibile anche nel concetto d'intercettazione, pur discostandosene dallo schema tipico, del terzo che provveda a nascondere, per poi ovviamente recuperarlo, un apparecchio magnetofonico in funzione nella stanza destinata ad ospitare una conversazione tra altre persone, con ascolto “in differita” della riproduzione);

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- l'assoluta estraneità al colloquio del soggetto captante che, in modo clandestino, consenta la violazione della segretezza della conversazione. La delicatezza degli interessi che vengono coinvolti e, in un certo senso, limitati dalle intercettazioni ha portato il legislatore a predisporre una disciplina particolarmente rigorosa: è previsto, infatti, che tali mezzi di ricerca della prova possano essere concretamente eseguiti soltanto in presenza di due provvedimenti, provenienti dal pubblico ministero e dal giudice per le indagini preliminari. Per la stessa ragione già analizzata in premessa, le intercettazioni sono sottoposte a limiti di ammissibilità, cioè sono consentite solo quando le indagini hanno ad oggetto particolari categorie di reati. La Corte costituzionale, con sentenza n. 372 del 2006, ha avuto modo di specificare che l'utilizzazione delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi, limitatamente all'accertamento di una categoria predeterminata di reati presuntivamente capaci di destare particolare allarme sociale, costituisce indubbiamente un non irragionevole bilanciamento operato discrezionalmente dal legislatore fra il valore costituzionale rappresentato dal diritto inviolabile dei singoli individui alla libertà e alla segretezza delle loro comunicazioni e quello rappresentato dall'interesse pubblico primario alla repressione dei reati e al perseguimento in giudizio di coloro che delinquono. La tutela del diritto alla riservatezza può subire variazioni in rapporto all'esigenza concreta – purché costituzionalmente protetta – posta a raffronto. Affinché la norma sfugga alla censura di illegittimità costituzionale non è necessario che dalla differente disciplina del tempo di accessibilità dei dati, a seconda della gravità dei reati da perseguire, derivi una maggiore o minore tutela del diritto alla riservatezza; è sufficiente che la maggiore o minore limitazione sia posta in rapporto con la maggiore o minore gravità attribuita dal legislatore a reati diversi, individuati secondo scelte di politica criminale non censurabili in sede di legittimità costituzionale. Con sentenza n. 30347 del 2007 le Sezioni Unite penali intervengono di nuovo in materia di intercettazioni. Nell'occasione la Cassazione conferma gli approdi ermeneutici del percorso unitario segnato dalle sentenze S.U. n. 17 del 21 giugno 2000, S.U. n. 42792 del 31 ottobre 2001, S.U. n. 919 del 26 novembre 2003, ed S.U. 29 novembre 2005, pervenendo alla enunciazione dei seguenti principi di diritto: a) l'obbligo di motivazione del decreto del p.m., con il quale si dispone l'esecuzione delle operazioni intercettative mediante impianti diversi da quelli in dotazione all'ufficio di Procura, non può ritenersi assolto con il semplice riferimento all'insufficienza o inidoneità degli impianti dell'ufficio, che si limiti a ripetere la formula legislativa; b) qualora non sia assolto dal p.m. l'obbligo motivazionale nei termini sopra indicati, non è consentito al giudice colmare tale mancanza nel giudizio di merito o di legittimità con l'individuazione, in tali sedi, delle effettive ragioni dell'insufficienza o inidoneità degli impianti dell'ufficio, sulla base di atti del processo diversi dal decreto del p.m. e da quelli che lo integrano per relationem.

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C.p.p. Titolo III. Mezzi di ricerca della prova COMMENTO Il Titolo in oggetto disciplina i mezzi di ricerca della prova, strumenti attraverso i quali, in via mediata, vengono introdotti nel procedimento penale elementi rilevanti a fini probatori. Si tratta, in dettaglio, delle ispezioni, delle perquisizioni, dei sequestri e delle intercettazioni. Per agevolare la comprensione della portata di tali atti probatori appare utile fare un confronto, evidenziandone le differenze, con i mezzi di prova, che sono strumenti in grado di produrre, una volta esperiti, elementi dotati di valore probatorio che possono direttamente essere posti a fondamento della decisione finale. Occorre innanzitutto sottolineare che mentre la disciplina sui mezzi di prova ha come naturale destinatario soltanto il giudice - che può assumerli nel corso del dibattimento o nell'incidente probatorio [392] (strumento processuale attraverso il quale è possibile compiere atti di acquisizione probatoria durante la fase delle indagini preliminari e che consente, dunque, di assumere anticipatamente, di fronte al giudice e nel contraddittorio fra le parti, alcune prove a cui verrà conferita rilevanza probatoria nel giudizio) - le regole in tema di mezzi di ricerca della prova operano nei confronti del giudice, del pubblico ministero e, qualora sia consentito, della polizia giudiziaria, e trovano applicazione durante la fase delle indagini preliminari. In secondo luogo, mentre i mezzi di prova, se devono essere eccezionalmente assunti nel corso delle indagini preliminari tramite l'incidente probatorio, non possono essere acquisiti senza il rispetto del principio del contraddittorio, i mezzi di ricerca della prova, quando utilizzati nel corso delle indagini preliminari, possono essere effettuati “a sorpresa”, vale a dire in via immediata e senza darne avviso al difensore dell'interessato, per evitare il rischio di inquinamento probatorio. Infine, mentre i verbali formati al termine dell'espletamento dei mezzi di prova vengono introdotti in via diretta nel fascicolo per il dibattimento, quelli relativi ai mezzi di ricerca della prova solo se irripetibili entrano immediatamente a far parte del suddetto fascicolo.

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C.p.p. Libro III. Prove COMMENTO 1. Perizia, confronto, esperimento giudiziale. 2. Ispezioni, intercettazioni, perquisizioni.

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C.p.p. Libro III. Prove COMMENTO Il Libro III del codice di rito è interamente dedicato alla materia delle prove. Le prove consistono in strumenti atti ad accertare la sussistenza di circostanze che si pongono come presupposti del fatto contenuto nell'imputazione e che deve essere provato nel corso del procedimento penale. In tema di prove si avverte come necessaria una premessa, che sia in grado di mettere in luce l'evoluzione che ha interessato il nostro sistema processualpenalistico. Il Codice del 1930 conferiva al procedimento penale una connotazione inquisitoria, nella quale confluivano nell'unico giudice funzioni giudicanti, accusatorie e difensive. In un assetto di tal genere la prova non veniva dettagliatamente disciplinata, perché era il giudice inquisitore che cercava, ammetteva, assumeva e valutava le stesse prove. Il sistema accusatorio, fatto proprio dal Codice attualmente in vigore, si fonda, invece, su presupposti completamente differenti: il giudice è un soggetto imparziale ed equidistante dalle parti interessate, che sono titolari del potere di ricerca, ammissione, assunzione e valutazione della prova accanto al giudice che decide nel contraddittorio fra le parti. Esistono diverse categorie di prove. Una distinzione ricorrente si effettua tra: - mezzi di prova: strumenti attraverso i quali viene introdotto nel processo un elemento ritenuto rilevante ai fini della decisione (esempio n. 1); - mezzi di ricerca della prova: strumenti attraverso i quali, in via mediata, vengono acquisiti elementi dotati di valore probatorio (esempio n. 2).

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C.p.p. Capo II. Misure coercitive COMMENTO Il Capo in commento disciplina le misure cautelari coercitive, istituti attraverso i quali, a scopo preventivo, viene annullata o comunque ristretta la libertà personale del soggetto che vi è sottoposto. Le misure coercitive che possono essere applicate hanno un contenuto piuttosto vario e presentano un crescente grado di afflittività, che va dal divieto di espatrio, misura meno rigorosa, alla custodia cautelare in carcere, misura maggiormente gravosa. Esse possono essere suddivise in: - misure custodiali (custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari, custodia cautelare in luogo di cura): trattasi di provvedimenti che eliminano totalmente il diritto di muoversi e circolare liberamente e vengono eseguiti in istituti a ciò preposti; - misure non custodiali (divieto di espatrio, obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, allontanamento dalla casa familiare): sono quelle che restringono la libertà di movimento senza, però, escluderla integralmente.

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C.p.p. Capo III. Misure interdittive COMMENTO Le misure interdittive sono provvedimenti attraverso i quali vengono provvisoriamente applicati specifici divieti, destinati a svolgere una funzione prettamente preventiva. Esse differiscono dalle misure coercitive principalmente per il fatto che non incidono sulla libertà di circolazione, ma, essendo caratterizzate da un tasso di afflittività meno elevato, si limitano a restringere la facoltà di esercitare determinati diritti e poteri collegati ad una condizione giuridica soggettiva di status civile o professionale. Dal punto di vista strutturale, esse appaiono assimilabili alle pene accessorie di cui agli artt. 28, 30, 30 -bis e 34 del codice penale e la loro durata viene sottratta alle eventuali pene accessorie che vengono irrogate con la sentenza definitiva di condanna. Quanto alle esigenze cautelari che si intendono tutelare tramite l'applicazione di tali misure, occorre sottolineare che esse mirano a scongiurare il pericolo di inquinamento probatorio e quello della reiterazione dei reati, nulla disponendo in relazione al pericolo di fuga. Per quanto concerne i canoni di scelta della misura interdittiva da disporre, trovano applicazione i criteri di adeguatezza e di proporzionalità di cui all'art. 275 (al quale si fa rinvio per la trattazione dettagliata). Appare giuridicamente rilevante, da ultimo, tenere in considerazione che i limiti stabiliti dall'art. 287, vengono frequentemente disattesi di fronte alle misure interdittive, le quali, in relazione a determinate fattispecie criminose, prevedono deroghe al rispetto dei limiti indicati. Le misure cautelari interdittive sono: - la sospensione dell'esercizio della potestà genitoriale; - la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio; - il divieto di esercitare una determinata professione o attività d'impresa.

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C.p.p. Capo IV. Forma ed esecuzione dei provvedimenti COMMENTO Il Capo in commento disciplina, da un lato, le formalità procedurali che devono essere rispettate per disporre materialmente una misura cautelare e, dall'altro, le modalità di esecuzione delle stesse. In altri termini, in ragione del fatto che le misure cautelari costituiscono provvedimenti che vanno ad incidere, talvolta anche in misura estremamente gravosa, su diritti costituzionalmente garantiti, il legislatore ha disciplinano rigorosamente i presupposti normativi che devono sussistere perché la misura adeguata al caso concreto venga legittimamente disposta ed eseguita.

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C.p.p. Capo V. Estinzione delle misure COMMENTO Il Capo in oggetto tratta dei casi di estinzione delle misure cautelari, che ricorrono quando la misura applicata perde gli effetti giuridici che le sono propri. La disciplina in oggetto interviene, in particolare, a regolamentare diversi fenomeni, quali: - l'estinzione ope legis delle misure: quando non vengono osservati i termini perentori durante il procedimento cautelare, o quando non vengono adempiute le attività dovute, ovvero quando vengono pronunciati determinati provvedimenti; - la proroga della durata: quando viene prolungato il termine della scadenza della misura cautelare applicata; - la rinnovazione: quando viene disposta la reviviscenza della misura cautelare precedentemente applicata; - la revoca: quando il giudice ritiene che non sono sussistenti i requisiti legali previsti dal legislatore perché una misura cautelare sia legittimamente eseguita; - la sostituzione: quando il giudice ritiene che sono mutate le esigenze cautelari e converte la misura cautelare applicata con un'altra che risulta idonea a far fronte alla situazione di pericolo presente nel caso concreto.

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C.p.p. Capo VI. Impugnazioni COMMENTO Il Capo in argomento disciplina i mezzi di impugnazione che possono essere esperiti avverso i provvedimenti che hanno ad oggetto misure cautelari. I mezzi di impugnazione innestano procedimenti incidentali all'interno del procedimento principale e mantengono la propria autonomia rispetto alla sentenza che viene emessa al termine del giudizio. Tali strumenti sono stati introdotti dal legislatore nel nostro sistema processuale al fine di consentire un controllo diretto ed immediato nei confronti delle misure cautelari applicate per verificare se sussistono i presupposti sostanziali e formali che ne giustificano la legittimità; il tutto a tutela dell'inviolabile diritto di libertà che la Costituzione riconosce all'imputato (o all'indagato) e a difesa del corretto impiego delle risorse processuali da un lato e degli strumenti funzionalmente destinati a perseguire scopi cautelari, dall'altro. I mezzi di impugnazione cui l'interessato può far ricorso dipendono dal tipo di misure cautelari disposte dal giudice: - riesame, appello, ricorso per Cassazione per le misure cautelari personali; - riesame, ricorso per Cassazione per le misure cautelari reali (solo per il sequestro preventivo è previsto l'appello). Per quanto concerne il contenuto sostanziale degli istituti qui disciplinati, essi si suddividono in: - riesame: esperibile avverso le ordinanze che applicano in via originaria una misura coercitiva; - appello: esperibile avverso le ordinanze che non possono essere impugnate con il mezzo del riesame; - ricorso per Cassazione: esperibile avverso i provvedimenti pronunciati all'esito del riesame o dell'appello. In ipotesi eccezionali è previsto il cosiddetto ricorso per saltum che si configura quando l'ordinanza costitutiva di una misura coercitiva viene impugnata direttamente di fronte alla Corte di Cassazione, senza l'applicazione delle procedure del riesame, a condizione che i provvedimenti impugnati siano affetti dal vizio della violazione di legge. Caratteristica peculiare dei mezzi di impugnazione di cui trattasi è il fatto che la loro proposizione non comporta la sospensione del provvedimento limitativo della libertà, che continua a far valere i propri effetti nella sfera giuridica dell'imputato.

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C.p.p. Capo VII. Applicazione provvisoria di misure di sicurezza COMMENTO 1. Assegnazione a una colonia agricola [c.p. 216] o ad una casa di lavoro; ricovero dei minori in un riformatorio giudiziario [c.p. 223]. 2. Libertà vigilata [c.p. 228]; espulsione dello straniero dallo Stato [c.p. 235]. 3. Cauzione di buona condotta [c.p. 237]; confisca [c.p. 240].

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C.p.p. Capo VII. Applicazione provvisoria di misure di sicurezza COMMENTO All'interno dell'ampia gamma delle misure cautelari rientrano anche gli istituti delle misure di sicurezza, limitatamente ai casi in cui esse vengono provvisoriamente applicate. La disciplina sostanziale in merito alle misure di sicurezza trova la sua collocazione sistematica nel codice penale, che le considera istituti giuridici che trovano applicazione di fronte alla necessità del riadattamento sociale del delinquente: la loro finalità, infatti, è quella di rieducare e risocializzare un soggetto ritenuto pericoloso per la collettività. Le misure di sicurezza possono essere detentive (esempio n. 1), quando restringono la libertà del soggetto che le subisce e non detentive (esempio n. 2), quando non incidono sulla libertà, ma servono ad evitare che la persona ritenuta socialmente pericolosa possa compiere condotte criminose. Esistono anche misure di sicurezza patrimoniali (esempio n. 3), che si distinguono dalle altre per l'oggetto sul quale vanno ad incidere, ma il fondamento che le caratterizza è sostanzialmente lo stesso e consiste nella prevenzione della commissione di futuri reati, da parte di chi già si è reso colpevole di fatti illeciti o di quasi-reati che hanno manifestato una certa inclinazione a compiere azioni criminose e, di conseguenza, una certa pericolosità.

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C.p.p. Capo VIII. Riparazione per l'ingiusta detenzione COMMENTO L'istituto della riparazione per ingiusta detenzione, che trae ispirazione dall'art. 24 della Costituzione (la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziali), è stato introdotto ex novo nell'attuale codice di procedura penale, in adempimento a quanto imposto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Peraltro, l'inserimento di tale meccanismo processuale ha ampliato le ipotesi di riparazione per ingiusta detenzione, non comprendendo soltanto i casi di vero e proprio errore giudiziario, ma estendendosi anche a qualunque forma di detenzione che può essere considerata ingiusta, anche se conseguente ad un provvedimento diverso dalla sentenza definitiva. La riparazione per ingiusta detenzione non ha natura risarcitoria, non derivando da un fatto illecito, ma risponde ad un più profondo e alto principio di solidarietà sociale, che spinge lo Stato a porre rimedio ad una situazione di sofferenza che il soggetto si è trovato a dover ingiustamente subire.

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C.p.p. Titolo I. Misure cautelari personali COMMENTO Le misure cautelari personali sono provvedimenti che incidono sulla libertà individuale; esse possono essere applicate soltanto dal giudice sia nel corso delle indagini preliminari, che durante il processo vero e proprio. Possono essere distinte in tre grandi categorie: - misure coercitive: limitano la libertà personale [280-286-bis]; - misure interdittive: limitano le libertà inerenti a rapporti familiari o sociali [287290]; - misure di sicurezza applicate a scopi cautelari: affinché possano essere applicate è necessario, da un lato, che sussistano gravi indizi di commissione del fatto e, dall'altro, che l'imputato sia considerato socialmente pericoloso; per precisione terminologica si definiscono misure di sicurezza gli istituti giuridici che trovano applicazione di fronte alla necessità del riadattamento sociale del delinquente: la loro finalità, infatti, è quella di rieducare e risocializzare un soggetto ritenuto pericoloso per la collettività (es. ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario). In tema di misure cautelari, in considerazione dei fondamentali interessi personali coinvolti, vige il principio di tassatività, in virtù del quale le misure cautelari che possono essere applicate sono soltanto quelle espressamente disciplinate dalla legge. La materia qui analizzata ha subìto diverse modifiche, la principale delle quali è rappresentata dalla L. 8 agosto 1995, n. 332 che, da un lato, ha predisposto il cosiddetto “doppio binario”, cioè una disciplina diversificata per i reati di criminalità organizzata, e dall'altro lato, ha imposto delle garanzie per il rispetto del principio del contraddittorio.

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C.p.p. Capo III. Impugnazioni COMMENTO La materia dei sequestri (sequestro probatorio, conservativo e preventivo), seppure avente funzioni e natura sostanzialmente diverse, è sottoposta alla stessa disciplina in tema di impugnazioni, che ricalca essenzialmente quanto stabilito a proposito delle misure cautelari personali. I mezzi di impugnazione tipici sono: - il riesame [➠324]; - l'appello [➠322-bis]: esperibile soltanto nel caso di sequestro preventivo; - il ricorso per Cassazione [➠325].

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C.p.p. Titolo II. Misure cautelari reali COMMENTO Il Titolo in esame tratta delle cosiddette misure cautelari reali, che hanno trovato ingresso in questa parte del codice in ragione della loro peculiare finalità cautelare, che consiste nell'esigenza di evitare che il decorso del tempo possa provocare conseguenze negative sull'efficacia della sentenza definitiva di condanna. Tali misure, dal punto di vista pratico, si sostanziano nell'imposizione di un vincolo di indisponibilità del bene, che può essere di natura semplicemente giuridica o addirittura materiale. Nel dettaglio, il legislatore ha individuato due distinti tipi di misure cautelari reali: - sequestro preventivo: viene disposto al fine di evitare che le cose pertinenti al reato vengano utilizzate per commettere ulteriori fatti criminosi o per aggravare le conseguenze di quelli già realizzati; - sequestro conservativo: viene applicato allo specifico scopo di impedire che le garanzie patrimoniali dell'imputato (o del responsabile civile) possano mancare o essere disperse, pregiudicando, così, la concreta possibilità di adempiere al pagamento delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno o di rimborso per le spese di giustizia, che possono conseguire ad un'eventuale sentenza di condanna. Nel nostro ordinamento esiste, peraltro, anche un'altra fattispecie di sequestro, che si distingue da quelli sopra analizzati per la differente finalità, esclusivamente probatoria, che lo caratterizza. Si tratta del cosiddetto “sequestro probatorio”, disciplinato fra i mezzi di ricerca della prova, che si configura quando una determinata cosa viene sottratta alla disponibilità di un soggetto e vi si impone un vincolo di indisponibilità, al fine di evitare che ne venga mutata la consistenza materiale recando pregiudizio al corretto accertamento della verità processuale. Ricordiamo che la V sezione della Corte di Cassazione, pronunciandosi in tema di normativa connessa all'emergenza epidemiologica da COVID-19, ha affermato che il riesame di sequestro probatorio rientra tra i “procedimenti in cui sono state applicate misure cautelari” per i quali, ai sensi dell'art. 83, comma 3, lett. b), n. 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv., con modifiche, in l. 24 aprile 2020, n. 27, in presenza di richiesta dell’interessato, non opera il rinvio d'ufficio delle udienze di cui al comma 1 della suddetta disposizione, in quanto la misura – sebbene abbia collocazione codicistica differente dalle misure cautelari reali, trattandosi di un mezzo di acquisizione della prova – impone comunque un vincolo reale sul bene e, analogamente alle misure cautelari reali, è soggetta allo stesso rimedio processuale. E, ancora, la Suprema Corte con sentenza 1 dicembre 2020, n. 34016 conferma un sequestro preventivo in mancanza del difensore che non si era presentato causa pandemia. In dettaglio nel ricorso davanti ai Supremi giudici l'avvocato che doveva difendere la società sulla quale era stata emessa la misura cautelare ha sollevato in un unico motivo una serie di obiezioni. Per prima cosa ha evidenziato che l'udienza

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camerale era stata celebrata il 5 marzo 2020, in assenza del difensore, nonostante il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Napoli avesse proclamato due giorni prima l'astensione dal 3 all'11 marzo da tutte le udienze civili e penali della Corte di appello di Napoli e della circoscrizione del tribunale partenopeo. In secondo luogo, l'aumento dei casi di contagio in Campania, essendo lui avvocato di Roma, aveva reso impossibile la sua trasferta e la nomina di un sostituto processuale del foro locale. Pertanto la celebrazione del dibattimento in queste condizioni determinava una nullità dalla quale doveva scattare l'annullamento del provvedimento. Nel rigettare i motivi proposti, la Cassazione sottolinea che il carattere locale dell'astensione dalle udienze ne impedisce l'esportazione in distretti diversi senza le condizioni previste dal codice di "Autoregolamentazione delle astensioni degli avvocati", che impone precisi oneri di comunicazione, sia al ministero della Giustizia sia ai vertici degli uffici giudiziari interessati. Nel caso specifico il difensore, appartenendo al foro di Roma, non era legittimato a non presentarsi e avrebbe avuto la possibilità di nominare, anche con delega orale, un sostituto del tribunale di Napoli, il quale a sua volta, pur attraverso posta elettronica, avrebbe potuto dichiarare l'astensione dall'udienza. In mancanza di una richiesta di rinvio per adesione all'astensione proclamata dall'Ordine napoletano, a causa della grave situazione sanitaria, le dedotte violazioni vengono bocciate.

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C.p.p. Libro IV. Misure cautelari COMMENTO Fra il momento in cui il processo penale ha inizio e quello nel quale la sentenza passa in giudicato, trascorre necessariamente un certo lasso di tempo che, a seconda dei casi, può essere anche considerevole. Durante questo periodo possono presentarsi circostanze tali da ostacolare la corretta ricostruzione della vicenda oggetto di causa ovvero l'effettiva applicazione della risposta sanzionatoria, mettendo a rischio tanto l'accertamento della verità processuale quanto il perseguimento del reo. Il nostro ordinamento giuridico, per scongiurare tali pericoli, ha previsto l'applicazione di istituti preventivi: le cosiddette misure cautelari. Si tratta di provvedimenti: - provvisori: vengono temporaneamente applicati per evitare che il decorso del tempo possa mettere a rischio l'accertamento del fatto di reato e aggravare le conseguenze dell'illecito, esponendo, di conseguenza, la società civile al pericolo che siano commessi altri fatti criminosi; - incidentali: trovano applicazione all'interno di un procedimento principale ancora pendente; - immediatamente esecutivi: possono essere imposti in forma coercitiva, ossia anche contro il volere di colui che li subisce; - strumentali: sono finalizzati a prevenire i rischi già precedentemente descritti e a garantire l'efficacia dell'esecuzione della sentenza definitiva; - urgenti: possono essere applicati soltanto quando sussistono le cosiddette “esigenze cautelari”, vale a dire quando la loro mancata esecuzione espone al pericolo della verificazione di uno dei rischi che si intende evitare. Nonostante che i provvedimenti cautelari trovino applicazione in un momento di gran lunga antecedente rispetto al concreto accertamento della verità processuale, il legislatore ha previsto la necessità della sussistenza, a carico della persona nei confronti della quale vengono eseguiti, di elementi di prova, adeguatamente motivati coincidenti con il risultato dell'attività d'indagine svolta fino a quel momento. La disciplina in tema di misure cautelari è, per volontaria disposizione del legislatore, particolarmente rigorosa: questa rigidità discende dal fatto che tali provvedimenti incidono su interessi e diritti costituzionalmente garantiti, quali la libertà di circolazione, la libertà personale o la libertà di poter disporre dei propri beni. Corollario di tale assunto è che la stessa Carta costituzionale impone che sia la legge a stabilire i casi e i modi nei quali all'autorità giudiziaria è consentito limitare le suddette libertà: si tratta, in sostanza, di una riserva di giurisdizione, ma non assoluta. È previsto, infatti, che i provvedimenti diversi dalle misure cautelari, ma ugualmente incidenti sulla libertà personale possano essere applicati anche dal pubblico ministero

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e dalla polizia giudiziaria, con successivo vaglio del giudice il quale potrà convalidarli o meno. È utile sottolineare, inoltre, che i provvedimenti cautelari possono essere impugnati: è ammesso sia l'appello, sia il riesame, sia, infine, il ricorso per Cassazione. Dal punto di vista sostanziale, esistono due grandi categorie di misure cautelari: - personali: implicano una limitazione della libertà personale o delle libertà inerenti ai rapporti familiari o sociali [272-315]; - reali: comportano una limitazione della libera disponibilità di beni mobili o immobili [316-325]. Un'ultima precisazione deve essere fatta in ordine al destinatario delle norme contenute in questo Libro del codice: le disposizioni parlano espressamente di imputato, ma è pacifico che la disciplina si estende anche all'indagato, titolare di diritti analoghi a quelli dell'imputato. La Corte europea dei diritti dell'uomo, con sentenza 10 maggio 2007, interviene sulla motivazione dei provvedimenti cautelari incidenti sulla libertà dell'individuo. La motivazione in sé ha, come noto, la funzione di esplicare l'iter logico-giuridico seguito dal giudicante nel confezionare la misura restrittiva, onde consentirne al destinatario la sindacabilità in ordine all'aderenza al dato normativo e agli elementi fattuali. Siffatta esplicazione, peraltro, non può ridursi ad una tralatizia e acritica trasposizione delle formule di legge su cui si parametra il provvedimento, poiché, altrimenti opinando, vi sarebbe solo un'apparente estrinsecazione delle ragioni e, quindi, una violazione dell'obbligo di motivazione gravante sul giudice e una vulnerazione delle garanzie dell'individuo. Il giudice, pertanto, non può limitarsi a parafrasare i presupposti di legge cristallizzati nel codice di rito penale ma deve indicare in modo puntuale e preciso le ragioni per le quali gli stessi si attaglino alla vicenda della quale è investito.

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C.p.p. Titolo X. Revoca della sentenza di non luogo a procedere COMMENTO La sentenza di non luogo a procedere emessa al termine dell'udienza preliminare, anche se sono inutilmente decorsi i termini per l'impugnazione, non può divenire irrevocabile e non esclude la possibilità che, in un momento successivo, si instauri nei confronti dello stesso imputato e per lo stesso fatto un altro processo penale. Il legislatore ha previsto infatti che qualora emergano dati ed informazioni nuovi dai quali si può fondatamente dedurre che la persona originariamente prosciolta ha commesso il reato, il pubblico ministero può chiedere al giudice per le indagini preliminari di disporre la revoca della statuizione precedentemente adottata. L'istituto della revoca della suddetta sentenza presenta notevoli tratti differenziali rispetto a quello della riapertura delle indagini dopo l'archiviazione della notizia di reato. Nel primo caso, infatti, è previsto un controllo più pregnante rispetto al secondo perché non è sufficiente la semplice presenza dell'esigenza di nuove investigazioni, come accade nella riapertura delle indagini, ma devono sussistere nuove fonti di prova.

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C.p.p. Titolo I. Disposizioni generali COMMENTO Il Titolo in commento disciplina le regole generali che trovano applicazione durante l'intera fase delle indagini preliminari e precisa qual è la funzione tipica che viene ad esse riconosciuta: in particolare può asserirsi che le indagini consistono nella ricerca di elementi ed indizi utili che vengono raccolti al fine di controllare che la notizia di reato ricevuta sia fondata al punto da giustificare l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero.

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C.p.p. Titolo II. Notizia di reato COMMENTO Il Titolo in commento disciplina le modalità attraverso le quali possono essere attivate le indagini preliminari. Al di fuori delle fattispecie tipiche previste espressamente dal legislatore (denuncia, referto), l'attività investigativa può trovare impulso anche in meccanismi informali (dichiarazione di un collaboratore della polizia di cui resta ignota l'identità) che, in ogni caso, consentono al pubblico ministero di venire a conoscenza di una notitia criminis.

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C.p.p. Titolo III. Condizioni di procedibilità COMMENTO Le condizioni di procedibilità sono delle situazioni giuridicamente rilevanti dalle quali non si può prescindere per iniziare o proseguire l'azione penale in ordine ad alcuni reati. Se, infatti, da un lato esistono delle fattispecie criminose che sono perseguibili d'ufficio, dall'altro lato sussistono ipotesi di reato per le quali il pubblico ministero può esercitare l'azione penale soltanto a seguito di una determinazione volitiva proveniente da particolari categorie di persone, pubbliche o private. Il legislatore ha previsto l'applicabilità di tali istituti o in considerazione del lieve disvalore giuridico di cui sono portatrici determinati atti illeciti o in relazione alla struttura sostanziale degli stessi, ovvero, infine, in considerazione della condizione soggettiva del colpevole. Le condizioni di procedibilità conosciute nel nostro ordinamento giuridico sono: - la querela [➠336-340]; - l'istanza di procedimento [➠341]; - la richiesta di procedimento [➠342]; - l'autorizzazione a procedere [➠343-344].

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C.p.p. Titolo IV. Attività a iniziativa della polizia giudiziaria COMMENTO Il Codice di rito, nel disciplinare la fase delle indagini preliminari, distingue tra “attività a iniziativa della polizia giudiziaria” e “attività del pubblico ministero”. Ciò non implica che gli organi di polizia giudiziaria si pongano in una posizione di autonomia rispetto all'ufficio del pubblico ministero, che rimane legittimo e assoluto titolare delle indagini e dunque dominus dell'attività investigativa. Se quanto premesso è vero, è altresì opportuno sottolineare che, soprattutto a seguito di alcuni interventi legislativi, i poteri di iniziativa della polizia sono stati notevolmente ampliati, consentendole di svolgere un ruolo attivo all'interno della vicenda investigativa: è, infatti, previsto che l'iniziativa della polizia possa sussistere sia prima che la notizia di reato venga trasmessa al pubblico ministero, sia in un momento successivo.

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C.p.p. Titolo V. Attività del pubblico ministero COMMENTO 1. Il P.M. compie “operazioni” e “accertamenti tecnici” e il giudice “perizie”; il primo “assume informazioni” il secondo “testimonianze”. 2. Si pensi all'acquisizione concordata di atti di indagine al fascicolo del dibattimento.

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C.p.p. Titolo V. Attività del pubblico ministero COMMENTO Il pubblico ministero, nel nostro sistema processual-penalistico, può essere senz'altro considerato la figura preminente e il dominus indiscusso della fase delle indagini preliminari, che si svolge sotto la sua direzione. Egli rappresenta la pubblica accusa nel processo ed è titolare di poteri investigativi che vengono esercitati al fine di accertare la fondatezza della notizia di reato di cui viene a conoscenza per poi pronunciarsi in ordine all'archiviazione o all'esercizio dell'azione penale. Il pubblico ministero può compiere atti di investigazione tipici, cioè direttamente disciplinati dalla legge, o atti atipici, cioè non predefiniti dal legislatore; i primi, seppure dal punto di vista sostanziale appaiano assimilabili a quelli compiuti dal giudice nel corso del dibattimento, assumono una nomenclatura differente (esempio n. 1) in ragione del loro diverso rilievo istruttorio. Tuttavia, se è vero quanto appena asserito e cioè che gli atti del P.M. non hanno valore probatorio, è anche vero che, in determinati casi, essi entrano a far parte del fascicolo per il dibattimento, possono essere utilizzati per le contestazioni e le letture e, se c'è il consenso delle parti, possono essere utilizzati come prove la cui rilevanza può costituire il fondamento della decisione finale (esempio n. 2). Proprio in virtù di questa potenziale idoneità degli atti del pubblico ministero ad assumere il valore di prove, le attività di investigazione sottostanno alle regole generali in tema di prove previste e disciplinate dal Libro III del codice di rito. Dal punto di vista procedimentale, il pubblico ministero, dopo essere venuto a conoscenza della commissione di un reato, è obbligato a iscrivere la notizia nel relativo registro e questo adempimento segna l'inizio del termine entro il quale il medesimo, sulla base degli elementi raccolti, deve esercitare l'azione penale o chiedere l'archiviazione. È importante sottolineare, da ultimo, che il pubblico ministero essendo sì una parte processuale, ma costituendosi anche come garante della corretta ricostruzione della verità storica e processuale, nei confronti della quale si pone, a differenza del difensore, in una posizione di sostanziale estraneità, è tenuto ad indagare anche su fatti e circostanze dai quali può emergere l'innocenza del presunto reo.

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C.p.p. Titolo VI. Arresto in flagranza e fermo COMMENTO In alcuni casi la legge consente ad organi non giurisdizionali di privare taluno della libertà individuale; tale potere può essere esercitato dagli organi di polizia giudiziaria (arresto e fermo) o dal pubblico ministero (fermo) di propria iniziativa e in un momento antecedente rispetto all'intervento dell'organo giudicante; tale assunto trova fondamento nella duplice intenzione del legislatore di predisporre da un lato, un'efficace disciplina repressiva nei confronti del fenomeno della delinquenza e di garantire, dall'altro lato, esigenze tecnico -sostanziali attinenti al corretto svolgimento della vicenda processuale. In questo quadro si innestano gli istituti del fermo e dell'arresto che si configurano come misure cosiddette pre -cautelari perché vengono disposte in assenza di un preventivo apprezzamento dell'autorità giudiziaria e trovano giustificazione nel fatto che, nella valutazione comparativa degli interessi in gioco, viene conferita preminente rilevanza alle esigenze pubbliche rispetto a quelle individuali dell'indagato. Tuttavia, dato che tali misure incidono in senso negativo su un diritto costituzionalmente garantito, il legislatore ha impostato una disciplina particolarmente minuziosa ed ha predisposto le dovute cautele: - possono essere disposti solo in presenza di situazioni urgenti e necessitate; - i loro effetti hanno una durata limitata; - devono essere convalidati dal giudice; - perdono i loro effetti se non vengono convalidati.

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C.p.p. Titolo VI bis . Investigazioni difensive COMMENTO Il Titolo in commento è stato introdotto nel tessuto originario del codice di rito dalla legge n. 397 del 2000 in materia di indagini difensive, la quale da un lato ha abrogato la norma previgente contenuta nell'art. 38 disp. att., dall'altro ha dettato una corposa ed organica disciplina relativamente a strumenti suscettibili di incidere in modo pregnante sugli sviluppi della dinamica procedimentale garantendo una tendenziale parità delle armi tra pubblica accusa e difesa della parte privata coinvolta. L'originaria collocazione sistematica dell'unica fonte normativa rilevante in siffatto contesto tra i precetti di attuazione delle prescrizioni codicistiche aveva suscitato notevoli polemiche tra gli addetti ai lavori in quanto essa veniva considerata segnale chiaro ed inequivocabile di un disegno ordinamentale nel quale i contributi investigativi eventualmente forniti dai legali di parte avevano un ruolo del tutto secondario rispetto alla rilevanza di attività dello stesso tipo realizzate dall'apparato istituzionale composto dalla magistratura inquirente e dalla polizia giudiziaria. Lo stesso dettato normativo appariva carente sotto diversi profili, visto che all'attribuzione formale al difensore del potere di compiere indagini a favore del proprio assistito in tutto il corso del processo non corrispondeva un'esplicita indicazione delle modalità attraverso cui potesse esplicarsi tale facoltà, né, d'altra parte, veniva chiarito in che modo potessero essere utilizzati in giudizio i risultati probatori acquisiti. In definitiva, tutto era rimesso alla discrezionalità di una magistratura giudicante la quale, particolarmente diffidente, tendeva a ridurre enormemente il valore dell'apporto del patrocinatore. A fronte di queste problematiche, si è avvertita chiaramente l'esigenza di introdurre una dettagliata regolamentazione in grado di dare concretamente seguito all'introduzione del principio del giusto processo di cui all'art. 111, Cost. il quale, al comma 2, afferma che il processo si svolge in condizione di parità tra le parti e al comma 3 impone che la persona accusata di un reato sia informata tempestivamente della natura e dei motivi degli addebiti formulati nei suoi confronti e disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa. Pertanto è stato prefigurato un ampio ventaglio di poteri e facoltà attraverso cui l'avvocato possa acquisire materiale probatorio difensivo e contrastare, così, in modo effettivo, l'attività investigativa realizzata dal pubblico ministero. In sede introduttiva vanno segnalate, per la loro portata innovativa, le prerogative riconosciute al legale di parte nella fase pre -procedimentale laddove possono essere compiute attività preventive di ricerca di elementi istruttori favorevoli all'indagato nella prospettiva del procedimento che sta per iniziare e, più in generale, la tipizzazione delle diverse attribuzioni difensive e della rilevanza degli esiti cui il loro concreto esplicarsi conduce negli sviluppi della vicenda procedimentale.

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C.p.p. Titolo VII. Incidente probatorio COMMENTO Il sistema processual-penalistico italiano è ispirato ad un modello di natura preminentemente accusatoria, che trova ispirazione e fondamento nei principi di immediatezza, pubblicità e nel contraddittorio fra le parti. Il procedimento penale, inoltre, risulta essere suddiviso in scansioni temporali o fasi all'interno delle quali si sviluppa l'intera vicenda processuale; al riguardo, il legislatore ha stabilito una regola generale per la quale la prova deve formarsi nel corso del dibattimento di fronte ad un giudice terzo ed imparziale che potrà liberamente formarsi un proprio convincimento in ordine alla decisione finale. La suddivisione delle singole fasi processuali, tuttavia, non è di carattere assoluto ed estremamente rigoroso: sussistono, infatti, delle ipotesi nelle quali esigenze di carattere investigativo rendono necessario escutere fonti di prova in un momento antecedente rispetto al dibattimento, vale a dire nel corso delle indagini preliminari. L'istituto dell'incidente probatorio svolge esattamente questo ruolo e si costituisce come un'udienza simile a quella che viene celebrata durante il dibattimento, nella quale da un lato vengono rispettate tutte le garanzie previste per la difesa e dall'altro vengono acquisite prove per scongiurare il rischio che il loro differimento possa pregiudicarne irreparabilmente l'acquisizione. Nel dettaglio, l'incidente probatorio può essere definito come lo strumento processuale attraverso il quale è possibile compiere atti di acquisizione probatoria durante la fase delle indagini preliminari, assumendo anticipatamente, di fronte al giudice e nel contraddittorio fra le parti, un novero di prove cui verrà riconosciuto pieno rilievo istruttorio nel giudizio.

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C.p.p. Titolo VIII. Chiusura delle indagini preliminari COMMENTO Come già precedentemente accennato, la fase delle indagini preliminari rappresenta quel segmento della vicenda processuale nella quale il pubblico ministero raccoglie elementi probatori rilevanti sulla base dei quali fonda la propria decisione circa l'opportunità di esercitare o meno l'azione penale in ordine ad una determinata notizia di reato. Le indagini preliminari, dunque, possono concludersi in due distinti modi: - con la richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero quando la notitia criminis risulta infondata o manca una condizione di procedibilità; - con l'esercizio dell'azione che si esprime attraverso la formulazione dell'imputazione a carico del presunto responsabile del fatto illecito e la conseguente richiesta di rinvio a giudizio.

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C.p.p. Titolo IX. Udienza preliminare COMMENTO L'udienza preliminare rappresenta la seconda fase del processo penale, nella quale il giudice competente provvede ad un controllo sulla fondatezza e la legittimità delle determinazioni del pubblico ministero in ordine alla richiesta di rinvio a giudizio presentata. L'udienza di prime cure viene celebrata di fronte al giudice dell'udienza preliminare (G.U.P.): in proposito appare rilevante sottolineare come prima dell'entrata in vigore della L. n. 234 del 1999, il magistrato che aveva esercitato le funzioni di giudice per le indagini preliminari poteva esercitare anche quelle di giudice dell'udienza preliminare; attualmente, invece, esigenze di efficienza della macchina processuale hanno portato il legislatore ad individuare un'ipotesi di incompatibilità fra le suddette funzioni. Oltre che dall'intervento legislativo appena ricordato, la materia relativa all'udienza preliminare è stata modificata dalla L. n. 479 del 1999 (c.d. legge Carotti), i cui tratti innovativi si possono focalizzare nel riconoscimento al giudice di poteri di integrazione probatoria anche in questa sede, poteri fino al 1999 assolutamente sconosciuti che hanno di fatto anticipato alcune dinamiche tipiche della cognizione dibattimentale alla fase dell'udienza filtro.

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C.p.p. Libro V. Indagini preliminari e udienza preliminare COMMENTO Il processo penale si dipana secondo specifiche scansioni temporali, o fasi, ciascuna delle quali è preordinata ad una finalità diversa, anche se tutte congiuntamente sono destinate a garantire l'accertamento della verità processuale: - indagini preliminari [➠326-415-bis]; - udienza preliminare [➠416-437]; - dibattimento [➠465-548]; Il Libro V in argomento tratta della disciplina relativa alle indagini preliminari e all'udienza preliminare. Le indagini preliminari costituiscono la fase iniziale del procedimento penale e comprendono un arco temporale che va dalla ricezione della notizia di reato alla richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione da parte del pubblico ministero. Dal punto di vista sostanziale, esse sono costituite dalla realizzazione di attività di investigazione, svolte dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria al fine di: - raccogliere dati ed informazioni sulla fattispecie illecita contenuta nella notitia criminis, che si assume astrattamente commessa; - consentire alla pubblica accusa di valutare l'opportunità dell'esercizio dell'azione penale. L'azione penale manifesta l'intenzione di perseguire il reato contenuto nell'imputazione, attraverso l'attivazione della giurisdizione penale, e può essere esercitata soltanto a seguito dell'acquisizione della notizia di reato che, a sua volta, deve essere comunicata all'organo competente nel più breve tempo possibile. Al termine delle indagini preliminari possono verificarsi due distinte situazioni processuali: - se gli elementi ricercati e raccolti sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio avverso la persona che si ritiene aver commesso il fatto, il pubblico ministero formula nei suoi confronti l'imputazione e ne chiede il rinvio a giudizio: in questo modo la pubblica accusa esercita l'azione penale; - se gli elementi ricercati e raccolti non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio, il pubblico ministero chiede al giudice per le indagini preliminari l'emissione del decreto di archiviazione della notizia di reato, per infondatezza della stessa o per motivi di diritto. Dopo la chiusura delle indagini preliminari, se il pubblico ministero esercita l'azione penale, si apre la seconda fase del procedimento penale, che è quella dell'udienza preliminare. Essa rappresenta uno dei momenti fondamentali dell'intera vicenda processuale, perché è finalizzata allo svolgimento di un'attività di controllo sulla correttezza ed opportunità dell'esercizio dell'azione penale e, dunque, sulla relativa fondatezza della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero. A conclusione dell'udienza preliminare possono prefigurarsi i seguenti esiti:

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- emissione del decreto di rinvio a giudizio del sospettato da parte del giudice per l'udienza preliminare, quando gli elementi posti a sostegno della richiesta del magistrato inquirente appaiono fondati; - emissione di una sentenza di non luogo a procedere, quando la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero è ritenuta dal giudice infondata. Occorre, da ultimo, precisare che: a) il processo penale si suddivide in due “macrofasi” ciascuna della quali si articola in diversi segmenti: - la prima è quella denominata “procedimento”, che comprende il lasso temporale che precede l'esercizio dell'azione penale; - la seconda è quella del “processo” propriamente detto, composto da tutte le fasi successive; b) la persona che si ritiene sospettata di aver commesso un reato assume la qualifica di “indagato” durante la fase delle indagini preliminari, e di “imputato” negli stadi successivi all'esercizio dell'azione penale.

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C.p.p. Libro VI. Procedimenti speciali COMMENTO Il Libro in commento disciplina analiticamente i presupposti applicativi e gli esiti decisori cui può condurre il ricorso a dinamiche procedimentali alternative rispetto a quella ordinaria del giudizio di primo grado, il quale fisiologicamente si dipana attraverso le fasi delle indagini preliminari, dell'udienza di prime cure, volta a verificare la sussistenza delle condizioni per l'esercizio dell'azione penale, e del dibattimento vero e proprio, sede naturale della ricostruzione della verità processuale mediante il contraddittorio tra accusa e difesa al cospetto di un giudice terzo e imparziale. Fondamentalmente la predisposizione di moduli procedimentali speciali si giustifica alla luce di esigenze di semplificazione delle attività processuali e di salvaguardia di un'efficiente amministrazione della giustizia penale che, nell'attuale panorama costituzionale, risultano ulteriormente corroborate dalla innovativa formulazione dell'articolo 111 il quale individua, tra i principi cardine che devono connotare il “giusto processo”, quello della ragionevole durata della cognizione e della tempestiva definizione della posizione processuale del soggetto cui viene addebitata la responsabilità dei fatti oggetto di accertamento. In realtà, sin dalle prime applicazioni dei precetti in questione, si è manifestata la discrasia più o meno evidente tra la celerità delle procedure speciali prefigurate dal legislatore e i fondamentali valori sempre di stampo costituzionale, salvaguardati dalla fisiologica dinamica di sviluppo del processo penale ordinario, dell'uguaglianza dei cittadini interessati dall'esercizio dei poteri giurisdizionali, dell'effettiva esplicazione del diritto di difesa dell'imputato, del diritto al giudice naturale precostituito per legge, della presunzione di non colpevolezza e della legalità della pena irrogata nei confronti del reo. Proprio l'obiettivo del contemperamento tra questi principi configgenti ha, peraltro, orientato dapprima le molteplici pronunce del giudice delle leggi e, successivamente, l'intervento del legislatore del 1999, attraverso i quali si è tentato di conferire ragionevolezza costituzionale alla disciplina globale dei procedimenti speciali, con particolare riguardo a quelli di più frequente utilizzazione e di maggiore incidenza a livello deflattivo. In sede introduttiva appare opportuna una classificazione dei riti alternativi sulla scorta dei diversi presupposti applicativi che giustificano la semplificazione dell'ordinario iter procedimentale. In particolare, limitandosi a quei moduli procedimentali che trovano esplicita regolamentazione nel Libro in esame (tra i quali non rientrano il procedimento di oblazione, il giudizio davanti ad un giurì d'onore per i reati di ingiuria e diffamazione e i procedimenti che originano da una contestazione suppletiva in sede di udienza preliminare [423] e nel dibattimento [517-518]), è possibile procedere alla seguente schematizzazione: - giudizio abbreviato, applicazione della pena su richiesta delle parti, giudizio immediato richiesto dall'imputato: si tratta di istituti di natura consensuale che

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traggono origine da una manifestazione unilaterale di volontà da parte dell'imputato o dall'intervenuto consenso tra questi e il pubblico ministero e che comportano l'esercizio di poteri dispositivi incidenti su situazioni processuali attinenti alla prova dei fatti oggetto di accertamento e sulla quantificazione della pena irrogata in relazione ai medesimi; - giudizio immediato, giudizio direttissimo, procedimento per decreto: in queste fattispecie la semplificazione del rito ordinario è giustificata dalla sussistenza di condizioni oggettive, affermate imperativamente dal pubblico ministero e verificate dall'autorità giurisdizionale, relative alla facilità e all'immediatezza della ricostruzione delle responsabilità in ordine ai fatti oggetto di accertamento o alla gravità del reato astrattamente configurabile. Da ultimo occorre sottolineare il peculiare livello di permeabilità sussistente tra i diversi riti speciali che consente all'imputato di tornare sulle scelte originariamente effettuate. A questa regola generale fanno eccezione le ipotesi in cui il soggetto avanzi istanza di trasformazione del procedimento alternativo in un altro appartenente al medesimo gruppo (es. da giudizio abbreviato ad applicazione della pena su richiesta delle parti), così come risulta precluso il passaggio da un rito di stampo consensuale ad uno di matrice imperativa (es. da giudizio abbreviato a giudizio immediato).

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C.p.p. Titolo I. Atti preliminari al dibattimento COMMENTO La corretta individuazione della fase del giudizio disciplinata dalle norme contemplate dal titolo in commento, in presenza di una congerie di disposizioni tra loro eterogenee e non sempre facilmente collocabili dal punto di vista della loro serialità e della loro successione cronologica, impone una visione di tipo sistematico della globalità della vicenda processuale che si estende ben al di là dell'ambito codicistico oggetto di analisi. In altri termini, l'instaurazione della fase prodromica al compimento degli atti introduttivi del dibattimento deve essere contestualizzata nel momento immediatamente successivo alla chiusura dell'udienza preliminare, cioè nell'adozione del decreto con il quale viene disposto il rinvio a giudizio, protraendosi, poi, fino al compimento delle operazioni giudiziali di verifica della regolarità della costituzione delle parti. Peraltro, agli adempimenti di cui all'art. 484 non si addiviene nel caso in cui il giudice procedente statuisca in camera di consiglio di non doversi procedere, costituendo, in questo caso, la sentenza di proscioglimento predibattimentale il momento conclusivo della fase de qua.

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C.p.p. Titolo II. Dibattimento COMMENTO Il Titolo in commento scandisce in fasi distinte la dinamica procedimentale immediatamente prodromica all'adozione delle statuizioni finali in cui si concretizza il vero e proprio esercizio della giurisdizione incidente sulle diverse posizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda processuale. Si tratta di “snodi” alquanto delicati la cui decisività comporta l'operatività di precetti caratterizzati da contenuti analitici in punto di formalità procedurali e cadenze procedimentali da rispettare, di garanzie delle parti da salvaguardare, di competenze da attribuire e di efficacia degli atti posti in essere, il tutto sotto l'egida imparziale del giudice chiamato a sovrintendere agli sviluppi della vicenda processuale in posizione di terzietà e a garantire la giusta esplicazione della cognizione. In particolare risultano notevolmente dettagliate le prescrizioni afferenti al compimento delle attività istruttorie nel cui contesto è centrale il ruolo attivo delle parti ed i cui esiti determinano il prefigurarsi di quel materiale che, se acquisito in conformità alle condizioni di legittimità imposte dal codice di rito, deve condizionare, in via esclusiva, il convincimento dell'organo deputato a pronunciarsi. Peraltro gli sviluppi dell'istruzione dibattimentale si rivelano non solo strumentali a ricostruire le circostanze in ordine alle quali il magistrato inquirente ha originariamente esercitato l'azione penale, ma possono anche evidenziare la superficialità delle attività di investigazione facendo emergere un quadro storico di riferimento del tutto diverso, in ordine al quale è necessario procedere a nuove contestazioni senza addivenire all'instaurazione di ulteriori e distinti procedimenti. Le risultanze cui addivengono le attività suddette costituiscono infine l'oggetto della discussione finale che coinvolge tutti i protagonisti della vicenda processuale fino alla chiusura del dibattimento la quale prelude alla decisione finale.

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C.p.p. Titolo III. Sentenza COMMENTO Il Titolo in commento detta i parametri che devono guidare l'organo giudicante nell'adozione della pronuncia finale, individuando in concreto i presupposti sostanziali e le modalità procedurali attraverso cui si esprime l'esercizio della giurisdizione penale. Trattasi, perciò, della “regolamentazione globale” di tutte quelle attività attraverso cui si sviluppa la vicenda processuale nelle fasi del giudizio di primo grado successive alla chiusura del dibattimento. È di tutta evidenza la delicatezza di un complesso snodo processuale nel cui contesto gli esiti delle diverse attività istruttorie precedentemente compiute aprono la strada alla conclusiva pronuncia giudiziale riguardo alla ricostruzione storica dei fatti oggetto di imputazione e delle relative responsabilità in capo al soggetto nei cui confronti sia stato formulato l'addebito. Alla luce di ciò si giustifica l'estrema analiticità delle diverse previsioni volte da un lato ad indirizzare sui binari della legittimità il progressivo formarsi del libero convincimento giudiziale, nell'ottica, cioè, del pieno rispetto dei principi del “giusto processo” sanciti dal novellato art. 111 della Costituzione, dall'altro a garantire la trasparenza delle procedure decisorie ai fini del pubblico controllo delle medesime e della loro eventuale censurabilità in sede di impugnazione.

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C.p.p. Libro VII. Giudizio COMMENTO Il Libro in commento contiene l'insieme delle norme che regolano la fase più significativa dell'esercizio della giurisdizione penale la quale è ontologicamente funzionale alla ricostruzione dei fatti oggetto di imputazione e delle responsabilità che gravano in capo ai soggetti cui tali fatti risultano addebitati. In questo senso la scelta per il modello accusatorio, effettuata nel 1989 e ulteriormente e definitivamente suggellata dall'introduzione in Costituzione dei principi del “giusto processo”, ha inevitabilmente comportato la realizzazione di un complesso ordito procedimentale nel quale la fase del giudizio costituisce senza dubbio il momento centrale, rappresentando l'ambito in cui si formano e vengono alla luce tutte le varie componenti della “piattaforma probatoria” sulla cui base si forma il libero convincimento del giudice. Sul punto occorre evidenziare come sia proprio il novero delle attività in cui si concretizza l'istruzione dibattimentale a costituire la sede naturale in cui acquistano concreta operatività i principi dell'oralità e dell'immediatezza che devono necessariamente conformare il rapporto tra organo giudicante e fonti di prova, nella prospettiva più ampia del confronto dialettico tra parti contrapposte chiamate a fronteggiarsi, ad armi pari, al cospetto di un giudice terzo e imparziale. In altri termini, l'ordinamento processuale incentra sul contraddittorio tra accusa e difesa l'unica ammissibile dinamica di formazione del quadro istruttorio, precludendo, in via tendenziale, qualsiasi influenza diretta sulla medesima da parte delle risultanze acquisite in sede di indagine o di investigazioni difensive dal magistrato inquirente o dai legali di parte o, comunque, circoscrivendone la trasmigrazione in giudizio ad ipotesi tassative analiticamente individuate. L'attuale realtà del processo penale ed, in particolare, il momento del giudizio nel quale prende maggiormente forma la cognizione del magistrato deputato a pronunciarsi, non può più essere letta e interpretata prescindendo dai canoni sanciti nell'art. 111 della Carta fondamentale i quali, se da un lato hanno giustificato la novella legislativa di attuazione risalente al marzo del 2001, dall'altro fungono sempre di più da parametri vincolanti nelle applicazioni giurisprudenziali e nell'interpretazione adeguatrice di quei precetti contemplati dal codice di rito rimasti immutati nel loro originario tenore letterale. Da ultimo un cenno particolare merita l'altro fondamentale canone costituzionale della presunzione di non colpevolezza il quale rende ragione non solo della sussistenza di un vero e proprio onere di provare adeguatamente i fatti addebitati in capo al pubblico ministero che decida di esercitare l'azione penale, ma altresì dei meccanismi che connotano l'adozione di una pronuncia finale che può comportare la condanna dell'imputato solo in presenza di un quadro istruttorio a carico che non lasci spazio a dubbi in ordine alle sue responsabilità.

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C.p.p. Libro VIII. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica COMMENTO Il Libro in commento delinea l'impianto globale delle norme processuali che trovano applicazione nei procedimenti relativi alle peculiari fattispecie di reato rientranti nelle attribuzioni del giudice monocratico a norma dell'art. 33-ter. Occorre evidenziare, in via preliminare, come a fronte della “svolta epocale” rappresentata dall'istituzione del giudice unico di primo grado nel 1998 e dal nuovo riparto di attribuzioni tra organo monocratico e Tribunale collegiale, in relazione all'esercizio della giurisdizione penale, si era da subito manifestata l'esigenza di addivenire ad un definitivo superamento della disciplina speciale di un rito pretorile la cui semplicità e speditezza delle forme si rivelava inevitabilmente inidonea ad assicurare il pieno rispetto delle garanzie difensive in capo ai soggetti coinvolti nelle attività di accertamento relative ad un numero sempre più elevato di condotte criminose, anche di particolare gravità. Sul punto è finalmente intervenuta la “legge Carotti” (L. n. 479 del 1999), la quale ha integralmente sostituito i precetti processuali previgenti con nuove disposizioni chiaramente significative del preciso intento legislativo di addivenire ad una tendenziale equiparazione dei moduli procedimentali operativi al cospetto tanto del giudice monocratico quanto di quello collegiale. Esemplificative, da questo punto di vista, appaiono le numerose clausole di rinvio, presenti in diverse delle disposizione contenute nel Libro in commento, attraverso le quali il legislatore realizza un costante raccordo tra tali previsioni e quelle dettate in ambiti diversi del codice di rito, di volta in volta apprestando specifici accorgimenti al fine di adattare il sistema normativo così risultante alle peculiari caratteristiche del rito in questione.

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C.p.p. Titolo II. Appello COMMENTO Il Titolo in commento contiene la specifica disciplina delle modalità di instaurazione, dei possibili sviluppi e dei prefigurabili esiti decisori del giudizio d'appello, la cui regolamentazione va ad integrare le previsioni generali contenute negli artt. 568 e ss. precedentemente analizzate. In particolare, in questa sede il legislatore codicistico congegna uno specifico strumento di impugnazione ordinario attivando il quale i soggetti legittimati, che avanzino peculiari istanze di modifica della pronuncia adottata in primo grado per ragioni attinenti ai profili di fatto o di diritto della medesima, sollecitano il giudice superiore ad emettere una nuova decisione in ordine agli aspetti oggetto di statuizione nei capi o nei punti specificamente censurati. Si tratta, pertanto, di un mezzo di gravame solo parzialmente devolutivo dal momento che, diversamente da quanto previsto, ad esempio, per il riesame delle misure cautelari, i poteri cognitivi e decisori che l'autorità competente è chiamata ad esercitare nel caso di specie investono solo ed esclusivamente quegli aspetti della pronuncia originaria specificamente censurati dall'appellante. Peraltro, la natura “ibrida” di tale procedimento emerge con immediatezza alla luce del fatto che al giudice competente risulta attribuito non solo il potere di confermare o riformare la sentenza impugnata, ma anche quello di procedere all'annullamento della medesima con conseguente restituzione degli atti all'organo decidente in primo grado. Quanto, infine, alle peculiarità dell'attività giurisdizionale concretamente posta in essere dal giudice d'appello, l'eccezionalità delle ipotesi in cui quest'ultimo da un lato si pronuncia d'ufficio al di là dei limiti del devoluto, dall'altro procede ad acquisizioni istruttorie che ampliano la piattaforma delle risultanze su cui si è fondata la decisione di primo grado, fa propendere per una qualificazione della medesima nei termini di procedimento di controllo e non di nuovo giudizio di merito.

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C.p.p. Titolo III. Ricorso per cassazione COMMENTO Il Titolo in commento disciplina presupposti operativi, dinamiche di sviluppo ed esiti decisori del ricorso in Cassazione, il quale costituisce l'unico mezzo di impugnazione ordinario a copertura costituzionale concretamente esperibile avverso qualunque tipologia di sentenza o di provvedimento restrittivo della libertà personale, a prescindere dagli specifici regimi di gravame approntati dal legislatore ordinario. In particolare, a seguito del ricorso presentato da uno dei soggetti legittimati, la Suprema Corte è deputata a verificare la sussistenza di specifici e tassativi vizi in punto di diritto, i quali vadano ad inficiare il tessuto argomentativo e decisorio della statuizione impugnata in relazione ad un'errata applicazione delle norme di legge sostanziali o processuali, e, conseguentemente, ad accogliere o a rigettare le istanze di censura regolarmente avanzate. Si tratta, quindi, di uno strumento riconducibile alla categoria generale delle azioni di annullamento della sentenza impugnata, nel cui ambito, al di là di circoscritte ipotesi di non sempre agevole approccio ermeneutico, risulta assolutamente preclusa qualunque valutazione dei profili di merito afferenti alla ricostruzione dei fatti oggetto di imputazione e delle relative responsabilità. Peraltro, le suddette peculiari connotazioni del giudizio di cassazione devono essere necessariamente ricollegate alle funzioni nomofilattiche attribuite dall'ordinamento alla Suprema Corte, la quale è istituzione deputata a garantire l'esatta osservanza e l'uniforme applicazione delle norme vigenti, nonché l'unità del diritto oggettivo nazionale. Proprio al fine di salvaguardare l'effettivo esercizio di tali potestà e di far fronte al sovente pretestuoso e meramente dilatorio ricorso a tale strumento di garanzia della legittimità delle statuizioni giudiziali, il legislatore ordinario è di recente intervenuto sui meccanismi di instaurazione del procedimento in questione, attribuendo ad un'apposita sezione della Corte di Cassazione il compito di “filtrare” i ricorsi di volta in volta prospettati e di individuarne in via preventiva le cause di inammissibilità precludendone, altresì, l'accesso alla giurisdizione di legittimità.

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C.p.p. Titolo IV. Revisione COMMENTO Il Titolo in commento individua il peculiare ambito di operatività del procedimento di revisione delle statuizioni giudiziali divenute irrevocabili, attraverso il quale l'ordinamento, a fronte di risultanze emerse successivamente al passaggio in giudicato della declaratoria di condanna, intende porre rimedio ad eventuali erronee valutazioni in ordine alla ricostruzione dei fatti oggetto di imputazione e delle relative responsabilità, le quali abbiano determinato l'adozione di una pronuncia di colpevolezza ingiustamente lesiva dei diritti fondamentali del soggetto interessato. Si tratta, in particolare, di un mezzo di impugnazione straordinario, in quanto esperibile avverso provvedimenti divenuti definitivi in presenza di condizioni tassativamente enucleate dal legislatore codicistico, la cui giustificazione, a livello costituzionale, risulta rinvenibile tanto nel dettato dell'art. 24, il quale impone la determinazione delle condizioni e delle modalità per la riparazione degli errori giudiziari, quanto, più in generale, nel novellato art. 111, laddove la prescritta osservanza dei principi del “giusto processo” nell'esercizio dell'attività giurisdizionale appare evidentemente volta a garantire esiti decisori, in punto di ricostruzione della verità processuale, il più possibile corrispondenti all'effettiva realtà storica delle circostanze oggetto di accertamento. Pertanto, solo la sussistenza in concreto di specifici presupposti in grado di ribaltare radicalmente gli esiti cui è pervenuta la vicenda processuale giustifica il superamento dell'intangibilità del giudicato al fine di garantire il “giusto” riconoscimento della non colpevolezza del soggetto ab origine destinatario degli addebiti.

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C.p.p. Libro IX. Impugnazioni COMMENTO Il Libro in commento disciplina, in tutti i suoi risvolti operativi, il sistema generale delle impugnazioni, da intendersi come l'insieme di tutti quei peculiari meccanismi processuali che consentono alle parti interessate dalla statuizione giudiziale di ottenere, entro precisi limiti e verificatesi determinate condizioni, una rivisitazione dei presupposti in fatto e in diritto che giustificano gli esiti decisori cui è addivenuto l'organo deputato all'esercizio della funzione giurisdizionale penale. Dal punto di vista dei principi costituzionali, l'unica disposizione direttamente pregnante riguardo alla concreta configurazione di tale impianto normativo risulta essere il settimo comma dell'art. 111, il quale sancisce, in modo assoluto, la possibilità di adire la Corte di Cassazione a fronte di qualunque sentenza o provvedimento restrittivo della libertà personale che l'interessato ritenga adottato in violazione delle norme di legge vigenti. Al di fuori di tale precetto, tanto l'art. 24, che tutela l'esplicazione del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, quanto l'art. 27, che sancisce l'operatività della presunzione di non colpevolezza fino al momento in cui la declaratoria di condanna non diventi definitiva, si limitano a presupporre la vigenza del sistema delle impugnazioni, riservando, al contempo, al legislatore ordinario la più ampia discrezionalità nel modulare tale congegno nelle forme dallo stesso ritenute più idonee a salvaguardare il diritto di ogni cittadino ad ottenere una decisione “giusta”. Premesso che particolari tipologie di impugnazione, quali, ad esempio, l'opposizione al decreto penale di condanna [461], il ricorso in cassazione avverso le decisioni in materia estradizionale [706] e in materia di esecuzione all'estero di una sentenza penale italiana [743, comma 4], sono regolate in specifici contesti del codice di rito diversi da quello rappresentato dal libro in esame, appare opportuno procedere ad una duplice e generale classificazione: - mezzi di impugnazione ordinari e mezzi di impugnazione straordinari. Tale distinzione si basa sull'intervenuto passaggio in giudicato della statuizione contestata: infatti è possibile esperire i primi, tra i quali rientrano principalmente l'appello e il ricorso per Cassazione, fino al momento in cui non siano scaduti i termini fissati dal legislatore perché si determini l'irrevocabilità della sentenza, mentre la revisione, che è il principale strumento di impugnazione straordinaria, può essere attivata senza limiti di tempo nei confronti di declaratorie di condanna o di decreti penali divenuti irrevocabili, anche laddove la pena sia stata già eseguita o è, per altra ragione, estinta; - mezzi di annullamento e mezzi di gravame. A tal proposito risultano rilevanti le peculiari caratteristiche della cognizione esercitata dall'autorità deputata a pronunciarsi, nonché gli esiti decisori cui la medesima addiviene: in particolare, la prima tipologia di impugnazioni, cui sono tendenzialmente riconducibili il ricorso in Cassazione e il giudizio di revisione, è strumentale ad un'eliminazione totale o parziale delle statuizioni contenute nella pronuncia contestata, cui eventualmente

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consegue una nuova decisione, in ordine ai medesimi profili oggetto di censura, che risulta vincolata dal precedente decisum; viceversa, nei procedimenti di gravame, ed in particolare nel giudizio di appello, il giudice adito, pur nei limiti delle censure mosse dal soggetto impugnante, è tenuto ad esercitare gli stessi incidenti poteri cognitivi attivati dal giudice a quo al fine di effettuare una nuova valutazione globale dei profili di merito relativi alla fattispecie oggetto di accertamento.

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C.p.p. art. 1 Giurisdizione penale GIURISPRUDENZA In tempo di pace la giurisdizione “normale” è quella ordinaria, mentre quella militare ha carattere eccezionale, ed è comunque con riferimento al solo processo di cognizione che opera il principio di cui all'art. 103, comma terzo, Cost. Ne consegue che esso non è invocabile in tema di giurisdizione nel processo esecutivo, e in particolare in quello di sorveglianza, anche se stabilisce il criterio generale per delimitare l'ambito di estensione rispettivo della giurisdizione ordinaria e di quella speciale in detto processo (2634/1994, rv 198172). È giuridicamente inesistente il provvedimento giurisdizionale che, quantunque materialmente esistente e ascrivibile a un giudice, sia tuttavia privo del requisito minimo della provenienza da un organo giudiziario investito del potere di decisione in una materia riservata agli organi della giurisdizione penale e, come tale, risulti esorbitante, siccome invasivo dello specifico campo riservato al giudice penale, dai limiti interni e oggettivi che, alla stregua dell'ordinamento positivo, discriminano il ramo civile e quello penale nella distribuzione della “iurisdictio” (25/1999, rv 214694). L'Amministrazione militare deve intendersi circoscritta nelle strutture occorrenti per l'organizzazione del personale e dei mezzi materiali destinati alla difesa armata dello Stato, e i beni in dotazione della stessa si identificano in quelli che, a norma delle leggi sulla contabilità generale dello Stato, sono amministrati dal Ministero della difesa o dai corpi militari, mentre non possono essere compresi tra quelli appartenenti all'Amministrazione militare i beni assegnati ad altri Ministeri, per l'uso degli stessi o dei servizi da essi dipendenti o da essi amministrati, ovvero quelli che rappresentano oggetto di gestione sotto un profilo esclusivamente privatistico. Ne consegue che, poiché il corpo della Guardia di Finanza fa parte integrante delle Forze armate dello Stato, è configurabile la giurisdizione dell'autorità giudiziaria militare, e non di quella ordinaria, in tema di truffa consumata da sottufficiale di

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detto corpo in danno dell'Amministrazione di appartenenza, mediante il conseguimento dell'indebito rimborso di spese di missione eccedenti quanto effettivamente pagato (1410/2000, rv 215224). Non può dirsi inesistente la sentenza di condanna pronunciata dal tribunale ordinario per fatti commessi da un soggetto all’epoca degli stessi minorenne, perché la sentenza è inesistente quando è emessa da un soggetto estraneo all’ordinamento giudiziario (45603/2010).

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C.p.p. art. 1 Giurisdizione penale COMMENTO La norma in esame fissa un principio cardine riguardo all'esercizio della funzione giurisdizionale penale: titolari del potere di definizione della vicenda processuale possono essere solo ed esclusivamente quei magistrati ai quali l'ordinamento giudiziario attribuisce la qualità di “organi giudicanti”, mediante uno specifico atto di investitura o di nomina, la cui conformità alle previsioni legali è presupposto indispensabile perché possa dirsi ricorrente, nel loro concreto operare, una valida e corretta attività di giurisdizione. Il disposto dell'articolo in commento, pertanto, determina un profondo legame tra le previsioni ordinamentali in senso stretto e l'effettività dell'attività procedimentale posta in essere dal magistrato che, sempre stando alla lettera della norma, deve conformarsi alle previsioni del codice di rito. Tale raccordo emerge indirettamente dalla previsione dell'art. 178, a norma del quale l'inosservanza delle disposizioni concernenti la capacità del giudice contenute nel R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) causa la nullità assoluta di ogni singolo atto posto in essere da colui il quale solo apparentemente riveste la qualità di magistrato giudicante. Pertanto, soltanto l'investitura rituale di colui il quale è chiamato a pronunciarsi sui fatti oggetto di imputazione assicura la validità di tutti gli atti dallo stesso compiuti.

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C.p.p. art. 2 Cognizione del giudice COMMENTO Ciò che il giudice penale deciderà, in tema di status di fallito dell'imprenditore coinvolto nel procedimento o di sussistenza dei presupposti per la sospensione di una concessione edilizia presumibilmente affetta da vizi di legittimità, non può in alcun modo vincolare le valutazioni del giudice civile o amministrativo chiamato a pronunciarsi in altro processo sulle medesime questioni, potendo al massimo configurarsi, nella ricostruzione incidentale del giudice penale, la ricorrenza di un principio di prova liberamente valutabile o il suggerimento di ulteriori prospettive istruttorie.

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C.p.p. art. 2 Cognizione del giudice GIURISPRUDENZA Ai sensi dell'art. 2 c.p.p. spetta al giudice penale decidere in via incidentale la natura pubblica o privata di un ente quando la questione assuma rilevanza ai fini della qualificazione giuridica del fatto oggetto dell'imputazione (3035/1999, rv 212941). Se il giudice civile ha dichiarato il fallimento di persona insolvente, ritenuta imprenditore ai sensi dell'art. 2082 c.c., il giudice penale deve bensì verificare la sussistenza della sua pronuncia, per accertare un elemento costitutivo indefettibile della fattispecie di reato fallimentare. Ma, poiché la sentenza dichiarativa di fallimento non fa stato nel processo penale, tale accertamento è insufficiente ad integrare la prova della qualità di imprenditore, e cioè di soggetto attivo del reato, della persona dichiarata fallita, se essa è controversa ai fini dell'art. 2221 c.c. e 1 del R.D. n. 267 del 1942 per emergenze che inducano ad attribuire all'imputato lo svolgimento dell'attività di piccolo imprenditore, prevista dall'art. 2083 c.c. (5544/1999, rv 213529). L'aggravante del nesso teleologico, prevista dall'art. 61 c.p., n. 2, può essere ritenuta, in applicazione dell'art. 2 c.p.p., comma 2, anche se il reato fine viene giudicato separatamente (12707/2003, rv 224063). In tema di misure di prevenzione, sussiste il difetto assoluto di giurisdizione del giudice penale in favore del giudice civile in ordine alla domanda di rilascio promossa dal proprietario di un complesso immobiliare occupato dai beni del complesso aziendale di un'impresa confiscata in via definitiva (21063/2010). In tema di reati fallimentari i pagamenti indicati in fatture rivelatesi relative ad operazioni inesistenti sono da considerare come distrazioni di somme dal patrimonio delle rispettive società e dato il principio dell'autonomia dell'azione penale sancito dall'art. 2 c.p.p. la sentenza civile relativa al risarcimento del danno da contratto, ancorché irrevocabile, non fa stato nel processo penale quanto alla valutazione del fatto operata nel processo civile,

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soprattutto se quest'ultimo era nei confronti di parti rimaste estranee all'azione penale (Trib. Milano 13 marzo 2012). Non viola il divieto di “reformatio in peius” il giudice di appello che, su impugnazione del solo imputato, proceda alla derubricazione del reato, per cui vi era stata condanna in primo grado, in altro meno grave e a un giudizio di bilanciamento delle circostanze deteriore rispetto a quello formulato dal giudice di prime cure (41279/2012). In tema di sequestro probatorio, il sindacato del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa (il cui riscontro è riservato della cognizione nel merito), ma deve essere limitato alla verifica dell’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato ed al controllo dell’esatta qualificazione dell’oggetto del provvedimento come “corpo del reato “ o “cosa pertinente al reato” (19962/2013). In caso di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, ma solo come illecito amministrativo, il giudice non ha l'obbligo di trasmettere gli atti all'autorità amministrativa competente a sanzionare l'illecito amministrativo qualora la legge di depenalizzazione non preveda norme transitorie analoghe a quelle di cui agli artt. 40 e 41, l. 24 novembre 1981, n. 689, la cui operatività è limitata agli illeciti da essa depenalizzati e non riguarda gli altri casi di depenalizzazione (11884/2014). Al giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell'illecito penale qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo, ma tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, non dedotti ed effettivamente decisi dal giudice amministrativo (17991/2018).

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C.p.p. art. 2 Cognizione del giudice COMMENTO La disposizione in commento individua i confini dello spatium deliberandi riconosciuto dall'ordinamento a quell'organo giudicante che costituisce il protagonista principe del processo penale, cioè la possibilità, per lo stesso, di pronunciarsi su tutte quelle questioni che potrebbero costituire oggetto di un diverso procedimento civile, penale o amministrativo, e che, nella singola fattispecie, si pongono in rapporto di pregiudizialità logica con la pronuncia finale relativa ai fatti oggetto di imputazione. Occorre sottolineare come la ratio di tale previsione debba necessariamente essere individuata nell'esigenza di garantire quei principi di massima semplificazione e celerità nell'attività di accertamento della verità processuale, imposti dalla legge delega ed ulteriormente avvalorati dalla recente introduzione del parametro costituzionale della ragionevole durata del processo, che verrebbero irrimediabilmente compromessi laddove risultasse necessario sospendere il processo penale tutte le volte in cui si imponga l'indefettibile preliminare definizione di simili questioni. La norma, tuttavia, richiama l'esistenza nel sistema di una serie di eccezioni a tale regola la cui indubbia tassatività ne impone una specifica elencazione: – questioni pregiudiziali [➠ 3] per le quali il codice consente la sospensione del processo; – controversia relativa alla proprietà del bene sottoposto a sequestro [263, comma 3, e 324, comma 8]; – altre questioni civili e amministrative [➠ 479]; – questioni di legittimità costituzionale (art. 1, L. cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e art. 23, L. 11 marzo 1953, n. 87); – questioni concernenti l'interpretazione delle norme del Trattato UE; – conflitti di giurisdizione e competenza [➠ 28], oggetto di specifica disciplina, in relazione ai quali il giudice è obbligato a trasmettere immediatamente gli atti alla Corte di Cassazione che risolve il conflitto. In tutte le suddette fattispecie il giudice non può esercitare i poteri decisori generalmente riconosciutigli nel contesto di una singola vicenda processuale, ma deve attendere e successivamente attenersi alle pronunce degli organi competenti. Il secondo comma precisa poi chiaramente come gli esiti di questa cognizione occasionale non possano in alcun modo riverberarsi all'esterno dello specifico processo penale nel quale intervengono (esempio). Le Sezioni Unite della Cassazione ci ricordano che in tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta (così Cassazione, S.U., n. 40986 del 2018).

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C.p.p. art. 3 Questioni pregiudiziali COMMENTO Audizione di un testimone che versi in condizioni di salute tali da far ragionevolmente ritenere che lo stesso non potrà essere sottoposto ad esame alla ripresa del processo penale.

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C.p.p. art. 3 Questioni pregiudiziali GIURISPRUDENZA In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l'obbligo, penalmente sanzionato, di corrispondere i mezzi vitali permane finché lo “status” dell'avente diritto al sostentamento non muti a seguito di sentenza passata in giudicato. Trattasi, infatti, di obbligazione “ex lege” a tutela dell'interesse primario del familiare in stato di bisogno, rafforzata dalla procedibilità d'ufficio del reato. La controversia sulla validità del vincolo parentale non costituisce questione pregiudiziale rispetto all'accertamento degli obblighi in questione e non legittima la sospensione del relativo procedimento penale in quanto gli effetti del vincolo stesso permangono finché questo non sia stato dichiarato giudizialmente cessato (850/1994, rv 196323). Nel nuovo codice di procedura penale le questioni pregiudiziali sono state ridotte a quelle relative allo stato di famiglia ed alla cittadinanza, mentre gli artt. 651, 652, 653 e 654 c.p.p. regolano l'efficacia delle sentenze penali di condanna o di assoluzione nel giudizio civile, amministrativo e disciplinare. Non è invece prevista né regolata l'efficacia delle sentenze penali di assoluzione in altro o nello stesso giudizio penale sicché, essendo i relativi giudizi fra loro autonomi dato che in quello penale deve essere ricercata la verità, quanto accertato nella precedente pronuncia penale non fa stato in quello successivo. Ne consegue che è da escludere che il giudice del delitto di associazione per delinquere sia vincolato da precedente pronuncia su di un reato-fine e non possa rinnovare l'indagine né riconsiderare le valenze probatorie degli elementi posti a base dell'assoluzione definitiva di quel reato-fine, quando ciò serva al giudizio tuttora in corso sul delitto associativo (4609/1995, rv 201147). Poiché possa disporsi la sospensione del procedimento penale in relazione a controversia civile sulla questione di stato, è necessario che l'illiceità penale dell'azione od omissione contestata all'imputato dipenda dal precedente stato di una persona e che, essendo tale stato

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controverso, la decisione della questione relativa sia destinata a costituire l'antecedente logico-giuridico della pronuncia sull'esistenza del reato. Non può disporsi la sospensione quando il fatto ascritto all'imputato coincida e si identifichi con quello da cui ha tratto origine lo stato che si assume falsamente attribuito a una persona. Ne consegue che, di fronte alla contestazione del delitto di cui all'art. 567 c.p., controvertendosi sullo stato che secondo l'accusa ha tratto origine proprio dalla falsità ascritta al prevenuto, non ricorrono i presupposti per l'operatività della sospensione del procedimento penale (8060/1995, rv 202151). In tema di pregiudiziale costituzionale, la sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87 consegue obbligatoriamente solo alla trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, che il giudice dispone previa delibazione della rilevanza nel procedimento in corso e della non manifesta infondatezza della questione sollevata; ove pertanto una questione di legittimità costituzionale sia stata rimessa alla Consulta in un procedimento diverso, non può configurarsi l'esistenza di una pregiudiziale in senso proprio con conseguente obbligo del giudice di sospendere – a pena di nullità – il giudizio in cui la medesima questione si sia riproposta, potendosi al più desumere, sulla base della disciplina generale delle questioni pregiudiziali quale positivamente realizzata dagli artt. 2 e 3 c.p.p., una semplice facoltà in tal senso da parte del secondo giudice, previa delibazione della questione in termini di “serietà” (2267/1997, rv 207554). La sospensione del procedimento è un mezzo eccezionale cui il giudice, secondo i casi, deve o può far ricorso solo quando la legge espressamente lo prevede e cioè solo quando la decisione dipenda dalla risoluzione di una questione pregiudiziale costituzionale, ovvero dalla risoluzione di una questione civile o amministrativa. In ogni altro caso, il giudice penale è tenuto a risolvere ogni questione pregiudiziale, pur con efficacia non vincolante (503/1998, rv 210767). In tema di bancarotta, la dichiarazione di fallimento, una volta che abbia acquistato il carattere della irrevocabilità, costituisce un dato definitivo e vincolante sul quale non possono più sorgere questioni non collegate alla produzione formale della prova della sua giuridica esistenza (4427/1998, rv 211139).

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Poiché a norma dell'art. 3, comma quarto, c.p.p., è riconosciuta efficacia di giudicato nel procedimento penale e, per il rinvio contenuto nell'art. 4 della legge n. 1423 del 1956, anche nel procedimento di prevenzione, alle sentenze irrevocabili del giudice civile relative allo stato di famiglia o di cittadinanza, la sentenza dichiarativa di morte presunta, che non riguarda né lo “status familiae”, né lo “status civitatis”, né statuisce sul modo di essere di un rapporto giuridico o sulla modificazione di esso, ma soltanto sull'accertamento in via presuntiva, attraverso un procedimento logico, di un fatto naturale come la morte, non può avere efficacia nel procedimento penale e in quelli, come la procedura per l'applicazione delle misure di prevenzione, che sono regolati dalle norme del codice di procedura penale (5830/1999, rv 212667). In tema di bancarotta, l'imputato che, ai sensi dell'art. 479 c.p.p., richiede la sospensione del dibattimento, in attesa della definizione del processo instaurato contro la dichiarazione di fallimento, è tenuto allo scopo di consentire al giudice penale di valutare la opportunità dell'esercizio del proprio potere discrezionale sul punto a fornire allegazioni non solo alla esistenza della procedura in sede civile, ma anche in ordine alla serietà della questione sollevata, atteso che costituisce presupposto, normativamente postulato, della invocata sospensione la complessità del giudizio instaurato in sede civile o amministrativa (31074/2001, rv 219636). Anche nel rito abbreviato è possibile la sospensione del procedimento, tanto in attesa della risoluzione di questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza (ai sensi dell'art. 3 c.p.p.), quanto in pendenza di giudizio su altre questioni pregiudiziali civili o amministrative di particolare complessità, come previsto dall'art. 479 stesso codice, atteso che non può ritenersi vincolante la lettera di tale articolo, la quale fa riferimento solo alla sospensione del dibattimento, anche in considerazione del fatto che detta sospensione non è finalizzata ad operare sul momento della acquisizione probatoria, ma su quello della decisione; invero, proprio dalla decisione pregiudiziale di altro giudice, il giudice penale attende la possibilità di acquisire non ulteriori dati probatori, quanto elementi indispensabili al fine di pervenire ad una corretta soluzione (13780/2002).

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Il codice di procedura penale vigente, approvato con d.P.R. n. 447 del 1988, non contiene una norma analoga a quella di cui all'art. 3 del codice abrogato, il quale, al comma 1, statuiva che, quando nel corso di un giudizio civile appariva un fatto nel quale fossero ravvisabili gli estremi di un reato perseguibile d'ufficio, il giudice doveva farne rapporto al procuratore della Repubblica. Ne consegue che in nessun caso il giudice civile è tenuto a trasmettere gli atti al suddetto procuratore qualora abbia ricevuto una specifica richiesta in tal senso. (Fattispecie relativa ad un giudizio in materia di locazione, iniziato in primo grado nel 1996, nel corso del quale il conduttore aveva addotto responsabilità penali del locatore in relazione a presunte condotte di estorsione di dichiarazioni non veritiere e di rilascio di ricevute (10490/2009). La richiesta di sospensione del dibattimento ai sensi dell’art. 479 c.p.p., pur essendo oggetto di valutazione discrezionale, obbliga il giudice a fornire puntuale motivazione delle ragioni per le quali ritenga superfluo attendere l’esito del giudizio civile o amministrativo dalla cui risoluzione può dipendere la decisione sull’esistenza del reato (17528/2010). Ai fini dell'integrazione del reato di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza nei confronti di minore non nato in costanza di matrimonio, è richiesta la prova della filiazione, da acquisirsi o mediante l'atto di riconoscimento formale ovvero mediante altro modo consentito, non esclusa eventualmente l'applicazione della pregiudiziale di stato ai sensi e per gli effetti dell'art. 3 c.p.p. (In applicazione del principio la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata che aveva ritenuto la filiazione provata in base alla mera testimonianza della madre in ordine all'avvenuto riconoscimento di paternità non confortato da atti giudiziali e neppure da riscontri anagrafici) (15952/2012).

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C.p.p. art. 3 Questioni pregiudiziali COMMENTO La norma in commento costituisce espressa eccezione rispetto alla regola generale contenuta nella disposizione precedente. Essa, infatti, consente all'organo giudicante di sospendere il processo penale nel momento in cui la decisione che in esso deve essere assunta dipende dalla soluzione di una questione pregiudiziale di natura civilistica o amministrativa attinente allo stato di famiglia o alla cittadinanza. Tuttavia occorre osservare, in via preliminare, come la rigida indicazione dei presupposti che consentono la sospensione e la previsione di un meccanismo di “stasi processuale” che si attiva non automaticamente ma solo a seguito di una decisione discrezionale da parte del giudice consentono di circoscriverne l'operatività in modo tale da non compromettere il valore della celerità nella definizione della vicenda processuale, al contrario di quanto avverrebbe in una fattispecie di sospensione obbligatoria. Condizioni per l'applicazione dell'istituto sono: – il rapporto di pregiudizialità tra la questione insorta e la decisione del giudizio penale; – la serietà della questione medesima, cioè la fondatezza delle ragioni prospettate dalle parti; – la pendenza del procedimento incidentale riguardante la specifica questione innanzi al giudice civile. Il provvedimento di sospensione, rimesso alla scelta discrezionale del giudice penale, deve essere adottato con ordinanza motivata, seppur succintamente, in relazione alla sussistenza dei presupposti suddetti. Tale valutazione è soggetta a ricorso davanti ai giudici di legittimità, i quali sono chiamati esclusivamente a verificare la mera sussistenza, nel caso di specie, dei requisiti normativamente previsti. Peraltro l'esplicita previsione di poteri di impugnazione esercitabili avverso l'ordinanza sospensiva si giustifica ove si consideri che la medesima è idonea a cagionare la sospensione dei termini di prescrizione del reato (così Cassazione n. 10849 del 1991). La stasi del procedimento penale perdura fino al passaggio in giudicato della pronuncia che definisce la questione sullo stato di famiglia o sulla cittadinanza, ma, nelle more della decisione incidentale, non è preclusa la possibilità di adottare atti urgenti, come l'assunzione di prove non rinviabili (esempio). Sempre al fine di evitare il contrasto tra giudicati, la norma prevede espressamente che la sentenza emessa dal giudice civile vincoli la cognizione dell'organo giudicante in sede penale per ciò che attiene alla pregiudiziale controversa.

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C.p.p. art. 4 Regole per la determinazione della competenza GIURISPRUDENZA L'art. 4 c.p.p. esclude ogni incidenza delle circostanze attenuanti, quale che sia la loro natura, nella determinazione della competenza (3838/1991, rv 186928). L'art. 4 c.p.p., nel prevedere la rilevanza, ai fini della determinazione della competenza, delle circostanze ad effetto speciale, si riferisce unicamente alle circostanze aggravanti e non anche a quelle attenuanti (907/1993, rv 193672). Le norme sulla competenza hanno carattere processuale ed, in applicazione del principio d'ordine generale “tempus regit actum”, sono di immediata applicazione anche ai reati commessi in epoca antecedente alla data della loro entrata in vigore, salvo che il relativo processo sia già radicato legittimamente davanti ad altro giudice, competente secondo le disposizioni previgenti, perché in tal caso – e solo in esso – opera la cosiddetta “perpetuatio competentiae” (4729/1993, rv 192680). Il decreto penale di condanna costituisce un provvedimento giurisdizionale assimilabile alla sentenza di condanna, che presuppone l'esistenza d'un processo, il quale in esso vede uno dei possibili modi di propria definizione e l'avvenuto radicamento della competenza in capo al giudice che lo emette; l'opposizione, infatti, serve a instaurare il giudizio ordinario davanti al pretore – giudice del dibattimento – della stessa sede cui appartiene il G.I.P. che ha emesso il decreto opposto. Ne consegue che, radicandosi la competenza a giudicare al momento dell'emissione del decreto, non trovano applicazione, in virtù del principio della “perpetuatio competentiae”, le norme modificatrici dei criteri di determinazione della competenza per territorio, successive a tale momento (4729/1993, rv 192681). L'incompetenza funzionale equivale al disconoscimento della ripartizione delle attribuzioni del giudice in relazione allo sviluppo del processo e riflette i suoi effetti direttamente sull'idoneità specifica dell'organo all'adozione di un determinato provvedimento.

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Essa, pur non avendo trovato un'esplicita previsione neppure nel nuovo codice di procedura penale, proprio perché connaturata alla costruzione normativa delle attribuzioni del giudice ed allo sviluppo del rapporto processuale, è desumibile dal sistema ed esprime tutta la sua imponente rilevanza in relazione alla legittimità del provvedimento emesso dal giudice, perché la sua mancanza rende tale provvedimento non più conforme a parametri normativi di riferimento (14/1994, rv 198219). In tema di competenza penale vige, in linea generale il principio “tempus regit actum” in forza del quale – intervenuta una legge modificatrice “ratione materiae” della competenza prevista al momento della commissione del reato – vanno applicate le regole sulla competenza con riferimento al tempo in cui una determinata attività di giurisdizione deve essere esercitata, col contemperamento del principio della “perpetuatio iurisdictionis” nell'ipotesi in cui il procedimento sia pervenuto alla fase del dibattimento. In materia di reati di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, la legge 13 dicembre 1989 n. 401 è meno favorevole rispetto all'art. 718 c.p., essendo prevista la pena della reclusione da sei mesi a tre anni (art. 4) a fronte della pena da tre mesi ad un anno di arresto e dell'ammenda non inferiore a lire quattrocentomila prevista dall'art. 718 c.p. Tale nuova legge ha riflessi che appartengono, in quanto tali, alla cognizione del tribunale non essendo prevista la sola pena della multa o dell'ammenda (art. 10 della legge 31 luglio 1984 n. 400); in tal caso peraltro si verte in ipotesi di successione di leggi penali regolata dall'art. 2 c.p.: ne consegue che, per i fatti previsti dall'art. 4 della legge 13 dicembre 1989 n. 401, commessi prima dell'entrata in vigore della legge stessa, resta applicabile la regola generale (artt. 4 e 7 c.p.p.) della competenza del giudice che l'aveva al tempo del commesso reato, e cioè il pretore (280/1994, rv 197131). L'art. 11 del D.L. 8 giugno 1992 n. 306 convertito nella legge 7 agosto 1992 n. 356 ha elevato da tre a sei anni di reclusione la pena massima per il reato di falsa testimonianza previsto dall'art. 372 c.p. Trattasi di norma che – pur avendo riflesso sulla competenza per materia, ora del tribunale e non più del pretore – è di carattere sostanziale perché modifica l'entità della sanzione prevista per il reato, sicché rispetto ad essa non trova applicazione la regola

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“tempus regit actum”, propria delle norme processuali, ma l'altra relativa alle norme di natura sostanziale, dell'ultrattività della disposizione più favorevole. Ne consegue che per i fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore della norma modificativa in questione, permane la competenza a conoscerne del pretore (1823/1994, rv 197632). In materia di reati concernenti carte di credito e documenti ad esse assimilati, quali attualmente previsti dall'art. 12 del D.L. 3 maggio 1991 n. 143, convertito con modificazioni in legge 5 luglio 1991 n. 197, la competenza a conoscere del fatto originariamente qualificato come ricettazione e commesso prima dell'entrata in vigore di detta normativa speciale spetta al tribunale e non al pretore, in applicazione (mancando norma transitoria), del principio di ordine generale circa l'immediata operatività delle disposizioni incidenti sulla disciplina processuale (3407/1994, rv 199296). La nuova disciplina attributiva della competenza per materia al tribunale in tema di illeciti relativi a carte di credito, deve ritenersi applicabile ai fatti anteriormente commessi, per la considerazione che non può prescindersi dall'osservanza del canone tradizionale, di portata generale, per cui la disciplina processuale, anche se modificativa di competenze, precostituite, deve trovare immediata applicazione nei procedimenti in corso. Ed invero la competenza va verificata sul contenuto formale dei capi di imputazione, così come contestati nell'esercizio dell'azione penale, per cui anche qualora sia dubbia la qualificazione giuridica del fatto dell'acquisizione di carte di credito di provenienza illecita il conflitto di competenza va risolto con l'attribuzione della cognizione al giudice di competenza superiore, il quale è in grado di decidere sulla esatta qualificazione giuridica del fatto e sul trattamento sanzionatorio, pronunziandosi anche sul reato di competenza inferiore (5370/1994, rv 196104). In tema di competenza, in ipotesi di modificazioni legislative, non accompagnate da disposizioni transitorie, va operata una distinzione tra il caso in cui la norma modificativa concerna direttamente ed espressamente la competenza per materia (ovvero, per la competenza pretorile, i limiti di pena generalmente previsti nel primo comma dell'art. 7 c.p.p.), e il caso in cui la modificazione riguardi, invece, la pena per un reato determinato, da ciò derivando, ma soltanto come effetto mediato, anche uno spostamento di

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competenza. Mentre nel primo caso il principio “tempus regit actum” è rettamente applicato, per la natura schiettamente processuale della norma sopravvenuta, nella seconda ipotesi la modificazione riguarda direttamente ed esclusivamente la pena, soltanto da ciò emergendo, come derivato indiretto, lo spostamento della competenza per il reato, sulla base del parametro “edittale”. Ne consegue che, in questa seconda ipotesi, resta ferma la competenza radicatasi prima dell'intervento di modifica legislativa (5559/1994, rv 196115). Il criterio della norma più favorevole al reo può essere utilizzato solo al fine di individuare la disposizione di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, non quella processuale, come è quella disciplinante la competenza tra diversi organi giudicanti, per la quale, in assenza di un'apposita norma transitoria, si deve far riferimento al principio generale del “tempus regit actum”, secondo cui la nuova disciplina processuale, anche se immuta la competenza precostituita, trova immediata applicazione nei procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, sempre che, naturalmente, il giudice non sia stato già legittimamente investito del relativo giudizio, in quanto, in tal caso, essendosi già radicata la competenza, la nuova disciplina processuale non ha efficacia (2537/1997, rv 207700). Il principio generale della immediata applicazione delle nuove norme deve considerarsi temperato da quello della “perpetuatio iurisdictionis”, nel senso che, nel caso in cui il procedimento sia pervenuto alla fase del dibattimento (senza che abbia rilievo l'emissione del decreto di citazione a giudizio) la competenza deve ritenersi radicata presso il giudice anteriore. Perché, quindi, lo “iudicium” possa considerarsi “acceptum” (con la conseguenza che “ibi et finem accipere debet”) non è sufficiente la semplice pendenza del procedimento davanti ad un ufficio giudiziario, ma è necessario che il giudice abbia iniziato a conoscere del procedimento, abbia cioè esercitato attività di giurisdizione. Ne consegue che, affinché possa ritenersi operante il criterio della “perpetuatio iurisdictionis” non è sufficiente la mera presentazione di un'istanza ad un ufficio, ma è necessario che il giudice al quale l'istanza è rivolta ne abbia iniziato concretamente la trattazione

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prima dell'entrata in vigore delle nuove norme (3819/1997, rv 208823). È abnorme, in quanto determina uno stallo del procedimento, l'ordinanza del Gup che, investito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga la trasmissione degli atti al P.M. per l'emissione del decreto di citazione a giudizio sull'erroneo presupposto che la richiesta riguardi un reato punito con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni. (Nella specie la Corte ha rilevato che il delitto di cui all'art. 2, comma terzo, del D.Lgs. n. 74 del 2000 è circostanza attenuante e non fattispecie autonoma di reato sicché della stessa non può tenersi conto ai fini della determinazione della pena) (25204/2008).

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C.p.p. art. 4 Regole per la determinazione della competenza COMMENTO La norma in esame stabilisce i parametri che devono essere osservati nella determinazione della competenza, riferendosi esclusivamente al criterio quantitativo della pena edittale fissata dalla legge penale in relazione al delitto tentato o consumato. La disposizione contiene, poi, una specifica disciplina di quei fattori che, ricorrendo sin dal momento dell'esercizio dell'azione penale, potrebbero incidere sulla portata effettiva della pena medesima in occasione della pronuncia finale. Nessun rilievo è attribuito alle variazioni del quantum della sanzione dipendenti dall'applicazione della continuazione e della recidiva. In relazione alle circostanze assumono rilievo le sole aggravanti ricorrendo le quali la legge prevede il passaggio dalla pena originariamente prevista ad una sanzione di specie differente ovvero quelle ad effetto speciale che importano un incremento superiore ad un terzo della misura base, ai sensi dell'art. 63 c.p. Non si considerano in alcun modo le circostanze attenuanti, né la diminuente della minore età.

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C.p.p. art. 5 Competenza della corte di assise GIURISPRUDENZA A seguito della modifica dell'art. 5 c.p.p., apportata con il D.L. 22 febbraio 1999 n. 29, convertito in legge 21 aprile 1999 n. 109, i delitti di rapina aggravata appartengono alla competenza del tribunale, e quindi della Corte d'Appello in secondo grado. La stessa legge, all'art. 3, dispone che l'anzidetta norma si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge sopra indicato, salvo che, prima di tale data, sia stato dichiarato aperto il dibattimento davanti alla Corte di Assise. Quest'ultima norma non contrasta con il principio costituzionale di cui all'art. 25 della Costituzione, secondo cui nessuno può essere sottratto al giudice naturale, sia perché la norma ha carattere generale sia perché deve riconoscersi la discrezionalità del legislatore nel determinare la disciplina della competenza, laddove un contrasto con la norma costituzionale dell'art. 25 potrebbe ravvisarsi solo se una disposizione di legge sottraesse il caso concreto alle regole generali (5400/2000, rv 216148). Ai sensi dell'art. 5 c.p.p., il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso appartiene "quoad poenam" alla competenza della Corte d'assise quando ai soggetti di vertice (promotori, dirigenti o organizzatori) è contestata l'aggravante dell'associazione armata, essendo in tal caso l'art. 416 bis, commi quarto e sesto, c.p. punibile con un massimo edittale non inferiore a ventiquattro anni di reclusione, alla luce dell'aumento di pena introdotto con la l. n. 251/2005 (4964/2010). Pur dopo l'entrata in vigore del d.l. 12 febbraio 2010 n. 10 (Disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale), conv. nella l. 6 aprile 2010 n. 52, che ha attribuito al tribunale la competenza per l'associazione di tipo mafioso pluriaggravata, già rientrante, per effetto della l. n. 251 del 2005, in quella della Corte d'assise, a quest'ultima continua ad appartenere la competenza per detto reato in ordine a quei procedimenti nei quali non sia stato

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ancora dichiarato aperto il dibattimento, ma sui quali eserciti "vis attractiva" per connessione altro procedimento per lo stesso fatto pendente in fase dibattimentale dinanzi alla Corte medesima. (Nella specie, relativa a conflitto negativo, il procedimento non ancora in fase dibattimentale, iniziato nei confronti di promotore di un'associazione mafiosa, era stato separato dal troncone principale, ma non era approdato ancora al dibattimento, come quello principale, in corso di celebrazione dinanzi alla Corte d'assise, designata come giudice competente dalla Corte di cassazione in sede di risoluzione di precedente conflitto) (27254/2010).

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C.p.p. art. 5 Competenza della corte di assise COMMENTO La competenza della Corte d'Assise, composta da due giudici togati e da sei giudici popolari, riguarda tutte quelle fattispecie delittuose che, per la natura della condotta posta in essere o per la gravità delle conseguenze che ne derivano, suscitano un allarme sociale particolarmente rilevante, richiedendo, perciò, la partecipazione diretta dei cittadini alla procedura di accertamento dei fatti per i quali è stata esercitata l'azione penale, in conformità a quanto previsto dall'art. 102, Cost. L'articolo in argomento, alla stregua delle indicazioni contenute nella legge delega, contiene un sistema organico di individuazione delle diverse fattispecie, fondato sull'operatività di un “criterio misto” quanti-qualitativo. Con D.L. 12 febbraio 2010, n. 10, convertito in L. 6 aprile 2010, n. 52, il legislatore ha provveduto d'urgenza per risolvere la questione giurisprudenziale di cui è espressione la sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione n. 4964 del 21 gennaio 2010 in ordine al conflitto di competenza tra tribunale e Corte d'Assise per i delitti di associazione mafiosa di cui all'art. 416 bis c.p., comunque aggravati. È stato, dunque, scongiurato il pericolo della scarcerazione di molti imputati nei processi di mafia, per decorrenza dei termini di custodia cautelare in carcere. Il citato decreto, infatti, pone fine al conflitto con l'attribuzione definitiva ai tribunali della competenza a giudicare sulle associazioni di tipo mafioso comunque aggravate. Contestualmente il provvedimento governativo anticipa una norma contenuta nel più generale disegno di legge di riforma del processo penale in discussione in Parlamento, estendendo, con la modifica al testo dell'articolo in commento, la competenza delle Corti d'Assise ad alcuni gravissimi reati (terrorismo, riduzione in schiavitù, sequestro di persona, traffico di stupefacenti, contrabbando ecc.). Nella lettera a) – nella versione previgente la riforma del 2010 – erano previsti tutti i reati la cui pena edittale sia l'ergastolo o comunque una pena non inferiore nel massimo a ventiquattro anni. Espressamente vengono esclusi i delitti di tentato omicidio, rapina ed estorsione, comunque aggravati, il sequestro di persona a scopo di estorsione e tutti i reati afferenti le sostanze stupefacenti. Nella versione successiva alla riforma del 2010, dalla citata lettera a) è prevista l'esclusione della competenza della Corte d'assise (da cui conseguentemente deriva la competenza del tribunale) per i delitti, comunque aggravati, di associazioni di tipo mafioso anche straniere (anche quindi se dall'applicazione di circostanze aggravanti deriva la pena della reclusione superiore nel massimo a 24 anni), nonché la competenza della Corte d'assise per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione (punito con la reclusione da 25 a 30 anni). Nella lettera b) sono indicati i delitti consumati di omicidio del consenziente, l'istigazione o aiuto al suicidio e l'omicidio preterintenzionale. Nella formulazione precedente alla modifica apportata a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 228 del 2003, erano altresì indicati i delitti di riduzione in schiavitù, tratta, commercio,

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alienazione e acquisto di schiavi, fattispecie integralmente riformulate dall'intervento novellistico e confluite nella competenza del Tribunale in composizione collegiale. Nella lettera c) la competenza è estesa a tutti i delitti dolosi in cui sia derivata la morte di una o più persone. Sono esclusi i reati di rissa e di omissione di soccorso e l'ipotesi generale di morte come conseguenza di altro delitto. Quest'ultima specifica previsione permette di evidenziare come, ai fini dell'attribuzione della competenza alla corte d'assise, l'evento morte sia rilevante solo nelle ipotesi in cui esso sia riferibile alla coscienza e volontà del soggetto agente. La lettera d) indica espressamente i delitti, consumati o tentati, relativi alla riorganizzazione del partito fascista, il genocidio ed i reati a questo relativi ed i delitti contro la personalità dello Stato purché la pena edittale in questi ultimi non sia inferiore nel massimo a dieci anni. La nuova lettera d bis), introdotta dal D.L. 10/2010, radica nella competenza della Corte d'assise i seguenti ulteriori delitti consumati o tentati: – associazione a delinquere diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600 (riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù), 601 (tratta di persone) e 602 (acquisto e alienazione di schiavi), nonché all'articolo 12, comma 3 bis, del testo unico immigrazione (ipotesi aggravate di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina) (articolo 416, sesto comma, del codice penale); – riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (articolo 600 del codice penale), tratta di persone (articolo 601 del codice penale) e acquisto e alienazione di schiavi (articolo 602 del codice penale); – delitti con finalità di terrorismo sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni. L'articolo 1, comma 2 e l'articolo 2, del citato D.L. 10/2010 dettano due disposizioni transitorie, la prima di portata generale, la seconda (formulata in termini derogatori rispetto alla prima) specificamente riferita ai procedimenti in corso relativi al delitto di associazioni di tipo mafioso anche straniere. L'articolo 1, comma 2 prevede, in particolare, l'applicabilità dei nuovi criteri di ripartizione della competenza tra tribunale e corte d'appello anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge (ovvero, in base all'articolo 4, al 13 febbraio 2010, giorno successivo alla sua pubblicazione nella “Gazzetta ufficiale”) limitatamente ai casi in cui, alla data del 30 giugno 2010, non sia stata esercitata l'azione penale.

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C.p.p. art. 6 Competenza del tribunale GIURISPRUDENZA In tema di competenza in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione, la norma di cui all'art. 19 della legge 26 aprile 1990 n. 86, che ha modificato l'art. 6 c.p.p. per il principio “tempus regit actum”, tipico in materia processuale, si applica anche ai fatti commessi anteriormente, pure quando, in base alla normativa previgente, apparterebbero alla competenza del pretore (3143/1991, rv 188365). La competenza a conoscere dei reati indicati nel comma secondo dell'art. 6 c.p.p., introdotto dall'art. 19 della legge 26 aprile 1990 n. 86, appartiene in ogni caso al tribunale, anche quando trattasi di fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore di detta legge; ciò in applicazione, trattandosi di materia processuale, del principio generale “tempus regit actum”, al quale il legislatore, non avendo dettato alcuna norma transitoria, non ha evidentemente inteso apportare deroghe (296/1992, rv 189499). La competenza per materia, determinata in base al fatto contestato in relazione al momento della commissione dello stesso, per il principio generale del “tempus regit actum”, applicabile alle norme processuali, resta radicata presso il giudice della cognizione, anche nell'ipotesi in cui, dopo il decreto di investitura per il giudizio, sopravvenga una legge che modifichi la struttura del reato, con conseguente modifica della competenza, che non derivi da disposizioni di natura processuale (4147/1992, rv 189883). Poiché il reato permanente costituisce un'entità giuridicamente unitaria che non può essere scissa, esso, se attribuito a persona che all'epoca di inizio dell'attività criminosa era minore d'età, rientra per intero nella competenza per materia del tribunale penale ordinario, e non – frazionatamente – in quella del Tribunale minorile e in quella ordinaria, anche perché un'eventuale scissione finirebbe in pregiudizio per l'imputato (912/1993, rv 193634). In tema di competenza penale vige, in linea generale il principio “tempus regit actum” in forza del quale – intervenuta una legge

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modificatrice “ratione materiae” della competenza prevista al momento della commissione del reato – vanno applicate le regole sulla competenza con riferimento al tempo in cui una determinata attività di giurisdizione deve essere esercitata, col contemperamento del principio della “perpetuatio iurisdictionis” nell'ipotesi in cui il procedimento sia pervenuto alla fase del dibattimento. In materia di reati di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, la legge 13 dicembre 1989 n. 401 è meno favorevole rispetto all'art. 718 c.p., essendo prevista la pena della reclusione da sei mesi a tre anni (art. 4) a fronte della pena da tre mesi ad un anno di arresto e dell'ammenda non inferiore a lire quattrocentomila prevista dall'art. 718 c.p. Tale nuova legge ha riflessi che appartengono, in quanto tali, alla cognizione del tribunale non essendo prevista la sola pena della multa o dell'ammenda (art. 10 della legge 31 luglio 1984 n. 400); in tal caso peraltro si verte in ipotesi di successione di leggi penali regolata dall'art. 2 c.p.: ne consegue che, per i fatti previsti dall'art. 4 della legge 13 dicembre 1989 n. 401, commessi prima dell'entrata in vigore della legge stessa, resta applicabile la regola generale (artt. 4 e 7 c.p.p.) della competenza del giudice che l'aveva al tempo del commesso reato, e cioè il pretore (280/1994, rv 197131). Il reato di cui all'art. 4, primo comma, della legge 13 dicembre 1989 n. 401 (Esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa), ha natura di illecito finanziario benché la norma sia volta a tutelare interessi diversi, come l'ordine pubblico e il contrasto alle attività illegali della criminalità organizzata. Ciò in quanto per reato finanziario deve intendersi ogni illecito, penalmente sanzionato, che contrasti con l'interesse finanziario dello Stato, sotteso alla imposizione di tributi e di altri diritti erariali, ovvero, in forma indiretta, all'esercizio monopolistico di attività lucrative sottratte alla organizzazione da parte di privati, come lotterie, scommesse, pronostici relativi a competizioni sportive. Tali attività, riservate allo Stato, realizzano un interesse finanziario dello stesso, atteso che una quota degli importi, riscossi con la raccolta delle puntate degli scommettitori, viene versata all'Erario a titolo di tributo. Poiché il citato reato di cui all'art. 4 della legge n. 401 del 1989 è sanzionato con pena detentiva, la competenza a giudicare appartiene al tribunale e non al pretore, in

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applicazione del criterio indicato dall'art. 21 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, così come modificato dall'art. 10 della legge 31 luglio 1984 n. 400: norme di carattere speciale rispetto a quelle di cui agli artt. 6 e 7 c.p.p., in quanto tali, derogatrici delle norme generali sulla competenza (2389/1998, rv 210771). È da inammissibile il ricorso avverso il provvedimento mediante il quale il Giudice di Pace dichiara l'inammissibilità del ricorso immediato per la citazione in giudizio (36717/2008). Il delitto di promozione, direzione od organizzazione di un'associazione di tipo mafioso aggravato ai sensi dell'art. 416 bis, comma quarto, c.p. (associazione armata), appartiene alla competenza della Corte d'Assise e non a quella del Tribunale, qualora la consumazione del reato si sia protratta anche successivamente all'entrata in vigore della L. n. 251 del 2005 (4964/2010). La competenza per tutte le ipotesi di reato contenute nell'art. 416 bis c.p., a prescindere dalla pena edittale prevista in riferimento alla violazione contestata, appartiene al Tribunale anche con riguardo ai procedimenti avviati precedentemente al momento dell'entrata in vigore del d.l. 12 febbraio 2010, n. 10, salvo che a quella data il giudizio non fosse già iniziato dinanzi alla Corte d'Assise (21063/2011).

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C.p.p. art. 6 Competenza del tribunale COMMENTO L'attuale formulazione dell'articolo in commento è, almeno in parte, il risultato delle modifiche determinate nell'ordinamento processuale penale dall'introduzione del giudice unico di primo grado. Infatti, se da un lato è rimasto inalterato il criterio generale di definizione della competenza del tribunale, individuata per relationem e in via residuale rispetto a quella della corte d'assise e del giudice di pace, dall'altro sono stati eliminati tutti gli originari riferimenti a specifiche fattispecie delittuose, quali, ad esempio, alcuni delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., che servivano a specificare ulteriormente gli spazi riservati alla cognizione del tribunale stesso rispetto a quelli del “previgente” pretore. Relativamente ai criteri di ripartizione delle attribuzioni tra tribunale in composizione monocratica e tribunale in composizione collegiale si rinvia agli artt. 33 bis e 33 ter.

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C.p.p. art. 8 Regole generali COMMENTO 1. Gianni commette un furto nell'abitazione di Carlo sita a Roma. Competente a giudicare è il Tribunale di Roma. 2. Gianni, presso la Stazione ferroviaria di Napoli, spara con un'arma da fuoco a Carlo ferendolo a morte e spingendolo all'interno di un treno merci diretto a Firenze. Anche se il corpo ormai esanime viene rinvenuto nel capoluogo toscano competente a pronunciarsi sarà il Tribunale di Napoli. 3. Luigi sequestra Francesco nella sua casa di Sassari e dopo una lunga permanenza nell'entroterra nuorese, una volta ottenuto il riscatto, lo rilascia nei pressi di Cagliari. Competente a pronunciarsi è il Tribunale di Sassari. 4. Si consideri quanto previsto dalla legge n. 223 del 1990 in materia di diffamazione aggravata dall'attribuzione di un fatto determinato mediante il ricorso al mezzo televisivo (in proposito vedi Cassazione n. 1291 del 1996).

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C.p.p. art. 8 Regole generali GIURISPRUDENZA La temporanea impossibilità di formare un collegio giudicante (nella specie, a cagione dell'astensione di uno dei magistrati che avrebbero dovuto comporlo) non può costituire causa di spostamento della competenza territoriale ad altro giudice, dovendosi far ricorso, in siffatta ipotesi, agli istituti della supplenza e dell'applicazione, da ritenere operanti anche nell'ordinamento giudiziario militare, in virtù del richiamo di cui all'art. 1 della legge 7 maggio 1981 n. 180 (2079/1996, rv 204917). L'eccezione di incompetenza territoriale del giudice è proponibile anche nella fase delle indagini preliminari (5668/1996, rv 206251). Qualora una legge istitutiva di nuovo tribunale disponga che la competenza rimanga attribuita a quello in precedenza competente per i procedimenti per i quali sia stato dichiarato aperto il dibattimento, la circostanza che, essendo intervenuta siffatta dichiarazione, il processo sia stato rinviato a nuovo ruolo non vale ad escludere la “perpetuatio iurisdictionis” (6095/1996, rv 203867). Al fine della determinazione della competenza per territorio di un reato associativo, occorre far riferimento al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono le attività di programmazione e di ideazione riguardanti l'associazione, essendo irrilevante il luogo di commissione dei singoli reati riferibili all'associazione. Tuttavia, qualora ci si trovi in presenza di un'organizzazione criminale composta di vari gruppi operanti su di un vasto territorio nazionale ed estero, i cui raccordi per il conseguimento dei fini dell'associazione prescindono dal territorio, né sono collegati allo stesso per la realizzazione dei suddetti fini, la competenza per territorio a conoscere del reato associativo non può essere individuata sulla base di elementi i quali, pur essendo rilevanti ai fini probatori per l'accertamento della responsabilità degli imputati, non sono particolarmente significativi ai fini della determinazione della competenza territoriale, essendo in contrasto con altri elementi

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ben più significativi i quali lasciano desumere che il luogo di programmazione e di ideazione dell'attività riferibile all'associazione non possa essere individuato con certezza (6171/1996, rv 206261). Il reato di bancarotta semplice si consuma con la sentenza dichiarativa di fallimento che ne è elemento costitutivo: pertanto la competenza territoriale del pretore va individuata con riguardo al luogo ove è stata emessa tale sentenza, a nulla rilevando il fatto che a seguito della costituzione di nuovo tribunale gli atti del fallimento sono stati trasmessi a quest'ultimo (6641/1996, rv 204531). Il principio generale della immediata applicazione delle nuove norme deve considerarsi temperato da quello della “perpetuatio iurisdictionis”, nel senso che, nel caso in cui il procedimento sia pervenuto alla fase del dibattimento (senza che abbia rilievo l'emissione del decreto di citazione a giudizio) la competenza deve ritenersi radicata presso il giudice anteriore. Perché, quindi, lo “iudicium” possa considerarsi “acceptum” (con la conseguenza che “ibi et finem accipere debet”) non è sufficiente la semplice pendenza del procedimento davanti ad un ufficio giudiziario, ma è necessario che il giudice abbia iniziato a conoscere del procedimento, abbia cioè esercitato attività di giurisdizione. Ne consegue che, affinché possa ritenersi operante il criterio della “perpetuatio iurisdictionis” non è sufficiente la mera presentazione di un'istanza ad un ufficio, ma è necessario che il giudice al quale l'istanza è rivolta ne abbia iniziato concretamente la trattazione prima dell'entrata in vigore delle nuove norme (3819/1997, rv 208823). Poiché il reato di ricettazione ha carattere istantaneo, ai fini della determinazione della competenza per territorio non può essere attribuito alcun rilievo al luogo in cui è stata accertata la detenzione della cosa, ma occorre, invece, verificare l'esistenza di dati indicativi del luogo in cui la cosa può essere venuta in possesso del reo (4127/1997, rv 208400). In tema di competenza territoriale nel settore dei reati riguardanti sostanze stupefacenti, le diverse condotte previste dall'art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (acquisto, detenzione, raffinazione, trasporto, cessione), tra loro in rapporto di alternatività formale, perdono la loro individualità e, quando si riferiscano alla

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stessa sostanza stupefacente e siano indirizzate a un unico fine, senza un'apprezzabile soluzione di continuità, costituiscono, in una sorta di progressione criminosa, condotte plurime di un unico reato. Pertanto, per determinare, in tal caso, la competenza occorre fare riferimento al luogo di compimento della prima delle condotte addebitate (2411/1998, rv 211264). In tema di associazione per delinquere, trattandosi di reato permanente, la competenza territoriale va individuata ex art. 8, comma terzo, c.p.p., con la conseguenza che essa spetta al giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato. Tuttavia, qualora gli atti del processo non offrano elementi certi per l'individuazione di tale luogo, deve farsi ricorso ai criteri sussidiari previsti dall'art. 9 c.p.p. Alla luce di tale disposizione, ove non siano comunque percepibili neppure elementi presuntivi che valgano a radicare la competenza territoriale nel luogo in cui il sodalizio criminoso si manifesti per la prima volta all'esterno, possono utilizzarsi criteri desumibili dai reati fine, con particolare riferimento a quello della consumazione dell'ultimo reato fine, specialmente nel caso in cui detti reati siano stati tutti commessi nello stesso luogo e siano tutti dello stesso tipo (3067/1999, rv 214944). In tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, relativamente all'individuazione del giudice territorialmente competente a giudicare del reato associativo, data la natura permanente del delitto, occorre fare riferimento al luogo in cui ha avuto inizio la consumazione (art. 8, comma terzo, c.p.) e, solo in caso di mancanza di prova sul luogo e sul momento della costituzione dell'organizzazione, possono soccorrere i criteri sussidiari e presuntivi del luogo in cui fu commesso l'ultimo reatofine concretamente accertato, del luogo di arresto dell'imputato ovvero del luogo di domicilio, residenza o dimora dello stesso (attualmente stabiliti dall'art. 9 c.p.p. del 1988 e, in precedenza, previsti dall'art. 40 c.p.p. del 1930 operante in caso di impossibilità di determinare la competenza in base ai criteri di cui all'art. 39, comma terzo, c.p.p. siccome modificato dall'art. 1 della legge 8 agosto 1977 n. 534) (3089/1999, rv 213573). La competenza territoriale in ordine al reato di associazione per delinquere di tipo mafioso non può determinarsi con riferimento al

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luogo in cui l'associazione si è costituita né a quello in cui sono stati eseguiti i reati fine, bensì, trattandosi di reato permanente, con riguardo al luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato stesso, secondo la regola dettata dall'art. 8, terzo comma, c.p.p., cioè al luogo in cui il sodalizio ha manifestato la sua operatività e, ove neppure tale luogo sia determinabile in base agli atti processuali, è necessario fare riferimento ai criteri suppletivi di cui all'art. 9 (2324/2000, rv 217561). La competenza per territorio, nel caso di reati commessi con il mezzo della stampa, va determinata con riferimento al luogo di prima diffusione dello stampato, che di solito coincide con quello in cui la stampa viene effettuata. Tale coincidenza, tuttavia, non può verificarsi qualora le varie parti di cui un giornale periodico può essere composto (copertina, inserti, etc.), siano realizzate in luoghi diversi, per cui, in siffatta ipotesi, il luogo di prima diffusione va necessariamente individuato in quello in cui avviene il deposito in questura delle cosiddette “copie d'obbligo” (4158/2000, rv 216824). La competenza territoriale in ordine al reato di associazione per delinquere si radica nel luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, ai sensi dell'art. 8, comma 3, c.p.p., per tale dovendosi intendere il luogo di costituzione del sodalizio criminoso, a prescindere dalla localizzazione dei reati-fine eventualmente realizzati (24849/2001, rv 219220). La competenza in ordine al reato di associazione per delinquere non è determinabile dal luogo di costituzione dell'associazione, ma da quello in cui l'associazione ha dato i primi segnali di esistenza e di operatività, quale luogo di inizio della consumazione del reato permanente ex articolo 8, comma 3, c.p.p. (25592/2003). In tema di competenza per territorio, per il reato di ricettazione, qualora non possa determinarsi il luogo in cui è stato commesso il reato, che deve essere individuato in quello in cui il bene sia stato ricevuto, devono trovare applicazione le regole suppletive di cui all'art. 9 c.p.p. (36819/2010). Nell'ipotesi di reati connessi, per la determinazione della competenza per territorio, qualora non sia possibile individuare il luogo di consumazione del reato più grave, non è consentito far ricorso alle regole suppletive stabilite nell'art. 9 c.p.p. – che, sia per la collocazione, sia per il contenuto letterale, si riferisce a

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procedimenti con reato singolo – ma si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato che, in via decrescente, si presenta come il più grave fra quelli residui (40825/2010). In tema di reati associativi, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio; in particolare, considerato che l'associazione è una realtà criminosa destinata a svolgere una concreta attività, assume rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il "pactum sceleris", quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l'operatività della struttura (22953/2012). L'eccezione di incompetenza territoriale è proponibile "in limine" al giudizio abbreviato non preceduto dall'udienza preliminare, mentre, qualora il rito alternativo venga instaurato nella stessa udienza, l'incidente di competenza può essere sollevato, sempre "in limine" a tale giudizio, solo se già proposto e rigettato in sede di udienza preliminare. (In motivazione la Corte ha precisato che, pur in assenza nel giudizio speciale di una fase dedicata alla soluzione delle questioni preliminari, l'eccezione può essere proposta in quella dedicata alla verifica della costituzione delle parti) (S.U. 27996/2012). In tema di reati associativi, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio, assumendo rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il “pactum sceleris”, quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l'operatività della struttura. (Fattispecie relativa a misura custodiale applicata per il reato di cui all' art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 in cui la Corte ha ritenuto corretta l'individuazione del giudice competente per territorio con riferimento al luogo in cui il sodalizio criminale organizzava il traffico e lo smercio dello stupefacente, e irrilevante, rispetto a siffatto criterio di collegamento, il luogo di acquisto della sostanza stupefacente) (4118/2018). Nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (specificamente postepay), il tempo ed il luogo di consumazione del delitto sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del

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denaro sulla carta. Tale operazione, invero, realizza contestualmente sia l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente, che ottiene l’immediata disponibilità della somma versata, sia la definitiva perdita dello stesso bene da parte della vittima (49988/2019). Il reato di omesso versamento di ritenute certificate di cui all’art. 10-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000, si consuma nel momento in cui scade il termine utile per il pagamento, previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta relativa all’anno precedente, di talché il luogo di consumazione del reato coincide con quello in cui si compie, alla scadenza del termine previsto, l’omissione del versamento imposto dal precetto normativo. Detto luogo corrisponde di regola, almeno per le società, a quello ove si trova la sede effettiva dell’impresa, intesa come centro della prevalente attività amministrativa e direttiva di organizzazione, coincidente o meno con la sede legale, avuto riguardo al principio di effettività (13610/2019).

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C.p.p. art. 8 Regole generali COMMENTO L'articolo in esame contiene i principi generali fissati dal legislatore ai fini di determinare la competenza “in senso orizzontale” degli organi della giurisdizione dislocati su tutto il territorio nazionale. È evidente, infatti, che all'individuazione del giudice astrattamente competente per materia, in relazione alla natura e alle caratteristiche della fattispecie criminosa, deve necessariamente accompagnarsi la specifica identificazione della circoscrizione nella quale opera l'ufficio giudiziario deputato a pronunciarsi. A tal fine il criterio guida normativamente imposto è quello del locus commissi delicti, intendendosi con tale espressione il luogo in cui si è concretamente perfezionato il reato in relazione a tutti gli elementi previsti in astratto dalle disposizioni della legge penale. Sulla corretta determinazione del momento consumativo, ogni figura delittuosa richiede riflessioni appropriate che, comunque, non possono prescindere dalla considerazione della specifica situazione determinatasi e, in particolare, del momento in cui si verifica la lesione del bene giuridico tutelato (esempio n. 1). Nel secondo comma il legislatore ha introdotto una deroga al principio generale, riguardo a quelle fattispecie nelle quali la morte di una o più persone sia conseguenza della manifestazione criminosa, tanto laddove essa sia elemento costitutivo del reato base quanto nel caso in cui configuri una condizione obiettiva di punibilità. In tale evenienza l'ordinamento radica la competenza a giudicare in capo al giudice del luogo in cui si è verificata l'azione o l'omissione, proprio perché in quello specifico contesto è stato provocato un allarme sociale ed è più semplice il reperimento di quegli elementi di prova su cui deve basarsi la pronuncia finale (esempio n. 2). Sempre al fine di favorire l'accertamento dei fatti, nella singolare ipotesi di reato permanente, cioè di fattispecie caratterizzata da una consumazione che si protrae nel tempo, l'ordinamento ha preferito optare per la competenza dell'ufficio giudiziario operante nel luogo in cui la condotta incriminata ha avuto inizio, qualunque siano stati gli esiti dell'agire delittuoso in punto di morte di uno o più soggetti, senza, perciò, considerare il momento di cessazione della permanenza (esempio n. 3). Infine, ricorrendo la fattispecie di delitto tentato, ai fini della competenza rileva il luogo in cui è stato posto in essere l'ultimo atto diretto a commettere il delitto, rappresentando esso il momento finale di manifestazione dell'intento criminoso da parte del soggetto agente. Occorre altresì precisare che le regole generali fissate dalla disposizione in commento non precludono la possibilità per il legislatore di fissare speciali, e per questo prevalenti, parametri determinativi della competenza territoriale nel contesto di leggi volte a perseguire specifiche condotte criminose (esempio n. 4).

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C.p.p. art. 9 Regole suppletive GIURISPRUDENZA In tema di competenza per territorio in ordine a reati permanenti commessi in parte all'estero, si applica il criterio dettato dall'art. 8, comma terzo, c.p.p. quando la condotta criminosa ha avuto inizio in un'individuata località nel territorio nazionale, proseguendo poi all'estero. Invece, il luogo d'inizio della permanenza non può fungere quale criterio di riparto fra i giudici italiani se è ubicato al di fuori dello Stato. In tal caso, la competenza si stabilisce secondo il criterio suppletivo di cui all'art. 9, comma primo, c.p.p., con riferimento all'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione (1972/1994, rv 197365). In tema di reati permanenti concernenti la disciplina igienica della produzione e del commercio di sostanze alimentari, quando tali sostanze, riscontrate irregolari per vizi presumibilmente originari, siano state importate dall'estero, la competenza per territorio a procedere nei confronti del soggetto operante in Italia, ove non risulti il luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato da parte sua, non può che essere determinata alla stregua dei criteri sussidiari dettati dall'art. 9 c.p.p., nell'ordine di gradualità ivi indicato (367/1995, rv 200577). Qualora, per l'inidoneità degli altri criteri, debba farsi ricorso, al fine di determinare la competenza per territorio, alla regola suppletiva di cui al secondo comma dell'art. 9 c.p.p. – che indica il giudice del luogo della residenza, del domicilio o della dimora dell'imputato – ma più siano gli imputati, ciascuno dei quali residente, domiciliato o dimorante in luogo appartenente a circondario diverso dagli altri, stante la mancanza di univocità del dato di collegamento deve necessariamente applicarsi l'ulteriore residuale criterio previsto dal terzo comma dell'art. 9 c.p.p., il quale indica la competenza del giudice del luogo ove ha sede l'ufficio del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. (1312/1997, rv 207125).

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Ai fini della determinazione della competenza per territorio nell'ipotesi di reati connessi, ove non sia possibile individuare il luogo di consumazione del reato più grave non è consentito far ricorso alle regole suppletive stabilite dall'art. 9 c.p.p., ma si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato che, in via decrescente, si presenta come il più grave tra quelli residui (17516/2001, rv 218684). Al fine di determinare la competenza per territorio facendo ricorso alla regola suppletiva di cui al terzo comma dell'art. 9 c.p.p., che indica la competenza del giudice del luogo ove ha sede l'ufficio del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 c.p.p., non può essere assegnata giuridica idoneità a determinare lo spostamento della competenza “ratione loci” ad una precedente iscrizione di una notizia di reato vertente su fatti criminosi naturaliter diversi (11849/2003, rv 223833). Qualora si proceda per associazione finalizzata al narcotraffico e reati connessi, una volta accertata l'impossibilità di determinare il luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del delitto associativo, per il quale è prevista l'applicazione delle regole derogatorie della competenza stabilite nell'art. 51, comma 3 bis, c.p.p., al fine di individuare il giudice competente non si può fare applicazione "tout court" delle regole suppletive indicate nell'art. 9, comma 3, stesso codice, con la conseguente determinazione della "vis attractiva" del giudice distrettuale anche su reati originariamente sottratti alla sua competenza, ma si deve tenere conto del luogo di consumazione dei reati via via meno gravi, e solo quando quest'operazione non approdi ad alcun risultato utile, far ricorso alle predette regole suppletive. (Fattispecie in tema di procedimento "de libertate") (27561/2010). In tema di sanzioni amministrative, la violazione accertata con il sistema Sicve (Sistema informativo controllo della velocità) c.d. "Tutor si distingue dai sistemi automatici di controllo della velocità, c.d. "Autovelox", poiché rileva non la velocità istantanea di un veicolo in un dato momento ed in un preciso luogo, ma la velocità media di un veicolo in un certo tratto di strada, che può essere ricompreso tra due Comuni diversi. Pertanto, non potendo conoscere con precisione il punto esatto in cui il conducente di

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un'auto ha superato i limiti di velocità, per stabilire il giudice competente a conoscere occorre fare ricorso all'art. 9 c.p.p. nella parte in cui prevede che se la competenza non possa essere determinata secondo il principio generale di cui all'articolo 8 (ossia con riferimento in cui il reato è stato consumato), la competenza è del giudice dell'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione. Pertanto, se il veicolo percorre un tratto di strada compreso tra due Comuni limitrofi si deve ritenere che la competenza territoriale è del Giudice di Pace dove è situata la porta di uscita del sistema Sicve (9486/2012). Ai fini della determinazione della competenza per territorio nell'ipotesi di reati connessi, ove non sia possibile individuare il luogo di consumazione del reato più grave non è consentito fare ricorso alle regole suppletive stabilite dall'art. 9 c.p.p., ma si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato che, in via decrescente, si presenta come il più grave tra quelli residui (16129/2012). In caso di reato permanente, quando è ignoto il luogo in cui ha avuto inizio l'azione criminosa, il giudice competente per territorio può essere individuato in relazione al luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione, utilizzando i criteri residuali di cui all'art. 9 cod. proc. pen. (2851/2017).

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C.p.p. art. 9 Regole suppletive COMMENTO La disposizione in esame opera solo nel caso in cui non sia stato possibile individuare il giudice competente ricorrendo ai principi generali tratteggiati dalla norma precedentemente analizzata. Sottolineata, pertanto, l'esistenza di una precisa gerarchia di regole operative chiaramente voluta dal legislatore, va specificato che quest'ultima è vincolante, nel senso che i criteri delineati nei vari commi devono essere applicati necessariamente in via successiva, senza possibilità di alterare l'ordine predisposto. In primis occorre verificare l'ubicazione di una parte della condotta attiva od omissiva, la quale ovviamente integri un elemento essenziale ai fini del perfezionamento del reato. Se neanche attraverso questo criterio è stato individuato il giudice competente, deve aversi riguardo, sempre in via rigorosamente successiva, agli elementi della residenza, della dimora o del domicilio del soggetto che ha acquisito la qualità di imputato. Proprio il riferimento normativo all'avvenuto esercizio dell'azione penale apre la strada alla fissazione del criterio di chiusura ai fini della determinazione della competenza, dal momento che, in ultima analisi, si deve tener presente il luogo in cui opera l'ufficio del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato nell'apposito registro, arrivandosi in questo modo alla ormai inevitabile individuazione del giudice competente.

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C.p.p. art. 10 Competenza per reati commessi all'estero GIURISPRUDENZA In tema di competenza per reati commessi all'estero, ai fini dell'applicazione dell'art. 10, comma primo, c.p.p., non sussiste equipollenza tra esecuzione dell'ordine di accompagnamento e arresto. La norma, così come, quanto ai concetti di residenza, dimora e domicilio, rinvia evidentemente alle norme del codice civile (art. 43 c.c. e segg.), allo stesso modo, quanto all'arresto e alla consegna, rinvia a quelle del codice di procedura penale, le quali distinguono nettamente tra arresto e consegna. Trattasi cioè di nozioni assunte dalla norma nel loro peculiare significato tecnicogiuridico, che non vi è ragione di estendere a situazioni consimili, avendo il legislatore inteso utilizzare una pluralità di succedanei criteri di collegamento, talché non sussistendo nella legge alcuna lacuna, non vi è necessità di colmarla in sede interpretativa (3624/1995, rv 201934). Nel caso di delitti commessi all'estero da uno straniero in danno di un cittadino italiano, la presenza del colpevole nel territorio dello Stato, richiesta dall'art. 10 c.p.p. per la loro perseguibilità in Italia, costituisce condizione di procedibilità la cui sussistenza è richiesta anche ai fini dell'applicazione di misure cautelari da adottarsi nella fase delle indagini preliminari (41333/2003). Qualora si proceda per reato associativo che rientri nel novero di quelli indicati nell'art. 51, comma 3 bis c.p.p., e per reati connessi, la competenza territoriale per il primo esercita una "vis attractiva" anche su quella degli altri, sempre che ne sia accertato il luogo di consumazione, sulla base delle regole stabilite negli art. 8 e 9, comma 1, c.p.p. o, quando sia impossibile la loro applicazione, in base a quelle del successivo art. 16, potendosi far ricorso ai criteri sussidiari indicati nei commi secondo e terzo del citato art. 9 solo in via residuale, allorché non possano trovare applicazione quei parametri oggettivi che, garantendo il collegamento tra competenza territoriale e luogo di manifestazione di almeno uno degli episodi che costituiscono la vicenda criminosa, meglio assicurano il

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principio costituzionale della "naturalità" del giudice, come fisiologica allocazione del processo, fin quando e dove possibile nel "locus commissi delicti". (Nella specie, relativa a procedimento per associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di t. l.e., risultando che il sodalizio criminoso operava, oltre che in territorio cinese, nella città di Brescia, dove risiedevano gli organizzatori stranieri dei traffici illeciti, la Corte ha dichiarato la competenza dell'a.g. bresciana, sulla base del comb. disp. art. 9, comma 1, e decimo, comma 3, c.p.p., ritenendo del tutto irrilevante che il sequestro del tabacco importato dall'organizzazione fosse avvenuto nel porto di Gioia Tauro) (13929/2010).

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C.p.p. art. 10 Competenza per reati commessi all'estero COMMENTO Prima della riforma del 2016 Questa disposizione fissa la disciplina speciale che permette di individuare il giudice competente in tutte le ipotesi in cui la legge penale italiana debba essere applicata in relazione a fattispecie criminose commesse in territorio estero. A tal riguardo, verificata preliminarmente la ricorrenza dei presupposti per l'applicazione delle disposizioni del nostro ordinamento penale, occorre rilevare se il reato sia stato compiuto interamente o solo parzialmente al di fuori dei confini dello Stato italiano. Infatti nella prima ipotesi è operativa la norma speciale, mentre nell'altra fattispecie tornano ad applicarsi i criteri generali fissati nei due articoli precedenti, trattandosi di situazione legislativamente equiparata a quella in cui il reato sia stato commesso integralmente in Italia. Anche in questo peculiare contesto i criteri della residenza, della dimora, del domicilio, dell'arresto o della consegna dell'imputato sono normativamente ordinati ai fini di una loro utilizzazione “seriale”, cioè in via successiva laddove il criterio adoperato per primo non permetta di individuare il giudice competente. Il legislatore, poi, ricorrendo ad un parametro quantitativo, prevede che nel caso di pluralità di imputati, e, quindi, di pluralità di organi giudicanti potenzialmente competenti, debba procedere il giudice che avrebbe la cognizione sul maggior numero di procedimenti. Ulteriore elemento di conformità alle previsioni contenute nella norma precedente è dato dal riferimento all'ufficio del giudice della circoscrizione in cui opera il P.M. che per primo ha iscritto la notizia di reato quale parametro di determinazione della competenza applicabile in via residuale a fronte dell'impossibilità di arrivare altrimenti alla soluzione della questione. Occorre, infine, precisare che le suddette regole non trovano applicazione nella peculiare fattispecie di connessione tra reati commessi in territorio italiano e reati perpetrati all'estero, laddove devono ritenersi operativi i parametri di determinazione della competenza territoriale sanciti nell'art. 16 c.p.p. (così Cassazione n. 4089 del 2000). Dopo la riforma del 2016 L’art. 6, D.L. 16 maggio 2016, n. 67, convertito in L. 14 luglio 2016, n. 131 (Proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonchè misure urgenti per la sicurezza. Proroga del termine per l'esercizio di delega legislativa), ha introdotto il comma 1-bis in base al quale, se il reato è stato commesso a danno di un cittadino, qualora la competenza non sia determinabile ai sensi del citato comma 1, sia competente il tribunale o la corte di assise di Roma, sempre che non ricorrano i casi previsti dagli articoli 12 (connessione di procedimenti) e 371, comma 2, lettera b) (che dispone che le indagini di uffici

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diversi del pubblico ministero si considerano collegate se la prova di un reato influisce sulla prova di un altro) del codice di procedura penale. Qualora poi non sia possibile determinare la competenza nei modi indicati dai predetti commi 1 e 1-bis, sarà competente, ai sensi del comma 2, il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato. È previsto, infine, che la nuova disciplina si applichi ai fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione del citato decretolegge 67/2016 (16 luglio 2016).

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C.p.p. art. 11 Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati COMMENTO Raffaele, magistrato presso il Tribunale di Roma, è sottoposto ad indagini in relazione ad un omicidio avvenuto nella zona di Ostia. Competente a giudicare i fatti oggetto di imputazione dovrebbe essere il Tribunale di Roma, ma in forza del meccanismo in esame sarà chiamato a pronunciarsi il Collegio giudicante di Perugia.

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C.p.p. art. 11 Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati GIURISPRUDENZA Lo spostamento della competenza per territorio, previsto dal secondo comma dell'art. 11 c.p.p. per i procedimenti connessi a quello che riguarda un magistrato (sia questi indagato o imputato, persona offesa o danneggiata dal reato) permane anche nel caso di successiva archiviazione nei confronti del magistrato stesso (1333/1996, rv 204506). In tema di competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, mentre l'art. 41 bis dell'abrogato codice di rito non consentiva la deroga alla competenza territoriale nell'ipotesi in cui il magistrato non fosse persona offesa, bensì danneggiata dal reato, il codice di procedura penale vigente stabilisce la deroga alla competenza territoriale per i procedimenti riguardanti il magistrato anche nel caso in cui questi assuma la qualità di persona danneggiata dal reato, legittimata quindi a costituirsi parte civile, e non solo quella di persona offesa, titolare dell'interesse protetto dalla fattispecie incriminatrice (5464/1996, rv 206085). In tema di connessione e di relativi effetti sulla competenza, pur dovendosi ritenere che la connessione, nel sistema del vigente codice di procedura penale, operi come criterio autonomo e originario di attribuzione della competenza, ciò non implica che detta attribuzione assuma carattere definitivo ed irreversibile anche nelle fasi procedimentali diverse e antecedenti rispetto a quella del giudizio. Conseguentemente, qualora le ragioni della connessione vengano meno prima che sia stata instaurata la fase del giudizio, correttamente il giudice per le indagini preliminari, a suo tempo individuato sulla base delle suddette ragioni, si spoglia del procedimento relativo ai reati per i quali le stesse non sono più operanti; regola, questa, che ragionevolmente soffre eccezione nel caso di spostamento di competenza determinato da connessione con procedimenti riguardanti magistrati (art. 11, comma secondo, c.p.p.), dovendo prevalere in detta ipotesi, la speciale “ratio” dello

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istituto, finalizzato allo scopo di garantire il prestigio della magistratura e l'imparzialità del giudice fugando ogni sospetto di favoritismo (3308/1997, rv 207757). L'art. 11 c.p.p., che prevede lo spostamento di competenza nei procedimenti riguardanti magistrati, non trova applicazione con riguardo ai vice pretori onorari (4516/1997, rv 208339). La normativa contenuta nell'art. 11 c.p.p. in deroga all'ordinaria disciplina della competenza per territorio, presuppone, per la sua applicazione, che venga contestato, a carico o in danno del magistrato, un fatto di rilevanza penale, anche se ne conseguano soltanto misure di sicurezza, come nei casi previsti dagli artt. 49 e 115 c.p., e non può essere estesa ai casi in cui la condotta del magistrato, fuori dall'ipotesi di concorso, abbia inconsapevolmente fornito l'occasione o il mezzo per l'azione criminosa da altri commessa e non rivolta contro di lui, o addirittura abbia materialmente realizzato il reato per errore determinato dal colpevole (667/1999, rv 213286). La disciplina dettata dall'art. 11 c.p.p. si applica anche nel caso in cui un magistrato, addetto alla Corte di Appello, sia imputato o persona offesa da un reato in ordine al quale la stessa Corte di Appello è chiamata a decidere. E ciò ancorché il giudizio di primo grado sia stato regolarmente celebrato davanti al giudice naturale, individuato secondo le regole generali, non sussistendo a quel momento per il magistrato interessato le condizioni di cui al medesimo art. 11 c.p.p. (3766/1999, rv 213869). La deroga agli ordinari criteri di attribuzione della competenza per territorio stabilita dall'art. 11 c.p.p. per i procedimenti riguardanti magistrati si applica anche agli esperti delle sezioni agrarie dei tribunali, che sono membri necessari dell'organo giudicante ed esercitano, pertanto, le funzioni di cui sono investiti non in via suppletiva e saltuaria, ma piena e continuativa (4307/1999, rv 214010). In materia di competenza per territorio, la connessione con procedimenti riguardanti magistrati, che determina lo spostamento della competenza ai sensi dell'art. 11 c.p.p., resta ferma per tutte le fasi successive del giudizio, anche nel caso in cui venga meno la connessione tra reati ravvisata nella fase delle indagini preliminari

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per intervenuta archiviazione nei confronti del solo magistrato indagato (6183/1999, rv 212285). Avuto riguardo alla “ratio” della disciplina dettata dall'art. 11 c.p.p., che è essenzialmente quella di eliminare presso l'opinione pubblica qualsiasi sospetto di parzialità determinato dal rapporto di colleganza e dalla normale frequentazione tra magistrati operanti in uffici giudiziari del medesimo distretto di Corte d'Appello, e tenuto conto del fatto che i magistrati onorari, ai sensi tanto dell'abrogato art. 32 dell'Ordinamento giudiziario quanto del vigente art. 42 quinquies dell'Ordinamento giudiziario medesimo, durano in carica per un periodo di tre anni, con possibilità di rinnovo, è da ritenere che anche nel caso di procedimenti riguardanti i suddetti magistrati debba trovare applicazione l'art. 11 c.p.p. citato e debbasi quindi dar luogo allo spostamento di competenza da esso previsto (7124/1999, rv 214842). Le norme sulla speciale competenza territoriale per i procedimenti nei quali un magistrato è imputato, persona offesa o danneggiato dal reato si applicano esclusivamente ai magistrati ordinari e non anche a quelli amministrativi (4027/2000, rv 217110). In tema di spostamento della competenza territoriale nei procedimenti riguardanti magistrati, la disciplina prevista dall'art. 11 c.p.p., in virtù della modifica intervenuta con la legge n. 420 del 1998, che sancisce la competenza tabellare con rinvio ad altro tribunale previamente determinato, si applica solo ai procedimenti relativi ai reati commessi successivamente all'entrata in vigore della predetta legge n. 420 del 1998 con la conseguenza che ai fatti precedenti si applica la disciplina previgente, e cioè la regola attributiva di competenza al capoluogo del distretto più vicino a quello nel quale ha sede l'ufficio del giudice (13105/2001, rv 218585). Le regole sulla competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, dettate dall'art. 11 c.p.p., si applicano anche ai giudici di pace, atteso il carattere non episodico dell'esercizio della giurisdizione e l'inserimento di tale figura professionale tra gli organi deputati all'Amministrazione della Giustizia ai sensi del vigente art. 1, primo comma, dell'ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12) (24837/2001, rv 219218).

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In tema di procedimenti connessi a quelli in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta a indagini, di imputato, di persona offesa o danneggiata, la competenza si radica secondo i criteri di cui all'art. 11 c.p.p., e, in ragione del principio della “perpetuatio competentiae”, non ha rilievo la circostanza che il procedimento relativo al magistrato, la cui pendenza aveva determinato lo spostamento della competenza, venga successivamente archiviato (27741/2001, rv 219972). Le norme sulla speciale competenza territoriale per i procedimenti nei quali un magistrato è imputato, persona offesa o danneggiato dal reato si applicano esclusivamente ai magistrati ordinari e non anche a quelli amministrativi (2874/2002, rv 224098). La disciplina dettata dall'art. 11 c.p.p. in materia di competenza per i procedimenti riguardanti magistrati trova applicazione anche con riguardo ai giudici dì pace, essendo a costoro attribuito, sia pure per il periodo di tempo indicato nel decreto di nomina, il pieno e stabile esercizio della funzione giudiziaria (30568/2003). L'articolo 3 della legge 24 marzo 2001 n. 89 che preclude nei giudizi per equa riparazione la competenza della Corte d'appello nel cui distretto ha avuto luogo il processo di cui si lamenta l'irragionevole durata, fissando le regole di competenza stabilite dall'articolo 11 c.p.p. per il processo penale in cui sia coinvolto un magistrato, non è applicabile per i ritardi nei giudizi definiti dal Tar e dalla Corte dei conti, in relazione ai quali vige invece la regola generale di competenza fissata dall'articolo 25 c.p.c. e ciò non confligge con quanto disposto né dall'articolo 97 della Costituzione, che non attiene all'amministrazione della giustizia, né con l'articolo 108 della Costituzione non potendosi ritenere il richiamato articolo 11 c.p.p. avere valenza generalizzata o estensibile a ogni tipo di giudizio (Corte cost. 287/2007). In tema di individuazione della competenza per territorio nel caso di corruzione di magistrato, quando il reato per il quale si procede è commesso all'estero, ma non interamente, essendo ignoto, ma non collocabile all'estero, il luogo dell'accordo, la competenza territoriale si radica nell'ultimo luogo «in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione», ai sensi dell'articolo 9, comma 1, del codice di procedura penale, con l'ulteriore avvertenza che, qualora

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questo segmento dell'azione penalmente rilevante sia avvenuto nello stesso luogo in cui il magistrato esercita le sue funzioni il processo deve transitare, ai sensi dell'articolo 11 c.p.p., al giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte d'appello determinato dalla legge (40249/2007). Le azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, di cui sia parte un magistrato, nei termini di cui all'art. 11 del codice di procedura penale, che secondo le norme del presente capo sarebbero attribuite alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d'appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni, sono di competenza del giudice ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d'appello determinato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale (4185/2010). In tema di equa riparazione per violazione del termine di durata ragionevole del processo, l'art. 3 comma 1 l. 24 marzo 2001 n. 89 deve essere interpretato, non incompatibilmente con il suo dato letterale, in modo tale da considerare unitariamente il giudizio del quale si lamenta l'eccessiva durata ed assumere a fattore determinante della sua localizzazione la sede del giudice di merito distribuito sul territorio, sia esso ordinario o speciale, davanti al quale il giudizio è iniziato. Al luogo in tal modo individuato si attribuisce la funzione di attivazione del criterio di collegamento della competenza e di individuazione del giudice competente sulla domanda in questione, che è stabilito dall'art. 11 c.p.p. ed è richiamato dal comma 1 dell'art. 3 l. cit. (6306/2010). La speciale competenza stabilita dall'art. 11 c.p.p. per i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato ha natura funzionale, e non semplicemente territoriale, con conseguente rilevabilità, anche di ufficio, del relativo vizio in ogni stato e grado del procedimento (13182/2012). In materia di procedimenti riguardanti i magistrati, la speciale competenza di cui all’ art. 11 c.p.p. ha natura funzionale e non semplicemente territoriale, con conseguente rilevabilità, anche di ufficio, del relativo vizio in ogni stato e grado del procedimento ed opera esclusivamente per i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato

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ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato ed, ai sensi del comma 3 della medesima disposizione, nei procedimenti connessi. Tale disciplina derogatoria, quindi, non opera quando il magistrato, ex art. 48 c.p., sia solo lo strumento inconsapevole della commissione di un reato, in quanto il soggetto che commette il reato perché determinato dall’altrui inganno appartiene, pur sempre, ancorché non sia punibile, al novero degli autori del reato e non può essere, al contempo, considerato danneggiato da una condotta posta in essere da sé medesimo (10567/2017). Il criterio di collegamento stabilito dall'art. 11 c.p.p., richiamato dall' art. 3, primo comma, della L. n. 89/2001, va applicato con riferimento al luogo in cui ha sede il giudice di merito, ordinario o speciale, dinanzi al quale ha avuto inizio il giudizio “presupposto” (30252/2017).

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C.p.p. art. 11 Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati COMMENTO In via preliminare, occorre evidenziare come la specifica regola predisposta dal legislatore, per la determinazione della competenza nelle ipotesi di procedimenti che coinvolgano dei magistrati, operi solo ed esclusivamente in quei casi in cui l'applicazione delle disposizioni precedentemente analizzate porterebbe ad individuare un ufficio compreso in un distretto di Corte d'appello nel quale il magistrato eserciti le funzioni al momento del procedimento stesso o le abbia esercitate in concomitanza del fatto reato attribuitogli. Simile evenienza determinerebbe un grave pericolo per l'imparzialità di giudizio dell'organo chiamato a pronunciarsi, provocando, così, una palese violazione di uno dei principi sanciti dall'art. 111 della Costituzione, norma cardine per l'esercizio della giurisdizione. Pertanto, proprio la tutela di tale valore giustifica la deroga ai precetti precedentemente analizzati, strutturalmente funzionali alla salvaguardia dell'altro canone di rilevanza costituzionale del giudice naturale precostituito (così Cassazione n. 4788 del 1998). Le Sezioni Unite penali (sent. n. 292 del 2005) hanno risolto la controversa questione relativa alla riferibilità anche ai magistrati onorari della competenza speciale stabilita per i magistrati. Sul punto i giudici di legittimità hanno stabilito che l'articolo in commento – che deroga alle regole generali della competenza per territorio, nell'ipotesi in cui si tratti di un procedimento che vede coinvolto un magistrato – trova applicazione anche per quelle figure di magistrati onorari il cui incarico sia caratterizzato dalla stabilità, ossia dalla continuità riconosciuta formalmente per un arco temporale significativo, a prescindere dalla maggiore o minore continuità nel concreto esercizio delle funzioni, dipendente dalla contingente situazione dell'ufficio e dalle scelte del rispettivo dirigente. Ciò non vale per i giudici popolari di corte d'assise e di corte d'assise d'appello i quali, designati per sorteggio, espletano un incarico meramente interinale, “espressione non dell'ausilio istituzionale previsto dal secondo comma dell'art. 106 Cost., bensì dal principio di partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia, di cui all'ultimo comma dell'art. 102 Cost.”. La formulazione della norma previgente alla modifica del 1998 prevedeva, per tali fattispecie, un meccanismo di deroga alle prescrizioni generali sulla competenza territoriale che si concretizzava nell'attribuzione della cognizione al giudice del capoluogo del distretto di Corte d'appello più vicino a quello del magistrato coinvolto, prefigurandosi, così, la possibilità di ripetuti passaggi reciproci tra uffici giudiziari “confinanti” che avrebbero minato ancora di più la serenità di giudizio dell'organo decidente. Con la novella legislativa da un lato è stato ampliato il novero delle situazioni in grado di legittimare l'operatività del precetto in commento, introducendo la possibilità che il magistrato coinvolto nel procedimento a suo carico rivesta in esso la qualità non

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solo di imputato o persona offesa o danneggiata dal reato, ma anche semplicemente di persona sottoposta alle indagini; per altro verso è stato reso vigente il dispositivo dello spostamento circolare, attraverso il ricorso a una tabella, allegata al codice di rito, la quale permette di individuare automaticamente il giudice naturale del procedimento senza correre il rischio di “competenze reciproche” (esempio). Il secondo comma specifica che laddove l'applicazione della regola suddetta comporti il radicamento della competenza in capo all'ufficio giudiziario nel quale il magistrato abbia esercitato le funzioni in un momento successivo alla commissione del reato, lo spostamento automatico deve operare nuovamente, sempre sulla scorta di quanto previsto dalla tabella predisposta ad hoc dal legislatore. La disposizione si chiude con l'estensione del meccanismo di “progressione” tabellare alle fattispecie di procedimenti connessi a quello in cui è coinvolto il magistrato. Occorre precisare come tale prescrizione non deroga, bensì presuppone l'operatività delle norme sulla connessione di cui al successivo art. 16: solo laddove queste ultime comportino la competenza dell'ufficio giudiziario in cui il magistrato eserciti o abbia esercitato le funzioni si ricorre alla regola generale fissata dal primo comma.

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C.p.p. art. 11 bis Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo COMMENTO La norma in commento si limita ad estendere l'operatività dell'articolo precedente alle ipotesi in cui il procedimento penale riguardi un magistrato della Direzione nazionale antimafia, organismo istituito ad hoc presso la Procura generale della Corte di Cassazione, che sia stato chiamato a svolgere le proprie funzioni presso un ufficio giudiziario periferico. Infatti proprio durante il periodo di applicazione presso tali strutture può verificarsi l'eventualità che il magistrato commetta un reato per il quale dovrebbe essere chiamato a pronunciarsi l'ufficio di destinazione, con evidenti pericoli per l'imparzialità di giudizio dell'organo decidente.

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C.p.p. art. 12 Casi di connessione COMMENTO Ai fini della perseguibilità d'ufficio dei delitti contro la libertà sessuale, la connessione «con un altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio» [c.p. 609 septies, comma 4, n. 4] è solo quella materiale e non anche quella processuale, non potendo quindi identificarsi con l'istituto processuale della connessione di cui all'articolo in commento, che costituisce un criterio originario e autonomo di determinazione della competenza. Ciò in quanto la ratio del disposto normativo deve individuarsi nel venir meno dei motivi posti a base della perseguibilità a querela di questi reati, ed in particolare dell'esigenza della riservatezza, in quanto l'indagine investigativa sul delitto perseguibile d'ufficio comporta l'accertamento degli altri e, quindi, comunque, la diffusione della notizia. Ne deriva che per la procedibilità d'ufficio del delitto contro la libertà sessuale (ad es. violenza sessuale) è sufficiente che tra questo e l'altro perseguibile d'ufficio vi sia connessione investigativa, come si verifica allorché si tratti di fatti commessi nello stesso spazio temporale (così Cassazione n. 2646 del 2003).

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C.p.p. art. 12 Casi di connessione GIURISPRUDENZA Il procedimento a carico di più persone per reati diversi, tra loro connessi, non può determinare spostamento di competenza territoriale, con riguardo a taluno soltanto degli imputati, il fatto che, rispondendo costui di più fatti uniti fra loro per continuazione, per tale serie di fatti appaia competente un giudice diverso da quello davanti al quale pende il suddetto procedimento, giacché la continuazione, come causa di connessione, quale prevista dall'art. 12, lett. b ), c.p.p., può dar luogo a spostamento di competenza, in fattispecie concorsuale, solo se comune a tutti i concorrenti (3907/1996, rv 205313). Nell'attuale sistema processuale la connessione, pur costituendo un criterio originario ed autonomo di determinazione della competenza, postula necessariamente, per la sua operatività, che i procedimenti da riunire si trovino nella medesima fase cognitiva (6092/1996, rv 203555). In tema di competenza, il vincolo tra i reati, determinato dalla competenza per connessione, costituisce criterio originario ed autonomo di attribuzione di competenza indipendentemente dalla contemporanea pendenza dei relativi procedimenti: ne deriva che la competenza così radicatasi resta invariata per tutto il corso del processo – per il principio della “perpetuatio iurisdictionis” – anche nel caso di separazione della posizione del coimputato accusato dei reati che, in conseguenza del ritenuto vincolo di connessione, avevano determinato la competenza anche per gli altri coimputati (6754/1996, rv 205179). La connessione si determina colla sussistenza, anche solo a livello di contestazione, del fatto storico: conseguentemente la dichiarata improcedibilità per mancanza di querela in ordine al reato che ha esercitato la “vis attractiva”, in quanto non incide sulla predetta ragione che dà luogo alla connessione, non può ritenersi idonea a far cessare l'operatività di quest'ultimo sulla competenza, secondo lo schema normativo (1131/1997, rv 206901).

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Il criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza, costituito dalla connessione tra reati, opera indipendentemente dalla pendenza dei relativi procedimenti nello stesso stato e grado, ma non può più trovare applicazione allorquando il procedimento per il reato più grave, che esercita la “vis attractiva”, sia stato definito con sentenza passata in cosa giudicata (4125/1997, rv 208399). In tema di competenza determinata dall'ipotesi di connessione oggettiva fondata sull'astratta configurabilità del vincolo della continuazione fra le analoghe, ma distinte, fattispecie di reato ascritte ai diversi imputati, l'identità del disegno criminoso perseguito è idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione, sia per materia, sia per territorio, solo se l'episodio o gli episodi in continuazione riguardino lo stesso o – se sono più di uno – gli stessi imputati, giacché l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato in uno di quei fatti a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza. Ne consegue che, al di fuori delle ipotesi di continuazione riferibili a una fattispecie monosoggettiva o a una fattispecie concorsuale, in cui l'identità del disegno criminoso sia però comune a tutti i compartecipi, il vincolo della continuazione non è in grado di determinare alcuna attribuzione e conseguente spostamento di competenza, ai sensi dell'art. 15 c.p.p. o dell'art. 16 c.p.p., ma produce i suoi effetti solo sul piano sostanziale ai fini della determinazione della pena ai sensi dell'art. 671 c.p.p. (3357/1998, rv 210881). In tema di competenza, pur essendo la connessione criterio originario ed autonomo di attribuzione della stessa, ciò non comporta che, nelle fasi anteriori al giudizio, la connessione stessa dia luogo alla operatività del principio della “perpetuatio iurisdictionis”. A ciò consegue che, nel caso in cui le ragioni della connessione siano venute meno prima della chiusura della fase delle indagini preliminari, non può essere tenuta ferma la competenza del giudice inizialmente ritenuto competente, appunto, per connessione, anche riguardo ad altri reati (736/1999, rv 212879). Non si verifica spostamento della competenza per connessione prevista dall'art. 12 c.p.p., lettere b ) e c ), qualora i reati siano stati

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commessi da soggetti diversi. Ed invero, in tal caso, mancando l'unità del processo volitivo tra il reato-mezzo e il reato-fine, ricorre solo un'ipotesi di connessione di natura eventualmente probatoria che non produce lo spostamento di competenza per materia previsto dall'art. 15 c.p.p., tanto più che l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria di procedimenti per reati commessi in continuazione o connessi teleologicamente non può pregiudicare quello del coimputato (o dei coimputati) a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza (1495/1999, rv 212270). È astrattamente ipotizzabile il nesso teleologico, rilevante ai fini della retrodatazione del termine iniziale della custodia cautelare, tra un omicidio o un tentato omicidio e un delitto associativo già in atto, in quanto la natura permanente di quest'ultimo rende possibile che, dopo la creazione dell'associazione, questa costituisca il reatofine rispetto al primo, commesso esclusivamente allo scopo di consentire la sopravvivenza del sodalizio criminoso (6090/1999, rv 215017). In tema di competenza determinata dall'ipotesi di connessione oggettiva fondata sull'astratta configurabilità del vincolo della continuazione fra le analoghe, ma distinte fattispecie di reato ascritte ai diversi imputati, l'identità del disegno criminoso perseguito è idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione, sia per materia, sia per territorio, solo se l'episodio o gli episodi in continuazione riguardino lo stesso o – se sono più di uno – gli stessi imputati, giacché l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato in uno di quei fatti a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza. Ne consegue che, al di fuori delle ipotesi di continuazione riferibili a una fattispecie monosoggettiva o a una fattispecie concorsuale, in cui l'identità del disegno criminoso sia però comune a tutti i compartecipi, il vincolo della continuazione non è in grado di determinare alcuna attribuzione e conseguente spostamento di competenza, ai sensi dell'art. 15 c.p.p. o dell'art. 16 c.p.p., ma produce i suoi effetti solo sul piano sostanziale ai fini della determinazione della pena ai sensi dell'art. 671 c.p.p. (6226/1999, rv 214834).

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In base al principio della “perpetuatio iurisdictionis”, lo spostamento della competenza territoriale per connessione non opera quando il procedimento esercitante la “vis attractiva” sia nella fase delle indagini preliminari mentre per l'altro sia già avvenuta la devoluzione alla fase del giudizio. Diversamente, per il procedimento attratto si determinerebbe una irreversibile regressione alla fase predibattimentale (ex art. 23 c.p.p., come integrato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 1996), e ciò in dipendenza da una diversa e ulteriore imputazione non ancora passata attraverso il vaglio giurisdizionale e, quindi, non ancora definita né sotto l'aspetto del fatto né sotto quello della sua qualificazione giuridica (8656/1999, rv 214685). Non si verifica spostamento della competenza per connessione prevista dall'art. 12 c.p.p., lett. b ) e c ), qualora i reati siano stati commessi da soggetti diversi. Ed invero, in tal caso, mancando l'unità del processo volitivo tra il reato mezzo ed il reato fine, ricorre solo un'ipotesi di connessione di natura eventualmente probatoria che non produce lo spostamento di competenza, né per materia né per territorio, tanto più che l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei procedimenti per reati commessi in continuazione o connessi teleologicamente non può pregiudicare quello del coimputato (o dei coimputati) a non esser sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza (13619/2003, rv 224146). Il soggetto che cumuli in sé le qualità di persona offesa dal reato e di indagato in atto, o imputato nei cui confronti non sia stata emessa sentenza irrevocabile, in un procedimento connesso ai sensi della lett. e) del comma 1 dell'art. 12 c.p.p., o relativo a un reato collegato a norma della lett. b) del comma 2 dell'art. 371 c.p.p., non può assumere l'ufficio di testimone, senza il previo avviso di cui alla lett. e) del comma 3 dell'art. 64 c.p.p. e senza il rispetto delle norme che regolano l'assunzione delle dichiarazioni del "teste assistito" (12067/2009). Nell'ipotesi di reati connessi, per la determinazione della competenza per territorio, qualora non sia possibile individuare il luogo di consumazione del reato più grave, non è consentito far ricorso alle regole suppletive stabilite nell'art. 9 c.p.p. – che, sia per la collocazione, sia per il contenuto letterale, si riferisce a

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procedimenti con reato singolo – ma si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato che, in via decrescente, si presenta come il più grave fra quelli residui (40825/2010). La competenza funzionale del G.i.p. e del G.u.p. del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, relativa ai procedimenti per i delitti indicati nell'art. 51, comma terzo bis, c.p.p., non viene meno nel caso in cui, per qualsiasi ragione, cada l'originaria imputazione in ordine al reato che detta competenza funzionale radicava, ed il procedimento prosegua unicamente in ordine ai reati connessi (22232/2012). La connessione fondata sull'astratta configurabilità del vincolo della continuazione è idonea a determinare lo spostamento della competenza soltanto quando l'identità del disegno criminoso sia comune a tutti i compartecipi, giacché l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria di fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale (8526/2013). In materia di delitti di violenza sessuale, la procedibilità d'ufficio determinata dalla ipotesi di connessione prevista dall'art. 609-septies, comma quarto, n. 4 cod. pen. si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale (art. 12 cod. proc. pen.), ma anche quando v'è connessione in senso materiale, cioè ogni qualvolta l'indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l'accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l'uno in occasione dell'altro, oppure l'uno per occultare l'altro oppure ancora quando ricorrono i presupposti di uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell'art. 371 cod. proc. pen. (10217/2015). In tema di competenza, il vincolo tra i reati, determinato dalla connessione, costituisce criterio originario ed autonomo di attribuzione di competenza indipendentemente dalle successive vicende relative ai procedimenti riuniti: ne deriva che la competenza così radicatasi resta invariata per tutto il corso del processo, per il principio della "perpetuatio iurisdictionis", anche in caso di assoluzione dell’imputato dal reato più grave che aveva determinato la competenza anche per gli altri reati (3662/2016).

La connessione teleologica prevista dall'art. 12, lett. c), c.p.p. che muta la competenza, consiste in una relazione oggettiva di strumentalità tra i reati che può sussistere indipendentemente dall'identità fra gli autori del reato-fine e quelli del reato-mezzo quando risulti che l'autore di quest'ultimo abbia avuto presente l'oggettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione o all'occultamento di un altro reato (53390/2017). In tema di reato di stalking ex art. 612-bis c.p., è legittima la contestazione suppletiva di fatti nuovi, effettuata nel corso del dibattimento, che integrino circostanze e reati connessi ex art. 12, 2321

comma 1, lett. b), c.p.p. a quelli originariamente contestati anche se emergono da un semplice approfondimento di quanto era già noto nella fase delle indagini (26595/2018).

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C.p.p. art. 12 Casi di connessione COMMENTO A livello definitorio, per connessione deve intendersi il rapporto che si instaura tra procedimenti penali distinti che hanno ad oggetto l'accertamento di fatti comuni o, comunque, legati gli uni agli altri in modo tale da renderne opportuna una trattazione unitaria. Verificandosi tale evenienza, il legislatore, al fine di salvaguardare la funzione cognitiva del processo penale, ha ritenuto necessario introdurre non deroghe alle regole generali, bensì un criterio autonomo di determinazione della competenza che va ad affiancarsi a quelli per materia e per territorio, operanti riguardo ai procedimenti singoli, e che comporta l'instaurazione di un contesto procedimentale unico nel quale i medesimi vanno a confluire. Nello stesso tempo, il codice di rito ha ancorato l'operatività di tale dispositivo alla ricorrenza di presupposti tassativi, funzionali ad eliminare qualsiasi profilo di discrezionalità nella rilevazione della connessione da parte del magistrato giudicante, nell'ottica di evitare l'eccessivo e irragionevole ricorso a “maxi-processi” in grado di pregiudicare il valore della speditezza e della ragionevole durata della vicenda processuale [Cost. 111]. Proprio l'individuazione dei singoli casi di connessione è stata, peraltro, oggetto di numerosi interventi legislativi, l'ultimo dei quali, nel 2001, in attuazione dei valori del “giusto processo”, ha contribuito alla prefigurazione definitiva del quadro attuale. Sottolineata l'opzione legislativa generale di attribuire rilevanza al vincolo sostanziale esistente tra le diverse fattispecie criminose, le ipotesi di connessione sono le seguenti: – concorso, cooperazione e reato causato da condotte tra loro indipendenti. Si fa riferimento alle ipotesi del concorso eventuale e del concorso necessario nel reato, della cooperazione nel delitto colposo e del concorso di condotte che si pongono come cause indipendenti della fattispecie criminosa: si tratta evidentemente di un riferimento esaustivo a tutte le diverse situazioni disciplinate dalla legge penale che possono delinearsi laddove la realizzazione del fatto-reato sia ascrivibile ad una pluralità di soggetti variamente legati tra loro dal punto di vista dell'elemento soggettivo; – concorso formale di reati e reato continuato. In questa specifica situazione, il soggetto cui si riferiscono i fatti oggetto di imputazioni potenzialmente differenti è unico e, laddove non esistesse la norma in commento, egli dovrebbe essere chiamato a prendere parte a procedimenti distinti davanti a giudici diversi. Tuttavia, nell'ipotesi di reato continuato che coinvolga più di una persona, lo spostamento di competenza determinato dalla norma in esame può operare solo se i diversi episodi legati dalla identità del disegno criminoso siano ascrivibili a tutti gli imputati, altrimenti l'interesse alla trattazione unitaria di cui sia titolare uno di essi pregiudicherebbe il diritto degli altri ad essere giudicati dal loro giudice naturale (vedi, anche, Cassazione 10 gennaio 1996);

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– reati diversi dei quali gli uni commessi per eseguire o occultare gli altri. L'attuale formulazione della parte finale della norma in commento è l'esito dell'intervento riformatore apportato dal legislatore del 2001 che ha eliminato i riferimenti alla connessione occasionale (reati commessi in occasione di altri reati) e a quella consequenziale (reati commessi per conseguire o assicurare al colpevole o ad altri il prezzo, il prodotto, il profitto o l'impunità di altri reati). L'unica fattispecie in grado di determinare uno spostamento di competenza, ad oggi, è quella della connessione teleologica, ricorrente qualora l'autore o gli autori di un reato abbiano la consapevolezza della sua strumentalità e della sua finalizzazione al compimento di un'ulteriore fattispecie criminosa.

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C.p.p. art. 13 Connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali GIURISPRUDENZA La circostanza che reati comuni si presentino in concreto come strumentali alla commissione di reato militare non può indurre a riconoscere loro carattere militare. E invero, la modifica dell'art. 264 c.p. mil. pace ad opera dell'art. 8 della legge n. 167 del 1956 costituisce una chiarissima indicazione del legislatore in senso contrario a ogni tendenza interpretativa diretta a costruire, sulla base di elementi di questo tipo, un concetto più ampio di reato militare (130/1995, rv 200476). Deve escludersi l'applicabilità dell'ordinario regime della competenza per connessione con riferimento alla cognizione di reati per alcuni dei quali è competente l'autorità giudiziaria ordinaria e per altri il collegio di cui all'art. 7 della legge cost. 16 gennaio 1989 n. 1: (Collegio per i reati ministeriali). Invero gli artt. 13 e 14 c.p.p. in tema di connessione prescrivono un assetto che trova la sua “ratio” di base nel pieno potere cognitorio sia della Corte Costituzionale sia della giurisdizione ordinaria; potere che invece, con riguardo ai procedimenti di competenza del suddetto Collegio, non può eccedere la fase di chiusura delle indagini preliminari (5021/1996, rv 204514). L'art. 16, comma terzo, c.p.p. – i cui criteri valgono ad individuare, in virtù del richiamo operato dall'art. 13, comma secondo, c.p.p. la giurisdizione ordinaria o militare in ipotesi di connessione tra reati comuni e reati militari – fissa due principi chiaramente posti tra loro in rapporto di stretta gradualità che impedisce al criterio subordinato di operare o combinarsi con il criterio principale, ove lo stesso si riveli sufficiente per individuare il reato più grave. Da un lato, infatti, si stabilisce il principio che la gravità del reato è determinata in ragione della pena più elevata nel massimo o, in caso di parità, della pena più elevata nel minimo, sicché in tutti i casi di pene omogenee per genere, sarà questo il criterio cui fare riferimento. Dall'altro si stabilisce il criterio

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subordinato per il quale, ove siano previste pene detentive e pene pecuniarie, queste ultime possono entrare in discorso soltanto nell'ipotesi in cui i reati posti in comparazione prevedano una “parità delle pene detentive”: una parità, dunque, che può scaturire soltanto dal criterio principale di cui si è detto, il quale fa leva non soltanto sul massimo edittale, ma anche sul più elevato minimo, in caso di parità del primo (3695/1999, rv 213871). La norma di cui all'art. 13, comma secondo, c.p.p., che prevede, in caso di concorso tra reato comune e reato militare, la giurisdizione unica dell'autorità giudiziaria ordinaria allorché il primo sia più grave del secondo, non trova applicazione quando l'ipotesi criminosa che comporta la giurisdizione del giudice ordinario abbia trovato sbocco in un provvedimento di archiviazione (1399/2000, rv 215228). Il reato di collusione commesso dal militare della Guardia di Finanza e previsto dall'art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383 è un reato oggettivamente militare, ma, se commesso in accordo con estranei e connesso con reati comuni, appartiene alla cognizione del giudice ordinario, anziché a quella del giudice militare (4766/2002, rv 223249). L'attrazione nella giurisdizione del giudice ordinario dei procedimenti per reati concorrenti, comuni e militari, opera solo se il reato comune è più grave di quello militare, mentre negli altri casi le sfere di giurisdizione, ordinaria e militare, rimangono separate, con la conseguenza che al giudice militare appartiene la cognizione dei reati militari e al giudice ordinario quella per i reati comuni. (Nella specie, relativa a procedimento per truffa militare, diserzione e falsità in certificazione amministrativa, il tribunale ordinario aveva declinato la giurisdizione in favore del tribunale militare che aveva proposto, limitatamente al reato comune, conflitto, risolto dalla Corte con la dichiarazione della giurisdizione ordinaria per il delitto di falso) (50012/2009). La connessione tra procedimenti appartenenti alla giurisdizione ordinaria ed altri pertinenti alla giurisdizione militare, che ai sensi dell'art. 13, comma secondo, c.p.p., determina la competenza del giudice ordinario anche per il reato militare quando questo sia meno grave di quello comune, opera soltanto nei casi stabiliti dal precedente art. 12, tra i quali non rientrano le ipotesi di identità delle persone offese o di c.d. “connessione probatoria” o di esistenza di un'unica “notitia criminis” relativa a più reati (1110/2010).

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C.p.p. art. 13 Connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali COMMENTO La norma in commento fissa criteri particolari per l'individuazione del giudice competente laddove, ricorrendo uno dei casi di connessione previsti dall'articolo precedente, venga a crearsi un legame tra procedimenti ai quali dovrebbero presiedere rispettivamente un giudice ordinario e uno dei giudici speciali ammessi dal nostro ordinamento. Il primo comma provvede a disciplinare la situazione in cui la Corte costituzionale sia chiamata a pronunciarsi, in via principale, sulla presunta responsabilità del Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione, previsti dall'art. 90 della Carta Fondamentale, e la fattispecie criminosa coinvolga altri soggetti nel medesimo reato o in altri a questo connessi. Ricorrendo tali presupposti l'ordinamento, riconoscendo la priorità alla cognizione dell'illecito penale presidenziale, appresta un meccanismo di accertamento unitario cui è chiamato a presiedere il giudice delle leggi. Nel secondo comma viene regolato il rapporto tra procedimenti pendenti davanti al giudice ordinario e procedimenti di competenza della magistratura militare nell'unica ipotesi di connessione prevista dal legislatore. Il problema dell'individuazione del giudice competente si pone, infatti, solo nel caso in cui, alla stregua dei criteri fissati dal terzo comma dell'articolo 16, il reato comune sia più grave di quello militare, arricchendosi, così, di un ulteriore elemento il panorama dei requisiti fondanti la connessione; nell'ipotesi inversa di reato militare più grave restano distinti gli ambiti cognitivi dei diversi organi giudicanti. Pertanto, in presenza dei presupposti suddetti, competente a giudicare è solo ed esclusivamente il giudice ordinario. Tale precetto, tuttavia, non opera nel caso in cui non ricorrano in concreto condotte criminose distinte, bensì un unico reato commesso in concorso da un civile e da un militare (così Cassazione n. 12782 del 1995). A riguardo la Cassazione ha ulteriormente specificato che il secondo comma dell'articolo in argomento non ha abrogato l'art. 264 del codice penale militare di pace e che il suo campo di applicazione è unicamente circoscritto alla delimitazione della vis attractiva nella giurisdizione ordinaria di tutti i casi di connessione prefigurati nell'articolo 264, essendo stata la connessione a favore della giurisdizione del giudice ordinario confermata nelle ipotesi in cui il reato comune sia più grave o di pari gravità rispetto a quello militare. Il coordinamento tra le due disposizioni rende, dunque, evidente che l'art. 13 segna un limite all'operatività della disposizione del citato art. 264 c.p.m.p., nel senso che quest'ultima norma, che sancisce la prevalenza della giurisdizione ordinaria su quella militare, non si applica quando il reato più grave sia quello militare, dovendo in questo caso ritenersi che non possa farsi riferimento alla disciplina della connessione per giustificare l'integrale devoluzione della giurisdizione al giudice ordinario e che i procedimenti debbano restare separati: quello relativo al

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più grave reato militare rientra nella cognizione del giudice speciale, mentre quello riguardante il reato comune resta compreso nella giurisdizione del giudice ordinario (così Cassazione n. 4527 del 2005).

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C.p.p. art. 14 Limiti alla connessione nel caso di reati commessi da minorenni COMMENTO Luca, diciassettenne, e Mario, quarantenne, concorrono nella commissione di atti di violenza sessuale ai danni di Veronica.

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C.p.p. art. 14 Limiti alla connessione nel caso di reati commessi da minorenni GIURISPRUDENZA In tema di competenza, il divieto di operatività della connessione, quale criterio per la determinazione della competenza, tra procedimenti relativi a reati commessi quando l'imputato era minorenne e procedimenti per reati commessi quando era maggiorenne – divieto posto dall'art. 14 c.p.p. – non opera per il reato permanente che è un “unicum”, non suscettibile di frazionamenti irrazionali, in quanto caratterizzato dall'unicità della lesione giuridica, da una iniziale ed istantanea condotta commissiva e da una successiva condotta omissiva, che determina la reiterazione dei momenti consumativi, per libera scelta del soggetto agente che non rimuove la situazione antigiuridica a lui imputabile. Ne consegue che, se la permanenza del reato, iniziata quando il soggetto era minorenne, si protrae oltre il raggiungimento della maggiore età, si radica per l'intera azione delittuosa la competenza del giudice ordinario (3277/1997, rv 208323). È legittima l'acquisizione, nel processo minorile, dei verbali di prove di altro procedimento penale, assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento cui abbia partecipato il difensore, svoltosi a carico dell'imputato medesimo per fatti commessi dopo il raggiungimento della maggiore età. (In motivazione la Corte ha precisato che non è ostativo all'acquisizione il cosiddetto divieto di connessione di cui all'art. 14, c.p.p.) (21627/2010). In tema di reato permanente, qualora la condotta dell'imputato sia iniziata quando egli era minorenne e si sia protratta dopo il raggiungimento della maggiore età, la competenza per materia si radica dinanzi al giudice ordinario, trattandosi di una fattispecie unica non suscettibile di frazionamenti (36570/2012).

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C.p.p. art. 14 Limiti alla connessione nel caso di reati commessi da minorenni COMMENTO La norma in commento preclude in via assoluta l'operatività del meccanismo di radicamento della competenza per connessione in tutte le ipotesi in cui in uno dei procedimenti che risulterebbero connessi oggetto dell'imputazione sia un fatto ascritto a persona minore degli anni diciotto (esempio). Il legislatore, infatti, in tale ipotesi attribuisce inderogabilmente la competenza a pronunciarsi al Tribunale dei minorenni, privando di rilevanza il vincolo sostanziale intercorrente tra la condotta criminosa del minore e quella attribuibile ad altro imputato maggiorenne, la quale resta oggetto di pronuncia da parte del giudice ordinario, nell'ottica di privilegiare le peculiarità del giudizio minorile rispetto all'unitarietà dell'accertamento della verità processuale. Allo stesso modo, viene esclusa l'efficacia dei presupposti della connessione laddove questi siano riscontrabili tra reati commessi dallo stesso soggetto anteriormente e successivamente al raggiungimento della maggiore età: anche in questo caso sono competenti a decidere separatamente organi giudicanti differenti.

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C.p.p. art. 15 Competenza per materia determinata dalla connessione GIURISPRUDENZA In tema di connessione e di relativi effetti sulla competenza, pur dovendosi ritenere che la connessione, nel sistema del vigente codice di procedura penale, operi come criterio autonomo e originario di attribuzione della competenza, ciò non implica che detta attribuzione assuma carattere definitivo ed irreversibile anche nelle fasi procedimentali diverse e antecedenti rispetto a quella del giudizio. Conseguentemente, qualora le ragioni della connessione vengano meno prima che sia stata instaurata la fase del giudizio, correttamente il giudice per le indagini preliminari, a suo tempo individuato sulla base delle suddette ragioni, si spoglia del procedimento relativo ai reati per i quali le stesse non sono più operanti; regola, questa, che ragionevolmente soffre eccezione nel caso di spostamento di competenza determinato da connessione con procedimenti riguardanti magistrati (art. 11, comma secondo, c.p.p.), dovendo prevalere in detta ipotesi, la speciale “ratio” dello istituto, finalizzato allo scopo di garantire il prestigio della magistratura e l'imparzialità del giudice fugando ogni sospetto di favoritismo (3308/1997, rv 207757). Pur essendo la connessione, nel sistema del vigente codice di procedura penale, criterio autonomo ed originario di attribuzione della competenza, ciò non comporta che essa, nelle fasi procedimentali anteriori a quella del giudizio, dia luogo alla operatività del principio della “perpetuatio iurisdictionis”. Pertanto, qualora le ragioni della connessione vengano meno prima della chiusura della fase delle indagini preliminari – come nel caso in cui sopravvenga pronuncia di archiviazione relativamente ad alcuno dei fatti tra loro connessi – non può invocarsi il suddetto principio per sostenere, anche con riguardo agli altri fatti, il permanere della competenza del giudice inizialmente individuato sulla base della connessione (6442/1997, rv 208946).

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Data la preminenza del principio costituzionale del giudice naturale su quello della “perpetuatio iurisdictionis”, l'attribuzione della competenza determinata da ragioni di connessione assume i connotati della definitività solo una volta che, dopo l'eventuale rinvio a giudizio, risulti cristallizzato il “thema decidendum” sul quale il giudice del dibattimento deve portare il suo esame. Ne consegue che, prima che il “simultaneus processus” abbia raggiunto la fase del giudizio, quando vengano meno le ragioni di connessione per reati di competenza per materia o territoriale di altri giudici, i relativi procedimenti devono essere a tali giudici restituiti con pronuncia di incompetenza, dichiarata dal giudice per le indagini preliminari, nel corso o dopo la chiusura delle medesime indagini, ai sensi dell'art. 22 c.p.p. (2739/1998, rv 210722). In tema di competenza, pur essendo la connessione criterio originario ed autonomo di attribuzione della stessa, ciò non comporta che, nelle fasi anteriori al giudizio, la connessione stessa dia luogo alla operatività del principio della “perpetuatio iurisdictionis”. A ciò consegue che, nel caso in cui le ragioni della connessione siano venute meno prima della chiusura della fase delle indagini preliminari, non può essere tenuta ferma la competenza del giudice inizialmente ritenuto competente, appunto, per connessione, anche riguardo ad altri reati (736/1999, rv 212879). Il divieto della cosiddetta “contestazione a catena” di cui al terzo comma dell'art. 297 c.p.p. trova applicazione in tutte le situazioni cautelari riferibili allo stesso fatto o a fatti diversi tra cui sussista connessione ai sensi dell'art. 12 c.p.p., comma primo, lett. b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, a nulla rilevando che esse emergano nell'ambito di un unico procedimento o di più procedimenti, pendenti dinanzi allo stesso giudice, e quindi innanzi ad esso cumulabili, ovvero a diversi giudici, e quindi cumulabili nella sede giudiziaria da individuare a norma degli artt. 13, 15 e 16 c.p.p. Tale divieto si applica a condizione che siano desumibili dagli atti, entro i limiti temporali rispettivamente previsti dal primo e dal secondo periodo del citato art. 297, terzo comma, c.p.p. per le diverse situazioni in essi previste, tutti gli elementi apprezzabili come presupposti per l'emissione delle successive ordinanze cautelari i cui effetti sono da

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retrodatare, non essendo sufficiente, ai fini della sua operatività, la mera notizia del fatto-reato (12182/2002, rv 223894). La competenza per territorio, nel caso in cui non sia possibile individuare, a norma degli art. 8 e 9, comma 1, c.p.p., il luogo di commissione del reato connesso più grave, spetta al giudice del luogo nel quale risulta commesso, in via gradata, il reato successivamente più grave fra gli altri reati; quando risulti impossibile individuare il luogo di commissione per tutti i reati connessi, la competenza spetta al giudice competente per il reato più grave, individuato secondo i criteri suppletivi indicati dall'art. 9, commi 2 e 3, c.p.p. (40537/2010). Nei procedimenti con udienza preliminare, la questione dell'incompetenza derivante da connessione, anche quando la stessa incida sulla competenza per materia, può essere proposta o rilevata d'ufficio subito dopo il compimento per la prima volta dell'accertamento della costituzione delle parti in dibattimento, a condizione che la parte abbia già formulato senza successo la relativa eccezione dinanzi al giudice dell'udienza preliminare (31845/2011).

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C.p.p. art. 15 Competenza per materia determinata dalla connessione COMMENTO Nella concreta determinazione del giudice competente per le fattispecie di procedimenti tra loro connessi, il legislatore, attraverso la norma in commento, stabilisce il parametro del radicamento della cognizione in capo al giudice superiore. Pertanto, soppresso in via definitiva l'ufficio del pretore con l'introduzione del giudice unico di primo grado, il rapporto tra competenze di grado diverso può instaurarsi solo ed esclusivamente tra tribunale, che può giudicare in composizione monocratica o collegiale secondo quanto previsto dal codice di rito, e corte d'assise, la quale, nel caso di connessione, è chiamata ad esercitare la cognizione complessiva. Occorre altresì evidenziare come il criterio della competenza del giudice superiore sia accolto anche nel contesto delle disposizioni extra codicem relative alla competenza del giudice di pace in materia penale (art. 6, D.Lgs. n. 274 del 2000), nonché, seppur in termini peculiari, nel contesto del riparto di attribuzioni tra giudice monocratico e giudice collegiale [33 quater].

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C.p.p. art. 16 Competenza per territorio determinata dalla connessione COMMENTO In caso di connessione di procedimenti tra l'associazione a delinquere finalizzata al contrabbando ed altri reati consumati o tentati sia all'interno sia all'esterno del distretto, prevale la competenza funzionale del Pubblico Ministero e dei Giudici distrettuali anche in deroga al dettato di cui all'articolo in commento (così Cassazione n. 31616 del 2002).

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C.p.p. art. 16 Competenza per territorio determinata dalla connessione GIURISPRUDENZA In tema di connessione e di relativi effetti sulla competenza, pur dovendosi ritenere che la connessione, nel sistema del vigente codice di procedura penale, operi come criterio autonomo e originario di attribuzione della competenza, ciò non implica che detta attribuzione assuma carattere definitivo ed irreversibile anche nelle fasi procedimentali diverse e antecedenti rispetto a quella del giudizio. Conseguentemente, qualora le ragioni della connessione vengano meno prima che sia stata instaurata la fase del giudizio, correttamente il giudice per le indagini preliminari, a suo tempo individuato sulla base delle suddette ragioni, si spoglia del procedimento relativo ai reati per i quali le stesse non sono più operanti; regola, questa, che ragionevolmente soffre eccezione nel caso di spostamento di competenza determinato da connessione con procedimenti riguardanti magistrati (art. 11, comma secondo, c.p.p.), dovendo prevalere in detta ipotesi, la speciale “ratio” dello istituto, finalizzato allo scopo di garantire il prestigio della magistratura e l'imparzialità del giudice fugando ogni sospetto di favoritismo (3308/1997, rv 207757). Data la preminenza del principio costituzionale del giudice naturale su quello della “perpetuatio iurisdictionis”, l'attribuzione della competenza determinata da ragioni di connessione assume i connotati della definitività solo una volta che, dopo l'eventuale rinvio a giudizio, risulti cristallizzato il “thema decidendum” sul quale il giudice del dibattimento deve portare il suo esame. Ne consegue che, prima che il “simultaneus processus” abbia raggiunto la fase del giudizio, quando vengano meno le ragioni di connessione per reati di competenza per materia o territoriale di altri giudici, i relativi procedimenti devono essere a tali giudici restituiti con pronuncia di incompetenza, dichiarata dal giudice per le indagini preliminari, nel corso o dopo la chiusura delle medesime indagini, ai sensi dell'art. 22 c.p.p. (2739/1998, rv 210722).

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In tema di competenza determinata dall'ipotesi di connessione oggettiva fondata sull'astratta configurabilità del vincolo della continuazione fra le analoghe, ma distinte fattispecie di reato ascritte ai diversi imputati, l'identità del disegno criminoso perseguito è idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione, sia per materia, sia per territorio, solo se l'episodio o gli episodi in continuazione riguardino lo stesso o – se sono più di uno – gli stessi imputati, giacché l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato in uno di quei fatti a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza. Ne consegue che, al di fuori delle ipotesi di continuazione riferibili a una fattispecie monosoggettiva o a una fattispecie concorsuale, in cui l'identità del disegno criminoso sia però comune a tutti i compartecipi, il vincolo della continuazione non è in grado di determinare alcuna attribuzione e conseguente spostamento di competenza, ai sensi dell'art. 15 c.p.p. o dell'art. 16 c.p.p., ma produce i suoi effetti solo sul piano sostanziale ai fini della determinazione della pena ai sensi dell'art. 671 c.p.p. (6226/1999, rv 214834). Allorché sia ignoto il luogo di consumazione di uno dei reati concorrenti, ai fini della determinazione della competenza per territorio si deve avere riguardo al più grave tra quelli residui (3731/2000, rv 216739). La competenza per territorio in caso di connessione oggettiva di due reati per nessuno dei quali sia possibile stabilire la competenza ai sensi dell'art. 8 c.p.p. e per entrambi i quali si dovrebbe fare ricorso alle regole suppletive di cui all'art. 9 c.p.p. deve essere determinata con riferimento al reato più grave, individuando la regola suppletiva applicabile a tale ipotesi di reato (3522/2001, rv 218530) Ai fini della determinazione della competenza per territorio nell'ipotesi di reati connessi, ove non sia possibile individuare il luogo di consumazione del reato più grave non è consentito far ricorso alle regole suppletive stabilite dall'art. 9 c.p.p., ma si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato che, in via decrescente, si presenta come il più grave tra quelli residui (17516/2001, rv 218684).

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La competenza per territorio, nel caso in cui non sia possibile individuare, a norma degli artt. 8 e 9, comma primo, c.p.p., il luogo di commissione del reato connesso più grave, spetta al giudice del luogo nel quale risulta commesso, in via gradata, il reato successivamente più grave fra gli altri reati; quando risulti impossibile individuare il luogo di commissione per tutti i reati connessi, la competenza spetta al giudice competente per il reato più grave, individuato secondo i criteri suppletivi indicati dall'art. 9, commi secondo e terzo, c.p.p. (S.U. 40537/2009). La connessione tra procedimenti determina lo spostamento della competenza per territorio solo se i procedimenti stessi si trovano nella medesima fase processuale (26857/2010). La competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono ugualmente competenti per materia, a norma dell'articolo 16, comma 1, del C.p.p., appartiene al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato. In proposito dovendosi considerare che, al fine di stabilire quale sia il reato più grave, deve farsi riferimento all'imputazione contestata dal pubblico ministero, determinando la “gravità” del reato in ragione della pena più elevata nel massimo o, in caso di parità, della pena più elevata nel minimo; con l'ulteriore precisazione che, poiché occorre avere esclusivo alle sanzioni edittali, resta priva di rilevanza, nel caso che queste si equivalgano, la maggiore o minore entità del danno in concreto provocato dalle singole condotte criminose (24172/2013). La operatività dell'incompetenza determinata da connessione non è subordinata alla pendenza dei procedimenti connessi nello stesso stato e grado, essendo quello della competenza per connessione criterio originario ed autonomo di attribuzione della competenza (S.U. 27343/2013). Ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall'art. 12, lett. c), cod. proc. pen. e della sua idoneità a determinare uno spostamento della competenza per territorio, non è richiesto che vi sia identità fra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo, ferma restando la necessità di accertare che l'autore di quest'ultimo abbia avuto presente l'oggettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione o all'occultamento di un altro reato (53390/2017).

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Ai fini della determinazione della competenza, deve aversi riguardo esclusivamente alla contestazione formulata dal Pubblico Ministero, a nulla rilevando eventuali valutazioni in via prognostica, anticipatorie del merito della decisione, salvo che tale contestazione non contenga rilevanti errori macroscopici ed immediatamente percepibili (15537/2017).

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C.p.p. art. 16 Competenza per territorio determinata dalla connessione COMMENTO La disposizione in esame deve essere applicata allorquando i procedimenti connessi coinvolgano organi giudicanti egualmente competenti per materia, dovendo, in tal caso, risolversi il problema di individuare a livello territoriale l'ufficio giudiziario chiamato ad esercitare la giurisdizione. Il primo elemento che occorre valutare è la gravità dei reati oggetto di accertamento. Riguardo a ciò, la norma introduce al terzo comma parametri di delibazione diversi e ulteriori rispetto a quello relativo all'entità della pena e di talune circostanze aggravanti contenuto nell'art. 4 precedentemente analizzato: si tratta, pertanto, di specifiche regole cui è necessario ricorrere solo nelle ipotesi di connessione. Tra delitti e contravvenzioni si considerano più gravi i primi, alla stregua di un criterio qualitativo che laddove non possa operare, ricorrendo reati della medesima specie, è sostituito dalla considerazione, in via successiva, della pena edittale più elevata nel massimo e, a parità di entità, di quella più elevata nel minimo. Infine se le pene previste sono di natura eterogenea, si tiene conto dell'entità di quelle pecuniarie solo laddove il rapporto tra quelle detentive non consenta di individuare il reato più grave, risultando identici, in ordine a queste ultime, il massimo edittale e il più elevato minimo (così Cassazione n. 3695 del 1999). Qualora i criteri suddetti comportino una valutazione di identica gravità dei reati oggetto di accertamento, si applica il criterio cronologico, cioè si individua quale giudice competente l'ufficio giudiziario del luogo in cui è stato commessa la prima fattispecie criminosa, prescindendosi dalla sua gravità. Il secondo comma contiene una deroga espressa alla regola generale relativa alla competenza per la specifica ipotesi di reato dal quale derivi la morte di una persona. Infatti, laddove tale evento sia la conseguenza di diverse condotte illecite tra loro variamente concorrenti [12, comma 1, lett. a)], non si ha riguardo alla localizzazione dell'azione o dell'omissione, poiché in tal modo non si arriverebbe a definire l'unico giudice competente, ma si attribuisce la cognizione dei procedimenti connessi all'ufficio del luogo in cui è avvenuto il decesso.

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C.p.p. art. 17 Riunione di processi COMMENTO Poiché non è prevista alcuna forma di impugnazione per i provvedimenti di riunione o separazione dei processi e poiché nel sistema processuale vige il principio di tassatività delle impugnazioni, può ritenersi eccezionalmente ammissibile una impugnazione non specificamente prevista solo allorché il provvedimento denunziato abbia i caratteri dell'atto abnorme. Tale non è l'ordinanza con la quale il giudice del dibattimento dispone la separazione delle posizioni di più imputati, avendo alcuni di essi avanzato istanza di applicazione di pena concordata (così Cassazione n. 2641 del 1999).

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C.p.p. art. 17 Riunione di processi GIURISPRUDENZA A norma degli artt. 17 e 19 c.p.p. la riunione in senso tecnico può avere ad oggetto solo processi e non procedimenti e può essere disposta dal giudice, non dal P.M. Ciò non toglie che il P.M. abbia facoltà di esperire indagini contestuali e congiunte relativamente a distinti procedimenti, senza che ciò possa produrre effetti tipici della riunione dei processi, come quello di spostamento della competenza (3011/1992, rv 191953). È inoppugnabile il provvedimento col quale il giudice per le indagini preliminari rigetti la richiesta di singoli decreti penali per violazioni della stessa specie e disponga la riunione dei relativi procedimenti, con la restituzione degli atti al pubblico ministero per la formulazione di una richiesta di pena più congrua. Né è configurabile l'abnormità di un siffatto provvedimento, per il fatto che esso contiene statuizioni accessorie e superflue, poiché esse non sono vincolanti per il pubblico ministero. Il rigetto della richiesta dei decreti penali di condanna, con la restituzione degli atti, comporta la regressione alla fase delle indagini preliminari e pertanto la riunione dei procedimenti disposta dal giudice per le indagini preliminari non corrisponde alla riunione in senso tecnico di cui agli artt. 17 e 19 c.p.p. (che può avere ad oggetto processi e non procedimenti). Essa vale, dunque, soltanto a segnalare al pubblico ministero l'opportunità di esperire indagini contestuali e formulare richieste congiunte in relazione a procedimenti distinti (2849/1993, rv 196278). Il principio della tassatività dei mezzi d'impugnazione, mantenuto nel nuovo sistema dall'art. 568 c.p.p., preclude l'impugnabilità del provvedimento con il quale il G.I.P. rigetta la richiesta del P.M. di singoli decreti penali per violazioni della stessa specie e dispone la riunione dei procedimenti relativi a tali violazioni e la restituzione degli atti al P.M. per una pena più congrua. Il detto provvedimento non può, d'altra parte, ritenersi abnorme, e quindi ricorribile per Cassazione per tale motivo, in

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quanto per la configurabilità di un provvedimento abnorme è necessario che lo stesso, a differenza di quello “de quo”, violi macroscopicamente fondamentali principi di diritto processuale e si ponga al di fuori dello stesso ordinamento processuale (3440/1993, rv 195551). Qualora venga formulata richiesta di riunione di un procedimento con altro pendente davanti allo stesso ufficio giudiziario, poiché la riunione di processi è un provvedimento meramente discrezionale del giudice, non sussiste nullità del giudizio se vi sia stato un implicito rigetto della richiesta e manchi un motivato provvedimento di diniego della riunione (11135/1993, rv 197351). L'art. 610, terzo comma, c.p.p., prevede che anche nel giudizio di Cassazione il presidente possa disporre la riunione dei giudizi, regolata dall'art. 17 c.p.p., in quanto siano pendenti avanti la stessa Corte. Deve tuttavia essere dichiarato inammissibile il ricorso che nessun vizio della sentenza impugnata denunci ma che si limiti a prospettare una richiesta di riunione: quest'ultima, infatti, non può essere fine a se stessa ed il ricorso deve necessariamente investire la Corte della cognizione sulla legittimità della sentenza di merito, secondo la tassativa previsione di cui all'art. 606 c.p.p. (1840/1994, rv 196519). L'istituto della riunione dei giudizi è applicabile anche dinanzi alla Corte di Cassazione, non facendo la legge alcuna distinzione, in ordine ai casi di connessione, tra giudici di merito e giudice di legittimità (4787/1994, rv 196357). La riunione di più procedimenti determina la definitiva confluenza dei procedimenti riuniti e perciò, quando vi sia mutamento del giudice per la celebrazione del dibattimento a seguito di rinvio del procedimento a nuovo ruolo, quest'ultimo non deve provvedere a rinnovare la riunione, mentre può procedere ad eventuali separazioni in ragione della autonoma valutazione delle esigenze processuali con provvedimenti che sono completamente autonomi dall'originaria riunione (10209/1996, rv 206828). La regola secondo cui giudice dell'esecuzione è, in caso di riforma della sentenza di primo grado, il giudice d'appello, opera anche nel caso di riunione di procedimenti in sede di appello, a

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nulla rilevando che detta riforma riguardi il procedimento diverso da quello interessato dal procedimento di esecuzione (8104/2010). I giudizi pendenti nel medesimo stato e grado possono essere riuniti nel corso di tutto il grado nel quale essi si trovano, anche successivamente al compimento delle formalità di apertura del dibattimento (983/2011).

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C.p.p. art. 17 Riunione di processi COMMENTO La norma in commento disciplina l'istituto della riunione di procedimenti che abbiano già superato il momento dell'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero e che, pertanto, possano essere correttamente definiti “processi”. Alla base di tale previsione c'è sicuramente l'esigenza di trattare in modo unitario imputazioni differenti, accertando i fatti-reato che presentano profili di interdipendenza tali da renderne opportuna una rivisitazione complessiva e contestuale. Tuttavia lo scopo cognitivo proprio della giurisdizione penale, nel caso di specie, non può essere perseguito a totale discapito dell'altrettanto rilevante valore della ragionevole durata del processo [Cost. 111]: per questo il legislatore, novellando nel 2001 l'originaria formulazione del precetto che faceva riferimento al “pregiudizio alla rapida definizione dei procedimenti”, ha inteso contemperare tali esigenze accentuando il canone della celerità processuale, precludendo, in concreto, la possibilità di procedere alla riunione qualora ciò comporti un ritardo nella definizione della singola vicenda processuale già matura per la decisione finale. Preliminarmente occorre far luce sulle differenze che intercorrono tra questo istituto e il meccanismo della connessione. Infatti, mentre quest'ultimo costituisce criterio originario di determinazione della competenza, operante sin dal momento iniziale del procedimento penale, l'operatività della riunione presuppone che l'ufficio giudiziario competente sia stato già individuato. Peraltro il vincolo sostanziale tra i reati che giustifica le diverse ipotesi di connessione non comporta automaticamente la riunione dei processi, costituendo solo uno dei casi in cui, ricorrendo le altre condizioni previste dalla disposizione in esame, si può addivenire ad una trattazione unitaria delle fattispecie oggetto di imputazione. Quanto ai presupposti operativi della riunione essi sono così individuabili: – pendenza dei diversi processi innanzi a giudici o sezioni appartenenti al medesimo ufficio giudiziario; – omogeneità di sviluppo delle diverse vicende processuali in relazione alla fase procedimentale (es. dibattimento) e al grado di giudizio (es. primo grado); – mancato ritardo nella definizione del singolo processo a seguito della riunione; – ricorrenza delle fattispecie tassativamente previste. Riguardo ai casi elencati dalla norma in commento, il legislatore ha inteso riferirsi a tutte le ipotesi di connessione contemplate dall'articolo 12 e a quelle contenute nell'attuale formulazione dell'art. 371 comma 2 lett. b) (connessione occasionale, connessione consequenziale, connessione tra reati commessi in danno reciproco, connessione probatoria). Particolarmente importante è, poi, l'esatta configurazione della valutazione alla quale è chiamato il giudice qualora ricorrano tutte le condizioni normativamente previste, se, cioè, si tratti di un'opzione discrezionale o di un atto dovuto. La formulazione letterale della disposizione sembra evocare l'esercizio di una semplice

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facoltà alla quale non dovrebbe ricollegarsi alcuna sanzione processuale nel caso di sua mancata attivazione. Tuttavia l'orientamento dottrinario prevalente sottolinea come, una volta riscontrata la ricorrenza dei presupposti fissati dal legislatore, non avrebbe alcuna giustificazione la preclusione all'operatività di un istituto funzionale alla trattazione unitaria dei fatti oggetto di imputazione e appositamente predisposto a tale scopo. Pertanto è più corretto ritenere che il giudice sia chiamato a procedere ad una delibazione vincolata nella sua dinamica di svolgimento, il cui esito positivo non può che tradursi in un provvedimento di riunificazione motivato e suscettibile di censure da parte del giudice superiore. L'ultimo comma estende la portata della norma in commento, nei suoi presupposti applicativi e con riguardo ai medesimi casi, alla specifica fattispecie di procedimenti connessi pendenti davanti al tribunale collegiale e al tribunale monocratico: in questo caso la riunione è disposta davanti al giudice collegiale, il quale dovrà pronunciarsi su tutti fatti oggetto di imputazione anche nel caso di successiva separazione dei procedimenti. In conclusione occorre evidenziare come l'art. 2, disp. att. fissi in concreto le modalità per l'individuazione del giudice competente a pronunciarsi laddove risultino integrati tutti gli estremi della disposizione analizzata.

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C.p.p. art. 18 Separazione di processi COMMENTO 1. Accertamento della sua incapacità a partecipare coscientemente al processo [71]. 2. Risoluzione di una questione pregiudiziale attinente alla cittadinanza [3].

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C.p.p. art. 18 Separazione di processi GIURISPRUDENZA Non può giudicarsi abnorme l'ordinanza del G.I.P. che abbia rigettato l'istanza dell'imputato di rito abbreviato sulla base dell'impossibilità di procedere alla separazione del procedimento di tale imputato da quello di altri trattandosi di un traffico unitario di stupefacenti; il G.I.P. in realtà si è avvalso della facoltà di cui all'art. 18, comma primo, c.p.p. di non disporre la separazione dei procedimenti. Né tale decisione contrasta con l'affermazione della Corte Costituzionale (ordinanza 30 maggio 1991 n. 234) secondo cui la richiesta di giudizio immediato si configura come libera scelta, insindacabile dell'imputato: tale principio va inquadrato nell'intero sistema processuale e va interpretato nel senso che il giudice non può sostituirsi all'imputato nella scelta di un diverso rito processuale, ma non può valere a togliere al predetto giudice le sue facoltà in ordine alle decisioni nella riunione o separazione dei processi (3705/1994, rv 200057). La separazione dei processi è istituto tipicamente processuale, governato da precise regole di rito anche in vista di consentire alle parti di avanzare le loro ragioni e che, dunque, può scaturire solo da un vero e proprio provvedimento giurisdizionale adottato dal giudice, nella forma dell'ordinanza e nel rispetto del contraddittorio e che, per sua natura, non può riferirsi alla fase delle indagini preliminari (12729/1994, rv 199980). Il giudizio immediato su richiesta dell'imputato, che rinuncia all'udienza preliminare si differenzia da quello richiesto dal pubblico ministero poiché, diversamente da questo, non esige particolari condizioni, ma si basa unicamente sulla richiesta stessa, cui di regola segue, ex art. 419, sesto comma, c.p.p., il decreto che dispone il giudizio immediato. Peraltro, se il giudizio immediato è richiesto con riferimento ad un processo riunito ad altri, il giudice non è obbligato a disporre la separazione. Egli conserva, infatti, il potere di valutazione conferitogli dall'art. 18 c.p.p. e se ritiene che, per l'accertamento dei fatti, sia assolutamente necessario mantenere

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la riunione dei processi, deve escludere il giudizio immediato (1740/1995, rv 202247). In tema di condono edilizio, non è di ostacolo per una separazione dei giudizi l'attribuzione dei fatti a due distinti imputati nella stessa qualità di proprietari, tanto più ove siano stati preposti separati ricorsi per Cassazione, potendosi le situazioni diversamente apprezzare ed essendo fatto salvo l'effetto estensivo ex art. 587 c.p.p. (9479/1995, rv 203541). In tema di separazione dei processi, la norma dell'art. 18, comma primo, lett. e), c.p.p. disciplina l'ipotesi in cui per un'imputazione l'istruzione dibattimentale risulta conclusa, mentre per altra imputazione è necessario il compimento di ulteriori atti che non consentono di pervenire prontamente alla decisione. La norma prevede la separazione come soluzione normale, mentre la esclude solo in via eccezionale, quando “il giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti”. Ne consegue che la motivazione della ordinanza di separazione deve limitarsi a mettere in evidenza il fatto che per una imputazione la istruzione è conclusa mentre per l'altra sono necessari ulteriori accertamenti. Solo se il giudice ritenga eccezionalmente di dover tenere uniti i processi, deve indicare specificamente i motivi per i quali la riunione è “assolutamente necessaria” (5943/1996, rv 205113). Il provvedimento di separazione dei procedimenti non può ritenersi atto abnorme in quanto l'art. 18 c.p.p., comma primo, lett. e), prevede la possibilità di separazione come soluzione normale, mentre la esclude solo in via eccezionale quando il giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti (1862/1998, rv 211554). All'interno del medesimo ufficio giudiziario deve riconoscersi al giudice, per ragioni di economia processuale, il potere di procedere, anche in assenza di un formale provvedimento di riunione, alla trattazione unitaria di distinti procedimenti aventi ad oggetto misure di prevenzione personale e di natura patrimoniale (37166/2008). La separazione dei processi ai sensi dell'art. 18, comma primo, lett. c), c.p.p. può essere disposta anche nel caso di procedimento oggettivamente, e non solo soggettivamente, cumulativo (15080/2011).

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Il provvedimento con il quale il giudice di cognizione ordina la separazione dei procedimenti, mediante stralcio o delle posizioni di taluno degli imputati o del procedimento relativo ad alcune delle vittime del reato, ha natura ordinatoria e, per il principio di tassatività delle impugnazione, è inoppugnabile essendo invece impugnabile quello che dispone la riunione nel caso in cui dallo stesso ne sia derivata una violazione delle norme concernenti gli effetti della connessione sulla competenza (11538/2014).

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C.p.p. art. 18 Separazione di processi COMMENTO Nella disposizione in commento il legislatore predispone un istituto processuale idoneo a scindere la trattazione di procedimenti che, pur avendo ad oggetto la cognizione di fatti-reato tra loro distinti, sono confluiti, sin dalle loro fasi iniziali oppure in un momento successivo all'esercizio dell'azione penale, in un unico processo cumulativo. L'intento di favorire lo sviluppo autonomo delle diverse vicende processuali, nell'ottica di una loro rapida definizione, traspare chiaramente dalla stessa formulazione del primo comma, laddove il provvedimento di separazione che deve essere adottato dall'organo giudicante appare, ricorrendone i tassativi presupposti, un atto dovuto, dal quale si può prescindere solo nel caso in cui il giudice ritenga assolutamente necessaria, ai fini della correttezza e della giustizia della decisione complessiva, la trattazione unitaria dei diversi elementi fattuali cui si riferiscono le imputazioni, risultando circostanze in rapporto di reciproca interdipendenza e pregiudizialità. Pertanto la separazione è disposta: – nel corso dell'udienza preliminare, qualora il giudice della medesima ritenga di poter pronunciarsi, in quel momento, solo riguardo a determinate imputazioni, mentre per la definizione della posizione processuale degli altri imputati sia necessario ricorrere all'assunzione, anche officiosa, di prove di evidente decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere, secondo quanto previsto dal vigente art. 422. Al riguardo, occorre specificare come tale previsione debba coerentemente essere estesa, in via interpretativa, alla fattispecie disciplinata dall'art. 421 bis, non richiamata dalla norma in esame solo per un difetto di coordinamento, la quale prospetta un'ulteriore figura di intervento o, più esattamente, di sollecitazione istruttoria officiosa da parte del g.u.p. funzionale ad arricchire la piattaforma investigativa sottoposta al suo vaglio; – in ogni stato e grado del processo, qualora ricorrano i presupposti per la sospensione dell'attività procedimentale in relazione a taluno degli imputati coinvolti (esempio n. 1) o ad una o più imputazioni (esempio n. 2); – nel corso del dibattimento, in tutte le situazioni in cui uno degli imputati o il suo difensore non abbiano potuto partecipare al processo per vizi attinenti all'atto di citazione o alla sua notificazione, per mancata conoscenza incolpevole dello stesso o della convocazione o per altro legittimo impedimento. Accanto a tali ipotesi viene annoverata l'eventualità che l'allestimento del panorama probatorio fondante la pronuncia conclusiva del dibattimento richieda, per alcuni imputati o per talune imputazioni, ulteriori interventi di completamento privi di risonanza rispetto a coloro per i quali l'istruzione può dirsi conclusa; – se, a prescindere dalla fase processuale in corso, ci sia la concreta possibilità che uno o più imputati per i fatti previsti dall'art. 407, comma 2, lett. a) vengano

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rimessi in libertà per decorrenza dei termini di carcerazione per l'assenza di altri titoli di detenzione. Si tratta di una previsione, introdotta di recente dal legislatore, la quale rivela una logica ispiratrice completamente diversa da quella sottesa alle fattispecie originariamente previste. Infatti se per queste ultime è agevole riscontrare il tentativo di garantire una cognizione rapida ma approfondita dei fatti che connotano la vicenda processuale, riguardo alla situazione dell'imputato per specifici reati il quale si approssimi alla scarcerazione per scadenza dei termini del provvedimento di custodia cautelare emerge chiaramente la volontà legislativa di privilegiare esigenze di prevenzione a tutela della collettività rispetto alla pregnanza e alla profondità dell'accertamento. Il secondo comma prevede, infine, la peculiare ipotesi della separazione facoltativa disposta dal giudice senza che ricorrano le condizioni stabilite per la separazione obbligatoria. In questo caso la valutazione giudiziale, sollecitata dall'accordo tra le parti precedentemente intervenuto, deve investire il profilo della utilità del provvedimento eventuale rispetto alla rapidità nella definizione dei fatti oggetto di accertamento, a prescindere da qualunque automatismo normativamente congegnato.

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C.p.p. art. 19 Provvedimenti sulla riunione e separazione GIURISPRUDENZA Il diniego di riunione del giudizio con altro pendente dinanzi allo stesso giudice, ai fini del riconoscimento della continuazione tra i vari reati, non è provvedimento che possa concretamente ledere l'interesse dell'imputato, non solo perché, già nel vigore del precedente codice, l'unicità del disegno criminoso con i fatti già giudicati poteva essere affermata nel giudizio successivo concernente il procedimento non riunito, ma soprattutto perché, con l'entrata in vigore del nuovo codice, in cui la disciplina del procedimento di esecuzione è immediatamente operante senza limiti transitori (art. 260 del D.Lgs. 28 luglio 1989 n. 271), il dettato di cui all'art. 671 c.p.p., demanda al giudice dell'esecuzione il potere di provvedere per l'applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato, sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione (8440/1993, rv 194667). Il provvedimento di separazione dei procedimenti (art. 18 c.p.p.), qualora erroneamente emesso dal giudice, non dà luogo a nullità e non è impugnabile, stanti i principi della tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.) e delle impugnazioni (art. 568 c.p.p.) (11411/1993, rv 198555). In tema d'impugnazione, il provvedimento con il quale il giudice di cognizione ordina la separazione dei procedimenti, mediante stralcio delle posizioni di taluno degli imputati, ha natura ordinatoria e, per il principio di tassatività delle impugnazioni, deve ritenersi inoppugnabile (1611/1994, rv 197313). In materia di connessione di procedimenti è attribuito al giudice del merito un ampio potere discrezionale, sicché rientra nella sua facoltà disporre la separazione dei rapporti processuali ove ne sussistano opportunità e convenienza, non ostandovi ipotesi di connessione, allorché si ritenga che la riunione non sia assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti (3985/1994, rv 199603).

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La separazione dei processi prevista dall'art. 19 c.p.p. attiene all'esercizio di un potere discrezionale del giudice, che nell'interesse superiore della giustizia, previa audizione delle parti, può adottare tale provvedimento, onde consentire la rapida definizione delle posizioni di alcuni imputati (per esempio detenuti). Tuttavia, poiché per l'ordinanza che dispone la separazione dei processi non è prevista alcuna sanzione di nullità nel caso di mancata audizione delle parti, la sua impugnazione non può ritenersi consentita, atteso il principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione (5953/1996, rv 205114). La decisione emessa in sede di riesame con la quale si prendano in considerazione nello sviluppo della motivazione le posizioni processuali di più indagati che hanno proposto autonomi ricorsi, sotto nessun profilo può ritenersi equivalente ad un provvedimento formale di riunione e perciò regolato dall'art. 19 c.p.p. (463/1997, rv 208094). Ancorché il giudice del dibattimento abbia respinto la richiesta di disporre la riunione tra più procedimenti, ritenendo non configurabile il prospettato vincolo della continuazione tra i reati che ne formano oggetto, la sentenza di merito non può validamente essere impugnata con ricorso per Cassazione sotto il profilo del mancato riconoscimento del suddetto vincolo, atteso che da un lato i provvedimenti che dispongono o negano la riunione di procedimenti, siccome meramente ordinatori, sono sottratti ad ogni forma d'impugnazione, dall'altro la invocata continuazione può comunque sempre essere chiesta in sede esecutiva ai sensi dell'art. 671 c.p.p. non ostandovi – per il suo carattere incidentale – la suddetta pronuncia del giudice di cognizione, che, proprio per non aver disposto la riunione, non ha potuto giudicare “ex professo” della sussistenza o meno dell'unicità del disegno criminoso, ma si è limitato ad una mera delibazione (4794/1997, rv 207579). La disposizione di cui all'art. 19 c.p.p. – relativa alla separazione dei processi – si riferisce soltanto alla fase processuale e non anche a quella delle indagini preliminari, e per la sua mancata osservanza non sono previsti né alcuna sanzione di nullità, né alcun mezzo di impugnazione (5193/1998, rv 209686). È inoppugnabile il provvedimento di riunione o di separazione dei procedimenti (42990/2008).

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Il provvedimento con il quale il giudice di cognizione ordina la separazione dei procedimenti, mediante stralcio o delle posizioni di taluno degli imputati o del procedimento relativo ad alcune delle vittime del reato, ha natura ordinatoria e, per il principio di tassatività delle impugnazione, è inoppugnabile essendo invece impugnabile quello che dispone la riunione nel caso in cui dallo stesso ne sia derivata una violazione delle norme concernenti gli effetti della connessione sulla competenza (11538/2014).

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C.p.p. art. 19 Provvedimenti sulla riunione e separazione COMMENTO La disposizione di chiusura del Capo III in commento prescrive il ricorso alla forma dell'ordinanza per tutti i provvedimenti con cui si dispone la separazione o la riunione dei procedimenti. La struttura di tale atto, di natura sicuramente interlocutoria ma necessariamente corredato e giustificato da una congrua motivazione, si addice pienamente alle peculiarità di un contenuto che non può prescindere da quanto emerso nel contraddittorio tra il giudice e le parti in sede di audizione delle stesse. Sul punto il legislatore non sembra imporre la fissazione di una udienza camerale ad hoc, come da alcuni sostenuto, ma sicuramente, anche nelle fattispecie di iniziativa officiosa, ritiene indefettibile un contraddittorio minimo in assenza del quale il provvedimento risulterebbe affetto da una nullità di ordine generale rientrante tra quelle previste dal codice all'art. 178, comma 1, lett. c). Proprio in ragione di ciò, l'affermazione secondo cui, mancando qualunque indicazione legislativa espressa, ci si troverebbe di fronte ad un'ordinanza inoppugnabile in ragione del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, deve essere superata alla luce del dato sistematico sul fondamento della nullità di ordine generale precedentemente evocata e di quello normativo che consente la censurabilità di tutte le ordinanze dibattimentali unitamente alla sentenza finale [586].

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C.p.p. art. 20 Difetto di giurisdizione COMMENTO 1. Reato “presidenziale” di attentato alla Costituzione, riservato alla cognizione della Corte Costituzionale. 2. Il giudice militare deve valutare la sussistenza della responsabilità in ordine all'omicidio commesso dal cittadino comune ai danni di un altro avente identico status giuridico. 3. Viene contestato un furto ad un agente diplomatico di un Paese straniero operante in Italia. 4. Richiesta di archiviazione. 5. Pubblico ministero presso il giudice ordinario o procuratore militare presso il tribunale speciale.

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C.p.p. art. 20 Difetto di giurisdizione GIURISPRUDENZA Poiché “ogni giudice è giudice della propria competenza”, il giudice che sulla base delle risultanze di causa e della normativa sulla competenza, ritenga la propria competenza a decidere su un determinato fatto, nessun obbligo ha di devolvere la questione al giudice “superiore” o “speciale” che secondo le deduzioni delle parti sarebbe competente; l'eventuale errore di detto giudice nella valutazione sulla competenza andrà corretto dal giudice dell'impugnazione (3025/1992, rv 191666). La regola della rilevabilità, anche d'ufficio, del difetto di giurisdizione in ogni stato e grado del procedimento, dettata dall'art. 20 c.p.p., non trova applicazione quando l'individuazione della giurisdizione dipenda da un accertamento di fatto, in ordine al quale si sia irreversibilmente formato il giudicato (665/2000). In tema di reati commessi da un militare straniero appartenente ad una forza multinazionale, deve escludersi che la giurisdizione esclusiva dello Stato d'invio del militare in ordine ai fatti commessi nello Stato di soggiorno possa trovare il proprio fondamento nella cd. legge della bandiera (25972/2010). Perché sussista la giurisdizione dell’autorità giudiziaria militare e non quella ordinaria occorre la qualità di militare sia del soggetto attivo del reato, sia di quello passivo e, quindi, nel caso di reati contro il patrimonio, occorre che il danno sia interamente subito dall’amministrazione militare e non da un ente pubblico del tutto estraneo al predetto apparato (20136/2018)..

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C.p.p. art. 20 Difetto di giurisdizione COMMENTO La disposizione in esame sottolinea l'importanza di una corretta divisione delle regiudicande penali tra giudice ordinario e giudice speciale, affermando, in apertura, che il difetto di giurisdizione è rilevabile in ogni fase processuale e in qualsiasi grado di giudizio, sia dalle parti che dall'organo decidente, allorquando si ravvisi la ricorrenza di una delle seguenti fattispecie: – difetto relativo di giurisdizione: il giudice ordinario è chiamato a pronunciarsi in ordine ad un reato per il quale la giurisdizione è attribuita al giudice speciale (esempio n. 1) o viceversa (esempio n. 2); – difetto assoluto di giurisdizione: nessun giudice penale, ordinario o speciale, è titolare della potestà giurisdizionale in relazione al fatto specifico (esempio n. 3). Ciò significa che nel corso del procedimento non è previsto alcun termine, scaduto il quale, risulti preclusa la possibilità di far valere il vizio in esame (a meno che l'individuazione della giurisdizione non dipenda da un accertamento di fatto su cui si sia formato il giudicato, così Cassazione n. 665 del 2001) ed, anzi, che tale facoltà è riconosciuta a ciascuno dei soggetti coinvolti nella vicenda processuale. Peraltro il riferimento letterale al procedimento penale, senza alcuna ulteriore specificazione, permette di dedurre da un lato che la questione può essere sollevata sin dalla fase delle indagini preliminari, dall'altro che tale prescrizione si pone come norma generale sul difetto di giurisdizione, operante, quindi, tanto al cospetto del giudice ordinario quanto a quello del giudice speciale. Proprio in relazione allo stadio delle indagini preliminari, il legislatore appresta una disciplina differente a seconda che il vizio procedimentale emerga prima o dopo la chiusura di detta fase. Nella prima eventualità, così come accade nel caso in cui si ritenga incompetente [➠ 22], il giudice delle indagini preliminari, ove rilevi l'assenza dei requisiti per la sua giurisdizione, emette ordinanza con la quale restituisce gli atti al pubblico ministero, con effetti limitati al provvedimento richiesto da quest'ultimo (esempio n. 4). Nell'altro caso, in qualunque momento venga fatta emergere la questione, a partire, cioè, dalla fase degli atti preliminari al dibattimento fino ai diversi gradi di impugnazione, l'organo giudicante deve pronunciarsi con sentenza ed, eventualmente, trasmettere gli atti già compiuti all'ufficio competente a muovere l'imputazione presso l'organo individuato come titolare della giurisdizione (esempio n. 5). Tale previsione evidenzia come il vizio riscontrato dal giudice estenda i suoi effetti negativi su tutta l'attività procedimentale precedentemente posta in essere. D'altra parte, proprio la sua formulazione letterale, lascia intendere come la trasmissione degli atti non debba ritenersi automatica, potendo essere trascurata nell'ipotesi peculiare di difetto assoluto di giurisdizione.

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C.p.p. art. 21 Incompetenza COMMENTO La Corte d'assise viene chiamata a pronunciarsi su una fattispecie di estorsione aggravata.

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C.p.p. art. 21 Incompetenza GIURISPRUDENZA Qualora l'incompetenza per territorio emerga in sede di incidente probatorio effettuato dopo l'udienza preliminare, è sempre applicabile l'art. 21 c.p.p., a norma del quale la competenza territoriale va verificata, a pena di decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare e, solo ove questa non sia stata tenuta, entro il termine previsto dal primo comma del successivo art. 491 c.p.p.; né può fondatamente sostenersi l'illegittimità costituzionale del suddetto art. 21 c.p.p., in riferimento all'art. 25 Cost., in quanto, come ha già avuto modo di affermare la Corte Costituzionale con l'ordinanza 30 dicembre 1991 n. 521, appartiene alla discrezionalità del legislatore la possibilità di limitare la rilevabilità dei vizi della competenza territoriale a vantaggio dell'interesse all'ordine ed alla speditezza del processo (1836/1994, rv 196518). L'art. 21, terzo comma, c.p.p., secondo cui l'incompetenza derivante da connessione è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall'art. 491, primo comma, c.p.p., ossia subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti, trova applicazione solo nei casi in cui già sussiste, dinanzi ad altro giudice, un procedimento relativo al reato al quale debbono essere riuniti quelli connessi. Quando, invece, il procedimento che attrae per connessione la competenza sorge nel corso del dibattimento e nell'ambito dello stesso processo, non opera la suindicata preclusione di cui all'art. 491 c.p.p. (4132/1994, rv 197988). La dichiarazione di incompetenza per materia può essere emessa dal giudice del dibattimento prima di ogni altra decisione, ed in particolare anche prima della decisione sulle questioni preliminari di cui all'art. 491 c.p.p. – da coordinarsi, a tal fine, con l'art. 21, comma primo, dello stesso codice – delle quali costituisce antecedente logico; un'opposta soluzione realizzerebbe infatti un inammissibile risultato, nel senso che le predette questioni

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verrebbero risolte da un giudice incompetente per materia (2949/1995, rv 201009). La competenza per territorio non può essere determinata sulla base delle sopravvenute dichiarazioni rese nel dibattimento dall'imputato circa il luogo della commissione del reato; la legge processuale, infatti, stabilendo, art. 21, secondo comma, c.p.p., che l'incompetenza territoriale è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, al più tardi entro il termine di cui all'art. 491, primo comma, c.p.p. – cioè nella fase degli atti introduttivi al dibattimento, subito dopo la verifica, per la prima volta, della costituzione delle parti – ed inserendo la trattazione e decisione delle relative problematiche tra le “questioni preliminari”, ha chiaramente inteso vincolare le statuizioni sul punto allo stato degli atti, precludendo qualsiasi previa istruzione od allegazione di prove a sostegno della proposta eccezione; né, ponendo il predetto limite temporale alla rilevabilità od eccepibilità dell'incompetenza territoriale, la legge formula alcuna riserva per il caso che la necessità di proporre la questione sorga solo nel corso del dibattimento per l'emergenza di nuovi elementi (5230/1995, rv 203101). L'eccezione d'incompetenza per materia, segnatamente quando viene sollevata per la prima volta nel giudizio di legittimità, pur essendo di per sé ammissibile, in considerazione dei limiti propri del sindacato della Corte di Cassazione – preclusi di ogni accertamento di fatto – deve essere necessariamente fondata su elementi certi ed inequivocabili (9924/1995, rv 202537). L'incompetenza per materia può essere dedotta nel procedimento “de libertate”, sia in sede di riesame che di ricorso “per saltum” in Cassazione, solo quando emerga “ictu oculi”, cioè quando l'incompetenza allo stato degli atti sia chiaramente percepibile. Nella fase delle indagini preliminari infatti più che di reati deve parlarsi di “ipotesi di reato” ed occorre tener conto della fluidità della contestazione, che si concretizza in una imputazione solo al termine delle indagini. Quando perciò la complessità della materia oggetto di accertamenti non consente di ipotizzare una individuata e delimitata ipotesi, ma lascia facilmente prevedere la concorrenza di altri reati di competenza superiore, la competenza del tribunale non può essere esclusa (231/1996, rv 204565).

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All'indagato sottoposto ad una misura cautelare non è consentito denunciare l'incompetenza territoriale del giudice per le indagini preliminari; tale eccezione, infatti, non può essere proposta dalla parte nel corso delle indagini preliminari, ma soltanto nella fase processuale a norma dell'art. 21, secondo comma, c.p.p., cioè prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall'art. 491, primo comma, c.p.p. stesso (3441/1996, rv 205603). In tema di competenza territoriale, l'art. 21 c.p.p. stabilisce un preciso sbarramento temporale alla deducibilità della eccezione d'incompetenza, disponendo che essa deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall'art. 491 c.p.p. (questioni preliminari) (176/1997, rv 207286). Quando nell'ambito dello stesso ufficio giudiziario, un giudice si sostituisce arbitrariamente a quello designato per legge ad assumere un determinato provvedimento, si verifica una situazione sostanzialmente analoga a quella dell'incompetenza per materia, così che l'atto emesso dal giudice che non era funzionalmente competente è affetto da nullità insanabile ed assoluta, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo (11791/1997, rv 209069). In tema d'incompetenza per territorio, ove la parte abbia tempestivamente eccepito l'incompetenza in sede di udienza preliminare, respinta dal giudice, essa non ha l'onere di riproporre tale eccezione “in limine” al giudizio abbreviato successivamente instauratosi. Da un lato, infatti, la scelta del rito abbreviato non implica di per sé l'accettazione della competenza territoriale; dall'altro, la previsione dell'art. 21, comma secondo, c.p.p., per cui l'eccezione di incompetenza respinta nell'udienza preliminare deve essere riproposta a pena di decadenza entro il termine di cui all'art. 491, comma primo, c.p.p., si riferisce solo all'ipotesi in cui alla udienza preliminare segua il dibattimento e non anche il giudizio abbreviato (1168/1998, rv 211126). La sindacabilità, da parte del tribunale del riesame, della competenza territoriale del giudice che ha emesso una misura cautelare si esaurisce nella fase delle indagini preliminari, sicché, una volta chiusa tale fase, ogni questione concernente detta

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competenza resta preclusa dal sopravvenuto radicarsi della competenza del giudice che procede (3331/1998, rv 211307). La questione concernente l'incompetenza, ancorché per connessione, non può essere più eccepita o rilevata d'ufficio oltre il termine fissato dall'art. 491 c.p.p., neppure nel caso in cui la possibilità concreta di proporla o rilevarla sia sorta soltanto nel corso del dibattimento (5998/1998, rv 210990). La scelta del giudizio abbreviato non implica l'accettazione della competenza del giudice investito della richiesta, salve le preclusioni previste dalla legge in ordine alla eccepibilità della incompetenza (13624/1998, rv 213430). In materia di competenza, la relativa eccezione è deducibile anche nel procedimento incidentale “de libertate”, giacché la legittimità del provvedimento applicativo della misura cautelare implica anche il rispetto delle norme sulla competenza (2765/1999, rv 214174). Rientra nelle attribuzioni del tribunale del riesame verificare anche la competenza territoriale del G.I.P. che ha emesso il provvedimento applicativo della misura cautelare, giacché la legittimità di detto provvedimento implica anche il rispetto delle norme sulla competenza. Nel caso in cui queste ultime norme risultino violate, il tribunale, dichiarata l'incompetenza, deve trasmettere gli atti al giudice competente ai sensi dell'art. 27 c.p.p. (2787/1999, rv 214519). Il termine, oltre il quale le questioni concernenti la competenza per territorio sono precluse e non possono essere più rilevate, neppure di ufficio, è quello dell'avvenuto accertamento, per la prima volta, della costituzione delle parti, a norma dell'art. 491, comma primo, c.p.p., e non può essere superato neppure se i presupposti per proporre la questione siano emersi nel corso del dibattimento, salvo che la questione della competenza territoriale sia ancora aperta o il giudice non abbia osservato la norma che impone di decidere immediatamente su di essa (6485/1999, rv 212457). L'incompetenza per territorio non può essere eccepita né rilevata dopo il termine preclusivo costituito dall'accertamento per la prima volta della costituzione delle parti: e ciò anche se la possibilità concreta di proporla sia sorta successivamente nel corso del dibattimento (6559/1999, rv 213985).

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L'eccezione di incompetenza per territorio nei procedimenti riguardanti magistrati deve essere proposta entro la fase degli atti preliminari al giudizio, ai sensi dell'art. 21, comma 2, c.p.p., e non dopo che il giudizio sia stato incardinato e abbia avuto inizio, atteso che la verifica della preclusione alla sua proposizione, non riguardando la persona del giudice, bensì l'ufficio giudiziario e il suo collegamento con la cognizione del reato, va compiuta, per una ragionevole scelta del legislatore, “in limine iudicii” (4697/2002, rv 220794). Lo spostamento di sede del procedimento per dichiarazione di incompetenza comporta una nuova decorrenza dei termini di fase della custodia cautelare, in quanto si verte, pur sempre, in ipotesi di “rinvio ad altro giudice”, comunque idoneo, ex art. 303, comma secondo, c.p.p., anche se realizzato tecnicamente per il tramite del P.M., a determinare tale effetto (13007/2002, rv 223794). Le questioni di competenza per territorio non possono trovare ingresso nel procedimento incidentale di rimessione dinanzi alla Corte di Cassazione che, in tale sede, è unicamente investita del problema di sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per lo spostamento del processo ad altro giudice (13687/2003, rv 223634). La declaratoria di incompetenza territoriale nel corso del dibattimento di primo grado presuppone che la relativa questione sia stata tempestivamente sollevata nell'udienza preliminare, ove il procedimento (23907/2010). In materia cautelare, l'eccezione sull'incompetenza territoriale dell'autorità giudiziaria procedente può essere sollevata per la prima volta anche con il ricorso per cassazione, purchè il ricorrente adempia all'obbligo di specificità nella deduzione dei motivi e non fondi le sue lamentele su elementi di fatto mai introdotti dinanzi al giudice del merito ovvero sui quali sia necessario procedere a valutazioni o ad accertamenti comunque inammissibili nel giudizio di legittimità (25835/2010). L'eccezione di incompetenza territoriale è proponibile "in limine" al giudizio abbreviato non preceduto dall'udienza preliminare, mentre, qualora il rito alternativo venga instaurato nella stessa udienza, l'incidente di competenza può essere sollevato, sempre "in limine" a tale giudizio, solo se già proposto e rigettato in sede di udienza preliminare. (In motivazione la Corte ha precisato

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che, pur in assenza nel giudizio speciale di una fase dedicata alla soluzione delle questioni preliminari, l'eccezione può essere proposta in quella dedicata alla verifica della costituzione delle parti) (27996/2012). L'operatività dell'incompetenza determinata da connessione non è subordinata alla pendenza dei procedimenti connessi nello stesso stato e grado, essendo quello della competenza per connessione criterio originario ed autonomo di attribuzione della competenza (S.U. 27343/2013). In tema di misure cautelari personali, la sentenza dichiarativa della propria incompetenza territoriale, emessa dal giudice procedente, preclude l'esecuzione dell'ordinanza applicativa di una misura cautelare, non ancora divenuta definitiva, emessa dal tribunale della libertà in accoglimento dell'appello del pubblico ministero (12007/2014). Nel giudizio abbreviato di appello, è inammissibile l’eccezione di incompetenza per territorio proposta con l’impugnazione della sentenza di primo grado, qualora sollevata nel corso dell’udienza preliminare e non ripresentata, a seguito del rigetto, nel successivo giudizio abbreviato instaurato nel corso della stessa udienza preliminare (11054/2017).

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C.p.p. art. 21 Incompetenza COMMENTO La norma in commento disciplina la dimensione temporale della rilevabilità dei vizi procedimentali conseguenti alla violazione delle disposizioni che regolano, nei suoi diversi profili, la competenza dell'organo giudicante, stabilendo un regime di termini e di relative decadenze che risulta ancorato ad una precisa considerazione dell'importanza dei vari criteri di individuazione del giudice chiamato a pronunciarsi. Sotto questo aspetto occorre sottolineare come, riguardo alla incompetenza per materia, il legislatore, in via generale, delinei un meccanismo identico a quello previsto per il difetto di giurisdizione, stabilendo che il vizio in questione può essere rilevato, su eccezione di parte o d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, cioè, più precisamente, in qualunque momento della vicenda procedimentale anche anteriore all'esercizio dell'azione penale, non potendo, in questo caso, ritenersi vincolante la littera legis alla luce di quanto previsto dal successivo art. 23. Tuttavia la illimitata rilevabilità del vizio in questione è temperata da due importanti deroghe attinenti da un lato all'incompetenza per materia derivante da connessione, dall'altro all'ipotesi in cui un giudice conosca di un reato che appartiene alla competenza di un giudice inferiore (esempio). In tali fattispecie il vizio deve essere rilevato o eccepito entro il termine di cui all'art. 491 comma 1, cioè subito dopo che, in sede predibattimentale, siano stati compiuti gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti. Risulta, pertanto, evidente come il regime generale previsto dalla prima parte del comma 1 della norma in commento debba ritenersi operativo solo riguardo alle situazioni in cui un giudice di grado inferiore eserciti la funzione giurisdizionale relativamente a reati di competenza di un giudice di grado superiore, ipotesi, questa, ritenuta più grave dal legislatore e, per questo, meritevole di una regolamentazione che lasci sempre aperto uno spiraglio funzionale alla sua sanzione. Riguardo alla incompetenza per territorio, la norma predispone termini di decadenza la cui perentorietà è significativa dell'esigenza di una celere definizione del vizio in questione e dell'intento di evitare inopportune regressioni di un procedimento prossimo alla sua conclusione. Occorre sottolineare come la presenza o l'assenza dell'udienza preliminare comporti differenti scadenze finali che coincidono o con la conclusione dell'udienza medesima o con il compimento degli accertamenti di cui all'art. 491, comma 1, essendo comunque necessario che la questione sia proposta dinanzi ad un magistrato che eserciti funzioni giudicanti. Peraltro sempre nel secondo comma si prevede che l'eccezione respinta in sede di udienza preliminare possa essere riproposta nella fase predibattimentale in modo tale da permettere al giudice collegiale di valutare quanto deciso precedentemente dal giudice dell'udienza preliminare ed, eventualmente, di pronunciarsi in modo difforme sulla sussistenza o sull'insussistenza dell'incompetenza territoriale. Negli stessi limiti temporali deve essere rilevato o eccepito il vizio derivante dalla violazione delle norme sulla connessione tra procedimenti, la quale si riverberi

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in concreto nell'assegnazione della cognizione complessiva a un giudice incompetente per materia o per territorio.

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C.p.p. art. 22 Incompetenza dichiarata dal giudice per le indagini preliminari COMMENTO La Corte di cassazione annulla senza rinvio, in quanto adottata da giudice non legittimato e non ritualmente investito, l'ordinanza rinnovativa dell'applicazione di una misura cautelare pronunciata dal Tribunale di Bari su richiesta del locale ufficio del pubblico ministero, cui gli atti erano stati trasmessi dal pubblico ministero di Lecce, che a sua volta li aveva ricevuti, a seguito di sentenza d'incompetenza, dal G.I.P. del Tribunale di Roma.

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C.p.p. art. 22 Incompetenza dichiarata dal giudice per le indagini preliminari GIURISPRUDENZA L'art. 22 c.p.p. prevede al primo comma che nel corso delle indagini preliminari il giudice il quale riconosce la propria incompetenza per qualsiasi causa, pronuncia ordinanza declaratoria di tale incompetenza e dispone nel contempo la restituzione degli atti al pubblico ministero. Fra le cause, di qualsivoglia specie, che possono indurre il giudice a dichiarare la propria incompetenza per materia non può non essere compresa una diversa qualificazione giuridica del fatto che lo fa rientrare nella competenza di altro giudice (1534/1990, rv 185049). Nel corso delle indagini preliminari, il giudice nei casi in cui è richiesto e che costituiscono un numero chiuso, può dichiarare la propria incompetenza per qualsiasi causa con effetti limitati al provvedimento richiesto, restituendo gli atti al pubblico ministero senza preclusione di diversa valutazione della competenza in occasione di altre richieste. Tale provvedimento adottato incidentalmente e con cognizione limitata allo stato degli atti, assume la forma dell'ordinanza, mentre quello emesso dopo la chiusura delle indagini preliminari ed allorché è stata esercitata l'azione penale, e quindi con cognizione completa sull'attività svolta, assume la forma della sentenza con ordine di trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente. In questo secondo caso il giudice si spoglia del processo con provvedimento che può essere rimosso solo a seguito di proposizione di conflitto di competenza (781/1991, rv 189875). In tema di competenza, mentre l'art. 21, secondo comma, c.p.p., prevede la possibilità che possa essere eccepita l'incompetenza territoriale davanti al giudice per l'udienza preliminare, l'art. 22 c.p.p. attribuisce al solo giudice per le indagini preliminari la potestà di eventualmente riconoscere la propria incompetenza, sia per materia che per territorio. Ne deriva che l'imputato non può dedurre l'incompetenza territoriale nei confronti del giudice per le

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indagini preliminari né la decisione del predetto giudice può essere censurata in sede di legittimità (1639/1991, rv 187548). Le ordinanze con le quali il giudice per le indagini preliminari dichiara la propria incompetenza sono inoppugnabili (3477/1992, rv 192042). In tema di competenza, nella fase delle indagini preliminari l'art. 22 c.p.p. attribuisce al solo giudice delle indagini preliminari, preposto al controllo degli atti del P.M., il potere di riconoscere la propria incompetenza per territorio o per qualsiasi altra causa. L'esercizio di tale potere da parte di detto giudice è peraltro solo eventuale, in quanto di norma egli non è a conoscenza di tutti gli atti in possesso del P.M., bensì solo di quelli funzionali alle esigenze del provvedimento “de libertate” mentre la competenza per territorio necessita di essere accertata in base ad elementi oggettivi, desumibili con certezza da tutte le prove acquisite (436/1993, rv 193696). In caso di declaratoria d'incompetenza da parte del giudice dell'udienza preliminare, ai sensi dell'art. 22, comma terzo, c.p.p., con conseguente trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice ritenuto competente, il pubblico ministero così officiato non può a sua volta investire direttamente della competenza altro ufficio del pubblico ministero, costituito presso un terzo giudice, ma deve necessariamente investire della questione il proprio giudice per le indagini preliminari (1299/1996, rv 204221). Quando, a seguito del proscioglimento all'udienza preliminare per una parte delle contestazioni mosse, i reati per i quali deve essere disposto il rinvio a giudizio sono di competenza di un giudice inferiore, il G.I.P. presso il tribunale deve dichiarare con sentenza la propria incompetenza e ordinare la trasmissione degli atti al P.M. presso il giudice competente, secondo quando prescrive l'art. 22 c.p.p., ma l'ordinanza con la quale il G.I.P., errando, disponga direttamente il rinvio a giudizio degli imputati avanti al pretore, non è affetta da nullità, poiché, in regime di tassatività delle nullità, tale sanzione non è prevista dall'ordinamento. Tuttavia non può ritenersi a sua volta abnorme il provvedimento con il quale il pretore, rilevando l'irritualità dell'ordinanza del G.I.P. presso il tribunale ne dichiari la nullità e perciò deve essere dichiarato inammissibile il

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ricorso in Cassazione volto a far rilevare la assoluta anomalia del provvedimento (4705/1996, rv 206827). Qualora un giudice per le indagini preliminari, a fronte di una richiesta di provvedimento avanzata dal pubblico ministero, si dichiari incompetente e, successivamente, essendo stata rinnovata detta richiesta da parte del pubblico ministero presso il giudice indicato come competente, anche quest'ultimo dichiari la propria incompetenza, si verifica una situazione di stallo suscettibile di paralizzare – posta la ritenuta necessità ed irrinunciabilità del provvedimento richiesto – lo svolgimento ulteriore delle indagini preliminari. Tale situazione dà luogo, pertanto, ad un'ipotesi di conflitto non risolvibile se non mediante l'intervento della Corte di Cassazione (2828/1999, rv 213491). Il giudice per le indagini preliminari è giudice del singolo atto e non anche giudice del processo e, pertanto, è legittimato ad esprimere valutazioni sulla propria competenza soltanto limitatamente al provvedimento richiestogli. Ne consegue che, una volta che abbia provveduto, senza avere rilevato l'incompetenza, la sua potestà decisoria è esaurita, sicché non gli è consentito sollevare questioni di competenza con separata ordinanza (3731/2000, rv 216738). In materia cautelare, l'eccezione d'incompetenza territoriale dell'autorità giudiziaria procedente può essere sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione, a condizione che il ricorrente adempia all'obbligo di specificità nella deduzione dei motivi, il cui difetto è sanzionato a pena di inammissibilità. Peraltro, la Corte di legittimità può procedere alla relativa verifica, in assenza di preventiva deduzione della questione da parte dell'interessato davanti al giudice di merito, soltanto nei limiti della cognizione propria del procedimento di legittimità, ossia sulla base di quanto espressamente o anche implicitamente desumibile dalla motivazione dei provvedimenti impugnati. Ne deriva che la questione dell'incompetenza può essere dedotta ed esaminata soltanto sulla base di quanto emerge evidente dal capo di contestazione provvisoria o da specifiche risultanze acquisite agli atti del procedimento incidentale o da elementi desumibili, anche implicitamente, dal provvedimento impugnato. Mentre non è invece ammissibile la deduzione di pretesa incompetenza fondata su

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elementi di fatto mai introdotti nel procedimento davanti al giudice di merito o sui quali è comunque necessario procedere a valutazione e accertamento, essendo precluso al giudice di legittimità ogni accertamento sugli elementi di fatto della vicenda. (Nella specie, è stata dichiarata inammissibile la doglianza che, per come formulata, avrebbe presupposto dalla Corte di cassazione una ricostruzione di fatto sugli esiti di conversazioni telefoniche intercettate e sulle modalità di interessamento delle "celle" di telefonia mobile agganciate durante le operazioni monitorate) (25835/2010). È inoppugnabile, salvo che sia abnorme, l'ordinanza con la quale, nel corso delle indagini preliminari, il giudice, ai sensi dell'art. 22, comma 1, cod. proc. pen., riconosce la propria incompetenza e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero (S.U. 42030/2014). È inammissibile, in base al principio di tipicità dei mezzi di impugnazione, il ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero contro l’ordinanza di incompetenza emessa dal giudice per le indagini preliminari nel corso delle indagini preliminari (54016/2017).

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C.p.p. art. 22 Incompetenza dichiarata dal giudice per le indagini preliminari COMMENTO La disposizione in esame si occupa di disciplinare la declaratoria di incompetenza che intervenga nel corso delle indagini preliminari o in un momento successivo alla chiusura delle medesime fino alla celebrazione del dibattimento di primo grado. Prima di analizzare i possibili scenari che possono profilarsi in questo contesto, occorre sottolineare come la rubrica della norma, pur facendo esplicito ed esclusivo richiamo al giudice delle indagini preliminari, debba intendersi come comprensiva del riferimento anche alle funzioni del giudice dell'udienza preliminare, il quale è chiamato a pronunciarsi nella fase successiva alla chiusura delle indagini stesse. Laddove la questione relativa alla competenza insorga mentre sono ancora in corso di svolgimento le attività di investigazione, come può accadere, ad esempio, nel caso in cui il pubblico ministero richieda l'adozione di una misura cautelare personale, il magistrato giudicante che si ritenga incompetente deve adottare un'ordinanza con la quale, altresì, dispone la restituzione degli atti alla pubblica accusa. La forma del provvedimento evidentemente non è casuale, ma si giustifica in ragione del particolare stadio della vicenda processuale nel quale interviene: in altri termini il giudice, nel pronunciarsi, potrà tener conto esclusivamente di un panorama di elementi cognitivi alquanto limitato che non sarebbe idoneo a supportare la portata assai rilevante di un provvedimento che assuma i connotati della sentenza e che, ove adottato, dovrebbe ritenersi abnorme, ostandovi, peraltro, il mancato esercizio dell'azione penale (così Cassazione n. 1981 del 1998). Posto che la declaratoria in questione può radicarsi sulla sussistenza di uno qualunque dei vizi attinenti alla competenza, siano essi relativi, cioè, alla materia, al territorio o alla connessione tra procedimenti, la peculiare natura dell'ordinanza in cui essa si traduce rende ragione dei suoi effetti limitati al provvedimento richiesto, ai quali si riferisce espressamente il secondo comma. In altri termini, il legislatore assegna alla pronuncia un'efficacia tale da non precludere la possibilità che il medesimo giudice, nuovamente investito della stessa questione, si pronunci in modo differente, anche alla luce di ulteriori elementi emersi dalle indagini realizzate dal pubblico ministero destinatario della restituzione degli atti. Nell'ipotesi in cui l'incompetenza venga riscontrata in un momento successivo alla chiusura delle indagini preliminari, il giudice dell'udienza preliminare, sulla base di una piattaforma di fattori comprendente tutti gli esiti dell'attività investigativa e sulla scorta dei fatti storici in relazione ai quali è stata ormai esercitata l'azione penale, emetterà un provvedimento non più interlocutorio, bensì definitivo, cioè una sentenza nella quale individuerà altresì il giudice competente e disporrà il passaggio degli atti al pubblico ministero operante presso di esso. Pertanto la declaratoria di incompetenza contenuta nel provvedimento giurisdizionale non comporta alcun effetto regressivo rispetto all'avvenuta formulazione dell'imputazione, ma solo il

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passaggio del procedimento al cospetto dell'organo giurisdizionale “naturalmente” deputato a pronunciarsi (esempio).

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C.p.p. art. 23 Incompetenza dichiarata nel dibattimento di primo grado COMMENTO 1. Il Tribunale in composizione collegiale viene chiamato a pronunciarsi in ordine ad una fattispecie di omicidio preterintenzionale, per la quale è prevista la competenza della Corte d'assise. 2. La questione relativa all'incompetenza per territorio del giudice procedente deve essere proposta, in dibattimento, subito dopo l'accertamento della regolare costituzione delle parti.

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C.p.p. art. 23 Incompetenza dichiarata nel dibattimento di primo grado GIURISPRUDENZA Il legislatore del 1988, disponendo che a seguito della sentenza dichiarativa di incompetenza il giudice del dibattimento debba ordinare la trasmissione degli atti “al giudice competente”, e non già all'”autorità giudiziaria competente”, ha inteso sottolineare che il destinatario degli atti del processo è non già il pubblico ministero, ma è l'organo giurisdizionale stesso presso il quale deve continuare l'esercizio dell'azione penale già iniziata. Con la trasmissione degli atti ex art. 23, primo comma, c.p.p., si attua, cioè, una vera e propria “translatio iudicii”, il che significa che presso il giudice dichiarato competente non ha inizio un nuovo giudizio, ma continua quello già iniziato presso il giudice dichiaratosi incompetente, per cui non occorre alcun atto di promovimento dell'azione penale da parte del P.M. presso il giudice cui siano stati trasmessi gli atti, trattandosi non già di iniziare una nuova azione penale, diversa e sganciata da quella già esercitata presso il giudice che si è spogliato del processo, ma solo di continuare e portare a compimento un processo già radicatosi sia pure presso un giudice incompetente (9522/1992, rv 192249). A norma dell'art. 38 della legge 10 aprile 1951 n. 287, di riordinamento dei giudizi di Assise, quando nelle leggi di procedura penale si fa riferimento a giudice di competenza superiore o a giudice superiore, la Corte d'Assise si considera giudice di competenza superiore agli altri giudici di primo grado; l'art. 23 c.p.p. dispone che, se nel dibattimento di primo grado il giudice ritiene che il processo appartiene alla competenza di altro giudice, dichiara con sentenza la propria incompetenza e se il reato appartiene alla cognizione di un giudice di competenza inferiore, l'incompetenza è rilevata od eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dal primo comma del successivo art. 491 c.p.p. Dal combinato disposto di tali norme consegue l'inapplicabilità della preclusione, posta dall'art. 491 c.p.p., nella fase di giudizio che si

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sia svolta dinanzi al tribunale, essendo la Corte d'Assise giudice considerato superiore dall'art. 38 citato (10352/1993, rv 197897). L'incompetenza per territorio dichiarata dal giudice dibattimentale non ha alcuna incidenza sull'efficacia della misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari dal giudice ritenutosi all'epoca incompetente (803/1994, rv 196695). La dichiarazione di incompetenza del giudice del dibattimento, a seguito della quale, dopo la dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 23, comma primo, c.p.p., intervenuta con sentenza 11 marzo 1993 n. 76 della Corte Costituzionale, gli atti vanno trasmessi al P.M. presso il giudice competente, determina una regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, con la conseguenza che i termini di durata massima della custodia cautelare decorrono nuovamente dalla data di emissione della misura cautelare, disposta in sostituzione di quella, divenuta inefficace, adottata da giudice incompetente (1054/1994, rv 197514). Nel caso in cui l'incompetenza per territorio venga dichiarata dal tribunale con ordinanza, il fatto che gli atti siano stati trasmessi irritualmente all'ufficio del P.M. competente anziché a quelli del giudice, non determina alcuna nullità ed alcuna regressione del procedimento ad altra fase processuale poiché il giudice competente cui automaticamente spetta la cognizione degli atti è sufficientemente individuato nel provvedimento in questione e a quest'ultimo gli atti dovranno essere fatti pervenire (1416/1995, rv 201698). Poiché, ai fini della validità degli atti e provvedimenti del giudice, occorre aver riguardo alla loro sostanza ed agli effetti che essi sono idonei a produrre, in linea con la funzione pratica ad essi assegnata, esplicitamente o implicitamente, dal legislatore, deve escludersi che sia qualificabile come “abnorme” il provvedimento con il quale il giudice, ai sensi del combinato disposto degli artt. 23 e 521, comma secondo, c.p.p., abbia dichiarato la propria incompetenza adottando la forma dell'ordinanza anziché quella della sentenza (2253/1995, rv 201291). Attesa l'attribuzione al pubblico ministero, nel vigente sistema processuale, del ruolo di “dominus” esclusivo dell'azione penale, il giudice del dibattimento non può esercitare alcun sindacato

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preventivo sull'ammissibilità di contestazioni modificative (fatto diverso) o aggiuntive (fatto nuovo), effettuate ai sensi degli artt. 516 e 517 c.p.p. Ne consegue che, se a seguito di tali contestazioni si configuri un reato di competenza superiore – essendo il limite della competenza stabilito da detti articoli non per il pubblico ministero ma per il giudice, in funzione della possibilità o meno di quest'ultimo di conoscere anche dell'imputazione modificata o integrata – il giudice deve disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero, a norma dell'art. 521, comma terzo, c.p.p. ovvero dell'art. 23, comma primo, c.p.p. (come modificato a seguito della declaratoria di parziale legittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 76/1993 della Corte Costituzionale) (3063/1995, rv 202982). È manifestamente infondata, in relazione all'art. 112 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23 c.p.p., come novellato a seguito della sentenza n. 76 del 1993 della Corte Costituzionale, in quanto la regressione del procedimento in esso prevista è automatica, a seguito di dichiarazione d'incompetenza per materia, e il pubblico ministero investito per effetto di essa non può che limitarsi a fare una nuova richiesta di rinvio a giudizio, salva, ovviamente, la possibilità di successiva attività integrativa nei limiti previsti dall'art. 430 c.p.p. (1431/1996, rv 204025). In considerazione del principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione, è inammissibile il ricorso avverso la sentenza con la quale il giudice di primo grado, ai sensi dell'art. 23, comma primo, c.p.p., abbia dichiarato la propria incompetenza per qualsiasi causa ed abbia ordinato la trasmissione degli atti al giudice ritenuto competente (4367/1996, rv 203416). Deve considerarsi abnorme, e quindi immediatamente ricorribile per Cassazione, la pronuncia con la quale il giudice dichiara la propria incompetenza per materia e trasmette gli atti, in violazione dell'art. 23 c.p.p., all'organo giudiziario ritenuto competente anziché al pubblico ministero presso detto organo; tale decisione, infatti, si pone per il suo contenuto al di fuori dell'ordinamento processuale sia per quanto concerne la violazione dei diritti della difesa sia con riferimento all'esercizio dell'azione penale, la cui titolarità spetta esclusivamente al pubblico ministero presso il giudice competente a norma dell'art. 51 c.p.p. (5302/1997, rv 207136).

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Il provvedimento dispositivo del giudizio innanzi al giudice ritenuto competente (nel caso di incompetenza per territorio dichiarata ex art. 23 c.p.p.) in mancanza di rinnovata richiesta del decreto di citazione da parte del P.M. al G.U.P. competente, deve essere annullato trattandosi di atto introduttivo del giudizio da parte di un giudice funzionalmente incompetente e sussistendo il diritto degli imputati alla regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari. Tale principio è di immediata applicazione ai rapporti processuali non ancora esauriti al momento della pronuncia n. 70 del 1996 della Corte Costituzionale, intendendosi per tali, ove sussistano nullità rilevabili d'ufficio, quelli non ancora definiti con la formazione del giudicato (609/1998, rv 209815). Qualora, esercitata l'azione penale, il giudice innanzi al quale sia stato incardinato il giudizio dichiari la propria incompetenza territoriale, deve considerarsi preclusa al pubblico ministero presso il giudice competente, al quale gli atti siano stati trasmessi ai sensi del primo comma dell'art. 23 c.p.p. (come risultante dalla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale pronunciata con sentenza n. 76 del 1993), la possibilità di formulare la richiesta di archiviazione; le valutazioni del pubblico ministero che riceve gli atti, invero, non possono non essere vincolate in forza del principio di irretrattabilità dell'azione penale, dovendosi ritenere che l'esercizio dell'azione penale dia luogo di per sé solo al processo ancorché si ricolleghi all'iniziativa di un pubblico ministero incompetente ed alla richiesta di giudizio ad un giudice anch'esso incompetente, atteso che l'incompetenza non può spiegare alcun effetto sull'avvenuto promovimento dell'azione ma solo determinare, se ed in quanto rilevata, il trasferimento del processo presso il giudice competente (1787/1998, rv 210591). È legittimo e non abnorme il provvedimento con il quale il giudice, investito della cognizione del processo con sentenza dichiarativa d'incompetenza per territorio, trasmette gli atti al pubblico ministero competente, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 15 marzo 1996 n. 70, che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 23 c.p.p., nella parte in cui non prevede la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari (4125/1998, rv 211612).

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L'incompetenza per territorio non può essere eccepita né rilevata dopo il termine preclusivo costituito dall'accertamento per la prima volta della costituzione delle parti: e ciò anche se la possibilità concreta di proporla sia sorta successivamente nel corso del dibattimento (6559/1999, rv 213985). Allorché lo stesso fatto è diversamente qualificato da due giudici e da tale diversità conseguono competenze per materia differenziate, il conflitto positivo di competenza va risolto in favore del giudice che ha competenza per materia più ampia, potendo quest'ultimo dare al fatto stesso una diversa e meno grave definizione giuridica e decidere, mentre l'opposto non è consentito al giudice che ha competenza per materia più limitata (11470/2002, rv 223865). La possibilità, prevista dall'art. 23, comma 1, c.p.p., per il giudice del dibattimento di dichiarare l'incompetenza per qualsiasi causa non costituisce deroga al principio stabilito dall'art. 21, comma 2, c.p.p., secondo cui, quando si tratti di incompetenza per territorio, la stessa può essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, solo prima della conclusione dell'udienza preliminare ovvero, ove questa manchi, entro il termine previsto dall'art. 491, comma 1 (23907/2010). La Corte di assise può rilevare l'incompetenza per materia per ragioni di connessione anche se la relativa eccezione non sia mai stata sollevata dalle parti nel corso dell'udienza preliminare (40879/2012). In tema di misure cautelari personali, la sentenza dichiarativa della propria incompetenza territoriale, emessa dal giudice procedente, preclude l'esecuzione dell'ordinanza applicativa di una misura cautelare, non ancora divenuta definitiva, emessa dal tribunale della libertà in accoglimento dell'appello del pubblico ministero (12007/2014).

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C.p.p. art. 23 Incompetenza dichiarata nel dibattimento di primo grado COMMENTO La norma in commento può essere colta in tutta la sua effettiva portata solo alla luce della considerazione sistematica di quanto in essa previsto e di quanto sancito dalle disposizioni precedentemente esaminate [21]. Infatti il primo comma, nel disciplinare i profili della declaratoria di incompetenza emanata dal giudice del dibattimento, fa letteralmente riferimento a qualsiasi tipologia di vizio, lasciando apparentemente intendere che in tale fase processuale potrebbe essere rilevata qualsiasi violazione delle norme sulla competenza. In realtà se si tiene presente quanto rilevato in ordine al contenuto dell'art. 21 e quanto prescritto dal secondo comma della norma in commento, risulta agevole leggere il dettato normativo del primo comma come riguardante, in modo esclusivo, la fattispecie in cui il giudice si accorga che la competenza a conoscere del reato in questione appartiene ad un organo giudicante di grado superiore (esempio n. 1). Solo questa ipotesi di incompetenza per materia può essere rilevata in qualsiasi momento del dibattimento di primo grado, così come in qualunque altro stato e grado del processo, mentre per tutte le altre figure patologiche (incompetenza per materia per eccesso prevista nel secondo comma, incompetenza per territorio e incompetenza per connessione) sono previsti termini perentori di proponibilità che non vanno oltre la fase predibattimentale (esempio n. 2). Pertanto, posto che il difetto di competenza può evidenziarsi tanto riguardo ai fatti oggetto di imputazione nella loro configurazione originaria quanto in relazione ai diversi connotati che essi assumono a seguito o di nuove contestazioni [516, 517, 518] o di una loro diversa qualificazione giuridica [521], la valutazione dell'organo giudicante comporta l'emanazione di una sentenza con la quale viene disposta la trasmissione degli atti al giudice competente. In realtà dopo gli interventi della Corte costituzionale, la quale ha ravvisato nell'operatività di tale meccanismo di trasmissione degli atti potenziali lesioni del diritto di difesa dell'imputato e del principio della precostituzione del giudice naturale, la lettera della norma deve essere interpretata nel senso che soggetto deputato a ricevere gli atti è il pubblico ministero operante presso l'ufficio giudiziario competente, determinandosi, in questo modo, una regressione del procedimento.

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C.p.p. art. 24 Decisioni del giudice di appello sulla competenza GIURISPRUDENZA È inammissibile il ricorso per Cassazione avverso la sentenza con la quale il giudice d'appello abbia annullato, ai sensi dell'art. 24 c.p.p., la sentenza appellata per la riconosciuta incompetenza del primo giudice (3768/1996, rv 205510). La norma di cui all'art. 597 comma 3 c.p.p., che dispone il divieto per il giudice d'appello di reformatio in peius, deve essere coordinata con quella dell'art. 24 c.p.p., secondo cui il giudice d'appello deve pronunciare sentenza di annullamento ed ordinare la trasmissione degli atti al p.m. presso il competente giudice di primo grado quando riconosce l'incompetenza per materia di quello che emise la sentenza impugnata. Ne consegue che quando il giudice d'appello attribuisce al fatto una qualificazione giuridica diversa, non esorbitante però dalla competenza per materia del giudice di primo grado, trattiene il procedimento e decide su di esso; viceversa se il giudice d'appello riconosce il fatto come estraneo e superiore alla competenza per materia del primo giudice, non può trattenere il procedimento e decidere, ma deve annullare la sentenza impugnata ed emettere i consequenziali provvedimenti di cui all'art. 24 c.p.p. (2828/1999).

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C.p.p. art. 24 Decisioni del giudice di appello sulla competenza COMMENTO La norma in commento delinea il quadro dei provvedimenti che possono essere adottati dal giudice d'appello laddove esso sia chiamato a pronunciarsi in merito alla ricorrenza di un difetto di competenza da parte dell'organo giudicante in primo grado, cioè l'annullamento della sentenza impugnata, con conseguente regressione del procedimento, e la pronuncia diretta sul merito dei fatti oggetto di imputazione. Il richiamo esplicito alla previsione contenuta nel primo comma dell'art. 23 permette di individuare con precisione una delle tipologie di incompetenza che possono dar luogo all'annullamento della pronuncia impugnata, cioè l'incompetenza per materia per difetto riscontrabile laddove il giudice di primo grado abbia esercitato la cognizione in relazione a reati di competenza di un giudice di grado superiore. Tale vizio, peraltro, può essersi realizzato nel precedente “segmento procedimentale” sia con riguardo alla originaria formulazione dell'imputazione sia a seguito di una diversa qualificazione giuridica dei fatti da parte del giudice di secondo grado, il quale abbia riscontrato e corretto l'erronea attribuzione, in quella sede, del nomen iuris alla fattispecie criminosa in relazione al quale era conseguentemente avvenuta l'individuazione del giudice competente. L'eliminazione della sentenza di primo grado, inoltre, può aver luogo nelle ulteriori ipotesi di incompetenza per territorio e per connessione che siano state tempestivamente eccepite nei termini previsti dall'articolo 21 e riproposte nei motivi di impugnazione. Laddove non sussistano i presupposti della tempestività dell'eccezione e della sua riproposizione nei motivi di appello in relazione alle suddette figure patologiche, oppure si versi nell'ulteriore fattispecie di incompetenza per materia per eccesso (un giudice di grado superiore si è pronunciato su fatti-reato attribuiti alla competenza di un organo di grado inferiore), il legislatore non prevede l'annullamento della pronuncia e il rinvio degli atti, bensì la sentenza di merito da parte del giudice del gravame, nella prospettiva di favorire la celere definizione dell'intera vicenda processuale. Occorre, infine, sottolineare come anche questa disposizione sia stata oggetto della censura da parte del “giudice delle leggi” nella parte in cui prevede la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero che opera presso tale ufficio giudiziario.

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C.p.p. art. 25 Effetti delle decisioni della Corte di cassazione sulla giurisdizione e sulla competenza COMMENTO Risolvendo un conflitto di competenza, la Corte di Cassazione statuisce che Giuseppe, imputato per il delitto di lesioni personali dalle quali sia derivata per la vittima una malattia di durata inferiore ai venti giorni, deve essere processato davanti al giudice di pace. Nel corso dell'istruttoria emerge che, in realtà, gli atti posti in essere dall'agente hanno determinato l'indebolimento permanente di un organo della vittima. In questo caso, nonostante la pronuncia del giudice di legittimità, la competenza a definire la regiudicanda viene a radicarsi in capo al Tribunale in composizione monocratica.

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C.p.p. art. 25 Effetti delle decisioni della Corte di cassazione sulla giurisdizione e sulla competenza GIURISPRUDENZA La sentenza di incompetenza, quantunque non possa – a differenza di quanto accadeva nel codice di procedura penale del 1930 – essere annullata resta implicitamente caducata per effetto della decisione definitiva della Corte di Cassazione, vincolante sulla competenza ai sensi dell'art. 25 in relazione all'art. 32, comma terzo, c.p.p. (4629/1994, rv 199765). La decisione della Corte di Cassazione in materia di competenza per territorio resta ferma per tutte le fasi successive del giudizio, anche nel caso che venga meno la connessione tra reati ravvisata nella fase delle indagini preliminari (4669/1994, rv 199772). La dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma – nella specie, l'art. 593 c.p.p. – astrattamente incidente sulla competenza non è fatto idoneo a determinare la modifica della decisione assunta, in sede di annullamento con rinvio, dalla Corte di cassazione circa la competenza (42893/2009). La decisione della Corte di cassazione sulla giurisdizione è vincolante nel corso del processo, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 627 e 25 cod. proc. pen., salvo che risultino “nuovi fatti” - da intendersi solo quali accadimenti storici e non anche situazioni o qualificazioni giuridiche o mere valutazioni - che comportino una diversa definizione giuridica da cui derivi la modificazione della giurisdizione (14709/2018).

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C.p.p. art. 25 Effetti delle decisioni della Corte di cassazione sulla giurisdizione e sulla competenza COMMENTO L'articolo in commento delinea in modo esplicito l'efficacia di eventuali pronunce della Cassazione su questioni attinenti alla giurisdizione e alla competenza che vengano in rilievo al suo cospetto, senza, peraltro, indicare con altrettanta precisione le diverse fattispecie procedimentali che possono dar luogo a pronunciamenti in sede di legittimità. Alla luce del dettato normativo complessivamente considerato si ritiene che tra le ipotesi in questione debbano annoverarsi i provvedimenti adottati in sede di risoluzione dei conflitti di giurisdizione e di competenza, in virtù dell'esplicito richiamo contenuto nell'art. 32, la sentenza che rilevi il difetto di giurisdizione [20] o l'incompetenza per materia per difetto [21], trattandosi di patologie censurabili in ogni stato e grado del processo, e le sentenze che annullano le statuizioni del giudice d'appello il quale abbia ingiustificatamente respinto le doglianze, ritualmente proposte in secondo grado, relative a situazioni di incompetenza per territorio e per connessione. La pronuncia della Cassazione, nelle suddette ipotesi, ha efficacia vincolante nel contesto processuale, nel senso che essa è definitivamente attributiva della giurisdizione o della competenza, non potendo più, tali questioni, essere oggetto di discussione al cospetto del giudice del rinvio. Tale regola subisce una deroga importante laddove, nella fase del rinvio, emergano fatti nuovi che siano in grado di modificare la giurisdizione o di radicare la competenza in capo ad un giudice superiore. Si tratta, evidentemente, di elementi storici che, venuti a galla in sede di istruzione dibattimentale (giudizio di rinvio in primo grado) o di rinnovazione istruttoria (giudizio di rinvio in appello) perché sopravvenuti o, se già esistenti, non conosciuti e valutati, importano una necessaria modifica del nomen iuris della fattispecie oggetto di accertamento la quale sia idonea a determinare il superamento della statuizione contenuta nella pronuncia del giudice di legittimità in punto di radicamento della competenza a conoscere e a giudicare i fatti processuali (esempio).

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C.p.p. art. 26 Prove acquisite dal giudice incompetente GIURISPRUDENZA Il vigente codice di procedura penale, in tema di validità di atti posti in essere da giudice incompetente, sancisce, agli artt. 26 e 27 c.p.p., il principio della loro conservazione. L'ordinanza di custodia cautelare in carcere dell'indagato emessa da giudice che, pur essendo incompetente, non dichiara contestualmente o successivamente la propria incompetenza, è valida ed efficace (3011/1992, rv 191954). In tema di reati ministeriali, la violazione del divieto, per il procuratore della Repubblica, ai sensi dell'art. 6, comma secondo, della legge costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1, di compiere indagini prima della trasmissione delle proprie richieste, con i relativi atti, al collegio di cui all'art. 7 della citata legge costituzionale non comporta l'inutilizzabilità, ai sensi dell'art. 191 c.p.p., in sede cautelare, degli elementi acquisiti; e ciò in forza dell'espressa deroga al principio dell'inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite prevista dall'art. 26 c.p.p. per il caso in cui tale illegittimità derivi dall'inosservanza delle norme sulla competenza per materia (assimilabile a quella per funzione) e le prove siano ripetibili ed utilizzate soltanto nella fase precedente il giudizio (14/1994, rv 198216).

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C.p.p. art. 26 Prove acquisite dal giudice incompetente COMMENTO La disposizione in commento si occupa dei diversi profili attinenti all'efficacia delle prove acquisite dal giudice incompetente, senza, peraltro, prevedere una regolamentazione analoga in relazione alla sorte di tutti quegli elementi istruttori che siano emersi al cospetto di un organo privo di giurisdizione. Pertanto, accertato che la norma qui analizzata non vale per le fattispecie di difetto di giurisdizione, ricorrendo le quali si verifica un conseguente azzeramento di tutta l'attività processuale compiuta, l'inosservanza delle disposizioni sulla competenza non preclude la concreta operatività del generale principio di conservazione degli atti, il quale, in questa sede specifica, si traduce nella salvaguardia delle prove, tipiche o atipiche, già acquisite e degli esiti istruttori cui si è pervenuti mediante il ricorso ai mezzi di ricerca della prova (sul punto vedi Cassazione n. 4714 del 1997). Occorre sottolineare come il legislatore, riferendosi all'efficacia dei suddetti elementi, non si pronunci in alcun modo sulla loro validità o utilizzabilità ai fini della decisione, trattandosi di profili riguardo ai quali non incidono affatto, in negativo o in via di sanatoria delle eventuali patologie, né il difetto di competenza né il successivo spostamento della vicenda processuale innanzi al giudice competente. Il secondo comma contiene, tuttavia, una deroga al principio di conservazione, prevedendo che le dichiarazioni regolarmente rese al giudice incompetente da parti private, testimoni, periti e consulenti tecnici, laddove siano ripetibili, hanno una utilizzabilità circoscritta a quanto deve essere compiuto in sede di udienza preliminare e alla contestazione delle dichiarazioni rese dai medesimi soggetti in sede dibattimentale. Occorre precisare come la norma in questione si riferisca alla sola incompetenza per materia, senza, peraltro, distinguere tra le diverse ipotesi di incompetenza per eccesso e per difetto, trattandosi di una patologia procedimentale ritenuta dal legislatore più grave di quelle per territorio e per connessione, per questo in grado di precludere l'indiscriminata utilizzabilità di dichiarazioni che siano state comunque acquisite nel contraddittorio tra le parti.

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C.p.p. art. 27 Misure cautelari disposte dal giudice incompetente COMMENTO È il caso del G.I.P., richiesto dal P.M. nel corso delle indagini preliminari e fuori dei casi di cui all'art. 22, primo comma, che dichiara la propria incompetenza ai sensi di tale disposizione, con ordinanza e rimettendo gli atti allo stesso P.M. Su tale determinazione la Cassazione può non ravvisare gli estremi di quella declaratoria definitiva di competenza di cui all'art. 22, terzo comma, cui conseguono gli effetti di cui all'articolo in argomento in ordine alle misure cautelari adottate da giudice incompetente, ma che ritiene risolversi, nella sua sostanza, per la volontà in essa espressa, in una mera nota di trasmissione degli atti al P.M. in sede. Supponiamo che il provvedimento impugnato avesse ritenuto la superfluità del secondo interrogatorio anche perché il secondo provvedimento di custodia cautelare era stato emesso nei termini di cui all'articolo in commento ed era quindi collegato a provvedimento già disposto da giudice dichiaratosi incompetente. In tale ipotesi la Cassazione può ritenere efficace il primo provvedimento in assenza di declaratoria di incompetenza secondo la disciplina normativa in argomento. In effetti il problema comunque non muta a seconda che il successivo provvedimento possa o non possa collegarsi al primo. Infatti, anche nel primo caso la comminatoria di perdita di efficacia della misura adottata da giudice incompetente, non assolve date condizioni, attiene solo al suo profilo funzionale, non alla sua validità ed autonomia, mentre il nuovo provvedimento non revoca il procedente ma si congiunge ad esso con una propria autonomia.

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C.p.p. art. 27 Misure cautelari disposte dal giudice incompetente GIURISPRUDENZA Se il giudice per le indagini preliminari, non competente per territorio, ha interrogato il fermato in sede di convalida del fermo a norma dell'art. 391, terzo comma, c.p.p. ed ha successivamente disposto la custodia cautelare in carcere, l'interrogatorio non deve essere ripetuto dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale competente, che, su richiesta del pubblico ministero, abbia rinnovato l'ordinanza di custodia cautelare, sempre che siano rimaste immutate le circostanze di fatto poste a base della prima ordinanza. In tal caso, l'omesso interrogatorio non determina l'estinzione della custodia cautelare a norma dell'art. 302, primo comma, c.p.p. (685/1992, rv 190174). In caso di trasmissione degli atti di un procedimento in fase di indagini preliminari da un ufficio del pubblico ministero a un altro, per competenza territoriale, non trova applicazione il disposto dell'art. 27 c.p.p. che impone, a pena di caducazione, la rinnovazione dell'ordinanza applicativa di custodia cautelare solo quando si tratti di incompetenza dichiarata dal giudice. Tuttavia, ove detta rinnovazione abbia ugualmente luogo, su richiesta avanzata dal pubblico ministero che ha riceduto gli atti al proprio G.I.P., non è per questo configurabile alcuna nullità (1529/1992, rv 190831). In caso di rinnovazione, ai sensi dell'art. 27 c.p.p., di ordinanza applicativa di misura cautelare emessa da giudice dichiaratosi incompetente, è da escludere (avuto riguardo al fatto che il citato art. 27 c.p.p. richiama l'art. 292 c.p.p., ma non l'art. 294 c.p.p.), la necessità di procedere anche a nuovo interrogatorio (1529/1992, rv 190832). L'art. 27 c.p.p. prescrive al giudice competente cui gli atti siano stati trasmessi da parte del giudice che, adottata la misura cautelare, si sia dichiarato incompetente per qualsiasi causa, di adottare una nuova ordinanza di custodia cautelare, derivandone, in caso contrario, la perdita di efficacia della misura disposta dal giudice

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dichiaratosi incompetente. Non impone, però, al giudice competente, una volta adottata la nuova misura, di procedere all'interrogatorio della persona “in vinculis”, pena l'inefficacia della misura da lui adottata, purché ovviamente, il giudice dichiaratosi incompetente abbia proceduto ad assumere l'interrogatorio di garanzia di cui all'art. 294 c.p.p. sia perché la decorrenza del termine ai fini della perenzione della misura, è fissata dall'art. 302 c.p.p. nell'inizio dell'esecuzione della custodia sia perché, altrimenti, il detto termine risulterebbe comunque incompatibile con la disciplina scaturente dal combinato disposto dagli artt. 27 e 292 c.p.p., secondo cui il giudice competente adotta il provvedimento di custodia cautelare entro venti giorni dall'ordinanza di trasmissione degli atti da parte del giudice incompetente (2744/1992, rv 192012). Il vigente codice di procedura penale, in tema di validità di atti posti in essere da giudice incompetente, sancisce, agli artt. 26 e 27 c.p.p., il principio della loro conservazione. L'ordinanza di custodia cautelare in carcere dell'indagato emessa da giudice che, pur essendo incompetente, non dichiara contestualmente o successivamente la propria incompetenza, è valida ed efficace (3011/1992, rv 191954). La decisione sulla competenza adottata dalla Corte di Cassazione che l'abbia riconosciuta in capo a giudice diverso da quello che ha disposto la misura cautelare personale, non implica l'annullamento del titolo della misura stessa, in quanto la sua caducazione non è automatica nel caso della declaratoria di incompetenza di quest'ultimo giudice e di trasmissione degli atti al giudice competente (3166/1992, rv 191758). L'art. 27 c.p.p., a proposito della misura cautelare disposta dal giudice incompetente, fa testuale riferimento al “giudice che si dichiara incompetente”, così postulando l'identità fra l'organo giudiziario da cui promana la dichiarazione di incompetenza per qualsiasi causa, con cessazione di effetto della misura se, entro venti giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti, il giudice competente non provvede a norma degli artt. 292, 317 e 321 c.p.p. (4010/1992, rv 189423). L'ordinanza di trasmissione degli atti dalla quale l'art. 27 c.p.p. fa decorrere il termine di venti giorni per la rinnovazione della misura cautelare da parte del giudice dichiarato competente, è

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provvedimento accessorio della sentenza di incompetenza; conseguentemente, è dal momento in cui l'una e l'altra sono complete di ogni elemento e sono suscettibili di essere portate a conoscenza del giudice dichiarato competente nella loro interezza – anche per eventuale denuncia di conflitto – che va computata la decorrenza di detto termine (850/1993, rv 194188). Ai sensi dell'art. 27 c.p.p. (in tema di misure cautelari disposte dal giudice incompetente) la necessità di una nuova misura non può riguardare i casi in cui l'incompetenza è dichiarata successivamente o in fasi diverse da quelle delle indagini preliminari (2055/1993, rv 195283). L'ordinanza custodiale adottata in violazione delle regole sulla competenza per materia, è nulla soltanto quando la detta violazione evidenzi una difformità tra fattispecie legale e fattispecie reale rilevabile “ictu oculi” (2667/1993, rv 196601). Anche quando la misura cautelare sia stata applicata da giudice incompetente e gli atti siano stati tempestivamente trasmessi all'ufficio del P.M. presso il giudice competente, la decisione sull'istanza di riesame spetta al tribunale nel cui circondario ha sede l'ufficio del primo giudice, in quanto l'art. 309, comma settimo, c.p.p., fornisce un'indicazione indeclinabile di competenza, non derogabile neppure ove si tratti di ordinanza custodiale emessa a norma dell'art. 27 c.p.p., non disponendo la norma eccezione alcuna al criterio enunciato (4555/1993, rv 195582). Costituisce eccezione al principio generale della conservazione degli atti la previsione dell'art. 27 c.p.p., per il quale i provvedimenti cautelari, emessi da un giudice, contestualmente o successivamente dichiaratosi incompetente, divengano inefficaci qualora il giudice non provveda a rinnovarli. Ciò non può estendersi – proprio in forza dell'anzidetto principio generale, fissato dall'art. 26 dello stesso codice – all'interrogatorio di cui all'art. 294 c.p.p. per cui questo conserva piena efficacia, anche se effettuato da un giudice dichiaratosi incompetente (4612/1993, rv 194496). L'incompetenza per territorio dichiarata dal giudice del dibattimento non ha alcuna incidenza sulla efficacia della misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari dal giudice all'epoca ritenutosi competente (4682/1993, rv 192802).

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La provvisoria efficacia, ai sensi dell'art. 27 c.p.p., dell'ordinanza applicativa di misura cautelare emessa da giudice incompetente, va riconosciuta anche nel caso in cui trattasi di incompetenza funzionale e questa sia dichiarata non dallo stesso giudice ma dalla Corte di Cassazione a seguito di ricorso “per saltum” proposto avverso la suddetta ordinanza; e ciò in quanto è soltanto l'incompetenza, come tale, a giustificare la provvisoria ultrattività del provvedimento impositivo della misura cautelare, quale che sia la fase del procedimento nella quale tale incompetenza sia riconosciuta e dichiarata (14/1994, rv 198217). La sfera di applicabilità dell'art. 27 c.p.p. resta delimitata alla fase delle indagini preliminari (803/1994, rv 196696). Il provvedimento di custodia cautelare disposto dal G.I.P. che contestualmente si dichiari incompetente risulta a tutti gli effetti sostituito dall'ordinanza di custodia cautelare pronunciata dal G.I.P. competente tempestivamente entro i 20 giorni di cui all'art. 27 c.p.p. Pertanto la decisione del tribunale del riesame avente ad oggetto la pregressa ordinanza del G.I.P. – incompetente – non presenta alcuna incidenza sullo “status libertatis” dell'indagato che trova ormai la propria regolamentazione nei provvedimenti pronunciati dai giudici competenti (1379/1994, rv 197437). Nel procedimento incidentale riguardante il riesame delle misure cautelari la questione di incompetenza territoriale non può avere ingresso non solo perché ultronea non importando la nullità del provvedimento impugnato, ma perché sarebbe, l'eventuale pronuncia, in contraddizione con il principio della conservazione dell'efficacia della misura non potendo detta ipotesi farsi rientrare nella previsione dell'art. 27 c.p.p., limitata solo al giudice che abbia applicato la misura stessa. D'altra parte, la relativa questione – senza pregiudizio del diritto della difesa – può formare oggetto di “verifica interna” al procedimento principale (2379/1994, rv 199137). Qualora il G.I.P., prima di dichiarare la propria incompetenza per territorio, abbia interrogato l'indagato sottoposto a misure coercitive, ex art. 294 c.p.p., il G.I.P. competente è tenuto solo a pronunciare una nuova ordinanza impositiva ma non anche a procedere ad un nuovo interrogatorio (2744/1994, rv 199083).

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L'inefficacia della misura coercitiva disposta dal giudice dichiaratosi incompetente è la sola conseguenza che la legge fa discendere dall'inutile decorso del termine di venti giorni di cui all'art. 27 c.p.p., ma tale inefficacia non impedisce al giudice competente per il procedimento di provvedere successivamente in modo autonomo all'applicazione della misura coercitiva sulla base degli stessi elementi. Inoltre, nel caso in cui il giudice competente ometta di disporre la liberazione in riferimento alla misura divenuta inefficace, tale omissione incide esclusivamente sulla legittimità della custodia cautelare nel tempo eventualmente intercorrente tra la cessazione dell'inefficacia dell'originaria misura coercitiva e la nuova, ma non influisce sulla legittimità dell'ordinanza con cui è stata applicata la nuova misura (3053/1994, rv 196373). Le ordinanze dispositive in materia cautelare personale, nonché quelle che decidono sull'istanza di riesame sono provvedimenti emessi allo stato degli atti, rispetto ai quali è del tutto ultronea la risoluzione della questione di competenza territoriale. L'eventuale incompetenza, infatti, non si traduce nella nullità del provvedimento, posto che essa incide soltanto, ed entro i termini indicati dall'art. 27 c.p.p., sull'efficacia della misura, sempre che sia lo stesso giudice che ha emesso il provvedimento a dichiararsi incompetente. Ne consegue che nel procedimento incidentale di riesame la questione d'incompetenza, non può avere ingresso, sia perché irrilevante, sia perché l'eventuale pronuncia d'incompetenza sarebbe contraddittoria con il principio di conservazione di efficacia della misura (3409/1994, rv 199586). In caso di emissione di nuova ordinanza di custodia cautelare da parte di giudice ritenutosi successivamente competente, non ne è dovuta la notifica o consegna all'interessato, prevista dall'art. 293 c.p.p., in quanto l'art. 27 c.p.p., nel prevedere gli adempimenti cui deve assolvere il giudice competente, richiama solo quelli previsti dagli artt. 292, 317 e 321 c.p.p., e non anche quelli previsti dall'art. 293 c.p.p. (4663/1994, rv 199770). La nullità del provvedimento di custodia cautelare, dovuta alla sua emissione da parte di giudice funzionalmente incompetente non ne determina l'inefficacia immediata, neanche se l'incompetenza venga dichiarata dalla Cassazione in sede di ricorso avverso ordinanza del tribunale del riesame (4679/1994, rv 199669).

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La trasmissione degli atti da parte del P.M. presso un giudice al P.M. presso altro giudice non infirma la validità della misura cautelare già disposta, né vi è necessità che ad essa si sovrappongono nuovi provvedimenti, perché manca una declaratoria di incompetenza del giudice, cosicché non può ritenersi verificata l'ipotesi di cui all'art. 27 c.p.p. con la caducazione automatica della misura cautelare, non reiterata dal giudice competente nel termine di legge (5367/1994, rv 196103). In tema di rimessione del processo, con riferimento alle misure cautelari adottate nel corso delle indagini preliminari, non trova applicazione l'art. 27 c.p.p. (1402/1995, rv 201836). È ammissibile il rimedio del riesame avverso il provvedimento con il quale il giudice competente dispone in tema di misure cautelari, ai sensi dell'art. 27 c.p.p., dopo che analogo rimedio è stato esperito, con esito negativo, avverso l'ordinanza genetica della misura emessa da altro giudice, dichiaratosi o dichiarato incompetente (2016/1995, rv 202843). Il provvedimento col quale il giudice competente rinnova la misura cautelare disposta da giudice dichiaratosi incompetente è soggetto a riesame: invero tale provvedimento non si traduce in semplice ripetizione di quello a suo tempo adottato, ma costituisce decisione “ex novo” che va emessa nel pieno rispetto dell'art. 292 c.p.p. e che comporta una autonoma valutazione circa il sussistere di tutti i presupposti di legge anche quando recepisce pedissequamente il contenuto del provvedimento emesso dal giudice incompetente (3424/1995, rv 203323). La pronuncia di incompetenza, da parte del giudice dell'impugnazione avverso provvedimenti cautelari determina, al pari della declaratoria di incompetenza del giudice che aveva disposto la misura cautelare, l'inefficacia differita, ex art. 27 c.p.p., della misura cautelare stessa (1/1996, rv 204164). Quando l'incompetenza del giudice che ha disposto l'applicazione di una misura cautelare non sia originaria, ma derivi dalla sopravvenuta creazione di un nuovo ufficio giudiziario, al quale gli atti vengano quindi trasmessi, non trova applicazione il disposto di cui all'art. 27 c.p.p., secondo il quale il giudice competente deve, a pena di caducazione della misura, provvedere

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all'adozione di un nuovo provvedimento che la disponga (1227/1996, rv 204194). È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27 c.p.p. – per la parte in cui non prevede che il giudice competente nell'emettere nuovo provvedimento cautelare personale non debba sentire il difensore del soggetto da sottoporre alla misura – in relazione all'art. 24 della Costituzione. La mancata previsione del contraddittorio risulta invero contemperata dalla garanzia introdotta in favore dell'imputato della validità molto limitata del provvedimento del giudice incompetente e nella sollecita imposta riconsiderazione del caso da parte di quello competente. D'altro canto non va sottovalutato che a seguito del nuovo provvedimento la difesa può avvalersi di tutti i mezzi di tutela previsti in materia cautelare, quand'anche si siano già avuti pronunciamenti sul principio (3994/1996, rv 204145). Il termine di venti giorni entro il quale il giudice competente può riemettere la misura dopo la dichiarazione di incompetenza di un altro ufficio decorre tassativamente ed esclusivamente dal momento in cui il giudice dichiara formalmente, con ordinanza (o con sentenza), la propria incompetenza e non può essere computato da quello, anteriore ed eventuale, in cui lo stesso giudice riconosca sia pure esplicitamente di non essere competente (936/1997, rv 208205). Qualora il luogo dell'arresto in flagranza o del fermo sia diverso da quello della consumazione del reato, il giudice competente per la convalida in relazione al luogo dell'esecuzione dell'atto coercitivo da parte della Polizia giudiziaria ben può applicare, qualora il pubblico ministero ne abbia fatto richiesta, anche una misura cautelare, in ordine alla quale resta comunque esclusa l'operatività dell'art. 27 c.p.p., che attribuisce efficacia interinale alle misure disposte da giudice incompetente; non si verte infatti, in tale ipotesi, in un caso di intervento surrogatorio in via d'urgenza, quanto piuttosto in un caso di esercizio del potere giurisdizionale da parte di organo dotato di una propria competenza funzionale derogatoria, individuata dall'art. 390 c.p.p. (1286/1997, rv 208751). Il provvedimento con il quale il giudice competente dispone in tema di misure cautelari, a norma dell'art. 27 c.p.p., assume completa autonomia rispetto al precedente provvedimento, disposto

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interinalmente dal giudice incompetente, e non può essere definito di conferma o di reiterazione di esso, essendo un provvedimento emesso da altro giudice sulla base di una autonoma valutazione delle condizioni richieste e di un distinto apprezzamento degli elementi che ne sono a fondamento, suscettibili di verifica in sede di impugnazione. Ne consegue che con riferimento a tale provvedimento non opera alcuna preclusione endoprocessuale connessa al cosiddetto giudicato cautelare formatosi sul primo provvedimento (1972/1997, rv 210043). La circostanza che la formulazione letterale dell'art. 27 c.p.p., in tema di misure cautelari disposte da giudice incompetente, postuli l'identità tra giudice che dispone la misura e giudice che dichiara la propria incompetenza, non esclude che la disciplina della caducazione automatica della misura cautelare contenuta nel suddetto articolo si estenda anche alle ipotesi di diversità tra giudice che dispone la misura e giudice che dichiari l'incompetenza, in quanto il carattere provvisorio dell'efficacia della misura disposta da giudice incompetente è espressione di un potere eccezionale e, pertanto, non può essere limitato ai casi di identità tra giudice disponente la misura e giudice che dichiara l'incompetenza (2881/1997, rv 206617). Il G.I.P. al quale gli atti vengono restituiti dopo la loro trasmissione per competenza ad altro ufficio, a seguito della soluzione del conflitto negativo di competenza sollevato dal giudice cui gli atti erano stati trasmessi e dopo l'emissione di un nuovo provvedimento ex art. 27 c.p.p., non è tenuto a rinnovare entro venti giorni, a pena di perdita di efficacia, la misura cautelare a suo tempo disposta. Così come sarebbe palesemente irrazionale pretendere l'emissione di una nuova misura nel caso in cui il conflitto sia deciso nel senso dell'affermazione della competenza del secondo dei giudici investiti della questione, così l'esigenza di un nuovo provvedimento cautelare non può derivare dal fatto che la decisione del conflitto determini il ritorno degli atti al primo (3128/1997, rv 208848). Il decorso del termine di venti giorni fissato dall'art. 27 c.p.p. per l'adozione di una nuova misura cautelare da parte del giudice competente non è preclusivo all'esercizio del potere-dovere di quest'ultimo di emettere un provvedimento coercitivo

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successivamente alla perdita di efficacia di quello precedente, ancorché sulla base degli stessi presupposti e delle stesse esigenze cautelari, ove sussistenti; e ciò in quanto tale provvedimento si caratterizza per la sua piena autonomia rispetto al precedente ad effetti interinali, e, quindi, non può essere definito di conferma o reiterazione di quest'ultimo, in quanto emesso da altro giudice sulla base di un'autonoma valutazione delle stesse condizioni legittimanti, ancorché desunte dagli stessi fatti (3713/1997, rv 207562). La misura cautelare deve essere rinnovata, a pena di inefficacia, non solo nel caso in cui l'incompetenza venga dichiarata dallo stesso giudice dal quale detta misura sia stata disposta, ma anche quando siffatta declaratoria venga pronunciata dal giudice di una successiva fase del medesimo procedimento, sempre che il giudice che dovrebbe emettere il nuovo provvedimento sia diverso da quello che aveva disposto la misura. Ed invero l'art. 27 c.p.p., al di là del tenore letterale, che sembra riferirsi solo all'ipotesi di identità tra giudice che dispone la misura e giudice che dichiara la propria incompetenza, risponde a un principio generale di carattere costituzionale che lo rende applicabile – in via di interpretazione estensiva, possibile in presenza di una norma formulata in modo non pienamente adeguato allo scopo chiaramente perseguito, o comunque in via di analogia “in bonam partem” – anche alle ipotesi di diversità tra i due giudici (4128/1997, rv 208428). Il termine di venti giorni entro il quale, ai sensi dell'art. 27 c.p.p., deve essere emessa la nuova ordinanza applicativa di misura cautelare, in sostituzione di quella emessa dal giudice incompetente, non può decorrere se non dal momento in cui gli atti pervengono al giudice designato come competente (4253/1997, rv 208335). Dall'accertamento dell'incompetenza del giudice che ha emesso una misura cautelare non deriva la nullità del provvedimento, bensì la sua inefficacia differita ex art. 27 c.p.p. con correlativa temporanea protrazione della sua efficacia, fermo restando che per tale protrazione è necessario che l'ordinanza custodiale del giudice incompetente sia stata emessa in presenza dei presupposti di cui al capoverso dell'art. 291 c.p.p., e cioè ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 273 c.p.p. e urgenza di soddisfare le esigenze di cui all'art. 274 c.p.p., punti che, se devoluti al giudice

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dell'impugnazione, devono dal medesimo essere fatti oggetto di specifico esame (2467/1998, rv 211939). Nel caso in cui l'udienza di convalida dell'arresto o del fermo sia tenuta da un giudice incompetente “ratione loci”, ai sensi dell'art. 390, primo comma, c.p.p., non solo l'eventuale ordinanza di convalida costituisce un provvedimento nullo, ma tale deve considerarsi anche l'ordinanza di adozione d'urgenza di misura cautelare ex art. 291, secondo comma, c.p.p., con la conseguenza che non possono trovare applicazione i principi di cui all'art. 27 c.p.p., della protrazione della proroga legale di efficacia della misura e della conservazione degli atti assunti da giudice incompetente. Ne consegue che l'interrogatorio effettuato dal giudice della convalida del fermo incompetente territorialmente ai sensi dell'art. 390, primo comma, c.p.p. non può essere considerato valido ed efficace – quale interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p. – per il mantenimento o la rinnovazione della misura cautelare da parte del giudice competente in ordine alla stessa (1018/1999, rv 214059). La caducazione automatica della misura cautelare conseguente a declaratoria d'incompetenza si verifica, e ha ragion d'essere, solo quando, a seguito di tale declaratoria, il giudice che deve emettere il nuovo provvedimento sia diverso da quello incompetente. Da ciò consegue che, nell'ipotesi di declaratoria d'incompetenza per materia pronunciata dal giudice del dibattimento, cui consegua la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, occorre avere riguardo alla competenza del G.I.P. Discende ulteriormente che non deve essere emesso nuovo provvedimento cautelare se si tratti di reati di cui all'art. 51, comma 3 bis, c.p.p. e ricorra perciò l'unicità dell'organo giurisdizionale della fase delle indagini (1223/1999, rv 214738). In tema di misure cautelari personali, l'interesse dell'indagato a una pronuncia sulla competenza del giudice che ha adottato la misura custodiale persiste anche quando gli atti siano trasmessi, a norma dell'art. 54 c.p.p., dal pubblico ministero che l'abbia richiesta ad altro pubblico ministero, non derivando da tale trasmissione l'attivazione del meccanismo di efficacia differita della misura di cui all'art. 27 c.p.p. precedente, che può essere provocato solo da una declaratoria giudiziale di incompetenza non surrogabile con la

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menzionata iniziativa dell'organo dell'accusa (1837/1999, rv 213501). La mancata trasmissione al giudice competente del verbale dell'interrogatorio di garanzia dell'imputato effettuato dal giudice incompetente non costituisce di per sé causa di nullità dell'ordinanza applicativa della misura cautelare emessa dal giudice competente per violazione dell'art. 292 c.p.p., comma 2-ter, in quanto non il verbale di interrogatorio come tale costituisce elemento da valutare, ma bensì i fatti e le circostanze obiettive eventualmente sussistenti a discarico dell'indagato (2867/1999, rv 213531). Qualora il giudice che ha ricevuto gli atti da quello dichiaratosi incompetente rinnovi, ai sensi dell'art. 27 c.p.p., l'ordinanza cautelare precedentemente emessa, non ha l'obbligo di interrogare nuovamente l'indagato ai sensi dell'art. 294 c.p.p. salvo che intenda contestare elementi nuovi e diversi; né l'efficacia del nuovo provvedimento può essere compromessa dall'avvenuto annullamento da parte del Tribunale del riesame dell'ordinanza impositiva della originaria misura cautelare (2867/1999, rv 213532). In materia di misure cautelari la dichiarazione di incompetenza pronunciata nel giudizio di legittimità rende precaria, ai sensi dell'art. 27 c.p.p. la misura cautelare disposta dal giudice incompetente (6203/1999, rv 212160). In tema di misure cautelari disposte dal giudice contestualmente o successivamente dichiaratosi incompetente, il “dies a quo” per la tempestiva emissione di nuova ordinanza cautelare da parte del giudice competente decorre dal giorno in cui il primo giudice dichiara la propria incompetenza con contestuale ordine di trasmissione degli atti, e non dal giorno in cui tali atti pervengono al P.M. presso il giudice dichiarato competente, atteso che eventuali ritardi burocratici non possano farsi ricadere sul soggetto sottoposto alla misura, oltremodo comprimendone il diritto alla libertà personale (3752/2000, rv 217152). Le misure cautelari disposte, a norma dell'art. 27 c.p.p., da un giudice, dichiaratosi contestualmente o successivamente incompetente, non perdono efficacia per il mancato espletamento di un nuovo interrogatorio di garanzia da parte del giudice competente

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il quale abbia emesso nel termine stabilito una propria ordinanza, sempre che non siano stati contestati all'indagato o all'imputato fatti nuovi ovvero il provvedimento non sia fondato su indizi o su esigenze cautelari in tutto o in parte diversi rispetto a quelli posti a fondamento dell'ordinanza emessa dal giudice incompetente (39618/2001, rv 219975). In tema di misura cautelare emessa da giudice dichiaratosi incompetente ai sensi dell'art. 27 c.p.p., la tardività dell'interrogatorio di garanzia dev'essere fatta valere esclusivamente nell'ambito del procedimento applicativo di quella misura e davanti al giudice che l'aveva disposta, con la conseguenza che tale vizio non comporta, di per sé, per il giudice competente che abbia emesso nuova misura cautelare, la necessità di reiterare l'interrogatorio della persona sottoposta a cautela (11530/2002, rv 221276). Non sussiste un conflitto di competenza qualora un primo G.i.p. abbia emesso il provvedimento cautelare richiesto dal pubblico ministero e successivamente, a seguito di trasmissione degli atti da una procura ad altra ritenuta territorialmente competente nel prosieguo delle indagini, un secondo G.i.p., ritenuta la propria competenza, emetta una nuova misura cautelare, in quanto non vi è una «contemporanea» cognizione dello stesso fatto, bensì una diacronica investitura di giudici diversi (24385/2003). Le misure cautelari disposte, a norma dell'art. 27 c.p.p., da un giudice, dichiaratosi contestualmente o successivamente incompetente, non perdono efficacia per il mancato espletamento di un nuovo interrogatorio di garanzia da parte del giudice competente il quale abbia emesso nel termine stabilito una propria ordinanza, sempre che non siano stati contestati all'indagato o all'imputato fatti nuovi ovvero il provvedimento non sia fondato su indizi o su esigenze cautelari in tutto o in parte diversi rispetto a quelli posti a fondamento dell'ordinanza emessa dal giudice incompetente (22433/2003, rv 225098). Le ordinanze che dispongono misure cautelari personali, come le ordinanze che decidono sulla richiesta di riesame, sono provvedimenti emessi allo stato degli atti rispetto ai quali la risoluzione della questione eh competenza territoriale non influisce sulla validità del provvedimento potendo incidere solamente ed entro i termini di cui all'articolo 27 del c.p.p. sull'efficacia della

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misura sempre che sia lo stesso giudice che ha emesso il provvedimento a dichiararsi contestualmente o successivamente incompetente o che tale incompetenza venga dichiarata dal tribunale del riesame (25577/2003). La competenza, quale limite della giurisdizione, è un presupposto processuale indissolubile dalla funzionale attività del giudice, da riguardare come un dovere del giudice stesso che ne condiziona il potere decisorio. Ne consegue la costante rilevanza della relativa questione in relazione all'adozione di un provvedimento cautelare e la sindacabilità, in sede di impugnazione del provvedimento “de libertate”, anche della competenza per territorio del giudice che ha disposto la misura cautelare. Consegue, altresì, che qualora il difetto di competenza del giudice che ha disposto la misura cautelare non abbia costituito, in sede di impugnazione della stessa, oggetto di specifica eccezione della parte interessata, il giudice può ex officio pervenire alla declaratoria di efficacia differita della misura stessa ex art. 27 c.p.p. (21416/2003, rv 225196). Quando il luogo dell'arresto o del fermo è diverso da quello di commissione del reato, l'ordinanza cautelare emessa dal giudice competente per la convalida ha efficacia provvisoria, onde va rinnovata dal giudice competente entro venti giorni dall'ordinanza di trasmissione degli atti solo laddove vi sia stata una formale declaratoria di incompetenza. Il tenore letterale dell'art. 27 c.p.p. è, infatti, inequivoco nel senso che la cessazione degli effetti della misura cautelare non dipende dall'incompetenza del giudice che l'ha emessa, ma dalla contestuale o dalla successiva dichiarazione di incompetenza da parte di questo giudice nell'ordinanza di trasmissione degli atti, e ciò anche perchè, senza una tale ordinanza di trasmissione, non sarebbe fissato un "dies a quo" di decorrenza del termine di venti giorni per la perdita di efficacia delle misura o per la sua rinnovazione da parte del giudice competente (12823/2010). La disciplina di cui all'art. 27 c.p.p. in materia di misure cautelari disposte da giudice dichiaratosi incompetente non si estende al sequestro probatorio, non avendo esso natura di misura cautelare ma soltanto di mezzo di ricerca della prova (35806/2010).

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La misura cautelare applicata dal tribunale che successivamente dichiari la nullità del decreto di giudizio immediato per omessa notificazione, con conseguente restituzione degli atti al giudice per le indagini preliminari, non deve essere rinnovata, non potendosi ritenere che sia stata emessa da un giudice incompetente, atteso che la nullità della notificazione non determina la invalidità dell'atto di impulso che ha dato luogo al giudizio (32494/2010). La trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica distrettuale, divenuto competente in ordine al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, non determina la necessità di reiterare ex art. 27 c.p.p. il sequestro preventivo già disposto dal giudice per le indagini preliminari, trattandosi di incompetenza sopravvenuta a seguito della legge 13 agosto 2010 n. 136 (49092/2012). L'inefficacia della misura cautelare disposta dal giudice incompetente a seguito della decorrenza del termine di venti giorni previsto dall'art. 27 c.p.p. non preclude al giudice competente l'adozione di una nuova misura cautelare sulla base degli stessi elementi in precedenza considerati (1056/2013). In tema di misure cautelari emesse dal giudice, ex art. 27 cod. proc. pen., non è affetto da nullità il provvedimento che riproduce sostanzialmente, anche con la tecnica del “taglia incolla”, l'ordinanza emessa dal giudice territorialmente incompetente, qualora la motivazione di quest'ultima risulti congrua rispetto all'iter logico seguito per pervenire alla decisione adottata (6358/2015).

In tema di misure cautelari reali, il giudice che si dichiara territorialmente incompetente può contestualmente disporre il sequestro preventivo ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen., senza essere tenuto, a differenza di quanto previsto dall’art. 291, comma 2, cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, a valutare la sussistenza del requisito dell’urgenza (54016/2017). In tema di misure cautelari emesse ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen. in relazione ad una pluralità di reati, l’inefficacia della misura, prevista dall’art. 302 cod. proc. pen., conseguente al mancato espletamento dell’interrogatorio per effetto della contestazione di elementi nuovi e diversi rispetto a quelli del precedente titolo cautelare, opera limitatamente ai fatti-reato rispetto ai quali sia stato omesso il predetto adempimento (2057/2017).

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Nel caso di misura cautelare emessa da giudice incompetente, il termine di fase della custodia cautelare comincia a decorrere dalla data di emissione del provvedimento che dispone la trasmissione degli atti al giudice competente e non da quello in cui viene emessa la nuova misura cautelare ai sensi dell’art. 27 c.p.p. (6043/2018). Sussiste l'interesse del pubblico ministero ad impugnare il provvedimento con il quale il tribunale del riesame, rilevata l'incompetenza del giudice per le indagini preliminari, annulli, per carenza delle condizioni di applicabilità, l'ordinanza con cui quello stesso giudice ha disposto la misura cautelare della custodia in carcere, se l'impugnazione è funzionale a garantire il tempestivo intervento del giudice competente. L'interesse sussiste se ed in quanto il giudice del riesame, annullando l'ordinanza genetica, sostanzialmente abbia escluso l'applicazione dell'art. 27 cod. proc. pen. pur avendo rilevato l'incompetenza. Una volta attribuito al giudice dell'impugnazione cautelare il compito di verificare anche in tal caso la sussistenza delle condizioni che autorizzano l'adozione della misura, nonché il potere di annullare l'ordinanza genetica, è infatti inevitabile riconoscere il pregiudizio subito dalla parte pubblica che aveva conseguito il titolo cautelare ed il suo interesse a perseguire, attraverso la rimozione del provvedimento caducatolo, il ripristino della misura, seppure ai limitati fini di cui all'art. 27. Né tale interesse può ritenersi insussistente in ragione del fatto che l'indagato può proporre ricorso avverso il provvedimento eventualmente adottato a seguito dell'annullamento con rinvio di quello impugnato dal pubblico ministero (S.U. 11803/2020).

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C.p.p. art. 27 Misure cautelari disposte dal giudice incompetente COMMENTO La norma di chiusura del capo in commento interviene a regolare un aspetto assai delicato della vicenda processuale all'interno della quale si colloca la declaratoria di incompetenza, cioè l'efficacia delle misure cautelari che siano state adottate prima o contestualmente al momento in cui è emerso il vizio procedimentale. In via preliminare è opportuno precisare come tale disposizione non distingua tra misure cautelari reali e personali, risultando quindi applicabile in relazione ad entrambe le tipologie di provvedimento; inoltre viene sancita la rilevanza di qualsiasi forma di incompetenza, a prescindere dalla sua precisa caratterizzazione di vizio attinente ai profili della cognizione per materia, per territorio o per connessione; infine, come già rilevato in relazione all'articolo 26 precedente, la norma non contiene alcun riferimento al difetto di giurisdizione, dovendosi perciò ritenere che ricorrendo tale fattispecie le misure eventualmente disposte perdano definitivamente efficacia. Le situazioni contemplate dalla disposizione, dal punto di vista del rapporto tra declaratoria di incompetenza e adozione della misura cautelare, sono essenzialmente due. La prima ricorre allorché il difetto di competenza venga rilevato in un momento successivo a quello in cui il provvedimento provvisorio è stato irrogato: in questo caso la norma sembra postulare l'assoluta identità tra soggetto che ha disposto la misura cautelare e soggetto che dichiara l'incompetenza perché sia imposta come necessaria la rinnovazione del provvedimento da parte del giudice competente. In realtà la Corte di Cassazione ha autorevolmente stabilito che anche nell'ipotesi in cui il giudice che rilevi l'incompetenza sia diverso, perché operante in una fase o in un grado successivo, affinché il provvedimento cautelare conservi la sua efficacia è imprescindibile un nuovo intervento da parte dell'ufficio giudiziario in capo al quale viene a radicarsi la competenza a pronunciarsi sui fatti oggetto di imputazione (così Cassazione 24 gennaio 1996). L'altra situazione che può verificarsi è quella in cui la misura restrittiva venga adottata nella stessa pronuncia con la quale si riscontra il vizio procedimentale. Sul punto si impone la considerazione contestuale del dettato normativo di cui all'art. 291, comma 2, laddove si prevede che la misura cautelare personale possa essere adottata dal giudice che riconosca la propria incompetenza quando ne ricorrano i presupposti applicativi e sussiste l'urgenza di soddisfare una delle esigenze cautelari normativamente previste. Riguardo ai provvedimenti cautelari reali, se è vero che ad essi non può essere esteso in sede applicativa l'art. 291 alla luce della sua precisa collocazione nel codice di rito, va comunque detto che il requisito dell'urgenza è in qualche modo “surrogato” dal periculum in mora considerato, sotto profili diversi, presupposto indefettibile tanto del sequestro conservativo quanto di quello preventivo [316, 321] (esempio). Una volta che sia stata adottata l'ordinanza di trasmissione degli atti e che tanto il provvedimento cautelare quanto la declaratoria di incompetenza siano pervenuti

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presso l'ufficio giudiziario competente, quest'ultimo entro venti giorni deve provvedere a rinnovare la misura personale o reale, rispettando il dettato degli artt. 292, 317 e 321 in punto di forma e contenuto del provvedimento da adottare, laddove ne ritenga sussistenti i presupposti. Qualora il termine perentorio non venga rispettato, la misura originaria perde definitivamente efficacia: pertanto il provvedimento cautelare eventualmente richiesto dal pubblico ministero operante presso il giudice competente dovrà fondarsi su elementi e su una valutazione del tutto nuova e diversa da quella precedentemente intervenuta, trattandosi di misura autonoma rispetto a quella venuta meno.

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C.p.p. art. 28 Casi di conflitto COMMENTO Si pensi all'ordinanza di custodia cautelare.

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C.p.p. art. 28 Casi di conflitto GIURISPRUDENZA Nel caso in cui il G.I.P. viene investito dal P.M. solo della richiesta di incidente probatorio non è configurabile alcuna delle ipotesi di conflitto indicate nell'art. 28, capoverso, c.p.p. perché in tale fase manca il “giudice” che prenda cognizione del fatto, fase che deve qualificarsi, pertanto, procedimentale e non processuale. Nel caso dell'incidente probatorio, il giudice, chiamato esclusivamente ad assumere le prove al fine di assicurare il contraddittorio delle parti relativamente a tale assunzione, non svolge alcun ruolo di gestore o di conduzione delle indagini, ma interviene solo dietro sollecitazione delle parti; è fase, questa, di appartenenza esclusiva del P.M. a cui va trasmesso il verbale delle prove che non rimane presso il G.I.P. (1098/1992, rv 191342). I conflitti negativi di competenza connotati dal contemporaneo rifiuto di due organi giudiziari a prendere conoscenza dello stesso procedimento necessitano dell'adozione di formali provvedimenti con cui due organi confliggenti manifestano la decisione di non provvedere nel merito, nel presupposto della propria incompetenza, reciprocamente indicando l'altro e determinando così la stasi del procedimento, irrisolubile senza l'intervento della Corte regolatrice. Ne consegue che, in assenza di provvedimenti declinatori di competenza, la semplice missiva di trasmissione, o restituzione, degli atti con l'indicazione della dicitura “per competenza” non sono suscettibili di dar luogo a conflitto, la cui denuncia va pertanto dichiarata inammissibile (1858/1992, rv 190522). È inammissibile il conflitto di competenza sollevato dal giudice di merito avverso decisione della Corte di Cassazione. È infatti estranea al sistema processuale una ipotesi di conflitto tra un giudice di merito e quello di legittimità, i cui provvedimenti sono definitivi e di immediata esecuzione, salva la ravvisabilità di errore non concettuale, rimediabile con procedimento di rettificazione nei casi tassativamente previsti. Tale principio è applicabile anche a provvedimenti della Corte di Cassazione attributivi di competenza a

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conoscere di un determinato procedimento, salva la sopravvenienza del “novum” (2099/1992, rv 190858). Perché ricorra un conflitto negativo di competenza è necessario che due giudici dichiarino ciascuno che è competente l'altro, non bastando che un organo giudiziario rimetta gli atti ad un altro senza una dichiarazione formale di incompetenza (3257/1992, rv 191594). Ai fini della configurabilità del conflitto di competenza sono necessari, anche per i cosiddetti casi analoghi, tre requisiti e cioè: a) che la questione di competenza costituisca un punto pregiudiziale (anche solo logicamente, come nel caso dell'accoglimento in appello di un motivo di impugnazione centrato sulla competenza) all'esame del merito, b) che ciascun giudice che prende o rifiuta di prendere cognizione di un medesimo fatto si trovi, in relazione a quella cognizione, in posizione di parità decisionale con l'altro o con gli altri giudici appartenenti allo stesso ordine; c) che la presa di posizione contrastante di un giudice non sia considerata nella disciplina positiva come parte integrante di uno specifico meccanismo processuale che attribuisca ad un secondo giudice un potere di controllo e di verifica dell'intera attività di giudizio dell'altro. Pertanto alla luce sia delle disposizioni di cui agli artt. 35, 51, 190 e 522 del codice abrogato, sia di quelle di cui agli artt. 28, 568, secondo comma, e 604 c.p.p. vigente, è inammissibile il conflitto nel caso in cui il giudice di appello – o latamente del riesame – dichiari, a conclusione del giudizio di secondo grado, la esistenza di una nullità assoluta incorsa nel giudizio di primo grado e rinvii gli atti al primo giudice per la ripetizione del giudizio. Invero gli eventuali errori del giudice di appello sul punto possono essere fatti valere con gli specifici mezzi ulteriori di impugnazione ed in mancanza il giudice di primo grado è tenuto a dare corso alla decisione di quello di appello (177/1993, rv 193086). I conflitti di competenza e di giurisdizione sono configurabili, e quindi ammissibili, soltanto tra giudici. Non sono, invece, configurabili tra pubblici ministeri, i cui contrasti sono regolati dagli art. 54 c.p.p. e segg., né tra pubblico ministero e giudice, data la qualità di parte, sia pure pubblica, che il pubblico ministero ha nel contesto del nuovo processo penale (714/1993, rv 193396). Anche nel corso delle indagini preliminari è proponibile conflitto di competenza tra diversi G.I.P. (1744/1993, rv 194468).

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L'espressione “medesimo fatto” di cui all'art. 28 c.p.p. è assunta nel suo significato comune per indicare l'elemento materiale del reato, nei suoi tre momenti di condotta, evento e nesso di causalità, realizzatosi nelle identiche condizioni di tempo, di luogo e di persona, nel senso che è indispensabile l'identità degli elementi strutturali e temporali del fatto sia da un punto di vista soggettivo, sia da un punto di vista oggettivo (235/1994, rv 196669). È ammissibile, in quanto inquadrabile nell'ambito dei “casi analoghi” cui si riferisce l'art. 28, comma secondo, c.p.p., il contrasto fra magistrati investiti di giurisdizione anche se attinente provvedimenti da adottare nell'ambito dell'esplicazione di attività non giurisdizionale, ma amministrativa, loro demandata dalla legge (778/1994, rv 196870). Il giudice delegato per l'espletamento dell'incidente probatorio ai sensi dell'art. 398, ultimo comma, c.p.p. non ha il potere di sindacare il merito del provvedimento di delega. Conseguentemente, il conflitto di competenza che insorga tra giudice delegante e delegato, che contesti i presupposti dell'urgenza e dell'opportunità, va risolto nel senso che a quest'ultimo spetta svolgere l'attività processuale di cui è stato incaricato (3511/1994, rv 199864). Elemento essenziale dei conflitti fra giudici ordinari e fra giudici ordinari e speciali è la pregiudizialità della questione di competenza o di giurisdizione rispetto alla decisione del merito in ordine alla quale l'interesse alla definizione si pone come necessario presupposto funzionale; pertanto in caso di sopravvenuta carenza di interessi alla definizione del procedimento nell'ambito del quale è sorto il conflitto, quest'ultimo diviene inammissibile (5069/1994, rv 199966). In tema di conflitti, il disposto di cui all'art. 28, comma secondo, seconda parte, c.p.p., secondo cui, qualora il contrasto sia tra giudice della udienza preliminare e giudice del dibattimento, prevale la decisione di quest'ultimo, non opera quando l'uno e l'altro di detti giudici, appartenenti a diversi uffici, siano stati chiamati, mediante esercizio dell'azione penale da parte dei rispettivi organi del pubblico ministero, a prendere cognizione dello stesso fatto, dandosi luogo, in tale ipotesi, non ad un “caso analogo” (rientrante, come tale, nelle previsioni del citato comma secondo dell'art. 28

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c.p.p.), ma ad un conflitto vero e proprio, inquadrabile nell'ambito del precedente comma primo e per il quale non vi sono regole in forza delle quali la decisione di uno dei giudici debba prevalere su quella dell'altro, in ragione del ruolo o della funzione esercitati (5363/1994, rv 196101). Posta la duplice natura legislativamente attribuita al collegio per i reati ministeriali di cui all'art. 7 della L. cost. 16 gennaio 1989 n. 1 – essendo previsto dall'art. 1, comma secondo, della legge 5 giugno 1989 n. 219 che il detto collegio operi normalmente con i poteri che spettano al pubblico ministero nelle indagini preliminari, salva la possibilità, in via eccezionale, di avvalersi anche di quelli spettanti al giudice per le indagini preliminari – ai fini della verifica in ordine all'ammissibilità o meno di un conflitto ex art. 28 c.p.p. fra il detto organo ed altro organo investito di ordinarie funzioni giurisdizionali occorre distinguere, sulla base degli atti posti in essere, se esso abbia agito con i poteri del pubblico ministero ovvero con quelli del giudice per le indagini preliminari, giacché solo in tale ultima ipotesi il conflitto, secondo le regole generali, potrà essere riguardato come ammissibile (218/1995, rv 200575). L'art. 28, comma primo, c.p.p. subordina l'insorgenza di un conflitto di competenza a che il fatto di cui diversi giudici prendano o ricusino di prendere conoscenza non solo sia il medesimo, ma venga attribuito alla stessa persona: tale situazione non si verifica quando il giudice superiore, dopo avere escluso la sussistenza nei confronti di certe persone di un fatto costituente reato di sua competenza, ne ravvisi un altro del tutto distinto nelle sue connotazioni strutturali, oggettive e soggettive, costituenti reato rientrante nella competenza di un giudice inferiore, al quale trasmette gli atti (1482/1995, rv 201911). L'impugnazione è la domanda che una parte – a cui il relativo diritto è espressamente conferito dalla legge – propone per ottenere la riforma o l'annullamento di una decisione del giudice, nei casi tassativamente stabiliti. Ne consegue l'inammissibilità dell'impugnazione proposta da un giudice avverso provvedimento di altro giudice. Quando ne ricorrano i presupposti, il giudice può sollevare conflitto con altro giudice davanti alla Corte di Cassazione, ma non può giammai utilizzare strumenti tipici della parte processuale. Tale inammissibile ricorso per Cassazione non

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può essere convertito in atto di rilevazione di conflitto ex art. 28 c.p.p. L'istituto della conversione (art. 568, comma quinto, c.p.p.) è inapplicabile, atteso l'espresso riferimento letterale della norma alla “parte” che ha proposto l'erroneo mezzo d'impugnazione e considerata la ragione ispiratrice di tale principio, volto a salvare dalla decadenza dal termine erronee iniziative della parte, che può anche essere ignara di diritto processuale penale, posto che l'impugnazione può essere proposta anche personalmente, senza necessità di difensore tecnico (1776/1995, rv 201527). A norma dell'art. 28 c.p.p. vi è conflitto negativo di competenza quando, in qualsiasi stato e grado del processo, due o più giudici ordinari ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona. L'uso del termine “processo” dimostra che, per potersi parlare correttamente di conflitto, è necessario, anzitutto, che il rapporto processuale tipico si sia già costituito e che le parti risultino, quindi individuate, in guisa che, svolgendosi il procedimento di risoluzione nelle forme disciplinate dall'art. 127 c.p.p., esse possano essere messe in condizione di interloquire con l'eventuale presentazione di memorie. Inoltre, l'individuazione delle parti, e specialmente della persona o delle persone cui è mosso l'addebito è un elemento essenziale anche ai fini del giudizio sull'identità del fatto che viene portato a conoscenza dei diversi giudici, fatto che, nell'accezione del legislatore, non si esaurisce nell'evento, ma comprende altre due componenti fondamentali, la condotta e il nesso di causalità, le quali sono suscettibili di variazione proprio in rapporto ai singoli soggetti cui sono riferibili. Ne consegue che, in mancanza dell'individuazione di una persona alla quale ascrivere il fatto di reato, non è configurabile alcuna ipotesi di conflitto (3253/1995, rv 204137). Il conflitto (positivo o negativo) di competenza è configurabile, ai sensi dell'art. 28 c.p.p. solo quando coinvolga giudici appartenenti ad uffici giudiziari diversi. Non rientra, quindi, nel novero dei conflitti il caso di due giudici per le indagini preliminari, appartenenti al medesimo tribunale, i quali rifiutino entrambi di prendere cognizione di un medesimo fatto attribuito alla stessa persona giacché, in tal caso, non è in discussione la competenza per materia e per territorio di un determinato organo giudicante, ma si

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fa solo una questione di ripartizione interna degli affari giudiziari, da risolversi sulla base dei criteri tabellari (4111/1995, rv 202741). Nel codice vigente la connessione non rappresenta mera deroga degli ordinari criteri di determinazione della competenza ma costituisce essa stessa un originario ed autonomo criterio di attribuzione della competenza, concorrente col criterio per materia e con quello territoriale, operante per il solo fatto della relazione obiettiva tra reati indicata dalla legge. Ne consegue che la sussistenza di un caso di connessione costituisce idonea causa, ai sensi dell'art. 28, comma secondo, c.p.p. di conflitti di competenza tra i giudici che procedono per reati connessi; ciò lo si evince dal disposto dell'ultimo comma dell'art. 28 c.p.p. che, col dichiarare non proponibile, nel corso delle indagini preliminari (e, quindi, anche durante l'udienza preliminare), i conflitti positivi fondati su ragioni di competenza per territorio determinata dalla connessione, inequivocabilmente statuisce l'ammissibilità degli altri tipi di conflitto fondati sulla connessione (5447/1995, rv 203044). Anche in materia esecutiva il provvedimento declinatorio di competenza può dar luogo a conflitto e non è, pertanto, suscettibile d'impugnazione (1280/1996, rv 205134). Il giudice di primo grado cui siano stati trasmessi gli atti a seguito di declaratoria da parte del giudice di appello di nullità della sentenza non può, nel caso in cui dissenta da siffatta decisione, elevare conflitto. Deve infatti escludersi l'applicazione del regime dei conflitti per le dichiarazioni di nullità assoluta ed insanabile del giudizio di primo grado da parte del giudice di appello, l'unico rimedio per ovviare ad un possibile errore di quest'ultimo essendo ravvisabile nel necessario ricorso per Cassazione, in mancanza del quale si forma il giudicato con il conseguente vincolo, per il giudice di primo grado, di ripetere il suo giudizio (1835/1996, rv 204620). La regola secondo la quale, nel conflitto tra il giudice dell'udienza preliminare e quello dibattimentale, prevale sempre la decisione di quest'ultimo, opera non solo nei casi in cui il contrasto riguardi le conseguenze derivanti dal merito delle contestazioni, ma anche in quelli in cui il contrasto riguardi le regole procedurali (4344/1996, rv 205635). La circostanza che il doppio contemporaneo procedersi, da una parte in dibattimento e, dall'altra, con indagini preliminari per i

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medesimi fatti possa determinare anomalie in tema di “discovery” e di parità delle parti nella prova può avere rilevanza soltanto per l'esercizio dei rimedi esperibili all'interno del giudizio dibattimentale per far valere la nullità o l'inutilizzabilità dei mezzi di prova, ma non può integrare, in nessun caso, una condizione per configurare un conflitto tra giudici in riferimento ai procedimenti in questione (2787/1997, rv 207657). La possibilità di configurare un caso analogo di conflitto è subordinata alla presenza di un contrasto tra giudici da cui derivi una condizione di stasi o di blocco dell'attività processuale direttamente ricollegabile al dissenso insorto tra due organi giurisdizionali in ordine alla competenza ad emettere provvedimenti necessari allo sviluppo del rapporto processuale (2787/1997, rv 207656). Nel processo penale non è previsto alcun mezzo preventivo per regolare la competenza mediante intervento della Corte Suprema, che può essere chiamata a pronunciare sulla stessa solo in esito a conflitto (3882/1997, rv 207949). Nel caso di conflitto positivo di competenza per territorio determinato dalla cosiddetta continenza di regiudicande (delle quali l'una comprende, per la sua maggiore ampiezza riferita a un più lungo arco temporale, l'altra), va disposta la riunione degli atti del procedimento contenuto a quelli del procedimento principale e la concentrazione dei due procedimenti davanti al giudice presso il quale pende quello di maggiore ampiezza, sempreché sussista l'identità ontologica del fatto che abbia dato luogo in distinte sedi giudiziarie, per la sua totalità o per una parte di esso, ad altrettanti procedimenti, a nulla rilevando la diversità delle qualificazioni giuridiche, né la coincidenza soltanto parziale degli imputati (4234/1997, rv 208240). In tema di conflitto, deve escludersi, alla stregua di quanto disposto dall'art. 28, comma terzo, c.p.p., che possa dar luogo alla configurabilità di un conflitto positivo per ragioni di competenza per territorio, l'intervenuta pronuncia di un decreto di archiviazione relativamente a fatti per i quali, in altra sede, sono tuttora in corso di svolgimento indagini preliminari (6459/1997, rv 206402). È inquadrabile nell'ambito dei “casi analoghi” di conflitto, previsti dall'art. 28, comma secondo, c.p.p., la situazione di

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contrasto che si venga a creare fra il tribunale fallimentare ed il tribunale della prevenzione in ordine alla titolarità del curatore nominato dal primo (ai sensi dell'art. 16 della legge fallimentare), o dell'amministratore nominato dal secondo (ai sensi dell'art. 2-sexies della legge 31 maggio 1975 n. 575), ad assumere la gestione dei beni del proposto quando, essendo stati tali beni sottoposti a sequestro nel corso del non ancora conclusosi procedimento di prevenzione, come previsto dall'art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 citata, il medesimo proposto sia stato successivamente dichiarato fallito (1947/1998, rv 210267). Non è configurabile il conflitto di competenza nell'ipotesi di contemporanea pendenza di procedimenti presso distinte sezioni dello stesso ufficio giudiziario, pendenza che, non mettendo in discussione la competenza per materia e per territorio di un determinato giudice e investendo la ripartizione degli affari penali tra le varie sezioni dello stesso giudice, può determinare soltanto questioni sulla riunione dei procedimenti. Peraltro, in difetto di una espressa previsione e in forza del principio della tassatività dei mezzi e dei provvedimenti impugnabili, è inoppugnabile l'ordinanza che dispone o denega la riunione o la separazione dei procedimenti (4143/1998, rv 211514). È ammissibile il conflitto di competenza rispetto a procedimenti pendenti in fasi diverse soltanto quando essi riguardino lo stesso imputato e il medesimo fatto-reato, tanto da avere ad oggetto l'identica regiudicanda, mentre l'esistenza di un rapporto di connessione rende configurabile un conflitto soltanto allorché essi si trovino nella fase delle indagini preliminari, sicché la “vis attractiva” inerente alla connessione non può operare quando per un procedimento sia già in corso il dibattimento e l'altro si trovi tuttora nella fase delle indagini preliminari (6966/1998, rv 209895). In caso di divergenza tra uffici del pubblico ministero in ordine alla qualificazione giuridica di un fatto, con riflessi sulla competenza, non può farsi strumentale ed improprio ricorso all'istituto dell'archiviazione onde ottenere una pronuncia attinente non al “fatto” ma, appunto, alla sua inquadrabilità in una o in un'altra ipotesi di reato, ma occorre risolvere la divergenza nella sede sua propria, che è quella indicata dall'art. 54 c.p.p. per la

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risoluzione dei contrasti tra uffici del pubblico ministero (6977/1998, rv 209378). Se è vero che il contrasto tra il giudice del dibattimento e il giudice dell'udienza preliminare non può dar luogo a conflitto perché prevale la decisione del primo, tale regola non opera se il secondo abbia già pronunciato il rinvio a giudizio al momento della decisione del primo; e ciò può avvenire quando giudici appartenenti a uffici giudiziari diversi siano stati chiamati dai rispettivi pubblici ministeri a prendere cognizione dello stesso fatto: trattasi di conflitto per il quale non vi sono regole per cui la decisione di un giudice debba prevalere in ragione del ruolo o della funzione esercitati (1209/1999, rv 214851). Nel caso in cui il G.I.P. sia funzionalmente incompetente a emettere un provvedimento, questo non può ritenersi abnorme; tale qualificazione, infatti, si attaglia ai provvedimenti che, per la stranezza e la singolarità del contenuto, si pongano al di fuori dell'ordinamento, così da rendere indispensabile il rimedio del ricorso per Cassazione ai fini di rimuovere una situazione di stasi processuale altrimenti insanabile, mentre la nullità che consegue all'incompetenza funzionale è categoria diversa. Per la contestazione dei provvedimenti sulla competenza, stante il principio di tassatività, il codice non appresta mezzi per l'intervento di un giudice superiore diversi da quello del “conflitto”, nelle specifiche ipotesi in cui sia previsto (1525/1999, rv 214740). Ogni contrasto che impedisca la prosecuzione del procedimento va eliminato con la procedura del conflitto: la nozione dei “casi analoghi”, prevista dall'art. 28, comma secondo, c.p.p., non deve, infatti, essere intesa in senso restrittivo, poiché la legge ha voluto, invece, l'intervento della Corte di Cassazione per risolvere prontamente tutte quelle situazioni che determinino un arresto del procedimento non altrimenti eliminabile (1859/1999, rv 213804). Non è configurabile l'incompetenza per territorio del giudice adito allorché, in relazione al luogo di commissione del reato, il procedimento si instauri nella sede circondariale di Pretura e non nella sezione distaccata né è ravvisabile nullità di ordine generale ai sensi dell'art. 178, comma 1, c.p.p., lett. a), in quanto l'art. 33, comma 2, c.p.p. esclude che siano attinenti alla capacità del giudice

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le disposizioni sulla destinazione di quest'ultimo e sulla assegnazione dei processi alle sezioni (6908/1999, rv 213610). Il contrasto negativo che insorga fra tribunale in composizione collegiale e tribunale in composizione monocratica a proposito della competenza a decidere su una determinata questione (nella specie concernente la materia dell'esecuzione), non è inquadrabile in alcuno dei casi di conflitto previsti dall'art. 28 c.p.p. (ivi compresi i cosiddetti “casi analoghi” di cui al comma secondo di detto articolo). Infatti la suindicata disposizione normativa trova applicazione soltanto quando, in presenza di una situazione di stallo, l'ordinamento non offra alcuna via per superarla; il che non si verifica nel caso in questione giacché, trattandosi di contrasto fra articolazioni interne di un medesimo ufficio giudiziario (del tutto analogo a quello che poteva verificarsi in passato fra sede centrale e sezioni distaccate della pretura circondariale) esso dev'essere risolto dal dirigente di detto ufficio, avuto anche riguardo a quanto previsto dagli artt. 47 e 47 quater dell'ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941 n. 12), i quali attribuiscono, tra l'altro, al presidente del tribunale e al presidente di sezione il compito di provvedere, per quanto di rispettiva competenza, alla distribuzione del lavoro fra le sezioni e fra i singoli giudici (2549/2000, rv 215941). Quando un giudice si rifiuti di dare esecuzione ad un provvedimento che, a causa del mancato esperimento degli ordinari rimedi giurisdizionali da parte dell'organo che ha la potestà di impugnarlo, è divenuto definitivo, si è al di fuori della situazione conflittuale, in quanto manca il requisito dell'attualità di detta situazione e l'ordinamento vigente non consente al di fuori del rapporto di impugnazione l'esercizio da parte del giudice di poteri di correzione degli errori eventualmente commessi da altro giudice in un provvedimento divenuto irrevocabile (7021/2000, rv 215121). È ammissibile il conflitto di competenza tra il Tribunale dei minorenni ed il giudice dell'udienza preliminare presso il medesimo tribunale, allorché dalla definizione del conflitto dipenda l'individuazione del giudice competente per la trattazione del processo dopo l'annullamento da parte della Corte d'Appello della decisione del giudice per l'udienza preliminare di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova (18691/2001, rv 219874).

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È ammissibile il conflitto di competenza tra il tribunale in composizione monocratica ed il tribunale in composizione collegiale, in quanto anche in tale ipotesi, per effetto di due decisioni contrastanti, si realizza una situazione di stasi processuale riconducibile ad uno dei casi “analoghi” previsti dall'art. 28, comma 2, c.p.p., la cui risoluzione è rimessa alla Corte di Cassazione (25918/2001, rv 219876). In tema di conflitti di competenza, in tanto sussiste per il giudice l'obbligo dell'immediata trasmissione degli atti alla Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 30, secondo comma, c.p.p., in quanto il contenuto dell'atto di parte, da questa qualificato come denuncia o “sollecitazione” di conflitto, corrisponda esattamente alle previsioni di cui all'art. 28 c.p.p., nel senso che, in base a quanto in esso rappresentato (indipendentemente dalla fondatezza o meno), sia astrattamente configurabile una situazione in cui vi siano due o più giudici che contemporaneamente prendono o rifiutano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona; tale condizione non può dirsi verificata e l'adempimento anzidetto non deve quindi avere luogo quando la parte non denunci di fatto alcun conflitto, ma si limiti a sollecitare il giudice affinché crei esso la situazione potenziale di conflitto, declinando la propria competenza: in tal caso il giudice, ove non ritenga di aderire a tale sollecitazione, deve considerare l'atto alla stregua di una comune eccezione di incompetenza, ovvero di una generica richiesta formulata ai sensi dell'art. 121 c.p.p., e provvedere di conseguenza (33526/2003, rv 225152). Il giudice dell'udienza preliminare che abbia accolto la richiesta di giudizio abbreviato dell'imputato non può successivamente disporre il giudizio immediato a seguito di sua rinuncia, non consentita, al rito speciale già ammesso. (Fattispecie in tema di conflitto negativo tra G.u.p. e tribunale in composizione collegiale, risolto in favore del primo, investito del compito di celebrare il giudizio abbreviato) (27578/2010). Il giudice, investito della cognizione in conseguenza della sentenza di incompetenza per territorio pronunciata da altro giudice, può sollevare conflitto entro i medesimi limiti temporali riconosciuti alle parti per eccepire l'incompetenza medesima (2148/2012).

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La sentenza che decide sulla giurisdizione è eccezionalmente ricorribile per cassazione, non potendo essere oggetto di conflitto, per il caso in cui il giudice italiano rinunci alla giurisdizione a favore dell’Autorità giudiziaria straniera (56953/2017). Sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova ex art. 464-bis cod. proc. pen., avanzata in sede di opposizione a decreto penale di condanna, competente a decidere è il giudice per le indagini preliminari e non il giudice del dibattimento (7955/2017). Non è abnorme - a prescindere dalla fondatezza nel merito - il provvedimento del giudice del dibattimento che dichiari, “in limine litis”, la nullità del decreto di rinvio a giudizio, ritenendo ravvisabile una delle cause che, per legge, possono dar luogo a detta nullità, né detto provvedimento, quand’anche il giudice dell’udienza preliminare ritenga la nullità insussistente, è suscettibile di dar luogo ad un conflitto proprio ex art. 28, comma 1, cod. proc. pen., in quanto trova applicazione il comma 2 del medesimo articolo, secondo il quale, nei “casi analoghi”, in caso di contrasto fra giudice dell’udienza preliminare e giudice del dibattimento, prevale la decisione di quest’ultimo (12929/2018).

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C.p.p. art. 28 Casi di conflitto COMMENTO La norma in commento, nell'individuare i presupposti e le fattispecie di conflitto di giurisdizione o di competenza, si caratterizza per il ricorso ad una duplice tecnica legislativa, dal momento che all'elencazione analitica contenuta nel primo comma si affianca il riferimento a “casi analoghi” non precisati ai quali si estende la disciplina generale. Le previsioni contenute nelle lettere a) e b) evocano situazioni di conflitto positivo o negativo che possono prospettarsi in qualsiasi stato e grado del processo, cioè solo al cospetto di un organo dotato di potestà giurisdizionale. Nel primo caso la controversia si instaura a livello di individuazione della giurisdizione, coinvolgendo giudici ordinari, che hanno una potestà cognitiva generale in materia penale, e giudici speciali, i quali, visto l'ambito assai circoscritto nel quale è chiamata a pronunciarsi la Corte Costituzionale, sono per lo più identificabili nei magistrati militari. Nel secondo caso il conflitto si realizza nel rapporto tra giudici ordinari in relazione al radicamento della rispettiva competenza, riguardando uffici giudiziari differenti e non magistrati incardinati nello stesso ufficio. Elementi comuni ad entrambi i gruppi di ipotesi, ai fini dell'insorgenza del conflitto, sono: – la contestuale assunzione (conflitto positivo) o ricusazione (conflitto negativo) dei poteri cognitivi da parte di giudici diversi in procedimenti distinti, contemporaneità da intendersi non da un punto di vista cronologico ma come relazione con una medesima fattispecie; – l'identità dei fatti storici oggetto di imputazione e del soggetto, o dei concorrenti, di cui si valuta la responsabilità; – la manifestazione esplicita del conflitto, affinché lo stesso non resti potenziale ma diventi attuale, cioè l'adozione di provvedimenti formali con cui venga assunta o ricusata la cognizione. Nel secondo comma, come detto in apertura, il legislatore estende la disciplina relativa ai conflitti a tutte le fattispecie in cui sorgono questioni analoghe tra soggetti che esercitino funzioni giurisdizionali, restando al di fuori di questo ambito di applicazione, a differenza di quanto accadeva nella vigenza del codice di procedura del 1930, ipotetiche controversie tra pubblico ministero e giudice in virtù della qualità di parte che il sistema accusatorio attribuisce al primo. La stessa disposizione, tuttavia, tra i casi analoghi di conflitto che possono astrattamente prospettarsi non ricomprende l'ipotesi del contrasto tra giudice dell'udienza preliminare e giudice del dibattimento che, teoricamente, potrebbe configurarsi nei termini di un conflitto di competenza tra giudici ordinari. In altri termini, nel caso in cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità del decreto di rinvio a giudizio e ordini la trasmissione degli atti al giudice dell'udienza preliminare il quale, a sua volta, ritenga insussistente la causa di nullità, non si configura una fattispecie “atipica” di conflitto, essendo, al

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contrario, legislativamente imposta la prevalenza della statuizione del magistrato che sovrintende alla fase dibattimentale. La disposizione si chiude con la preclusione esplicita della proponibilità, nella fase delle indagini preliminari, di un conflitto fondato su ragioni di competenza territoriale derivante da connessione tra giudici che rivendichino contemporaneamente l'esercizio dei poteri decisori rispetto al provvedimento richiesto dalla parte (esempio). In questo modo il legislatore ha inteso impedire che nella fase delle investigazioni possano determinarsi specifiche situazioni di “stallo procedimentale” in relazione a profili di territorialità riguardanti procedimenti connessi, salvaguardando, così, la facoltà per i diversi pubblici ministeri di proseguire nelle rispettive indagini, lasciando, altresì, impregiudicata la proponibilità del conflitto in un momento successivo all'esercizio dell'azione penale. Occorre comunque sottolineare come tale divieto non estenda i suoi effetti preclusivi a tutti gli altri possibili conflitti di competenza, positivi o negativi, per materia, per territorio o per materia determinata da connessione, che possono delinearsi nella fase preliminare.

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C.p.p. art. 29 Cessazione del conflitto GIURISPRUDENZA In tema di conflitti, nel caso in cui da verbale d'interrogatorio assunto da G.I.P. di tribunale, detto giudice dia lettura all'indagato “... dei fatti descritti nell'ordinanza di custodia cautelare, con la precisazione che tali reati sono identificati, sotto il profilo della procedibilità d'ufficio relativa a questo tribunale, fino al capo d) ...” sicché il medesimo G.I.P. dichiari di ritenersi competente soltanto per alcuni reati indicati dai capi d'imputazione con esclusione dunque dei reati di cui agli altri capi che sono oggetto di procedimento penale pendente dinanzi ad altro tribunale, tale dichiarazione determina la cessazione del conflitto sorto in conseguenza della contemporanea cognizione dei G.I.P. dei due tribunali, in quanto la dichiarazione stessa è sufficiente a costituire il provvedimento di cui all'art. 29 c.p.p., per la pronuncia del quale non è necessaria l'osservanza di particolari formalità, come prevede il dettato dell'art. 125, n. 1 e n. 6, c.p.p. non essendo dalla legge stabilita una forma (3821/1991, rv 188802). Il conflitto di competenza cessa, tra l'altro, anche nell'ipotesi in cui la competenza di uno dei giudici sia stata esclusa dalla decisione adottata dalla Suprema Corte di Cassazione, a norma dell'art. 32, comma primo, c.p.p., nella risoluzione di un diverso conflitto esistente, rispetto allo stesso procedimento, con un terzo giudice: si produce, in tal senso, una situazione processuale analoga a quella prevista dall'art. 29 c.p.p. (5476/1995, rv 203210). La sentenza con la quale il giudice ordinario dichiari il proprio difetto di giurisdizione nei riguardi del giudice speciale, in tanto può determinare, ai sensi dell'art. 29 c.p.p., la cessazione di conflitto di giurisdizione, in quanto un conflitto sia concretamente insorto in conseguenza della contemporanea cognizione del medesimo fatto, attribuito alla stessa persona, da parte di entrambi i giudici (2639/1996, rv 204535). La disciplina dettata dall'art. 97, comma 4, c.p.p. impone, in assenza del difensore di fiducia o di quello di ufficio nominato a

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norma dei commi 2 e 3, di designare come sostituto «un altro difensore immediatamente reperibile», senza che tale adempimento comporti alcun riferimento alle regole che presiedono alla designazione del difensore di ufficio. D'altra parte, l'ultimo periodo del comma 4 del citato art. 97, prevede che, nel corso del giudizio possa essere nominato come sostituto solo un difensore di ufficio iscritto nell'elenco di cui all'art. 29 delle disposizioni di attuazione c.p.p., non comminando peraltro la nullità per l'ipotesi dell'inosservanza di tale obbligo, sicché, per il principio di tassatività vigente in materia, la nomina come difensore di ufficio di un professionista non inserito in detto elenco non può ritenersi affetta da nullità, perché non incide sull'assistenza tecnica che deve essere assicurata all'interessato (39010/2008).

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C.p.p. art. 29 Cessazione del conflitto COMMENTO La norma in commento non pone problemi interpretativi di particolare rilievo nel suo riferirsi al più semplice dei possibili esiti del conflitto tra organi giudicanti, cioè la cessazione spontanea del medesimo mediante provvedimento con il quale uno dei “contendenti” dichiara la propria competenza (nell'ipotesi di conflitto negativo) o la propria incompetenza (nell'ipotesi di conflitto positivo). Sono tuttavia opportune alcune puntualizzazioni in merito a specifici profili di un meccanismo che risulta chiaramente conforme ai principi di celerità e di speditezza nella definizione della vicenda processuale. In primo luogo la disposizione deve necessariamente intendersi come riferita anche alle fattispecie di conflitto di giurisdizione, altrimenti non si comprenderebbe la ragione di un loro trattamento diversificato. Peraltro, mancando qualsiasi accenno al termine entro cui deve verificarsi la composizione spontanea del conflitto, è possibile ritenere che tale evenienza possa realizzarsi, a differenza di quanto previsto dal codice previgente, anche dopo che la questione sia stata sollevata al cospetto della Corte di Cassazione. Infine, riguardo alla forma del provvedimento considerato dalla disposizione in esame, la legge non impone alcuna specifica formalità, per cui è sufficiente che la volontà del giudice sia manifestata in modo espresso contestualmente al compimento di uno degli atti della sequenza procedimentale.

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C.p.p. art. 30 Proposizione del conflitto GIURISPRUDENZA Non sono impugnabili tutti i provvedimenti negativi di competenza, abbiano essi la forma di sentenza o quella di ordinanza, in quanto, a norma dell'art. 28 c.p.p. – come, del resto, anche a norma dell'art. 51 del codice abrogato – tali provvedimenti, anche in sede di esecuzione, importano esclusivamente la elevazione del conflitto di competenza (1746/1990, rv 184954). Il conflitto di competenza, anche come caso analogo, è configurabile solo con riferimento a contrasto tra giudici, secondo quanto si desume dall'art. 28 c.p.p.; la denuncia di conflitto da parte del pubblico ministero, ai sensi dell'art. 30, secondo comma, c.p.p., deve avere ad oggetto un effettivo contrasto tra giudici, così che il P.M. non può inserirsi nella procedura deducendo l'eventualità di un contrasto tra giudici (3023/1991, rv 188360). È inoppugnabile il provvedimento del giudice che eleva conflitto di competenza (3402/1991, rv 188449). In presenza di un atto di parte, da questa qualificato come denuncia di conflitto, il giudice è tenuto a disporne l'immediata trasmissione alla Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 30, comma secondo, c.p.p., solo in quanto il contenuto dell'atto anzidetto corrisponda esattamente alle previsioni di cui all'art. 28 c.p.p., nel senso che, in base a quanto in esso rappresentato (indipendentemente dalla fondatezza o meno), sia astrattamente configurabile una situazione in cui, secondo la parte, vi siano due o più giudici che contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona. Tale condizione non si verifica, e l'adempimento anzidetto non deve, quindi, aver luogo, quando la parte non denunci, di fatto, alcun conflitto, ma si limiti a sollecitare il giudice affinché crei esso la situazione di conflitto, contestando la competenza attribuitagli da altro giudice. In tal caso il giudice, ove non ritenga di aderire a tale sollecitazione (nel qual caso risulterà applicabile il comma primo e non il comma secondo dell'art. 30 c.p.p.), dovrà considerare l'atto di

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parte alla stregua di una comune eccezione di incompetenza ovvero di una generica richiesta, formulata ai sensi dell'art. 121 c.p.p., provvedendo, quindi, di conseguenza (4817/1993, rv 196074). In difetto di una rilevazione positiva o negativa da parte di uno dei giudici procedenti in ordine agli effetti della connessione sulla competenza, le parti non sono legittimate a dedurre l'operatività di detti effetti in sede di risoluzione del conflitto di competenza da esse denunziato, ma hanno l'onere di dedurla davanti al giudice di merito e solo se dalla conseguente statuizione derivi un conflitto possono proporre denunzia (235/1994, rv 196668). È inammissibile la denuncia di conflitto di competenza non presentata per iscritto (2890/1994, rv 198946). In tema di conflitti negativi di competenza, deve ritenersi che spetta al giudice che rifiuta la competenza attribuitagli da altro giudice investire la Corte di Cassazione per la risoluzione del conflitto, giacché è dal suo comportamento che trae origine la situazione di stasi processuale caratteristica del conflitto stesso (1037/1995, rv 200592). Le sentenze che possono dar luogo a conflitti di giurisdizione o di competenza a norma dell'art. 28 c.p.p., pur non essendo impugnabili, non si sottraggono all'ulteriore controllo giurisdizionale, perché, qualora diano concretamente luogo al conflitto, questo viene sottoposto, per la risoluzione, alla Corte di Cassazione dal giudice di merito che lo rileva d'ufficio o su denuncia di parte, mentre nel caso che non diano luogo al conflitto, la questione relativa alla competenza può essere liberamente prospettata davanti al giudice che procede e dedotta anche come motivo di appello e, successivamente, di ricorso per Cassazione (4895/1996, rv 204640). È impugnabile anche la decisione di incompetenza allorché essa si ponga al di fuori del sistema processuale e non consenta, per carenza del necessario presupposto (insorgenza di un conflitto tra giudici a norma dell'art. 28 c.p.p.), l'accesso alla procedura prevista dagli art. 30 ss. stesso codice. (Fattispecie nella quale la Corte d'appello, investita quale giudice dell'esecuzione della revoca della sospensione condizionale della pena, aveva dichiarato la propria incompetenza senza indicare contestualmente il giudice competente

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e quindi senza consentire la denuncia di conflitto, determinando, così, la stasi del procedimento) (38394/2009).

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C.p.p. art. 30 Proposizione del conflitto COMMENTO La disposizione in esame regola le modalità di proposizione del conflitto innanzi ai giudici di legittimità, prevedendo due diverse tipologie di provvedimento legate alla qualità del soggetto processuale che assume l'iniziativa di proporre la questione. Nel caso in cui sia il giudice a rilevare la sussistenza del conflitto, ad esempio dopo aver ricevuto gli atti da parte di un altro ufficio giudiziario che abbia proclamato la propria incompetenza, lo stesso deve adottare un'ordinanza, non ricorribile, con la quale trasmette alla Corte di Cassazione copia di quegli atti del processo che, secondo la sua valutazione discrezionale, sono necessari al fine di risolvere la controversia, indicando, altresì, le parti e i loro difensori. Nel diverso caso in cui il conflitto sia sollevato dalle parti private o dal pubblico ministero, il provvedimento previsto dal legislatore è quello della denuncia con la quale le stesse manifestano la volontà volta all'instaurazione del procedimento incidentale davanti alla Suprema Corte. Posto che il provvedimento in questione deve necessariamente riferirsi ad un conflitto reale, già in corso, e non meramente potenziale, il giudice, presso la cui cancelleria vengono depositate la dichiarazione motivata di parte e la documentazione relativa, non può compiere alcuna delibazione circa la fondatezza della denuncia e l'opportunità di trasmetterla ai giudici di legittimità, dal momento che la norma delinea una sequenza procedimentale nella quale a carico del medesimo grava un vero e proprio obbligo di rimessione della questione innanzi all'organo deputato a risolverla. Proprio in ragione ciò, viene qualificato come abnorme il provvedimento con il quale il giudice procedente rifiuti di investire la Corte di Cassazione di una denuncia di parte volta a sollevare il conflitto (così Cassazione n. 3218 del 1991). L'ultimo comma, al fine di evitare che l'istituto in questione venga utilizzato dalle parti per ingiustificati scopi dilatori, prevede che tanto l'ordinanza quanto la denuncia non precludono la prosecuzione dei procedimenti in corso: proprio in relazione a questo principio si giustifica, peraltro, la previsione della trasmissione alla Corte di Cassazione non degli atti del processo ma delle relative copie.

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C.p.p. art. 31 Comunicazione al giudice in conflitto COMMENTO Questa disposizione integra il contenuto della precedente, dal momento che prevede un'ulteriore incombenza a carico del giudice che solleva il conflitto in via officiosa o a seguito di denuncia di parte, cioè la comunicazione del provvedimento all'altra autorità giurisdizionale coinvolta nella controversia. Il secondo comma chiarisce in modo inequivocabile lo scopo di detta comunicazione, prevedendo che il giudice destinatario della medesima trasmetta a sua volta alla Corte di Cassazione le copie degli atti ritenuti funzionali alla soluzione del conflitto corredati da sue eventuali osservazioni e dalla precisa indicazione delle parti e dei loro difensori. Con questo modello operativo, che il legislatore volutamente tratteggia in termini di rapidità e di speditezza, si realizza una sorta di contraddittorio anticipato tra i giudici in conflitto che risulta evidentemente funzionale a garantire un ampio panorama di elementi, costituito da documenti e osservazioni mirate da parte dei magistrati professionali coinvolti, in grado di supportare adeguatamente la pronuncia della Suprema Corte dal punto di vista della presa di coscienza dei diversi profili della vicenda controversa.

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C.p.p. art. 32 Risoluzione del conflitto GIURISPRUDENZA La decisione sulla competenza adottata dalla Corte di Cassazione che l'abbia riconosciuta in capo a giudice diverso da quello che ha disposto la misura cautelare personale, non implica l'annullamento del titolo della misura stessa, in quanto la sua caducazione non è automatica nel caso della declaratoria di incompetenza di quest'ultimo giudice e di trasmissione degli atti al giudice competente (3166/1992, rv 191758). In tema di conflitti di competenza, in ipotesi di dubbio sulla configurazione giuridica dei fatti-reato, la cognizione va attribuita al giudice competente in rapporto all'ipotesi astratta di maggiore gravità (4624/1992, rv 192592). Al fine di decidere sulle questioni di competenza, la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di esaminare gli atti processuali relativi al giudizio di merito (1972/1994, rv 197364). Se è vero che il giudice dell'udienza in preliminare, in applicazione dell'art. 279 c.p.p. e dell'art. 91 disp. att. c.p.p., resta competente anche dopo l'emissione del decreto di citazione a giudizio e fino a quando il suo ufficio, formato il fascicolo per il giudizio, non abbia trasmesso gli atti al giudice competente, è anche vero, però, che ai fini della verifica della competenza da parte della Corte di Cassazione, deve aversi riguardo al momento della decisione. Ne consegue che, qualora nelle more del giudizio di Cassazione per conflitto negativo di competenza gli atti siano stati trasmessi al giudice dibattimentale, va dichiarata la competenza di quest'ultimo, a nulla rilevando che, al momento di elevazione del conflitto, gli atti si trovassero presso l'ufficio del G.U.P. (4344/1994, rv 199648). La sentenza di incompetenza, quantunque non possa – a differenza di quanto accadeva nel codice di procedura penale del 1930 – essere annullata resta implicitamente caducata per effetto della decisione definitiva della Corte di Cassazione, vincolante sulla

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competenza ai sensi dell'art. 25 in relazione all'art. 32, comma terzo, c.p.p. (4629/1994, rv 199765). Nel caso di conflitto positivo di competenza per territorio determinato dalla cosiddetta continenza di regiudicande (delle quali l'una comprende, per la sua maggiore ampiezza riferita a un più lungo arco temporale, l'altra), va disposta la riunione degli atti del procedimento contenuto a quelli del procedimento principale e la concentrazione dei due procedimenti davanti al giudice presso il quale pende quello di maggiore ampiezza, sempreché sussista l'identità ontologica del fatto che abbia dato luogo in distinte sedi giudiziarie, per la sua totalità o per una parte di esso, ad altrettanti procedimenti, a nulla rilevando la diversità delle qualificazioni giuridiche, né la coincidenza soltanto parziale degli imputati (4234/1997, rv 208240). In tema di conflitto di competenza, è abnorme il provvedimento con il quale il giudice di merito dichiara inammissibile la denuncia di conflitto, senza investire la Corte di Cassazione cui spetta in via esclusiva ogni decisione al riguardo (1241/1998, rv 210197). Non v'è obbligo di rinnovazione nei venti giorni, a pena di perdita di efficacia, della misura cautelare a suo tempo disposta per il giudice per le indagini preliminari a cui gli atti sono restituiti dopo la loro trasmissione per competenza ad altro ufficio, a seguito della soluzione del conflitto negativo di competenza sollevato dal giudice "ad quem" e dopo l'emissione di un nuovo provvedimento ex art. 27 c.p.p. (5036/2010).

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C.p.p. art. 32 Risoluzione del conflitto COMMENTO La norma in commento individua le peculiarità del procedimento attraverso il quale la Corte di Cassazione si pronuncia sul conflitto di giurisdizione o di competenza e gli effetti del provvedimento da essa adottato. Il primo comma stabilisce che la decisione deve essere adottata rispettando le disposizioni generali relative al procedimento in camera di consiglio [127], le quali salvaguardano e garantiscono la partecipazione delle parti coinvolte all'udienza camerale. Questa scelta legislativa appare, pertanto, sicuramente funzionale alla realizzazione di un contraddittorio al cospetto della Suprema Corte nella cui sede soprattutto gli imputati, personalmente, se compaiono, o per il tramite dei rispettivi difensori, possano far valere il diritto ad ottenere una valutazione della loro posizione processuale da parte del giudice naturale precostituito per legge. L'operatività del contraddittorio tra le parti assolve, poi, ad un'ulteriore funzione cognitiva rispetto alla quale risultano chiaramente strumentali i poteri istruttori che la norma riconosce ai giudici di legittimità, i quali, oltre a considerare tutta la documentazione e le osservazioni provenienti dagli uffici giudiziari in conflitto nonché gli elementi emersi nel corso dell'udienza, possono, altresì, acquisire ulteriori informazioni, atti e documenti allo scopo di pervenire alla corretta qualificazione del fatto-reato, pregiudiziale alla risoluzione della controversia su giurisdizione e competenza. Sottolineato ancora una volta l'intento del legislatore di addivenire ad una rapida definizione del conflitto, come traspare dalla previsione dell'immediata comunicazione e notificazione dell'estratto della sentenza agli uffici giudiziari coinvolti e alle parti, nell'ultimo comma, mediante il richiamo ad altre disposizioni, vengono sanciti i principi dell'efficacia vincolante della pronuncia in relazione alla giurisdizione e alla competenza, salva l'eventuale emersione di fatti nuovi che comportino una modifica dell'imputazione [➠25], della conservazione di tutti gli atti processuali compiuti dal giudice incompetente [➠26] e della necessaria rinnovazione delle misure cautelari precedentemente disposte [➠27] entro un termine di venti giorni che, in questa situazione, decorrono dalla comunicazione della pronuncia.

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C.p.p. art. 33 Capacità del giudice COMMENTO 1. Il magistrato che presiede la Corte di assise di appello deve avere una qualifica non inferiore al magistrato di appello. 2. Provvedimenti relativi ai turni di servizio dei magistrati giudicanti assegnati all'ufficio stesso.

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C.p.p. art. 33 Capacità del giudice GIURISPRUDENZA La capacità del giudice deve sussistere all'atto della deliberazione del provvedimento giurisdizionale, nulla rilevando che essa venga meno successivamente, sì da risultare mancante all'atto in cui il provvedimento stesso, ancorché tardivamente, viene depositato in cancelleria (2974/1999, rv 213588). Costituisce mera irregolarità la violazione dell'art. 70, comma sesto, della L. 26 luglio 1975, n. 354 (ordinamento penitenziario) secondo cui il collegio del tribunale di sorveglianza deve essere composto anche dal magistrato di sorveglianza nella cui giurisdizione si trovi il soggetto nei confronti del quale deve essere adottato il provvedimento, poiché si tratta di inosservanza riguardante la formazione di collegi e, pertanto, non attiene alla capacità del giudice ex art. 33, comma 2, c.p.p. e non configura alcuna nullità (26037/2003, rv 224943). L'assegnazione dei processi in violazione delle tabelle di organizzazione dell'ufficio può incidere sulla costituzione e sulle condizioni di capacità del giudice, determinando la nullità di cui all'art. 33, comma primo, c.p.p. non in caso di semplice inosservanza delle disposizioni amministrative, ma solo quando si determini uno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell'ordinamento giudiziario, per la violazione di norme quali quelle riguardanti la titolarità del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l'obbligo di motivazione dei provvedimenti (46244/2012).

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C.p.p. art. 33 Capacità del giudice COMMENTO Il legislatore, al fine di dare concreta attuazione al precetto costituzionale del giudice naturale precostituito per legge di cui all'art. 25 della Carta Fondamentale, individua in modo puntuale le norme che determinano la capacità del giudice e quelle che stabiliscono il numero dei componenti necessari per la costituzione del collegio giudicante, riferendosi in modo specifico alle disposizioni dell'Ordinamento giudiziario ed eliminando, così, in radice qualunque spazio di discrezionalità da parte dell'ufficio giudiziario competente. Tale impostazione si riflette nello stretto legame intercorrente tra l'eventuale insussistenza di dette condizioni e le conseguenze caducatorie previste dall'art. 178, comma 1, le quali si concretizzano in una nullità assoluta significativa della rilevanza attribuita dal codice di rito a peculiari previsioni ordinamentali. Vi sono, tuttavia, degli ambiti che non rientrano nel raggio di azione della sanzione definitiva predetta, proprio perché non ritenuti dal legislatore strettamente attinenti ai profili della capacità di chi è chiamato ad esercitare la funzione giurisdizionale, trattandosi, viceversa, di aspetti di carattere puramente organizzatorio rimessi alle valutazioni discrezionali compiute da organi amministrativi, al fine di assicurare il buon andamento e la funzionalità dei pubblici uffici in questione. In particolare si fa riferimento, secondo quanto prescritto dal secondo comma della norma in commento, alla: – destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni; – formazione dei collegi; – assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici; – attribuzione degli affari penali al tribunale collegiale o monocratico. Tra le fattispecie patologiche prefigurabili rispetto a quanto previsto nel primo comma, si deve ritenere che accanto all'ipotesi di pronuncia emessa da colui che non è investito del potere di giudicare (non-iudex) debbano essere annoverati i vizi relativi alla qualifica specificamente richiesta per l'esercizio delle funzioni giudiziarie di grado particolare (esempio n. 1). La formazione dei collegi cui fa riferimento il secondo comma, invece, non riguarda il numero dei giudici necessari a costituire l'organo decidente, poiché tale profilo è regolato da disposizioni che devono essere rispettate a pena di nullità secondo quanto previsto dall'art. 178. Al contrario, deve ritenersi che tale previsione attenga alla composizione dell'organo giudicante nell'ipotesi di assegnazione all'ufficio di un numero di giudici superiore a quello richiesto, alle supplenze ed alle applicazioni (esempio n. 2). Infatti, motivi di politica legislativa e soprattutto di organizzazione degli uffici giudiziari impongono di escludere tali fattispecie dal novero di quelle afferenti alla capacità del giudice, proprio per l'impossibilità di controllare le eventuali sostituzioni temporanee degli organi giudicanti.

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L'assegnazione dei processi alle sezioni, ai collegi ed ai giudici si riferisce alla distribuzione concreta delle cause, operata dal dirigente delle sezioni e dal presidente del tribunale, tra i diversi magistrati incardinati nello stesso ufficio: si tratta anche qui, evidentemente, di problematiche puramente organizzative per le quali il legislatore ha opportunamente evitato di prospettare la nullità assoluta. Infine, l'ultima previsione è collegata alla introduzione nel nostro ordinamento del giudice unico monocratico attraverso il D.Lgs. n. 51 del 1998 che ha abrogato l'ufficio del pretore e tutte le sue competenze attribuendole al giudice monocratico. Anche in tali casi si tratta di questioni eminentemente pratiche, relative alla distribuzione del carico giudiziario tra gli organi giudicanti, che occorre affrontare e risolvere conformemente a quanto stabilito dalla legge.

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C.p.p. art. 33 bis Attribuzioni del tribunale in composizione collegiale GIURISPRUDENZA Il disposto di cui all'art. 33 bis c.p.p., comma 1, lett. n), per il quale è attribuita al tribunale in composizione collegiale la competenza per il “delitto previsto dall'art. 29, secondo comma, della legge 13 settembre 1982, n. 646 in materia di misure di prevenzione”, trova applicazione soltanto con riguardo a reati che abbiano natura finanziaria, valutaria o societaria e siano stati commessi da soggetti sottoposti con provvedimento definitivo a misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa, ovvero siano stati condannati con sentenza definitiva per il delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso (45798/2001, rv 220376). Pur dopo l'entrata in vigore del d.l. 12 febbraio 2010 n. 10 (Disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale), conv. nella l. 6 aprile 2010 n. 52, che ha attribuito al tribunale la competenza per l'associazione di tipo mafioso pluriaggravata, già rientrante, per effetto della l. n. 251 del 2005, in quella della Corte d'assise, a quest'ultima continua ad appartenere la competenza per detto reato in ordine a quei procedimenti nei quali non sia stato ancora dichiarato aperto il dibattimento, ma sui quali eserciti "vis attractiva" per connessione altro procedimento per lo stesso fatto pendente in fase dibattimentale dinanzi alla Corte medesima. (Nella specie, relativa a conflitto negativo, il procedimento non ancora in fase dibattimentale, iniziato nei confronti di promotore di un'associazione mafiosa, era stato separato dal troncone principale, ma non era approdato ancora al dibattimento, come quello principale, in corso di celebrazione dinanzi alla Corte d'assise, designata come giudice competente dalla Corte di cassazione in sede di risoluzione di precedente conflitto) (27254/2010).

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C.p.p. art. 33 bis Attribuzioni del tribunale in composizione collegiale COMMENTO La norma in commento disciplina il riparto di competenza tra il tribunale in composizione collegiale e quello in composizione monocratica, esprimendosi nei termini innovativi di “attribuzione dei reati” all'organo giudicante nelle sue diverse configurazioni. Si tratta di una disciplina che, in realtà, esula dagli ambiti relativi alla competenza vera e propria, essendo ricollegabile ad una dinamica di ripartizione dei procedimenti penali che opera solo in un momento successivo all'applicazione degli artt. 4 e ss. Il legislatore ha, pertanto, coniato un parametro di distribuzione degli affari penali nuovo e ulteriore rispetto a quello generale della competenza, con l'intento di razionalizzare la distribuzione delle regiudicande tra i diversi uffici giudiziari che risultano egualmente competenti secondo l'applicazione dei principi generali, conferendo maggiore snellezza al procedimento, anche in chiave di efficienza processuale. La conseguenza è che nel caso di erronea attribuzione di una causa al collegio anziché al giudice monocratico, o viceversa, non sarà necessario intervenire con l'incidente di competenza, ma basterà sollevare l'eccezione dinanzi al giudice adito il quale, rilevata la mancanza di poteri a conoscere della causa, la rimetterà al magistrato competente. L'attribuzione delle cause al collegio avviene sulla base di un principio quantitativo (pena edittale della reclusione superiore nel massimo a 10 anni) e di un criterio qualitativo connesso alla valutazione, nella prassi, della gravità del reato consumato o tentato, rispetto alla quale l'ordinamento ritiene adeguata la predisposizione di un meccanismo di cognizione peculiare per la sua collegialità. Sono, peraltro, previste alcune deroghe importanti rispetto al limite edittale suddetto, attinenti alla materia delle armi e degli esplosivi, ai delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione e, più in generale, ai delitti contro l'incolumità pubblica, i quali, a causa della gravità del fatto e del particolare rilievo riconosciuto all'interesse pubblico leso, sono attribuiti al collegio anche se la pena non supera il decennio. Il comma 2 dell'articolo 8 della L. 28 aprile 2015, n. 58 (Ratifica ed esecuzione degli Emendamenti alla Convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari del 3 marzo 1980, adottati a Vienna l'8 luglio 2005, e norme di adeguamento dell'ordinamento interno), ha novellato la lettera c) del comma 1 del presente articolo inserendo il nuovo delitto di “Attentato alla sicurezza delle installazioni nucleari” di cui all'art. 433-bis c.p. (aggiunto dal comma 1 del predetto art. 8) tra quelli attribuiti alla competenza del tribunale in composizione collegiale. L’art. 2, co. 2, D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, recante “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103”, al fine di coordinare le disposizioni contenute nel codice di procedura penale con le modifiche

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apportate dal predetto decreto al codice penale, ha sostituito la lettera l), art. 33-bis, comma 1, c.p.p., prevedendo che sono attribuiti al tribunale in composizione collegiale i delitti previsti dall’art. 593 ter c.p. (nel quale è stata trasposta la disciplina precedentemente contenuta nell’art. 18, legge 22 maggio 1978, n. 194). Allo stesso modo, l’art. 4, comma 2, D.Lgs. 21/2018 cit. ha sostituito la lettera o) dell’art. 33-bis, comma 1, c.p.p., attribuendo al tribunale in composizione collegiale i delitti previsti dall’art. 493-quater c.p. (nel quale è stata trasposta la disciplina precedentemente contenuta nell’art. articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, in materia di trasferimento fraudolento di valori).

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C.p.p. art. 33 ter Attribuzioni del tribunale in composizione monocratica GIURISPRUDENZA In tema di riparto delle “attribuzioni” in relazione alla composizione del giudice, il reato di diffamazione commesso col mezzo della stampa è attribuito alla cognizione del giudice in composizione monocratica, giacché la disposizione dell'art. 21 legge 8 febbraio 1948, n. 47 – che indicava il “tribunale” quale organo pluripersonale competente a giudicare il reato in questione – risulta oramai superata dalla nuove norme di ordinamento giudiziario e da quelle processuali che enunciano la regola generale della composizione monocratica del tribunale salvo tassative deroghe espressamente stabilite dalla legge e non è consentita una interpretazione estensiva che prefiguri ulteriori riserve di collegialità per fattispecie di reato, in origine attribuite da leggi speciali al tribunale o al pretore, in relazione alla particolare rilevanza della materia o del bene giuridico tutelato (16668/2001, rv 219501). Il conflitto negativo insorto tra il tribunale in composizione monocratica ed il tribunale in composizione collegiale, perché i due giudici rifiutano di prendere cognizione del medesimo fatto, riservato dalla legge all'organo monocratico in base all'art. 33-ter c.p.p. ma oggetto di un procedimento penale già in corso alla data di efficacia del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (prorogata al 2 gennaio 2000 dall'art. 3, comma 2 bis, lett. f ), del D.L. 24 maggio 1999, n. 145, convertito nella legge 22 luglio 1999, n. 234), va risolto alla luce dell'art. 222, comma 2, del D.Lgs. n. 51 del 1998, il quale ripartisce le attribuzioni dei due organi sulla base dell'avvenuto (o meno) controllo entro la data suddetta della regolare costituzione delle parti, effettuata la quale il processo prosegue, sulla base delle disposizioni previgenti, davanti all'organo collegiale (17488/2001, rv 218776). La disciplina transitoria del riparto di attribuzione tra giudice collegiale e giudice monocratico contenuta negli artt. 219 e seguenti

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del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, nel testo modificato dal D.L. 24 maggio 1999, n. 145, convertito nella legge 22 luglio 1999, n. 234 determina l'immediata applicabilità delle nuove disposizioni sulla cognizione da parte del tribunale in composizione monocratica o collegiale se alla data del 2 gennaio 2000 (stabilita dall'art. 247, comma 2 bis, del D.Lgs. n. 51 del 1998) non sia stato compiuto alcuno degli atti introduttivi e si versi ancora nella fase degli atti preliminari al dibattimento (24839/2001, rv 219219).

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C.p.p. art. 33 ter Attribuzioni del tribunale in composizione monocratica COMMENTO La disposizione in esame specifica le attribuzioni del tribunale in composizione monocratica, utilizzando una duplice tecnica legislativa di individuazione degli ambiti oggetto di cognizione. In via generale, le attribuzioni del giudice monocratico si ricavano “per sottrazione” rispetto a quelle riconosciute in capo al tribunale collegiale, senza ricorrere ad una tassativa elencazione delle diverse figure criminose passibili di accertamento ed utilizzando, quindi, un criterio residuale. Peraltro nel primo comma viene usato un sistema di radicamento dell'attribuzione differente, poiché il legislatore richiama espressamente i reati in materia di stupefacenti (ex T.U. n. 309 del 1990) la cui cognizione, si è ritenuto, non richiede la valutazione congiunta dei tre membri del collegio, essendo facilmente eseguibile anche dal magistrato monocratico. Inoltre la previsione in esame, nel subordinare l'attribuzione suddetta alla non ricorrenza di alcuna delle aggravanti specifiche previste dall'art. 80 del citato testo unico, non considera le altre circostanze aggravanti che sarebbero in grado di determinare un incremento quantitativo della pena irrogabile, con la conseguente cognizione da parte del giudice collegiale in forza di quanto previsto dall'articolo precedente. In realtà, non si tratta di una lacuna legislativa, bensì di una precisa opzione legata non solo alla semplicità dell'attività di accertamento, ma anche alla considerazione dell'elevato numero di fattispecie concrete di questo tipo sottoposte al vaglio dell'autorità giudicante, in grado, perciò, di incidere notevolmente sul carico giudiziario e sull'efficienza dell'amministrazione della giustizia.

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C.p.p. art. 33 quater Effetti della connessione sulla composizione del giudice COMMENTO La norma in commento si limita a dettare una regola specifica destinata ad operare per l'ipotesi di connessione tra regiudicande appartenenti alla cognizione del giudice monocratico e regiudicande attribuite al collegio, non potendosi applicare analogicamente alla fattispecie in oggetto la disposizione di cui all'art. 15 nella quale vengono in rilievo le sfere di competenza di giudici di grado diverso. Rinviandosi a quanto precedentemente esposto in materia di presupposti ed effetti della connessione tra procedimenti [12 ss.], occorre solo evidenziare come il legislatore, nell'imporre l'attribuzione “complessiva” delle cause al giudice collegiale, sembra aver privilegiato il valore della più approfondita ponderazione garantita dall'operare congiunto dei tre magistrati componenti il collegio rispetto alla speditezza dello sviluppo procedimentale assicurata dal giudice monocratico.

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C.p.p. art. 33 quinquies Inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale GIURISPRUDENZA È ammissibile il conflitto fra tribunale in composizione monocratica e tribunale in composizione collegiale, operanti nella stessa sede, giacché, pur trattandosi di organi appartenenti al medesimo ufficio giudiziario, l'eventuale inosservanza delle disposizioni relative alle rispettive competenze non è considerata dalla legge come questione di mera distribuzione degli affari interni all'ufficio, risolvibile, come tale, con interventi ordinatori del dirigente, ma dà luogo ad un vizio suscettibile di essere eccepito o rilevato ai sensi dell'art. 33 quinquies c.p.p. e di dar anche luogo, in tal caso, ai sensi dell'art. 33-octies stesso codice, all'annullamento della sentenza e alla regressione del procedimento (27070/2001). Quando la Corte di cassazione, in seguito all'accoglimento del ricorso immediato del p.m., dia al fatto una nuova e diversa qualificazione giuridica, con conseguente riconducibilità del reato nelle attribuzioni del tribunale in composizione collegiale e nel novero di quelli per i quali è previsto lo svolgimento dell'udienza preliminare e questa non si sia tenuta, deve annullare senza rinvio la sentenza del tribunale, in composizione monocratica, e trasmettere gli atti al p.m. (Fattispecie in cui il tribunale, in composizione monocratica, aveva dichiarato non doversi procedere per estinzione del reato di omessa comunicazione della detenzione di armi, di cui all'art. 38 t. u.l.p.s., diversamente qualificato dalla Corte di cassazione nel delitto di detenzione di armi da sparo di cui agli art. 2 e 7 l. 2 ottobre 1967 n. 865 e succ. modd.) (43230/2009). È affetta da abnormità l'ordinanza del giudice monocratico che, ad udienza preliminare svolta, in considerazione della attribuzione al giudice collegiale del reato per cui si procede, disponga la trasmissione degli atti al p.m. anziché al tribunale in composizione collegiale, determinando la stessa un'indebita regressione del procedimento nonché una situazione di stallo. (Nella specie, peraltro, la Corte ha ordinato la trasmissione degli atti al tribunale

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collegiale e non già a quello monocratico nonostante la rilevazione effettuata dal giudice oltre i termini di cui all'art. 33 quinquies c.p.p., stante la necessità comunque di una corretta applicazione delle disposizioni in tema di attribuzione dei reati) (43193/2012).

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C.p.p. art. 33 quinquies Inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale COMMENTO La disposizione in commento, come emerge dal suo stesso tenore letterale, ha evidentemente carattere generale dal momento che si riferisce a tutte le ipotesi di inosservanza sia delle norme relative alle attribuzioni del tribunale nelle sue distinte composizioni sia di quelle attinenti ai diversi moduli procedimentali attraverso cui può dipanarsi la vicenda processuale innanzi all'organo chiamato a pronunciarsi, a seconda che si tratti di collegio o di giudice monocratico. La rilevanza dei precetti in questione, ai fini del rispetto dei principi costituzionali del giudice naturale precostituito per legge e dell'inviolabilità del diritto di difesa, è sottolineata dalla stessa eventualità, normativamente prefigurata, che a far valere le patologie riscontrate siano non solo le parti, attraverso la proposizione delle relative eccezioni, ma lo stesso magistrato giudicante mediante un'iniziativa officiosa. Tutto il sistema si caratterizza per un rigido complesso di decadenze e preclusioni funzionali ad una sollecita definizione delle questioni rilevate o sollevate. Infatti l'eventuale violazione dei precetti del codice di rito deve necessariamente evidenziarsi entro la conclusione dell'udienza preliminare o, in sua mancanza, prima che sia ultimato il compimento degli atti preliminari al dibattimento. Nel caso in cui la relativa eccezione sia stata respinta all'udienza preliminare, essa potrà essere riproposta entro lo stesso termine in cui devono essere affrontate le questioni pregiudiziali al dibattimento. Peraltro deve ritenersi che, sebbene la norma sembri riferirsi esclusivamente all'iniziativa di parte, la stessa scadenza debba essere rispettata dal giudice del dibattimento che intenda rilevare il vizio trascurato o ritenuto insussistente dal giudice dell'udienza preliminare.

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C.p.p. art. 33 sexies Inosservanza dichiarata nell'udienza preliminare GIURISPRUDENZA La disposizione transitoria di cui all'art. 220 del D.Lgs. 19 febbraio 1998 n. 51 (norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado) – per la quale se alla data del 2 gennaio 2000 è stata fissata o è iniziata l'udienza preliminare per un reato attribuito alla cognizione del tribunale in composizione monocratica, l'udienza è tenuta con l'applicazione delle disposizioni anteriormente vigenti – non può ritenersi superata dalla nuova formulazione dell'art. 33-sexies c.p.p. (secondo cui se nell'udienza preliminare il giudice ritiene che per il reato deve procedersi con citazione diretta pronuncia ordinanza di trasmissione degli atti al P.M.), originariamente introdotto con l'art. 170 del D.Lgs. n. 51 del 1998 citato e successivamente modificato, con l'art. 47 della legge 16 dicembre 1999 n. 479, atteso che la disciplina codicistica, per quanto sopravvenuta, regola esclusivamente le situazioni a regime, mentre la norma transitoria è destinata a sopperire le temporanee esigenze del periodo di transizione da vecchio a nuovo sistema (3274/2000, rv 217854). Non è abnorme il provvedimento del G.I.P. il quale, all'udienza preliminare, su eccezione della difesa, abbia rimandato gli atti al P.M. perché provveda alla citazione diretta di persona imputata di furto aggravato commesso in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 128 del 2001 – abrogatrice dell'art. 625 c.p., primo comma, n. 1, – in quanto, stante il principio di ultrattività della legge più favorevole, il G.I.P. ha correttamente esercitato il potere di cui all'art. 33-sexies c.p.p. (18235/2003, rv 224405). Non è abnorme e non è conseguentemente ricorribile per cassazione il provvedimento con cui il giudice dell'udienza preliminare, previa riqualificazione dei fatti oggetto dell'imputazione, ordini la restituzione degli atti al p.m. perché proceda nelle forme della citazione diretta a giudizio (41037/2009). È abnorme in quanto determina una indebita regressione del processo, il provvedimento del giudice dell'udienza preliminare il quale, investito della

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richiesta di rinvio a giudizio per un reato che preveda la celebrazione dell'udienza preliminare, disponga, previa riqualificazione giuridica del fatto, la restituzione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell'art. 33 sexies cod. proc. pen., perchè proceda con citazione diretta (10666/2015). È abnorme, in quanto determina una indebita regressione del processo, il provvedimento del giudice dell’udienza preliminare il quale, investito della richiesta di rinvio a giudizio per un reato che prevede la celebrazione dell’udienza preliminare, disponga, previa riqualificazione giuridica del fatto, la restituzione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell’art. 33-sexies cod.proc.pen., affinchè si proceda con citazione diretta (10531/2018).

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C.p.p. art. 33 sexies Inosservanza dichiarata nell'udienza preliminare COMMENTO La norma in esame prende in considerazione la situazione in cui la violazione delle regole sull'attribuzione dei reati o di quelle processuali collegate emerga in sede di udienza preliminare, evidentemente al cospetto del Tribunale in composizione collegiale. In questa eventualità il giudice, laddove, sulla base dell'imputazione formulata nella richiesta di rinvio a giudizio, rilevi che i fatti contestati corrispondano alla fattispecie astratta di un reato per cui si debba procedere con citazione diretta a giudizio ex art. 550, non adotta di sua iniziativa tale provvedimento ma dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero affinché questi emetta il decreto previsto dall'art. 552. Il richiamo, contenuto nel secondo comma, relativo alle norme previste dai commi 2 e 3 dell'art. 424 permette di ritenere che la lettura dell'ordinanza con cui l'organo giudicante dichiara il difetto di attribuzione equivalga alla notifica del provvedimento stesso ai presenti, cosicché sarà necessario procedere ad una successiva notifica solo nei confronti delle parti assenti o di quelle che non dovevano considerarsi presenti all'udienza preliminare, secondo le norme del codice di rito. L'interesse perseguito appare, quindi, quello di contemperare l'aspettativa ad un corretto svolgimento del processo con il valore della speditezza del medesimo, anche se l'impossibilità per il giudice di sostituirsi all'accusa in sede di correzione del decreto di citazione comporta, senza dubbio, un dilatarsi dei tempi processuali. Pertanto, una volta dichiarata la violazione, si procederà secondo le disposizioni previste dal Libro VII relativamente alla formazione del fascicolo, alla trasmissione degli atti al giudice dell'udienza dibattimentale ed al compimento di atti urgenti.

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C.p.p. art. 33 septies Inosservanza dichiarata nel dibattimento di primo grado GIURISPRUDENZA La perdita di efficacia della misura cautelare nel caso di vano decorso del termine di venti giorni dalla dichiarazione di incompetenza del giudice che l'ha disposta non ha luogo nel caso in cui il tribunale monocratico, erroneamente investito del giudizio direttissimo in ordine a reati attribuiti alla cognizione del giudice collegiale, abbia trasmesso gli atti al pubblico ministero a norma dell'art. 33-septies c.p.p., comma 2, in quanto la questione relativa rientra tra quelle attinenti al rito e non alla competenza, posto che il tribunale è un ufficio unitario, nell'ambito del quale non possono configurarsi casi di conflitto (27703/2003, rv 225180).

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C.p.p. art. 33 septies Inosservanza dichiarata nel dibattimento di primo grado COMMENTO L'articolo in commento, nel disciplinare la situazione in cui l'inosservanza delle regole sull'attribuzione della cognizione si evidenzi nel dibattimento di primo grado determinando, così, il giudice procedente a disporre con ordinanza la trasmissione degli atti, predispone un duplice modulo procedimentale a seconda che il dibattimento sia stato instaurato in seguito ad udienza preliminare oppure che essa non vi sia stata. Nel primo caso, l'organo giudicante, evidentemente in composizione collegiale, deve semplicemente trasmettere gli atti al giudice monocratico competente a conoscere i fatti oggetto di imputazione, senza, perciò, che tale evenienza implichi una regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari. Nel secondo caso, invece, poiché l'imputato è stato indebitamente privato sia della garanzia di un esame a monte circa la fondatezza dell'accusa a suo carico sia degli altri vantaggi derivanti dalla trattazione collegiale della sua posizione, il giudice monocratico deve trasmettere tutti gli atti al pubblico ministero affinché questi emetta la richiesta di rinvio a giudizio, determinando, in tal modo, una regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, giustificata dall'esigenza di tutelare adeguatamente il diritto di difesa dell'accusato. Il legislatore specifica, infine, che anche in questo caso, così come nella situazione prefigurata dall'articolo precedentemente analizzato, la lettura dell'ordinanza che fissa la nuova udienza sostituisce la citazione e gli avvisi per tutti coloro che erano o dovevano considerarsi presenti a norma di legge.

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C.p.p. art. 33 octies Inosservanza dichiarata dal giudice di appello o dalla corte di cassazione GIURISPRUDENZA L'inosservanza delle disposizioni sull'attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale collegiale in luogo di quello monocratico, non legittima l'annullamento della sentenza di primo grado da parte della Corte di appello, neppure se la relativa eccezione sia stata tempestivamente formulata ed in seguito riproposta con i motivi di impugnazione, operando in tal caso la regola posta dall'art. 33 octies, comma secondo, c.p.p., secondo cui il giudice di appello pronuncia nel merito anche quando riconosca che il reato avrebbe dovuto essere oggetto di cognizione da parte del giudice monocratico (2416/2009). Il giudice di appello che conferisca al fatto una qualificazione giuridica più grave, in relazione alla quale sia prevista (a differenza che per quella contestata) la cognizione del tribunale in composizione collegiale e non monocratica, non deve annullare la sentenza, dato che la prescrizione in tal senso (posta nell'art. 33 octies c.p.p.) riguarda il caso di diretta violazione delle regole sul riparto di attribuzione e non nel caso in cui il giudice monocratico si sia pronunciato su una fattispecie effettivamente rimessa alla sua valutazione (18607/2010).

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C.p.p. art. 33 octies Inosservanza dichiarata dal giudice di appello o dalla corte di cassazione COMMENTO Anche nel contesto della norma in commento il legislatore opera una distinzione dei moduli procedimentali utilizzabili in relazione al diverso organo giurisdizionale che rileva il difetto di attribuzione, delineando un sistema la cui portata può essere colta in modo esatto solo interpretando ciascuno dei due commi alla luce dell'altro. Tentando di schematizzare il contenuto di una disposizione funzionale a garantire la più ampia esplicazione del diritto di difesa dell'imputato anche nelle ipotesi in cui il processo abbia superato il primo grado di merito, va detto che qualora la violazione delle norme codicistiche sia fatta valere dinanzi alla Corte di Appello si delineano due possibili scenari. Se il giudice di secondo grado ritiene che il reato rientri nelle attribuzioni del giudice collegiale annulla la sentenza impugnata ed ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il tribunale affinché questi eserciti l'azione penale mediante la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416, purché il vizio sia stato tempestivamente eccepito ai sensi dell'art. 33 quinquies e riproposto nei motivi di appello. Laddove, invece, il giudice dell'impugnazione rilevi che la titolarità della cognizione spettava all'organo monocratico, e non a quello collegiale che si è pronunciato, lo stesso deve emettere direttamente sentenza nel merito, dal momento che, in questo caso, è prefigurabile un eccesso di garanzie per l'imputato che non giustifica una regressione del processo. Nel caso in cui il vizio di attribuzione sia rilevato o sollevato innanzi alla suprema Corte, essa, in quanto giudice di legittimità, potrà necessariamente procedere solo all'annullamento della sentenza impugnata, sia per l'ipotesi di “eccesso” sia per quella di “difetto” di attribuzione, sempre nel presupposto che sia mancato il giudizio di appello (sentenza inappellabile o ricorso per saltum). Tuttavia nel caso in cui la cognizione sia stata esercitata dal giudice monocratico al posto di quello collegiale, la Cassazione trasmetterà gli atti al pubblico ministero operante presso il giudice di primo grado; viceversa, nell'ipotesi di “eccesso di attribuzione” (cognizione esercitata dal giudice collegiale anziché da quello monocratico), la trattazione della causa dovrà essere rinviata al giudice competente per l'appello, poiché, laddove lo stesso avesse rilevato il vizio, avrebbe dovuto pronunciarsi direttamente nel merito.

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C.p.p. art. 33 nonies Validità delle prove acquisite COMMENTO La disposizione di chiusura del Capo in commento sancisce due principi fondamentali in merito agli effetti che vengono prodotti dalla violazione dei precetti sulla composizione monocratica o collegiale del tribunale in relazione all'attività procedimentale posta in essere, cioè la validità degli atti già compiuti e l'utilizzabilità delle prove acquisite fino al momento in cui emerge il vizio di attribuzione. Riguardo al primo profilo risulta evidente l'operatività del generale principio di conservazione degli atti, il quale, tuttavia, in questo caso finisce per equiparare due situazioni (eccesso di attribuzione e difetto di attribuzione) tra loro profondamente diverse, dal momento che laddove il giudice monocratico abbia esercitato i poteri di cognizione riguardo a reati riservati alla trattazione collegiale risulta evidente il deficit di garanzie che in qualche modo pregiudica la posizione dell'imputato. Circa l'utilizzabilità delle prove già acquisite, il legislatore ripropone un meccanismo di salvaguardia analogo a quello cui ricorre nella peculiare ipotesi del giudice incompetente di cui all'art. 26, senza le limitazioni che in quella sede vengono ricollegate alla incompetenza per materia.

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C.p.p. art. 34 Incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento COMMENTO 1. Il giudice che abbia dichiarato il fallimento di un imprenditore può pronunciarsi su una sua eventuale responsabilità penale per bancarotta fraudolenta. 2. Prima della novella legislativa che ha distinto le funzioni di GIP e GUP, la richiesta avanzata dal GIP al pubblico ministero di formulare l'imputazione non ne precludeva la partecipazione all'udienza preliminare poiché all'esito della stessa il giudice non deve compiere nessuna valutazione di merito (così Corte Costituzionale n. 24 del 1996). 3. Il giudice del dibattimento che rinvia gli atti al pubblico ministero a norma dell'art. 521, comma 2, perché il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio, non può successivamente pronunciarsi in un nuovo dibattimento sul medesimo fatto a carico del medesimo imputato (così Corte Costituzionale n. 455 del 1994). 4. Non può partecipare al giudizio dibattimentale il GIP che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato (così Corte Costituzionale n. 432 del 1995). 5. Il magistrato della pubblica accusa che ha condotto le indagini non può partecipare al collegio giudicante chiamato ad esprimersi sui medesimi fatti oggetto di imputazione. A chiarire ulteriormente ci ha pensato la Cassazione con sent. n. 12304 del 2005, laddove sostiene che il p.m. che ha esercitato le funzioni dell'accusa nei confronti di un imputato non può mai svolgere in seguito quelle di giudice nello stesso procedimento. Neanche se si è limitato a presenziare a una sola udienza, dove peraltro è stato solo deciso il rinvio del processo. 6. Si pensi all'adozione di una misura cautelare personale. Sul punto la giurisprudenza di legittimità (Cassazione n. 14316 del 2002) ha tuttavia precisato che non ricorre la causa di incompatibilità prevista dal comma 2 bis dell'art. 34 qualora, successivamente alla chiusura delle indagini preliminari e all'emissione del decreto di fissazione dell'udienza di prime cure, il giudice che sarà deputato a presiedere l'udienza preliminare adotti un provvedimento de libertate. 7. Provvedimento che dichiara la latitanza del soggetto o che dispone l'assunzione dell'incidente probatorio.

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C.p.p. art. 34 Incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento GIURISPRUDENZA La sentenza pronunciata in sede di rinvio alla cui deliberazione partecipi un magistrato che già abbia preso parte a quella della sentenza annullata non è viziata da incapacità del giudice né è ravvisabile violazione delle garanzie difensive, potendo la parte interessata ricusare quel magistrato (3329/1995, rv 201862). Il giudice che nel corso delle indagini preliminari ha emesso una misura cautelare reale può ben partecipare al dibattimento poiché il sequestro, al contrario delle misure cautelari personali, non presuppone una valutazione nel merito della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, ma solo la verifica della astratta configurabilità del reato (“fumus”). La questione di legittimità costituzionale relativa a tale compatibilità oltre ad essere infondata, è del tutto irrilevante se sollevata nel giudizio di appello perché l'eventuale partecipazione al giudizio di un giudice incompatibile non incide sulla capacità del giudice e non determina perciò nullità assoluta, ma costituisce un motivo di ricusazione ex art. 37 c.p.p. ed è perciò utilmente sollevabile entro i termini tassativi previsti dall'art. 38 c.p.p. (347/1996, rv 203718). L'art. 34 c.p.p. disciplina le situazioni di incompatibilità nell'ambito dello stesso procedimento, come è reso evidente sia dal tenore della rubrica (incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento), sia dal tenore della disposizione, che fa riferimento alle diverse fasi e ai diversi gradi del medesimo procedimento. Pertanto, non è ad esso riconducibile la situazione del giudice che abbia conosciuto dei fatti in altro procedimento (2057/1996, rv 206106). Il provvedimento di sospensione cautelativa di una misura alternativa, da adottarsi da parte del magistrato di sorveglianza, ai sensi dell'art. 51-ter c.p., nel caso in cui l'interessato abbia posto in essere comportamenti tali da determinare la revoca di detta misura, è un provvedimento meramente propedeutico all'investitura

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dell'organo collegiale (tribunale di sorveglianza) competente a decidere se dar luogo o meno alla suddetta revoca. Esso, pertanto, non essendo in alcun modo assimilabile al provvedimento con il quale venga concesso o negato un permesso premio, non può in alcun modo determinare incompatibilità del magistrato di sorveglianza a far parte, come previsto dall'art. 70, comma sesto, dell'ordinamento penitenziario, del collegio costitutivo del tribunale di sorveglianza che deve decidere sulla revoca. Tale disciplina manifestamente non si pone in contrasto con gli artt. 3, 25, 76 e 77 della Costituzione (4/1997, rv 206763). Poiché la previsione codicistica delle incompatibilità del giudice è finalizzata ad evitare che possa essere o apparire pregiudicata la tipica attività di “giudizio”, non può ravvisarsi tale situazione nella partecipazione all'udienza preliminare del giudice che abbia in precedenza applicato all'imputato una misura cautelare; e ciò in quanto in detta udienza il giudicante non è chiamato ad esprimere valutazioni sul merito dell'accusa bensì ha il compito istituzionale di verificare, attraverso una delibazione meramente processuale, la legittimità della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero, così svolgendo un'attività meramente strumentale che non risulta preordinata a quella attinente alla decisione del merito della causa (112/1997, rv 207127). L'espletamento del giudizio di rinvio da parte della medesima sezione del tribunale, purché in diversa composizione, invece che da una sezione diversa, pur contrastando con quanto espressamente previsto dall'art. 604, comma ottavo, c.p.p. e dall'art. 623 c.p.p., comma primo, lett. c), non integra una ipotesi d'incompatibilità ai sensi dell'art. 34 c.p.p. e non determina nullità (2226/1997, rv 209113). I giudici componenti il collegio per i reati ministeriali che, nello stesso processo, abbiano redatto la relazione motivata di richiesta di autorizzazione a procedere di cui all'art. 8, comma primo, della legge costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1 o emesso provvedimento di custodia cautelare, ovvero, in altro procedimento connesso, abbiano disposto il rinvio a giudizio del medesimo imputato per reati diversi, non si trovano in situazione d'incompatibilità, ex art. 34, comma terzo, c.p.p., a celebrare l'udienza preliminare, allorché nella medesima non siano chiamati ad esprimere giudizi sul merito

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dell'accusa ma solo a verificare la legittimazione della domanda di giudizio avanzata dal pubblico ministero (3896/1997, rv 209215). Non incide sul principio di terzietà del giudice l'avere in precedenza respinto la richiesta di patteggiamento avanzata da concorrenti nel medesimo reato per il quale l'imputato è tratto a giudizio. Per tale ragione è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede tale ipotesi come causa di incompatibilità (9622/1997, rv 208865). Non sussiste incompatibilità a partecipare al giudizio direttissimo del giudice che abbia convalidato l'arresto ed applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato. Infatti, secondo il codice di rito, lo stesso giudice che ha proceduto alla convalida è automaticamente designato a svolgere il giudizio direttissimo, rispetto al quale sono prodromici tutti quegli atti che lo stesso giudice deve compiere e che, proprio perché funzionali allo svolgimento di quel rito, non costituiscono pronunce autonome che possono determinare pregiudizio (2199/1998, rv 212113). Qualora un componente del collegio che ha dichiarato l'inammissibilità della richiesta di revisione abbia in precedenza partecipato al giudizio di merito, non sussiste alcuna causa di nullità ma si configura un'ipotesi d'incompatibilità la quale, stante la natura e la forma del procedimento di cui all'art. 634 c.p.p., può essere fatta valere con istanza di ricusazione solo successivamente alla pronuncia, e cioè quando, con la notifica dell'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità, detta causa è divenuta nota (5337/1998, rv 211665). Le cause d'incompatibilità per atti processuali precedentemente compiuti non incidono sulla capacità del giudice, ma costituiscono solamente motivo di ricusazione dello stesso da fare valere con la specifica procedura prevista “ad hoc” dal codice di procedura penale (6753/1998, rv 210999). In tema di annullamento con rinvio di un'ordinanza da parte della Suprema Corte, se il collegio chiamato a rivalutare la questione risulti composto da magistrati che già si erano pronunziati in merito, non sussiste causa di incompatibilità ai sensi dell'art. 34 c.p.p. Invero, la ipotesi di cui alla lettera a) dell'art. 623 c.p.p., a differenza di quanto previsto dalla lettera d) del medesimo articolo,

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non prevede che i componenti del collegio di rinvio siano diversi da quelli che emisero il provvedimento annullato (3629/1999, rv 212385). In tema di astensione e ricusazione l'incompatibilità derivante da atti già compiuti nello stesso o in procedimenti collegati deve essere circoscritta ai casi di duplicità del giudizio di merito sullo stesso oggetto e, cioè, di valutazione non formale, ma contenutistica sulla medesima regiudicanda (9573/1999, rv 214320). Quando il giudicante non entra nel merito del processo, ma si limita a prendere atto che manca il consenso del P.M. al patteggiamento, egli non esprime un giudizio, e quindi non respinge la richiesta di patteggiamento, ma rimane “in limine”, senza che trovi luogo l'incompatibilità per il magistrato il quale, decidendo sul patteggiamento, in qualsiasi modo entri nel merito (14266/1999, rv 214912). Qualora una parte che sostenga la presenza di una situazione di incompatibilità del giudice ai sensi dell'art. 34 c.p.p., e non abbia proposto tale questione con lo strumento della richiesta di ricusazione del giudice stesso nel relativo grado del procedimento in cui l'incompatibilità si sarebbe verificata, proponga o riproponga dinanzi alla Corte di Cassazione un'eccezione di legittimità costituzionale del citato art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede una determinata causa di incompatibilità, la questione di costituzionalità deve essere dichiarata irrilevante, in quanto un'eventuale sentenza di accoglimento da parte della Corte Costituzionale non potrebbe spiegare alcuna influenza sulla risoluzione della questione relativa all'incompatibilità, che dovrebbe essere in ogni caso respinta per la ragione pregiudiziale di non essere stata tempestivamente proposta per mezzo della ricusazione (285/2000, rv 215352). L'incompatibilità del giudice dell'udienza preliminare per atti compiuti quale giudice per le indagini preliminari ha efficacia, ai sensi dell'art. 247 del D.Lgs. 19 febbraio 1998 n. 51, come modificato dalla legge 16 giugno 1998 n. 188 e dall'art. 3 bis del D.L. 24 maggio 1999 n. 145, convertito dalla legge 22 luglio 1999 n. 234, solo a decorrere dal 2 gennaio 2000, con l'effetto che non può operare in procedimenti la cui udienza preliminare era in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 234 del 1999 (22 luglio

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1999) e si è conclusa, con il rinvio a giudizio dell'imputato, prima del 2 gennaio 2000. Né può porsi al riguardo un problema di legittimità costituzionale del sistema previsto dalla legislazione sopra richiamata, rientrando nelle scelte discrezionali del legislatore – come ritenuto dalla Corte Costituzionale – la valutazione della sorte dei processi in corso al momento dell'entrata in vigore di una nuova norma processuale e dei limiti della sua applicabilità, attraverso l'emanazione di norme transitorie, per loro natura di applicazione temporanea (316/2000, rv 215741). Nel caso in cui il magistrato abbia sporto denuncia nei confronti di persona che si trovi poi a dover giudicare, ricorre l'ipotesi di incompatibilità del giudice di cui all'art. 34, comma terzo, c.p.p., secondo cui non può esercitare nel procedimento l'ufficio di giudice la persona che ha sporto denuncia. La situazione indicata dalla norma si riferisce non solo al caso in cui il magistrato abbia sporto denuncia come privato, ma anche a quello in cui abbia denunciato il privato quale pubblico ufficiale che, nell'esercizio o a causa delle sue funzioni, abbia avuto notizia di un reato perseguibile d'ufficio. Ciò, sia perché anche in questo secondo caso v'è stato un apprezzamento dell'esistenza del “fumus” di un reato, sia perché l'ipotesi di incompatibilità ha il suo antecedente storico nell'art. 61 c.p.p. abrogato che tale incompatibilità riconduceva tanto al caso in cui il giudice avesse presentato rapporto, quanto a quello in cui avesse sporto denuncia; istituti allora distinti ma oggi non più diversificabili per la scomparsa dal nuova codice del lemma “rapporto” e per l'unificazione delle due ipotesi nell'istituto della “denuncia”, che ricomprende le fattispecie degli artt. 331 e 333 c.p.p. (2795/2000, rv 217025). Non può costituire valida ragione di ricusazione del giudice il fatto che questi – trattandosi di procedimento pendente alla data di efficacia del D.Lgs. 19 febbraio 1998 n. 51, recante norme sull'istituzione del giudice unico di primo grado, ed essendo stata avanzata richiesta di declaratoria predibattimentale di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ai sensi dell'art. 226 del medesimo decreto legislativo – abbia provveduto negativamente su detta richiesta, motivando sulla ritenuta insussistenza di una prospettata circostanza attenuante, in presenza della quale la

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prescrizione sarebbe stata da considerare maturata (3659/2000, rv 216823). Il limite entro il quale il principio costituzionale del giusto processo – sotto il profilo dell'imparzialità del giudice – è destinato a operare per il tramite dell'istituto dell'incompatibilità è rappresentato dallo svolgimento di attività valutative e decisionali nell'ambito dello stesso procedimento penale: di tal che, se il pregiudizio che si assume lesivo dell'imparzialità del giudice deriva da attività da questo compiute al di fuori del giudizio in cui è chiamato a decidere, si verte nell'ambito di applicazione degli istituti dell'astensione e della ricusazione, anch'essi preordinati alla salvaguardia della funzione giudicante, ma secondo una logica “a posteriori” e in concreto (3919/2000, rv 215314). In tema d'incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento, non può escludersi che, dalla sentenza di patteggiamento possa insorgere pregiudizio per il terzo, originariamente coindagato con il soggetto che ha patteggiato, perché, quantunque il presupposto pattizio di tale sentenza imponga al giudicante l'obbligo, non di dimostrare, in positivo, la responsabilità del soggetto, ma di verificare, in negativo, l'insussistenza di cause di non punibilità, tuttavia, qualora risulti che il giudice, anziché limitarsi al controllo giuridico ed alla verifica negativa sopra specificata, abbia invece, in concreto, proceduto a valutazioni di merito, suscettive di vulnerare la posizione del terzo, l'incompatibilità è configurabile, dovendo essere ricollegata non al patteggiamento in sé, bensì al fatto della specifica statuizione che, investendo – pur se incidentalmente – la posizione del terzo, realizza il pericolo di pregiudizio (9239/2001, rv 219277). L'art. 111, comma 2, Cost., nel testo modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, non ha creato nuove ipotesi di incompatibilità del giudice rispetto a quelle in precedenza già enucleabili dalle norme costituzionali relative alla giurisdizione ed in base alle quali la Corte Costituzionale, con numerose sentenze additive, ha innovato il disposto dell'art. 34 c.p.p. Ne consegue che in virtù dei principi del giusto processo inseriti nell'art. 111 Cost. non è sorta una nuova ipotesi di incompatibilità a partecipare al giudizio del giudice che abbia rigettato la richiesta di

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patteggiamento proposta da altri coimputati (10136/2001, rv 218319). La sent. 2 novembre 1996, n. 371 della Corte Costituzionale, con la quale si è dichiarata l'illegittimità del comma secondo dell'art. 34 c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare la sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata, non può esplicare i suoi effetti nell'ipotesi in cui il giudice di appello abbia pronunciato sentenza di applicazione della pena a carico di coimputati ai sensi dell'art. 599, comma quarto, c.p.p., perché in tal caso la valutazione ha avuto ad oggetto unicamente la congruità della pena da altri indicata, con riferimento necessario esclusivamente alla loro condotta e alla loro situazione soggettiva, e prescinde, perciò, del tutto dalla responsabilità, il cui accertamento è stato già eseguito in primo grado ed è divenuto definitivo per effetto automatico della rinuncia all'impugnazione sul punto (31974/2003, rv 225070). Non si configura alcuna ipotesi di incompatibilità ai sensi dell'art. 34 c.p.p. in capo al magistrato, già componente del tribunale del riesame chiamato a giudicare della legittimità di una misura coercitiva, che abbia, poi, fatto parte del medesimo tribunale, in qualità di giudice dell'appello avverso il rigetto di istanza di revoca della medesima misura (29690/2003, rv 225461). Deve essere esclusa la sussistenza dell'incompatibilità ex art. 34 c.p.p. del G.u.p. allorché questi abbia applicato la pena ex art. 444 c.p.p., su richiesta di coimputati concorrenti nel medesimo reato, posto che, in un tal genere di sentenza (che non contiene un accertamento di responsabilità nemmeno nei confronti degli stessi richiedenti) non può ritenersi implicita quella valutazione di responsabilità penale del terzo non patteggiante, che il giudice delle leggi (Corte cost. n. 371 del 1996) pone a base dell'individuazione delle cause di incompatibilità del giudice (38048/2004). I componenti della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, i quali abbiano adottato il provvedimento di rigetto della richiesta di non luogo a procedere avanzata dal P.G., non sono incompatibili a partecipare al successivo giudizio, in

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quanto il procedimento disciplinare nei confronti di magistrati ha natura eminentemente « monofasica » essendo affidato ad un unico organo per tutto il suo svolgimento e il provvedimento in oggetto presenta natura interlocutoria, implicando una valutazione provvisoria e non pregiudicante delle risultanze acquisite al momento della sua adozione (16277/2010). L'adozione di un provvedimento cautelare nel corso delle indagini non determina incompatibilità a partecipare al successivo giudizio per i componenti della sezione disciplinare, in quanto l'articolazione in organi distinti è del tutto estranea al procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati, nel quale tutti i provvedimenti sono attribuiti alla competenza di quello stesso giudice che deve pronunciare la decisione conclusiva (20159/2010). Deve escludersi costituisca indebita manifestazione del convincimento da parte del giudice, rilevante ai fini della sua ricusazione, la valutazione compiuta in sede di giudizio di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. (Fattispecie nella quale il giudice aveva respinto la richiesta di ammissione al gratuito patrocinio, ritenendo non sussistenti le condizioni fissate dalla legge sulla base dell'ipotesi dell'accusa che comportava la partecipazione dell'imputato ad attività connotate da elevata redditività) (26837/2012). L'ipotesi di incompatibilità, del giudice derivante dalla sentenza della Corte cost. n. 371/1996 - che ha dichiarato la incostituzionalità, dell'art. 34, 2° comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia stata comunque valutata -sussiste anche con riferimento alla ipotesi in cui il giudice del dibattimento abbia pronunciato in separato procedimento, sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti di un concorrente necessario dello stesso reato (S.U. 36847/2014). Non costituisce causa d'incompatibilità del giudice nè, conseguentemente, motivo di ricusazione, la mera circostanza che lo stesso abbia avuto conoscenza, in occasione dell'apposizione del visto sulla corrispondenza dell'imputato, di alcune comunicazioni tra questo ed i suoi difensori, quando tale potere non sia stato esercitato in violazione delle disposizioni di ordinamento penitenziario ovvero in modo da esprimere opinioni tali da far ipotizzare un'anticipazione del giudizio nei confronti dell'imputato medesimo (45167/2014). Il giudice che abbia emesso un provvedimento cautelare personale non è incompatibile a provvedere in ordine alla richiesta di giudizio immediato nei confronti dello stesso imputato e per lo stesso fatto (8/2015).

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Non sussiste alcuna valida causa di ricusazione del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in precedente procedimento nei confronti di alcuni coimputati e che successivamente concorra a pronunciare in separato processo altra sentenza nei confronti di altro concorrente nel medesimo reato, qualora la posizione di quest'ultimo, e, dunque, la sua responsabilità penale, non sia stata oggetto di valutazione di merito nel precedente processo (6797/2015). È infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di G.U.P. del giudice che, avendo ravvisato, nel corso dell’udienza preliminare, un fatto diverso da quello contestato, abbia invitato il P.M. a procedere, nei confronti dello stesso imputato e per il medesimo fatto storico, alla modifica dell’imputazione, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. (Corte cost. 18/2017).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di G.U.P. del giudice che, avendo ravvisato, nel corso dell’udienza preliminare, un fatto diverso da quello contestato, abbia invitato il P.M. a procedere, nei confronti dello stesso imputato e per il medesimo fatto storico, alla modifica dell’imputazione, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. (Corte cost. 18/2017). Non costituisce indebita manifestazione del convincimento del giudice, in grado di fondare una richiesta di ricusazione, il fatto che egli, nel corso del procedimento, come componente del tribunale del riesame, abbia confermato una misura cautelare reale, atteso che l’adozione di quest’ultima prescinde da qualsiasi valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza in capo all’imputato (58024/2017). Il principio di incompatibilità del giudice di cui all’art. 34 cod. proc. pen. trova applicazione esclusivamente con riferimento ad atti compiuti nel medesimo procedimento e non quando il giudice abbia conosciuto e valutato in altro contesto processuale i medesimi elementi di prova utilizzati nei confronti dell’imputato (9968/2017).

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C.p.p. art. 34 Incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento COMMENTO La norma in commento è stata oggetto di numerosi interventi da parte del legislatore e della Corte Costituzionale i quali ne hanno profondamente modificato i contenuti e la portata originaria, estendendone i confini al punto tale da rendere opportuna una schematizzazione delle diverse fattispecie alle quali essa è applicabile. In via preliminare occorre sottolineare come la stessa rubrica dell'articolo permetta di distinguere il novero delle ipotesi contemplate dalla disposizione in esame da quelle cause di incompatibilità esplicitamente previste dagli artt. 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario. Infatti, mentre queste ultime attengono, evidentemente, alle condizioni di costituzione degli uffici giudiziari, quindi ai requisiti di capacità dell'autorità chiamata ad esercitare le funzioni giudicanti, le incompatibilità disciplinate dal codice di rito sanzionano situazioni che insorgono a seguito del compimento di particolari attività procedimentali da parte del soggetto deputato a pronunciarsi sui fatti oggetto di imputazione. Nel primo comma si stabilisce la preclusione a giudicare nei confronti del magistrato che già abbia statuito sulla fattispecie di reato in un precedente grado del processo, al fine di salvaguardare la possibilità, garantita dall'ordinamento, di una nuova valutazione dei fatti di causa da parte di un organo giudicante differente, nella prospettiva del controllo e della potenziale censura di quanto precedentemente deciso. Peraltro l'obiettivo di impedire che un magistrato si pronunci per due volte sugli stessi fatti viene perseguito dal legislatore esclusivamente con riguardo ai diversi gradi di giudizio della singola e specifica vicenda processuale, nel senso che non determina l'insorgenza di una causa di incompatibilità il fatto che il medesimo giudice-persona fisica abbia già statuito sulla fattispecie rilevante nel processo penale in un contesto procedimentale, civile o amministrativo, totalmente diverso (esempio n. 1). La Corte costituzionale con sentenza 9 luglio 2013, n. 183, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato primo comma, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, ai sensi dell'art. 671 del presente codice. Con la medesima sentenza 183/2013, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del medesimo comma, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del concorso formale, ai sensi del citato art. 671. A sostegno di tale pronuncia la Corte afferma che il tema sottoposto all'esame della Corte attiene segnatamente ai limiti di operatività della incompatibilità cosiddetta “verticale”.

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In proposito, giova premettere che, per reiterata affermazione di questa Corte, le norme sull'incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, di cui all'art. 34, presidiano i valori della sua terzietà e imparzialità, attualmente oggetto di espressa previsione nel secondo comma dell'art. 111 Cost., aggiunto dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione), ma già in precedenza pacificamente insiti nel sistema costituzionale. Le predette norme risultano volte, in particolare, ad evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla “forza della prevenzione” – ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto – scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda (ex plurimis, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 del 2010 e n. 224 del 2001). In questa prospettiva, il comma 1 dell'art. 34 si occupa, in via prioritaria, delle ipotesi di incompatibilità conseguenti alla progressione “in verticale” del processo, determinata dalla articolazione e dalla sequenzialità dei diversi gradi di giudizio. Si tratta di un tipo di incompatibilità che salvaguarda la stessa effettività del sistema delle impugnazioni, le quali rinvengono, in linea generale, la loro ratio di garanzia nell'alterità tra il giudice che ha emesso la decisione impugnata e quello chiamato a riesaminarla. In linea con la tradizione storica, la citata disposizione prevede l'incompatibilità verticale non solo in senso “ascendente”, ma anche in senso “discendente”: con riguardo, cioè, al giudizio di rinvio dopo l'annullamento. L'evidenziato effetto di condizionamento, derivante dalla “forza della prevenzione”, è ravvisabile, infatti, anche nell'ambito del giudizio in questione, trattandosi di una nuova fase del processo di merito, destinata in parte a rinnovare le attività poste nel nulla per effetto della sentenza di cassazione, in parte ad aggiungere ulteriori attività a quelle annullate. Il comma 1 dell'art. 34 limita, tuttavia, l'incompatibilità “verticale” – sia essa “ascendente” o “discendente” – al giudice che, in un grado del procedimento, abbia pronunciato o concorso a pronunciare «sentenza»: con ciò escludendo, a contrario, che l'incompatibilità scatti a fronte dell'avvenuta pronuncia di provvedimenti di altro tipo, e segnatamente di ordinanze. Si tratta di soluzione espressiva, in linea generale, dell'intento di conservare, da un lato, l'unità di giudizio all'interno del grado, che sarebbe inopportuno frammentare, e di evitare, dall'altro, una eccessiva dilatazione dell'area dell'incompatibilità. Con specifico riferimento all'incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio, la previsione dell'art. 34, comma 1, viene, peraltro, a saldarsi con le disposizioni dell'art. 623 c.p.p., che individuano il giudice competente a pronunciare dopo l'annullamento da parte della Corte di cassazione. L'insussistenza dell'incompatibilità nel caso di annullamento di un'ordinanza trova, per questo verso, specifica conferma. Il citato art. 623 prende, infatti, espressamente in considerazione l'esigenza di evitare la coincidenza soggettiva tra giudice del rinvio e giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato solo con riguardo alle sentenze (lettera d): mentre, nel caso di annullamento di un'ordinanza, si limita puramente e semplicemente a stabilire che gli atti debbano essere trasmessi «al giudice che l'ha pronunciata» (lettera a).

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Alla luce di tale dato normativo la giurisprudenza di legittimità ha, quindi, reiteratamente affermato che in sede di rinvio può provvedere lo stesso giudicepersona fisica che ha pronunciato l'ordinanza annullata. Tale principio è stato enunciato, in particolare, con riguardo all'ipotesi dell'annullamento con rinvio di ordinanze in materia di misure cautelari personali, corroborandolo con considerazioni attinenti alla natura delle valutazioni cui il giudice è in quel caso chiamato. Ma a conclusioni analoghe la Corte di cassazione è pervenuta anche in relazione a un complesso di altre fattispecie, tra cui l'annullamento con rinvio di provvedimenti del giudice dell'esecuzione – i quali assumono tipicamente la forma dell'ordinanza, ai sensi dell'art. 666, comma 6, cod. proc. pen. – ivi compresi quelli che qui specificamente interessano, ossia le ordinanze attinenti a richieste di applicazione della continuazione in executivis (si veda, in particolare, Cass., 19 dicembre 2007-15 gennaio 2008, n. 2098). La mancata previsione dell'incompatibilità in tale ultima ipotesi confligge, tuttavia, con entrambi i parametri evocati dal giudice rimettente, determinando una incongruenza interna tra la ratio dell'art. 671 cod. proc. pen. e i suoi effetti. Recando, per corrente notazione, una delle novità più rilevanti del vigente codice di rito in punto di oggetto della competenza del giudice dell'esecuzione, la disposizione in parola abilita quest'ultimo ad applicare, su richiesta del condannato o del pubblico ministero, la disciplina del concorso formale e del reato continuato in relazione ai fatti giudicati con più sentenze o decreti penali irrevocabili, pronunciati in procedimenti distinti contro la stessa persona. La previsione trova la sua ratio “storica” nell'esigenza di compensare, su un diverso versante, il favor separationis che ispira il sistema processuale di tipo accusatorio. La drastica riduzione dei casi di connessione tra procedimenti – cui rimaneva originariamente estranea l'ipotesi del reato continuato – rendeva, infatti, particolarmente acuta la necessità introdurre strumenti atti ad evitare l'irrimediabile perdita dei vantaggi derivanti dalla continuazione (cumulo giuridico delle pene) da parte dell'imputato che, in quanto giudicato separatamente (anziché cumulativamente) per i singoli episodi criminosi, si fosse vista preclusa la possibilità di una valutazione globale della sua posizione in sede cognitiva, con evidente pregiudizio di posizioni costituzionalmente presidiate, a cominciare dal principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). Il mutamento di indirizzo legislativo registratosi al principio degli anni '90 – che ha portato all'inserimento della continuazione tra i casi di connessione (art. 12, comma 1, lettera b, cod. proc. pen., come modificato dal decreto-legge 20 novembre 1991, n. 367, recante «Coordinamento delle indagini nei procedimenti per reati di criminalità organizzata», convertito, con modificazioni, nella legge 20 gennaio 1992, n. 8) – si è limitato a ridurre il campo operativo della norma, ma non ne ha appannato né la ratio, né l'utilità pratica. L'applicabilità della continuazione in sede esecutiva consente tuttora di evitare irragionevoli sperequazioni dovute a fattori meramente casuali, per effetto dei quali i reati in continuazione (o in concorso formale) siano stati giudicati nell'ambito di processi distinti, anziché in un unico processo cumulativo (ordinanza n. 43 del 2013). Ma se l'esigenza di ripristinare l'eguaglianza vale in rapporto alla determinazione del trattamento sanzionatorio (applicazione del cumulo giuridico delle pene, in luogo del cumulo materiale), essa non può non valere anche in relazione all'applicazione

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della disciplina sull'incompatibilità del giudice, posta a presidio della sua imparzialità […]. Se è il giudice della cognizione a negare l'identità del disegno criminoso, l'annullamento su questo punto della sua sentenza lo rende incompatibile a partecipare al giudizio di rinvio, ai sensi dell'art. 34, comma 1,. Se l'identica valutazione è operata dal giudice dell'esecuzione, ciò viceversa non avviene. La soluzione offerta dal legislatore al problema del ripristino dell'eguaglianza – quella, appunto, di demandare al giudice dell'esecuzione la “sintesi” delle condotte giudicate separatamente, determinandone le conseguenze ai sensi dell'art. 81 del codice penale – comporta una evidente “frattura” dell'ordinario discrimen tra fase cognitiva e fase esecutiva, sotto un duplice profilo. Da un lato, infatti, il giudice dell'esecuzione si vede investito di un accertamento che non attiene affatto all'esecuzione (sia pure lato sensu intesa) delle pronunce di condanna delle quali si discute, quanto piuttosto al merito delle imputazioni. Al riguardo, si è icasticamente parlato di un frammento di cognizione inserito nella fase di esecuzione penale. La verifica della sussistenza di un medesimo disegno criminoso – l'accertamento, cioè, che l'interessato, prima di dare inizio alla serie criminosa, abbia avuto una rappresentazione, almeno sommaria, dei reati che si accingeva a commettere e che detti reati siano stati ispirati ad una finalità unitaria – implica, in effetti, valutazioni tecnico-giuridiche attinenti al fatto, tanto sul piano teorico che su quello operativo, avuto riguardo al materiale probatorio da scrutinare. Dall'altro lato, la soluzione normativa in discorso comporta l'apertura di una evidente breccia nel principio di intangibilità del giudicato. All'esito del riconoscimento della continuazione (o del concorso formale), il giudice dell'esecuzione si trova, infatti, abilitato a modificare il trattamento sanzionatorio inflitto in sede cognitiva: non solo, e anzitutto, riducendo le pene principali, ma anche, eventualmente, eliminando o riducendo pene accessorie e misure di sicurezza o altri effetti penali della condanna (sono i provvedimenti consequenziali cui si riferisce il comma 3 dell'art. 671 cod. proc. pen.). Lo stesso comma 3 dell'art. 671 riconosce, altresì, espressamente al giudice dell'esecuzione il potere di concedere la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando ciò derivi dal riconoscimento della continuazione (o del concorso formale). L'apprezzamento demandato al giudice dell'esecuzione presenta, dunque, tutte le caratteristiche del «giudizio», quali delineate dalla giurisprudenza di questa Corte ai fini dell'identificazione del secondo termine della relazione di incompatibilità costituzionalmente rilevante, espressivo della sede “pregiudicata” dall'effetto di “condizionamento” scaturente dall'avvenuta adozione di una precedente decisione sulla medesima res iudicanda. Tale è, infatti, il «“giudizio” contenutisticamente inteso, e cioè […] ogni sequenza procedimentale – anche diversa dal giudizio dibattimentale – la quale, collocandosi in una fase diversa da quella in cui si è svolta l'attività “pregiudicante”, implichi una valutazione sul merito dell'accusa, e non determinazioni incidenti sul semplice svolgimento del processo, ancorché adottate sulla base di un apprezzamento delle risultanze processuali» (sentenza n. 224 del 2001): in altre parole e più in breve, è pregiudicante «qualsiasi tipo di giudizio, […] che in base a un esame delle prove pervenga a una decisione di merito» (sentenza n.

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131 del 1996). Tratti, questi, senz'altro riscontrabili – per quanto detto – nella decisione assunta dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 671 cod. proc. pen. Il secondo comma, al contrario, prende in considerazione quelle situazioni in cui il giudice abbia adottato provvedimenti, diversi dalla sentenza, che in qualche modo hanno richiesto una sua valutazione di merito su singoli aspetti della regiudicanda, imponendo che, laddove ricorrano le fattispecie previste, lo stesso magistrato non possa prendere parte all'adozione della pronuncia finale. Nella sua originaria formulazione la disposizione in commento radicava l'incompatibilità in capo a quell'organo giurisdizionale che avesse emesso il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare, il decreto di giudizio immediato, il decreto penale di condanna o che si fosse pronunciato sull'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere. Tuttavia la tassatività della previsione apparve da subito inidonea a salvaguardare l'imparzialità del giudizio in tutte le altre situazioni di preventiva delibazione nel merito non espressamente contemplate ma pur sempre pregiudizievoli del suddetto principio di terzietà rispetto alla cognizione della complessiva regiudicanda. Proprio la considerazione di tale lacuna, evidenziata in ordinanze di rimessione nel tempo sempre più frequenti da parte dei giudici di merito, e dell'irragionevole conseguente disparità di trattamento di fattispecie accomunate, in radice, dalle stesse peculiarità, hanno indotto la Corte Costituzionale ad ampliare, attraverso pronunce additive, il novero dei provvedimenti in grado di determinare la preclusione ad esercitare i poteri di cognizione in capo all'organo che li ha adottati. Da ultimo ricordiamo Corte cost. 400/2008 (identica nella portata a Corte cost. 455/1994) che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma in argomento nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla trattazione dell'udienza preliminare del giudice che abbia ordinato, all'esito di precedente dibattimento, riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, la trasmissione degli atti al pubblico ministero, a norma dell'art. 521, comma 2. Limitandosi, pertanto, ad individuare le linee guida delle decisioni che, intervenendo in modo alluvionale, hanno finito per tracciare una categoria generale di incompatibilità endoprocessuale assai più vasta di quanto previsto in sede di redazione originaria del codice di rito, occorre sottolineare come il giudice delle leggi abbia inteso riferirsi a tutti quei casi in cui l'organo giudicante sia chiamato a compiere una valutazione di merito, non meramente formale, di atti precedentemente compiuti o di elementi già acquisiti al fine di adottare provvedimenti a contenuto non interlocutorio, cioè incidenti sul puro e semplice sviluppo della dinamica procedimentale (esempio n 2), bensì decisorio (esempio n. 3), con conseguente formazione di un sostrato di delibazione preventiva capace di condizionare il giudizio definitivo (esempio n. 4). Il terzo comma non pone particolari problemi ermeneutici laddove sancisce l'incompatibilità all'esercizio delle funzioni giudicanti in capo a chi, nel medesimo procedimento, abbia esercitato funzioni che, pur non essendo propriamente giurisdizionali perché non implicanti valutazioni di merito aventi portata decisoria, in qualche modo possono comunque pregiudicare l'imparzialità del giudizio (esempio n. 5). Assai più rilevante dal punto di vista della configurazione generale dell'impianto codicistico relativo all'istituto in esame appare il dettato dei commi 2 bis, ter e quater

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introdotti dal legislatore con la legge “Carotti” e con la legge n. 144 del 2000. L'innovazione più importante, che peraltro ha accolto osservazioni già formulate in sede di redazione originaria del codice di procedura e dato attuazione ad una precisa direttiva contenuta nella legge delega per l'istituzione del giudice unico, si è concretizzata nel sancire l'incompatibilità assoluta tra giudice delle indagini preliminari e giudice dell'udienza preliminare, estendendosi, al contempo, la preclusione a partecipare al giudizio anche laddove non ricorrano i presupposti di cui al comma 2. La perentorietà dell'opzione legislativa appare significativa di una generale tendenza a ridefinire il ruolo dell'udienza preliminare come vero e proprio filtro tra l'attività investigativa, funzionale alle delibazioni concernenti l'esercizio dell'azione penale, e il giudizio vero e proprio, nel cui contesto il GUP è chiamato ad eseguire valutazioni sempre più pregnanti rispetto ai fatti attribuiti all'imputato, donde l'esigenza di salvaguardarne quell'imparzialità di giudizio che verrebbe irrimediabilmente compromessa dall'intervenuta adozione di provvedimenti singolari a carattere decisorio (esempio n. 6). Tuttavia, al fine di circoscrivere la portata reale della disposizione in esame entro limiti ragionevoli, cioè legati all'effettivo contenuto degli atti compiuti dal GIP su sollecitazione delle parti, i commi 2 ter e 2 quater, cronologicamente successivi, ne hanno escluso l'applicabilità in tutte le fattispecie in cui il giudice non si sia addentrato in valutazioni di merito sulla posizione dell'indagato (esempio n. 7).

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C.p.p. art. 35 Incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugio COMMENTO Non sorge l'incompatibilità prevista dalla norma in esame se nel medesimo processo uno dei coniugi svolge le funzioni di pubblico ministero e l'altro prende parte al collegio giudicante.

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C.p.p. art. 35 Incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugio GIURISPRUDENZA Posto che l'incompatibilità prevista dall'art. 35 c.p.p. ricorre solo nel caso che magistrati legati fra loro da rapporto di coniugio, parentela od affinità fino al secondo grado esercitino le loro funzioni nello stesso procedimento, non può dirsi sussistente detta ultima condizione quando, avendo un Tribunale di sorveglianza prima concesso e poi revocato una misura alternativa alla detenzione (nella specie, affidamento in prova), uno dei magistrati abbia fatto parte del collegio che aveva adottato il primo provvedimento e l'altro del collegio che ha poi adottato il secondo (4178/1995, rv 202393).

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C.p.p. art. 35 Incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugio COMMENTO La norma in commento annovera tra le cause di incompatibilità all'esercizio di funzioni giurisdizionali all'interno del medesimo procedimento l'esistenza di un rapporto di coniugio, parentela o affinità entro il secondo grado tra magistrati che dovrebbero essere chiamati a prendervi parte. Anche in questo caso l'intento perseguito dal legislatore è quello di salvaguardare l'imparzialità di giudizio da qualunque forma di condizionamento che possa in qualche modo pregiudicarla. Sul punto occorre evidenziare la differenza tra questa causa di incompatibilità, attinente al rapporto personale che intercorre tra giudici diversi, quelle disciplinate dall'articolo precedentemente analizzato, le quali insorgono a seguito dell'adozione di determinati provvedimenti o di una sentenza nel contesto di un unico ambito procedimentale, e quelle prescritte dalle disposizioni dell'ordinamento giudiziario, le quali riguardano l'incompatibilità di sede e incidono sui profili di capacità dell'organo giudicante. La distinzione non è meramente teorica alla luce delle conseguenze processuali in punto di nullità degli atti compiuti che si producono a seguito della violazione delle norme da ultimo considerate, laddove un'identica sanzione non è prefigurabile in relazione alle prescrizioni riguardanti l'incompatibilità le quali possono solo determinare l'insorgenza dei presupposti per provvedimenti di astensione o di ricusazione. Dal punto di vista operativo, la norma in esame prende in considerazione esclusivamente le relazioni intercorrenti tra magistrati contestualmente chiamati ad esercitare un'attività giurisdizionale (esempio). Peraltro essa appare ragionevolmente estensibile, per l'identità di ratio tra le situazioni, alle fattispecie in cui i due giudici non siano legati da vincolo matrimoniale, ma da una notoria e stabile convivenza more uxorio.

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C.p.p. art. 36 Astensione COMMENTO 1. Un giudice non può pronunciarsi sul furto commesso nella sua casa di abitazione. 2. Il giudice confida, in un colloquio amichevole, ad un ufficiale di polizia giudiziaria le proprie impressioni circa l'inadeguatezza della linea difensiva approntata dall'avvocato dell'imputato rispetto a fatti secondo lo stesso ormai lampanti. 3. Il giudice, in un diverso procedimento, ha emesso sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti nei confronti di uno dei concorrenti nel reato sul quale è chiamato a pronunciarsi (così Corte Costituzionale n. 113 del 2000).

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C.p.p. art. 36 Astensione GIURISPRUDENZA È legittimo il provvedimento con cui il magistrato si astenga limitatamente ad alcuni capi di imputazione. Tale situazione non comporta alcun vizio del successivo provvedimento di separazione dei giudizi in relazione ai capi per i quali è intervenuta la separazione adottato con la partecipazione dello stesso magistrato che si è astenuto, trattandosi di provvedimento che non attiene alla decisione sul merito, ed essendo, al contrario, strumentale al corretto svolgimento del processo, proprio al fine di evitare una decisione sulla “notitia criminis” da parte del giudice che si è astenuto (3840/1999, rv 216327). In tema di imparzialità del giudice, alla luce degli interventi della Corte Costituzionale, l'esigenza di assicurare la terzietà del giudice va estesa anche alla ipotesi in cui il pregiudizio consegua all'esercizio di funzioni in un diverso procedimento, ove il giudice abbia espresso una valutazione di merito sullo stesso fatto attribuito a un determinato soggetto in ordine al quale è poi chiamato a giudicare. Peraltro, in tale ipotesi, lo strumento di tutela del principio del “giusto processo” va ricercato negli istituti dell'astensione e della ricusazione e non in quello della incompatibilità, il quale presuppone la preventiva individuazione, per fini organizzativi della funzione giurisdizionale, di tassative figure “fisiologiche” e, conseguentemente, prevedibili (3774/2000, rv 216407). L'istanza di astensione, a differenza della domanda di ricusazione – che ha carattere formale, sia per quanto attiene al termine di presentazione, sia per quanto concerne le modalità – non necessitando di formule sacramentali, può anche essere inserita nel corpo di una ordinanza dibattimentale, a condizione che tale provvedimento venga portato a conoscenza dell'organo abilitato a decidere su di essa (10423/2000, rv 218381). La condotta endoprocessuale del giudice non impedisce la ricusazione nell'ipotesi in cui sia indice di malafede, di dolosa

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scorrettezza, di vero e proprio abuso della funzione da parte del giudice stesso, che finisce così per abdicare al proprio ruolo di giudice terzo e imparziale. Deve trattarsi, quindi, di un comportamento che presenti aspetti talmente “anomali” e “settari” da doverlo considerare necessariamente, sul piano logico, manifestazione, nella sede giudiziaria, di una grave inimicizia verso l'imputato (10689/2003, rv 225350). È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 36, comma primo, lett. d), e 37, comma primo, lett. a), c.p.p. in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., per la parte in cui non prevedono la ricusabilità nell'ipotesi di grave inimicizia tra il giudice, o un suo prossimo congiunto, e il difensore, giacché è il solo rapporto di ostilità tra giudice e parte privata a costituire serio ed univoco pericolo per la serenità ed imparzialità del giudice (27711/2010). In tema di procedimento disciplinare nei confronti di magistrati, è inammissibile la ricusazione proposta contro il collegio giudicante della sezione disciplinare del C.s.m. nel suo complesso, poiché le cause di astensione e di ricusazione previste dal vigente codice di rito penale sono sempre riferibili direttamente o indirettamente al giudice come persona fisica (20159/2010). In tema di astensione (e ricusazione), le questioni sollevate da una parte, inerenti all'incompatibilità per precedenti funzioni svolte, hanno natura oggettiva e sono estensibili a tutti i coimputati, poiché le relative norme attuano i principi costituzionali di imparzialità e terzietà del giudice, a garanzia del giusto processo (S.U. 13626/2010). Le posizioni interpersonali di inimicizia grave tra difensore e giudice (od un suo prossimo congiunto) non sono previste nel vigente sistema normativo quali possibili cause di ricusazione, atteso che l'art. 36 lett. d), cui rinvia l'art. 37 cod. proc. pen., limita espressamente i casi di astensione e, conseguentemente di ricusazione, per inimicizia grave, ai soli rapporti fra giudice (o un suo prossimo congiunto) ed una delle parti private, senza possibilità di estensione analogica al difensore della parte privata (43884/2014). Non costituisce valido motivo di ricusazione del perito l'avere espresso pareri in altri procedimenti, o in sede scientifica e divulgativa, a meno che non emergano elementi concreti dai quali desumere un ragionevole dubbio circa la riconducibilità dell'opzione dell'ausiliario ad interessi precostituiti invece che al libero ed autonomo convincimento scientifico (50362/2014). Non costituisce causa di ricusazione del perito, ai sensi dell'art. 36, lett. a) e d), cod. proc. pen., il fatto che questi sia stato oggetto di denunzia penale da

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parte del ricusante, poiché il sentimento di grave inimicizia, per risultare pregiudizievole, deve essere reciproco, deve cioè nascere o essere ricambiato dal perito e deve trarre origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo, non potendosi desumere dal mero trattamento riservato in tale sede alla parte; mentre l'interesse personale quale causa di ricusazione deve circoscriversi all'influenza che per la sfera patrimoniale del ricusato possa avere la soluzione della controversia in un dato senso, la quale non consegue alla presentazione di una denunzia a carico del perito (6805/2015). L’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, previsto dall’art. 464 quater c.p.p., non determina l’incompatibilità del giudice nel giudizio che prosegua, nei confronti di eventuali coimputati, con le forme ordinarie, in quanto viene adottata nella medesima fase processuale, e non implica una valutazione sul merito dell’ipotesi di accusa, costituendo esercizio della discrezionalità giurisdizionale fondata sulla delibazione dell’inesistenza ictu oculi di cause di immediato proscioglimento ex art. 129 c.p.p., sulla verifica dell’idoneità del programma di trattamento, e su una prognosi favorevole di non recidiva; soltanto nell’ipotesi di esuberanza motivazionale dell’ordinanza, che esondi dai limiti richiamati, pronunciandosi sul merito dell’ipotesi di accusa e/o su altre posizioni processuali, è possibile sollecitare una verifica in concreto del requisito dell’imparzialità, mediante gli istituti della astensione per gravi ragioni di convenienza (art. 36, comma 1, lett. h), c.p.p.) e della ricusazione per indebita manifestazione del proprio convincimento (art. 37, comma 1, lett. b), c.p.p.) (14750/2016). In tema di ricusazione, non costituisce motivo di inimicizia grave, ai sensi dell’art. 36, comma 1°, lett. d), c.p.p., la pendenza di una causa civile di risarcimento danni intentata dal ricusante nei confronti del giudice, a seguito della trattazione di altro procedimento. La presentazione di una denuncia contro un magistrato non è di per sé sufficiente ad integrare l’ipotesi di ricusazione di cui all’art. 37, comma I, lett. a), in relazione all’art. 36, comma I, lett. d)c.p.p., poiché il sentimento di grave inimicizia, per risultare pregiudizievole, deve essere reciproco, deve nascere o essere ricambiato dal giudice e deve trarre origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo, non potendosi desumere dal mero trattamento riservato in tale sede alla parte, anche se da questa ritenuto frutto di mancanza di serenità (11525/2017). In tema di misure di prevenzione, al fine di contemperare esigenze di speditezza del processo e diritto dell’accusato ad essere giudicato da un giudice imparziale, si applica il principio generale secondo il quale il divieto, per il giudice ricusato, di pronunciare sentenza ex art. 37, comma 2, c.p.p., opera sino alla pronuncia di inammissibilità o di rigetto, anche non definitiva, dell’organo competente a decidere sulla ricusazione, essendo, tuttavia, la successiva decisione del giudice ricusato, affetta da nullità qualora la pronuncia di inammissibilità o di rigetto sia annullata dalla Corte di cassazione e il difetto di imparzialità accertato dalla stessa Corte o nell’eventuale giudizio di rinvio (57096/2018). Non integra una causa di ricusazione del giudice dell’udienza preliminare relativa a procedimenti inerenti reati di bancarotta la circostanza che il

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medesimo magistrato abbia concorso a deliberare il fallimento della impresa e sia stato relatore nel procedimento di opposizione a tale dichiarazione di insolvenza proposta anche dall’imputato, se in tali pronunce non è stata compiuta alcuna valutazione di merito sui fatti oggetto degli addebiti (17180/2019).

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C.p.p. art. 36 Astensione COMMENTO La norma in esame stabilisce l'obbligo per il giudice di astenersi dalla trattazione dei fatti oggetto di imputazione in tutte quelle ipotesi tassativamente previste nelle quali l'ordinamento rileva una relazione tra l'organo giudicante e la regiudicanda idonea a condizionarne la serenità di valutazione e l'imparzialità del giudizio. Anche questo istituto appare quindi preordinato a far fronte a situazioni nelle quali la garanzia di un'attività cognitiva condotta da un giudice terzo e imparziale, secondo i precetti del “giusto processo”, è messa in pericolo da contingenze, personali o fattuali, in questo caso esterne e preesistenti al procedimento, non dipendenti, cioè, da attività compiute [34] o da relazioni personali [35] che si collocano nel preciso contesto storico della singola vicenda processuale. Sottolineata la natura obbligatoria dell'atto di astensione da parte del magistrato giudicante che ritenga di trovarsi in una delle fattispecie normativamente contemplate, dalla quale, peraltro, non deriva alcuna nullità degli atti processuali eventualmente compiuti in violazione dell'obbligo medesimo ma solo il verificarsi del presupposto per un'eventuale istanza di ricusazione avanzata dalla parte, va detto che il legislatore ha fissato in modo tassativo specifiche circostanze in grado di giustificare l'astensione, completandone, tuttavia, il quadro con una previsione, quella di cui alla lettera h) del primo comma, che evidentemente affievolisce la dimensione puntuale del dettato codicistico. Scendendo nel dettaglio delle singole ipotesi, soffermandosi su quelle più significative e controverse, occorre precisare quanto segue: – lettera a): per interesse nel procedimento deve intendersi una potenziale prospettiva, diretta o indiretta, di vantaggio o di svantaggio, di natura morale o patrimoniale, che deve palesarsi al giudice in relazione ad un determinato esito processuale nella cui direzione egli possa indirizzare o condurre l'attività cognitiva, relazione desumibile da dati obiettivi e facilmente verificabili (esempio n. 1); – lettera b): per prossimo congiunto deve intendersi uno dei soggetti indicati dall'art. 307 comma 4 del codice di diritto sostanziale che individua una nozione generale di prossimo congiunto valevole agli effetti della legge penale, quindi ragionevolmente applicabile anche riguardo a quanto previsto dal codice di rito; – lettera c): in questa ipotesi l'obbligo di astensione insorge a seguito di un consiglio dato dal giudice alle altre parti processuali in merito alla condotta da adottare o di un parere sull'oggetto del procedimento che, pur senza fondarsi sull'approfondita e preventiva analisi delle risultanze processuali raccolte fino a quel momento, è idoneo a prefigurare i lineamenti del convincimento che condurrà alla pronuncia finale. Occorre precisare che tale parere deve essere esplicitato al di fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie, cioè in un contesto totalmente estraneo ai compiti attribuiti all'organo giudicante in quanto tale (esempio n. 2);

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– lettera d): la grave inimicizia deve preesistere al procedimento, prescindere dalle opinioni espresse e dagli atteggiamenti in esso assunti dai suoi vari protagonisti, e deve intercorrere reciprocamente tra il giudice o un suo prossimo congiunto e una delle parti private, senza che agli effetti della disposizione in esame rilevino relazioni dello stesso tipo tra il magistrato giudicante e il difensore; – lettere g) e h): mentre la prima fattispecie richiama le figure di incompatibilità accomunando, dal punto di vista dell'insorgenza del motivo di astensione, previsioni codicistiche e norme dell'ordinamento giudiziario, la seconda tempera la tassatività generale della disposizione. Infatti il riferimento alle gravi ragioni di convenienza è funzionale ad estendere il dettato normativo a tutte le ipotesi non espressamente contemplate, nelle quali sia riscontrabile una identità di ratio dal punto di vista del pericolo di pregiudizio del valore dell'imparzialità connesso o a situazioni personali o ad attività procedimentali precedentemente svolte (esempio n. 3). Pertanto, laddove il giudice ritenga sussistenti i presupposti per astenersi dal trattare i fatti controversi, è tenuto ad emettere una dichiarazione, dal medesimo successivamente non revocabile (così Cassazione n. 9942 del 2000), diretta al presidente della Corte o del Tribunale oppure, se la richiesta di esonero dall'esercizio dei poteri giurisdizionali viene avanzata dal presidente del Tribunale o da quello della Corte d'appello, rispettivamente al presidente della Corte d'appello o a quello della Corte di cassazione. La norma attribuisce la competenza a valutare il merito della situazione e a pronunciarsi sull'istanza di astensione al capo all'ufficio giudiziario superiore, il quale decide con decreto senza alcuna formalità di procedura. Si delinea, quindi, un procedimento di delibazione al quale non può essere in alcun modo riconosciuta natura giurisdizionale, bensì solo ed esclusivamente amministrativa (così Cassazione n. 776 del 1998), dal momento che esso, non coinvolgendo la posizione processuale delle parti, si risolve in una dialettica puramente interna all'ufficio giudicante che si traduce in un provvedimento per il quale non è neppure imposto l'obbligo di motivazione. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno avuto modo di specificare che l’inosservanza dell’obbligo di astensione, rilevante in sede disciplinare a norma dell’art. 2, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 109 del 2006, con riferimento all’ipotesi delle "gravi ragioni di convenienza" prevista dalla lett. h) del comma 1 dell’articolo in commento è configurabile in tutti i casi in cui si riscontri un rapporto di frequentazione tra il giudice ed il difensore della parte nel processo penale tale da rivelare uno stretto e risalente legame suscettibile di intaccare, per il modo e l’intensità che lo connota, la serenità e capacità del magistrato di essere imparziale, ovvero di ingenerare il sospetto che egli possa rendere una decisione ispirata a fini diversi da quelli istituzionali e diretta, per ragioni private e personali, a favorire o danneggiare i destinatari, mentre non rileva un rapporto di mera collaborazione episodica, in vista di una pubblicazione scientifica o di un convegno di studi, né tanto meno la condivisione, attuale o passata, con modalità contenute ed in via saltuaria, di un’attività di docenza universitaria o parauniversitaria (così Cassazione, S.U., n. 2301 del 2019).

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C.p.p. art. 37 Ricusazione COMMENTO Nel corso degli accertamenti preliminari sulla costituzione delle parti [484] il giudice del dibattimento dichiara che l'imputato è colpevole.

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C.p.p. art. 37 Ricusazione GIURISPRUDENZA È inammissibile, per essere al di fuori della “ratio” e della funzione degli istituti di cui agli artt. 36 e 37 c.p.p., la dichiarazione di ricusazione rivolta non nei confronti di singoli magistrati componenti il collegio giudicante, bensì nei confronti di un'intera sezione della Corte di Cassazione (3983/1996, rv 204650). La presentazione di una denuncia contro un magistrato non è da sola sufficiente ad integrare l'ipotesi di ricusazione di cui all'art. 37, comma primo, c.p.p., lett. a), in relazione all'art. 36, comma primo, c.p.p., lett. d), poiché il sentimento di grave inimicizia, per essere pregiudizievole, deve essere reciproco, deve nascere o essere ricambiato dal giudice e deve trarre origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo, non potendosi desumere semplicemente dal trattamento riservato in tale sede alla parte, anche se da questa ritenuto frutto di mancanza di serenità (4336/1996, rv 205632). In tema di ricusazione, la nozione di interesse di cui all'art. 37, comma primo, c.p.p., lett. a), in relazione alla lettera a) dell'art. 36, comma primo, c.p.p., non include i casi in cui esso ha natura, anche “lato sensu”, politica, non riguardando comunque un siffatto generico interesse ideologico l'oggetto del procedimento, dal quale solo può sorgere quello pregiudizievole per l'imparzialità del giudice (4336/1996, rv 205633). Tra i casi di ricusazione non rientra quello dell'opinione espressa dal magistrato nella qualità di giudice, in quanto estensore di provvedimento previsto dalla legge in via provvisoria e sottoposto alla convalida di giudice collegiale, del quale il magistrato faccia parte, trattandosi di facoltà espressamente concessa dal legislatore (per quanto riguarda la legittimazione ad emettere il provvedimento) e di obbligo di legge (per quanto concerne l'opinione espressa attraverso la motivazione del provvedimento stesso) (4345/1996, rv 205495).

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L'ipotesi di ricusazione prevista dall'art. 37, comma primo, c.p.p., lett. a) in riferimento all'art. 36, comma primo, c.p.p., lett. c), sussiste sempre che un parere sull'oggetto del procedimento sia stato manifestato fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie, senza che rilevino né il momento, né il luogo, né il destinatario, né la qualità del parere medesimo (frutto di approfondita valutazione tecnico-giuridica ovvero frutto di approssimato giudizio), né che il procedimento sia in corso o ancora non si sia iniziato. Ne consegue che essa non è configurabile solo allorché la manifestazione di parere si risolva in espressioni generiche, non attinenti a un caso specifico, formulate nell'ambito di conversazioni su temi generali o costituenti manifestazioni di orientamenti giurisprudenziali (5293/1996, rv 205843). Non costituisce alcuna forma di manifestazione anticipata di convincimento sul fatto oggetto dell'imputazione – legittimante la ricusazione del giudice – l'uso, da parte di questi, nel provvedimento con cui dispone perizia sullo stato di mente dell'imputato, di formula rituale con cui è conferito al perito l'incarico di accertarne “la capacità d'intendere e di volere al momento del fatto” (993/1997, rv 207186). L'istituto della ricusazione può essere utilizzato non nei confronti di un intero ufficio giudiziario ma nei confronti della persona di un determinato giudice, sempre che ricorra alcuno dei casi contemplati dall'art. 37 c.p.p., essendo diversamente attivabile il diverso istituto della rimessione del processo ex art. 45 c.p.p. È certamente ipotizzabile, anche se concretamente improbabile, che i magistrati di un intero ufficio giudiziario siano, in relazione a un medesimo procedimento, e per le stesse o diverse cause, ricusabili. Ma in tal caso deve essere allegata una specifica causa di ricusazione con riferimento a ciascun giudice (1611/1997, rv 209321). Il giudice ricusato può, dopo la ricusazione, continuare a svolgere la propria attività, essendogli unicamente inibito dall'art. 37, secondo comma, c.p.p. di pronunciare sentenza sino a che non intervenga l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione (1679/1997, rv 207217). La dichiarazione di ricusazione del giudice (nella specie, di quello dell'udienza preliminare) è un atto dal quale legittimamente

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consegue la sospensione dei termini della custodia cautelare a norma dell'art. 304, comma quarto, c.p.p., in riferimento al primo comma, lett. a), dell'art. 304 c.p.p. stesso (4222/1997, rv 208496). L'inosservanza delle norme sull'astensione e ricusazione del giudice non costituisce causa di nullità della sentenza di primo grado, rilevabile dal giudice dell'appello, non potendo tale violazione farsi rientrare tra i casi tassativamente indicati nell'art. 604 c.p.p., commi primo e quarto (10474/1997, rv 210455). Non può ritenersi diffamatoria l'istanza di ricusazione che adduca l'appartenenza alla massoneria quale motivo di dubbio sulla necessaria imparzialità del giudice, quando il convincimento su tale adesione associativa sia ragionevolmente fondato. L'accusa di appartenenza alla massoneria è pregiudizievole alla reputazione del giudice poiché essa, indipendentemente dalla segretezza della loggia o dell'obbedienza, determina, per il giudice, l'impossibilità di esercitare le proprie funzioni in modo imparziale e indipendente, ma poiché esso è astrattamente idoneo a sorreggere una richiesta di ricusazione, non può ritenersi diffamatorio quando, anche in assenza dell'assoluta certezza, sia fondato su elementi di fatto (1536/1998, rv 210367). In tema di ricusazione del giudice, l'omessa traduzione in udienza dell'imputato detenuto non impedisce l'esercizio di tale facoltà, ben potendo lo stesso richiedere di essere ascoltato ai sensi del comma terzo dell'art. 127 c.p.p., e potendo, d'altra parte, il difensore manifestare, quantomeno nella veste di “nuncius”, la volontà del suo assistito (169/1999, rv 212386). Costituisce causa di ricusazione ex art. 37 c.p.p., primo comma, lett. b), per indebita manifestazione da parte del giudice del proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione, la immediata trasmissione da parte del giudice al pubblico ministero dei verbali di deposizioni testimoniali sospettate di falsità o reticenza senza attendere, come previsto dall'art. 207, comma 2, c.p.p., la decisione della fase processuale nella quale il testimone ha deposto. È contrario infatti al principio del giusto processo, che impone la netta distinzione tra il momento di acquisizione e quello della valutazione della prova, consentire al giudice di anticipare il convincimento ad un momento anteriore alla completa acquisizione probatoria ed alla fase deliberativa (475/1999, rv 213537).

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Il motivo di ricusazione previsto per il caso in cui il giudice abbia interesse nel procedimento (art. 36 c.p.p., lett. a) deve circoscriversi all'influenza che per la sfera patrimoniale del magistrato (intesa in senso lato) possa avere la soluzione in un certo senso della controversia. Non può, pertanto, ricomprendersi nella nozione di interesse nel procedimento quello “politico” o “ideologico” – peraltro introdotto dal ricorrente con la generica dizione lessicale di “accanimento giudiziario”, in una materia che, per derogare al principio del giudice naturale, non tollera interpretazioni estensive o analogiche –, trattandosi di fenomeno indifferenziato, comune a ogni cittadino, in quanto partecipe della “polis”. Perché questo interesse non prevalga sull'imparzialità del giudicante, l'ordinamento predispone gli strumenti normativi diretti alla scelta e alla formazione professionale del magistrato, le regole deontologiche e l'istituto della responsabilità disciplinare (855/1999, rv 213668). All'istanza di ricusazione non è applicabile la norma dell'art. 568, comma quinto, c.p.p., secondo la quale l'impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione data dalla parte che l'ha proposta; sicché al giudice della ricusazione è interdetta la qualificazione di una simile dichiarazione come richiesta di rimessione del processo, non potendo sostituirsi la sua volontà a quella dell'interessato relativamente a un atto, di rilevante importanza processuale in quanto diretto a limitare la capacità del giudice, riservato alla personale valutazione del medesimo (3889/1999, rv 214005). La ricusazione nei procedimenti concernenti atti non costituenti notizia di reato è inammissibile poiché proposta da soggetto che non può essere qualificato come parte e che, conseguentemente, non è legittimato a proporre la relativa dichiarazione (1640/2000, rv 217450). In tema di imparzialità del giudice, alla luce degli interventi della Corte Costituzionale, l'esigenza di assicurare la terzietà del giudice va estesa anche alla ipotesi in cui il pregiudizio consegua all'esercizio di funzioni in un diverso procedimento, ove il giudice abbia espresso una valutazione di merito sullo stesso fatto attribuito a un determinato soggetto in ordine al quale è poi chiamato a giudicare. Peraltro, in tale ipotesi, lo strumento di tutela del

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principio del “giusto processo” va ricercato negli istituti dell'astensione e della ricusazione e non in quello della incompatibilità, il quale presuppone la preventiva individuazione, per fini organizzativi della funzione giurisdizionale, di tassative figure “fisiologiche” e, conseguentemente, prevedibili (3774/2000, rv 216407). In tema di ricusazione del giudice, la sent. n. 10 del 1997 della Corte Costituzionale, che ha stabilito l'illegittimità costituzionale dell'art. 37, secondo comma, c.p.p. nella parte in cui, nel caso di riproposizione della ricusazione fondata sui medesimi motivi, faceva divieto al giudice di pronunciare la sentenza sino alla decisione sull'ulteriore ricusazione, va interpretata nel senso che il giudice che riceve una nuova dichiarazione di ricusazione per gli stessi motivi, dopo il rigetto della precedente, non è tenuto a seguire il disposto di cui al secondo comma dell'art. 37 c.p.p., ma deve procedere al giudizio (4883/2001, rv 219063). Non dà luogo ad una ipotesi di ricusazione, ai sensi dell'art. 37 c.p.p. come risultante a seguito della parziale dichiarazione di illegittimità di cui alla sentenza n. 283 del 2000 della Corte costituzionale, la circostanza che lo stesso magistrato abbia già preso parte a un giudizio a carico dello stesso imputato per fatti diversi (nella specie omicidi differenti) per la pretesa identità delle fonti probatorie valutate e da valutare, atteso che una stessa fonte probatoria, considerata importante ed attendibile in un processo, potrebbe non esserlo altrettanto in un altro (25526/2001, rv 219360). Non costituisce indebita anticipata manifestazione del proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione, e non può quindi dar luogo a ricusazione del giudice ai sensi dell'art. 37, comma 2, c.p.p., la pronuncia di ordinanza con la quale venga respinta una richiesta di rinvio del procedimento in attesa della pubblicazione di una sentenza della Corte Costituzionale di cui si affermi, da parte della difesa, l'incidenza sulla posizione processuale dell'imputato (5658/2002, rv 221109). L'eventuale incompatibilità del giudice costituisce motivo di ricusazione, ma non vizio comportante la nullità del giudizio (9680/2003, rv 223785).

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L'ordinanza d'inammissibilità dell'istanza di ricusazione, presentata sulla base degli stessi motivi già numerose volte esaminati dal giudice competente e dalla Corte di Cassazione, può essere impugnata solo unitamente alla sentenza non essendo diversamente stabilito dalla legge (17315/2003, rv 224687). In tema di procedimento disciplinare nei confronti di magistrati, è inammissibile la ricusazione proposta contro il collegio giudicante della sezione disciplinare del C.s.m. nel suo complesso, poiché le cause di astensione e di ricusazione previste dal vigente codice di rito penale sono sempre riferibili direttamente o indirettamente al giudice come persona fisica (20159/2010). È legittima l'ordinanza di correzione dell'errore materiale deliberata dal giudice ricusato, in pendenza della definizione del procedimento di ricusazione. (Nella specie la dichiarazione di ricusazione era stata dichiarata inammissibile e avverso il relativo provvedimento era stato proposto ricorso per cassazione) (37944/2010). La decisione che definisce il procedimento, assunta dal giudice nei cui confronti è stata proposta ricusazione in violazione del divieto statuito dall'art. 37, comma 2, c.p.p. conserva validità se la ricusazione è dichiarata inammissibile o infondata dall'organo competente ex art. 40 c.p.p. ; per contro, tale decisione è viziata da nullità assoluta nel caso in cui la ricusazione sia accolta, e ciò indipendentemente dalla circostanza che essa sia intervenuta in pendenza della procedura incidentale di ricusazione o dopo il suo accoglimento (S.U. 23122/2011). Non costituisce motivo di ricusazione ai sensi dell'art. 37 lett. b) c.p.p. l'invito, rivolto dal giudice al difensore, all'esito di una discussione su un provvedimento di mancata ammissione di una contestazione al testimone, a proporre appello, in quanto dalla circostanza che tale rimedio sia comune e contestuale alla sentenza che definisce il giudizio non deriva l'indebita anticipazione di un esito sfavorevole della sentenza stessa (28711/2012). Non dà luogo ad una ipotesi di ricusazione, ai sensi dell'art. 37 c.p.p. come risultante a seguito della parziale dichiarazione di illegittimità di cui alla sentenza n. 283 del 2000 della Corte costituzionale, la circostanza che il magistrato abbia già preso parte a un giudizio a carico dell' imputato per fatti diversi sebbene

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caratterizzati dalla pretesa identità delle fonti probatorie valutate e da valutare, atteso che una stessa fonte probatoria, considerata importante ed attendibile in un processo, potrebbe non esserlo altrettanto in un altro (11546/2013). Deve ritenersi inammissibile l'istanza di ricusazione che pone a base della stessa una situazione di fatto, ravvisata o in un provvedimento che il giudice ricusato ha adottato nell'esercizio delle sue funzioni o nella pendenza di un giudizio civile instaurato dall'odierno ricorrente nei confronti del giudice ricusato; la stessa, infatti, non è idonea a dimostrare la grave inimicizia che legittima la ricusazione ai sensi dell'art. 36 c.p.p., lett. d) per come richiamato dall'art. 37 c.p.p. (45298/2013). L'istituto della rimessione ha natura assolutamente eccezionale e non costituisce una sorta di cumulo generale e generico di ricusazioni individuali dei componenti di un intero ufficio giudiziario. Ne deriva che, quantunque fosse ipotizzabile la ricusabilità di tutti i singoli magistrati di un medesimo ufficio giudiziario in relazione ad uno specifico procedimento, devono essere allegate specifiche cause di ricusazione con riferimento ai singoli giudici e seguite le corrispondenti specifiche diverse procedure, senza che l'accertata infondatezza delle pertinenti doglianze nella sede propria della ricusazione possa invece fondare la reiterazione delle medesime censure nel contesto del diverso istituto della rimessione. All'uopo, si precisa che la proposizione di più azioni di risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, esercitata ai sensi della legge n. 117 del 1988, pur a seguito delle modifiche di cui alla legge n. 18 del 2015, nei confronti di più magistrati di un medesimo ufficio giudiziario, non rappresenta una grave situazione locale idonea ad imporre la rimessione del processo (16924/2015). È inammissibile la dichiarazione di ricusazione inviata per posta, in quanto l’art. 38, comma terzo, c.p.p., nel fare riferimento alla sola “presentazione”, esclude la possibilità di impiegare strumenti di trasmissione a distanza (3043/2017). Non costituisce indebita manifestazione del convincimento del giudice, in grado di fondare una richiesta di ricusazione, il fatto che egli, nel corso del procedimento, come componente del tribunale del riesame, abbia confermato una misura cautelare reale, atteso che l’adozione di quest’ultima prescinde da qualsiasi valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza in capo all’imputato (58024/2017). In tema di ricusazione, il carattere indebito della manifestazione del convincimento del giudice sui fatti oggetto dell’imputazione, di cui all’art. 37, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., richiede che l’esternazione venga espressa senza alcuna necessità funzionale e al di fuori di ogni collegamento con l’esercizio delle funzioni esercitate nella specifica fase procedimentale e va escluso nel caso di esternazione incidentale ed occasionale fatta in diverso procedimento, su particolari aspetti della vicenda sottoposta al giudizio (3033/2017).

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Le norme che prevedono le cause di ricusazione sono norme eccezionali e, come tali, di stretta interpretazione, sia perché determinano limiti all’esercizio del potere giurisdizionale ed alla capacità del giudice, sia perché consentono un’ingerenza delle parti nella materia dell’ordinamento giudiziario, che attiene al rapporto di diritto pubblico fra Stato e giudice; ne consegue che la mera connessione probatoria tra due procedimenti, che non comporti una valutazione di merito svolta da uno stesso giudice sul medesimo fatto e nei confronti di identico soggetto, non determina la sussistenza di una ipotesi di ricusazione (11980/2017). Non sussistono i presupposti per la ricusazione del giudice, ex art. 37, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., qualora il giudice dell’udienza preliminare, investito di un procedimento per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p. nei confronti dell’imputato ricusante, abbia in precedenza, nel corso di altro procedimento relativo a differenti soggetti, convalidato decreti di intercettazione afferenti ad uno stesso contesto criminale mafioso e basati su identici elementi di prova, senza esprimere valutazioni di merito in ordine alle responsabilità dello stesso ricusante (11982/2017). La reiterata proposizione da parte dell’imputato di dichiarazioni di ricusazione di tutti o taluni componenti dei collegi giudicanti designati alla trattazione dei procedimenti che lo riguardano, sulla base di deduzioni sempre analoghe, integra una condotta di abuso del processo, in quanto volta ad ottenere non garanzie effettive, ovvero migliori possibilità di difesa, ma esclusivamente la paralisi della funzione processuale (11414/2018).

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C.p.p. art. 37 Ricusazione COMMENTO La norma in commento attribuisce alle parti il potere di ricusare il giudicepersona fisica incardinato nell'ufficio giudiziario competente a pronunciarsi sui fatti oggetto di imputazione, in presenza dei medesimi presupposti fattuali o personali ai quali la legge collega l'insorgenza dell'obbligo di astensione. Si tratta evidentemente di un istituto accomunato a quello disciplinato dall'art. 36 dalla medesima ragione giustificativa, dal suo essere, cioè, anch'esso funzionale a garantire l'imparzialità nel giudizio e la terzietà rispetto alle posizioni assunte da accusa e difesa da parte di un giudice deputato a pronunciarsi conformemente ai principi fondamentali del “giusto processo”. Tuttavia lo stesso novero delle fattispecie considerate dal legislatore come legittimanti la richiesta di ricusazione permette di individuare i tratti distintivi di un meccanismo processuale la cui operatività consente comunque alle parti di incidere, sia pure solo indirettamente per il tramite di una pronuncia di stampo giurisdizionale, su una materia indisponibile, disciplinata in via esclusiva dalle norme di ordinamento giudiziario. La disposizione, infatti, nel richiamare puntualmente le situazioni già indicate nell'articolo precedente [36] appronta un'elencazione dei casi nei quali il giudice può essere ricusato la cui tassatività, accentuata dal mancato riferimento alle generiche “gravi ragioni di convenienza”, è significativa della delicatezza di un istituto che potrebbe astrattamente prestarsi a un'utilizzazione opportunistica da parte dell'imputato che tema una pronuncia per lui pregiudizievole da parte di un determinato giudice. Fattispecie peculiare e autonoma di ricusazione è quella delineata nella lettera b) del primo comma nella quale si fa riferimento al giudice che nell'esercizio delle funzioni e prima che sia pronunciata la sentenza manifesta indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto di imputazione. Si tratta di un'eventualità profondamente diversa da quella prefigurata nell'art. 36 e richiamata nella lettera a) della disposizione in esame, consistente nella esplicitazione, da parte del giudice, del proprio parere sull'oggetto del procedimento al di fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie, proprio perché sono differenti il contesto in cui si colloca e il contenuto che caratterizza quanto manifestato dal magistrato medesimo. In questa situazione peculiare, infatti, il giudice esprime il proprio convincimento sui fatti specifici contestati all'imputato, cioè rende note le proprie valutazioni in ordine alla colpevolezza o alla innocenza del medesimo, alla luce degli atti e degli altri elementi emersi nel corso del processo, anticipandole in modo indebito, in altri termini senza che vi sia tenuto dalle funzioni che è chiamato a svolgere (esempio). Il primo comma è stato, peraltro, oggetto di un significativo intervento della Corte costituzionale (sentenza n. 283 del 14 luglio 2000), la quale, con una decisione additiva fondata sulla considerazione della ratio comune alle norme contenute nel capo in commento, ha dichiarato l'illegittimità del precetto nella parte in cui esso non

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prevede come motivo di ricusazione il fatto che il giudice, chiamato a pronunciarsi, abbia già espresso in un contesto procedimentale diverso, di qualunque natura esso sia, le proprie considerazioni in merito alla responsabilità dello stesso soggetto riguardo ai medesimi fatti. Pertanto, secondo quanto statuito dal giudice delle leggi, occorre verificare in concreto se la posizione altrove assunta dall'organo giudicante sia idonea a pregiudicarne l'imparzialità nel giudizio su una fattispecie soggettivamente ed oggettivamente identica. L'ultimo comma prevede, infine, che nell'ipotesi in cui sia stata avanzata istanza di ricusazione, all'organo giudicante è precluso l'esercizio dei poteri decisori fino a quando non sia intervenuta l'ordinanza che rigetta o dichiara inammissibile la domanda medesima. Sul punto è necessario precisare che l'interdizione temporanea dall'esercizio della funzione giurisdizionale non colpisce l'attività processuale nel suo complesso, impedendo, ad esempio, il compimento di qualsiasi atto di istruzione, ma solo il potere di emettere la decisione finale. Le stesse Sezioni Unite, peraltro (20 settembre 2002, n. 31421) hanno escluso che la semplice presentazione dell'istanza di ricusazione sia idonea a cagionare automaticamente la sospensione del processo e, di conseguenza, salvo particolari eccezioni, la stasi dei termini di durata della custodia cautelare previsti dall'art. 304 comma 1 lett. a) e 4. Laddove il divieto di pronunciare sentenza venga violato dal giudice ricusato, a condizione che sia successivamente intervenuta una decisione di accoglimento dell'istanza di ricusazione, la statuizione adottata risulterà inficiata da nullità assoluta in quanto pronunciata da un organo privo di giurisdizione. Anche su questa disposizione è intervenuta la Corte costituzionale, al fine di scongiurarne un'utilizzazione distorta idonea a determinare situazioni ingiustificate di paralisi processuale, stabilendo che il divieto di pronunciare la sentenza non può ritenersi operante nel caso in cui sia avanzata una richiesta di ricusazione fondata sulle stesse ragioni alla base di analoga istanza precedentemente rigettata o dichiarata inammissibile.

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C.p.p. art. 38 Termini e forme per la dichiarazione di ricusazione COMMENTO 1. Il giudice del dibattimento manifesta il proprio convincimento sulla colpevolezza dell'imputato dopo aver dichiarato l'apertura della fase del giudizio.

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C.p.p. art. 38 Termini e forme per la dichiarazione di ricusazione GIURISPRUDENZA La nozione di “presentazione” di atti, istanze, ricorsi, impugnazioni, è concetto che ontologicamente rifiuta lo strumento della trasmissione a distanza; pertanto occorre che, qualora il legislatore ritenga mezzo idoneo di presentazione quello della cosiddetta spedizione, questa sia espressamente consentita e che siano altresì esattamente indicate la natura dello strumento all'uopo previsto e le precise modalità attuative (2945/1996, rv 206357). L'incertezza sul “dies a quo” relativo al termine per proporre dichiarazione di ricusazione non può costituire motivo di decadenza della facoltà di presentarla, date la natura eccezionale delle norme che prevedono termini decadenziali e l'impossibilità di una loro interpretazione estensiva (5293/1996, rv 205841). Le norme che regolano la ricusazione hanno carattere eccezionale, in quanto, comportando la possibilità di mutamento del giudice precostituito, incidono sul principio di immutabilità del giudice naturale. Peraltro, nell'ambito di tale eccezionalità, costituisce a sua volta norma eccezionale quella che fissa un termine di decadenza per far valere il diritto della parte alla terzietà del giudice. Ne consegue che non è consentita un'interpretazione estensiva del termine “nota”, adottato in tema di decadenza dalla facoltà di proporre la ricusazione, in quanto essa si porrebbe in contrasto sia con l'art. 14 delle preleggi, sia con l'art. 24, comma primo, Cost., che garantisce il diritto del cittadino di agire in difesa dei propri diritti, tra i quali rientra quello di essere giudicato da un giudice imparziale (5293/1996, rv 205839). La dichiarazione di ricusazione è atto personalissimo che la parte deve presentare direttamente o a mezzo di procuratore speciale. Le altre parti private e a maggior ragione il giudice oggetto della ricusazione rimangono estranee alla procedura relativa alla ricusazione e nessun avviso della fissazione dell'udienza camerale prevista dall'art. 41 c.p.p. è a loro dovuto (1118/1997, rv 208656).

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Il silenzio della parte che assiste all'iniziativa del suo difensore non può valere come manifestazione di volontà rilevante ai fini di attribuire all'interessato la dichiarazione del difensore (2613/1998, rv 211564). In tema di ricusazione, qualora la causa idonea a giustificare la dichiarazione di ricusazione divenga nota durante la udienza dibattimentale, l'eventuale contumacia dell'imputato non rileva ai fini di impedire la decadenza dalla facoltà di proporre la dichiarazione di ricusazione, poiché la dichiarazione di contumacia comporta la impossibilità di eccepire l'ignoranza dello svolgimento del processo e dei relativi atti e provvedimenti (4226/1998, rv 210055). L'art. 38 c.p.p. fissa quale termine ultimo per la dichiarazione di ricusazione fondata su causa nota al momento degli atti introduttivi al dibattimento, il termine previsto dall'art. 491 c.p.p., a norma del quale è preclusa la deduzione delle questioni indicate “se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti”. Pertanto, il rinvio dell'udienza prima della decisione sulle questioni preliminari, non legittima la proposizione della ricusazione all'udienza successiva. Qualora, invece, la causa di ricusazione sia divenuta nota durante l'udienza, vale l'ulteriore criterio dettato dall'art. 38, comma 2, c.p.p., per il quale “la dichiarazione di ricusazione deve essere in ogni caso proposta prima del termine dell'udienza”, intendendosi quest'ultima espressione nel suo significato proprio, di unità quotidiana di lavoro, con esclusione della possibilità di farla coincidere con la nozione di dibattimento (4464/1999, rv 214658). Il termine per la proposizione dell'istanza di ricusazione, di cui al primo comma dell'art. 491 cod. proc. pen, richiamato dall'art. 38 c.p.p., spira con la decisione delle questioni ivi previste e comprende anche il tempo in cui il pubblico ministero formula le sue conclusioni sulle questioni stesse (255/2000, rv 216333). Il termine di tre giorni stabilito per la presentazione della dichiarazione di ricusazione del giudice (art. 38, comma 2, c.p.p.), in caso d'intervenuta pronuncia di illegittimità costituzionale di una disposizione riguardante tale materia (nella specie, l'art. 37, comma 1, c.p.p., nella parte in cui non prevedeva tale possibilità nei confronti del giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità

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di un imputato, avesse espresso in altro procedimento penale, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto: sent. n. 283 del 2000 della Corte Costituzionale), decorre, ai sensi dell'art. 136, primo comma, della Costituzione, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale (23479/2001, rv 219013). In tema di decorrenza del termine per la dichiarazione di ricusazione, la relativa causa può dirsi “divenuta nota” solo quando sia “conosciuta”, di guisa che deve escludersi che possa ritenersi sicuramente nota una circostanza solo perché pubblicata su un quotidiano, sia pure di rilevanza nazionale, della cui lettura non si può fare obbligo ad alcuno (13992/2003, rv 224086). La dichiarazione di ricusazione ha carattere rigorosamente formale e deve, pertanto, essere presentata nella cancelleria del giudice competente a decidere, ex art. 38, comma 3, c.p.p.; qualora, invece, sia presentata davanti al giudice che procede si configura come atto irricevibile, in quanto non sussiste alcuna norma, che preveda un atto equipollente alla presentazione della suddetta dichiarazione presso il giudice competente, in virtù della quale far derivare un obbligo dei giudici a quibus di trasmettere gli atti al giudice competente (13663/2003, rv 224764). L'art. 38 c.p.p. fissa quale termine ultimo per la dichiarazione di ricusazione fondata su causa nota al momento degli atti introduttivi al dibattimento, il termine previsto dall'art. 491 c.p.p., a norma del quale è preclusa la deduzione delle questioni indicate “se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti”. Pertanto, il rinvio dell'udienza prima della decisione sulle questioni preliminari, non legittima la proposizione della ricusazione alla udienza successiva. Qualora, invece, la causa di ricusazione sia divenuta nota durante l'udienza, vale l'ulteriore criterio dettato dall'art. 38, comma 2, c.p.p., per il quale “la dichiarazione di ricusazione deve essere in ogni caso proposta prima del termine dell'udienza”, intendendosi quest'ultima espressione nel suo significato proprio, di unità quotidiana di lavoro, con esclusione della possibilità di farla coincidere con la nozione di dibattimento (27351/2003, rv 225014). La dichiarazione di ricusazione del giudice va presentata nel termine di tre giorni nel caso in cui la causa sia sorta in udienza e

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l'imputato sia detenuto, e quindi impossibilitato a recarsi personalmente nella cancelleria del giudice competente ovvero a fare immediato rientro in carcere per proporla attraverso l'ufficio matricola (32483/2010). È tardiva la dichiarazione di ricusazione presentata dopo che il giudice abbia, per errore, pronunciato sentenza mediante lettura del dispositivo ancor prima di dare luogo alla già programmata prosecuzione della discussione e che poi, per rimediare, abbia sospeso la trattazione del procedimento e disposto il rinvio ad altra udienza per la discussione (33697/2010). La dichiarazione di ricusazione può essere proposta, nell'udienza preliminare, fino a che non siano conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, si svolgano, gli stessi, in una o in più udienze (23441/2012). È inammissibile la dichiarazione di ricusazione presentata a mezzo del servizio postale (1748/2014). La dichiarazione di ricusazione per una causa sorta durante l’udienza, alla presenza del difensore dell’imputato assente, deve essere proposta, ai sensi dell’art. 38, comma 2, cod. proc. pen., prima del termine dell’udienza, intendendosi quest’ultima come unità quotidiana di lavoro, con esclusione della possibilità di farla coincidere con la nozione di dibattimento (17170/2017).

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C.p.p. art. 38 Termini e forme per la dichiarazione di ricusazione COMMENTO La disposizione in esame prende in considerazione i diversi profili operativi attinenti ai termini per la presentazione dell'istanza di ricusazione, alla forma della medesima e ai soggetti legittimati ad avanzarla. Quanto al primo aspetto, sottolineata la natura perentoria delle scadenze fissate dal legislatore, dipendente dai peculiari effetti di un istituto in grado di derogare al principio dell'immutabilità dell'organo giudicante precostituito, la disciplina codicistica appare evidentemente calibrata sulla scansione del procedimento penale in fasi ben distinte, all'interno delle quali l'istanza deve essere avanzata o prima che si concludano gli accertamenti sulla costituzione delle parti in sede di udienza preliminare o subito dopo il compimento della medesima operazione da parte del giudice dibattimentale. Il primo comma si chiude, poi, con il riferimento a tutte le altre tipologie di procedimento giurisdizionale nelle quali manchino l'udienza preliminare e il dibattimento (es. procedimento di esecuzione), stabilendo che in questi casi il termine ultimo per proporre l'istanza di ricusazione coincide con il compimento del primo atto da parte del giudice. Nel secondo comma il legislatore ha introdotto una “valvola di salvaguardia” a garanzia del diritto ad un processo giusto condotto da un giudice imparziale, prevedendo che se la causa della ricusazione è insorta o è divenuta nota, cioè sia almeno conoscibile mediante l'uso dell'ordinaria diligenza (così Cassazione n. 3845 del 1997), successivamente alla scadenza dei termini suddetti (esempio) o nel corso dell'udienza, la parte può comunque proporre l'istanza rispettivamente entro tre giorni o prima che si sia conclusa l'udienza stessa. Quanto alla forma della dichiarazione di ricusazione, essa deve essere fatta rigorosamente con un atto scritto di contenuto inequivocabile ed esplicito rispetto alle intenzioni della parte, deve rappresentare la situazione che giustifica la richiesta e indicare le prove della sua sussistenza attraverso un'adeguata documentazione la quale è, tuttavia, suscettibile di essere integrata dall'acquisizione delle informazioni che la corte ritenga opportuno vagliare [41, comma 3]. La richiesta deve essere depositata, anche in questo caso a pena di inammissibilità [41, comma 1], presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario competente a decidere, mentre una copia dell'istanza medesima deve pervenire alla cancelleria dell'ufficio cui appartiene il giudice ricusato, non perché questi debba valutarne l'ammissibilità ma in modo tale che nei suoi confronti possa considerarsi operante il divieto di pronuncia della sentenza [37, comma 2]. L'ultimo comma individua il soggetto legittimato ad avanzare l'istanza nella parte privata o pubblica, laddove il difensore o il procuratore speciale possono agire solo sulla base di un apposito mandato, anche se questo non rivesta la forma della procura speciale. L'unica ipotesi in cui il difensore può avanzare la richiesta di ricusazione del giudice, pur in assenza di un mandato ad hoc, è quella dell'imputato latitante o evaso del quale egli è rappresentante ad ogni effetto (così Cassazione 27 gennaio 1995).

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C.p.p. art. 39 Concorso di astensione e di ricusazione GIURISPRUDENZA È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 36, comma terzo, e 39 c.p.p., in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, dedotta in quanto tali norme non abilitano il giudice astenuto o ricusato ad impugnare con ricorso per Cassazione il provvedimento che decide sulla dichiarazione di astensione. Infatti, il principio di cui al primo comma dell'art. 24 Cost., secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, non esclude forme differenziate di tutela giurisdizionale, ovvero non richiede necessariamente che la tutela si eserciti con un solo mezzo; in particolare, il giudice che ha presentato istanza di astensione non può impugnare la decisione sulla astensione che abbia leso i suoi diritti o interessi legittimi, ma ha a disposizione altri mezzi di tutela di tipo amministrativo (cioè di tipo conforme al carattere del procedimento di astensione), né può venire in rilievo il secondo comma dello stesso art. 24 Cost., secondo cui il diritto di difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo, giacché il giudice che dichiara di astenersi non diventa parte nel procedimento incidentale che ne deriva, sicché il medesimo non può ritenersi titolare del diritto di difesa processuale. Nemmeno può dirsi violato il principio di eguaglianza o ragionevolezza di cui all'art. 3, primo comma, Cost. poiché, in base alla natura giurisdizionale del procedimento di ricusazione e alla natura amministrativa interna del procedimento di astensione, appare logicamente giustificata la disparità di trattamento fra il giudice ricusato, il quale può ricorrere in Cassazione contro la decisione di merito, e il giudice astenuto, al quale non è attribuito il potere d'impugnare la decisione sull'astensione (3438/1996, rv 207026). La regola prevista dall'art. 39 c.p.p., in base alla quale la dichiarazione di ricusazione si considera come non proposta in caso di accoglimento di quella di astensione presentata, anche successivamente, dal giudice ricusato, presuppone la pendenza del

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procedimento incidentale di ricusazione, sicché non opera allorché esso si sia concluso perché il giudice competente ha già deciso sulla relativa dichiarazione. Ne consegue che, una volta intervenuta la decisione su quest'ultima, la dichiarazione di astensione non spiega alcun effetto, neanche se ancora debbano essere assunti, da parte del giudice che ha deciso o di altro giudice, i provvedimenti necessari e accessori che conseguono alla pronuncia sulla ricusazione (12399/2003, rv 224158).

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C.p.p. art. 39 Concorso di astensione e di ricusazione COMMENTO La norma in commento prende in esame il rapporto tra dichiarazione di astensione e istanza di ricusazione, stabilendo, per ragioni di economia processuale, che nell'ipotesi in cui venga accolta la manifestazione di volontà dell'autorità giudicante la domanda di parte deve considerarsi non proposta, cioè scompare automaticamente dalla scena processuale. In questo modo il legislatore predispone un meccanismo nel cui contesto non rileva in alcun modo la successione cronologica dei provvedimenti, attraverso il quale l'obiettivo della garanzia dell'imparzialità dell'autorità giurisdizionale viene raggiunto con il minor dispendio possibile di energie processuali, mediante un decreto la cui adozione preclude l'instaurazione del procedimento incidentale di natura giurisdizionale di cui all'articolo 41.

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C.p.p. art. 40 Competenza a decidere sulla ricusazione GIURISPRUDENZA È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 40, comma 3, c.p.p. (secondo cui “non è ammessa la ricusazione dei giudici chiamati a decidere sulla ricusazione”), sollevata con riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, rappresentando tale disposizione l'espressione della discrezionalità del legislatore nell'individuare il punto di equilibrio tra le esigenze, entrambe di rango costituzionale, dell'imparzialità del giudice e della ragionevole durata del processo, così da evitare che i tempi del processo subiscano ingiustificati allungamenti a seguito di reiterate ricusazioni (3429/2003, rv 224783).

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C.p.p. art. 40 Competenza a decidere sulla ricusazione COMMENTO La disposizione in esame individua la competenza a presiedere e a definire il procedimento incidentale finalizzato all'accertamento del merito dell'istanza di ricusazione, radicandola in capo al collegio operante in Corte d'appello, laddove venga ricusato un giudice di tribunale o della corte d'assise, oppure ad una sezione della corte di secondo grado diversa da quella cui appartenga il giudice nei cui riguardi è avanzata la richiesta. Lo stesso meccanismo da ultimo indicato viene utilizzato in caso di ricusazione di un magistrato operante presso una sezione della Corte di Cassazione. Risulta evidente che, pur operando anche in questo ambito, così come avviene riguardo all'accoglimento della richiesta di astensione, il principio dell'attribuzione della competenza specifica all'ufficio giudiziario sovraordinato rispetto a quello in cui è incardinato il giudice ricusato, il legislatore ha ritenuto opportuno sottoporre una questione così delicata alla cognizione di un organo giudicante in composizione collegiale anziché alla delibazione di colui che presiede l'ufficio giudiziario competente, trattandosi di un procedimento di matrice giurisdizionale e non puramente amministrativa. L'ultimo comma sancisce, in modo inderogabile, l'impossibilità per la parte di ricusare i giudici chiamati a decidere della richiesta di ricusazione, nell'intento di impedire pretestuose stasi di un procedimento la cui rapida definizione è funzionale alla tempestiva individuazione del giudice naturale, al fine dell'equo contemperamento tra i valori dell'imparzialità del giudice e della ragionevole durata del processo (così Cassazione n. 5658 del 2002); tale disposizione, tuttavia, non considera la possibilità che il motivo di ricusazione possa colpire, anche in corso di causa, uno dei magistrati componenti il collegio, lasciando così la parte del tutto sprovvista di strumenti di tutela della propria posizione processuale.

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C.p.p. art. 41 Decisione sulla dichiarazione di ricusazione GIURISPRUDENZA In tema di ricusazione, l'art. 41, primo comma, c.p.p., impone, per i casi di manifesta infondatezza della istanza di ricusazione da esso previsti, che la pronuncia di inammissibilità avvenga “senza ritardo”, senza richiamare – al contrario del successivo comma terzo, relativo alla decisione del merito della ricusazione – le forme dell'art. 127 c.p.p., il quale, al comma terzo, prevede che vengano sentiti il P.M. e le altre parti. Ne consegue che nelle ipotesi disciplinate dal detto art. 41, primo comma, c.p.p. il giudice deve pronunciare l'inammissibilità dell'istanza di ricusazione senza preventivamente raccogliere le conclusioni del P.M. (4490/1992, rv 189028). Il magistrato che sia stato oggetto di istanza di ricusazione non è legittimato a impugnare i provvedimenti del giudice della ricusazione emessi a norma dell'art. 41 c.p.p., e dell'art. 39 c.p.p., commi secondo e terzo, essendo principio fondamentale dell'ordinamento processuale che il giudice non può essere nello stesso tempo parte, né divenire controinteressato rispetto alle istanze delle parti private, siccome portatore di esigenze personali, da far valere in sede del procedimento incidentale e, conseguentemente, in sede di gravame (1140/1993, rv 194434). La norma di cui all'art. 41, comma terzo, c.p.p. prevede che la Corte o il tribunale che decidono sulla dichiarazione di ricusazione debbano, se necessario, assumere le opportune informazioni, questo implica che il provvedimento di rigetto della richiesta di informazione presentato dalla parte istante debba essere adeguatamente motivato. Inoltre l'art. 38, n. 3, c.p.p., che richiede che la dichiarazione di ricusazione, contenente l'indicazione dei motivi e delle prove, sia depositata insieme ai documenti non preclude la presentazione della dichiarazione (2675/1994, rv 199408). Di fronte a un'ordinanza emessa in tema di ricusazione, che disattende l'eccezione di inammissibilità della relativa dichiarazione

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per inosservanza del termine previsto dall'art. 38 c.p.p. e decide nel merito rigettando l'istanza proposta, la parte che si oppone al mutamento del giudice ha interesse, in sede di impugnazione, a far valere l'eccezione disattesa, per l'ipotesi che il giudice dell'impugnazione accolga il ricorso proposto dalle altre parti e coinvolgente il merito della decisione assunta (5293/1996, rv 205837). L'accoglimento del ricorso per Cassazione avverso un provvedimento di rigetto di dichiarazione di ricusazione comporta l'inefficacia di tutti gli atti del giudizio al quale la ricusazione si riferisce, ivi compresa l'eventuale sentenza che sia stata emessa dal giudice ricusato (5293/1996, rv 205844). In tema di decisione sulla richiesta di ricusazione, quando risulti chiaro (indipendentemente dall'uso nel dispositivo dell'ordinanza del termine “rigetto” o “inammissibilità”), che l'ordinanza è stata ritenuta manifestamente infondata, il provvedimento può essere adottato “de plano” e non è necessario ricorrere alla procedura camerale. La situazione non muta quando preliminarmente alla decisione sull'ammissibilità, sia stata posta una questione di legittimità costituzionale ritenuta anch'essa manifestamente infondata. Infatti il procedimento incidentale in cui si inserisce l'eccezione viene a rappresentare un momento del procedimento principale – che nel caso di specie è quello della ricusazione del giudice – del quale segue necessariamente le forme (706/1997, rv 208125). Nel procedimento camerale per la decisione sulla dichiarazione di ricusazione, atto che ha natura personalissima che la parte deve presentare direttamente o a mezzo procuratore speciale, legittimata a partecipare è solo la parte che ha proposto la dichiarazione di ricusazione, restandone estranee le altre parti private (1280/1998, rv 211702). In tema di decisione sulla dichiarazione di ricusazione, l'acquisizione delle conclusioni del pubblico ministero anche nell'ipotesi disciplinata dal primo comma dell'art. 41 c.p.p. – che tale acquisizione non prevede – non produce alcuna nullità (2798/1999, rv 214339). L'istanza di ricusazione deve essere decisa con la forma di cui all'art. 127 c.p.p. soltanto quando debba essere adottata una

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decisione nel merito, mentre, nell'ipotesi di mera declaratoria di inammissibilità dell'istanza medesima, la deliberazione, giusta il disposto dell'art. 1 c.p.p., deve essere adottata con la forma di cui all'art. 125 c.p.p., ossia con deliberazione assunta in camera di consiglio senza la presenza delle parti (2588/2000, rv 217635). È manifestamente infondata l'eccezione d'illegittimità costituzionale dell'art. 41, comma primo, c.p.p., per asserita violazione dell'art. 6 CEDU e dell'art. 111 Cost., nella parte in cui consente al giudice collegiale competente di dichiarare inammissibile la richiesta di ricusazione senza previa fissazione dell'udienza camerale, poichè, quanto all'art. 6 CEDU, ne è esclusa l'applicabilità ai procedimenti o subprocedimenti incidentali e, quanto all'art. 111 Cost., rientra nell'insindacabile discrezionalità del legislatore la scelta di graduare forme e livelli differenti di contraddittorio, sia esso meramente cartolare o partecipato, atteso che resta sempre garantito il diritto di difesa. (8808/2010) È legittima l'ordinanza di correzione dell'errore materiale deliberata dal giudice ricusato, in pendenza della definizione del procedimento di ricusazione. (Nella specie la dichiarazione di ricusazione era stata dichiarata inammissibile e avverso il relativo provvedimento era stato proposto ricorso per cassazione) (37944/2010). L’ordinanza con cui la Corte di cassazione dichiara inammissibile la dichiarazione di ricusazione dei componenti di altra sezione della medesima Corte è inoppugnabile (11414/2018).

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C.p.p. art. 41 Decisione sulla dichiarazione di ricusazione COMMENTO Il procedimento incidentale finalizzato al vaglio dei presupposti e alla decisione sul merito dell'istanza di ricusazione si apre con una fase di delibazione preliminare nel contesto della quale viene presa in considerazione dall'organo competente l'ammissibilità della richiesta sotto il profilo della legittimazione del soggetto che l'ha avanzata, del rispetto di forme e termini stabiliti nell'art. 38 e della non manifesta infondatezza della questione. Riguardo a quest'ultimo profilo, posto che la sua rilevanza è significativa del ruolo di “filtro” normativamente attribuito ad una fase preliminare il cui scopo è quello di evidenziare l'eventuale uso strumentale del meccanismo in questione, occorre sottolineare come la carenza dei presupposti della ricusazione nel caso di specie deve risultare inequivocabile, cioè evidente al punto tale da non richiedere alcuna valutazione di merito, per la quale, viceversa, il legislatore impone il contraddittorio camerale di cui all'art. 127. Pertanto, laddove il vaglio di fondatezza si concluda negativamente, così come nelle altre ipotesi di richiesta inammissibile, il collegio deve adottare senza ritardo, all'esito di una procedura de plano priva di particolari formalità, un'ordinanza ricorribile in Corte di cassazione. Anche il procedimento in camera di consiglio imposto dalla norma per l'esame dell'impugnazione davanti al giudice di legittimità non si conforma a quello delineato in via generale dal codice di rito, ma assume i connotati del procedimento speciale previsto dall'art. 611 nella cui sede non trova spazi operativi un reale contraddittorio tra le parti. Nel caso in cui la fase preliminare si concluda positivamente, nel senso che non venga rilevata alcuna causa di inammissibilità dell'istanza, il collegio chiamato a pronunciarsi deve anzitutto valutare se precludere o meno al giudice ricusato il compimento di ulteriori attività processuali oppure imporgli l'adozione dei soli atti urgenti. Infatti la domanda avanzata dalla parte non comporta automaticamente la sospensione dell'attività giurisdizionale, ma solo il divieto di pronunciare la sentenza. Pertanto è rimesso alla discrezionalità della Corte competente il compito di vagliare l'attualità del contesto processuale in cui opera il magistrato ricusato al fine di considerare, in relazione al suo sviluppo, l'opportunità e i termini di una eventuale stasi procedimentale, la quale, tuttavia, non può incidere sul decorso dei termini di durata della custodia cautelare (così Cassazione n. 31421 del 2002). Nel caso in cui l'ordinanza interdica il compimento di qualsiasi atto e il divieto imposto venga violato dal suo destinatario, non si determina automaticamente la nullità di quanto realizzato, ma spetterà alla Corte competente, in sede di accoglimento dell'istanza, decidere quali e quanti atti debbano conservare la loro originaria efficacia [42, comma 2]. Quanto al procedimento di merito vero e proprio, il codice di rito impone il rispetto delle forme previste dall'art. 127 con importanti conseguenze innanzitutto riguardo ai soggetti legittimati a prendervi parte. Infatti, in virtù della norma richiamata, alla procedura camerale possono partecipare le parti, gli altri soggetti

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interessati e i loro difensori, cioè, oltre al soggetto che ha avanzato l'istanza, tutte le altre parti coinvolte nel processo e lo stesso giudice ricusato. Costoro, pertanto, devono ricevere comunicazione o notificazione dell'avviso della data dell'udienza almeno dieci giorni prima della medesima, in modo tale da poter adeguatamente preparare la propria strategia di intervento nel processo e presentare memorie scritte entro i cinque giorni precedenti. Il materiale istruttorio depositato viene quindi integrato da quanto emerge nel contraddittorio tra coloro che decidono di intervenire all'udienza e dalle opportune informazioni (testimonianze o documenti) che il giudice ritenga di assumere ex officio al fine di addivenire alla decisione finale. Si tratta, pertanto, di un procedimento la cui natura giurisdizionale emerge ancora più evidentemente laddove si consideri l'obbligo di motivare l'ordinanza conclusiva [125, comma 3] a pena di nullità. La disposizione si chiude con la previsione della comunicazione del provvedimento al giudice ricusato, sul quale incombe il divieto di pronunciare la sentenza fino a quando non intervenga l'ordinanza di rigetto della domanda di ricusazione [37, comma 2], al pubblico ministero e alle parti private ai fini dell'impugnazione in Corte di cassazione, dinanzi alla quale, a differenza di quanto previsto dal primo comma, dovrà necessariamente essere seguita la procedura camerale generale [127].

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C.p.p. art. 42 Provvedimenti in caso di accoglimento della dichiarazione di astensione o ricusazione GIURISPRUDENZA Non sussiste nullità del giudizio e della sentenza per violazione dell'art. 42 c.p.p. qualora il presidente del collegio giudicante, dopo l'accoglimento della sua dichiarazione di astensione, si limiti a concorrere alla pronuncia di ordinanza con cui si dispone il rinvio del dibattimento e la rinnovazione della citazione degli imputati, senza alcuna concreta influenza sul procedimento (5189/1994, rv 198638). Dopo l'accoglimento della dichiarazione di astensione di giudice componente di organo collegiale, quest'ultimo non può compiere alcun atto del procedimento e, pertanto, non può neanche declinare la propria competenza in ordine ad esso, in quanto l'art. 42, comma primo, c.p.p., al fine di evitare ogni concreta influenza del giudice astenuto nella vicenda processuale, lo priva del potere di esercitare qualsiasi potestà giurisdizionale nel procedimento: onde ogni sua decisione, quale che ne sia il contenuto, risulterebbe inficiata da vizio di capacità del giudice (1109/1997, rv 207052). Il riconoscimento, a seguito di ricusazione, di una causa di incompatibilità del magistrato non produce effetti nei confronti dei coimputati che non l'abbiano invocata e non determina perciò anche per questi ultimi l'inefficacia – eventualmente dichiarata nel provvedimento di accoglimento della ricusazione – degli atti in precedenza compiuti dal giudice ricusato (2844/1997, rv 208555). Sono validi gli atti compiuti dal giudice astenutosi, della cui sorte (validità o invalidità) non è fatta menzione nel provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione (4227/1997, rv 208409). In tema di capacità del giudice – a differenza della rimessione il cui accoglimento comporta lo spostamento del processo in altro ufficio giudiziario – l'astensione o la ricusazione riguardano la sola persona del giudice, la cui sostituzione non comporta la inefficacia degli atti precedentemente compiuti, in quanto ai sensi dell'art. 42, comma secondo, c.p.p. è prevista in modo specifico la possibilità di

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stabilire con lo stesso provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione quali atti del processo conservano efficacia. Ne consegue che, qualora nel corso del processo si sia verificata la dichiarazione di astensione o di ricusazione di uno dei componenti del collegio giudicante, il giudice chiamato a giudicare resta sempre lo stesso anche se, trattandosi di organo collegiale, viene sostituita la persona fisica del giudice astenuto o ricusato da altro magistrato dello stesso ufficio designato secondo le leggi dell'ordinamento giudiziario. Trattasi di principio applicabile anche ai collegi di Corte d'Assise, per cui, qualora debba essere sostituito un giudice astenuto o ricusato, rimane ferma la composizione originaria del collegio, dovendosi provvedere solo alla sostituzione del componente ricusato o astenuto, anche se nel frattempo sia scaduta la sessione, atteso che – ai sensi dell'art. 7 della legge 10 aprile 1951 n. 287 modificato dall'art. 33 del D.P.R. 22 settembre 1988 n. 449 – i dibattimenti vengono conclusi dallo stesso collegio anche dopo la scadenza della sessione nel corso della quale sono stati iniziati (4824/1997, rv 207588). La decisione emessa in violazione del divieto di partecipazione al giudizio del giudice ricusato sino a che l'istanza di ricusazione non sia stata dichiarata inammissibile o rigettata, è nulla solo nel caso in cui la dichiarazione di ricusazione sia accolta, mentre conserva piena validità tutte le volte che la ricusazione sia dichiarata inammissibile o sia rigettata. Il predetto divieto integra, infatti, un temporaneo difetto di potere giurisdizionale, limitato alla possibilità di pronunciare il provvedimento conclusivo e condizionato all'accoglimento o rigetto della dichiarazione di ricusazione, con la conseguenza che la valutazione di validità o meno della decisione irritualmente adottata avviene “secundun eventum” (1019/2002, rv 223425). Il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione e dichiara l’efficacia degli atti precedentemente compiuti dal giudice astenuto, ai sensi dell’art. 42, comma 2, cod. proc. pen., non è impugnabile, ma il giudice designato in sostituzione può, nel contraddittorio delle parti, dichiarare l’inutilizzabilità di singoli atti compiuti dal giudice precedente (4694/2017).

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C.p.p. art. 42 Provvedimenti in caso di accoglimento della dichiarazione di astensione o ricusazione COMMENTO Nell'ipotesi in cui il procedimento incidentale si concluda nel senso dell'accoglimento dell'istanza di ricusazione o, comunque, la dichiarazione di astensione del giudice venga accolta dall'organo competente, la legge prevede un'automatica preclusione all'esercizio dei poteri giurisdizionali nei confronti del magistrato divenuto ormai estraneo al processo. In altri termini, il giudice-persona fisica, originariamente deputato a pronunciarsi, a seguito del decreto che accetta la sua dichiarazione di astensione o dell'ordinanza che accoglie l'istanza di ricusazione avanzata dalla parte risulta privato pro futuro di qualunque potestà cognitiva e decisoria sui fatti oggetto di accertamento, diventa, cioè, incapace a decidere. In conseguenza di ciò, nell'ipotesi in cui il medesimo violi il divieto impostogli ex lege gli atti da lui compiuti vengono colpiti dal vizio radicale della nullità assoluta [178, lett. a), 179, comma 1], la quale può essere fatta valere in ogni stato e grado del processo. Evidentemente il dies a quo della suddetta preclusione coincide con il momento in cui il provvedimento di accoglimento della domanda di astensione o di ricusazione viene reso noto al giudice coinvolto. Peraltro, nell'ipotesi in cui l'ordinanza di accoglimento [41] venga impugnata con il ricorso per cassazione, questo non ha effetti sospensivi della sua efficacia e, al contempo, laddove il provvedimento venga annullato, gli atti eventualmente compiuti violando il medesimo cessano di essere invalidi. Il secondo comma riguarda, invece, l'efficacia dell'attività giurisdizionale posta in essere fino al momento della pronuncia positiva sulla sussistenza dei presupposti per l'astensione o la ricusazione. In questo contesto il legislatore non appronta un meccanismo che opera ex lege, ma obbliga il giudice competente ad esprimersi sulla questione principale ad effettuare, contemporaneamente al vaglio delle situazioni fattuali o personali che fondano l'istanza di astensione [36] o di ricusazione [37], una delibazione sugli effetti negativi che la situazione pregiudizievole dell'imparzialità dell'organo giudicante ha prodotto sull'attività da esso compiuta. In altre parole, il tentativo di contemperare i valori dell'imparzialità nel giudizio e dell'efficienza nell'amministrazione della giustizia ha spinto i redattori del codice di rito a introdurre un principio di conservazione degli atti processuali realizzati che comunque non sia idoneo a pregiudicare la funzione di garanzia sottesa alle disposizioni del Capo in commento, attraverso l'imposizione al giudice funzionalmente competente del poteredovere di verificare, nel concreto sviluppo della vicenda processuale, l'incidenza pregiudizievole dell'assenza di neutralità rispetto ai profili della regiudicanda da parte dell'organo astenutosi o ricusato, anche in relazione agli atti urgenti autorizzati alla stregua dell'art. 41, comma 2. Punto critico della disciplina vigente sembra, tuttavia, essere l'insindacabilità degli approdi cui il giudice funzionalmente competente pervenga nello svolgimento dell'attività di controllo testé menzionata.

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C.p.p. art. 43 Sostituzione del giudice astenuto o ricusato GIURISPRUDENZA Perché si abbia conflitto negativo di competenza, anche in materia di rimessione ai sensi dell'art. 43, comma secondo, c.p.p., non basta una mera e reciproca ricusazione di prendere cognizione del medesimo fatto da parte di due giudici, ma è necessaria l'adozione di formali provvedimenti che esprimano la decisione dei giudici confliggenti di non provvedere nel merito sul presupposto della propria incompetenza, e non sulla base di altre ragioni legate a temporanee disfunzioni degli organi giurisdizionali. Non può perciò considerarsi abnorme il provvedimento con cui un tribunale restituisce gli atti a quello che li aveva rimessi asserendo l'impossibilità di formare un collegio a seguito delle numerose astensioni, segnalando i possibili rimedi per addivenire alla sua composizione (5301/1996, rv 205647). Qualora, dopo l'erronea elevazione di conflitto negativo di competenza, conseguente ad asserita incompatibilità di giudice la cui dichiarazione di astensione sia stata accolta, sia cessata la ragione d'incompatibilità per la sopravvenuta morte dell'imputato ricorrente nel procedimento “de libertate”, il presidente dell'ufficio pronunciatosi positivamente sulla dichiarazione di astensione ha il dovere di tener conto della circostanza in sede di valutazione della necessità di procedere alla sostituzione del giudice astenutosi (1109/1997, rv 207053). La rimessione ad altro giudice, ai sensi dell'art. 43, comma secondo, c.p.p. e dell'art. 11 c.p.p., è consentita solo quando si astengano, siano ricusati, risultino impediti, dopo la sostituzione, tanti magistrati dello “stesso ufficio” da rendere impossibile la composizione del collegio giudicante, in quanto la rimessione è istituto di carattere eccezionale, siccome implicante la sottrazione dell'imputato al giudice naturale (1276/1997, rv 207080). L'istituto derogatorio dello spostamento territoriale del procedimento, in caso di impossibilità di sostituzione del giudice astenuto o ricusato con altro magistrato dello stesso ufficio

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designato secondo le leggi dell'ordinamento giudiziario, presuppone la necessaria e preliminare verifica, mediante i meccanismi della supplenza e dell'applicazione o della variazione tabellare in via d'urgenza, dell'assoluta e non meramente temporanea impossibilità di composizione e di funzionamento dell'organo collegiale giudicante (2015/1998, rv 210422). L'istituto derogatorio ed eccezionale dello spostamento territoriale del procedimento, in caso d'impossibilità di sostituzione del giudice astenuto con altro magistrato dello stesso ufficio, designato secondo le leggi dell'ordinamento giudiziario, presuppone, anche nell'ambito della giurisdizione militare, la necessaria e preliminare verifica, mediante i meccanismi della supplenza e dell'applicazione o della variazione tabellare in via d'urgenza, dell'assoluta e non meramente temporanea impossibilità di composizione e di funzionamento dell'organo collegiale giudicante (3500/1998, rv 211037). Il provvedimento di rimessione del processo ad altro giudice, previsto dall'art. 43, comma secondo, c.p.p. nei casi in cui, a seguito di astensione o ricusazione di magistrati dell'ufficio procedente, non ne sia possibile la sostituzione, è da detta norma attribuito esclusivamente all'organo collegiale (corte di appello o tribunale), a differenza di quanto stabiliva l'omologo art. 70, comma quarto, c.p.p. del 1930, che attribuiva un simile potere al presidente della Corte o del tribunale. Ne consegue che il provvedimento di rimessione adottato dal presidente del tribunale costituisce atto abnorme, in quanto proveniente da un organo nemmeno astrattamente idoneo a determinare l'effetto traslativo previsto dalla norma (4403/1998, rv 210068). Risponde del reato di naufragio e del reato di omicidio plurimo dei naufraghi il soggetto che abbia partecipato all'organizzazione del trasporto illegale di immigrati clandestini procurando l'imbarcazione fatiscente sulla quale sia stato caricato un numero eccessivo di persone, qualora, nel porre in essere la condotta ad altro scopo, si sia rappresentato la concreta possibilità del verificarsi di queste ulteriori conseguenze, per effetto dell'affondamento del battello o dello scontro tra imbarcazioni, ed abbia agito accettando il rischio di cagionarle (16193/2010).

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C.p.p. art. 43 Sostituzione del giudice astenuto o ricusato COMMENTO La norma in commento fissa le regole per l'individuazione del giudice deputato a pronunciarsi sui fatti oggetto di imputazione nell'ipotesi in cui, a seguito dell'astensione o della ricusazione, il primo sia definitivamente estromesso dalla cognizione della vicenda processuale. Il legislatore, nel caso di specie, salvaguarda l'operatività del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge precludendo la possibilità di una decisione discrezionale da parte dell'organo competente ad esprimersi sulla situazione pregiudizievole dell'imparzialità ed ancorando, viceversa, il radicamento della competenza a pronunciarsi sui fatti oggetto di imputazione al dettato delle disposizioni contenute nell'ordinamento giudiziario. Il codice di rito fa riferimento, in particolare, ai parametri di assegnazione tabellari indicati negli artt. 7 bis e 7 ter del R.D. n. 12 del 1941, nonché ai meccanismi di supplenza e applicazione di cui agli artt. 97 e 110 ivi contemplati, ai quali è necessario ricorrere affinché l'organo giudiziario di quel determinato territorio possa esercitare le funzioni di cui è titolare “naturale” rispetto al procedimento penale in questione. Solo nel caso in cui sia oggettiva e insuperabile l'impossibilità di sostituzione del giudice astenuto o ricusato, la Corte o il Tribunale dispone la rimessione del procedimento all'ufficio giudiziario che risulti competente per materia in base al meccanismo tabellare operante nel caso di procedimenti riguardanti magistrati [11]. È opportuno sottolineare come il secondo comma, attribuendo il potere di rimessione solo alla Corte e al Tribunale, se non pone problemi interpretativi riguardo al procedimento di ricusazione, per il quale il legislatore stabilisce sempre una competenza collegiale, viceversa, nelle fattispecie di astensione, implica che il decreto del capo dell'ufficio giudiziario competente sia integrato da un provvedimento di rimessione collegiale, pena l'abnormità dell'atto di trasferimento adottato singolarmente dal presidente del tribunale (così Cassazione 12 novembre 1997).

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C.p.p. art. 44 Sanzioni in caso di inammissibilità o di rigetto della dichiarazione di ricusazione GIURISPRUDENZA L'art. 44 del codice di procedura penale vigente, a differenza dell'art. 71 del codice abrogato, afferma la possibilità, ma non l'automaticità, della condanna di chi abbia proposto una dichiarazione di ricusazione rigettata o dichiarata inammissibile al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende. Conseguentemente, in conformità con i principii generali, anche la pronuncia di una tale condanna deve essere, a pena di nullità, sorretta da adeguata motivazione (982/1992, rv 190970). Il rigetto del ricorso per Cassazione avverso provvedimento in tema di ricusazione comporta la condanna del ricorrente alle spese a norma dell'art. 616 c.p.p. (5293/1996, rv 205836). Nel concetto di parte privata accolto dall'art. 44 c.p.p. e riferibile all'imputato, alla parte civile, al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria, non può ricomprendersi il difensore, che svolge nell'interesse di questi soggetti un “munus” connotato da profili pubblicistici, traducendo in iniziative tecnicoprocessuali le sollecitazioni delle persone fisiche che a lui si rivolgono (389/1999, rv 212581). L'applicazione di una sanzione pecuniaria da parte del giudice della ricusazione è conseguente a una valutazione largamente discrezionale, senza costrizione di parametri riferiti alla pretestuosità o alla manifesta infondatezza della dichiarazione di ricusazione, ed è accompagnata da breve cenno motivazionale che fornisce sufficiente giustificazione della determinazione sanzionatoria (nel suo richiamo al contenuto del provvedimento e delle ragioni esposte per la reiezione dell'istanza) (21926/2010). L'applicazione di una pena pecuniaria da parte del giudice della ricusazione, prevista dall'art. 44 c.p.p., consegue ad una valutazione largamente discrezionale, la cui motivazione deve fornire una sufficiente spiegazione della determinazione circa la sanzione adottata (23783/2012).

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In tema di ricusazione, l’applicazione della sanzione pecuniaria in caso di inammissibilità o rigetto dell’istanza, siccome consegue ad una valutazione largamente discrezionale del giudice, richiede una motivazione che offra sufficiente giustificazione della determinazione sanzionatoria (4651/2016).

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C.p.p. art. 44 Sanzioni in caso di inammissibilità o di rigetto della dichiarazione di ricusazione COMMENTO La norma di chiusura del Capo in commento, al fine di precludere l'utilizzazione pretestuosa e dilatoria dell'istituto della ricusazione da parte del soggetto processuale privato, prefigura la possibilità che il collegio che adotta l'ordinanza con cui dichiara l'inammissibilità dell'istanza o la rigetta nel merito condanni contestualmente l'istante al pagamento di una sanzione pecuniaria laddove riconosca temeraria la pretesa avanzata. Trattasi, perciò, di una valutazione discrezionale che prescinde da qualunque parametro normativo di riferimento e si fonda esclusivamente sull'esame dei profili fattuali del caso di specie, la cui considerazione deve comunque emergere dalla motivazione dell'ordinanza. Posto che destinataria di simile provvedimento può essere soltanto la parte privata, come emerge esplicitamente dal dettato normativo, con esclusione quindi del difensore, mero rappresentante di parte, e del pubblico ministero, nei cui confronti è esperibile un procedimento disciplinare, la norma prevede altresì che l'irrogazione della sanzione non preclude la possibilità per il giudice ricusato di agire nei confronti dell'istante in sede civile, per ottenere l'eventuale risarcimento dei danni, o in sede penale, nel caso in cui ad esempio intenda querelarlo per diffamazione.

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C.p.p. art. 45 Casi di rimessione COMMENTO 1. Tutti i magistrati del Tribunale di Catania sono oggetto di continue minacce e atti di violenza da parte dei componenti di una cosca locale i cui capi devono essere processati da un collegio del Tribunale medesimo. 2. Riguardo a quest'ultimo profilo, le Sezioni Unite (ordinanza 27 gennaio 2003 n. 13687) hanno precisato che provvedimenti e comportamenti del giudice assumono rilievo ai fini della rimessione solo ove siano l'effetto di una grave situazione locale ed oggettivamente e inequivocabilmente sintomatici della mancanza di imparzialità dell'ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo.

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C.p.p. art. 45 Casi di rimessione GIURISPRUDENZA Il legittimo sospetto consiste nel ragionevole dubbio che la gravità della situazione locale possa condurre il giudice a non essere imparziale, dovendosi interpretare l'imparzialità come indifferenza di quest'ultimo rispetto all'esito del processo. Inoltre stante il carattere eccezionale dell'istituto della rimessione, è necessario che la gravità della situazione locale sia tale, per la sua abnormità e consistenza, da non poter essere intesa se non nel senso del pericolo concreto della non imparzialità dell'organo giudicante (13687/2003, rv 223637). È manifestamente infondata, in relazione all'art. 25, comma primo, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 45 c.p.p., come modificato dall'art. 1 della legge 7 novembre 2002 n. 248, in tema di rimessione per legittimo sospetto, in quanto la rilevanza di quest'ultimo ai fini della “translatio iudicii” è subordinata alla sua derivazione, come effetto, da gravi situazioni locali idonee a pregiudicare oggettivamente e concretamente l'imparzialità del giudice, circostanza, quest'ultima, che esclude la possibilità di uno spostamento della competenza per territorio affidato alla mera discrezionalità della Corte di Cassazione (13687/2003, rv 223637). L'istituto della rimessione ha carattere eccezionale, implicando una deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge e, come tale, comporta la necessità di un'interpretazione restrittiva delle disposizioni che lo regolano, in esse comprese quelle che stabiliscono i presupposti per la “translatio iudicii”. Ne consegue che, da un lato, per grave situazione locale deve intendersi un fenomeno esterno alla dialettica processuale, riguardante l'ambiente territoriale nel quale il processo si svolge e connotato da tale abnormità e consistenza da non poter essere interpretato se non nel senso di un pericolo concreto per la non imparzialità del giudice (inteso come l'ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito) o di un pregiudizio alla

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libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo medesimo e, dall'altro, che i motivi di legittimo sospetto possono configurarsi solo in presenza di questa grave situazione locale e come conseguenza di essa (13687/2003, rv 223638). In tema di rimessione del processo, l'obbligo di immediata trasmissione degli atti alla Corte di cassazione di cui all'art. 46 c.p.p. non sussiste nel caso in cui si sia in presenza di una richiesta di rimessione priva di motivazione o presentata da soggetto non legittimato. (Fattispecie in cui la richiesta di rimessione, depositata dal difensore all'udienza preliminare, recava la firma non autenticata dell'imputato ed il difensore a sua volta era privo di procura speciale) (17636/2010). Non costituisce ‘grave situazione locale’ l’indirizzo interpretativo giurisprudenziale difforme dai canoni consolidati (16175/2016).

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C.p.p. art. 45 Casi di rimessione COMMENTO Rispetto alla previgente formulazione, la norma in commento presenta l'aspetto di novità più rilevante di tutta la novella legislativa, dal momento che contempla, tra i presupposti per la rimessione del processo, quel legittimo sospetto di non imparzialità nell'esercizio dei poteri giurisdizionali, già previsto nella direttiva n. 17 dell'articolo 2 della legge-delega per la stesura del nuovo codice di procedura penale, deliberatamente omesso dal legislatore delegato in considerazione dell'estrema vaghezza e della difficile definibilità di una nozione che, proprio per queste sue peculiarità, non era ritenuta idonea a giustificare l'operatività di un meccanismo derogatorio del principio costituzionale del giudice naturale precostituito. Occorre sottolineare come, alla stregua di quanto asserito dalle Sezioni Unite nell'ordinanza 27 gennaio 2003 n. 13687, anche nella sua nuova conformazione la disposizione, restrittivamente interpretata, individui il presupposto base delle vecchie e nuove cause di rimessione in quelle gravi situazioni locali in grado di turbare lo svolgimento del processo alle quali è possibile porre rimedio solo con lo spostamento dello stesso ad altro ufficio giudiziario. In altri termini deve trattarsi di circostanze ambientali esterne al procedimento, cioè estranee ai rapporti che vengono ad instaurarsi tra i vari protagonisti della dialettica processuale, la cui concreta gravità deve emergere in modo inequivocabile da atti che provino l'oggettivo e pregiudizievole legame tra il clima determinatosi nel contesto territoriale locale della circoscrizione in cui opera l'ufficio giudiziario e l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte del medesimo (esempio n. 1). Inoltre l'ineliminabilità delle gravi situazioni locali è significativa della natura di extrema ratio che il legislatore attribuisce ad un istituto al quale si può ricorrere solo ove il risultato dell'imparzialità e della serenità del giudizio non possa essere altrimenti perseguito. Il suddetto contesto ambientale deve avere caratteristiche tali da determinare o un pregiudizio non potenziale, o solo paventato, ma reale ed effettivo per la pubblica tranquillità e la sicurezza dei singoli cittadini o per la libertà di determinazione e di giudizio dei soggetti che partecipano al processo, in modo tale che l'esito della cognizione risulti comunque inficiato da fattori estranei agli elementi emersi nella dialettica processuale; oppure deve far sorgere il legittimo e fondato sospetto che l'ufficio competente a pronunciarsi non sia nella totalità dei suoi componenti imparziale tanto rispetto ai soggetti coinvolti nel procedimento quanto in relazione alla regiudicanda (esempio n. 2). Riguardo ai profili attinenti alla legittimazione a proporre l'istanza di rimessione, anche l'attuale formulazione della norma in commento ne attribuisce la titolarità da un lato al pubblico ministero presso il giudice procedente e al Procuratore generale presso la Corte d'Appello, quali rappresentanti della pubblica accusa in grado di rilevare le peculiarità del contesto locale in cui si sta svolgendo il processo, dall'altro,

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tra le parti private, al solo imputato, nell'intento di precludere il proliferare delle richieste in questione. Il potere decisorio è attribuito alla Corte di Cassazione la quale se, per un verso, è tenuta a valutare la ricorrenza dei presupposti fissati dalla legge così come essi si prefigurano nell'istanza motivata avanzata dalle parti, d'altra parte non ha alcuna discrezionalità nell'individuare l'ufficio giudiziario competente a pronunciarsi, essendo obbligata ad utilizzare i parametri tabellari richiamati dall'articolo 11 (cui si fa rinvio).

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C.p.p. art. 46 Richiesta di rimessione GIURISPRUDENZA La notifica alle altre parti della richiesta di rimessione, imposta a pena di inammissibilità dall'art. 46, comma primo, c.p.p., non ammette equipollenti, atteso il tenore letterale della succitata norma, contenente un implicito rinvio alle forme previste dall'art. 148 c.p.p., e la rilevanza dell'atto, il quale, potendo comportare lo spostamento del processo in deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, deve essere ben conosciuto dagli altri interessati, affinché questi abbiano possibilità di interloquire. Ne consegue che non può assimilarsi alla notificazione della richiesta il deposito della stessa nelle mani dell'assistente di udienza (1618/1994, rv 197681). Fra le “altre parti” alle quali, ai sensi dell'art. 46, comma primo, c.p.p., deve essere notificata, a cura del richiedente, la richiesta di rimessione del processo, è da ricomprendere anche la persona offesa, pur se non costituita parte civile, dovendosi aver riguardo alla sua qualità di parte in senso sostanziale ed al suo interesse ad opporsi eventualmente all'accoglimento della richiesta anzidetta (3047/1994, rv 198913). Ai fini della notificazione alle altre parti della richiesta di rimessione del processo, la parte a cui il legislatore fa riferimento non va intesa in senso formale, ma in senso sostanziale, e comprende anche la persona offesa, cui non può disconoscersi un eventuale interesse ad opporsi alla sottrazione della cognizione del reato al giudice naturale in forza di una richiesta che le appaia pretestuosa e dilatoria (1741/1995, rv 202092). L'onere di notificare l'atto alle altre parti, che l'art. 46, comma primo, c.p.p., pone a carico di chi abbia presentato richiesta di rimessione del processo, non viene meno per il semplice fatto che il giudice, cui l'istanza sia stata presentata, abbia irritualmente provveduto su di essa; la parte che intenda insistere nella richiesta coltivando le previste impugnazioni, pertanto, deve comunque curare, a pena di inammissibilità, il rigoroso formale adempimento

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della notifica dell'istanza alle altre parti entro sette giorni dal suo deposito in cancelleria (6925/1995, rv 201300). Non è abnorme, e non è quindi ricorribile direttamente in Cassazione, il provvedimento con il quale il tribunale avanti al quale sia presentata richiesta di rimessione, ordina la separazione della posizione dell'imputato che chiede la rimessione e la prosecuzione del procedimento per gli altri. In ogni caso gli altri imputati che non hanno presentato la richiesta di rimessione non possono aver interesse a sollevare la questione relativa alla separazione dei procedimenti in quanto questi non potrebbero comunque partecipare all'udienza camerale in Cassazione che decide la rimessione. Inoltre non è possibile in linea di principio ipotizzare l'abnormità di un provvedimento non con riferimento al contenuto positivo di esso, ma in relazione a quanto in esso non è compreso eccependo, nel caso di specie, che il provvedimento, per quanto abnorme, avrebbe dovuto disporre la sospensione del procedimento per tutti e non, in modo surrettizio (attraverso la separazione), solo per l'istante (1429/1996, rv 205655). Il deposito in cancelleria della richiesta di rimessione, giusta quanto previsto dall'art. 46 c.p.p., può essere validamente effettuato anche a mezzo posta, sempre che la provenienza di detta richiesta sia certificata mediante autenticazione della firma. Non può, invece, ritenersi consentita la sostituzione della prescritta notifica della richiesta medesima con l'invio di copia di essa alle altre parti, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, ai sensi dell'art. 152 c.p.p., giacché la possibilità di avvalersi di detta ultima norma (la quale detta non una modalità di notificazione, ma un sistema sostitutivo di essa), è prevista esclusivamente per il difensore (2234/1996, rv 204921). Anche quando la rimessione del processo è chiesta in relazione ad un procedimento di prevenzione devono essere rispettate le forme previste dall'art. 46 c.p.p. ed in particolare la notifica alle altre parti della richiesta, in considerazione della rilevanza dell'atto che, potendo comportare una deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, deve essere ben conosciuto dagli altri interessati affinché abbiano la possibilità di interloquire (55/1998, rv 210234).

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È legittima l'acquisizione agli atti del procedimento di rimessione di osservazioni del giudice del processo principale non trasmesse alla Corte di Cassazione contestualmente alla richiesta e ai documenti allegati, come prescritto dal comma 3 dell'art. 46 c.p.p., ma in un momento successivo, in quanto il comma 4 del medesimo articolo prevede come causa di inammissibilità della richiesta l'inosservanza delle forme e dei termini previsti dai commi 1 e 2, ma non ricollega alcuna sanzione processuale al mancato rispetto delle forme e dei termini stabiliti nel comma 3 (13687/2003, rv 223641).

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C.p.p. art. 46 Richiesta di rimessione COMMENTO La norma in commento regola i profili procedurali e formali dell'istanza di rimessione ed è stata l'unica a non essere ritoccata dal recente intervento legislativo di riforma. Il deposito della richiesta presso la cancelleria del giudice procedente segna il momento iniziale di un procedimento incidentale al quale, sin dalle sue battute iniziali, sono chiamati a prendere parte tutti i soggetti coinvolti nella vicenda processuale, e in particolare, oltre all'imputato e alla pubblica accusa, la persona offesa dal reato anche laddove essa non si sia costituita parte civile, rilevando, a tal proposito, la titolarità dell'interesse sostanziale ad opporsi, eventualmente, al trasferimento del processo presso altra sede. In altri termini, la notifica dell'istanza entro sette giorni dal deposito costituisce presupposto di ammissibilità della richiesta proprio perché essa è inequivocabilmente strumentale alla realizzazione di un immediato contraddittorio tra le parti sulla sussistenza dei presupposti della rimessione, confronto dal quale lo stesso giudice tenuto a trasmettere l'istanza e i documenti ad essa allegati può trarre spunto per le eventuali osservazioni che intenda far pervenire al giudice di legittimità. Proprio in relazione a quest'ultimo aspetto occorre precisare come l'obbligo della trasmissione immediata dell'istanza alla Corte di Cassazione è a suo modo significativo del fatto che il giudice procedente non è tenuto a valutare l'ammissibilità della medesima neanche laddove intenda inoltrare le osservazioni previste dal secondo comma.

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C.p.p. art. 47 Effetti della richiesta GIURISPRUDENZA In tema di rimessione, l'istanza di sospensione del processo di merito presentata, ai sensi dell'art. 47 c.p.p., comma 1, alla Corte di Cassazione va trattata e decisa con procedura “de plano” e non con quella camerale, in considerazione della natura cautelare del provvedimento richiesto, diretto a paralizzare con urgenza il pregiudizio, imminente e irreparabile, che potrebbe derivare dall'illegittima prosecuzione del processo principale in costanza del predetto procedimento incidentale (14451/2003, rv 223632).

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C.p.p. art. 47 Effetti della richiesta COMMENTO La disposizione in commento ha subìto modifiche assai rilevanti a seguito della recente novella legislativa, soprattutto riguardo alle (attuali) numerose fattispecie di sospensione del procedimento principale che contemplano l'intervento e la decisione non più soltanto della Corte di Cassazione bensì dello stesso giudice procedente. Nella sua formulazione originaria la norma era costituita da due precetti fondamentali: – da un lato l'interdizione per il giudice, innanzi al quale fosse stata sollevata l'istanza, di statuire sui fatti oggetto di imputazione fino al momento in cui non fosse intervenuta la declaratoria di inammissibilità o di rigetto della richiesta di rimessione; – dall'altro la facoltà per i giudici di legittimità di emettere ordinanza sospensiva di un processo sui cui sviluppi l'istanza di rimessione non era in grado di incidere automaticamente provocandone l'arresto. La preclusione a pronunciare la sentenza era giustificata dall'intento di impedire che a decidere fosse un organo giudicante la cui imparzialità era messa in forte dubbio dalla stessa proposizione di un'istanza di rimessione tendente ad evidenziare gravi situazioni locali pregiudizievoli per la serenità di giudizio. Tuttavia essa offriva la possibilità, mediante la reiterazione di istanze solo apparentemente fondate su fatti nuovi, di provocare un'inaccettabile situazione di “stallo” della dinamica processuale. Proprio sulla base di tali osservazioni la Corte Costituzionale era intervenuta a sanzionare l'illegittimità del primo comma nella parte in cui prescriveva in capo al giudice procedente il divieto di pronunciarsi fino alla decisione della Corte di Cassazione, eliminando, così, lo spazio per utilizzazioni meramente dilatorie del meccanismo in questione (così Corte Costituzionale n. 353 del 1996). La legge “Cirami” (L. n. 248 del 2002) ha eliminato dal primo comma ogni riferimento al divieto per il giudice procedente di emettere la decisione finale, prevedendo, al contempo, che lo stesso magistrato giudicante possa disporre con ordinanza la sospensione del processo in attesa della pronuncia negativa della Corte di Cassazione. Pertanto, ferma restando la titolarità di un potere analogo in capo ai giudici di legittimità, anche il magistrato che presiede alla fase processuale nel cui contesto è stata sollevata la questione può valutarne il fumus boni juris ovvero la fondatezza manifesta e la conseguente necessità di provvedere all'arresto di una dinamica processuale che potrebbe risultare ulteriormente compromessa nei suoi sviluppi successivi dalla grave situazione locale. Sul punto le Sezioni Unite, nella sentenza 27 marzo 2003, hanno precisato che la richiesta di sospensione avanzata davanti alla Corte di Cassazione deve essere da questa vagliata e decisa con procedura de plano e non camerale, trattandosi di istanza volta ad ottenere una statuizione cautelare funzionale a paralizzare con urgenza il pregiudizio che potrebbe derivare dall'illegittimo avanzamento del processo principale nelle more di quello incidentale.

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L'attuale secondo comma, al contrario, contempla una fattispecie di sospensione obbligatoria in relazione alla quale “rivive” il previgente divieto di pronunciare la sentenza, accanto a quello di emettere il decreto che dispone il giudizio, stabilendo che l'assegnazione della trattazione dell'istanza di rimessione ad una sezione della Corte di Cassazione diversa da quella deputata a vagliare esclusivamente l'ammissibilità dei ricorsi [610, comma 1] o alle Sezioni Unite [610, comma 2] impone al giudice procedente di bloccare il processo prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione finale. Trattasi evidentemente di una situazione di stasi processuale imposta, non operante laddove la richiesta sia fondata sulle stesse ragioni giustificative di analoga istanza precedentemente rigettata o dichiarata inammissibile, riguardo alla quale potrebbero prospettarsi gli stessi dubbi di legittimità costituzionale che avevano dato luogo alla declaratoria di incostituzionalità del previgente comma primo. Sul punto occorre ulteriormente sottolineare come quella lesione del canone dell'efficienza del processo allora paventata dal giudice delle leggi risulterebbe ancora più grave ed evidente nel contesto di un panorama costituzionale che tra i principi del giusto processo consacrati nel nuovo articolo 111 annovera quello della “ragionevole durata”, la quale dovrebbe ritenersi sicuramente pregiudicata dalla reiterata proposizione di istanze di rimessione solo apparentemente fondate su motivi nuovi e diversi. Alla luce della vigente formulazione della norma, peraltro, la possibilità di evitare il pretestuoso ricorso alle richieste di rimessione appare garantita sotto un duplice profilo: da un lato l'istanza potrebbe non superare il vaglio di ammissibilità preventivo eseguito dal Presidente della Corte di Cassazione il quale, in relazione a ciò, dovrebbe conseguentemente assegnarne la trattazione all'apposita sezione di cui al comma 1 dell'art. 610, precludendo, così, l'operatività della sospensione obbligatoria; per altro verso la prevista sospensione dei termini di prescrizione del reato e di quelli relativi alla custodia cautelare contenuta nel nuovo comma 4 dovrebbe di per sé scoraggiare il ricorso pretestuoso all'istanza di rimessione da parte di un imputato che vedrebbe iniziare a decorrere nuovamente i termini in questione solo dal momento della relativa declaratoria di rigetto o di inammissibilità o dall'accoglimento del ricorso con la conseguente assegnazione della trattazione ad un giudice diverso.

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C.p.p. art. 48 Decisione COMMENTO L'imputato che aveva diritto ad un difensore d'ufficio, in quanto ammesso al gratuito patrocinio per i non abbienti, conserva lo stesso diritto davanti al nuovo organo giudicante.

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C.p.p. art. 48 Decisione GIURISPRUDENZA Le questioni di competenza per territorio non possono trovare ingresso nel procedimento incidentale di rimessione dinanzi alla Corte di Cassazione che, in tale sede, è unicamente investita del problema di sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per lo spostamento del processo ad altro giudice (13687/2003, rv 223634).

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C.p.p. art. 48 Decisione COMMENTO Riguardo ai profili decisori del procedimento incidentale relativo all'esame nel merito dell'istanza di rimessione, è opportuno sottolineare in via preliminare come la “legge Cirami” da un lato si sia limitata ad adeguare il tenore della disposizione in commento al mutato quadro delle possibilità e delle forme di sospensione del procedimento principale prefigurate dal novellato articolo 47, dall'altro ha introdotto un nuovo meccanismo di rinnovazione degli atti processuali posti in essere prima della richiesta di rimessione che non è più lasciato alla pura e semplice discrezionalità del giudice designato dalla Corte di Cassazione. Il primo comma, che non ha subito modifiche rispetto alla stesura originaria, prescrive l'osservanza delle regole del procedimento camerale di cui all'articolo 127 e la possibilità per i giudici di legittimità di assumere le opportune informazioni. Entrambe le previsioni rivelano l'intento del legislatore di assicurare il pieno rispetto del principio del contraddittorio nell'ambito di una procedura incidentale alla quale devono essere chiamate a partecipare tutte le parti del processo nel cui contesto è stata avanzata l'istanza di rimessione, tenendo presente che le peculiarità del giudizio in Cassazione impongono la presenza dei rispettivi difensori delle medesime e del procuratore generale operante presso la Corte stessa. D'altra parte l'effettiva dialettica tra i soggetti interessati salvaguarda anche la possibilità di un reale approfondimento del merito dei presupposti concreti su cui si fonda la specifica richiesta di rimessione, rispetto al quale risulta strumentale anche la prevista possibilità di assumere le opportune informazioni sulla fattispecie in esame. Sul punto le Sezioni Unite nell'ordinanza 27 gennaio 2003 n. 13687 hanno precisato che l'accesso ad utili dati conoscitivi può concretizzarsi anche nell'acquisizione delle osservazioni provenienti dal giudice del processo principale, non tempestivamente trasmesse da quest'ultimo alla Suprema Corte accanto alla richiesta di rimessione e ai documenti allegati, ai sensi dell'art. 46, comma 3. Se nel corso della delibazione preliminare cui è tenuto, il Presidente della Corte di Cassazione rilevi gli estremi manifesti di un vizio che comporti l'inammissibilità della richiesta egli deve procedere all'immediata trasmissione degli atti alla settima sezione cui la novellata formulazione dell'articolo 610 attribuisce la funzione di filtrare tutti i ricorsi inficiati da quei vizi tassativamente previsti come cause di inammissibilità. Laddove invece la richiesta di rimessione venga assegnata alle Sezioni Unite o ad altra sezione, il Presidente stesso deve curare l'immediata comunicazione del provvedimento al giudice procedente proprio perché in questo caso ricorrono i presupposti per la sospensione obbligatoria del processo a quo,prevista dall'articolo 47 precedentemente analizzato, per la quale deve provvedere lo stesso giudice destinatario della comunicazione. L'ordinanza motivata con la quale i giudici di legittimità manifestano il convincimento circa la ricorrenza delle condizioni per la rimessione del processo deve

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essere immediatamente comunicata tanto all'ufficio giudiziario originariamente competente quanto a quello che risulti titolare della funzione giurisdizionale in applicazione dei parametri tabellari richiamati dall'art. 11. A seguito di tale comunicazione sorge in capo al giudice procedente l'obbligo di trasmettere tutti gli atti all'ufficio giudiziario designato, curando al contempo la comunicazione di estratto dell'ordinanza decisoria tanto al pubblico ministero quanto alle parti private. Riguardo ai profili di efficacia ed utilizzabilità degli atti compiuti anteriormente al provvedimento che ha accolto la richiesta di rimessione occorre evidenziare il cambiamento di prospettiva provocato dall'entrata in vigore della legge Cirami. Se infatti la previgente disposizione attribuiva al giudice designato il potere di valutare quanti e quali atti dovessero conservare la loro efficacia nel nuovo contesto processuale, in considerazione dell'incidenza sui medesimi delle gravi situazioni locali a fondamento dell'istanza di rimessione, la nuova formulazione della norma presuppone la generale validità della complessiva attività già realizzata, salvo che le parti presentino apposita richiesta di rinnovazione e non si tratti di atti per i quali la ripetizione è divenuta impossibile oppure debba essere applicato il dettato dell'articolo 190 bis. Pertanto in presenza di una specifica istanza in tal senso, il nuovo giudice tenuto a pronunciarsi deve necessariamente provvedere ad assumere nuovamente in contraddittorio quelle prove per le quali le parti abbiano richiesto la rinnovazione, con evidente pregiudizio per il principio della ragionevole durata del processo. Il quarto comma si chiude con il riconoscimento della titolarità alle parti del processo degli stessi diritti e delle stesse facoltà che sarebbero spettate loro innanzi al giudice originariamente competente (esempio). La disposizione è stata ritoccata dalla legge di riforma anche nell'ultimo comma laddove è stato innalzato il livello quantitativo della sanzione pecuniaria irrogabile nei confronti delle parti private nell'ipotesi in cui la pretestuosità dell'istanza di rimessione sia emersa dalla declaratoria di inammissibilità o di rigetto della medesima. Si tratta, peraltro, di un effetto della pronuncia negativa che non si produce automaticamente, ma solo nel caso in cui la richiesta sia stata avanzata con l'evidente intento di ritardare i termini di definizione della vicenda processuale. Il comma 59 dell’art. 1 della L. 23 giugno 2017, n. 103 (modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) interviene sull'articolo in commento che, come visto, nell'ambito della rimessione del processo penale, disciplina la decisione che la Corte di Cassazione assume in camera di consiglio e prevede che in caso di rigetto o inammissibilità della richiesta di rimessione, le parti private che l'hanno richiesta possano essere condannate con la stessa ordinanza al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro; il comma 59 integra il comma 6 dell’articolo in commento prevedendo che tale somma, tenuto conto dell’inammissibilità della richiesta, può essere integrata fino al doppio; un nuovo comma 6-bis prevede, con decreto ministeriale, l’adeguamento biennale delle somme indicate sulla base della relativa variazione Istat. Tali nuove disposizioni decorrono dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della citata L. 103/2017 (3 agosto 2017).

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C.p.p. art. 49 Nuova richiesta di rimessione COMMENTO La norma che chiude il Capo in commento si occupa di disciplinare gli sviluppi procedimentali che possono determinarsi in relazione alla presentazione di una nuova istanza di rimessione a fronte della decisione adottata in prima battuta sulla richiesta medesima da parte del giudice di legittimità. Premesso che la nuova domanda di rimessione può essere avanzata a prescindere dall'esito della prima pronuncia incidentale, il primo comma prevede che anche in caso di ordinanza di accoglimento, che abbia determinato la traslatio iudicii, l'imputato o il pubblico ministero, operante presso l'ufficio giudiziario designato, possono presentare domanda di revoca del precedente provvedimento, adducendo la sussistenza di nuovi e sopravvenuti elementi che facciano venir meno la grave situazione locale in grado di pregiudicare la libera determinazione dei partecipanti al processo, la sicurezza o la pubblica incolumità o di determinare ragioni di legittimo sospetto sulla non imparzialità di giudizio dell'organo giudicante. Peraltro mentre la richiesta di revoca mira a privare di efficacia la decisione di provocare il passaggio del processo ad una diversa sede giudiziaria, l'istanza di designazione di un nuovo giudice tende a determinare un ulteriore trasferimento della titolarità dei poteri giurisdizionali, sempre in modo conforme ai parametri di individuazione fissati dall'articolo 11. Occorre ulteriormente sottolineare come la “legge Cirami”, di modifica dell'articolo in argomento, abbia eliminato il riferimento alle regole operative sulla sospensione del processo principale [47] precedentemente contemplato dalla disposizione, lasciando intravedere la possibilità che in caso di istanza nuova il processo davanti al giudice designato in seconda battuta prosegua senza alcuna ulteriore interruzione. Anche nel diverso caso in cui il primo procedimento incidentale si sia concluso con una declaratoria di rigetto o di inammissibilità dell'istanza di rimessione, l'ulteriore domanda di trasferimento deve necessariamente fondarsi su elementi fattuali sopravvenuti o, se preesistenti alla prima richiesta, allora incolpevolmente ignorati dal soggetto istante. Tuttavia è opportuno precisare come questa limitazione alla riproponibilità dell'istanza operi solo nell'ipotesi in cui questa sia stata respinta per manifesta infondatezza: pertanto in tutti gli altri casi di ordinanza di rigetto per inammissibilità della richiesta, questa può essere ripresentata anche in forza delle stesse ragioni giustificative alla base della richiesta originaria [comma 4]. Il terzo comma, infine, prefigura una particolare fattispecie di inammissibilità dell'istanza per sua manifesta infondatezza, cioè l'ipotesi in cui essa sia stata riproposta, sulla base delle stesse ragioni oggettive e contestuali poste a fondamento di quella originariamente respinta, da parte di altri imputati del medesimo procedimento o di imputati protagonisti di procedimenti separati. In altri termini, il novum che rileva ai fini della riproposizione dell'istanza di rimessione è attinente ai profili oggettivi della medesima, cioè al riferimento alle specifiche gravi situazioni

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locali atte a turbare il regolare svolgimento della dialettica processuale, non essendo legato alla varietà degli imputati persone fisiche che di volta in volta sollevano la relativa questione.

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C.p.p. art. 50 Azione penale COMMENTO 1. Il procedimento necessario per ottenere l'autorizzazione a procedere nel caso in cui si debba formulare l'imputazione a carico di un parlamentare determina la sospensione dell'esercizio dell'azione penale nei suoi confronti. 2. Il giudice per le indagini preliminari accerta l'incapacità dell'indagato, dispone che il procedimento sia sospeso e nomina un curatore speciale del medesimo.

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C.p.p. art. 50 Azione penale GIURISPRUDENZA L'azione penale è esercitata e l'indagato assume la qualità di imputato con la formulazione del capo di imputazione da parte del pubblico ministero contenuta nella richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di giudizio direttissimo, di decreto penale o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. Il deposito dell'atto del P.M. e la notifica dello stesso all'imputato non sono formalità necessarie per considerare esercitata l'azione penale e per la correlativa acquisizione della qualità di imputato da parte del soggetto nei cui confronti tale azione viene esplicata. Ne consegue che il rapporto processuale tra le parti, e quindi il processo, si instaura con la richiesta di giudizio da parte del P.M. (368/1994, rv 197944). Qualora, esercitata l'azione penale, il giudice innanzi al quale sia stato incardinato il giudizio dichiari la propria incompetenza territoriale, deve considerarsi preclusa al pubblico ministero presso il giudice competente, al quale gli atti siano stati trasmessi ai sensi del primo comma dell'art. 23 c.p.p. (come risultante dalla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale pronunciata con sentenza n. 76 del 1993), la possibilità di formulare la richiesta di archiviazione; le valutazioni del pubblico ministero che riceve gli atti, invero, non possono non essere vincolate in forza del principio di irretrattabilità dell'azione penale, dovendosi ritenere che l'esercizio dell'azione penale dia luogo di per sé solo al processo ancorché si ricolleghi all'iniziativa di un pubblico ministero incompetente ed alla richiesta di giudizio ad un giudice anch'esso incompetente, atteso che l'incompetenza non può spiegare alcun effetto sull'avvenuto promovimento dell'azione ma solo determinare, se ed in quanto rilevata, il trasferimento del processo presso il giudice competente (1787/1998, rv 210591). Di fronte alla richiesta di archiviazione del P.m., perché gli autori del reato sono ignoti, il G.i.p. può rigettare l'istanza e chiedere di continuare le indagini (11205/2005).

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È abnorme il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, dopo avere revocato il decreto penale di condanna in ragione dell’impossibilità di eseguirne la notificazione per irreperibilità dell’imputato e avere disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 460, comma 4, cod. proc. pen., dichiari inammissibile la successiva richiesta di archiviazione sul rilievo che l’azione penale era già stata esercitata ed è per sua natura irretrattabile (2368/2017).

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C.p.p. art. 50 Azione penale COMMENTO La norma in commento enuncia il principio di obbligatorietà dell'azione penale in piena sintonia con l'art. 112 Cost. alla luce del quale il pubblico ministero deve svolgere le indagini preliminari al fine di acquisire gli elementi ritenuti necessari per formulare l'imputazione. Perciò, la funzione propulsiva del magistrato inquirente non ha carattere facoltativo, bensì obbligatorio e trova il suo unico ostacolo nella sussistenza dei presupposti per la richiesta di archiviazione, ricorrendo i quali egli deve sottoporre la relativa istanza al giudice dell'udienza preliminare. Infatti anche in merito a tale richiesta il magistrato inquirente non ha alcun potere discrezionale poiché è necessario che il giudice valuti il lavoro eseguito e, se lo ritiene opportuno, emetta il decreto di archiviazione del caso. L'interesse pubblico al perseguimento dell'autore del reato trova un limite nelle c.d. condizioni di procedibilità alle quali, in alcune fattispecie particolari, è subordinato l'esercizio dell'azione penale. Tali presupposti appaiono in conflitto con il principio di obbligatorietà non solo quando l'instaurazione del procedimento viene rimessa alla manifestazione di volontà del privato, ma anche quando l'ordinamento richiede il pronunciamento esplicito di un organo pubblico, dando, così, origine ad un'evidente dinamica di interferenza esterna tra poteri dello Stato. Il legislatore, infatti, in relazione a figure di reato tassativamente indicate postula, per la perseguibilità dell'autore della condotta criminosa, la richiesta del Ministro della giustizia il quale deve delibare sull'opportunità di procedere all'instaurazione del procedimento, trattandosi di situazioni nelle quali la delicatezza degli interessi coinvolti dipende evidentemente dall'estensione della sovranità dello Stato al di là dei suoi confini territoriali. In particolare si ha riguardo alle ipotesi di delitto politico commesso all'estero [c.p. 8], delitto comune del cittadino all'estero [c.p. 9], e delitto comune dello straniero commesso all'estero [c.p. 10]. Peraltro, per queste due ultime figure di reato è riconosciuta alla parte offesa la facoltà di manifestare la propria volontà in ordine al perseguimento del reo attraverso l'istanza che è provvedimento regolato dalle stesse disposizioni relative alla richiesta [c.p. 130]. In altri casi, invece, il legislatore subordina la perseguibilità del reato alla querela della vittima del medesimo poiché le esigenze di riservatezza del singolo sono riconosciute prevalenti rispetto all'accertamento e al perseguimento delle condotte criminose. Infatti i reati per i quali è postulata la ricorrenza di questa condizione di procedibilità sono fattispecie nelle quali ricorrono violazioni di interessi personali la cui pubblicizzazione può essere pregiudizievole per l'offeso in misura addirittura superiore rispetto alle conseguenze negative già prodotte dall'illecito penalmente rilevante [594, 595, 609 bis, 609 ter, 609 quater c.p.]. Nei casi diversi da questi, il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare d'ufficio l'azione penale, ad esempio mediante la richiesta di rinvio a giudizio, ed, una volta esercitata, essa non può più essere ritirata (principio della irretrattabilità dell'azione penale), nel senso che i fatti

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contestati attraverso l'imputazione devono rimanere inalterati nel loro nucleo storico essenziale e il procedimento non può regredire ad un momento anteriore alla formulazione dell'imputazione stessa. Proprio dal principio suddetto deriva, come corollario, la tassatività delle ipotesi normativamente delineate nelle quali l'esercizio dell'azione penale può essere sospeso o interrotto al fine di permettere il regolare svolgimento di procedimenti incidentali o di mettere in condizione il titolare di un diritto di esercitarlo proficuamente. Anche se ai fini degli effetti prodotti non c'è differenza (in entrambi i casi, infatti, si determina la sospensione dei termini di prescrizione del reato ai sensi dell'art. 159 c.p.), la sospensione appare essere, più propriamente, una causa di arresto della vicenda procedimentale cui consegue una situazione di quiescenza funzionale a permettere la definizione di una questione incidentale oggetto di un procedimento autonomo da cui dipendono gli sviluppi del primo (esempio n. 1), mentre l'interruzione appare istituto volto a far fronte ad eventi o situazioni che si verificano o vengono rilevate riguardo a soggetti astrattamente legittimati a compiere determinati atti processuali, ma che, in relazione a tali condizioni, non possono concretamente agire. In questo caso, attraverso la stasi del procedimento il singolo è posto realmente nelle condizioni di esercitare le sue prerogative all'interno della dinamica processuale, in modo tale che il principio del contraddittorio conformi effettivamente l'intero iter processuale (esempio n. 2). Ricordiamo, infine, la posizione assunta dalla Corte di giustizia europea (sent. 10 marzo 2005, causa C-469/03) in ordine all'ipotesi in cui il p.m. decida di non proseguire l'azione penale. Una decisione giudiziaria (...) adottata dopo che il Pubblico Ministero ha deciso di non proseguire l'azione penale per il solo motivo che è stato avviato un procedimento penale in un altro Stato membro a carico dello stesso imputato e per gli stessi fatti, senza svolgimento di alcuna valutazione nel merito, non può costituire una sentenza definitiva che giudica tale persona ai sensi dell'articolo 54 della Convenzione che attua l'accordo di Shengen. L'applicazione di tale articolo ad una decisione di chiudere il procedimento (...) sortirebbe l'effetto di rendere più difficile, o di ostacolare, ogni concreta possibilità di sanzionare negli Stati membri interessati il comportamento illecito addebitato all'imputato. Da un lato, la detta decisione di chiudere la causa sarà stata adottata dalle autorità giudiziarie di uno Stato membro senza alcuna valutazione del comportamento illecito addebitato all'imputato. Dall'altro, l'apertura di un procedimento penale in un altro Stato membro per gli stessi fatti risulterebbe compromessa, quand'anche proprio l'avvio di tale procedimento avesse giustificato la rinuncia all'azione penale da parte del Pubblico Ministero del primo Stato membro. Pertanto, occorre risolvere la questione pregiudiziale nel senso che il principio ne bis in idem, sancito dall'articolo 54 della Convenzione citata, non si applica ad una decisione delle autorità giudiziarie di uno Stato membro che dichiara chiusa una causa dopo che il Pubblico Ministero ha deciso di non proseguire l'azione penale per il solo motivo che è stato avviato un procedimento penale in un altro Stato membro a carico dello stesso imputato e per gli stessi fatti, senza alcuna valutazione nel merito. E, ancora, il principio del ne bis in idem, nell'ambito degli Stati parti della Convenzione di Shengen, si applica anche nei casi in cui un procedimento in un Paese contraente si sia concluso con una sentenza di assoluzione per insufficienza di prove che si fonda su una valutazione di merito. Per interpretare la nozione di “medesimi

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fatti”, i giudici di uno Stato contraente devono riferirsi unicamente agli aspetti materiali dei fatti in causa, prescindendo dalla qualificazione giuridica compiuta nei diversi Paesi (così Corte di giustizia europea 28 settembre 2006, causa C-150/05).

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C.p.p. art. 51 Uffici del pubblico ministero — Attribuzioni del procuratore della Repubblica distrettuale GIURISPRUDENZA Nei procedimenti relativi a reati previsti dall'art. 51, comma 3 bis, c.p.p., una norma che attribuisce, fra l'altro, l'esercizio delle relative funzioni nel procedimento di primo grado all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, ove tale prescrizione venga derogata alla stregua del comma terzo ter dello stesso articolo a norma del quale, se ne fa richiesta il procuratore distrettuale, il procuratore generale presso la Corte d'Appello, può, per giustificati motivi, disporre che le funzioni di pubblico ministero per il dibattimento siano esercitate da un magistrato designato dal procuratore della Repubblica presso il giudice competente, tale designazione non può restare circoscritta al dibattimento, ma deve comportare l'investitura delle funzioni anche in relazione a quelle procedura che – quali incidenti della fase dibattimentale – scaturiscono dal dibattimento stesso. Tra tali funzioni va annoverato l'esercizio dei poteri d'impugnativa delle ordinanze emesse nel corso del dibattimento e la conseguente partecipazione al giudizio incidentale, quando il detto giudizio derivi da un provvedimento adottato in quella sede (543/1995, rv 201662). Quando il provvedimento di fermo sia stato emesso da un sostituto di una procura distrettuale antimafia ed il fermo venga eseguito nel territorio di altra giurisdizione, la competenza per richiedere non solo la convalida, ma anche l'emissione della misura cautelare spetta al P.M. presso il tribunale del luogo ove il fermo viene eseguito (2160/1996, rv 206126). Ai fini dell'individuazione della competenza attribuita alla Procura distrettuale antimafia dal comma 3 bis dell'art. 51 c.p.p., il criterio distintivo tra delitti commessi “avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p.” o al fine di agevolare l'attività di associazioni mafiose, e delitti che tali connotati non hanno, non può essere restrittivo, nel senso che essa non possa essere ravvisata in

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ipotesi diverse da quelle in cui sia stata esplicitamente contestata l'aggravante prevista dall'art. 7 del D.L. n. 152 del 1991, giacché, in caso contrario, si vanificherebbe la “ratio” del citato art. 51 c.p.p., che ha inteso accentrare nelle mani del Procuratore della Repubblica distrettuale tutte le indagini comunque connesse a fatti di mafia. Ed invero deve ritenersi la competenza del Procuratore “antimafia” e, quindi, quella del G.I.P. presso il corrispondente tribunale, in ordine a reati che, quantunque non aggravati ai sensi del citato art. 7 del D.L. n. 152 del 1991, siano comunque connessi con l'attività di associazioni mafiose (4117/1997, rv 208481). In tema di impugnazioni delle sentenze pretorili legittimato è il procuratore della Repubblica, inteso come ufficio, il cui carattere impersonale, derivante dal disposto dell'art. 51, comma terzo, c.p.p., impedisce di distinguere tra un magistrato e l'altro: invero, la designazione tra di essi fatta dal dirigente dell'ufficio è atto di carattere amministrativo, irrilevante all'esterno ai fini del procedimento giudiziario (7009/1997, rv 209284). Nei procedimenti relativi a reati previsti dall'art. 51 c.p.p., comma 3 bis, che attribuisce l'esercizio delle funzioni requirenti nel procedimento di primo grado all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto, ove tale norma venga derogata alla stregua del comma 3 ter dello stesso articolo – secondo il quale se ne fa richiesta il procuratore distrettuale, il procuratore generale può, per giustificati motivi, disporre che le funzioni di pubblico ministero per il dibattimento siano esercitate da un magistrato designato dal procuratore della Repubblica presso il giudice competente –, la designazione di altro magistrato non può restare circoscritta al dibattimento, ma comporta l'investitura delle funzioni anche per quelle procedure – incidentali alla fase dibattimentale – che scaturiscono dal dibattimento stesso (3873/1999, rv 215425). Poiché il P.M. “ripete” la sua competenza dal giudice presso il quale esercita le sue funzioni, in difetto di una espressa disposizione in senso contrario, l'organo dell'accusa può esercitare le sue funzioni consultive solo nei procedimenti incardinati presso il “suo” giudice. Il principio trova applicazione sia per la partecipazione del P.M. all'udienza, sia per l'esercizio del diritto di impugnazione ed anche nei procedimenti incidentali, relativi a misure cautelari,

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personali o reali. Pertanto, qualora il legislatore adoperi genericamente l'espressione “pubblico ministero”, la stessa deve ritenersi relativa solo al rappresentante dell'ufficio presso il giudice competente, con la conseguenza che, quando il riesame o l'appello hanno ad oggetto provvedimenti di organi giudiziari diversi da quelli esistenti presso il Tribunale della libertà, è il P.M. costituito presso tale organo ad essere legittimato a ricevere l'avviso per l'udienza camerale, a partecipare al procedimento ed a proporre l'eventuale impugnazione (7114/1999, rv 212696). È legittimo il provvedimento del giudice di rigetto della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato dell'imputato straniero di cui si abbia fondato motivo di ritenere che le generalità indicate nell'autocertificazione non siano esatte, impedendo ciò le verifiche, previste dagli art. 96, commi 2 e 3 (se si tratta dei delitti previsti dall'art. 51, comma 3 bis, c.p.p.) e art. 98, comma 2, d.P.R. n. 115 del 2002, alle quali possono invece essere sottoposti i cittadini italiani, gli stranieri e gli apolidi residenti nello Stato (art. 90) e gli stranieri di cui siano certe le generalità (41599/2010). In materia di procedimenti per i delitti indicati nell'art. 51 comma terzo bis c.p.p., non è abnorme, ma legittimo e valido, il decreto con cui il Gup distrettuale – dopo aver escluso la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 7 D.L. n. 152 del 1991 – dispone il rinvio a giudizio davanti al tribunale territorialmente competente secondo le regole ordinarie (21840/2012). L'attribuzione del procedimento alla Procura distrettuale in ragione della competenza funzionale ex art. 51, comma 3 bis, c.p.p., non può di per sè comportare – nel caso in cui il g.i.p. distrettuale abbia disposto la proroga della durata delle operazioni di intercettazione, o, comunque, l'attivazione di nuove intercettazioni – la caducazione delle condizioni legittimanti l'utilizzo di apparati diversi da quelli esistenti presso la Procura della Repubblica del luogo ove erano state attivate le intercettazioni le cui risultanze abbiano determinato la trasmissione del procedimento per competenza alla Procura distrettuale. Ne consegue che le intercettazioni possono proseguire presso la Procura territoriale e l'adozione di uno specifico provvedimento esecutivo delle

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operazioni di registrazione per l'impiego di apparecchiature alternative è richiesto soltanto nell'ipotesi in cui la Procura distrettuale ritenga, per esigenze organizzative o per motivi in ogni caso collegati alle esigenze di indagine, che le suddette operazioni debbano essere effettuate nei locali della stessa Procura distrettuale, ovvero con impianti in dotazione di altri organi di polizia (25120/2012).

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C.p.p. art. 51 Uffici del pubblico ministero — Attribuzioni del procuratore della Repubblica distrettuale COMMENTO Prima della riforma de 2012 La norma in commento prevede l'applicazione del criterio funzionale riguardo alla ripartizione del lavoro tra gli uffici della Procura della Repubblica al fine di razionalizzare l'attività dei magistrati inquirenti. Il legislatore impone che a svolgere le funzioni di pubblico ministero in sede di indagine preliminare e durante tutto il procedimento di primo grado sia un magistrato della Procura della Repubblica presso il Tribunale competente secondo le disposizioni contenute nel Capo II del Titolo I [4 e ss.], mentre dinanzi al giudice dell'impugnazione la pubblica accusa deve essere rappresentata da un magistrato operante presso la procura generale in Corte di Appello o presso la Corte di Cassazione. Queste regole subiscono deroghe in tutti i casi in cui venga disposta l'avocazione delle indagini secondo quanto previsto dal codice di rito e precisamente nelle seguenti fattispecie: – avocazione richiesta da parte del procuratore nazionale antimafia per mancato esito positivo del coordinamento dell'attività delle singole procure antimafia [372]; – avocazione delle indagini preliminari da parte del procuratore generale presso la Corte di Appello per mancato esercizio dell'azione penale [412]; – avocazione da parte del procuratore generale presso la Corte di Appello richiesta dalla persona sottoposta alle indagini o dalla persona offesa [413]; – rigetto del giudice sulla richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero presso il Tribunale [409]; – ordinanza di integrazione delle indagini eseguite emessa dal giudice delle indagini preliminari [421 bis]. Tuttavia, mentre i primi tre casi configurano ipotesi di avocazione obbligatoria, gli ultimi due rappresentano ipotesi di avocazione meramente facoltativa ovvero rimessa alla discrezionalità del procuratore generale qualora questi si avveda che la richiesta di archiviazione del pubblico ministero o l'ordine di integrazione delle indagini emesso dal giudice dell'udienza preliminare configurino, in realtà, fattispecie di inerzia investigativa. Attraverso l'istituto dell'avocazione il magistrato gerarchicamente superiore subentra nello svolgimento delle indagini al fine di esercitare meglio l'azione penale o per coordinare in modo più completo l'attività investigativa delle diverse procure. Questo potere consente anche al procuratore generale della Corte di Appello di svolgere autonomamente le indagini preliminari il cui esercizio gli sarebbe altrimenti precluso. L'avocazione determina, pertanto, la sostituzione automatica del magistrato inerte al verificarsi delle condizioni richieste dalla legge e risponde all'esigenza di garantire l'effettività del principio di obbligatorietà dell'azione penale, integrando perciò un potere-dovere del magistrato inquirente che svolge funzioni di controllo su quanto eseguito dal sottordinato. Una

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copia del provvedimento motivato che decide sull'avocazione deve essere, peraltro, sempre trasmessa al Consiglio Superiore della Magistratura ed al magistrato interessato affinché quest'ultimo possa avanzare reclamo ai sensi dell'art. 70 dell'ordinamento giudiziario (R.D. n. 12 del 1941). La L. 20 gennaio 1992, n. 8 ha introdotto una deroga assoluta alle norme sulla competenza per territorio laddove oggetto di indagine sia la commissione di taluno dei reati previsti nel comma 3 bis della norma in commento (ai quali, con L. n. 228 del 2003, sono stati aggiunti quelli relativi alla riduzione o mantenimento in schiavitù, alla tratta di persone e all'acquisto e alienazione di schiavi, ovvero all'associazione per delinquere finalizzata alla loro commissione). Infatti, in tal caso la competenza spetta al pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito operi l'ufficio giudiziario che sarebbe titolare della giurisdizione alla stregua dei criteri ordinari di individuazione, anche a prescindere dai legami di connessione previsti dall'art. 16 del codice di rito. La ratio di questa previsione deve essere individuata nell'intento di facilitare l'accertamento di tutte le più importanti manifestazioni delittuose attinenti alla criminalità mafiosa mediante l'attribuzione della titolarità dei relativi poteri investigativi ad un “pool” specialistico di magistrati operanti presso la Procura Distrettuale Antimafia. Inoltre, proprio alla luce delle peculiarità dell'attività di accertamento richiesta per questa tipologia di reati, il procuratore distrettuale può richiedere al procuratore generale presso la Corte d'Appello, per giustificati motivi, che le funzioni di pubblico ministero nel successivo processo innanzi al giudice dibattimentale siano svolte da un magistrato appositamente designato dal procuratore della Repubblica presso il giudice competente. Particolari disposizioni, ispirate anch'esse all'esigenza di garantire una specifica professionalità nello svolgimento delle attività di investigazione, sono poi dettate dal comma 3 quater, introdotto con una recente novella legislativa (D.L. n. 374 del 2001, convertito in L. n. 438 del 2001), qualora la finalità dei reati compiuti sia terroristica, norme che ricalcano sostanzialmente lo schema dinamico e operativo delineato dalla disposizione sui reati di matrice mafiosa. Il complesso delle attribuzioni del Procuratore della Repubblica distrettuale è stato, da ultimo, incrementato dalla L. 18 marzo 2008 n. 48, legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, con l'aggiunta del comma 3 quinquies. Tale norma prevede che in materia di reati informatici, ma non solo, ovvero per i delitti di prostituzione e pornografia minorile, nonché per le fattispecie affini richiamate, le funzioni inquirenti siano esercitate dall'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede l'Autorità giudiziaria territorialmente e funzionalmente competente. La scelta mira a soddisfare esigenze di coordinamento investigativo in relazione a figure delittuose di particolare allarme sociale che sono generalmente espressione di organizzazioni criminali complesse. Ragioni di organicità e coerenza hanno indotto il legislatore ad intervenire nuovamente sull'assetto normativo dell'articolo in commento tramite il D.L. 92/2008, convertito in L. 125/2008, il c.d. “pacchetto sicurezza”.

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L'attuale formulazione del comma 3 ter dell'art. 51 c.p. (con la conseguente soppressione del secondo periodo del comma 3 quater), consente infatti di concentrare le funzioni requirenti in capo agli uffici distrettuali; nello specifico è stata estesa la possibilità anche per i delitti di cui al comma 3 quinquies che le funzioni di pubblico ministero, in relazione alla fase dibattimentale, siano esercitate da un magistrato designato dal Procuratore della Repubblica presso il giudice competente, come già previsto dallo stesso art. 51 ai commi 3 ter (per i delitti di criminalità organizzata) e 3 quater (per i reati di terrorismo). La legge di riforma del 2009 (L. 99/2009: c.d. pacchetto sicurezza) ha aggiunto ai reati elencati al comma 3 bis quello di associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (art. 473) e di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.) nella versione successiva alla medesima legge di riforma. La legge 136/2010 (Piano contro le mafie) ha aggiunto ai reati elencati al comma 3 bis quello di Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui all'art. 260 del Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006), intendendo così quest'ultimo come reato di grave allarme sociale rispetto al quale le funzioni di P.M. sono attribuite all'ufficio del P.M. presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente e la cui trattazione rientra nelle funzioni della Direzione distrettuale antimafia. Ricordiamo che il Codice antimafia (D.Lgs. 159/2011) ha stabilito che i provvedimenti previsti dal Capo II (misure di prevenzione personali applicate dall'autorità giudiziaria) del Titolo I (misure di prevenzione personali) del Libro I (misure di prevenzione), ovvero le regole contenute negli artt. dal 4 al 15, si applicano ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dal comma 3 bis dell'articolo in commento (ovvero del delitto di cui all'articolo 12 quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356). Dopo la riforma del 2012 La Convenzione per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale (Convenzione di Lanzarote) stipulata nell'ambito del Consiglio d'Europa il 25 ottobre 2007, è il primo strumento internazionale con il quale gli abusi sessuali contro i bambini diventano reati, compresi quelli che hanno luogo in casa o all'interno della famiglia, con l'uso della forza, con la coercizione o le minacce. Oltre ai reati più comunemente diffusi in questo campo (abuso sessuale, prostituzione infantile, pedopornografia, partecipazione coatta di bambini a spettacoli pornografici) la Convenzione disciplina anche i casi di grooming (adescamento attraverso internet) e di turismo sessuale. La Convenzione delinea misure preventive che comprendono lo screening, il reclutamento e l'addestramento di personale che possa lavorare con i bambini al fine di renderli consapevoli dei rischi che possono correre e di insegnare loro a proteggersi; la Convenzione stabilisce inoltre programmi di supporto alle vittime, incoraggia la denuncia di presunti abusi e di episodi di sfruttamento e prevede l'istituzione di centri di aiuto via telefono o via internet.

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Più in dettaglio, la Convenzione di Lanzarote si compone di un Preambolo e di 50 articoli, raggruppati in 13 Capitoli. Il Preambolo richiama gli strumenti giuridici esistenti nel campo della protezione dei diritti dei bambini il più importante dei quali, e che considera anche l'aspetto dello sfruttamento sessuale, è la Convenzione delle Nazioni Unite dei diritti dei bambini (entrata in vigore nel 1990, ratificata dall'Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176). Il Capitolo I (artt. 1-3) delinea l'oggetto della Convenzione (la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, così come descritti negli articoli da 18 a 23), afferma il principio di non discriminazione e fornisce alcune definizioni. Tra di esse quella di “bambino”, che indica ogni persona al di sotto dei 18 anni di età. Il Capitolo II (artt. 4-9) riguarda le misure preventive, legislative o di altro genere. Le Parti si impegnano a promuovere la consapevolezza dei diritti dei bambini presso il personale che, per la propria professione, è a contatto con il mondo dell'infanzia, siano essi operatori del sistema educativo, delle forze dell'ordine, di attività sportive, così come altre figure ancora. Le Parti dovranno anche fare in modo che nei cicli di istruzione primaria e secondaria, i bambini ricevano le adeguate informazioni circa i rischi di sfruttamento sessuale e di abusi. Anche il pubblico dovrà essere informato sul fenomeno dello sfruttamento e degli abusi sessuali a danno dei bambini e sulle misure di prevenzione. Infine, la Convenzione prevede che le Parti incoraggino i bambini, il settore primato, i media e la società civile a partecipare all'elaborazione delle politiche di prevenzione di tale fenomeno. Il Capitolo III (art. 10) prevede l'istituzione di organismi nazionali o locali per la promozione e la protezione dei diritti del bambino e impone il loro coordinamento. Il Capitolo IV (artt. 11-14), che riguarda misure di protezione ed assistenza alle vittime, stabilisce innanzitutto l'istituzione di programmi e la creazione di strutture per fornire supporto ai bambini vittime di abusi sessuali, ai loro parenti e a coloro ai quali le vittime sono affidate. Viene prevista l'adozione di misure che consentano la segnalazione di sospetti e l'attivazione di linee telefoniche o internet con operatori in grado di fornire assistenza a chi chiama; le Parti sono chiamate inoltre ad adottare le misure necessarie a garantire assistenza alle vittime, a breve e lungo termine. Il Capitolo V (artt. 15-17) prevedono l'adozione di programmi o misure di intervento destinati a persone processate o condannate per reati a carattere sessuale a danno dei bambini, al fine di prevenire i rischi di recidive. Il Capitolo VI (artt. 18-29) elenca nel dettaglio una serie di comportamenti che le Parti, attraverso l'adozione di misure adeguate, si impegnano a considerare reati, relativamente agli abusi sessuali, la prostituzione e la pornografia infantile, la corruzione di bambini e l'adescamento a scopi sessuali, il favoreggiamento di tali reati. Le Parti si impegnano inoltre ad esercitare la propria giurisdizione a perseguire i reati configurati dalla Convenzione e individua casi nei quali la responsabilità è estensibile anche a persone giuridiche. Le Parti si impegnano ad adottare i provvedimenti che stabiliscano le sanzioni (efficaci, proporzionate e dissuasive) per punire i reati previsti dalla Convenzione, tenendo conto anche delle eventuali circostanze aggravanti o di precedenti condanne definitive.

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Il Capitolo VII (artt. 30-36), relativo ad indagini e procedimenti, stabilisce innanzitutto che questi dovranno essere condotti nel rispetto dei principi dell'interesse superiore e del rispetto dei diritti del bambino. L'articolo 31 contiene un elenco (non esaustivo) di misure volte a proteggere le vittime (e le loro famiglie) nel corso delle indagini e dei procedimenti penali, fra le quali la costante informazione sui propri diritti e sui servizi a loro disposizione e la possibilità di essere assistiti in maniera adeguata affinché i loro diritti siano debitamente rappresentati. È previsto che i reati siano perseguibili anche senza una dichiarazione o un'accusa da parte della vittima, e che il procedimento continui anche nel caso in cui la vittima ritratti. In considerazione del fatto che in molti casi i ragazzi non hanno la capacità di denunciare offese sessuali nei propri riguardi prima del compimento della maggiore età, la Convenzione prevede che i termini di prescrizione siano differiti per un periodo di tempo sufficiente a permettere l'avvio effettivo dei seguiti dopo che la vittima abbia, appunto, raggiunto la maggiore età. È inoltre stabilito il principio della formazione professionale di tutti gli coloro che operano nel campo delle indagini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali relativi a bambini. Il Capitolo VIII (art. 37), dispone, in materia di conservazione e registrazione dei dati a carattere personale, l'adozione delle adeguate misure a garanzia della loro protezione. Il Capitolo IX (art. 38) stabilisce l'adozione di misure da parte degli Stati membri per avviare una proficua cooperazione a carattere internazionale per prevenire e combattere lo sfruttamento e gli abusi sessuali sui bambini, per proteggere le vittime, e per perseguire i colpevoli. Il Capitolo X (artt. 39-41) è dedicato al meccanismo di monitoraggio, sorvegliato dal Comitato delle Parti formato dai rappresentanti delle Parti aderenti alla Convenzione e da rappresentanti dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e di altri comitati intergovernativi afferenti al CdE. Il Comitato delle Parti vigila sull'attuazione della Convenzione, e ha il compito di favorire lo scambio e l'analisi di informazioni pertinenti. Il Capitolo XI (artt. 42-43) disciplina i rapporti con altri strumenti internazionali, e in particolare con la Convenzione dell'ONU relativa ai diritti del bambino unitamente al suo Protocollo opzionale concernente il traffico di bambini e la prostituzione e la pornografia infantili (l'Italia ha ratificato questo Protocollo, congiuntamente al Protocollo relativo al coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, con la legge 11 marzo 2002, n. 46); è stabilito che la Convenzione di Lanzarote non incide sui diritti ed obblighi derivanti dalle disposizioni della citata Convenzione dell'ONU, del suo Protocollo, né da altri dispositivi ai quali le Parti aderiscono e che in materia assicurino le più ampie tutele ai minori vittime di sfruttamento o abuso sessuali. Il Capitolo XII (art. 44) disciplina la possibilità di emendare la Convenzione, mentre il Capitolo XIII (artt. 45-50) contiene le clausole finali. La Convenzione è aperta alla firma degli Stati membri, degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione e della Comunità europea, e all'adesione degli altri Stati non membri. L'entrata in vigore è subordinata al deposito degli strumenti di ratifica di 5

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Paesi inclusi almeno 3 Stati membri del Consiglio d'Europa. La Convenzione, aperta alla firma il 25 ottobre 2007, è entrata in vigore il 1° luglio di quest'anno, essendo stata ratificata da cinque Stati – di cui almeno tre Stati membri del CdE (Attualmente i paesi che hanno completato la procedura di ratifica sono l'Albania, la Danimarca, la Francia, la Grecia, Malta, i Paesi Bassi, la Repubblica di San Marino, la Serbia e la Spagna) – così come previsto dall'art. 45 della Convenzione stessa. Con L. 1 ottobre 2012, n. 172 è stata ratificata la suddetta Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale. L'adeguamento del nostro ordinamento ai principi in essa contenuti è avvenuto attraverso una serie di modifiche al codice in commento, al codice penale, al codice antimafia, alla legge sull'ordinamento penitenziario, al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia e alle regole sulle ipotesi particolari di confisca. L'articolo in commento è stato all'uopo modificato dall'art. 5, comma 1, lett. a), L. 172/2012 attribuendo alle procure distrettuali (cioè alle procure presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d'appello nel cui ambito ha sede il giudice competente) le funzioni dell'ufficio del pubblico ministero in relazione all'ipotesi di associazione a delinquere di cui al comma settimo dell'articolo 416 del codice penale introdotta dalla lettera c) del comma 1 dell'articolo 4 L. 172/2012, coerentemente con la scelta effettuata, in materia di pedofilia, a seguito dell'introduzione del comma 3 quinquies dell'articolo 51 del codice di procedura penale con la legge n. 48 del 2008. In particolare il legislatore di riforma ha aggiunto tra i delitti di competenza della procura distrettuale l'istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia (art. 414 bis c.p.) ed ha attribuito all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente il nuovo delitto di adescamento di minorenni (art. 609 undecies). Dopo la riforma del 2015 Con L. 23 febbraio 2015, n. 19 è stato sancito il divieto di concessione dei benefici ai condannati per il delitto di cui all'articolo 416 ter del codice penale (scambio elettorale politico-mafioso). La nuova disciplina interviene su due snodi fondamentali del sistema del cd. “doppio binario”, secondo il quale imputati e condannati per associazione mafiosa ed altri reati di particolare gravità ed allarme sociale sono soggetti ad un trattamento processuale, sanzionatorio e penitenziario differenziato rispetto alla generalità di imputati e condannati. Ricordiamo che la L. 17 aprile 2014, n. 62, ha modificato la fattispecie del delitto di scambio elettorale politico-mafioso prevista dall'art. 416 ter del codice penale. Come noto, la versione previgente del delitto stabiliva che chiunque, in cambio dell'erogazione di denaro, otteneva una promessa di voti (procurati col metodo "mafioso" di cui al terzo comma dell'art. 416 bis ovvero con la forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo) fosse punito con la pena-base per il reato di associazione di tipo mafioso (reclusione da 7 a 12 anni). Il legislatore è intervenuto sia sul versante della condotta illecita, dilatandola sensibilmente, sia su quello della pena edittale, riducendola. Sotto il primo profilo, infatti, la gamma dei fatti punibili risultano ampliati essendovi ora inclusa l'accettazione della promessa di voti in cambio della promessa o della erogazione

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(oltre che di denaro, anche) di altra utilità; sotto il profilo sanzionatorio, ha ridotto la pena rispetto all'art. 416 bis c.p. Il nuovo art. 416 ter c.p. stabilisce ora che chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante modalità mafiose (ovvero quelle di cui al terzo comma dell'art. 416 bis) in cambio dell'erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da 4 a 10 anni. La stessa pena si applica all'appartenente all'organizzazione criminale ovvero colui che promette di procurare voti con le modalità mafiose. Il legislatore del 2015 modifica il comma 3 bis dell'articolo in commento attribuendo le funzioni di pubblico ministero nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado per i reato di scambio elettorale politico-mafioso ai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. Tali funzioni, in base al citato sistema del doppio binario (e per finalità di specializzazione) sono svolte per i reati di mafia ed una serie di altri gravi reati associativi, dalla DDA (Direzione distrettuale antimafia), cui corrisponde sul piano investigativo la DIA (Direzione investigativa antimafia). L'attribuzione ai magistrati della DDA delle funzioni di PM in tali procedimenti è prevista dall'art. 102 del cd. Codice antimafia (D.Lgs 159/2011). Tale disposizione stabilisce che per la trattazione dei procedimenti relativi ai reati indicati nell'articolo 51, comma 3 bis, del codice di procedura penale il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto, tenendo conto delle specifiche attitudini e delle esperienze professionali, costituisce, nell'ambito del suo ufficio, una direzione distrettuale antimafia designando i magistrati che devono farne parte per la durata non inferiore a due anni. Fatti salvi, casi eccezionali, il procuratore distrettuale designa come PM nei procedimenti riguardanti i reati indicati nell'articolo 51, comma 3 bis, c.p.p., i magistrati addetti alla DDA. Con le integrazioni alla formulazione degli articoli 4 bis dell'ordinamento penitenziario e 51, comma 3 bis del codice di rito penale, il reato di scambio elettorale politico-mafioso entra, dunque, a fare parte a pieno titolo del citato sistema del doppio binario. Dopo la riforma del 2017 L’art. 18, D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito in L. 13 aprile 2017, n. 46 (recante disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonchè per il contrasto dell’immigrazione illegale), integra le attribuzioni dell’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente includendo le indagini per i delitti di associazione per delinquere finalizzati a tutte le forme aggravate di traffico organizzato di migranti. È quindi integrato il comma 3-bis dell'articolo in commento per ricomprendere anche le forme aggravate di cui al comma 3 e al comma 3-ter dell’articolo 12 del testo unico sull’immigrazione (ovvero immigrazione clandestina, anche aggravata dallo sfruttamento ai fini della prostituzione). Dopo la riforma del 2018 L’art. 3, comma 2, D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, recante “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103”, al fine di coordinare le disposizioni contenute nel codice di procedura penale con le modifiche apportate dal predetto decreto al codice penale, ha modificato

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l’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., prevedendo che le funzioni esercitate nel co. 1, lett. a), articolo in commento sono attribuite all’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente anche nell’ipotesi in cui si proceda per il delitto, consumato o tentato, di cui all’art. 416 c.p., realizzato al fine di commettere (fra gli altri) il reato di cui all’art. 452quaterdecies c.p. (introdotto nel codice penale dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21 cit.). In conseguenza di ciò, il legislatore ha soppresso il rinvio all’art. 260, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, contenuto nella norma in commento, in quanto abrogato dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, che ne ha trasposto il contenuto nell’art. 452-quaterdecies c.p. Dopo la riforma del 2019 L'articolo 3, D.L. 14 giugno 2019, n. 53, convertito in L. 8 agosto 2019, n. 77 (c.d. decreto “sicurezza bis”), ha novellato l'articolo in commento allo scopo di estenderne l'applicazione anche alle fattispecie associative realizzate al fine di commettere il reato di favoreggiamento, non aggravato, dell'immigrazione clandestina. Conseguentemente, sarà possibile svolgere intercettazioni preventive per l'acquisizione di notizie utili alla prevenzione di tale delitto. In particolare, il decreto 53/2019 modifica il comma 3-bis, che attribuisce all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, le indagini preliminari per alcuni delitti associativi. L'attribuzione alla procura distrettuale delle indagini sui delitti previsti dal T.U. immigrazione è stata prevista dall'art. 18 del decreto legge n. 13 del 2017, che si è limitato a fare riferimento ai commi 3 e 3-ter dell'art. 12 del d.lgs. n. 286 del 1998. Il legislatore di riforma del 2019 integra l'elencazione dell'art. 51 oggetto di commento con riferimento ai delitti previsti dal T.U. immigrazione, aggiungendo alle già previste indagini per i delitti di favoreggiamento aggravato dell'immigrazione clandestina (di cui all'art. 12, commi 3 e 3-ter del d.lgs. n. 286 del 1998), anche le indagini per il delitto di favoreggiamento semplice (di cui all'art. 12, comma 1 del T.U.). Se, dunque, prima dell'entrata in vigore del decreto-legge 53/2019 la procura distrettuale era competente solo per il favoreggiamento aggravato dell'immigrazione clandestina (commi 3 e 3-ter dell'art. 12), lasciando alla procura circondariale la competenza per le indagini sul reato semplice di favoreggiamento (comma 1 dell'art. 12), con la riforma si dispone di accentrare tutte le indagini sul favoreggiamento presso la procura distrettuale. Il comma 2 dell'articolo 3 del D.L. 53/2019 contiene una disposizione transitoria ai sensi della quale la competenza della procura distrettuale opererà in relazione ai procedimenti penali iniziati successivamente all'entrata in vigore del suddetto decreto (10 agosto 2019). Si ricorda, infine, che per tutti i delitti elencati nel comma 3-bis del presente articolo, e dunque ora anche per il delitto semplice di favoreggiamento dell'immigrazione clandestine (di cui all'art. 12, comma 1, TU), l'ordinamento consente intercettazioni e controlli preventivi sulle comunicazioni. L'art. 226 disp. att. c.p.p., infatti, dispone che il Ministro dell'interno o, su sua delega, il direttore della Direzione investigativa antimafia, i responsabili dei Servizi di sicurezza, nonché il questore o il comandante provinciale dei Carabinieri e della Guardia di finanza, richiedono al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del

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distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a controllo ovvero, nel caso non sia determinabile, del distretto in cui sono emerse le esigenze di prevenzione, l'autorizzazione all'intercettazione di comunicazioni o conversazioni, anche per via telematica, nonché all'intercettazione di comunicazioni o conversioni tra presenti quando sia necessario per l'acquisizione di notizie concernenti la prevenzione di delitti di cui – tra gli altri – all'art. 51, comma 3-bis c.p.p. Il procuratore della Repubblica, qualora vi siano elementi investigativi che giustifichino l'attività di prevenzione e lo ritenga necessario, autorizza l'intercettazione per la durata massima di 40 giorni, prorogabile per periodi successivi di 20 giorni ove permangano i presupposti di legge. In ogni caso gli elementi acquisiti attraverso le attività preventive non possono essere utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi. In ogni caso le attività di intercettazione preventiva e le notizie acquisite a seguito delle attività medesime, non possono essere menzionate in atti di indagine né costituire oggetto di deposizione né essere altrimenti divulgate. La Relazione illustrativa del disegno di legge di conversione in merito afferma che «l'intervento attuato prima della consumazione del reato appare, oltre che efficace, auspicabile solo pensando che esso può permettere di impedire a monte l'organizzazione di trasporti di stranieri irregolari, laddove l'intervento successivo alla commissione del reato non elimina le criticità derivanti dalla gestione dei medesimi irregolari giunti su suolo italiano».

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C.p.p. art. 52 Astensione GIURISPRUDENZA La disposizione di cui all'art. 52, comma quarto, c.p.p., si riferisce, per contenuto e collocazione sistematica, al solo pubblico ministero, disciplinandone il corretto funzionamento nei casi di astensione previsti nei commi precedenti dello stesso articolo e dettando all'uopo varie regole fra cui quella, in ipotesi di astensione del procuratore della Repubblica e del procuratore generale, della possibilità di sostituzione del magistrato astenuto con altro magistrato appartenente ad un ufficio del pubblico ministero egualmente competente, designato a norma dell'art. 11 c.p.p.; il richiamo a quest'ultima norma, pertanto, deve intendersi operato, secondo una corretta interpretazione, esclusivamente al limitato fine dell'individuazione del magistrato sostituto, la cui conseguente legittimazione rimane ristretta allo svolgimento dell'attività ricadente nell'ambito delle indagini preliminari, senza alcuna influenza sulla competenza territoriale del giudice che resta stabilita secondo le regole generali ex artt. 8 e 9 c.p.p. (5427/1995, rv 203098). È irrituale il provvedimento con il quale il pretore, dopo la dichiarazione di astensione del pubblico ministero, disponga la trasmissione degli atti all'ufficio di quest'ultimo, in quanto non è consentita la regressione del procedimento a una fase ormai superata (1581/1998, rv 210341). In tema di legittima difesa, le modifiche apportate dalla l. 13 febbraio 2006 n. 59 all'art. 52 c.p. hanno riguardato solo il concetto di proporzionalità, al dichiarato scopo di rafforzare il diritto di autotutela in un privato domicilio o in un luogo ad esso equiparato, fermi restando i presupposti dell'attualità dell'offesa e della inevitabilità dell'uso dell'arma come mezzo di difesa della propria o dell'altrui incolumità (23221/2010).

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C.p.p. art. 52 Astensione COMMENTO La norma in commento predispone un'agile disciplina per l'applicazione dell'istituto dell'astensione anche nei riguardi del pubblico ministero, laddove lo stesso ritenga opportuno sottrarsi allo svolgimento dei compiti attribuitigli dall'ordinamento processuale, in relazione all'attività investigativa che sarebbe chiamato ad effettuare riguardo a specifici fatti di reato, ricorrendo delle gravi ragioni di convenienza. L'assenza di un'indicazione tassativa delle cause di astensione e la previsione di una pura e semplice facoltà di astenersi dipendono senza dubbio dalla qualità di parte, sia pure pubblica, che l'attuale codice di rito assegna al magistrato inquirente. Tuttavia, la considerazione sistematica delle norme contenute nell'art. 53 comma 2 e delle regole deontologiche e disciplinari al cui rispetto il magistrato è comunque tenuto induce a ritenere che sul pubblico ministero incomba un vero e proprio dovere di dichiarare le ragioni di astensione e di non procedere, perciò, alla prosecuzione delle attività procedimentali, dal momento che gli interessi pubblici che egli deve perseguire nell'esercizio dell'azione penale sarebbero comunque pregiudicati dalla contemporanea sussistenza di interessi personali di qualsiasi genere (in questi termini si sono espresse le stesse Sezioni Unite nella sentenza 24 gennaio 2003, n. 1088). Peraltro alla violazione del suddetto dovere di astensione il codice di rito non collega l'esperibilità di alcuna sanzione processuale. Competenti a decidere sulla richiesta presentata dallo stesso pubblico ministero sono il procuratore della repubblica presso il tribunale ed il procuratore generale presso la Corte di Appello o presso la Corte di Cassazione se si tratta di un procuratore capo. All'accoglimento della richiesta di astensione del magistrato consegue la designazione di un sostituto appartenente allo stesso ufficio o ad un ufficio diverso, individuato secondo il criterio della circolarità ai sensi dell'art. 11, laddove si tratti del titolare della procura della Repubblica o del procuratore generale che svolge le funzioni in Corte d'Appello. Da ultimo appare opportuno sottolineare come, in assenza di specifiche indicazioni normative sulla sorte dell'attività procedimentale posta in essere dal magistrato astenutosi, gli atti comunque compiuti prima della sostituzione devono ritenersi pienamente utilizzabili in giudizio secondo le norme processuali generali.

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C.p.p. art. 53 Autonomia del pubblico ministero nell'udienza. Casi di sostituzione GIURISPRUDENZA Nel vigente sistema processuale penale è prevista l'insostituibilità, a pena di nullità, del giudice, non del magistrato che rappresenta l'ufficio del pubblico ministero nel giudizio e che è parte. La norma di cui all'art. 53 c.p.p. consente, anzi, la sostituzione di tale magistrato con altro magistrato dello stesso ufficio o di quello superiore, e ne disciplina i casi, non nell'interesse diretto delle parti, bensì per la corretta organizzazione di quegli uffici e soprattutto al fine di garantire l'integrità del ruolo dell'accusa, ponendola al riparo da eventuali abusi dei dirigenti di quegli uffici, assicurandone l'autonomia o l'indipendenza non solo verso l'esterno, ma anche all'interno del medesimo ufficio (5942/1991, rv 188016). L'art. 53, secondo comma, c.p.p. prevede che il magistrato del pubblico ministero che esercita le funzioni in udienza può essere sostituito, fatti salvi i casi di cui alla prima parte della disposizione citata, solo con il suo consenso. Questo, peraltro, può essere manifestato sia in forma espressa che tacita, e in tale seconda ipotesi è desumibile da fatti concludenti (9694/1994, rv 199850). È configurabile l'illecito disciplinare previsto dall'art. 2, comma 1, lett. c, d.lg. 23 febbraio 2006 n. 109 (consapevole inosservanza del dovere di astensione nei casi previsti dalla legge) pure a carico del magistrato del p.m., benché per esso sia prevista solo la facoltà di astenersi, in quanto anche per il p.m. sussiste il dovere di valutare, nell'esercizio delle sue funzioni, le ragioni di grave convenienza per non trattare cause in cui egli o suoi stretti congiunti abbiano interessi e quello di astenersi nel caso di verificata esistenza di tali ragioni, con particolare riguardo a interessi propri o personali dello stesso magistrato. (Nella specie, la Corte ha ritenuto configurabile la violazione disciplinare nel fatto di magistrati del p.m. che abbiano avviato un procedimento penale nei confronti di colleghi in servizio presso la Procura della Repubblica di altra sede

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giudiziaria i quali avevano disposto il sequestro probatorio di atti di procedimento penale pendente dinanzi ai primi) (11431/2010). In tema di delega conferita dal procuratore della Repubblica al vice procuratore onorario e al magistrato ordinario in tirocinio per lo svolgimento delle funzioni di pubblico ministero, devono considerarsi come non apposte le condizioni o le restrizioni non previste dalla legge ivi eventualmente inserite, delle quali, quindi, il giudice non deve tenere alcun conto (S.U. 13716/2011).

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C.p.p. art. 53 Autonomia del pubblico ministero nell'udienza. Casi di sostituzione COMMENTO L'autonomia cui deve conformarsi l'adempimento dei compiti istituzionali che l'attuale ordinamento attribuisce al pubblico ministero è significativa del superamento definitivo di quel modello gerarchico rinvenibile all'interno del codice del 1930 che si concretizzava nella subordinazione del magistrato inquirente all'ufficio in cui esercitava le proprie funzioni. In forza di questa impostazione nuova il sistema attuale riconosce all'organo della pubblica accusa la più ampia discrezionalità tanto nella scelta delle modalità di conduzione di quelle attività investigative strumentali al corretto esercizio dell'azione penale quanto nell'adozione delle determinazioni relative allo sviluppo della dinamica procedimentale. Tale indipendenza nell'esercizio delle varie prerogative istituzionali non può tradursi, tuttavia, in una soggettivizzazione estrema dell'attività stessa; infatti il singolo pubblico ministero deve comunque seguire quelle direttive impartite dal Procuratore della Repubblica volte a garantire la piena efficienza dell'operato generale dell'ufficio di cui è componente, nell'opera di accertamento delle diverse notizie di reato. In quest'ottica si colloca il potere di sostituzione del capo dell'ufficio che, in alcuni casi, può prescindere anche dal consenso del magistrato procedente. Infatti, il comma 2 della norma in commento stabilisce che per rilevanti esigenze di servizio ed in alcuni dei casi previsti dall'art. 36 il P.M. può essere sostituito in base ad una determinazione volitiva del solo procuratore capo, la quale, tuttavia, conformemente a quanto stabilito dall'art. 70 dell'Ordinamento Giudiziario, deve essere trasmessa al Consiglio Superiore della Magistratura. Complessivamente possono distinguersi tre gruppi di ipotesi di sostituzione: – sussistenza di un grave impedimento o di rilevanti esigenze di servizio, fattispecie nelle quali rileva esclusivamente la valutazione discrezionale del capo dell'ufficio; – sussistenza di una fattispecie nella quale il giudice sarebbe obbligato ad astenersi, in particolare si richiamano le ipotesi di cui alle lettere a), b), d) e) dell'art. 36; – sussistenza di un consenso del magistrato alla sostituzione in relazione alle più svariate situazioni. Laddove il procuratore capo non abbia provveduto ad adottare il provvedimento di sostituzione, il legislatore prevede l'intervento ad hoc del procuratore generale presso la Corte d'Appello il quale designerà un magistrato del proprio ufficio affinché questi svolga il ruolo di pubblico ministero in udienza.

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C.p.p. art. 54 Contrasti negativi tra pubblici ministeri COMMENTO Anche dopo un provvedimento risolutivo del contrasto che abbia designato a procedere un ufficio giudiziario diverso da quello originariamente procedente, resta valido il decreto con il quale il Pubblico Ministero operante presso quest'ultimo abbia convalidato il sequestro del corpo del reato effettuato dalla polizia giudiziaria.

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C.p.p. art. 54 Contrasti negativi tra pubblici ministeri GIURISPRUDENZA Costituisce contrasto negativo tra uffici del pubblico ministero, da risolversi ai sensi dell'art. 54 c.p.p., e non conflitto fra giudici, rientrante nelle previsioni di cui all'art. 28 c.p.p., quello che derivi dall'avvenuta pronuncia, da parte di distinti giudici per le indagini preliminari, su richiesta dei rispettivi uffici del pubblico ministero, di provvedimenti formalmente qualificati come di archiviazione ma in realtà non rispondenti, sotto il profilo sostanzialistico, alla detta qualifica, in quanto aventi ad oggetto non la fondatezza della “notitia criminis”, ma l'inquadramento giuridico in una o in un'altra fattispecie astratta di reato dei fatti per cui si procede (4720/1996, rv 206002). Il pubblico ministero non può mai richiedere al giudice di dichiararsi incompetente, poiché, ove egli ritenga tale incompetenza, deve trasmettere gli atti all'ufficio del P.M. presso il giudice competente. Pertanto, qualora egli si rivolga al giudice presso il quale esercita le sue funzioni, deve necessariamente proporre una domanda di merito e non può limitarsi a chiedere che detto giudice si dichiari incompetente, posto che tale pronuncia non sarebbe di alcuna utilità (3882/1997, rv 207948). In caso di divergenza tra uffici del pubblico ministero in ordine alla qualificazione giuridica di un fatto, con riflessi sulla competenza, non può farsi strumentale ed improprio ricorso all'istituto dell'archiviazione onde ottenere una pronuncia attinente non al “fatto” ma, appunto, alla sua inquadrabilità in una o in un'altra ipotesi di reato, ma occorre risolvere la divergenza nella sede sua propria, che è quella indicata dall'art. 54 c.p.p. per la risoluzione dei contrasti tra uffici del pubblico ministero (6977/1998, rv 209378). È da considerarsi abnorme non solo il provvedimento che per la sua singolarità risulti avulso dall'ordinamento processuale, ma altresì il provvedimento che, pur configurandosi in astratto come espressione di un potere legittimo, si esplichi, al di là di ogni

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ragionevole nel limite, oltre i casi consentiti alle ipotesi previste; ne consegue che deve ritenersi affetto da abnormità il provvedimento col quale il G.I.P. reiteri, dopo la risoluzione da parte del procuratore generale del contrasto negativo di competenza tra due uffici del pubblico ministero del distretto, il decreto di archiviazione già emesso prima che fosse sollevato il contrasto, atteso che, a norma dell'art. 54 c.p.p., la determinazione del P.G., che risolve il contrasto determinando la competenza di uno degli uffici del P.M., non comporta altro che la prosecuzione delle indagini da parte dell'ufficio designato, pertanto senza nessuna interferenza sullo sviluppo processuale in corso e perciò senza che, in particolare, sia necessaria la reiterazione di alcun atto precedentemente assunto (1417/2000, rv 217317). Il provvedimento con il quale il P.M. ricevuti gli atti dal tribunale di altro circondario, dichiaratosi incompetente per territorio con sentenza, disponga, ritenutosi a sua volta incompetente per territorio – con provvedimento ex art. 54 c.p.p. –, la trasmissione degli atti al P.M. nella cui competenza territoriale ritenga rientrare il procedimento, omettendo di sollecitare in proposito una pronuncia del giudice, è illegittimo; peraltro non si verte in un caso di carenza assoluta del potere di iniziativa del P.M., di cui all'art. 178 c.p.p., né in ipotesi di abnormità, bensì di uso scorretto del potere ordinatorio rimediabile con il tempestivo esercizio delle facoltà di proposizione di eccezione e di impugnazione (5472/2001, rv 218323). L'art. 27 non è applicabile, dunque, in caso di trasmissione degli atti fra procure, neppure nelle ipotesi in cui la misura sia stata disposta dal giudice deputato a convalidare l'arresto o il fermo e gli atti del fascicolo siano stati successivamente trasmessi al p.m. incardinato presso un diverso magistrato, competente a decidere nel merito (S.U. 12823/2010).

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C.p.p. art. 54 Contrasti negativi tra pubblici ministeri COMMENTO La norma in commento, al fine di garantire l'effettivo svolgimento delle indagini preliminari in relazione ad una specifica fattispecie criminosa, fissa le regole risolutive dei potenziali conflitti negativi che possono insorgere tra più pubblici ministeri qualora ciascuno di essi ritenga che la competenza a conoscere dei fatti oggetto di indagine appartenga ad un giudice diverso da quello presso il quale lo stesso esercita le proprie funzioni. Il codice ipotizza l'insorgenza di conflitti solo nel contesto dei rapporti tra pubblici ministeri, escludendo in radice la configurabilità di contrasti tra magistrato inquirente e organo giudicante a causa della qualifica di parte, anche se pubblica, attribuita al primo. Competente a risolvere il contrasto è solo il Procuratore generale presso la Corte d'Appello o presso la Corte di Cassazione i quali, esaminati gli atti, individuano la procura competente a svolgere le indagini preliminari comunicando l'esito della delibazione agli uffici interessati. Pertanto, diversamente da quanto si verifica per i conflitti di competenza tra organi giudicanti, la risoluzione dei contrasti tra P.M. non incide su profili attinenti all'esercizio delle prerogative giurisdizionali in quanto mira solo a determinare quale sia il magistrato inquirente che debba presiedere all'attività investigativa a seguito della comunicazione della notitia criminis. Occorre specificare, peraltro, che deve escludersi qualunque possibilità per le parti private di sollevare il conflitto o di sollecitarne la definizione, dal momento che solo ed esclusivamente il pubblico ministero destinatario della trasmissione degli atti da parte del primo magistrato inquirente può chiedere l'intervento del procuratore generale presso la Corte d'Appello o presso la Corte di Cassazione. Posto che l'efficacia della pronuncia risolutiva del contrasto è limitata alla sola fase delle indagini preliminari e non incide in alcun modo sulla potenziale utilizzabilità degli atti già compiuti nel pieno rispetto del dettato codicistico (esempio), occorre sottolineare come quanto deciso dall'organo competente non vincoli in alcun modo il giudice delle indagini preliminari, il quale potrebbe anche dichiararsi incompetente a conoscere del reato soprattutto laddove dalle ulteriori investigazioni emergessero altri fatti criminosi idonei a provocare un nuovo spostamento della competenza. La norma prevista dal comma 3 bis permette, infine, di estendere la disciplina del contrasto negativo, e del conseguente intervento del Procuratore generale competente, a tutte le fattispecie di attività che postulano un'iniziativa del pubblico ministero configurabili nel complessivo arco di svolgimento del procedimento.

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C.p.p. art. 54 bis Contrasti positivi tra uffici del pubblico ministero COMMENTO Può insorgere conflitto positivo anche in materia di competenza ad adottare l'ordine di esecuzione della pena detentiva [656].

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C.p.p. art. 54 bis Contrasti positivi tra uffici del pubblico ministero GIURISPRUDENZA I contrasti tra uffici del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari possono essere sollevati esclusivamente dagli uffici interessati del predetto organo, come previsto dagli artt. 51, 54 bis e 54 ter c.p.p., con la conseguenza che le parti private non possono eccepire la violazione delle norme relative alle attribuzioni dei predetti uffici (1734/1993, rv 195404). Il conflitto positivo “proprio”, nel nuovo come nell'abrogato codice di procedura penale, presuppone ed esige l'assoluta coincidenza tra fattispecie ontologiche, con totale ed integrale sovrapponibilità, per modo che in due o più sedi giudiziarie risultino contemporaneamente pendenti diversi procedimenti penali aventi il medesimo oggetto, ciascuno dei quali integranti l'iterazione degli altri. È in tale situazione, infatti, che soccorre la normativa in tema di conflitti, occorrendo, per fini di ordine processuale e di giustizia sostanziale, la “reductio ad unum” dei processi duplicati, davanti all'unico giudice competente per l'unico fatto-reato oggetto di giudizio. Invece, il carattere meramente omologo di fattispecie ontologicamente e storicamente diversificate dà luogo a distinti reati, per ciascuno dei quali viene legittimamente instaurato autonomo processo davanti al giudice per esso singolarmente competente, senza che ricorra alcuna ipotesi di conflitto positivo e di duplicazione procedimentale “per il medesimo fatto” (art. 54 bis c.p.p.). Ove ricorrano tali situazioni, in considerazione della unicità di fonte probatoria, può esservi tra le due fattispecie un rapporto di connessione, ma trattandosi di connessione probatoria – l'unica rimasta esclusa dalle previsioni tassative dell'art. 12 c.p.p. – non è configurabile neppure il cosiddetto conflitto positivo per connessione, di cui ai casi analoghi reintrodotti con il comma quinto dell'art. 54 bis c.p.p. (1787/1995, rv 202826).

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C.p.p. art. 54 bis Contrasti positivi tra uffici del pubblico ministero COMMENTO La norma in commento disciplina l'ipotesi peculiare di contrasto positivo tra uffici del pubblico ministero, ovvero la fattispecie nella quale il magistrato procedente riceva comunicazione che altro magistrato inquirente sta indagando sullo stesso fatto, cioè nei confronti della stessa persona per il medesimo reato. Occorre sottolineare in via preliminare la differenza che intercorre tra il meccanismo di risoluzione del contrasto negativo, il quale è volto a prevenire l'eventuale inerzia nel compimento delle indagini, e quello previsto per il conflitto positivo, finalizzato, al contrario, a precludere un inutile dispendio di risorse investigative. Riguardo al procedimento con cui si solleva il conflitto in questione, a seguito della presa di conoscenza della duplicazione delle indagini da parte del magistrato che non intenda aderire alla richiesta di trasferimento degli atti avanzata dall'altro ufficio inquirente, il destinatario dell'istanza di trasmissione deve informarne il superiore gerarchico il quale, in base alle regole sulla competenza, designerà l'ufficio della procura competente a presiedere alle investigazioni con decreto motivato, dopo aver assunto idonee informazioni. Pertanto, mentre nell'ipotesi di contrasto negativo la decisione viene assunta sulla base di un preventivo esame degli atti, nella fattispecie in questione il provvedimento viene adottato dopo aver acquisito le informazioni necessarie sui presupposti per la determinazione dell'ufficio competente. In altri termini, si tratta di una delibazione strettamente inerente a questioni di diritto che si traduce nel paragone tra i fatti sui quali occorre indagare e le ipotesi di reato astrattamente previste dal legislatore, senza che ciò comporti un'analisi del merito della fattispecie concreta. Il contrasto si intende risolto quando, prima della decisione del procuratore generale, uno degli uffici della procura coinvolti nel conflitto trasmetta gli atti di indagine all'altro. Il legislatore ha inteso, così, introdurre una modalità anticipata di soluzione della controversia che elimini la necessità di un intervento ad hoc da parte del titolare della Procura Generale presso la Corte d'Appello o la Corte di Cassazione, alla stregua di quanto previsto, in materia di cessazione del conflitto di competenza, dall'art. 29. Laddove, invece, ricorra un apposito provvedimento risolutivo, la designazione del magistrato competente implica automaticamente l'obbligo della immediata trasmissione di tutti gli atti di cui sia in possesso da parte dell'ufficio privato della titolarità delle indagini. Le risultanze procedimentali acquisite da quest'ultimo potranno essere utilizzate in giudizio secondo le norme del codice di rito solo qualora si tratti di atti compiuti in un momento antecedente alla risoluzione del conflitto; in caso contrario, gli atti eseguiti successivamente non potranno trovare ingresso nel processo poiché devono ritenersi inutilizzabili. Anche a chiusura della norma in commento il legislatore ha introdotto un meccanismo di estensione delle prescrizioni contenute nella medesima ad ogni ipotesi

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di conflitto positivo che insorga in una fase del procedimento ulteriore rispetto al compimento delle indagini preliminari (esempio).

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C.p.p. art. 54 ter Contrasti tra pubblici ministeri in materia di criminalità organizzata COMMENTO Prima della riforma 2015 Con la disposizione in commento si estende la disciplina prevista dall'art. 54 per i contrasti negativi e 54 bis per i contrasti positivi anche ai reati attinenti alle condotte criminose della criminalità organizzata. In particolare, il legislatore si è preoccupato di garantire che, in tale materia, la risoluzione dei contrasti tra le diverse procure avvenga con l'intervento di quei magistrati inquirenti che svolgono abitualmente le proprie funzioni in tale campo. Nel caso in cui il contrasto riguardi la Procura della Repubblica ordinaria e la Direzione Distrettuale Antimafia in relazione alla riconducibilità o meno dei fatti oggetto di indagine ai reati di cui all'art. 51 comma 3 bis, la decisione dovrà essere comunque adottata dal procuratore generale presso la Corte d'Appello, senza che il procuratore nazionale antimafia possa in qualche modo influire sulla qualificazione della fattispecie in esame. Diversamente, nel caso in cui il conflitto coinvolga distinte Direzioni Distrettuali e non sia controversa la qualificazione dei fatti oggetto di investigazione la competenza a pronunciarsi spetterà al procuratore generale presso la Corte di Cassazione, il quale provvederà solo dopo aver consultato il Procuratore Nazionale Antimafia. Dopo la riforma del 2015 Gli articoli 9 e 10 del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7 (recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonchè proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione), compongono il Capo II del suddetto D.L. 7/2015, relativo al Coordinamento nazionale delle indagini nei procedimenti per i delitti di terrorismo, anche internazionale. A tal fine prevedono l'attribuzione al Procuratore nazionale antimafia anche delle funzioni in materia di antiterrorismo e ne disciplinano le funzioni e gli adeguamenti organizzativi. L'articolo 9 modifica il codice di procedura penale, l'articolo 10 modifica il codice antimafia. In particolare l'articolo 9, al comma 1, modifica l'articolo in commento, sostituendo la denominazione del procuratore nazionale antimafia con quella del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Pertanto, quando il contrasto negativo o positivo tra pubblici ministeri riguarda taluno dei reati da maggior allarme sociale indicati comma 3 bis, c.p.p., se la decisione spetta al procuratore generale presso la Corte di cassazione, questi provvede sentito il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo; se spetta al procuratore generale presso la corte di appello,

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questi informa il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo dei provvedimenti adottati.

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C.p.p. art. 54 quater Richiesta di trasmissione degli atti a un diverso pubblico ministero GIURISPRUDENZA L'individuazione, a norma dell'art. 54 quater c.p.p., di un ufficio del P.M. competente a procedere, diverso da quello requirente, non spiega alcuna incidenza sull'efficacia delle misure cautelari in corso di applicazione, la quale viene meno solo in caso di dichiarata incompetenza del giudice che le abbia disposte, non seguita dall'emissione, nei venti giorni successivi, di nuovo provvedimento cautelare; e ciò perché, sino a quando non venga investito del procedimento – con ordinanza di un giudice suscettibile di dar luogo a conflitto a norma dell'art. 28 c.p.p. – un altro organo di giurisdizione, i provvedimenti, di natura organizzatoria, emessi da una parte, sia pure non privata (trasmissione degli atti da uno ad altro ufficio del pubblico ministero, decreto del procuratore generale risolutivo di contrasti di competenza tra organi dell'accusa), non hanno attitudine ad invalidare un atto giurisdizionale, a nulla rilevando che, per effetto del meccanismo di cui agli artt. 54 c.p.p. e ss., altro G.I.P. possa essere investito in seguito del procedimento (24381/2003, rv 225032).

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C.p.p. art. 54 quater Richiesta di trasmissione degli atti a un diverso pubblico ministero COMMENTO Prima della riforma 2015 La legge n. 479 del 1999 ha modificato il quadro complessivo delle disposizioni contenute nel capo in commento introducendo la possibilità di una delibazione sulla legittimazione del pubblico ministero procedente a svolgere le indagini preliminari in relazione alla fattispecie sottoposta al suo vaglio, a seguito di una sollecitazione in tal senso proveniente dalle parti private. Si tratta di un istituto processuale la cui portata innovativa si coglie facilmente laddove si consideri che attualmente uno dei soggetti della vicenda processuale può provocare una vera e propria pronuncia sulla competenza ad indagare da parte dell'ufficio della procura procedente, facendo venir meno, in questo modo, quella posizione di “monopolio” che spettava al magistrato inquirente in relazione alla determinazione del giudice per la indagini preliminari competente. Sottolineata in via preliminare la tassatività dell'elencazione contenuta nella disposizione in esame, la legittimazione a richiedere la trasmissione degli atti ad un pubblico ministero diverso deve riconoscersi in capo ai seguenti soggetti: – persona sottoposta alle indagini che venga a conoscenza del procedimento a suo carico a seguito della comunicazione della notizia di reato [➠ 335, comma 3] o della ricezione dell'informazione di garanzia [➠ 369]; – persona offesa dal reato che venga a conoscenza del procedimento penale sulla condotta criminosa di cui sia stata vittima a seguito della ricezione dell'informazione di garanzia; – difensori delle parti private suddette. La richiesta di trasmissione degli atti ad una Procura della Repubblica territorialmente distinta non può essere generica ma deve essere depositata presso la segreteria del pubblico ministero procedente corredata dall'indicazione del Tribunale presso il quale opera l'ufficio di Procura competente e dall'enunciazione delle ragioni a sostegno della richiesta medesima. Peraltro il soggetto interessato ha la possibilità di presentare nuovamente l'istanza purché essa sia fondata su elementi nuovi e diversi. La decisione spetta allo stesso pubblico ministero che la parte intenda privare delle potestà investigative sui fatti oggetto di indagine, il quale deve decidere entro dieci giorni dal deposito dell'istanza. Laddove quest'ultima venga accolta, il pubblico ministero che si è pronunciato deve trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica presso il giudice competente, provvedendo a comunicare l'esito della propria decisione anche all'interessato. Se invece la richiesta di trasmissione non viene accolta, l'istante nei successivi dieci giorni può adire il procuratore generale presso la Corte d'Appello o il procuratore generale presso la Corte di Cassazione, per il caso in cui il giudice ritenuto competente appartenga ad un diverso distretto, i quali devono pronunciarsi nei successivi venti giorni con decreto motivato e, in quanto provvedimento non giurisdizionale, inoppugnabile (così Cassazione n. 3824 del

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2001), dopo aver assunto le necessarie informazioni, comunicandone, altresì, l'esito agli interessati. Occorre evidenziare come in tutte le ipotesi in cui intervenga una statuizione sull'individuazione del giudice competente, questa debba ritenersi vincolante fino al momento in cui il giudice per le indagini preliminari, investito per qualunque motivo degli atti del procedimento, non ritenga di assumere una differente posizione sulla propria competenza. È infine prevista anche in questa fattispecie l'utilizzabilità degli elementi di indagine acquisiti precedentemente alla trasmissione degli atti, conformemente a quanto previsto per le ipotesi di conflitto. Dopo la riforma del 2015 Gli articoli 9 e 10 del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7 (recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonchè proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione), compongono il Capo II del suddetto D.L. 7/2015, relativo al Coordinamento nazionale delle indagini nei procedimenti per i delitti di terrorismo, anche internazionale. A tal fine prevedono l'attribuzione al Procuratore nazionale antimafia anche delle funzioni in materia di antiterrorismo e ne disciplinano le funzioni e gli adeguamenti organizzativi. L'articolo 9 modifica il codice di procedura penale, l'articolo 10 modifica il codice antimafia. In particolare l'articolo 9, al comma 2, modifica il comma 3 dell'articolo in commento. In particolare modifica la disposizione relativa al procedimento che, qualora il pubblico ministero procedente non abbia accolto la richiesta di trasmissione degli atti ad altro p.m., il richiedente può instaurare davanti al procuratore generale presso la corte d'appello o, se il giudice competente è di altro distretto, davanti al procuratore generale presso la Corte di cassazione. Quando la richiesta riguarda taluno dei reati indicati, comma 3 bis, c.p.p., il procuratore generale provvede osservando le disposizioni : il procuratore generale presso la Corte di cassazione deve quindi sentire il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, il procuratore generale presso la corte d'appello deve informare il procuratore nazionale. La modifica estende l'applicazione del procedimento previsto dall'art. 54 ter anche alle ipotesi in cui la richiesta riguardi reati consumati o tentati con finalità di terrorismo.

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C.p.p. art. 55 Funzioni della polizia giudiziaria GIURISPRUDENZA L'art. 55 c.p.p. nello stabilire che la Polizia giudiziaria ha la funzione d'impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori non attribuisce ad essa un autonomo potere di sequestro da esercitare anche al di fuori dei casi espressamente previsti dal codice di rito, ma si limita ad indicare le funzioni della Polizia giudiziaria, mentre gli strumenti per svolgerle sono quelli previsti dalle altre norme del codice stesso che, prima delle modifiche introdotte con D.Lgs. 14 gennaio 1991 n. 12, non attribuiva alla Polizia il potere di eseguire sequestri preventivi. Solo a seguito del detto decreto legislativo che ha aggiunto all'art. 321 c.p.p. il terzo comma bis il sequestro preventivo può essere eseguito dalla Polizia giudiziaria unicamente in caso di urgenza e deve essere convalidato dal giudice (9/1991, rv 187857). La diffida, effettuata dalla Polizia giudiziaria a norma dell'art. 55 c.p.p. nei confronti del proprietario di un fondo, dall'abbattere altri alberi o arbusti e di compiere altre azioni contrastanti con la normativa vigente, si configura quale sequestro parziale a carattere preventivo, poiché sottrae autoritativamente al titolare l'esercizio di alcune funzioni inerenti il diritto di proprietà ed è volta ad impedire l'aggravamento o la protrazione dalle conseguenze del reato (2639/1994, rv 197589). Fuori dalle ipotesi disciplinate dall'art. 97 del D.P.R. n. 309 del 1990, l'attività del cosiddetto agente provocatore che, d'accordo con la Polizia giudiziaria, propone ad uno spacciatore e realizza la compravendita di droga al fine di farlo arrestare, è del tutto fuori dalla sfera di operatività dell'art. 51 c.p., ossia dell'adempimento di un dovere di Polizia giudiziaria. Non può farsi discendere dall'obbligo della Polizia giudiziaria di ricercare le prove dei reati e di assicurare i colpevoli alla giustizia l'esclusione, ex art. 51 c.p., della responsabilità del cosiddetto agente provocatore di Polizia giudiziaria, giacché è adempimento di un dovere (art. 219 c.p.p. del 1930 e art. 55 c.p.p. del 1988) perseguire i reati commessi, non già

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di suscitare azioni criminose al fine di arrestarne gli autori (6425/1994, rv 198518). Deve ritenersi utilizzabile una rogatoria disposta in fase dibattimentale ed effettuata all'estero con esclusione di testimoni da parte di ufficiali di Polizia giudiziaria temporaneamente investiti di funzioni giurisdizionali in base ad una “lex loci” che li autorizzi (2999/1996, rv 204795). Alla luce della disciplina del nuovo codice di procedura penale, la Polizia giudiziaria, una volta intervenuto il pubblico ministero, deve compiere non solo gli atti ad essa specificamente delegati, ma anche tutte le altre attività di indagine ritenute necessarie nell'ambito delle direttive impartite, sia per accertare i reati, sia perché richieste da elementi successivamente emersi. Ne consegue che, ove il P.M., pur avendo ricevuto la “notitia criminis”, non abbia impartito specifiche direttive, trova esclusiva applicazione l'art. 348, comma primo, c.p.p., secondo il quale la Polizia giudiziaria, senza necessità di specifica delega e agendo, quindi di sua iniziativa, nell'ambito della propria discrezionalità tecnica, raccoglie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole (6712/1999, rv 212896). Nella disciplina prevista dal nuovo codice di procedura penale non esiste un divieto assoluto per la Polizia giudiziaria di procedere ad atti di iniziativa successivamente alla trasmissione della notizia di reato al pubblico ministero; esiste soltanto un divieto di compiere atti in contrasto con le direttive del P.M., dopo il cui intervento la P.G. deve non solo compiere gli atti ad essa specificamente delegati, ma anche tutte le altre attività di indagine ritenute necessarie nell'ambito delle direttive impartite (12393/2000, rv 217421). La necessità che la delega alla polizia giudiziaria per l'espletamento di un atto di indagine sia conferita dal pubblico ministero con un provvedimento formale sussiste nel solo caso in cui si prospetti l'esigenza di verificare la natura degli adempimenti delegati ed i limiti della delega, non anche quando quest'ultima riguardi un atto bene individuato, disciplinato da norme di garanzia che ne regolano l'assunzione (14464/2011). La mancata verbalizzazione da parte della polizia giudiziaria di dichiarazioni da essa ricevute, in contrasto con quanto prescritto dall'art. 357 c.p.p. non le rende nulle o inutilizzabili in quanto

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nessuna sanzione in tal senso è prevista da detta norma, sicché salvi i limiti di cui all'art. 350, commi 6 e 7, c.p.p.. l'agente o l'ufficiale di polizia giudiziaria può fare relazione del loro contenuto all'autorità giudiziaria e rendere testimonianza “de relato” (150/2013).

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C.p.p. art. 55 Funzioni della polizia giudiziaria COMMENTO La disposizione generale sulle funzioni istituzionali della polizia giudiziaria può schematicamente suddividersi in due parti, l'una riferita all'attività che la medesima deve necessariamente porre in essere anche di propria iniziativa nei limiti di quanto tipicamente previsto dalle norme sostanziali o procedurali, l'altra relativa a tutte quelle tipologie di atti e di investigazioni che possono esserle delegate o ordinate dall'autorità giudiziaria. Quanto al primo aspetto, la norma prende in esame l'insieme delle attività strumentali all'applicazione della legge penale in relazione alle diverse condotte criminose di cui l'ordinamento viene a conoscenza, in particolare l'acquisizione della notitia criminis [➠ 347], le relative investigazioni finalizzate all'individuazione del singolo o dei diversi presunti colpevoli, l'assicurazione delle fonti di prova [➠ 348], al fine di impedire la dispersione di quanto può risultare utile all'accertamento dei fatti e delle relative responsabilità [➠ 354], ed, infine, quell'attività di prevenzione volta a precludere l'aggravamento degli esiti pregiudizievoli della fattispecie di reato posta in essere [321, comma 3 bis]. Si tratta evidentemente di specifici poteri che la Polizia giudiziaria è deputata ad esercitare nel pieno rispetto dei requisiti formali e sostanziali imposti dal sistema vigente [347-357], il quale risulta ispirato ad un principio di tipicità dei provvedimenti adottabili perfettamente in linea con l'incidenza che i medesimi possono avere sulla libertà personale o sulla libera disponibilità del patrimonio del soggetto che ne subisce gli effetti. Tuttavia la dizione per certi versi generica del primo comma della norma in commento è, al contempo, significativa del comprensibile grado di atipicità di un'attività di indagine che deve necessariamente modellarsi sulle imprevedibili peculiarità delle situazioni concrete oggetto di accertamento (così Cassazione n. 2655 del 1997). Riguardo al novero delle attività che l'autorità giudiziaria, e in particolare il pubblico ministero, può delegare alla polizia giudiziaria, occorre sottolineare preliminarmente la vigenza del principio secondo cui tutti gli atti e i provvedimenti di stampo investigativo possono essere oggetto di delega o di specifico ordine di compimento, a meno che la legge [103 comma 4] o la natura dell'atto stesso non risultino in tal senso preclusivi. In via esemplificativa può menzionarsi la previsione contenuta nel primo comma dell'articolo 370 nel quale viene sancita la delegabilità di interrogatori e confronti cui sia chiamato a partecipare il soggetto sottoposto alle indagini che si trovi in stato di libertà, laddove, viceversa, nell'ipotesi in cui nei confronti dello stesso sia stata precedentemente irrogata una misura di custodia cautelare l'interrogatorio deve necessariamente essere guidato dal pubblico ministero. La disposizione si chiude con l'attribuzione delle funzioni descritte nei primi due commi ai soggetti che rivestono la qualità di agenti e di ufficiali di polizia giudiziaria: tale norma rivela la sua esatta portata laddove si tenga presente l'insieme delle disposizioni contenute nella parte “dinamica” del codice di rito, nel senso che tutte le

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attività ivi contemplate possono essere compiute indifferentemente da agenti semplici o da soggetti di grado superiore, a meno che non sia la norma stessa a pronunciarsi in modo diverso, attribuendone la titolarità agli uni e non agli altri [331, comma 2, 353].

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C.p.p. art. 56 Servizi e sezioni di polizia giudiziaria COMMENTO La norma in commento individua i profili strutturali di quel complesso apparato istituzionale deputato ad adempiere alle funzioni di polizia giudiziaria il quale, come detto sub Titolo III in commento, non costituisce un autonomo corpo di polizia alle dirette dipendenze della magistratura, bensì la risultante degli apporti di organico forniti ad hoc dalle diverse amministrazioni della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Rinviando al commento sub artt. 58 e 59 in relazione agli aspetti di quella dipendenza funzionale che lega tali apparati all'autorità giudiziaria, occorre evidenziare come il legislatore abbia individuato nelle disposizioni di attuazione [disp. att. 5-20] la sede più idonea per definire in modo analitico la composizione dei servizi e delle sezioni nelle quali si articola la polizia giudiziaria. Per servizi di polizia giudiziaria devono intendersi tutti gli uffici e le unità ai quali le rispettive amministrazioni di appartenenza attribuiscono in via prioritaria e continuativa l'adempimento delle attività di informazione, investigazione, assicurazione delle fonti di prova e prevenzione dell'ulteriore aggravamento delle conseguenze dei reati compiuti previste dall'articolo 55. Si fa riferimento, in particolare, ai servizi istituiti, a livello locale, presso i commissariati di pubblica sicurezza e le questure, cioè la squadra mobile e la squadra di polizia giudiziaria, presso il comando dei Carabinieri, cioè il reparto operativo e il nucleo operativo, e presso la Guardia di Finanza, cioè i nuclei di polizia tributaria. Occorre, altresì, rilevare come la norma di attuazione considerata [12] fondi la qualifica dell'unità o dell'ufficio nei termini di “servizio di polizia giudiziaria” in relazione al concreto svolgimento prioritario e continuativo delle funzioni precedentemente indicate, escludendone, pertanto, la ricorrenza nei confronti di tutti gli uffici ai quali detti compiti vengano affidati in modo saltuario o occasionale. Riguardo alle sezioni di polizia giudiziaria, la previsione legislativa della loro istituzione presso ogni Procura della Repubblica è significativa dello stretto legame intercorrente tra le medesime e la magistratura inquirente. I vari componenti di questi organismi normativamente caratterizzati come “interforze” [disp. att. 5] vengono assegnati dalle rispettive amministrazioni di appartenenza sulla scorta di specifiche richieste nominative provenienti congiuntamente dal singolo Procuratore della Repubblica e dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello interessata e, di conseguenza, salvo particolari eccezioni, vengono esonerati dallo svolgimento di compiti e attività che non siano annoverabili tra quelle peculiari di polizia giudiziaria. La disposizione si chiude con il riferimento a tutti gli altri organi di polizia giudiziaria non rientranti nel novero delle diverse sezioni o dei servizi i quali, per legge, sono tenuti a compiere indagini a seguito della presa di conoscenza di specifiche notizie di reato. L'obbligatorietà di tali attività è, peraltro, comprovata dalla previsione di un apposito procedimento disciplinare contenuta negli artt. 16-19 delle

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disposizioni di attuazione, il quale viene attivato ogniqualvolta l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria, a qualsiasi corpo appartenga, ometta di riferire la notizia di reato all'autorità giudiziaria competente oppure ometta o ritardi di eseguire un ordine dell'autorità stessa.

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C.p.p. art. 57 Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria COMMENTO Gli ispettori postali sono da ritenere ufficiali di polizia giudiziaria in quanto tale qualifica è loro espressamente attribuita dal D.M. 14 agosto 1943 (così Cassazione n. 10272 del 2001).

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C.p.p. art. 57 Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria GIURISPRUDENZA Dall'art. 57 c.p.p. non si evince che l'attività di agenti di Polizia giudiziaria attribuita ai vigili urbani debba essere limitata ai soli reati che ledano interessi comunali. La dizione della norma, infatti, ha carattere generale e la disposizione è confermativa di quella contenuta nell'art. 5, primo comma, lett. a), della legge 7 marzo 1986 n. 65, sull'ordinamento della Polizia municipale (1869/1993, rv 193200). Ai sensi dell'art. 5 della legge 7 marzo 1986 n. 65 e dell'art. 57, comma secondo, lett. b), c.p.p. la qualità di agenti di Polizia giudiziaria è espressamente attribuita alle guardie dei Comuni, alle quali è riconosciuto il potere d'intervento nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni, tra le quali rientra lo svolgimento di funzioni attinenti all'accertamento di reati di qualsiasi genere, che si siano verificati in loro presenza, e che richieda un pronto intervento anche al fine di acquisizione probatoria (1193/1994, rv 197211). In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, i processi verbali di prelevamento di campioni e quelli di analisi dei campioni stessi, essendo atti irripetibili compiuti dalla Polizia giudiziaria (art. 431, lett. b), c.p.p. e art. 223, comma 3, del D.Lgs. 28 luglio 1989 n. 271), possono essere inclusi nel fascicolo per il dibattimento. Invero i funzionari delle U.S.L. quando effettuano le analisi dei campioni, a seguito del connesso prelievo, assicurano le fonti di prova del reato, e quindi esercitano funzioni di Polizia giudiziaria (artt. 55 e 57 c.p.p.) (11431/1994, rv 200513). Alla luce della disciplina di cui all'art. 57 c.p.p., comma secondo, lett. b), non è consentita una indiscriminata attribuzione della qualifica di agenti di Polizia giudiziaria a tutti gli addetti ai servizi forestali, a prescindere dal grado di cui ciascuno sia titolare. Inoltre la previsione del comma primo, lett. b), del citato articolo 57 c.p.p. annovera tra gli ufficiali di Polizia giudiziaria i sottufficiali ai quali l'ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosce tale

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qualità, e questo riconoscimento, per i sottufficiali appartenenti al Corpo Forestale della Regione Sardegna, trova la sua fonte normativa nell'art. 13 del D.Lgs. 12 marzo 1948 n. 804, norma operante anche successivamente all'istituzione della Regione a Statuto speciale, in quanto non abrogata né espressamente, né implicitamente, da successive disposizioni di legge (4491/2000, rv 216913). Gli agenti del Corpo Forestale Regionale del Friuli Venezia Giulia sono ufficiali di polizia giudiziaria in quanto omologhi, sul territorio regionale, del Corpo Forestale dello Stato. (Fattispecie in cui è stato ritenuto legittimo il sequestro di una rampa d'accesso abusivamente realizzata, eseguito d'iniziativa dagli agenti del Corpo Forestale della Regione Friuli Venezia Giulia) (21660/2010). Non sussiste alcun rapporto di specialità tra l'articolo 361 c.p. che è norma penale incriminatrice, e punisce il pubblico ufficiale che omette o ritarda di denunciare all'autorità giudiziaria un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni, e l'articolo 27, comma 4, del Dpr 6 giugno 2001 n. 380, per la cui violazione non è prevista alcuna sanzione penale, che obbliga gli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria a comunicare all'autorità giudiziaria i casi di presunta violazione urbanistico-edilizia, anche quando non rivestono carattere penale: da ciò conseguendo che i responsabili dell'ufficio tecnico comunale sono tenuti a denunciare senza ritardo all'autorità giudiziaria gli abusi edilizi integranti reato apprezzati nell'esercizio delle proprie funzioni, in difetto essendo chiamati a rispondere del reato di cui all'articolo 361 del C.p. senza la possibilità di invocare, quale disposizione speciale, derogatoria dell'obbligo generale, quella di cui all'articolo 27, comma 4, del d.p.r. n. 380 del 2001 (23956/2013).

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C.p.p. art. 57 Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria COMMENTO Nell'individuazione specifica dei soggetti che rivestono la qualità di ufficiali o di agenti di polizia giudiziaria la norma in commento tendenzialmente prende in considerazione la corrispondente qualifica ricoperta dai medesimi nelle rispettive amministrazioni di appartenenza (esempio). Infatti ufficiali, sottufficiali e agenti dei corpi militari o di quelli assimilati ai medesimi, da un lato, e dirigenti, commissari, ispettori, personale direttivo, agenti e assistenti, per quanto riguarda le amministrazioni civili, sono definiti, al contempo, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, salvo che ricorrano specifiche previsioni legislative che precludano, riguardo agli ufficiali, l'attribuzione di tale status. È necessario, peraltro, ribadire come l'esatta differenziazione dei ruoli non è fine a se stessa, poiché incide sulla possibilità di compimento di atti e attività che il codice di rito, in particolari ipotesi, riserva agli ufficiali di polizia giudiziaria [350, comma 1, 351, comma 1 bis, 370, comma 1]. In via residuale, il terzo comma richiama tutte le figure di ufficiali o agenti che nei limiti del servizio cui sono destinati e delle rispettive attribuzioni sono chiamati a svolgere le funzioni di polizia giudiziaria secondo specifiche previsioni contenute in disposizioni di legge o di regolamento (ispettori del lavoro, ispettori sanitari, funzionari doganali, ispettori dell'ISVAP, ecc.).

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C.p.p. art. 58 Disponibilità della polizia giudiziaria COMMENTO La norma in commento considera principalmente i compiti istituzionali del personale interforze facente parte delle sezioni costituite presso ogni singola Procura della Repubblica, sancendo altresì la possibilità che la Procura Generale presso la Corte d'Appello disponga indifferentemente di tutte le sezioni istituite nell'ambito complessivo del distretto. Si tratta di un legame della cui pregnanza sono allo stesso modo significative la designazione nominativa dei componenti delle sezioni da parte della Procura interessata e della Procura Generale, la rilevanza attribuita alla proposta di trasferimento o al nulla osta, nel caso di richiesta avanzata dall'amministrazione di appartenenza, da parte del titolare dell'ufficio di Procura e, soprattutto, l'esplicita attribuzione al medesimo dei compiti di direzione e coordinamento dell'attività delle sezioni che da lui dipendono [disp. att. 9]. Il secondo comma disciplina la fattispecie in cui a servirsi del personale delle sezioni non sia il magistrato del pubblico ministero, bensì il titolare di poteri giurisdizionali, stabilendo che quest'ultimo può chiedere l'intervento della polizia giudiziaria operante presso la sezione della Procura della Repubblica del Tribunale nel quale è incardinato. Ciò, evidentemente, non preclude la possibilità per lo stesso di ricorrere, in relazione alle concrete esigenze del singolo procedimento, al personale di sezioni diverse, ma per poterne disporre deve necessariamente rivolgersi in via preventiva al titolare della Procura della Repubblica interessata o al Procuratore Generale presso la Corte d'Appello laddove si tratti di polizia operante in un diverso contesto distrettuale. La norma di chiusura prevede, infine, che qualunque magistrato del Tribunale, indipendentemente dalle funzioni civili o penali svolte, può avvalersi delle sezioni, dei servizi e di ogni altro organo di polizia giudiziaria in modo diretto, cioè senza interpellare in via preventiva il titolare dell'ufficio presso cui la sezione è istituita.

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C.p.p. art. 59 Subordinazione della polizia giudiziaria COMMENTO La disposizione in esame, in apertura, connota il vincolo che lega le sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni singola Procura della Repubblica nei termini di vera e propria subordinazione dal titolare dell'ufficio medesimo, così come si evince, del resto, dalla rubrica stessa della norma. Si tratta di una relazione gerarchica che, come detto in precedenza (vedi commento sub art. 58), esplica i suoi effetti anche sull'intatto legame di dipendenza dei componenti delle sezioni dai rispettivi corpi di provenienza, soprattutto in relazione alle procedure di trasferimento dei medesimi da una sede ad un'altra, e che giustifica la titolarità del potere da parte del Procuratore della Repubblica di impedire che agenti e ufficiali siano distolti dalle funzioni di polizia giudiziaria vere e proprie per le quali sono stati designati. Peraltro l'obbligo di adempiere i compiti loro affidati, sancito nel terzo comma, è sanzionato, in sede di norme di attuazione, dalla predisposizione di un procedimento disciplinare [disp. att. 17] il cui potere di iniziativa è attribuito al Procuratore Generale presso la Corte d'Appello nel cui distretto l'ufficiale o l'agente presta servizio ed i cui esiti, adeguatamente comunicati al corpo di appartenenza, possono addirittura comportare la sospensione dall'impiego per un tempo non superiore a sei mesi o l'esonero dal servizio presso le sezioni. Più di recente, allo scopo di utilizzare al meglio tutte le risorse disponibili sul fronte della lotta al terrorismo e alla criminalità diffusa, il D.L. n. 144 del 2005, convertito in L. n. 155 del 2005, allo scopo di scongiurare il surrettizio rientro delle notificazioni tra i doveri di subordinazione della P.G., laddove stabilisce che i compiti ad essa affidati sono quelli espressamente previsti dall'art. 55, comma 1 (la polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale), ancorché tale nuova disciplina non trovi applicazione per i procedimenti inerenti i delitti previsti dall'art. 407, comma 2, lettera a), numeri 1), 3) e 4), restando valida per essi la disciplina previgente. Nel secondo comma si prevede che l'ufficiale preposto al servizio di polizia giudiziaria è responsabile verso il Procuratore della Repubblica del Tribunale in cui ha sede il servizio stesso, ma se il medesimo presiede a strutture che operano in ambiti territorialmente più estesi del circondario la sua responsabilità si radica nei confronti del Procuratore Generale presso la Corte d'Appello. Come appare evidente, le differenti connotazioni strutturali e, soprattutto, la diversa intensità del rapporto tra servizi e sezioni, da un lato, e autorità giudiziaria, dall'altro, giustificano la peculiarità di una disposizione che distingue tra la dipendenza prefigurata nel primo comma e la responsabilità di coloro i quali sono preposti alla direzione dei servizi e che, peraltro, possono essere allontanati dalla sede originaria [disp. att. 14] solo con il consenso dei titolari degli Uffici di Procura nei due diversi livelli in cui essi si strutturano.

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C.p.p. art. 60 Assunzione della qualità di imputato GIURISPRUDENZA L'azione penale è esercitata e l'indagato assume la qualità di imputato con la formulazione del capo di imputazione da parte del pubblico ministero contenuta nella richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di giudizio direttissimo, di decreto penale o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. Il deposito dell'atto del P.M. e la notifica dello stesso all'imputato non sono formalità necessarie per considerare esercitata l'azione penale e per la correlativa acquisizione della qualità di imputato da parte del soggetto nei cui confronti tale azione viene esplicata. Ne consegue che il rapporto processuale tra le parti, e quindi il processo, si instaura con la richiesta di giudizio da parte del P.M. (368/1994, rv 197944). In virtù dell'art. 60 c.p.p. la qualità di imputato si assume nel momento in cui a taluno viene attribuito un reato nella richiesta di rinvio a giudizio o in altri atti tassativamente indicati da tale norma. Pertanto, la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini preliminari non è qualificabile come “imputato” e, nell'ipotesi di false dichiarazioni sulle proprie qualità personali rese all'autorità giudiziaria, risponde del delitto di cui all'art. 495, primo comma, c.p., e non già di quello, più grave, delineato dal terzo comma, numero 2, della suddetta norma (2379/1994, rv 198866). In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, nella valutazione della durata di un procedimento penale, il tempo occorso per le indagini preliminari può essere computato solo a partire dal momento in cui l'indagato abbia avuto la concreta notizia della sua pendenza, solo da tale conoscenza sorgendo la fonte d'ansia e patema suscettibile di riparazione. Ne consegue che, in relazione al momento anteriore alla notificazione del decreto di citazione in giudizio, i ricorrenti sono gravati dall'onere di allegare specificamente quando abbiamo appreso di essere stati assoggettati ad indagine penale. (Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, comma 1, c.p.c.) (17917/2010).

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C.p.p. art. 60 Assunzione della qualità di imputato COMMENTO La norma in commento enuncia in modo analitico tutti gli atti del procedimento nei quali può concretizzarsi l'esercizio dell'azione penale da parte del magistrato del pubblico ministero a seguito delle attività di investigazione dirette a rinvenire tutti gli elementi di prova che possono sostenere l'accusa in giudizio nei confronti di un soggetto determinato e in relazione a specifici fatti criminosi. Solo il perfezionamento di tali atti è considerato dal legislatore come presupposto ineludibile affinché la persona sottoposta alle indagini possa assumere il peculiare status di imputato nel contesto della vicenda processuale. Premesso che il dettato legislativo risulta quasi completamente conforme ai contenuti della legge delega [direttiva n. 36 dell'articolo 2 della legge-delega per la stesura del nuovo codice di procedura penale], disattesa solo in relazione alla previsione dello specifico provvedimento di irrogazione della misura cautelare reale o personale, peraltro riconducibile al campo di applicazione dell'articolo 61, occorre precisare alcuni aspetti relativi alle cosiddette forme di “imputazione anomala”, cioè a quelle modalità di esercizio dell'azione penale che si differenziano dalla ordinaria richiesta di rinvio a giudizio [➠ 416, 417] nella quale il magistrato inquirente deve indicare in forma chiara e precisa il fatto o i fatti di cui attribuisce la responsabilità al presunto reo, nonché dal decreto di citazione a giudizio emesso dal Pubblico Ministero nell'ambito del procedimento davanti al giudice monocratico nei casi previsti dall'art. 550 [rinvio]. Riguardo alla richiesta di giudizio immediato [➠ 453, 454], la prescritta trasmissione del fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione attinente alle indagini espletate e, soprattutto, il verbale dell'interrogatorio reso davanti al giudice per le indagini preliminari da cui emerge l'evidenza della prova della reità, o l'attestazione della mancata comparizione a seguito di invito formulato nelle forme dell'articolo 375, comma 3, appare idonea ad illustrare le situazione di cui si attribuisce la responsabilità ad un soggetto determinato. Allo stesso modo la richiesta di emissione del decreto penale di condanna [➠ 459] si rivela atto in grado di racchiudere la formulazione dell'imputazione, laddove si consideri che tanto dalla sua obbligatoria motivazione quanto dai contenuti del fascicolo che deve essere necessariamente trasmesso al giudice può facilmente evincersi l'attribuzione dei fatti specifici alla persona sottoposta alle indagini. Assai più rilevanti sono le problematiche poste dai meccanismi operativi della richiesta di patteggiamento [➠ 444-446] e del giudizio direttissimo [➠ 449]. Quanto alla prima forma anomala di imputazione, occorre tener presente che l'istanza formulata dal pubblico ministero produce i suoi effetti solo nel momento in cui intervengono, in successione, il consenso dell'altra parte e la sentenza con cui il giudice accerta la ricorrenza dei presupposti previsti dalla legge per addivenire all'applicazione della pena concordata. Nel diverso caso in cui non intervenga la

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volontà adesiva della persona sottoposta alle indagini oppure il giudice dell'udienza preliminare emetta ordinanza di rigetto dell'istanza concordemente avanzata non si realizza quel passaggio dalla fase procedimentale alla fase processuale al quale l'ordinamento collega l'assunzione dello status di imputato. In relazione al giudizio direttissimo le procedure di formulazione dell'imputazione appaiono distinte. Infatti nell'ipotesi in cui si configurino le situazioni delineate nei primi tre commi dell'articolo 449, l'esercizio dell'azione penale e la relativa formulazione degli addebiti sono condizionati, nella loro efficacia, dalla convalida dell'arresto da parte del giudice per le indagini preliminari [449, comma 3] ovvero, nel caso in cui tale provvedimento non sia intervenuto, dal consenso dell'imputato affinché si proceda al rito speciale [449, comma 2]. Laddove, invece, ricorrano le fattispecie di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 449, l'imputazione risulta formulata nell'atto con cui il pubblico ministero invita a comparire in udienza il soggetto sottoposto a custodia cautelare o nella citazione a comparire diretta all'imputato libero. Il secondo comma della norma in commento stabilisce la persistenza della qualità di imputato in capo al soggetto destinatario dell'esercizio dell'azione penale fino al momento in cui non sia intervenuta una pronuncia che definisca la sua situazione processuale. Il legislatore, nel richiamare il novero dei provvedimenti in corrispondenza dei quali la dinamica procedimentale giunge a conclusione, omette il riferimento ad altri epiloghi astrattamente configurabili, come la declaratoria del difetto di giurisdizione da parte dell'organo procedente [20, comma 2], in relazione ai quali può verificarsi una regressione del procedimento penale e, di conseguenza, la perdita dello status di imputato a seguito dell'applicazione estensiva della disposizione in commento. L'ultimo comma prevede la riassunzione della qualità di imputato nelle fattispecie in cui si riapre il procedimento di accertamento della responsabilità penale, cioè la revoca della sentenza di non luogo a procedere e la revisione del processo. Occorre tuttavia precisare che, nel primo caso, alla revoca può conseguire tanto la fissazione dell'udienza preliminare in ragione dell'istanza di rinvio a giudizio da parte della pubblica accusa quanto la riapertura delle indagini [436, comma 2]: risulta perciò evidente che nella seconda situazione la riassunzione dello status di imputato sarà solo eventuale e dipendente dagli esiti delle ulteriori investigazioni. Riguardo alla revisione del processo, infine, la fattispecie prevista dal terzo comma si verifica concretamente nel momento in cui il presidente della Corte d'appello emette il decreto di citazione previsto, in via generale, dall'articolo 601 in relazione al secondo grado del giudizio di merito.

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C.p.p. art. 61 Estensione dei diritti e delle garanzie dell'imputato COMMENTO Si considerino le disposizioni sulle incompatibilità con l'ufficio di testimone.

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C.p.p. art. 61 Estensione dei diritti e delle garanzie dell'imputato GIURISPRUDENZA L'art. 197, comma primo, lett. a), c.p.p. e l'art. 61 c.p.p. vietano l'assunzione come testimone della persona sottoposta alle indagini preliminari anche se nei suoi confronti sia stato pronunciato decreto di archiviazione (11431/1993, rv 196923). La notifica nei casi di urgenza a mezzo telegramma è prevista dall'art. 149 c.p.p. solo nei confronti di persone diverse dall'imputato e poiché l'art. 61 c.p.p. estende all'indagato i diritti e le garanzie dell'imputato, non può essere utilizzata neppure nei confronti della persona sottoposta alle indagini (13057/2003, rv 224068). Il soggetto destinatario del provvedimento reso dal questore a norma dell'art. 75 bis d.P.R. n. 309 del 1990 non è legittimato a presentare personalmente il ricorso per cassazione contro l'ordinanza di convalida emessa dal Giudice di pace, non potendo essere equiparato all'imputato (o all'indagato), per il quale è prevista tale facoltà, sicché, in tali casi, il ricorso può essere presentato unicamente da difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 613 c.p.p. (32066/2010). In tema di responsabilità disciplinare del magistrato, incorre nella grave violazione di legge, determinata da ignoranza o negligenza inescusabile, nonché di specifiche prescrizioni quali quelle degli artt. 61, 63, 64 c.p.p., ai sensi degli articoli artt. 1 e 2, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 109 del 2006, il magistrato del P.M. che, in presenza di astratti indizi di reità a carico della persona informata sui fatti, non ne interrompa immediatamente l’esame, al fine di consentire ad essa l’esercizio delle garanzie difensive previste dalla legge, non avendo rilievo, nella fase iniziale delle indagini, la verifica della precisa connotazione dell’elemento psicologico della persona sottoposta a interrogatorio, trattandosi di elemento che può assumere rilievo nella fase successiva di una puntuale imputazione cautelare o di rinvio a giudizio, dovendosi impedire, in tale prima fase, che la persona informata sui fatti

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subisca, mediante sollecitazioni investigative e attività invasive della sua sfera privata, intercettazioni, contestazioni, sostanziali perquisizioni con repertazione e sequestro (9557/2018).

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C.p.p. art. 61 Estensione dei diritti e delle garanzie dell'imputato COMMENTO La disposizione in commento estende al soggetto nei cui confronti non è stata ancora formulata l'imputazione gli stessi diritti e le stesse garanzie di cui è titolare l'imputato vero e proprio, nell'ottica di tutelare la sua posizione nella dinamica di accertamento delle responsabilità per i fatti a lui contestati in relazione a tutte quelle risultanze istruttorie acquisite in sede di investigazioni che siano comunque suscettibili di utilizzazione in via successiva. Si tratta di un precetto il cui carattere garantista risulta attualmente ancora più rafforzato a seguito dell'entrata in vigore delle nuove norme costituzionali sul giusto processo: tra queste, in particolare, si fa riferimento alla previsione contenuta nel terzo comma del novellato articolo 111, laddove è prescritto che il soggetto di cui si presume la responsabilità, in relazione a specifiche condotte criminose, sia informato nel più breve tempo possibile delle ragioni degli addebiti a suo carico, in modo tale da consentirgli di approntare un'adeguata linea difensiva e di partecipare da subito all'attività di ricerca degli elementi suscettibili di futura utilizzazione probatoria. Pertanto, se, da un lato, l'obiettivo perseguito dal precetto codicistico è quello di impedire che l'indagato resti inerte a fronte delle molteplici iniziative investigative della pubblica accusa nel contesto della fase pre-processuale, dall'altro occorre tener presente come l'attuale sistema predisponga solo l'avviso di conclusione delle indagini preliminari [➠415 bis] e l'informazione di garanzia [➠369], con i suoi rigidi presupposti applicativi, quali strumenti deputati a rendere edotto il soggetto delle investigazioni già svolte a suo carico. In altri termini, può accadere che l'indagato venga a conoscenza del suo status quando ormai non possa più trarre giovamento reale dall'esercizio dei diritti e dalle garanzie che l'ordinamento riconosce all'imputato. Il secondo comma, estendendo all'indagato l'applicabilità di tutte le disposizioni predisposte riguardo al soggetto cui si attribuiscono i fatti oggetto di imputazione (esempio), finisce per equipararne, in via tendenziale, le posizioni, prescindendo, quindi, dai contenuti delle singole norme e facendo salve quelle disposizioni che derogano a tale principio.

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C.p.p. art. 62 Divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato COMMENTO 1. Non possono formare oggetto di testimonianza in dibattimento le dichiarazioni spontanee rese dall'imputato nel corso dell'udienza preliminare dalle quali emergono elementi utili al fine di individuare il luogo dove egli si trovava al momento del delitto. 2. Può formare oggetto di testimonianza tutto quanto l'indagato per spaccio di sostanze stupefacenti abbia dichiarato al compratore, in relazione alla provenienza della droga e ai suoi rapporti con i fornitori, e, più in generale secondo giurisprudenza prevalente, quanto lo stesso abbia dichiarato ad un agente di polizia giudiziaria che operi sotto copertura nelle vesti di agente provocatore (così Cassazione n. 33561 del 2001).

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C.p.p. art. 62 Divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato GIURISPRUDENZA Il divieto di cui all'art. 62 c.p.p., secondo il quale le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di testimonianza, opera solo rispetto alle dichiarazioni rese a soggetti investiti di qualifica processuale e per una ragione connessa al procedimento, mentre non è applicabile rispetto alle dichiarazioni fatte ad altri soggetti o per ragioni estranee al procedimento (10367/1994, rv 199861). Non sussiste violazione dell'art. 606, lett. c), c.p.p. in relazione all'art. 62 c.p.p. per avere i giudici di merito utilizzato testimonianze su dichiarazioni indizianti dell'imputato, qualora queste non siano state necessarie né influenti ai fini della decisione, essendo stata la prova della colpevolezza del prevenuto desunta da dati obiettivi (10911/1994, rv 200182). L'art. 62 c.p.p. si applica alle dichiarazioni rese dall'imputato o dall'indagato e non anche a quelle del coimputato o coindagato (3951/1996, rv 205352). Il divieto previsto dall'art. 62 c.p.p., che non consente che formino oggetto di testimonianza le dichiarazioni rese nel corso del procedimento dall'imputato o dalla persona sottoposta a indagini, si estende anche alle dichiarazioni rese dell'indagato di reato connesso o collegato (1203/1997, rv 207465). Le dichiarazioni rese all'agente di Polizia giudiziaria che funga da simulato acquirente di sostanze stupefacenti nella veste di agente provocatore, devono essere collocate all'interno del procedimento, poiché il venditore deve considerarsi di fatto indagato non appena si stabilisce il contatto con l'apparente acquirente. Tuttavia ad esse non si applica il divieto di testimonianza previsto dall'art. 62 c.p.p., poiché tale divieto concerne soltanto le dichiarazioni rappresentative di precedenti fatti e non anche le condotte e le dichiarazioni che accompagnano tali condotte, chiarendone il

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significato, ovvero le dichiarazioni programmatiche di future condotte. Non può trovare neanche applicazione il limite di utilizzabilità previsto dal secondo comma dell'art. 63 c.p.p. poiché non si tratta di dichiarazioni rese nel corso di un esame o di assunzione di informazioni in senso proprio e tali dichiarazioni non costituiscono la rappresentazione di eventi già accaduti o la descrizione di una precedente condotta delittuosa, ma inserendosi invece in un contesto commissivo, realizzando con esse la stessa condotta materiale del reato (1732/1997, rv 208645). Il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni rese dall'imputato si riferisce non a qualsiasi frase pronunciata da un soggetto nel corso di atti che sono ancora fuori di un procedimento, ma solo a dichiarazioni formali, che siano indizianti di reità, rese all'autorità giudiziaria o alla Polizia giudiziaria (2389/1997, rv 207144). Il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato o dell'indagato sancito dall'art. 62 c.p.p. è relativo alle dichiarazioni rese da persona che ha già assunto tale qualità nel corso del procedimento, sicché non concerne la fattispecie in cui il verbalizzante riferisce di dichiarazioni spontanee rese dal soggetto prima che assumesse tale veste (7844/1998, rv 211349). Il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato o dell'indagato sancito dall'art. 62 c.p.p., essendo diretto ad assicurare l'inutilizzabilità di quanto raccolto al di fuori degli atti garantiti dalla presenza del difensore attraverso la testimonianza di chi dette dichiarazioni abbia ricevuto in qualsiasi maniera, presuppone che esse siano state rese nel corso del procedimento e non anteriormente o al di fuori del medesimo; il divieto, in quest'ultima ipotesi, non può infatti operare, assumendo l'oggetto della testimonianza, nel suo contenuto specifico, valore di fatto storico riferito dal teste, valutabile come tale dal giudice alla stregua degli ordinari criteri applicabili a detto mezzo di prova (2108/1999, rv 212788). Il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato o dell'indagato (art. 62 c.p.p.) riguarda anche le dichiarazioni rese, dalla persona poi sottoposta alle indagini, nel corso di un'attività amministrativa (ispettiva o di vigilanza), atteso che l'art. 220 del D.Lgs. 28 luglio 1989 n. 271 (art. 220 disp. att. c.p.p.) ne estende la portata anche in presenza di semplici indizi di reato, non

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richiedendosi l'esistenza di veri e propri indizi di colpevolezza (32464/2001, rv 219703). Il principio, sancito dall'art. 62 c.p.p. e dall'art. 63, comma 2, c.p.p., della inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni rese dall'indagato, ancorché di reato connesso o collegato, deve essere inteso in relazione alla sua ratio, che è ispirata alla garanzia del diritto di difesa; conseguentemente sono inutilizzabili solo le dichiarazioni dalle quali possano emergere elementi accusatori a carico del dichiarante o di quei soggetti processuali che si trovino, in quanto coindagati o indagati di reati connessi o collegati, in una posizione analoga o parallela, mentre sono pienamente utilizzabili le dichiarazioni di contenuto favorevole all'indagato (o ai coindagati) e quelle attinenti a reati non connessi o collegati, per le quali il deponente assume la qualità di testimone (18765/2003, rv 224910). In tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, gli agenti che svolgono attività investigative da infiltrati secondo quanto previsto dall'art. 97 del D.P.R. 9/10/1990, n. 309, non agiscono nell'ambito dell'operazione svolta, come ufficiali di polizia giudiziaria con i poteri autoritativi e certificatori connessi alla qualifica, ma come soggetti che partecipano all'azione, con la conseguenza che non trova applicazione il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato di cui all'art. 62 del codice di rito, e dunque, che le deposizioni da tali soggetti rese su quanto appreso dall'imputato nel corso dell'investigazione sotto copertura, sono utilizzabili in dibattimento (12142/2009). Le dichiarazioni, captate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto si autoaccusa della commissione di reati hanno integrale valenza probatoria, non trovando applicazione al riguardo gli artt. 62 e 63 c.p.p., giacché l'ammissione di circostanze indizianti fatta spontaneamente dall'indagato nel corso di una conversazione legittimamente intercettata non sono assimilabili alle dichiarazioni da lui rese dinanzi all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, e le registrazioni e i verbali delle conversazioni non sono riconducibili alle testimonianze "de relato" su dichiarazioni dell'indagato, in quanto integrano la riproduzione fonica o scritta delle dichiarazioni

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stesse delle quali rendono in modo immediato e senza fraintendimenti il contenuto (34807/2010). È legittima la testimonianza degli investigatori operanti “sotto copertura” su quanto hanno appreso dall’imputato nel corso dell’investigazione, posto che, nell’ambito dell’operazione svolta, sono stati soggetti partecipanti all’azione e non hanno agito come ufficiali di polizia giudiziaria con i poteri autoritativi e certificatori connessi alla qualifica (11572/2017).

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C.p.p. art. 62 Divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato COMMENTO La norma in commento costituisce il primo baluardo di garanzia della posizione processuale dell'indagato o dell'imputato approntato dal legislatore codicistico nell'intento di dare concreto spessore al diritto di difesa costituzionalmente sancito nell'articolo 24 della Carta fondamentale. Infatti la dinamica procedimentale, nei suoi sviluppi fisiologici, comporta sovente che il soggetto destinatario delle attività di accertamento renda dichiarazioni, in modo spontaneo oppure rispondendo a specifici quesiti formulati da parte del magistrato inquirente o del giudice dell'udienza preliminare o del dibattimento, le quali sono suscettibili di specifiche utilizzazioni a livello probatorio in presenza di presupposti formali e sostanziali ben determinati che non possono essere in alcun modo elusi. In questa prospettiva, la predisposizione del divieto di testimonianza su quanto abbia formato oggetto di precedenti dichiarazioni da parte della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato ha una sua evidente ragione giustificativa poiché risulta chiaramente finalizzata ad impedire che, attraverso l'esame del testimone, possa essere aggirato il diritto al silenzio dell'imputato su fatti dei quali solo lo stesso abbia avuto diretta percezione e dai quali possa evincersi una sua responsabilità (esempio n. 1). Peraltro alla disposizione può attribuirsi anche una valenza ulteriore dal punto di vista della efficacia dell'attività di cognizione dal momento che la preclusione alla testimonianza de audito garantisce la genuinità di quanto affermato da un dichiarante che abbia visto o abbia vissuto in prima persona circostanze e fatti utili ai fini della ricostruzione giudiziale. Un aspetto particolarmente importante da analizzare è quello afferente all'ambito oggettivo di applicazione della norma. Infatti la dizione letterale “dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento”, lungi dall'essere un'espressione generica suscettibile di illimitata applicazione, fa esplicito riferimento a quanto l'indagato o l'imputato abbia dichiarato nel corso del compimento di specifici atti della sequenza procedimentale al cospetto di organi istituzionalmente deputati a raccogliere le sue esternazioni nel rispetto di precise formalità (esempio n. 2). Secondo quanto disposto dal D.L.vo 4 marzo 2014, n. 39, il divieto de quo si estende alle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso di programmi terapeutici diretti a ridurre il rischio che questi commetta delitti sessuali a danno di minori. In tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, qualora l'agente sotto copertura, esorbitando dai limiti legislativi posti alla sua azione, abbia posto in essere un'attività di vendita di sostanze stupefacenti, non vi è ragione di deroga al divieto di testimoniare sulle dichiarazioni rese da persona sottoposta ad indagini, previsto dall'articolo in commento; anzi, il predetto, avendo determinato con il suo comportamento fatti penalmente rilevanti, assume la figura di coimputato in

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procedimento connesso o collegato, di modo che alle sue dichiarazioni sì applica la disciplina di cui agli artt. 192 e 210 c.p.p. (così Cassazione n. 12142 del 2009). Dopo la riforma del 2014 A seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 39 è stata data attuazione alla direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI. In ragione di tanto sono state apportate modifiche all'articolo in commento, nonché all'art. 266 del codice di rito penale. La suddetta direttiva costituisce un importante strumento di rafforzamento della tutela dei minori rispetto a tali preoccupanti fenomeni, che peraltro nel nostro sistema penale e processuale ricevono già una protezione molto intensa, che negli anni si è andata consolidando per effetto del succedersi di ripetuti interventi di modifica normativa, da ultimo con la legge 1 ottobre 2012, n. 172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno). Per questo motivo, considerata la puntualità e completezza dell'attuale apparato normativo, sia sul versante sostanziale che processuale, le proposte di implementazione della Direttiva concernono pochi profili, dovendo per il resto sottolinearsi come la disciplina di diritto interno detti, tendenzialmente, un regime assai più rigoroso rispetto alla soglia minima di tutela individuata dallo strumento sovranazionale. Nel prevedere la possibilità, secondo quanto previsto dall'articolo 24 della direttiva, che gli indagati o imputati si sottopongano, fin dalla fase delle indagini preliminari, a programmi finalizzati a ridurre il rischio di reati sessuali a danno di minori, è stato necessario inserire, dopo il comma 1 dell'articolo in commento, un secondo comma che sancisce il divieto di utilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso di tali programmi. In materia di strumenti di indagine, in conformità dell'articolo 15, comma 3 della direttiva è stato integrato il catalogo dei delitti per i quali l'articolo 266 del presente codice di rito consente il ricorso delle intercettazioni telefoniche e telematiche, attraverso l'introduzione al comma 1, lettera f bis), del riferimento al delitto di cui all'articolo 609 undecies, sicché tali strumenti investigativi potranno essere utilizzati anche con riferimento al delitto di adescamento di minorenni, che spesso viene commesso proprio con l'utilizzo di strumenti informatici e telematici.

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C.p.p. art. 63 Dichiarazioni indizianti GIURISPRUDENZA In tema di garanzie difensive, la “ratio” giustificatrice delle regole enunciate dall'art. 63 c.p.p., comma primo e secondo, va ricercata, unitaria, nell'esigenza di escludere dalla cognizione del giudice ogni circostanza che si risolva in sfavore per il dichiarante. Ne segue, da un lato, che nel citato art. 63 c.p.p. il termine inutilizzabilità è adottato con senso diverso da quello dell'art. 191 c.p.p., dall'altro, che tali dichiarazioni possono e devono essere prese in considerazione e valutate quando si risolvano in favore della persona esaminata o siano per la stessa indifferenti, per assumere il dichiarante la condizione di testimone o persona informata sui fatti (4343/1995, rv 202918). Non ricorre l'ipotesi di cui all'art. 63, comma secondo, c.p.p. quando l'esaminato sia sentito nella qualità di persona nei cui confronti si svolgono le indagini, pur nella mancata osservanza delle formalità attuative dei diritti della difesa. In tal caso, si verifica una nullità di ordine generale a regime intermedio di cui all'art. 178 c.p.p., lett. c) e all'art. 180 c.p.p., poiché l'intervento (come presenza fisica) del difensore all'esame in fase investigativa, non è obbligatorio. La deducibilità di detta nullità è condizionata all'avervi interesse (art. 182, comma primo, c.p.p.), che non ricorre quando le dichiarazioni si risolvano in favore dell'esaminato o restino per sé neutre nei suoi confronti (4343/1995, rv 202917). L'inutilizzabilità “erga omnes” delle dichiarazioni rese da persone che doveva, sin dall'inizio essere sentita nella veste di indagato, sancita dall'art. 63, comma secondo, c.p.p., presuppone non già la mera inosservanza delle garanzie di difesa previste per tale soggetto, ma, a monte, la mancata attribuzione allo stesso della suddetta qualità; pertanto a nulla rileva ai fini della sola utilizzabilità, una volta che tale attribuzione sia avvenuta, la circostanza che le dichiarazioni siano state rese in modo irregolare, potendo ciò incidere soltanto sul diverso piano della nullità per

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violazione dei diritti di difesa del dichiarante (4589/1995, rv 200836). Tanto le disposizioni contenute nell'art. 63 c.p.p., in tema di dichiarazioni autoindizianti, quanto quelle contenute nell'art. 141 bis c.p.p., in tema di formalità per l'effettuazione dell'interrogatorio di soggetti in stato di detenzione, sono dirette a garantire i diritti, rispettivamente, del dichiarante e dell'interrogato, e non già quelli di altri soggetti quali, in particolare, gli eventuali chiamati in correità, tanto è vero – con particolare riguardo alle formalità di cui all'art. 141 bis c.p.p. – che dette formalità non sono tassativamente prescritte per le deposizioni testimoniali, nonostante queste possano avere valore ben più determinante per i soggetti accusati (865/1996, rv 204926). Le dichiarazioni della persona che fin dall'inizio avrebbe dovuto essere sentita come indagata o imputata sono inutilizzabili anche nei confronti dei terzi, sempre che provengano da soggetto a carico del quale già sussistevano indizi in ordine al medesimo reato ovvero a reato connesso o collegato con quello attribuito al terzo, per cui dette dichiarazioni egli avrebbe avuto il diritto di non rendere se fosse stato sentito come indagato o imputato; restano invece al di fuori della sanzione di inutilizzabilità comminata dal secondo comma dell'art. 63 c.p.p. le dichiarazioni riguardanti persone coinvolte dal dichiarante in reati diversi, non connessi o collegati con quello o quelli in ordine ai quali esistevano fin dall'inizio indizi a suo carico, poiché rispetto a questi egli si trova in una posizione di estraneità ed assume la veste di testimone; restano escluse altresì dalla sanzione di inutilizzabilità, alla stregua della “ratio” della disposizione, ispirata alla tutela del diritto di difesa, le dichiarazioni favorevoli al soggetto che le ha rese ed a terzi, quali che essi siano, non essendovi ragione alcuna di escludere dal materiale probatorio elementi che con quel diritto non collidono (1282/1996, rv 206846). La registrazione di conversazioni ad opera di uno degli interlocutori è legittima ed utilizzabile a fini probatori in quanto la stessa non realizza alcuna “intercettazione” in senso tecnico, ma si risolve sostanzialmente in una particolare forma di “documentazione” (6323/1996, rv 205096). L'inutilizzabilità delle dichiarazioni indizianti sancita dell'art. 63 c.p.p. presuppone che l'assunzione delle medesime sia avvenuta con

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forme diverse da quelle prescritte con riguardo alla posizione processuale (in senso sostanziale) che il dichiarante rivestiva nel momento in cui è stato sentito (1073/1997, rv 207505). Le “dichiarazioni indizianti” di cui alla rubrica dell'art. 63 c.p.p. sono quelle rese da persona non imputata né indagata, la quale, sentita nell'ambito di un procedimento come testimone o come soggetto informato su circostanze utili per le indagini, riveli fatti da cui emerga una sua responsabilità penale, con la conseguenza che tali dichiarazioni, in quanto rese senza le garanzie previste per l'interrogatorio dell'imputato, sono dalla legge dichiarate non utilizzabili. Sono al contrario estranee alla predetta nozione e al relativo regime di non utilizzabilità le dichiarazioni mediante le quali la persona non imputata né indagata, anziché fornire elementi da cui sia desumibile la propria responsabilità in ordine ad un reato pregresso, realizzi il fatto tipico di una determinata figura di reato. In tal caso non si applica il principio “nemo tenetur se detegere”, che salvaguarda la persona che ha commesso un reato, non quella che il reato debba ancora commettere (3615/1997, rv 208831). In tema di dichiarazioni indizianti, il dovere dell'autorità giudiziaria, che procede all'esame di una persona, della sospensione dell'esame, dell'avvertimento che a seguito delle dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e dell'invito a nominare un difensore, sussiste, a norma dell'art. 63, comma primo, c.p.p., solo nel caso in cui la persona sia esaminata quale testimone o persona informata sui fatti e non nel caso in cui essa sia esaminata come imputata o come persona sottoposta alle indagini, sia pure relativamente ad un reato diverso da quello per il quale essa è stata chiamata a rendere le dichiarazioni. In tale caso, infatti, la persona è già avvertita, quale imputato o indagato, della facoltà di non rispondere. Ne consegue che le dichiarazioni rese in tale contesto sono pienamente utilizzabili (6282/1997, rv 209324). Al pubblico ministero non è consentito assumere le informazioni di cui all'art. 362 c.p.p. dal coindagato o dall'indagato di reato connesso ovvero probatoriamente collegato a quello per il quale si indaga, ostandovi il disposto dell'art. 197 c.p.p., lett. a) e b), ; ne consegue che le dichiarazioni rese dalla persona che avrebbe dovuto essere sentita come indagata (con le relative forme) sono inutilizzabili, ai sensi del secondo comma dell'art. 63 c.p.p., oltre

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che contro chi le ha rilasciate, anche nei confronti del terzo chiamato in correità o reità ove attengano al medesimo reato ascritto al terzo o a reato connesso o collegato (554/1998, rv 210333). Sono inutilizzabili le dichiarazioni “provocate” da un operatore della Polizia giudiziaria il quale, dissimulando tale sua qualifica e funzione, rivolga domande inerenti ai fatti criminosi oggetto di indagine a chi appaia fin dall'inizio in tali fatti coinvolto quale indiziato di reità; ed invero non è consentito alla Polizia giudiziaria, in un sistema rigorosamente ispirato al principio di legalità, scostarsi dalle previsioni legislative per compiere atti atipici i quali, permettendo di conseguire risultati identici o analoghi a quelli conseguibili con gli atti tipici, eludano tuttavia le garanzie difensive dettate dalla legge per questi ultimi. Siffatta elusione indubbiamente si verifica allorché l'operatore di Polizia giudiziaria, non palesandosi come tale, miri ad ottenere dalla persona già colpita da indizi di un reato dichiarazioni che possano servire alla prova di questo e della relativa responsabilità: ne consegue che di tali dichiarazioni non può tenersi conto non solo nei confronti di chi le ha rilasciate, ma anche nei confronti degli indagati per il medesimo fatto ovvero per fatti connessi o collegati, secondo quanto dispone l'art. 63, comma 2, c.p.p. (2204/1998, rv 211177). Dal tenore letterale e dalla “ratio” della norma del capoverso dell'art. 63 c.p.p., come dal suo necessario coordinamento con le disposizioni di cui agli artt. 62 e 350 c.p.p., si deve ritenere che la preclusione all'utilizzazione dibattimentale, diretta o indiretta, delle dichiarazioni rese senza assistenza difensiva dall'indiziato alla Polizia giudiziaria abbia carattere assoluto e generale. La disposizione, infatti, non opera distinzioni fra dichiarazioni sollecitate e dichiarazioni spontanee, né limita l'inutilizzabilità alle dichiarazioni di imputato o indagato interessato o a quelle di imputato o indagato in reato connesso, e neppure alle sole dichiarazioni di chi abbia già la veste formale di imputato o di indagato e dichiarazioni di chi, pur trovandosi sostanzialmente in tale condizione, non ne abbia ancora assunto la qualità (10621/1998, rv 211744). È illegittima la scissione del contenuto dell'interrogatorio nullo per assenza del difensore tra dichiarazioni autoindizianti e dichiarazioni accusatorie a carico di altre persone indagate per lo

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stesso reato o per reato connesso, non potendosi limitare alle prime la sanzione della nullità, ma dovendo ritenersi inutilizzabili nella loro interezza le dichiarazioni compiute da chi sin dall'inizio doveva essere sentito come indagato e con le garanzie inerenti a tale qualità (1100/1999, rv 212967). L'esame dibattimentale di soggetti già iscritti nel registro degli indagati per fatti connessi o collegati a quelli per i quali si procede – pur se ascoltati dalla Polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari senza l'assistenza del difensore – deve avvenire nelle forme previste dall'art. 210 c.p.p. e non in quelle previste per l'escussione testimoniale; e ciò anche per quanto riguarda le dichiarazioni che i predetti soggetti abbiano reso nei confronti di terze persone (1491/1999, rv 212291). Le registrazioni di conversazione tra persone presenti da parte di uno degli interlocutori non necessitano dell'autorizzazione del G.I.P. ai sensi dell'art. 267 c.p.p. in quanto non rientrano nel concetto di “intercettazioni” telefoniche in senso tecnico, ma si risolvono sostanzialmente in una particolare forma di documentazione, che non è sottoposta alle limitazioni e alle formalità proprie delle intercettazioni (6302/1999, rv 213458). È legittima l'utilizzazione, nel processo, del contenuto di una conversazione privata (nella specie, tra presenti) registrata su nastro magnetico da parte di uno degli interlocutori (7239/1999, rv 213697). In tema di dichiarazioni indizianti, la valutazione relativa alla sussistenza “ab initio” degli indizi di reità a carico del soggetto che le ha rese costituisce accertamento in punto di fatto che, se correttamente motivato, si sottrae al controllo di legittimità (10230/1999, rv 214377). Sono estranee alla nozione di dichiarazioni indizianti e al relativo regime di non utilizzabilità le dichiarazioni mediante le quali la persona sentita come testimone realizzi in quel momento il fatto tipico di una determinata figura di reato, e ciò perché il principio “nemo tenetur se detegere”, cui la predetta disposizione si ispira, salvaguarda la persona che ha commesso un reato, nel senso che non può essere obbligata a rivelare fatti da cui emerga la sua responsabilità per il reato pregresso, e non quella che il reato debba ancora commettere (13758/1999, rv 215438).

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L'art. 63 c.p.p. impedisce che le dichiarazioni indizianti rese senza l'assistenza del difensore possano essere utilizzate sia nel corso del dibattimento sia nella fase delle indagini. Ciò, non solo nei confronti del dichiarante, ma anche con riferimento alla posizione dei terzi, nei riguardi dei quali tali dichiarazioni possono costituire semplicemente spunto per ulteriori indagini. Infatti, sia pure indirettamente, l'utilizzazione di dette dichiarazioni si risolverebbe, comunque, in un possibile nocumento nei confronti di chi le ha rese (1002/2000, rv 216145). L'inutilizzabilità delle dichiarazioni della persona che fin dall'inizio avrebbe dovuto essere sentita come indagata o imputata è configurabile – ex art. 63, comma 2, cod. proc. pen – solo qualora a suo carico ricorrano gravi e precisi indizi e non vaghi e generici sospetti. Ne consegue che in tal caso le dichiarazioni erga alios sono pienamente utilizzabili come prova (22837/2001, rv 219871). L'art. 63, comma 2, c.p.p., nel prevedere l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi, “sin dall'inizio” avrebbe dovuto essere sentito in qualità di imputato o di persona sottoposta a indagine, intende riferirsi, con la suindicata espressione testuale, non all'inizio del procedimento, ma solo all'inizio dell'attività di assunzione delle suddette dichiarazioni. L'inutilizzabilità di queste ultime non può, quindi, che essere limitata al singolo atto nel quale esse vengono ad essere contenute, nel presupposto, inoltre, che, salvo il caso in cui il dichiarante sia già stato formalmente investito della qualità di imputato o di persona sottoposta a indagini, l'assunzione dell'atto in questione venga effettuata ad iniziativa o, comunque, sotto il controllo dell'unico organo (il pubblico ministero) al quale istituzionalmente compete il potere-dovere di attribuire a taluno la suddetta qualità. Ne deriva che l'inutilizzabilità di cui all'art. 63, comma 2, c.p.p. non può colpire le dichiarazioni rese al giudice da soggetto il quale non abbia mai assunto la qualità di imputato o quella (equiparata ai sensi dell'art. 61, comma 2, c.p.p.) di persona sottoposta a indagini, dal momento che il giudice, a differenza del pubblico ministero, non può attribuire ad alcuno, di propria iniziativa, la suddetta qualità, ma può (e deve) soltanto verificare che essa non sia già stata formalmente assunta, sì da dar luogo ad incompatibilità con l'ufficio di testimone, ai sensi dell'art. 197 c.p.p., comma 1, lett. a) e b), (fermo restando, naturalmente, che

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resta in ogni caso operante, anche per il giudice, la disciplina dettata dal comma 1 dell'art. 63 c.p.p. per il caso in cui, nel corso dell'esame, vengano rese dichiarazioni autoindizianti) (21802/2002, rv 221499). Vanno escluse dalla dizione di “dichiarazioni indizianti” e dal relativo regime di non utilizzabilità, quelle mediante le quali la persona sentita sostanzialmente come testimone, realizza, nel momento stesso in cui viene sentita, il fatto tipico della calunnia, e questo perché il principio nemo tenetur se detegere salvaguarda la persona che ha commesso un reato, nel senso che non può essere obbligata a rivelare fatti da cui emerga la sua responsabilità per il reato pregresso, e non quella che il reato debba ancora commettere (678/2005). Le dichiarazioni rese innanzi alla polizia giudiziaria da una persona non sottoposta ad indagini, ed aventi carattere autoindiziante, non sono utilizzabili contro chi le ha rese, ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi: con la conseguenza che tali dichiarazioni sono pienamente utilizzabili "contra alios", né se ne può eccepire l'inutilizzabilità "erga omnes" sulla base del fatto che le stesse provengono da un soggetto indagato in reato connesso, non ascoltato con le garanzie previste per la persona sottoposta ad indagini (30460/2012). L'acquirente di modiche quantità di sostanza stupefacente, nei cui confronti non siano emersi elementi indizianti di uso non personale, deve essere sentito nel corso delle indagini preliminari come persona informata dei fatti e come testimone in dibattimento, essendo irrilevante, a tal fine, che egli possa essere soggetto a sanzione amministrativa per l'uso personale, derivando da ciò la utilizzabilità delle dichiarazioni rese nelle rispettive qualità (2441/2015). È utilizzabile, quale prova a carico dell'imputato, anche la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie resegli da un coimputato non comparso al dibattimento, e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi dell'art. 33 l. fall. Nè sussiste, qualora l'imputato o il suo difensore non abbiano chiesto l'esame del predetto coimputato, la violazione dell'art. 526 cod. proc. pen., in quanto, in tal caso il dichiarante non si è per libera scelta volontariamente sottratto all'esame dell'imputato, stante la ratio dell'art. 526 cod. proc. pen. preordinata ad assicurare la piena esplicazione del principio del contraddittorio che, tuttavia, non ha carattere assoluto ma è rimesso alla discrezionalità della parte, la quale può scegliere liberamente le prove da introdurre e da escutere nel processo, con la conseguenza che non può dolersi della mancata assunzione o escussione di prove non richieste (3885/2015).

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Le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., che prevede l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, in quanto il curatore non rientra tra dette categorie di soggetti e la sua attività non è riconducibile alla previsione di cui all’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. che concerne le attività ispettive e di vigilanza (12338/2017). In tema di incompatibilità a testimoniare, l’esistenza di una situazione di conflitto tra due organizzazioni criminali contrapposte, una costituita tra gli imputati e l’altra tra i dichiaranti, non è sufficiente ad integrare un’ipotesi di collegamento probatorio, nella forma della commissione di reati da più persone in danno reciproco le une delle altre, prevista all’art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. (58089/2017). Le dichiarazioni confessorie o le ammissioni contenute in una memoria proveniente dall’imputato acquisita agli atti del processo sono utilizzabili nei suoi confronti ai sensi dell’art. 192, comma 1, c.p.p., e non incontrano il limite stabilito dall’art. 63, comma 1, c.p.p. in quanto la norma si riferisce solo alle dichiarazioni rese, dinanzi all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, nel corso delle indagini preliminari, anche se queste ultime non riguardano la persona del dichiarante (52654/2017). Sono utilizzabili nella fase procedimentale, e dunque nell’incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta, le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., purché emerga con chiarezza che l’indagato ha scelto di renderle liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione (14320/2018). In tema di concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale, la disciplina di cui all’art. 63, comma quarto, cod. pen., si applica integralmente nel caso in cui la recidiva concorre con altra aggravante speciale e rispetto a questa sia stata ritenuta meno grave, con la conseguenza che il giudice, quand’anche la recidiva sia di natura obbligatoria e comporti un aumento predeterminato della pena, può procedere all’ulteriore aumento di pena entro il limite di cui al combinato disposto degli artt. 63, comma quarto, e 64, comma primo, cod. pen. (13843/2018).

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C.p.p. art. 63 Dichiarazioni indizianti COMMENTO La disposizione in esame fissa un'altra guarentigia importante ai fini della concreta esplicazione del diritto di difesa, stabilendo che, laddove un soggetto renda dichiarazioni in qualità di persona informata sui fatti davanti alla polizia giudiziaria o al magistrato inquirente oppure sia sottoposto ad esame incrociato in sede di esame testimoniale e da tali esternazioni possano evincersi elementi di reità a suo carico, l'autorità procedente deve immediatamente interrompere l'acquisizione delle dichiarazioni medesime ed avvertire l'autore della possibilità che egli sia successivamente sottoposto ad attività investigative. Si tratta di un precetto la cui funzionalità risulta chiaramente individuabile in relazione alla garanzia del diritto al silenzio che deve essere riconosciuto al soggetto nei cui confronti potrebbero essere formulati specifici addebiti. Peraltro, se si considera che l'avvertimento deve essere corredato dall'invito a nominare un difensore di fiducia il quale, nel sistema attuale, può svolgere indagini difensive, tale norma appare altresì funzionale a dare attuazione al valore costituzionale sancito nel novellato articolo 111 in forza del quale il presunto reo deve essere tempestivamente reso edotto delle accuse a suo carico in modo tale che egli possa approntare una idonea linea difensiva. Riguardo, poi, alla nozione di indizi di reità, il legislatore non usa lo stesso concetto di elemento indiziario, inteso quale prova indiretta, previsto nel secondo comma dell'articolo 192, bensì intende genericamente riferirsi a tutti quegli elementi di fatto dai quali sia possibile evincere il coinvolgimento del dichiarante in situazioni generatrici di una responsabilità penale. I due commi di cui si compone il disposto normativo in commento fissano distinti regimi di utilizzabilità delle esternazioni rese precedentemente all'avvertimento della potenziale effettuazione di attività di indagine, a seconda del contesto procedimentale nel quale le medesime abbiano trovato concreta collocazione. Infatti se le dichiarazioni sono state rese nelle situazioni tipizzate dagli articoli 351, 362 e 499, le risultanze istruttorie emerse non potranno essere utilizzate nei confronti del dichiarante, ma saranno suscettibili di fondare le accuse e le ulteriori attività di accertamento a discapito di soggetti terzi esterni al procedimento. Viceversa, laddove il soggetto doveva ricoprire il ruolo di indagato o di imputato sin dal momento in cui ha iniziato a rendere le dichiarazioni, sussistendo a suo carico non equivoci, anche se generici, indizi di reità già noti all'autorità procedente, il codice di rito prevede l'inutilizzabilità assoluta di quanto esplicitato. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (9 ottobre 1996), peraltro, hanno ben delimitato la portata dell'inutilizzabilità in questione, escludendola in relazione a tutte quelle situazioni in cui gli elementi di prova emergano a carico di persone totalmente estranee al procedimento in cui è coinvolto il dichiarante, non essendo implicate in reati connessi o collegati con quello per il quale già sussistevano gli indizi di reità, e

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nelle ipotesi in cui trattasi di dichiarazioni favorevoli all'autore o a soggetti terzi indipendentemente dalla loro posizione processuale.

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C.p.p. art. 64 Regole generali per l'interrogatorio COMMENTO 1. Si pensi alle ipotesi di interrogatorio svolto dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa o su delega del magistrato inquirente. 2. L'indagato che sia sottoposto ad interrogatorio da parte del pubblico ministero non può essere previamente ipnotizzato affinché riveli quanto accaduto in relazione alla fattispecie criminosa per la quale si presume la sua reità. 3. Le dichiarazioni precedentemente rese dalla persona sottoposta ad esame in dibattimento possono essere usate, in quella sede, ai fini delle contestazioni di cui all'art. 503, comma 3.

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C.p.p. art. 64 Regole generali per l'interrogatorio GIURISPRUDENZA La norma di cui all'art. 26, comma 5, della legge 1 marzo 2001, n. 63, in base alla quale in materia di valutazione della prova, nel giudizio di legittimità, si applicano le norme vigenti al momento della decisione, deve ritenersi applicabile non solo alle dichiarazioni valutate in sede dibattimentale ai fini del giudizio di colpevolezza dell'imputato, ma anche alle dichiarazioni valutate ai fini dell'applicazione di misure cautelari (28435/2001, rv 220033). In tema di cosiddetto “giusto processo” e con riguardo alla disciplina transitoria dettata dall'art. 26 della legge 1 marzo 2001, n. 63 – fermo restando il criterio di fondo dettato dal comma 1 di tale articolo (in base al quale le nuove regole in materia di valutazione e formazione della prova trovano applicazione anche nei procedimenti in corso), per cui vanno considerate di natura eccezionale e tassativa le deroghe al suddetto criterio previste nei commi successivi, ivi compresa quella contenuta nel comma 5 – deve tuttavia ritenersi che tale ultima norma, secondo la quale alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento e già valutate ai fini delle decisioni di merito “si applicano nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione le disposizioni vigenti in materia di valutazione della prova al momento delle decisioni stesse”, vada interpretata (conformemente alla finalità perseguita dal legislatore già con l'identica disposizione dettata dall'art. 1, comma 4, del D.L. 7 gennaio 2000, n. 2, convertito con modificazioni in legge 25 febbraio 2000, n. 35), nel senso che, in sede di legittimità, non solo la valutazione, ma anche l'utilizzabilità delle prove a contenuto dichiarativo, in relazione alle modalità di formazione e di acquisizione delle medesime, vadano verificate sulla base della normativa vigente all'epoca e non di quella sopravvenuta (40944/2001, rv 220042). Non può assumere l'ufficio di testimone, senza il previo avviso di cui alla lett. c) del comma 3 dell'art. 64 c.p.p. e senza il rispetto delle norme che regolano l'assunzione delle dichiarazioni del teste

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assistito, il soggetto che cumuli in sé le qualità di persona offesa dal reato e di indagato in atto, o imputato nei cui confronti non sia stata emessa sentenza irrevocabile, in un procedimento connesso a sensi della lett. c) del comma 1 dell'art. 12 c.p.p., o relativo a un reato collegato a norma della lett. b) del comma 2 dell'art. 371 c.p.p.; laddove può assumere l'ufficio di testimone, senza il previo avviso di cui alla lett. c) del comma 3 dell'art. 64 c.p.p. ma con il rispetto delle norme che regolano l'assunzione delle dichiarazioni del teste assistito, la persona offesa che sia anche imputata in un procedimento connesso a sensi della lett. c) del comma 1 dell'art. 12 c.p.p., o relativo a un reato collegato a norma della lett. b) del comma 2 dell'art. 371 c.p.p., dopo che nei suoi confronti sia stata emessa sentenza irrevocabile, salvo che tale sentenza sia di proscioglimento per non aver commesso il fatto, nel qual caso non sussistono neppure i limiti di cui ai commi 3 e 6 dell'art. 197 bis c.p.p. (12067/2009). Sono sempre utilizzabili nei confronti del coindagato le dichiarazioni rese dal concorrente nel medesimo reato nel corso dell'interrogatorio assunto all'estero per rogatoria, ancorché lo stesso, in conformità a quanto previsto dalla legge dello Stato richiesto, non sia stato preventivamente avvisato dell'utilizzabilità anche nei suoi confronti delle medesime dichiarazioni, atteso che l'art. 64, comma terzo, lett. a) c.p.p. non è norma inderogabile di ordine pubblico (34412/2010). L'effetto sanzionatorio di una circostanza aggravante, ove la stessa sia contestata in relazione ad un reato satellite nell'ambito di una riconosciuta continuazione, si commisura sull'aumento di pena determinato ai sensi dell'art. 81 c.p. per il reato stesso, fermo restando che l'incremento applicato per l'aggravante non deve superare il limite di un terzo della porzione di pena stabilita per il reato satellite di cui all'art. 64 c.p.p. (12260/2012). Sono utilizzabili le dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dai soggetti indicati negli artt. 64 e 197 bis disp. att. cod. proc. pen. se, nel corso della rinnovazione dell'interrogatorio a norma dell'art. 26, comma secondo, legge 1 marzo 2001, n. 63, il dichiarante ritratti nella sua interezza quanto sino ad allora riferito (150/2013). Il riconoscimento all'indagato della facoltà di non rispondere o non collaborare non esclude che il giudice possa tenere conto, al fine di ritenere i

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gravi indizi di colpevolezza necessari per l'adozione di misura coercitiva, della mancata contrapposizione, ai fatti narrati dalla persona offesa, di alcuna diversa versione difensiva (45245/2014). Il silenzio serbato dall'indagato in sede di interrogatorio di garanzia non può essere utilizzato quale elemento di prova a suo carico, ma da tale comportamento processuale il giudice può trarre argomenti di prova, utili per la valutazione delle circostanze “aliunde” acquisite (6348/2015). Il silenzio serbato dall’indagato in sede di interrogatorio non può essere utilizzato quale elemento di prova a suo carico, ma da tale comportamento processuale il giudice può comunque trarre argomenti utili per la valutazione delle circostanze aliunde acquisite, senza che, naturalmente, ciò possa determinare alcun sovvertimento dell’onere probatorio (43254/2019).

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C.p.p. art. 64 Regole generali per l'interrogatorio COMMENTO La collocazione delle norme generali sulle modalità di svolgimento dell'interrogatorio, e sulle garanzie che devono essere rispettate dall'autorità procedente, nello specifico ambito codicistico del Titolo relativo all'imputato è significativa della valenza attribuita dal legislatore delegato ad un meccanismo della cognizione giudiziale essenzialmente concepito come strumento di difesa, cioè come mezzo di cui le parti possano decidere liberamente di servirsi nel contesto di un contraddittorio elevato dalla Costituzione a valore cardine dell'esercizio della giurisdizione penale, nella sua duplice portata di mezzo di tutela della posizione del singolo e di strumento di ricostruzione della verità giudiziale. Proprio questa doppia valenza del principio consacrato nell'articolo 111 della Costituzione ha dato origine alle modifiche introdotte dalla legge n. 63 del 2001 che ha innovato il dettato del terzo comma e inserito un nuovo comma 3 bis trasformando, in questo modo, i connotati originari dell'istituto in questione. Premesso che, come si evince dalla Relazione di accompagnamento al nuovo codice di procedura, le regole generali contemplate dalla norma in commento devono necessariamente essere rispettate ogniqualvolta vi sia un rapporto tra autorità giudiziaria o autorità di polizia e soggetto al quale vengono poste precise domande in relazione ad addebiti determinati (esempio n. 1), il contesto in cui si colloca l'interrogatorio deve innanzitutto strutturarsi in modo tale che sia garantita al massimo grado la dignità di colui al quale vengono formulati i quesiti. In questo senso risulta orientato il precetto che preclude la possibilità che l'indagato, anche laddove sia già sottoposto a misure di restrizione a seguito di un'ordinanza di custodia cautelare o dell'esecuzione di una pena detentiva, partecipi in vinculis all'interrogatorio, a meno che ciò non sia imposto da obiettive esigenze di prevenzione di potenziali fughe o di atti di violenza. Nell'ottica, poi, della tutela della piena libertà morale di autodeterminazione del soggetto, il secondo comma vieta il ricorso a metodi o tecniche che siano in qualche modo in grado di influire sulla volontà di raccontare i fatti o sulla capacità di ricordare e valutarne i contenuti (esempio n. 2). Le opzioni legislative appaiono, pertanto, inequivocabili, poiché a strumenti che, incidendo sulla libertà personale e sulla coscienza del soggetto, risultano di stampo chiaramente intimidatorio e lesivi di diritti fondamentali della persona in quanto tale, l'ordinamento predilige il ricorso ad un istituto processuale quale l'interrogatorio al quale si intende attribuire la natura di atto cosciente e volontario e, proprio per questo, anche più funzionale alla ricostruzione dei fatti. Lo “scopo garantista” della disposizione giustifica, altresì, il dettato normativo contenuto nel terzo comma laddove la serie analitica di avvertimenti che devono essere necessariamente diretti alla persona interrogata risulta evidentemente strumentale ad una partecipazione consapevole da parte di quest'ultimo al

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compimento di un atto procedimentale che può avere conseguenze rilevanti sulla propria posizione processuale. Infatti l'interrogato deve essere avvertito che quanto dichiarerà potrà sempre essere utilizzato nei suoi confronti a prescindere dai contenuti della deposizione (esempio n. 3). Inoltre, salvo che non sia interpellato riguardo alle sue generalità personali, egli può liberamente esercitare il diritto al silenzio laddove ritenga che una scelta strategica differente potrebbe irrimediabilmente compromettere la propria linea difensiva. Al riguardo l'ulteriore avvertimento che il procedimento proseguirà il suo corso comunque, a prescindere, cioè, dalla decisione dell'interrogato di rispondere o meno alle domande predisposte dall'interlocutore, deve essere correttamente interpretato nel senso che non può attribuirsi alcun significato probatorio alla posizione di silenzio assunta dal soggetto medesimo. La novità di maggior rilievo introdotta dalla riforma del 2001 è quella relativa alla figura dell'imputato testimone: la novellata lettera c) del terzo comma prevede, infatti, che qualora l'interrogato dichiari ciò di cui è a conoscenza in relazione a fatti da cui possono evincersi responsabilità di terzi egli assume, ex lege, rispetto ai medesimi l'ufficio di testimone. Ciò implica che dalle deposizioni effettuate nella fase delle indagini preliminari potrebbero scaturire le premesse perché nella successiva fase dibattimentale lo stesso soggetto rivesta contemporaneamente lo status di imputato e di testimone, con la conseguenza che in relazione ai fatti oggetto delle precedenti dichiarazioni, relativi alla responsabilità di terzi, lo stesso non potrà esercitare il diritto al silenzio, essendo tenuto [198] a presentarsi al giudice e a rispondere secondo verità alle domande rivoltegli, pena l'addebito nei suoi confronti delle fattispecie di reato di cui agli artt. 366 e 372 del codice penale. Tale prospettiva, evidentemente, genera problemi ermeneutici e applicativi di non scarso rilievo, soprattutto ove si considerino le situazioni in cui risulta particolarmente arduo distinguere all'interno delle dichiarazioni ciò che si riferisce alla posizione processuale del loro autore da ciò che riguarda la responsabilità di altri. L'imputato, quindi, per non correre il rischio di esiti a lui pregiudizievoli, potrebbe decidere sin dall'inizio di astenersi da qualunque dichiarazione, con evidenti ripercussioni in punto di accertamento della verità processuale, anche se occorre tener presente che la sua posizione risulta comunque tutelata dai meccanismi di salvaguardia previsti dagli articoli 197 e 197 bis (cui si fa rinvio), cioè dalle incompatibilità con l'ufficio di testimone e dalle altre garanzie ivi contemplate. Il comma 3 bis, anch'esso di recente redazione, chiude la disposizione in commento con la previsione di una duplice forma di inutilizzabilità, la quale costituisce sanzione scaturente dal mancato rispetto del dettato contenuto nel comma 3. Nell'ipotesi in cui l'autorità che procede alla formulazione dei quesiti ometta di avvertire l'interlocutore dell'utilizzabilità nei suoi riguardi delle deposizioni rese e della facoltà per il medesimo di esercitare il diritto al silenzio, si genera un vizio che rende inconferenti ai fini della decisione le dichiarazioni rese. Nel diverso caso in cui venga omesso l'avvertimento di cui alla lettera c), l'inosservanza della disposizione cagionerà l'inutilizzabilità relativa delle dichiarazioni rese nei confronti dei soggetti terzi chiamati in causa dall'interrogato, il quale, di conseguenza, non può assumere riguardo a quei fatti lo status di testimone. Riguardo a quest'ultima eventualità occorre sottolineare come, in ogni caso, i contenuti di quelle dichiarazioni potranno

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assumere rilevanza nei riguardi del loro autore e di soggetti diversi da quelli cui si riferiscono quei fatti specifici.

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C.p.p. art. 65 Interrogatorio nel merito GIURISPRUDENZA Le modalità dell'interrogatorio, specificate nell'art. 65 c.p.p., non sono tassative, ma vanno adattate al concreto espletamento dell'atto. Ne deriva che, quando dal testo dell'ordinanza cautelare risultano sia gli elementi di prova, che le fonti – qualora sia possibile, anche con la indicazione delle generalità – l'obbligo di contestazione è adempiuto, senza che si renda necessaria la ripetizione orale e la trascrizione nel verbale, che viene redatto (1877/1993, rv 195218). La previsione di cui al secondo comma dell'art. 65 c.p.p. va interpretata non come obbligo, ma come facoltà discrezionale del giudice di procedere a diretto interrogatorio, ponendo domande (2512/1994, rv 198928). Il silenzio, garantito all'imputato come oggetto di un suo diritto processuale, non può essere utilizzato, in contrasto con tale garanzia, quale tacita confessione di colpevolezza. Ciò, però, non può comportare una limitazione legale della sfera del libero convincimento del giudice sicché la convinzione di reità può legittimamente basarsi sulla valorizzazione in senso probatorio di idonei elementi in ordine ai quali il silenzio dell'imputato viene ad assumere valore di mero riscontro obiettivo (3241/1996, rv 204546). È consentito omettere, per ragioni di cautela processuale, l'indicazione dei nominativi dei collaboranti, fonti di dichiarazioni accusatorie, sia nelle ordinanze cautelari sia nelle copie degli atti che, a seguito di eventuale richiesta di riesame, devono essere trasmessi al tribunale ai sensi dell'art. 309, quinto comma, c.p.p., e che restano depositati in cancelleria, ai sensi del successivo ottavo comma, fino al giorno dell'udienza, giacché altrimenti si toglierebbe di fatto ogni significato alla cautela originariamente osservata (5502/1996, rv 203775). La contestazione, da parte dell'Autorità giudiziaria, alla persona sottoposta alle indagini, del fatto attribuito non deve avvenire

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necessariamente all'inizio dell'interrogatorio, ma può avvenire anche nel corso dell'atto medesimo (13273/2000, rv 217592). È affetta da abnormità l'ordinanza con cui il giudice, in esito all'udienza camerale fissata a seguito di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, indichi al p.m., tra le ulteriori indagini necessarie, anche l'interrogatorio dell'indagato, non essendo tale atto un mezzo d'indagine ma uno strumento di garanzia e di difesa. (In motivazione la Corte ha precisato che l'accertamento positivo di un elemento della fattispecie penale non può essere rimesso alle dichiarazioni dell'indagato, non avendo quest'ultimo alcun dovere di accusarsi o discolparsi o di fornire elementi di riscontro alle tesi dell'accusa) (23930/2010). La previsione di cui al primo comma dell'art. 65 c.p.p., secondo cui, quando procede all'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini, l'autorità giudiziaria le contesta gli elementi di prova esistenti contro di essa, non implica che tale autorità sia obbligata a dare lettura delle fonti di prova anche quando proceda all'interrogatorio nel corso delle indagini preliminari, dovendo la disposizione coordinarsi sia con l'obbligo del segreto, ex art. 329, comma primo, c.p.p., sugli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria fino a quando l'imputato non ne possa aver conoscenza (e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari), sia con la previsione di cui al primo comma dell'art. 511 stesso codice, che riserva alla sola istruzione dibattimentale la lettura degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento (5738/2015).

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C.p.p. art. 65 Interrogatorio nel merito COMMENTO Dopo aver compiuto gli adempimenti esecutivi previsti dalla norma precedente [64] e aver reso, perciò, edotto l'interrogato delle facoltà che può esercitare in sede di compimento dell'atto e delle conseguenze che possono derivarne riguardo alla sua posizione processuale, l'autorità giudiziaria deve procedere a contestare gli specifici addebiti a carico dell'indagato in modo tale da metterlo da subito nelle condizioni di adottare la linea difensiva più adeguata. Si tratta, in altri termini, di un passaggio della dinamica procedimentale appositamente predisposto dal legislatore delegato al fine di permettere al destinatario dell'attività investigativa di venire a conoscenza degli esiti istruttori cui la medesima è addivenuta fino a quel momento e di interagire nel contraddittorio con la controparte. L'enunciazione del fatto addebitato in forma chiara e precisa si traduce non già in una generica esposizione delle circostanze, bensì in una congrua ricostruzione della piattaforma accusatoria e dei nessi che legano tutte le risultanze acquisite conferendo rilievo concreto ai vari elementi che devono far parte della fattispecie criminosa secondo la legge penale. Al contempo l'autorità giudiziaria deve rendere noti all'interrogato gli elementi di prova a suo carico che danno ragione e fondano la ricostruzione dei fatti prospettata, cioè il complesso di intercettazioni, ispezioni e sequestri sulle cui risultanze sono stati formulati gli specifici quesiti proposti, senza, peraltro, che ciò comporti a carico dell'autorità procedente obblighi di lettura degli atti istruttori laddove l'interrogatorio avvenga in fase di indagine (così Cassazione n. 281 del 1994). Riguardo alle fonti di prova dalle quali i suddetti elementi istruttori sono stati ricavati, il legislatore attribuisce all'autorità giudiziaria il potere di effettuare una valutazione discrezionale che, tenendo conto in modo specifico dell'attualità dell'attività investigativa, giustifichi la scelta sul renderle note o meno all'indagato, nell'ottica di un contemperamento tra le opposte esigenze di garanzia del soggetto coinvolto e di ricostruzione dei fatti di indagine tra le quali, per la peculiare natura della fase procedimentale in questione, viene data sicura prevalenza alle seconde. L'obiettivo di dare immediata attuazione ad un contraddittorio effettivo fonda, poi, il tenore della previsione contenuta nel secondo comma, laddove si prevede che l'autorità giudiziaria inviti da subito l'indagato ad esporre tutti quegli elementi che lo stesso ritiene utili per la sua difesa. Nell'ipotesi ordinaria in cui l'interrogatorio in questione venga svolto dal magistrato inquirente o dalla polizia giudiziaria su delega dello stesso in un momento antecedente all'esercizio dell'azione penale, la norma in commento risulta chiaramente collegata con quella contemplata nell'articolo 358, il quale, nell'esplicitare le finalità delle attività di indagine del pubblico ministero, impone al medesimo di svolgere tutti gli accertamenti su fatti e circostanze favorevoli alla persona sottoposta alle indagini. Tutti i contenuti che emergono dall'interrogatorio devono essere, infine, riportati nel verbale redatto dall'ausiliario dell'autorità giudiziaria, così come in esso deve farsi

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menzione dell'intervenuto rifiuto di rispondere alle domande formulate e di connotati e segni particolari del soggetto quando ciò sia opportuno.

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C.p.p. art. 66 Verifica dell'identità personale dell'imputato GIURISPRUDENZA L'incertezza sull'individuazione anagrafica, quando sia certa l'identità fisica dell'imputato, non pregiudica il compimento di atti da parte dell'autorità giudiziaria che procede, né ritarda o sospende il processo. Correttamente, pertanto, il pretore rigetta la richiesta di applicazione della pena e procede con le forme ordinarie, osservando che l'incertezza sull'identità personale degli imputati, causata dalle loro stesse indicazioni, ha impedito l'acquisizione delle certificazioni del casellario giudiziale, indispensabili per la valutazione sulla loro ostatività o meno alla concedibilità della sospensione condizionale della pena, cui il patteggiamento sia stato subordinato (5113/1993, rv 195372). Al termine “identità fisica” della persona, di cui all'art. 66, comma secondo, c.p.p., si deve attribuire il significato che l'espressione assumeva nell'art. 81 dell'abrogato codice di procedura, e cioè quello di identità tra la persona nei cui confronti è stato instaurato il processo e quella che si giudica. È questa la nozione di “vero imputato”, mentre il mero errore di generalità, da qualsivoglia causa cagionato, viene considerato come un errore materiale, soggetto alla procedura di rettifica di cui all'art. 130 c.p.p. Ne consegue che l'incertezza sull'individuazione anagrafica dell'imputato è irrilevante ai fini della prosecuzione del processo penale, allorquando sia certa l'identità fisica della persona nei cui confronti sia stata iniziata l'azione penale, detta situazione non pregiudicando il compimento di atti da parte dell'autorità giudiziaria procedente, né essendo idonea a ritardare o sospendere il processo, in quanto è pur sempre possibile provvedere alla rettifica delle generalità, erroneamente attribuite, nelle forme di cui all'art. 130 c.p.p. citato (217/1995, rv 200477). Poiché l'art. 66 c.p.p. stabilisce che l'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell'autorità procedente, quando sia certa l'identità fisica della persona, nell'ipotesi in cui il reato non sia

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attribuito ad ignoti ma ad un soggetto fisicamente già individuato, i dubbi sull'identità anagrafica di tale persona e le difficoltà inerenti al reperimento della predetta nella fase esecutiva conseguente all'eventuale condanna non possono impedire il compimento di attività processuali (3935/1995, rv 201867). La formula di proscioglimento “per essere rimasti ignoti gli autori del reato” presuppone l'assoluta impossibilità di identificare fisicamente l'imputato e non la difficoltà o l'incertezza di pervenire all'esatta acquisizione delle generalità, perciò non potrà essere adottata dal G.I.P. quando questi ritenga che non vi sia corrispondenza tra le generalità dichiarate e l'identità fisica dell'imputato, dovendosi in questo caso fare applicazione dei principi fissati dal'art. 66, commi primo e secondo, c.p.p., secondo i quali l'impossibilità di attribuire le esatte generalità all'imputato non pregiudica il compimento di alcun atto e l'eventuale erronea attribuzione delle stesse deve essere rettificata con la procedura di correzione degli errori materiali (5472/1995, rv 201651). In forza dell'art. 66 del codice di procedura penale vigente deve escludersi che l'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità possa pregiudicare il compimento di alcun atto dell'autorità procedente allorquando sia certa l'identità fisica della persona; ai fini di tale accertamento l'art. 349 c.p.p. prevede la possibilità di rilievi dattiloscopici, fotografici, antropometrici o di altro genere: peraltro il mancato ricorso a tali modalità non comporta che sia da ritenersi non identificato uno straniero che abbia dato complete generalità, pur risultando poi irreperibile (9936/1997, rv 208764). L'identificazione dell'imputato da parte della Polizia giudiziaria, avvenuta sulla base delle dichiarazioni dello stesso e non confortate da alcun elemento di riscontro consente di pervenire all'affermazione di responsabilità dell'imputato, non potendosi ritenere che lo stesso abbia fornito false generalità. In caso di errore e/o di accertata falsità delle generalità dichiarate soccorrono specifici rimedi, con particolare riferimento alla fase esecutiva (7854/1998, rv 211356). In tema di verifica della identità personale dell'imputato, l'art. 66, comma secondo, c.p.p. esclude che l'incertezza sulle generalità dello stesso – anche quando essa derivi da false dichiarazioni che

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egli abbia reso alla competente autorità – possa far ritenere ignoto l'autore del reato, quando ne sia certa l'identità fisica. Ciò anche in considerazione del fatto che, ai sensi dell'art 130 c.p.p., le false generalità possono sempre essere corrette (10605/2003, rv 224110). È legittimo il diniego della sospensione condizionale della pena all'imputato che, pur esattamente identificato nelle generalità, in passato ne abbia fornito di diverse, trattandosi di condotta sintomatica della volontà di sottrarsi ai dovuti accertamenti di polizia e giudiziari. (Nella specie, i precedenti dattiloscopici dell'imputato risultavano repertati sotto diverse generalità) (22661/2010).

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C.p.p. art. 66 Verifica dell'identità personale dell'imputato COMMENTO La norma in commento disciplina, in apertura, le formalità procedurali che devono essere adempiute dall'autorità giudiziaria ai fini di una corretta instaurazione del rapporto processuale tra la medesima e l'imputato, il quale, nel momento in cui deve essere compiuto il primo atto per il quale è richiesta la sua presenza, è tenuto a dichiarare le proprie generalità e quant'altro valga ad identificarlo. La violazione dell'obbligo imposto all'imputato, peraltro, non è priva di sanzione dal momento che da essa può sorgere la responsabilità prefigurata dagli articoli 495 e 496 del codice penale nel caso in cui lo stesso non fornisca tali indicazioni o adduca elementi identificativi e generalità false. La disposizione, peraltro, deve essere nettamente distinta dalla previsione contenuta nell'articolo 21 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, laddove nel caso di interrogatorio preliminare il soggetto persona fisica è tenuto a dichiarare, tra le altre cose, se è attualmente sottoposto a procedimento penale o se ha riportato precedenti condanne; tuttavia a questo obbligo non corrisponde alcuna sanzione né processuale né sostanziale. Nell'ottica di garantire la celerità e la speditezza di tempi processuali che, nel loro svolgersi, non devono incontrare ostacoli di tipo puramente formale e burocratico, il secondo comma prevede che l'impossibilità di ricostruire con assoluta precisione e in modo analitico i profili anagrafici dell'imputato non preclude il compimento di ulteriori attività da parte dell'autorità procedente, laddove sia certa la sua identità fisica. Ciò che conta ai fini della corretta instaurazione del rapporto procedimentale è la perfetta coincidenza tra l'identità dell'imputato vero e proprio e il soggetto coinvolto nella dinamica procedimentale e, per questo, al di là di ogni ingiustificato formalismo, il legislatore prevede che l'erronea attribuzione delle generalità all'imputato costituisca solo una fattispecie di errore materiale suscettibile di modifica e di correzione ai sensi dell'articolo 130. Alla stessa logica, peraltro, risponde l'istituto disciplinato nell'art. 668, laddove si prevede che sia il giudice dell'esecuzione a rilevare e a porre rimedio all'intervenuta condanna di una persona in luogo di un'altra per erronea attribuzione delle generalità.

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C.p.p. art. 66 bis Verifica dei procedimenti a carico dell'imputato COMMENTO Allo scopo di contrastare il fenomeno del terrorismo internazionale, il legislatore del 2005 ha introdotto l'articolo in commento che disciplina la verifica dell'identità e dei precedenti giudiziari a carico all'imputato. In particolare lo scopo della nuova normativa è quello di scongiurare l'eventualità di commettere errori nell'applicazione dei benefici derivante dalla identificazione approssimativa del reo e della insufficiente conoscenza dei suoi precedenti penali. Difatti l'autorità giudiziaria che accerta che l'imputato o l'indagato è stato segnalato – anche sotto diverso nome (specie se si tratta di clandestini) – quale autore di un reato diverso da quello per il quale si procede, deve comunicare il dato all'autorità giudiziaria competente ai fini dell'applicazione della legge penale.

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C.p.p. art. 67 Incertezza sull'età dell'imputato COMMENTO Il pubblico ministero può nominare un consulente tecnico specializzato in sede di compimento dell'attività di indagine [359]; il giudice in udienza può disporre, anche d'ufficio, l'accertamento peritale [220-224].

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C.p.p. art. 67 Incertezza sull'età dell'imputato GIURISPRUDENZA La semplice insorgenza del dubbio in ordine all'età dell'imputato determina – secondo quanto si ricava dal coordinamento dell'art. 67 c.p.p. e dell'art. 8 del D.P.R. 22 settembre 1988 n. 449 – l'adozione del provvedimento di trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni. Il contenuto di tale provvedimento si concreta in una pratica declaratoria di difetto di competenza che non è determinato da un accertamento giudiziale, bensì da un semplice dubbio, per ritenere il quale non basta la deduzione dell'interessato, ma occorre una delibazione del giudice che procede (3945/1990, rv 186094). In tema di accertamento dell'età dell'indagato, le risultanze di un documento del quale non si conosce l'efficacia identificativa e fidefacente – indipendentemente da una formale contestazione di falsità – promanando esso da autorità estera, non essendo tradotto e non evidenziandosene la certa provenienza, debbono necessariamente cedere agli esiti di esami radiografici ed antropometrici (2993/1993, rv 194627). Il giudice può legittimamente non ritenere attendibili i dati anagrafici risultanti da un documento d'identità, facendo esso fede fino a querela di falso solo con riferimento all'autorità che lo ha emanato e non per quanto riguarda la veridicità delle attestazioni ivi contenute e discendenti dalle dichiarazioni dell'intestatario del documento (183/1997, rv 207462). Dal combinato disposto dell'art. 67 c.p.p. e dell'art. 8 del D.P.R. n. 448 del 1988, si desume che ove sorga anche il semplice dubbio sull'età dell'inquisito, cessa ogni competenza del giudice ordinario e incombe su quello minorile il compito di procedere ai relativi, scrupolosi accertamenti (11496/2003, rv 223869).

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C.p.p. art. 67 Incertezza sull'età dell'imputato COMMENTO La disposizione in commento svolge un'importante funzione di collegamento tra il sistema delineato nel codice di rito ordinario ed il peculiare procedimento per l'esercizio della giurisdizione a carico di imputati minorenni regolato dal D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448. Il legislatore codicistico prevede infatti che in qualunque stato e grado del procedimento, cioè dalla fase delle investigazioni ai gradi di impugnazione, l'insorgenza di un dubbio sulla reale età dell'imputato e, in particolare, la possibilità concreta che egli non abbia ancora compiuto i diciotto anni di età, sulla scorta delle risultanze emergenti dalla documentazione a disposizione dell'autorità giudiziaria, determina l'adozione di una ordinanza di trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il tribunale dei minorenni affinché costui richieda al giudice competente l'accertamento peritale dell'età dell'imputato. Il precetto normativo in esame ha, pertanto, una valenza rilevante in quanto la sua effettiva operatività garantisce che sin dal momento in cui si prefigura ragionevolmente lo status di minorenne in capo al soggetto sottoposto a procedimento penale possano applicarsi nei suoi confronti quelle norme procedurali “speciali” appositamente calibrate e funzionali al recupero del minore più che alla punizione del medesimo. Occorre peraltro sottolineare come la fattispecie in esame si distingua nettamente da quella in cui non ci si trova innanzi a risultanze documentali contraddittorie, bensì a dati non affidabili o ad un imputato che rifiuti di fornire indicazioni sulla propria età. In queste ipotesi la trasmissione degli atti al Tribunale dei minorenni è solo eventuale, potendo rappresentare la conseguenza di accertamenti disposti nelle forme previste dalla legge (esempio).

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C.p.p. art. 68 Errore sull'identità fisica dell'imputato COMMENTO Si rinvia al commento sub art. 69 successivo.

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C.p.p. art. 69 Morte dell'imputato GIURISPRUDENZA La mancanza di una condizione di procedibilità, come la querela, osta all'inizio di qualsiasi attività processuale, e quindi, di qualsiasi altra indagine in fatto, compresa quella riguardante l'esistenza in vita dell'imputato (4746/1995, rv 204841). Il ricorso per cassazione proposto dal difensore dopo la morte dell'imputato è inammissibile per mancanza del soggetto nei cui confronti si esercita l'azione penale, che costituisce uno dei presupposti essenziali del processo (34400/2001, rv 220171). Integra il delitto di peculato il curatore dell'eredità giacente che si appropri di un bene ereditario, anche qualora sia stato nominato all'esito di una procedura attivata in assenza dei presupposti di legge (34335/2010). Ove il giudice di primo grado non abbia rilevato l’intervenuto decesso dell’imputato, la tardiva conoscenza dell’evento morte, verificatosi nel corso del giudizio, può essere considerata errore di fatto paragonabile all’errore materiale, emendabile anche nei gradi successivi di giudizio con applicazione estensiva dell’art. 130 cod. proc. pen. (7632/2017).

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C.p.p. art. 69 Morte dell'imputato COMMENTO L'identità della dinamica procedimentale e degli esiti che scaturiscono dalla constatazione dell'errore sull'identità fisica dell'imputato e della sua morte da parte dell'organo giudicante rendono opportuna una trattazione unitaria di due istituti che si differenziano solo riguardo ai presupposti applicativi previsti dal legislatore. Relativamente all'errore sull'identità fisica dell'imputato, si tratta di una fattispecie che si delinea allorquando non vi è coincidenza tra il soggetto sottoposto a processo e colui nei confronti del quale è stata formulata l'imputazione. Nel momento in cui emergano dagli atti di accertamento compiuti nel processo e da quanto eventualmente dichiarato e dimostrato dal soggetto gli elementi per riscontrare questo vizio nella instaurazione del rapporto processuale, l'autorità giudiziaria deve delibare sul punto chiedendo preventivamente l'intervento del difensore della parte interessata e del pubblico ministero. Pertanto, in relazione agli esiti positivi del contraddittorio, il giudice pronuncia sentenza di rito a norma del primo comma dell'articolo 129, dichiarando l'impossibilità di proseguire il procedimento per difetto di un requisito di procedibilità. Nella diversa fattispecie in cui durante il processo venga in luce la morte dell'imputato, si verifica una causa di estinzione del reato, secondo quanto prescritto dall'articolo 150 del codice penale, e la conseguente perenzione della vicenda procedimentale, dal momento che viene meno il soggetto del quale si intende verificare la responsabilità in ordine ai fatti oggetto della cognizione. Anche in questo caso, dopo aver sentito difensore dell'imputato venuto meno e pubblico ministero, l'autorità giudicante emette una pronuncia ai sensi del 129 con la quale dichiara di non doversi procedere per sopravvenuta estinzione del reato, con ciò omettendo qualsiasi approfondimento sui profili di merito della fattispecie considerata. Infine occorre mettere in luce come la peculiare natura della statuizione giudiziale che interviene nelle situazioni prefigurate dalle norme in commento permette di ritenere comune alle medesime il disposto contenuto nel secondo comma dell'articolo in parola. Infatti la decisione adottata, anche nel caso in cui diventi irrevocabile, incide pur sempre su aspetti attinenti solamente al rito della vicenda procedimentale. Di conseguenza nel caso in cui vengano in rilievo elementi da cui si desume l'originaria identità tra soggetto processato e imputato, la sentenza adottata a norma dell'articolo 68 non preclude un nuovo esercizio dell'azione penale in relazione agli stessi fatti e alla medesima persona, così come è esplicitamente previsto dal secondo comma dell'articolo in argomento per la fattispecie di erronea declaratoria di morte dell'imputato.

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C.p.p. art. 70 Accertamenti sulla capacità dell'imputato COMMENTO 1. Mario, nel corso del processo, viene colpito da una rara malattia che provoca continue manifestazioni di delirio. 2. Il pubblico ministero dopo che è stata disposta la perizia psichiatrica nei riguardi dell'imputato può assumere sommarie informazioni da altri soggetti che possono riferire elementi utili ai fini delle indagini.

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C.p.p. art. 70 Accertamenti sulla capacità dell'imputato GIURISPRUDENZA La sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato, disciplinata dall'articolo 70 e segg. c.p.p., non si applica nel giudizio davanti alla Corte di Cassazione, in quanto, in sede di legittimità, l'imputato non partecipa personalmente al processo e la sua difesa è affidata esclusivamente al difensore (7063/2000, rv 217689). La capacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo deve essere accertata mediante perizia assunta osservando le forme previste per il dibattimento, anche nell'ipotesi in cui l'accertamento avvenga prima dell'apertura del dibattimento. L'acquisizione della relazione peritale senza esame del perito produce una nullità di ordine generale a regime intermedio ex art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p. per violazione del diritto di difesa. La capacità processuale dell'imputato è questione che attiene direttamente e inscindibilmente al processo principale e, pertanto, una volta che sia sopravvenuto il rinvio a giudizio, non può che essere accertata e delibata dal giudice della cognizione con l'osservanza delle forme proprie del dibattimento (29936/2010). In tema di sospensione del processo per incapacità dell'imputato, ai fini dell'esclusione del requisito della sua cosciente partecipazione, non è sufficiente la presenza di postumi di una risalente patologia psichiatrica, anche grave, ma è necessario che l'imputato risulti in condizioni tali da non comprendere quanto avviene in sua presenza e da non potersi difendere (14803/2012). L'incapacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo non può dare luogo a pronuncia di improcedibilità dell'azione penale, dovendo invece il giudice, a norma dell'art. 70 c.p.p., disporre la sospensione del processo (28522/2012). Ai sensi dell’art. 70 c.p.p., quando non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale, l’imputato non sia in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone, anche di ufficio, una perizia. Se la necessità di

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provvedere risulta durante le indagini preliminari, detta perizia deve essere disposta dal giudice a richiesta di parte e con le forme previste per l’incidente probatorio, restando sospesi i termini per le indagini preliminari e consentendosi al pubblico ministero il solo compimento di atti che non richiedono la partecipazione cosciente della persona sottoposta alle indagini (11574/2017). L’interdizione dell’imputato non comporta di per sé l’obbligo del giudice di accertarne d’ufficio l’incapacità di partecipare coscientemente al processo e di disporre la sospensione di cui all’art. 70 cod. proc. pen., in quanto l’interdizione presuppone l’incapacità di provvedere ai propri interessi ed il procedimento penale può svolgersi anche quando il soggetto, ancorché non in grado di curare i propri interessi e giudizialmente interdetto, appaia cosciente dello svolgimento del procedimento in modo da potere, con l’ausilio tecnico del difensore, esserne consapevole protagonista (2677/2017).

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C.p.p. art. 70 Accertamenti sulla capacità dell'imputato COMMENTO La norma in commento e le disposizioni successive disciplinano gli effetti che l'eventuale infermità psichica dell'imputato produce sullo svolgimento del processo penale pendente. Il legislatore, infatti, appresta un meccanismo complesso che diviene effettivamente operativo in presenza di un vizio incidente sulla capacità processuale del soggetto destinatario dell'imputazione cioè su quel novero di poteri e facoltà di cui lo stesso è titolare in forza del suo peculiare status all'interno del procedimento. Si tratta evidentemente di un presupposto totalmente diverso rispetto alla c.d. capacità sostanziale rilevante ai fini della irrogazione e dell'entità della pena, in quanto, in questo caso, l'ordinamento attribuisce valore ad una situazione di fatto che impedisce la partecipazione cosciente e volontaria dell'imputato ad una vicenda processuale che, secondo le caratteristiche del rito accusatorio, deve vederlo reale protagonista del contraddittorio con la pubblica accusa. Peraltro occorre sottolineare come, a seguito dell'intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 340 del 1992), attualmente, ai fini dell'operatività dell'istituto in esame, non rileva in alcun modo il momento in cui l'infermità è insorta, potendo essa addirittura preesistere alla instaurazione del procedimento; inoltre per infermità mentale non deve intendersi esclusivamente il vizio totale di mente, ma qualunque anomalia di tipo psichico capace di incidere negativamente sulla coscienza e la volontà del soggetto (esempio n. 1). Il giudice, pertanto, laddove non ritenga di dover pronunciare immediatamente sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ma valuti opportuno che il processo si dipani secondo i suoi sviluppi fisiologici e, al contempo, verifichi una incidente infermità psichica nell'imputato dispone, anche attraverso i suoi poteri officiosi, il compimento di una perizia. Sul punto occorre precisare che a tale strumento di accertamento il giudice è tenuto a ricorrere in ogni caso in cui il suo espletamento non risulti superfluo in base all'evidenza di un'infermità manifesta. Durante il tempo occorrente per lo svolgimento della perizia psichiatrica, a cui, peraltro, può partecipare, oltre al perito nominato d'ufficio, anche il consulente nominato dalla parte, si determina non una stasi del processo, bensì un rallentamento delle attività processuali che non preclude l'assunzione, da parte dell'organo giudicante, soltanto di quelle prove richieste dal difensore della parte che possono condurre al proscioglimento della medesima. In questo caso la portata garantista della disposizione emerge con evidenza dal momento che si versa in una situazione del tutto diversa, perché chiaramente favorevole all'imputato, da quella in cui l'assunzione di prove a carico richiederebbe la necessaria presenza di un contraddittore attivo e consapevole. La titolarità dell'iniziativa probatoria, peraltro, è riconosciuta anche al pubblico ministero nella peculiare ipotesi in cui il ritardo nel compimento degli atti istruttori provocherebbe la dispersione delle relative risultanze utili ai fini dell'accertamento giurisdizionale.

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Qualora, invece, il ragionevole dubbio sulla possibilità di una cosciente partecipazione al processo da parte dell'imputato emerga nella fase delle indagini preliminari, la perizia può essere effettuata con le forme dell'incidente probatorio disposto dal giudice per le indagini preliminari su richiesta di parte. In questo caso, per scongiurare intenti dilatori nella proposizione dell'istanza da parte del soggetto nei cui confronti vengono svolte le indagini, il legislatore prevede che la decorrenza dei termini entro i quali il magistrato inquirente deve portare a compimento le attività di sua competenza rimanga sospesa e, al contempo, non si determini uno stallo totale della dinamica procedimentale, potendo comunque essere realizzati dal pubblico ministero tutti quegli atti per i quali non è richiesta la partecipazione cosciente dell'imputato (esempio n. 2). Anche in questa fase, il pericolo di dispersione di prove rilevanti ai fini dell'accertamento giudiziale legittima l'istanza e il ricorso all'incidente probatorio ai sensi dell'articolo 192. Peraltro, proprio la funzione dell'accertamento in questione, del tutto estranea all'acquisizione di elementi istruttori a carico dell'indagato, legittima l'attivazione della procedura relativa anche dopo la scadenza dei termini di durata delle indagini preliminari (così Cassazione n. 23215 del 2003). Ricordiamo che la Corte costituzionale, con sentenza 26 gennaio 2004, n. 39 ha affermato che il sistema normativo è chiaramente volto a prevedere la sospensione ogni volta che lo “stato mentale” dell’imputato ne impedisca la cosciente partecipazione al processo. Partecipazione che non può intendersi limitata alla consapevolezza dell’imputato circa ciò che accade intorno a lui, ma necessariamente comprende anche la sua possibilità di essere parte attiva nella vicenda e di esprimersi, esercitando il suo diritto di autodifesa. Ciò comprende sia una malattia definibile in senso clinico come psichica, ma anche qualunque altro stato di infermità renda non sufficienti o non utilizzabili le facoltà mentali (coscienza, pensiero, percezione, espressione) dell’imputato. La stessa Corte con sentenza 21 ottobre 2013, n. 243 afferma che analoghe considerazioni non valgono per gli impedimenti connessi a patologie “fisiche”, i quali potrebbero essere del tutto transitori e comunque non necessariamente precludono all’imputato l’esercizio di diritti diversi dalla personale partecipazione al giudizio.

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C.p.p. art. 71 Sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato COMMENTO Vittorio, vittima di lesioni personali gravissime, costituitosi parte civile nel procedimento a carico di Marco, presunto autore del reato, cita il medesimo in sede civile per ottenere il risarcimento dei danni morali subiti. Sospeso il processo civile e pendente il processo penale, Marco viene colpito da una grave forma di delirio. All'esito della perizia il giudice penale dispone la sospensione del procedimento da lui presieduto: la controversia in sede civile riprende il suo corso naturale.

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C.p.p. art. 71 Sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato GIURISPRUDENZA Alla stregua del testuale tenore dell'art. 71, comma quinto, c.p.p., secondo cui la sospensione del procedimento per sopravvenuta infermità di mente dell'imputato può essere disposta anche nel corso delle indagini preliminari (applicandosi, in tal caso, le disposizioni di cui al precedente art. 79, comma terzo, c.p.p.), deve riconoscersi la piena legittimità del provvedimento di sospensione adottato, ai sensi delle norme dianzi citate, dal giudice per le indagini preliminari (914/1994, rv 197005). Qualora il giudice, nel corso dell'udienza preliminare, accerti che l'imputato non è in grado di partecipare coscientemente e liberamente al processo a causa delle sue condizioni psichiche, non può disporre il giudizio nemmeno in caso d'infermità totale di mente già esistente al momento del fatto; non sarebbe idonea a giustificare il rinvio a giudizio, infatti, la possibilità di un proscioglimento in dibattimento per difetto d'imputabilità, non potendosi negare all'imputato – ove vi potesse partecipare – l'eventuale interesse ad una diversa formula di proscioglimento, al fine di evitare l'applicazione della misura di sicurezza di cui all'art. 222 c.p. (2275/1996, rv 205381). È abnorme il provvedimento con il quale il G.U.P., in sede di giudizio abbreviato conseguente a giudizio immediato, preso atto che dagli atti di indagine già noti al P.M. si desume che l'imputato non era capace di partecipare scientemente al giudizio, dichiari la nullità della richiesta di giudizio immediato e degli atti conseguenti, e disponga la restituzione degli atti al P.M. (27149/2010). Il presupposto per l’esecuzione della notificazione integrativa, prevista dall’art. 166 c.p.p. per il curatore speciale dell’imputato inabilitato o, analogamente, di quello sottoposto ad amministratore di sostegno, è costituito dalla esistenza di una condizione patologica rilevante ai sensi dell’art. 71, comma 1, dello stesso codice (18141/2017).

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C.p.p. art. 71 Sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato COMMENTO La norma in commento fissa le conseguenze dell'esito positivo della perizia sugli sviluppi della dinamica procedimentale. Infatti qualora gli accertamenti disposti dal giudice conducano a rilevare l'impossibilità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo, il legislatore impone l'adozione di una ordinanza sospensiva che interdice la prosecuzione del processo, al fine di evitare il verificarsi di effetti pregiudizievoli in ordine alla possibilità di esplicare i diritti di difesa costituzionalmente garantiti dall'articolo 24 della Carta fondamentale. Anche in questo caso il codice di rito individua, quale requisito negativo del provvedimento in questione, l'insussistenza di risultanze probatorie pregresse che possano giustificare l'adozione di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere evidentemente favorevole al soggetto nei cui confronti è stata formulata l'imputazione. Effetto peculiare del provvedimento giudiziale è la nomina obbligatoria di un curatore speciale generalmente individuabile nel rappresentante legale dell'imputato di cui si accerta l'infermità. Il titolare di questo ufficio designato ad hoc dal giudice è deputato dall'ordinamento ad affiancarsi al difensore tecnico proprio perché si ritiene che quest'ultimo, per la sua specifica preparazione professionale e per le caratteristiche dell'attività che svolge, non sia in grado di tutelare al massimo grado gli interessi dell'infermo di mente in quanto tale. La presenza del curatore nel processo è prefigurata dal sistema in termini non solo di assistenza psicologica all'infermo, ma principalmente di incidenza reale sugli sviluppi della dinamica procedimentale, in quanto da un lato egli viene legittimato dalla norma in questione ad impugnare in Cassazione il provvedimento sospensivo, allo stesso modo in cui possono farlo pubblica accusa, difensore e imputato personalmente, dall'altro può sollecitare, anche durante il periodo di stasi processuale, l'assunzione da parte dell'organo giudicante di tutte quelle fonti di prova che possono comportare il proscioglimento dell'imputato. Inoltre il legislatore prevede che lo stesso possa assistere al compimento degli atti disposti sulla persona dell'incapace, nonché a tutte le altre attività cui l'imputato in forza del suo status può presiedere. Sottolineata l'estensione del terzo comma dell'articolo 70 alle ipotesi in cui la sospensione abbia luogo nel corso delle indagini preliminari, la disposizione si chiude contemplando un peculiare effetto del provvedimento sospensivo che determina una deroga al regime generale dei rapporti tra giudizio penale e giudizio civile nell'ipotesi in cui la parte danneggiata dal reato, già costituitasi parte civile nel procedimento penale, decida di far valere le sue pretese risarcitorie anche nella diversa sede processuale. La regola generale impone che il giudizio civile resti sospeso in attesa che si formi il giudicato sui fatti oggetto dell'accertamento penale [75, comma 3]: tuttavia, poiché nell'ipotesi in questione quest'ultima evenienza è momentaneamente

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preclusa o comunque notevolmente rinviata nel tempo, esigenze di speditezza e di efficienza dell'amministrazione giudiziaria impongono che il giudice civile prosegua la sua attività di accertamento in ordine alla responsabilità civile scaturente dai danni cagionati dal reato, prescindendo, così, dagli sviluppi dell'altro procedimento (esempio). Il comma 21 dell’art. 1 della L. 23 giugno 2017, n. 103 (modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) integra l’articolo in commento in modo da prevederne l'applicabilità al solo caso in cui l'incapacità sia reversibile. Tali nuove disposizioni decorrono dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della citata L. 103/2017 (3 agosto 2017).

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C.p.p. art. 72 Revoca dell'ordinanza di sospensione COMMENTO Nel corso del periodo di sospensione del processo, per incapacità dell'imputato di prendervi parte coscientemente, vengono alla luce risultanze documentali che provano in maniera inconfutabile la presenza dell'imputato il giorno dell'omicidio in un luogo totalmente diverso da quello in cui sono avvenuti i fatti oggetto di cognizione.

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C.p.p. art. 72 Revoca dell'ordinanza di sospensione GIURISPRUDENZA L'art. 72 c.p.p. dispone che le verifiche periodiche sullo stato di mente dell'imputato, già ritenuto processualmente incapace, siano eseguite mediante “ulteriori accertamenti peritali”. Coordinando tale locuzione con il tenore dei precedenti artt. 70 e 71 c.p.p., il primo dei quali, sotto la rubrica “accertamenti sulla capacità dell'imputato”, prevede che il giudice all'occorrenza disponga “perizia”, mentre il secondo testualmente si riferisce agli “accertamenti previsti dall'art. 70 c.p.p.” (mediante perizia), nessun dubbio può sussistere sul fatto che gli “accertamenti peritali” prescritti dall'art. 72 c.p.p. (evidentemente “ulteriori” rispetto a quelli espletati ex art. 70 c.p.p.) debbano essere disposti nelle forme e con le garanzie tipiche della perizia in senso tecnico, quale disciplinata dagli artt. 220 c.p.p. e segg., nessun altro significato potendosi dare all'espressione “accertamenti peritali” usata nel codice di procedura penale e dovendosi, in particolare, escludere che i predetti accertamenti possano consistere nella mera, unilaterale richiesta di informazioni ad organi od uffici della P.A.. L'omissione delle forme e garanzie tipiche della perizia in senso tecnico determina una nullità che – in quanto concernente l'osservanza di disposizione relativa all'intervento (ovvero alla partecipazione) dell'imputato al giudizio, con le connesse facoltà di auto-difesa – va ricondotta alla tipologia delle nullità d'ordine generale a regime intermedio, ex artt. 178 c.p.p., lett. c), e 180 c.p.p. (8302/1995, rv 202120). La capacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo deve essere accertata mediante perizia assunta osservando le forme previste per il dibattimento, anche nell'ipotesi in cui l'accertamento avvenga prima dell'apertura del dibattimento. L'acquisizione della relazione peritale senza esame del perito produce una nullità di ordine generale a regime intermedio ex art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p. per violazione del diritto di difesa. La capacità processuale dell'imputato è questione che attiene

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direttamente e inscindibilmente al processo principale e, pertanto, una volta che sia sopravvenuto il rinvio a giudizio, non può che essere accertata e delibata dal giudice della cognizione con l'osservanza delle forme proprie del dibattimento (29936/2010).

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C.p.p. art. 72 Revoca dell'ordinanza di sospensione COMMENTO Perfettamente conforme alle finalità dell'istituto appare il meccanismo di revoca dell'ordinanza di sospensione predisposto dal legislatore laddove venga meno l'attualità dell'infermità mentale idonea ad impedire la partecipazione cosciente e volontaria dell'imputato al processo che si svolge nei suoi confronti. Infatti la norma attribuisce al giudice il compito di verificare periodicamente lo stato mentale del soggetto con scadenze semestrali, disponendo all'uopo nuovi accertamenti peritali la cui necessità può palesarsi anche prima del termine indicato in relazione ad elementi peculiari sopravvenuti. È evidente, perciò, che ogni singola valutazione peritale non ha carattere definitivo, bensì è semplicemente ricognitiva di una situazione suscettibile di una continua evoluzione che può, in quanto tale, incidere sulla dinamica di svolgimento della vicenda procedimentale. L'inosservanza di tali disposizioni determina, perciò, il verificarsi di una causa di nullità a regime intermedio ex art. 178, lett. c), in quanto la mancata riconsiderazione dello status psicologico dell'imputato ne preclude la possibile partecipazione al processo. L'ordinanza di sospensione può essere revocata o nel caso in cui le nuove perizie disposte abbiano messo in risalto la riacquisita piena capacità processuale dell'imputato oppure nell'ipotesi in cui le risultanze probatorie sopravvenute abbiano determinato i presupposti per l'adozione di una pronuncia di proscioglimento o di non luogo a procedere, rendendo così inconferente ai fini della prosecuzione del processo l'infermità mentale dell'imputato (esempio).

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C.p.p. art. 72 bis Definizione del procedimento per incapacità irreversibile dell'imputato COMMENTO Il comma 22 dell’art. 1 della L. 23 giugno 2017, n. 103 (modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) aggiunge l’articolo in commento sulla definizione del procedimento per incapacità irreversibile dell'imputato. Questa disposizione prevede che se, a seguito degli accertamenti previsti, risulta che lo stato mentale dell'imputato è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento e tale stato è irreversibile, il giudice, revocata l'eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca. Tali nuove disposizioni decorrono dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della citata L. 103/2017 (3 agosto 2017).

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C.p.p. art. 73 Provvedimenti cautelari COMMENTO Il giudice competente a conoscere il merito del fatto delittuoso non ha il potere di emettere provvedimenti relativi al trattamento sanitario dell'imputato, i quali, invece, devono essere adottati dall'autorità competente, cioè dal sindaco, una volta che presso il medesimo sia pervenuta la tempestiva informativa sullo stato mentale del soggetto in questione da parte del magistrato giudicante. Tuttavia, qualora sussista il pericolo che nell'eventuale lasso temporale intercorrente tra la trasmissione dell'informazione ed il provvedimento di affidamento al servizio psichiatrico lo stato mentale dell'imputato possa subire ulteriori pregiudizi, il giudice, in via officiosa o su richiesta della pubblica accusa, può emettere un'ordinanza provvisoria di ricovero presso un istituto psichiatrico. La temporaneità del provvedimento implica comunque l'obbligo di inviare la relativa informativa all'autorità competente affinché quest'ultima adotti le determinazioni necessarie nel caso specifico, la cui esecuzione comporta l'inefficacia dell'ordinanza giudiziale originaria. La previsione contenuta nel terzo comma, invece, ha una sua portata peculiare in quanto disciplina l'ipotesi in cui il provvedimento di ricovero presso strutture psichiatriche venga adottato come forma particolare di esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare. In tale fattispecie è il giudice l'organo titolare del potere di imporre il ricovero, il quale a norma dell'articolo 286 conserva la sua efficacia fino a quando l'imputato non riacquisti le piene facoltà mentali. La disposizione in commento si chiude con l'attribuzione della specifica competenza a porre in essere gli adempimenti di cui al primo comma e a chiedere il provvedimento provvisorio di ricovero al giudice, previsto nel secondo comma, al pubblico ministero che presieda allo svolgimento delle indagini preliminari.

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C.p.p. art. 74 Legittimazione all'azione civile COMMENTO L'associazione Lega ambiente (ente esponenziale della comunità in cui si trova il bene collettivo oggetto di lesione ed avente a scopo la salvaguardia degli interessi lesi dal reato) è legittimata a costituirsi parte civile, ai sensi dell'art. 185, c.p. e dell'articolo in commento, sia per la tutela del diritto collettivo all'ambiente salubre sia per la protezione del diritto della personalità in conseguenza del discredito derivante alla propria sfera funzionale dalla condotta illecita. La lesione di qualunque forma di convivenza costituisce legittima causa petendi di una domanda di risarcimento danni proposta innanzi al giudice penale chiamato a giudicare dell'illecito che la lesione suddetta ha provocato, sempreché quest'ultima sia dotata di un minimo di stabilità, in grado di non farla definire come episodica, ma idoneo e ragionevole presupposto per un'attesa di apporto economico futuro e costante (così Cassazione n. 33305 del 2002).

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C.p.p. art. 74 Legittimazione all'azione civile GIURISPRUDENZA È invalida la costituzione di parte civile da parte dell'Avvocatura dello Stato per conto del Ministero dei trasporti, in procedimento penale di corruzione di pubblici dipendenti, senza l'idonea documentazione attestante la volontà della Pubblica Amministrazione di esercitare nel processo penale la pretesa risarcitoria o restitutoria, volontà che non può ritenersi compresa nella riserva “ex lege” all'Avvocatura dello Stato della difesa degli organismi statuali (6980/1995, rv 201951). In tema di legittimazione degli enti e delle associazioni ecologistiche a costituirsi parte civile, deve ritenersi che quando l'interesse diffuso alla tutela dell'ambiente non è astrattamente connotato, ma si concretizza in una determinata realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo, diventando la ragione e, perciò, elemento costitutivo di esso, è ammissibile la costituzione di parte civile di tale ente, sempre che dal reato sia derivata una lesione di un diritto soggettivo inerente allo scopo specifico perseguito. Pertanto è, “in primis”, configurabile, in capo alle associazioni ecologistiche, la titolarità di un diritto soggettivo e di un danno risarcibile, individuabile nella salubrità dell'ambiente, sempre che un'articolazione territoriale colleghi le associazioni medesime ai beni lesi, sicché esse sono legittimate all'azione “aquiliana” per la difesa del proprio diritto soggettivo alla tutela dell'interesse collettivo alla salubrità dell'ambiente; è, inoltre, ipotizzabile la lesione del diritto della personalità dell'ente e la conseguente facoltà delle associazioni di protezione ambientale di agire per il risarcimento dei danni morali e materiali relativi all'offesa, diretta ed immediata, dello “scopo sociale”, che costituisce la finalità propria del sodalizio (8699/1996, rv 209096). Fermo il principio che la valutazione dell'ammissibilità della costituzione di parte civile, sia nel giudizio di primo grado sia negli ulteriori stati e gradi di giudizio, non può prescindere dal criterio dell'interesse, deve ritenersi che la parte civile ha, per definizione,

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interesse (a prescindere dalle statuizioni di carattere civile coinvolgenti i suoi diritti al risarcimento dei danni e alle restituzioni derivanti dal reato) anche all'affermazione della responsabilità penale dell'imputato, in quanto la decisione relativa si pone come presupposto del riconoscimento o della negazione di tali diritti. Ne consegue che, se i reati contestati all'imputato siano più di uno, la parte civile ha interesse a che sia affermata la responsabilità per tutti i reati (o per il maggior numero possibile di essi) perché da tale affermazione dipende il diritto ad un risarcimento del danno maggiore o minore (9475/1997, rv 208709). Il Ministro della giustizia non è legittimato ad agire in giudizio per chiedere ed ottenere il risarcimento dei danni, cagionati dal reato di corruzione commesso da un magistrato, in quanto organo estraneo all'esercizio della funzione giurisdizionale ed al quale spetta, invece, l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi della giustizia. Ne consegue che l'interesse della collettività all'esercizio imparziale ed indipendente della funzione giurisdizionale non può essere rappresentato da un'entità organizzativa dello Stato apparato, quale il Ministro della giustizia, ma solamente dal soggetto che rappresenta la sintesi politica e di governo dello Stato-comunità ovvero dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Consegue, altresì, che al Ministro della giustizia spetta la legittimazione all'azione di risarcimento per quei danni che offendono la propria sfera istituzionale e che concernono il funzionamento dei servizi e dell'organizzazione comprensiva del personale ausiliario (9574/1999, rv 214539). Nell'ipotesi di procedimento penale per il delitto di esercizio abusivo della professione, gli ordini professionali non sono legittimati a costituirsi parte civile all'unico fine di tutelare gli interessi morali della categoria quando all'ordine stesso non sia derivato un danno (11078/2000, rv 217399). È titolare di un autonomo diritto al risarcimento il minore che abbia subito danni dalla commissione di un reato e che, al momento di tale commissione, benché ancora non nato, fosse già stato concepito; per quanto concerne il danno morale, esso decorrerà dal momento in cui venga accertato il suo verificarsi (ad esempio, dal momento in cui il minore abbia acquisito la consapevolezza, con conseguente sofferenza, della mancanza di una figura genitoriale,

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venuta meno, nella specie, a seguito di omicidio colposo), dovendosi peraltro escludere la risarcibilità del danno morale relativamente alla vita intrauterina, per mancanza di una valida dimostrazione scientifica in proposito, mentre, per quanto concerne il danno biologico, esso andrà risarcito ove venga in concreto accertata una stabile compromissione psicofisica del minore determinatasi a seguito dell'evento delittuoso (11625/2000, rv 217223). In tema di risarcimento del danno cagionato dal reato, gli affidatari di un minore rimasto vittima di un incidente stradale sono legittimati a costituirsi parte civile nel procedimento penale allorché il rapporto di affidamento, al momento del fatto, sia già consolidato e prolungato nel tempo, e si manifesti con caratteristiche di stabilità e tendenziale definitività in modo tale da rendere evidente la sussistenza di una relazione affettiva interpersonale fondata su una duratura comunanza di vita e di interessi, assimilabile nei fatti ad un vero e proprio rapporto familiare, nel quale il minore abbia ricevuto costante ed affettuosa assistenza da parte dell'adulto (35135/2001, rv 219877). In tema di patteggiamento, benché debbano essere ricomprese nel concetto di danno derivante dal reato anche le spese sostenute dalle parti per far valere le proprie ragioni, il giudice può pronunziare condanna alle spese sostenute dalla parte civile solo nei confronti dell'imputato, dovendosi escludere che tale statuizione possa essere emessa anche nei confronti del responsabile civile, il quale rimane estraneo all'accordo definitorio della vicenda processuale (2119/2002, rv 220816). In tema di capacità processuale della parte civile, viene meno la rappresentanza del minore da parte del genitore costituitosi, allorché, nelle more tra il giudizio di primo grado e quello d'impugnazione, il figlio sia divenuto maggiorenne; in tal caso, tuttavia, la contestazione della costituzione di parte civile per sopravvenuta invalidità è preclusa se non viene eccepita tempestivamente, subito dopo che sia compiuto, per la prima volta, l'accertamento della costituzione delle parti (7726/2002, rv 221132). Non sussiste l'interesse della parte civile a proporre ricorso per Cassazione avverso la sentenza di condanna che abbia escluso per l'imputato l'aggravante della premeditazione (art. 577, n. 3, c.p.) la

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quale, pur incidendo sulla gravità del disvalore sociale del fatto e potendo determinare una più grave sanzione, non influisce sull'entità della pretesa risarcitoria, che in sede civile potrà dar luogo ad un'adeguata liquidazione del danno subito, indipendentemente dall'entità della pena inflitta all'imputato e, quindi, dal particolare disvalore del fatto connesso alla sussistenza della premeditazione (10077/2002, rv 221531). Il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina l'inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e preclude l'esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero. (La Corte ha poi precisato che il provvedimento di archiviazione adottato nel regime normativo del codice di rito penale del 1930 non produce l'indicato effetto preclusivo) (33885/2010). La costituzione di parte civile del fallito, anche senza la chiamata in causa del curatore fallimentare, è valida ed efficace, in quanto, quale danneggiato dal reato, egli può sempre proporre l'azione civile per il risarcimento dei danni materiali e morali (12816/2012). La riserva di costituzione di parte civile contenuta in atto dallo stesso proponente qualificato come denuncia non vale a rappresentare la chiara e precisa manifestazione della volontà di perseguire l'autore del fatto denunciato che costituisce, al di là delle formule impiegate, uno dei requisiti essenziali di una valida querela (36001/2012). In materia di reati associativi, il Comune nel cui territorio l'associazione a delinquere si è insediata ed ha operato ha titolo alla costituzione di parte civile in relazione al danno che la presenza dell'associazione stessa ha arrecato all'immagine della città, allo sviluppo turistico ed alle attività produttive ad esso collegate (15/2013). La legittimazione alla costituzione di parte civile deve essere riconosciuta alle associazioni ambientaliste anche in ordine a reati commessi in occasione o con la finalità di violare norme preordinate alla tutela dell'ambiente e del territorio, come nel caso di delitti di

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falso ed abuso d'ufficio commessi proprio allo scopo di rendere possibile un abuso edilizio (15971/2013). La parte civile non è legittimata a ricorrere per cassazione contro il provvedimento che, in sede di riesame, abbia annullato o revocato l'ordinanza di sequestro conservativo disposto a favore della stessa parte civile (S.U. 47999/2014). L'amministratore di condominio può esercitare nel giudizio penale l'azione civile per il risarcimento dei danni subiti dal condominio, senza che sia all'uopo necessario uno specifico mandato assembleare, giacché egli è titolare “ex lege” di un potere rappresentativo comprendente tutte le azioni volte a realizzare la tutela dei diritti sulle parti comuni dell'edificio (3320/2015). In tema di risarcimento del danno, il soggetto legittimato all'azione civile non è solo il soggetto passivo del reato (cioè il titolare dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice), ma anche il danneggiato, ossia chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo del reato, con la conseguenza che, ove un reato si inquadri nel piano criminoso di una associazione per delinquere, la vittima del reato fine (nella specie rapina) è legittimata a costituirsi parte civile sia per il reato fine che per quello associativo (4380/2015). L’abrogazione della norma penale in presenza di una condanna irrevocabile comporta la revoca della sentenza da parte del giudice dell’esecuzione, ma limitatamente ai capi penali e non anche a quelli civili: questa regola non è, tuttavia, applicabile nel caso in cui l’abolitio criminis sia intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ostandovi il combinato disposto di cui agli art. 185 c.p. e 74 e 538 c.p.p. Vanno allora rimessi gli atti alle sezioni Unite perché rispondano al seguente quesito: "se, a seguito dell’abrogazione del reato penale ad opera dell’art. 1 d.lg. 15 gennaio 2016 n. 7, debbano essere revocate le statuizioni civili eventualmente adottate con la sentenza di condanna non definitiva per il reato di ingiuria pronunziata prima dell’entrata in vigore del suddetto decreto" (7125/2016). Alla soppressione “ex lege” di un ente pubblico costituito parte civile non conseguono gli effetti della revoca tacita, in quanto la costituzione resta valida “ex tunc” e, in applicazione del principio di immanenza della costituzione di parte civile, produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo (911/2017). La determinazione equitativa del danno morale cagionato dalla commissione di reati sessuali in danno di minori d’età deve tener conto dell’intensità della violazione della libertà morale e fisica nella sfera sessuale del minore, del turbamento psichico cagionato e delle conseguenze sul piano psicologico individuale e dei rapporti intersoggettivi, degli effetti proiettati nel tempo nonché dell’incidenza del fatto criminoso sulla personalità della vittima (10802/2018). Non sussiste l’interesse della parte civile a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna che abbia escluso per l’imputato un’aggravante, poiché questa, pur potendo determinare una più grave sanzione, non influisce sull’entità della pretesa risarcitoria in sede civile, che può dar

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luogo ad un’adeguata liquidazione del danno subito, indipendentemente dall’entità della pena inflitta (15482/2018).

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C.p.p. art. 74 Legittimazione all'azione civile COMMENTO La norma in commento individua tassativamente i soggetti legittimati ad esercitare l'azione civile di risarcimento danni o di restituzione in conseguenza del reato perpetrato nei loro confronti (legittimatio ad causam) e quelli avverso i quali l'istanza può essere avanzata. Essi possono schematicamente essere suddivisi in due gruppi: – legittimati attivi sono il soggetto danneggiato dal reato ed i suoi successori universali; – legittimati passivi sono l'imputato e il responsabile civile. In via preliminare, giova sottolineare come la pretesa civilistica possa essere azionata giudizialmente non solo da un soggetto persona fisica, ma anche da una persona giuridica “entificata”, anche non riconosciuta, e che il danneggiato deve identificarsi nel soggetto che si limiti ad affermare di aver subìto effettive conseguenze negative a seguito dell'altrui condotta criminosa, non essendogli imposto di fornire, almeno inizialmente, alcuna prova sulla titolarità della situazione o del diritto fatto valere. L'autorità giurisdizionale, infatti, non è tenuta a svolgere alcuna delibazione prognostica nel merito, ma solo a riscontrare la sussistenza dei presupposti della legittimazione, in ordine alla quale non rileverebbe l'intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento dei danni per il decorso del termine quinquennale per il promovimento dell'azione in sede civile, trattandosi di profilo di merito non conferente in sede di questioni preliminari (così Cassazione 10 gennaio 2003). L'attore della pretesa civilistica può essere, pertanto, un soggetto diverso dalla persona offesa dal reato, ben potendosi, viceversa, identificare in colui che, per esempio, nel reato di omicidio, abbia un rapporto di coniugio con l'ucciso. Trattandosi, peraltro, di far valere situazioni sostanziali per le quali l'ordinamento postula la capacità di agire, il soggetto che ne risulti sprovvisto dovrà attivarsi nel processo a mezzo del suo legale rappresentante, il quale deve affiancarsi a quel difensore la cui presenza è comunque necessaria alla luce del sistema attuale. Ribadito, quindi, che da un lato il danneggiato può non coincidere con colui che sia stato direttamente colpito dalla condotta criminosa e che, dall'altro, il soggetto offeso può non aver subìto alcun pregiudizio che esuli da quelli naturalmente dipendenti dall'illecito criminale, un cenno particolare merita il riferimento ai successori universali. Infatti con tale espressione il legislatore amplia notevolmente il novero dei soggetti legittimati all'esercizio dell'azione civile nel processo penale, essendovi riconducibili non solo gli eredi della persona fisica pro quota o a titolo universale, ma anche gli enti sforniti di personalità giuridica che siano coinvolti in fattispecie descrivibili nei termini di avvicendamento a titolo universale tra enti (esempio). In assenza di un imputato del cui operato il responsabile civile deve rispondere, manca proprio il presupposto della presenza nel processo del responsabile stesso. In punto di diritto, infatti, la legittimazione del responsabile civile sussiste solo se nel

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processo penale è presente un imputato del cui operato debba rispondere per legge, non a titolo contrattuale. Va esclusa la responsabilità del responsabile civile basata su altro titolo. Così la Cassazione con la sentenza 1479/2010 ha annullato senza rinvio un verdetto d'appello nella parte in cui condannava due appaltatori a pagare i danni alle parti civili per la morte dei dipendenti del subappaltatore dei lavori. Nel caso in esame, infatti, la Suprema corte ha escluso la qualifica di responsabile civile nei riguardi di due società appaltatrici perché «non rientranti nelle specifiche ipotesi legislative di responsabilità per fatto altrui». Semmai le due imprese avrebbero potuto essere chiamate a rispondere penalmente dell'evento per un titolo proprio di responsabilità. Sul tema del risarcimento danni da reato, poi, la quarta sezione penale ha ricordato che la ratio dell'articolo 185 del Codice penale (“Restituzioni e Risarcimento del danno”) è quella di consentire alla persona danneggiata dal reato di portare la sua pretesa risarcitoria non solo contro il colpevole del reato ma anche contro tutti coloro che, non essendo ritenuti penalmente colpevoli, devono rispondere delle conseguenze dannose del fatto-reato. In pratica, i cosiddetti responsabili civili.

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C.p.p. art. 75 Rapporti tra azione civile e azione penale COMMENTO È escluso che un soggetto danneggiato dal reato di truffa, che aveva ottenuto decreto ingiuntivo definitivo di condanna del reo alla restituzione della somma oggetto del reato, sia legittimato a costituirsi parte civile per ottenere nel processo penale l'affermazione del suo diritto al risarcimento dei danni morali.

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C.p.p. art. 75 Rapporti tra azione civile e azione penale GIURISPRUDENZA Nell'ipotesi in cui, al momento della pronuncia di primo grado, il reato sia estinto per prescrizione e sia quindi venuto meno il presupposto per la condanna ai danni ed alla provvisionale, il giudice di merito non ha il potere di decidere sull'azione civile (10471/1993, rv 195462). In caso di trasferimento dell'azione civile nel processo penale il giudice penale deve provvedere alla liquidazione delle spese sostenute dalla parte lesa nel procedimento civile, quale che sia il rito prescelto dalle parti, compreso quello di applicazione della pena su richiesta (2493/1997, rv 207266). In tema di rapporti fra azione civile ed azione penale, deve escludersi che il danneggiato dal reato che abbia esercitato l'azione risarcitoria nel processo civile sia legittimato, dopo la pronuncia di una sentenza di merito anche non passata in giudicato in tale sede, a costituirsi parte civile nel processo penale per far valere ulteriori profili di danno derivanti dalla stessa causa, diversi da quelli fatti valere nel precedente giudizio (7126/2000, rv 216356). In tema di azione civile per risarcimento dei danni promossa dalla parte lesa da un fatto costituente reato, il giudice civile è tenuto a sospendere il giudizio solo nei casi in cui si verifichi una delle condizioni che, in base alle disposizioni del codice di procedura penale che disciplinano i rapporti tra azione civile e giudizio penale, impongono di sospendere il giudizio civile (azione promossa in sede civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado: art. 75, comma terzo, c.p.p.); ove tali condizioni non si verifichino, l'azione legittimamente esercitata in sede civile può essere proseguita e decisa in tale sede (3753/2002, rv 553052). L'Agenzia delle Entrate è legittimata alla costituzione di parte civile al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalle violazioni penali tributarie. (Nella specie, si trattava di false fatturazioni per operazioni inesistenti e frode fiscale) (35456/2010).

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La costituzione di parte civile nel processo penale determina la rinunzia “ex lege” agli atti del processo civile solo quando sia avvenuta in epoca successiva alla instaurazione di tale processo e a condizione che tra le due azioni vi sia assoluta coincidenza, tanto sul piano soggettivo, quanto sul piano oggettivo (S.U. 6538/2010). La regola di cui all'art. 75, comma 1, c.p.p. vigente, secondo cui il trasferimento dell'azione civile in sede penale comporta la rinuncia dell'attore al giudizio civile, postula che tra le due azioni vi sia identità di oggetto (in relazione alla "causa petendi" e al "petitum") e di soggetti ("personae"). Tale accertamento sull'identità delle azioni – che prescinde e deve essere condotto indipendentemente dall'esame della fondatezza dell'azione esperita con la costituzione di parte civile – è rimesso all'apprezzamento di fatto del giudice di merito, come tale incensurabile in sede di legittimità ove non siano rilevabili vizi di motivazione. Inoltre, atteso che la norma prevede testualmente che l'esercizio della facoltà di effettuare la "translatio iudicii" "comporta rinuncia agli atti del giudizio", ne consegue che l'estinzione del processo civile si verifica automaticamente, ossia di diritto ("ipso iure"). Il giudice civile che, quindi, venga a conoscenza dell'avvenuta costituzione di parte civile nel processo penale deve dichiarare d'ufficio l'estinzione del processo, senza che siano necessarie, ai fini della produzione dell'effetto estintivo, né una formale e separata rinuncia in sede civile né l'accettazione o l'eccezione della controparte, essendo sufficiente la sola condizione che dagli atti risulti l'avvenuto trasferimento dell'azione civile nel processo penale, sul fondamento, ben s'intende, dell'accertata identità delle due azioni (alla stregua dei comuni canoni di identificazione, di cui si è prima detto) (Cass. civ. 7633/2012). All'azione civile esercitata all'interno del processo penale vanno applicate anche le regole previste dal Codice penale sulla sospensione e l'interruzione dei termini (12587/2013). In tema di esercizio dell’azione civile nel processo penale, la parte civile può limitarsi ad allegare genericamente di aver subito un danno dal reato, senza incorrere in alcuna nullità, in quanto il giudice ha sempre la possibilità di pronunciare condanna generica, là dove ritenga che le prove acquisite non consentano la

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liquidazione del danno con conseguenti effetti sull’onere di allegazione e prova spettante alla parte civile (6380/2017). In tema di patteggiamento, la domanda di liquidazione delle spese a favore della parte civile è estranea all’accordo tra il pubblico ministero e l’imputato ed è oggetto di un autonomo capo della sentenza che deve essere adeguatamente motivato dal giudice sulle singole voci riferibili all’attività svolta dal patrono di parte civile e sulla congruità delle somme liquidate (6538/2018).

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C.p.p. art. 75 Rapporti tra azione civile e azione penale COMMENTO La norma in commento disciplina i rapporti tra l'azione civile tendente ad ottenere il ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti da reato e l'azione penale esercitata al fine di accertare le responsabilità del soggetto in relazione alla medesima fattispecie criminosa. Sul punto occorre rilevare che mentre l'abrogato codice Rocco, in forza del principio di unità della giurisdizione, era congegnato in modo tale da predisporre la trattazione congiunta dei due procedimenti, al fine di evitare il contrasto tra giudicati inerenti ai medesimi fatti oggetto di cognizione separata, il codice vigente tende a facilitarne la trattazione autonoma e separata, ammettendo, così, la coesistenza di pronunce differenti adottate l'una in sede civile, l'altra in sede penale. Questo nuovo impianto normativo se, per un verso, permette un più solerte esercizio dell'attività giurisdizionale da parte dell'autorità giudiziaria rispettivamente competente, per altri aspetti non concretizza un'insormontabile preclusione alla possibilità che venga ad instaurarsi una relazione tra le distinte vicende procedimentali e, di conseguenza, una reciproca incidenza. Nell'ipotesi di abbandono della sede civile prefigurata dal primo comma, il legislatore, nell'ottica di assicurare la salvaguardia di quelle esigenze di economia processuale fondate sul principio costituzionale della ragionevole durata del processo, fissa come limite temporale estremo al fine di poter trasferire nel processo penale le pretese risarcitorie già oggetto del procedimento civile, la pronuncia di una sentenza di merito anche non definitiva. Posto quindi che a nulla rilevano statuizioni inerenti questioni di rito adottate nel contesto del processo civile, dal momento della decisione del giudice civile al danneggiato è preclusa qualunque istanza di costituzione di parte civile per le medesime richieste patrimoniali innanzi al giudice penale, poiché sui medesimi fatti un'autorità giurisdizionale si è già pronunciata (esempio). Se, invece, il passaggio alla sede penale avviene tempestivamente, il legislatore vi collega automaticamente l'estinzione del processo civile, senza che a ciò osti in qualche modo la mancata accettazione della controparte a quella rinuncia agli atti del giudizio cui il tenore letterale della disposizione fa riferimento e che, nella dinamica fisiologica del procedimento civile, è solo uno dei due elementi che determinano la perenzione del medesimo. Peraltro, nel caso di specie, il giudice penale è deputato dalla norma in commento a pronunciarsi anche sul ristoro delle spese sostenute per il compimento delle attività intervenute nell'originaria sede processuale, con relativo onere della prova incombente sul soggetto interessato. Laddove la parte danneggiata non intenda costituirsi parte civile nel processo penale o ciò le sia precluso per scadenza dei termini previsti dal successivo art. 79, il procedimento civile proseguirà il suo corso fino alla pronuncia della sentenza definitiva. Peraltro occorre tener conto di quanto disposto dagli artt. 651 e 652 del codice di rito, i quali, in sede di esecuzione, prevedono che se il processo penale si conclude con una sentenza di condanna essa può essere utilizzata dal danneggiato nel

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procedimento civile ai fini dell'accertamento del fatto, della sua illiceità e della colpevolezza della controparte, mentre se esso si conclude con una sentenza di assoluzione questa non trova spazio espressivo nel procedimento civile che si sia svolto in completa autonomia. Perciò, alla luce della clausola di salvezza contemplata nel comma 2 della norma in oggetto, colui che vanti pretese risarcitorie dovrà provare nel giudizio civile sia la riconduzione delle conseguenze dannose in capo al convenuto sia il quantum del danno subìto. Il comma 3 disciplina in via d'eccezione l'ipotesi in cui il giudizio civile sia stato promosso dopo la costituzione di parte civile o dopo la sentenza di primo grado nel processo penale, prevedendo, in tal caso, un meccanismo di sospensione obbligatoria del procedimento iniziato per ultimo; sospensione destinata a perdurare fino a quando la sentenza penale non sia passata in giudicato. Si tratta di una forma di pregiudiziale penale la quale, peraltro, è soggetta a deroghe particolari per le ipotesi in cui il procedimento avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità per il fatto criminoso rimanga a sua volta sospeso. In questi casi, infatti, la norma prevede che il procedimento civile proceda nei suoi sviluppi fisiologici, in modo tale da non pregiudicare la legittima pretesa del soggetto danneggiato il quale, altrimenti, si vedrebbe precludere l'accesso a qualunque forma di tutela e di risposta giudiziale. Le “eccezioni previste dalla legge” a cui si riferisce il dettato normativo si riferiscono alle ipotesi di: – sospensione del processo penale per incapacità dell'imputato [➠71]; – esclusione della parte civile [➠80, 81]; – abbandono del procedimento penale per mancata accettazione del rito abbreviato [➠441]; – estinzione del processo penale per oblazione [➠disp. att. 141]; – applicazione della pena su richiesta delle parti [➠444]; – accertato impedimento fisico permanente che non consenta all'imputato di comparire all'udienza penale, ove questi non consenta che il dibattimento prosegua in sua assenza (così Corte Cost. 22 ottobre 1996). In queste situazioni viene fatto salvo l'interesse del soggetto a cui il reato ha cagionato un danno di ottenere il ristoro dei pregiudizi subìti, sebbene il procedimento penale si trovi in una situazione di stasi, derogando, in tal modo, alla regola principale.

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C.p.p. art. 76 Costituzione di parte civile COMMENTO 1. Il procuratore speciale può revocare con propria dichiarazione la costituzione della parte civile. 2. Colui che si è costituito parte civile nel giudizio di primo grado mantiene tale qualità in appello senza la necessità di un ulteriore atto di costituzione.

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C.p.p. art. 76 Costituzione di parte civile GIURISPRUDENZA Gli avvocati dello Stato, per compiere gli atti del loro ministero, non hanno bisogno di una procura dell'Amministrazione che essi rappresentano, essendo sufficiente che “consti della loro qualità”. Invero, il mandato che è loro conferito dalla legge è sufficiente ad attribuire il potere di costituirsi in giudizio per le Amministrazioni Pubbliche e di compiere tutti gli atti per i quali la legge richiede un mandato speciale; e ciò, tanto nel giudizio civile, quanto in quello penale, allorché le pretese civili della Pubblica Amministrazione siano esercitate in tale sede (11441/1999, rv 214865). In tema di impugnazione, per il principio di immanenza della costituzione di parte civile, la stessa, una volta ammessa, ha diritto a partecipare alle fasi successive alla prima e di vedersi riconosciuto (senza che ciò rappresenti violazione del principio del divieto della “reformatio in peius”) il diritto al risarcimento del danno, anche se essa non ha impugnato la sentenza di proscioglimento in primo grado, appellata dal solo P.M. Invero, l'autonoma facoltà di impugnazione, concessa alla parte civile dall'attuale ordinamento, è prevista in aggiunta a quella del P.M. ed a tutela degli interessi civili, anche quando il rapporto processuale penale si sia esaurito per la mancata impugnazione della sentenza da parte dell'organo dell'accusa o dell'imputato (12018/1999, rv 215559). Va escluso che la parte civile che non abbia impugnato la decisione non possa chiedere ed ottenere nel successivo grado di giudizio una pronuncia a lei favorevole. Anzitutto è da rilevare che non sussiste nel processo penale una piena indipendenza dell'azione civile rispetto a quella penale, per cui non può essere una tale pretesa autonomia a legittimare l'opposto principio; né tale opposto orientamento può trovare fondamento nella disciplina sull'effetto preclusivo del giudicato. Diversamente sarebbero infatti incomprensibili le ragioni per le quali la norma di cui all'art. 601, comma 5, c.p.p., imponga che la parte civile deve essere citata in ogni caso per il giudizio di appello ed anche quando la sentenza

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impugnata è di assoluzione ed è stata appellata soltanto dall'imputato. Deve in realtà ritenersi che l'art. 601 c.p.p. disponga in tale senso perché la parte civile, anche se non ha proposto gravame, ha il diritto di chiedere al giudice dell'appello la conferma o la modifica della pronuncia di primo grado sulle statuizioni civili. In conseguenza, anche dinanzi alla Corte di Cassazione, la parte civile, anche se non ha presentato ricorso, ha il diritto di partecipare al giudizio; e lo stesso dicasi anche in relazione al giudizio di rinvio, anche se la sentenza di assoluzione emessa dal giudice di merito sia stata annullata a seguito di ricorso del P.M. o dell'imputato e non della parte civile (9254/2000, rv 216996). In tema di capacità processuale della parte civile, viene meno la rappresentanza del minore da parte del genitore costituitosi, allorché, nelle more tra il giudizio di primo grado e quello d'impugnazione, il figlio sia divenuto maggiorenne; in tal caso, tuttavia, la contestazione della costituzione di parte civile per sopravvenuta invalidità è preclusa se non viene eccepita tempestivamente, subito dopo che sia compiuto, per la prima volta, l'accertamento della costituzione delle parti (7726/2002, rv 221132). È inesistente l'atto di costituzione di parte civile che non rechi la sottoscrizione dell'interessato, ma solo quella del difensore, il quale non sia munito di procura speciale rilasciata nelle forme di legge (8553/2002, rv 221523). Il giudice di appello, che su gravame del solo pubblico ministero condanni l'imputato assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della parte civile che non abbia impugnato la decisione assolutoria (26841/2003, rv 225114). La deposizione della persona offesa può essere assunta, anche da sola, come prova della responsabilità dell'imputato, purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192, commi 3 e 4, c.p.p., che richiedono la presenza di riscontri esterni; tuttavia, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (29372/2010).

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La parte civile è legittimata a costituirsi nel giudizio per falso in atto pubblico, quando l'atto sia di per sé idoneo ad ostacolare l'individuazione del soggetto responsabile della lesione degli interessi della persona offesa (nella specie, la falsificazione riguardava una cartella clinica, il che costituiva fatto potenzialmente lesivo degli interessi delle parti civili costituite, in quanto idoneo ad ostacolare l'individuazione dei soggetti che avevano operato con esito infausto una donna) (41503/2012). In base al disposto di cui all'art. 76 c.p.p. la persona offesa può costituirsi parte civile personalmente e con l'assistenza di un difensore nominato ex art. 100 c.p.p. ovvero a mezzo di procuratore speciale ai sensi dell'art. 122 c.p.p., nel rispetto delle formalità di cui all'art. 78 c.p.p. (1048/2013). Deve escludersi la possibilità di riconoscere valore di procura speciale ai fini della proposizione dell’impugnazione al mondato difensivo conferito dalla parte civile al proprio difensore, in quanto nello stesso è carente qualsiasi indicazione in ordine al conferimento dello specifico potere di proporre impugnazione. (4947/2016). È inammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile avverso la sentenza d’appello, se la stessa non abbia impugnato la decisione assolutoria di primo grado, confermata dalla Corte d’appello a seguito di impugnazione proposta dal solo pubblico ministero (315/2017). Il sostituto processuale del difensore, al quale soltanto il danneggiato abbia rilasciato procura speciale al fine di esercitare l’azione civile nel processo penale, non ha la facoltà di costituirsi parte civile, salvo che detta facoltà sia stata espressamente conferita nella procura o che il danneggiato sia presente all’udienza di costituzione (12213/2017).

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C.p.p. art. 76 Costituzione di parte civile COMMENTO La norma in commento fissa in modo inequivocabile le formalità attraverso le quali può essere esercitata l'azione civile nel processo penale. Conformemente a quanto previsto per il processo civile e diversamente da quello che accade nel processo penale, dove la partecipazione dell'imputato non è soggetta al rispetto di requisiti formali particolari, il soggetto danneggiato in modo immediato e diretto dalle conseguenze pregiudizievoli del reato può far valere in sede penale la propria pretesa sostanziale al risarcimento o alle restituzioni solo mediante un atto di costituzione che non può mai tradursi in una dichiarazione orale verbalizzata, bensì deve assumere la peculiare forma di un atto scritto [➠ 78]. La legitimatio ad causam può essere esercitata dal danneggiato o personalmente o a mezzo di un procuratore speciale che, assumendo il ruolo di vero e proprio rappresentante sostanziale alla stregua di un mandatario, può compiere tutte le attività riservate alla parte civile in quanto tale (esempio n. 1). Alla parte civile comunque costituitasi – perciò anche laddove nel procedimento operi il procuratore speciale della medesima – deve necessariamente affiancarsi un difensore al quale l'ordinamento attribuisce la cura degli interessi processuali del soggetto danneggiato. Una volta eseguita la regolare costituzione in giudizio in ossequio alle forme predisposte dal codice di rito, il danneggiato o i suoi successori, in ossequio al principio dell'immanenza della costituzione di parte civile, partecipano a tutti i successivi gradi del processo mantenendo il loro status processuale originario, senza dover assumere ulteriori iniziative all'uopo finalizzate (esempio n. 2). Tale principio, tuttavia, non opera nel caso di giudizio di revisione in quanto l'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza di condanna fa venir meno l'originaria qualità di parte processuale in capo al soggetto danneggiato dal reato (così Cassazione n. 624 del 2002).

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C.p.p. art. 77 Capacità processuale della parte civile COMMENTO 1. L'interdetto che agisca per il risarcimento dei danni subìti a seguito di un furto perpetrato nella sua abitazione può costituirsi parte civile nel giudizio penale mediante l'atto del tutore appositamente autorizzato dal giudice tutelare. 2. Il tutore è padre del soggetto autore del reato ai danni dell'interdetto.

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C.p.p. art. 77 Capacità processuale della parte civile GIURISPRUDENZA Poiché l'esercizio dell'azione civile nel processo penale è regolato, per quanto espressamente non derogato, dai principi che disciplinano il processo civile, la perdita della capacità di una parte di stare in giudizio, per avere effetto, deve essere dichiarata dal suo procuratore, proseguendo in caso contrario il processo tra le pari originarie ai sensi dell'art. 300 c.p.p.. Pertanto, in ipotesi di fallimento della parte civile intervenuto nel corso del processo, in assenza di un'iniziativa del procuratore della parte civile, o del curatore del suo fallimento, volta a far valere la dichiarazione del fallimento medesimo ed a regolarizzare il rapporto processuale a norma dell'art. 43 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267), il rapporto processuale instaurato dal fallito anteriormente al suo fallimento prosegue e non può venir meno in conseguenza dell'iniziativa dell'imputato, trattandosi di parte processuale non legittimata a far valere eventuali problemi relativi alla prosecuzione del giudizio civile in sede penale da parte del fallito, inerenti esclusivamente ai rapporti tra quest'ultimo e la curatela fallimentare (666/2000, rv 215296). L'art. 77 c.p.p., che prevede la nomina di un curatore speciale se vi è conflitto di interessi tra il danneggiato e chi lo rappresenta, non è applicabile agli enti pubblici, per i quali il rapporto organico tra ufficio e persona fisica ad esso preposta non integra l'istituto della rappresentanza nel senso civilistico del termine, bensì si risolve nella immedesimazione tra preposto ed ente (9663/2001, rv 224704). La parte civile può essere non solo la parte offesa dal reato ma anche chi subisca un danno, sia pure morale, dalla perpetrazione del crimine. (Alla luce di tale principio di diritto, la Cassazione ha ritenuto legittima, nel processo per il reato di ricettazione di farmaci dopanti a carico di un ciclista professionista, la costituzione di parte civile del CONI perché parte danneggiata in quanto

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istituzionalmente portatore di un interesse pubblico al corretto e leale svolgimento delle gare sportive) (12750/2011). In aderenza ai principi civilistici che in mancanza di espressa deroga regolano l'esercizio dell'azione civile nel processo penale, la perdita della capacità di stare in giudizio di una parte, come avviene per il genitore della persona offesa minorenne laddove quest'ultima raggiunga la maggiore età, non hanno effetto ove non sia dichiarata dal procuratore della parte, altrimenti proseguendo il processo fra le parti originarie; di conseguenza la mancata dichiarazione del conseguimento della maggiore età da parte della persona offesa non può essere interpretata quale implicita rinuncia alla costituzione personale di quest'ultima (44968/2012). È nulla l’ordinanza di archiviazione nell’ipotesi in cui sia stata irrimediabilmente compromessa dal mancato rispetto, prima della sua emissione, delle regole poste a garanzia del contraddittorio formale (8830/2018).

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C.p.p. art. 77 Capacità processuale della parte civile COMMENTO La norma in commento predispone una disciplina ad hoc per quelle fattispecie nelle quali l'azione civile nel processo penale dovrebbe essere esercitata da soggetti danneggiati dal reato che non abbiano il pieno esercizio dei diritti fatti valere e, di conseguenza, siano sforniti di quella capacità processuale cui fa riferimento lo stesso codice di procedura civile al comma 2 dell'articolo 75. Il primo comma della norma in commento sostanzialmente ricalca il tenore della disposizione appena richiamata, stabilendo che nell'ipotesi in cui la persona fisica o giuridica sia sprovvista di una completa capacità di agire essa può costituirsi parte civile solo mediante l'intervento del rappresentante legale o conseguendo quelle autorizzazioni appositamente previste dall'ordinamento (esempio n. 1). Nell'ipotesi in cui il soggetto deputato ad assolvere compiti di rappresentanza o di assistenza manchi e vi sia l'urgenza di costituirsi parte civile per non incorrere nelle decadenze stabilite dal codice di rito oppure si versi in ipotesi di conflitto di interessi tra danneggiato e rappresentante (esempio n. 2), analogamente a quanto previsto dal codice di procedura civile il pubblico ministero può chiedere al giudice la nomina di un curatore speciale. In altri termini, poiché per l'azione civile che si innesta nel processo penale valgono gli stessi principi generali del rito civile ordinario, anche in questo ambito al magistrato della Procura della Repubblica presso il Tribunale vengono attribuiti specifici poteri di intervento nella dinamica procedimentale in questione al fine di salvaguardare gli interessi dei soggetti deboli. Peraltro tale prospettiva risulta ancor più rafforzata laddove si consideri che, alla stregua del disposto contenuto nell'ultimo comma, il pubblico ministero non deve limitarsi a sollecitare la nomina del curatore speciale, ma può addirittura agire in prima persona nel caso in cui ragioni di assoluta urgenza impongano nell'interesse del minore di età o dell'infermo di mente una scelta tempestiva, in attesa che successivamente subentri al medesimo il rappresentante legale o il curatore speciale. Il giudice, pertanto, designa il curatore speciale adottando un decreto che deve essere comunicato al magistrato inquirente affinché questi si adoperi nel senso di sollecitare gli opportuni provvedimenti per la costituzione della normale e fisiologica rappresentanza o assistenza dell'incapace. Occorre, da ultimo, evidenziare come l'unico elemento che differenzi il tenore letterale della norma in commento dalle disposizioni contenute nel codice di procedura civile è l'assenza di un riferimento esplicito alla persona giuridica e all'associazione non riconosciuta, alle quali, tuttavia, la considerazione sistematica dei precetti che precedono e seguono quello in esame impone di estendere la portata di quanto in questa sede è stato messo in luce.

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C.p.p. art. 78 Formalità della costituzione di parte civile COMMENTO Nell'atto di costituzione di parte civile il soggetto titolare di un esercizio commerciale che abbia subito un incendio doloso deve indicare, a pena di inammissibilità, i danni patrimoniali arrecati alla struttura che il medesimo gestisce.

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C.p.p. art. 78 Formalità della costituzione di parte civile GIURISPRUDENZA La dichiarazione di costituzione della parte civile, recante la mera indicazione del numero di procedimento penale, del titolo del reato e la generica enunciazione dell'intenzione di “ottenere il risarcimento integrale di ogni danno subito”, non integra il requisito previsto, a pena di inammissibilità, dalla lett. d) dell'art. 78 c.p.p.; prescrivendo l'”esposizione delle ragioni che giustificano la domanda”, infatti, il nuovo codice di procedura penale, profondamente innovando rispetto al precedente sistema, richiede che l'atto “de quo” contenga una precisa determinazione non solo del “petitum” ma anche della “causa petendi”, similmente alle forme prescritte per la domanda proposta nel giudizio civile; di conseguenza, ai fini dell'ammissibilità della costituzione, non è sufficiente fare riferimento all'avvenuta commissione di un reato bensì è necessario richiamare le ragioni in forza delle quali si pretende che dal reato siano scaturite conseguenze pregiudizievoli nonché il titolo che legittima a far valere la pretesa (8723/1996, rv 205872). La parte civile, dopo avere nominato il difensore, che ha accettato l'incarico, ha l'onere di accertare che l'azione civile sia stata esercitata e di provvedere ad una nuova nomina, nel caso in cui il difensore sia deceduto o radiato o sospeso dall'albo. Ne deriva che, qualora non provveda a detto adempimento, non è configurabile alcuna nullità per difetto di citazione (3028/1997, rv 207601). Posto che la costituzione di parte civile realizza l'inserzione nel processo penale di un rapporto civilistico per il risarcimento del danno e per le restituzioni, di cui sono parti il danneggiato, da un lato, e l'imputato ed il responsabile civile, dall'altro, ne consegue che le altre parti, cui essa deve essere notificata, sono appunto l'imputato ed eventualmente il responsabile civile con esclusione del pubblico ministero, che è del tutto estraneo al suddetto rapporto (5270/1997, rv 208530).

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In tema di costituzione di parte civile, l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda, richiesta a pena di inammissibilità della stessa, deve servire solo a individuare la pretesa fatta valere in giudizio e non già ad enucleare le ragioni atte a determinarne l'accoglimento. Ne consegue che l'impegno argomentativo necessario a giustificare l'esercizio dell'azione civile nel processo penale dipende dalla natura delle imputazioni e dal rapporto tra i fatti lamentati e la pretesa azionata sicché, allorquando detto rapporto sia immediato, come nel caso in cui si lamenti ingiuria o minaccia, si deve ritenere che ai fini dell'esposizione della “causa petendi” sia sufficiente il mero richiamo al fatto descritto nel capo di imputazione (6910/1999, rv 213612). L'art. 78 c.p.p., comma 1, lett. d), che disciplina le formalità della costituzione di parte civile, non richiede, a pena di inammissibilità, che l'atto di costituzione contenga un'esposizione analitica della “causa petendi”, non dissimile da quella prescritta per la domanda proposta in sede civile. Ed invero l'esperimento dell'azione civile nel processo penale si avvale della sua connessione necessaria con la fattispecie concreta descritta nell'imputazione, sicché la pretesa risarcitoria, al di fuori dei casi in cui sia legata anche a fattori eccedenti i limiti della contestazione penale, non deve essere giustificata con enunciazioni ulteriori rispetto a quella del legame eziologico che la collega al fatto-reato (13815/1999, rv 214669). In tema di costituzione di parte civile e con riguardo all'esposizione, richiesta a pena di inammissibilità dall'art. 78 c.p.p., delle ragioni che giustificano la domanda, deve ritenersi che l'impegno argomentativo necessario all'illustrazione di dette ragioni dipenda dalla natura delle imputazioni e dal rapporto tra i fatti lamentati e la pretesa azionata. Ne consegue che quando tale rapporto sia immediato – come si verifica nel caso in cui si lamenti il disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, penalmente sanzionato dall'art. 659 c.p. – è sufficiente, per l'adempimento del precetto normativo, il mero richiamo al fatto descritto nel capo d'imputazione o al titolo del reato ivi indicato (14810/2003, rv 224306). L'atto di costituzione di parte civile non deve riportare a pena di inammissibilità pedissequamente il capo di imputazione, ma è

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necessario specificare con sufficiente determinatezza le ragioni che giustificavano la domanda ai sensi dell'art. 78 lett. b) c.p.p. (Trib. La Spezia 15 marzo 2012). In tema di costituzione di parte civile, l'art. 78, c. 1, lett. d), c.p.p., sebbene indubbiamente richieda a pena di inammissibilità l'indicazione della “causa petendi”, non prevede tuttavia che l'atto di costituzione ne contenga un'esposizione analitica, del tipo cioè di quella prescritta per la domanda proposta in sede civile. Infatti, l'esperimento dell'azione civile nel processo penale si avvale della sua connessione necessaria con la fattispecie concreta descritta nell'imputazione, sicché la pretesa risarcitoria, al di fuori dei casi in cui sia legata anche a fattori eccedenti i limiti della contestazione penale, non deve essere giustificata con enunciazioni ulteriori rispetto a quella del legame eziologico che la collega al fatto-reato (14691/2013). Nel caso di fatto diverso a seguito di contestazione suppletiva effettuata dal P.M. in udienza, la parte civile già costituita non deve rinnovare la costituzione, ma può limitarsi a modificare nelle conclusioni la domanda già proposta sia con riferimento alla “causa petendi”, che al “petitum” (9933/2015). L’omessa indicazione della data di conferimento della procura speciale al difensore della parte civile non determina alcuna incertezza in ordine allo “ius postulandi” dello stesso, posto che l’art. 78, comma 3, cod. proc. pen. prevede espressamente che, qualora non venga apposta in calce o a margine dell’atto di costituzione di parte civile, la procura può essere presentata direttamente in udienza unitamente alla dichiarazione di costituzione, sicché in tal caso la data che fa fede è quella di deposito (52435/2017). La parte civile, che si costituisca in cancelleria secondo le modalità di cui all’art. 78, comma secondo, cod. pen., non ha alcuna legittimazione a chiedere il sequestro conservativo nei confronti dell’imputato fino a quando la suddetta costituzione non sia a questo notificata (14164/2018).

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C.p.p. art. 78 Formalità della costituzione di parte civile COMMENTO L'atto attraverso il quale concretamente il danneggiato si costituisce parte civile nel processo penale deve rivestire la forma di una dichiarazione scritta corredata da alcuni requisiti la cui ricorrenza è imposta dal legislatore a pena di inammissibilità dell'istanza. Se non pongono particolari problemi interpretativi sia le indicazioni afferenti alle generalità del soggetto, persona fisica o giuridica, che decida di far valere le pretese civilistiche di cui è titolare in conseguenza degli effetti pregiudizievoli del reato, sia quelle relative all'imputato sul quale vengono fatti gravare i particolari obblighi risarcitori e restitutori, nonché l'indicazione della persona del difensore e della procura in forza della quale lo stesso esercita il patrocinio a favore della parte privata, la prescritta esposizione delle ragioni giustificatrici della domanda necessita di essere adeguatamente puntualizzata. A tal proposito appare utile istituire un “parallelo” tra quanto il codice di procedura civile impone come contenuto necessario della citazione, in particolare ciò che esso prevede al n. 4 del comma 3 dell'articolo 163, e l'analoga prescrizione contemplata dalla norma in commento, laddove viene richiesta una congrua descrizione del nesso che si afferma esistente tra la condotta criminosa ascrivibile all'imputato e gli effetti pregiudizievoli prodotti nella sfera giuridica del danneggiato (esempio), senza, peraltro, che sul merito della sussistenza di tale relazione il giudice al quale l'istanza è rivolta debba immediatamente pronunciarsi al fine di vagliare l'ammissibilità della richiesta, essendo tutto ciò rimesso alla delibazione conclusiva dell'autorità che adotta la pronuncia finale. La disposizione in commento indica anche le possibili sedi di presentazione della dichiarazione di costituzione, prevedendo, accanto alle ipotesi nelle quali l'istanza venga presentata direttamente all'udienza preliminare o dibattimentale, situazioni nelle quali, peraltro, intervengono presunzioni di conoscenza soprattutto riguardo all'imputato presente allo svolgimento delle udienze medesime, la possibilità per la parte civile di costituirsi depositando la richiesta presso la cancelleria del giudice procedente. Per quest'ultima fattispecie il legislatore impone un obbligo di notifica alle altre parti, prevedendo, altresì, che dal giorno in cui il provvedimento di comunicazione è eseguito viene a costituirsi quel rapporto giuridico processuale, finalizzato al risarcimento dei danni o al ripristino della situazione precedentemente esistente, che vede come protagonisti danneggiato, imputato ed, eventualmente, il responsabile civile, con esclusione, perciò, del pubblico ministero nei cui confronti l'obbligo di notifica non può estendersi. Il precetto di chiusura è stato novellato dalla “legge Carotti” intervenuta nel 1999, la quale ha previsto che laddove la procura alle liti non sia apposta in calce o a margine dell'istanza di costituzione della parte civile, bensì venga conferita con atto pubblico o con scrittura privata autenticata dal difensore, cioè con un atto formalmente distinto dalla dichiarazione di costituzione vera e propria, anche tale atto

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deve contestualmente essere depositato presso la cancelleria del giudice procedente o presentato al giudice che presiede l'udienza nella quale avviene la costituzione di parte.

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C.p.p. art. 79 Termine per la costituzione di parte civile GIURISPRUDENZA L'espressione “la costituzione di parte civile può avvenire per l'udienza preliminare” dettata dall'art. 79 c.p.p. relativamente al termine di costituzione, non significa che il danneggiato debba necessariamente attendere l'udienza preliminare per effettuare la costituzione di parte civile. Essa designa, invece, il termine finale entro il quale deve avvenire la costituzione di parte civile a pena di decadenza, mentre nessuna sanzione processuale è prevista per il mancato rispetto del termine iniziale (1767/1993, rv 193516). È rituale la costituzione di parte civile avvenuta all'udienza di rinvio quando il dibattimento non sia stato già aperto, come nel caso di nuova notifica del decreto di citazione o di lettura dell'ordinanza che fissa la nuova udienza (12906/1999, rv 215535). In tema di esercizio dell'azione civile nel giudizio penale, deve ritenersi tempestiva la costituzione di parte civile effettuata prima che siano compiuti gli adempimenti di cui all'art. 484 c.p.p., vale a dire prima della apertura del dibattimento. Pertanto, nel caso di rinvio dell'udienza per irregolare composizione del collegio giudicante, la persona offesa può, in occasione della nuova udienza, tenuta innanzi al giudice regolarmente costituito, reiterare, entro i limiti temporali sopra indicati, le formalità per la costituzione di parte civile, anche in caso di nullità della precedente costituzione, a suo tempo effettuata, innanzi al collegio irregolarmente costituito (12718/2000, rv 217741). Nell'udienza prevista per l'applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari non è consentita la costituzione di parte civile (7802/2002, rv 221249). La costituzione di parte civile è sempre possibile ed è legittimamente compiuta fino a quando non sia avvenuto l'inizio del dibattimento. Nel caso in cui alla prima udienza sia eseguito il controllo della costituzione delle parti ed il giudice, dopo avere dichiarato la contumacia dell'imputato, rinvii il dibattimento per dare modo di sanare la nullità derivante dalla omessa citazione della

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parte offesa, alla successiva udienza è legittima la costituzione della parte civile, qualora avvenga prima dell'inizio del dibattimento (11818/2003, rv 223906). È intempestiva la costituzione di parte civile effettuata nel giudizio abbreviato dopo l'esercizio del potere d'integrazione probatoria per impossibilità di decidere allo stato degli atti, in quanto il termine finale, stabilito a pena di decadenza, è quello della dichiarazione di apertura della discussione. (Nella specie la Corte ha disatteso la tesi secondo cui la costituzione era ammissibile in base all'assunto che, esercitato dal giudice il potere discrezionale, l'udienza sarebbe regredita ad una fase antecedente alla discussione che sarebbe stata nuovamente esposta in seguito alle nuove determinazioni probatorie) (35700/2010).

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C.p.p. art. 79 Termine per la costituzione di parte civile COMMENTO La norma in esame indica analiticamente la “scansione temporale” della procedura di costituzione della parte civile, collegando ad ogni tratto della medesima precise conseguenze di diversa entità a seconda del momento in cui la richiesta viene depositata o presentata in udienza. Il primo comma considera in primo luogo l'udienza preliminare, dando così per presupposto l'intervenuto esercizio dell'azione penale da parte del magistrato rappresentante della pubblica accusa. Pertanto, laddove si ammetta teoricamente la possibilità di depositare l'istanza di costituzione presso la cancelleria del giudice delle indagini preliminari mentre queste sono in corso di svolgimento e il P.M. non abbia ancora adottato nessuna determinazione in ordine all'imputazione dei fatti oggetto di investigazione, occorre evidenziare come tale iniziativa del danneggiato non produrrà alcuna conseguenza immediata, essendone differita l'efficacia al momento in cui sarà concretamente esercitata l'azione penale. Nel caso in cui la costituzione della parte civile abbia luogo in un tempo successivo alla chiusura dell'udienza preliminare, cioè nel dibattimento, il legislatore prevede quale termine di decadenza il compimento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti. Pertanto, ove in tale sede venga disposto il rinvio del processo ad altra udienza, la costituzione di parte civile successivamente intervenuta deve ritenersi tempestiva purché anteriore alla dichiarazione di apertura del dibattimento (così Cassazione n. 9301 del 1996). È opportuno, tuttavia, mettere in luce il fatto che, alla stregua del disposto contenuto nel terzo comma, la parte civile che intenda avvalersi di tutti i poteri di partecipazione attiva al processo previsti dal codice di rito deve avanzare l'istanza di costituzione almeno sette giorni prima della data fissata per l'udienza dibattimentale, non potendo altrimenti presentare le liste dei testimoni, periti e consulenti tecnici da sottoporre ad esame nel corso dell'udienza. Pertanto, tenendo presente la distinzione tra atti preliminari al dibattimento e atti introduttivi dello stesso, pur se la sanzione della decadenza è collegata ad una costituzione che abbia luogo dopo che siano stati compiuti i secondi, in realtà è nel contesto dei primi che risulta più conveniente per il danneggiato avanzare le pretese civilistiche al risarcimento dei danni e alle restituzioni di cui lo stesso afferma di essere titolare.

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C.p.p. art. 80 Richiesta di esclusione della parte civile GIURISPRUDENZA Le ordinanze che ammettono o escludono la parte civile non sono impugnabili, posto che anche nel vigente codice di rito è accolto il principio della tassatività delle impugnazioni (art. 568, primo comma, c.p.p.) e che nessuna disposizione di legge prevede l'impugnabilità – autonoma o con la sentenza – delle suddette ordinanze (5161/1992, rv 189962). Il provvedimento che ammette la costituzione di parte civile è inoppugnabile e preclude ogni contestazione in ordine alla “legitimatio ad processum”, restando solo la possibilità di esaminare la “legitimatio ad causam” e, in particolare, la configurabilità e sussistenza del diritto sostanziale azionato dalla parte civile nel giudizio penale (592/1994, rv 196119). Nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice, se non può decidere sul merito della domanda di parte civile, ha tuttavia il potere di valutare preliminarmente la giustificazione-legittimazione della costituzione, ritualmente contestata da parte del prevenuto, per evitare di dover liquidare necessariamente ed automaticamente le relative spese anche ad un soggetto costituitosi parte civile ma del tutto estraneo alla vicenda processuale (814/1998, rv 210626). Mentre l'ordinanza dibattimentale di esclusione della parte civile è sempre e definitivamente inoppugnabile, quella di inammissibilità o di rigetto della richiesta di esclusione è impugnabile, da parte dell'imputato, unitamente all'impugnazione della sentenza (12/1999, rv 213858). Nel caso di costituzione di parte civile per l'udienza preliminare, la richiesta di esclusione della stessa può essere proposta dall'imputato, a pena di decadenza, fino al momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nel dibattimento (12/1999, rv 213859).

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C.p.p. art. 80 Richiesta di esclusione della parte civile COMMENTO Si rinvia al commento sub art. 81 successivo.

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C.p.p. art. 81 Esclusione di ufficio della parte civile GIURISPRUDENZA Dopo il rigetto della prima richiesta di applicazione della pena congiunta a quella di una pronuncia ex art. 129 c.p. per parte delle contestazioni, a seguito del rinnovo della richiesta da parte dell'imputato di applicazione della pena per tutte le imputazioni il Giudice, ritenuta la richiesta pienamente ammissibile e fondata ai sensi dell'art. 448 c.p.p., procede con sentenza all'applicazione di detta pena ritenuta congrua. (Nella specie veniva applicata la pena di anni uno, mesi due di reclusione ed Euro cinquecento di multa, con pena sospesa) (12644/2010). In tema di resistenza a un pubblico ufficiale, ex art. 337 c.p., integra il concorso formale di reati, a norma dell’art. 81 c.p., comma 1, la condotta di chi usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio (S.U. 40981/2018). La continuazione, quale istituto di carattere generale, è applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee (40983/2018).

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C.p.p. art. 81 Esclusione di ufficio della parte civile COMMENTO Pur vigendo il principio di immanenza della costituzione della parte civile, il cui status viene conservato in ogni stato e grado del processo [76, comma 2], l'ordinamento prevede specifiche fattispecie in relazione alle quali il soggetto che abbia esercitato l'azione civile in sede penale può esserne estromesso su istanza delle altre parti o su iniziativa ex officio dell'organo giudicante. In via preliminare occorre evidenziare come qualunque sia l'origine e la matrice del provvedimento di esclusione, esso non incide in alcun modo sul merito delle pretese avanzate dal danneggiato, poiché non preclude allo stesso la possibilità di riproporle in maniera identica in sede civile [88, comma 2]. Si tratta, infatti, di una statuizione che si fonda sulla considerazione di profili specifici dell'istanza di costituzione, messi in risalto, nella fattispecie di cui all'articolo 80, dalla richiesta motivata del magistrato inquirente, dell'imputato o del responsabile civile, i quali attengono alla sussistenza della capacità processuale, al rispetto delle formalità imposte in sede di stesura della dichiarazione e all'osservanza dei termini prescritti per l'esercizio dell'azione civile, cioè a presupposti di rito la cui definizione deve fondare l'adozione di un'apposita ordinanza giudiziale. Il legislatore, peraltro, nell'individuare in modo analitico i termini entro i quali la domanda di esclusione può essere avanzata dalle altre parti e il momento ultimo della pronuncia giudiziale sul punto, predispone un meccanismo decisorio che può determinare l'esclusione della parte civile solo fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, per l'ipotesi peculiare di iniziativa officiosa. Pertanto l'ulteriore sviluppo della vicenda procedimentale successivo all'adempimento di cui all'articolo 492 (cui si rinvia) preclude la possibilità di porre in risalto i vizi procedurali della costituzione del danneggiato in qualità di parte civile ai fini di una sua estromissione dal processo penale. Nello specifico, se la dichiarazione di cui all'articolo 78 è stata presentata o depositata per l'udienza preliminare, il magistrato inquirente e le altre parti private possono avanzare l'istanza di esclusione, tanto nell'udienza di prime cure quanto in quella dibattimentale, solo fino al compimento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti [420, 484]. Se invece l'istanza di costituzione è stata avanzata in sede di atti preliminari o introduttivi dell'udienza dibattimentale, la richiesta di estromissione rientra nel novero di quelle questioni preliminari [491, comma 1] per le quali il codice di rito postula una definizione immediata e, comunque, precedente alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Gli articoli in commento, poi, prevedono, nei due rispettivi commi di chiusura, due fattispecie in cui si verifica il superamento di quanto statuito dal giudice dell'udienza preliminare in merito alla richiesta di esclusione. Infatti, nel caso in cui nella sede di prime cure l'organo giudicante si sia pronunciato per l'estromissione della parte civile, il danneggiato può comunque presentare nuova istanza di

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costituzione nell'udienza dibattimentale fino al compimento delle attività di cui all'articolo 484. Viceversa, laddove l'ordinanza del G.U.P. abbia comportato il rigetto della richiesta di esclusione, ciò non preclude l'esercizio in via officiosa dei poteri di delibazione e di decisione da parte del giudice del dibattimento il quale, riscontrando l'insussistenza dei requisiti per il corretto esercizio dell'azione civile in sede penale, può statuire liberamente la perdita dello status di parte civile in capo al danneggiato. Profilo che da ultimo merita di essere sottolineato è l'assenza di un qualsiasi precetto ad hoc nelle norme in esame relativamente all'impugnabilità dell'ordinanza con la quale il giudice si pronuncia in merito alla richiesta di esclusione della parte civile. Sul punto le Sezioni Unite (sentenza n. 12 del 1999) hanno precisato che, posta l'inoppugnabilità dell'ordinanza dibattimentale di esclusione della parte civile, l'imputato è comunque legittimato ad impugnare, contestualmente alla sentenza finale, il provvedimento con cui il giudice procedente abbia dichiarato inammissibile o abbia rigettato l'istanza di esclusione.

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C.p.p. art. 82 Revoca della costituzione di parte civile GIURISPRUDENZA Poiché l'art. 82, comma secondo, c.p.p., ha limitato i casi di revoca presunta o tacita della costituzione di parte civile alle sole ipotesi di omessa presentazione delle conclusioni nel corso della discussione finale in fase di dibattimento di primo grado e di promuovimento dell'azione di danno in sede civile, non può attribuirsi alcuna rilevanza ai detti fini all'omessa comparizione della parte civile all'udienza od al suo allontanamento (4380/1995, rv 201502). Non è applicabile l'art. 82, secondo comma, c.p.p., in virtù del quale la costituzione si intende revocata se la parte civile non presenta le proprie conclusioni, nell'ipotesi in cui il giudice abbia invitato le parti a concludere esclusivamente su questioni pregiudiziali ed abbia quindi pronunciato sentenza di proscioglimento per tardività della querela (8334/1996, rv 205866). L'assenza della parte civile nel giudizio di secondo grado non può interpretarsi come comportamento equivalente a revoca tacita o presunta, non essendo riconducibile ad alcuna delle specifiche ipotesi previste dall'art. 82, secondo comma, c.p.p. (3157/1997, rv 207275). In tema di costituzione di parte civile, se è vero che la revoca della costituzione medesima determina, senza necessità di apposita dichiarazione di esclusione, l'estinzione del rapporto processuale civile inserito nel processo penale con la conseguente impossibilità, secondo quanto prescrive il terzo comma dell'art. 82 c.p.p., che siano emesse statuizioni afferenti a tale rapporto, qualora il giudice abbia erroneamente in tal senso disposto considerando immanente la costituzione, deve riconoscersi la legittimazione ad impugnare tale decisione di chi, pur avendo rinunciato alle pretese risarcitorie, si trovi comunque ad essere condannato alle spese ai sensi del secondo comma dell'art. 541 c.p.p. (7297/1998, rv 209602). In tema di revoca della costituzione di parte civile, la previsione dell'art. 82, comma secondo, c.p.p., secondo cui la costituzione si

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intende revocata se la parte civile “promuove l'azione davanti al giudice civile”, non riguarda l'ipotesi in cui il danneggiato dal reato, esercitata in sede penale l'azione civile ed ivi ottenuto accoglimento della domanda risarcitoria per l'”an”, proponga poi davanti al giudice civile domanda per il “quantum”. In tale ipotesi, infatti, non si ha doppio esercizio della stessa azione, ma esercizio di altra azione fondata sulla prima, essendo irrilevante, ai fini della permanenza della parte civile nel processo penale, che la statuizione adottata in sede penale non sia ancora passata in giudicato, comportando ciò solo la conseguenza della sospensione del giudizio civile (12744/1998, rv 213416). La revoca tacita della costituzione di parte civile, prevista dall'art. 82, comma 2, c.p.p., per il caso in cui la parte civile abbia promosso l'azione davanti al giudice civile, trova applicazione solo quando sussiste una compiuta coincidenza fra le due domande, in quanto è finalizzata a escludere la duplicazione dei giudizi, onde si verifica solo quando venga proposta davanti al giudice civile, nei confronti dell'imputato, la medesima azione risarcitoria esercitata in sede penale (nella specie, la Corte ha quindi escluso la revoca tacita della costituzione di parte civile, che, invece, la difesa dell'imputato, condannato per il reato di omicidio colposo in danno di una bambina, cagionato a seguito di incidente stradale, pretendeva essersi verificata per avere i genitori della deceduta proposto azione civile nei confronti dell'istituto tenuto a vigilare sulla bambina, a titolo di cooperazione colposa per omessa vigilanza; la Corte, in proposito, ha escluso alcuna duplicazione dei giudizi, in quanto il titolo in forza del quale l'azione era stata proposta in sede civile era da ritenere autonomo e diverso rispetto a quello fatto valere nel giudizio penale nei confronti dell'imputato) (35306/2008). Nel giudizio di cassazione, la mancata comparizione in udienza della parte civile non comporta la revoca della sua costituzione (In motivazione, la S.C. ha affermato che la disposizione di cui all'art. 82, comma secondo, c.p.p., vale solo per il giudizio di primo grado) (35096/2010). Ai sensi dell'art. 82, comma 2, c.p.p., il trasferimento in sede civile della domanda risarcitoria proposta dalla parte civile comporta la revoca tacita della costituzione di tale parte processuale (33320/2012).

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La revoca della costituzione di parte civile, prevista per il caso in cui l'azione venga promossa anche davanti al giudice civile, si verifica solo quando sussiste coincidenza fra le due domande, ed è finalizzata ad escludere la duplicazione dei giudizi (3454/2015).

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C.p.p. art. 82 Revoca della costituzione di parte civile COMMENTO La norma in commento contempla l'ulteriore ipotesi di estinzione della partecipazione della parte civile al processo penale la quale ha luogo nel caso in cui sia lo stesso danneggiato a privare di efficacia il precedente atto di costituzione mediante una dichiarazione fatta in udienza, personalmente o a mezzo di un procuratore speciale, ovvero mediante atto scritto depositato presso la cancelleria del giudice procedente e appositamente notificato alle altre parti. Premesso che la prevista possibilità di effettuare la revoca in ogni stato e grado della vicenda processuale appare speculare al principio di immanenza della costituzione di parte civile [➠76, comma 2], il legislatore ha ulteriormente predisposto un meccanismo di revoca tacita il quale può concretamente operare in relazione ad una duplice tipologia di comportamento concludente appositamente tipizzata nel secondo comma, cioè: – mancata presentazione delle conclusioni da parte del danneggiato regolarmente costituitosi: in particolare si fa esplicito riferimento al disposto del secondo comma dell'articolo 523, laddove si prevede che la parte civile quando richiede il risarcimento dei danni deve necessariamente procedere alla determinazione del loro ammontare, cioè deve porre le basi affinché, in sede di decisione conclusiva, il giudice possa provvedere alla liquidazione del quantum risarcitorio gravante sull'imputato [538, comma 2], anche se, alla stregua dei principi che regolano il processo civile, deve ritenersi comunque ammissibile la presentazione di un'istanza di condanna generica al risarcimento da parte dell'interessato, senza che ciò integri gli estremi della revoca tacita; – esercizio dell'azione risarcitoria o restitutoria innanzi al giudice civile: il codice di rito in questo caso attribuisce rilevanza alla volontà della parte di spostare la cognizione dei medesimi fatti innanzi al giudice naturalmente deputato a pronunciarsi sulle peculiari pretese civilistiche in questione. Conseguenza principale dell'avvenuto stralcio della posizione della parte civile dal processo penale per volontà della medesima è la preclusione per il giudice penale a statuire in merito alle spese e ai danni che l'intervento della parte civile ha cagionato all'imputato e al responsabile civile, ai quali, pertanto, è comunque riconosciuta la possibilità di agire in sede civile per il ristoro dei medesimi. Infine, alla revoca della costituzione di parte civile nel processo penale non è ricollegata alcuna conseguenza preclusiva riguardo al successivo esercizio dell'azione per gli stessi fatti in sede civile, proprio alla luce dell'evidente autonomia e separazione delle due distinte vicende procedimentali e dei relativi esiti.

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C.p.p. art. 83 Citazione del responsabile civile COMMENTO Si allude alla responsabilità del soggetto tenuto alla sorveglianza dell'incapace per il fatto di costui, alla responsabilità dei genitori per i danni cagionati dall'illecito perpetrato dai figli, alla responsabilità dei padroni o dei committenti per il danno causato da domestici e commessi.

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C.p.p. art. 83 Citazione del responsabile civile GIURISPRUDENZA In caso di esercizio dell'azione civile in sede penale, non è consentita la chiamata in causa da parte del responsabile civile di altro responsabile civile (15591/2001, rv 219447). In tema di prescrizione, il rinvio o la sospensione del dibattimento disposti dal giudice in accoglimento della richiesta dell'imputato di essere autorizzato a citare il responsabile civile non determina la sospensione del relativo termine, atteso che il differimento dell'udienza, in tale ipotesi, è determinato dalla necessità di consentire il concreto esercizio di una facoltà riconducibile al diritto di difesa (9224/2002, rv 220986). È legittima la definizione immediata, nel processo penale, di una parte della domanda civile, in particolare di una sola tipologia di danno, con il rinvio alla sede civile relativamente alle eventuali altre, essendo la stessa applicazione dell'istituto della sentenza non definitiva o parziale di cui agli art. 278 e 279 c.p.c. imposta dal principio costituzionale della ragionevole durata del processo alla cui stregua deve ritenersi anomalo ogni rinvio di decisione allorquando sussistano già, in atti, gli elementi che consentano una tempestiva deliberazione (2545/2009). In tema di azione civile esercitata nel processo penale, deve ritenersi che la morte dell'imputato, intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza, comporta la cessazione, unitamente al rapporto processuale penale, anche di quello civile inserito nel processo penale (48308/2009). La esistenza e permanenza in vita dell'imputato costituisce il presupposto processuale della sentenza e della sussistenza del rapporto processuale anche civilistico, essendo certamente inapplicabili in sede penale gli istituti civilistici della successione nel processo (art. 110 c.p.c.), della interruzione del processo (artt. 299 e ss. c.p.c.) e della sua estinzione (artt. 307 e ss. c.p.c.); cessando, quindi, ogni rapporto processuale nei confronti dell'imputato nel processo penale (per il suo venir fisicamente

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meno), viene a cessare anche quell'elemento di collegamento che consentiva di far accedere a quello il rapporto processuale civile nei suoi confronti (48308/2009). Il giudice che accerti – per mancata presentazione delle conclusioni, all'esito del dibattimento in primo grado – la revoca della costituzione di parte civile e, conseguentemente, ometta la pronuncia in ordine al risarcimento del danno, non può condannare l'imputato alla rifusione delle spese di costituzione e difesa della parte civile in quanto tale pronuncia è consentita solo nel caso di condanna dell'imputato al risarcimento dei danni subìti dalla parte civile (26192/2010). Secondo la legge sull'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione stradale, la posizione di “terzo” non può riconoscersi al conducente di un veicolo responsabile del sinistro né ai familiari del conducente (46217/2012).

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C.p.p. art. 83 Citazione del responsabile civile COMMENTO La disposizione in esame prende in considerazione l'altro soggetto privato nei cui confronti il danneggiato dagli effetti pregiudizievoli del reato può agire per ottenere la soddisfazione delle proprie pretese risarcitorie o restitutorie, cioè quel responsabile civile che è tenuto, a norma delle leggi civili, a rispondere per il fatto dell'imputato. Sin dalle battute iniziali il tenore letterale della norma in commento appare significativo dell'esatta dimensione e della portata della presenza solamente eventuale di questo soggetto nel processo penale, laddove la sua partecipazione è subordinata all'inoltro di una richiesta di citazione proveniente o dalla parte civile, intenzionata ad ottenere un reale ristoro della situazione patrimoniale compromessa rivalendosi sui beni di chi è obbligato solidale ex lege con l'autore della condotta criminosa, o dal magistrato inquirente che per ragioni di assoluta urgenza abbia provvisoriamente esercitato l'azione civile in sede penale nell'interesse del danneggiato incapace per infermità mentale o perché minorenne [77, comma 4]. Peraltro, l'unica ipotesi in cui l'istanza di citazione può essere sollevata dall'imputato è stata individuata dalla Corte Costituzionale (sent. 16 aprile 1998) nella situazione in cui lo stesso soggetto, essendo assicurato per i danni derivanti da circolazione dei veicoli, intenda chiamare in garanzia la compagnia assicurativa a fronte delle pretese avanzate dalla parte civile. Trattasi, tuttavia, di una fattispecie peculiare non riconducibile allo schema generale del contratto di assicurazione il quale, coinvolgendo esclusivamente singolo contraente e compagnia assicuratrice, preclude in radice la possibilità che quest'ultima venga citata come responsabile civile per la condotta criminosa dell'assicurato (così Cassazione n. 4940 del 1997). Occorre ulteriormente precisare come lo stesso primo comma da un lato si riferisce in modo implicito a tutte le situazioni che alla stregua di quanto prescritto dall'ordinamento civilistico prefigurano una responsabilità per fatto altrui (esempio), dall'altro prevede espressamente che il ruolo di responsabile civile possa essere ricoperto anche dall'imputato singolo in relazione alle condotte attribuite ai concorrenti laddove lo stesso venga prosciolto o venga pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere. La citazione, pertanto, viene ordinata per decreto dal giudice che procede, sulla base di una delibazione che evidentemente non entra nel merito della fondatezza della pretesa risarcitoria nei confronti dell'imputato e, di conseguenza, del soggetto tenuto a rispondere del suo operato, bensì si limita alla considerazione dei presupposti che possono prima facie giustificare un coinvolgimento dello stesso nella dialettica procedimentale. Quanto al contenuto del decreto di vocatio in iudicium non sorgono dubbi interpretativi di rilievo: l'unico aspetto che emerge immediatamente dal raffronto con l'analogo atto che trova spazio nel rito civile è la mancata previsione dell'indicazione della data e del luogo dell'udienza.

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La lacuna normativa, peraltro, si manifesta ancora più grave e bisognosa di essere colmata in via interpretativa laddove si tenga presente che, sulla scorta di quanto prescritto nei commi successivi, l'obbligo di notifica della citazione medesima e la nullità di quest'ultima derivante da notificazione viziata o da mancata indicazione di elementi essenziali sono significativi di un impianto normativo teso a salvaguardare la possibilità per il responsabile civile di esercitare tutti quei diritti alla partecipazione attiva all'udienza preliminare o dibattimentale che risulterebbero in qualche modo pregiudicati nel caso in cui il soggetto in questione non dovesse essere messo al corrente della data e del luogo di svolgimento dell'udienza. Da ultimo, la previsione finale, che collega la sopravvenuta inefficacia della citazione del responsabile civile all'estinzione della partecipazione del danneggiato costituitosi parte civile, dimostra, ulteriormente, l'imprescindibile legame tra due figure processuali riguardo alle quali la preminenza deve essere sicuramente riconosciuta a quella richiamata per ultima, tanto è vero che fino a quando non può aver luogo o comunque non produce effetto la dichiarazione di costituzione della parte civile l'intervento del responsabile civile non è in nessun modo prefigurabile.

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C.p.p. art. 84 Costituzione del responsabile civile COMMENTO La norma in commento stabilisce le concrete modalità formali attraverso le quali il soggetto che sia stato citato come responsabile civile può intervenire nel processo penale per difendere la propria posizione a fronte dell'azione risarcitoria e restitutoria esercitata dal danneggiato. Premesso che, pur essendo destinatario di un decreto giudiziale di citazione, il responsabile civile non è obbligato a prendere parte alla dialettica processuale (come peraltro dimostra il fatto che, a prescindere dalle sue decisioni, il giudice può comunque condannarlo alle restituzioni e al risarcimento dei danni, laddove ravvisi gli estremi di una sua responsabilità solidale con l'imputato [538, comma 3], facendogli notificare di conseguenza un estratto della pronuncia [disp. att. 23, comma 2]) il legislatore riconosce allo stesso la possibilità di assecondare la citazione in ogni stato e grado del processo e, in forza del principio di immanenza della costituzione, di conservare il relativo status fino alla conclusione del medesimo. Riguardo ai contenuti peculiari della dichiarazione di costituzione e alle modalità di deposito o di presentazione della medesima, la disposizione in oggetto non suscita problematiche interpretative di rilievo, rifacendosi quasi pedissequamente a quanto prescritto in ordine all'atto con il quale interviene nel processo la parte civile [78]. L'unica differenza immediatamente riscontrabile si giustifica, peraltro, proprio in ragione della particolare posizione ricoperta dal responsabile civile, il quale, essendo, al pari dell'imputato, convenuto rispetto all'azione civile esercitata dal danneggiato, destinatario del decreto di citazione, non è gravato degli stessi oneri di notifica dell'atto di costituzione previsti dal legislatore in capo alla parte civile.

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C.p.p. art. 85 Intervento volontario del responsabile civile COMMENTO 1. Mario è titolare di una bottega artigiana in cui lavora, come apprendista, Enrico. Quest'ultimo danneggia l'auto del proprietario di un negozio vicino, cosicché Mario decide volontariamente di intervenire nel processo penale per dimostrare di non aver potuto impedire il fatto. 2. Il proprietario della macchina danneggiata, dopo essersi costituito parte civile nel processo penale, propone l'istanza risarcitoria nel giudizio civile. Il pregresso intervento volontario di Mario nel processo penale perde così efficacia.

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C.p.p. art. 85 Intervento volontario del responsabile civile COMMENTO Il codice di rito attualmente vigente prevede, accanto alla fattispecie di intervento del responsabile civile a seguito di decreto di citazione sollecitato dalla parte civile, un'ulteriore modalità di partecipazione del soggetto tenuto a rispondere, in forza della legge civile, delle conseguenze patrimoniali del fatto altrui, cioè la possibilità di effettuare un intervento volontario. La ratio di una simile previsione emerge immediatamente laddove si tenga presente che, mentre nel caso di citazione giudiziale il danneggiato richiede la partecipazione del responsabile al fine di attivare una dinamica di accertamento dei fatti che favorisca la più completa soddisfazione delle proprie istanze risarcitorie e addivenga comunque ad una pronuncia in ordine alle medesime [538, comma 3], nell'ipotesi di intervento volontario è lo stesso obbligato solidale a optare per una presenza attiva nel processo penale funzionale a far valere la propria linea difensiva e a tutelare la propria posizione (esempio n. 1), anche se l'insussistenza di una citazione non legittimerebbe, nel caso di sua omessa partecipazione, una decisione del giudice penale vincolante nei suoi riguardi. L'incipit letterale della norma anche in questo caso è evidentemente significativo dell'ineliminabile legame che si determina tra la costituzione della parte civile e la presenza del responsabile nel processo penale, come, del resto, si evince immediatamente dalla disposizione di chiusura di cui al comma 4 la quale, riprendendo il disposto del comma 6 dell'articolo 83, prevede l'inefficacia sopravvenuta dell'intervento a seguito dell'estinzione della partecipazione del danneggiato regolarmente costituitosi (esempio n. 2). Il responsabile può fare il suo ingresso nel processo fino allo scadere del termine di decadenza relativo al compimento degli accertamenti afferenti alla costituzione delle parti nel dibattimento [484], ma, così come accade per la parte civile, laddove la dichiarazione di costituzione venga presentata direttamente all'udienza dibattimentale il soggetto in questione perde la facoltà di presentare liste di testimoni, periti e consulenti tecnici. Proprio la natura assolutamente volontaria e non sollecitata della scelta di intervenire nel processo penale da parte del responsabile civile nella fattispecie in questione giustifica, poi, l'onere di notifica della dichiarazione di costituzione alle altre parti della vicenda processuale gravante sul soggetto medesimo a norma del precetto contenuto nel comma 3.

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C.p.p. art. 86 Richiesta di esclusione del responsabile civile GIURISPRUDENZA L'imputato, non essendo legittimato a chiamare in giudizio il responsabile civile, in quanto non titolare di un diritto giuridicamente tutelato, non può opporsi all'estromissione del detto responsabile dal processo (6904/1994, rv 198666).

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C.p.p. art. 86 Richiesta di esclusione del responsabile civile COMMENTO Si rinvia al commento sub art. 87 successivo.

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C.p.p. art. 87 Esclusione di ufficio del responsabile civile COMMENTO Giulio, insegnante di Fabio imputato per atti di danneggiamento compiuti durante l'ora di lezione su un automobile parcheggiata nelle vicinanze della scuola, viene citato come responsabile civile nel processo penale dopo che sono state assunte testimonianze dalle quali è emerso che il medesimo si era accorto sia dell'allontanamento dell'alunno dall'aula sia del fatto che Fabio, non nuovo ad azioni dello stesso tipo, aveva portato con sé un corpo contundente.

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C.p.p. art. 87 Esclusione di ufficio del responsabile civile GIURISPRUDENZA Poiché con il contratto di assicurazione l'assicuratore non assume alcun obbligo di risarcimento nei confronti di terzi, ma soltanto un obbligo di tenere indenne l'assicurato che ne faccia richiesta ai sensi dell'art. 1917, comma secondo, c.c., manca nel processo penale sia il presupposto oggettivo-sostanziale (obbligo del risarcimento “ex lege”) sia il presupposto soggettivoprocessuale (destinatario del diritto all'indennizzo) per l'esercizio diretto dell'azione civile da parte del danneggiato nei confronti della società di assicurazione, di cui è, pertanto, legittima l'estromissione dal giudizio (4940/1997, rv 207804).

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C.p.p. art. 87 Esclusione di ufficio del responsabile civile COMMENTO La disposizione in commento e quella precedente si occupano di disciplinare quelle fattispecie di esclusione del responsabile civile dalla scena processuale, a seguito di istanza di parte o di iniziativa officiosa dell'organo giudicante, le quali vanno ad affiancarsi alle altre figure di estinzione della partecipazione del medesimo a seguito di esclusione o di revoca della costituzione della parte civile. Trattasi pertanto di situazioni nelle quali il rapporto processuale di natura civilistica, finalizzato al soddisfacimento delle pretese risarcitorie e restitutorie, instauratosi innanzi al giudice penale permane solamente in capo all'imputato e alla parte civile. Riguardo all'iniziativa ad excludendum adottata dalle parti, il legislatore ne attribuisce la legittimazione all'imputato in modo incondizionato, a meno che lo stesso non abbia richiesto la chiamata in causa dell'assicuratore (a riguardo si rinvia al commento sub art. 84), mentre alla parte civile e al pubblico ministero la stessa facoltà è riconosciuta nei limiti in cui gli stessi non abbiano avanzato richiesta di citazione del responsabile, in questo modo precludendo loro la possibilità di mutare sul punto la strategia processuale precedentemente adottata. Lo stesso responsabile civile, peraltro, laddove non sia volontariamente intervenuto, può richiedere la propria estromissione dal processo motivandola o nei termini dell'insussistenza di un titolo che legittimi la sua partecipazione, negando così qualunque legame con la posizione dell'imputato, oppure adducendo l'esistenza di elementi di prova che siano stati acquisiti al processo prima della sua citazione e che possono risultare pregiudizievoli per la sua posizione in un eventuale e successivo giudizio civile, vertente sui medesimi fatti, nel quale la sentenza penale di condanna produca effetti di giudicato in ordine alla loro sussistenza [651-654] (esempio). La richiesta di esclusione deve essere tempestivamente avanzata, a pena di decadenza, non oltre il compimento degli accertamenti sulla costituzione delle parti in sede di udienza preliminare o dibattimentale, mentre al giudice residua un ulteriore spazio temporale per l'esercizio dei poteri officiosi di esclusione che dura fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Il provvedimento giudiziale specifico assume la forma di un'ordinanza che viene adottata sulla base di una delibazione che riguarda i motivi dell'istanza di esclusione, la correttezza e la regolarità del decreto di citazione o della dichiarazione di intervento, potendo anche tradursi in una censura dell'operato del giudice dell'udienza preliminare o in una autocensura da parte del giudice del dibattimento, nel caso in cui il decreto di citazione sia stato adottato dal medesimo organo giudicante. L'articolo in argomento prevede, in chiusura, una peculiare ipotesi di esclusione del responsabile civile nel cui contesto non è richiesta alcuna delibazione da parte del giudice. Infatti è lo stesso legislatore ad imporre l'adozione dell'ordinanza di estromissione nel caso in cui venga instaurato il giudizio abbreviato, sulla base di una considerazione del procedimento in questione quale giudizio allo stato degli atti la cui

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definizione si fonda, perciò, su risultanze probatorie alla cui raccolta il responsabile non ha partecipato. Tuttavia tali considerazioni necessitano di una rivisitazione alla luce della nuova configurazione di un rito deflattivo che non è più chiuso all'ingresso di nuove acquisizioni istruttorie [438, 441] e che, d'altra parte, ammettendo la partecipazione attiva della parte civile potrebbe astrattamente contemplare tra i suoi protagonisti anche il responsabile civile. Pertanto, allo stato attuale della normativa vigente, solo esigenze di economia processuale e di celerità nella definizione del processo giustificano l'automatica esclusione dal rito abbreviato del soggetto processuale in questione.

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C.p.p. art. 88 Effetti dell'ammissione o dell'esclusione della parte civile o del responsabile civile COMMENTO Carlo, tutore di Marco imputato per le lesioni cagionate ad un passante, viene citato a comparire dal giudice quale responsabile civile per i danni provocati dall'interdetto, ma non viene condannato in quanto fornisce la prova di non aver potuto impedire il fatto.

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C.p.p. art. 88 Effetti dell'ammissione o dell'esclusione della parte civile o del responsabile civile COMMENTO Quanto fino ad ora precisato in ordine all'esatta dimensione dell'esercizio dell'azione civile in sede penale e alla natura esclusivamente processuale dei provvedimenti adottati dall'organo decidente relativamente all'ammissibilità o meno della costituzione della parte civile e dell'intervento del responsabile civile, nonché alla loro estromissione dalla vicenda processuale rende ragione del contenuto precettivo della disposizione in commento. Il primo comma esordisce affermando che l'ammissione al processo del danneggiato o dell'obbligato in solido al risarcimento del danno determinato dal fatto dell'imputato non produce nessun effetto ai fini della successiva pronuncia dell'organo giudicante che è volta a statuire sul merito delle pretese avanzate dalla parte civile. Infatti la delibazione che, in prima istanza, viene effettuata dal giudice è finalizzata esclusivamente a vagliare la sussistenza dei presupposti di legittimazione, capacità processuale e tempestività delle istanze di costituzione o di intervento, senza che ciò possa in qualche modo incidere sulle decisioni conclusive afferenti alla sussistenza del nesso tra condotta criminosa e pregiudizio arrecato alla sfera giuridica del danneggiato o del titolo che fonda l'obbligazione solidale passiva in capo al responsabile civile (esempio). Al contempo, laddove la parte civile o il suo naturale contraddittore siano stati estromessi dal processo penale, ciò a nulla rileva dal punto di vista della possibilità di far valere le rispettive pretese nel loro contesto naturale, cioè nel giudizio civile, e degli esiti cui tale forma di cognizione giudiziale può addivenire. L'unico effetto preclusivo normativamente previsto è quello relativo all'esercizio dell'azione civile, nella sua sede propria, da parte di un danneggiato che nel processo penale abbia ottenuto l'esclusione del responsabile, con ciò manifestando l'intento di non voler agire nei confronti dell'obbligato in solido con l'autore della condotta imputata per il ristoro degli specifici danni civili arrecati. Limpida nel suo tenore letterale e nel suo significato è, infine, la disposizione contemplata dall'ultimo comma la quale collega all'esclusione della parte civile dal processo penale la deroga al meccanismo di sospensione del processo civile che sia stato instaurato, sui medesimi fatti, successivamente all'esercizio dell'azione civile in sede penale [75, comma 3]. È evidente, infatti, che l'estromissione del danneggiato e lo stralcio della sua posizione da quest'ultimo contesto procedimentale priva di qualsiasi rilevanza le statuizioni del giudice penale all'interno di un processo civile che, in tale situazione, pur vertendo sugli stessi fatti, trae ragion d'essere dall'esercizio di specifiche e peculiari pretese risarcitorie in merito alle quali il giudice civile è autonomamente deputato a pronunciarsi.

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C.p.p. art. 89 Citazione del civilmente obbligato per la pena pecuniaria COMMENTO Il Titolo in commento si chiude con la determinazione delle modalità di partecipazione al processo penale da parte del soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria, cioè di quella persona fisica o giuridica che, in specifiche fattispecie normativamente predeterminate [c.p. 196-197], è tenuta a soddisfare l'obbligazione pecuniaria che grava sul condannato alle pene della multa o dell'ammenda il quale risulti insolvibile. In particolare il codice penale fa gravare questo obbligo su: – soggetti che esercitano sugli autori della condotta criminosa poteri di autorità, direzione o vigilanza e che sono tenuti a far rispettare precise disposizioni da costoro, norme della cui violazione, peraltro, essi non rispondono penalmente; – enti forniti di personalità giuridica, diversi da Stato, Regioni ed enti locali, che devono sostenere l'onere economico della sanzione pecuniaria irrogata nei confronti di chi sia rappresentante, amministratore o dipendente dei medesimi per reati che costituiscano violazioni dei loro doveri istituzionali o che siano stati commessi nell'interesse esclusivo dell'ente. In questi casi i soggetti in questione possono essere citati su istanza dell'imputato o del pubblico ministero sia nell'udienza preliminare sia al dibattimento, secondo le stesse forme e le stesse modalità previste per il responsabile civile [83, 84]. È evidente la differente natura dell'interesse che spinge rispettivamente imputato e magistrato inquirente ad avanzare la richiesta specifica, in quanto il primo mira ad evitare che, a fronte della sua insolvenza, la pena pecuniaria si converta in libertà controllata o in lavoro sostitutivo, mentre il pubblico ministero, chiedendo la citazione, intende ottenere il sicuro soddisfacimento della pretesa sanzionatoria statale consacrata dalla sentenza di condanna. La norma, infine, si chiude precludendo l'applicabilità al soggetto processuale in questione del precetto relativo all'esclusione automatica del responsabile civile nel caso in cui venga instaurato il giudizio abbreviato.

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C.p.p. art. 90 Diritti e facoltà della persona offesa dal reato COMMENTO 1. La richiesta di avocazione delle indagini avanzata dalla persona offesa nei confronti del procuratore generale non comporta necessariamente l'obbligo di una pronuncia da parte di quest'ultimo. 2. L'istanza di impugnazione della sentenza avanzata dalla persona offesa obbliga il pubblico ministero che decida di non impugnare ad adottare decreto motivato da notificare al richiedente. 3. Il minore vittima di atti di violenza sessuale perpetrati nei suoi confronti dai genitori può opporsi alla richiesta di archiviazione avanzata dal Pubblico Ministero tramite un curatore speciale.

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C.p.p. art. 90 Diritti e facoltà della persona offesa dal reato GIURISPRUDENZA L'inammissibilità dell'azione civile nel processo penale a carico d'imputati minorenni non è ostativa all'esercizio da parte della persona offesa dei diritti e delle facoltà previste dall'art. 90 c.p.p. (8482/1991, rv 188067). Avverso le sentenze pronunciate in giudizio la “persona offesa” che non sia anche “parte civile” (o “querelante” condannato alle spese o ai danni a norma dell'art. 542 c.p.p.) non è legittimata a proporre impugnazione (artt. 572, 576, 577 c.p.p.) (5161/1992, rv 189963). L'art. 90, terzo comma, c.p.p. prevede che qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà ed i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi congiunti (art. 307, quarto comma, c.p.) della medesima. Tra tali diritti rientra anche quello di proporre l'istanza prevista dall'art. 10, primo comma, c.p. per la perseguibilità di taluni delitti comuni commessi all'estero da uno straniero (4144/1993, rv 192671). La parte civile, qualora divenga maggiorenne dopo la nomina del difensore, ritualmente compiuta da parte del genitore esercente la potestà, deve attivarsi presso il difensore medesimo o provvedere alla sua eventuale sostituzione. Diversamente, non può addurre alcuna nullità della citazione, poiché la nomina del difensore precedentemente eseguita mantiene intatti i suoi effetti (10851/1995, rv 203090). In tema di diritti e facoltà della persona offesa, l'art. 90 c.p.p. consente alla suddetta, anche se non costituita (o non ancora costituita) parte civile di indicare elementi di prova e quindi anche di chiedere al giudice di merito l'ammissione di testimoni (9967/1999, rv 214182). La deposizione della persona offesa, come ogni deposizione, è soggetta a una valutazione di attendibilità intrinseca ed estrinseca del teste. Ma una volta che il giudice l'abbia motivatamente ritenuta veritiera, essa processualmente costituisce prova diretta del fatto e

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non mero indizio, senza che abbisogni neppure di riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità. Ne deriva che, nel rispetto delle suddette condizioni, anche la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può essere anche da sola assunta come fonte di prova della colpevolezza del reo (27738/2007). La deposizione della persona offesa può essere assunta, anche da sola, come prova della responsabilità dell'imputato, purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192, commi 3 e 4, c.p.p., che richiedono la presenza di riscontri esterni; tuttavia, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (29372/2010). È inammissibile il ricorso per cassazione sottoscritto personalmente dalla persona offesa avverso il decreto di archiviazione, a nulla rilevando che la stessa abbia il titolo di difensore iscritto nell’apposito albo (19759/2018).

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C.p.p. art. 90 Diritti e facoltà della persona offesa dal reato COMMENTO Prima della riforma 2015 La norma in commento appare funzionale, soprattutto nel comma di apertura, a delineare in modo analitico e concreto la portata della partecipazione e dell'incidenza della presenza della persona offesa nel processo penale. In sede introduttiva appare opportuno evidenziare il fatto che la distinzione letterale tra diritti e facoltà non è sicuramente casuale ma richiama il diverso atteggiarsi del ruolo tanto dell'autorità giudiziaria – pubblico ministero quanto dell'organo giudicante che presiede agli sviluppi del procedimento a fronte delle istanze avanzate dal soggetto in questione nel contesto processuale medesimo. Infatti laddove la persona offesa eserciti una facoltà, l'autorità giudiziaria può essere sicuramente indirizzata nelle sue opzioni procedimentali e nelle conclusioni che ritiene di trarre dalle risultanze a disposizione, ma non è vincolata a motivare in ordine alle medesime, anche qualora siano difformi dalle prospettazioni del soggetto (esempio n. 1); viceversa all'esercizio di un diritto da parte della persona offesa corrisponde l'obbligo di una precisa statuizione giudiziale adeguatamente e congruamente motivata (esempio n. 2). La disposizione, pertanto, individua le suddette attribuzioni attraverso una duplice tecnica definitoria. Essa, infatti, da un lato si limita a rinviare a tutti gli specifici e singolari precetti legislativi nel cui contesto tali diritti e facoltà sono riconosciuti, dall'altro sancisce la generica possibilità di presentare memorie e di indicare elementi di prova in ogni stato e grado del procedimento, ad eccezione del giudizio di cassazione. Riguardo al primo insieme di attribuzioni, si può tentare di rilevarne alcune, schematizzandole nel modo che segue: – avvisi strumentali all'instaurazione del contraddittorio procedimentale: diritto a ricevere l'informazione di garanzia [369], diritto a ricevere notificazione della richiesta di proroga delle indagini preliminari [406] e della richiesta di archiviazione [408], sempre che l'offeso abbia avanzato apposita istanza in tal senso; – avvisi relativi all'assunzione di prove nella fase procedimentale: la persona offesa deve ricevere comunicazione della data di svolgimento di accertamenti tecnici non ripetibili [360] e dell'incidente probatorio [398], potendo prendervi parte attiva mediante propri consulenti tecnici e con l'assistenza di un difensore; – attribuzioni nell'udienza preliminare: la persona offesa ha diritto di ricevere l'avviso della data dell'udienza di prime cure [419] ma non può parteciparvi [421]; – attribuzioni nel dibattimento: la persona offesa deve ricevere notizia del provvedimento di anticipazione o di differimento dell'udienza dibattimentale [465] e della data di assunzione di prove non rinviabili [467], deve essere citata in giudizio nel caso in cui sorgano in quella sede nuove contestazioni [516-519].

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Relativamente alla presentazione di memorie, trattasi di elaborati scritti mediante i quali il soggetto in questione prospetta soluzioni o avanza istanze comunque in grado di incidere sugli sviluppi procedimentali, tanto nel senso di indirizzare in modo diverso le investigazioni, quanto in quello di sollevare problemi e questioni sui quali al giudice è richiesto di pronunciarsi. Quanto all'indicazione di elementi di prova, il legislatore sembra riferirsi in modo peculiare al rapporto di collaborazione che in un certo senso viene ad instaurarsi tra vittima del reato e magistrato inquirente ai fini dello svolgimento delle indagini; tuttavia nulla impedisce di ritenere che lo stesso giudice dell'udienza preliminare o del dibattimento possa essere destinatario di spunti o prospettazioni istruttorie che possono sollecitare l'esercizio dei poteri officiosi di acquisizione di ulteriore materiale probatorio [421 bis, 422, 507]. Sul punto, peraltro, è opportuno mettere in risalto come la facoltà da ultimo considerata sia, attualmente, ancor più favorita nel suo concreto esplicarsi dalla nuova disciplina sulle investigazioni difensive [➠ 391 bis e ss.] la quale permette al soggetto offeso, adeguatamente supportato dal proprio difensore, di reperire quegli elementi che andrà successivamente a sottoporre all'attenzione dell'autorità giudiziaria. Nel secondo comma la disposizione si occupa dei profili relativi alla capacità processuale della persona offesa che sia minore, interdetta per infermità di mente o inabilitata, estendendo a tali fattispecie la portata delle disposizioni contenute nel codice penale relative in particolare all'esercizio del diritto di querela. Pertanto i diritti e le facoltà che sono attribuiti alla persona offesa in questi casi particolari devono essere esercitati per il tramite del rispettivo legale rappresentante (genitore, tutore o curatore), oppure, laddove esso non vi sia o si trovi in conflitto di interessi con il rappresentato, a mezzo di un curatore speciale (esempio n. 3). Nell'ultimo comma il legislatore attribuisce ai prossimi congiunti della vittima, che è deceduta in conseguenza della fattispecie criminosa oggetto di accertamento, le stesse prerogative di cui è titolare la persona offesa in quanto direttamente interessata dagli effetti del reato, permettendo loro, in questo modo, di intervenire sin dalla fase delle indagini preliminari. Ai fini della nozione di prossimi congiunti si fa riferimento a quanto contemplato dall'articolo 307 comma 4 del codice penale (si rinvia anche al commento sub art. 36). Dopo la riforma del 2015 Il D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI) si propone di dare attuazione alla delega normativa conferita al governo dalla legge 6 agosto 2013, n. 96, in particolare dall'articolo 1 nonché dall'allegato B, con riferimento alla direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. La Direttiva 2012/29/UE, ha avuto il merito, di delineare, per la persona offesa, una chiara posizione sistemica nelle diverse scansioni del procedimento penale, tanto da essere definita un autentico corpus juris, di matrice europea, dei diritti delle vittime di reato. In estrema sintesi, il provvedimento sovranazionale è organizzato in macroaree, dedicate rispettivamente al diritto della vittima all'informazione (artt. 3-7); al diritto di accedere ai servizi di assistenza (artt. 8-9); al diritto di partecipare al

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procedimento penale (artt. 10-17); e, infine, al diritto di ricevere protezione, individualizzata a seconda di eventuali, specifiche esigenze di tutela (18-23). Il suddetto provvedimento si colloca nel più ampio contesto della legislazione dell'Unione dedicata alle vittime: tra le molte, la direttiva 2004/80/CE sulla tutela delle vittime dei reati intenzionali violenti e la direttiva 2011/36/UE, che sostituisce la Decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI, stabilendo norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni nell'ambito della tratta degli esseri umani nonché introducendo disposizioni comuni per i vari Stati membri dell'Unione europea. Il diritto interno, già fortemente orientato a garantire diritti, assistenza e protezione alle vittime di reato, viene modificato solo marginalmente dal decreto, ritenendosi, all'esito di un capillare lavoro di analisi e di verifica della relativa concordanza, che molte delle disposizioni di tutela previste dalla Direttiva siano già presenti e che, per l'effetto, l'ordinamento sia sostanzialmente conforme, fatte salve le specifiche disposizioni introdotte. Quanto sopra dà conto e ragione della snella natura del decreto che consta di soli tre articoli recanti modifiche al codice di procedura penale, alle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e disposizioni di carattere finanziario. L'articolo 1 del suddetto D.Lgs. 212/2015 prevede talune modifiche al codice di rito. In particolare, il comma 1, lettera a), introduce una specifica disposizione che impone al giudice, in caso di dubbio sulla maggiore o minore età della persona offesa, di procedere all'accertamento tecnico, sancendo al contempo che, ove il dubbio permanga pur all'esito della verifica disposta, si presuma la minore età ai soli fini della applicazione delle norme processuali (di garanzia). Evidente l'analogia con la disposizione contenuta nell'articolo 8 D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, volta, però, a disciplinare l'ipotesi di dubbio sull'età dell'imputato. Inoltre, in attuazione della disposizione di cui all'articolo 2, lettera b), della direttiva che impone di includere nella nozione di familiari, oltre al coniuge, “la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuativo”, viene previsto che, qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà e i diritti previsti dalla legge sono esercitati, oltreché dal coniuge, dalla persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente.

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C.p.p. art. 90 bis Informazioni alla persona offesa COMMENTO L'articolo in commento è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI) ottemperando a quanto prescritto dal legislatore europeo, il cui dichiarato intento è quello di far sì che la vittima diventi un soggetto processuale a tutti gli effetti, consapevole e informato dei propri diritti e poteri ed in grado di gestirli ed esercitarli dentro e fuori la sede processuale. L'articolo in oggetto, rubricato “Informazioni alla persona offesa”: recepisce talune disposizioni della direttiva, la cui ratio è quella di consentire alla persona offesa, sin dal primo contatto con l'autorità, di ricevere, in lingua a lei comprensibile, una serie di informazioni utili ad orientarla durante lo svolgimento delle indagini e nell'eventuale fase processuale. In particolare, tali informazioni riguardano: le modalità di presentazione degli atti di denuncia o querela, il ruolo che assume nel corso delle indagini e del processo, il diritto ad avere conoscenza della data, del luogo del processo e della imputazione e, ove costituita parte civile, il diritto a ricevere notifica della sentenza, anche per estratto; la facoltà di ricevere comunicazione dello stato del procedimento e delle iscrizioni di cui all'articolo 335, commi 1 e 2; la facoltà di essere avvisata della richiesta di archiviazione; la facoltà di avvalersi della consulenza legale e del patrocinio a spese dello Stato; le modalità di esercizio del diritto all'interpretazione e alla traduzione di atti del procedimento; le eventuali misure di protezione che possono essere disposte in suo favore; i diritti riconosciuti dalla legge nel caso in cui risieda in uno Stato membro dell'Unione europea diverso da quello in cui è stato commesso il reato; le modalità di contestazione di eventuali violazioni dei propri diritti; le autorità cui rivolgersi per ottenere informazioni sul procedimento; le modalità di rimborso delle spese sostenute in relazione alla partecipazione al procedimento penale; la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni derivanti da reato; la possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela di cui all'articolo 152 del codice penale o attraverso la mediazione; le facoltà spettanti all'offeso nel caso in cui l'imputato formuli richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, o qualora risulti applicabile la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto; le strutture sanitarie presenti sul territorio, le case famiglia, i centri antiviolenza e le case rifugio. Il comma 27 dell’art. 1 della L. 23 giugno 2017, n. 103 (modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) interviene sull'articolo in commento, inserendo – per fini di coordinamento - anche il riferimento al nuovo comma 3-ter dell'art. 335 c.p.p. (v. ante). Tali nuove disposizioni decorrono dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della citata L. 103/2017 (3 agosto 2017).

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Dopo la riforma del 2019 L’articolo 14, L. 19 luglio 2019, n. 69, rubricato “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, al fine di tutelare la vittima del reato, è intervenuto sull'articolo in commento, prevedendo che, sin dal primo contatto tra l'autorità procedente e la persona offesa, a quest’ultima devono essere fornite, oltre che informazioni sulle strutture sanitarie presenti sul territorio, sulle case famiglia, sui centri antiviolenza e sulle case rifugio, anche informazioni sulle case rifugio e sui servizi di assistenza alle vittime di reato.

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C.p.p. art. 90 ter Comunicazioni dell'evasione e della scarcerazione COMMENTO L'articolo in commento è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI) in favore delle “vittime di delitti commessi con violenza alla persona” laddove, in attuazione dell'art. 6, par. 5, della Direttiva e ad integrazione dell'attuale regime delle comunicazioni di cui all'articolo 299, commi 1-bis e 1-ter, stabilisce che queste ultime, qualora ne abbiano fatto richiesta, debbano essere informate immediatamente circa la scarcerazione o la cessazione della misura di sicurezza detentiva, e tempestivamente circa l'evasione dell'imputato in custodia cautelare o del condannato, nonché della volontaria sottrazione dell'internato alla misura di sicurezza detentiva. Sempre conformemente alla direttiva, in tema di comunicazione dell'evasione e della scarcerazione alla persona offesa che ne faccia richiesta, si è introdotto l'inciso “salvo che risulti il pericolo concreto di un danno per l'autore del reato” che costituisce per il giudice motivo ostativo al compimento di tali comunicazioni qualora emergano concreti elementi da cui non evidenza desumere la possibilità di azioni ritorsive contro l'imputato, il condannato o l'internato in stato di libertà. Dopo la riforma del 2019 L’articolo 15, L. 19 luglio 2019, n. 69, rubricato “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, è intervenuto sull'articolo in commento, prevedendo, al comma 1-bis, che, alla persona offesa da un reato di violenza domestica o di genere e al suo difensore, al fine di tutelare la vittima stessa e di ampliare le garanzie già esistenti, vada comunicata l’adozione di provvedimenti di scarcerazione, di cessazione della misura di sicurezza detentiva, di evasione adottati nei confronti degli autori dei reati. Rispetto alla formulazione vigente prima della riforma, che prevedeva - come cisto - la comunicazione per tutti i reati commessi con violenza alla persona solo previa richiesta della vittima, la L. 19 luglio 2019, n. 69 ha previsto la comunicazione per tutti i reati commessi con violenza alla persona. Nello specifico, i reati in relazione ai quali trova applicazione siffatta normativa sono quelli disciplinati dai seguenti articoli del codice penale: artt. 572, 609-bis, 609ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis, 582 e 583-quinquies aggravati ai sensi degli artt. 576, co. 1, nn. 2, 5 e 5.1., e 577, co. 1, n. 1 e co. 2.

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C.p.p. art. 90 quater Condizione di particolare vulnerabilità COMMENTO L'articolo in commento è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI) allo scopo di fornire un criterio generale per stabilire la sussistenza, in capo all'offeso, della condizione di particolare vulnerabilità: essa va desunta, oltre che dall'età e dall'eventuale stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato e dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione deve essere valutato se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata, di terrorismo o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall'autore del reato. La condizione di particolare vulnerabilità in cui possono versare alcune vittime di reato è stata disciplinata in altre sette norme del codice di rito entrate in vigore il 20 gennaio 2016, in ottemperanza a quanto prescritto dall'art. 23 della Direttiva (Diritto alla protezione delle vittime con esigenze specifiche di protezione nel corso del procedimento penale). Si tratta degli artt. 134, 190-bis, 351, 362, 392, 398, 498, al cui commento si rinvia.

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C.p.p. art. 91 Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato COMMENTO 1. Si pensi ad associazioni ecologiste il cui scopo è quello di operare per la salvaguardia della salubrità dell'ambiente, le quali forniscano il loro apporto ai fini della corretta identificazione dei danni arrecati all'ecosistema da un complesso industriale che non rispetti la normativa anti-inquinamento. 2. La legge 349 del 1986 (art. 18) riconosce le finalità di salvaguardia dell'ambiente alle associazioni ecologiste ivi previste.

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C.p.p. art. 91 Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato GIURISPRUDENZA In materia di enti ed associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato, gli enti territoriali, come il Comune, certamente rappresentativi genericamente degli interessi delle collettività locali, non possono considerarsi esponenziali di quegli interessi specifici tutelati dalla normativa contro la violenza sessuale. Ciò tanto più ove si consideri che la legge n. 66 del 1996 ha collocato tutte le ipotesi criminose aventi ad oggetto violenza sessuale tra i “Delitti contro la persona” (Titolo XII del codice penale) e non più tra quelli contro la moralità pubblica ed il buon costume (Titolo IX). Con questa nuova collocazione sistematica è palese che il legislatore, quindi l'ordinamento, ha voluto privilegiare la tutela della persona, quale soggetto autonomo libero di autodeterminarsi, rispetto a quella dei valori morali della collettività (1464/1999, rv 212392). È ammissibile, in un procedimento per reati ambientali, la costituzione di parte civile di un'Associazione ricompresa tra quelle di cui agli artt. 13 e 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, atteso che a tali associazioni è riconosciuto il diritto di intervenire in giudizio ogni qual volta una determinata condotta possa avere recato danno all'ambiente o ad uno dei suoi componenti essenziali, e ciò in considerazione del ruolo svolto da tali associazioni, che è quello di assecondare l'attività dello Stato nella salvaguardia dell'ambiente (43238/2002, rv 223038). Nell'ambito di procedimenti penali relativi a delitti commessi in danno di una pluralità di lavoratori, e dai quali emergano comportamenti discriminatori, diretti o indiretti, di carattere collettivo, la Consigliera, o il Consigliere, regionale di parità – e nei casi di rilievo nazionale anche la Consigliera, o il Consigliere, nazionale – è legittimato a costituirsi parte civile al fine di ottenere il ristoro del danno non patrimoniale subito, non quale ente rappresentativo di interessi diffusi, ma quale soggetto danneggiato dal reato commesso nei confronti dei lavoratori (16031/2009).

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Il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori), in quanto individuato dal d.m. ambiente 17 ottobre 1995 tra le associazioni di protezione ambientale, è legittimato ad esercitare, in ogni stato e grado del processo, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa nei reati ambientali. (In applicazione di tale principio la Corte ha riconosciuto il diritto di detto ente, in tal senso richiedente, alla notifica dell'avviso della richiesta di archiviazione) (34220/2010). Le associazioni ambientaliste sono legittimate a costituirsi parti civili nei processi penali per reati ambientali iure proprio, non risultando ostativo il disposto che riserva allo Stato la possibilità di costituirsi parte civile in materia di danno ambientale, con abrogazione delle norme in materia di potere surrogatorio degli enti territoriali da parte delle associazioni ambientaliste. Tale norma, infatti, non impedisce l'applicabilità delle regole generali in materia di risarcimento del danno da reato e di costituzione di parte civile: ne consegue che, nell'ipotesi di reato commesso direttamente in danno dell'associazione ambientalista, quest'ultima assume qualità di persona offesa e può anche costituirsi parte civile, nel rispetto dei presupposti di cui all'art. 91 c.p.p. (25039/2011).

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C.p.p. art. 91 Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato COMMENTO La disposizione in commento rappresenta una radicale innovazione rispetto al sistema delineato dal previgente codice Rocco, in quanto riconosce agli enti immateriali, esponenziali di interessi collettivi o diffusi, la possibilità non solo di costituirsi nel processo come parte civile, laddove essi risultino legittimati ad avanzare istanze civilistiche di tipo risarcitorio e restitutorio, ma anche di esercitare, in particolare nella fase procedimentale anteriore all'esercizio dell'azione penale, quei poteri e quelle facoltà legislativamente attribuite alla persona offesa. È evidente l'intento di favorire la partecipazione di enti collettivi allo svolgimento di quelle specifiche attività di accertamento che sono indirizzate alla repressione di peculiari condotte criminose incidenti su interessi di portata generale il cui promovimento e la cui salvaguardia sono assegnati dall'ordinamento a determinate strutture organizzate chiamate ad operare in settori specifici del vivere civile (esempio n. 1). In via preliminare è opportuno evidenziare il tenore letterale del precetto il quale ne rivela la reale portata esprimendosi nei termini non già di attribuzioni di cui l'ente immateriale è riconosciuto titolare, bensì di esercizio di poteri e facoltà il cui vero titolare è la persona offesa. Si è in presenza, quindi, di una vera e propria “equiparazione legislativa” tra soggetti che, pur affiancandosi l'uno all'altro nel sostenere le opzioni procedimentali e le attività della magistratura inquirente, restano comunque ben distinti, come, peraltro, è dimostrato dal fatto che da un lato, nella fase delle investigazioni, l'ente collettivo non è annoverato tra i destinatari dell'informazione di garanzia, laddove, per altro verso, la persona offesa non può, nel dibattimento, chiedere la lettura degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento [511, comma 6]. Riguardo ai requisiti imposti dal codice di rito affinché tali figure plurisoggettive possano esercitare concretamente le prerogative suddette, essi possono schematizzarsi nel modo che segue, rinviando a quanto esposto a commento dell'articolo successivo riguardo ai profili del consenso della persona offesa: – assenza di uno scopo di lucro: si tratta di una condizione che il legislatore ha ritenuto opportuno contemplare al fine di evitare l'intervento nel processo penale da parte di enti collettivi che, perseguendo in via principale fini di profitto e di affermazione sul mercato, intendano giovarsi degli effetti dell'accertamento processuale allo scopo di speculare sull'incidenza delle istanze repressive, legittimamente esercitate dallo Stato, nella sfera giuridica dell'imputato; – riconoscimento legale delle finalità di tutela degli interessi pregiudicati dal reato: non si fa riferimento alla peculiare procedura prevista dal codice civile ai fini dell'attribuzione della personalità giuridica all'ente immateriale, peraltro attualmente non più vigente nella sua veste originaria, poiché a nulla rileva lo status giuridico del medesimo sotto questo specifico profilo, bensì ad una legittimazione normativa alla

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salvaguardia di specifici interessila quale rinvenga la sua fonte in una legge statale o regionale o in una fonte subordinata deputata ad attuare quella primaria (esempio n. 2); – anteriorità del riconoscimento rispetto alla commissione del reato: il legislatore ha ritenuto che la preesistenza dell'ente immateriale, che agisca per perseguire specifici scopi adeguatamente asseverati, rispetto alla condotta criminosa oggetto di imputazione rappresenti una garanzia di affidabilità e di serietà nell'esercizio di poteri e facoltà procedimentali che non possono essere attivati sull'onda emotiva della reazione scaturente dal compimento del reato. Come è previsto per la persona offesa, l'ente o l'associazione rappresentativa degli interessi lesi dal reato può avvalersi delle prerogative normativamente attribuite in ogni stato e grado del procedimento.

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C.p.p. art. 92 Consenso della persona offesa COMMENTO La norma in esame chiarisce in modo inequivocabile la portata del ruolo riconosciuto dall'ordinamento agli enti collettivi esponenziali degli interessi pregiudicati dalla condotta del reo, in quanto l'accessorietà della loro partecipazione, a sostegno delle rivendicazioni proposte dalla persona offesa, rende ragione della previsione del consenso di quest'ultima quale imprescindibile presupposto per l'esercizio delle prerogative ad essa specificamente attribuite ed attivate ad hoc dalla persona giuridica. In altri termini, nelle ipotesi in cui l'interesse leso sia concretamente radicato in capo ad una vittima persona fisica specificamente individuata, è ragionevole che sia quest'ultima a decidere liberamente quale strategia processuale adottare e se, a questo fine, può esserle di supporto l'ausilio di una struttura organizzata e specificamente deputata a promuovere e a salvaguardare, presso l'intera collettività, quei valori cui è riconducibile l'offesa concreta. La previsione di modalità espressive del consenso particolarmente rigorose dal punto di vista formale, quali l'atto pubblico e la scrittura privata autenticata, risulta funzionale a rendere la persona offesa edotta del significato processuale della sua decisione, mentre strumentale ad evitare l'eccessivo affollamento della scena processuale è la preclusione alla prestazione di un consenso rivolto a più di un ente o di una associazione. Riguardo a quest'ultimo profilo l'intento del legislatore risulta ulteriormente rafforzato dalla predisposizione della sanzione dell'inefficacia globale dell'intervenuto consenso plurimo, nel senso che, ricorrendo tale situazione, non vengono conservati gli effetti di nessuna delle manifestazioni di volontà espresse. La finalizzazione esclusiva dell'intervento dell'ente collettivo al sostegno della posizione processuale dell'offeso emerge ulteriormente dall'attribuzione a quest'ultimo di un potere di revoca del consenso precedentemente prestato, il cui venir meno pregiudica l'esercizio delle prerogative di cui all'articolo 90 da parte della persona giuridica nei successivi sviluppi della vicenda procedimentale. Peraltro la permanenza, in capo alla vittima della lesione, della libertà di mutare la propria strategia processuale, dopo la prima opzione effettuata, viene meno a seguito della revoca del precedente consenso, in quanto l'ordinamento mira ad evitare condotte poco lineari da parte della persona offesa che potrebbe in teoria arrivare a negoziare con altri potenziali enti interventori le scelte che essa è deputata ad effettuare in ordine all'ingresso dei medesimi nel procedimento. Quindi, una volta che abbia deciso di far valere in modo solitario poteri e facoltà che le sono attribuiti, la vittima del reato non può più tornare sulle determinazioni adottate, essendole precluso di acconsentire nuovamente alla partecipazione dell'ente escluso o di accettare l'intervento di una diversa persona giuridica.

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C.p.p. art. 93 Intervento degli enti o delle associazioni COMMENTO Si rinvia al commento sub art. 94 successivo.

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C.p.p. art. 94 Termine per l'intervento COMMENTO A differenza di quanto accade per il soggetto vittima dal reato, al quale va ad affiancarsi nel sollecitare l'esercizio della pretesa punitiva da parte dell'autorità giudiziaria inquirente, l'ente collettivo che intenda esercitare i peculiari poteri e facoltà riconosciuti dalla legge alla persona offesa deve porre in essere uno specifico atto di intervento che, in gran parte, ricalca nei suoi contenuti la dichiarazione che deve essere presentata dalla parte civile che intenda costituirsi nel processo penale [➠78]. In particolare merita di essere sottolineato il precetto afferente all'esposizione sommaria delle ragioni che giustificano l'intervento, in quanto esso si differenzia nettamente da quello solo apparentemente analogo che, riferendosi all'atto di costituzione del danneggiato, impone l'enunciazione dei fatti che fondano la sua pretesa risarcitoria o restitutoria. Infatti l'ente collettivo, non ricoprendo il ruolo di parte processuale alla stregua della parte civile, non può avanzare istanze di merito, ma è tenuto a prospettare un congruo panorama di elementi di fatto e di diritto che legittimino il suo intervento e lo pongano al riparo da dichiarazioni di opposizione alla sua partecipazione provenienti dalle altre parti o da ordinanze officiose di esclusione dalla dialettica procedimentale. Peraltro, al pari di quanto previsto in capo al danneggiato che diventa parte processuale, la persona giuridica non può stare in giudizio senza la rappresentanza tecnica del difensore il quale, in forza della procura conferitagli, può compiere tutte quelle attività che dovrebbero essere realizzate dall'ente collettivo e dalla persona offesa. Oltre alla presentazione dell'atto di intervento in udienza, il legislatore prevede che l'ente collettivo possa fare il suo ingresso nel procedimento, nella fase delle indagini preliminari o in quella predibattimentale, mediante atto da notificare necessariamente a tutti gli altri protagonisti della vicenda processuale ad eccezione della persona offesa che ha previamente manifestato una volontà concorde all'iniziativa della persona giuridica. Il termine ultimo per l'intervento è rappresentato dal compimento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti in sede di atti introduttivi al dibattimento [484] e l'iniziativa adottata è destinata a produrre i suoi effetti fino alla conclusione della vicenda processuale, in virtù del medesimo principio di immanenza operante anche per la costituzione di parte civile.

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C.p.p. art. 95 Provvedimenti del giudice COMMENTO 1. L'associazione ambientalista che chiede di intervenire non è iscritta nell'apposito registro previsto dalla legge n. 349 del 1986. 2. L'atto di intervento non contiene l'indicazione della procura conferita al difensore.

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C.p.p. art. 95 Provvedimenti del giudice COMMENTO La disposizione in esame individua i presupposti e le condizioni la cui presenza determina il verificarsi di una dinamica procedimentale che conduce alla preclusione della partecipazione dell'ente collettivo al processo penale o alla sua esclusione. Premesso che tale fenomeno va ad affiancarsi, quanto agli effetti provocati in relazione alla presenza della persona giuridica nel procedimento, alla revoca del consenso proveniente dalla parte offesa [➠ 92, comma 3], occorre evidenziare la sussistenza della legittimazione a sollevare l'istanza di opposizione in capo a tutte le parti private che già partecipano attivamente al compimento delle attività finalizzate all'accertamento della verità processuale, ad eccezione naturalmente della vittima del reato. Il legislatore prevede che, a fronte di un atto di intervento presentato fuori udienza e appositamente notificato, i destinatari della comunicazione, entro tre giorni dalla ricezione dell'atto, possano predisporre un'apposita dichiarazione scritta, nella quale motivino l'opposizione adducendo ragioni attinenti all'assenza in capo all'ente dei requisiti imposti dagli articoli 91 (esempio n. 1) e 92 o all'inammissibilità dell'atto di intervento per mancanza dei contenuti formali postulati dall'articolo 93 (esempio n. 2). Tale atto, a sua volta, deve essere notificato al rappresentante legale della persona giuridica che può proporre controdeduzioni nei cinque giorni successivi. Pertanto se la richiesta oggetto di opposizione è stata avanzata in sede di indagini preliminari, cioè prima della formulazione dell'imputazione, sarà il giudice della fase a pronunciarsi con ordinanza, a seguito di un contraddittorio meramente cartolare tra i soggetti in conflitto. Laddove invece l'atto di intervento sia stato presentato all'udienza preliminare o nel corso della fase pre-dibattimentale, la relativa opposizione deve essere proposta o prima dell'inizio della discussione in sede di udienza di prime cure o nel momento in cui l'autorità giudicante è chiamata a pronunciarsi sulle questioni preliminari [491], determinandosi così un confronto orale tra i soggetti contendenti sui motivi dell'istanza. I termini appena esposti sono stabiliti dal legislatore a pena di decadenza: ciò implica che, una volta scaduti, alle parti non resta che sollecitare l'iniziativa officiosa del giudice procedente, il quale, in ogni stato e grado del processo, perciò anche in una fase successiva alla dichiarazione di apertura del dibattimento, riscontrata l'insussistenza delle condizioni normativamente imposte per la partecipazione dell'ente collettivo al processo penale, può statuirne l'esclusione con ordinanza.

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C.p.p. art. 96 Difensore di fiducia COMMENTO 1. La scelta del rito alternativo è di esclusiva competenza dell'imputato; il difensore può compiere l'opzione in questione solo avendo previamente ricevuto una procura speciale. 2. La nomina di un terzo difensore da parte dell'imputato, quantunque non consentita, può spiegare effetti giuridici anche in assenza di un formale atto di revoca di precedente nomina, allorché, a seguito di fatti concludenti, si possa desumere chiaramente la volontà dell'interessato di revocare ogni rapporto con i due precedenti difensori (così Cassazione n. 5499 del 1998).

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C.p.p. art. 96 Difensore di fiducia GIURISPRUDENZA È ammissibile il ricorso per Cassazione sottoscritto da tre difensori di fiducia, dei quali soltanto quello nominato per ultimo risulti scritto nell'albo della Corte di Cassazione. La regola sancita dall'art. 96, primo comma, c.p.p., secondo cui “l'imputato ha diritto di nominare più di due difensori, postula, infatti, che entrambi i difensori abbiano la capacità giuridica di assumere l'incarico. La nomina di difensori di fiducia che non abbiano tale capacità è priva di effetti e come tale non incide sul diritto dell'imputato di essere assistito da non più di due difensori. Ne consegue che nell'ipotesi in cui l'imputato abbia nominato due difensori entrambi privi della capacità giuridica di assolvere il mandato ad esso affidato, egli può liberamente provvedere alla nomina di altro difensore, senza dover provvedere, ex art. 24 disp. trans. c.p.p., alla revoca di quelli precedentemente nominati. Tale principio trova applicazione soprattutto nel giudizio di legittimità, essendo la difesa riservata, ai sensi dell'art. 613, primo comma, c.p.p., ai difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di Cassazione. La nomina del difensore cassazionista, proprio perché richiesta espressamente dalla predetta norma, in nessun caso può essere considerata eccedente rispetto alle nomine dei difensori di fiducia fatte per il giudizio di merito, qualora nessuna di essi sia ammesso al patrocinio dinanzi alla Corte di Cassazione. Essa esaurisce i suoi effetti nell'ambito del solo giudizio di legittimità, essendo necessario, invece, perché produca effetti anche nel giudizio di merito, che l'imputato, ove abbia nominato già due difensori di fiducia, provveda alla revoca di uno di essi (2281/1995, rv 203068). L'omesso avviso ad uno dei difensori di fiducia dell'imputato della data dell'udienza costituisce nullità a regime intermedio poiché non comprime, in via totale ed assoluta, il diritto dell'imputato alla difesa in giudizio costituzionalmente garantito che resta, comunque, assicurato dalla presenza attiva dell'altro difensore nominato nell'esercizio del diritto di cui all'art. 96 c.p.p. Tale nullità

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resta sanata, a norma dell'art. 182, comma secondo, c.p.p., se l'altro difensore presente non formula eccezioni e rilievi sull'integrità della difesa all'atto della costituzione delle parti in dibattimento (191/1997, rv 207152). È inammissibile l'impugnazione autonoma dell'ordinanza del tribunale dichiarativa della cessazione dalle funzioni di difensore di fiducia dell'imputato da parte del coimputato concorrente nel reato. Né può ritenersi che il provvedimento impugnato abbia natura abnorme, e sia quindi immediatamente ricorribile per Cassazione, giacché l'eventuale inosservanza delle disposizioni concernenti l'assistenza dell'imputato troverebbe il suo rimedio giuridico nell'art. 178 cod. proc. pen, lett. c), e nella possibilità di impugnare ex art. 586 c.p.p. l'ordinanza che abbia violato il diritto di difesa dell'imputato e la sentenza (2693/1997, rv 209294). Le formalità prescritte dall'art. 96, comma secondo, c.p.p. sono richieste “ad substantiam” e sono vincolanti per quanto riguarda gli obblighi, relative alle notifiche e agli avvisi, dell'autorità giudiziaria e degli uffici giudiziari, ma sono richieste esclusivamente “ad probationem” per quanto attiene la verifica dell'espressione della volontà dell'indagato o imputato e per quanto attiene al rapporto fiduciario tra difensore e difeso. Da questo punto di vista la violazione delle forme previste dall'art. 96 c.p.p. costituisce una semplice irregolarità sanabile con comportamenti successivi. La presentazione dei motivi di impugnazione da parte del difensore nominato con un telegramma è perciò validamente effettuata (4884/1997, rv 207894). La richiesta di riesame di una misura cautelare fatta dal detenuto in carcere con la riserva di redazione dei motivi ad un difensore specificato, equivale a nomina di questi quale difensore di fiducia e comporta l'obbligo di invio degli avvisi anche a quest'ultimo difensore e non solo a quello in precedenza nominato (18071/1997, rv 208155). Se il difensore non “spende” nell'atto d'impugnazione la procura ricevuta, non può trasferire l'effetto dell'impugnazione al suo cliente. In altri termini non si verifica quell'effetto tipico della rappresentanza che è la sostituzione del difensore all'interessato nell'esercizio dei poteri processuali di quest'ultimo: perciò il difensore agisce in nome e per conto proprio, anche perché il

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giudice non è in grado di sapere se egli agisca per conto di altri, e di quali altri (2147/1998, rv 211829). Ai fini dell'abilitazione all'esercizio dell'assistenza difensiva in un procedimento giurisdizionale davanti all'autorità giudiziaria italiana da parte di legale cittadino di uno Stato membro dell'Unione Europea, costituisce presupposto indispensabile la formale comunicazione prescritta dall'art. 9 della legge 9 febbraio 1982 n. 31, diretta al presidente dell'ordine degli avvocati nella cui circoscrizione l'attività deve essere svolta. In difetto di essa, il professionista, quantunque nominato difensore dall'imputato, non è abilitato a svolgere attività defensionale e legittimamente l'autorità giudiziaria prescinde da tale nomina ai fini delle formalità previste dal codice di rito con riferimento all'assistenza difensiva (5143/1998, rv 209777). Nel caso in cui, l'imputato, senza revocare espressamente il precedente difensore, nomini durante il giudizio d'appello altro difensore di fiducia, e solo di questi in concreto si avvalga, concentrando su di esso la propria scelta, a lui affidando la propria difesa in ogni atto, adempimento o parte del procedimento di secondo grado, di guisa che il difensore prescelto, e solo questi in modo personale, diretto e autonomo abbia espletato l'incarico affidatogli, deve ritenersi per “facta concludentia” ed inequivocabilmente, l'intento dell'imputato stesso di affidare le attività defensionali al solo difensore che lo ha effettivamente assistito, e quindi, in sostanza, di revocare il mandato all'altro difensore (9478/1998, rv 211451). Nella nozione di pubblico ufficiale abilitato, a norma dell'art. 110, comma terzo, c.p.p., ad annotare, in fine di un atto scritto, che il suo autore non lo firma perché non è in grado di scrivere, non è compresa espressamente, né può farsi rientrare, in via di interpretazione, la figura del difensore, a nulla rilevando che ad esso l'art. 39 disp. trans. c.p.c. attribuisca il potere di autenticazione della sottoscrizione di atti per i quali sia previsto il compimento di tale formalità, in quanto l'autenticazione è atto con cui il pubblico ufficiale si limita ad attestare che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, mentre l'attestazione che un anonimo segno di croce proviene da una certa persona anziché da qualunque altra costituisce esercizio di una potestà certificativa esulante dal potere

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eccezionalmente riconosciuto al difensore solo in presenza di un atto regolarmente sottoscritto (22/1999, rv 212662). Il difensore di fiducia, nominato solo per alcuni procedimenti, aventi ad oggetto reati connessi, deve intendersi legittimato a chiedere la riunione e la trattazione, nel medesimo dibattimento, di tutti i procedimenti relativi e, conseguentemente, a difendere il suo assistito (al pari di quanto avviene quando, ai sensi dell'art. 517, comma 1, c.p.p., nel corso dell'istruzione dibattimentale, si profila la sussistenza di un reato connesso, non ancora contestato all'imputato) da tutte le imputazioni, attraverso le quali si articola l'ipotizzata continuazione, senza necessità di ulteriore, esplicita nomina di fiducia da parte dell'interessato. Invero, oltre a soddisfare criteri di evidente economia processuale, in tal modo si assicura all'imputato o all'indagato una difesa più efficace e più garantita ad opera di un difensore, già da lui prescelto (3335/1999, rv 212866). La nomina del difensore di fiducia fatta dall'indagato per il procedimento incidentale di riesame non dispiega effetto alcuno nel procedimento principale, del tutto autonomo e separato dal primo, non essendone prevista la conoscenza da parte dell'autorità giudiziaria procedente che viene avvisata della richiesta di riesame ai soli fini della trasmissione degli atti (4653/1999, rv 213091). In tema di nomina del difensore di fiducia, la previsione dell'art. 96, comma terzo, c.p.p., attribuisce legittimazione sostitutiva alla nomina al prossimo congiunto del soggetto “in vinculis”, fino a che questo ultimo vi provveda direttamente. In tali limiti temporali, tuttavia, la nomina effettuata dal congiunto ha piena efficacia e non è soggetta né a conferma da parte dell'interessato né a particolari termini di scadenza. In particolare, la nomina successiva di un altro difensore da parte dell'interessato non determina di per sé la caducazione dell'incarico conferito dal congiunto; tale effetto potendo conseguire solo con la revoca della precedente nomina, a norma dell'art. 107 c.p.p. (7466/1999, rv 213893). Quando un imputato, fisicamente non presente in giudizio, sia stato assistito durante una o più fasi procedimentali da professionista non ritualmente investito della funzione difensiva, l'opera del quale non sia stata mai contestata, ma anzi ratificata con il conferimento di specifico mandato ad impugnare, viene in evidenza una situazione di fatto che, per essersi protratta per lungo

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tempo, non può non essere sintomatica dell'esistenza di un rapporto fiduciario tra il professionista ed il cliente (7962/1999, rv 214594). Poiché il legislatore, pur ispirandosi al principio dell'assenza di formalità, richiede che la nomina del difensore di fiducia dell'imputato risulti con certezza nel processo attraverso la produzione dell'originale, non può sortire effetto l'atto di nomina trasmesso a mezzo telefax (1876/2000, rv 215399). La facoltà dei prossimi congiunti di nominare, ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.p. un difensore nell'interesse dell'indagato riguarda esclusivamente le persone in vinculis e non i latitanti, essendo la citata norma di carattere eccezionale e, come tale, non suscettibile di interpretazione analogica (30150/2003). L'art. 96, comma 2, c.p.p. laddove disciplina le modalità di nomina del difensore di fiducia, è una norma non inderogabile ma tipicamente ordinatoria e regolamentare, suscettibile, come tale, di interpretazione non rigida e chiusa in schemi formali, che ne compromettano la funzione garantista che la finalizza: una interpretazione diversa, rispetto a quella secondo la quale la nomina del difensore non è delimitata da steccati incompatibili con il diritto costituzionalmente previsto dall'articolo 24, comma 2, Cost., comporterebbe, infatti, che meri errori formali o disattenzioni trascurabili impedirebbero all'imputato di usufruire del difensore da lui scelto come di fiducia. Ne deriva quindi che deve ritenersi valida la nomina del difensore di fiducia, pur se non caratterizzata dal puntuale rispetto delle formalità di nomina indicate dal codice, in presenza di elementi in equivoci dai quali la nomina possa desumersi per facta concludentia. Una tale conclusione, del resto, trova conforto nel principio di tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.): non solo tra le ipotesi di nullità non rientrano le irregolarità concernenti la nomina del difensore, ma l'art. 178 c.p.p., nel prescrivere, a pena di nullità, l'osservanza delle norme a tutela dell'intervento, dell'assistenza e della rappresentanza dell'imputato, significa che la sanzione processuale è applicata non al mancato rispetto delle forme di nomina, ma alla mancata assistenza difensiva (11378/2006). Ai fini dell'individuazione del difensore al quale occorre notificare l'estratto contumaciale di sentenza in luogo dell'imputato a causa dell'inidoneità del domicilio da quest'ultimo dichiarato (o

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eletto), occorre avere riguardo al momento in cui – rilevata la necessità di procedere a tale forma di notifica e disposto che si proceda a norma dell'art. 161, comma quarto, c.p.p. – la notificazione viene spedita. Ne consegue che, qualora, anteriormente alla notificazione, l'imputato abbia nominato un difensore di fiducia, a quest'ultimo, e non a quello d'ufficio che lo abbia assistito nel giudizio di merito, va eseguita la predetta notificazione, a nulla rilevando che la citata nomina sia avvenuta in data posteriore alla sentenza (40817/2010). La nomina di un terzo difensore di fiducia dell'imputato, in assenza di revoca espressa di almeno uno dei due già nominati, resta priva di efficacia salvo che si tratti di nomina per la proposizione dell'atto di impugnazione, la quale, in mancanza di contraria indicazione dell'imputato, comporta la revoca dei precedenti difensori (S.U. 12164/2011). La rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia al quale sia stato notificato l'avviso di udienza non ha effetto immediato, essendo il difensore di fiducia rinunciante ancora onerato della difesa dell'imputato fino alla nomina del difensore di ufficio o, eventualmente, di altro di fiducia (14348/2012). La celebrazione di un'udienza dibattimentale con la partecipazione del difensore nominato dall'imputato in eccedenza rispetto al numero consentito determina una nullità di ordine generale non assoluta, che non può essere eccepita dallo stesso imputato, il quale con il proprio comportamento ha concorso a darvi causa (3229/2013). Se è vero che l'articolo 100 del Cpp non prevede alcuna sanzione processuale, né di nullità, né di inammissibilità, nel caso in cui la parte civile nomini più di un difensore, opera pur sempre il principio dettato dall'articolo 24 delle disposizioni di attuazione del Cpp, secondo cui deve considerarsi priva di efficacia la nomina di un secondo difensore di fiducia nominato dalla parte civile in eccesso rispetto al numero di un difensore previsto dal citato articolo 100, senza la previa revoca del precedente difensore: da ciò deriva l'inammissibilità dei motivi nuovi di impugnazione presentati dal secondo difensore di fiducia irritualmente nominato dalla parte civile (4283/2013).

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Al difensore di fiducia dell'imputato contumace non è dovuta la notifica dell'avviso di deposito della sentenza quando questo avviene nel termine prefissato dal giudice, a nulla rilevando l'eventuale assenza all'udienza di decisione della causa, del difensore stesso, che, conoscendo o potendo conoscere rapidamente il giorno e il tenore del dispositivo, è in grado di determinare con certezza la decorrenza dl termine per la proposizione dell'impugnazione stabilita dalla legge (5489/2013). Il difensore di fiducia che è impedito a partecipare all'udienza perché malato non ha l'obbligo di nominare un sostituto processuale e neppure di indicare le ragioni dell'omessa nomina, infatti la legge processuale non impone alcun onere in tal senso (6779/2013). Il trasferimento del luogo dell'udienza in altri locali costituisce un evento eccezionale e di tale notorietà che può essere portato a conoscenza dell'imputato e del suo difensore con modalità diverse da un avviso formale ed anche con avvisi pubblici, la cui idoneità a tale scopo andrà verificata dal giudice, con valutazione di merito che, ove sorretta da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità (14691/2013). In tema di rinvio in prosecuzione del processo ad altra udienza, l'omesso formale avviso all'imputato, già presente, della celebrazione della successiva udienza in altro edificio diverso da quello in cui sino a quel momento si era celebrato il processo con la partecipazione dello stesso imputato, non è equiparabile all'omessa citazione e non integra la nullità assoluta ed insanabile di cui all'art. 179, c. 1, c.p.p., ma, eventualmente, solo la nullità di cui all'art. 178, c. 1, lett. c), c.p.p., definibile come nullità a regime intermedio, che va eccepita nei termini previsti dall'art. 182, c. 2, c.p.p. ed è sanata, ai sensi dell'art. 183, c. 1, lett. b) dalla partecipazione del difensore di fiducia che ha assistito l'imputato nelle udienze precedenti, alla udienza immediatamente successiva che si svolge nei nuovi edifici, senza sollevare la relativa eccezione (14691/2013). Il deposito dell'atto di nomina del difensore di fiducia presso l'autorità precedente può essere effettuato, quando non vi è dubbio sull'esistenza dei rapporto fiduciario, sull'originalità dell'atto e sulla sua provenienza, anche da altro soggetto all'uopo delegato, anche verbalmente, dal difensore nominato (praticante avvocato o altro addetto allo studio), poiché la consegna in tal modo effettuata

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soddisfa comunque le condizioni indicate dall'art. 96 c.p.p. (25823/2013). La nullità, derivante dalla esecuzione della notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello presso il difensore di fiducia, anziché nel domicilio dichiarato o eletto dall'imputato, deve ritenersi sanata quando risulti provato che non ha impedito all'imputato di conoscere l'esistenza dell'atto e di esercitare il diritto di difesa, ed è, comunque, priva di effetti se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all'art. 184, c. 1, alle sanatorie generali di cui all'art. 183, alle regole di deducibilità di cui all'art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all'art. 180 c.p.p. (28971/2013). Non costituisce causa di nullità la nomina quale difensore d'ufficio di un avvocato immediatamente reperibile, ma non risultante tra quelli inseriti nei turni appositamente predisposti dal Consiglio dell'ordine, effettuata dal giudice nel corso del giudizio, in sostituzione del difensore di fiducia regolarmente citato e non comparso (3333/2015). La nomina del difensore di fiducia, contenuta nell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, è valida ed efficace nel procedimento principale, al quale il procedimento incidentale accede, con la conseguenza che l’omessa notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini e del decreto di citazione per il giudizio di primo grado integra una causa di nullità assoluta, ai sensi degli artt. 178, comma primo lett. c) e 179, comma 1, c.p.p., che si proietta sulla sentenza di primo grado e su quella impugnata, per lesione del diritto dell’imputato ad avere un difensore di sua scelta (9879/2016). È ammissibile il ricorso in Cassazione proposto da avvocato iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, nominato quale sostituto dal difensore dell’imputato, di fiducia o di ufficio, non cassazionista. Ciò in quanto l’art. 4 della Legge 6 marzo 2001, n. 60, avente ad oggetto “Disposizioni in materia di difesa di ufficio”, con cui é stata rimodulata la disciplina della sostituzione difensiva, ha modificato l’originario testo dell’art. 102 c.p.p., con la conseguenza che la nomina del sostituto processuale non é più legata all’impedimento del difensore titolare allo svolgimento dell’attività difensiva ed alla durata di esso, ma tale designazione può essere effettuata liberamente, senza alcun vincolo normativamente fissato (S.U. 40517/2016). L’imputato, provvedendo alla nomina di un difensore, conferisce a quest’ultimo il mandato di difenderlo in relazione al procedimento principale, nel quale la nomina è intervenuta, nonché a quelli incidentali direttamente derivatine, anche se di competenza di un ufficio giudiziario diverso da quello dove pende il primo, salvo che risulti un’espressa manifestazione di volontà in senso contrario dell’interessato (8824/2017). Il principio secondo cui, salvo che risulti un’espressa manifestazione di volontà dell’interessato in senso contrario, la nomina del difensore di fiducia è efficace non solo per il procedimento principale nel quale è intervenuta, ma

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anche per quelli incidentali direttamente derivati, anche se di competenza di un ufficio giudiziario diverso, trova applicazione pure nel caso in cui il pubblico ministero, in fase di indagini, abbia separato i procedimenti, individuando una diversa competenza territoriale per taluni dei reati oggetto di investigazione (8824/2017). La nomina di un difensore di fiducia effettuata dall’amministratore di sostegno dell’indagato (o dell’imputato) su espressa autorizzazione dal giudice tutelare non determina alcuna violazione del diritto di difesa, in relazione agli artt. 96 cod. proc. pen., 24 Cost., 6, par. 3, lett. c), C.E.D.U. e 14, par. 2, lett. d), Patto internazionale per i diritti civili e politici, spettando al giudice tutelare conformare i poteri dell’amministratore in relazione alla capacità ed alle esigenze di protezione del beneficiario, in modo tale da garantire allo stesso la scelta del professionista maggiormente idoneo a curarne gli interessi nel processo (3659/2017). È valida la nomina del difensore di fiducia, pur se non effettuata con il puntuale rispetto delle formalità indicate dall’art. 96 cod. proc. pen., in presenza di elementi inequivoci dai quali la designazione possa desumersi per “facta concludentia” (54041/2017). La nomina del difensore di fiducia dell’imputato, fatta con dichiarazione sottoscritta dall’imputato e trasmessa all’autorità giudiziaria procedente con raccomandata, non richiede l’autenticazione della firma da parte del difensore (57546/2017). La nomina del difensore di fiducia effettuata per il giudizio di cognizione non è efficace per la fase esecutiva, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, anche se in essa sia genericamente contemplata la eventuale successiva fase di esecuzione (14177/2018). È valida la nomina del difensore di fiducia, fatta dall’imputato con dichiarazione scritta, anche se mancante di autenticazione, non essendo tale requisito richiesto dall’art. 96 cod. proc. pen. (8205/2018). La designazione del sostituto da parte del difensore può essere effettuata con delega "orale" ai sensi dell’art. 96, comma 2, c.p.p., come interpretato alla luce della tacita abrogazione dell’art. 9 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, conv. dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, per effetto della legge 31 dicembre 2012, n. 247 di riforma dell’ordinamento della professione forense (57832/2018). Nel processo penale non è consentito all’imputato, che rivesta la qualità di avvocato, di esercitare l’autodifesa, difettando un’espressa previsione di legge che la legittimi (46021/2019). Il diritto d’impugnazione può essere esercitato autonomamente da ciascun difensore di uno stesso imputato, con la proposizione di autonomi atti, sempre che - in ossequio al principio di unicità dell’impugnazione - al momento di presentazione del successivo atto di appello o di ricorso non sia già decorso il termine per il gravame e non sia intervenuta una decisione sull’impugnazione proposta da uno dei soggetti legittimati (11600/2019).

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C.p.p. art. 96 Difensore di fiducia COMMENTO La norma in commento si fonda sul principio accolto dal nostro ordinamento in forza del quale ogni soggetto privato che sia parte nel processo penale deve essere assistito da un proprio difensore; il prescritto obbligo della difesa tecnica in tale ambito preclude, quindi, l'esplicarsi di quell'autodifesa che il sistema attuale ha definitivamente superato nell'ottica della più ampia salvaguardia delle garanzie costituzionali di cui il singolo individuo è titolare. Il codice di rito detta, in particolare, una peculiare disciplina per ciascun soggetto processuale (parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria), prevedendo un'autonoma regolamentazione per il difensore dell'imputato. È infatti indubbio che sia proprio il soggetto nei cui confronti viene formulata l'imputazione, la parte privata che riveste il ruolo di maggior spicco nella dinamica processuale, in quanto deputato a difendersi dalle accuse mosse dal magistrato inquirente. Il primo comma della disposizione in esame impone un limite numerico alla nomina dei professionisti deputati alla tutela dell'imputato, fissandolo in due unità. Tale restrizione, se a prima vista costituisce un vincolo all'esplicarsi del diritto di difesa, risponde in realtà ad esigenze di ordinato svolgimento della dialettica processuale: proprio per questo motivo la nomina di un ulteriore patrocinatore deve ritenersi irrilevante fino al momento in cui non venga revocata la designazione di quello eccedente [disp. att. 24]. La scelta della imprescindibilità della difesa tecnica non esclude peraltro che l'imputato possa compiere determinate attività processuali senza l'assistenza del legale di fiducia, in quanto la presenza di quest'ultimo ha il solo scopo di consentire al tutelato il più proficuo esercizio delle prerogative garantitegli dall'ordinamento (esempio n. 1). La stessa rubrica della disposizione evidenzia come il rapporto che si instaura tra il difensore e l'assistito è caratterizzato dalla fiducia: perciò, laddove essa venga a mancare, l'imputato può revocare il proprio mandato allo stesso modo in cui il professionista può rinunciarvi per qualsiasi causa. Revoca della designazione e rinuncia alla stessa sono, pertanto, manifestazioni di volontà naturalmente connesse al carattere bilaterale del rapporto giuridico insorto il quale permane solo finché sussiste una concordia di intenti tra avvocato e assistito. Dal punto di vista rigorosamente formale l'atto di nomina del legale deve assumere i connotati di una dichiarazione depositata nella cancelleria dell'autorità procedente, anche se la preminenza costituzionale del diritto di difesa porta a ritenere che la designazione possa risultare anche da atto avente forma libera o da un comportamento concludente della parte (esempio n. 2), purché emerga in modo inequivocabile la volontà del soggetto da tutelare. Al fine di agevolare la presa d'atto

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dell'avvenuta elezione del rappresentante tecnico, il codice di rito prevede tre diverse modalità di comunicazione: – deposito della dichiarazione di nomina presso la cancelleria dell'autorità giudiziaria davanti a cui è pendente il procedimento; – consegna diretta della dichiarazione all'autorità procedente da parte del patrocinatore; – trasmissione della dichiarazione mediante raccomandata diretta all'autorità presso cui è pendente il procedimento stesso. Inoltre, l'art. 27 delle disposizioni di attuazione prevede che, su richiesta, il difensore documenti la propria qualifica esibendo la certificazione della nomina, la copia attestante l'avvenuto deposito, la copia conforme all'originale e l'eventuale attestazione della nomina ex art. 97 successivo nel caso si tratti di difensore d'ufficio. Il diritto di nominare un legale ha natura strettamente personale ed è riservato al solo imputato (o indagato), salvo quanto eccezionalmente previsto dal comma di chiusura della disposizione in commento laddove si configura un'ipotesi peculiare di legittimazione alla designazione in capo a soggetti diversi dal diretto interessato. In tal modo si realizza un coinvolgimento dei prossimi congiunti del soggetto in questione che intende rispondere alla necessità di sopperire alle difficoltà concrete che l'indagato o l'imputato in vinculis, in quanto sottoposto a misura cautelare, arresto o fermo, può incontrare nell'elezione di un difensore di fiducia. Peraltro occorre specificare che è sempre la volontà dell'imputato a prevalere qualora essa contrasti con quella dei familiari, in quanto l'intervento dei medesimi è prefigurato solo in via sussidiaria e mai sostitutiva della libertà di scelta del diretto interessato. Ricordiamo, infine, che l'autenticazione della firma del querelante effettuata da un avvocato deve ritenersi valida solo nel caso in cui questi sia stato nominato difensore della persona offesa, a norma degli articoli 101, comma 1, e 96, comma 2,; ma la dichiarazione di nomina non necessita di formule sacramentali e può essere ravvisata in altre dichiarazioni rese dalle parti nell'atto di querela, quali l'elezione di domicilio presso il difensore che ha autenticato la sottoscrizione (così Cassazione S.U. n. 26549 del 2006).

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C.p.p. art. 97 Difensore di ufficio COMMENTO Relativamente ad un'udienza di convalida dell'arresto, non può ritenersi sufficiente, per realizzare le condizioni fissate dall'articolo per la nomina di altro difensore, la circostanza che i Carabinieri recatisi allo studio del difensore di fiducia alle ore 17,15 di una domenica per dargli avviso della data fissata per l'udienza, abbiano trovato lo studio medesimo chiuso.

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C.p.p. art. 97 Difensore di ufficio GIURISPRUDENZA Il nuovo codice di procedura penale si ispira all'esigenza di assicurare la continuità dell'assistenza tecnico-giuridica e di garantire la concreta ed efficace tutela dei diritti dell'imputato, secondo il principio dell'immutabilità del difensore fino all'eventuale dispensa dall'incarico, sicché quando sia stata effettuata una nomina di fiducia, l'eventuale mancata comparizione del difensore in udienza non comporta la revoca implicita della designazione fiduciaria, ma dà luogo alla sostituzione ai sensi dell'art. 97, quarto comma, c.p.p. Ne consegue che titolare dell'incarico difensivo rimane sempre l'originario difensore designato, il quale, una volta cessata la situazione causativa della sostituzione, riprende immediatamente il suo ruolo in maniera automatica, proprio per l'indicato principio dell'immutabilità della difesa; ulteriore conseguenza è che l'unico destinatario della notificazione degli atti destinati alla difesa, quali i provvedimenti destinati al gravame, è il difensore titolare dell'incarico e non il temporaneo sostituto (3832/1997, rv 208081). Titolare dell'ufficio di difesa resta sempre il soggetto originariamente nominato, il quale, venuta meno la situazione che ha dato causa alla sua eventuale sostituzione, può riprendere immediatamente a svolgere il suo ruolo e ricominciare ad esercitare tutte le sue funzioni, senza ulteriori adempimenti. Ne consegue, da un lato, che la sostituzione non richiede alcuna preventiva autorizzazione del giudice, il quale ha solo il potere-dovere di verificare la sussistenza dei presupposti che ne condizionano l'operatività e non può, in caso di omissione, far ridondare la sua negligenza a svantaggio dell'interessato; dall'altro, che il sostituto può esercitare il diritto di chiedere la liquidazione del compenso spettantegli a norma dell'art. 12 della legge n. 217 del 1990 (ora D.P.R. 115 del 2002, n. d.r.) (3304/1998, rv 211298). È possibile la rinnovazione della nomina del difensore d'ufficio in persona di soggetto diverso da quello originariamente designato

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(art. 97, comma terzo, c.p.p.) quando quest'ultimo non abbia avuto modo di svolgere alcuna attività defensionale e non si siano create pertanto le condizioni per una sua eventuale sostituzione a norma dell'art. 97, comma quarto, c.p.p. detto. In tal caso infatti non ha avuto inizio l'attività processuale per la quale l'esercizio della difesa è richiesto e non opera pertanto il principio di immutabilità della difesa (8002/1998, rv 211483). Poiché tutte le situazioni che possano configurarsi come remore, giuridiche o morali, all'adempimento dei compiti del difensore generano una difesa non effettiva ed in sostanza inesistente, integra la nullità assoluta di cui all'art. 178, lett. c), e all'art. 179 c.p.p. la partecipazione agli atti per i quali è previsto l'intervento obbligatorio della difesa di un difensore che abbia in precedenza esercitato, nello stesso processo, la funzione di giudice e si sia in tale veste pronunciato nel senso della colpevolezza dell'imputato assistito (12924/1999, rv 214581). Il mancato reperimento del difensore, verificandosi il quale, ai sensi dell'art. 97, comma quarto, c.p.p., richiamato, per quanto attiene l'udienza di convalida del fermo o dell'arresto, dall'art. 391 comma secondo, c.p.p., si dà luogo alla designazione, come sostituto, di altro difensore immediatamente reperibile, non deve necessariamente risultare dall'esito negativo della notifica dell'avviso, disposta in una delle forme previste dalla legge, ma può essere accertato in qualsiasi altro modo obiettivo e documentabile (4846/2000, rv 217911). Il provvedimento di designazione del sostituto del difensore, di ufficio o di fiducia, previsto dal quarto comma dell'art. 97 c.p.p., non richiede atti formali, ma soltanto l'accertamento, da parte del giudice dell'esistenza delle condizioni che impongono di procedere alla sostituzione (5204/2000, rv 216066). La sostituzione del difensore di fiducia assente con un difensore d'ufficio per un atto del processo che impone l'assistenza all'imputato, non determina il venir meno della qualità nel difensore di fiducia medesimo, con la conseguenza che a quest'ultimo vanno notificati gli atti processuali successivi (9383/2000, rv 217343). La valida designazione del difensore d'ufficio è strettamente connessa al primo atto valido per cui è prevista l'assistenza del difensore avuto riguardo alla disciplina introdotta dall'art. 97 c.p.p.,

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che è quella di garantire l'effettività della difesa d'ufficio la quale deve essere, pertanto, messa in relazione con l'efficace avvio dell'attività processuale per la quale è prevista l'assistenza del difensore. Ne consegue che nel caso di atto improduttivo di effetti perché nullo non opera il principio di immutabilità del difensore – esteso anche al difensore d'ufficio – in quanto nessuna efficace attività processuale è stata svolta (12104/2000, rv 217983). In tema di difesa e rappresentanza dell'imputato, se, alla data di emissione e notificazione dell'avviso di convocazione per l'udienza, non vi è in atti prova dell'impedimento del difensore (nella specie, stato di custodia cautelare), né esso risulta certificato dalla successiva relata di notifica, il giudice non è tenuto a procedere alla nomina del difensore di ufficio (25007/2001, rv 219466). Configura nullità di ordine generale non assoluta l'immotivata sostituzione del difensore d'ufficio nell'ipotesi in cui detta sostituzione sia avvenuta in una fase processuale successiva alla nomina, non potendo presumersi in tal caso che il difensore già nominato non abbia svolto attività difensiva, sia pure non manifestatasi all'esterno (33724/2001, rv 219926). Il difensore di ufficio, il quale sia rimasto del tutto assente nel giudizio di cognizione, disinteressandosi del proprio assistito, può essere legittimamente sostituito dal giudice dell'esecuzione, anche attraverso un provvedimento implicito di dispensa dall'incarico, che si può realizzare attraverso la nomina di un diverso difensore di ufficio nel decreto di irreperibilità (9815/2002, rv 221520). Il mancato reperimento del difensore, verificandosi il quale, ai sensi dell'art. 97 c.p.p., comma quarto, richiamato, per quanto attiene l'udienza di convalida del fermo o dell'arresto, dall'art. 391, comma secondo, c.p.p., si dà luogo alla designazione, come sostituto, di altro difensore immediatamente reperibile, non deve necessariamente risultare dall'esito negativo della notifica dell'avviso, disposta in una delle forme previste dalla legge, ma può essere accertato in qualsiasi altro modo obiettivo e documentabile (30357/2003, rv 225139). La designazione, quale difensore di ufficio, di un difensore diverso da quello di turno secondo la tabella formata dal Consiglio dell'ordine forense d'intesa con il Presidente del Tribunale non

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configura una nullità sussumibile nella previsione dell'art. 178, comma primo, lett. c), c.p.p. (2176/2011). Nell’evenienza della morte del difensore di fiducia presso cui è stato eletto o dichiarato domicilio, cui consegue la designazione di un difensore d’ufficio ai sensi dell’art.97 c.p.p., qualora non vi è prova agli atti della conoscenza da parte dell’imputato dell’evento infausto, la rinnovazione della notifica del decreto di citazione a giudizio deve essere eseguita ai sensi degli artt.157 e 159 c.p.p. e non nelle modalità di cui all’art.161, quarto comma, ultimo periodo, c.p.p. (13417/2016). L’omesso avviso dell’udienza al difensore di fiducia tempestivamente nominato dall’imputato o dal condannato, integra una nullità assoluta ai sensi degli artt. 178, comma primo lett. c) e 179, comma primo c.p.p., quando di esso è obbligatoria la presenza, a nulla rilevando che la notifica sia stata effettuata al difensore d’ufficio e che in udienza sia stato presente un sostituto nominato ex art. 97, comma quarto, c.p.p. (nella specie, l’avviso era stato inviato ad un numero di fax diverso da quello del difensore) (17407/2016). L’assenza all’udienza camerale del difensore di fiducia dell’instante, sostituito, ex art. 97, comma 4, c.p.p., dal difensore di ufficio, non equivale a mancanza di interesse (19123/2016). La cancellazione del difensore d’ufficio nominato all’imputato dall’elenco nazionale dei difensori d’ufficio non impedisce l’esercizio dell’attività difensiva e non determina il venir meno dell’obbligo di prestare il patrocinio, che è posto a carico del difensore sino a quando egli non sia sostituito per giustificato motivo (5816/2017). L’imputato dichiarato assente all’udienza preliminare ai sensi dell’art. 420-bis cod. proc. pen., come novellato dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, non ha diritto all’avviso del rinvio dell’udienza a data fissa disposto per impedimento del difensore, in quanto rappresentato dal sostituto di quest’ultimo, anche se nominato d’ufficio (1524/2017). Il mancato esercizio, da parte del giudice, della facoltà di sostituire il difensore d’ufficio per giustificato motivo, ai sensi dell’art. 97, comma 5, cod. proc. pen., non dà luogo, in difetto di espressa previsione, ad alcuna nullità (3659/2017).

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È legittima la sostituzione del difensore d’ufficio, a condizione che il designato non abbia svolto alcuna incombenza difensiva e non si sia attivato in favore del proprio assistito, non operando, in tal caso, il principio dell’immutabilità della difesa sino all’eventuale dispensa dall’incarico o nomina fiduciaria (3444/2017). In tema di difesa d’ ufficio, l’irrituale sostituzione del difensore d’ufficio originariamente nominato, senza che ricorrano le condizioni previste dall’art. 97, commi 4 e 5, cod. proc. pen., determina la nullità degli atti successivi solo in presenza di una concreta lesione del diritto di difesa (1245/2017). In tema di decreto penale, l’art. 461, comma 1, cod. proc. pen., che prevede la legittimazione del difensore “eventualmente nominato” a proporre l’opposizione al decreto penale, deve essere interpretato nel senso che la legittimazione compete anche al difensore nominato d’ufficio (7693/2017). In materia processuale penale la verifica della regolare costituzione delle parti costituisce dovere primario del giudice, da svolgere quale atto introduttivo del giudizio, d’ufficio e senza necessità di alcuna sollecitazione. Quanto all’imputato, tale accertamento precede tutti gli altri e prescinde del tutto dall’esito della analoga verifica effettuata nei confronti dei difensori. Sono infatti legittimi tanto la prioritaria dichiarazione di contumacia dell’imputato in presenza del difensore designato ai sensi dell’art. 97, comma 4 c.p.p. in sostituzione del difensore di fiducia che abbia richiesto il rinvio dell’udienza per impedimento a comparire, quanto, in accoglimento di tale richiesta, il successivo rinvio del processo ad altra udienza. Dunque, in caso di assenza in dibattimento, sia dell’imputato che del difensore, la dichiarazione di contumacia del primo è preliminare rispetto alla valutazione dell’impedimento a comparire prospettato dal difensore di fiducia non comparso. Tale principio se valido per il caso di assenza dell’unico difensore fiduciario, risulta ancora più efficace quando uno dei legali di fiducia sia comunque presente risultando assente l’altro, ancorché per difetto di notifica (10182/2018). La rinuncia al mandato difensivo comporta l’obbligo per il giudice, a pena di nullità, di nominare all’imputato - che non abbia provveduto ad una nuova nomina fiduciaria - un difensore d’ufficio, in quanto l’eventuale designazione temporanea di un sostituto, ai

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sensi dell’art. 97, comma 4, c.p.p., ha natura episodica, essendo consentita nei soli casi di impedimento temporaneo del difensore di fiducia o di quello di ufficio (16958/2018). In tema di giudizio minorile, in caso di rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia, non integra causa di nullità la nomina, quale difensore d’ufficio, di un avvocato non iscritto nell’elenco dei difensori abilitati al patrocinio davanti al tribunale per i minorenni, difettando una espressa previsione normativa in tal senso (15050/2019).

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C.p.p. art. 97 Difensore di ufficio COMMENTO Prima della riforma del 2015 Il principio costituzionale dell'inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento fonda la predisposizione, all'interno del sistema delineato dal codice di rito, di un istituto che salvaguarda l'imprescindibilità del patrocinio legale nel processo penale mediante la previsione della nomina di un difensore d'ufficio il quale è chiamato a svolgere le stesse funzioni cui sarebbe deputato il legale di fiducia che risulti per vario motivo assente. Il ruolo istituzionale che, in questa specifica eventualità, l'avvocato è chiamato a ricoprire, ancor più che nell'ipotesi fisiologica di patrocinio legale fondantesi su un rapporto di fiducia tra professionista e assistito, rende ragione dell'obbligatorietà della prestazione professionale e di una sostituibilità del medesimo circoscritta alle sole ipotesi di giustificato motivo. Inoltre, occorre evidenziare come la difesa d'ufficio sia istituto collegato esclusivamente alla figura del soggetto nei cui confronti è stata formulata l'imputazione e non anche alle altre parti private eventuali, a dimostrazione ulteriore della volontà del legislatore di assicurare con ogni mezzo un adeguato sostegno alla peculiare posizione processuale dell'accusato. Al difensore nel caso di specie sono garantiti dalla legge gli stessi poteri e diritti del legale di fiducia, anche riguardo alla retribuzione della sua prestazione professionale la quale risulta garantita da quanto prescritto dagli artt. 31, 32 e 32 bis delle disposizioni di attuazione. Occorre evidenziare, tuttavia, che i criteri di selezione dei difensori d'ufficio sussistenti fino all'entrata in vigore della legge n. 60 del 2001 non assicuravano una piena effettività del diritto ad un'adeguata difesa tecnica, a causa della possibilità di individuare di volta in volta l'avvocato incaricato a prescindere da direttive e criteri imparziali. Proprio per far fronte a tali discrasie sono stati introdotti parametri automatici di individuazione che hanno causato il venir meno di quella discrezionalità nella nomina del rappresentante tecnico ad opera dell'autorità giurisdizionale che aveva caratterizzato il sistema previgente. La legge di riforma del 2001 ha, infatti, stabilito che presso ogni consiglio dell'ordine forense sia istituito un apposito ufficio centralizzato che predisponga elenchi nominativi di legali deputati ad essere designati su richiesta dell'autorità giudiziaria e individuati sulla base delle loro specifiche competenze, della prossimità alla sede del procedimento e della loro reperibilità. Attraverso la selezione telematica si assicura, perciò, la più ampia obiettività e neutralità nella individuazione del patrocinatore di turno, salvaguardando anche l'esigenza, fatta propria dalla classe forense, di permettere a tutti gli avvocati iscritti nelle apposite liste di effettuare il proprio turno di reperibilità. In tale modo, l'attività di elezione posta in essere dagli organi giurisdizionali costituisce una mera presa d'atto di quanto già determinato alla stregua del meccanismo automatico suddetto, così come si evince dal combinato disposto degli artt. 29 e 30 disp. att.

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Pertanto, qualora il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria debbano compiere un atto per cui è richiesta la necessaria presenza del rappresentante legale, una volta nominato quest'ultimo secondo le indicazioni provenienti dall'ufficio centralizzato del consiglio dell'ordine forense, viene data immediata comunicazione della designazione allo stesso professionista interessato e all'imputato, al quale verrà fatto presente che, in qualunque momento, potrà scegliere di affidarsi ad un legale di fiducia. Il legislatore ha eliminato, inoltre, qualunque possibilità di influire sull'elezione del rappresentante legale da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria e dei dipendenti dell'amministrazione penitenziaria, prevedendo altresì l'applicazione di una sanzione disciplinare a carico di coloro i quali diano consigli sul merito della scelta [disp. att. 25]. Qualora il difensore nominato non sia immediatamente reperibile, o non sia comparso o, ancora, abbia abbandonato la difesa, il giudice dell'udienza è tenuto a nominare un altro legale il quale assume la qualifica di sostituto ai sensi dell'articolo 102, purché iscritto negli elenchi dei difensori d'ufficio. Negli stessi casi il pubblico ministero e la polizia giudiziaria designano un altro difensore secondo le stesse modalità telematiche, salvo che si versi in situazioni di urgenza in cui il legale può essere individuato discrezionalmente, previa indicazione, nel provvedimento di nomina, dei motivi e delle ragioni dell'urgenza (esempio). Si deve, comunque, ritenere che il principio di immutabilità del difensore d'ufficio (così Cassazione n. 6493 del 1998) precluda l'adozione del provvedimento di sostituzione in assenza dei presupposti indicati dal quarto comma della norma in commento. La sussidiarietà della presenza del difensore d'ufficio è ulteriormente evidenziata dall'automatica caducazione della sua prestazione laddove l'imputato sia in grado e decida di eleggere un legale di fiducia, nel qual caso la stessa ragion d'essere dell'istituto in esame viene inevitabilmente a mancare. Dopo la riforma del 2015 A seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 30 gennaio 2015, n. 6 (Riordino della disciplina della difesa d'ufficio, ai sensi dell'articolo 16 della legge 31 dicembre 2012, n. 247), il comma 2 dell'articolo in commento viene sostituito prevedendo – in combinato disposto con l'art. 29, disp. att. c.p.p. (anch'esso novellato dal citato D.Lgs. 6/2015) – che il nominativo del difensore d'ufficio viene fornito all'autorità procedente dai locali Consigli dell'ordine, mediante l'ufficio centralizzato costituito presso le Corti d'appello. A tale scopo i Consigli devono provvedere a predisporre un elenco dei professionisti iscritti all'albo che facciano parte dell'elenco nazionale. La nuova disciplina prevede altresì che i criteri per la designazione del difensore siano dettati dal Consiglio nazionale forense (e non più dagli stessi Consigli dell'ordine) sulla base della prossimità alla sede del procedimento e della reperibilità.

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C.p.p. art. 98 Patrocinio dei non abbienti GIURISPRUDENZA Il provvedimento di ammissione di un soggetto al patrocinio a spese dello Stato in mancanza dei presupposti di legge può essere legittimamente revocato, rientrando la revoca nella generale potestà di autotutela della Pubblica Amministrazione (2726/1996, rv 206113). L'ambito delle attività difensive relativamente alle quali può trovare applicazione, ai sensi dell'art. 75, comma 2, del T.U. sulle spese di giustizia approvato con D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, l'istituto del patrocinio dei non abbienti, dev'essere osservato, per identità di “ratio”, anche con riguardo alla difesa dei collaboratori di giustizia, alla quale si riferisce l'art. 115 del medesimo T.U. (32296/2003, rv 225118). È inammissibile l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata alla Corte di Cassazione, in quanto la regola generale, secondo cui competente è l'ufficio del magistrato innanzi al quale pende il processo, non trova applicazione nel caso in cui il processo si trovi nel grado di legittimità, spettando in tal caso la competenza all'ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato (27581/2010). In tema di gratuito patrocinio, la presunzione di reddito superiore a quello ufficiale non può fondarsi su una condotta delittuosa per la quale sia stata dichiarata la sussistenza di una causa estintiva o sia intervenuta una sentenza di condanna non ancora irrevocabile, ostandovi la lettera dell'art. 76, comma quarto bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che ancora l'operatività della presunzione medesima all'esistenza di una sentenza definitiva per i reati ivi espressamente previsti (9703/2013). La disciplina sul patrocinio a spese dello Stato trova applicazione anche nel procedimento incidentale di riesame di una misura cautelare, giacché l'art. 75, comma primo, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, prevede la validità dell'ammissione del patrocinio “per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse” (8339/2015).

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C.p.p. art. 98 Patrocinio dei non abbienti COMMENTO Il dettato costituzionale, contestualmente all'affermazione dell'inviolabilità del diritto di difesa, nel comma 3 dello stesso articolo 24 garantisce a coloro che versino in particolari situazioni di difficoltà economica i mezzi e gli strumenti per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. Sulla base di tale precetto l'ordinamento predispone una disciplina analitica e integrale per i casi in cui la parte eventuale (parte civile che voglia costituirsi in giudizio, responsabile civile o civilmente obbligato per la pena pecuniaria) o la parte necessaria (indagato o imputato) del processo penale non abbia le disponibilità economiche per far fronte alle spese processuali conseguenti alla nomina e all'operato del difensore di fiducia. La disposizione in commento, pertanto, costituisce una norma cardine dell'intero sistema processuale penale e, nel dare attuazione ai principi della Costituzione, produce la conseguenza di far divenire parte integrante del codice di rito la normativa contenuta attualmente nella parte III del D.P.R. n. 115 del 2002 cui si rinvia per una lettura analitica dei precetti in esso contenuti.

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C.p.p. art. 99 Estensione al difensore dei diritti dell'imputato COMMENTO 1. Il difensore dell'imputato può avanzare istanza di riesame avverso un decreto di sequestro probatorio. 2. Si consideri la scelta del rito abbreviato cui consegue la definizione della posizione processuale dell'imputato sulla base degli atti esistenti al momento in cui è in corso di svolgimento l'udienza preliminare, senza che abbia luogo la dialettica dibattimentale.

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C.p.p. art. 99 Estensione al difensore dei diritti dell'imputato GIURISPRUDENZA In tema di esercizio del diritto di difesa, l'attività svolta dal difensore nell'interesse dell'imputato non può porsi in contrasto con la volontà di quest'ultimo, competendo al medesimo il potere, a norma dell'art. 99 c.p.p., capoverso, di togliere effetto all'atto compiuto dal difensore prima che in relazione ad esso sia intervenuto un provvedimento del giudice (4024/1994, rv 197396). In tema di proscioglimento predibattimentale, l'opposizione dell'imputato contumace può essere espressa anche dal difensore. A questo competono, infatti, a norma dell'art. 99 c.p.p., le facoltà e i diritti che la legge riconosce all'imputato, a meno che siano riservati personalmente a quest'ultimo. Poiché per l'assenso al proscioglimento predibattimentale, l'art. 469 c.p.p. non ha riservato personalmente all'imputato il relativo potere, il consenso del difensore è validamente dato per l'imputato (5588/1995, rv 202334). In tema di impugnazioni, poiché al difensore del latitante (o dell'evaso) è conferito il potere di rappresentanza “ad ogni effetto” del predetto soggetto, lo stesso, nella veste di vero e proprio “alter ego”, può proporre impugnazione quale sostituto legale nella legittimazione personale, con la conseguenza che è ammissibile – in tal caso – impugnazione presentata da difensore di ufficio e, in ipotesi di ricorso per Cassazione, anche da parte di professionista non iscritto nell'apposito albo. Ed invero, il diritto di difesa, che non soffre eccezioni o limitazioni in ragione dello stato di latitanza, si esprime anche mediante la possibilità di impugnazione di una sentenza di condanna (6585/2003, rv 223564). L'opposizione alla pronuncia della sentenza di proscioglimento predibattimentale può essere manifestata anche dal solo difensore, che ha facoltà di esercitare i poteri che la legge attribuisce in via non esclusiva e personale all'imputato. (Nella specie, peraltro, la Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata avesse natura di sentenza dibattimentale, non predibattimentale) (24481/2010)

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Il difensore di ufficio dell'imputato è legittimato a proporre istanza di restituzione in termini per l'impugnazione o l'opposizione avverso sentenza contumaciale o decreto di condanna (16719/2011).

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C.p.p. art. 99 Estensione al difensore dei diritti dell'imputato COMMENTO La disposizione in commento, estendendo al patrocinatore i diritti e le facoltà spettanti all'imputato (esempio n. 1), attribuisce al primo un ruolo centrale nel contesto della dinamica processuale, non limitato, cioè, alla mera assistenza e al mero supporto della posizione dell'assistito. Tale precetto è, in particolare, riconducibile al fenomeno della cosiddetta rappresentanza concorrente sulla scorta della quale l'esercizio delle prerogative difensive da parte del legale ritualmente nominato, sia esso difensore di fiducia o avvocato d'ufficio, si affianca alla permanente sussistenza degli stessi poteri e facoltà riconosciuti dall'ordinamento giuridico in capo all'assistito. L'unico limite imposto dal codice di rito all'operatività di tale istituto è previsto in relazione a tutti quegli atti per i quali è postulata un'espressa manifestazione di volontà dell'imputato nella prospettiva delle limitazioni che conseguono all'esercizio dei suoi diritti nel contesto della dialettica procedimentale. Si fa riferimento a quanto accade rispetto alla scelta dei riti alternativi in relazione ai quali la posizione processuale della parte viene definita senza passare attraverso tutte le fasi fisiologiche del procedimento ordinario che costituisce sede naturale della cognizione giurisdizionale, determinandosi, in tal modo, conseguenze rilevanti sull'effettività del contraddittorio (esempio n. 2). Al di là dell'ambito dei riti deflattivi, all'imputato sono riservate in via esclusiva, fra le altre, prerogative specifiche anche in ordine a: – richiesta di rimessione del processo [➠46 comma 2]; – domanda di riparazione per ingiusta detenzione [➠314] o per errore giudiziario [➠643]; – proposizione dell'impugnazione [➠571]e rinuncia alla medesima [➠589]. – istanza di revisione [➠633]. Tuttavia in tali fattispecie l'ordinamento prevede la possibilità di ricorrere al conferimento di una procura speciale attraverso la quale il difensore può esercitare i suddetti poteri a seguito della espressa manifestazione di volontà proveniente dal titolare naturale dei medesimi, conformemente a quanto prescritto dall'articolo 122 il quale prevede le formalità di redazione della procura che devono sussistere a pena di inammissibilità dell'atto compiuto. La permanenza dei diritti difensivi e delle relative facoltà di intervento nel procedimento in capo all'imputato fa sì che lo stesso possa in qualunque momento privare di efficacia, mediante un'esplicita manifestazione di volontà, gli atti già compiuti dal difensore, purché non sia intervenuto sul punto un provvedimento giurisdizionale. Il legislatore ribadisce, in tal modo, la prevalenza della volontà dell'assistito rispetto a quella del proprio patrocinatore, limitatamente, però, a specifici atti realizzati da quest'ultimo: infatti il prefigurato contrasto tra imputato e difensore deve rimanere circoscritto e non può incidere, nella fattispecie in esame,

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sulla totalità delle attività di tutela demandate al professionista nell'adempimento dei suoi compiti istituzionali.

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C.p.p. art. 100 Difensore delle altre parti private COMMENTO Mario, parte civile, già difeso in giudizio da Luigi, nomina successivamente come difensore Carlo. Tale designazione successiva non produce effetto finché Mario non provveda a revocare il mandato di Luigi.

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C.p.p. art. 100 Difensore delle altre parti private GIURISPRUDENZA In base all'art. 100 c.p.p., la rappresentanza processuale della parte civile si realizza necessariamente col ministero di un difensore munito di procura speciale, non applicandosi all'azione civile esercitata nel processo penale la previsione dell'art. 86 c.p.c. secondo cui la parte, quando ha la qualità necessaria per esercitare l'ufficio di difensore con procura, può stare in giudizio senza il ministero di altro difensore (815/1997, rv 208199). Non può attribuirsi il valore di procura speciale ai fini della proposizione dell'impugnazione al mandato difensivo conferito dalla parte civile al proprio avvocato con il compito di “fare tutto il necessario per ottenere il risarcimento del danno”. Il mandato ad impugnare può infatti essere compreso nella procura speciale rilasciata in calce all'atto di costituzione di parte civile, ma il conferimento dello specifico potere di impugnazione deve essere espresso (2825/1997, rv 209624). La procura speciale per la costituzione di parte civile, a norma dell'art. 100 c.p.p. si presume conferita per un determinato grado del processo, quando nell'atto non è espressa volontà diversa. Tale norma deve tuttavia essere interpretata con riferimento all'immanenza della costituzione della parte civile, che produce effetti in ogni stato e grado del processo, in forza dell'art. 76 c.p.p.; principio, quest'ultimo, che non consente, fino a che l'azione civile rimane validamente inserita nel processo penale e se l'iniziale procura speciale non venga revocata, alcuna limitazione difensiva alla parte costituita che può, attraverso il difensore, efficacemente interloquire, resistere all'impugnazione dell'imputato e validamente presentare conclusioni e la nota “spese”, senza che sia necessario altro mandato. Dal combinato disposto delle due norme citate risulta che la limitazione opera, dunque, non per resistere all'impugnazione dell'imputato e contraddirla, ma soltanto per agire e proporre domande, nonché per impugnare la sentenza e le statuizioni sfavorevoli, attività che richiedono un mandato specifico ed

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ulteriore se non contenuto nella prima procura (11657/1997, rv 209261). In tema di ricorso per Cassazione della parte civile, ai sensi del primo comma dell'art. 100 del codice di procedura penale, la procura speciale conferita dalla parte privata al proprio difensore può e non deve essere posta in calce o a margine del ricorso, sicché lo stesso è ammissibile anche nell'ipotesi che la procura sia stata redatta su separato foglio, purché possa riferirsi al proposto ricorso (1406/1998, rv 209695). Qualora la parte civile sia assistita da due difensori, non ricorre alcuna ipotesi di nullità, non essendo una tale conseguenza comminata dall'art. 100 c.p.p., né potendo farsi discendere dall'art. 178 c.p.p., lett. c), che è norma finalizzata esclusivamente a garantire l'assistenza a ciascuna delle parti private, e non già ad evitare che si verifichino squilibri tra le parti stesse, rispetto a quanto previsto dalla legge, sotto tale profilo (5305/1998, rv 210572). Il potere di autenticazione del difensore concerne il mandato “ad litem” e gli altri atti equivalenti, che attengono al suo ruolo nel processo, ma non anche la procura speciale a costituirsi parte civile (12/1999, rv 213860). L'esercizio dell'azione civile nel processo penale è disciplinato dalla legge processuale e, per la rappresentanza, della parte civile, non è operato dalla normativa processuale penale alcun rinvio a quella civile ai fini della disciplina applicabile in relazione a tale materia. Ne consegue che, essendo la rappresentanza processuale della parte civile disciplinata dall'art. 100, primo comma, c.p.p., che prevede il “ministero di un difensore”, questi ben può essere un avvocato esercente fuori del distretto, non iscritto, quindi, nell'albo degli avvocati e procuratori del distretto della Corte di Appello nell'ambito del quale si trova l'ufficio giudiziario presso il quale rappresenta la parte civile (2518/1999, rv 212730). Nei casi in cui nel giudizio penale sia prescritto che la parte (nella specie: parte civile) stia in giudizio col ministero di difensore munito di procura speciale, il mandato, in virtù del generale principio di conservazione degli atti, deve considerarsi valido – sia con riguardo al conferimento della procura a impugnare al difensore sia all'oggetto dello specifico gravame (art. 576 c.p.p.) – anche

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quando la volontà del mandante non sia trasfusa in rigorose formule sacramentali, ovvero sia espressa in forma incompleta, potendo il tenore dei termini usati nella redazione della procura speciale e la sua collocazione escludere ogni incertezza in ordine all'effettiva portata della volontà della parte; e ciò, anche se la certificazione dell'autografia sia effettuata da difensore in un atto diverso da quelli indicati nel secondo comma dell'art. 100 c.p.p. (4327/1999, rv 213584). La procura alle liti conferita dalla parte civile al difensore con scrittura privata, l'autografia della cui sottoscrizione è certificata dal difensore medesimo, è valida ed idonea alla rituale instaurazione del rapporto processuale anche se sia apposta in un atto diverso da quelli indicati nel comma secondo dell'art. 100 c.p.p., sempre che sia riferita in modo certo al processo in relazione al quale la si allega e siano assicurate la sua certezza e tempestività (289/2000, rv 215462). In applicazione del principio generale, fissato dall'art. 1392 c.c., per il quale la procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere, deve essere conferito con atto pubblico o scrittura privata autenticata (dal difensore o da altra persona abilitata) il mandato rilasciato da una società al suo procuratore perché questi nomini un difensore cui affidare la redazione del ricorso per cassazione (25321/2001, rv 219473). La procura speciale rilasciata dalla parte civile al difensore, salvo che nell'atto non sia espressa volontà diversa, si presume conferita solo per un determinato grado del processo; ne consegue che, quando nel mandato non vi sia alcun riferimento ai vari gradi del giudizio, va dichiarata inammissibile l'impugnazione proposta dal difensore di parte civile (31922/2001, rv 219711). In tema di rappresentanza in giudizio della parte civile, nell'ipotesi in cui al difensore sia conferito mandato con l'espressione “rappresentare e difendere nel presente giudizio” deve ritenersi manifestata, secondo quanto previsto dall'art. 100, comma 3, c.p.p., la volontà di incaricare il difensore anche per il grado di appello, e cioè per tutto il giudizio di merito (2865/2002, rv 220789).

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È inesistente l'atto di costituzione di parte civile che non rechi la sottoscrizione dell'interessato, ma solo quella del difensore, il quale non sia munito di procura speciale rilasciata nelle forme di legge (8553/2002, rv 221523). È ammissibile il ricorso per cassazione della parte civile il quale, pur se dalla stessa personalmente sottoscritto, rechi la firma di autentica del difensore, sempre che sia possibile, in base a dati esteriori, ritenere che il difensore abbia inteso fare propri i motivi di ricorso e assumerne la paternità. (La Corte ha individuato nel fatto che il ricorso fosse stato redatto su carta intestata del difensore e che in calce recasse una duplice procura speciale rilasciata allo stesso gli elementi da cui desumere che, con la firma di autentica, questi avesse inteso far propri i motivi di ricorso) (32563/2010). È inammissibile il ricorso per cassazione presentato dal difensore del terzo interessato privo di procura speciale avverso il provvedimento con cui è stato deciso il riesame del decreto di sequestro preventivo. (Nella specie il mandato, conferito in sede di riesame, era finalizzato a "proporre impugnazioni avverso misure cautelari reali" ma non indicava espressamente la volontà del rappresentato di estendere la procura anche ai successivi gradi di giudizio) (25849/2012). In base al disposto di cui all'art. 76 c.p.p. la persona offesa può costituirsi parte civile personalmente e con l'assistenza di un difensore nominato ex art. 100 c.p.p. ovvero a mezzo di procuratore speciale ai sensi dell'art. 122 c.p.p., nel rispetto delle formalità di cui all'art. 78 c.p.p. (1048/2013). Se è vero che l'articolo 100 del C.p.p. non prevede alcuna sanzione processuale, né di nullità, né di inammissibilità, nel caso in cui la parte civile nomini più di un difensore, opera pur sempre il principio dettato dall'art. 24 disp. att. c.p.p. secondo cui deve considerarsi priva di efficacia la nomina di un secondo difensore di fiducia nominato dalla parte civile in eccesso rispetto al numero di un difensore previsto dal citato articolo 100, senza la previa revoca del precedente difensore: da ciò deriva l'inammissibilità dei motivi nuovi di impugnazione presentati dal secondo difensore di fiducia irritualmente nominato dalla parte civile (4283/2013). In tema di diritto di difesa, e segnatamente di garanzia della difesa tecnica, l'atto recante il titolo di «nomina di difensore di

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fiducia» vale anche quale conferimento di procura speciale per determinati atti, ove lo stesso contenga i requisiti degli artt. 100 e 122 c.p.p.. In tal caso, infatti, è sufficiente che l'atto riporti, oltre alle indicazioni richieste specificamente dalla legge, la determinazione dell'oggetto per cui la procura è conferita e dei fatti ai quali si riferisce. Ciò in quanto, per verificare la natura di un atto processuale, non è sufficiente attestarsi sul titolo dell'atto, occorrendo esaminarne il contenuto effettivo, in base al generale principio della prevalenza della sostanza sulla forma nella identificazione dell'atto (15961/2014). La presenza del mandato alle liti ex art. 100 c.p.p. quale presupposto di ammissibilità del ricorso costituisce l'esplicazione della regola generale in forza alla quale l'accesso alla giurisdizione per la trattazione di questioni di natura civilistica, siano esse veicolate pure all'interno del processo penale, impone a monte la presenza del patrocinio tecnico e, nel caso del giudizio di legittimità, di quello abilitato alla giurisdizioni superiori, dato di riferimento che, quale limite interno previsto dal nostro ordinamento, non sembra essere posto in discussione dall'orientamento contrario a quello qui privilegiato (17938/2014). I soggetti portatori di interesse esclusivamente civilistico, nell'ambito del processo penale, non possono stare in giudizio personalmente, in quanto necessitano, ai sensi dell'art. 100 c.p.p., del patrocinio di un difensore all'uopo nominato, a cui è stata conferita una procura speciale, che, ai sensi del comma 3 si presume attribuita per un solo grado di giudizio, salvo che la parte non abbia espresso nell'atto una diversa volontà. Tale procura, che ricalca quella prevista dall'art. 83 c.p.c., si differenzia, invece, da quella prevista dall'art. 122 c.p.p. che viene conferita al procuratore solo per il compimento di determinati atti. Invero, con la prima viene attribuito al difensore lo ius postulandi, mentre con la seconda il difensore assume esso stesso anche la capacità di essere il soggetto del rapporto processuale (21898/2014). Il soggetto costituitosi parte civile non può sottoscrivere personalmente l’atto di appello per i soli interessi civili, neppure qualora eserciti la professione di avvocato, in quanto l’art.100 cod. proc. pen. richiede che la parte civile stia in giudizio con l’assistenza di un difensore e l’esercizio della facoltà prevista

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dall’art.86 cod. proc. civ. non può essere ammessa al di fuori dell’ambito del processo civile (48601/2017). L’omessa indicazione della data di conferimento della procura speciale al difensore della parte civile non determina alcuna incertezza in ordine allo “ius postulandi” dello stesso, posto che l’art. 78, comma 3, cod. proc. pen. prevede espressamente che, qualora non venga apposta in calce o a margine dell’atto di costituzione di parte civile, la procura può essere presentata direttamente in udienza unitamente alla dichiarazione di costituzione, sicché in tal caso la data che fa fede è quella di deposito (52435/2017). Costituisce revoca implicita della costituzione di parte civile la formulazione, nel giudizio di primo grado, di conclusioni orali consistenti nella richiesta “di condanna degli imputati come richiesto dal pubblico ministero”, senza alcun richiamo alle conclusioni scritte già depositate, documentanti la richiesta risarcitoria avanzata (9936/2017). È inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di riesame relativa a decreto di sequestro preventivo proposto dal difensore del terzo interessato privo di procura speciale (310/2017). Il sostituto processuale del difensore al quale il danneggiato abbia rilasciato procura speciale al fine di esercitare l’azione civile nel processo penale non ha la facoltà di costituirsi parte civile, salvo che detta facoltà sia stata espressamente conferita nella procura ovvero che la costituzione in udienza avvenga in presenza del danneggiato, situazione questa che consente di ritenere la costituzione come avvenuta personalmente (12213/2017).

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C.p.p. art. 100 Difensore delle altre parti private COMMENTO Come già detto in precedenza, il codice di rito prevede una disciplina ad hoc per la nomina del difensore di fiducia delle parti eventuali ovvero della parte civile [76], del responsabile civile [83] e del civilmente obbligato per la pena pecuniaria [89], trattandosi di soggetti riguardo ai quali il sistema postula l'assistenza legale necessaria da parte di un professionista a ciò abilitato. Rispetto alla normativa di cui all'articolo 96 relativa all'imputato, la disposizione in commento pone alcune peculiari restrizioni, innanzitutto riguardo al potenziale numero di legali chiamati a tutelare la posizione della parte privata: infatti tali soggetti possono essere assistiti da un solo patrocinatore. Si tratta di un'evidente limitazione dei poteri difensivi delle parti private in questione, approntata dal legislatore in considerazione del particolare ruolo che esse svolgono nell'ambito della dinamica processuale e dei peculiari interessi, prevalentemente di carattere economico, di cui le stesse sono portatrici. L'eventuale superamento del limite numerico suddetto comporta le stesse conseguenze previste dall'articolo 24 disp. att. in relazione al difensore di fiducia dell'imputato (esempio). Inoltre, il sistema impone il rispetto di specifiche formalità per la redazione dell'atto di nomina, prevedendo in particolare il ricorso alla procura speciale conferita con atto pubblico [c.c. 2699] o con scrittura privata autenticata [c.c. 2073] dal difensore stesso o da altra persona abilitata a svolgere le funzioni di pubblico ufficiale. La procura, oltre a costituire atto a sé stante, può anche essere apposta in calce (ovvero sul lato inferiore) o a margine (ovvero a lato) della dichiarazione di costituzione di parte civile e di tutti gli atti di primo intervento delle altre parti non necessarie (decreto di citazione, dichiarazione di costituzione o di intervento per il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria). In tali casi, la sottoscrizione del dichiarante può essere autenticata dallo stesso legale di parte senza che vi sia bisogno dell'intervento di un diverso pubblico ufficiale a ciò deputato, secondo quanto dispone l'articolo 39 delle disposizioni di attuazione. La procura alle liti si presume essere stata conferita per un solo grado del procedimento e per tutta la durata dello stesso, salvo diversa manifestazione di volontà dell'assistito contenuta nell'atto di designazione, restando così impregiudicata la possibilità per la parte privata di scegliere un difensore diverso laddove, nell'ambito dei successivi sviluppi della vicenda processuale, intenda proporre nuove domande oppure impugnare le statuizioni dell'autorità giurisdizionale. A riguardo le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito la legittimazione a proporre appello da parte del difensore della parte civile munito di procura speciale (mandato alle liti), che non faccia espresso riferimento al potere del difensore di proporre appello, sempre che la procura rilasciata possa essere interpretata nel senso che il mandato difensivo comprenda anche un siffatto potere (sent. n. 44712 del 2004). Ad ogni modo, anche per le parti private eventuali è prevista la possibilità di accedere la beneficio del

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gratuito patrocinio, qualora sussistano le condizioni previste dal D.P.R. 115 del 2002, mentre non si estende ad esse la disposizione relativa al difensore d'ufficio. Quale rappresentante legale, l'avvocato può ricevere e compiere tutti gli atti che l'ordinamento non attribuisca in via esclusiva alla parte privata, mentre non può realizzare attività che importino la disposizione del diritto conteso senza una espressa procura speciale. La nomina del patrocinatore produce effetti anche rispetto al domicilio delle parti private il quale si intende eletto presso il suo studio legale; a tale individuazione consegue che tutte le successive notifiche verranno effettuate al difensore nel luogo suddetto, secondo il disposto degli articoli 161 e seguenti.

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C.p.p. art. 101 Difensore della persona offesa COMMENTO 1. La persona offesa può designare il difensore o con dichiarazione personalmente resa all'autorità procedente o con atto scritto consegnato dal difensore stesso o trasmesso con raccomandata. 2. Nel caso del compimento di accertamenti tecnici non ripetibili, l'articolo 360, comma 2 prevede che solo il difensore (o il consulente) della parte può assistere al conferimento dell'incarico al consulente nominato dal pubblico ministero, nonché formulare osservazioni e riserve.

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C.p.p. art. 101 Difensore della persona offesa GIURISPRUDENZA Il difensore della persona offesa, nominato ai sensi dell'art. 101, comma primo, c.p.p., non è investito dei poteri di rappresentanza riconosciuti al difensore dell'imputato e a quello delle altre parti private ritualmente costituite, ai sensi, rispettivamente, degli artt. 99, comma primo, e 100, comma quarto, c.p.p. Egli, pertanto, non è legittimato ad esercitare, in proprio, la facoltà di proporre impugnazioni (5024/1993, rv 192714). È inammissibile per carenza di legittimazione all'impugnazione il ricorso avverso l'ordinanza di archiviazione sottoscritto dal solo difensore della persona offesa privo di procura speciale ai sensi dell'art. 100 c.p.p. (1162/1997rv. 207803). Il difensore della persona offesa non può esercitare in proprio la facoltà d'impugnazione spettante solo al difensore dell'imputato, né è investito dei poteri di rappresentanza riconosciuti a quello dell'imputato e delle altre parti ritualmente costituite (3837/1997, rv 208714). Qualora il ricorso per Cassazione sia sottoscritto, non in proprio, dal difensore della persona offesa iscritto nell'albo speciale di cui all'art. 613 c.p.p., l'impugnazione è ammissibile, potendo la nomina essere fatta con l'osservanza delle semplici formalità previste dall'art. 101, comma 1, c.p.p. in relazione all'art. 92, comma 2, c.p.p., vale a dire mediante dichiarazione resa all'autorità procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore, ovvero ancora trasmessa con raccomandata; il conferimento di procura speciale nelle forme previste dall'art. 100, comma 1, c.p.p. è infatti necessario solo nel caso in cui il difensore della persona offesa, che non è investito dei poteri di rappresentanza processuale riconosciuti per legge al difensore dell'imputato e delle altre parti private, intenda esercitare, in proprio, il diritto di proporre ricorso per Cassazione (24/1999, rv 212078). La persona offesa che, ai sensi dell'art. 101 c.p.p., abbia nominato un suo difensore, quando successivamente si costituisce

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parte civile (e salvo che ne nomini uno diverso), continua ad essere assistita da quello precedentemente indicato; ne consegue che, ferma restando la necessità della procura speciale, la sottoscrizione apposta dal procuratore in calce alla dichiarazione di costituzione di parte civile deve ritenersi effettuata nella duplice veste di parte e difensore (19190/2001, rv 218883). Non dà luogo a nullità l'omessa notifica di un atto al difensore di fiducia nominato dalla persona offesa, domiciliatario ex legge ai sensi dell'art. 33 disp. att. c.p.p., ove l'atto medesimo sia notificato a mani proprie di quest'ultima. (Nella specie si trattava dell'avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione) (24062/2010). Il sostituto processuale del difensore al quale il danneggiato abbia rilasciato procura speciale al fine di esercitare l’azione civile nel processo penale non ha la facoltà di costituirsi parte civile, salvo che detta facoltà sia stata espressamente conferita nella procura ovvero che la costituzione in udienza avvenga in presenza del danneggiato, situazione questa che consente di ritenere la costituzione come avvenuta personalmente (12213/2017).

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C.p.p. art. 101 Difensore della persona offesa COMMENTO La norma in commento, in considerazione del nuovo ruolo di centralità attribuito dal codice di rito alla persona offesa dal reato [90 e ss.], si occupa di disciplinare in modo specifico gli aspetti attinenti alla tutela delle sue istanze da parte di un legale da essa appositamente nominato. A differenza di quanto prescritto riguardo alle parti private eventuali, l'ordinamento, in considerazione della posizione peculiare ricoperta da un soggetto che non è parte processuale in senso proprio, attribuisce ad esso la semplice facoltà di nominare un difensore, con ciò rimettendo alla scelta discrezionale dell'offeso l'opzione operativa circa le modalità di esercizio dei diritti e delle facoltà a lui riconosciuti dal codice di rito. Egli, pertanto, può partecipare al procedimento o in via autonoma, senza cioè l'assistenza del difensore, oppure nominandone uno attraverso le stesse formalità di manifestazione della volontà previste per l'imputato (esempio n. 1). Anche in questo caso è previsto un limite numerico all'elezione del patrocinatore, operando, di conseguenza, il disposto dell'articolo 24 disp. att. per le ipotesi di nomine in esubero. Occorre, tuttavia, sottolineare come la facoltatività della presenza del difensore della parte offesa è incompatibile con la sussistenza di alcune disposizioni che, ai fini della partecipazione attiva del soggetto offeso alla realizzazione di determinate attività, impongono l'assistenza di un legale (esempio n. 2). L'art. 33 delle disposizioni di attuazione dispone, inoltre, che presso il difensore eventualmente nominato è automaticamente domiciliato l'offeso, con le conseguenze già evidenziate (vedi il commento sub articolo 100 precedente) rispetto alle notifiche disciplinate dagli articoli 161 e ss. Peraltro, i poteri e le facoltà riconosciuti al legale della parte lesa dal comportamento criminoso sono gli stessi che competono alla medesima, oltre a quelli generali di presentazione di memorie [121] e richieste [367]. Il secondo comma chiude la disposizione in commento estendendo agli enti ed alle associazioni rappresentative degli interessi lesi dal reato le norme sulla nomina del difensore delle altre parti private di cui all'articolo 100. Peraltro, a differenza di quanto previsto per queste ultime e per l'offeso, agli enti collettivi in questione non è consentita l'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, sia per la difficoltà di configurare in capo ad essi una situazione di disagio economico sia per la loro assenza dal novero dei legittimati a sollevare l'istanza di ammissione. Dopo la riforma del 2013 L'art. 2 D.L. 93/2013, conv. in L. 119/2013 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonchè in tema di protezione civile e di commissariamento delle province) novella l'articolo in commento prevedendo che, al momento dell'acquisizione della notizia di reato, P.M. e polizia giudiziaria debbano informare la persona offesa della facoltà di nominare un difensore e della possibilità di eventualmente accedere al patrocinio a spese dello Stato.

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L'informativa diviene dunque un dovere per il P.M. e per la polizia giudiziaria, così contribuendo alla tutela della persona offesa, che ben può essere edotta della possibilità di accedere al gratuito patrocinio. La novella è manifestazione della sempre più intensa sensibilità, da parte del legislatore, nei confronti delle vittime dei reati.

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C.p.p. art. 102 Sostituto del difensore COMMENTO Dovendo partecipare a due udienze nello stesso giorno, anche se fissate ad orari diversi e presso lo stesso Tribunale, Francesco, legale di Giuseppe, si fa sostituire in qualità di difensore del proprio assistito dal collega Antonio.

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C.p.p. art. 102 Sostituto del difensore GIURISPRUDENZA La notifica dell'estratto contumaciale della sentenza deve essere fatta al difensore d'ufficio originariamente nominato, cui l'ordinamento riconosce in linea generale la facoltà di proporre appello, e non a quello designato in sostituzione in un secondo momento, pure quando sia quest'ultimo ad aver difeso l'imputato in giudizio (2032/1996, rv 205932). Il difensore di ufficio che, non limitandosi a svolgere il patrocinio obbligatorio dell'imputato, insiste nella richiesta di rinvio del dibattimento presentata dal difensore di fiducia, agisce, in relazione a tale istanza, in nome e per conto di quest'ultimo, al quale pertanto non deve essere notificata l'ordinanza di fissazione della nuova udienza (8006/1998, rv 211484). Al fine di assicurare la continuità dell'assistenza tecnicogiuridica, la difesa si caratterizza per l'immutabilità del difensore fino alla eventuale dispensa dell'incarico di ufficio, oppure alla rinuncia o revoca del mandato fiduciario, mentre è prevista la temporanea sostituzione, d'iniziativa del titolare o d'ufficio, in caso di impedimento, assenza o astensione da atti che ne richiedono l'intervento. Pertanto, in situazioni che di per sé non comportano la cessazione dell'incarico, titolare della difesa rimane il difensore originariamente designato il quale, cessata la situazione che alla sostituzione ha dato causa, riprende immediatamente il suo ruolo e può svolgere le relative funzioni senza necessità di ulteriori adempimenti (3534/1999, rv 214303). In tema di poteri del sostituto del difensore di fiducia, l'art. 102 c.p.p. non riconoscendo rilevanza ad eventuali limitazioni apposte dal difensore di fiducia alla designazione del suo sostituto, prevede che quest'ultimo possa esercitare tutti i diritti assumendo i doveri del difensore. Non può riconoscersi neppure in favore del sostituto processuale la facoltà di chiedere un termine per la difesa, in quanto si tratta di un soggetto che rappresenta il difensore a tutti gli effetti e

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la legge ne presuppone la preparazione adeguata (14115/1999, rv 216105). La sostituzione del difensore di fiducia assente con un difensore d'ufficio per un atto del processo che impone l'assistenza all'imputato, non determina il venir meno della qualità nel difensore di fiducia medesimo, con la conseguenza che a quest'ultimo vanno notificati gli atti processuali successivi (9383/2000, rv 217343). Nel caso di impedimento a comparire del difensore non vi è alcun obbligo da parte di quest'ultimo di nominare un suo sostituto; ne deriva che qualora venga incaricato dal difensore un altro avvocato al solo scopo di depositare la certificazione medica e di chiedere il rinvio del procedimento, non sussiste alcuna valida sostituzione processuale ed il cosiddetto sostituto assume la posizione giuridica di difensore d'ufficio (3072/2002, rv 223943). In presenza di un'istanza di rinvio per concomitante impegno professionale del difensore, spetta al giudice effettuare una valutazione comparativa dei diversi impegni, al fine di contemperare le esigenze della difesa e quelle della giurisdizione, accertando se sia effettivamente prevalente l'impegno privilegiato dal difensore per le ragioni rappresentate nell'istanza e da riferire alla particolare natura dell'attività cui occorre presenziare, alla mancanza o assenza di un codifensore nonchè all'impossibilità di avvalersi di un sostituto a norma dell'art. 102 c.p.p. (36539/2010) In caso di concomitante impegno professionale del difensore, spetta al giudice la valutazione comparativa dei diversi impegni in modo da contemperare le esigenze della difesa e quelle della giurisdizione, accertando se sia effettivamente prevalente quello privilegiato dal difensore, mentre è del tutto irrilevante, a tal fine, il mero criterio cronologico della conoscenza prioritaria dell'impegno ritenuto prevalente (11174/2012). Il difensore di fiducia che è impedito a partecipare all'udienza perché malato non ha l'obbligo di nominare un sostituto processuale e neppure di indicare le ragioni dell'omessa nomina, infatti la legge processuale non impone alcun onere in tal senso (6779/2013). Il concomitante impegno professionale del difensore ha natura di legittimo impedimento, così che ai fini della prescrizione comporta il congelamento dei termini sino al massimo di sessanta giorni dalla sua cessazione, a condizione che il difensore prospetti l'impedimento non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni, indichi le ragioni che rendono essenziale

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l'espletamento della sua funzione nel diverso processo, rappresenti l'assenza di altro codifensore che possa validamente difendere l'imputato e rappresenti l'impossibilità di avvalersi di un sostituto (S.U. 4909/2015). L’impegno professionale dell’avvocato in altro procedimento costituisce un legittimo impedimento, che comporta un’assoluta impossibilità a comparire, ex art. 420-ter, comma 5, c.p.p., ove il difensore riferisca in merito all’impedimento non appena sia venuto a conoscenza della contemporaneità dei diversi impegni; il legale ha, inoltre, l’onere di precisare le ragioni che conferiscono essenzialità all’espletamento della sua attività nel diverso procedimento, dimostrando l’assenza, in tale processo, di altro difensore che possa assistere l’imputato ovvero l’impossibilità di avvalersi di un sostituto, ai sensi dell’art. 102 c.p.p, tanto nel processo a cui ha intenzione di presenziare, quanto in quello che desidera rinviare.(S.U., 4909/2016).

Deve essere rimessa all’intervento delle Sezioni Unite la soluzione della questione: “se sia legittimato o meno a costituirsi parte civile il sostituto processuale del difensore, che sia stato nominato dalla persona offesa procuratore speciale al fine di esercitare l’azione civile nel processo penale” (49527/2017). L’imputato dichiarato assente all’udienza preliminare ai sensi dell’art. 420-bis cod. proc. pen., come novellato dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, non ha diritto all’avviso del rinvio dell’udienza a data fissa disposto per impedimento del difensore, in quanto rappresentato dal sostituto di quest’ultimo, anche se nominato d’ufficio (1524/2017). È legittima la sostituzione del difensore d’ufficio, a condizione che il designato non abbia svolto alcuna incombenza difensiva e non si sia attivato in favore del proprio assistito, non operando, in tal caso, il principio dell’immutabilità della difesa sino all’eventuale dispensa dall’incarico o nomina fiduciaria (3444/2017). Il “consenso” alla modifica/integrazione disposta dal giudice con il provvedimento con cui il giudice modifichi il programma di trattamento elaborato ai sensi dell’art. 464 bis, comma 2, c.p.p., ove prestato dal sostituto processuale del difensore di fiducia, sprovvisto di procura speciale, è privo di effetti, in quanto i poteri che derivano da tale procura si caratterizzano “intuitu personae” e non possono essere compresi fra quelli esercitabili dal sostituto processuale del difensore a norma dell’art. 102 c.p.p. (16711/2018).

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C.p.p. art. 102 Sostituto del difensore COMMENTO La disposizione in commento è stata oggetto di una radicale modifica da parte della legge n. 60 del 2001 relativa alla difesa d'ufficio che ha inciso anche sulla ratio ad essa sottesa. Infatti, mentre in precedenza, in attuazione del principio di continuità dell'esercizio della funzione difensiva, il rappresentante tecnico poteva nominare un proprio sostituto esclusivamente nell'ipotesi di impedimento al regolare esercizio delle funzioni e per tutta la durata di questo, attualmente tale presupposto è scomparso. Di conseguenza la possibilità di nominare il sostituto si è notevolmente ampliata riguardando non solo le situazioni in cui il patrocinatore legale si trova nell'impossibilità di adempiere concretamente ai compiti istituzionali cui è deputato, ma anche quelle in cui la difficoltà o la preclusione sono solo potenziali o, più semplicemente, per propria comodità (esempio). Per il relativo atto di nomina non è richiesta alcuna formalità; tuttavia, esso dovrà essere posto a conoscenza dell'autorità procedente o in udienza o tramite deposito dello stesso nella cancelleria dell'autorità giurisdizionale dinanzi a cui pende il procedimento. Per quanto riguarda le prerogative processuali attribuitegli, il sostituto non incorre in alcuna limitazione; egli potrà, pertanto, esercitare tutti i poteri spettanti al difensore così come, al contempo, dovrà adempiere a tutti i doveri che gravano sul medesimo.

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C.p.p. art. 103 Garanzie di libertà del difensore COMMENTO 1. Possono essere oggetto di perquisizione i locali dello studio legale di Tizio, avvocato e consulente legale dell'imprenditore Caio, il quale sia imputato per aver partecipato attivamente alla falsificazione dei bilanci della società del suo assistito. 2. Può essere sottoposto ad intercettazione il legale indagato per partecipazione ad associazione di stampo mafioso.

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C.p.p. art. 103 Garanzie di libertà del difensore GIURISPRUDENZA Il divieto di sequestrare presso i difensori “carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato”, previsto dall'art. 103, comma secondo, c.p.p., non è limitato all'ipotesi in cui il sequestro è disposto nell'ambito dello stesso procedimento in cui si svolge l'attività difensiva o all'ipotesi in cui questa sia ancora in corso, ed opera, quindi, anche nel caso in cui tale attività concerne un procedimento diverso. Inoltre, mentre per le ispezioni e per le perquisizioni la “garanzia” prevista dal citato articolo è collegata ai locali dell'ufficio, per i sequestri (così come avviene anche per le intercettazioni e per il controllo della corrispondenza) la lettera del secondo comma, con le parole iniziali (“presso i difensori”), mostra che la garanzia è collegata direttamente alle persone (difensori e consulenti tecnici), sicché il divieto opera anche quando l'attività diretta al sequestro si svolge in luogo diverso dall'ufficio (24/1994, rv 195626). I limiti imposti dall'art. 103 c.p.p. quali “garanzie di libertà del difensore”, con specifico riferimento al sequestro non possono riguardare documenti nella sfera di pertinenza esclusiva dell'imputato, privi di una finalizzazione attuale ed attuosa allo espletamento delle funzioni del difensore (2588/1995, rv 203200). In tema di perquisizioni e sequestri da eseguirsi presso lo studio del difensore, non esiste divieto alcuno a che vengano ricercate ed apprese, presso gli studi professionali legali, le «cose pertinenti al reato»; il primo comma dell'art. 103 c.p.p., infatti, non distingue, con riferimento al possibile oggetto della ricerca, fra «cose pertinenti al reato» e «corpo di reato», precisando esclusivamente che, ove il difensore sia imputato, la perquisizione è consentita solo «limitatamente al reato attribuito» ovvero, negli altri casi, «per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificamente predeterminate»: non si rinviene pertanto, nel disegno della legge, alcun limite a che, presso lo studio dei difensori, si ricerchino anche quegli elementi che, pur non

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costituendo «corpo del reato», abbiano comunque un nesso funzionale con l'accertamento dei fatti dedotti nell'imputazione. Né può ritenersi che l'attività di ricerca in questione possa essere “ex ante” condizionata dal divieto di sequestro di «carte e documenti relativi all'oggetto della difesa», di cui, ai sensi del secondo comma della norma predetta, è ammessa l'apprensione solo se costituenti «corpo del reato»: tale limite ai poteri dell'autorità procedente, infatti, viene in rilievo solo in un momento successivo a quello del materiale reperimento degli elementi di prova, al fine esclusivo dell'individuazione di ciò che è sottoponibile al vincolo oppure no (3513/1997, rv 208072). In tema di sequestro da eseguirsi nell'ufficio di un difensore, qualora il mezzo di ricerca della prova venga disposto nell'ambito di un procedimento relativo ad un reato attribuito al difensore medesimo, non è necessario l'avviso al Consiglio dell'ordine forense di cui al terzo comma dell'art. 103 c.p.p., e ciò in quanto nella predetta ipotesi, atteso che il soggetto attivo del reato non è la persona assistita bensì una persona che esercita la professione legale, non viene in rilievo la tutela della funzione difensiva e dell'”oggetto della difesa”, cui è finalizzata la disposizione in esame (6766/1998, rv 211914). Le speciali garanzie di libertà del difensore previste dall'art. 103 c.p.p. non riguardano solo il difensore dell'indagato o dell'imputato nel procedimento in cui sorge la necessità di svolgerle attività di ispezione, perquisizione o sequestro, ma vanno osservate in tutti i casi in cui tali atti vengano eseguiti nello studio di un professionista iscritto all'Albo degli avvocati, che abbia assunto la difesa di qualsiasi assistito, sia nel procedimento “de quo” che in altro procedimento, anche del tutto estraneo rispetto a quello in cui l'attività di ricerca, perquisizione e sequestro venga compiuta, atteso che non si tratta di privilegi di categoria, finalizzati alla “tutela” della dignità dei suoi appartenenti, ma del riflesso dell'inviolabilità del diritto di difesa, come diritto fondamentale della persona garantito dall'art. 24 della Costituzione (20295/2001, rv 218841). L'inutilizzabilità sancita dall'art. 103, comma 5, c.p.p., – per il quale non è consentita l'intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento nè a quelle tra i medesimi e

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le persone da loro assistite – è posta a garanzia della necessaria riservatezza dell'attività difensiva e, quindi, dipende esclusivamente dalla natura della conversazione intercettata, così come verificabile anche a posteriori. Ne consegue che l'inutilizzabilità delle intercettazioni con il proprio difensore sussiste quand'anche l'indagato non abbia ancora comunicato all'autorità procedente la nomina del difensore ai sensi dell'art. 96 c.p.p., in quanto ciò che rileva ai fini della garanzia di cui all'art. 103 c.p.p. è la natura del colloquio e non la formalizzazione del ruolo del difensore (12944/2003, rv 224251). Le perquisizioni, le ispezioni e i sequestri da compiere nell'ufficio di un avvocato non devono essere preceduti dall'avviso al consiglio dell'ordine forense, come prescritto ordinariamente dall'articolo 103, comma 3, c.p.p., quando la persona soggetta all'indagine sia lo stesso professionista e non venga dunque in rilievo l'attività defensionale da questi svolta in favore di altri, nello stesso o in altri procedimenti. Infatti, lo scopo della normativa prevista dall'articolo 103 c.p.p. è quello di tutelare l'esercizio dell'attività difensiva, e non certo la persona che esercita la professione di avvocato, pena la trasformazione di una garanzia difensiva in un inammissibile privilegio (6321/2007). I provvedimenti di autorizzazione a ispezioni e sequestri in studi professionali emessi dalla procura della Repubblica ricadono nella giurisdizione tributaria e non amministrativa, e quindi sono sindacabili esclusivamente dalle commissioni tributarie (S.U. 11082/2010). I limiti imposti dall'art. 103 c.p.p. quali "garanzie di libertà del difensore", con specifico riferimento al sequestro, non possono riguardare documenti nella sfera di pertinenza esclusiva dell'imputato, privi di una finalizzazione attuale all'espletamento delle funzioni del difensore. (Fattispecie di sequestro, ritenuto legittimo, di documenti in bozza rinvenuti in luoghi in uso all'imputato e non già "presso il difensore") (15208/2010). Le garanzie previste dall'art. 103 c.p.p., in quanto volte a tutelare non chiunque eserciti la professione legale, ma solo chi sia "difensore" in forza di specifico mandato a lui conferito nelle forme di legge (e ciò essenzialmente in funzione di garanzia del diritto di difesa dell'imputato), non possono trovare applicazione qualora gli

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atti debbano essere compiuti nei confronti di esercente la professione legale che sia egli stesso la persona sottoposta a indagine; cionondimeno l'obbligo per l'autorità giudiziaria, che si accinga ad eseguire un'ispezione, una perquisizione o un sequestro nell'ufficio di un difensore, di darne avviso al consiglio dell'ordine forense del luogo a pena di nullità, permane, anche laddove il difensore sia sottoposto all'indagine, nel caso in cui lo studio legale risulti cointestato anche ad altro avvocato non coinvolto (39837/2012). Il divieto di sequestrare presso i difensori “carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato”, previsto dall''art. 103, comma secondo, c.p.p., non è limitato all'ipotesi in cui il sequestro è disposto nell'ambito dello stesso procedimento in cui si svolge l'attività difensiva o all'ipotesi in cui questa sia ancora in corso, ed opera, quindi, anche nel caso in cui tale attività concerne un procedimento diverso. Inoltre, mentre per le ispezioni e per le perquisizioni la “garanzia” prevista dal citato articolo è collegata ai locali dell'ufficio, per i sequestri, così come avviene anche per le intercettazioni e per il controllo della corrispondenza, la lettera del secondo comma, con le parole iniziali (“presso i difensori”), mostra che la garanzia è collegata direttamente alle persone (difensori e consulenti tecnici), sicché il divieto opera anche quando l'attività diretta al sequestro si svolge in luogo diverso dall'ufficio (23002/2014). Le garanzie previste dall'art. 103 cod. proc. pen., non sono volte alla tutela personale e privilegiata del soggetto esercente la professione legale, ma sono previste a favore di colui che riveste la qualità di difensore in forza di specifico mandato conferitogli nelle forme di legge, essendo essenzialmente apprestate in funzione di garanzia dei diritto di difesa dell'imputato; pertanto, esse non possono trovare applicazione qualora gli atti di cui all'art. 103 cod. proc. pen. (ispezioni, perquisizioni, sequestri) debbano essere compiuti nei confronti di esercente la professione legale sottoposto ad indagine e non siano attinenti all'oggetto di alcuna difesa (25848/2015).

Il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori, non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste tale qualifica, e per il solo fatto di possederla, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata, in quanto la “ratio” della regola posta dall’art. 103 c.p.p. va rinvenuta nella tutela del diritto di difesa; ne consegue che, con specifico riguardo alla intercettazione di un colloquio tra l’indagato 2778

ed un avvocato, legati da uno stretto rapporto di amicizia, per l’utilizzabilità è necessario che il giudice del merito debba valutare: a) se quanto detto dall’indagato fosse finalizzato ad ottenere consigli difensivi professionali o non costituisse piuttosto una mera confidenza fatta all’amico; b) se quanto detto dall’avvocato avesse natura professionale oppure consolatoria ed amicale a fronte delle confidenze ricevute (24451/2018). Non è sufficiente a superare il divieto, assistito dalla sanzione di inutilizzabilità di cui al citato comma 7, la mera utilità probatoria dell'oggetto del sequestro, perché la legge esige un quid pluris che giustifichi l'interferenza nel rapporto professionale cliente/difensore, e cioè che l'atto o documento appreso costituisca, esso stesso, corpo del reato (27988/2020).

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C.p.p. art. 103 Garanzie di libertà del difensore COMMENTO Prima della riforma del 2017 Il carattere fiduciario del rapporto intercorrente tra il difensore e l'assistito impone delle notevoli limitazioni al potere di indagine del magistrato inquirente, laddove non ricorrano specifiche ipotesi tassativamente indicate dal legislatore in corrispondenza delle quali l'interesse pubblico all'accertamento delle condotte criminose appare preminente. Il diritto alla difesa costituzionalmente tutelato dall'art. 24 della Carta fondamentale ed il segreto professionale che caratterizza l'attività dell'avvocato non troverebbero, infatti, piena attuazione ed effettiva esplicazione qualora i rapporti tra legale e privato potessero essere oggetto di indagini “invasive” e indiscriminate da parte dell'autorità giudiziaria inquirente. Inoltre, occorre tener presente che l'inviolabilità del domicilio garantita dall'art. 14 della Costituzione e la libertà e la segretezza della corrispondenza di cui all'articolo 15 si estendono sicuramente anche al luogo in cui il difensore esercita la propria attività professionale. Nel rispetto di tali principi inviolabili, il codice di rito prevede solo alcune fattispecie espressamente indicate nelle quali è consentito il ricorso ai mezzi di ricerca della prova. Esse possono suddividersi in: – ispezioni e perquisizioni negli uffici del difensore: possono essere eseguite solo quando il difensore o il personale che collabora con lui siano imputati in specifici procedimenti penali, nei limiti in cui il ricorso a tali strumenti sia necessario per accertare gli specifici fatti loro ascritti; per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato; per ricercare cose o persone specificatamente predeterminate (esempio n. 1); – sequestri di carte e di documenti relativi all'oggetto della difesa: possono essere eseguiti solo se costituiscono corpo del reato. In tal caso la restrizione riguarda non solo il difensore, come nel caso precedente, ma anche gli investigatori privati autorizzati ed i consulenti tecnici, in quanto, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 397 del 2000 in materia di indagini difensive, il legale può delegare a tali soggetti alcuni tipi di accertamenti e, proprio in considerazione del riconoscimento di questo potere, il legislatore ha ritenuto opportuno applicare le garanzie di libertà previste per il difensore anche a tali suoi collaboratori; – intercettazione di conversazioni o comunicazioni: in questo caso il divieto è assoluto ed esso si estende, come per l'ipotesi precedente, ai difensori, agli investigatori privati autorizzati, ai consulenti tecnici ed alle conversazioni intercorrenti tra di essi e le persone da loro assistite. Tale preclusione, tuttavia, non opera ove tali comunicazioni integrino esse stesse gli estremi di condotte penalmente perseguibili e del tutto estranee all'attività difensiva rigorosamente intesa (così Cassazione n. 1472 del 1999 e n. 20072 del 2003) (esempio n. 2); – sequestro e controllo della corrispondenza: è possibile farvi ricorso solo quando l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti del corpo del

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reato, mentre negli altri casi, laddove sia riconoscibile la matrice di corrispondenza intercorsa tra difensore e assistito, il divieto è assoluto. Il codice di rito prevede, inoltre, una peculiare procedura per l'ipotesi in cui vengano effettuate le predette attività di ricerca della prova, rafforzando, in tal modo, le garanzie di riservatezza e piena libertà riconosciute al difensore e al suo cliente. Infatti, nei limitati casi in cui sia possibile procedere a perquisizione, ispezione o sequestro nell'ufficio del difensore, l'autorità giudiziaria che intenda ricorrere a tali strumenti deve comunicare immediatamente le sue intenzioni al Consiglio dell'ordine forense affinché il presidente o un membro da lui delegato assistano alle operazioni. Il mancato rispetto di tale obbligo è sanzionato dalla pena della nullità generale riconducibile alla previsione dell'art. 178, lett. c), in quanto si precluderebbe l'intervento e la partecipazione del rappresentante dell'imputato. Il consigliere intervenuto può, a richiesta, ottenere una copia del provvedimento eseguito. Il quarto comma della norma in oggetto pone un ulteriore limite relativamente ai soggetti legittimati a svolgere le attività invasive della sfera privata del difensore e del suo assistito, individuandoli esclusivamente nel giudice, chiamato ad accedere personalmente agli uffici del legale, o, in sede di indagine preliminare, nel pubblico ministero che può agire solo a seguito di decreto autorizzativo motivato emesso dal giudice. Ad ulteriore presidio delle garanzie difensive, il legislatore ha previsto che le risultanze istruttorie acquisite a seguito di attività compiute in violazione delle prescrizioni suddette siano inutilizzabili, laddove, addirittura, non venga statuita dal giudice la concreta distruzione della documentazione relativa alle intercettazioni in base a quanto previsto dall'articolo 271, comma 3. Dopo la riforma del 2017 L’articolo 2 del D.Lgs. 29 dicembre del 2017, n. 216, intitolato “Disposizioni in materia di intercettazione di conversazioni o comunicazioni in attuazione della delega di cui all’art. 1, commi 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d), ed e) della legge 23 giugno 2017, n. 103”, ha quale finalità quella di garantire la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione: tale finalità è perseguita con la modifica di alcune disposizioni del codice di procedura penale, fra le quali vi è anche l’art. 103 c.p.p., il quale salvaguarda il libero espletamento della funzione difensiva, dando tutela sia alla sfera spaziale (cioè il luogo in cui viene svolta l’attività professionale, quali i locali destinati a studio legale), sia alla sfera funzionale (cioè l’esercizio del mandato del difensore, ovunque espletato). Nello specifico, il comma 5 dell’articolo in commento non consente l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e dei loro ausiliari, né di conversazioni tra gli stessi soggetti e le persone da loro assistite. Il comma 7 specifica, poi, che i risultati di eventuali intercettazioni eseguite in violazione del divieto non possono essere utilizzati nel processo penale. Inoltre, la riforma aggiunge un periodo al comma 7 al fine di specificare che, fermo il suddetto divieto di utilizzazione, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente. Nel verbale delle operazioni si potrà esclusivamente indicare la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta.

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Tali nuove disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020 (art. 9, comma 1, D.Lgs. 216/2017, da ultimo modificato dall’art. 1, D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito in L. 25 giugno 2020, n. 70).

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C.p.p. art. 104 Colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare GIURISPRUDENZA L'art. 104 c.p.p. ha fissato la regola generale secondo cui il rapporto con il difensore rappresenta un diritto dell'imputato detenuto ed una particolare estrinsecazione del diritto di difesa che è immediatamente esercitabile sin dal momento del fermo o dell'arresto ovvero fin dall'inizio dell'esecuzione della misura della custodia cautelare. Nel comma terzo del citato articolo è prevista la possibilità da parte del giudice, quando si tratti di custodia cautelare, di dilazionare l'esercizio di quel diritto, purché il differimento sia limitato nel tempo (non superiore a sette giorni) e trovi giustificazione sulla base di un decreto che indichi le specifiche ed eccezionali ragioni di cautela. Tale facoltà è prevista, nel comma successivo, anche per il pubblico ministero, nell'ipotesi di fermo o di arresto; in tal caso il limite temporale coincide con il momento in cui l'arrestato o il fermato è posto a disposizione del giudice e vi è comunque l'obbligo dell'emanazione di un provvedimento motivato, come si rileva dalla relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale, che riferendosi alla facoltà concessa al riguardo al P.M., esplicitamente parla della necessità dell'esistenza dei medesimi presupposti di cui al terzo comma del citato art. 104 c.p.p., e come soprattutto si desume dall'art. 36, terzo comma, disp. att. c.p.p., che prevede la consegna a chi esercita la custodia del decreto che ha disposto la dilazione tanto nell'ipotesi di cui al comma terzo dell'art. 104 c.p.p. che nell'ipotesi di cui al successivo comma quarto (1355/1992, rv 190268). Il decreto del giudice che, ai sensi dell'art. 104, terzo comma, c.p.p., dilaziona l'esercizio del diritto dell'indagato in stato di custodia cautelare al colloquio con il proprio difensore non è impugnabile, in virtù del principio di tassatività delle impugnazioni, né può costituire oggetto di riesame, dato che non ha la forma dell'ordinanza e non dispone alcuna misura coercitiva. Esso tuttavia può essere incidentalmente sindacato nell'ulteriore corso del

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procedimento, nel caso sia viziato nella forma o nella sostanza, perché emesso da organo non legittimato o fuori dalla fase delle indagini preliminari, perché prevede una dilazione superiore a quella massima di sette giorni, per carenza di eccezionali e specifiche ragioni di cautela o per mancata indicazione di queste. In tutte tali ipotesi l'illegittimità o invalidità del provvedimento comporta una violazione del diritto di difesa, perdurante – se non eliminata con l'effettuazione del colloquio – fino al momento del prescritto interrogatorio sul quale si riverbera determinandone la nullità – di ordine generale e a regime intermedio – prevista dall'art. 178, lett. c), c.p.p., per inosservanza di norma relativa alla assistenza dell'imputato o indagato (1809/1992, rv 190379). In tema di colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare, non è consentito al giudice di legittimità – salve le ipotesi di mancanza di motivazione o di manifesta illogicità della medesima – di sindacare gli apprezzamenti del giudice di merito contenuti nel decreto di dilazione dell'esercizio del diritto di conferire con il difensore. Sicché, rispettato il termine temporale del differimento e data ragione dell'esercizio del potere improntato a discrezionalità vincolata (in termini di eccezionalità e di specificità), il provvedimento di differimento non può essere censurato solo perché l'interrogatorio dell'indagato sia stato eseguito durante il termine di dilazione del colloquio con il difensore (745/1993, rv 195636). L'efficacia del provvedimento con il quale il pubblico ministero abbia disposto, ai sensi dell'art. 104, quarto comma, c.p.p., il differimento dell'esercizio del diritto dell'arrestato o del fermato di conferire con il proprio difensore, viene meno una volta che l'arrestato o il fermato sia stato posto a disposizione del giudice. Ne consegue che è affetto da nullità l'interrogatorio svolto dal medesimo giudice che, senza adottare un provvedimento proprio, in sostituzione di quello del pubblico ministero, ma erroneamente supponendone la permanente validità, non abbia consentito l'esercizio del diritto in questione prima che l'interrogatorio avesse luogo (2612/1993, rv 195834). La circostanza che la dilazione dei colloqui fra l'indagato detenuto e il suo difensore sia stata disposta nel corso delle indagini preliminari, dal Pubblico Ministero, anziché dal giudice per le

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indagini preliminari, così come prescritto dall'art. 104, comma terzo, c.p.p. non comporta una nullità assoluta rilevabile d'ufficio a norma dell'art. 179 c.p.p. in ogni stato e grado del procedimento, ma solo una nullità relativa, in quanto l'interrogatorio dell'indagato in custodia cautelare non costituisce più il momento discriminante tra il tempo in cui sono impediti e il tempo in cui sono consentiti i colloqui con il difensore (2675/1994, rv 198902). Il decreto con cui il giudice, su richiesta del pubblico ministero, ai sensi dell'art. 104, comma terzo, c.p.p., differisce l'esercizio sul diritto dell'indagato di conferire col proprio difensore può comportare anche il divieto di consultazioni prima dell'interrogatorio. Né tale disciplina può prestarsi a dubbi di legittimità costituzionale o di contrasto con la Convenzione Europea. Invero il diritto di difesa può variamente atteggiarsi in funzione delle peculiari caratteristiche dei singoli procedimenti e dei superiori interessi di giustizia cui le stesse sono rispettivamente preordinate (3651/1995, rv 203316). In presenza di legittimo provvedimento di dilazione, ai sensi dell'art. 104 c.p.p., del diritto dell'imputato di conferire con il proprio difensore, non dà luogo a nullità dell'interrogatorio il fatto che, prima dell'espletamento di quest'ultimo, essendo ancora operante il summenzionato provvedimento, l'imputato non abbia potuto avere alcun colloquio con il proprio difensore. Tale disciplina non presenta alcun elemento di contrasto con il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione e neppure con l'art. 6 della Convenzione per salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, le cui clausole non precludono minimamente una ragionevole posticipazione del primo contatto fra accusato in stato di restrizione della libertà e difensore, nel superiore interesse dell'amministratore della giustizia (4479/1995, rv 200224). È consentito l'inserimento del decreto motivato di differimento dei colloqui del difensore con il proprio assistito a norma dell'art. 104 c.p.p. nel contesto dell'ordinanza impositiva della misura cautelare, con la quale il primo viene a formare un “unicum, ” ferme restando l'autonoma operatività e la sostanziale diversificazione (4634/1995, rv 202504). La mancata indicazione, nel decreto che, ai sensi dell'art. 104 c.p.p., dispone il differimento dei colloqui tra imputato e difensore,

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delle “specifiche ed eccezionali ragioni di cautela”, cui fa riferimento la citata disposizione normativa, dà luogo a una nullità di ordine generale afferente non solo il suindicato provvedimento ma anche il successivo interrogatorio di cui all'art. 294 c.p.p., quando detto ultimo incombente sia stato effettuato senza che preventivamente l'imputato abbia avuto modo di consultarsi con il difensore, nulla rilevando in contrario che lo stesso imputato, pur avendone la possibilità, non abbia chiesto che l'interrogatorio venisse differito, ma si sia limitato alla formulazione (tempestiva) dell'eccezione; e ciò in quanto l'interessato non ha, in genere, alcun obbligo di attivarsi per consentire la sanatoria di nullità già verificatesi, né può trovare applicazione, nell'ipotesi data, il disposto di cui all'art. 134 c.p.p., trattandosi di norma eccezionale concernente situazioni tutt'affatto diverse (sanatoria delle nullità di citazioni, avvisi e notificazioni) (5657/1995, rv 203076). Il decreto del G.I.P. che, ai sensi dell'art. 104, terzo comma, c.p.p., dilaziona l'esercizio del diritto degli indagati in stato di custodia cautelare al colloquio con il proprio difensore, non è impugnabile autonomamente, in virtù del principio di tassatività delle impugnazioni, né può costituire oggetto di riesame, dato che non ha la forma dell'ordinanza e non dispone alcuna misura coercitiva. Esso può tuttavia costituire oggetto di sindacato incidentale nell'ulteriore corso del procedimento qualora presenti vizi di forma o di sostanza. In tale ipotesi, l'illegittimità o invalidità del provvedimento comporta una violazione del diritto di difesa che si riverbera – se non eliminata con l'effettuazione del colloquio – sull'interrogatorio degli indagati determinandone la nullità per inosservanza delle norme sull'assistenza (art. 178 c.p.p., lett. c) (3682/1996, rv 203606).

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C.p.p. art. 104 Colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare COMMENTO La norma in commento, affermando in modo perentorio il diritto dell'imputato in vinculis di conferire con il proprio difensore sin dall'inizio dell'esecuzione della misura restrittiva della libertà personale, sancisce la centralità, nell'attuale sistema accusatorio, del tempestivo contatto tra legale e assistito finalizzato alla predisposizione di un'adeguata strategia difensiva in vista del successivo interrogatorio cui sarà deputato il giudice procedente [294]. Quest'ultimo, infatti, laddove la misura cautelare non sia stata irrogata a seguito dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo, dovrà verificare la permanenza delle condizioni di applicabilità e delle esigenze cautelari poste a corredo dell'istanza avanzata dal pubblico ministero. Pertanto è proprio l'innovativa concezione, accolta dal codice vigente, dell'interrogatorio quale peculiare strumento di difesa esperito al cospetto di un giudice terzo [➠ 64] a giustificare il tenore di un precetto che, peraltro, si rivela di portata generale alla luce di quanto previsto dal secondo comma, laddove la medesima garanzia del colloquio tempestivo viene riconosciuta al soggetto che sia stato sottoposto a provvedimento di arresto o di fermo. Tuttavia occorre mettere in luce la differenza intercorrente tra le due previsioni dal punto di vista degli sviluppi procedimentali cui esse hanno riguardo. Infatti nel primo comma si prefigura la situazione di colui il quale è stato direttamente destinatario del provvedimento cautelare, nel qual caso l'interrogatorio del giudice dovrà necessariamente precedere quello del magistrato inquirente [294, comma 6]; il secondo comma, viceversa, fa riferimento al momento in cui si procede all'arresto o al fermo di un indiziato di delitto, laddove l'interrogatorio svolto dal pubblico ministero, pur sempre alla presenza del legale di parte [388], anticiperà il contatto tra giudice e soggetto in vinculis in sede di udienza di convalida [391], rivelandosi strumento di natura inquisitoria. Nel corso delle indagini preliminari, il legislatore ha previsto che, ricorrendo specifiche ed eccezionali ragioni di cautela legate allo sviluppo delle investigazioni o alle situazioni fattuali dei diversi soggetti in esse implicati, il diritto al colloquio tempestivo può essere temporaneamente limitato dal giudice procedente su richiesta del pubblico ministero il quale faccia valere, nell'istanza avanzata, precisi ed obiettivi elementi che devono essere messi in luce nella motivazione del decreto di differimento, pena la nullità del medesimo e degli atti successivi (così Cassazione n. 2565 del 2000). Tale restrizione non può, comunque, superare i cinque giorni. Peraltro, nelle ipotesi di persona sottoposta ad arresto o a fermo, il provvedimento dilatorio in questione, in assenza di spazi di intervento tempestivo da parte dell'autorità giudicante, può essere adottato su iniziativa diretta del magistrato inquirente: tuttavia l'efficacia del medesimo è destinata a protrarsi fino al momento in cui l'arrestato o il fermato non verrà posto a disposizione del giudice, il quale sarà

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tenuto ad effettuare una valutazione globale dell'operato del P.M. incidente tanto sulla misura restrittiva della libertà personale, oggetto dell'eventuale convalida, quanto, appunto, sulla temporanea limitazione del diritto della parte al colloquio tempestivo. La giurisprudenza di legittimità, con sentenza n. 39827 del 2007, ravvisa la sussistenza della nullità in caso di omessa motivazione del provvedimento di divieto di incontro tra difensore e indagato, colpito da ordinanza cautelare di custodia in carcere, e ne chiarisce la natura. La Suprema Corte qualifica il suddetto vizio quale nullità di ordine generale a regime intermedio, che per comunicarsi al successivo interrogatorio e alla misura cautelare, deve essere eccepita prima dell'espletamento dell'interrogatorio medesimo. Tale tipo di nullità, dunque, se non viene rilevata prima del compimento dell'esame di garanzia, risulta sanata. Il principio di diritto che emerge da tale interpretazione è, dunque, il seguente: il vizio di nullità del provvedimento di divieto di incontro tra indagato e difensore travolge il provvedimento cautelare solo se eccepito prima dell'espletamento dell'interrogatorio (sulla base di tale apparato motivazionale, la Corte ha rigettato il ricorso presentato dall'indagato, il quale aveva eccepito la nullità solo dopo aver espletato l'esame di garanzia). A seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 32 è stata data attuazione alla direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali. In ragione di tanto è stato aggiunto il comma 4 bis al presente articolo (“L'imputato in stato di custodia cautelare, l'arrestato e il fermato, che non conoscono la lingua italiana, hanno diritto all'assistenza gratuita di un interprete per conferire con il difensore a norma dei commi precedenti. Per la nomina dell'interprete si applicano le disposizioni del titolo IV del libro II”) e sostituito l'art. 143 successivo al cui commento si rinvia. Il comma 25 dell’art. 1 della L. 23 giugno 2017, n. 103 (modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) interviene sull'articolo in commento, per circoscrivere la possibilità di dilazionare il colloquio con il difensore alle indagini preliminari concernenti reati di maggior allarme sociale. Si tratta dei reati per i quali è competente il PM del tribunale capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente (art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p.). Tali nuove disposizioni decorrono dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della citata L. 103/2017 (3 agosto 2017).

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C.p.p. art. 105 Abbandono e rifiuto della difesa COMMENTO Il giudice del dibattimento, nel caso in cui il difensore dell'imputato sia impossibilitato a comparire per il sopravvenire di un'improvvisa malattia tempestivamente comunicata e certificata, non rinvia l'udienza ad altra data.

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C.p.p. art. 105 Abbandono e rifiuto della difesa GIURISPRUDENZA L'assenza del difensore di fiducia ad una sola udienza non può interpretarsi come sintomo di un atto abdicativo espresso o di revoca dell'incarico, né di un comportamento di “abbandono” ai fini della concessione al difensore di ufficio del termine a difesa di cui all'art. 108 c.p.p., atteso che tale condotta può essere ricondotta ad una diversa, alternativa ed insindacabile, strategia processuale (Cass. civ., S.U. 12903/2011). In sede di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, il Consiglio nazionale forense non è vincolato alla definizione dell'illecito quale scaturisce dal testo delle disposizioni del codice deontologico forense, avendo queste ultime natura di fonti solo integrative dei precetti normativi; ne consegue che non costituisce violazione del mandato professionale (art. 38 del codice), né dei doveri di correttezza, fedeltà e diligenza (art. 6, 7 e 8 del codice), il comportamento dell'avvocato che, nominato difensore di fiducia in un processo penale, manchi di trasmettere all'Autorità giudiziaria la comunicazione della sua assenza da un'udienza dibattimentale, poiché tale comportamento, per la sua episodicità, non è riconducibile ad un contegno abdicativo del difensore né, tantomeno, ad un abbandono della difesa (Cass. civ., S.U. 12903/2011). Al difensore di fiducia, regolarmente nominato che non abbia svolto alcuna attività nel corso del giudizio, deve essere comunque riconosciuto il diritto di ricevere, almeno per tutti i giudizi di merito, la notifica degli atti destinati alla difesa, salvo che gli sia espressamente revocato il mandato ovvero sia sostituito da altro difensore, giacché non è prevista da alcuna norma la revoca tacita dell'incarico (47303/2011).

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C.p.p. art. 105 Abbandono e rifiuto della difesa COMMENTO La norma in commento, nel regolare, dal punto di vista delle sanzioni disciplinari che ne conseguono, i fenomeni dell'abbandono della difesa e del rifiuto di rivestire il ruolo di patrocinatore d'ufficio, delinea un particolare sistema teso a contemperare i valori della salvaguardia del diritto ad una tutela effettiva a favore dell'assistito e dell'autonomia della classe forense rispetto all'esercizio di poteri sanzionatori da parte dei titolari delle funzioni giurisdizionali. Infatti il legislatore attribuisce al consiglio dell'ordine forense la competenza esclusiva relativamente all'irrogazione delle misure disciplinari nei confronti dei professionisti che, senza un giustificato motivo, lascino il cliente sprovvisto di assistenza adeguata mentre il procedimento penale che lo coinvolge è ancora in corso di svolgimento oppure risultino inadempienti rispetto all'obbligo espressamente sancito dal codice di rito all'articolo 97, comma 5. Peraltro, al fine di rafforzare il precetto contenuto nel primo comma, risulta perentoriamente affermata la completa autonomia del procedimento disciplinare rispetto alla vicenda processuale pendente nel cui contesto ha avuto luogo la violazione dei doveri funzionali che il legale, in forza della posizione che occupa, è tenuto ad adempiere. Posta, quindi, la rilevanza esclusivamente deontologica dei comportamenti in questione, laddove la condotta omissiva sia stata determinata da un'asserita violazione dei diritti difensivi da parte dell'autorità giudicante (esempio), il Consiglio dell'ordine forense ha piena autonomia decisionale nell'escludere l'applicazione della sanzione disciplinare nel caso in cui ritenga integrati gli estremi delle situazioni fattuali lamentate dal patrocinatore, pur in presenza di specifiche affermazioni da parte del giudice volte ad escludere la sussistenza delle suddette violazioni. Organo deputato a denunciare il comportamento inadempiente è la stessa autorità giurisdizionale dinanzi a cui pende il procedimento, la quale accerta e riferisce i casi di abbandono, di rifiuto e di inosservanza dei doveri di lealtà e probità al cui rispetto il legale è tenuto nello svolgimento delle funzioni di tutela della parte. Di recente introduzione è la previsione di un peculiare obbligo di comunicazione all'ordine forense di tutte quelle fattispecie in cui la violazione delle regole deontologiche si concretizzi nell'assunzione dei compiti di assistenza di più imputati che abbiano reso dichiarazioni riguardanti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento o in un procedimento connesso o collegato [106, comma 4 bis]. La peculiare rilevanza della tutela dell'imputato rispetto a quella delle altre parti private appare ancora più evidente alla luce delle conseguenze che l'abbandono o il rifiuto della difesa d'ufficio producono sui successivi sviluppi del procedimento. Infatti, il comma 5 prevede che l'eventuale comportamento omissivo posto in essere dal patrocinatore dei soggetti processuali non necessari non comporta alcuna sospensione dell'iter processuale, né, tanto meno l'interruzione dell'udienza la quale,

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perciò, proseguirà regolarmente il suo corso. Viceversa l'assenza sopravvenuta del legale di fiducia dell'imputato determina automaticamente [97] la nomina di un difensore d'ufficio e, nel caso di rifiuto da parte di quest'ultimo, la tempestiva designazione di un altro patrocinatore immediatamente reperibile.

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C.p.p. art. 106 Incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento COMMENTO Luigi, avvocato di Claudio e di Antonio in un procedimento relativo ad un reato di furto, deve rinunciare a difendere uno dei due imputati in quanto ognuno di loro afferma di aver visto dalla propria auto l'altro mentre questi si allontanava con la refurtiva dall'abitazione in cui era stato compiuto il fatto.

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C.p.p. art. 106 Incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento GIURISPRUDENZA La disposizione dell'art. 106 c.p.p., che disciplina l'incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento, anche a voler ritenere che l'eventuale situazione d'incompatibilità sia da riscontrarsi in relazione ad imputati che, coinvolti nella stessa vicenda giudiziaria, si trovino a dover rispondere innanzi a giudici diversi, richiede, trattandosi di fenomeno endoprocessuale, da verificarsi in concreto, che la situazione d'incompatibilità sia sempre condizionata ad una simultaneità delle posizioni di imputato ed all'attualità della situazione idonea a determinarla (11837/1992, rv 193426). Non è autonomamente impugnabile il provvedimento con il quale il giudice dichiara, a norma dell'art. 106, terzo e quarto comma, c.p.p., che un difensore si trova in una situazione di incompatibilità rispetto all'incarico conferitogli dal cliente (88/1994, rv 197938). L'incompatibilità, che a norma dell'art. 106 c.p.p. vieta l'affidamento della difesa di più imputati ad un unico difensore, è causa di nullità della sentenza soltanto se il contrasto di interessi tra coimputati è obiettivamente effettivo e reale nel senso cioè che sussista tra i coimputati stessi un conflitto che renda impossibile la proposizione di tesi difensive tra loro logicamente conciliabili a una posizione processuale che renda concretamente inefficiente e improduttiva la comune difesa. Non basta dunque ad integrare l'incompatibilità la diversità di posizioni giuridiche fra coimputato e una semplice divergenza tra le affermazioni di costoro, ma occorre la sussistenza di un concreto interesse a fare affermazioni difensive pregiudizievoli per l'altro (11369/1994, rv 199370). Per aversi incompatibilità del difensore, in relazione all'assunzione da parte sua della difesa di più imputati nello stesso procedimento, occorre che sussista una situazione di interdipendenza di posizioni processuali per la quale un imputato

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abbia interesse a sostenere una tesi che risulti di pregiudizio per l'altro imputato; ne consegue che non è sufficiente una diversità di posizioni giuridiche o una divergenza di linee di difesa tra più imputati, ma occorre che la versione difensiva di uno di questi sia assolutamente incompatibile con la versione degli altri assistiti, così da determinare un contrasto radicale ed insuperabile, tale da rendere impossibile la prospettazione delle tesi difensive logicamente inconciliabili da parte di un difensore comune (11847/1998, rv 211921). In tema di incompatibilità del difensore, malgrado che il giudice, dopo aver rilevato la incompatibilità, non abbia provveduto a indicarla, esponendone i motivi e a fissare un termine per rimuoverla, avendo invece sostituito direttamente il difensore incompatibile con uno di ufficio, non sussiste violazione dell'art. 178 c.p.p., comma primo, lett. c), ove in concreto nessun pregiudizio alla difesa dell'imputato sia derivato dalla inosservanza della procedura prevista dall'art. 106 c.p.p. (1472/1999, rv 213443). Va esclusa la rilevanza dell'incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento, emersa nel corso di un interrogatorio reso in sede di convalida dell'arresto, in considerazione della brevità dei termini stabiliti per l'espletamento delle formalità finalizzate alla convalida (2166/1999, rv 214583). Il difensore ammesso al gratuito patrocinio dell'imputato ha facoltà, in via generale, di nominare per ogni attività processuale (ancorché al di fuori delle specifiche ipotesi stabilite dal Testo unico delle spese di giustizia n. 115 del 2002), sostituti i quali non necessitano dei requisiti occorrenti per la nomina a difensori nel patrocinio a spese dello Stato. Egli ha, peraltro, il diritto di ottenere l'indennizzo per le attività svolte da questi ultimi (30433/2003). Perché si delinei una situazione di incompatibilità della difesa di più imputati, in forza della quale la difesa non può essere assunta da un difensore comune, è necessario che il contrasto di interessi tra coimputati sia obiettivo, attuale e concreto, nel senso che deve sussistere un conflitto tale da rendere impossibile la proposizione di tesi difensive logicamente conciliabili tra loro. Non basta, dunque, a integrare l'incompatibilità una mera diversità di posizioni giuridiche fra i coimputati, ma occorre la sussistenza di un reale interesse a

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fare affermazioni difensive pregiudizievoli per gli altri (40793/2005). L'inosservanza della norma di cui all'articolo 106, comma 4 bis, c.p.p., secondo la quale non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento, non costituisce causa di nullità né di inutilizzabilità delle prove, richiedendo invece una verifica particolarmente incisiva in punto di attendibilità (21834/2007). Non è consentita la simultanea assunzione della veste di difensore e testimone nell'ambito dello stesso procedimento, essendo la relativa sovrapposizione inconciliabile con la natura dialettica dell'accertamento processuale, e quindi in antitesi con il principio del contraddittorio. (V. Corte cost., 3 luglio 1997 n. 215 (26861/2010). Non è sufficiente a integrare l’incompatibilità del difensore la diversità di posizioni giuridiche o di linee di difesa tra più imputati, ma occorre che la versione difensiva di uno di essi sia assolutamente inconciliabile con la versione fornita dagli altri assistiti, così da determinare un contrasto radicale e insuperabile, tale da rendere impossibile, per il difensore, sostenere tesi logicamente inconciliabili tra loro (10757/2017).

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C.p.p. art. 106 Incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento COMMENTO La disposizione in commento individua e disciplina le fattispecie nelle quali è configurabile l'assunzione del mandato difensivo da parte di un unico professionista che sia chiamato a tutelare la posizione giuridica di una pluralità di imputati in un unico contesto procedimentale. Evidenziato, quindi, l'ambito soggettivo (pluralità di imputati) ed oggettivo (unico procedimento) di riferimento della norma in questione, occorre soffermarsi sui profili concreti dell'unico limite imposto dal legislatore ai fini dell'esercizio del patrocinio plurimo da parte del singolo legale rappresentato dalla incompatibilità delle diverse posizioni giuridiche oggetto di tutela. Infatti, la sussistenza di una concreta conflittualità di interessi non permetterebbe al patrocinatore di adempiere serenamente la funzione cui è preposto in quanto ogni sua opzione procedimentale inevitabilmente determinerebbe effetti pregiudizievoli in capo ad uno degli assistiti, privandolo del diritto ad un'assistenza tecnica effettiva. In mancanza di un'espressa indicazione legislativa sul punto, si ritiene che il patrocinio plurimo sia precluso dal conflitto concreto tra le diverse posizioni processuali dei vari imputati, il quale dovrebbe tradursi in incompatibili ricostruzioni dei fatti oggetto di accertamento (esempio) e nell'interesse di ciascuno di essi ad affermazioni pregiudizievoli per l'altro (così Cassazione n. 2547 del 1999). L'incompatibilità, pertanto, generando una carenza nell'esercizio delle funzioni di assistenza legale, determina l'invalidità degli atti che devono essere compiuti con la presenza necessaria del difensore, in particolare la loro nullità assoluta [179, comma 1], mentre in tutti gli altri casi l'attività posta in essere deve ritenersi affetta da una nullità a regime intermedio [180]. Nel caso in cui sia lo stesso difensore a riscontrare la situazione patologica in questione, egli dovrebbe di sua iniziativa provvedere alla rinuncia al mandato nei riguardi di uno degli imputati; in caso contrario, laddove sia l'autorità giudiziaria a rilevare l'incompatibilità tra le posizioni giuridiche tutelate, dovrà essere fissato al difensore un termine entro cui rimuoverla. Se il legale non si conforma alle indicazioni del giudice procedente, quest'ultimo dichiara, con ordinanza, l'inconciliabilità delle linee difensive dei diversi imputati e procede alla nomina di un difensore d'ufficio. In questo modo si attribuisce all'organo decidente la funzione di supervisore del corretto svolgimento del procedimento, affinché costui rimuova tutti quegli ostacoli che si frappongano alla realizzazione di un processo giusto che si svolga su basi di parità tra le parti interessate garantendo a ciascuna una difesa effettiva. La stessa procedura deve essere seguita anche qualora l'incompatibilità sia rilevata nel corso delle indagini preliminari: in questo caso il giudice della fase, su richiesta del pubblico ministero o delle altre parti private, procede alla nomina del

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difensore d'ufficio previa declaratoria della situazione di conflitto mediante apposita ordinanza. Infine una particolare disciplina è stata introdotta dalla legge n. 45 del 2001 in materia di protezione e trattamento sanzionatorio dei collaboratori di giustizia, la quale ha previsto la preclusione alla difesa comune riguardo ad imputati in procedimenti connessi [12] o collegati [371, comma 2] o coimputati nello stesso procedimento che abbiano reso dichiarazioni circa la responsabilità di altro coimputato.

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C.p.p. art. 107 Non accettazione, rinuncia o revoca del difensore COMMENTO La rinuncia al mandato comunicata dal difensore via fax il giorno prima dell'udienza nel tardo pomeriggio è priva di efficacia, non essendo stata inviata in tempo utile per procedere all'eventuale sostituzione (così Cassazione n. 15759 del 2003).

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C.p.p. art. 107 Non accettazione, rinuncia o revoca del difensore GIURISPRUDENZA Qualora i difensori formulino istanza di rinvio del procedimento dichiarando di rinunciare al mandato in caso di mancato accoglimento della stessa, il giudice non ha obbligo di disporre il rinvio perché la rinuncia condizionata non è prevista dall'ordinamento processuale e perché la rinuncia stessa non è in ogni caso operante fino a quando non sia comunicata alla parte e questa non abbia avuto modo di provvedere alla sostituzione del difensore (11869/1990, rv 185224). Il criterio interpretativo formatosi in relazione al codice di procedura penale del 1930, secondo cui non poteva ritenersi la permanenza della qualità di difensore nell'avvocato che, pur regolarmente avvisato, non si fosse presentato all'udienza del giudizio di primo grado, si fosse fatto ivi sostituire onde non spettava al medesimo l'avviso per l'udienza del procedimento di appello, può essere ribadito anche nel quadro normativo del nuovo codice, con riguardo alla situazione in cui, nell'udienza di primo grado, l'imputato sia stato assistito da altro difensore, pure di fiducia ed anch'esso regolarmente avvisato. I dati rilevanti di tale situazione sono infatti riconducibili – per “facta concludentia” – ad un abbandono della difesa dell'imputato, da parte del detto difensore assente, congiunto alla presa d'atto di ciò, da parte dell'imputato stesso, che peraltro, affidandosi alla sola difesa del difensore presente, mostra di intendere revocare il mandato all'altro difensore. Essendo così riscontrabile la perdita della qualità di difensore in quest'ultimo non gli spetta l'avviso per l'udienza del giudizio di appello (7928/1993, rv 194880). La revoca del difensore opera “ex nunc”, non “ex tunc”, sicché essa non vale a conferire efficacia ai motivi di gravame precedentemente redatti da colui che, non abilitato quale terzo difensore, al momento in cui ebbe a formularli, sia poi legittimamente subentrato nella difesa per effetto della revoca di

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altro difensore, precedentemente nominato (11057/1993, rv 197547). Nel vigente ordinamento processuale penale non è ammessa la rinuncia tacita all'incarico da parte del difensore nominato: la stessa invero non può desumersi dalla condotta processuale tenuta dal difensore poiché non compete, di certo, all'autorità giudiziaria, in difetto di una espressa disposizione di legge, sindacare, al di là delle ipotesi del tutto particolari di abbandono o di rifiuto della difesa previste dall'art. 105 c.p.p., le scelte difensive, espressioni di esercizio libero, autonomo ed inviolabile del diritto di difesa (3898/1996, rv 204004). Nel caso in cui, l'imputato, senza revocare espressamente il precedente difensore, nomini durante il giudizio d'appello altro difensore di fiducia, e solo di questi in concreto si avvalga, concentrando su di esso la propria scelta, a lui affidando la propria difesa in ogni atto, adempimento o parte del procedimento di secondo grado, di guisa che il difensore prescelto, e solo questi in modo personale, diretto e autonomo abbia espletato l'incarico affidatogli, deve ritenersi per “facta concludentia” ed inequivocabilmente, l'intento dell'imputato stesso di affidare le attività defensionali al solo difensore che lo ha effettivamente assistito, e quindi, in sostanza, di revocare il mandato all'altro difensore (9478/1998, rv 211451). In tema di notifiche, il difensore di fiducia, anche se nel corso dell'udienza preliminare e del dibattimento non abbia svolto alcuna attività, ha il diritto di ricevere la notifica degli atti destinati alla difesa salvo che gli sia espressamente revocato il mandato ovvero sia sostituito da altro difensore, giacché non è prevista da alcuna norma la revoca tacita dell'incarico (18725/2001, rv 219502). È da escludersi una rimessione in termini se il giudice comunica all'imputato la rinuncia all'incarico del legale di fiducia e provvede a nominare un difensore d'ufficio. Spetta al cliente dimostrare la negligenza del legale nell'informarla dell'avvenuta nomina del difensore d'ufficio (39857/2010). La nomina del terzo difensore di fiducia dell'imputato, in assenza di revoca espressa di almeno uno dei due già nominati, resta priva di efficacia, salvo che si tratti di nomina per la proposizione dell'atto di impugnazione la quale, in mancanza di contraria

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indicazione dell'imputato, comporta la revoca dei precedenti difensori (S.U. 12164/2011). La disposizione generale per cui la nomina di un difensore in eccedenza rispetto al numero consentito rimane priva di effetto finché la parte non provvede alla revoca di quelle precedenti, non è applicabile nel giudizio di cassazione, nel quale prevale, in quanto speciale, quella dell'art. 613, comma secondo, c.p.p., in forza della quale la nomina di un terzo difensore iscritto nell'albo delle giurisdizioni superiori ai fini della presentazione del ricorso o successivamente non può essere considerata eccedente e conferisce a quest'ultimo in via esclusiva nella fase di legittimità la titolarità della difesa ed il diritto a ricevere i relativi avvisi (S.U. 12164/2011). In tema di rinuncia al mandato, l'art. 107 c.p.p., non prevede che il giudice, informato della rinuncia, verifichi la effettiva regolarità della comunicazione inviata dal professionista al cliente, atteso che la rinuncia al mandato da parte del difensore opera immediatamente, con conseguente obbligo del giudice, cui sia pervenuta la notizia, di provvedere alla nomina di un difensore d'ufficio senza che abbia rilevanza la comunicazione alla parte; con riferimento al procedimento penale, infatti, non è previsto l'obbligo di previa comunicazione alla parte, non operando il disposto del l'art. 85 c.p.c., secondo cui non producono effetto la revoca o la rinuncia alla procura, sino a quando il difensore non sia sostituito dall'interessato (33298/2012). La rinuncia al mandato difensivo non comporta l’obbligo per il giudice di nominare all’imputato - che non abbia provveduto alla nomina di un difensore di fiducia - un difensore d’ufficio, in quanto il difensore rinunciante è onerato della difesa fino all’intervento di una nuova nomina. Ne consegue che la mancata nomina del difensore d’ufficio, nella pendenza del termine per appellare la sentenza di primo grado, non comporta alcuna nullità, essendo il difensore di fiducia - oltre che l’imputato - nella piena facoltà di proporre l’impugnazione fino all’intervento della nuova nomina (3886/2017).

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C.p.p. art. 107 Non accettazione, rinuncia o revoca del difensore COMMENTO La norma in commento disciplina le fattispecie della mancata accettazione dell'incarico professionale da parte del difensore, della rinuncia ad esso e della revoca del mandato da parte dell'assistito. Si tratta di evenienze procedimentali le quali presuppongono necessariamente un rapporto giuridico, già in atto o in procinto di essere instaurato, tra parte privata e difensore di fiducia, laddove invece, nell'ipotesi di legale d'ufficio, sussiste in capo al patrocinatore nominato ai sensi dell'articolo 97 un vero e proprio obbligo di prestare la propria assistenza, pena l'applicazione di una sanzione disciplinare irrogata dal Consiglio dell'ordine forense ex articolo 106. Anche in questo caso il legislatore omette di scendere nel dettaglio dei contenuti di ogni singolo atto. Tuttavia si può rilevare come da un lato la mancata accettazione preceda l'inizio del rapporto fiduciario, quando ancora non si può parlare di vero e proprio rapporto professionale, mentre la rinuncia, anch'essa atto proveniente dal difensore, determina l'estinzione di un incarico già esplicatosi nel contesto della vicenda procedimentale; riguardo, infine, alla revoca, trattasi di atto che promana dallo stesso assistito, in ottemperanza del principio di libertà nella scelta del legale, e che si ritiene debba essere redatto con le stesse formalità della procura alle liti disciplinata dall'articolo 96. L'efficacia di tali opzioni, fermo restando l'obbligo in capo al procuratore legale di comunicare immediatamente alla parte e al magistrato dinanzi a cui pende il procedimento la volontà di non accettare l'incarico conferito o di rinunciarvi, viene collegata dal legislatore a distinte evenienze procedimentali. Infatti mentre per la mancata accettazione è sufficiente, a tal fine, la comunicazione all'autorità giudiziaria procedente, per la rinuncia all'incarico e la revoca del medesimo da parte dell'assistito è assolutamente necessario che intervenga contestualmente, o comunque quanto prima, la nomina di un nuovo legale di fiducia o, in mancanza, di un difensore d'ufficio. Tale diversità di disciplina risponde all'esigenza di evitare che l'imputato o le altre parti private rimangano completamente prive di un rappresentante tecnico quando già abbiano goduto degli effetti benefici del suo operare e abbiano, di conseguenza, impostato in un modo determinato la rispettiva strategia processuale (esempio). Peraltro, laddove il nuovo difensore si sia avvalso del lasso di tempo necessario per prendere cognizione degli atti e per informarsi sui fatti oggetto del procedimento, l'efficacia dei provvedimenti di rinuncia e di revoca sarà procrastinata allo scadere del termine a difesa concesso dall'autorità giudiziaria procedente.

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C.p.p. art. 108 Termine per la difesa COMMENTO Si consideri la situazione in cui siano prossimi alla scadenza i termini massimi di decorrenza della custodia cautelare in carcere.

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C.p.p. art. 108 Termine per la difesa GIURISPRUDENZA L'art. 108 c.p.p. prevede che, nei casi di rinuncia, di revoca o di abbandono, al nuovo difensore dell'imputato o a quello designato in sostituzione che ne fa richiesta sia dato un termine a difesa “congruo, di regola non inferiore a tre giorni”, per prendere cognizione degli atti e per informarsi sui fatti oggetto del procedimento. Ciò significa che un termine inferiore a tre giorni, di per sé, non compromette il diritto di difesa, essendo stato espressamente previsto dallo stesso codice, e non integra la nullità ex art. 178, lett. c ), c.p.p. (1977/1994, rv 198586). In tema di concessione del termine per preparare la difesa, la disposizione di cui all'art. 108 c.p.p. – che prevede la concessione di un termine “di norma non inferiore a tre giorni” al nuovo difensore dell'imputato, o a quello designato in sostituzione, nei casi di rinuncia, di revoca, di incompatibilità e di abbandono della difesa – non è applicabile nelle ipotesi in cui il giudice designi, ai sensi dell'art. 97, comma 4, c.p.p., un sostituto al difensore non comparso la cui istanza di rinvio per contemporaneo impegno professionale sia stata disattesa (6015/1999, rv 213381). La mancata concessione di un termine a difesa, quale previsto dall'art. 108 c.p.p., nella ipotesi di nomina di nuovo difensore (conseguente a rinunzia, revoca, incompatibilità del precedente, ovvero nella ipotesi di abbandono da parte dello stesso) determina nullità generale a regime intermedio, in quanto attiene all'assistenza dell'imputato e non all'assenza del difensore. Ne consegue che detta nullità dev'essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all'art. 182, comma 2, c.p.p. e, quindi, al più tardi, immediatamente dopo il compimento dell'atto nullo, costituito, nell'ipotesi data, dal provvedimento di diniego del termine in questione (25325/2003, rv 224994). La mera assenza del difensore all'udienza non integra alcuna delle ipotesi indicate nell'art. 108 c.p.p. per poter ottenere la concessione di un termine a difesa (21899/2010).

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L'assenza del difensore di fiducia ad una sola udienza non può interpretarsi come sintomo di un atto abdicativo espresso o di revoca dell'incarico, né di un comportamento di “abbandono” ai fini della concessione al difensore di ufficio del termine a difesa di cui all'art. 108 c.p.p., atteso che tale condotta può essere ricondotta ad una diversa, alternativa ed insindacabile, strategia processuale (S.U. 12903/2011). L'abuso del processo consiste in un vizio, per sviamento, della funzione, ovvero in una frode alla funzione, e si realizza allorchè un diritto o una facoltà processuali sono esercitati per scopi diversi da quelli per i quali l'ordinamento processuale astrattamente li riconosce all'imputato, il quale non può in tale caso invocare la tutela di interessi che non sono stati lesi e che non erano in realtà effettivamente perseguiti (S.U. 511/2011). Il diniego di termini a difesa, ovvero la concessione di termini ridotti rispetto a quelli previsti dall'art. 108, comma 1, c.p.p., non possono dar luogo ad alcuna nullità quando la relativa richiesta non risponda ad alcuna reale esigenza difensiva e l'effettivo esercizio del diritto alla difesa tecnica dell'imputato non abbia subito alcuna lesione o menomazione (S.U. 511/2011).

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C.p.p. art. 108 Termine per la difesa COMMENTO La normativa relativa ai difensori d'ufficio, cioè la legge n. 60 del 2001, ha modificato la disposizione in commento prevedendo un termine più ampio di quello previgente, innalzando la soglia minima a sette giorni, che può essere richiesto dal nuovo difensore di fiducia o da quello d'ufficio che sia stato nominato in seguito al verificarsi di una fattispecie di incompatibilità o di revoca, rinuncia o abbandono del mandato, al fine di effettuare una completa cognizione di tutti gli atti del procedimento pendente e di informarsi sui fatti oggetto del processo stesso. Si tratta evidentemente di un precetto normativo la cui funzione è inequivocabilmente diretta a salvaguardare in capo all'imputato il diritto ad una difesa tecnica effettiva in quanto cosciente della storia pregressa della dinamica procedimentale nella quale va ad innestarsi l'operato del legale di nuova designazione. Ricorrendone i presupposti, quindi, il giudice, previa istanza avanzata in tal senso dal nuovo difensore, deve concedere il termine a difesa, pena il delinearsi di una nullità a regime intermedio; tuttavia, in sede di indagini preliminari competente a decidere sarà il pubblico ministero presso il tribunale in cui esercita le sue funzioni il magistrato giudicante che procede. Il secondo comma prevede la possibilità di assegnare un termine più breve di quello ordinario, che comunque non può mai essere inferiore alle ventiquattro ore, purché ricorra il consenso dell'imputato o del difensore stesso oppure vi siano specifiche esigenze processuali che possano determinare la scarcerazione dell'imputato (esempio) o la decorrenza dei termini di prescrizione del reato. Anche in tale ipotesi, il termine è assegnato su richiesta dell'interessato ed è disposto dal giudice procedente con provvedimento avente la forma di un'ordinanza la cui motivazione deve essere redatta in modo adeguato, soprattutto laddove la richiesta di parte venga disattesa in relazione al quantum della dilazione temporale o, comunque, il termine concesso sia inferiore alla soglia minima normativamente stabilita.

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C.p.p. art. 109 Lingua degli atti GIURISPRUDENZA L'obbligo di usare la lingua italiana (art. 109, comma primo, c.p.p.) si riferisce agli atti da compiere nel procedimento, non agli atti già formati da acquisire al procedimento medesimo. Ciò deriva, oltre che dal tenore letterale della citata norma e dal principio chiaramente desumibile dall'eccezione stabilita nel comma secondo del predetto articolo, anche dalle espresse e specifiche disposizioni dettate dagli artt. 237, 242 e 143 c.p.p. Secondo il combinato disposto delle predette norme, alla cui osservanza il giudice è tenuto ex art. 124 c.p.p. anche senza richiesta o sollecitazione della difesa, mentre l'acquisizione di qualsiasi documento proveniente dall'imputato può essere disposta anche di ufficio, il giudice “dispone” (cioè deve disporre) la traduzione, a norma dell'art. 143 c.p.p., dei documenti redatti in lingua diversa dall'italiano, se cioè è necessario alla loro comprensione (758/1995, rv 201140). La sentenza che conclude il giudizio di appello rientra fra gli atti che devono essere tradotti nella lingua del cittadino appartenente alla minoranza linguistica slovena se costui ne abbia fatto richiesta. Tuttavia, in caso di mancata traduzione, la nullità prevista dal terzo comma di cui all'art. 109 c.p.p. non investe la sentenza in sé ma il procedimento di pubblicazione, conseguentemente derivandone l'unico effetto del mancato decorso del termine per il ricorso per Cassazione. La nullità, peraltro, è sanata ai sensi dell'art. 183 c.p.p., lett. b), se venga ugualmente proposto il ricorso. La disposizione dell'art. 109 c.p.p. tende, infatti, a rispettare il patrimonio culturale e linguistico dei soggetti interessati e non è posta a garanzia dell'intervento, della assistenza e della rappresentanza dell'imputato. Per contro, una violazione dell'art. 143 c.p.p., con conseguente nullità assoluta, sarebbe ipotizzabile solo nel caso di deduzione – da parte dell'appartenente alla minoranza slovena di mancanza di conoscenza della lingua italiana, in quanto in tal caso la tutela del diritto di difesa verrebbe a sovrapporsi a quella spettante

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all'interessato quale appartenente alla minoranza linguistica in quanto tale (1400/1999, rv 213326). In conformità sia del dettato costituzionale, sia dell'art. 6 lett. e), della convenzione europea dei diritti dell'uomo 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848, nei confronti dell'imputato straniero, che non conosce la lingua italiana, il diritto di difesa è assicurato dall'assistenza dell'interprete solo limitatamente agli atti orali, essendo escluso l'obbligo di traduzione degli atti processuali nella sua lingua madre, in forza della regola generale di cui all'art. 109, comma 1, c.p.p., che soffre un'unica eccezione, prevista dall'art. 169, comma 3, stesso codice, con riferimento all'invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato (12394/2000, rv 217915). In tema di procedimento a carico di imputati appartenenti a minoranze linguistiche riconosciute presenti nella regione TrentinoAlto Adige, il requisito del bilinguismo del giudice – che non può essere inteso come condizione di sua capacità – non opera nei procedimenti trattati da organo giurisdizionale costituito fuori dal territorio della predetta regione, anche se una prima fase processuale si è svolta in tale ambito territoriale (21952/2001, rv 219456). Negli uffici giudiziari in cui vige il regime bilinguista, il giudice ha la possibilità di utilizzare la lingua tedesca anche a tutela dell'imputato straniero che dichiari di non conoscere la lingua italiana e di esprimersi solo in tale lingua, senza che occorra la nomina di un interprete (35/2002, rv 223201). È inammissibile l'impugnazione in lingua straniera da parte di un soggetto che non conosce la lingua italiana (36541/2008). Nel procedimento di riesame, caratterizzato da tempi assai ravvicinati e da adempimenti il cui mancato rispetto può comportare l'inefficacia della misura, è onere della parte e non del giudice provvedere a che la documentazione prodotta sia redatta in lingua italiana o accompagnata dalla sua traduzione formale (15380/2010). Sussiste incompatibilità con l'ufficio di interprete per il soggetto che, nello stesso procedimento, abbia svolto il compito di trascrizione delle registrazioni delle comunicazioni intercettate (S.U. 18268/2011).

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C.p.p. art. 109 Lingua degli atti COMMENTO La norma in esame prende in considerazione l'importante e delicato aspetto della lingua come fondamentale strumento di comunicazione. Il primo comma sancisce il principio generale secondo cui gli atti compiuti nel corso del procedimento penale devono essere obbligatoriamente redatti secondo la lingua ufficiale dello Stato italiano. Il secondo comma, viceversa, si occupa dei profili attinenti al riconoscimento delle minoranze linguistiche e dell'utilizzazione della loro lingua nel procedimento, accanto alla lingua italiana. Tale disposizione appare chiaramente finalizzata ad assicurare a tutti coloro che appartengono ad una minoranza linguistica la possibilità di partecipare al processo in madrelingua, senza che ciò risulti precluso dall'eventuale ignoranza dell'italiano da parte dei soggetti interessati, che possono essere non solo l'imputato o le altre parti private, ma anche qualsiasi altra persona chiamata a prender parte al processo (ad esempio testimoni o periti). L'uso di una lingua diversa dall'italiano non è, tuttavia, automatico, ma subordinato alla sussistenza di determinate condizioni, che possono essere riassunte come segue: – deve sussistere una legge regionale o nazionale che riconosce la lingua come minoritaria; – deve trattarsi di un processo che viene celebrato dinanzi ad un'autorità che ha competenza nel territorio in cui si è stabilita la minoranza linguistica; – deve esistere la richiesta specifica da parte del soggetto interessato. Sebbene quanto sopra sia pacifico, né la Convenzione europea sui diritti dell'uomo, né il codice di rito impongono la traduzione nella lingua dell'imputato straniero degli atti che gli vengono notificati. L'unica eccezione alla regola generale dell'uso esclusivo della lingua italiana, stabilita dalla norma in commento, è costituita dall'art. 169, terzo comma, in base al quale l'invito a dichiarare o ad eleggere domicilio nel territorio dello Stato dev'essere redatto secondo l'idioma dell'imputato straniero, cui la raccomandata contenente la notizia del procedimento e l'invito in questione debbano essere notificati all'estero, quando dagli atti non risulti che egli conosca la lingua italiana. Siffatta esplicita previsione conferma la regola generale, che è quella dell'uso della lingua italiana, senza necessità di traduzioni, per lo straniero che si trovi in Italia, di tutti gli altri atti scritti del procedimento, salvo il diritto, per l'imputato che non conosca la lingua del nostro Stato, di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di comprendere l'accusa formulata contro di lui e di seguire il compimento degli atti cui partecipa (così Cassazione n. 2642 del 1993). La tutela delle minoranze linguistiche si estende anche alla nomina del difensore: infatti le parti del processo possono liberamente scegliere la persona dalla quale farsi assistere in giudizio, indipendentemente dall'appartenenza etnica o linguistica ed,

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inoltre, in caso di nomina del difensore d'ufficio, l'autorità competente deve tenere in considerazione l'appartenenza etnica o linguistica dell'assistito. La normativa qui esaminata è prevista a pena di nullità, proprio in ragione del diritto di difesa alla cui massima espressione la medesima risulta funzionale.

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C.p.p. art. 110 Sottoscrizione degli atti GIURISPRUDENZA Il segno di croce non è una firma o una sottoscrizione equivalente ma una espressione convenzionale attestante che una persona è analfabeta. Da esso non scaturisce alcun effetto giuridico a causa della sua irrilevanza nell'ordinamento vigente, e ciò anche se vi sia la autentica del difensore (1108/1996, rv 204086). È valido ed efficace il mandato difensivo conferito mediante crocesegno autenticato dal difensore ai sensi dell'art. 39 disp. att. c.p.p.; se, infatti, il segno di croce è privo di qualsiasi valore per l'ovvia ragione che non dà alcuna certezza dell'autenticità della provenienza dell'atto su cui è apposto, tuttavia può valere come speciale sottoscrizione qualora sia accompagnato dall'autentica di un pubblico ufficiale – quale deve considerarsi il difensore che provvede a detto adempimento – la quale assicura, per la sua intrinseca efficacia certificativa, la conoscenza dell'identità della persona da cui quel segno grafico proviene. Resta così sostanzialmente osservato il disposto dell'art. 110 c.p.p., il quale, nel prevedere il caso in cui la persona che deve firmare non sia in grado di scrivere (in quanto analfabeta o per qualsiasi altro motivo), stabilisce che il pubblico ufficiale il quale riceve l'atto in forma orale o redatto per iscritto deve farne annotazione su di esso, previa identificazione della persona stessa (1062/1997, rv 207548). La legge 7 giugno 1993, n. 183, che autorizza l'uso del telefax per la trasmissione di atti tra avvocati, prevedendo, a determinate condizioni, che le copie trasmesse debbano ritenersi autentiche, si applica solamente ai processi civili e amministrativi, ma non ai processi penali compresi i procedimenti incidentali “de libertate” (3118/2000, rv 217369). Ogni documento scritto per assumere rilevanza e produrre effetti giuridici deve recare in calce la firma del suo autore, sicché è inammissibile la richiesta di riesame di una misura cautelare proposta con atto non sottoscritto dal difensore il cui nome figura impresso in calce allo stesso atto (4321/2000, rv 217955).

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La sottoscrizione che una persona apponga a un atto costituisce elemento necessario e sufficiente per l'attribuzione alla medesima della o delle dichiarazioni inserite in tale atto. Dalla sottoscrizione deriva una presunzione, iure tantum, di consenso sul contenuto del documento che opera non solo nei confronti di chi sa leggere e scrivere, ma anche nei confronti di un soggetto analfabeta che sappia unicamente scrivere il proprio nome e cognome, essendo entrambi in grado di verificare il contenuto: il primo con la lettura diretta del documento, il secondo ricorrendo alla lettura da parte di un terzo (24813/2003). Dopo il rigetto della prima richiesta di applicazione della pena congiunta a quella di una pronuncia ex art. 129 c.p. per parte delle contestazioni, a seguito del rinnovo della richiesta da parte dell'imputato di applicazione della pena per tutte le imputazioni il Giudice, ritenuta la richiesta pienamente ammissibile e fondata ai sensi dell'art. 448 c.p.p., procede con sentenza all'applicazione di detta pena ritenuta congrua. (Nella specie veniva applicata la pena di anni uno, mesi due di reclusione ed Euro cinquecento di multa, con pena sospesa) (12644/2010). Va annullata con trasmissione degli atti ai fini della celebrazione di un nuovo giudizio, e non al solo fine di integrare la relativa omissione, la sentenza di primo grado affetta da nullità per mancata sottoscrizione del Presidente del collegio (40025/2011). È valido il verbale di elezione di domicilio sottoscritto mediante l’apposizione di un segno di croce, in quanto la provenienza dell’atto dall’interessato, così come l’identità del sottoscrittore, è attestata dall’ufficiale di polizia giudiziaria che ha redatto il documento, mentre l’assenza della specifica attestazione dell’impossibilità di sottoscrivere da parte del dichiarante, non espressamente prevista a pena di nullità, costituisce una mera irregolarità dell’atto. Cass. 12 febbraio 2019, n. 13649.

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C.p.p. art. 110 Sottoscrizione degli atti COMMENTO Tale norma è stata introdotta nel codice con l'evidente intento di rendere possibile il riconoscimento della paternità di un atto, ed è per questo che il nostro ordinamento vieta il ricorso a mezzi meccanici o a segni diversi dalla scrittura, che impediscono di ricondurre con certezza l'atto compiuto ad un autore determinato. Talvolta la sottoscrizione degli atti, che può essere intesa come l'apposizione della firma in un documento attraverso la quale si assicura che la sostanza dell'atto proviene dal sottoscrittore, deve essere autenticata, ai sensi dell'art. 39 disp. att., da un soggetto a ciò legittimato, che può essere un funzionario di cancelleria, un notaio, il difensore, il sindaco, un funzionario delegato dal sindaco, il segretario comunale, il giudice di pace, il presidente del consiglio dell'ordine forense o un consigliere da lui delegato. Il segno di croce apposto in calce all'atto da parte dell'analfabeta è un semplice elemento grafico convenzionale indicante che una persona non sa scrivere e, non essendo idoneo ad individuare l'autore, non può costituire equipollente della sottoscrizione, con la conseguenza che deve ritenersi inoperante la funzione stessa dell'autenticazione. Pertanto, posto che la norma di cui al comma 3 si riferisce alla persona che non è in grado di scrivere per qualunque causa contingente o duratura, compresa quella dipendente da analfabetismo (così Cassazione n. 22 del 1999), deve, altresì, escludersi l'applicabilità dell'art. 39 disp. att., che conferisce al difensore il mero potere di autenticazione della sottoscrizione e non anche quello di formazione dell'atto di nomina che, nel caso specifico, deve necessariamente essere ricevuto dal pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi dell'art. 96, comma 2, con la conseguenza dell'inammissibilità dell'impugnazione proposta dall'analfabeta il cui “crocesegno” sia stato autenticato dal difensore, del quale ultimo difetta la legittimazione alla proposizione del gravame (così Cassazione n. 3035 del 1999). Fra i soggetti tenuti alla sottoscrizione degli atti, vi è incluso il giudice, il cui atto, però, non è inficiato del vizio formale della nullità quando la sottoscrizione non risulta leggibile. In ogni caso dal contesto o dal contenuto del provvedimento emesso è comunque possibile identificarne l'autore.

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C.p.p. art. 111 Data degli atti GIURISPRUDENZA In tema di notifica di decreto penale di condanna la nullità per difetto (per mancanza totale, incompletezza o errore) dell'indicazione della data della consegna nella copia notificata all'interessato sussiste solo nel caso in cui la data non possa stabilirsi con certezza, in base ad elementi contenuti nell'atto medesimo o in atti a questo connessi, secondo quanto previsto dall'art. 111 c.p.p. Nell'ipotesi in cui la notifica sia avvenuta nelle forme previste dall'art. 156, settimo comma, c.p.p., detti elementi, atteso il disposto del secondo comma dell'art. 168 c.p.p., debbono ritenersi essere solo quelli contenuti nella relazione scritta all'esterno del plico ovvero negli atti, trovantisi all'interno di questo, in quanto destinati a pervenire – con la relazione – all'interessato (1121/1992, rv 190427). Non è causa di nullità della decisione la mancanza di data allorché questa si possa ricavare dagli atti (2817/1994, rv 198908). Il momento dell'emissione di un provvedimento da parte del pubblico ministero o del giudice è quello nel quale avviene il deposito presso la segreteria, atteso che tale deposito è requisito formale della esternazione del provvedimento e con esso si raggiunge la rilevanza intersoggettiva dell'atto processuale (42520/2002, rv 222962). Il decreto con cui il p.m. dispone l'esecuzione delle operazioni di intercettazione mediante il ricorso ad impianti diversi da quelli esistenti presso la Procura della Repubblica non è nullo o inesistente se privo della data, quando risulta con certezza quella della sua annotazione nel registro previsto dall'art. 267, comma 5, c.p.p. (16672/2010)

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C.p.p. art. 111 Data degli atti COMMENTO Il procedimento penale si sviluppa attraverso la successione di una serie di sequenze fra loro collegate che devono trovare una precisa collocazione spaziotemporale: la data degli atti risponde a tale funzione. Essa normalmente è accompagnata dall'indicazione del luogo nel quale l'atto viene formato ed è costituita dalla segnalazione del giorno, del mese e dell'anno; talvolta il nostro ordinamento impone anche la menzione dell'ora, per garantire certezza ed una più incisiva tutela degli interessi in gioco. Il secondo comma stabilisce che la disciplina sin qui analizzata è prevista dal legislatore a pena di nullità in relazione a specifiche fattispecie di atti: tuttavia il rigore di tale disposto normativo viene attenuato quando si prevede l'insussistenza dell'invalidità dell'atto, nei casi in cui non viene fatta menzione alcuna della data, ancorché questa possa essere comunque stabilita con certezza, in base all'atto formato o a quelli ad esso collegati.

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C.p.p. art. 112 Surrogazione di copie agli originali mancanti GIURISPRUDENZA A sostegno di una richiesta di misura cautelare personale possono essere presentate dal pubblico ministero copie “informali” di atti. Invero, nel nostro sistema processuale penale, nessuna norma richiede certificazione ufficiale di conformità delle copie ed al contrario vige il principio della libertà della prova sia per i fattireato sia per gli atti del processo (7/1997, rv 207362). L'allegazione al ricorso della parte civile del verbale di deposito della querela, con le attestazioni della sua autenticità, non costituisce una produzione probatoria, che non sarebbe ammissibile nel giudizio di cassazione neppure con riferimento a una prova documentale, bensì un'attività intesa alla surrogazione, a norma dell'art. 112 c.p.p., di un atto del procedimento andato smarrito e questa attività pseudoistruttoria, intesa a ricostituire nella sua integralità il fascicolo degli atti del procedimento, è da ritenere consentita anche nel giudizio di cassazione, in particolare quando è destinata a consentire la decisione su questioni processuali rispetto alle quali il giudizio di legittimità si estende al fatto (3477/2000). In assenza di previsione di uno specifico procedimento nella disciplina del processo civile, è possibile, per procedere alla ricostituzione di atti giudiziari, applicare analogicamente le specifiche norme di cui agli art. 112 e 113 c.p.p. L'applicazione analogica di tale disciplina, estensibile anche al giudizio di cassazione, si lascia preferire a quella dettata da altre disposizioni dell'ordinamento in generale per la ricostituzione di atti e documenti, ivi compresi quelli giudiziari, come il r.d.l. 15 novembre 1925 n. 2071, atteso che esso si riferisce ad eventi eccezionali di natura generale. (Fattispecie relativa alla ritenuta ammissibilità della ricostituzione di una sentenza della Corte di cassazione andata smarrita con l'ordine di inserimento di una copia conforme all'originale nel registro delle sentenze, con attestazione dell'avvenuta sottoscrizione del Presidente ed allegazione della stessa ordinanza di ricostruzione) (9269/2010).

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C.p.p. art. 112 Surrogazione di copie agli originali mancanti COMMENTO L'istituto della surrogazione svolge la fondamentale funzione di conservare gli effetti giuridici dell'originale di un atto processuale, laddove ne esista una copia autentica, nel caso in cui il primo venga, in qualunque modo: – smarrito: lo smarrimento si ha quando l'atto esce dalla signoria del soggetto e questi si trova nell'impossibilità di riaverne la disponibilità; – sottratto: la sottrazione si configura quando l'atto viene tolto dalla disponibilità di qualcuno e viene sottoposto al potere di altri; – distrutto: la distruzione implica l'eliminazione definitiva dell'atto. L'atto utilizzato ai fini della surrogazione deve, dunque, costituire una copia autentica dell'originale, cioè deve essere esattamente identico all'atto non più reperibile e la conformità deve essere attestata da un pubblico ufficiale a ciò legittimato. La competenza funzionale spetta al presidente della corte o del tribunale, il quale, con decreto, intima al possessore della copia dell'atto di consegnarla in cancelleria (previa possibilità di ottenere gratuitamente altra riproduzione autentica dell'atto). Quest'ultima si preoccuperà di attestare che la copia autenticata sostituisce, nel corso del procedimento penale, l'atto smarrito, distrutto o sottratto.

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C.p.p. art. 113 Ricostituzione di atti COMMENTO Il ricorso alla ricostituzione degli atti è meramente sussidiario, vale a dire trova concreta applicazione soltanto nel caso in cui non sia possibile ottenere la surrogazione dell'atto [➠ 112]. Secondo quanto sancito dall'articolo in commento il giudice, anche d'ufficio, stabilisce con ordinanza se e con quale contenuto ricostituire l'atto, dopo aver preventivamente analizzato la sostanza del provvedimento sottratto alla disponibilità del procedimento. Il codice, tuttavia, predispone una disciplina incompleta, perché se da un lato si preoccupa di dichiarare che si può procedere alla ricostituzione dell'atto mancante ex officio, dall'altro, omette di indicare il giudice competente, che presumibilmente sarà quello di fronte al quale si procede, anche se il richiamo al disposto contenuto nell'art. 112 spinge parte degli interpreti a ritenere che organo deputato alla ricostituzione sia il giudice ivi indicato, cioè il presidente della corte o del Tribunale. Invero, l'atto ormai inesistente deve essere ricostruito sulla falsariga della minuta, qualora questa sussista e sia valutata dal giudice competente come conforme all'atto da riprodurre: per maggiore precisione terminologica la minuta può essere definita come la stesura iniziale di un atto, che deve essere successivamente perfezionato. Nonostante il silenzio della norma si può pacificamente affermare che l'ultimo capoverso disciplina l'istituto della rinnovazione, ossia l'extrema ratio che si sostanzia nel completo rinnovo dell'atto mancante. Il meccanismo prevede l'emanazione di un'ordinanza del giudice contenente le modalità di rinnovazione dell'atto o, eventualmente degli atti, che devono essere nuovamente formati.

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C.p.p. art. 114 Divieto di pubblicazione di atti e di immagini GIURISPRUDENZA Nel vigente codice di rito non vi è completa coincidenza tra il regime di segretezza e quello di divulgazione degli atti permanendo una distinzione tra segreto e divieto di pubblicazione. Per gli atti coperti da segreto assoluto (atti del pubblico ministero e della Polizia giudiziaria fino a quando non siano conoscibili dall'indagato) vige un divieto assoluto di pubblicazione sia con riferimento al testo che al contenuto, anche parziale o per riassunto. Per gli atti non coperti da segreto sussiste un divieto limitato di pubblicazione che è assai circoscritto e viene meno man mano che, in relazione allo svolgimento del procedimento, viene meno la ragion d'essere del divieto che è quella di assicurare il corretto, equilibrato e sereno giudizio del giudice del dibattimento attuato anche attraverso le norme che gli consentono di venire legittimamente a conoscenza del testo degli atti di indagine nei limiti e secondo le regole previsti in un processo tipicamente accusatorio. Peraltro è sempre consentita la pubblicazione del contenuto degli atti non coperti (o non più coperti da segreto) a guisa d'informazione. Il nuovo codice di procedura penale distingue quindi nettamente tra atto del procedimento e suo contenuto e non vi è perfetta equiparazione tra ciò che diviene conoscibile all'interno del procedimento e la sua divulgabilità. Tuttavia, anche per quello che riguarda gli atti coperti da segreto assoluto, occorre una rigorosa interpretazione dell'ambito di operatività del divieto poiché l'atto di indagine non può automaticamente coincidere con il fatto che ne costituisce l'oggetto e pertanto non rientra nel divieto di pubblicazione l'espletamento di attività procedimentali che si sostanzino in fatti storici direttamente percepibili, talché non sarà pubblicabile il contenuto delle dichiarazioni rese dal teste oculare di un avvenimento all'autorità giudiziaria, ma sarà lecito riferire quanto attinto direttamente dallo stesso testimone, che, in quanto tale, non è tenuto al segreto. D'altro canto, invece, l'avvenuta diffusione da parte di altri di notizie di atti di indagine coperte da

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segreto non fa venir meno la segretezza e quindi il divieto di pubblicazione (10135/1994, rv 199918). In tema di arbitraria pubblicazione degli atti di un procedimento è sempre consentita la divulgazione delle notizie attinte direttamente da persona che abbia assistito o sia a conoscenza di un “fatto” anche quando lo stesso sia oggetto di accertamento da parte dell'autorità giudiziaria. Una notizia attinta direttamente da un testimone di un avvenimento, in quanto tale non tenuto al segreto, è liberamente divulgabile con il mezzo della stampa, mentre se detta notizia è tratta dalle dichiarazioni fatte dalla stessa persona alle autorità preposte alle indagini, la sua divulgazione con il messo della stampa costituisce reato (10135/1994, rv 199918). In tema di arbitraria divulgazione degli atti di un procedimento penale, la già avvenuta diffusione di notizie di atti di indagine coperti da segreto non fa venir meno la segretezza e quindi il divieto di pubblicazione poiché con la successiva divulgazione vengono dati all'atto maggior risalto e diffusione (10135/1994, rv 199918). L'art. 684 c.p. – che punisce “chiunque pubblica, in tutto o in parte, atti o documenti di un procedimento penale di cui sia stata vietata per legge la pubblicazione – non indica quali siano gli atti o i documenti per i quali vige il divieto, ma rinvia a quanto espressamente dettato in proposito nel codice di rito: specificamente – con riferimento al codice di procedura penale del 1988 – a quanto stabilito dall'art. 114, norma che menziona soltanto gli atti, a differenza dell'art. 164 c.p.p. abrogato il quale faceva esplicito riferimento nel testo anche a “qualunque documento” . L'omessa menzione del termine “documento” nel citato art. 114 c.p.p. deve essere valutata con riferimento all'art. 234, comma primo, c.p.p. in forza del quale “è consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”; ne consegue che anche un documento fonografico costituito da una registrazione attuata da privati, una volta acquisito come prova documentale agli atti di indagine ai sensi dell'art. 234 c.p.p., diventa parte integrante degli atti stessi – tra i quali rientra – così che anch'esso viene ad essere sottoposto alla disciplina dettata dall'art. 114 c.p.p. in tema di pubblicazione di atti (10948/1995, rv 202854).

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La notifica all'imputato dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere fa venir meno l'obbligo del segreto intraprocessuale, ma non esclude il divieto di pubblicazione, atteso che va fatta distinzione tra atti coperti da segreto ed atti non pubblicati, in quanto, mentre il segreto opera all'interno del procedimento, il divieto di pubblicazione riguarda la divulgazione tramite la stampa e gli altri mezzi di comunicazione sociale (3896/2002, rv 224273). Fatta salva la possibilità di pubblicare il contenuto di atti non coperti dal segreto, non può derogarsi al divieto di pubblicazione di tali atti, mediante riproduzione integrale o parziale o estrapolazione di frasi, nei casi previsti dall'art. 114 c.p.p., in dipendenza del dato quantitativo della limitatezza della riproduzione, trattandosi di deroga non prevista dalla norma e non compatibile con le esigenze sottese alla disciplina relativa alla pubblicazione di atti di un procedimento penale (838/2015).

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C.p.p. art. 114 Divieto di pubblicazione di atti e di immagini COMMENTO Prima della riforma del 2017 In via generale, gli atti coperti da segreto non possono essere pubblicati: tale divieto, che concerne il mezzo della stampa, come qualunque altro strumento di diffusione, comprende sia la semplice riproduzione dell'atto formato nel corso del procedimento, sia la divulgazione del contenuto sostanziale del provvedimento, in forma riassuntiva o meramente informativa. Il rigore del divieto, sin qui genericamente analizzato, viene gradualmente specificato nei singoli commi di cui è composta la norma: il primo capoverso sancisce la non pubblicabilità assoluta degli atti non più coperti da segreto e tale divieto perdura fino al termine della fase delle indagini preliminari. È bene sottolineare che il divieto di pubblicazione riguarda soltanto i cosiddetti “atti di indagine” e da questo discende che l'informazione di garanzia, non essendo ricompresa nella categoria di atti sopra menzionati, non sottostà al relativo divieto di pubblicazione. I successivi due commi predispongono una serie di limiti alla divulgabilità di taluni atti, anche dopo la caducazione dell'obbligo della segretezza o quando il segreto non è mai esistito. Bisogna comunque distinguere a seconda della fase in cui ci si trova: – se non si procede a dibattimento il divieto viene meno dopo le indagini preliminari o l'udienza preliminare; – se si procede a dibattimento, gli atti del fascicolo del pubblico ministero possono essere pubblicati dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado, quelli del fascicolo per il dibattimento, secondo la lettera della norma, dopo la sentenza di primo grado; se il dibattimento si svolge a porte chiuse gli atti non sono pubblicabili. È illegittimo costituzionalmente il terzo comma della norma in oggetto, nella parte in cui vieta la pubblicazione degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento anteriormente alla pronuncia della sentenza di primo grado. Nell'intento del legislatore delegante, i limiti alla divulgabilità degli atti di indagine preliminare si collegano inequivocabilmente alle esigenze investigative. Tali divieti di divulgazione, in quanto funzionalmente riferiti alle indagini preliminari, non possono che essere rivolti agli atti nella disponibilità del pubblico ministero per l'ovvio motivo che non esiste un fascicolo per il dibattimento fintantoché non si sarà deciso se il dibattimento dovrà o meno essere celebrato. Non solo: in nessun punto della direttiva 71 dell'art. 2 della legge 16 febbraio 1987 n. 81 (legge delega), è contemplato un divieto di quanto contenuto nel fascicolo per il dibattimento; anzi, proprio ove la direttiva considera esplicitamente il meccanismo del doppio fascicolo, è previsto un divieto di pubblicazione per i soli “atti depositati a norma del numero 58”, cioè per quelli contenuti nel fascicolo del pubblico ministero. E infatti il protrarre il divieto di pubblicazione del fascicolo del pubblico ministero anche oltre il termine delle

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indagini, durante il dibattimento, ha, nei principi fondamentali dettati dalla legge di delega, ben altro fondamento, in quanto è funzionale ad evitare una distorsione delle regole dibattimentali, ove il giudice formasse il suo convincimento sulla base di atti che dovrebbero essergli ignoti, ma che, in mancanza del suddetto divieto, potrebbe conoscere completamente per via extraprocessuale attraverso i mezzi d'informazione. Ma se questa è la ratio del divieto relativo alla divulgabilità degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, pur dopo che ne è cessato l'obbligo del segreto, ne consegue la sua totale inapplicabilità a quanto contenuto nel fascicolo del dibattimento, per definizione concernente gli atti che il giudice deve, invece, conoscere (così Corte costituzionale n. 59 del 1995). I commi IV e V disciplinano, poi, i casi in cui il giudice può disporre la segretazione di uno o più atti dopo aver consultato le parti: il primo caso riguarda gli atti utilizzati per le contestazioni, che normalmente possono essere liberamente pubblicati, nel presupposto che il dibattimento sia stato celebrato a porte chiuse; il secondo, invece, si riferisce agli atti la cui divulgazione potrebbe offendere il buon costume o provocare la diffusione di notizie che dovrebbero rimanere segrete nell'interesse dello Stato o che potrebbero pregiudicare la riservatezza di chi è chiamato a partecipare al processo. In entrambe le fattispecie il divieto di pubblicazione cessa ex lege al decorrere dei termini e al verificarsi delle condizioni indicati nell'ultimo periodo del quarto comma. Infine i commi 6 e 6 bis stabiliscono due ulteriori divieti di pubblicazione che, tuttavia, riguardano non già atti del procedimento, bensì generalità e immagini o di soggetti minorenni (in questo caso anche in via indiretta) coinvolti a vario titolo nella vicenda processuale o di persone riprese mentre sono sottoposte a privazioni della libertà personale mediante l'uso di manette o di altro mezzo di coercizione fisica. Dopo la riforma del 2017 L’articolo 2, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 29 dicembre del 2017, n. 216, intitolato “Disposizioni in materia di intercettazione di conversazioni o comunicazioni in attuazione della delega di cui all’art. 1, commi 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d), ed e) della legge 23 giugno 2017, n. 103”, interviene sulla norma in commento, che prevede il divieto di pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto ed, in particolare, sul comma 2 che vieta la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. La riforma inserisce un’eccezione alla regola del divieto di pubblicazione degli atti non più coperti dal segreto fino al termine dell’udienza preliminare, consentendo la pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare. La relazione di accompagnamento chiarisce che «l’interpolazione dell’art. 114, comma 2 c.p.p. è funzionale a stabilire il principio che il divieto di pubblicazione degli atti non più coperti da segreto, fino alla conclusione delle indagini ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, non riguarda l’ordinanza cautelare, che, quindi, cessato il segreto, è pubblicabile senza ulteriori indugi». Così facendo, si realizza il dovuto equilibrio nel bilanciamento dei valori costituzionali in gioco, quali: l’efficienza investigativa direttamente connessa all’obbligatorietà dell’azione penale, la riservatezza delle persone coinvolte dalle

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operazioni di intercettazione e la libertà di stampa con il connesso diritto all’informazione. In particolare, a fronte della crescente valorizzazione del diritto all’informazione, il legislatore non ravvisa alcuna ragione ostativa alla sottrazione dell’ordinanza cautelare alla possibilità di pubblicazione, soprattutto alla luce dei nuovi criteri in forza dei quali l’ordinanza cautelare medesima deve essere elaborata (criteri che impongono cautela nell’inserimento nella relativa motivazione dei contenuti delle intercettazioni). Invero, con l’esecuzione o la notificazione dell’ordinanza cautelare viene meno il segreto e, di conseguenza, conservare il divieto di pubblicazione sino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero sino al termine dell’udienza preliminare risulta essere irragionevole, a fronte delle modifiche introdotte dal citato D.Lgs. n. 261/17. Il meccanismo di acquisizione predisposto per l’ipotesi di procedimento cautelare risponde alle stesse esigenze di tutela della riservatezza, con conseguente esclusione di ogni conversazione irrilevante, di ogni riferimento inutile a terzi estranei o di elementi da cui si ricavino dati sensibili. Inoltre, anche a livello grafico, l’ordinanza è privata delle citazioni inessenziali delle conversazioni che fondano il quadro indiziario e cautelare, essendo, così, possibile una pubblicazione delle conversazioni stesse secondo un modello del tutto trasparente, basato su una specifica disposizione di legge ed in maniera totalmente analoga a quanto stabilito ove il materiale raccolto a seguito di intercettazione non sia posto a fondamento di una misura cautelare, ma fondi richieste differenti nell’ambito del procedimento, quali, ad esempio, la richiesta di rinvio a giudizio o la richiesta di decreto di giudizio immediato. Tali nuove disposizioni acquistano efficacia a decorrere dal 1º settembre 2020 (art. 9, comma 2, D.Lgs. 216/2017 cit., da ultimo modificato dall’art. 1, D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito in L. 25 giugno 2020, n. 70). Dopo la riforma del 2020 L’art. 2, comma 1, lett. a) del D.L. 161/2019, convertito in L. 7/2020, senza mutare l’intervento del legislatore di riforma del 2017, aggiunge il comma 2-bis all’articolo in commento, attraverso il quale vieta la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi degli articoli 268 (Esecuzione delle operazioni), 415-bis (Avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari) o dell’art. 454 (Presentazione della richiesta del pubblico ministero), finalizzato a realizzare una maggiore coerenza con le peculiarità del giudizio immediato. Tali nuove disposizioni si applicano ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020 (art. 2, comma 8, D.L. 161/2019 cit., nel testo sostituito dall’art. 1, D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito in L. 25 giugno 2020, n. 70).

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C.p.p. art. 115 Violazione del divieto di pubblicazione COMMENTO Vista la centralità, nell'ambito del procedimento penale, della problematica relativa al divieto di pubblicazione di taluni atti, il nostro legislatore ha inteso predisporre in materia una disciplina punitiva particolarmente incisiva in caso di inottemperanza agli obblighi imposti. Infatti, accanto all'illecito penale, la norma prevede la configurabilità di un illecito disciplinare, che sussiste quando il fatto viene commesso da determinate categorie di persone, analiticamente elencate, e che può venire in rilievo anche attraverso l'iniziativa del magistrato inquirente, la cui segnalazione agli organi competenti non è, comunque, presupposto indefettibile per l'attivazione del relativo procedimento sanzionatorio.

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C.p.p. art. 116 Copie, estratti e certificati GIURISPRUDENZA L'art. 116 c.p.p. subordina il rilascio di copia degli atti processuali – quale che sia la fase, processuale o “post” processuale nella quale ciò avvenga – a un'autorizzazione che compete, prima della definizione del procedimento, al pubblico ministero o al giudice che procede. Ne consegue che, nella fase delle indagini preliminari, la richiesta di autorizzazione a estrarre copia degli atti del procedimento, una volta proposta istanza di riesame, va rivolta al P.M., in quanto il tribunale della libertà che interviene nel procedimento incidentale “de libertate”, non è il giudice che procede (2498/1994, rv 198425). È inoppugnabile il provvedimento con il quale l'autorità giudiziaria procedente rifiuta l'autorizzazione al rilascio di copia degli atti processuali (2498/1994, rv 198427). L'esercizio del potere discrezionale di autorizzazione al rilascio di copia degli atti, di cui all'art. 116 c.p.p., da parte di organo giudiziario incompetente, non comporta nullità di sorta, non rientrando tale violazione in nessuna delle categorie di nullità generale né essendo tale sanzione comminata da alcuna disposizione in materia (4212/1994, rv 199493). La previsione normativa del deposito di atti processuali a disposizione delle parti implica il diritto di queste ultime di procedere al loro esame, ma non quello (in mancanza di apposita previsione in tal senso), di ottenere copia o estratto (4570/1994, rv 196086). Non esiste una diretta correlazione tra la previsione del deposito degli atti processuali e il diritto della parte ad ottenere la copia o l'estratto degli stessi, atteso che, quando il legislatore ha voluto disporre siffatta correlazione, lo ha espressamente previsto. In particolare, poi, l'omessa previsione del diritto della difesa al rilascio della copia degli atti nelle ipotesi di riesame e di appello avverso le ordinanze disponenti una misura coercitiva trova razionale giustificazione nella speciale natura dei due procedimenti,

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informati alla più concreta celerità e soggetti all'osservanza di termini molto ristretti e brevi, che non consentono l'espletamento di tutta l'attività necessaria per l'apprestamento di copia degli atti (4943/1994, rv 196093). La mancata autorizzazione al rilascio di copia degli atti, nei casi in cui non è espressamente sancito il diritto a tale rilascio, non costituisce motivo di lesione del diritto di difesa dell'imputato, non essendo ravvisabile, in tali casi, una concreto diritto del difensore al rilascio della copia e potendo soltanto l'impedimento all'esercizio di un siffatto diritto porsi come violazione del più ampio diritto di difesa (4943/1994, rv 196094). Non sussiste alcun obbligo, a carico del tribunale del riesame, di rilasciare al difensore dell'indagato copia degli atti depositati in cancelleria, in quanto l'attuale normativa ha preferito rimettere al prudente apprezzamento dello stesso tribunale ogni decisione in merito, in considerazione della necessità di contemplare la tutela dei diritti dell'indagato con l'esigenza di salvaguardare la segretezza dei dati acquisiti, in una fase particolarmente delicata qual è quella delle indagini preliminari (2241/1995, rv 202096). L'art. 116, comma secondo, c.p.p., secondo il quale sulla richiesta di copie, estratti e certificati di atti, “provvede il pubblico ministero o il giudice che procede al momento della presentazione della domanda ovvero, dopo la definizione del procedimento, il presidente del collegio e il giudice che ha emesso il provvedimento di archiviazione e la sentenza”, va interpretato nel senso che la competenza del pubblico ministero e quella del giudice procedente vanno correlate, rispettivamente, con carattere di reciproca esclusività, alla fase delle indagini preliminari e a quella aperta dalla richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio. È, pertanto, da qualificare come abnorme (in quanto proveniente da organo privo di qualsivoglia potere al riguardo), il provvedimento con il quale il G.i.p., richiesto di disporre l'archiviazione degli atti nei confronti di taluni soggetti sottoposti a indagine, autorizzi il rilascio di copia degli atti medesimi ad altro soggetto, nei cui confronti le indagini debbono invece proseguire (5683/1995, rv 203172). In tema di atti del procedimento, la disposizione di cui all'art. 116 c.p.p., secondo cui chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio di copia a proprie spese, deve essere intesa nel senso che

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tale diritto si riferisce a copie leggibili e comprensibili, con la conseguenza che, ove l'originale dell'atto tale non sia, l'ufficio richiesto è tenuto a fornire una copia che delle predette caratteristiche sia dotata, allo scopo di non vanificare le finalità di garanzia cui la norma è preordinata (21142/2001, rv 219576). Il difensore dell'arrestato o del fermato ha diritto, nel procedimento di convalida, di esaminare ed estrarre copia degli atti su cui si fonda la richiesta di convalida e di applicazione della misura cautelare; il denegato accesso a tali atti determina una nullità di ordine generale a regime intermedio dell'interrogatorio e del provvedimento di convalida, da ritenersi sanata se non eccepita nel corso dell'udienza di convalida. (Nella specie, la Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso, non avendo il ricorrente impugnato l'ordinanza con la quale il giudice, disattendendo l'eccezione di nullità dell'interrogatorio tempestivamente sollevata in sede di udienza di convalida, aveva provveduto a convalidare il fermo) (36212/2010).

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C.p.p. art. 116 Copie, estratti e certificati COMMENTO La norma stabilisce che chiunque vi abbia interesse può chiedere ed ottenere il rilascio di copie, estratti o certificati di singoli atti: le copie sono semplici duplicazioni dell'originale; gli estratti sono riproduzioni di singole parti di atti; i certificati sono documenti nei quali viene riprodotto il contenuto sostanziale dell'atto. La competenza a provvedere sulla richiesta presentata spetta, a seconda che ci si trovi o meno nella fase delle indagini preliminari, al pubblico ministero o al giudice procedente, ovvero, al termine del procedimento, al presidente del collegio o al giudice che ha pronunciato la sentenza o il decreto di archiviazione [➠ 409]. La scelta, in ordine alla concessione dell'autorizzazione è basata in primis su una valutazione concernente l'eventuale sussistenza di un segreto investigativo: la mancata concessione dell'autorizzazione, peraltro, non è impugnabile nemmeno di fronte alla Corte di Cassazione, trattandosi di un provvedimento amministrativo e non giurisdizionale. Rimane assolutamente vietato il rilascio di atti coperti da segreto o per i quali è stato emesso un decreto di segretazione; al contrario la suddetta autorizzazione non è necessaria qualora sussistano disposizioni specifiche che attribuiscono al richiedente il diritto di ottenere copie, estratti o certificati. Secondo la stessa giurisprudenza le regole che disciplinano il diritto di consultazione degli atti processuali sono sostanzialmente tre: 1) durante il procedimento e dopo la sua definizione chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio, a proprie spese, di copie, estratti o certificati di singoli atti processuali; 2) del rilascio occorre fare richiesta e ottenere la relativa autorizzazione; 3) l'autorizzazione non è necessaria nel caso in cui è espressamente riconosciuto il diritto al rilascio di copie, estratti o certificati. Ne consegue che l'istituto del deposito degli atti, avente preminente carattere formale, e quello del rilascio delle copie operano su piani diversi, per cui l'esercizio di questa facoltà non è necessariamente conseguente al deposito ed è subordinato, salvo eccezioni, ad autorizzazione (così Cassazione n. 1940 del 1993). Il comma 3 bis, introdotto dalla L. n. 397 del 2000, assume rilevanza in quanto disciplina il potere del difensore di produrre gli atti raccolti nel corso delle indagini difensive; atti e documenti il cui contenuto, comprensivo di elementi favorevoli all'indagato, non potrà, ad esempio, essere accantonato dal giudice nella valutazione relativa all'opportunità di emettere una decisione cautelare. Il difensore che consegna all'autorità giudiziaria i risultati delle proprie indagini, ha diritto di ottenere un certificato che attesti l'avvenuto deposito e che potrà essere fatto valere nel prosieguo del procedimento.

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C.p.p. art. 117 Richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del pubblico ministero GIURISPRUDENZA Integra l'illecito disciplinare previsto dall'art. 2, comma 1, lett. d, d.lg. 23 febbraio 2006 n. 109 (comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell'ambito dell'ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori) la condotta del magistrato p.m. competente ai sensi dell'art. 11 c.p.p., che si avvalga di organi di polizia giudiziaria per disporre la trasmissione al proprio ufficio di copia degli atti di un procedimento penale trattato dall'autorità giudiziaria, le cui condotte siano oggetto di indagine, in violazione del disposto dell'art. 117 c.p.p., che impone di rivolgere la richiesta di copia degli atti esclusivamente all'autorità giudiziaria (20159/2010).

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C.p.p. art. 117 Richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del pubblico ministero COMMENTO Prima della riforma del 2009 La norma svolge la fondamentale funzione di agevolare le investigazioni svolte dai pubblici ministeri, predisponendo una disciplina, per così dire, speciale e privilegiata in ordine alla possibilità di richiedere ed ottenere copie di atti e di informazioni che dovrebbero rimanere segreti, in situazioni ulteriori e diverse rispetto all'ipotesi di indagini collegate disciplinata dall'art. 371. La deroga alla regola generale ha un oggetto precostituito dal legislatore, prendendo in considerazione soltanto le copie degli atti di un procedimento diverso da quello in corso e le informazioni scritte ad essi relative e, inoltre, la richiesta del pubblico ministero deve trovare giustificazione nel fatto che la documentazione voluta deve configurarsi come necessaria per lo svolgimento delle proprie indagini. L'autorità giudiziaria competente è chiamata a pronunciarsi senza ritardo in ordine all'accoglimento o al rigetto dell'autorizzazione all'ottenimento delle copie richieste dal pubblico ministero: il rigetto, generalmente ammesso quando ragioni di convenienza impongono il mantenimento del segreto, deve essere congruamente motivato. Rimane comunque ferma, in quest'ultimo caso, la possibilità per il pubblico ministero di rinnovare successivamente la richiesta. Il comma 2 bis conferisce al procuratore nazionale antimafia un penetrante potere di ingerenza all'interno del segreto investigativo, riconoscendogli la possibilità di prendere visione del registro delle notizie di reato e delle banche dati istituite presso le direzioni distrettuali antimafia, il tutto al fine specifico di coordinare al meglio le indagini. Dopo la riforma del 2009 La riforma del 2009 ha inciso sull'articolo in commento prevedendo, nel comma 2 bis, che il procuratore nazionale antimafia, nell'esercizio delle funzioni previste dall'art. 371 bis, possa accedere e prendere cognizione, oltre che del registro delle notizie di reato e delle banche dati istituite presso le direzioni distrettuali antimafia, anche dei registri di cui all'art. 34 della legge 19 marzo 1990, n. 55 (recante “Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale”), vale a dire dei registri per le annotazioni relative ai procedimenti di prevenzione, istituiti presso le segreterie delle procure della Repubblica e presso le cancellerie dei tribunali. Dopo la riforma del 2015 Gli articoli 9 e 10 del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito in L. 17 aprile 2015, n. 43 (recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonchè proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione

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e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione), compongono il Capo II del suddetto D.L. 7/2015, relativo al Coordinamento nazionale delle indagini nei procedimenti per i delitti di terrorismo, anche internazionale. A tal fine prevedono l'attribuzione al Procuratore nazionale antimafia anche delle funzioni in materia di antiterrorismo e ne disciplinano le funzioni e gli adeguamenti organizzativi. L'articolo 9 modifica il codice di procedura penale, l'articolo 10 modifica il codice antimafia. In particolare l'articolo 9, al comma 3, modifica il comma 2-bis dell'articolo in commento, prevedendo l'accesso del procuratore nazionale antimafia al registro delle notizie di reato, al registro delle misure di prevenzione (di cui all'articolo 81 del codice antimafia), a tutti gli altri registri relativi al procedimento penale e al procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione e alle banche dati, dedicate alle procure distrettuali e realizzate nell'ambito della banca dati condivisa del direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.

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C.p.p. art. 118 Richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del Ministro dell'interno GIURISPRUDENZA Dopo il rigetto della prima richiesta di applicazione della pena congiunta a quella di una pronuncia ex art. 129 c.p. per parte delle contestazioni, a seguito del rinnovo della richiesta da parte dell'imputato di applicazione della pena per tutte le imputazioni il Giudice, ritenuta la richiesta pienamente ammissibile e fondata ai sensi dell'art. 448 c.p.p., procede con sentenza all'applicazione di detta pena ritenuta congrua. (Nella specie veniva applicata la pena di anni uno, mesi due di reclusione ed Euro cinquecento di multa, con pena sospesa) (12644/2010).

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C.p.p. art. 118 Richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del Ministro dell'interno COMMENTO L'articolo si struttura in maniera pressoché analoga al precedente: riconosce, questa volta al Ministro dell'Interno, un accesso privilegiato a copie di atti di procedimenti penali o al loro contenuto, che consente all'autorità competente di svolgere effettivamente quella fondamentale funzione che si sostanzia nella prevenzione dei delitti. La disciplina predisposta dalla norma in oggetto riveste un ruolo di primaria importanza nel nostro sistema, in quanto affronta la delicata problematica dei rapporti fra i poteri giudiziario ed esecutivo: il legislatore, per limitare allo stretto necessario le interferenze consentite fra i suddetti poteri, ha stabilito che l'accesso agli atti e alle informazioni riservate è consentito soltanto in relazione a delitti la cui gravità impone l'arresto obbligatorio in flagranza, rispetto alla cui prevenzione l'acquisizione di atti e di informazioni si palesi indispensabile. L'autorità giudiziaria competente deve rispondere senza ritardo alla richiesta del Ministro dell'Interno e, quando ragioni di convenienza o necessità lo esigono, può rifiutare la richiesta esplicitandone le ragioni nella motivazione del decreto.

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C.p.p. art. 118 bis Richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del Presidente del Consiglio dei ministri COMMENTO La norma in commento è stata introdotta nell'articolato del codice di rito dalla L. n. 124 del 2007 (sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto). Costituiscono oggetto della norma: – le copie degli atti di un procedimento (atti delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare); – le informazioni scritte inerenti il contenuto di tali atti. Il soggetto legittimato a richiedere tali documenti è il solo Capo del Governo. Lo scopo al quale deve essere subordinata la trasmissione degli atti è lo svolgimento delle attività inerenti alle esigenze del sistema di informazione di sicurezza della Repubblica. Per questo gli atti e le informazioni devono risultare indispensabili. La richiesta deve essere, pertanto, adeguatamente motivata, ancorché la genericità dello scopo potrebbe far ritenere sufficienti affermazioni di indispensabilità altrettanto generiche. Trovano a riguardo applicazione le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 118 precedente che disciplina la richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del Ministro dell'interno. Ne discende che: – l'autorità giudiziaria deve provvedere senza ritardo ma può rigettare la richiesta con decreto motivato (art. 118 comma 2) avverso il quale non è contemplato alcun rimedio, ferma restando la disposizione generale ex art. 124. – le copie e le informazioni acquisite sono coperte dal segreto di ufficio (art. 118 comma 3). È evidente che l'implicito rinvio alle regole di cui all'art. 326 c.p. (che disciplina il reato di rivelazione ed utilizzazione dei segreti di ufficio) vuole scongiurare l'ipotesi che ad una trasmissione di atti o informazioni ottenuta in deroga al segreto istruttorio, segua una indiscriminata dispersione di notizie ancora coperte da tale segreto. Nell'ipotesi in cui sia venuto meno il segreto di cui all'art. 329, le copie degli atti possono essere richieste anche al di fuori dei canoni imposti dall'articolo in commento, mediante le regole stabilite dall'art. 116 precedente. In ogni caso l'autorità giudiziaria è in facoltà di trasmettere in via discrezionale gli atti e le informazioni di propria iniziativa ovvero consentire ai funzionari delegati dal direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza l'accesso diretto al registro delle notizie di reato, anche se tenuto in forma automatizzata.

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C.p.p. art. 119 Partecipazione del sordo, muto o sordomuto ad atti del procedimento COMMENTO Nel procedimento penale lo strumento comunicativo è un elemento imprescindibile ed essenziale: talune persone, tuttavia, possono versare in una particolare condizione di disagio psico-fisico, che soltanto un intervento diretto dello Stato può attenuare attraverso la rimozione di quei limiti che ne impediscono od ostacolano la partecipazione. Il nostro ordinamento giuridico, applicando nella realtà fattuale il disposto normativo di cui all'art. 3 della Costituzione, che riconosce e garantisce il diritto di uguaglianza di tutti i cittadini e prevede una presenza attiva delle istituzioni a garanzia del pieno sviluppo della persona umana, ha predisposto una disciplina particolare relativa alle modalità di comunicazione, dettagliatamente descritta dalla norma, che consente al sordo, al muto o al sordomuto di partecipare al procedimento penale nel quale si trova coinvolto. L'ultimo comma precisa che, laddove il sordo, il muto o il sordomuto sia analfabeta, l'autorità competente nomina uno o più interpreti scelti, in via preferenziale, fra le persone che normalmente hanno relazioni con lui, purché non si tratti di un prossimo congiunto. Tale precetto è stato, peraltro, esteso dalla Corte Costituzionale alle ipotesi dell'imputato che pur non essendo analfabeta versi comunque in una delle condizioni considerate dalla norma, affinché la presenza di un interprete consenta al medesimo di comprendere appieno in primis le accuse mosse a suo carico. Il disposto di cui al successivo articolo 143 si riferisce esclusivamente a coloro che parlano una lingua diversa da quella italiana e non sono in grado di comprendere tale lingua e di esprimersi in essa. In tale categoria di soggetti non rientrano i sordomuti, per i quali opera esclusivamente la specifica disciplina di cui al presente articolo.

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C.p.p. art. 120 Testimoni ad atti del procedimento GIURISPRUDENZA Sussiste la legittimazione dell'amministratore delegato di una società di capitali – al quale sia conferita dallo statuto la legale rappresentanza della società e la facoltà di promuovere le istanze giudiziarie utili per il raggiungimento degli scopi sociali – all'esercizio del diritto di querela, considerato che la presentazione di una querela costituisce certamente atto funzionale al raggiungimento degli scopi della società e che essa rientra tra i compiti del legale rappresentante della società senza necessità di specifico ed apposito mandato, in quanto gli amministratori che hanno la rappresentanza di una società di capitali possono, ai sensi dell'art. 2384 c.c., compiere tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale, e quindi di compiere quell'attività economica che la società si propone per ritrarne un utile. E tale attività necessariamente comprende ogni azione che tenda al raggiungimento del fine di vantaggio economico rientrante nell'oggetto sociale, compreso il potere di presentare querela a tutela di posizioni patrimoniali dell'ente. Sicché non necessita, al predetto scopo, la preventiva deliberazione del consiglio di amministrazione (6992/2010).

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C.p.p. art. 120 Testimoni ad atti del procedimento COMMENTO La ratio di tale disposto normativo trova fondamento nel fatto che il legislatore, nel disciplinare la cosiddetta testimonianza strumentale, ha inteso escludere che tale funzione possa essere svolta da soggetti che, per particolari caratteristiche psicofisiche o morali, possano risultare a tal fine inidonei. In particolare, la norma stabilisce che non possono intervenire come testimoni (con ciò intendendosi non tanto le persone sentite perché informate dei fatti, quanto coloro che, nelle ipotesi previste dal codice, possono assistere alla formazione e al compimento di taluni atti del procedimento): – gli infraquattordicenni, le persone che si trovano in stato di infermità mentale o di manifesta ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope: l'infermità mentale è uno stato psichico che esclude totalmente o comunque scema grandemente la capacità di intendere e di volere; l'ubriachezza è lo stato per il quale un soggetto subisce una momentanea alterazione mentale, causata dall'abuso di alcol, e capace di provocare un abbassamento della coscienza; l'ubriachezza si dice manifesta quando è esteriormente visibile; – le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive o a misure di prevenzione: le misure di sicurezza sono istituti giuridici che trovano applicazione di fronte alla necessità del riadattamento sociale del delinquente: la loro finalità, infatti, è quella di rieducare e risocializzare un soggetto ritenuto pericoloso per la collettività [c.p. Titolo VIII]. Esse si dicono detentive quando restringono la libertà del soggetto che le subisce [c.p. 215]; le misure di prevenzione, invece, sono strumenti di prevenzione della criminalità, applicati quando un soggetto appare, sulla base di semplici indizi o sospetti, socialmente pericoloso, pur non avendo concretamente commesso alcun reato. Gli atti per i quali è ammessa la possibilità per i testimoni di assistere sono: l'ispezione personale [➠245], la perquisizione personale e locale [➠249; 250]: nelle ipotesi appena menzionate l'interessato, per garantire il regolare compimento dell'atto, può farsi assistere da un soggetto di sua fiducia.

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C.p.p. art. 121 Memorie e richieste delle parti GIURISPRUDENZA In tema di notificazioni per i privati e i difensori non v'è alternativa alla adozione delle forme espressamente previste dalla normativa processuale, costituita dall'art. 121 c.p.p., che stabilisce che le memorie e le richieste delle parti devono essere presentate al giudice per iscritto mediante deposito in cancelleria. L'art. 150 c.p.p., che contempla l'uso di forme particolari, quali il telefax, indica nei funzionari di cancelleria gli unici soggetti abilitati ad avvalersene. Ne deriva che il mezzo in questione non può essere utilizzato per chiedere il rinvio dell'udienza (3313/2000). L'opposizione alla richiesta di archiviazione non rientra tra le impugnazioni, cui sia applicabile l'art. 583 c.p.p. capoverso ma costituisce l'espressione specifica di quella facoltà conferita in via generale dall'art. 121, primo comma, c.p.p. Ne consegue che l'opposizione deve pervenire nella cancelleria del giudice entro il termine di 10 giorni dall'avviso alla parte offesa, e che è legittima la pronuncia di archiviazione intervenuta “de plano”, appena trascorso quel termine senza che l'opposizione sia stata depositata in cancelleria (11845/2003, rv 223904). L'art. 121 c.p.p. fonda il diritto delle parti e dei difensori di presentare memorie e richieste scritte al giudice in ogni stato e grado del procedimento e, correlativamente, il dovere di provvedere da parte del giudice, in ossequio del principio generale secondo cui le esigenze di giustizia impongono il vaglio di tutte le ragioni delle parti e di tutti i fatti e le circostanze addotti e riferiti dall'indagato/imputato. In questa prospettiva, la mancata valutazione da parte del giudice delle memorie presentate dalle parti o dai difensori si traduce in una carenza della motivazione della decisione, posto che la stessa può risultare indirettamente viziata per la mancata illustrazione di quanto rappresentato nella memoria: in tale ipotesi, si verifica la nullità prevista dall'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., in quanto l'omesso e ingiustificato esame delle deduzioni difensive impedisce all'indagato/imputato di intervenire

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concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal giudice in ordine al fatto reato e si risolve nella violazione del diritto, riconosciuto dalla legge all'indagato/imputato, di difendersi provando. (Fattispecie nella quale la Corte, conseguentemente, ha annullato con rinvio l'ordinanza del tribunale della libertà che aveva confermato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere, avendo omesso, peraltro, di valutare e apprezzare il contenuto di una memoria con la quale la difesa aveva posta una questione sull'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche) (34244/2010). È applicabile anche al procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti la disposizione dell'art. 121 c.p.p. secondo cui in ogni stato e grado del procedimento le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, potendo inoltre tali memorie essere accompagnate da elementi di fatto e di diritto che le sorreggono (36799/2013). L'atto di opposizione alla richiesta di archiviazione non rientra tra le impugnazioni, cui sia applicabile l'art. 583 cpv. c.p.p., ma costituisce l'espressione specifica della generale facoltà delle parti di presentare richieste al giudice stabilita dall'art. 121, comma 1, c.p.p. con la previsione che le richieste devono essere presentate “mediante deposito nella cancelleria”; ne consegue che all'atto di opposizione non è applicabile l'art. 583 c.p.p. che consente la spedizione dell'atto di impugnazione a mezzo di raccomandata, con individuazione della data di proposizione dell'impugnazione in quella di spedizione della raccomandata (28477/2013). È inammissibile l'istanza di rinvio dell'udienza inoltrata a mezzo fax, in quanto l'art. 121 c.p.p. statuisce l'obbligo per le parti di presentare memorie o richieste, che siano rivolte al giudice, mediante deposito in cancelleria, mentre il ricorso al telefax è riservato dall'art. 150 c.p.p., quale forma particolare di notificazione, ai funzionari di cancelleria per comunicazioni con persone diverse dall'imputato (25154/2013). Nel processo penale, allo stato, per la parte privata non è consentito avvalersi della posta elettronica, neanche se certificata (Pec), per le comunicazioni e/o notificazioni: pertanto, non è ravvisabile alcuna nullità nel caso in cui il giudice non prenda in considerazione l'istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore inviata per e-mail alla cancelleria. L'utilizzo di mezzi

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tecnici particolari per le comunicazioni e/o notificazioni è infatti consentito, nel processo penale, solo ai funzionari di cancelleria ai sensi dell'articolo 150 Cpp. (7058/2014). È inammissibile l'istanza di rinvio dell'udienza per concomitante impegno del difensore trasmessa via telefax, poichè l'articolo 121 c.p.p. stabilisce l'obbligo per le parti di presentare le memorie e le richieste rivolte al giudice mediante deposito in cancelleria, mentre il ricorso al telefax è riservato ai funzionari di cancelleria ai sensi dell'articolo 150 c.p.p. (7058/2014). Ai fini della verifica della tempestività della domanda di riparazione per ingiusta detenzione, il giudice, nel caso in cui la richiesta sia presentata a mezzo del servizio postale, deve fare riferimento alla sua data di spedizione e non a quella della ricezione del plico postale (847/2017). L’omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge, ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive che devono essere esaminate dal giudice cui vengono rivolte, a meno che contengano la mera ripetizione di difese già svolte o siano inconferenti rispetto all’oggetto del giudizio (18385/2018). Nel procedimento di appello cautelare, il deposito delle memorie difensive è regolato, non già dalla norma generale di cui all’art. 121 c.p.p., bensì da quella speciale di cui al comma 2 dell’art. 127 c.p.p., espressamente richiamata dall’art. 310 c.p.p., con la conseguenza che deve essere rispettato, a pena di inammissibilità, il termine dilatorio di cinque giorni prima dell’udienza (33/2019).

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C.p.p. art. 121 Memorie e richieste delle parti COMMENTO In virtù del principio del contraddittorio che permea il processo penale le parti possono, in ogni stato e grado del procedimento, presentare: – memorie scritte: atti attraverso i quali le parti espongono al giudice gli elementi e le argomentazioni di fatto e di diritto che fondano le tesi della difesa o dell'accusa; – richieste scritte: atti di impulso processuale, tramite i quali le parti chiedono al giudice che sia emesso un determinato provvedimento. Il requisito dell'oralità della richiesta di applicazione della pena formulata in uno dei contesti processuali individuati dal primo comma dell'art. 446 non è prescritto come essenziale, e cioè a pena di nullità. Ciò si deduce innanzitutto dal principio generale secondo cui, pur nel rispetto del principio di oralità, le parti hanno sempre la facoltà di presentare richieste e dichiarazioni per iscritto, depositandole nella cancelleria del giudice ovvero direttamente allo stesso giudice in udienza. Il presupposto dell'oralità della suddetta richiesta in udienza, inoltre, deve ritenersi escluso sia dal diritto dell'imputato di non comparire e di non assistere al dibattimento, salvo il caso di accompagnamento coattivo previsto dall'art. 490, sia dalla previsione dell'art. 446, comma quinto, per la quale il giudice, se lo ritiene opportuno, può verificare la volontarietà della richiesta (o del consenso) disponendo la comparizione dell'imputato. Ne consegue che la proposizione legislativa di cui all'art. 446, comma secondo, relativa alla formulazione orale della richiesta in udienza, va intesa solo nel senso che essa, comunque espressa, deve essere esposta oralmente e verbalizzata (così Cassazione n. 2419 del 1991). Nel codice nulla è specificato in ordine alla comunicazione o alla notificazione delle memorie o delle richieste, rispettivamente al pubblico ministero o alle parti private: tale silenzio induce a ritenere che non esiste, in capo ai soggetti richiamati, alcun obbligo di comunicazione, anche se ciò appare in palese contrasto con la effettiva operatività di quel contraddittorio rispetto al quale la disposizione in commento è evidentemente strumentale. La giurisprudenza, in tema di notificazioni per i privati e i difensori, sostiene che non v'è alternativa all'adozione delle forme espressamente previste dalla normativa processuale, che stabilisce, appunto, che le memorie e le richieste delle parti devono essere presentate al giudice per iscritto mediante deposito in cancelleria. L'art. 150, che contempla l'uso di forme particolari, quali il telefax, indica nei funzionari di cancelleria gli unici soggetti abilitati ad avvalersene. Ne deriva che il mezzo in questione non può essere utilizzato per chiedere il rinvio dell'udienza (così Cassazione n. 3313 del 2000). Il secondo comma stabilisce, infine, che il giudice deve necessariamente provvedere senza ritardo o comunque entro il termine massimo di quindici giorni, a meno che norme speciali non dispongano diversamente.

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C.p.p. art. 122 Procura speciale per determinati atti GIURISPRUDENZA La procura speciale, dovendo essere rilasciata, ex art. 122 c.p.p., a pena d'inammissibilità, per atto pubblico o scrittura privata autenticata, è uno di quegli atti per i quali il codice prevede l'autenticazione. Tale formalità può essere effettuata dallo stesso difensore, eventualmente nominato, con quell'atto, procuratore speciale (5811/1996, rv 205186). La legittimazione a proporre impugnazione – mancando un'espressa previsione legislativa, come per il difensore dell'imputato – non spetta al difensore di parte civile privo di specifica procura a norma dell'art. 122 c.p.p., neppure contenuta nell'atto di costituzione di parte civile (6553/1997, rv 208537). Il difensore della parte civile non è, come tale, legittimato a proporre impugnazione, in assenza di una specifica procura, attesa la mancanza di un'espressa previsione legislativa in tal senso (presente invece per il difensore dell'imputato). Per esercitare tale facoltà è necessario che il difensore sia munito di specifica procura a norma dell'art. 122 c.p.p., che è possibile rilasciare sia prima che dopo la pronuncia da impugnare. Ne consegue che il mandato ad impugnare può essere sicuramente ricompreso nella procura speciale rilasciata in calce all'atto di costituzione di parte civile, a condizione che sia espressamente previsto il conferimento dello specifico potere di impugnazione (723/2002, rv 223243). La rituale presentazione della querela nell'interesse di una persona giuridica, non richiede che la procura speciale indichi specificamente i reati per i quali è conferito il potere di querela, essendo sufficiente l'indicazione della tipologia generale degli stessi, ove non implicitamente desumibile dall'oggetto sociale dell'ente. (Nella specie, riguardante società di finanziamento, la Corte ha ritenuto implicitamente devoluto il potere di sporgere querela per reati di truffa) (24754/2010). Il difensore di fiducia dell'imputato, anche se sprovvisto di procura speciale, è legittimato a proporre opposizione al decreto

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penale di condanna (41100/2012). La nomina del difensore delle altre parti private (diverse dall'imputato, per il quale la nomina va effettuata ai sensi dell'articolo 96 del Cpp, e dalla persona offesa, per la quale vale il disposto dell'articolo 101 del Cpp, dove parimenti si richiama l'articolo 96) va effettuata secondo la disciplina specifica dettata dall'articolo 100 del Cpp: quindi, occorre il conferimento di una «procura speciale alle liti» per il determinato procedimento cui la nomina si riferisce. Non occorre, invece, la «procura speciale per il compimento di determinati atti», di cui all'articolo 122 del Cpp, giacché tale procura è necessaria solo per consentire al difensore di compiere quegli atti «espressamente riservati» alla parte di cui al comma 4 dell'articolo 100 del Cpp. Tra tali atti, peraltro, non rientra il potere di impugnare il provvedimento di sequestro, che, quindi, il difensore, munito di procura speciale riferita al procedimento, può esercitare, senza necessità di essere munito di una procura speciale ex articolo 122 del Cpp. (2899/2014). In tema di misure di prevenzione, la procura speciale al difensore ex art. 122 cod. proc. pen. per azionare pretese civilistiche (nella specie l’ammissione al passivo del credito vantato) nei confronti di un soggetto sottoposto a misura di prevenzione patrimoniale, deve contenere, a pena d’inammissibilità, le indicazioni necessarie all’individuazione del procedimento cui si riferisce, dei diritti che la parte intende azionare per mezzo del procuratore e dei poteri a questo conferiti, analogamente a quanto avviene nel processo penale con riguardo alla procura conferita dalla parte civile (15285/2017). Il sostituto processuale del difensore al quale il danneggiato abbia rilasciato procura speciale al fine di esercitare l’azione civile nel processo penale non ha la facoltà di costituirsi parte civile, salvo che detta facoltà sia stata espressamente conferita nella procura ovvero che la costituzione in udienza avvenga in presenza del danneggiato, situazione questa che consente di ritenere la costituzione come avvenuta personalmente (12213/2017). La domanda di riparazione per ingiusta detenzione può essere proposta soltanto dalla parte personalmente o da soggetto munito della procura speciale prevista dall’art. 122 cod. proc. pen., che deve contenere, ai sensi di legge, anche “la determinazione

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dell’oggetto per cui è conferita e dei fatti a cui si riferisce” (16115/2018). La procura speciale conferita al difensore dalla parte civile o dal responsabile civile per proporre ricorso per cassazione non deve necessariamente essere una procura "ad hoc", rilasciata successivamente all’atto da impugnare, ma può precedere la pronuncia della decisione avverso la quale il ricorso dovrebbe essere proposto (12877/2019).

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C.p.p. art. 122 Procura speciale per determinati atti COMMENTO In taluni casi la legge consente che determinati atti siano compiuti attraverso l'ausilio di un procuratore speciale. La procura, che è l'atto con il quale la parte interessata conferisce ad un determinato soggetto la facoltà di esercitare i propri poteri processuali, per essere ammissibile, deve rivestire la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata: si definisce pubblico l'atto redatto in conformità delle formalità prescritte da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle loro funzioni, autorizzati a conferire allo stesso pubblica fede; si definisce, invece, scrittura privata il documento privo delle caratteristiche tipiche dell'atto pubblico: è tale, dunque, l'atto di un privato o di un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio che agisce fuori delle sue attribuzioni funzionali e quello di un pubblico ufficiale privo della competenza richiesta o che non rispetta le prescrizioni formali imposte. In quest'ultimo caso l'ammissibilità della procura speciale postula, quindi, l'autenticazione. Oltre ai requisiti appena menzionati è, altresì, necessario che la procura sia specifica, deve contenere cioè la determinazione dell'oggetto per cui è conferita e dei fatti a cui si riferisce. In passato l'orientamento giurisprudenziale della Cassazione riteneva che il difensore fosse privo di un generale potere di certificazione e che, di conseguenza, esso fosse limitato alle ipotesi tassative previste dalla legge (ad esempio la costituzione di parte civile [➠76], la richiesta di giudizio abbreviato [➠438], la richiesta di patteggiamento [➠444], la querela [➠336], la rimessione o la rinuncia alla querela [➠339, 340]): oggi alcuni interventi del legislatore hanno rovesciato il vecchio indirizzo ed hanno riconosciuto in capo al difensore il potere di autenticazione della sottoscrizione della procura, quando questa gli viene conferita con scrittura privata. Nei casi in cui nel giudizio penale sia prescritto che la parte stia in giudizio col ministero di difensore munito di procura speciale, il mandato, in virtù del generale principio di conservazione degli atti, deve considerarsi valido, sia con riguardo al conferimento della procura a impugnare al difensore, sia all'oggetto dello specifico gravame [576], anche quando la volontà del mandante non sia trasfusa in rigorose formule sacramentali, ovvero sia espressa in forma incompleta, potendo il tenore dei termini usati nella redazione della procura speciale e la sua collocazione escludere ogni incertezza in ordine alla effettiva portata della volontà della parte; e ciò, anche se la certificazione dell'autografia sia effettuata da difensore in un atto diverso da quelli indicati nel secondo comma dell'art. 100 (così Cassazione n. 4327 del 1999). L'ultimo capoverso della norma precisa, infine, che nei casi in cui vengono compiuti determinati atti processuali nell'interesse altrui senza il conferimento di una procura speciale, laddove questa sia richiesta, non è ammessa alcuna ratifica: la ratifica è un atto attraverso il quale viene conferita validità, in un momento

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successivo rispetto alla sua emissione, ad un provvedimento o atto posto in essere da un soggetto a ciò non legittimato.

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C.p.p. art. 123 Dichiarazioni e richieste di persone detenute o internate COMMENTO Si considera ritualmente proposta, ai sensi di quanto previsto dal primo comma dell'art. 458, la richiesta di conversione del rito immediato in giudizio abbreviato presentata dall'imputato detenuto al direttore dell'istituto penitenziario.

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C.p.p. art. 123 Dichiarazioni e richieste di persone detenute o internate GIURISPRUDENZA È inammissibile il ricorso presentato dall'imputato detenuto in busta chiusa al direttore delle carceri per la trasmissione all'autorità giudiziaria, in quanto tale impugnazione (tanto più quando non ne è rivelato il contenuto) non risponde ai requisiti stabiliti dall'art. 123 c.p.p. per produrre l'effetto “come se fossero ricevute direttamente dall'autorità giudiziaria” (3226/1994, rv 199098). Poiché, ai sensi dell'art. 123 c.p.p., le richieste formulate dall'imputato detenuto e ricevute dal direttore dell'istituto penitenziario sono produttive di effetti come se fossero ricevute direttamente dall'autorità giudiziaria, la richiesta di giudizio abbreviato formulata dall'imputato detenuto ai sensi dell'art. 458, comma primo, c.p.p. deve ritenersi ritualmente notificata al P.M. attraverso la semplice “traditio” al direttore dell'istituto, sempre che l'atto da questi ricevuto sia stato indirizzato al P.M. quale autorità destinataria della relativa consegna (1056/1995, rv 200962). È ammissibile l'impugnazione, priva dell'autenticazione della firma, presentata personalmente dall'imputato agli arresti domiciliari al comandante della Stazione Carabinieri il quale abbia provveduto a trasmettere per posta il relativo atto al giudice che aveva emesso il provvedimento impugnato: ed invero tale procedura corrisponde al dettato dell'art. 123, comma secondo, c.p.p., fatti salvo dall'art. 582, comma primo, c.p.p. (6666/1995, rv 201534). Per stabilire se la nomina del difensore, effettuata nelle forme di cui all'art. 123 c.p.p., abbia efficacia nel momento in cui perviene all'autorità giudiziaria ovvero in quello in cui perviene al direttore del carcere, occorre fissare una nozione di conoscenza legale che possa garantire tempestivamente l'esercizio del diritto di difesa. Tale garanzia è realizzata facendo riferimento al momento in cui l'atto di nomina perviene all'ufficio procedente (4780/1996, rv 203963). Le dichiarazioni ricevute dal direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 123, comma primo, c.p.p. (per le quali è prevista

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espressamente la doverosa comunicazione immediata all'autorità giudiziaria, ma non l'efficacia immediata), possono ritenersi dotate di efficacia immediata – indipendentemente, quindi, dall'effettiva conoscenza che ne abbia l'autorità giudiziaria – solo quando siano di per sé produttive di effetti giuridici, come nel caso di impugnazioni, ricusazioni, richieste di procedimenti speciali, querele, rimanendo invece escluso il caso della nomina del difensore, la quale, costituendo solo il presupposto per eventuali iniziative processuali, diviene operativa solo nel momento in cui perviene a conoscenza dell'autorità giudiziaria (6037/1996, rv 203562). La dichiarazione di nomina del difensore di fiducia effettuata dall'imputato (o indagato) detenuto con atto ricevuto dal direttore dello stabilimento di custodia a norma dell'art. 123 c.p.p., ha immediata efficacia come se fosse direttamente ricevuta dall'autorità giudiziaria destinataria, alla quale deve essere comunicata con urgenza con le modalità e gli strumenti previsti dall'art. 44 disp. att. c.p.p.; ne consegue che è affetto dalla nullità di carattere generale a regime intermedio di cui all'art. 178 c.p.p., lett. c) l'atto compiuto in mancanza del previo avviso al difensore di fiducia così tempestivamente nominato, ancorché la nomina non sia pervenuta all'ufficio dell'autorità procedente prima della fissazione dell'atto medesimo (2/1997, rv 208268). In tema di dichiarazioni e richieste di persone detenute o internate, l'efficacia immediata e diretta ad esse attribuita dall'art. 123 c.p.p., “come se fossero ricevute direttamente dall'autorità giudiziaria”, è limitata al territorio italiano e non può quindi riguardare le amministrazioni penitenziarie straniere, che non hanno alcun obbligo di rispettare la disposizione (2194/1999, rv 214584). L'istanza di revisione del processo, presentata al direttore della Casa circondariale presso cui il condannato si trova recluso, deve ritenersi come se fosse efficacemente ricevuta dalla competente autorità giudiziaria e quindi pienamente ammissibile, a norma dell'art. 123 c.p.p. (3239/1999, rv 212410). A norma dell'articolo 123 c.p.p. la dichiarazione di nomina del difensore effettuata dall'imputato detenuto comporta l'immediata efficacia della dichiarazione stessa nonché l'obbligo di trasmissione all'autorità competente, così ponendo a carico dell'Amministrazione

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penitenziaria l'onere di individuare quest'ultima anche senza o addirittura contro le indicazioni del detenuto. Ne consegue che il direttore dell'istituto penitenziario è tenuto ad effettuare una verifica diretta in ogni caso a sovrapporsi o ad integrare la dichiarazione dell'imputato (402/2000, rv 216450). È tardivo e perciò inammissibile il ricorso per Cassazione proposto avverso un provvedimento reso, in qualità di giudice dell'esecuzione, dalla Corte d'Appello, che non sia presentato nelle forme di cui all'art. 123 c.p.p., ma venga presentato o spedito direttamente alla Corte di Cassazione in violazione dell'art. 582 c.p.p. e dell'art. 583 c.p.p. stesso e, da questa trasmesso alla cancelleria della stessa Corte d'Appello, vi pervenga oltre il termine di quindici giorni dalla notifica dell'avviso di deposito del provvedimento (1419/2000, rv 216084). L'art. 123 c.p.p., nel prevedere la facoltà dell'imputato detenuto di presentare al direttore dell'istituto penitenziario impugnazioni dotate della medesima efficacia di quelle ricevute direttamente dall'autorità giudiziaria competente, non va inteso restrittivamente, nel senso che l'esercizio di tale facoltà sia limitato alle ipotesi di formulazione e sottoscrizione dell'atto da parte dello stesso imputato, atteso che il riferimento alla “facoltà di presentare impugnazione” non può ritenersi circoscritto al solo esercizio personale del relativo diritto, con la conseguenza che, ai fini e per gli effetti di cui al citato art. 123 c.p.p., deve ritenersi valida anche la presentazione al direttore dell'istituto penitenziario, da parte dell'imputato detenuto, di atto di gravame redatto e sottoscritto, nel suo interesse, dal difensore (2110/2000, rv 216932). In tema di riesame, poiché la presentazione della richiesta presso l'ufficio matricola del carcere da parte dell'indagato detenuto deve considerarsi direttamente ricevuta dall'autorità giudiziaria destinataria, essa non può intendersi come presentata al momento della riapertura dell'ufficio al quale è diretta (5838/2000, rv 215671). La norma di cui all'articolo 123 c.p.p. è una norma di garanzia diretta ad evitare che il detenuto – che abbia presentato al direttore del carcere le impugnazioni, le dichiarazioni, e le richieste nei termini di legge – possa essere dichiarato decaduto, ma non può produrre conseguenze giuridiche anche in relazione ad adempimenti

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previsti dalla legge per scopi diversi. Ne consegue che la richiesta di riesame presentata dal detenuto al direttore del carcere non può incidere sulla determinazione del “dies a quo” previsto dall'articolo 309, quinto comma, c.p.p. che comincia a decorrere solo dal momento in cui la richiesta perviene alla cancelleria del tribunale del riesame (59430/2000, rv 216268). In tema di riesame, qualora la relativa richiesta, presentata dal detenuto al Direttore del carcere a norma dell'art. 123 c.p.p., sia stata indirizzata e trasmessa ad un'autorità giudiziaria diversa da quella competente, il termine stabilito dall'art. 309, commi 5 e 10, c.p.p. decorre dal giorno in cui la richiesta è effettivamente ricevuta dalla cancelleria del Tribunale competente (11260/2001, rv 218629). L'articolo 123 del c.p.p., in base al quale le richieste provenienti da imputati detenuti e ricevute dagli uffici del carcere hanno efficacia come se fossero ricevute dall'autorità giudiziaria, configura un sistema che permette all'imputato detenuto un esercizio delle sue facoltà più agevole e solerte delle possibilità offerte all'imputato libero. A tal fine, la norma suddetta, stabilendo che le richieste “sono immediatamente comunicate all'autorità competente”, rimanda all'articolo 44 delle disposizioni di attuazione del c.p.p., il quale impone, in caso di speciale urgenza, la trasmissione dell'atto con qualsiasi mezzo tecnico idoneo (26707/2003),

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C.p.p. art. 123 Dichiarazioni e richieste di persone detenute o internate COMMENTO L'imputato che si trova in uno stato di detenzione o internamento per l'applicazione di misure di sicurezza o quello che subisce altre misure restrittive della libertà personale, può presentare impugnazioni, dichiarazioni e richieste all'autorità giudiziaria, per il tramite rispettivamente del direttore dell'istituto o di un ufficiale di polizia giudiziaria. Le impugnazioni, le dichiarazioni e le richieste provenienti dall'imputato vengono inserite in un apposito registro, sollecitamente comunicate all'autorità competente e sono considerate efficaci come se fossero state presentate immediatamente all'autorità giudiziaria. La norma, nel sancire l'equiparazione appena dichiarata, intende riferirsi soltanto alle dichiarazioni relative ad atti che siano di per sé produttivi di effetti giuridici, nel senso che non avrebbero efficacia se non fossero compiuti con certe modalità ed entro termini di decadenza come, ad esempio, oltre alle impugnazioni, le ricusazioni, le richieste di procedimenti speciali, le querele e così via (esempio). L'equiparazione non può aver luogo, invece, con riguardo a tutte quelle dichiarazioni che costituiscono unicamente il presupposto per iniziative dell'autorità giudiziaria, la cui assunzione sia per ciò stesso condizionata all'effettiva conoscenza della manifestazione di volontà dell'imputato detenuto o internato (così Cassazione n. 2409 del 1993). A norma dell'art. 44 disp. att. le suddette richieste devono essere comunicate all'autorità competente mediante estratto, copia autenticata o raccomandata, il giorno stesso o, al massimo, quello successivo alla ricezione, ma in casi particolarmente urgenti, è possibile ricorrere a mezzi molto veloci quali il telegramma confermato da lettera raccomandata o ad altri strumenti ugualmente idonei. È stata considerata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma in commento, nella parte in cui prescrive, ai fini dell'impugnazione, termini uguali per l'imputato libero e per quello agli arresti domiciliari, in quanto tale omologazione non comporta alcuna lesione del principio di uguaglianza [Cost. 3], sotto il profilo dell'illogica parità di trattamento di situazioni oggettivamente diverse, posto che queste ultime non sono tali, avendo l'imputato in stato di arresto domiciliare la facoltà di presentare impugnazione con un atto ricevuto da un ufficiale di polizia giudiziaria che ne cura l'immediata trasmissione all'autorità competente, senza alcun pregiudizio per il soggetto impugnante, in considerazione della perfetta equiparazione dell'impugnazione così proposta a quella proposta da persona in stato di libertà (così Cassazione n. 460 del 1994).

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C.p.p. art. 124 Obbligo di osservanza delle norme processuali GIURISPRUDENZA La regola della proroga di diritto al giorno successivo del termine che scade in giorno festivo non opera con riferimento al termine per la presentazione della querela (23281/2010).

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C.p.p. art. 124 Obbligo di osservanza delle norme processuali COMMENTO La ratio di tale norma trova fondamento nel fatto che il legislatore ha inteso garantire il rispetto delle norme del procedimento penale da parte di quei soggetti chiamati a svolgere un ruolo attivo all'interno dell'intera vicenda processuale, sancendo la potenziale rilevanza disciplinare delle violazioni concretamente ricorrenti. È interessante, pertanto, focalizzare l'attenzione sulla rilevanza dell'assunto per il quale gli operatori del diritto devono osservare rigorosamente le norme richiamate, indipendentemente dalla nullità o dalla sanzione processuale che potrebbero conseguire alla loro inosservanza. Il secondo comma, da ultimo, al fine di garantire l'effettivo rispetto degli obblighi imposti, conferisce ai dirigenti degli uffici il potere di vigilanza.

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C.p.p. art. 125 Forme dei provvedimenti del giudice COMMENTO 1. Sentenze di condanna o assoluzione. 2. Sentenze sulla competenza. 3. Ordinanza che risolve una questione preliminare attinente alla regolare costituzione della parte civile. 4. Decreto autorizzativo di intercettazioni telefoniche o ambientali; decreto che dispone il giudizio [➠429]. 5. Decreto che dispone l'accompagnamento coattivo dell'imputato [132].

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C.p.p. art. 125 Forme dei provvedimenti del giudice GIURISPRUDENZA Anche una semplice missiva può assumere natura di ordinanza, a condizione che abbia contenuto decisorio e che sia idonea ad esternare la volontà del giudice e le ragioni che lo hanno indotto ad emettere quel provvedimento (4306/1995, rv 202920). Nella stesura dei provvedimenti giudiziari è legittimo l'uso di moduli prestampati, purché gli stessi siano adeguatamente completati con argomentazioni specificanti le ragioni concrete della singola decisione adottata (4665/1995, rv 200007). L'obbligo della motivazione deve ritenersi assolto allorché il giudice indichi il principio di diritto applicato ed esprima la propria adesione ad esso, ritenendo, anche per implicito, che non esistano ragioni che giustifichino una deviazione da indirizzi giurisprudenziali costituenti “ius receptum” (17/1996, rv 205338). Sulla richiesta di archiviazione del pubblico ministero non sussiste altro potere del giudice per le indagini preliminari fuori dagli ambiti procedurali e dai possibili esiti previsti tassativamente dall'art. 409 c.p.p. In particolare non vi è alcuna possibilità di sindacarne l'ammissibilità o di dichiararne la nullità per mancata motivazione, tanto più che l'obbligo di motivazione è previsto dall'art. 125 c.p.p. per i provvedimenti del giudice. Per le richieste di parte non esiste obbligo, bensì onere di motivazione, la cui inosservanza non dà luogo a vizio dell'atto, ma eventualmente a non accoglimento della richiesta da parte del giudice, però soltanto nelle precise forme e alle condizioni dalle leggi previste (761/1996, rv 204375). Il vizio di motivazione “per relationem” sussiste allorché il giudice investito del gravame si limiti a respingerlo e a richiamare la contestata motivazione del giudice di primo grado in termini assolutamente apodittici senza indicare i temi o problemi trattati, la soluzione offerta del provvedimento impugnato e la natura delle censure così non consentendo la conoscenza di quei temi e, conseguentemente, la valutazione, in sede di legittimità,

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dell'adeguatezza o meno delle risposte date, sia pure “per relationem” (4314/1996, rv 204175). Nelle decisioni collegiali dibattimentali, tanto la segretezza della deliberazione, che incide sulla capacità del singolo giudice che deve esprimere la sua opinione riservatamente, quanto la necessità che ad essa concorrano i giudici che hanno partecipato al dibattimento sono condizioni che rilevano a pena di nullità assoluta (5318/1996, rv 206038). Nell'ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti di molto dai minimi edittali, il giudice ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'art. 125, comma terzo, c.p.p., adoperando espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo. Fermo, pertanto, tale obbligo, ne consegue che il giudice, allorquando ritenga di determinare l'entità della pena in misura non prossima ai minimi edittali, deve evidenziare le ragioni per cui ha così quantificato la pena, facendo ricorso a tutti o ad alcuni dei parametri di cui all'art. 133 c.p. (1059/1997, rv 207050). Deve ritenersi rigettata con motivazione implicita la richiesta di concessione delle attenuanti generiche, in presenza di adeguata motivazione circa la richiesta della attenuazione del regime sanzionatorio, basata su analogo ordine di motivi (2840/1997, rv 207668). L'omessa indicazione del nome di tutti o di uno dei tre componenti il collegio giudicante, nell'intestazione della sentenza penale o di un provvedimento camerale ex art. 125 c.p.p., non è causa di nullità in quanto, tra i requisiti formali del provvedimento, è richiesta semplicemente l'indicazione, nell'intestazione, dell'autorità che l'ha pronunciato e non necessariamente il nome dei componenti dell'organo collegiale. Inoltre la sottoscrizione dell'atto non implica che la firma dello stesso debba essere apposta in maniera tale da consentire l'individuazione dei giudici da cui la decisione promana, non essendo ciò richiesto da alcuna norma giuridica e tantomeno dall'art. 546 c.p.p. che pure contiene la specifica indicazione dei requisiti richiesti per la sentenza e contempla i casi di nullità relativa (3671/1997, rv 207159). Allorché il provvedimento giurisdizionale impugnato sia sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, è sufficiente

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a sorreggere la legittimità della decisione la congruità anche di una sola di esse, sicché la censura delle altre, ancorché fondata, non può portare all'accoglimento del ricorso (6316/1997, rv 209150). In tema di valutazione delle risultanze peritali il giudice di merito può fare legittimamente propria, allorché gli sia richiesto dalla natura della questione, l'una piuttosto che l'altra tesi scientifica, purché dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire (11235/1997, rv 209675). Ai fini della correttezza e della logicità della motivazione della sentenza, non occorre che il giudice di merito dia conto, in essa, della valutazione di ogni deposizione assunta e di ogni prova, come di altre possibili ricostruzioni dei fatti che possano condurre a eventuali soluzioni diverse da quella adottata, egualmente fornite di coerenza logica, ma è indispensabile che egli indichi le fonti di prova di cui ha tenuto conto ai fini del suo convincimento, e quindi della decisione, ricostruendo il fatto in modo plausibile con ragionamento logico e argomentato (11984/1997, rv 209490). Il computo della pena deve risultare con precisione e chiarezza dal testo della sentenza, onde consentire il dovuto controllo circa la correttezza della motivazione. L'eventuale motivazione “per relationem” deve risultare estremamente puntuale e servire ad integrare il computo ed il ragionamento posto a base della sua specificazione nei vari passaggi (51/1998, rv 209397). Anche nel procedimento “de libertate” è legittima la motivazione “per relationem” che faccia riferimento alle ragioni esposte in altri provvedimenti, purché noti all'interessato, definitivi o ancora soggetti a impugnazione (5615/1998, rv 209514). A differenza delle sentenze, per le quali, in caso di contrasto tra motivazione e dispositivo, vige il principio della prevalenza di quest'ultimo, in tema di ordinanze e decreti, vale il principio secondo cui occorre stabilire quale sia stata l'effettiva volontà del giudice, così come emerge dal provvedimento globalmente considerato nell'insieme di motivazione e dispositivo (754/1999, rv 212750). In tema di motivazione in sede di impugnazione, il giudice non è obbligato a motivare in ordine al mancato accoglimento di istanze,

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nel caso in cui esse appaiano improponibili sia per genericità, sia per manifesta infondatezza (4415/1999, rv 213114). La motivazione “per relationem” è legittima purché sia integrata con la risposta ai rilievi critici formulati nell'atto di appello: in mancanza di specifiche controdeduzioni la mera ritrascrizione della precedente motivazione non adempie l'obbligo di motivazione e fa venir meno lo stesso oggetto del giudizio di appello, costituito dalla revisione critica della precedente pronuncia alla stregua degli argomenti svolti dall'appellante, e quindi la garanzia del doppio grado di giurisdizione (4557/1999, rv 213135). Nel giudizio di Corte d'Assise l'eventuale presenza in Camera di Consiglio dei giudici supplenti nelle fasi precedenti la chiusura del dibattimento è giustificata dalla necessità che essi, in ragione della decisione interlocutoria da adottare, si rendano permanentemente disponibili a sostituire, all'occorrenza, il giudice popolare effettivo assente o impedito, con piena e partecipata consapevolezza dell'oggetto del giudizio, sicché va esclusa la nullità della decisione per violazione della segretezza della deliberazione, segnando solo la chiusura del dibattimento l'invalicabile limite al di là del quale è inibita la presenza partecipata alla Camera di Consiglio dei giudici aggiunti (4974/1999, rv 214103). In tema di vizio della motivazione delle sentenze, la motivazione apparente e, dunque, inesistente è ravvisabile soltanto quando la motivazione stessa, formalmente esistente, sia del tutto avulsa e dissociata dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa; vale a dire, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (6839/1999, rv 214308). La motivazione “per relationem” di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) – faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) – fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti

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con la sua decisione; 3) – l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione (17/2000, rv 216664). Deve ritenersi nulla per difetto assoluto di motivazione, a norma dell'art. 125, terzo comma, c.p.p., la sentenza d'appello che riproduca sostanzialmente alla lettera la motivazione della decisione impugnata, trascurando di rispondere alle doglianze proposte dall'appellante nei confronti della sentenza di primo grado (12540/2000, rv 218172). La giuridica esistenza di un atto giurisdizionale non dipende dalla presenza, sul documento che lo contiene, del sigillo dell'ufficio, ma dalla sua effettiva provenienza dal soggetto legittimato ad adottarlo nel rispetto delle regole che presiedono alla sua regolare emanazione. Ne consegue che l'assenza di timbratura dell'atto, emesso dall'autorità giudiziaria legislativamente qualificata ad assumerlo, non ne inficia la regolarità sostanziale, ma si risolve in una mera irregolarità, priva di conseguenze e sanabile mediante integrazione da parte dell'organo da cui il documento promana (26015/2001, rv 219903). L'obbligo della motivazione, imposto al giudice dall'art. 111 Cost. e dall'art. 125, comma terzo, c.p.p. per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti. Tuttavia, in tal caso, esso non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d'atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all'esistenza dell'atto negoziale con cui l'imputato dispensa l'accusa dall'onere di provare i fatti dedotti nell'imputazione. Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all'art. 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo,

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invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell'enunciazione – anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. (5964/2002, rv 223517). Ove non sia limitata ad alcune parole e non consista nella semplice difficoltà di lettura superabile senza uno sforzo eccessivo, l'indecifrabilità grafica della sentenza ne comporta la nullità; non solo perché equivale, quanto agli effetti, all'ipotesi di omissione della motivazione, ma anche perché lede il diritto al contraddittorio, nella misura in cui pregiudica la possibilità di ragionata determinazione in vista dell'impugnazione e di un'efficace difesa. Si tratta pertanto di una nullità regime intermedio, che deve essere eccepita o rilevata ai sensi degli articoli 180 e seguenti c.p.p. (42363/2006). Il riconosciuto esercizio del diritto di critica comporta il proscioglimento con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Ma anche qualora il giudice del merito abbia pronunciato assoluzione “perché il fatto non sussiste”, la parte civile non ha interesse all'impugnazione nel caso si limiti a domandare la formula più corretta in quanto il proscioglimento fa, comunque, stato nel processo civile risarcitorio (40049/2008). Anche con la sentenza di patteggiamento il giudice che disponga la confisca facoltativa delle cose sequestrate deve motivare sulla circostanza che la libera disponibilità del bene possa costituire un incentivo alla reiterazione della condotta criminosa e la sua valutazione, se correttamente e logicamente motivata, si sottrae al sindacato di legittimità. (Nella specie, in cui, contestualmente all'applicazione della pena, era stata disposta la confisca del telefono cellulare dell'imputato senza alcuna motivazione, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza, disponendo la restituzione del bene all'interessato) (41560/2010). La giuridica esistenza di un atto dell'autorità giudiziaria dipende unicamente dalla sua effettiva provenienza dal soggetto legittimato ad adottarlo nel rispetto delle regole che presiedono alla sua regolare emanazione, sicché non è inesistente la richiesta del P.M. di sequestro preventivo pur priva dell'attestazione della data di deposito nella segreteria (35310/2011).

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In tema di computo dei termini processuali, la regola posta dall'art. 172 c.p.p. secondo cui il termine stabilito a giorni, che cade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo, si applica anche agli atti e ai provvedimenti del giudice, e si riferisce, pertanto, anche al termine per la redazione della sentenza (S.U. 155/2012). La motivazione, pur rappresentando un elemento dell'atto documentale, costituisce nel contempo anche la ragione dell'atto materiale, richiesta dalla legge come un requisito essenziale dell'atto stesso (art. 125 c.p.p.), con la conseguenza che la sua insufficienza, per quanto parziale e relativa solo ad alcuni profili della complessiva decisione, risolvendosi nella mancanza delle ragioni che sorreggono la decisione in parte qua, deve esser fatta valere esclusivamente a mezzo d'impugnazione, e non può, per ciò, venire emendata dallo stesso giudice che l'ha determinata; in ogni caso, per disporre tale correzione, il giudice deve comunque procedere a norma dell'art. 130 c.p.p., con la conseguenza che l'emanazione “de plano” del provvedimento di correzione di errore materiale comporta una nullità di ordine generale, prevista dall'art. 178 c.p.p. (1674/2013). È nullo per difetto di motivazione il provvedimento del giudice che riproduca alla lettera ampi stralci della parte motiva di altra pronuncia, a meno che detta tecnica di redazione manifesti una autonoma rielaborazione da parte del decidente e dia adeguata risposta alle doglianze proposte dal ricorrente (7031/2013). In caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo quale immediata espressione della volontà decisoria del giudice non è assoluta ma va contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione dell'eventuale pregnanza degli elementi, tratti dalla motivazione, significativi di detta volontà (8363/2013). È nullo il decreto di convalida del sequestro delle cose costituenti il corpo del reato, operato dalla polizia giudiziaria, in difetto di idonea motivazione in ordine al presupposto della concreta finalità perseguita per l'accertamento dei fatti (13044/2013). È nulla, ma non inesistente, la sentenza d'appello la cui intestazione individua correttamente l'imputato e la sentenza di primo grado, e che riporta fedelmente il dispositivo letto in udienza, ma che reca, per errore, una

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motivazione relativa ad altra pronunzia impugnata da un altro imputato, con la conseguenza che, se l'invalidità è tempestivamente dedotta mediante impugnazione, si determina la necessità di rinnovare l'intero giudizio di secondo grado (244/2014). Il decreto di sequestro probatorio delle cose che costituiscono corpo di reato, deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l'accertamento dei fatti, a meno che la finalizzazione probatoria del corpo del reato sia connotato ontologico ed immanente rispetto alla natura delle cose inquadrabili in quel concetto (4155/2015). In tema di misure cautelari emesse dal giudice, ex art. 27 cod. proc. pen., non è affetto da nullità il provvedimento che riproduce sostanzialmente, anche con la tecnica del “taglia incolla”, l'ordinanza emessa dal giudice territorialmente incompetente, qualora la motivazione di quest'ultima risulti congrua rispetto all'iter logico seguito per pervenire alla decisione adottata (6358/2015). In tema di sentenza di patteggiamento, il giudice ha l'obbligo di verificare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto, dando conto con argomenti privi di vizi logici del percorso motivazionale seguito, specie nell'ipotesi in cui, in sede di accordo delle parti, si sia proceduto alla qualificazione giuridica del fatto in termini diversi rispetto all'imputazione originariamente contestata (6859/2015). La mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (58094/2017). Nel caso di radicale mancanza della motivazione, in ordine alla necessaria sussistenza della concreta finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti, del decreto di sequestro di cose qualificate come corpo di reato, che, sebbene non integrato sul punto dal pubblico ministero neppure all’udienza di riesame, sia stato confermato dall’ordinanza emessa all’esito di questa procedura, la Corte di cassazione deve pronunziare sentenza di annullamento senza rinvio di entrambi i provvedimenti (54827/2017). L’esclusione della recidiva facoltativa contestata richiede uno specifico onere motivazionale da parte del giudice che, tuttavia, può essere adempiuto anche implicitamente ove si sia in concreto apprezzata l’insussistenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore (4135/2017). Il giudice, nell’esercizio del potere di scelta fra l’applicazione della pena detentiva o di quella pecuniaria, alternativamente previste, ha l’obbligo di indicare le ragioni che lo inducano ad infliggere la pena detentiva (10772/2018). In tema di riesame dell’ordinanza applicativa di misure cautelari, è legittima la motivazione che richiami o riproduca le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato, in mancanza di specifiche deduzioni difensive,

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formulate con l’istanza originaria o con successiva memoria difensiva, ovvero articolate oralmente in udienza (8676/2018). È nulla, ma non inesistente, la sentenza d’appello che, pur riportando correttamente il nome dell’imputato, la sentenza di primo grado e il dispositivo letto in udienza, reca una motivazione relativa ad altra decisione impugnata da un altro imputato; ne consegue che, mancando nella sostanza la motivazione, l’errore non è emendabile con la procedura di cui all’art. 130 cod. proc. pen., ma dovrà procedersi, nel caso di impugnazione tempestiva, alla rinnovazione dell’intero giudizio (17510/2018). In presenza di un atto di appello non inammissibile per carenza di specificità, il giudice d’appello non può limitarsi al mero e tralaticio rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, in quanto, anche laddove l’atto di appello riproponga questioni già di fatto dedotte e decise in primo grado, egli ha l’obbligo di motivare, onde non incorrere nel vizio di motivazione apparente, in modo puntuale e analitico su ogni punto a lui devoluto (52617/2018). La motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (55199/2018). L’assenza dei presupposti per l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto deve essere motivata con riferimento alle concrete modalità di estrinsecazione del fatto e non con riguardo agli elementi che già integrano la condotta tipica. (Fattispecie relativa al reato di guida in stato di ebbrezza aggravato dall’orario notturno, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva motivato il mancato riconoscimento della causa di non punibilità esclusivamente in ragione del superamento della soglia minima del tasso alcolemico e della commissione del fatto in tarda notte) (58261/2018). Il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento nel solo caso di suo accoglimento, mentre può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo (1184/2019). La richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa con motivazione implicita allorché sia adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione del trattamento sanzionatorio, fondata su analogo ordine di motivi (12624/2019).

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C.p.p. art. 125 Forme dei provvedimenti del giudice COMMENTO La norma disciplina i tre fondamentali provvedimenti del giudice, che sono: a) la sentenza: è l'atto attraverso il quale il giudice decide in maniera definitiva e si spoglia del potere di decisione che gli è stato conferito, in una data fase o in un certo grado del procedimento, a seguito dell'esercizio dell'azione penale. La nomenclatura delle sentenze è piuttosto varia: qui di seguito viene presentato l'elenco di diverse specie di sentenze, sia di carattere generale, che di carattere particolare, che nel prosieguo della trattazione verranno approfonditamente analizzate e delle quali se ne coglieranno i tratti distintivi: – sentenze di condanna [➠533]; – sentenze di proscioglimento, che si suddividono in sentenze di assoluzione [➠530], sentenze di non luogo a procedere [➠425] e sentenze di non doversi procedere [➠529]; – sentenze dichiarative: decisioni funzionali al mero accertamento dell'esistenza o dell'inesistenza di una determinata fattispecie; – sentenze costitutive: sentenze in grado di produrre effetti giuridicamente rilevanti; – sentenze di merito:decisioni inerenti alla fondatezza dell'azione penale e che trattano problematiche relative all'opportunità dell'applicazione del trattamento sanzionatorio (esempio n. 1); – sentenze processuali: decisioni vertenti su meri aspetti processuali, che potrebbero impedire, laddove facciano emergere un difetto formale del procedimento, la pronuncia di una sentenza di merito (esempio n. 2). Dal punto di vista formale, la sentenza viene pronunciata in nome del popolo italiano e deve essere sempre motivata, cioè deve essere specificato dal giudice l'iter logico che ha portato alla decisione finale. L'obbligo di motivazione, la cui inosservanza comporta l'invalidità della sentenza, trova fondamento, oltre che nel codice di rito, principalmente nell'art. 111, comma 6, della Costituzione. Tale obbligo viene soddisfatto allorché il giudice, valutati criticamente tutti gli elementi probatori, indichi, con piena coerenza logico-giuridica, quelli salienti dai quali ha tratto il proprio convincimento. Non adempie quindi il detto obbligo, ed è conseguentemente affetta da nullità, la sentenza nella cui motivazione, secondo quanto risulta dal testo del provvedimento impugnato, il giudice abbia usato, nel rendere conto del proprio ragionamento, argomentazioni apodittiche e, perciò, inaccettabili sul piano logico, non essendo riferite a specifici e ben individuati elementi di fatto (motivazione apparente) (così Cassazione n. 7547 del 1992). Se la motivazione apparente risulta essere illegittima, altrettanto non può dirsi per la motivazione per relationem, la quale si configura quando si fa riferimento alle ragioni giustificative di un provvedimento già in precedenza pronunciato ed è valida nei casi in cui la motivazione richiamata soddisfi pienamente l'obbligo legale in

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esame e quando è conosciuta o conoscibile dall'interessato, di modo che possa esserne controllata la congruità e l'adeguatezza. b) l'ordinanza (esempio n. 3): è l'atto attraverso il quale il giudice risolve questioni incidentali, senza definire il processo, pur sussistendo delle rare eccezioni [591]. Anche l'ordinanza deve essere sempre obbligatoriamente motivata, a pena di nullità ed è normalmente revocabile. Quando il provvedimento del giudice emesso in forma di ordinanza non decide su questioni contingenti o temporanee, sia di forma che di sostanza, ma statuisce su determinate situazioni giuridiche con carattere di definitività ed è soggetto ad impugnazione, il provvedimento stesso deve ritenersi irrevocabile una volta che sia decorso il termine per l'impugnazione o questa sia stata respinta; la revocabilità di una ordinanza è dunque correlata alla situazione giuridica su cui il provvedimento incide e deve essere esclusa tutte le volte in cui ha il carattere della definitività, come nelle ipotesi di ordinanza emessa dal giudice all'esito del procedimento di esecuzione in cui l'esaurimento della situazione considerata impedisce la riproponibilità delle questioni decise; eventuali elementi nuovi che incidano su una situazione esecutiva in atto possono essere solo condizione per un nuovo incidente di esecuzione (così Cassazione n. 4353 del 1994). c) il decreto (esempio n. 4): è l'atto attraverso il quale il giudice esprime un comando ed ha natura sostanzialmente amministrativa, tranne il caso in cui definisce il processo ed è parificabile ad una sentenza di condanna (decreto penale di condanna). Il decreto deve essere motivato soltanto qualora ciò sia espressamente prescritto dalla legge (esempio n. 5). La scelta in ordine al tipo di provvedimento da adottare non è demandata al giudice, ma effettuata dallo stesso legislatore. La norma in commento, oltre a precisare i tipi di atti che possono essere emessi dal giudice, specifica anche il luogo di deliberazione del provvedimento, che è la camera di consiglio e specifica che la deliberazione è segreta ed è escluso l'ausiliario che normalmente affianca il giudice nella formazione di tutti gli atti. Il quinto comma del disposto normativo, infine, prende in considerazione i provvedimenti collegiali e stabilisce che un componente del collegio che sia dissenziente rispetto alla decisione presa, ha la possibilità di chiedere che venga redatto un verbale sommario, ove si dichiari il dissenso manifestato, documento le cui modalità di conservazione appaiono funzionali ad impedire la conoscibilità all'esterno della determinazione dissenziente. Occorre una breve parentesi in ordine alla anonimizzazione dei dati identificativi degli interessati così come disciplinata dal Codice sulla privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003 come modificato dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101) (in linea con quanto argomentato dall’Ufficio del massimario della Cassazione. Le cautele da osservarsi nella diffusione delle decisioni sono tipiche e ad un tempo speciali. Infatti: – non riguardano tutti i dati (ad esempio, la particolare vicenda attinente allo stato di salute o alla vita sessuale di un certo soggetto o alla discriminazione religiosa o razziale subita da tal altro soggetto), ma soltanto i dati identificativi dell'interessato, per tali intendendosi i dati personali che permettono l'identificazione dell'interessato;

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– non concernono tutte le decisioni, ma soltanto quelle nelle quali per legge o secondo l'apprezzamento del giudice si pone un'esigenza di “oscuramento” dei dati identificativi dell'interessato. In linea generale, pertanto, le sentenze e gli altri provvedimenti giurisdizionali possono essere diffusi, anche attraverso il sito istituzionale nella rete Internet, nel loro testo integrale, completo – oltre che dei dati riferiti a particolari condizioni o status, anche di natura sensibile – delle generalità delle parti e dei soggetti coinvolti nella vicenda giudiziaria. Questa conclusione è agevolmente ricavabile dal comma 7 dell'art. 52 del Codice, ai cui sensi “Fuori dei casi indicati nel presente articolo (che si riferisce ai dati identificativi degli interessati) è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali”. L'art. 52, nel testo modificato dall’art. 3, D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, del Codice della privacy mantiene ferme le disposizioni concernenti la redazione e il contenuto delle sentenze, sicché la pronuncia, nel momento in cui viene redatta e depositata in cancelleria, deve contenere l'indicazione del nome delle parti, nonché dei loro difensori e del giudice (cfr. artt. 536 e 545 c.p.p.). Il Codice in materia di protezione dei dati personali (art. 52, comma 1) fa infatti espressamente salvo quanto previsto dalle disposizioni dei codici di procedura concernenti la redazione, il contenuto e la pubblicazione di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado; esso interviene soltanto a disciplinare il momento della diffusione della sentenza o del provvedimento giurisdizionale per finalità di informatica giuridica. La possibilità di rendere in forma anonima i dati personali contenuti in una sentenza si ha soltanto al momento della sua riproduzione in qualsiasi forma per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica. L'art. 52, nel testo modificato dall’art. 3, D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, definisce i casi nei quali è garantito il diritto all'anonimato delle parti in giudizio o dei soggetti interessati. Il sistema si articola su due livelli. Il primo livello affida all'intervento del giudice l'anonimizzazione delle generalità e di altri dati identificativi. Sussistendo motivi legittimi che andranno esplicitati, l'interessato (non solo, quindi, la parte del giudizio) può chiedere, con richiesta depositata nella cancelleria o segreteria dell’ufficio che procede prima che sia definito il relativo grado di giudizio, che sia apposta, a cura della cancelleria o segreteria, sull’originale della sentenza o del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento. Su tale istanza provvede in calce con decreto, senza ulteriori formalità, l'autorità che pronuncia la sentenza o adotta il provvedimento. La medesima autorità può disporre d'ufficio l'anonimizzazione a tutela dei diritti o della dignità degli interessati. Il diritto dell'interessato a chiedere che eventuali riproduzioni del provvedimento avvengano con l'esclusione delle sue generalità deve essere funzionalmente agganciato alla presenza di motivi legittimi. L'autorità giudiziaria dovrà pertanto valutare in concreto i motivi legittimi addotti dall'interessato, bilanciando il principio della generale conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali e del contenuto integrale delle sentenze, quale strumento di democrazia

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e di informazione giuridica, con la tutela del singolo. Ne consegue che l'anonimizzazione – da intendere come soluzione “possibile ma non sempre necessaria e soprattutto non automatica” – non sembra che possa essere disposta dal giudice sulla base della semplice affermazione dell'istante: occorre che ci si trovi in presenza di circostanze particolari e di motivi debitamente giustificati, che vanno oltre il mero interesse al riserbo. In definitiva – e posto che l'interessato non potrà limitarsi, nella sua istanza, ad un generico richiamo alla locuzione legislativa – l'omissione dell'indicazione delle generalità e dei dati identificativi potrà essere disposta ogniqualvolta dalla diffusione completa della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale derivi un pericolo di pregiudizio per i diritti e le libertà fondamentali o per la dignità dell'interessato. Il secondo livello di tutela prevede che in altri casi l'anonimizzazione dei dati identificativi avviene in forza di un preventivo apprezzamento del legislatore. Infatti il comma 5 dell'art. 52: – da un lato fa ricognitivamente salvo quanto previsto dall'art. 734 bis del codice penale relativamente al divieto di divulgazione delle generalità delle persone offese da atti di violenza sessuale senza il consenso di costoro; – dall'altro prevede che, in caso di diffusione di decisioni giudiziarie, occorre omettere in ogni caso, anche in mancanza della predetta annotazione, “le generalità, altri dati identificativi o altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l'identità di minori, oppure delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone”.

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C.p.p. art. 126 Assistenza al giudice GIURISPRUDENZA La data del provvedimento del magistrato dalla quale decorrono gli effetti giuridici dell'atto non è quella in cui il magistrato, datandolo, lo compila materialmente, bensì è quella del deposito, mediante il quale il magistrato si libera del provvedimento medesimo affidandolo all'ausiliario cancelliere o segretario – che lo completa con l'attestazione dell'avvenuto adempimento. Ne risulta un sistema processuale e organizzativo in cui gli ausiliari dei magistrati svolgono la funzione di imprimere il sigillo dell'autenticità agli atti del giudice o del pubblico ministero, sottraendoli alla disponibilità interna dell'ufficio che li ha emessi, e conferendo ad essi rilevanza esterna intersoggettiva; così che solo con l'intervento dell'ausiliario l'atto giudiziario perfeziona la sua capacità di produrre effetti sulle situazioni giuridiche soggettive degli interessati (17673/2003, rv 224123). È causa di inefficacia l'indicazione della data ma non dell'ora di deposito di un provvedimento soggetto a termine "orario" di decadenza, ove non risulti, diversamente dagli atti, la possibilità di affermare che detto termine sia stato rispettato. (In motivazione la Corte, in una fattispecie di convalida del provvedimento del Questore impositivo dell'obbligo di presentazione ad un ufficio o comando di polizia di un tifoso, ha precisato che all'inefficacia della relativa ordinanza di convalida segue anche la cessazione dell'efficacia del provvedimento emesso dall'Autorità di P.S.) (20772/2010).

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C.p.p. art. 126 Assistenza al giudice COMMENTO Il giudice nell'adozione degli atti di propria competenza è affiancato da un ausiliario che viene designato, laddove la legge non stabilisca altrimenti, a norma dell'ordinamento. L'ausiliario è un soggetto che appartiene all'ufficio di cancelleria e che dipende dall'organo centrale del Ministero della Giustizia: la sua attività funzionale consiste nel coadiuvare il giudice nella formazione dei provvedimenti durante il corso del procedimento. La giurisprudenza più recente è orientata ad affermare la non sussistenza nullità, conformemente al principio di tassatività, con riferimento a verbali di udienza di convalida dell'arresto e della consecutiva ordinanza, redatti e sottoscritti dal solo magistrato e non dall'ausiliario che lo deve assistere e sia rimasto tuttavia assente, sicché la mancata compilazione del verbale da parte di quest'ultimo costituisce una mera irregolarità formale (così Cassazione n. 3352 del 1998).

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C.p.p. art. 127 Procedimento in camera di consiglio COMMENTO Udienza per l'incidente probatorio; udienze dei procedimenti di esecuzione; udienza preliminare, ecc.

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C.p.p. art. 127 Procedimento in camera di consiglio GIURISPRUDENZA Ai sensi dell'art. 127, terzo comma, c.p.p. (procedimento in Camera di Consiglio) che dispone che i difensori sono sentiti se compaiono, l'assenza del difensore, determinata dalla sua partecipazione all'astensione proclamata dagli organi forensi, costituisce legittimo impedimento valutabile dal giudice nell'esercizio del suo potere discrezionale, ove il predetto difensore faccia presente il suo interesse ad essere sentito, con una dichiarazione fatta pervenire in cancelleria a tempo debito (792/1996, rv 204283). Nell'ipotesi di procedimento in Camera di Consiglio, l'impedimento del difensore dell'imputato non costituisce valido motivo di rinvio, in quanto l'art. 127, comma terzo, c.p.p. dispone che il difensore, così come il P.M., le parti e le altre persone interessate sono sentiti solo se compaiono. Non esiste, quindi, un diritto all'audizione ma unicamente la facoltà di essere sentiti, il cui esercizio presuppone la comparizione. Un diritto alla comparizione (e al rinvio), a tutela del quale vi è la sanzione processuale della nullità, è previsto solo per l'imputato o per il condannato (e non per il difensore), prescrivendo l'art. 127, comma quarto, c.p.p. il rinvio dell'udienza esclusivamente se sussiste un legittimo impedimento dell'imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito personalmente. Né può ritenersi, stante la peculiarità del rito camerale, che vi sia compromissione del diritto della difesa (o eventualmente dell'accusa, cui è riservato il medesimo trattamento), potendo questo essere esercitato in maniera piena e totale mediante la presentazione di memorie in cancelleria (2534/1996, rv 204173). È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 310, comma secondo, e 127, comma terzo, c.p.p. in relazione all'art. 24, comma secondo, della Costituzione nella parte in cui viene previsto che l'indagato o l'imputato, se detenuto fuori della circoscrizione del giudice d'appello, in materia di misure cautelari personali, debba essere sentito, qualora ne faccia

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richiesta, dal magistrato di sorveglianza del luogo anziché dal tribunale competente per l'appello. Ed invero, per l'appello, stante l'identità di “ratio”, vale la medesima soluzione offerta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 45 del 1991 secondo cui il combinato disposto degli artt. 309, comma ottavo, e 127, comma terzo, c.p.p. va interpretato nel senso che le dette norme non vietano la comparizione personale dell'imputato o dell'indagato ove vi sia richiesta o il giudice, d'ufficio, lo ritenga opportuno. Ciò, però, non deve fare ritenere che sia stato riconosciuto il diritto pieno ed indiscutibile dell'indagato o dell'imputato, detenuto altrove e che ne faccia richiesta, ad essere sentito proprio dal giudice del riesame o dell'appello ma induce ad affermare che tale diritto è stato attribuito solo con riferimento alle ipotesi nelle quali sono prese in esame questioni di fatto concernenti la condotta dell'interessato, quando cioè costui voglia contestare le risultanze probatorie ed indicare eventualmente circostanze a lui favorevoli, restando invece ferma la facoltà del giudice di disattendere richieste di audizione formulate genericamente o a fini puramente defatigatori. Peraltro, il potere del tribunale di tenere conto, al fine di stabilire se sia o meno necessaria l'audizione diretta dell'indagato o dell'imputato (che non può essere imposta per il solo fatto della presentazione dell'istanza) delle ragioni su cui questa è fondata, trova riscontro nella norma dettata dall'art. 299 c.p.p., comma 3-ter, in tema d'interrogatorio da parte del giudice di chi abbia chiesto la revoca o la sostituzione di una misura cautelare. Né può parlarsi di violazione del diritto di difesa riconosciuto dall'art. 24 della Costituzione, dato che questo può subire adattamenti e restrizioni da parte del giudice ordinario se giustificati da altre norme o da principi fondamentali desunti dall'ordinamento costituzionale, quali per l'appunto ragioni di sicurezza ed economia processuale (4315/1996, rv 204457). Il procedimento di appello celebrato in Camera di Consiglio è disciplinato dall'art. 127 c.p.p.: ne consegue che, non prevedendo tale norma la presenza obbligatoria delle parti, l'irritualità della notificazione della citazione non produce una nullità assoluta ex art. 179 c.p.p., ma una nullità che, se non tempestivamente dedotta al momento della verifica della regolare costituzione delle parti, è sanata ai sensi dell'art. 184, comma primo, c.p.p. (5369/1997, rv 207817).

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Nel procedimento di Camera di Consiglio disciplinato dall'art. 127 c.p.p., pur non prevedendosi espressamente l'obbligo di deposito dei relativi atti, prima dell'udienza di discussione (come invece previsto, ad esempio, dagli artt. 309, comma ottavo, 416, comma secondo, 466 c.p.p.), detto obbligo può agevolmente dedursi dal complesso della disciplina in questione, sol che si consideri come una diversa interpretazione renderebbe pressoché inutile sul piano fattuale la comunicazione anticipata della data d'udienza, peraltro prevista a pena di nullità, una volta che a tale comunicazione non fosse correlato il corrispondente diritto della parte di prendere cognizione degli atti del procedimento; diritto che peraltro non comprende anche quello di estrarre copia dei detti atti, operando invece, a tale ultimo riguardo, la disciplina dettata dall'art. 116 c.p.p. (5678/1997, rv 206764). Nell'appello cautelare, la mancata traduzione, perché non disposta o non eseguita, dell'imputato, indagato o condannato che ne abbia fatto richiesta, all'udienza fissata per la sua discussione, determina la nullità assoluta e insanabile, dell'udienza camerale e della successiva pronuncia del tribunale sull'appello (1700/1998, rv 210565). L'assenza del difensore, determinata dalla sua adesione ad un'astensione dalle udienze proclamata dall'ordine professionale di appartenenza, deve ritenersi alla stregua di un impedimento a comparire espressamente previsto come causa di rinvio, valutabile dal giudice, nella sola ipotesi della sua ricorrenza nel dibattimento; nella diversa ipotesi in cui il giudice debba provvedere in Camera di Consiglio essa è invece irrilevante, giacché l'art. 127 c.p.p. contempla la nullità del procedimento per la mancata comparizione del difensore dell'imputato solamente in quanto sia conseguente alla mancata notificazione dell'avviso della data dell'udienza ovvero, se comparso, non venga sentito (6239/1998, rv 210846). Nel procedimento d'appello celebrato in Camera di Consiglio non è previsto né prescritto il rinvio dell'udienza per impedimento del difensore dell'imputato. Infatti disponendo l'art. 127 c.p.p. che il P. M. ed i difensori sono sentiti solo se compaiono, il contraddittorio è assicurato dalla semplice tempestiva notificazione degli avvisi (7939/1998, rv 211683).

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Nel procedimento di esecuzione, in quanto procedimento in Camera di Consiglio, non è prevista possibilità di sospensione o di rinvio in caso di legittimo impedimento del difensore; tale istituto si applica, infatti, in via esclusiva, nel procedimento di cognizione. Né possono ravvisarsi, nella diversità della disciplina, profili di illegittimità costituzionale; invero, in considerazione delle esigenze di semplificazione del rito e di tempestivo esercizio della giurisdizione, tipiche del procedimento di esecuzione, il diverso configurarsi del diritto di difesa è comunque garantito dal contraddittorio, che è regolato, in base alle differenti espressioni della discrezionalità legislativa, secondo le speciali caratteristiche della struttura dei singoli procedimenti (1730/1999, rv 214233). Nel procedimento camerale “de libertate” l'audizione ex articolo 127 c.p.p. da parte del magistrato di sorveglianza dell'interessato che si trovi detenuto in un luogo posto fuori del circondario del tribunale competente è sostitutiva dell'intervento diretto in udienza e dunque parte integrante della stessa, per cui è regolata dalla medesima disciplina. Ne consegue che la mancata audizione dell'imputato che ne abbia fatto richiesta comporta, al pari della mancata trasmissione, una lesione dell'inviolabile diritto di difesa e determina la nullità assoluta, a norma dell'articolo 179 c.p.p., dell'udienza camerale e della successiva pronuncia del tribunale sull'istanza di riesame (2417/1999, rv 214927). In tema di procedimenti in Camera di Consiglio, deve escludersi l'esistenza di un principio generale in base al quale tutti i provvedimenti terminativi sarebbero sempre ricorribili per Cassazione ai sensi del comma settimo dell'art. 127 c.p.p. Ed invero la ricezione del modulo procedimentale di cui al predetto articolo non comporta l'applicabilità di tutte le norme che lo caratterizzano, tanto che, in alcuni casi, il legislatore ha avvertito la necessità di prevedere espressamente la ricorribilità per Cassazione del provvedimento camerale decisorio (2792/1999, rv 214235). L'avviso al difensore per la partecipazione all'udienza di convalida dell'arresto è dovuto a chi riveste la qualità di difensore nel momento in cui l'udienza è stabilita dall'ufficio giudiziario; poiché la convalida dell'arresto o del fermo è soggetta a termini molto ristretti, costituzionalmente imposti, deve escludersi l'obbligo dell'ufficio di avvisare un eventuale difensore di fiducia

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successivamente nominato, che avrà l'onere, se vuole intervenire all'atto, di adoperarsi per assumere le necessarie informazioni; né risulta in tal modo violata la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848, che non specifica le modalità cui gli Stati membri debbono attenersi per consentire l'esercizio del diritto di difesa che, come deciso dalla stessa Corte europea dei diritti dell'uomo (ad es. CEDU 27.11.1997, K. F: c. Germania), può ben essere regolato e condizionato a seconda delle esigenze dell'ordinamento interno, ferma restando la necessità che il difensore, tempestivamente nominato, sia posto in grado di intervenire e liberamente esplicare il proprio mandato (2761/2000, rv 217377). Le forme camerali di cui all'art. 127 c.p.p., in sede di ricorso per cassazione in procedimenti riguardanti i sequestri, vanno osservate soltanto per quelli proposti dalle parti processuali legittimate a richiedere il riesame del provvedimento di sequestro e che concretamente abbiano partecipato al relativo procedimento, mentre nei casi inerenti all'istanza di restituzione della cosa in sequestro, formulata da soggetto non intervenuto nella procedura di riesame, va osservato il rito camerale non partecipato e con solo contraddittorio scritto tra le parti (3259/2000, rv 216755). Nel procedimento di prevenzione, che si svolge secondo il rito camerale di cui all'art. 127 c.p.p., nel quale la presenza del difensore è facoltativa, non assume rilevanza, ai fini di eventuale rinvio, il suo impedimento; né quest'ultimo può essere fatto valere a norma dell'art. 420-ter c.p.p., introdotto dall'art. 19 della legge n. 479 del 1999 in tema di legittimo impedimento a comparire, che opera nell'ambito dell'udienza preliminare ed è richiamato per il dibattimento dall'art. 484 c.p.p., comma 2 bis, ma nulla statuisce per il procedimento camerale regolato dal citato art. 127 c.p.p., in conformità del carattere discrezionale delle scelte legislative concernenti i diversi livelli di garanzie difensive da assicurare nelle varie procedure (4885/2000, rv 216916). Qualora, nell'ambito del procedimento di riesame, in cui trovano applicazione le disposizioni dettate dall'art. 127 c.p.p. per i procedimenti in Camera di Consiglio, l'imputato, detenuto in luogo posto fuori della circoscrizione del tribunale, abbia fatto richiesta di

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essere sentito direttamente o tramite videoconferenza e tale richiesta sia stata – legittimamente – respinta per genericità e per indisponibilità delle necessarie attrezzature tecniche, essa va comunque considerata come valida manifestazione della volontà del richiedente di essere, quanto meno, ascoltato dal magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione, senza che occorra, a tal fine, la proposizione di una nuova, specifica istanza corredata da apposita motivazione; requisito, quest'ultimo, occorrente soltanto quando si voglia ottenere l'audizione diretta, in deroga alla regola generale secondo cui si ha soltanto diritto all'audizione da parte del magistrato di sorveglianza (1726/2001, rv 218818). Il procedimento in camera di consiglio davanti alla Corte d'appello chiamata a deliberare sulla richiesta di revoca o sostituzione della misura coercitiva disposta nei confronti dell'estradando deve svolgersi nelle forme “partecipate” previste dall'art. 127 c.p.p. e non secondo la procedura “de plano” stabilita in via ordinaria dall'art. 299 dello stesso codice (26156/2003, rv 224612). L'imputato detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire all'udienza, ha diritto di presenziare al giudizio camerale d'appello avverso la sentenza pronunciata in giudizio abbreviato, anche se ristretto in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice procedente. (In motivazione la Corte, nell'escludere che la richiesta debba rispettare il termine di cinque giorni indicato dall'art. 127, comma secondo, c.p.p., ha precisato che detto principio è conforme ai principi enucleabili dall'art. 111 Cost., dall'art. 6, comma terzo, lett. c), d) ed e), della Cedu, dall'art. 14, comma terzo, lett. d), e) ed f) del Patto internazionale sui diritti civili e politici e da quanto affermato da Corte cost., sent. n. 45 del 1991) (35399/2010). La mancata notifica al recapito del difensore di un avviso, di cui la legge prevede l'urgenza, che comunque non sia addebitabile all'ufficio, non può determinare un'automatica sanzione processuale – non prevista dal nostro ordinamento – che impedisca al difensore di svolgere la sua funzione di assistenza tecnica all'indagato e all'imputato. Una tale scelta si tradurrebbe in una non consentità compressione del diritto di difesa. Di conseguenza, per addebitare

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una tale omissione al difensore è necessario che il giudice di merito accerti che la tempestività e la diligenza dell'ufficio procedente siano state vanificate dall'insuperabile prevalenza della negligenza della difesa (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha accolto il ricorso con cui il difensore di due minori stranieri accusati di furto aveva eccepito la mancata notifica della data di fissazione dell'udienza camerale. L'ufficiale giudiziario incaricato aveva tentato l'accesso al suo studio legale ma, non trovandovi nessuno, aveva lasciato avviso di deposito nella Casa comunale senza darne comunicazione tramite raccomandata con ricevuta di ritorno) (40451/2010). In tema di misure cautelari adottate nell'ambito del procedimento disciplinare a carico di magistrati, in assenza di disposizioni specifiche, il generale richiamo alle norme del codice di procedura penale – con il solo limite della compatibilità – operato dall'art. 18, quarto comma, del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 deve essere inteso nel senso che alla decisione cautelare resa dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura non si applica il principio dell'immediatezza, sancito dall'art. 525 cod. proc. pen., atteso che lo svolgimento con rito camerale, ai sensi dell'art. 13 del medesimo d.lgs. n. 109 del 2006, di tale fase eventuale ed incidentale del procedimento comporta che alla stessa debba applicarsi l'art. 127 cod. proc. pen., a norma del quale “il giudice provvede con ordinanza comunicata o notificata senza ritardo”, non prevedendo pertanto come necessaria la lettura in udienza del provvedimento adottato o del relativo dispositivo (S.U. 5942/2013). Nel procedimento per la restituzione in termini, sulla relativa istanza il giudice competente provvede “de plano”, mancando nell'art. 175, comma 4, c.p.p., un espresso richiamo alle forme di cui all'art. 127 c.p.p., a meno che non sia in corso un procedimento principale con rito camerale, nel qual caso sulla predetta istanza decide nelle medesime forme (18240/2013). La dichiarazione di inammissibilità dell'appello non richiede l'osservanza delle forme prescritte dall'art. 127 c.p.p., che regola il procedimento in camera di consiglio, in quanto la disciplina prevista da tale precetto non è espressamente richiamata dalla norma generale di cui all'art. 591, comma 2, c.p.p., la quale si limita a

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disporre che il giudice adotta la pronuncia “anche d'ufficio” (12355/2014). È inammissibile per mancanza di interesse ad impugnare il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso il provvedimento con cui il G.u.p. corregge con procedura “de plano” il decreto che dispone il giudizio immediato (nella specie, sostituendo il Tribunale, quale organo competente per la celebrazione del giudizio, con la indicazione della Corte di Assise), in difetto di allegazione della deduzione difensiva che non è stato possibile proporre nell'omessa udienza camerale (4257/2015). Nel procedimento per la restituzione in termini, il giudice competente provvede sull'istanza “de plano”, atteso che l'art. 175, comma quarto, cod. proc. pen. non opera alcun richiamo alla disciplina prevista dall'art. 127 cod. proc. pen., salvo che sia in corso un procedimento principale celebrato con rito camerale, nel qual caso la decisione sull'istanza deve avvenire con le medesime forme (4660/2015). In tema di procedimento di riesame di misure cautelari reali, la notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale eseguita presso il difensore di fiducia piuttosto che nel domicilio eletto o dichiarato dall'imputato determina una nullità inerente l'instaurazione del contraddittorio (4996/2015). Determina la violazione del contraddittorio la valutazione del carteggio dell'Ufficio campione penale, acquisito mediante ordinanza fuori udienza, successivamente alla riserva della decisione, e non ammesso prima che le parti rassegnassero le proprie conclusioni. Tale violazione discende dall'inosservanza delle disposizioni di cui agli articoli 127, comma 3, e 666, comma 4, cod. proc. pen., concernenti «la partecipazione al procedimento» del Pubblico Ministero, e la «assistenza» del condannato, entrambe necessarie nei procedimenti di esecuzione. La partecipazione del Pubblico Ministero e del difensore riveste, infatti, carattere funzionale e non può ritenersi integrata dalla mera presenza fisica del magistrato o dell'avvocato alla udienza camerale, essendo invece necessario che alle parti sia assicurata la possibilità di interloquire su ogni profilo dell'oggetto della decisione col correlativo divieto per il giudice di porre a base del provvedimento prove non ammesse nel contraddittorio (8585/2015). Nel giudizio camerale di appello, a seguito di processo di primo grado celebrato con rito abbreviato, è applicabile l’art. 420-ter, comma quinto, c.p.p., ed è pertanto rilevante l’impedimento del difensore determinato da serie, imprevedibili e attuali ragioni di salute, debitamente documentate e tempestivamente comunicate (S.U. 41432/2016). Nel procedimento di esecuzione dinanzi alla Corte di cassazione, non è prevista la presenza del difensore nella camera di consiglio fissata per la trattazione del ricorso, non rientrando detto procedimento in uno dei casi per i quali è espressamente stabilita l’osservanza delle forme di cui all’art. 127 cod. proc. pen. (10204/2017). In tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice può procedere alla revoca dell’ordinanza di sospensione solo nel contraddittorio delle parti e, quindi, mediante la fissazione di un’udienza camerale partecipata, ex art. 127 cod. proc. pen., con previo avviso alle parti (57506/2017).

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Nel giudizio di appello avverso sentenza pronunziata a seguito di giudizio abbreviato si applica il più breve termine di comparizione (non inferiore a dieci giorni) previsto in via generale dall’art. 127 cod. proc. pen. e non quello di cui all’art. 601, comma 5, dello stesso codice (8248/2018). In tema di procedimento di esecuzione, la produzione di documenti, effettuata nel rispetto del contraddittorio, non soggiace al termine dei cinque giorni antecedenti all’udienza, previsto dall’art. 666, comma 3, cod. proc. pen. per il solo deposito delle memorie (5458/2018). Il legittimo impedimento del difensore, quale causa di rinvio dell’udienza, non rileva nei procedimenti in camera di consiglio, per i quali è previsto che i difensori, il pubblico ministero e le altre parti interessate, siano sentiti solo se compaiono, sicché, ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio, é sufficiente che vi sia stata la notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza (14675/2018). L’inammissibilità dell’appello, che scaturisce dal mancato rispetto dei termini per l’impugnazione previsti dall’art. 585 c.p.p., va dichiarata "de plano", senza necessità di fissare l’udienza camerale e di avvisare i difensori, trovando applicazione l’art. 127, comma 9, c.p.p. secondo cui l’inammissibilità dell’atto introduttivo del procedimento camerale è dichiarata dal giudice con ordinanza, anche senza formalità di procedura, salvo che sia diversamente stabilito (745/2019). In tema di procedimento di sorveglianza, il giudice non deve tenere conto delle memorie depositate oltre il termine del quinto giorno antecedente l’udienza previsto dall’art. 127, comma 2, c.p.p., cui rimanda l’art. 666 c.p.p., a sua volta richiamato dall’art. 678 c.p.p., atteso che l’inosservanza di detto termine configura un’ipotesi di nullità ex art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. per violazione del diritto al contraddittorio (11569/2019). Nel procedimento di esecuzione, l’avviso della nuova udienza camerale deve essere notificato solo nel caso in cui il rinvio sia stato disposto per legittimo impedimento a comparire del condannato e non anche per altra causa (13167/2019). Nel procedimento di sorveglianza, in sede di udienza camerale partecipata ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen, è rilevante l’impedimento del difensore tempestivamente comunicato e determinato da serie ragioni di salute debitamente provate, sicchè esso costituisce una causa di rinvio dell’udienza che, se disattesa, dà luogo a nullità di quest’ultima (14622/2019). Nel procedimento di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari coercitive, la persona detenuta o internata, ovvero sottoposta a misura in concreto limitativa della possibilità di partecipare all'udienza camerale, può esercitare il diritto di comparire personalmente a quest'ultima solo se ne abbia fatto richiesta, anche per il tramite del difensore, con l'istanza di riesame, ferma restando la facoltà di chiedere di essere sentita su specifici temi con l'istanza di differimento ai sensi dell'art. 309, comma 9-bis c.p.p. (S.U. 11803/2020)

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C.p.p. art. 127 Procedimento in camera di consiglio COMMENTO La norma disciplina lo schema generale del cosiddetto rito camerale: la configurabilità di tale modello trova fondamento nell'esigenza di semplificare ed accelerare quanto più possibile il procedimento penale, pur sempre nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, entrambi costituzionalmente garantiti. La struttura procedimentale che ci accingiamo ad analizzare presenta dei caratteri peculiari soprattutto per quanto riguarda le modalità di attuazione del contraddittorio: normalmente infatti la partecipazione di alcuni soggetti, quali il difensore dell'indagato o dell'imputato e il pubblico ministero, è obbligatoria (esempio), mentre nel caso di specie essa è meramente facoltativa. Tuttavia il contraddittorio viene attuato attraverso l'imposizione dell'obbligo, a carico del giudice o del presidente del collegio, previsto a pena di nullità, di avvisare le parti, le altre persone interessate e i loro difensori, nonché il pubblico ministero, tramite comunicazione o notificazione da effettuarsi almeno dieci giorni prima dell'udienza: la distinzione fra “parti” e “persone interessate” sta a significare che quando vi sono persone con un interesse autonomo e, in qualche misura distinguibile in concreto da quello delle parti, costoro hanno diritto di interloquire e, quindi, devono essere avvisate (così Cassazione n. 2865 del 1996). La norma prosegue stabilendo che fino a cinque giorni prima dell'udienza possono essere presentate memorie, cioè atti attraverso i quali le parti espongono al giudice gli elementi e le argomentazioni di fatto e di diritto che fondano le rispettive pretese, prefigurando in tal modo una peculiare forma di contraddittorio cartolare. Come già precisato, la presenza dei soggetti ai quali deve obbligatoriamente pervenire l'avviso richiamato non è necessaria. Tuttavia essi sono sentiti se compaiono e, nel caso in cui l'interessato ne faccia richiesta, ancorché sottoposto a misure restrittive della libertà personale in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice, questi deve essere sentito dal magistrato di sorveglianza competente prima dell'udienza: l'espressione “sono sentiti se compaiono” non postula una specifica iniziativa del giudice, ma vincola solo quest'ultimo a raccogliere le dichiarazioni che le parti intendano fare. Ne consegue che, ove la parte autonomamente non eserciti tale diritto né manifesti l'intenzione di esercitarlo, nessuna violazione procedurale può ravvisarsi nel comportamento del giudice che pervenga all'atto decisionale senza alcuna audizione della parte stessa (così Cassazione n. 2443 del 1999); l'audizione dell'interessato detenuto o internato in un luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice, da parte del magistrato di sorveglianza, sostituisce l'intervento diretto in udienza e sottostà alla stessa disciplina: da ciò deriva che se l'interessato ne fa richiesta, ma non viene sentito, si configura una violazione del diritto di difesa che comporta la nullità assoluta dell'udienza in camera di consiglio.

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Laddove l'interessato, non detenuto o internato in un luogo diverso da quello in cui si trova la sede del giudice, richieda di essere sentito personalmente, ma sussista un impedimento legittimo che ne giustifichi l'indisponibilità, l'udienza viene rinviata. L'ultima parte del dettato normativo in oggetto, dopo aver precisato che l'udienza si svolge in assenza del pubblico e dopo che la giurisprudenza ha previsto, a pena di nullità assoluta, il principio di immutabilità del giudice nella trattazione e nella deliberazione, prende in considerazione il provvedimento finale del rito camerale, che normalmente è un'ordinanza, comunicata o notificata rispettivamente al pubblico ministero e alle parti private, agli interessati e ai loro difensori ed impugnabile di fronte alla Corte di Cassazione. Peraltro il ricorso presentato avverso il provvedimento decisorio non ha efficacia sospensiva dell'esecuzione del medesimo, a meno che il giudice competente non stabilisca diversamente con apposito decreto motivato. Il nono comma stabilisce che il giudice dichiari l'inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento con ordinanza, indipendentemente da vincoli formali di procedura e a meno che non sia prevista una diversa disciplina. Tale estrema semplificazione del modulo procedimentale non preclude, comunque, la possibilità per le parti di sottoporre la declaratoria di inammissibilità al vaglio del giudice di legittimità, come si desume dal richiamo esplicito al precetto contenuto nel comma 7 della norma in esame. Per quanto riguarda il verbale, infine, esso, a seguito dell'intervento manipolativo della Corte Costituzionale, viene redatto, di regola, in forma riassuntiva.

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C.p.p. art. 128 Deposito dei provvedimenti del giudice COMMENTO La sentenza conclusiva del giudizio abbreviato svolto secondo il rito camerale, deve essere notificata e comunicata ai sensi della norma in oggetto, ai fini del decorso del termine di impugnazione.

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C.p.p. art. 128 Deposito dei provvedimenti del giudice GIURISPRUDENZA La legale conoscenza di un atto o provvedimento del giudice da parte del pubblico ministero segue solo alla comunicazione effettuata dalla cancelleria nella forma di avviso di deposito ex art. 128 c.p.p. o integralmente, secondo le modalità prescritte dell'art. 153 c.p.p., con la sola eccezione dell'avvenuta presa di conoscenza (del contenuto del documentario) ad opera del suddetto pubblico ministero attestata con la sottoscrizione della persona fisica che rappresenta l'accusa nel procedimento nel quale l'atto è stato compiuto o il provvedimento pronunciato. Conseguentemente la semplice ricezione degli atti del procedimento da parte della segreteria dell'ufficio del pubblico ministero, attraverso il cosiddetto “registro di passaggio”, non integra la formalità di comunicazione dell'atto o del documento come prescritto dalla legge e, pertanto, non è idonea a far decorrere il termine perentorio per impugnare (686/1996, rv 205020). Dei provvedimenti emessi dal giudice in Camera di Consiglio, che devono essere depositati entro il termine ordinatorio di cinque giorni in cancelleria, non è prevista alcuna pubblicità immediata attraverso la lettura successiva alla deliberazione, al contrario di quel che accade per i provvedimenti assunti all'esito della pubblica udienza. Pertanto, l'indicazione della decisione riportata sul ruolo dell'udienza camerale, benché sottoscritta dal presidente, non ha lo stesso carattere vincolante e di definitività così come tassativamente previsto per gli altri provvedimenti, ed è assimilabile a un appunto ovvero a una mera annotazione. Sicché, nella divergenza tra detta indicazione e quella recepita nell'originale della decisione, ha carattere cogente – non altrimenti contrastabile – quella risultante dall'atto formalmente depositato e successivamente pubblicato, previa sottoscrizione dell'estensore e del presidente (4420/1997, rv 207958). Il deposito degli atti e dei documenti processuali in cancelleria costituisce una semplice attività materiale ed i relativi adempimenti

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non sono soggetti ad alcuna formalità. È il cancelliere che, nel ricevere l'atto, si assume la responsabilità della sua esistenza, della sua autenticità e della provenienza dal giudice che ne risulta autore (3616/1998, rv 212406). La data del provvedimento del magistrato dalla quale decorrono gli effetti giuridici dell'atto non è quella in cui il magistrato, datandolo, lo compila materialmente, bensì è quella del deposito, mediante il quale il magistrato si libera del provvedimento medesimo affidandolo all'ausiliario – cancelliere o segretario – che lo completa con la attestazione dell'avvenuto adempimento. Ne risulta un sistema processuale e organizzativo in cui gli ausiliari dei magistrati svolgono la funzione di imprimere il sigillo dell'autenticità agli atti del giudice o del pubblico ministero, sottraendoli alla disponibilità interna dell'ufficio che li ha emessi, e conferendo ad essi rilevanza esterna intersoggettiva; così che solo con l'intervento dell'ausiliario l'atto giudiziario perfeziona la sua capacità di produrre effetti sulle situazioni giuridiche soggettive degli interessati (2939/2000, rv 217988). La data di un provvedimento decisorio, emesso fuori udienza adottato in camera di consiglio, è quella dell'avvenuto deposito nella cancelleria del giudice decidente. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso la nullità di un provvedimento camerale di declaratoria di inammissibilità dell'appello, deliberato senza formalità ai sensi dell'art. 591, comma 2, c.p.p., privo della data di emissione ma regolarmente depositato in cancelleria) (11685/2012). Il giudice per le indagini preliminari può prosciogliere la persona nei cui confronti il Pubblico Ministero abbia richiesto l'emissione di decreto penale di condanna solo per una delle ipotesi tassativamente indicate nell'art. 129 c.p.p., e non anche per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell'art. 530 c.p.p. comma secondo alle quali, prima del dibattimento - non essendo stata la prova ancora assunta - l'art. 129 non consente si attribuisca valore processuale. Conseguentemente, deve essere annullata e rimessa al competente Tribunale, la sentenza con la quale il Gip, ha dichiarato di non doversi procedere perché il fatto non costituisce reato nei confronti dell'imputato per il reato previsto dall'art. 2 D.L. 2 settembre 1983 n. 463, (perché, pur essendone tenuto, ometteva di versare all'Inps le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti)ritenendo verosimile che la condotta ascritta all'imputato non fosse sorretta dall'elemento psicologico richiesto dalla norma incriminatrice (20571/2015).

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Il proscioglimento per mancanza di querela è più favorevole della declaratoria di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione (3722/2015). Il giudice di legittimità può rilevare d'ufficio la prescrizione del reato maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata, non rilevata dal giudice d'appello, pur se non dedotta con il ricorso per cassazione e nonostante l'inammissibilità di quest'ultimo, ma solo se, a tal fine, non occorre alcuna attività di apprezzamento delle prove finalizzata all'individuazione di un “dies a quo” diverso da quello indicato nell'imputazione contestata e ritenuto nella sentenza di primo grado (4986/2015). In tema di esecuzione, qualora, per effetto di “abolitio criminis”, sia parzialmente revocata la sentenza di patteggiamento per il reato base e per alcuni di quelli posti a fondamento del vincolo della continuazione che venga così ad essere risolto, rendendosi necessaria la nuova determinazione della sanzione per un residuo reato (già satellite), là dove l'originario aumento computato a titolo di continuazione non corrisponda - per genere, per specie o per quantità di pena - alla sanzione prevista astrattamente dalla legge, la relativa quantificazione può essere operata direttamente dalla Corte di cassazione avendo riguardo alla massima riduzione consentita per le circostanze attenuanti ed alla diminuzione per l'eventuale rito alternativo richiesto dall'imputato (7857/2015). I termini di impugnazione della sentenza, resa all’esito di giudizio abbreviato, svoltosi dinanzi al giudice per le indagini preliminari a seguito di opposizione a decreto penale, e pubblicata, pur se erroneamente, mediante deposito in cancelleria ai sensi dell’art. 128 cod. proc. pen., decorrono per l’imputato e il suo difensore dalla notifica dell’avviso di deposito del provvedimento (2286/2017).

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C.p.p. art. 128 Deposito dei provvedimenti del giudice COMMENTO I provvedimenti emessi al termine del rito camerale, per avere giuridica esistenza e per poter essere conosciuti, devono essere depositati in cancelleria entro cinque giorni dalla deliberazione; fanno eccezione a tale adempimento le decisioni dell'udienza preliminare [424] e del dibattimento [548], che vengono pronunciate nel contesto dell'udienza. Il deposito degli atti e dei documenti processuali in cancelleria costituisce una semplice attività materiale ed i relativi adempimenti non sono soggetti ad alcuna formalità. Trattandosi di adempimento ordinario di un atto d'ufficio, esso deve presumersi come avvenuto alle date indicate nell'attestazione del funzionario di cancelleria, indipendentemente dalla sottoscrizione della stessa da parte di questi, spettando la prova della non veridicità dell'attestazione alla parte interessata (così Cassazione n. 119 del 1992). Se il provvedimento emesso può essere impugnato, l'avviso dell'avvenuto deposito andrà comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti titolari del diritto di impugnazione, e conterrà soltanto il dispositivo (esempio): in tema di impugnazioni, per il principio di unicità del diritto richiamato, l'esaurimento del mezzo di gravame da parte del difensore opera una preclusione nei suoi confronti, nel senso che non può la medesima persona giovarsi dell'eventuale notifica o comunicazione di cui al presente articolo per proporre nuovo atto di impugnazione. Ciò sia perché il primo gravame induce a ritenere che l'impugnante sia stato pienamente a conoscenza dell'atto impugnato, sia in quanto il diritto di impugnare è stato validamente esercitato e si è consumata la relativa facoltà (così Cassazione n. 3668 del 1990). Peraltro, pur in assenza di specifiche disposizioni a riguardo, deve ritenersi che la mancata notificazione dell'avviso di deposito risulti idonea ad integrare gli estremi di una delle nullità stabilite nelle lett. b) e c) dell'art. 178.

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C.p.p. art. 129 Obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità COMMENTO 1. Morte del reo prima della condanna [c.p. 150]; amnistia [c.p. 151]; remissione della querela [c.p. 152]. 2. Querela [336-340]; istanza e richiesta di procedimento [341, 342]; autorizzazione a procedere [343, 344]. 3. L'imputato muore dopo l'intervenuta abolitio criminis: il giudice deve prosciogliere perché il fatto non è previsto come reato, non potendo essere dichiarata l'estinzione di un fatto di reato che la legge non prevede più come tale.

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C.p.p. art. 129 Obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità GIURISPRUDENZA In caso di estinzione del reato, il giudice (per la prevalenza, del “favor innocentiae” sul “favor rei”) deve accertare la possibilità di una assoluzione nel merito. Tale indagine non è conferente in presenza di cause di non procedibilità poiché per il contenuto meramente processuale della relativa sentenza, non è prevista una analoga soluzione (3445/1995, rv 203403). L'appello dell'imputato sulla pena preclude la formazione del giudicato anche in punto di responsabilità perché implica un esame complessivo del fatto nel corso del quale l'eventuale emersione di cause di non punibilità non può far operare la disposizione dell'art. 129 c.p.p. (6163/1995, rv 201822). In tema di censure attinenti una pretesa erronea declaratoria di una causa di non punibilità, con l'impugnazione si realizza una devoluzione “ope legis” di ogni questione, anche se non investita dai motivi di ricorso, attinente alla corretta applicazione della causa di non punibilità e con la conseguente necessità di un controllo al fine di accertare la sussistenza dei presupposti in fatto che legittimino il suo riconoscimento nella concreta fattispecie (456/1996, rv 204968). A seguito della richiesta del P.M. di rinvio a giudizio dell'imputato, il giudice per le indagini preliminari può adottare la declaratoria di determinate cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., ma ciò non può fare con provvedimento “de plano”, ma solamente con il rito tipico della fase in corso, cioè l'unico rito a sua disposizione per definire il processo davanti a sé, che è quello camerale dell'udienza preliminare. Né tale procedura è incompatibile con l'obbligo dell'immediata dichiarazione della causa di non punibilità. L'espressione “immediata declaratoria”, peraltro contenuta soltanto nella rubrica della norma, non implica l'adozione del procedimento “de plano”, ma denota esclusivamente un rapporto di precedenza rispetto ad altri provvedimenti decisionali

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e, in particolare, rispetto a provvedimenti istruttori. Ne consegue che, ai fini di cui all'art. 129 c.p.p., il G.i.p. non può avvalersi nell'udienza preliminare dei poteri di cui all'art. 422 c.p.p. (839/1996, rv 204260). Il principio del “favor rei” stabilito dall'art. 2 c.p. comporta che, in caso di depenalizzazione con la trasformazione del reato in illecito amministrativo con la previsione dell'obbligo di trasmissione degli atti all'autorità competente, debba in ogni caso procedersi alla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione anche quando la causa estintiva sia maturata dopo la depenalizzazione (1948/1996, rv 205435). In presenza di una causa di estinzione del reato non sono rilevabili in Cassazione vizi di motivazione della sentenza, perché l'inevitabile rinvio della causa all'esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento per intervenuta estinzione del reato, stabilito dal primo comma dell'art. 129 c.p.p. (7718/1996, rv 205548). In tema di patteggiamento, quando si verifichi una causa d'estinzione per alcuno dei reati posti in continuazione, la Cassazione la dichiara e provvede all'eliminazione della relativa pena, se il giudice del merito ha determinato la pena separatamente per ciascun reato (326/1997, rv 207621). In tema di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, il giudice di appello non è tenuto a giustificare il mancato proscioglimento nel merito in virtù di una scriminante, salvo che vi sia una specifica richiesta dell'imputato, per cui la omessa motivazione circa le ragioni che hanno indotto il giudice di primo grado a ritenere inoperante la norma di cui al primo comma dell'art. 129 c.p.p. significa che gli elementi di fatto acquisiti non postulano una situazione di non punibilità in virtù di una reale o putativa causa di giustificazione (446/1997, rv 207725). In sede di rinvio il giudice deve mantenersi nei binari tracciati dalla Corte di Cassazione ed attenersi al principio affermato nella sentenza di annullamento; ne deriva che egli non può assolvere l'imputato ai sensi dell'art. 129, primo comma, c.p.p., sugli stessi presupposti di fatto già passati al vaglio della Corte di Cassazione: se infatti il giudice di legittimità non ha proceduto al

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proscioglimento in base alla citata norma, ma, annullando con rinvio, ha imposto un nuovo giudizio, ogni questione al riguardo è travolta dal giudicato (1210/1997, rv 207119). In tema d'immediata declaratoria di cause di non punibilità, la Corte di Cassazione – in applicazione del principio del “favor innocentiae”, cui maggiormente s'ispira il vigente codice di procedura penale, evidenziato da alcune disposizioni (art. 69, primo comma, c.p.p., art. 530 c.p.p., secondo e terzo comma, e art. 531, secondo comma, c.p.p.) – può prendere in esame gli atti, per accertare se sussista in modo evidente una ragione di proscioglimento, pur nei limiti propri del giudizio di legittimità (3028/1997, rv 207599). L'art. 129 c.p.p. non può trovare applicazione prima della fase processuale vera e propria: nella fase delle indagini preliminari il procedimento può giungere a conclusione solo a seguito di archiviazione, ai sensi dell'art. 409 c.p.p. o dell'art. 408 c.p.p. in applicazione dell'espressa previsione dell'art. 411 c.p. pen. È abnorme perciò il provvedimento con cui, nella fase delle indagini preliminari, il G.i.p. emetta sentenza di non luogo a procedere a carico dell'indagato in conseguenza della morte di questi, pronunciandosi così sulla mancanza della manifesta evidenza degli elementi per procedere al proscioglimento nel merito (4903/1997, rv 207901). Qualora il pubblico ministero abbia richiesto l'archiviazione per la intervenuta remissione della querela, il giudice non ha il dovere di motivare sulla insussistenza di prove favorevoli all'indagato ex art. 129 c.p.p., che non è applicabile alla fase delle indagini preliminari. È, pertanto, inammissibile il ricorso proposto dalla persona offesa, sotto il profilo della abnormità, contro il decreto di archiviazione emesso ex art. 411 c.p.p. (93/1998, rv 210826). In presenza di una causa estintiva del reato l'obbligo del giudice di assolvere per motivi di merito si riscontra solo quando gli elementi rilevatori della insussistenza del fatto, della sua irrilevanza penale etc., emergono dagli atti in modo incontrovertibile, tanto che la valutazione di essi da parte del giudice sia assimilabile più ad una constatazione che ad un accertamento (1506/1998, rv 209793). L'art. 129 c.p.p., nel prevedere l'obbligo della declaratoria di non punibilità, nei casi in esso contemplati, in ogni stato e grado del

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processo, nulla dispone in ordine al rito da seguire per la pronuncia di detta declaratoria; ragion per cui tale rito non può che essere quello della fase in cui il processo si trova. È pertanto da ritenere illegittimo il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di rinvio a giudizio, emetta “de plano” sentenza di non luogo a procedere per ritenuta evidenza di una causa di improcedibilità dell'azione penale, potendo una tale pronuncia conseguire soltanto all'esito della celebrazione dell'udienza preliminare (2277/1998, rv 210432). In tema di annullamento parziale, da parte della Cassazione, della sentenza impugnata, il principio della formazione progressiva del giudicato – desumibile da una corretta interpretazione del disposto dell'art. 624, comma primo, c.p.p. – che ne importa la configurabilità in ordine alle parti non annullate della sentenza, concernenti l'esistenza del reato e la responsabilità dell'imputato e non in rapporto di connessione essenziale con quelle annullate, legittima la conclusione che esclude l'operatività delle cause di estinzione del reato, relativamente alle parti della decisione sulle quali si è formato il giudicato; invero, l'art. 129 c.p.p., che – come già il previgente art. 152 del codice di rito abrogato – pur prevede l'efficacia di dette cause in ogni stato e grado del procedimento, non può superare la “barriera del giudicato”, essendosi ormai concluso in maniera definitiva l'”iter” processuale per quelle parti della sentenza che tale autorità hanno acquistato. Ne consegue che, qualora venga rimessa dalla Corte di Cassazione al giudice di rinvio esclusivamente la questione relativa alla determinazione della pena, il giudicato (progressivo) formatosi sull'accertamento del reato e della responsabilità dell'imputato, con la definitività della decisione su tali parti, impedisce l'applicazione di cause estintive sopravvenute all'annullamento parziale (5578/1998, rv 210612). Nel giudizio di legittimità, la regola posta dall'art. 129 c.p.p. è vincolante, a norma dell'art. 609 c.p.p., senza che possano valere i limiti della formazione progressiva del giudicato, quale disciplinata dal primo comma dell'art. 624 c.p.p. Pertanto, ancorché il ricorso per Cassazione sia circoscritto esclusivamente a motivi inerenti al trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata, ove sia maturato il termine relativo, deve essere annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione (7903/1998, rv 211377).

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Poiché il concetto di condanna penale comprende in un “unicum” inscindibile sia l'accertamento della responsabilità che la determinazione della pena, non è concepibile, in via generale, che si formi un giudicato di condanna nell'ipotesi in cui, pur non essendo più in discussione la responsabilità, restino tuttavia da definire l'entità o le modalità di applicazione della sanzione concretamente irrogata; da ciò consegue l'operatività, nel corso del perdurante giudizio, delle cause di estinzione del reato eventualmente sopraggiunte, ad eccezione del caso in cui il giudizio stesso sia proseguito ai fini della determinazione della pena a seguito di annullamento parziale della sentenza da parte della Corte di Cassazione, in virtù del quale gli elementi della decisione di condanna sono scomponibili per il formarsi del cosiddetto giudicato progressivo (11544/1998, rv 211905). In presenza della causa estintiva della prescrizione del reato, l'obbligo del giudice di immediata declaratoria ex art. 129 c.p.p. postula che le circostanze idonee a escludere l'esistenza del fatto, la rilevanza penale di esso e la non commissione del medesimo da parte dell'imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, sicché la valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene più al concetto di constatazione che a quello di apprezzamento. Consegue, pertanto, che nel giudizio di Cassazione, qualora venga riscontrato un vizio di motivazione della sentenza impugnata implicante il rinvio al giudice di merito, e le risultanze processuali siano tali da condurre a diverse interpretazioni, deve essere pronunciato l'annullamento senza rinvio in applicazione della causa estintiva della prescrizione quando sia decorso il relativo termine, in quanto il rinvio al giudice di merito sarebbe incompatibile con l'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva del reato (12320/1998, rv 212320). La inammissibilità originaria dell'atto di impugnazione comporta la conclusione del processo, in quanto l'atto di impugnazione originariamente inammissibile non è idoneo a produrre l'impulso necessario per introdurre il nuovo grado di giudizio ed a cagionare, quindi, quegli effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla dichiarazione di inammissibilità, anche in presenza di eventuali cause di non punibilità (481/1999, rv 213268).

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Qualora l'imputato sia stato assolto con formula piena e contro tale decisone sia stato proposto gravame dal pubblico ministero, il giudice dell'impugnazione può applicare una sopravvenuta causa di estinzione del reato solo se reputi fondata l'impugnazione, così da escludere che possa persistere la pronuncia di merito più favorevole all'imputato. Ne consegue che la sentenza che dichiara la causa estintiva deve essere adeguatamente motivata sul punto (783/1999, rv 212475). La richiesta di rinvio a giudizio apre una fase processuale informata al principio del contraddittorio, che trova la sua sede naturale nell'udienza preliminare, istituzionalmente preordinata all'esame e alla discussione del fondamento della richiesta, all'esito della quale il giudice potrà esprimere le proprie determinazioni, compresa la pronuncia eventuale di una sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p. Tale interpretazione delle disposizioni che regolano l'udienza preliminare non pregiudica il significato e la portata di quest'ultima norma, giacché la nozione di “immediatezza”, prevista nella rubrica della disposizione, va correlata col rispetto delle norme che regolano la fase processuale presa in considerazione e che prevedono, nel caso, lo svolgimento dell'udienza preliminare, dalla fissazione della quale il giudice non può prescindere neppure per la declaratoria di eventuali cause di non punibilità, previo intervento delle parti (783/1999. rv 214141). In tema di patteggiamento, la motivazione della sentenza in relazione alla mancanza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 129 c.p.p. può anche essere meramente enunciativa. Invero, poiché la richiesta di applicazione della pena deve essere considerata quantomeno come ammissione del fatto (quando non la si voglia addirittura ritenere ammissione di responsabilità o implicito riconoscimento di colpevolezza), il giudice deve pronunciare sentenza di proscioglimento solo se manchi un quadro probatorio idoneo a definire il fatto come reato o se dagli atti già risultino elementi tali da imporre di superare la presunzione di colpevolezza che il legislatore ricollega proprio alla formulazione della richiesta di applicazione della pena (4117/1999, rv 214478). Nel giudizio di cassazione, ove nel ricorso si faccia questione solo dell'applicabilità di sanzioni amministrative accessorie al reato e su questo si sia formato interamente il giudicato sia sotto il profilo

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della responsabilità sia sotto quello della pena, è da escludere la rilevanza della prescrizione maturata nelle more del ricorso (6725/1999, rv 213815). L'acquiescenza della parte interessata, che non propone specifica impugnazione su un capo della sentenza, produce preclusione processuale alla rivisitazione del “decisum”, preclusione che, sul piano sostanziale, si risolve nella formazione di un giudicato parziale interno; conseguentemente la mancata impugnazione del capo attinente l'affermazione della responsabilità penale del soggetto non consente al giudice dell'impugnazione di rilevare, comunque, l'eventuale verificarsi di causa estintiva ex art. 129 c.p.p. (8310/1999, rv 213955). In tema di impugnazioni, poiché l'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p. presuppone che il giudice del gravame sia stato effettivamente investito della cognizione del processo, non può essere dichiarata, in sede di legittimità, la prescrizione del reato, nel caso in cui il ricorso sia ritenuto affetto da inammissibilità originaria per mancanza di specificità dei motivi; invero, in tal caso, il gravame non è idoneo ad introdurre un nuovo grado di giudizio (10379/1999, rv 214190). La proposizione di ricorso per Cassazione contenente censure in punto di fatto rende il ricorso stesso inammissibile per causa originaria e, come tale, inidoneo a instaurare un regolare rapporto processuale di impugnazione, con la conseguenza che la sentenza impugnata passa automaticamente in cosa giudicata e resta precluso qualsiasi accertamento di sopravvenute cause di non punibilità (14013/1999, rv 214830). L'inammissibilità del ricorso per Cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (32/2000, rv 217266). In caso di “abolitio criminis”, poiché tale evento fa venire meno, ancor più che la validità e l'efficacia della norma penale incriminatrice, la sua stessa esistenza nell'ordinamento, ogni giudice che sia formalmente investito della cognizione sulla fattispecie oggetto di abrogazione ha il compito di dichiarare, ex art. 129,

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comma primo, c.p.p., che il fatto non è previsto dalla legge come reato, in ossequio al precetto di cui all'art. 2, comma secondo, c.p., per il quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. In altri termini, essendo venuto meno l'oggetto sostanziale del rapporto processuale penale, e cioè il nesso tra un fatto penalmente rilevante e l'accusato (imputazione-imputato), tale declaratoria è necessariamente pregiudiziale rispetto ad ogni altro accertamento (quale quello relativo alle cause di inammissibilità dell'impugnazione) che implichi, invece, la formale permanenza di una “res iudicanda”; e ciò non diversamente da quanto è imposto al giudice nell'ipotesi di morte dell'imputato, ove pure – in questo caso per il venir meno della componente soggettiva – il rapporto processuale è risolto (356/2000, rv 215285). Attesa la distinzione che deve operarsi fra l'istituto del giudicato e quello della preclusione processuale legata al principio di devoluzione (di cui è principale espressione l'art. 597, comma primo, c.p.p.), nel mentre deve riconoscersi il fenomeno della cosiddetta “formazione progressiva del giudicato” nel caso in cui si dia luogo ad annullamento parziale con rinvio della sentenza di condanna su punti diversi da quelli concernenti la responsabilità dell'imputato, deve invece escludersi che il suddetto fenomeno possa farsi derivare dal solo fatto che, proposta un'impugnazione, questa sia stata limitata unicamente a quei punti e non abbia quindi investito il giudizio di responsabilità. Ne consegue che, verificandosi tale ipotesi, non possono non operare le eventuali cause di estinzione del reato riconosciute dal giudice dell'impugnazione, salvo che quest'ultima sia affetta da una causa originaria di inammissibilità (2448/2000, rv 215419). Pur prescindendo dal problema se, e a quali condizioni, possa essere pronunciata sentenza di proscioglimento nel merito prima del dibattimento nei casi di cui al secondo comma dell'art. 129 c.p.p., tale sentenza non può, comunque, pronunciarsi, neppure con il consenso dell'imputato e del pubblico ministero, quando difetti uno dei presupposti essenziali perché possa addivenirsi a una simile statuizione, cioè l'esistenza di una causa di improcedibilità o di improseguibilità dell'azione penale, ovvero una causa di estinzione del reato, sulle quali la pronuncia di proscioglimento nel merito

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dovrebbe, eventualmente, prevalere. Qualora una tale sentenza sia pronunciata, la stessa deve ritenersi colpita da nullità di ordine generale di cui all'art. 178 c.p.p., lett. c, (perché incidente negativamente sull'intervento della costituita parte civile), anche se non assoluta (art. 179 c.p.p.), bensì a regime intermedio (art. 180 c.p.p.); nullità che, essendosi verificata nel giudizio – cioè dopo la notificazione del decreto di citazione, anche se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento –, è deducibile e rilevabile entro il limite temporale costituito dallo svolgimento del grado successivo del processo, nel caso coincidente con il giudizio di cassazione, trattandosi di sentenza inappellabile (4038/2000, rv 216501). Anche in sede di cd. patteggiamento in appello, il giudice deve controllare l'inesistenza di una delle situazioni indicate nell'art. 129 c.p.p. e deve, quindi, enunciare, con motivazione anche implicita, che è stata compiuta la verifica, richiesta dalla legge, che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento di cui alla citata norma, analogamente a quanto stabilito per l'ipotesi di applicazione della pena sull'accordo delle parti a norma dell'art. 444 c.p.p. (4282/2000, rv 216741). In base alla formulazione dell'articolo 129 c.p.p., in cui è enunciato un ordine progressivo di cause di non punibilità corrispondente all'interesse dell'imputato di ottenere la pronuncia più favorevole, le formule di proscioglimento nel merito ovvero per improcedibilità ed improponibilità dell'azione penale, prevalgono su quelle declaratorie delle cause di estinzione del reato. Ne consegue che la formula di proscioglimento del minore per irrilevanza del fatto ex articolo 27 del D.P.R. n. 448 del 1988 prevale, siccome più favorevole, rispetto a quella di non doversi procedere per intervenuta prescrizione (5503/2000, rv 216446). Deve farsi luogo all'immediata declaratoria di una causa di non punibilità, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., anche nel caso in cui, per mancato rispetto dei termini di comparizione dell'imputato, l'udienza non potrebbe essere celebrata. Invero, in applicazione del principio del “favor rei” e per evidenti esigenze di giustizia e di celerità, occorre impedire che, a carico di un cittadino persistano, oltre il necessario, conseguenze pregiudizievoli, quale potrebbe

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essere la permanenza di un così detto carico pendente (6987/2000, rv 216372). In presenza della causa estintiva della prescrizione, l'obbligo di declaratoria di una più favorevole causa di proscioglimento ex art. 129, comma 2, c.p.p. da parte della Corte di Cassazione richiede il controllo unicamente della sentenza impugnata, nel senso che gli atti dai quali può essere desunta la sussistenza della causa più favorevole sono costituiti unicamente dalla predetta sentenza, in conformità con i limiti di deducibilità del vizio di mancanza o manifesta illogicità di motivazione, che, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), deve risultare dal testo del provvedimento impugnato (9944/2000, rv 217255). In tema di immediata declaratoria di cause di non punibilità, la Corte di cassazione, quando l'applicazione di una causa di estinzione del reato richiede un accertamento di merito, deve esaminare gli atti nei limiti propri del giudizio di legittimità e non può compiere valutazioni diverse rispetto a quelle espresse dal giudice di merito. Tuttavia, qualora il convincimento del giudice di merito si sia formato su una prova viziata da nullità, la sentenza deve essere annullata con rinvio affinché il giudice di merito valuti se ricorrano le condizioni per dichiarare l'estinzione del reato o per pronunciare una sentenza di assoluzione nel merito (11037/2001, rv 218617) In tema di concorso di più cause di proscioglimento, quando esista agli atti la prova evidente per un'assoluzione piena dell'imputato, l'avvenuta “abolitio criminis” relativa al reato contestato non esime il giudice dall'obbligo di applicare una formula di proscioglimento o di assoluzione più favorevole all'imputato, atteso che, in ragione del fatto che alcune di queste formule lasciano in piedi le sanzioni amministrative o civili o sociali, il legislatore ha stabilito, con l'art. 129 c.p.p., che tra le stesse corra, quale ordine logico e progressivo, la priorità della causa di assoluzione piena rispetto alle altre formule di proscioglimento (10312/2001, rv 218804). Fra le cause di non punibilità previste dall'art. 129, comma 2, c.p.p., rientra anche il fatto non punibile per l'esistenza di una scriminante, atteso che la formula “perché il fatto non costituisce

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reato” comprende tutte le ipotesi – generali e speciali – di esclusione della punibilità (15955/2001, rv 218875). Costituisce provvedimento abnorme la sentenza pronunciata dal presidente del tribunale, nella veste di giudice monocratico ma al di fuori del dibattimento, che abbia dichiarato estinto per prescrizione il reato già oggetto di una precedente sentenza pretorile di condanna, non ancora divenuta irrevocabile per l'omissione dei prescritti avvisi alle parti, (sia pure a distanza di quasi due anni dalla sua pronuncia) esulando il provvedimento dall'intero sistema dell'ordinamento processuale vigente, in quanto solo il giudice dell'impugnazione, e non quello che ha pronunciato la sentenza, può valutare la precedente decisione (17482/2001, rv 218735). L'omessa citazione dell'imputato nel giudizio di appello, nel quale sia stata dichiarata la prescrizione, integra una nullità assoluta che, nonostante l'intervenuta estinzione del reato, prevale sull'obbligo di dichiarare immediatamente le cause di non punibilità ed impone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata (22648/2001, rv 219006). È inammissibile il ricorso per cassazione proposto unicamente per far valere la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata e prima della sua presentazione, privo di qualsiasi doglianza relativa alla medesima, in quanto viola il criterio della specificità dei motivi enunciato nell'art. 581, lett. c), c.p.p. ed esula dai casi in relazione ai quali può essere proposto a norma dell'art. 606 dello stesso codice (33542/2001, rv 219531). Il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall'art. 129 c.p.p. impone che nel giudizio di cassazione, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, di dare prevalenza alla prima, salvo che l'operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nel qual caso assume rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio (26798/2003, rv 225111). È abnorme la sentenza di proscioglimento emessa dallo stesso g.i.p. che ha emesso il decreto penale di condanna opposto. Il giudice che abbia emesso un provvedimento decisorio sul merito dell'azione penale, assimilabile a una sentenza di condanna, quale è

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il decreto penale, non ha il potere di pronunciare successivamente sentenza di proscioglimento sullo stesso fatto-reato, perché tale successivo atto incide su un provvedimento definitivo, non revocabile se non nei casi tassativamente previsti dalla legge, e, infine, perché, dopo l'opposizione, il g.i.p. deve emettere gli atti di impulso indicati dall'art. 464 c.p.p. e in questa fase è privo del potere di pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p. (21243/2010). La sentenza di proscioglimento, emessa dal giudice per le indagini preliminari investito della richiesta di decreto penale di condanna, può essere impugnata solo con ricorso per cassazione (43055/2010). In tema di estinzione del reato per prescrizione e ai fini della concreta applicabilità dell'art. 129 c.p.p., il sindacato di legittimità deve essere circoscritto all'accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell'insussistenza del fatto o dell'estraneità ad esso dell'imputato risulti evidente, sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini e di ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l'operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata. Qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall'art. 129 c.p.p., l'esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all'imputato deve prevalere l'esigenza della definizione immediata del processo (13746/2011). Il vizio di motivazione è configurabile unicamente quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata. Pertanto siffatto vizio non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa

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decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità (38536/2011). La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l'obbligo della motivazione da parte del giudice dell'impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d'appello, quando egli, accertata l'irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell'art. 133 c.p., ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d'appello (38536/2011). Non possono trovare applicazione le norme sulla prescrizione del reato ogni qualvolta il ricorso per cassazione si appalesi inammissibile, ovvero abbia fondamento su motivi manifestamente infondati. In circostanze siffatte, infatti, la mancata conseguente instaurazione di un valido rapporto di impugnazione preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (38536/2011). La parte civile è priva di interesse a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento dell'imputato per l'improcedibilità dell'azione penale dovuta a difetto di querela (35599/2012). Anche nell'ambito del procedimento disciplinare a carico di magistrati è applicabile la disposizione di cui all'art. 129 c.p.p., che impone di dichiarare l'estinzione del reato “in ogni stato e grado del processo” e di pronunciare sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con formula liberatoria nel merito quando ricorre una causa di estinzione del reato, ma dagli atti risulti evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, atteso il rinvio contenuto negli art. 16, comma 2, e 18, comma 4, d.lg. 23 febbraio 2006 n. 109, relativi l'uno alle indagini nel procedimento disciplinare ed al potere di archiviazione, l'altro alla discussione nel giudizio disciplinare (S.U. 15832/2012). Il G.u.p., se rileva nel corso dell'udienza preliminare una causa estintiva del reato, ha l'obbligo di dichiararla, senza poter effettuare

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alcun approfondimento del “thema decidendum” né poter modificare la qualificazione giuridica del fatto (16386/2013). Nell'ambito del procedimento di applicazione della pena, il giudice non può pronunciare sentenza di proscioglimento o di assoluzione per mancanza, insufficienza o contraddittorietà delle prove desumibili dal fascicolo del p.m. o comunque dagli atti, non rientrando tale possibilità né tra quelle esplicitamente indicate dall'art. 129, comma 1, c.p.p. né, a causa dello stato in cui il processo si trova, tra le ulteriori cause di assoluzione o proscioglimento alle quali, all'esito dell'udienza preliminare o del dibattimento, può essere applicato l'art. 129 c.p.p. in forza della equiparazione delle formule dubitative e di quelle di assoluzione (40100/2015). Relativamente alla contestazione della mancata restituzione al cliente da parte del professionista della documentazione relativa alle pratiche trattate, l'allegazione al ricorso di fotocopie delle copertine dei fascicoli di studio sulle quali si leggono delle firme per ricevuta e copia, non corredata da un articolato riferimento alla corrispondenza degli allegati alle diverse pratiche trattate, non offre base per pervenire a un giudizio di insussistenza del fatto ex art. 129 c.p.p. (1065/2016). In caso di annullamento parziale della sentenza, qualora siano rimesse al giudice del rinvio questioni relative al riconoscimento di una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa e/o ad effetto speciale, che condiziona ex art. 157, comma secondo, cod. pen. il tempo necessario a prescrivere il reato, il giudicato formatosi sull’accertamento del reato non impedisce la declaratoria di estinzione dello stesso reato per prescrizione, maturata prima della pronuncia di annullamento (5478/2017). In caso di abolitio criminis, il giudice ha l’obbligo di dichiarare l’estinzione del reato, senza poter effettuare alcun approfondimento del thema decidendum, né poter modificare la qualificazione giuridica del fatto (13970/2018). È inammissibile il ricorso per cassazione avverso sentenza di patteggiamento sul motivo del mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in quanto siffatta causa di non punibilità non rientra nel novero delle ragioni di immediato proscioglimento previste dall’art. 129 cod. proc. pen., alla cui insussistenza è subordinata la pronuncia che accoglie la richiesta di applicazione di pena concordata (9204/2018). A seguito della reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello ad opera dell’art. 1, comma 56, della legge n. 103 del 2017, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta formulata a norma del nuovo art. 599-bis cod. proc. pen., non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, in quanto, a causa dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (15505/2018). Non è abnorme il provvedimento del giudice monocratico che, ritenendo sulla base degli elementi di fatto contenuti nell’imputazione la sussistenza di una circostanza aggravante non formalmente contestata, disattenda la richiesta

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degli imputati di declaratoria immediata di estinzione del reato per intervenuta prescrizione e disponga la trasmissione degli atti al dirigente dell’ufficio per la riassegnazione del procedimento al tribunale in composizione collegiale (19186/2018). La parte civile è priva di interesse a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento dell’imputato per improcedibilità dell’azione penale dovuta a difetto di querela, trattandosi di pronuncia penale meramente processuale priva di idoneità ad arrecare vantaggio al proponente ai fini dell’azione civilistica (19738/2018). Il giudice d’appello non può rilevare d’ufficio la sopravvenuta “abolitio criminis” in presenza di un ricorso inammissibile perché presentato fuori termine, in quanto, in tal caso, si è già realizzato il passaggio in giudicato della sentenza ai sensi dell’art. 648, comma 2, cod.proc.pen. (21923/2018). La questione concernente l’applicazione di una causa di non punibilità, in applicazione dell’art. 129 cod. proc.pen., è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, sicché deve essere esaminata dal giudice che procede anche se dedotta tardivamente in sede di appello (52200/2018). In tema di impugnazioni, l’imputato che, senza aver rinunciato alla prescrizione, proponga ricorso per cassazione avverso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, è tenuto, a pena di inammissibilità, a dedurre specifici motivi a sostegno della ravvisabilità in atti, in modo evidente e non contestabile, di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua e la configurabilità dell’elemento soggettivo del reato, affinché possa immediatamente pronunciarsi sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, c.p.p., ponendosi così rimedio all’errore circa il mancato riconoscimento di tale ipotesi in cui sia incorso il giudice della sentenza impugnata (8135/2019). L’inammissibilità dell’impugnazione non impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione qualora un diverso impugnante abbia proposto un valido atto di gravame, atteso che l’effetto estensivo dell’impugnazione produce i suoi effetti anche con riferimento all’imputato non ricorrente (o il cui ricorso sia inammissibile) ed indipendentemente dalla fondatezza dei motivi dell’imputato validamente ricorrente, purché di natura non esclusivamente personale, sia quando la prescrizione sia maturata nella pendenza del ricorso, sia quando sia maturata antecedentemente (16158/2019).

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C.p.p. art. 129 Obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità COMMENTO Ragioni di speditezza e concentrazione hanno portato il legislatore a predisporre una disciplina tesa ad evitare che pervengano alla fase del giudizio situazioni nelle quali risultino sussistenti con ragionevole certezza i presupposti per un proscioglimento nel merito del destinatario dell'imputazione: ciò avviene nei casi di sicura infondatezza dell'accusa, quando, cioè, gli atti offrono la prova dell'innocenza dell'accusato o di totale mancanza di elementi a carico, ma altresì, in presenza di sicura inidoneità delle fonti di prova acquisite ad un adeguato sviluppo probatorio, nella dialettica del contraddittorio dibattimentale. In tutti i casi in cui sussistono fonti o elementi di prova, pur contraddittori o insufficienti, che si prestano, invece, secondo una inevitabile valutazione prognostica, a “soluzioni aperte” è doverosa la verifica dibattimentale (così Cassazione n. 3467 del 1995). In ogni momento del processo, infatti, il giudice può dichiarare d'ufficio con sentenza che: – il fatto non sussiste: quando è assente uno degli elementi costitutivi della fattispecie di reato; – l'imputato non lo ha commesso: quando il soggetto sottoposto al processo non risulta coinvolto nel fatto di reato; – il fatto non costituisce reato: quando non sussiste l'elemento soggettivo della fattispecie di reato; – il fatto non è previsto come reato: quando la fattispecie criminosa non è penalmente sanzionabile o quando non si configura più come tale a seguito di abolitio criminis o di dichiarazione di illegittimità costituzionale; – il reato è estinto: quando sussiste una causa di estinzione del reato (esempio n. 1); – manca una condizione di procedibilità: quando non è presente un atto o un fatto che, in taluni casi, è previsto come condizione assoluta perché il pubblico ministero possa esercitare l'azione penale (esempio n. 2). L'immediata declaratoria di cause di non punibilità è un istituto che non può trovare applicazione nell'arco dell'intera vicenda procedimentale, ma si limita esclusivamente alla fase processuale, cioè al momento successivo alla formulazione dell'imputazione; nel corso delle indagini preliminari, infatti, il ruolo svolto dall'istituto in oggetto è esercitato dall'archiviazione. In tema di chiusura della fase delle indagini preliminari, il Gip cui sia stata richiesta l'emissione del decreto di archiviazione, o provvede in conformità, ovvero restituisce gli atti al p.m. per la formulazione dell'imputazione; costituisce pertanto atto abnorme la sentenza con la quale il predetto giudice prosciolga l'indagato ai sensi della presente norma (così Cassazione n. 111 del 2000).

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Il secondo comma tratta dei rapporti di gerarchia che sussistono fra varie formule di proscioglimento, e riconosce priorità alle formule di merito su quelle formali di estinzione del reato: la ratio di tale assunto trova fondamento nel fatto che il legislatore ha inteso predisporre una disciplina più favorevole all'imputato, che trae maggiore vantaggio dal proscioglimento nel merito, piuttosto che dall'acclaramento dell'intervenuta causa estintiva (esempio n. 3). L'obbligo del giudice di assolvere, per motivi di merito, l'imputato non esige che la di lui innocenza risulti evidente prima facie, poiché la sussistenza di una delle ipotesi menzionate dalla norma può anche costituire la conclusione logico-giuridica dell'esame degli atti. Tuttavia gli elementi rivelatori dell'insussistenza del fatto, della sua irrilevanza penale, dell'estraneità dell'imputato ecc., debbono emergere dagli atti in modo incontrovertibile, sicché la valutazione di essi da parte del giudice deve essere assimilabile più ad una constatazione che ad un apprezzamento. Di conseguenza ogni volta che le emergenze processuali siano tali da prestarsi a diverse interpretazioni, tutte logicamente corrette, l'omessa applicazione della norma in commento, non potrà essere impugnata come violazione di legge, ma per difetto di motivazione, ove esso sussista (così Cassazione n. 8719 del 1991). Con sentenza n. 12283 del 2005, le Sezioni Unite penali della Cassazione hanno posto fine al contrasto sorto in sede di legittimità circa la questione se il G.I.P., investito della richiesta del P.M. di rinvio a giudizio possa, in attuazione della norma in commento, pronunciare immediatamente, in presenza di una causa di non punibilità, sentenza di non luogo a procedere senza fissare l'udienza preliminare. In particolare il contrasto era sorto circa il rito da seguire per pervenire a tale esito e, dunque, sulle espressioni “immediata declaratoria”, “in ogni stato e grado” e “di ufficio” presenti nella rubrica e nella lettera della norma. Secondo i giudici il G.I.P. può adottare la declaratoria di proscioglimento soltanto con il rito tipico della fase in corso, cioè quello camerale dell'udienza preliminare, e ciò per assicurare il rispetto del principio del contraddittorio, che caratterizza la fase processuale introdotta con l'esercizio dell'azione penale. La stessa Corte, con sentenza n. 37732 del 2007, analizza gli effetti che scaturiscono dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso in cassazione sulla prescrizione del reato. Sul punto i giudici di legittimità osservano che l'inammissibilità preclude la decisione delle questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo, previste dall'articolo in commento e dal successivo art. 609, compresa la prescrizione del reato. La non ammissibilità del ricorso, infatti, impedisce l'ingresso alla fase di impugnazione e l'instaurazione della fase procedurale nell'ambito della quale può essere emessa la relativa sentenza. Inoltre, dal momento che il provvedimento dichiarativo di inammissibilità impedisce l'introduzione di un valido giudizio di impugnazione, la sentenza impugnata passa in giudicato dalla data di scadenza del termine per impugnare. Sempre a Sezioni Unite è stato affermato che: a) è ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. b), c.p.p. (così Cassazione, S.U., n. 12602 del 2016);

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b) nell’ipotesi di sentenza d’appello pronunciata “de plano” in violazione del contraddittorio tra le parti, che, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, dichiari l’estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, semprechè non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula del merito di cui all’art. 129, comma secondo, c.p.p. (così Cassazione, S.U., n. 28954 del 2017).

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C.p.p. art. 130 Correzione di errori materiali COMMENTO Indicazione, tra i componenti del collegio deliberante, di un magistrato in luogo di un altro, dovuto ad errore materiale della cancelleria, compiuto nel copiare la minuta della sentenza per formare l'originale.

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C.p.p. art. 130 Correzione di errori materiali GIURISPRUDENZA L'indicazione, tra i componenti del collegio che ha deliberato la sentenza, di un magistrato in luogo di altro, dovuta a errore materiale commesso dalla cancelleria all'atto della copia della minuta della sentenza per la formazione dell'originale, va corretta con la procedura di cui all'art. 130 c.p.p. (28/1995, rv 202402). Il trasferimento ad altra sede e funzioni di un componente del collegio non costituisce ostacolo alla correzione di errori materiali o di omissioni della sentenza, atteso che la procedura ex art. 130 c.p.p., che non comporta alcuna modificazione essenziale dell'atto, non necessariamente va eseguita ad opera dello stesso (nell'identità fisica) collegio che ha deliberato il provvedimento inficiato da anomalie (119/1995, rv 200086). Per errore deve intendersi la divergenza tra la decisione del giudice e la sua manifestazione esterna. La difformità tra il dispositivo letto in udienza e quello risultante dalla sentenza configura un errore materiale nella formazione di quest'ultima, da ripararsi in ogni tempo con la procedura della correzione degli errori materiali, non potendo quella difformità essere considerata come causa di nullità della sentenza. Ne consegue che, pur non riproducendo l'art. 547 del codice di procedura penale la espressa previsione di cui all'art. 476, n. 3, c.p.p. del 1930, l'omissione di tale specifica indicazione non esclude l'applicabilità del procedimento della correzione della sentenza, poiché dal coordinamento dell'art. 547 c.p.p. con l'art. 546, comma terzo, c.p.p., detto procedimento va escluso nel solo caso in cui manca o è incompleto il dispositivo letto in udienza (420/1995, rv 200745). Allorché la pronuncia del giudice di legittimità sia inficiata da una svista materiale, incidente direttamente sul giudizio, non ci si trova in presenza di un errore materiale e non è di conseguenza ammissibile il ricorso alla relativa procedura di correzione (art. 130 c.p.p.), perché in tal modo si farebbe luogo a una non consentita modifica essenziale – o addirittura alla sostituzione – della

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decisione così assunta; simili evenienze, eliminabili nei giudizi di merito attraverso i mezzi di gravame, non lo sono quando si verifichino nei giudizi di legittimità, avverso i quali l'ordinamento non prevede che possano esperirsi impugnazioni di sorta (6022/1995, rv 200548). L'incertezza sull'individuazione anagrafica dell'imputato è irrilevante ai fini della prosecuzione del processo penale, quando sia certa l'identità fisica della persona, nei cui confronti è stata iniziata l'azione, potendosi, pur sempre, provvedere alla rettifica delle generalità erroneamente attribuite, nelle forme prescritte dall'art. 130 c.p.p. Da tanto consegue che – in assenza di una specifica regolamentazione codicistica dell'ipotesi in cui sorge l'incertezza in merito all'identità fisica dell'imputato –, ove il dubbio sulla corrispondenza delle generalità alla persona fisica dell'imputato si presenti in fase di indagini preliminari, spetterà al P.M. provvedere, nell'ambito dei suoi poteri funzionali, agli accertamenti necessari, all'esito dei quali saranno formulate le conseguenti ed opportune richieste al giudice; ove, invece, il medesimo dubbio dovesse insorgere dopo che sia stata posta fine alle indagini preliminari, dovranno essere i giudici a disporre i relativi accertamenti (6873/1995, rv 201902). In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, il verbale di udienza nel quale è consacrato l'accordo prevale sul dispositivo della sentenza, nell'ipotesi di contrasto fra gli stessi. La divergenza non comporta nullità e va eliminata con la procedura della correzione degli errori materiali (55/1996, rv 204242). La mancata indicazione degli articoli di legge nel decreto con il quale il tribunale definisce il procedimento di prevenzione – stante il suo carattere giurisdizionale e la sua equiparabilità alla sentenza – non ne comporta la nullità, bensì soltanto la correzione, con la procedura di cui all'art. 130 c.p.p. (2531/1996, rv 204904). In tema di persona condannata per errore di nome, qualora il processo si sia svolto nei confronti di persona diversa da quella contro cui si sarebbe dovuto procedere, non può applicarsi la procedura di cui all'art. 130 c.p.p., non potendosi utilizzare nei confronti del vero colpevole, rimasto estraneo al giudizio, il giudicato formatosi nei confronti di altra persona. In tal caso, come previsto dall'art. 668 c.p.p., occorre provvedere con le forme

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stabilite per la revisione delle sentenze nei confronti del condannato per errore di nome, in quanto estraneo al fatto, ai sensi dell'art. 630, comma primo, lettera c), c.p.p.. Per contro, se la condanna è stata pronunciata nei confronti del vero colpevole, mentre l'atto esecutivo è stato erroneamente indirizzato nei confronti di altro soggetto, competente a decidere è il giudice dell'esecuzione, a norma dell'art. 667 c.p.p. (2974/1996, rv 206217). Agli eventuali errori processuali o sostanziali che si verifichino nell'ambito del giudizio di Cassazione non può porsi rimedio mediante il ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali, prevista dall'art. 130 c.p.p. (6037/1996, rv 203561). La omissione, nel dispositivo di una sentenza, che solo integra il “decisum”, di qualsiasi pronuncia nei confronti di alcuni tra gli imputati, determina nullità e perciò non può legittimamente ricorrersi alla procedura di correzione degli errori materiali. È peraltro del tutto abnorme il provvedimento di correzione dell'errore materiale adottato dal presidente del collegio giudicante e non dall'intero collegio e senza il rispetto del contraddittorio secondo quanto previsto dall'art. 127 c.p.p. (705/1997, rv 208108). Il principio della definitività delle sentenze della Corte di Cassazione è preclusivo del nuovo esame di ogni questione di merito e di rito, salvo il ricorso ai rimedi straordinari previsti dal sistema, né è consentito ricorrere alla procedura di correzione degli errori materiali, di cui all'art. 130 c.p.p., al fine di emendare gli errori di fatto in cui sia eventualmente incorso il giudice, in quanto – altrimenti – si darebbe ingresso ad un mezzo volto non già all'emenda del testo della sentenza, ma ad una non ammissibile modifica della decisione in violazione del richiamato principio di definitività (1762/1997, rv 208283). In tema di correzione degli errori materiali, deve dichiararsi il non luogo a provvedere quando l'errore sulle generalità dell'imputato non sia contenuto nella sentenza, ma nell'estratto notificato a cura della cancelleria (2603/1997, rv 208844). La richiesta di correzione dell'errore materiale non costituisce una forma di impugnazione. Perciò per essere legittimati a richiederla non è necessario avervi interesse, tanto che la Corte può procedervi in ogni caso d'ufficio (3845/1997, rv 208107).

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L'omissione, nel testo di un provvedimento giudiziario, del nome di uno o più giudici che l'hanno deliberato non è causa di nullità di esso, ma solo di irregolarità, sanabile, all'occorrenza, con la procedura di correzione degli errori materiali, a norma dell'art. 130 c.p.p. (5078/1997, rv 208727). L'individuazione concreta delle testate sulle quali disporre la pubblicazione della sentenza non comporta alcuna valutazione riferibile alla specie ed all'entità della sanzione, ma si risolve in un'attività meramente descrittiva e ricognitiva che in ipotesi di errore (inesatta, incompleta o equivoca indicazione della testata) ben può essere rettificata con l'istituto della correzione dell'errore materiale (874/1998, rv 210744). Non è consentito ricorrere alla procedura per la correzione degli errori materiali al fine di emendare gli errori di fatto in cui sia incorso il giudice: in tal modo, infatti, verrebbe dato ingresso ad un mezzo volto non già ad un'emenda del testo della sentenza, ma ad un'inammissibile modifica della decisione, in violazione del principio di definitività delle sentenze della Corte di Cassazione nonché dei canoni imposti dall'art. 130 c.p.p. Deve infatti escludersi l'ammissibilità della correzione dell'errore di fatto basata su una sorta di equiparazione – mutuata dal codice di rito civile – tra la disciplina della correzione degli errori materiali e quella della revocazione, trattandosi di due istituti non ragionevolmente accomunabili, come già ritenuto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 119 del 18 aprile 1996, con la quale è stata dichiarata la parziale illegittimità dell'art. 391 bis c.p.c., che tale equiparazione effettuava prevedendo un identico termine per la presentazione delle istanze di correzione degli errori materiali e di revocazione per errore di fatto delle sentenze della Corte di Cassazione (2076/1998, rv 211961). L'omessa o incompleta trascrizione nell'originale della sentenza del dispositivo letto in pubblica udienza e inserito negli atti processuali non costituisce nullità per mancanza del dispositivo di cui all'art. 546, comma terzo, c.p.p., che riguarda il dispositivo letto in udienza, ma soltanto un errore materiale riparabile con la procedura di cui all'art. 130 c.p.p. (2150/1998, rv 210171). In tema di correzione di errori materiali, il principio della definitività delle sentenze della Corte di Cassazione esclude, salva

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la possibilità di esperire i rimedi straordinari previsti dall'ordinamento, l'ulteriore esame di ogni questione di merito o di rito, e il ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali al fine di emendare errori di fatto in cui sia incorso il giudice, non potendosi operare una sorta di equiparazione, mutuata dal codice di procedura civile, tra tale istituto e quello, del tutto diverso quanto a presupposti ed effetti, della revocazione (2676/1998, rv 211717). La correzione di un provvedimento del giudice non produce l'effetto di riaprire i termini di impugnazione dello stesso, giacché si traduce nella mera esplicitazione di un effetto già contenuto nel provvedimento integrato, che si è perfezionato al momento della sua emanazione e non alla data del provvedimento di correzione (3543/1998, rv 210160). Può farsi ricorso al procedimento di correzione degli errori materiali di cui all'art. 130 c.p.p. quando l'intervento correttivo sia imposto dalla necessità di armonizzare l'estrinsecazione formale della decisione con il suo reale e intangibile contenuto, perché in tal caso la correzione è incapace di incidere sulla decisione assunta, e non si risolve in una modifica essenziale o nella sostituzione di una decisione già presa (6753/1998, rv 211006). In caso di discordanza tra il dispositivo letto in udienza e il contenuto della motivazione della sentenza successivamente depositata, deve prevalere il primo, che costituisce il mezzo con il quale è immediatamente estrinsecata la volontà del giudice. È ammissibile, in tale caso, il procedimento di correzione di errori materiali per l'adeguamento della motivazione al dispositivo (6753/1998, rv 211005). Nel caso in cui gli errori contenuti nella sentenza diano luogo alla nullità della stessa non è esperibile la procedura per la correzione di errori materiali di cui agli artt. 130 e 547 c.p.p. In tale ipotesi il giudice d'appello – salvo che non ricorra uno degli specifici casi di cui all'art. 604 c.p.p. – non ha il potere di annullare la decisione, rinviando al giudice di primo grado per il giudizio, ma deve, entro i limiti del devoluto e nel rispetto del divieto di “reformatio in peius”, decidere nel merito, sanando i difetti e le mancanze della sentenza impugnata (11267/1998, rv 211750). In tema di correzione di errore materiale, se, di norma, la sentenza non può essere rettificata ex art. 130 c.p.p. quando la

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correzione richiesta ha per oggetto non già un errore o un'omissione materiale ma un errore concettuale, sia pure dipendente da una mera svista, che attiene alla formazione della decisione giudiziale e alla quantificazione della pena, tuttavia, nella procedura disciplinata dall'art. 444 c.p.p., riveste decisiva rilevanza il verbale di udienza in cui vengono consacrate le concordi volontà delle parti in punto di quantificazione della pena, non suscettibili di essere in alcun modo alterate dal giudice, di talché in tale ipotesi è a detto verbale che deve farsi riferimento, anche nel caso in cui esso contrasti con il dispositivo, qualora non vi siano elementi per ritenere che il giudice abbia inteso, sia pure abnormemente, distaccarsi dalla determinazione della pena indicata dalle parti (220/1999, rv 214687). In tema di correzione di errori materiali, poiché l'art. 130 c.p.p. è applicabile solo quando la correzione non comporti una modifica essenziale del provvedimento o la sostituzione di una decisione già assunta, non è ammissibile il ricorso a tale procedimento se esso si concluda con l'emanazione di un provvedimento di correzione con il quale il giudice ordini la cancellazione, da una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, della frase “Dispone la sospensione condizionale della pena per il tempo e alle condizioni di legge” (742/1999, rv 214138). Nel caso in cui con la sentenza di “patteggiamento” si ometta di provvedere sulle spese processuali sostenute dalla parte civile, tale parte può esperire il rimedio offerto dalle norme degli artt. 130 e 535, ultimo comma, c.p.p., sulla correzione degli errori materiali, in relazione all'art. 541 c.p.p. stesso, sul presupposto, di ordine generale, che la condanna alle spese, nel processo penale, è collegata alla soccombenza con conseguente obbligo del soggetto sottoposto alla condanna alla rifusione delle spese processuali (art. 535 c.p.p.) e di quelle giudiziali sostenute dalla parte civile (art. 541 c.p.p.), anche se quest'ultima norma non reca una previsione analoga a quella dell'art. 535 c.p.p., secondo cui, in caso di omessa pronuncia sulle spese, deve provvedersi con lo strumento della rettificazione di cui all'art. 130 c.p.p.: norma, quest'ultima, che si deve, comunque, ritenere applicabile per il significato e il valore normativo della procedura ivi prevista, tesa a ovviare all'emissione

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di una pronuncia necessariamente conseguente a una situazione processuale oramai definita (2644/1999, rv 213576). La procedura di correzione non è consentita neanche per emendare gli errori concettuali di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità, allorché determini la modifica essenziale del provvedimento ovvero si risolva addirittura nella sostituzione della decisione assunta (3725/1999, rv 215015). In tema di emissione di assegno senza autorizzazione o senza provvista, costituisce correzione di mero errore materiale la rettificazione in sentenza della data di emissione del titolo contenuta nel capo d'imputazione, a condizione che, nel corso della istruttoria dibattimentale, ad essa si sia fatto esplicito riferimento, senza obiezioni da parte dell'imputato. Invero, poiché quest'ultimo non ha potuto nutrire incertezza in ordine al contenuto della imputazione e poiché risulta, conseguentemente, sempre essere stato assicurato il contraddittorio sul contenuto dell'accusa, non si è verificata lesione del diritto di difesa (13267/1999, rv 214605). La procedura di correzione degli errori materiali non è consentita allorché determini la modifica essenziale del provvedimento o si risolva addirittura nella sostituzione della decisione assunta, con la conseguenza che il ricorso alla detta procedura non è possibile per modificare l'essenza della decisione, sia pure adottata dal giudice per errore materiale, mentre ad essa si può fare ricorso allorché l'errore materiale incida su elementi della pronuncia estranei al “thema decidendum” e conseguenti alla stessa per dettato legislativo non implicante alcuna discrezionalità da parte del giudice (93/2000, rv 215528). La condanna a pena illegittima, contenuta in sentenza non ritualmente impugnata, non può essere rettificata in sede esecutiva, salvo che non sia configurabile un'ipotesi di assoluta abnormità della sanzione (4869/2000, rv 216746). Qualora la persona condannata con sentenza irrevocabile lamenti sia l'erronea indicazione delle generalità nella sentenza stessa, sia la propria estraneità al fatto, adducendone le prove, sono configurabili due distinte questioni: la prima, riconducibile alla previsione dell'art. 668 c.p.p. e concernente l'errore di nome del condannato, al quale deve ovviare il giudice dell'esecuzione nelle forme previste dall'art. 130 c.p.p., se la persona contro cui si doveva

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procedere è stata citata come imputato anche sotto altro nome per il giudizio; la seconda, meramente eventuale e successiva, rientrante nella previsione dell'art. 630 c.p.p., comma primo, lett. c), e finalizzata alla revisione del processo, di competenza della Corte d'Appello. Ne consegue che, in via prioritaria, spetta al giudice dell'esecuzione verificare se l'imputato – nella sua fisica identità e indipendentemente dal nome attribuitogli – sia stato citato in giudizio e, in caso di esito positivo dell'accertamento, stabilire se le generalità risultanti dal titolo esecutivo siano esatte, provvedendo, in caso di generalità indicate erroneamente, ad eventuale rettifica con la procedura di cui al citato art. 130 c.p.p. In caso di esito negativo del predetto accertamento, il giudice dell'esecuzione deve trasmettere gli atti al giudice competente per la revisione, in quanto, ove sia mancata la citazione in giudizio della persona fisica, comunque denominata, alla quale il fatto è stato attribuito, opera l'espressa previsione dell'art. 668 c.p.p., mentre qualora la citazione sia regolarmente avvenuta, ancorché con generalità errate, e sia riferibile alla persona condannata, devono comunque essere prese in autonoma considerazione le nuove prove da questa dedotte a dimostrazione della propria estraneità al fatto (4943/2000, rv 217088). Si può ovviare con la procedura di correzione dell'errore materiale all'errore della sentenza di Cassazione con la quale, contestualmente alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso di persona minorenne, ne sia stata disposta condanna al pagamento delle spese e della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende (7236/2000, rv 215613). Non è configurabile errore, neppure di tipo percettivo (emendabile con la procedura di correzione degli errori materiali di cui all'art. 130 c.p.p., nella lettura datane dalla sentenza n. 395 del 28 luglio 2000 della Corte Costituzionale), nel fatto dell'omissione dell'avviso di udienza camerale ex art. 127 c.p.p. dinanzi alla Corte di Cassazione al difensore, allorché quest'ultimo, nel richiedere la sua sollecita fissazione, abbia formulato “rinuncia ai termini di avviso e di notifica”, con ciò prestando consenso all'azzeramento del termine dilatorio di cui al citato art. 127, comma 1, c.p.p. e cioè, all'atto pratico, rinunciando alla ricezione dell'avviso (18923/2001, rv 218919).

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Nel procedimento speciale previsto dall'art. 444 c.p.p. la omissione della sospensione condizionale della pena nel dispositivo senza che risulti, neppure per implicito, nella motivazione della sentenza alcuna contraria determinazione da parte del giudice, ed in mancanza di condizioni ostative alla concessione, può essere oggetto del procedimento di correzione ex art. 130 c.p.p. ove risulti dal verbale di udienza la subordinazione dell'accordo alla concessione del predetto beneficio (30505/2001, rv 219983). In tema di correzione di errore materiale commesso dal giudice di merito, la norma di cui all'art. 619 c.p.p. è una disposizione speciale, che deroga e prevale su quella posta dall'art. 130 c.p.p. Ne consegue che, proposto ricorso per Cassazione la Corte può provvedere alla correzione dell'errore materiale (19627/2003, rv 224846). L'errore di calcolo nella determinazione della sanzione comporta un errore materiale che il giudice può correggere con la procedura prevista dall'art. 130 c.p.p. in camera di consiglio (Nel caso di specie il giudice aveva comminato una sanzione in violazione dell'articolo previsto per quel reato poiché la sanzione era al di sotto dei limiti consentiti dalla norma) (2022/2010). Allorchè la decisione della Corte di Cassazione sia fondata su una errata percezione della data di commissione dei fatti, tale errore può essere emendato tramite la procedura ex art. 130 c.p.p.. L'eventuale annullamento della decisione precedente non può di per sé essere escluso dal mancato esperimento del ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. ove, come nel caso di specie, ciò si renda necessario per consentire la correzione degli errori di fatto contenuti in decisioni adottate in violazioni dei diritti dell'imputato e che sarebbero altrimenti irrevocabili. Infatti, una volta riscontrato l'errore, la Corte deve adottare i provvedimenti necessari per correggere l'errore, provvedimenti che vanno individuati di volta in volta in relazione alle peculiari connotazioni delle singole situazioni processuali (nella specie, era stato contestato il reato di riduzione in schiavitù e in un primo tempo la Corte aveva annullato senza rinvio la sentenza della Corte di appello per incompetenza per materia, in quanto per i reati per cui si procedeva la competenza, ratione temporis, doveva essere devoluta alla Corte d'assise, salvo poi accorgersi che i fatti avevano data anteriore rispetto a quella

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individuata, il che andava ad incidere sulla competenza a decidere della questione) (20724/2012). La correzione dell'errore materiale disposta con ordinanza che ha ad oggetto la statuizione del dispositivo, risolvendosi nell'inversione dei capi per i quali sono intervenute, rispettivamente, la condanna e l'assoluzione, si pone in contrasto con il disposto dell'art. 130 cod. proc. pen., il quale, escludendo la correzione di errori materiali o di omissioni la cui eliminazione comporti una modificazione essenziale dell'atto, impedisce evidentemente di utilizzare tale rimedio per modificare il dispositivo della sentenza nel senso che l'imputato debba intendersi condannato per un reato per il quale era stato assolto e, corrispondentemente, assolto per un reato per il quale era stato condannato. Ne consegue che l'imputato deve ritenersi assolto perchè il fatto non sussiste, sia con riferimento al primo, per il quale era stata pronunciata assoluzione con il dispositivo della sentenza poi illegittimamente corretta in malam partem, sia con riferimento al secondo capo, per il quale l'assoluzione dell'imputato è intervenuta a seguito dell'ordinanza di correzione di errore materiale, favorevole sul punto all'imputato stesso e non impugnata dal pubblico ministero (42922/2012). L'adozione “de plano”, senza fissazione della camera di consiglio ed avviso alle parti, del provvedimento di correzione di errore materiale comporta una nullità di ordine generale ex art. 178 cod. proc. pen. (1674/2013). In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, sono rimediabili in sede di legittimità, attraverso la procedura di correzione degli errori materiali, le omesse statuizioni sulla condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali e sull'applicazione della pena accessoria che non sia rimessa alla valutazione discrezionale del giudice in relazione alla durata o alla specie (4300/2013). Non costituisce errore materiale, riparabile con la procedura prevista dall'art. 130 cod. proc. pen., ma errore giuridico emendabile all'esito di impugnazione, l'affermazione della recidiva nonostante che l'imputato sia incensurato (12911/2013). La correzione di errori materiali incidenti su capi e punti della decisione divenuti irrevocabili è riservata, anche nel caso di impugnazione proposta in relazione ad altri capi e punti, alla

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competenza funzionale del giudice che ha emesso il provvedimento (57818/2017). Il giudice dell’esecuzione non può disporre, ai sensi dell’art. 130 cod. proc. pen., la confisca del veicolo utilizzato per la commissione del reato di guida in stato di ebbrezza ex art. 186, comma 2, lett. c), cod. strada, che sia stata omessa in sede di condanna, giacché essa, avendo natura di sanzione amministrativa accessoria, non costituisce componente essenziale di detto provvedimento (53329/2017). La procedura di correzione di errore materiale è consentita esclusivamente ove si tratti di rimediare ad una disarmonia tra la formale espressione di una decisione e il suo reale contenuto, mentre, invece, è preclusa ove la correzione si risolva nella sostituzione o nella modificazione essenziale della decisione (11064/2017). La sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti che ometta di pronunciarsi in dispositivo sulla richiesta di sospensione condizionale della pena, cui l’accordo è subordinato, non può essere oggetto del procedimento di correzione materiale ex art. 130 cod. proc. pen., in quanto tale omissione integra un vizio afferente al contenuto decisionale della pronuncia, censurabile tramite ricorso per cassazione (1768/2017). Non è affetta da abnormità l’ordinanza con cui il Tribunale dispone ex art. 130 cod. proc. pen. la correzione della data di commissione del reato indicata nel decreto che dispone il giudizio, purché l’errata indicazione sia da ascriversi a mero errore materiale, obiettivamente riconoscibile (14536/2018). L’errore “percettivo”, in cui sia incorso il giudice di legittimità e dal quale sia derivata l’indebita compromissione di un diritto, può essere rimosso facendo ricorso alla procedura prevista dall’art. 130 cod. proc. pen. quando il soggetto pregiudicato non rivesta la qualità di condannato e non possa, quindi, proporre ricorso straordinario (29451/2018). È legittima l’ordinanza di correzione di errore materiale mediante la quale il giudice d’appello provveda ad emendare, integrandone il dispositivo, la sentenza di proscioglimento per estinzione del reato nella quale sia stata omessa la conferma delle statuizioni civili, quando detta integrazione non costituisca

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modificazione essenziale del provvedimento ma rifletta il percorso logico giuridico seguito dal giudice (53947/2018). Non è eliminabile mediante la procedura di correzione degli errori materiali di cui all’art. 130 c.p.p. la statuizione di condanna dell’imputato alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile, trattandosi di modifica essenziale del provvedimento già assunto ed avendo il giudice esaurito la "potestas iudicandi" con l’emissione della decisione, che resta, pertanto, intangibile se non attraverso il sistema delle impugnazioni (1289/2019). È emendabile, ai sensi dell’art. 130 c.p.p., la sentenza di conferma resa dal giudice di appello all’esito di rito ordinario che abbia omesso di condannare l’imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile nel grado, qualora non risultino dalla motivazione elementi indicativi della volontà del giudice di disporre la compensazione, totale o parziale, di dette spese ed emerga, invece, la giustificazione del pagamento in favore della parte civile (14702/2019).

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C.p.p. art. 130 Correzione di errori materiali COMMENTO La ratio di tale disposto normativo trova nella semplificazione e nell'accelerazione del procedimento penale i suoi principi ispiratori e si concretizza nell'esigenza di evitare inutili giudizi di impugnazione. L'ordinamento prevede, infatti, in capo al giudice competente, un potere di correzione di errori ed omissioni, potere che può essere esercitato, anche d'ufficio, in presenza delle seguenti condizioni: – deve trattarsi di una sentenza, di un'ordinanza o di un decreto (si rinvia al commento sub art. 125); – l'errore o l'omissione non devono comportare il vizio della nullità, bensì devono essere esclusivamente significativi di una svista espressiva, cioè di una discrepanza tra quanto letteralmente espresso e quanto sostanzialmente si intendeva esplicitare nel provvedimento; – l'eliminazione dell'errore o dell'omissione non deve modificare in maniera sostanziale l'essenza dell'atto, incidendo, ad esempio, sul contenuto di merito della statuizione finale. Per quanto concerne l'aspetto procedimentale, l'udienza deve svolgersi secondo il rito camerale (si rinvia al commento sub art. 127) e dell'ordinanza conclusiva, contenente le correzioni, viene fatta annotazione sull'originale dell'atto (esempio). Il comma 49 dell’art. 1 della L. 23 giugno 2017, n. 103 (modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) aggiunge un comma 1-bis all’articolo in commento. La disposizione prevede che, quando nella sentenza di patteggiamento si deve correggere soltanto la specie o la quantità della pena a seguito di errore nella denominazione o nel computo, sia lo stesso giudice che ha emesso la sentenza a provvedere. Lo stesso comma 49 stabilisce che, in caso di impugnazione del provvedimento (ci si riferisce, evidentemente, all'impugnazione del solo PM ex art. 448, comma 2, c.p.p.), alla rettifica provvede la Corte di cassazione senza bisogno di pronunciare annullamento della sentenza. Tali nuove disposizioni decorrono dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della citata L. 103/2017 (3 agosto 2017).

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C.p.p. art. 131 Poteri coercitivi del giudice COMMENTO Il giudice chiede l'intervento della polizia in una udienza nella quale la presenza tra il pubblico di determinati soggetti potrebbe sottoporre ad un rischio eccessivo i partecipanti.

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C.p.p. art. 131 Poteri coercitivi del giudice COMMENTO Il giudice, nell'esercizio delle proprie competenze funzionali, è autorizzato a chiedere l'intervento della polizia giudiziaria, e, in determinati casi, anche quello della forza pubblica, tanto nei confronti delle parti quanto dei terzi interessati alla vicenda processuale, indicando quanto necessario per garantire il corretto compimento degli atti processuali e, di conseguenza, il regolare svolgimento del procedimento penale (esempio). Il suddetto potere è riconosciuto anche al pubblico ministero [378].

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C.p.p. art. 132 Accompagnamento coattivo dell'imputato COMMENTO Il giudice, durante il dibattimento, impone l'accompagnamento coattivo dell'imputato per eseguire una ricognizione; il giudice ordina l'accompagnamento coattivo dell'imputato per sottoporlo a perizia psichiatrica.

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C.p.p. art. 132 Accompagnamento coattivo dell'imputato GIURISPRUDENZA Il potere di ordinare l'accompagnamento coattivo dell'imputato per essere sottoposto a perizia psichiatrica nel dibattimento rientra tra quelli attribuiti al giudice dal codice di procedura penale. A norma dell'art. 224, comma secondo, c.p.p. il giudice dispone la citazione del perito e la comparizione delle persone sottoposte al suo esame, ed adotta tutti gli altri provvedimenti che si rendono necessari per l'esecuzione delle operazioni peritali; in questa ottica, conseguentemente, deve essere letto il primo comma dell'art. 132 c.p.p. che attribuisce al giudice il potere di ordinare l'accompagnamento coattivo dell'imputato, ma solo se la misura è prevista specificamente dalla legge. La norma va poi collegata all'art. 490 c.p.p. il quale prevede che l'accompagnamento coattivo possa essere disposto quando occorra assicurare la presenza dell'imputato per una prova diversa dall'esame: e tale è indubbiamente la perizia, finalizzata ad acquisire dati che richiedono specifiche competenze tecniche, e disciplinata tra i mezzi di prova (2443/1996, rv 205757). Il decreto del tribunale che disponga l'accompagnamento coattivo dell'imputato per essere sottoposto a perizia psichiatrica in dibattimento incide sulla libertà personale; ne consegue che avverso tale provvedimento, non essendo previsto alcun mezzo di impugnazione, è ammissibile il ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 111, comma secondo, della Costituzione (2443/1996, rv 205758). La graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne consegue che è inammissibile la censura che nel giudizio di cassazione miri ad una nuova valutazione della congruità della pena (35945/2010).

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C.p.p. art. 132 Accompagnamento coattivo dell'imputato COMMENTO L'accompagnamento coattivo dell'imputato, cioè di colui nei confronti del quale si procede nel corso del procedimento penale, costituisce una forma di limitazione della libertà personale, diritto inviolabile e costituzionalmente garantito dall'art. 13 della Costituzione: tuttavia il nostro ordinamento giuridico, laddove sussistano esigenze particolarmente importanti e prevalenti sui diritti individuali, in grado di giustificare determinate imposizioni e nei casi in cui sia la stessa legge a consentirlo, permette di attuare legittimi interventi restrittivi della libertà, come nel caso di specie (esempio). Nel dettaglio, si tratta di misure di tenore completamente diverso rispetto a quelle cautelari-coercitive in quanto fondate non sulla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, bensì su esigenze di carattere esclusivamente processuale le quali devono comunque emergere dalla motivazione del decreto adottato dal giudice procedente. La persona sottoposta all'accompagnamento coattivo non può essere costretta a subire tale misura oltre il tempo strettamente necessario per il compimento dell'atto per il quale è stata disposta o degli altri atti ad esso consequenziali. In ogni caso, il provvedimento restrittivo non può avere una durata superiore alle ventiquattro ore.

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C.p.p. art. 133 Accompagnamento coattivo di altre persone COMMENTO Prima della riforma del 2009 Il fondamento di tale disposto normativo va individuato nell'esigenza di garantire che il processo penale persegua le sue naturali finalità di accertamento dei fatti penalmente rilevanti e delle relative responsabilità. Sia dal punto di vista formale che sostanziale per la procedura in oggetto vale quanto prescritto dall'articolo precedente, cui si fa rinvio. In particolare la norma predispone la disciplina dell'accompagnamento coattivo di persone diverse dall'imputato, quali: – il testimone [194]: persona, estranea alle parti in causa, che dichiara o espone oralmente all'autorità giudiziaria fatti a lei noti, inerenti all'oggetto del processo; – il perito [221]: soggetto iscritto in un particolare albo professionale, deputato a svolgere un'attività tesa all'integrazione delle cognizioni del giudice quando la decisione della causa richiede accertamenti e competenze relative a materie specialistiche e tecniche; – il consulente tecnico [225]: è un soggetto chiamato dal giudice ad effettuare valutazioni che richiedono la conoscenza di particolari nozioni specialistiche; – l'interprete [143]: soggetto preposto ad eseguire un'attività di traduzione delle lingue, quando nel processo deve essere sentita una persona che non conosce l'italiano o una persona affetta da mutismo o sordomutismo; – il custode di cose sequestrate [259]: colui al quale viene affidata, in virtù di un provvedimento di nomina, la tutela dei beni sottoposti a sequestro. Il giudice, laddove i citati soggetti non compaiano nel luogo, giorno ed ora stabiliti, senza un legittimo impedimento, cioè senza una valida ragione giustificatrice, oltre a sottoporli all'accompagnamento coattivo, può condannarli, con ordinanza, al pagamento di una somma di denaro. L'ordinanza richiamata deve essere revocata dal giudice se, in un momento successivo, questi viene a conoscenza della sussistenza di determinati fatti costitutivi di un legittimo impedimento. Dopo la riforma del 2009 L'articolo in commento è stato modificato dal legislatore del 2009, per meri fini di coordinamento. La novella è volta, infatti, ad inserire anche “la persona sottoposta all'esame del perito diversa dall'imputato” nell'elenco di soggetti nei confronti dei quali può essere disposto l'accompagnamento coattivo. V. commento sub artt. 224 bis e 359 bis.

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C.p.p. art. 134 Modalità di documentazione GIURISPRUDENZA È da escludere ogni e qualsiasi ipotesi di nullità o inutilizzabilità di atti la cui verbalizzazione sia stata effettuata senza il rispetto della normativa di cui all'art. 134, comma terzo, c.p.p. (riproduzione fonografica), non rientrando ciò in nessuno dei casi previsti dall'art. 142 c.p.p. (9663/1992, rv 192510). La trascrizione delle registrazioni non soltanto non costituisce mezzo di prova, ma non può neppure identificarsi come una tipica attività di documentazione, fornita di una propria autonomia conoscitiva, rappresentando esclusivamente un'operazione di secondo grado volta a trasporre con segni grafici il contenuto delle registrazioni. Donde l'ontologica insussistenza, in relazione alle trascrizioni, di un problema di utilizzazione, potendo semmai denunciarsi la mancata corrispondenza fra il contenuto delle registrazioni e quello risultante dalle trascrizioni effettuate. D'altro canto, sarebbe del tutto ultroneo il richiamo alle norme relative alla perizia; non soltanto per il carattere di mera operazione dell'attività di trascrizione, comunque da distinguere dalla struttura gnoseologica dei mezzi di prova, dei quali può, semmai, costituire una mera rappresentazione, ma per la fungibilità, che è propria dell'attività meramente riproduttiva, non in grado di poter essere qualificata alla stregua di un documento e, conseguentemente, di un mezzo di prova (11914/1992, rv 193148). In considerazione della loro natura e funzione, alle analisi dei campioni prelevati dagli scarichi di insediamenti non è applicabile la disciplina processuale della perizia. In particolare (salvo l'avviso al titolare dello scarico per presenziare con l'assistenza di un consulente tecnico all'inizio delle operazioni) non è prescritta, a pena di nullità, la redazione di un verbale delle operazioni di analisi, secondo le modalità di documentazione stabilite per gli atti processuali dall'art. 134 c.p.p. e segg. Di conseguenza è sufficiente la certificazione, quale atto finale delle analisi, per attestarne sotto il profilo tecnico e giuridico l'efficacia probatoria nel processo penale,

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senza che possano avere rilievo eventuali eccezioni “ex post” sulle metodiche utilizzate (compresa quella TRSA-CNR, avente valore meramente orientativo) (513/1993, rv 192735). Non ricorre la nullità dei verbali di udienza e, conseguentemente, nemmeno la nullità della sentenza, nel caso in cui – pur essendo stata disposta la verbalizzazione a mezzo registrazione – il verbale sia stato in parte redatto in forma riassuntiva: ed invero la mancanza di registrazione non integra alcuna nullità del verbale e della sentenza, non essendo prevista al riguardo alcuna sanzione processuale (4824/1997, rv 207584). L'interruzione, in assenza di autorizzazione del giudice, della verbalizzazione a mezzo stenotipia, non dà luogo a nullità né del verbale stenotipico né di quello riassuntivo comunque redatto, né, tantomeno, della sentenza, non rientrando detta ipotesi in alcuna delle ipotesi di nullità tassativamente previste dalla legge (35044/2010). In tema di atti processuali, la mancata trascrizione delle dichiarazioni fonoregistrate rese dai testimoni in sede di esame dibattimentale integra, laddove il verbale redatto in forma riassuntiva rimandi integralmente ad esse, una nullità d’ordine generale della sentenza per violazione del diritto di difesa, nel solo caso in cui la sentenza di condanna si sia fondata sul contenuto di dette dichiarazioni (17404/2018).

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C.p.p. art. 134 Modalità di documentazione COMMENTO Prima della riforma 2015 Il codice afferma il principio secondo il quale la documentazione degli atti si effettua mediante processo verbale, con ciò significando che qualunque altra forma di riproduzione degli atti non è ammessa e non assume alcuna rilevanza giuridicoprocessuale, per l'evidente ragione che, essendo priva delle caratteristiche formali del verbale, prima fra tutte la redazione ad opera di un soggetto rivestito della qualità di pubblico ufficiale, essa non può far fede della corrispondenza al reale del fatto o dei fatti che ne costituiscono il contenuto. Ne consegue che la documentazione di atti processuali in forme diverse dal verbale non realizza la rappresentazione di essi nei modi che la legge consente, sicché di documentazione sul piano giuridico non può neppure parlarsi: e se manca la documentazione manca la prova dell'esistenza dell'atto come fatto storico e pertanto esso non viene ad esistenza nel mondo del diritto; tale inesistenza, sul piano sanzionatorio processuale, si traduce quindi nell'inutilizzabilità dell'atto che risulti documentato in forma diversa dal processo verbale (così Cassazione n. 1284 del 1997). Dal punto di vista terminologico il verbale può essere definito come il documento che contiene la descrizione di attività o dichiarazioni, che così vengono attestate e per le quali sussiste una presunzione di veridicità; il verbale non può essere sostituito dalla semplice annotazione, che si sostanzia nella superficiale e sintetica indicazione di una determinata attività e alla quale possono far ricorso soltanto il pubblico ministero e la polizia giudiziaria. Le modalità di verbalizzazione disciplinate dalla norma sono: – redazione in forma integrale: viene operata la trascrizione completa dell'attività svolta nel procedimento, in particolare delle dichiarazioni rese dai soggetti della vicenda processuale; – redazione in forma riassuntiva: viene trascritta una sintesi delle operazioni eseguite, soprattutto ove si tratti di attività materiali in quanto tali inadatte ad una riproduzione integrale. Gli strumenti tecnici utilizzati possono essere di varia natura, la norma parla di: – stenotipia: scrittura dei cosiddetti segni stenografici attraverso un congegno simile ad una macchina da scrivere; – altro strumento meccanico: mezzi tecnici diversi dalla stenotipia, ma comunque in grado di poter essere utilizzati per gli stessi scopi funzionali; – scrittura manuale: scrittura effettuata da un soggetto di proprio pugno; si fa ricorso ad essa soltanto qualora non sussista la possibilità di avvalersi degli strumenti sopra richiamati. Per quanto concerne la redazione in forma riassuntiva del verbale, ad essa consegue la riproduzione fonografica, cioè la registrazione dei suoni: tuttavia tale collegamento non è indefettibile, come si può dedurre dall'art. 140 a cui si rinvia.

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L'ultimo capoverso della norma stabilisce, infine, che è ammissibile anche la riproduzione audiovisiva dell'attività procedimentale compiuta, ma soltanto quando ciò è assolutamente indispensabile e le modalità di documentazione sopra analizzate non risultino soddisfacenti. Dopo la riforma del 2015 L'articolo in commento è stato modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI), al fine di rafforzare la tutela della vittima particolarmente vulnerabile durante la sua audizione, sia essa svolta durante le indagini, in incidente probatorio o in seno al dibattimento. In questo senso, l'ultimo comma dell'articolo in oggetto consente ora - anche al di fuori dei casi di assoluta indispensabilità - la riproduzione delle dichiarazioni della persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità.

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C.p.p. art. 135 Redazione del verbale GIURISPRUDENZA In tema di documentazione degli atti, quando il verbale è redatto in forma stenotipica e alla sua formazione non abbia provveduto l'ausiliario del giudice, bensì un tecnico autorizzato, è sufficiente che esso sia sottoscritto da chi lo ha redatto (essendo il tecnico – limitatamente alla redazione ed eventuale trascrizione dell'atto – considerato pubblico ufficiale), e non è per contro necessaria la sottoscrizione anche dell'ausiliario del giudice (8128/2000, rv 216722).

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C.p.p. art. 135 Redazione del verbale COMMENTO Il verbale è materialmente redatto dall'ausiliario del giudice, cioè da un soggetto appartenente all'ufficio di cancelleria e dipendente dall'organo centrale del Ministero della Giustizia: la sua attività funzionale consiste nel coadiuvare il giudice nella formazione dei provvedimenti durante il corso del procedimento. Nel caso in cui il verbale è redatto con la stenotipia o altro strumento meccanico (vedi il commento sub art. 134), il giudice può concedere all'ausiliario, privo delle conoscenze tecniche necessarie, di farsi affiancare da persone, anche estranee all'amministrazione dello Stato, dotate delle competenze richieste. L'ausiliario, nell'eseguire questa sua funzione, si limita a riportare nel verbale l'attività che è stata svolta dinanzi a lui e le dichiarazioni che ha ricevuto: sarà poi il giudice a valutare la rilevanza probatoria di quanto costituisce oggetto di verbalizzazione, considerando che essa documenta gli atti, ma non si costituisce come fonte di prova.

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C.p.p. art. 136 Contenuto del verbale GIURISPRUDENZA La mancata indicazione nel verbale di udienza (nella specie, udienza preliminare) dell'ora di apertura e chiusura non è di per sé causa di nullità della procedura, fermo restando che l'udienza non può iniziare in ora diversa da quella stabilita; circostanza, questa, che può essere accertata anche mediante apposita certificazione di cancelleria (13403/1998, rv 213425). L'eventuale incompletezza del verbale di udienza, con riguardo all'esposizione dei fatti da parte del pubblico ministero, non è inquadrabile nell'ambito delle nullità di ordine generale. Peraltro, il solo fatto che nel processo verbale dell'udienza nulla si attesti circa lo svolgimento di alcune attività, di carattere ordinario, del pubblico ministero o del collegio non costituisce prova del mancato svolgimento delle stesse (9759/1999, rv 214322). Il verbale di udienza nel processo penale fa piena prova fino a querela di falso in quanto è atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni il cui regime di efficacia è sancito dalla norma generale dell'art. 2700 c.c. (9975/2003, rv 223819). Ai fini della documentazione delle dichiarazioni rese nel corso dell'udienza dibattimentale, è legittimo far ricorso al verbale redatto in forma riassuntiva, allorché la registrazione con il mezzo della stenotipia non sia tecnicamente chiara (19511/2010). Il verbale d’udienza nel procedimento penale fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato, trattandosi di atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, il cui regime di efficacia è sancito dalla norma generale di cui all’art. 2700 c.c. (1553/2019).

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C.p.p. art. 136 Contenuto del verbale COMMENTO La norma descrive minuziosamente il contenuto del verbale, stabilendo che al suo interno vanno innanzitutto menzionati il contesto spazio-temporale in cui si svolge la vicenda, le generalità dei partecipanti, l'indicazione dei motivi che giustificano l'assenza di taluno, se conosciuti, la descrizione di quanto avvenuto e percepito dall'ausiliario e delle dichiarazioni da questi ricevute. Trattasi di una previsione assai simile a quella contenuta nell'art. 2700 del codice civile laddove si individua l'ambito di efficacia dell'atto pubblico. Per quanto concerne le dichiarazioni, il secondo comma precisa che nel verbale devono essere indicati tutti quei fattori che potrebbero incidere sull'attendibilità delle medesime: in particolare, deve essere fatta menzione delle modalità attraverso le quali le dichiarazioni sono rese (spontaneamente o a seguito di domanda), dell'eventuale dettatura del dichiarante o, previa autorizzazione, della consultazione di note scritte.

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C.p.p. art. 137 Sottoscrizione del verbale GIURISPRUDENZA È inammissibile il ricorso col quale si deduca violazione dell'art. 137 c.p.p. in relazione all'art. 606 c.p.p. assumendo che sul verbale di udienza – nella specie, redatto nel giudizio direttissimo – figura solo la sottoscrizione in calce di tutti i soggetti indicati e non su “ogni foglio”, donde il vizio dell'atto con la conseguente caducazione delle determinazioni ivi contenute per il principio della tassatività delle cause di nullità tra le quali non è prevista l'inosservanza di tutte le formalità indicate dall'art. 137 c.p.p. (8341/1991, rv 188002). Il verbale di dibattimento è nullo solo se la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto manchi nell'ultima pagina, e non anche quando non sia sottoscritto su ogni foglio, non essendo prevista tra le cause di nullità l'inosservanza di tutte le formalità indicate dall'art. 137 c.p.p. (5386/1994, rv 198643). In tema di documentazione degli atti, non è causa di nullità, ai sensi dell'art. 142 c.p.p., la mancata sottoscrizione dei verbali di udienza in ogni foglio, atteso che tale sanzione, prevista per il caso in cui manchi del tutto la sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale redigente, non riguarda ogni inosservanza delle formalità indicate dall'art. 137 c.p.p., ma solo quelle che determinano incertezza assoluta sulle persone intervenute nella formazione dell'atto (15546/2001, rv 218835). La mancata sottoscrizione da parte dell'indagato del verbale contenente l'elezione di domicilio ne determina l'invalidità solo qualora il rifiuto di sottoscrizione sia dovuto alla protestata difformità del verbale stesso dalle dichiarazioni raccolte ovvero all'intenzione di non dare più corso all'elezione di domicilio (35506/2010).

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C.p.p. art. 137 Sottoscrizione del verbale COMMENTO La norma disciplina il momento della sottoscrizione del verbale e precisa che esso, dopo la lettura, deve essere sottoscritto, foglio per foglio, dal pubblico ufficiale che ha proceduto alla redazione, dal giudice e da coloro che hanno partecipato, anche se le operazioni vengono posticipate ad un altro momento. Il secondo comma stabilisce, inoltre, che se taluni dei soggetti intervenuti non vogliono o non possono sottoscrivere il verbale, di ciò viene fatta menzione, e ne vengono indicate le ragioni. In tema di formalità del processo verbale, per “firma” deve intendersi anche un segno grafico (iniziali o sigla) che non sia agevolmente decifrabile, purché sia idoneo, anche con il concorso di altri elementi desumibili dall'atto stesso, ad identificare il soggetto che era tenuto ad apporre la sua firma. In determinati casi, tuttavia, anche la “fase” delle sottoscrizioni viene semplificata: la norma cita espressamente il verbale del dibattimento, che non viene sottoscritto né dal giudice, né dai partecipanti, ma soltanto dal pubblico ufficiale che ha provveduto alla sua redazione, il quale successivamente deve sottoporlo al Presidente del collegio solo per l'apposizione del visto funzionale alla certificazione della corretta stesura dell'atto. Altre eccezioni alla regola generale si configurano per il verbale dell'incidente probatorio e quando il verbale viene redatto con strumenti tecnici che non imprimono direttamente i tipici caratteri della scrittura, nel qual caso la sottoscrizione viene effettuata solo dai soggetti verbalizzanti.

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C.p.p. art. 138 Trascrizione del verbale redatto con il mezzo della stenotipia GIURISPRUDENZA Qualora il verbale venga redatto con il mezzo della stenotipia, l'eventuale ritardo nel deposito della trascrizione rispetto al termine stabilito dall'art. 138 c.p.p. non comporta alcuna nullità processuale, essendo facoltà della parte interessata richiedere un termine allo scopo di verificare la corrispondenza tra il contenuto della trascrizione e quello della registrazione. La richiesta di un termine, infatti, costituisce una facoltà discrezionale della parte, alla stessa non vietata, anche se non espressamente prevista dalla legge (8007/1996, rv 205831). In tema di documentazione degli atti, non è causa di nullità la mancata sottoscrizione da parte del tecnico delle trascrizioni stenotipiche delle udienze (6785/2015).

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C.p.p. art. 138 Trascrizione del verbale redatto con il mezzo della stenotipia COMMENTO Quando nella redazione del verbale viene utilizzato lo strumento della stenotipia [➠134], la trascrizione dei nastri nei caratteri comuni della scrittura, funzionale a garantire l'agevole e sollecita percezione del contenuto di quanto documentato, deve essere effettuata non oltre il giorno successivo alla formazione dei nastri stessi. Pertanto, laddove sussista un impedimento per la persona che li ha impressi, il giudice può affidare l'esecuzione delle operazioni di trascrizione ad un altro soggetto munito delle conoscenze necessarie, anche estraneo all'amministrazione dello Stato. L'art. 483 sancisce una deroga a quanto qui stabilito: il verbale del dibattimento, infatti, può essere trascritto in un lasso di tempo più ampio, comunque non oltre i tre giorni dalla formazione del nastro, in considerazione del fatto che detto verbale ha dimensioni piuttosto estese. La trascrizione delle registrazioni, non soltanto non costituisce mezzo di prova, ma non può neppure identificarsi come una tipica attività di documentazione, fornita di una propria autonomia conoscitiva, rappresentando esclusivamente un'operazione di secondo grado volta a trasporre con segni grafici il contenuto delle registrazioni. Donde l'ontologica insussistenza, in relazione alle trascrizioni, di un problema di utilizzazione, potendo semmai denunciarsi la mancata corrispondenza fra il contenuto delle registrazioni e quello risultante dalle trascrizioni effettuate (così Cassazione n. 11914 del 1992).

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C.p.p. art. 139 Riproduzione fonografica o audiovisiva GIURISPRUDENZA La mancata trascrizione delle riproduzioni fonografiche di cui all'art. 134 c.p.p., pur in assenza del consenso delle parti previsto dall'art. 139, quinto comma, c.p.p., non rientra nelle cause di nullità dei verbali, quali indicate nell'art. 142 c.p.p., né è inquadrabile in alcuna delle nullità di ordine generale previste dall'art. 178 c.p.p. (11984/1991, rv 189321). La misura cautelare può essere richiesta dal P.M. sulla base della sola trascrizione della “documentazione fonografica” di atti del procedimento senza che sia necessario allegare alla richiesta anche la registrazione fonografica. Ed invero l'art. 139, comma sesto, c.p.p. dispone che le registrazioni fonografiche sono unite agli atti del procedimento, ma non prevede sanzione alcuna, in particolare quella della inutilizzabilità della trascrizione, in caso di omessa osservanza della norma (1698/1993, rv 194461). In tema di documentazione degli atti, l'omissione della trascrizione delle registrazioni, di cui all'art. 139 c.p.p. (riproduzione fonografica o audiovisiva), non è prevista come causa di nullità degli atti compiuti nelle udienze, né il principio della tassatività delle cause di nullità consente di ravvisare tale sanzione processuale quando non sia prevista (39656/2002, rv 222731).

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C.p.p. art. 139 Riproduzione fonografica o audiovisiva COMMENTO La norma disciplina le riproduzioni fonografiche (attraverso la registrazione dei suoni) o audiovisive e la loro trascrizione: la prima operazione viene effettuata da personale tecnico, non necessariamente appartenente all'amministrazione dello Stato, che esegue l'attività di riproduzione sotto la supervisione dell'ausiliario del giudice; la trascrizione, dal canto suo, viene realizzata, senza alcun limite temporale, da personale tecnico giudiziario o, qualora il giudice lo disponga, da soggetti estranei all'amministrazione dello Stato. Riguardo a tale ultimo profilo, l'assenza di una prescrizione analoga a quella contenuta nell'art. 138, la quale impone specifici termini per le operazioni di trascrizione, è giustificata dalla presenza del verbale che, pur se redatto in forma sintetica, è comunque immediatamente consultabile dagli interessati. L'impiego del mezzo tecnico della registrazione fonografica, cui deve farsi ricorso tutte le volte in cui non si provvede in forma integrale con il mezzo stenotipico [134], si accompagna alla redazione del verbale in forma riassuntiva e, circa il contenuto di detto verbale, la norma in oggetto stabilisce che in esso è indicato il momento di inizio e di cessazione delle operazioni di riproduzione. Il rapporto tra contenuto del verbale e risultato della registrazione è disciplinato dal terzo comma, ove si stabilisce che se il prodotto della registrazione risulta formato in modo compiuto ed intelligibile, è ad esso che occorre dare la prevalenza rispetto al verbale riassuntivo, suscettibile di errori ed omissioni estranei alla documentazione fonografica. Se, invece, la registrazione fonografica in tutto o in parte non ha avuto effetto o risulti non comprensibile sarà inevitabile attribuire al verbale convenzionale piena efficacia probatoria, sicché in concreto il contenuto del verbale in forma riassuntiva, cui occorrerà attenersi, dipenderà dalla maggiore o minore affidabilità delle operazioni di registrazione. Di conseguenza, se del verbale in forma riassuntiva è parte integrante la riproduzione fonografica inserita nei modi di cui alla presente norma, il giudice, che del contenuto di essa si avvale secondo il criterio di prevalenza indicato dalla medesima disposizione, non incorre in alcuna irregolarità né utilizza atti inesistenti (così Cassazione n. 3784 del 1995). La trascrizione delle riproduzioni fonografiche o audiovisive non è sempre obbligatoria: il giudice, infatti, può ordinare che non vi si proceda, qualora le parti vi abbiano acconsentito.

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C.p.p. art. 140 Modalità di documentazione in casi particolari COMMENTO Di solito il verbale del rito camerale non comporta riproduzioni fonografiche.

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C.p.p. art. 140 Modalità di documentazione in casi particolari COMMENTO La norma di cui all'art. 134, nel dettare la disciplina generale sulle modalità di documentazione, sancisce che, qualora il verbale viene redatto in forma riassuntiva, si debba procedere anche alla sua riproduzione fonografica. La disposizione in commento, tuttavia, costituisce una deroga a quanto appena esposto: infatti, il giudice può disporre la redazione contestuale e manuale del verbale, in forma riassuntiva senza l'ulteriore adempimento della riproduzione fonografica (esempio). Tale forma di documentazione è consentita soltanto quando: – il contenuto degli atti non presenta un alto grado di complessità; – la rilevanza degli atti è limitata; – non sono disponibili strumenti di riproduzione o ausiliari tecnici. Occorre evidenziare come alla tassatività dei presupposti legittimanti la verbalizzazione in forma riassuntiva faccia, tuttavia, riscontro l'estrema vaghezza dei contenuti dei medesimi, con il pericolo di una discrezionalità esercitata in maniera incontrollata dal giudice procedente. Quando si fa ricorso alla redazione del verbale in forma riassuntiva ai sensi della presente norma, il giudice si costituisce come garante della genuinità di quanto in esso indicato: per questo motivo il secondo capoverso sancisce che l'autorità giudicante deve controllare che il contenuto sostanziale delle dichiarazioni sia fedelmente riportato nel verbale e, se utili ad accertarne la credibilità, andranno indicate anche le circostanze nelle quali le dichiarazioni sono state rese.

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C.p.p. art. 141 Dichiarazioni orali delle parti COMMENTO 1. Dichiarazione di ricusazione del giudice. 2. Revoca della costituzione di parte civile.

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C.p.p. art. 141 Dichiarazioni orali delle parti GIURISPRUDENZA Ai fini dell'utilizzabilità del contenuto di dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da imputato detenuto, regolarmente registrate, è sufficiente che, pur in mancanza di trascrizione, vi sia in atti il verbale riassuntivo, la cui funzione è quella di garantire che l'interrogatorio è stato reso e che la registrazione è contenuta nei supporti magnetici allegati, e che, come atto redatto da pubblico ufficiale a scopo di documentazione, è dotato di pieno valore probatorio (23895/2003, rv 224989). Poiché l'efficacia operativa dell'articolo 143 c.p.p., che pone l'obbligo della nomina dell'interprete e della traduzione di atti processuali per cittadini stranieri, è subordinata all'accertamento dell'ignoranza della lingua italiana da parte dell'imputato, qualora l'imputato straniero mostri, in qualsiasi maniera, di rendersi conto del significato degli atti compiuti con il suo intervento o a lui indirizzati e non rimanga completamente inerte ma, al contrario, assuma personalmente iniziative rivelatrici della sua capacità di difendersi adeguatamente, al giudice non incombe l'obbligo di provvedere alla nomina dell'interprete, non essendo del resto rinvenibile nell'ordinamento processuale un principio generale da cui discenda il diritto indiscriminato dello straniero, in quanto tale, a giovarsi di tale assistenza. (La Corte ha poi precisato che l'accertamento della conoscenza o dell'ignoranza della lingua italiana da parte dell'imputato costituisce una indagine di “mero fatto” il cui esito, se riferito dal giudice con argomentazioni esaustive e concludenti, sfugge al sindacato di legittimità; si veda la sentenza a sezioni unite 31 maggio 2000, Jakani) (21091/2007). Il mancato deposito, unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio, di parte della documentazione relativa alle indagini espletate (nella specie, bobine e trascrizioni integrali degli interrogatori dei collaboratori di giustizia) non è causa di nullità della richiesta stessa, ma comporta soltanto l'inutilizzabilità, ai fini del rinvio, degli atti non trasmessi (19511/2010).

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C.p.p. art. 141 Dichiarazioni orali delle parti COMMENTO Se è vero che molti degli atti processuali hanno una forma predefinita dal legislatore e, dunque, vincolata, è altrettanto vero che il nostro sistema processuale, essendo basato sul principio di oralità degli atti, tipica espressione del sistema accusatorio, trova nella libertà delle forme uno dei suoi canoni ispiratori. La norma in oggetto stabilisce che quando la legge non impone, per il compimento di un determinato atto, la forma scritta (esempio n. 1), le parti possono presentare richieste o dichiarazioni pertinenti al procedimento anche in forma orale (esempio n. 2), personalmente o con l'ausilio di un procuratore speciale. In tali casi l'ausiliario che assiste il giudice redige il verbale e procede alla registrazione delle dichiarazioni rese secondo la disciplina analizzata nelle disposizioni precedenti. Le parti interessate possono richiedere, a proprie spese, che venga consegnato loro un certificato o la copia delle dichiarazioni rese. La Suprema Corte ha avuto occasione di analizzare l'ipotesi in cui l'imputato intenda chiedere di essere ammesso all'oblazione nel corso dell'istruzione dibattimentale in presenza di una modifica del capo di imputazione a lui favorevole, dalla quale discenda la possibilità di essere ammesso all'oblazione stessa. Il giudice, sostengono i giudici di legittimità, se effettivamente procede a tale modifica, deve attivare il meccanismo di cui al comma 4 bis dell'articolo in commento, anche all'esito dell'istruttoria dibattimentale; nel caso in cui ometta di pronunciarsi sull'istanza o si pronunci applicando erroneamente la legge penale, tale omissione o errore potrà essere fatta rilevare in appello, attraverso il meccanismo di cui al settimo comma dell'art. 604, ovvero, in caso di sentenza inappellabile, con ricorso per cassazione ai sensi della lett. e) del primo comma dell'art. 606 (così Cassazione n. 38980 del 2007).

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C.p.p. art. 141 bis Modalità di documentazione dell'interrogatorio di persona in stato di detenzione COMMENTO Art. 294: Interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale;

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C.p.p. art. 141 bis Modalità di documentazione dell'interrogatorio di persona in stato di detenzione GIURISPRUDENZA L'inosservanza dell'art. 141 bis c.p.p., e cioè la mancata riproduzione fonografica o audiovisiva dell'interrogatorio dell'indagato, non può essere parificata al mancato compimento dell'interrogatorio e non determina, quindi, la perdita di efficacia della misura cautelare a norma dell'art. 302 c.p.p., dato che la sanzione dell'inutilizzabilità riguarda unicamente gli effetti probatori e non invece gli altri effetti che all'atto si ricollegano (1800/1996, rv 204681). Le disposizioni dell'art. 141 bis c.p.p. si riferiscono all'interrogatorio assunto dall'autorità giudiziaria e non sono applicabili alle dichiarazioni spontanee, fatte dall'indagato di propria iniziativa e non su richiesta della Polizia giudiziaria (1815/1996, rv 206810). L'art. 141 bis c.p.p. – introdotto con l'art. 2 della legge 8 agosto 1995 n. 332 – prevede, a pena di inutilizzabilità, che ogni interrogatorio, che non si svolga in udienza, di persona che si trovi a qualsiasi titolo in stato di detenzione, deve essere documentato integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Per quel che concerne gli interrogatori resi precedentemente alla suddetta innovazione legislativa, la loro regolare documentazione, correttamente eseguita secondo le norme vigenti in quel momento, comporta automaticamente la utilizzabilità del contenuto dei relativi atti, che non può venir meno, per il principio del “tempus regit actum” che vige di norma in materia processuale, a seguito di normativa intervenuta successivamente alla giuridica esistenza dell'atto, non potendosi trasformare – in tale situazione – il contenuto, legittimamente documentato al momento della sua formazione, in prova acquisita in violazione dei divieti stabiliti dalla legge successiva (6278/1996, rv 205161). Le particolari forme di documentazione prescritte a pena di inutilizzabilità dall'art. 141 bis c.p.p. riguardano l'interrogatorio reso

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fuori udienza da persona che si trovi in stato di “detenzione”. Data l'accezione che nel nostro ordinamento deve riconoscersi a tale locuzione, non può essere considerato “detenuto” il collaboratore di giustizia che, ammesso al programma di protezione previsto dall'art. 11 del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, sia trasferito in “luogo protetto”, dato che egli non perde la libertà personale ma, tutt'al più, subisce limitazioni della propria libertà di domicilio o di circolazione, in base a un programma predisposto a salvaguardia della sua incolumità, liberamente accettato e sottoscritto (849/1999, rv 213916). In tema di documentazione dell'interrogatorio di persona in stato di detenzione, la sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 141 bis c.p.p., introdotto dall'art. 2 della legge 8 agosto 1995 n. 332, si ricollega esclusivamente alla mancata riproduzione fonografica o audiovisiva dell'atto, e non anche alla mancata trascrizione di tale riproduzione, ancorché obbligatoria perché richiesta dalle parti (2803/1999, rv 212534). Le dichiarazioni rese, divenute irripetibili per la soppressione del dichiarante, ben possono essere valutate – secondo la loro sostanziale natura di spontanee dichiarazioni di persona informata sui fatti e almeno virtualmente coindagata – a fini cautelari nella fase delle indagini preliminari, ove documentate o comunque quando del loro contenuto venga fatta relazione dall'ufficiale di P.G. che le ha raccolte, ovvero se questi renda testimonianza “de relato” (3020/1999, rv 214030). Si verifica lesione essenziale del diritto di difesa in sede di riesame quando, tra gli atti trasmessi dalla autorità procedente, manchino sia la trascrizione dell'interrogatorio fonoregistrato dell'indagato, sia il verbale in forma riassuntiva. Quest'ultimo, infatti, garantisce che l'interrogatorio si è verificato e che la registrazione è contenuta nei supporti magnetici allegati. La trascrizione della registrazione dell'interrogatorio, per altro, può essere omessa solo in presenza della verbalizzazione riassuntiva, con la conseguenza che la mancanza di entrambi gli atti, pur se al tribunale siano state trasmesse le sole “cassette”, rende inutilizzabile un atto che ha funzione di garanzia e costituisce momento fondamentale della strategia difensiva (3723/1999, rv 213931).

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In tema di documentazione dell'interrogatorio di persona detenuta, la sanzione di inutilizzabilità ex art 141 bis c.p.p. consegue alla mancata riproduzione fonografica o audiovisiva dell'atto, ovvero all'ipotesi in cui, pure avvenuta tale riproduzione, manchi sia la sua trascrizione, che la redazione del verbale in forma riassuntiva. La semplice mancata trascrizione del contenuto dell'interrogatorio registrato o filmato, in presenza della verbalizzazione riassuntiva, non implica inutilizzabilità, anche nel caso in cui la suddetta trascrizione, in quanto richiesta dalla parte, costituisca obbligo per il giudice (617/2000, rv 215970). La norma dell'art. 141 bis c.p.p., introdotta dall'art. 2 della legge 8 agosto 1995 n. 332 – secondo cui l'interrogatorio di persona che si trovi in stato di detenzione deve essere documentato integralmente con sistemi di riproduzione fonografica o audiovisiva –, attiene alla documentazione della prova e non alla sua valutazione, con la conseguenza che non possono non applicarsi le regole vigenti al momento dell'acquisizione. Ne discende che sono utilizzabili le dichiarazioni rese anteriormente all'entrata in vigore della predetta norma senza che l'interrogatorio sia stato assunto in mancanza dei predetti mezzi. Né può porsi un problema di legittimità costituzionale tra indagati per violazione dell'art. 3 della Costituzione, perché tale disparità trova giustificazione nella diversità delle norme al momento vigenti (1601/2000, rv 215426). In tema di interrogatorio di persona in stato di detenzione che si svolga fuori udienza, l'obbligo di documentazione integrale previsto dall'art. 141 bis c.p.p. deve essere osservato, a pena di inutilizzabilità, quando si tratta di assumere dichiarazioni su fatti nei quali il dichiarante stesso sia coinvolto in qualità di imputato o di indagato, anche in procedimento connesso, atteso che la disposizione è diretta a garanzia dei diritti dell'indagato e non di altri soggetti, come i chiamati in correità, nei cui confronti, pertanto, non opera l'inutilizzabilità predetta (2143/2001, rv 219491). La mancata osservanza delle modalità di documentazione (riproduzione fonografica o audiovisiva) dell'interrogatorio, che non si svolga in udienza, reso da persona in stato di detenzione, non incide sulla validità dell'interrogatorio medesimo ai soli fini di garanzia previsti dall'art. 294 c.p.p. (3910/2001, rv 217956).

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La mancata attuazione delle specifiche modalità previste dall'art. 141 bis c.p.p. per l'interrogatorio dell'imputato detenuto ne comporta l'inutilizzabilità come elemento di prova, non la nullità e neppure l'inefficacia della misura cautelare ai sensi dell'art. 302 c.p.p., che prescrive solo l'attuazione di un valido interrogatorio, senza pretenderne anche l'utilizzabilità probatoria (12294/2003, rv 223868).

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C.p.p. art. 141 bis Modalità di documentazione dell'interrogatorio di persona in stato di detenzione COMMENTO Tale norma è stata introdotta dalla L. n. 332 del 1995, che ha cercato di predisporre una disciplina più rigorosa in tema di documentazione dell'interrogatorio, svolto fuori udienza, di chi si trova in uno stato di detenzione (esempio). La ratio della disposizione va rintracciata nell'esigenza di assicurare l'autenticità di fonti di prova le quali: – possono essere acquisite nel processo; – possono esplicare effetti giuridici rilevanti nei confronti dell'imputato e dei terzi. Ciò rileva soprattutto in considerazione del fatto che le dichiarazioni espresse in sede di interrogatorio possono essere utilizzate per le letture e le contestazioni. Il contesto sostanziale sul quale incide la norma non è la valutazione della prova, ma la sua documentazione: è stabilito, infatti, che l'interrogatorio della persona che si trova in stato di detenzione deve essere documentato integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Qualunque dichiarazione resa in sede di interrogatorio, anche se reiterato o effettuato con le modalità del confronto, da persona detenuta, quale che sia il titolo detentivo, e anche se relativa a fatti privi di connessione o di collegamento con quelli per cui l'interrogatorio è stato disposto, deve essere documentata con le formalità previste dalla norma in oggetto, a salvaguardia di chiunque possa essere coinvolto in ipotesi comportanti eventuali responsabilità penali. Ne consegue che, mancando la riproduzione fonografica o audiovisiva dell'interrogatorio o in assenza delle previste forme alternative ad essa, l'atto è colpito dalla sanzione di inutilizzabilità sia nei confronti della persona che lo rende, sia nei confronti di terzi, in quanto è la registrazione, e non il verbale, redatto contestualmente in forma riassuntiva, a far prova delle dichiarazioni rese dalla persona detenuta; e tale inutilizzabilità impedisce la valutazione dell'atto sia nel dibattimento a fini probatori, sia in rapporto ad ogni altra decisione da adottare nei riti alternativi, sia in fase di indagini preliminari, come elemento apprezzabile ai fini dell'adozione di provvedimenti cautelari e come presupposto per il compimento di ulteriori indagini (così Cassazione n. 9 del 1998). La norma, peraltro, prevede che quando non sono disponibili strumenti di riproduzione o personale tecnico, la documentazione può essere effettuata tramite: – la perizia [Capo VI]: mezzo di prova attraverso il quale le conoscenze del giudice vengono integrate dalle nozioni tecnico-scientifiche conosciute dall'esperto; – la consulenza tecnica: mezzo di prova tramite il quale un soggetto viene chiamato ad effettuare valutazioni che richiedono la conoscenza di particolari nozioni specialistiche. All'interrogatorio segue la redazione del verbale in forma riassuntiva, che, se valido, può essere utilizzato, per letture e contestazioni, indipendentemente dalla

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trascrizione della riproduzione fonografica o audiovisiva, che viene effettuata soltanto qualora almeno una delle parti lo richieda.

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C.p.p. art. 142 Nullità dei verbali GIURISPRUDENZA L'eccezione di nullità del verbale dell'udienza preliminare, per mancata sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale che ha redatto l'atto (art. 142 c.p.p.), è tempestiva se proposta subito dopo l'accertamento da parte del tribunale della regolare costituzione delle parti per il dibattimento (6182/1995, rv 201520). Poiché la nullità del verbale dibattimentale può essere dichiarata, a norma dell'art. 142 c.p.p. solo se vi è incertezza assoluta circa le persone intervenute e se manca la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto, è da escludere che il verbale detto sia nullo perché la verbalizzazione meccanografica era stata ripetutamente sospesa e sostituita con quella riassuntiva per disposizione del presidente del collegio, anziché di quest'ultimo, trattandosi di semplice ed irrilevante irritualità modale, in nessun modo sanzionata (1000/1996, rv 204059). Non sussiste ipotesi di nullità con riguardo a verbali di dichiarazioni rese al G.i.p. ed al P.M., redatti e sottoscritti dal solo magistrato e non dall'ausiliario che lo deve assistere. Invero l'art. 142 c.p.p. sanziona di nullità il verbale mancante della sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto mentre nel caso di cui sopra la sottoscrizione è proprio del suddetto soggetto; d'altro canto la mancata compilazione del verbale da parte dell'ausiliario costituisce mera irregolarità (7577/1996, rv 205888). Non sussiste nullità, conformemente al principio di tassatività, con riferimento a verbali di udienza di convalida dell'arresto – e della consecutiva ordinanza –, redatti e sottoscritti dal solo magistrato e non dall'ausiliario che lo deve assistere e sia rimasto tuttavia assente, sicché la mancata compilazione del verbale da parte di quest'ultimo costituisce una mera irregolarità formale (3352/1998, rv 210164). La nullità prevista dall'art. 142 c.p.p. per i verbali con incertezza assoluta delle persone intervenute, o privi di sottoscrizione del pubblico ufficiale che li ha redatti, non ha carattere assoluto sia

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perché non definita come tale sia perché non offende alcuno dei beni del giusto processo garantiti dall'art. 179, comma primo, c.p.c.; essa ha carattere relativo, con il conseguente onere della parte di eccepirla immediatamente dopo il compimento dell'atto, quando vi assiste, o al massimo con l'impugnazione della sentenza emessa al termine del giudizio in cui s'è verificata (3917/1998, rv 210637). Costituisce mera irregolarità la mancata precisazione delle generalità del P.M. nel verbale del dibattimento, allorché risulti sicura l'effettiva partecipazione; ciò in quanto la nullità che colpisce il verbale d'udienza, ex art. 142 c.p.p., attiene all'incertezza assoluta in ordine all'intervento dei soggetti che devono partecipare al dibattimento, non alla indicazione nominativa dei partecipanti (5770/1998, rv 210529). In tema di documentazione degli atti, non è causa di nullità, ai sensi dell'art. 142 c.p.p., la mancata sottoscrizione dei verbali di udienza in ogni foglio, atteso che tale sanzione, prevista per il caso in cui manchi del tutto la sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale redigente, non riguarda ogni inosservanza delle formalità indicate dall'art. 137 c.p.p., ma solo quelle che determinano incertezza assoluta sulle persone intervenute nella formazione dell'atto (15546/2001, rv 218835). Il processo verbale è nullo qualora non vi sia almeno in sigla la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha compilato, e non quando il nome e cognome di questo non risultino in alcuna parte del verbale medesimo; ed è irrilevante che attraverso detta sigla non possa individuarsi il nome del sottoscrittore, salvo che si contesti con una precisa accusa di falsità l'effettiva partecipazione del pubblico ufficiale all'atto documentato (20869/2003, rv 225087). L'interruzione, in assenza di autorizzazione del giudice, della verbalizzazione a mezzo stenotipia, non dà luogo a nullità né del verbale stenotipico né di quello riassuntivo comunque redatto, né, tantomeno, della sentenza, non rientrando detta ipotesi in alcuna delle ipotesi di nullità tassativamente previste dalla legge (35044/2010). In tema di nullità del verbale, perché possa ritenersi sussistere incertezza assoluta sulle persone intervenute è necessario che l'identità del soggetto partecipante all'atto non solo non sia documentata nella parte del verbale specificamente destinata a tale

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attestazione, ma altresì che non sia neppure desumibile da altri dati contenuti nello stesso, né da altri atti processuali in esso richiamati o ad esso comunque riconducibili (S.U. 41461/2012). In tema di documentazione degli atti, bisogna distinguere il verbale riassuntivo che deve necessariamente essere sottoscritto a pena di nullità ai sensi dell'articolo 142 c.p.p., dall'ausiliario del giudice, dalla trascrizione stenotipica delle udienze o dal testo della relativa registrazione, documenti che devono essere uniti agli atti del processo insieme ai nastri; in questo ultimo caso la omessa sottoscrizione da parte del tecnico non è prevista a pena di nullità anche perché è sempre possibile procedere ad una rilettura (19487/2014). In tema di indagini difensive, l’atto redatto dal difensore ex artt. 391-bis e 391-ter c.p.p. ha la stessa natura e gli stessi effetti processuali del corrispondente verbale redatto dal pubblico ministero, potendo, pertanto, essere ritenuto nullo ai sensi dell’art. 142 c.p.p. solo se vi è incertezza assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione dell’avvocato o del suo sostituto che lo ha redatto, ma non anche se il dichiarante non lo ha sottoscritto alla fine di ogni foglio, secondo quanto prescrive l’art. 137 c.p.p. (2049/2019). In tema di indagini preliminari, l’omessa indicazione, nel verbale di sommarie informazioni testimoniali, delle domande rivolte al dichiarante dalla polizia giudiziaria, non costituisce né causa di nullità, né causa di inutilizzabilità delle dichiarazioni contenute (11450/2019).

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C.p.p. art. 142 Nullità dei verbali COMMENTO Poiché in materia di nullità processuali vige il principio di tassatività, non possono ipotizzarsi patologie attinenti ai verbali diverse da quelle indicate nella norma in oggetto. Il nuovo codice ha inteso comprimere al massimo la sfera delle situazioni con effetti invalidanti sul verbale, con relativa espansione delle mere irregolarità formali. La norma, in particolare, stabilisce che, salvo disposizioni di legge particolari, sono causa di nullità del verbale: – l'incertezza assoluta sulle persone intervenute: tale locuzione deve essere interpretata restrittivamente, ed intesa nel senso che è insufficiente, ad integrare la validità dell'atto, che appaia certo che l'ufficio procedente sia stato ricoperto ed i compiti istituzionali assolti, restando questa la soglia minima irrinunciabile di legittimità (così Cassazione n. 3513 del 1997). – la mancanza della sottoscrizione: sussiste qualora il pubblico ufficiale che ha redatto il verbale omette di sottoscriverne l'ultima pagina.

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C.p.p. art. 143 Diritto all'interprete e alla traduzione di atti fondamentali GIURISPRUDENZA La traduzione degli atti di esecuzione della sentenza definitiva, altrimenti doverosa ai sensi dell'art. 143 c.p.p., non è necessaria quando l'imputato straniero, nelle varie fasi in cui si è articolato il procedimento a suo carico, si è sempre reso conto della portata degli atti a lui indirizzati, apprestando senza difficoltà adeguata difesa, così mostrando di comprendere la lingua italiana; in tale ipotesi, infatti, viene a realizzarsi una presunzione di fatto di idonea e compiuta conoscenza della lingua ufficiale del processo, i cui effetti si estendono alla fase esecutiva (843/1995, rv 201439). In conformità ai trattati internazionali vincolanti per l'Italia, l'art. 143, primo comma, c.p.p. riconosce all'imputato che ignora la lingua italiana il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di comprendere l'accusa e di seguire il compimento degli atti del processo al quale partecipa. A tale diritto corrisponde l'obbligo imposto all'autorità giudiziaria procedente di nominare un interprete a pena di nullità degli atti riguardanti l'indagato o imputato straniero che non conosce la lingua italiana. La nullità è di ordine generale ai sensi dell'art. 178, lett. c), c.p.p., riferendosi all'assistenza dell'imputato. Tuttavia, non riferendosi all'omessa citazione dell'imputato o all'assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza, non rientra, ai sensi dell'art. 179, primo comma, c.p.p. tra le nullità assolute e insanabili, bensì tra quelle che, pur potendo essere rilevate d'ufficio, non possono essere più eccepite dopo la deliberazione della sentenza di primo grado o, se si sono verificate nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo (cosiddette nullità a regime intermedio) (2228/1995, rv 201461). La nullità conseguente alla mancata traduzione, nella lingua dell'imputato, dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, in quanto non rientrante tra quelle specificamente previste dagli artt.

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178 e 179 c.p.p., ha carattere relativo e resta sanata, se non eccepita tempestivamente (825/1996, rv 203492). Non sussiste l'obbligo di provvedere alla traduzione degli atti, ai sensi degli artt. 143-147 c.p.p., quando si procede alla trascrizione delle conversazioni telefoniche, ritualmente intercettate, svolte in lingua dialettale (931/1996, rv 203962). L'art. 143 c.p.p. non impone, nei confronti dell'imputato che non conosce la lingua italiana, la traduzione dell'estratto della sentenza contumaciale, che non è necessario al fine di poter comprendere l'accusa (677/1997, rv 207802). Nel caso dell'omessa traduzione nella lingua dell'indagato dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale non può ritenersi violato alcuno dei diritti indicati nell'art. 143 c.p.p. (nomina dell'interprete): non può, innanzitutto, ritenersi violato il diritto di comprendere l'accusa formulata, perché detto avviso non contiene “ex lege” l'indicazione del fatto e delle norme che si assumono violate; nemmeno, inoltre, potrebbe ritenersi violato il diritto dell'indagato di seguire il compimento degli atti cui partecipa, essendo evidente che la norma si riferisce, in questa parte, allo svolgimento di atti processuali (quali, ad esempio, l'interrogatorio, le varie udienze e l'intero dibattimento), ai quali l'indagato o imputato partecipa e per i quali è assicurata la presenza dell'interprete (1733/1997, rv 208281). È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 143 c.p.p. (nomina dell'interprete), in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui tale norma non prevede la traduzione dell'avviso dell'udienza innanzi al tribunale del riesame. Tale mancata previsione non viola, innanzitutto, il diritto di difesa, in quanto il procedimento incidentale di riesame presiede essenzialmente al controllo, sotto il profilo della legittimità e anche del merito, delle misure cautelari adottate e nello stesso non si esplica la vera e propria difesa dell'indagato, com'è dimostrato anche dal fatto che non ne è prevista la presenza e l'interrogatorio (se non, solo eventualmente, a sua richiesta e in una sede diversa, ex art. 127, comma 3, c.p.p.); la mancata previsione stessa, poi, non è in contrasto con il principio di eguaglianza, in quanto le situazioni del cittadino e dello straniero sono ontologicamente diverse e tali rimarrebbero anche se,

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relativamente alla notifica dell'avviso della data fissata per l'udienza camerale, fosse prevista la traduzione. Quella del soggetto che si rechi o viva in un Paese straniero, senza conoscerne la lingua, è di per sé una situazione che presenta una serie di difficoltà, alle quali lo straniero, che vi si trovi, è naturalmente e preventivamente preparato: quello che rileva è che detta situazione non si risolva in una disparità di trattamento ingiustificata, che vada cioè al di là della naturale diversità di cui si è detto, con il riconoscimento, a favore del cittadino, di vantaggi ingiustificati, nella specie chiaramente insussistenti (in quanto la “particolarità” denunciata discende, appunto e soltanto, da una ineliminabile diversità di situazione “di base”) (1733/1997, rv 208282). Il diritto accordato all'imputato che non sia in grado di comprendere la lingua italiana di essere assistito gratuitamente da un interprete e che obbliga alla traduzione degli atti cui questi ha diritto di partecipare, non implica la necessità di procedere alla traduzione della sentenza (8403/1997, rv 208851). In materia di traduzione degli atti l'esistenza, negli atti del procedimento penale, di scritti compilati in lingua straniera, costituisce un caso di nullità del procedimento stesso solo quando il difensore dell'imputato chiede la nomina di un interprete per la traduzione, ex art. 143, secondo comma, c.p.p., e il giudice si rifiuti di provvedere in conformità. Detta nullità peraltro ha carattere relativo ed è sanata dall'acquiescenza del difensore (2156/1998, rv 209810). Non può ritenersi violata la disposizione dell'art. 143 c.p.p. nel caso di omessa traduzione dell'avviso di udienza camerale all'indagato, sia perché detto avviso non contiene “ex lege” l'enunciazione del fatto contestato e l'indicazione delle norme che si assumono violate, di guisa che non può ritenersi violato il diritto dell'indagato di poter comprendere l'accusa, sia perché la mancata traduzione dell'avviso non impedisce all'indagato di seguire il compimento degli atti ai quali intende partecipare. Inoltre, il diritto dell'indagato di presenziare all'udienza e rendere dichiarazioni al magistrato di sorveglianza non può ritenersi leso dalla mancata traduzione dell'avviso di udienza, trattandosi di diritto che discende direttamente dall'applicazione dell'art. 127, comma terzo, c.p.p. e dell'art. 309, comma ottavo, c.p.p. (3706/1998, rv 211300).

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Il diritto accordato all'imputato, che non sia in grado di comprendere la lingua italiana, di essere assistito gratuitamente da un interprete e che obbliga alla traduzione degli atti processuali, non nasce automaticamente dalla condizione di non cittadinanza dell'imputato ma dalla oggettiva constatazione dell'impossibilità o difficoltà di comprendere la lingua italiana, impossibilità che deve essere dichiarata e dimostrata. Peraltro, ove detta impossibilità sia sussistente (“id est” dichiarata e dimostrata) ed il giudice si rifiuti di provvedere in conformità, la nullità che consegue ha carattere relativo ed è come tale sanata dall'acquiescenza del difensore (882/1999, rv 213068). In tema di misure cautelari personali deve esser assicurato all'imputato che non conosca la lingua italiana (dato da accertare anche di ufficio) l'immediata traduzione dell'ordinanza di custodia cautelare, o mediante la redazione originaria dell'atto in una lingua che questi conosca o mediante la tempestiva assistenza di un interprete che gli traduca l'atto. Non può esser considerata equivalente a ciò l'assistenza dell'imputato a mezzo dell'interprete nell'udienza preliminare, perché non si assicura l'immediata informazione voluta dalla norma (1527/1999, rv 214348). È legittima la notificazione all'imputato straniero di atti redatti in italiano (nella specie, decreto di citazione per il giudizio di rinvio), perché nessuna disposizione impone di norma la traduzione degli atti scritti da notificare all'imputato che non conosce la lingua dello Stato. Infatti, il diritto di tale soggetto di farsi assistere da un interprete è limitato agli atti orali, e la traduzione è prevista solo per l'atto di cui all'art. 169, comma terzo, c.p.p., da notificare all'imputato all'estero (1605/1999, rv 214692). La previsione dell'obbligo di traduzione in lingua, cui si riferisce l'art. 143 c.p.p., trova il proprio spazio in relazione allo svolgimento degli atti processuali ai quali l'indagato o imputato partecipa, e per i quali è assicurata l'assistenza dell'interprete. La necessità di garantire la consapevole partecipazione agli atti del procedimento non è tuttavia prospettabile in relazione all'ordinanza cautelare, la quale non contiene, al proprio “interno”, dati informativi ovvero mirati avvertimenti in ordine alla esistenza, ed alle modalità di esercizio, di diritti e facoltà dell'indagato, “in relazione” agli effetti dell'atto, cui il difetto della traduzione in

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lingua si porrebbe come concreto ostacolo. Ciò tanto più nella fattispecie, laddove la misura cautelare risulta aver fatto seguito ad udienza di convalida dell'arresto, sede nella quale i motivi dell'accusa erano stati già resi noti agli indagati che, assistiti dall'interprete, avevano avuto esatta cognizione delle ragioni e della finalità dell'atto (2128/1999, rv 213523). Dalla combinata lettura della sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 1993, con la quale è stato affermato che il diritto all'interprete di cui all'art. 143 c.p.p., comprende il diritto alla traduzione del decreto di citazione a giudizio in tutti i suoi elementi, e dell'art. 292 c.p.p., il quale elenca una serie di elementi che l'ordinanza cautelare deve enunciare a pena di nullità, deriva che anche quest'ultimo provvedimento deve recare la traduzione in lingua nota al destinatario, ove emesso nei confronti di straniero che non conosca la lingua italiana. Anche l'ordinanza custodiale, infatti, al pari del decreto di citazione a giudizio, è un atto di fronte al quale l'indagato straniero che non comprenda la lingua italiana può essere pregiudicato nel suo diritto di partecipare al processo libero nella persona, in quanto, non comprendendo il relativo contenuto, non è posto in grado di valutare né quali siano gli indizi ritenuti a suo carico, né se sussistano o meno i presupposti per procedere all'impugnazione dell'ordinanza per nullità, a norma dell'art. 292, comma 2, c.p.p. (4841/1999, rv 214495). In tema di interpretazione degli atti, poiché l'efficacia operativa dell'art. 143 c.p.p. è subordinata all'accertamento dell'ignoranza della lingua italiana da parte dell'imputato, qualora l'imputato straniero mostri, in qualsiasi maniera, di rendersi conto del significato degli atti compiuti con il suo intervento o a lui indirizzati e non rimanga completamente inerte ma, al contrario, assuma personalmente iniziative rivelatrici della sua capacità di difendersi adeguatamente, al giudice non incombe l'obbligo di provvedere alla nomina dell'interprete, non essendo del resto rinvenibile nell'ordinamento processuale un principio generale da cui discenda il diritto indiscriminato dello straniero, in quanto tale, a giovarsi di tale assistenza (12/2000, rv 216258). La mancata traduzione nella lingua dell'imputato alloglotta del decreto di citazione a giudizio, in presenza delle condizioni richieste dall'art. 143 c.p.p. come interpretato da Corte Costituzionale 12

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gennaio 1993 n. 10, integra una nullità generale di tipo intermedio (art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 180 c.p.p.) La cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza e che resta sanata dalla comparizione della parte (12/2000, rv 216259). Alla luce di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 143 c.p.p., quale suggerita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 10 del 1993, deve ritenersi che anche l'ordine di esecuzione della pena detentiva emesso dal pubblico ministero sia soggetto alla disciplina dettata dal suddetto articolo e debba essere quindi tradotto, a pena di nullità, in lingua nota al condannato straniero, salvo che dagli atti del procedimento risulti che egli comprendeva la lingua italiana; ciò che, peraltro, deve presumersi qualora da tali atti si rilevi che il soggetto si è sempre reso conto della portata dell'accusa, contrapponendovi un'adeguata difesa (3043/2000, rv 216095). Anche se il diritto di farsi assistere da un interprete costituisce una garanzia essenziale per l'esercizio del diritto di difesa dello straniero alloglotta, il corrispondente obbligo per l'autorità giudiziaria di provvedere alla nomina dell'interprete nasce allorché risulti dagli atti o, comunque, processualmente il presupposto della mancata conoscenza della lingua italiana da parte della persona nei cui confronti si procede, tanto se tale circostanza sia evidenziata dallo stesso interessato, quanto se sia altrimenti accertata dall'autorità procedente (5187/2000, rv 217350). In conformità sia del dettato costituzionale, sia dell'art. 6 lett. e), della convenzione europea dei diritti dell'uomo 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848, nei confronti dell'imputato straniero, che non conosce la lingua italiana, il diritto di difesa è assicurato dall'assistenza dell'interprete solo limitatamente agli atti orali, essendo escluso l'obbligo di traduzione degli atti processuali nella sua lingua madre, in forza della regola generale di cui all'art. 109, comma 1, c.p.p., che soffre un'unica eccezione, prevista dall'art. 169, comma 3, stesso codice, con riferimento all'invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato (12394/2000, rv 217915). La garanzia dell'assistenza dell'interprete a soggetto che ignori la lingua italiana si estende alle attività procedimentali anteriori al giudizio di merito e, conseguentemente, va assicurata, a pena di

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nullità, anche nel procedimento di convalida dell'arresto con riferimento a quegli atti (relazione del P.M. o degli agenti verbalizzanti, interrogatorio del giudice) per i quali deve essere resa possibile l'effettività del contraddittorio (18922/2001, rv 218918). In tema di traduzione degli atti, la mancata nomina dell'interprete nel caso di dichiarazioni rese da persona informata sui fatti, che non conosca la lingua italiana quando il giudice, il pubblico ministero o l'ufficiale di Polizia giudiziaria conosca personalmente la lingua da interpretare, non determina alcuna invalidità degli atti processuali (22005/2001, rv 219022). La mancata consegna di copia della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di citazione a giudizio con la traduzione nella lingua di origine degli imputati stranieri, che siano stati presenti all'udienza preliminare con l'assistenza dell'interprete, non impedisce a questi ultimi di comprendere appieno la portata dell'accusa contestata e non comporta quindi alcuna lesione del diritto di difesa, atteso che lo svolgimento dell'udienza preliminare in presenza degli imputati ha consentito agli stessi di conoscere il contenuto delle richieste del PM e del decreto di citazione a giudizio mediante la contestuale traduzione orale ad opera dell'interprete (27347/2001, rv 220040). In tema di traduzione delle dichiarazioni di persona straniera, la previsione dell'art. 143, comma 2 del c.p.p. non è violata quando l'interprete nominato non conosce la lingua madre della persona esaminata, ma altra lingua che gli consenta di comunicare con essa in maniera effettiva ed efficace (34444/2001, rv 220110). Nel caso dell'omessa traduzione nella lingua dell'indagato dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale non può ritenersi violato alcuno dei diritti indicati nell'art. 143 c.p.p. (Nomina dell'interprete): non può, innanzitutto, ritenersi violato il diritto di comprendere l'accusa formulata, perché detto avviso non contiene “ex lege” l'indicazione del fatto e delle norme che si assumono violate; nemmeno, inoltre, potrebbe ritenersi violato il diritto dell'indagato di seguire il compimento degli atti cui partecipa, essendo evidente che la norma si riferisce, in questa parte, allo svolgimento di atti processuali (quali, ad esempio, l'interrogatorio, le varie udienze e l'intero dibattimento), ai quali l'indagato o imputato partecipa e per i quali è assicurata la presenza dell'interprete (31106/2003, rv 225145).

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L'avviso di fissazione dell'udienza davanti al Tribunale del riesame non deve obbligatoriamente essere tradotto nella lingua del destinatario quando questi sia uno straniero che non conosce la lingua italiana, non contenendo il suddetto avviso alcun elemento di accusa, ma solo la data dell'udienza fissata per l'esame del gravame proposto dallo stesso indagato o del suo difensore (34402/2010). Anche a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 32, con cui è stata data attuazione alla direttiva 2010/64/UE sull'assistenza linguistica, è legittima la convalida dell'arresto dello straniero alloglotta, senza che si sia previamente proceduto al suo interrogatorio per l'impossibilità di reperire tempestivamente un interprete, ricorrendo in tale eventualità un caso di forza maggiore che non impedisce la decisione del giudice sulla legittimità dell'operato della polizia giudiziaria (4649/2015). La proposizione della richiesta di riesame, pur se ad opera del difensore, ha effetti sananti della nullità conseguente all'omessa traduzione dell'ordinanza cautelare personale nella lingua conosciuta dall'indagato alloglotta, anche a seguito della riformulazione dell'art. 143 cod. proc. pen., sempre che l'impugnazione non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione ovvero per formulare ulteriori questioni pregiudiziali di carattere strettamente procedurale (7056/2015). L'obbligo di traduzione degli atti processuali in favore dell'imputato alloglotta che non comprende la lingua italiana, anche a seguito della riformulazione dell'art. 143 cod. proc. pen., è escluso ove lo stesso si sia reso, per causa a lui imputabile, irreperibile o latitante, con conseguente notificazione degli atti che lo riguardano al difensore (12101/2015). L’obbligo di traduzione degli atti in favore dell’imputato alloglotta è escluso ove lo stesso abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia, non verificandosi in tale ipotesi alcuna lesione concreta dei suoi diritti (57740/2017). In tema di arresto di straniero alloglotta, nel caso di mancata o incompleta traduzione della comunicazione inerente alle garanzie ed ai diritti difensivi, previsti dall’art. 386, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen., il diritto di difesa nei confronti dell’arrestato è comunque soddisfatto dall’assistenza, in sede di udienza di convalida, di un interprete che traduca le contestazioni e le ragioni che hanno determinato l’emissione del provvedimento nei suoi confronti, nonchè dalla traduzione anche orale dell’ordinanza cautelare emessa all’esito della predetta udienza (11068/2017). Non deve essere tradotta nella lingua conosciuta dall’indagato alloglotta né la procura speciale, né l’istanza redatta dal procuratore speciale contenente le condizioni per l’accordo ex art. 444 cod. proc. pen., in quanto l’obbligo di traduzione previsto dall’art. 143 cod. proc. pen. è riferito agli atti compiuti nel processo da parte del p.m. e dal giudice (15773/2018). In tema di traduzione degli atti, in mancanza di elementi specifici indicativi di un pregiudizio in ordine alla completa esplicazione del diritto di difesa, l’omessa traduzione della sentenza di appello in lingua nota all’imputato

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alloglotta non integra di per sé causa di nullità della stessa, atteso che, dopo la modifica dell’art. 613 c.p.p., ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103, l’imputato non ha più facoltà di proporre personalmente ricorso per cassazione (15056/2019).

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C.p.p. art. 143 Diritto all'interprete e alla traduzione di atti fondamentali COMMENTO Prima della riforma del 2014 Nella configurazione del diritto all'interprete, la norma in oggetto, conferendo a costui le funzioni tipiche del collaboratore dell'autorità giudiziaria, ed assegnandogli primariamente una connotazione ed un ruolo preordinati alla tutela della difesa, in sintonia con i principi contenuti nelle Convenzioni internazionali ratificate dall'Italia in materia di diritti della persona, non può configurarsi come disposizione di stretta interpretazione. Al contrario, trattandosi di una garanzia essenziale al godimento di un fondamentale diritto espressamente sancito nel terzo comma del novellato art. 111 della Costituzione, va interpretata come clausola generale, di ampia applicazione, destinata ad espandersi e a specificarsi, nell'ambito dei fini normativi riconosciuti, di fronte al verificarsi delle varie esigenze concrete che lo richiedono. Il diritto all'interprete, quindi, deve essere estensivamente applicato a tutte le ipotesi in cui l'imputato straniero, ove non potesse giovarsi dell'ausilio del medesimo, sarebbe pregiudicato nel suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo penale, in ordine a tutti gli atti a lui indirizzati, sia scritti che orali. Tale garanzia si estende a qualsiasi persona, di qualunque nazionalità, che non risulti essere in grado di comprendere la lingua italiana, tanto se tale circostanza sia evidenziata dallo stesso interessato, quanto se, in difetto di ciò, sia accertata dall'autorità procedente (così Cassazione n. 10 del 1993). Nel dettaglio, può asserirsi che l'obbligo a carico dell'autorità giudiziaria di procedere anche d'ufficio alla nomina di un interprete (soggetto preposto ad eseguire un'attività di traduzione delle lingue) e il corrispondente diritto di essere gratuitamente assistiti da esso sussistono quando: – l'imputato non conosce la lingua italiana: sebbene la lettera della norma cita espressamente soltanto l'imputato, la disciplina in essa contenuta è da estendersi anche all'indagato; precisamente è imputato colui nei confronti del quale si procede nel corso di un procedimento penale; è indagato, invece, il soggetto a cui carico la magistratura compie indagini, ma nei confronti del quale non è stata formulata l'imputazione. L'assistenza di un interprete viene predisposta per permettere all'interessato di comprendere le accuse che gli vengono rivolte e per metterlo nella condizione di poter seguire il compimento degli atti a cui partecipa. Per quanto riguarda i cittadini italiani, sussiste una presunzione relativa di conoscenza della lingua italiana, che può essere vinta con la prova contraria: in ogni caso, qualora un cittadino italiano non conosca la lingua del Paese, in virtù del diritto di difesa e di uguaglianza, sopra richiamati, ha, al pari di uno straniero, diritto di farsi assistere da un interprete; – occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intelligibile: il compito dell'interprete non è limitato soltanto alla traduzione in

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italiano di dichiarazioni rese in una lingua diversa, ma può consistere anche nella riproduzione di atti scritti; – la persona che vuole o deve fare una dichiarazione, anche scritta, non conosce la lingua italiana. L'obbligo di nominare un interprete sussiste anche qualora il giudice, il pubblico ministero o l'ufficiale di polizia giudiziaria conoscano la lingua o il dialetto che deve essere tradotto e all'inottemperanza di tale obbligo consegue la sanzione di invalidità della nullità. La norma sancisce, da ultimo, che l'esecuzione della prestazione da parte dell'interprete è obbligatoria. Dopo la riforma del 2014 A seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 32 è stata data attuazione alla direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali. In ragione di tanto è stato completamente sostituito l'articolo in commento. L'intervento normativo di riforma riveste carattere di urgenza e doverosità in quanto, come detto, recepisce le disposizioni della direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010, sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, come da delega conferita al Governo con legge 6 agosto 2013, n. 96. Il nostro ordinamento riconosce rilievo costituzionale al diritto all'assistenza dell'interprete della persona sottoposta a procedimento penale che non conosce la lingua italiana, ai sensi dell'art. 111, commi primo e terzo. È evidente come il giusto processo non possa prescindere dal diritto della persona accusata di comprendere appieno l'addebito e di seguire il compimento degli atti cui partecipa, fm dall'inizio delle indagini preliminari. Si sottolinea, infatti, come tale diritto, intrinsecamente connesso con il diritto difesa, è garantito in egual misura agli indagati e agli imputati, in base alla disposizione generale contenuta nell'art. 61 del codice di procedura penale, che, come noto, estende i diritti e le garanzie dell'imputato alla persona sottoposta alle indagini preliminari. Da ricordare, come la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10 del 1993, ha riconosciuto all'articolo in commento il valore di norma di portata generale che sancisce il diritto all'imputato alloglotta, che non conosce l'italiano, di essere messo nelle condizioni di partecipare consapevolmente al processo grazie all'assistenza dell'interprete e alla traduzione degli atti con i quali "è messo a conoscenza della natura e dei motivi dell'imputazione, oltreché delle facoltà riconosciutegli alfine di contrapporsi all'accusa". Le previsioni introdotte sono indirizzate a rendere effettivo tale fondamentale diritto individuale, in linea con le disposizioni sovranazionali contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (artt. 47 e 48, paragrafo 2) e nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo (art. 6, lett. e). Con particolare riferimento ai riflessi sull'ordinamento interno, si evidenzia come la presente riforma incida profondamente sul ruolo attribuito all'interprete e al traduttore nel processo penale, affiancando all'inquadramento tradizionale pubblicistico che li qualifica esclusivamente come periti in ausilio dell'autorità giudiziaria, un approccio di tipo

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soggettivistico che li intende anche come tecnici della difesa a tutela dei diritti fondamentali della persona accusata. In primo luogo, viene novellato l'art. 104 con l'aggiunta di un comma che garantisce agli imputati in stato di custodia cautelare, agli arrestati e ai fermati il diritto all'assistenza di un interprete per poter svolgere i colloqui con il difensore, in relazione al procedimento per cui si trovano in restrizione della propria libertà personale. In secondo luogo, l'articolo in oggetto nella sua nuova formulazione, precisa che il diritto all'assistenza gratuita dell'interprete (invero già contemplato dal testo previgente dell'articolo) determina una spesa anticipata dallo Stato non ripetibile nel caso di condanna dell'imputato, come imposto dalla sopra citata direttiva. Per la stessa ragione si è inteso intervenire sull'art. 5 del testo unico delle spese di giustizia, il D.P.R. n. 115 del 2002, specificando alla lettera d), che configura come ripetibili le spese anticipate dallo Stato con riferimento alle attività svolte dagli ausiliari del giudice (tra i quali rientrano gli interpreti e i traduttori, ai sensi dell'art. 3 del citato T.U.), l'esclusione delle spese relative agli interpreti e traduttori nominati in base all'art. 143 codice di procedura penale, (articolo 3). In attuazione di quanto disposto dall'art. 2, paragrafo 2, della direttiva 2010/64, viene previsto il diritto all'assistenza gratuita dell'interprete anche per i colloqui con il difensore, circoscrivendo tale diritto ai casi in cui tali comunicazioni siano direttamente correlati alla preparazione di un interrogatorio, di una richiesta o di una memoria nel corso del procedimento penale. Al comma 2 della nuova formulazione dell'art. 143 vengono indicati espressamente una serie di atti processuali per i quali viene garantito il diritto alla traduzione. Gli atti elencati, sono caratterizzati dal fatto che contengono il capo di imputazione e l'indicazione di diritti della difesa. Viene, inoltre, riconosciuto il diritto alla traduzione gratuita di ulteriori atti processuali che siano ritenuti dal giudice essenziali in quanto contenenti le accuse a carico, e, al fine di garantire l'effettività del diritto riconosciuto, viene precisato al comma 3 dell'articolo in commento, come sostituito, che tale decisione assunta dal giudice sulla necessità della traduzione di un atto processuale sia motivata ed impugnabile con la sentenza, in armonia con la disciplina generale di cui all'art. 586 del codice di procedura penale. Infine, l'articolo 2 prevede come necessario l'inserimento negli albi dei periti istituiti presso ogni tribunale, ai sensi dell'art. 67 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, della figura professionale degli interpreti e dei traduttori, recependo la disposizione contenuta nell'art. 5, paragrafo 2, della citata direttiva che, infatti, sottolinea la necessità di istituire albi o registri allo scopo di assicurare un servizio indipendente e qualificato. A tal fine, viene previsto che il comitato di cui all'art. 68 disp. att. c.p.p., competente a decidere sulle richieste di iscrizione e di cancellazione dall'albo dei periti, quando è chiamato a provvedere per la categoria degli interpreti e dei traduttori, sia integrato da rappresentanti di associazioni rappresentative a livello nazionale di tale professione, attualmente non organizzata in ordini o collegi. Sul punto, si evidenzia come nel nostro ordinamento sia già riconosciuto rilievo alle associazioni professionali che, in base a determinate caratteristiche

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normativamente definite, sono ritenute rappresentative a livello nazionale delle professioni non regolamentate in ordine o collegi. A titolo esemplificativo, ai sensi dell'art. 26 del decreto legislativo n. 206 del 2007 (che ha recepito la direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali), presso il Ministero della giustizia è istituito un elenco nel quale sono annotate quelle associazioni considerate rappresentative a livello nazionale delle professioni non regolamentate, in base al riconoscimento del possesso di determinati requisiti. Agli enti associativi di categoria inseriti in detto elenco è attribuito un ruolo consultivo in sede di elaborazioni di proposte in materia di piattaforme comuni, quando la materia interessa attività professionali non regolamentaste in Italia. Inoltre, in attuazione della legge del 14 gennaio 2013, n. 4, recante disposizioni in materia di professioni non organizzate, è istituito presso il Ministero dello sviluppo economico l'elenco delle associazioni professionali delle attività non regolamentate, che dichiarano, con assunzione di responsabilità dei rispettivi rappresentanti legali, di essere in possesso dei requisiti e di rispettare le prescrizioni previsti dalla legge (v. art. 2, comma 7 della legge n. 4 del 2013). L'art. 2, inoltre, precisa che tali associazioni professionali di natura privatistica sono costituite con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole della concorrenza (art. 3 legge n. 4 del 2013). Il recepimento della direttiva 2010/64/UE rappresenta un ulteriore ed importante passo in avanti nel percorso di rafforzamento delle garanzie processuali degli indagati ed imputati, secondo la c.d. tabella di marcia di Stoccolma del 2009, fondamentale per facilitare tra gli Stati membri dell'Unione la cooperazione giudiziaria ed il riconoscimento reciproco delle sentenze nelle materie penali aventi dimensione sovranazionale.

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C.p.p. art. 143 bis Altri casi di nomina dell'interprete COMMENTO L'articolo in commento è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. d) del D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI). Come abbiamo visto, la vittima - ai sensi di quanto prescritto dall'art. 90-bis, comma 1, lett. e), - deve essere da subito informata circa il suo diritto all'interpretazione e alla traduzione degli atti del procedimento. A riguardo l'articolo in commento, con riferimento alla persona offesa che non conosca la lingua italiana, prevede sia l'assistenza di un interprete (comma 2) - anche mediante l'utilizzo delle tecnologie di comunicazione a distanza (comma 3) - sia la traduzione gratuita di atti contenenti informazioni utili all'esercizio dei suoi diritti (comma 4). A completamento di quanto prescritto dall'articolo in commento il legislatore del 2015 ha introdotto, all'interno delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, l'articolo 107-ter, che contempla la possibilità, per la vittima alloglotta, di presentare denuncia o querela (e di ottenere l'attestazione di ricezione delle stesse) in una lingua conosciuta. Tali previsioni vanno così ad integrare quanto disposto a tutela dell'imputato dal D.Lgs. n. 32/2014, che ha recepito la Direttiva sul diritto all'interpretazione e traduzione nei procedimenti penali (Dir. n. 2010/64/UE del 20 ottobre 2010, sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali).

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C.p.p. art. 144 Incapacità e incompatibilità dell'interprete GIURISPRUDENZA Sussiste la causa di incompatibilità prevista dall'art. 144 c.p.p., lett. d), a prestare l'ufficio di interprete nei confronti di chi, nell'ambito dello stesso procedimento, abbia provveduto a tradurre e a trascrivere, con incarico peritale, il contenuto di intercettazioni telefoniche (6303/2001, rv 218251). La nullità conseguente all'incompatibilità dell'interprete è di natura relativa e va pertanto eccepita, a pena di decadenza, entro i termini di cui all'art. 182, comma secondo, c.p.p. (20864/2010). Sussiste incompatibilità con l'ufficio di interprete per il soggetto che, nello stesso procedimento, abbia svolto il compito di trascrizione delle registrazioni delle comunicazioni intercettate. (In motivazione la Corte ha precisato che analoga incompatibilità sussiste per il soggetto in precedenza incaricato di effettuare la traduzione in lingua italiana delle conversazioni intercettate, la cui trascrizione sia stata affidata, con incarico contestuale, ad un terzo) (S.U. 18268/2011).

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C.p.p. art. 144 Incapacità e incompatibilità dell'interprete COMMENTO La ratio della norma consiste nell'assicurare che le funzioni di interprete siano eseguite fedelmente, nel senso che deve essere garantita la corretta traduzione delle dichiarazioni rese o degli atti o documenti da tradurre. A pena di nullità, l'esercizio delle funzioni di interprete risulta precluso per: a) il minorenne, l'interdetto, l'inabilitato e chi è affetto da infermità di mente: il minorenne è colui che non ha ancora compiuto i diciotto anni di età; l'interdizione è un istituto sorto al fine di tutelare chi non è in grado di provvedere ai propri interessi e si profila come causa impeditiva o estintiva dell'acquisto della capacità di agire rispettivamente quando viene pronunciata nell'ultimo anno della minore età o dopo il compimento dei diciotto anni; l'inabilitazione è una situazione giuridica assimilabile all'interdizione, nella quale viene a trovarsi un soggetto incapace di provvedere ai propri interessi, a causa di un'alterazione delle capacità mentali, di minore intensità rispetto a quella cui consegue l'interdizione. L'inabilitazione viene pronunciata per: – attuale e abituale malattia di mente di limitata gravità; – prodigalità: comportamento abituale caratterizzato da “sperpero” dei propri averi; – abuso di alcool o di sostanze stupefacenti; – sordomutismo o cecità dalla nascita. L'infermità di mente è uno stato psichico che esclude totalmente o comunque scema grandemente la capacità di intendere e di volere; b) l'interdetto dai pubblici uffici o dall'esercizio di una professione o di un'arte: trattasi, in entrambe le fattispecie, di pene accessorie, cioè di misure sanzionatorie che limitano la capacità del condannato, la possibilità di esercitare attività o svolgere determinate funzioni, o aumentano il grado di afflittività della pena principale. L'interdizione dai pubblici uffici [c.p. 28] comporta la perdita di una serie di diritti del condannato, quali quelli elettorali, quello di esercitare qualsiasi pubblico servizio non obbligatorio o quello di usufruire di insegne onorifiche. L'interdizione dall'esercizio di una professione o di un'arte [c.p. 30], invece, consiste nell'impossibilità di esercitare una professione o un'arte oppure un mestiere per cui è necessario un permesso dell'autorità e comporta la decadenza di tale permesso se precedentemente ottenuto; c) chi è sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione: le misure di sicurezza sono istituti giuridici che trovano applicazione di fronte alla necessità del riadattamento sociale del delinquente; la loro finalità, infatti, è quella di rieducare e risocializzare un soggetto ritenuto pericoloso per la collettività [c.p. Libro I, Titolo VIII]; le misure di prevenzione, invece, sono strumenti di prevenzione della criminalità, applicati quando un soggetto appare, sulla base di semplici indizi o sospetti, socialmente pericoloso, pur non avendo concretamente commesso alcun reato.

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d) chi non può fare il testimone o può astenersi dal farlo, chi viene assunto come testimone o perito, chi viene chiamato come consulente tecnico in un procedimento connesso o nello stesso procedimento: il testimone [194] è una persona, estranea alle parti in causa, che dichiara o espone oralmente all'autorità giudiziaria fatti a lei noti, inerenti l'oggetto del processo; il perito [221] è un soggetto iscritto in un particolare albo professionale, deputato a svolgere un'attività tesa all'integrazione delle cognizioni del giudice quando la decisione della causa richiede accertamenti e competenze relative a materie specialistiche e tecniche; il consulente tecnico [225] è un soggetto chiamato dal giudice ad effettuare valutazioni che richiedono la conoscenza di particolari nozioni specialistiche. In ciascuno di questi casi il legislatore intende porre rimedio a situazioni di potenziale conflitto di interessi le quali nuocerebbero al sereno e corretto espletamento dell'ufficio in questione.

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C.p.p. art. 145 Ricusazione e astensione dell'interprete COMMENTO L'interprete, quando sussistono i motivi di incompatibilità o di incapacità delineati nell'articolo precedente, può essere ricusato dalle parti o, qualora si tratti di atti compiuti o disposti dall'organo giudicante, anche dal pubblico ministero. La ricusazione, quindi, nel caso di specie persegue una finalità diversa rispetto a quella cui risulta strumentale la ricusazione del giudice, essenzialmente volta a garantire l'esercizio imparziale della funzione giurisdizionale. Se le parti hanno la facoltà di ricusare l'interprete, questi, laddove sussistano cause di ricusazione o gravi ragioni di astensione, deve obbligatoriamente dichiararlo. I provvedimenti in questione soggiacciono a precisi limiti temporali: le dichiarazioni di astensione o di ricusazione, infatti, possono essere presentate o fino al termine delle formalità di conferimento dell'incarico o, se i motivi sopravvengono o sono riconosciuti in un momento successivo, prima che l'interprete porti a conclusione le funzioni che gli sono state conferite. Il provvedimento che decide sulla ricusazione o l'astensione dell'interprete ha la forma dell'ordinanza.

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C.p.p. art. 146 Conferimento dell'incarico COMMENTO Nel conferire l'incarico all'interprete, il giudice o il pubblico ministero accertano l'identità della persona e l'assenza di situazioni di incompatibilità. Dopo di ché l'autorità procedente, rivolgendosi all'interprete stesso, sottolinea espressamente l'obbligo di adempiere in modo corretto e fedele l'incarico assegnatogli, evidenziando che le funzioni devono essere espletate al fine di pervenire alla conoscenza della verità e che è fatto obbligo di mantenere il segreto su tutti gli atti da lui compiuti o formati in sua presenza. Tuttavia, a differenza di quanto accade per il perito [226], in sede di conferimento dell'incarico non viene prefigurata l'insorgenza di alcuna forma di responsabilità penale.

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C.p.p. art. 147 Termine per le traduzioni scritte. Sostituzione dell'interprete COMMENTO In determinati casi le traduzioni dell'interprete possono richiedere un lavoro piuttosto lungo: l'autorità competente, dunque, può concedere, per una sola volta, la proroga del termine fissato per l'esecuzione della traduzione, quando sussiste una giusta causa. Se l'interprete non consegna la traduzione nel termine perentoriamente stabilito, può essere sostituito con altro professionista; viene citato a comparire per rendere dichiarazioni a propria discolpa e può essere condannato a pagare una somma di denaro a favore della cassa delle ammende.

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C.p.p. art. 148 Organi e forme delle notificazioni GIURISPRUDENZA In tema di misure cautelari, se al titolare dell'ufficio di difesa, e non già al suo sostituto, va notificato, ai sensi dell'art. 293, comma 3, c.p.p., l'avviso di deposito dell'ordinanza applicativa di un'ordinanza coercitiva al fine di porlo a conoscenza dell'atto e di segnare l'inizio del decorso del termine per la proposizione della richiesta di riesame, deve essere escluso che una tale notificazione sia dovuta nel caso in cui il sostituto del difensore, la cui nomina è doverosa a norma dell'art. 97, comma 4, c.p.p., sia stato presente alla lettura dell'ordinanza cautelare effettuata all'esito dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo e tale lettura abbia tenuto luogo della notificazione, ai sensi dell'art. 148, comma 5, c.p.p., per la menzione fattane a verbale, essendo ricompreso nell'adempimento dei doveri professionali del sostituto il compito di informare il difensore sostituito dell'emissione e del contenuto del provvedimento (4003/1999, rv 214408). In tema di forme delle notifiche dei provvedimenti, la disposizione di cui al quinto comma dell'art. 148 c.p.p. detta una disciplina generale che si applica anche alle ordinanze impositive di misura cautelare (138/2000, rv 215486). Nel caso di notificazioni o avvisi a difensori di cui sia stata disposta l'effettuazione “con mezzi tecnici idonei” (nella specie, telefax) ai sensi del comma 2 bis dell'art. 148 c.p.p., la mancata attestazione, da parte dell'ufficio, di aver trasmesso il testo originale, come prescritto dall'ultima parte della suindicata disposizione normativa, comporta una mera irregolarità, insuscettibile, come tale, di dar luogo a giuridica inesistenza o a nullità dell'atto (217/2002, rv 223029). In tema di notificazione, la dichiarazione di domicilio prevale su una precedente elezione di domicilio, pur non espressamente revocata (41280/2006). La notificazione a mezzo telefax, nella specie utilizzato per l'avviso di deposito della sentenza, rientra tra le forme ordinarie che

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non richiedono, a differenza delle forme particolari di notificazione di cui all'art. 150 c.p.p., un previo decreto motivato del giudice (34028/2010). La notificazione di un atto all'imputato o ad altra parte privata, in ogni caso in cui possa o debba effettuarsi mediante consegna al difensore, può essere eseguita con telefax o altri mezzi idonei a norma dell'art. 148 comma 2 bis c.p.p. (S.U. 28451/2011). È illegittima la notifica del decreto di citazione a giudizio dell'imputato fatta in udienza mediante lettura del decreto stesso al difensore presente giacché la equipollenza della lettura alle notificazioni prevista dall'art. 148, comma 5, c.p.p. riguarda unicamente “ i provvedimenti” e “gli avvisi dati dal giudice verbalmente” e non anche gli atti processuali (15624/2013). La notificazione via telefax è perfezionata con la semplice attestazione dell'invio dell'atto, non è necessaria la conferma del destinatario: è il difensore a dover dimostrare di non aver ricevuto l'atto in questione (15573/2013). Anche dopo l'entrata in vigore del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, e relativa conversione in legge, sono valide le notificazioni a persona diversa dall'imputato o indagato eseguite per via telematica, ai sensi del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, e relativa conversione in legge, dagli Uffici giudiziari già autorizzati dal decreto 1 ottobre 2012 del Ministro della Giustizia (S.U. 32243/2015).

In tema di notificazione tramite posta elettronica certificata (c.d. pec), la specifica procedura del “Sistema di Notificazioni Telematiche” (SNT) per gli atti processuali, che permette di allegare un documento previamente scansionato - non più soggetto a modifiche dopo l’invio - ed il controllo sulla corretta indicazione dell’indirizzo del destinatario, offre adeguate garanzie di affidabilità che non possono essere superate dalla mera, generica, deduzione della incompletezza o non corrispondenza dell’atto ricevuto all’originale scansionato (56280/2017). In tema di notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certificata (c.d. pec), deve considerarsi regolarmente perfezionata la comunicazione o la notificazione mediante deposito in cancelleria, ai sensi dell’art. 16, comma 6, d.l. 16 ottobre 2012, n. 179 nel caso in cui la mancata consegna del messaggio di PEC sia imputabile al destinatario (54141/2017).

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In tema di notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certificata (c.d. pec), l’invio di un’unica copia dell’atto da notificare non dà luogo ad alcuna irregolarità, qualora risulti che l’atto viene consegnato al difensore sia in proprio, sia nella qualità di domiciliatario dell’interessato (12309/2018). In tema di procedimento di prevenzione, è legittimo l’utilizzo della “pec” per le notificazioni e le comunicazioni a persona diversa dall’imputato, ai sensi degli artt. 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, cod. proc. pen., eseguite sia da parte della cancelleria che dell’ufficio della Procura della Repubblica o della Procura Generale presso la Corte di Appello (21740/2018). La notifica via pec al difensore rientra tra quelle consentite dall'articolo 148, comma 2-bis, c.p.p., e deve ritenersi valida, se l'atto raggiunge il suo scopo, a prescindere dall'emanazione dei decreti attuativi del ministero della giustizia destinati a regolamentare l'utilizzo della posta elettronica certificata. Non solo. L'avvocato non può eleggere domicilio, previsto solo per l'imputato e la persona sottoposta ad indagini. Pertanto la pec è più che sufficiente (S.U. 23620/2018).

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C.p.p. art. 148 Organi e forme delle notificazioni COMMENTO Tale disposto normativo disciplina la materia relativa agli organi e alle forme delle notificazioni. Il contenuto sostanziale della regolamentazione in oggetto è stato rivisitato attraverso molteplici interventi legislativi: – il cosiddetto “pacchetto sicurezza” (L. n. 128 del 2001); – la “normativa in tema di terrorismo internazionale” (L. n. 438 del 2001); – il “codice in materia di protezione dei dati personali” (D.Lgs. n. 196 del 2003); – il cosiddetto “pacchetto antiterrorismo” (D.L. n. 144 del 2005, convertito in L. n. 155 del 2005). – il c.d. “processo telematico” (art. 4, D.L. 193/2009, convertito in L. 24/2010, che ha introdotto nel nostro ordinamento disposizioni che mirano a completare il processo di digitalizzazione della giustizia avviato con il D.P.R. 13 febbraio 2001 n. 123). Per quanto riguarda gli organi notificatori, il primo capoverso della norma sancisce che la titolarità della competenza relativa alla notificazione degli atti è da riconoscersi in capo all'ufficiale giudiziario e a chi ne esercita le funzioni, cioè a coloro che svolgono un'attività di ausilio in favore dell'ufficiale; tuttavia, in determinati casi, ovvero quando si è in presenza di procedimenti con detenuti ed in quelli davanti al tribunale del riesame, la notificazione può essere eseguita, su disposizione del giudice e nei casi d'urgenza, anche dalla polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti. Il comma 2 bis, introdotto dalla L. 438 del 2001 che ha convertito il D.L. 374 del 2001, sancisce che l'autorità giudiziaria può disporre che le notificazioni ai difensori siano eseguite con mezzi idonei. Contrariamente a quanto previsto per le notificazioni all'imputato, per le notificazioni degli avvisi al difensore, le attestazioni contenute sulla relata possono essere integrate dall'intero contesto del documento da notificare; ciò vale a maggior ragione nell'ipotesi di notifica negativa, in cui non è ipotizzabile una situazione di incertezza assoluta del destinatario, la quale darebbe luogo alla nullità di cui all'art. 171, non essendovi destinatario (così Cassazione n. 852 del 1994). Normalmente l'atto viene notificato integralmente attraverso la consegna dello stesso nelle mani del destinatario. Invero esistono anche forme alternative, ma di equivalente valore, quali la consegna della copia dell'atto da notificare all'interessato da parte della cancelleria o la lettura dei provvedimenti alle persone presenti e degli avvisi che sono dati dal giudice verbalmente agli interessati in loro presenza. In ossequio alle nuove regole codificate in tema di tutela della privacy, laddove la notifica non possa essere eseguita in mani proprie del destinatario, l'ufficiale giudiziario o la polizia giudiziaria provvedono a consegnare la copia dell'atto da notificare, fatta eccezione per il caso di notificazione al difensore o al domiciliatario, dopo averla inserita in busta che sigillano, trascrivendovi il numero cronologico della

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notificazione dandone atto nella relazione in calce all'originale e alla copia dell'atto. Peraltro le comunicazioni, gli avvisi ed ogni altro biglietto o invito consegnati non in busta chiusa a persona diversa dal destinatario debbono recare le indicazioni strettamente necessarie (art. 174, D.Lgs. 196 del 2003; v. però, art. 27, D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101 di soppressione). La sanzione di nullità è, poi, comminata dal successivo art. 171, lettera a) solo per il caso in cui l'atto sia notificato “in modo incompleto”. Ne consegue che deve considerarsi atto completo e quindi utilmente notificabile, quello che, per quanto non intero, contenga tuttavia gli elementi essenziali di conoscenza per il pieno esercizio del diritto di difesa (così Cassazione n. 3273 del 1993). Ricordiamo che le Sezioni Unite penali della Cassazione, con sent. n. 28451 del 19 luglio 2011, hanno affermato il principio di diritto in base al quale le notificazioni di atti, che abbiano come destinatario l'imputato o altra parte privata, possono essere eseguite con telefax o altro mezzo idoneo, a norma del comma 2 bis dell'articolo in commento, in ogni caso in cui gli atti da notificare possano o debbano essere consegnati al difensore. Secondo un remoto indirizzo interpretativo, quando il domicilio dichiarato viene individuato, ma l'imputato o il domiciliatario da lui nominato non è reperito, nè vi sono persone idonee a ricevere la copia dell'atto, la notifica deve avvenire con deposito presso casa comunale. L'indirizzo interpretativo più recente, invece, afferma che il mancato reperimento dell'imputato presso il domicilio dichiarato ovvero del domiciliatario da lui indicato, si sostanzia in una situazione di inidoneità o insufficienza della dichiarazione, rendendo legittima la notifica mediante consegna al difensore senza che sia adempiuto il deposito presso la casa comunale. Sul punto la Corte Costituzionale afferma che l'ordinamento giuridico non può farsi carico dell'eventuale disinteresse dell'imputato per il processo, quando questi, adeguatamente avvisato, cosa che avviene mediante la prima notificazione ex 157 c.p.p, ovvero per mezzo della nomina di un difensore di fiducia. In definitiva, tenuto conto delle qualità professionali del difensore e degli obblighi derivanti dal mandato fiduciario ricevuto ovvero per disposizione di legge, nel caso di nomina d'ufficio, non sussistono ragioni per valutare diversamente l'idoneità a rendere adeguatamente edotto l'imputato della natura giuridica dell'atto di cui è destinatario, che egli sia consegnatario ex 157 comma 8 bis c.p.p, ovvero quale domiciliatario nominato ex art. 161 c.p.p. indipendentemente dalle modalità con cui l'atto notificato è stato consegnato.

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C.p.p. art. 149 Notificazioni urgenti a mezzo del telefono e del telegrafo GIURISPRUDENZA In tema di notificazioni urgenti ex art. 149, quarto comma, c.p.p. – attesa la funzione della conferma telegrafica che è quella di dissipare i dubbi sull'autenticità della provenienza della comunicazione telefonica – qualora il difensore di fiducia dell'arrestato, subito dopo essere stato edotto, a mezzo telefono, della fissazione dell'udienza di convalida, provveda ad inviare con telegramma istanza di rinvio dell'interrogatorio del proprio assistito, per l'impossibilità di presenziare alla data e all'ora fissate dal G.i.p., l'omessa conferma telegrafica non determina alcuna nullità né assoluta, né relativa, né intermedia ex art. 180 c.p.p. e, se verificatasi, è da ritenersi sanata ai sensi dell'art. 184 c.p.p., dovendo assimilarsi all'ipotesi della comparizione della parte interessata quella in cui pur non comparendo abbia chiesto il rinvio, rivelando così di non aver alcun interesse alla ricezione del telegramma di conferma e manifestando l'intento di voler comparire, ma non per far rilevare l'irregolarità bensì per svolgere all'udienza di cui trattasi il ruolo che gli compete (6902/1992, rv 189017). In tema di interrogatorio della persona sottoposta a custodia cautelare, l'art. 294 c.p.p. non contiene espresse previsioni sulle formalità del relativo avviso e della sua notificazione o comunicazione al difensore, sicché è valido ed efficace quello effettuato a mezzo del telefono ai sensi dell'art. 149 c.p.p., senza che al destinatario competa la conferma telegrafica di cui al quarto comma del predetto art. 149 c.p.p., neppure nell'ipotesi in cui il messaggio sia stato ricevuto e registrato dalla segreteria telefonica, incombendo sul difensore l'onere di apprenderne il contenuto essenziale (5543/1995, rv 204741). La prescritta comunicazione al difensore di fiducia dell'avviso di fissazione dell'udienza di discussione della richiesta di riesame del provvedimento cautelare personale – stante l'urgenza

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conseguente all'estrema ristrettezza ed alla perentorietà dei termini volute del legislatore in ragione della tempestiva tutela dello “status libertatis” – può essere effettuata anche a mezzo di telefono, fonogramma e telegramma; in tale ultimo caso la prova della avvenuta comunicazione risulta sufficientemente raggiunta attraverso la produzione di copia dell'atto di spedizione rilasciata dall'ufficio postale trasmittente, ai sensi dell'art. 55 disp. att. c.p.p., dalla quale risulti, ai sensi e per gli effetti dell'art. 149 c.p.p., la sussistenza degli elementi necessari a rendere idonea la comunicazione stessa in ordine agli atti giudiziari cui risulti preordinata, spettando d'altro lato al difensore che abbia accettato il mandato fiduciario l'onere di rendere attuabile la ricezione degli atti che lo riguardino nel rispetto del termine previsto dall'art. 309, comma ottavo, c.p.p. (5617/1995, rv 200983). Nell'ipotesi di notificazione urgente a mezzo di telefono cellulare (detto anche telefonino portatile) dell'avviso al difensore della data dell'udienza di convalida (art. 149 c.p.p.), il buon esito della comunicazione – anche in caso di omessa annotazione, da parte della cancelleria, del numero di utenza chiamata sull'originale dell'avviso – non costituisce nullità riverberantesi sul successivo interrogatorio; e ciò nonostante il fatto che il recapito telefonico del cellulare non corrisponda ai luoghi indicati nel primo e nel secondo comma dell'art. 157 c.p.p. (1305/1997, rv 208013). La mancata conferma telegrafica della notificazione telefonica dell'avviso di fissazione della data dell'udienza di riesame integra – concernendo la partecipazione non obbligatoria del difensore – una nullità generale a regime intermedio che può essere dedotta nei limiti indicati dall'art. 182 c.p.p. e che rimane sanata nei casi previsti dagli artt. 183 e 184 c.p.p. (4000/1999, rv 214580). L'utilizzazione, per la comunicazione al destinatario di atti dei quali egli abbia diritto di ricevere l'avviso, di forme diverse da quelle tipiche previste per le notificazioni è ammessa soltanto nelle ipotesi stabilite da singole disposizioni di legge e in presenza delle specifiche situazioni in esse indicate e sempre che i mezzi cui si sia fatto ricorso siano astrattamente idonei a rendere noto l'avviso medesimo, a nulla rilevando, poi, che in concreto esso non sia giunto ad effettiva conoscenza del destinatario (22309/2003, rv 224552).

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L'avviso al difensore, della data fissata per l'udienza davanti al tribunale del riesame, va comunicato almeno tre giorni prima, e va effettuato osservando le forme previste per le notifiche, per cui, nei casi di urgenza, può anche procedersi alla notificazione a mezzo del telefono, purché siano rispettate, a pena di nullità, le modalità previste dall'art. 149 c.p.p., che richiede che la telefonata sia ricevuta dal destinatario e che sia confermata mediante telegramma. Ai sensi del comma 4 dell'art. 149 c.p.p. detta comunicazione telefonica ha valore di notificazione, con effetto dal momento in cui è avvenuta, sempre che della stessa sia data immediata conferma al destinatario mediante telegramma (27088/2010). In tema di giudizio di rinvio di riesame cautelare personale, il termine per la decisione di “dieci giorni dalla ricezione degli atti” ex art. 311, comma 5-bis, cod. proc. pen., decorre, in caso di trasmissione degli atti a mezzo di posta elettronica certificata senza adozione di forme particolari ex art. 64 disp. att. cod. proc. pen. e 149 e 150 cod. proc. pen., non dalla ricezione della p.e.c. da parte dell’ufficio giudiziario destinatario della stessa, ma da quello di effettiva e reale percezione e conoscenza degli atti attraverso la stampa della p.e.c. e la verifica della integralità degli atti trasmessi (21710/2018).

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C.p.p. art. 149 Notificazioni urgenti a mezzo del telefono e del telegrafo COMMENTO Quando ragioni di particolare urgenza lo rendono necessario, la notificazione può essere effettuata, su specifico ordine del giudice il quale si attiva ex officio o su istanza di parte, anche attraverso strumenti rapidi come il telefono o il telegrafo. Tuttavia, il ricorso a tali espedienti risulta ammesso soltanto quando l'atto deve essere notificato ad una persona diversa dall'imputato, per l'evidente delicatezza della posizione processuale nella quale viene a trovarsi il destinatario degli addebiti il cui status impone la più ampia tutela dei diritti difensivi. Dal punto di vista strettamente tecnico tale forma di notificazione richiede che sull'originale dell'avviso siano annotati alcuni dati relativi alla persona che riceve la comunicazione e il contesto temporale nel quale la telefonata viene realizzata. Quest'ultima, pertanto, non ha rilevanza giuridica in quanto tale, come strumento di notificazione, ma necessita di un susseguente telegramma, che viene inviato al destinatario per dare conferma della comunicazione effettuata. Il codice distingue tra “dare avviso” e “notificare avviso” e fa ricorso alla prima espressione allorché v'è una situazione d'urgenza, per cui è sufficiente procurare al destinatario dell'avviso l'effettiva conoscenza della notizia, anche se questa è comunicata con forme diverse da quelle prescritte per le notificazioni. Ne consegue che, allorché l'avviso è dato mediante telefono, la spedizione del telegramma di conferma è richiesta soltanto quando la comunicazione telefonica debba avere valore di notificazione e non quando assolva la mera funzione di avviso (così Cassazione n. 348 del 1994). L'ultimo capoverso stabilisce, infine, che quando le circostanze fattuali non permettono di seguire le procedure di notificazione sopra delineate, la notificazione è eseguita per estratto, mediante telegramma.

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C.p.p. art. 150 Forme particolari di notificazione disposte dal giudice GIURISPRUDENZA L'avviso al difensore di fiducia dell'arrestato, relativo alla fissazione dell'udienza di convalida, dato a mezzo del telefono, ma non seguito dalla conferma mediante telegramma, non realizza integralmente la procedura della notificazione urgente, che è nulla perché la conferma telegrafica è specificamente prevista dalla legge come condizione di validità della notificazione stessa. Il telefono e il telegrafo non sono comprensibili fra i “mezzi tecnici” di cui all'art. 150 c.p.p., essendo l'uso di essi disciplinato specificamente dall'articolo precedente, mentre i “mezzi tecnici” sono quelli che l'evoluzione tecnologica fornisce (telefax) o potrà fornire (norma “aperta”) al di là del telefono e del telegrafo così come correntemente usati (5741/1990, rv 186821). Costituisce mezzo tecnico idoneo di comunicazione e di notificazione di atti la trasmissione mediante telefax, che è da considerare equipollente al telegramma, al fonogramma e alla raccomandata, espressamente previsti dalla legge, allorché esso sia consigliato da ragioni particolari (4967/1992, rv 189265). La trasmissione del verbale di arresto al pubblico ministero entro il termine indicato dall'art. 386 c.p.p. può avvenire con qualsiasi mezzo idoneo, purché la stessa sia effettuata per l'intero contenuto dell'atto, e non mediante semplice comunicazione per riassunto, consentendo al P.M. di controllare immediatamente la ritualità delle circostanze nelle quali la restrizione della libertà si è verificata (4603/1993, rv 192967). L'avviso al difensore della data dell'udienza camerale ex art. 310 c.p.p., può, come qualsiasi avviso urgente, essere effettuato anche a mezzo fax, giusta la generale previsione di cui all'art. 150 c.p.p., ma in tal caso, non offrendo in sé il mezzo in questione la certezza che la comunicazione sia regolarmente giunta a destinazione, grava sul soggetto trasmittente l'onere di assicurarsi di tale circostanza, dovendosi, in difetto, escludere che la notifica sia stata regolarmente effettuata (2116/2000, rv 216728).

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In tema di notificazioni per i privati e i difensori non v'è alternativa all'adozione delle forme espressamente previste dalla normativa processuale, costituita dall'art. 121 c.p.p., che stabilisce che le memorie e le richieste delle parti devono essere presentate al giudice per iscritto mediante deposito in cancelleria. L'art. 150 c.p.p., che contempla l'uso di forme particolari, quali il telefax, indica nei funzionari di cancelleria gli unici soggetti abilitati ad avvalersene. Ne deriva che il mezzo in questione non può essere utilizzato per chiedere il rinvio dell'udienza (11465/2002, rv 223920). Il telefax costituisce strumento tecnico valido per la notificazione di avvisi al difensore (nella specie, si trattava dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare), dovendosi ritenere in proposito che la procedura di trasmissione è regolare quando è confermata dall'apparecchio trasmittente. Mentre la mancanza di un formale provvedimento del giudice che disponga procedersi a tale metodica di notificazione assume rilievo, specie nell'ambito di una procedura ormai standardizzata come quella del telefax, solo quando manchi la prova della ricezione del fax da parte del difensore o quando la mancata ricezione sia stata formalmente dedotta (24842/2007).

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C.p.p. art. 150 Forme particolari di notificazione disposte dal giudice COMMENTO La norma costituisce una disposizione “aperta”, dettata dall'opportunità di avvalersi anche per le notificazioni dei nuovi strumenti che il progresso mette e metterà a disposizione della collettività. Attese l'eterogeneità di detti mezzi e le possibili modificazioni derivanti dal processo tecnologico, la norma in esame delinea un sistema innominato e atipico di notificazione, senza imporre un procedimento standard, sicché è necessario che sia il giudice a stabilire, con decreto in calce all'atto, non solo la natura del mezzo, ma anche le modalità necessarie per portare l'atto a conoscenza del destinatario (così Cassazione n. 3234 del 1994). La norma di cui all'articolo precedente predispone una disciplina simile a quella in oggetto in tema di notificazioni, concedendo la possibilità di ricorrere a strumenti veloci quali il telefono e il telegrafo: pertanto la presenza di una disposizione a sé stante rende palesemente comprensibile il fatto che i suddetti mezzi non rientrano fra quelli a cui fa riferimento la disposizione in oggetto. Vi sono ricompresi, invece, strumenti quali il telefax e tutti quelli che l'evoluzione tecnica futura potrà fornire. Per quanto concerne il destinatario di tali particolari forme di notificazione, vale quanto detto al commento sub art. 149, cui si fa rinvio.

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C.p.p. art. 151 Notificazioni richieste dal pubblico ministero GIURISPRUDENZA È abnorme l'ordinanza con cui il pretore, dichiarata la nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio, operata dalla Polizia giudiziaria su richiesta del pubblico ministero, rimette gli atti a questi. La suddetta notifica, invero, è legittima ai sensi dell'art. 151, primo comma, c.p.p., dal momento che la locuzione “nel corso delle indagini preliminari” comprende anche l'atto terminale delle indagini stesse, mentre l'abnormità deriva dalla conseguente illegittima rimessione in termini dell'imputato nelle facoltà indicate nella lettera e) dell'art. 555 c.p.p., determinata dalla declaratoria di nullità (4903/1994, rv 200445). È legittima la notificazione di atti al difensore mediante l'uso del fax anche in assenza di un provvedimento di autorizzazione del giudice, che rileva solo quando il destinatario indichi le ragioni della mancata ricezione dell'atto. (Nella specie, la segreteria del p.m. aveva notificato a mezzo fax al difensore la revoca del decreto di sospensione dell'ordine di esecuzione) (6395/2010). La violazione dei limiti dettati dagli art. 148 e 151 c.p.p., in riferimento alla possibilità per l'autorità giudiziaria di avvalersi della polizia giudiziaria per la notificazione degli atti, costituisce una mera irregolarità e non determina l'inesistenza né la nullità dell'atto, restando comunque la polizia giudiziaria un organo di notificazione e non essendo la nullità prevista dalla legge (23944/2013).

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C.p.p. art. 151 Notificazioni richieste dal pubblico ministero COMMENTO Il nostro sistema penale predispone per il pubblico ministero una disciplina indipendente in tema di notificazioni, il tutto in considerazione del fatto che quest'ultimo costituisce una delle parti del processo, al pari delle altre parti private. La norma in esame ricalca sostanzialmente quanto stabilito all'art. 148 con una peculiarità: durante le indagini preliminari, le notificazioni di atti del pubblico ministero sono eseguite dall'ufficiale giudiziario, ovvero dalla polizia giudiziaria nei soli casi di atti di indagine o provvedimenti che la stessa polizia giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire. Per quanto concerne gli ultimi commi si rinvia a quanto commentato all'art. 148.

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C.p.p. art. 152 Notificazioni richieste dalle parti private GIURISPRUDENZA Nel processo penale, allo stato attuale, le comunicazioni e le notificazioni con le parti private non possono essere effettuate tramite l'utilizzo della posta elettronica, neanche se certificata (Pec). Di conseguenza, non è configurabile alcuna nullità se il giudice non prende in considerazione l'istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore inviata per e-mail alla cancelleria (7058/2014). Tenuto conto di quanto stabilito dall’art. 48, D.Lgs. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale), nonché dalle regole di cui al D.P.R. 68/2005 (Regolamento sull’utilizzo della posta elettronica certificata), deve ritenersi che la lettera raccomandata, di cui può avvalersi il difensore ai sensi dell’articolo in commento, può essere sostituita dalla comunicazione a mezzo PEC, con la conseguenza che la notifica effettuata a mezzo PEC dal difensore dell’imputato al difensore della persona offesa ex art. 299 c.p.p., deve ritenersi validamente effettuata. Tale conclusione consente di soddisfare pienamente le esigenze di tutela della persona offesa, sottese al citato art. 299 c.p.p., non essendo dubitabile che la comunicazione effettuata a mezzo PEC costituisce uno strumento idoneo a portare un atto a conoscenza del destinatario e ad avere certezza della sua ricezione (26506/2020).

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C.p.p. art. 152 Notificazioni richieste dalle parti private COMMENTO Per ragioni di economia processuale la legge consente alle parti private di richiedere delle notificazioni: le procedure notificative possono essere sia quelle che sottostanno alle regole ordinarie, sia quelle ispirate a modalità più semplificate, come quella disciplinata dalla norma in esame. È stabilito, infatti, che la notificazione può essere effettuata, salvo che la legge imponga il ricorso al procedimento ordinario, attraverso l'invio di copia dell'atto da parte del difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento: il momento perfezionativo della notificazione è da collocarsi temporalmente nel momento in cui la raccomandata viene ricevuta secondo quanto previsto dalla disciplina in materia postale. La norma in commento deve essere letta alla luce di quanto stabilito all'art. 56 disp. att., che al fine di assicurare l'eseguita spedizione della comunicazione, obbliga il difensore a depositare in cancelleria la copia dell'atto spedito, la certificazione relativa alla conformità dell'atto all'originale e l'avviso di ricevimento.

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C.p.p. art. 153 Notificazioni e comunicazioni al pubblico ministero GIURISPRUDENZA La legale conoscenza di un atto o provvedimento del giudice da parte del pubblico ministero segue solo alla comunicazione effettuata dalla cancelleria nella forma di avviso di deposito ex art. 128 c.p.p. o integralmente, secondo le modalità prescritte dell'art. 153 c.p.p., con la sola eccezione dell'avvenuta presa di conoscenza (del contenuto del documentario) ad opera del suddetto pubblico ministero attestata con la sottoscrizione della persona fisica che rappresenta l'accusa nel procedimento nel quale l'atto è stato compiuto o il provvedimento pronunciato. Conseguentemente la semplice ricezione degli atti del procedimento da parte della segreteria dell'ufficio del pubblico ministero, attraverso il cosiddetto “registro di passaggio”, non integra la formalità di comunicazione dell'atto o del documento come prescritto dalla legge e, pertanto, non è idonea a far decorrere il termine perentorio per impugnare (686/1996, rv 205020). In tema di procedimento di prevenzione, non è consentito alla cancelleria del giudice effettuare comunicazioni o notificazioni al pubblico ministero mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata (c.d. PEC), atteso il mancato richiamo dell’art. 153 c.p.p. da parte dell’art. 16, commi 4 e 9, lett. c-bis del d.l. 12 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221; ne consegue che i termini per l’impugnazione del decreto di revoca della misura da parte del pubblico ministero decorrono dalla comunicazione eseguita nelle forme di cui all’art. 153, comma 2, c.p.p., ovvero, nel caso in cui si sia proceduto nelle forme della comunicazione digitalizzata, dal giorno in cui il pubblico ministero ha avuto materiale conoscenza del provvedimento (3181/2019).

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C.p.p. art. 153 Notificazioni e comunicazioni al pubblico ministero COMMENTO La disposizione in commento disciplina le notificazioni e le comunicazioni al pubblico ministero. La distinzione terminologica contenuta nella rubrica della norma non è priva di significato: si parla, infatti, di notificazioni soltanto qualora l'atto provenga dalle parti private o dal difensore, mentre si parla di comunicazione qualora la medesima attenga ad atti e provvedimenti del giudice. In particolare: – il primo comma stabilisce che le notificazioni al pubblico ministero sono eseguite attraverso la consegna, effettuata anche in maniera diretta dalle parti o dal difensore, di copia dell'atto nella segreteria, che è l'ufficio ove gli ausiliari del pubblico ministero svolgono le attività derivanti dalla propria competenza funzionale, fra le quali rientrano quelle consistenti nell'annotare sull'originale e sulla copia dell'atto le generalità di chi ha effettuato la consegna e lo spazio temporale nel quale è stata eseguita; – il secondo comma sancisce, invece, che i provvedimenti del giudice vengono comunicati al pubblico ministero secondo una procedura sostanzialmente analoga alla precedente, salvo il caso in cui il pubblico ministero prende direttamente visione dell'atto sottoscrivendolo.

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C.p.p. art. 154 Notificazioni alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria GIURISPRUDENZA Il decreto di citazione a giudizio nel procedimento pretorile deve, a pena di nullità ex art. 178, comma primo, lett. c), c.p.p., essere notificato alla costituita parte civile presso il difensore munito di procura speciale, idonea a conferirgli la rappresentanza in giudizio, come disposto dall'art. 154, comma quarto, c.p.p., a nulla rilevando che il detto decreto sia stato notificato personalmente alla parte quale danneggiata dal reato (3843/1994, rv 197961). È valida la notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale per l'opposizione alla richiesta di archiviazione effettuata in favore della persona offesa presso il domicilio dichiarato originariamente, ancorchè successivamente ne abbia indicato uno ulteriore, atteso che tale ultima indicazione, se non accompagnata da una espressa dichiarazione in tal senso, non può essere intesa come revoca tacita del primo domicilio (7081/2010).

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C.p.p. art. 154 Notificazioni alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria COMMENTO Il legislatore, nel delineare la materia relativa alla notificazione degli atti, ha predisposto una norma capace di disciplinare unitariamente le notificazioni alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria, il tutto in considerazione del fatto che le procedure formali da seguire corrispondono per tutti alla prima notificazione all'imputato non detenuto. Analizzando in maniera più approfondita la struttura della norma in esame, si evince che le notificazioni alla persona offesa dal reato (soggetto portatore dell'interesse, giuridicamente rilevante, protetto dalla norma incriminatrice che viene leso dalla fattispecie di reato commessa), ricalcano sostanzialmente le modalità procedimentali previste all'art. 157: vanno eseguite, cioè, presso l'abitazione o il luogo in cui è esercitata abitualmente l'attività lavorativa, ovvero, in via meramente secondaria, presso il luogo in cui è stabilita temporaneamente la dimora. La notificazione, se viene effettuata direttamente nelle mani dell'interessato o di altro soggetto con questo convivente, è validamente eseguita e non richiede ulteriori adempimenti formali; se viene effettuata, invece, nelle mani del portiere o di chi ne fa le veci, l'ufficiale giudiziario deve darne notizia al destinatario a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Se le circostanze fattuali non permettono di eseguire le notificazioni nei modi sopra descritti, l'ufficiale giudiziario deposita l'atto nella casa comunale dove la persona offesa ha l'abitazione o esercita l'attività lavorativa, con relativo avviso del deposito tramite affissione nella porta dei luoghi sopra citati; l'ufficiale giudiziario, da ultimo, deve comunicare l'avvenuto deposito a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Può accadere che il luogo di abitazione e il domicilio della persona offesa siano sconosciuti, ed allora la notificazione viene eseguita mediante deposito dell'atto nella cancelleria. Se la persona offesa risiede o ha dimora all'estero, è chiamata ad eleggere o dichiarare domicilio in Italia [161]; se nel termine indicato tale adempimento non viene regolarmente eseguito, la notificazione è effettuata mediante deposito dell'atto nella cancelleria. Per quanto concerne gli altri soggetti del processo, la notificazione della prima citazione al responsabile civile (persona fisica o giuridica che, seppure estranea alla fattispecie di reato, ne risponde, secondo la legge civile, a titolo di responsabilità per fatto altrui, qualora il danneggiato faccia valere nel procedimento penale pretese restitutorie o risarcitorie) e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (persona fisica o giuridica sulla quale incombe un'obbligazione pecuniaria – pari alla somma che il reo è tenuto a pagare dopo la condanna alla multa o all'ammenda – che deve essere adempiuta soltanto in caso di insolvibilità da parte del condannato) viene

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effettuata secondo le modalità previste per le notificazioni all'imputato non detenuto, ferma restando, in particolare, differentemente da quanto previsto per la persona offesa, la possibilità del doppio accesso ai luoghi di cui al comma 7 dell'art. 157. Le notificazioni susseguenti alla prima seguono una regolamentazione meno rigida di quella appena riportata, in considerazione del fatto che le parti già sono a conoscenza del processo. In taluni casi, quando cioè l'atto deve essere notificato alla parte civile (persona offesa che interviene nel processo penale per chiedere le restituzioni o il risarcimento dei danni procurati dal fatto di reato per cui si procede), al responsabile civile e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria costituiti in giudizio, le notificazioni devono essere effettuate presso i difensori. In caso di mancata costituzione in giudizio, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria devono dichiarare o eleggere domicilio nel luogo in cui si procede e le notificazioni verranno eseguite o nel domicilio dichiarato o eletto oppure tramite deposito in cancelleria, laddove l'adempimento richiamato non venga adempiuto. Tale ultima disciplina non può riguardare la parte civile, che non esiste senza la costituzione della persona offesa.

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C.p.p. art. 155 Notificazioni per pubblici annunzi alle persone offese COMMENTO Ove un determinato atto debba essere notificato ad un numero di persone tale da rendere difficile la puntuale identificazione di tutti i destinatari e ciò renda pressoché impossibile seguire le normali procedure di notificazione, la legge consente il ricorso a forme particolari come quella prevista dalla disposizione in esame, che si configura come “norma aperta”, perché permette di portare a conoscenza di una moltitudine di soggetti l'atto da notificare attraverso l'ausilio di procedure atipiche. La notificazione può essere effettuata per pubblici annunci: presupposto imprescindibile perché il ricorso a tale espediente sia giuridicamente valido è la presenza di una disposizione in tal senso dell'autorità giudiziaria, che si pronuncia con decreto contenente l'indicazione dei destinatari e i modi più opportuni per portare l'atto a conoscenza degli interessati. Costituendo questa una forma anomala di notificazione, ragioni di certezza legale hanno portato il legislatore ad avvertire l'esigenza di un ulteriore adempimento: la copia dell'atto deve essere depositata nella casa comunale del luogo in cui si trova l'autorità procedente e un estratto è inserito nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. La disciplina qui esaminata non è estensibile all'imputato per i motivi già in precedenza precisati (vedi commento sub art. 149).

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C.p.p. art. 156 Notificazioni all'imputato detenuto COMMENTO In ipotesi di notificazione del decreto di citazione per il dibattimento di appello nei confronti di un imputato il cui stato di detenzione, per altra causa, non risulta dagli atti, va escluso la nullità della notificazione stessa, tenuto anche conto dell'ulteriore ipotesi che la persona alla quale è stato consegnato l'atto non ha fatto presente la circostanza della detenzione dell'imputato all'ufficiale giudiziario che ha proceduto alla notifica (così Cassazione n. 27685 del 2003).

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C.p.p. art. 156 Notificazioni all'imputato detenuto GIURISPRUDENZA È legittima la notifica all'imputato che venga eseguita mediante consegna a persona qualificatasi come convivente, a nulla rilevando lo stato di temporanea detenzione dell'imputato stesso, in considerazione della dichiarata convivenza nonostante la temporanea detenzione e del fatto che un legame preesistente non si interrompe per una provvisoria assenza ed è, anzi, tale da consentire all'imputato la conoscenza dell'atto notificato (10821/1994, rv 199578). La forma della notificazione degli atti all'imputato latitante o evaso, successivamente arrestato all'estero, deve essere quella prevista dall'art. 165 c.p.p. (art. 173 c.p.p. del 1930), e cioè la consegna dell'atto al difensore, non essendo applicabile in tal caso – avuto riguardo alle garanzie che devono circondare specificamente le modalità di esecuzione delle notifiche – né la forma prevista dall'art. 156 c.p.p. (notificazione all'imputato detenuto), in quanto presuppone che l'imputato sia ristretto in stabilimenti carcerari posti nel territorio italiano, né quella prevista dall'art. 169 c.p.p. che si riferisce agli imputati i quali all'estero abbiano la residenza o la dimora (8637/1996, rv 205969). Non è nulla la notifica eseguita al domicilio dichiarato allorché lo stato di detenzione dell'imputato per altra causa non risulti dagli atti (4918/1997, rv 208507). L'imputato già citato a giudizio in stato di libertà e successivamente tratto in arresto e detenuto per altra causa versa in stato di legittimo impedimento solo se tale nuova condizione sia stata tempestivamente comunicata. Solo se la detenzione sopravviene a ridosso immediato dell'udienza può ammettersi che la comunicazione avvenga direttamente in udienza anche attraverso il difensore, purché risulti circostanziata e riferisca la volontà dell'imputato di essere presente al dibattimento. L'inosservanza di tale obbligo di diligenza rende legittima l'ordinanza contumaciale (7161/2000, rv 216582).

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In tema di notificazioni, nel caso di imputato detenuto per altra causa, la notificazione di un atto all'imputato stesso, in forza della disposizione di cui al quarto comma dell'art. 156 c.p.p., deve essere eseguita nel luogo di detenzione solo ove tale stato risulti degli atti del procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione medesima (27685/2003, rv 225171). In tema di notificazioni, nel caso di imputato in stato di detenzione per altra causa, la notificazione di un atto all'imputato stesso, secondo quanto previsto dall'art. 156 c.p.p., comma 4, deve essere eseguita nel luogo di detenzione solo ove tale stato risulti dagli atti del procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione (nella specie, il decreto di citazione in appello era stato notificato ad un imputato, il cui stato di detenzione, per altra causa, non risultava dagli atti; la Corte, in applicazione del principio suesposto ha escluso la nullità della notificazione, osservando, tra l'altro, che la persona alla quale era stato consegnato l'atto non aveva fatto presente al giudice d'appello la circostanza della detenzione dell'imputato) (31005/2010). Le notificazioni all'imputato detenuto vanno sempre eseguite, mediante consegna di copia alla persona, nel luogo di detenzione, anche in presenza di dichiarazione od elezione di domicilio. (In motivazione la Corte ha precisato che tale disciplina deve trovare applicazione anche nei confronti dell'imputato detenuto in luogo diverso da un istituto penitenziario e, qualora lo stato di detenzione risulti dagli atti, anche nei confronti del detenuto "per altra causa") (S.U. 12778/2020).

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C.p.p. art. 156 Notificazioni all'imputato detenuto COMMENTO La peculiare posizione processuale in cui viene a trovarsi il destinatario degli addebiti rende ragione di una disciplina particolarmente attenta e rigorosa in tema di notificazioni, soprattutto in considerazione del fatto che principio ispiratore dell'intera materia è il fondamentale diritto di difesa, riconosciuto e garantito dagli artt. 24 e 111 della Carta Fondamentale. La norma in esame tratta delle notificazioni all'imputato detenuto, anche se tale disciplina, nonostante il silenzio della norma, è pacificamente estensibile all'indagato, secondo il disposto normativo di cui all'art. 61, che attribuisce alla persona sottoposta alle indagini gli stessi diritti e le stesse garanzie dell'imputato. Normalmente le notificazioni all'imputato detenuto vengono effettuate consegnando l'atto direttamente all'interessato presso l'istituto di detenzione. Tuttavia, qualora l'imputato si rifiuti di ricevere l'atto, quest'ultimo viene consegnato al direttore dell'istituto o al soggetto che ne fa le veci, e di tale circostanza viene fatta menzione nella relazione di notifica. Modalità analoghe vengono seguite quando l'atto non può essere consegnato personalmente all'imputato perché giustificatamente assente: in ipotesi del genere chi ha ricevuto la notifica deve informare l'interessato nel più breve tempo possibile. Come specificato nella rubrica della norma, tale procedimento riguarda l'imputato detenuto, vale a dire colui che, a seguito di un provvedimento restrittivo della libertà personale, si trova presso un istituto penitenziario, anche per cause diverse dal procedimento per il quale la notificazione viene effettuata. Non è da considerarsi detenuta, invece, la persona agli arresti domiciliari, per la quale trova applicazione la norma di cui all'art. 157.

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C.p.p. art. 157 Prima notificazione all'imputato non detenuto COMMENTO La notificazione eseguita nel luogo in cui il destinatario svolge abitualmente la propria attività lavorativa, mediante consegna ad un dipendente, è pienamente valida, in quanto il rapporto di lavoro crea quella temporanea convivenza presupposta dalla norma (così Cassazione n. 589 del 1996).

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C.p.p. art. 157 Prima notificazione all'imputato non detenuto GIURISPRUDENZA Nel caso in cui, ai sensi dell'art. 157 c.p.p., la notifica del decreto di citazione sia avvenuta mediante consegna alla moglie dell'imputato, convivente, la capacità di intendere e di volere del consegnatario, richiesta dal comma quarto dello stesso art. 157 c.p.p., si presume salvo prova contraria, poiché la norma vieta la consegna dell'atto da notificare solo se la persona convivente con l'imputato sia in stato di “manifesta” incapacità di intendere e di volere (8714/1997, rv 209189). L'art. 157 c.p.p., nel disporre che la notificazione, ove non possa essere eseguita con la consegna personale dell'atto all'interessato, vada fatta nella casa di abitazione o nel luogo in cui l'imputato esercita l'attività lavorativa, privilegia il luogo dove normalmente si vive o si lavora rispetto alla residenza anagrafica, che rappresenta solamente un dato formale non necessariamente coincidente con la realtà (1460/1998, rv 211790). È valida la notifica del decreto di citazione a giudizio all'imputato, anche se detenuto, eseguita a norma dell'art. 157, comma ottavo, c.p.p., mediante deposito dell'atto nella casa del Comune, l'affissione dell'avviso di deposito sulla porta dell'abitazione e la comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, qualora, il consegnatario della comunicazione sia la moglie convivente che accetta l'atto e lo stato di detenzione non risulti dal processo. La notificazione all'imputato detenuto per altra causa è nulla, infatti, soltanto se effettuata con il rito degli irreperibili, che richiede una completa e articolata indagine, anche presso l'Amministrazione penitenziaria centrale, dalla quale non può non risultare lo stato di detenzione del soggetto (4140/1998, rv 211512). Dal combinato disposto degli artt. 157 e 168 c.p.p. e dell'art. 54 disp. att. c.p.p., si ricava che il momento essenziale della notificazione è costituito dalla consegna al destinatario della copia dell'atto da notificare, in quanto unico mezzo che ne consente la

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conoscenza, e che tale attività l'ufficiale notificatore deve attestare nella relazione di notifica ai fini della prova, superabile solo con la querela di falso, che essa sia avvenuta. Ne deriva, qualora più siano i destinatari della notificazione di un atto, che non solo deve essere consegnata copia per ciascuno di essi pure nel caso in cui il luogo delle notificazioni sia uguale per tutti e queste siano eseguite mediante consegna ad una stessa persona che abbia la qualifica richiesta dalla legge, ma anche che di ciò deve essere fatta specifica menzione nella relazione, se questa sia unica per tutti (4497/1998, rv 210592). La mancanza dell'indicazione di convivenza, nella relazione dell'ufficiale giudiziario incaricato della consegna dell'atto non è in sé causa di nullità della notificazione, ma incide sulla presunzione dell'esistenza del rapporto voluto dalla legge tra destinatario dell'atto e persona che lo riceve materialmente, affievolendola senza escluderla, posto che la consegna sia avvenuta a persona rinvenuta nell'abitazione del destinatario. In tale ipotesi l'esistenza di un rapporto di convivenza, anche se temporaneo, può essere desunta da ulteriori elementi, come i rapporti familiari tra chi abita nella casa e il consegnatario (6366/1998, rv 209829). L'art. 157, comma terzo, c.p.p., nel prevedere che, in caso di notifica a mani del portiere, obbligatoriamente seguita da lettera raccomandata con avviso di ricevimento, gli effetti della notifica stessa decorrano “dal ricevimento della raccomandata”, non impone che tale ricevimento sia documentato esclusivamente mediante il suddetto avviso, ben potendo invece la documentazione essere costituita da atti diversi, purché dotati di pari attendibilità formale, in quanto provenienti dalla stessa Amministrazione postale (6961/1998, rv 209377). La mancata osservanza delle norme dell'art. 157, comma settimo, c.p.p. e dell'art. 59 disp. trans. c.p.p. costituisce causa di nullità della notificazione, ai sensi dell'art. 171 c.p.p., solo quando impedisce all'interessato il conseguimento dell'effettiva conoscenza dell'atto processuale (7482/1998, rv 211241). In materia di prima notificazione all'imputato non detenuto, ai fini dell'applicazione dell'art. 157 c.p.p., debbono considerarsi conviventi dell'imputato non soltanto le persone che anagraficamente facciano parte della sua famiglia, ma anche quelle

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che, per altri motivi, si trovino al momento della notificazione nella casa di abitazione del medesimo, purché le stesse, per le generalità le qualifiche declinate all'ufficiale giudiziario, rappresentino a quest'ultimo una situazione di convivenza, sia pure di carattere meramente temporaneo, perché in questo caso l'ufficiale giudiziario ha il ragionevole affidamento che l'atto perverrà al destinatario (13542/1998, rv 212055). In tema di regolarità della notificazione, allorché la relata di notifica non indica specificamente il luogo ove la stessa è avvenuta, deve presumersi, fino a prova contraria, che sia stata effettuata nel luogo indicato nell'atto da notificare (2183/1999, rv 214939). A norma dell'art. 157, comma 3, c.p.p., espressamente richiamato dall'art. 167 c.p.p. quando la notificazione a soggetti diversi da quelli indicati negli artt. 153 c.p.p. e segg. – e quindi anche ai difensori – avviene mediante consegna di copia dell'atto al portiere o a chi ne fa le veci, alla stessa deve seguire la comunicazione dell'eseguito adempimento, da dare al destinatario mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, e gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata (2614/1999, rv 213379). La notifica ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 157 c.p.p. (deposito nella casa comunale con comunicazione all'interessato tramite il servizio postale) si perfeziona con la ricezione della raccomandata spedita dall'ufficiale giudiziario; nel caso, tuttavia, di omessa consegna della stessa (per mancanza od inidoneità della persona normativamente individuata), l'art. 8, comma secondo, della legge 20 novembre 1982 n. 890 prevede alcuni adempimenti formali a carico dell'ufficiale postale che deve darne atto nella ricevuta di ritorno che accompagna la raccomandata: lo stesso infatti deve provvedere alla affissione di avviso alla porta di ingresso della abitazione del destinatario, ovvero alla immissione dell'avviso stesso nella sua cassetta postale. Tali adempimenti, raccordandosi con quelli espletati dall'organo notificatore, formano un'unità indissolubile, finalizzata alla conoscenza legale dell'atto da parte dell'interessato e nessuna presunzione può supplire alla loro assenza (3741/1999, rv 213960). L'applicazione della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale in località diversa da quella di abituale dimora, in

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mancanza di risultanze agli atti, non può costituire impedimento a comparire né può avere alcun effetto in ordine alle notificazioni, regolarmente effettuate al precedente indirizzo (4067/1999, rv 214148). In tema di notificazioni, l'obbligo di effettuare ricerche, sia nella residenza, sia nel luogo di lavoro dell'imputato non detenuto, sussiste solo nel caso in cui anche quest'ultimo sia noto, giacché, altrimenti, può essere utilmente effettuata la notifica ai sensi dell'art. 157, comma ottavo, c.p.p., che prevede notifica mediante deposito nella casa comunale (11808/1999, rv 215036). È valida la prima notificazione all'imputato non detenuto che sia stata effettuata nel luogo di abituale esercizio dell'attività lavorativa mediante consegna dell'atto a un dipendente, atteso che l'art. 157 c.p.p. non fissa alcun ordine di precedenza tra i luoghi in cui detta notifica può essere eseguita e che il rapporto di lavoro implica la temporanea convivenza richiesta dalla norma, sicché in tale ipotesi, diversamente dal caso in cui la notifica avvenga mediante consegna al portiere o a chi ne fa le veci, non è richiesta la sottoscrizione dell'originale e l'invio della raccomandata (5173/2000, rv 217349). È valida la notifica del decreto di citazione per il giudizio di primo grado effettuata mediante consegna ad una collaboratrice di studio di un avvocato domiciliatario, diverso dal difensore di fiducia, atteso che non sussiste un obbligo di elezione di domicilio esclusivamente presso quest'ultimo, mentre non rileva che l'avvocato domiciliatario non abbia prestato il proprio consenso, il quale non è richiesto (ed è, comunque, implicito nell'accettazione della notificazione), né che la consegna sia avvenuta a mani della collaboratrice, trattandosi di persona legittimata a riceverla si sensi dell'art. 157 c.p.p. (5725/2000, rv 215999). L'agente postale, incaricato del recapito della raccomandata con ricevuta di ritorno recante la comunicazione all'imputato del deposito dell'atto processuale presso la casa comunale, deve attestare sulla predetta ricevuta di aver preavvisato il destinatario mediante affissione di avviso alla porta dell'abitazione o inserimento nella cassetta della corrispondenza, del deposito della raccomandata stessa presso l'ufficio postale. La mancata osservanza di tali formalità determina la nullità della notifica, poiché non è dato

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presumere da parte dell'imputato la conoscenza del deposito in questione (5831/2000, rv 215472). È nulla la prima notificazione all'imputato non detenuto allorché effettuata alla moglie separata, non convivente, e presso l'abitazione di costei, non corrispondente a quella dell'imputato (8575/2001, rv 218426). In tema di notificazione all'imputato in caso di irreperibilità, nessuna omissione può addebitarsi all'autorità giudiziaria ed agli organi di Polizia dei quali essa si serva, nel caso in cui – svolte regolari ricerche nei luoghi di nascita, di ultima residenza e di abituale attività lavorativa – non venga rinvenuta traccia di diversa residenza o dimora. La circostanza che l'interessato abbia provato il trasferimento della residenza – sia pure nell'area territoriale dell'ultima residenza risultante – non può assumere alcuna rilevanza se nessuna indicazione di tale nuova residenza emerga dagli atti e dalle informazioni. Deve escludersi, infatti, che le ricerche possano essere eseguite indistintamente in tutti i Comuni della zona in cui l'imputato aveva abitato in passato (22013/2003, rv 224528). La mancata notifica al recapito del difensore di un avviso, di cui la legge prevede l'urgenza, che comunque non sia addebitabile all'ufficio, non può determinare un'automatica sanzione processuale – non prevista dal nostro ordinamento – che impedisca al difensore di svolgere la sua funzione di assistenza tecnica all'indagato e all'imputato. Una tale scelta si tradurrebbe in una non consentita compressione del diritto di difesa. Di conseguenza, per addebitare una tale omissione al difensore è necessario che il giudice di merito accerti che la tempestività e la diligenza dell'ufficio procedente siano state vanificate dall'insuperabile prevalenza della negligenza della difesa (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha accolto il ricorso con cui il difensore di due minori stranieri accusati di furto aveva eccepito la mancata notifica della data di fissazione dell'udienza camerale. L'ufficiale giudiziario incaricato aveva tentato l'accesso al suo studio legale ma, non trovandovi nessuno, aveva lasciato avviso di deposito nella Casa comunale senza darne comunicazione tramite raccomandata con ricevuta di ritorno) (40451/2010). La notificazione di un atto all'imputato, che non sia possibile presso il domicilio eletto per il mancato reperimento, nonostante

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l'assunzione di informazioni sul posto e presso l'ufficio anagrafe, del domiciliatario, che non risulti risiedere o abitare in quel Comune, deve essere eseguita mediante consegna al difensore e non mediante deposito nella casa comunale con i correlati avvisi, perché detta situazione si risolve in un caso di inidoneità dell'elezione di domicilio (S.U. 28451/2011). L'impossibilità di effettuare una notifica nel domicilio dichiarato non comporta che anche le successive notifiche debbano avvenire mediante consegna al difensore, qualora la loro esecuzione presso il domicilio sia nel frattempo ritornata ad essere praticabile (nella specie, la Corte ha reputato valida la notifica effettuata nei confronti dell'imputato che non era stato reperito una prima volta in occasione dell'accesso dell'agente postale, mentre al secondo tentativo la notifica si era perfezionata con il compimento di tutte le formalità previste dall'articolo 157, comma otto, c.p.p.; né vi era stata nel frattempo una revoca del domicilio, ovvero un accertamento formale dell'irreperibilità del destinatario) (15725/2012). La notificazione all'imputato del decreto di citazione in appello, eseguita ai sensi dell'art. 157, comma ottavo bis, cod. proc. pen. presso il difensore di ufficio, determina, se l'interessato non “rappresenta” con elementi idonei la mancata conoscenza dell'atto, una nullità a regime intermedio che è sanata se non tempestivamente eccepita nel corso del giudizio d'appello (2818/2014). Il ricorso alla procedura di notificazione all'imputato attraverso il deposito dell'atto nella casa comunale, accompagnato dagli ulteriori adempimenti previsti dall'art. 157, comma ottavo, cod. proc. pen., è possibile solo dopo aver percorso in via cumulativa e non alternativa tutte le vie indicate dai precedenti commi del medesimo articolo, e in particolare la notifica mediante consegna personale ovvero a persone abilitate presso la casa di abitazione o il luogo di abituale esercizio dell'attività lavorativa. L'omissione di tali adempimenti determina la nullità della notifica a norma dell'art. 171, lett. d), cod. proc. pen. che, inficiando il procedimento della “vocatio in ius”, ha carattere assoluto ai sensi dell'art. 179 stesso codice (5722/2015). Qualora l'imputato ha ricevuto la prima notifica (da intendersi quale notifica relativa al primo atto del procedimento e non anche quella relativa al primo atto di ogni grado del giudizio) e ha un proprio difensore di fiducia nominato, tutte le notifiche successive a quella possono essergli effettuate ai sensi dell'art. 157, comma 8-bis, c.p.p., salvo che il difensore non si giovi della facoltà che la norma gli riconosce di dichiarare preventivamente all'Autorità Giudiziaria procedente di non accettare tale forma di notificazione (21626/2015). La modalità di notificazione di cui all'art. 157, comma 8-bis, c.p.p. non presuppone il previo infruttuoso esperimento della notifica con le modalità di cui ai commi precedenti, ma soltanto che si tratti di una notificazione successiva

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ad altra già eseguita con le modalità ordinarie non già nel grado, ma nel corso dell'intero processo fin dal suo inizio (21626/2015). La nullità conseguente alla notifica all’imputato del decreto di citazione per l’appello rientra nella categoria delle nullità a regime intermedio, dunque va dedotta prima della deliberazione della sentenza conclusiva dello stesso giudizio. Tale nullità, conseguente alla notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizio presso lo studio del suo difensore di fiducia anziché presso il domicilio dichiarato, è di ordine generale a regime intermedio in quanto la predetta notifica, seppure irritualmente eseguita, è comunque idonea a determinare la conoscenza dell’atto da parte dell’imputato destinatario, in considerazione del suo rapporto di fiducia con il suo difensore (6025/2017). È nulla la notifica del decreto di citazione eseguita, ex art. 157, comma 8bis, c.p.p., presso il difensore di fiducia nel caso in cui l’imputato abbia ritualmente dichiarato domicilio (11954/2017). In tema di rescissione del giudicato, deve escludersi l’incolpevole mancata conoscenza del processo, con conseguente inammissibilità del ricorso di cui all’art. 629-bis, comma 3, c.p.p., nel caso in cui risulti che l’imputato abbia, nella fase delle indagini preliminari, eletto domicilio presso il difensore di ufficio, derivando da ciò una presunzione di conoscenza del processo che legittima il giudice a procedere in assenza dell’imputato, sul quale grava l’onere di attivarsi per tenere contatti informativi con il proprio difensore sullo sviluppo del procedimento (49916/2018). La notifica a mezzo della posta eseguita al domicilio dichiarato mediante consegna dell’atto a persona abilitata diversa dal destinatario si perfeziona con la ricezione della relativa raccomandata, mentre l’ulteriore comunicazione al destinatario preordinata ad informarlo del recapito dell’atto a soggetto abilitato, ex art. 7, comma 2, della legge 20 novembre 1982, n. 890, costituisce solo una modalità di rafforzamento della procedura di notificazione già perfezionatasi, con la conseguenza che non è necessaria la prova che il destinatario la abbia ricevuta, ma è sufficiente l’attestazione dell’invio (3514/2019).

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C.p.p. art. 157 Prima notificazione all'imputato non detenuto COMMENTO La norma disciplina la materia relativa alle notificazioni all'imputato non detenuto. La procedura ordinaria, quando l'interessato non ha eletto o dichiarato domicilio [161], è quella per la quale copia dell'atto viene consegnata direttamente alla persona: vale il principio di carattere generale secondo cui la notifica di atti e avvisi eseguita a mani proprie dell'interessato è valida dovunque essa avvenga, pure in presenza di una elezione di domicilio, perché è la forma più sicura per portare l'atto a conoscenza del destinatario (così Cassazione n. 1370 del 1997). Se non è possibile agire come sopra, la notificazione è eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui viene esercitata abitualmente l'attività lavorativa e l'atto viene consegnato al convivente o al portiere e, in ossequio alle nuove regole codificate in materia di tutela della privacy (art. 174, D.Lgs. n. 196 del 2003; v. però, art. 27, D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101 di soppressione) la consegna deve avvenire in plico chiuso e la relazione della notificazione in base alle modalità di cui al comma terzo dell'art. 148 cui si fa rinvio. La pluralità dei luoghi in cui si svolge l'attività lavorativa del destinatario dell'atto non impedisce che uno degli stessi possa essere ritenuto come luogo di abituale esercizio dell'attività professionale in cui può avvenire la notificazione; infatti, la menzionata pluralità dei luoghi non è incompatibile con quella continuità di esercizio professionale che è richiesta come condizione perché il destinatario sia in grado di venire a conoscenza dell'atto e per la quale non è necessaria la sua continua presenza fisica, essendo sufficiente una semplice predisposizione di mezzi stabile ed idonea allo scopo (esempio). In via meramente subordinata, quando i luoghi menzionati non sono conosciuti, la notificazione viene effettuata nel luogo nel quale l'imputato ha temporanea dimora o recapito. Il quarto comma sancisce le ipotesi nelle quali la notificazione non può essere eseguita. La copia dell'atto non può essere, infatti, consegnata: – al minore di anni quattordici; – al soggetto che si trova in uno stato di manifesta incapacità di intendere e di volere. Per assicurare maggiore certezza in riferimento alla conoscenza legale dell'atto, il quinto comma prevede la rinnovazione della notificazione quando la copia del provvedimento sia stata consegnata alla persona offesa e risulti probabile che l'interessato non abbia avuto notizia dell'atto. Il settimo comma predispone, poi, una disciplina per il caso in cui con la prima notificazione non vengano raggiunti i risultati sperati: in ipotesi di tal genere, si procede al cosiddetto “secondo accesso”, in base al quale, quando coloro che possono ricevere la notificazione mancano o non sono idonei, ovvero si rifiutano di accettare

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la consegna della copia, si dà luogo ad una nuova ricerca dell'imputato nei modi sopra descritti. Se anche tale tentativo non va a buon fine: – l'atto viene depositato nella casa comunale dei luoghi indicati dalla norma; – viene affisso avviso dell'avvenuto deposito; – viene inviata una lettera raccomandata con avviso di ricevimento, per comunicare l'avvenuto deposito dell'atto. Allo scopo di rendere più celeri e sicure le notificazioni all'imputato non detenuto che abbia nominato un difensore di fiducia, senza provvedere a dichiarare o eleggere domicilio ai sensi dell'articolo 161, è previsto che le notificazioni siano eseguite presso il difensore, salvo che questi non dichiari immediatamente all'autorità che procede di non accettare la notificazione. A riguardo la Cassazione, con sent. 41649 del 2005, ha stabilito che la disposizione introdotta dall'articolo 2, comma 1, D.L. 17/2005, convertito in L. 60/2005, al comma 8 bis dell'articolo in commento, secondo cui le notificazioni successive alla prima sono eseguite mediante consegna al difensore di fiducia, se dall'imputato nominato, si applica a tutti i casi di notificazione all'imputato non detenuto disciplinati dall'articolo in oggetto (157), e non al solo caso previsto dal comma 8. Secondo la Suprema Corte, tale disposizione non può che riferirsi ad ognuna delle ipotesi contemplate dai commi da 1 a 8 dello stesso articolo, sia perchè la prima notifica può essere effettuata in uno dei modi contemplati nei commi precedenti, interrompendosi la procedura appena una delle fattispecie si è conclusa con una notifica dell'atto, sia perchè il tenore letterale della disposizione non consente di limitare la sua efficacia ad uno o all'altro dei momenti in cui si è articolata la procedura. A ulteriore conferma di tale impostazione deve richiamarsi il comma 4 bis introdotto dalla stessa L. 60/2005 all'articolo 161 successivo che prevede che all'imputato nel primo atto compiuto col suo intervento che ha scelto di non eleggere domicilio, la notifica viene fatta al difensore di fiducia nominato. L'intero sistema configurato dalla riforma è dunque ispirato a garantire la ragionevole durata del processo in ottemperanza all'articolo 111 Cost. prevedendo che con la prima notifica del primo atto del procedimento l'imputato viene chiamato ad eleggere il domicilio e qualora non lo faccia e scelga di essere assistito da un difensore di fiducia, tutte le notifiche successive dovranno essere eseguite presso il difensore. Tale impostazione non è affetta da alcuna illegittimità costituzionale, e quindi la relativa questione è manifestamente infondata, in quanto da un lato privilegia il rapporto fiduciario tra imputato e proprio difensore, dall'altro lascia all'imputato la possibilità di interrompere questo automatismo scegliendo di eleggere domicilio e quindi non elide, ma regolamenta il suo diritto ad essere informato direttamente, per attuare l'esigenza di garantire la celerità del processo. La circostanza che il legislatore abbia avvertito la necessità con la legge di conversione di modificare il comma 8 bis dell'articolo in commento, prevedendo la possibilità per il difensore di rifiutare di ricevere la notifica per l'imputato, non appare dettata dalla necessità di salvaguardare i diritti dell'imputato ma di evitare che il difensore si assuma obbligatoriamente delle responsabilità che non vuole inserire nel suo mandato. La Cassazione a Sezioni Unite (15 maggio 2008, n. 19602) ha dovuto pronunciarsi sul seguente quesito: “La notificazione presso il difensore di fiducia, ex comma 8 bis, può essere effettuata anche nel caso in cui l'imputato abbia dichiarato o

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eletto domicilio per le notificazioni?”. Due sostanzialmente gli orientamenti giurisprudenziali venutisi a creare sul punto. Secondo un primo orientamento, il legislatore del 2005 ha introdotto il comma 8 bis all'enunciato fine di garantire la ragionevole durata del processo in ottemperanza all'art. 111 Cost. e, quindi, di accelerare i tempi di notifica degli atti. Di conseguenza la forma di notificazione prevista dalla norma de qua deve ritenersi prevalente su ogni altra, per cui, in presenza di nomina fiduciaria, è irrilevante, ai fini delle successive notificazioni (quale ad esempio, la notifica del decreto di citazione in appello), il domicilio dichiarato dall'imputato. Secondo un altro orientamento invece il domicilio “legale” non può prevalere su quello dichiarato, per cui la disposizione in esame non si applica nell'ipotesi in cui l'imputato abbia precedentemente eletto domicilio nel luogo di abituale dimora, ex art. 161. Tale ultimo orientamento è stato accolto dalle Sezioni Unite in virtù di una lettura sistematica della norma. I giudici di legittimità evidenziano che quando si deve effettuare la prima notificazione all'imputato, che non abbia eletto o dichiarato domicilio, si deve procedere in uno dei modi consecutivi previsti dai primi otto commi dell'articolo in commento. Una volta effettuata regolarmente la prima notificazione, se l'imputato provvede a nominare il difensore di fiducia, tutte le successive notificazioni si effettuano mediante consegna al difensore; questi può dichiarare immediatamente all'autorità che procede di non accettare la notificazione, altrimenti il processo nei suoi vari gradi seguirà con la notificazione al difensore di fiducia. Se, invece, vi sono state elezione o dichiarazione di domicilio, si seguiranno direttamente le forme dettate dall'art. 161 ss., per cui non troverà applicazione il più volte citato comma 8 bis. Tuttavia la Corte ha anche ribadito che la nullità assoluta e insanabile dell'atto di notifica ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato, mentre essa non ricorre nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue l'applicabilità della sanatoria. Peraltro, l'imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare l'inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell'atto e indicare gli specifici elementi che consentano l'esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice stesso. Per cui l'eventuale nullità derivante dalla notificazione, effettuata ai sensi del comma 8 bis, per casi diversi da quelli previsti, è una nullità di ordine generale e a regime intermedio, che deve ritenersi sanata quando risulti provato che l'errore non abbia impedito all'imputato di conoscere l'esistenza dell'atto e di esercitare il diritto di difesa.

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C.p.p. art. 158 Prima notificazione all'imputato in servizio militare GIURISPRUDENZA Qualora la notifica di un atto ad imputato in servizio militare venga effettuata, ai sensi dell'art. 158 c.p.p., comma primo, seconda parte, mediante consegna all'ufficio del comandante dal quale il militare dipende, è essenziale che di ciò sia data, a cura di detto ufficio, come previsto dalla stessa norma, immediata notizia all'interessato. Ne consegue che, in mancanza di prova di tale adempimento, la notifica deve ritenersi affetta da nullità (35777/2001, rv 218737).

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C.p.p. art. 158 Prima notificazione all'imputato in servizio militare COMMENTO Anche per quanto concerne l'imputato che presta servizio militare, la procedura preferenziale di notificazione è quella della consegna di copia dell'atto direttamente all'interessato, nel luogo, agevolmente individuabile dagli organi competenti, ove il medesimo si trovi a prestare servizio attivo. Laddove non sia possibile effettuare la notificazione nella forma appena analizzata, l'atto è notificato presso l'ufficio del comandante, sul quale vige l'obbligo di informare l'interessato nel più breve tempo possibile. Il complesso procedimento previsto dalla norma in esame, per la prima notificazione all'imputato in servizio militare, realizza un contemperamento di interessi che richiede la collaborazione alla notifica dell'autorità militare, e rende sufficiente la mera informazione sull'atto notificato, in luogo della consegna. Ciò trova la sua spiegazione nella finalità della norma, che è quella di comporre le esigenze di conoscenza del destinatario della notifica con quelle del servizio militare, che può comportare frequenti e improvvisi spostamenti del personale, anche in condizioni di segretezza. In tali casi solo la contestazione della “effettiva informazione” può consentire al destinatario di eccepire l'eventuale invalidità della notifica (es. la condizione di militare in licenza), non eliminando lo status personale, rileva solo in quanto sia divenuta in concreto ostativa alla reale conoscenza dell'atto (così Cassazione n. 9897 del 1994).

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C.p.p. art. 159 Notificazioni all'imputato in caso di irreperibilità GIURISPRUDENZA In tema di notificazione all'imputato, l'irreperibilità non ha valore assoluto ma relativo, perché rappresentativa di una situazione processuale che si verifica tutte le volte in cui, eseguite le ricerche imposte dall'art. 159 cod. proc. pen., l'autorità giudiziaria non sia pervenuta all'individuazione della residenza, del domicilio, del luogo di temporanea dimora o di abituale attività lavorativa del soggetto. Ai fini della validità del decreto d'irreperibilità e del conseguente giudizio contumaciale, rileva soltanto la completezza delle ricerche, con riferimento agli elementi risultanti dagli atti al momento in cui vengono eseguite. Eventuali notizie successive non possono avere incidenza, “ex post”, sulla legittimità della procedura seguita sulla base delle risultanze conosciute e conoscibili al momento dell'adempimento delle prescritte formalità (9126/1997, rv 208621). Al soggetto evaso per non aver fatto ritorno in carcere dopo aver fruito di un permesso non sono applicabili, quanto alla determinazione dei luoghi di ricerca ai fini delle notificazioni, i criteri previsti in tema d'irreperibilità (4225/1998, rv 211599). La notificazione con il rito degli irreperibili presuppone che la persona nei cui confronti la notifica deve essere effettuata sia stata individuata con le sue esatte generalità, in quanto in caso contrario le ricerche previste dall'art. 159 cod. proc. pen. vengono indirizzate o nei confronti di persona diversa da quella da ricercare ovvero nei confronti di persona fisicamente inesistente (5013/1998, rv 212134). In materia di notificazioni, mentre la latitanza ha immediata rilevanza processuale ed è determinata da una scelta volontaria dell'imputato di sottrarsi ad un provvedimento dell'autorità giudiziaria limitativo della libertà e a non presenziare quindi al procedimento, la irreperibilità è una situazione di fatto, che può anche essere involontaria e incolpevole, e che diviene processualmente rilevante per effetto della chiamata nel giudizio. Si

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tratta quindi di situazioni soggettive non assimilabili e tra loro distinte, con la conseguenza che in un procedimento, diverso da quello in cui si è verificata la latitanza, non solo non è applicabile alle notificazioni la relativa disciplina, ma nemmeno può affermarsi automaticamente che il latitante – che può in concreto conservare rapporti con i propri conviventi – debba essere trattato come irreperibile, se non se ne verificano le condizioni (5807/1998, rv 210752). In tema di irreperibilità, per la validità del relativo decreto non è richiesto il previo esperimento del tentativo di notificazione, ai sensi dell'art. 157 cod. proc. pen., ove le indagini della Polizia giudiziaria, le ricerche anagrafiche e le informazioni dell'amministrazione penitenziaria abbiano palesato “ab initio” l'assoluta impraticabilità della notifica nei luoghi indicati nella disposizione predetta; ciò che rileva ai fini della legittimità della dichiarazione di irreperibilità, infatti, è lo svolgimento delle ricerche imposte dall'art. 159 cod. proc. pen., da eseguirsi con completezza, cumulativamente e non alternativamente, con riferimento agli elementi risultanti dagli atti al momento in cui vengono svolte, dimodoché possa risultare acquisito un rigoroso accertamento dell'impossibilità di rintracciare l'imputato (10803/1999, rv 214357). In tema di notificazione all'imputato, l'irreperibilità non ha valore assoluto ma relativo, in quanto rappresenta una situazione processuale che si verifica tutte le volte in cui, eseguite le ricerche imposte dall'art. 159 cod. proc. pen., l'autorità giudiziaria non sia pervenuta all'individuazione della residenza, del domicilio, del luogo di temporanea dimora o di abituale attività lavorativa del soggetto. Ai fini della validità del decreto d'irreperibilità e del conseguente giudizio contumaciale, rileva soltanto la completezza delle ricerche, con riferimento agli elementi risultanti dagli atti al momento in cui vengono eseguite. Eventuali notizie successive non possono avere incidenza, “ex post”, sulla legittimità della procedura seguita sulla base delle risultanze conosciute e conoscibili al momento dell'adempimento delle prescritte formalità (3285/2000, rv 215591). In tema di notificazione all'imputato in caso di irreperibilità, nessuna omissione può addebitarsi all'autorità giudiziaria ed agli organi di Polizia dei quali essa si serva, nel caso in cui – svolte

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regolari ricerche nei luoghi di nascita, di ultima residenza e di abituale attività lavorativa – non venga rinvenuta traccia di diversa residenza o dimora. La circostanza che l'interessato abbia provato il trasferimento della residenza – sia pure nell'area territoriale dell'ultima residenza risultante – non può assumere alcuna rilevanza se nessuna indicazione di tale nuova residenza emerga dagli atti e dalle informazioni. Deve escludersi, infatti, che le ricerche possano essere eseguite indistintamente in tutti i Comuni della zona in cui l'imputato aveva abitato in passato (22013/2003, rv. 224528). La notifica dell'avviso dell'udienza per la trattazione del riesame di misura coercitiva personale nei confronti di imputato detenuto all'estero è ritualmente eseguita mediante consegna al difensore, senza necessità di osservare la procedura prevista dall'art. 169 c.p.p., attesa l'esigenza di un tempestivo controllo sulla legittimità del provvedimento coercitivo. (Conf., Cass. sez. III n. 26219, 26220 e 26221 del 2010, non massimate) (26218/2010). L'obbligo di effettuare nuove ricerche nei luoghi indicati dall'art. 159, comma primo, cod. proc. pen. al fine di emettere il decreto di irreperibilità è condizionato all'oggettiva praticabilità degli accertamenti (ossia alla conoscenza del luogo di nascita, di ultima residenza e di abituale esercizio dell'attività lavorativa dell'imputato), che rappresenta il limite logico di ogni garanzia processuale (17458/2012). Il decreto di irreperibilità emesso dal p.m. ai fini della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari è efficace anche ai fini della notifica del decreto di citazione a giudizio, salvo che il p.m. effettui ulteriori indagini dopo la notifica di detto avviso (S.U. 24527/2012). Ai fini della validità del decreto d'irreperibilità la completezza delle ricerche va valutata con riferimento agli elementi, conosciuti e conoscibili, risultanti dagli atti al momento in cui vengono eseguite, senza che eventuali notizie successive possano avere incidenza “ex post” sulla legittimità della procedura. (Fattispecie in cui sono state ritenute complete le ricerche dell'imputata che dagli atti risultava essersi allontanata per destinazione ignota dall'abitazione presso la quale in precedenza aveva svolto l'attività di badante) (12838/2013). È legittimo il decreto di irreperibilità preceduto da ricerche svolte senza considerare il numero di utenza mobile del destinatario della notifica, pur in possesso dell'autorità competente, in quanto l'utenza cellulare è priva di

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qualsiasi collegamento certo ad una persona o ad un luogo, a differenza della utenza telefonica fissa, la cui conoscenza permette di allargare la ricerca anche al luogo ove l'utenza è installata, con possibile acquisizione di ulteriori notizie circa l'attuale dimora del ricercato (2886/2015). In tema di ricerche per la notifica degli atti, i luoghi di cui all'art. 159 c.p.p. non costituiscono un elenco tassativo, dovendosi compiere quegli accertamenti che risultano necessari e praticabili (41492/2015). Ai fini della validità del decreto d’irreperibilità, la completezza delle ricerche va valutata con riferimento agli elementi, conosciuti o conoscibili, risultanti dagli atti al momento in cui vengono eseguite, senza che eventuali notizie successive possano avere incidenza “ex post” sulla legittimità della procedura. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto immune da vizi l’ordinanza con cui è stato valutato irrilevante, ai fini della richiesta di rimessione in termini per impugnare l’ordinanza di carcerazione, il fatto, successivamente emerso, che il condannato, dopo due anni dalle ricerche, fosse divenuto reperibile e che, al momento dell’emissione del decreto di irreperibilità, fosse verosimilmente detenuto all’estero) (16708/2018). Le ricerche necessarie ai fini dell'emissione del decreto di irreperibilità devono essere eseguite cumulativamente, e non alternativamente, in tutti i luoghi indicati dall'art. 159 cod. proc. pen., derivando, diversamente, la nullità assoluta del decreto di irreperibilità e delle conseguenti notificazioni, se attinenti alla citazione dell'imputato (19364/2020). Va rimessa alle Sezioni Unite la soluzione del seguente quesito interpretativo: "Se sia legittimo il decreto di irreperibilità preceduto da ricerche svolte senza utilizzazione del numero di utenza mobile del destinatario della notifica eventualmente in possesso dell'autorità competente" (34993/2020).

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C.p.p. art. 159 Notificazioni all'imputato in caso di irreperibilità COMMENTO La procedura di notificazione di cui alla presente norma, dando luogo ad una forma di conoscenza legale dell'atto, deve ritenersi del tutto eccezionale, in quanto limitata al solo caso in cui risulti impossibile fare eseguire la notificazione nelle forme ordinarie previste dall'art. 157, per essere rimasti ignoti, nonostante l'esperimento di ogni utile indagine, i luoghi di abitazione, di lavoro, di dimora e di recapito di un imputato, la cui identità risulti, comunque, previamente acclarata. Ne consegue che il giudice deve fare ricorso a tale eccezionale forma di procedura solo a seguito dell'accertamento rigoroso dell'impossibilità di rintracciare l'imputato, mediante ricerche appositamente delegate anche agli organi di polizia giudiziaria. Alla rilevata eccezionalità della forma di notificazione di un atto con il “rito degli irreperibili” consegue che il procedimento che conduce al decreto di irreperibilità deve svolgersi in un ragionevole contesto temporale, sicché non può ritenersi consentito che detto decreto segua a distanza di anni l'esito negativo delle ricerche disposte: sorregge sul piano logico tale conclusione il principio della temporaneità dell'efficacia del decreto di irreperibilità quale si ricava dalla disposizione di cui all'art. 160 (così Cassazione n. 3182 del 1997). Analizzando la norma sotto profili più approfonditi, si evince che la rigorosa procedura prevista per la dichiarazione di irreperibilità dell'imputato impone che le nuove ricerche vengano eseguite in modo particolare presso: – il luogo di nascita dell'imputato; – il luogo di ultima residenza anagrafica; – il luogo dell'ultima dimora; – il luogo dove l'imputato esercita abitualmente la sua attività lavorativa; – l'amministrazione carceraria centrale. L'indicazione legislativa dei suddetti luoghi non preclude, peraltro, che nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali l'autorità giudiziaria possa indirizzare la propria attività in contesti spaziali diversi da quelli espressamente richiamati. Tali adempimenti devono essere obbligatoriamente rispettati; la loro inottemperanza, e dunque lo svolgimento incompleto delle ricerche, comporta la nullità assoluta del decreto di irreperibilità e delle conseguenti notificazioni, eseguite mediante consegna al difensore. Per maggiore precisione terminologica, per decreto di irreperibilità deve intendersi l'atto tramite il quale l'autorità giudiziaria, a seguito di vane ricerche, dichiara di non essere a conoscenza del luogo nel quale si trova l'imputato o l'indagato. Dopo l'emissione del decreto di irreperibilità, viene designato un difensore all'imputato, che diventerà il destinatario delle notificazioni degli atti. La notificazione di un atto effettuata con il rito degli irreperibili dà luogo ad una forma di conoscenza “legale” del tutto equiparabile a quella che deriva dall'adozione

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di altre forme di notificazione, con la conseguenza, tra l'altro, che anche in tal caso è onere dell'imputato portare a conoscenza, con la dovuta tempestività, l'autorità procedente degli eventuali fatti nuovi in relazione ai quali possa sorgere, a carico della stessa autorità, la necessità di ulteriori adempimenti (così Cassazione n. 2762 del 1992).

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C.p.p. art. 160 Efficacia del decreto di irreperibilità GIURISPRUDENZA Il decreto di irreperibilità cessa di avere efficacia con la pronuncia della sentenza e non con la trasmissione degli atti al giudice dell'impugnazione: ne consegue che la notifica dell'estratto contumaciale all'imputato irreperibile deve essere preceduta da un nuovo decreto (429/1993, rv 193560). Il decreto d'irreperibilità emesso nella fase delle indagini preliminari ha efficacia anche ai fini dei procedimenti di riesame che si collochi in detta fase (3410/1994, rv 199359). Anche se è stato pronunciato decreto di irreperibilità dell'imputato ai fini della notifica dell'estratto della sentenza contumaciale, la notifica del decreto di fissazione del giudizio di appello deve essere preceduta da nuove ricerche e da una nuova dichiarazione di irreperibilità; ciò per il principio che le ricerche devono essere rinnovate ad ogni mutamento di fase. In difetto si determina una nullità di ordine generale ex art. 178 c.p.p., lett. c) (11720/2000, rv 217855). Il decreto di irreperibilità dell'imputato emesso nel corso delle indagini preliminari non spiega efficacia ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio disposta dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 552 c.p.p., in quanto la chiusura delle indagini di cui all'art. 160, comma 1, c.p.p. ha luogo con l'emissione di quest'ultimo decreto, sicché, ai fini della “vocatio in iudicium”, che segna l'inizio della fase dibattimentale e si realizza con la notificazione del provvedimento, è necessario un nuovo decreto di irreperibilità (5698/2003, rv 223312). Il decreto di irreperibilità emesso dal p.m. ai fini dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari vale anche ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio (8029/2010). Va annullata per difetto di notifica la sentenza d'appello pronunciata in contumacia sulla base del decreto di irreperibilità emesso in primo grado, senza dunque aver proceduto a nuove

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ricerche dell'imputato né all'emissione di un nuovo decreto (34/2014).

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C.p.p. art. 160 Efficacia del decreto di irreperibilità COMMENTO L'efficacia del decreto di irreperibilità non ha durata illimitata nel tempo, radicandosi su un presupposto fattuale, quale quello dell'impossibilità di rintracciare l'imputato, suscettibile di evoluzioni nell'arco di tutta la vicenda processuale. Proprio le eccezionali conseguenze che il decreto produce in punto di presunzione legale di conoscenza degli atti da parte dell'irreperibile impongono che al passaggio da una fase procedimentale all'altra l'autorità giudiziaria provveda a disporre nuove ricerche, secondo lo schema previsto all'art. 159, al fine di emettere eventualmente un nuovo decreto di irreperibilità.

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C.p.p. art. 161 Domicilio dichiarato, eletto o determinato per le notificazioni GIURISPRUDENZA L'elezione di domicilio è un atto personalissimo che deve essere compiuto in maniera espressa dall'imputato nelle forme previste (dichiarazione espressa raccolta a verbale o telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autenticata) e non può essere surrogato neanche dalla dichiarazione fatta dal difensore in udienza, sia pure in presenza dell'interessato, non essendo possibile desumere dal silenzio dell'imputato l'assenso implicito alla dichiarazione di elezione (10918/1996, rv 207061). La dichiarazione di domicilio, che ha carattere ricognitivo di un rapporto reale tra persona e abitazione, è inefficace nell'ipotesi di trasferimento dell'imputato, non ritualmente comunicato all'autorità procedente. L'elezione di domicilio è, invece, una dichiarazione ricettizia di volontà e implica un rapporto di fiducia tra il destinatario e tutte le persone che sono in grado di ricevere l'atto nel luogo eletto. Il rifiuto di ricezione dell'atto, espresso in modo formale o sostanziale, da parte di uno dei soggetti dimoranti nel luogo indicato, comporta la presunzione dell'inesistenza iniziale o della rescissione successiva del rapporto fiduciario tra destinatario e domiciliatario e rende l'elezione del domicilio inidonea a perseguire lo scopo al quale è finalizzata. In entrambi i casi si configura, ai sensi del comma 4 dell'art. 161 c.p.p., l'impossibilità della notifica, che, accertata per un atto, legittima la notifica degli atti successivi mediante consegna al difensore (8825/1997, rv 208612). L'avviso all'imputato detenuto, il quale deve essere scarcerato, che le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore, richiesto a pena di nullità dall'art. 161 c.p.p., va dato e verbalizzato solo nei casi di domicilio esistente, correttamente dichiarato o eletto, oppure di rifiuto di dichiarare o eleggere il domicilio, sicché l'omessa verbalizzazione in caso di elezione fraudolenta di domicilio inesistente non rende nulla la notificazione avvenuta con la modalità indicata (1480/1998, rv 210986).

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Qualora l'imputato eserciti la facoltà, riconosciutagli dall'art. 161 c.p.p., di dichiarare o eleggere un nuovo domicilio con dichiarazione resa dinanzi ad organi della Polizia giudiziaria, incombe su di lui l'onere di trasmettere tempestivamente il relativo verbale all'autorità giudiziaria procedente, dovendo trovare applicazione, in mancanza, il disposto del quarto comma dell'art. 162 c.p.p., il quale sancisce la validità delle notificazioni disposte nel domicilio precedentemente eletto o dichiarato finché il giudice che procede non abbia ricevuto il verbale o la comunicazione dell'avvenuta modifica (2417/1998, rv 209935). In tema di dichiarazione di domicilio, la forma vincolante, che condiziona l'efficacia dell'atto, investe esclusivamente i requisiti elementari di contenuto in relazione allo scopo, alla destinazione e alla certezza della provenienza dell'atto. La dichiarazione non deve necessariamente seguire l'invito rivolto con l'informazione di garanzia o con il primo atto notificato dall'autorità giudiziaria, potendo essere trasmessa dall'imputato (in ogni atto idoneo a raggiungere lo scopo) di propria iniziativa in qualunque momento del procedimento o del processo (6011/1998, rv 210755). Ogni mutamento della dichiarazione o elezione di domicilio, ritualmente comunicato all'autorità procedente, comporta revoca della precedente dichiarazione o elezione, senza possibilità di elezione plurima, che sarebbe in contrasto con lo spirito, la lettera e le finalità della norma. L'istituto della elezione di domicilio è stato, infatti, introdotto nell'ordinamento per consentire all'autorità giudiziaria di individuare un recapito certo del destinatario degli atti giudiziari, ed a quest'ultimo di assicurarsi una sicura e tempestiva ricezione di essi (11775/1998, rv 212175). In tema di elezione di domicilio ai fini delle notificazioni, ove siano state effettuate diverse elezioni di domicilio in procedimenti poi riuniti, entrambe, stante l'unificazione dei procedimenti, hanno pari e indistinta validità ai fini delle notificazioni (676/1999, rv 213902). In tema di notificazioni, l'elezione di domicilio è una dichiarazione di volontà consistente nella scelta di una persona investita del potere di ricevere le notificazioni degli atti del procedimento in un luogo diverso da quello cui l'imputato è realmente legato. La persona presso la quale si elegge domicilio è

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liberamente scelta dall'imputato, senza che vi sia la necessità di un rapporto giuridico tra i due soggetti. Sovente il domiciliatario coincide con la figura del difensore, ma la legge non pone nessun obbligo consentendo all'imputato ampia e libera scelta in proposito. Ne consegue che il domiciliatario eletto non deve possedere alcuna qualifica professionale e, quindi, non necessariamente deve essere un avvocato né tantomeno il difensore dell'imputato (2493/1999, rv 212728). In tema di notifiche, il fatto che rende inidoneo il domicilio dichiarato dall'imputato ex art. 161 c.p.p. non comporta l'effetto automatico di esentare il medesimo dall'onere di comunicare il mutamento di domicilio, spettando comunque all'imputato dimostrare che la mancata comunicazione è dovuta a caso fortuito o forza maggiore (3052/1999, rv 212953). La dichiarazione di domicilio vale in ogni stato e grado del giudizio di cognizione. Dopo la sua conclusione con sentenza irrevocabile la menzionata dichiarazione cessa di avere efficacia, poiché la fase esecutiva è autonoma e distinta per forma e contenuto dalla prima, essendo diretta alla soluzione di questioni attinenti proprio all'esecuzione del provvedimento (3107/1999, rv 212856). A norma dell'articolo 161 c.p.p., la dichiarazione di domicilio ha carattere ricognitivo di un rapporto reale tra persona ed abitazione, mentre l'elezione di domicilio costituisce dichiarazione ricettizia di volontà ed implica un rapporto di fiducia tra il destinatario e tutte le persone che sono in grado di ricevere l'atto nel luogo eletto. Ed invero nel caso di dichiarazione di domicilio, l'affermazione della persona dimorante nel luogo indicato che il destinatario non vi si trova significa che lo stesso si è trasferito, sicché la mancata comunicazione di tale trasferimento rende inefficace la dichiarazione stessa, mentre nell'ipotesi di elezione di domicilio il rifiuto di ricezione dell'atto da parte del dimorante comporta la presunzione dell'inesistenza iniziale o successiva del rapporto fiduciario tra destinatario e domiciliatario, rendendo l'elezione di domicilio inidonea allo scopo. Ne consegue che in entrambi i casi ricorre l'ipotesi di cui al quarto comma dell'articolo 161 c.p.p. dell'impossibilità della notifica che legittima il ricorso alla procedura notificatoria mediante consegna dell'atto al difensore, di fiducia o d'ufficio (1935/2000, rv 216432).

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L'elezione o dichiarazione di domicilio sono valide ed efficaci unicamente nell'ambito del procedimento nel quale sono state effettuate, mentre non spiegano alcun effetto nell'ambito di altri procedimenti, sia pure geneticamente collegati a quello originario (3330/2000, rv 217246). La notifica del decreto di citazione nei confronti di un soggetto sottoposto allo speciale programma di protezione di cui alla legge 15 marzo 1991, n. 82 è regolarmente effettuata presso il Servizio Centrale di Protezione, dal momento che ai sensi del comma terzo dell'art. 12 della legge n. 82 del 1991, aggiunto dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992, n. 356, l'interessato all'atto della sottoscrizione del programma elegge il proprio domicilio nel luogo in cui ha sede il predetto Servizio (5850/2000, rv 216799). In tema di elezione di domicilio, mentre la notificazione prevista dall'art. 161, comma 4, c.p.p., da effettuarsi mediante consegna al difensore, è sussidiaria rispetto a quella divenuta impossibile presso il domicilio eletto dall'imputato, la notificazione mediante consegna al destinatario può essere sempre eseguita, anche se l'imputato ha eletto domicilio, in quanto essa fa fede della conoscenza reale dell'atto da parte dell'interessato, mentre quella presso il domicilio eletto è prevista in via sussidiaria ed al fine di offrirne presunzione legale (12688/2000, rv 219232). In materia di notificazioni, quando vi sia stata elezione o dichiarazione di domicilio, in caso di impossibilità di eseguire la notificazione nel domicilio indicato, l'ufficiale giudiziario non ha né il potere né il dovere di procedere ad alcun ulteriore accertamento al fine di appurare il nuovo domicilio del destinatario e la notifica è ritualmente effettuata mediante consegna al difensore (2377/2001, rv 218476). In tema di notificazioni all'imputato, il domicilio eletto si distingue dal domicilio dichiarato perché, mentre in questo è indicato solo il luogo in cui gli atti debbono essere notificati, nel domicilio eletto, fondato su un rapporto fiduciario fra il domiciliatario medesimo e l'imputato, deve essere indicata anche la persona (cosiddetto domiciliatario) presso la quale la notificazione va eseguita, con la conseguenza che, indipendentemente dalla parola usata, l'elezione di domicilio è tale solo ove sia indicato il

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nome della persona presso cui la notificazione va eseguita, avendo altrimenti mera natura di dichiarazione (9793/2001, rv 218780). È legittima la notificazione eseguita nel domicilio dichiarato o eletto all'imputato detenuto, allorché il suo stato detentivo non sia stato portato, e non sia comunque venuto, a conoscenza del giudice (12927/2001, rv 218456). L'elezione di domicilio effettuata dall'imputato, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., nel procedimento originariamente condotto a suo carico conserva validità, se non revocata, per l'intera durata del procedimento ed estende i suoi effetti anche al diverso procedimento successivamente riunito al primo (24083/2001, rv 219537). Costituisce dichiarazione o elezione di domicilio insufficiente od inidonea quella che non rechi l'indicazione del numero civico, né quella del domiciliatario. Ne consegue che, anche in tal caso, la notificazione va effettuata mediante consegna al difensore (31962/2001, rv 220232). Qualora, in mancanza di dichiarazione o elezione di domicilio, sia stata effettuata all'imputato, con esito positivo, una prima notifica ad un indirizzo risultante dagli atti, le successive notifiche non possono essere ritenute “impossibili”, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 161, comma 4, c.p.p. (consegna dell'atto al difensore), ove l'organo notificatore abbia accertato l'avvenuto trasferimento del destinatario, “medio tempore”, ad altro indirizzo precisamente indicato, al quale la notifica possa essere tentata con successo (45504/2001, rv 220368). Ai fini dell'individuazione del difensore al quale occorre notificare l'estratto contumaciale di sentenza in luogo dell'imputato a causa dell'inidoneità del domicilio da quest'ultimo dichiarato (o eletto), occorre avere riguardo al momento in cui – rilevata la necessità di procedere a tale forma di notifica e disposto che si proceda a norma dell'art. 161, comma quarto, c.p.p. – la notificazione viene spedita. Ne consegue che, qualora, anteriormente alla notificazione, l'imputato abbia nominato un difensore di fiducia, a quest'ultimo, e non a quello d'ufficio che lo abbia assistito nel giudizio di merito, va eseguita la predetta notificazione, a nulla rilevando che la citata nomina sia avvenuta in data posteriore alla sentenza (40817/2010).

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La notificazione di un atto all'imputato, che non sia possibile presso il domicilio eletto per il mancato reperimento, nonostante l'assunzione di informazioni sul posto e presso l'ufficio anagrafe, del domiciliatario, che non risulti risiedere o abitare in quel Comune, deve essere eseguita mediante consegna al difensore e non mediante deposito nella casa comunale con i correlati avvisi, perché detta situazione si risolve in un caso di inidoneità dell'elezione di domicilio (S.U. 28451/2011). In tema di notificazioni, l'ufficiale giudiziario, per poter procedere a nuove ricerche a norma dell'art. 157 comma 8 c.p.p., deve aver accertato la permanenza di un collegamento del domiciliatario con il domicilio indicato, potendo, invece, procedere ai sensi dell'art. 161, comma 4, c.p.p. ove per contro accerti – anche per averlo appreso dalle persone rinvenute nell'abitazione ed in assenza di specifici elementi indicativi del contrario – che il domiciliatario ha lasciato il domicilio allontanandosene senza indicarne altro (13901/2012). L'elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, la cui identità sia sconosciuta all'indagato, non osta all'applicazione dell'art. 161, comma quarto, cod. proc. pen., ben potendo l'interessato, con l'ordinaria diligenza, assumere informazioni dall'autorità giudiziaria (29505/2012). In tema di restituzione nel termine per impugnare, la notifica dell'estratto contumaciale della sentenza al difensore di fiducia presso cui l'imputato ha eletto domicilio deve ritenersi regolare anche quando il legale abbia nel frattempo rinunziato al mandato, ma non per questo è sufficiente a fondare una valida presunzione di conoscenza del provvedimento da parte dello stesso imputato, atteso che tale presunzione presuppone la permanenza del legame professionale (16330/2013). Deve ritenersi valida la notifica effettuata ai sensi dell’articolo 161, comma quarto, c.p.p., mediante invio al difensore, tramite posta elettronica certificata, anche dell’atto da notificare all’imputato, atteso che la disposizione di cui all’articolo 16, comma quarto, del decreto legge 179/12, che esclude la possibilità di utilizzare la “pec” per le notificazioni all’imputato, deve essere riferita esclusivamente alle notifiche effettuate direttamente alla

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persona fisica dello stesso e non a quelle eseguite mediante consegna al difensore seppure nel suo interesse (2431/2017). L’impossibilità di effettuare la notifica dell’atto nel domicilio ritualmente dichiarato comporta la consegna al difensore, eseguita ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., nel caso in cui il mutamento o la revoca della detta dichiarazione domiciliare non sia avvenuta nelle forme di legge, ancorché dagli atti risulti la nuova residenza indicata dall’imputato (24515/2018). In tema di procedimento camerale di esecuzione, è nulla la notifica all’interessato effettuata mediante consegna al difensore presso il domicilio eletto nel corso del giudizio di cognizione, perchè la sua efficacia non si estende al giudizio di esecuzione (22788/2018). Ai fini della determinazione "ex lege" del domicilio, ex art. 161, comma 2, c.p.p., è sufficiente che l’imputato, raggiunto da una prima notificazione, ometta di indicare altro domicilio per le successive notificazioni nonostante l’espresso invito contenuto nell’atto notificato, a nulla rilevando che la prima notifica (50973/2018). L’elezione di domicilio, ex art. 161 c.p.p., perdura fino a quando non viene espressamente e ritualmente revocata e non viene meno per la sola sostituzione del difensore, poiché la nomina del difensore e l’elezione di domicilio sono atti distinti aventi finalità diverse (55242/2018). Sono valide le notifiche effettuate presso il domicilio eletto anche nel caso in cui l’indagato si sia rifiutato di sottoscrivere il relativo verbale (3815/2019). È valido il verbale di elezione di domicilio sottoscritto mediante l’apposizione di un segno di croce, in quanto la provenienza dell’atto dall’interessato, così come l’identità del sottoscrittore, è attestata dall’ufficiale di polizia giudiziaria che ha redatto il documento, mentre l’assenza della specifica attestazione dell’impossibilità di sottoscrivere da parte del dichiarante, non espressamente prevista a pena di nullità, costituisce una mera irregolarità dell’atto (13649/2019).

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C.p.p. art. 161 Domicilio dichiarato, eletto o determinato per le notificazioni COMMENTO La ratio della norma è quella di evitare che la predisposizione di ricerche per eseguire le notificazioni possa comportare inutili sprechi di tempo che si rifletterebbero poi su tutto il procedimento penale pendente. La disposizione in apertura si cura di precisare che il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, ove debbano procedere ad un'attività per la quale è prevista la partecipazione dell'interessato, invitano l'indagato o l'imputato ad eleggere o dichiarare domicilio per le notificazioni, avvertendolo che su di lui incombe l'obbligo di comunicare ogni eventuale mutamento della situazione dichiarata e che in assenza di tale comunicazione o in caso di rifiuto di dichiarazione o elezione di domicilio, le notificazioni verranno eseguite attraverso la consegna dell'atto al difensore. Il domicilio eletto si distingue dal domicilio dichiarato perché, mentre in quest'ultimo caso l'interessato si limita a dichiarare il luogo in cui gli atti debbono essere notificati, dando rilievo ad un rapporto fattuale già esistente con quel sito, nell'ipotesi di elezione ricorre una vera e propria manifestazione di volontà negoziale processualmente rilevante con la quale viene indicata anche la persona (domiciliatario) presso la quale la notificazione deve eseguirsi. In quest'ultimo caso assume, cioè, rilievo un rapporto fiduciario fra il domiciliatario medesimo e l'imputato, in virtù del quale il primo si impegna, nei confronti del secondo, a ricevere gli atti a questo destinati e a tenerli a disposizione del medesimo. La dichiarazione e l'elezione di domicilio sono, pertanto, istituti che si differenziano per natura e funzione. Ne consegue necessariamente che l'indicazione di un luogo per le notificazioni coincidente con l'abitazione dell'imputato deve essere intesa come dichiarazione di domicilio, anche se in essa sia stato fatto uso improprio del termine “elezione”, e che la revoca di una precedente elezione di domicilio deve essere espressamente rappresentata in una contraria manifestazione di volontà (così Cassazione n. 4516 del 1995 e n. 25281 del 2003). Al di fuori di quanto previsto dal primo capoverso della norma, l'imputato è chiamato ad eleggere o dichiarare domicilio: – con l'informazione di garanzia [➠369]. – quando viene scarcerato per causa diversa dal proscioglimento definitivo; – quando deve essere dimesso da un istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza. La disposizione in commento prosegue precisando che la notificazione degli atti viene effettuata mediante consegna al difensore, quando: – la notificazione nel domicilio determinato diviene impossibile; – la dichiarazione o l'elezione di domicilio mancano o sono insufficienti o inidonee: secondo la giurisprudenza l'impossibilità della notificazione al domicilio

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determinato va intesa e correlata con l'insufficienza o inidoneità delle indicazioni contenute nella dichiarazione. Pertanto l'impossibilità della notificazione deve ritenersi correttamente acclarata allorquando, eseguite le ricerche sul luogo mediante le opportune informazioni e sulla scorta delle indicazioni della dichiarazione, l'ufficiale notificatore non sia stato in grado di individuare il domicilio (così Cassazione n. 9104 del 1993). Trovano, infine, piena applicazione le disposizioni di cui agli artt. 157 e 159, laddove l'imputato non abbia potuto comunicare il mutamento di domicilio dichiarato o eletto per: – caso fortuito: ogni fattore causale sopravvenuto, precedente o concomitante, che rende possibile il verificarsi di un evento che, secondo la migliore scienza ed esperienza, normalmente non si sarebbe verificato. – forza maggiore: sottintende una vis maior; è causata da elementi esterni al soggetto, contro i quali questi non è in grado di resistere.

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C.p.p. art. 162 Comunicazione del domicilio dichiarato o del domicilio eletto GIURISPRUDENZA È valida la notificazione del decreto di citazione a giudizio al domicilio precedentemente dichiarato, disposta anteriormente alla ricezione della elezione di domicilio successivamente effettuata. Infatti, con l'espressione “notificazione disposta” l'art. 162, quarto comma, c.p.p. del 1988 (e, l'art. 171, quarto comma, c.p.p. del 1930) indica le notificazioni in corso di esecuzione, che sono da ritenere quelle per le quali abbia già avuto inizio l'“iter” procedimentale, destinato a concludersi con la consegna del documento al destinatario; “iter” che inizia con l'attività e nel momento stesso in cui l'autorità giudiziaria procedente dia concretezza – esteriormente apprezzabile – al proprio intento di darvi corso. A tal fine non si dovrà neppure attendere che la richiesta di notifica sia pervenuta all'ufficiale giudiziario, essendo sufficiente la possibilità di apprezzare un qualsiasi atto di quella autorità valido a realizzare comunque l'esteriorizzazione della richiesta. Il che segua concretamente l'inizio del procedimento notificatorio che diviene in tal modo non più modificabile (9376/1993, rv 196002). Una volta effettuata una valida dichiarazione di domicilio da parte dell'imputato, ove a questa non segua una dichiarazione di domicilio diversa, correttamente le notificazioni vengono effettuate mediante consegna al difensore, a nulla rilevando l'accertamento da parte dell'ufficiale giudiziario del trasferimento dell'imputato dal domicilio dichiarato, fermo restando la possibilità di provare di non essere stato in condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato (11924/1994, rv 200202). L'elezione di domicilio è un atto personalissimo che deve essere compiuto in maniera espressa dall'imputato nelle forme previste (dichiarazione espressa raccolta a verbale o telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autenticata) e non può essere surrogato neanche dalla dichiarazione fatta dal difensore in udienza,

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sia pure in presenza dell'interessato, non essendo possibile desumere dal silenzio dell'imputato l'assenso implicito alla dichiarazione di elezione (10918/1996, rv 207061). Atteso il disposto di cui all'art. 162 c.p.p., secondo cui la dichiarazione e l'elezione di domicilio, come pure ogni loro successivo mutamento, debbono essere comunicati dall'imputato all'autorità procedente “con dichiarazione raccolta a verbale ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da persona autorizzata o dal difensore”, deve ritenersi che, nella prima di dette ipotesi, sia onere della parte far risultare l'attestazione del deposito in cancelleria e sia quindi da considerare inefficace il mutamento effettuato con atto privo di detta attestazione (13682/1998, rv 212085). Dopo che l'imputato abbia già eletto domicilio, la nuova elezione non può essere fatta informalmente nell'atto di appello sottoscritto personalmente, dato che la revoca della prima elezione deve essere effettuata nella forma prescritta, cioè con dichiarazione raccolta a verbale dal cancelliere ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da persona autorizzata o dal difensore (art. 162, comma primo, c.p.p.), con la conseguenza che il decreto di citazione per il giudizio d'appello è ritualmente notificato nel domicilio originariamente eletto (5111/1999, rv 213673). In tema di notificazione all'imputato, la dichiarazione o l'elezione di domicilio hanno efficacia dalla data in cui pervengono all'autorità procedente. Pertanto la notifica è legittimamente eseguita al domicilio precedente quando la comunicazione della modifica è intervenuta in data successiva a quella in cui essa è stata disposta, cioè, dopo che l'atto è stato inoltrato all'ufficiale giudiziario. Diversamente l'ufficio dovrebbe rinnovare la notifica ad ogni mutamento del domicilio stesso, anche nel caso di atto già consegnato al notificatore (7545/1999, rv 214161). Nel caso in cui l'imputato abbia eletto domicilio presso lo studio del difensore, il quale tuttavia ne muti successivamente la dislocazione, all'interessato incombe l'obbligo di comunicare il cambiamento, con la conseguenza che, mancando tale comunicazione ed essendo divenuta impossibile la notificazione presso il domicilio non revocato, questa deve essere effettuata

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mediante consegna al difensore, ai sensi dell'art. 161, comma 4, c.p.p. e, dunque, al suo nuovo recapito, rivestendo tuttavia, in tal caso, il professionista, non più veste di domiciliatario, ma di semplice consegnatario (12688/2000, rv 219231). La facoltà dell'indagato o dell'imputato di eleggere il domicilio per le notificazioni, regolata dagli artt. 161 e 162 c.p.p., comprende anche la possibilità di modificare la precedente elezione, senza che rilevino i motivi per i quali tale facoltà venga esercitata (2746/2001, rv 219370). Le comunicazioni verbali intercorse tra persone osservate a loro insaputa nel corso di un'operazione di polizia non costituiscono "dichiarazioni" e pertanto possono formare oggetto di testimonianza da parte degli operanti che le hanno percepite (28109/2010). È valida l'elezione di domicilio contenuta nel corpo dell'atto di impugnazione sottoscritto e presentato personalmente dall'interessato al pubblico ufficiale preposto a riceverlo, il quale vi apponga e sottoscriva, a sua volta, l'attestazione di avvenuta presentazione, necessariamente riferibile all'atto nella sua interezza, con la conseguenza che è viziata da nullità assoluta la notificazione di tutti gli atti successivi presso altro domicilio. (Fattispecie relativa ad elezione di domicilio contenuta nella procura speciale al difensore incaricato per la presentazione dell'appello, apposta in calce all'atto di impugnazione e richiamata nell'intestazione di questo) (12821/2013).

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C.p.p. art. 162 Comunicazione del domicilio dichiarato o del domicilio eletto COMMENTO Il legislatore ha posto a carico dell'imputato l'obbligo di comunicare all'autorità procedente il domicilio dichiarato o eletto, nonché ogni relativo mutamento, secondo le forme tassativamente ed analiticamente indicate dalla norma in esame, agevolando, peraltro, tali adempimenti nelle ipotesi in cui il luogo in cui l'interessato si viene a trovare risulti diverso da quello nel quale opera l'autorità procedente. L'istituto della elezione di domicilio è stato introdotto nell'ordinamento per consentire all'autorità giudiziaria di individuare un recapito certo e al destinatario di assicurarsi una tempestiva e sicura ricezione di atti. Ne consegue che l'imputato può avere un solo domicilio eletto e che ogni mutamento di elezione di domicilio, ritualmente comunicato all'autorità procedente, comporta revoca della precedente elezione, senza possibilità di elezione plurima, contraddittoria rispetto alla lettera e alla finalità della norma (così Cassazione n. 5280 del 1994). Il verbale idoneo a raccogliere la dichiarazione di domicilio è quello regolato dal sistema processuale penale e quindi quello destinato a documentare gli atti del processo compiuti in presenza del giudice [134 ss.], ovvero l'attività procedimentale del pubblico ministero [373] e della polizia giudiziaria [357]. Ciò che redige l'ufficiale giudiziario, o altro pubblico ufficiale allo scopo delegato, al momento della notifica di atti giudiziari è “relazione di notificazione”, che non richiede neppure la sottoscrizione del soggetto al quale l'atto notificato viene consegnato: essa è pertanto inidonea a ricevere la dichiarazione di domicilio. Il comma 24 dell’art. 1 della L. 23 giugno 2017, n. 103 (modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) aggiunge un ulteriore comma 4-bis all'articolo in commento. La nuova disposizione prevede che, nel caso di elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, debba essere comunicato all'autorità procedente unitamente alla dichiarazione di elezione anche l'assenso del difensore domiciliatario: pena l’inefficacia di tale elezione. Tali nuove disposizioni decorrono dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della citata L. 103/2017 (3 agosto 2017).

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C.p.p. art. 163 Formalità per le notificazioni nel domicilio dichiarato o eletto COMMENTO Le procedure formali previste per le notificazioni nel domicilio dichiarato o eletto seguono, nei limiti in cui risulti applicabile, la disciplina sancita all'art. 157, che regola la prima notificazione all'imputato non detenuto e al quale si fa rinvio.

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C.p.p. art. 164 Durata del domicilio dichiarato o eletto GIURISPRUDENZA L'impossibilità di effettuare una notifica nel domicilio dichiarato non comporta che anche le successive notifiche debbano avvenire mediante consegna al difensore, qualora la loro esecuzione presso il domicilio sia nel frattempo ritornata ad essere praticabile (34341/2010). In tema di notificazioni, la dichiarazione di domicilio prevale su una precedente elezione di domicilio, a meno che l'imputato non manifesti, in modo espresso od implicito, la volontà di mantenere quale luogo dove ricevere le notificazioni a lui dirette il domicilio eletto (11261/2013).

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C.p.p. art. 164 Durata del domicilio dichiarato o eletto COMMENTO Esigenze di economicità ed efficienza processuali hanno spinto il legislatore a considerare valida la determinazione del domicilio dichiarato o eletto per ogni stato e grado del procedimento. Sussistono soltanto due deroghe alla regola generale della immutabilità dell'elezione o della dichiarazione di domicilio qui espressamente sancita: – se l'imputato viene posto in stato di detenzione le notificazioni vengono effettuate conformemente a quanto stabilito dall'art. 156; – se viene proposto ricorso per Cassazione, le notificazioni vengono eseguite presso il difensore dell'imputato. I giudici di legittimità nell'accogliere il gravame proposto da un pubblico ministero, hanno avuto occasione di precisare i limiti dell'efficacia dell'elezione di domicilio operata nel processo di cognizione con riferimento alla diversa fase dell'esecuzione, e lo hanno fatto richiamando la consolidata posizione assunta dalla Suprema Corte sul contenuto dell'articolo in commento, secondo cui la determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per tutto il processo di cognizione, ma non è efficace nella successiva e diversa fase dell'esecuzione. La stessa Corte ha, altresì, sottolineato che in materia di esecuzione delle pene detentive brevi, il comma 5 dell'art. 656 sancisce che il p.m., nell'emettere l'ordine di carcerazione, deve anche ordinarne la sospensione, disponendo la notificazione dei relativi provvedimenti al detenuto ed al difensore nominato per la fase dell'esecuzione o, in mancanza, al difensore “che lo assistito nella fase del giudizio”, con l'avviso che può essere presentata istanza per la concessione di una misura alternativa alla detenzione nel termine di trenta giorni. Il risultato ha portato a ritenere valida la notificazione dell'ordine di carcerazione e del contestuale decreto di sospensione effettuata al condannato secondo il rito degli irreperibili ex art. 159 presso il difensore nominato per la fase di esecuzione (così Cassazione n. 33028 del 2006).

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C.p.p. art. 165 Notificazioni all'imputato latitante o evaso GIURISPRUDENZA In tema di notificazioni a più latitanti dell'avviso per l'udienza fissata a seguito di richiesta di riesame di ordinanza applicativa di misura coercitiva, la comunicazione da dare al difensore non necessariamente deve essere contenuta in atti separati da quello con il quale viene dato allo stesso difensore, in quanto tale, avviso dell'udienza. Quando in tale atto è chiaramente indicata la data dell'udienza e i nomi dei latitanti, per i quali viene notificato l'avviso, non sono necessari ulteriori e diversi atti identici in numero uguale a quello dei destinatari (4300/1995, rv 203224). La forma della notificazione degli atti all'imputato latitante o evaso, successivamente arrestato all'estero, deve essere quella prevista dall'art. 165 c.p.p. (art. 173 c.p.p. del 1930), e cioè la consegna dell'atto al difensore, non essendo applicabile in tal caso – avuto riguardo alle garanzie che devono circondare specificamente le modalità di esecuzione delle notifiche – né la forma prevista dall'art. 156 c.p.p. (notificazione all'imputato detenuto), in quanto presuppone che l'imputato sia ristretto in stabilimenti carcerari posti nel territorio italiano, né quella prevista dall'art. 169 c.p.p. che si riferisce agli imputati i quali all'estero abbiano la residenza o la dimora (8637/1996, rv 205969). In materia di notificazioni, mentre la latitanza ha immediata rilevanza processuale ed è determinata da una scelta volontaria dell'imputato di sottrarsi ad un provvedimento dell'autorità giudiziaria limitativo della libertà e a non presenziare quindi al procedimento, la irreperibilità è una situazione di fatto, che può anche essere involontaria e incolpevole, e che diviene processualmente rilevante per effetto della chiamata nel giudizio. Si tratta quindi di situazioni soggettive non assimilabili e tra loro distinte, con la conseguenza che in un procedimento, diverso da quello in cui si è verificata la latitanza, non solo non è applicabile alle notificazioni la relativa disciplina, ma nemmeno può affermarsi automaticamente che il latitante – che può in concreto conservare

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rapporti con i propri conviventi – debba essere trattato come irreperibile, se non se ne verificano le condizioni (5807/1998, rv 210752). Ai fini della regolarità della notifica di atti destinati al latitante, da effettuarsi, ai sensi dell'art. 165 c.p.p., mediante consegna di copie al difensore, non rileva la mancata attestazione, nella relata di notifica, che detta consegna è stata effettuata al difensore non in quanto tale ma nella veste di rappresentante ad ogni effetto del latitante (5428/1999, rv 213794). Il difensore del latitante o dell'evaso è titolare di un ampio potere di rappresentanza che lo legittima all'espletamento di atti che in genere l'ordinamento riserva personalmente all'imputato; ciò allo scopo di evitare che il concreto esercizio del diritto di difesa soffra limitazioni nel caso di latitanza o di evasione del suo titolare. Pertanto, poiché il latitante o l'evaso possono trovarsi addirittura nella condizione di ignorare la esistenza di sentenza a loro carico o di decreto che dispone il giudizio, ovvero possono essere all'oscuro – anche per le difficoltà ed i pericoli che comportano frequenti contatti con il difensore – della pendenza di procedimento a loro carico, deve ritenersi che, a differenza di quanto avviene per il contumace, il difensore, pur non munito di specifica procura ai sensi dell'art. 571, comma terzo, c.p.p., possa proporre impugnazione (9945/1999, rv 213969). In tema di notifica all'indagato latitante, nel caso in cui siano stati nominati due difensori fiduciari, la notifica ex art. 165 c.p.p. non deve necessariamente essere effettuata presso entrambi i difensori, poiché essa costituisce una forma di conoscenza legale dell'atto da parte del latitante ma non inerisce ai diritti specifici dei difensori (14712/2001, rv 219163). In tema di ricusazione, il difensore dell'imputato latitante o evaso è legittimato a proporre la dichiarazione di ricusazione in nome e per conto del proprio assistito, anche se sprovvisto di apposito mandato, giacché la disposizione contenuta nell'art. 165, comma 3, c.p.p. – secondo cui l'imputato latitante o evaso è rappresentato ad ogni effetto dal proprio difensore – si riferisce, allo scopo di assicurare il più ampio esercizio del diritto di difesa, anche ai diritti ed alle facoltà che la disciplina processuale riserva

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personalmente all'imputato non latitante o non evaso (18908/2001, rv 219017). In tema di notificazione della sentenza emessa nel giudizio svoltosi con il rito abbreviato a carico di imputato latitante, a quest'ultimo non va notificato l'intero documento, ma soltanto l'estratto dello stesso (10568/2003, rv 224335). L'eventuale erronea dichiarazione di latitanza per irritualità delle ricerche non determina una omessa citazione dell'imputato, bensì una nullità a regime intermedio da dedurre prima della pronuncia della sentenza di primo grado, qualora la notificazione del decreto di citazione all'imputato venga eseguita mediante consegna dell'atto al difensore di fiducia, al quale era stato dato mandato anche per la scelta del rito e questi, comparendo in udienza, abbia richiesto il rito abbreviato, senza formulare eccezioni sulla validità della “vocatio in ius”, in tal modo facendo risultare una situazione idonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato (53599/2014). L'eventuale erronea dichiarazione di latitanza non determina una nullità assoluta per omessa citazione dell'imputato, bensì una nullità a regime intermedio da dedurre prima della pronuncia della sentenza di primo grado (10957/2015).

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C.p.p. art. 165 Notificazioni all'imputato latitante o evaso COMMENTO Le notificazioni degli atti all'imputato latitante o evaso vengono effettuate mediante consegna di copia al difensore: il latitante è colui che si sottrae volontariamente all'esecuzione di un mandato o di un ordine d'arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato; l'evaso, invece, è colui che elude la sorveglianza degli organi deputati a svolgere un'attività di vigilanza nei suoi confronti perché sottoposto ad un legittimo stato di arresto o detenzione. Nonostante alcune analogie procedurali in tema di notificazioni (consegna degli atti al difensore), il latitante e l'evaso non vanno confusi con l'imputato irreperibile, soggetto libero nei cui confronti non è stato emesso alcun provvedimento coercitivo e la cui situazione personale, rispetto al procedimento pendente, può essere anche del tutto involontaria e incolpevole. In tema di latitanza, presupposto per le notificazioni da eseguirsi ai sensi della presente norma, è l'esistenza del relativo stato, che consegue non alla redazione del verbale di vane ricerche di cui all'art. 295 dello stesso codice ad opera della polizia giudiziaria, bensì al provvedimento del giudice il quale, pur avendo natura dichiarativa, è il risultato di una valutazione di merito in ordine al carattere sufficientemente completo ed esauriente delle ricerche svolte; in mancanza di tale provvedimento, pertanto, non può parlarsi di latitanza nell'accezione giuridicoprocessuale del termine e non possono conseguentemente verificarsi gli effetti che le norme del codice di rito a tale stato attribuiscono, ivi compreso quello delle modalità di notifica degli atti ai sensi della norma in esame, anziché dell'art. 157 (così Cassazione n. 4802 del 1997).

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C.p.p. art. 166 Notificazioni all'imputato interdetto o infermo di mente GIURISPRUDENZA Atteso il disposto di cui all'art. 166 c.p.p., secondo il quale, nel caso di imputato interdetto, le notificazioni vanno effettuate, oltre che a lui, nelle forme previste dagli articoli precedenti, anche presso il tutore, l'omissione anche di uno solo di tali adempimenti dà luogo, quando l'atto da notificare sia un decreto di citazione o un altro atto ad esso equiparabile (come, nel caso in questione, il decreto di fissazione dell'udienza camerale davanti al tribunale di sorveglianza), ad una nullità di ordine assoluto, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento (1380/2000, rv 215708).

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C.p.p. art. 166 Notificazioni all'imputato interdetto o infermo di mente COMMENTO La norma disciplina le forme di notificazione degli atti nei confronti di soggetti che si trovano in particolari situazioni di disagio. Se l'imputato è interdetto le procedure di notificazione sono analoghe a quelle precedentemente analizzate e vengono effettuate presso il tutore: l'interdizione è un istituto sorto al fine di tutelare chi non è in grado di provvedere ai propri interessi e si profila come causa impeditiva o estintiva dell'acquisto della capacità di agire rispettivamente quando viene pronunciata nell'ultimo anno della minore età o dopo il compimento dei diciotto anni. Se l'imputato non è giuridicamente interdetto, ma si trova in una condizione di incapacità mentale, previamente accertata con perizia, tale da precludergli la cosciente partecipazione al procedimento, le notificazioni seguono le regole sopra richiamate, con la particolarità che vengono eseguite presso il curatore speciale.

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C.p.p. art. 167 Notificazioni ad altri soggetti COMMENTO Ausiliari del giudice, difensori, consulenti tecnici.

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C.p.p. art. 167 Notificazioni ad altri soggetti GIURISPRUDENZA Poiché l'art. 167 c.p.p. prescrive che per le notificazioni a soggetti diversi da quelli indicati negli articoli precedenti si osservano le disposizioni dell'art. 157 c.p.p., le notifiche al difensore dell'imputato non devono essere obbligatoriamente effettuate presso lo studio del difensore stesso (11792/1993, rv 196605). È legittimamente ritenuto irreperibile un teste (con i conseguenti riflessi sul regime delle letture e dell'utilizzabilità in dibattimento delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari) quando, all'atto della notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza, un parente riferisce della sua assenza e dell'impossibilità di reperire la persona interessata. La dichiarazione d'irreperibilità del teste riflette infatti unicamente l'impossibilità di una regolare notifica ai sensi dell'art. 167 c.p.p. e non l'esito negativo delle ricerche previste per l'imputato dagli artt. 159 e 160 c.p.p. (1203/1997, rv 207463). In tema di notificazioni, vale il principio di carattere generale, secondo cui la notifica di atti e avvisi eseguita a mani proprie dell'imputato, ancorché in presenza di un'elezione di domicilio, è valida dovunque essa avvenga, in quanto è la forma più sicura per portare l'atto a conoscenza del destinatario (6675/2000, rv 216226). In tema di modalità di notificazione al difensore, valgono le regole stabilite dall'art 167 c.p.p., che disciplina la notifica degli atti processuali agli “altri soggetti”. È valida pertanto la notificazione al difensore mediante consegna ad un collega di studio, senza che assuma rilievo, da un lato, la differenza tra notificazione al difensore in quanto tale, ovvero quale domiciliatario dell'imputato, dall'altro, la omessa attestazione, da parte dell'organo notificante, di non aver potuto consegnare l'atto al destinatario; tale evenienza, infatti, deve ritenersi accertata proprio in base alla circostanza che l'ufficiale procedente abbia consegnato copia dell'atto al collega di studio del suddetto (14384/2003, rv 224387).

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C.p.p. art. 167 Notificazioni ad altri soggetti COMMENTO La norma appronta una disciplina di chiusura volta ad identificare le modalità di notificazione degli atti del processo penale nei riguardi di tutti quei soggetti non esplicitamente menzionati nelle precedenti disposizioni del codice (esempio). Lo schema notificativo preso come punto di riferimento è quello indicato all'art. 157, perché consente di dare maggiori garanzie di conoscenza e conoscibilità dell'atto da parte del destinatario.

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C.p.p. art. 168 Relazione di notificazione GIURISPRUDENZA Ancorché la mancanza di data nella relazione di notifica non costituisca, secondo l'elencazione fatta dall'art. 171 c.p.p., causa di nullità della notifica stessa, tuttavia, nel caso di notificazione di un decreto penale di condanna all'imputato la previsione dell'art. 168 c.p.p. relativa alla necessità che sia indicata la data di consegna della copia anche nella relazione apposta sulla copia medesima (relazione le cui attestazioni prevalgono, in caso di divergenza, su quelle di cui al secondo comma del predetto art. 168 c.p.p.) deve ritenersi prescritta a pena di nullità, rientrando nell'ambito della previsione dell'art. 178, primo comma, lett. c), c.p.p., in quanto relativa alla determinazione del momento iniziale di decorrenza del termine per proporre opposizione (1121/1992, rv 190426). L'omessa indicazione nella relata di notifica della temporanea convivenza del consegnatario non costituisce causa di nullità del decreto di citazione a giudizio, quando tale temporanea convivenza sia desumibile da una relazione di parentela, e sempre che la notifica sia stata eseguita nel domicilio dell'interessato (3911/1993, rv 195008). In tema di notificazioni in materia penale, nessuna disposizione di legge vieta l'uso, da parte dell'ufficiale giudiziario, di un modello prestampato per la notifica e pertanto anche le relazioni redatte con tale mezzo sono assistite dalla fede privilegiata attribuita alle certificazioni dell'ufficiale giudiziario relativamente all'attività svolta per le notificazioni (852/1994, rv 196326). In tema di notificazioni in materia penale, l'omissione dell'indicazione, nella relazione di notifica, delle ricerche effettuate dall'ufficiale incaricato, così come la stessa omissione delle ricerche, non dà luogo ad alcuna nullità della notifica a norma dell'art. 171 c.p.p. (3215/1998, rv 211306). In materia di notificazione, la presunzione di veridicità che assiste la relata in cui l'ufficiale giudiziario attesta che il consegnatario dell'atto è convivente con l'interessato, può essere da

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questi contrastata – attesa la libera valutazione attribuita al giudice – ma solo a condizione che venga fornita una prova contraria precisa e rigorosa, la quale in nessun caso può consistere in una “autocertificazione” della insussistenza della situazione di convivenza (24575/2001, rv 219640). Poiché l'art. 168 c.p.p. non ha riprodotto la previsione, contenuta nel secondo comma dell'art. 176 del codice abrogato, secondo cui la relazione di notifica “fa fede sino ad impugnazione di falso per quanto l'ufficiale che eseguì la notificazione attesta aver fatto o essere avvenuto in sua presenza”, né ha confermato l'istituto dell'incidente di falso, in virtù dell'attuale disciplina il giudice può liberamente valutare la falsità di un elemento documentato nella relazione ed ogni interessato può fornire la prova contraria delle risultanze della relazione stessa (26681/2003, rv 225166).

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C.p.p. art. 168 Relazione di notificazione COMMENTO La relazione di notificazione è il momento conclusivo dell'intera procedura di notificazione ed ha lo scopo di attestare la conformità delle formalità adempiute agli schemi previsti dalla legge. La norma ne descrive minuziosamente il contenuto e, al secondo capoverso, si preoccupa di precisare che se vi è contraddizione tra la relata contenuta nella copia consegnata e quella inserita nell'originale, risulta preponderante per il destinatario, in ossequio alla funzione cui la notificazione è destinata, quella scritta sulla copia, perché è l'unica da lui conosciuta.

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C.p.p. art. 169 Notificazioni all'imputato all'estero GIURISPRUDENZA L'assenza all'udienza di riesame dell'indagato, che si trovi all'estero ed al quale quindi la comunicazione dell'avviso della data dell'udienza fissata per il riesame del provvedimento cautelare personale sia stata effettuata nella forma della notifica al difensore, senza il previo invito ad eleggere o dichiarare il domicilio nello Stato di cui all'art. 169 c.p.p., non contrasta con i principi posti dagli artt. 5 e 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata con legge 4 agosto 1955 n. 848. Infatti i provvedimenti del tribunale del riesame hanno la natura di “decisione allo stato” e le norme della suddetta convenzione hanno una valenza diversa a seconda che vadano applicate ad una fase processuale facilmente riproponibile, oppure ad una fase processuale che è destinata a chiudersi in via definitiva, anche se può essere seguita da ulteriori stadi processuali. Invero l'indagato che non sia stato notiziato direttamente e non sia presente all'udienza di riesame non soltanto può sempre riproporre il ricorso al tribunale, ai sensi del secondo comma dell'art. 309 c.p.p. allorché sopravvenga l'esecuzione della misura, ma può riproporre l'istanza di revoca o sostituzione della stessa al giudice, ed ove costui, entro cinque giorni, ai sensi dell'art. 299 c.p.p., rigetti la richiesta, può ancora rivolgersi al tribunale del riesame (3778/1991, rv 186526). Ai fini dell'obbligatorietà della notificazione all'imputato, ai sensi dell'art. 169 c.p.p., nel caso in cui risulti precisa notizia del luogo di dimora all'estero della persona nei cui confronti si deve procedere, per “dimora” deve considerarsi il luogo in cui la persona fisica è presente, sia pure in via transitoria, ma con un minimo di stabilità, tale cioè che si distingua dal momentaneo soggiorno. Siffatto requisito di stabilità minima è tipico del ricovero ospedaliero per un intervento chirurgico, implicante un apprezzabile periodo di permanenza sia per la fase preparatoria sia per la

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necessaria degenza successiva all'intervento (2336/1992, rv 191356). La forma della notificazione degli atti all'imputato latitante o evaso, successivamente arrestato all'estero, deve essere quella prevista dall'art. 165 c.p.p. (art. 173 c.p.p. del 1930), e cioè la consegna dell'atto al difensore, non essendo applicabile in tal caso – avuto riguardo alle garanzie che devono circondare specificamente le modalità di esecuzione delle notifiche – né la forma prevista dall'art. 156 c.p.p. (notificazione all'imputato detenuto), in quanto presuppone che l'imputato sia ristretto in stabilimenti carcerari posti nel territorio italiano, né quella prevista dall'art. 169 c.p.p. che si riferisce agli imputati i quali all'estero abbiano la residenza o la dimora (8637/1996, rv 205969). In materia di notificazioni, le disposizioni relative alla notifica all'imputato all'estero stabilite dall'art. 169 c.p.p. non si applicano nel caso in cui l'imputato, che pure risulti avere la residenza o la dimora all'estero, abbia comunque avuto notizia del procedimento penale instaurato nei suoi confronti ed abbia eletto domicilio. Ove tale elezione di domicilio risulti inidonea, la notifica deve essere effettuata mediante consegna al difensore a norma dell'art. 161, comma 4, c.p.p. (23716/2001, rv 218902). L'art. 169 c.p.p., il quale disciplina le modalità per le notificazioni all'imputato all'estero, trova applicazione soltanto quando alla persona che risulti avere residenza o dimora all'estero debba essere data notizia del procedimento penale che viene instaurato nei suoi confronti, con contestuale invito ad eleggere domicilio nel territorio dello Stato per le notificazioni di atti del procedimento stesso; detta disposizione, viceversa, non deve essere applicata nella diversa ipotesi in cui già si sia svolto il giudizio di primo grado e l'imputato abbia ricevuto tutte le previste notificazioni nel domicilio dichiarato o determinato ai sensi dell'art. 161 c.p.p. (8740/2003, rv 223573).

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C.p.p. art. 169 Notificazioni all'imputato all'estero COMMENTO La norma disciplina le notificazioni all'imputato residente o dimorante all'estero. Dalla lettera della disposizione si evince che se il luogo di residenza o dimora all'estero dell'imputato, destinatario della notificazione, al quale deve essere comunicata la notizia di un procedimento penale nei suoi confronti, sono conosciuti, l'autorità competente (giudice o pubblico ministero) deve inviare una lettera raccomandata con avviso di ricevimento, contenente le indicazioni maggiormente rilevanti in ordine al fatto di reato commesso e l'invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato. Nel caso in oggetto per “dimora” deve considerarsi il luogo in cui la persona fisica è presente, sia pure in via transitoria, ma con un minimo di stabilità, tale cioè che si distingua dal momentaneo soggiorno. Se all'invito sopra richiamato non viene data effettiva esecuzione entro trenta giorni dalla ricezione della lettera raccomandata, o se l'elezione o la dichiarazione di domicilio sono insufficienti o inidonee, ovvero, infine, se l'interessato si è trasferito fuori del territorio dello Stato dopo l'emissione del decreto di irreperibilità, le notificazioni vengono effettuate mediante consegna dell'atto al difensore. Né la Convenzione europea sui diritti dell'uomo, né il codice di rito impongono la traduzione nella lingua dell'imputato straniero degli atti che gli vengono notificati. L'unica eccezione alla regola generale dell'uso esclusivo della lingua italiana, stabilita dall'art. 109 è costituita dalla norma in esame, secondo la quale l'invito a dichiarare o ad eleggere domicilio in Italia deve essere redatto nella lingua dell'imputato straniero, cui la raccomandata contenente la notizia del procedimento e l'invito in questione debba essere notificata all'estero, quando dagli atti non risulti che egli conosce la lingua italiana. Siffatta esplicita previsione conferma la regola generale, che è quella dell'uso della lingua italiana, senza necessità di traduzioni per lo straniero che si trovi in Italia, di tutti gli altri scritti del procedimento, salvo il diritto, per l'imputato che non conosca la lingua italiana, di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di comprendere l'accusa formulata contro di lui e di seguire il compimento degli atti cui partecipa (così Cassazione n. 2642 del 1993). Se l'autorità giudiziaria non conosce il luogo di residenza all'estero dell'imputato, deve disporre delle ricerche in Italia e all'estero entro i limiti stabiliti dalle convenzioni internazionali, all'esito delle quali può essere emesso decreto di irreperibilità, qualora non sia stato possibile rintracciare l'interessato.

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C.p.p. art. 170 Notificazioni col mezzo della posta GIURISPRUDENZA Per la validità della notifica eseguita a mezzo del servizio postale, in caso di assenza del destinatario o di altra persona idonea alla ricezione del piego raccomandato, occorre che sull'avviso di ricevimento, depositato con il piego nell'ufficio postale, risulti il compimento delle formalità alternativamente previste dall'art. 8, comma secondo, della legge 20 novembre 1982 n. 890, dell'affissione alla porta d'ingresso dell'avviso al destinatario del detto deposito nell'ufficio postale o dell'immissione nella cassetta della corrispondenza nonché l'indicazione del deposito e dei motivi che li hanno determinati. Poiché si tratta di adempimenti che non possono essere presunti, rappresentando essi condizioni o momenti essenziali del procedimento di notificazione che, per la mancata previsione di una relata di notificazione redatta dall'agente postale, non potrebbero essere documentalmente dimostrati per altra via, qualora l'avviso di ricevimento del piego raccomandato non specifichi nulla, essendo barrata unicamente la casella attinente al deposito presso l'ufficio postale del detto piego, poi restituito per compiuta giacenza, manca del tutto la prova che il procedimento di notifica sia passato attraverso i momenti essenziali voluti dalla legge, con conseguente invalidità della notifica stessa (4548/1996, rv 205226). La notifica a mezzo posta per compiuta giacenza, essendo prevista espressamente dall'art. 170 c.p.p. e dall'art. 8 della legge 20 novembre 1982 n. 890, non è di per sé equiparabile alla mancata conoscenza effettiva dell'atto. Ed invero, la Corte Costituzionale, con la sentenza 13 maggio 1991, n. 211 nel riconoscere la legittimità della normativa che prevede tale forma di notifica, ha affermato che il giudice in detta ipotesi – anche in relazione a particolari circostanze del caso concreto (come attività professionali o qualità personali del notificando) – ove ritenga la notificazione a mezzo posta inidonea a rendere possibile l'effettiva conoscenza dell'atto notificato, ben può ordinare che la nuova notificazione sia

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effettuata personalmente ad opera dell'ufficiale giudiziario, ed ha altresì precisato che la mancata conoscenza della notifica non deve, peraltro, essere attribuibile a colpa dell'imputato (910/1997, rv 206912). Prima di adottare le forme previste dall'art. 170 c.p.p. per le notificazioni con il mezzo della posta, l'ufficiale giudiziario, ove non abbia trovato persona cui consegnare la copia dell'atto, non è tenuto a completare il tentativo di notifica all'imputato non detenuto ai sensi dell'art. 157 c.p.p.; ciò perché la notificazione degli atti a mezzo del servizio postale non è in rapporto di sussidiarietà rispetto a quella ordinaria, potendo sempre essere eseguita dall'organo incaricato nei modi stabiliti dalle relative norme speciali, salvi i limiti – specificamente inerenti al processo penale – della diversa disposizione dell'autorità giudiziaria procedente o dell'esigenza di forme particolari di notificazione che siano incompatibili con la comunicazione dell'atto a mezzo del servizio postale (3867/1998, rv 211292). La citazione a giudizio notificata a mezzo posta e consegnata a persona diversa dal destinatario, richiede che l'avviso di ricevimento e il registro di consegna debbono essere sottoscritti dalla persona a cui il piego è consegnato e, inoltre, che la firma deve essere seguita dalla specificazione della qualità del consegnatario; pertanto, un'eventuale annotazione successiva eseguita dall'ufficio postale su richiesta dell'autorità giudiziaria non vale a sanare l'omissione, in quanto costituisce mancanza della certezza legale della conoscenza (4718/2003, rv 223810). È nulla la notifica del decreto di citazione a giudizio eseguita a mani di persona qualificatasi come suocera dell'imputato in quanto, ai fini delle notificazioni, la convivenza può presumersi solo in presenza di un rapporto familiare "qualificato", quale quello esistente tra genitori e figli minori e tra coniugi. (Nella specie l'ufficiale giudiziario aveva attestato nella relata di aver notificato l'atto alla suocera, qualificata come "addetta alla casa" e non "familiare convivente") (14844/2010).

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C.p.p. art. 170 Notificazioni col mezzo della posta COMMENTO Sollevata la questione di legittimità costituzionale della norma in esame è stata poi ritenuta non fondata in relazione all'art. 8 della legge 20 novembre 1982 n. 890 (notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazione a mezzo posta connessa con la notificazione di atti giudiziari), nella parte in cui considera avvenuta la notifica a mezzo posta a carico della persona non rinvenuta nella propria abitazione dopo compiuto la giacenza della raccomandata presso gli uffici postali. Nella materia penale non vi è una assoluta incompatibilità delle presunzioni legali di conoscenza con le garanzie di difesa. La giurisprudenza di legittimità, formatasi in ordine al codice (abrogato), è stata invero costante nel ritenere rispettate le suindicate garanzie anche nel caso di forme di notificazioni che non assicurano la conoscenza “reale”, in quanto non raggiungono direttamente la persona dell'imputato, ma soltanto una conoscenza “legale”, cioè fondata su presunzioni, purché rispondenti a criteri tali da realizzare una elevata probabilità di conoscenza effettiva dal momento che lo scopo della notificazione è quello di portare il contenuto dell'atto nella sfera di conoscibilità dell'interessato. Al fine di verificare l'idoneità del sistema della notificazione a mezzo posta ad apprestare adeguate garanzie di conoscibilità dell'atto notificato da parte del notificando, è decisivo osservare che le norme impugnate vanno coordinate proprio con quelle concernenti la notificazione del decreto di fissazione dell'udienza preliminare. Le garanzie di difesa dell'imputato appaiono adeguatamente assicurate. Tanto più che il giudice, nell'esercizio del potere-dovere di disporre la rinnovazione della notificazione, tenuto conto dell'inidoneità, palesatasi nel caso concreto della notificazione a mezzo posta a rendere possibile l'effettiva conoscenza dell'atto notificato, ben potrà ordinare che la nuova notificazione sia effettuata personalmente (così Cassazione n. 211 del 1991). Occorre, infine, sottolineare che ove la notificazione a mezzo posta non produca apprezzabili effetti a causa dell'irreperibilità del destinatario, tale procedura speciale viene surrogata dal ricorso alle ordinarie forme di notificazione presiedute dall'ufficiale giudiziario.

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C.p.p. art. 171 Nullità delle notificazioni GIURISPRUDENZA Ancorché la mancanza di data nella relazione di notifica non costituisca, secondo l'elencazione fatta dall'art. 171 c.p.p., causa di nullità della notifica stessa, tuttavia, nel caso di notificazione di un decreto penale di condanna all'imputato la previsione dell'art. 168 c.p.p. relativa alla necessità che sia indicata la data di consegna della copia anche nella relazione apposta sulla copia medesima (relazione le cui attestazioni prevalgono, in caso di divergenza, su quelle di cui al secondo comma del predetto art. 168 c.p.p.) deve ritenersi prescritta a pena di nullità, rientrando nell'ambito della previsione dell'art. 178, primo comma, lett. c), c.p.p., in quanto relativa alla determinazione del momento iniziale di decorrenza del termine per proporre opposizione (1121/1992, rv 190426). La mancanza, nella copia dell'atto notificato ex art. 157, ottavo comma, c.p.p. e destinata all'interessato, dell'attestazione – da parte dell'ufficiale giudiziario – dell'avvenuta affissione dell'avviso di deposito dell'atto è effetto normale della regolamentazione procedimentale, data dalla norma, posto che l'affissione dell'avviso di deposito, essendo attività successiva a questo, non può esser data come avvenuta nell'atto che è oggetto del deposito. Poiché la comunicazione, da dare all'interessato, con lettera raccomandata, dell'avvenuto deposito, riguarda solo questo e non pure l'eseguita affissione dell'avviso, discende che non è previsto dalla legge alcun modo per inserire, negli atti che – attraverso il deposito o la raccomandata – sono destinati a pervenire all'imputato, la notizia al medesimo dell'avvenuta affissione dell'avviso, la cui mancanza – quindi – non può esser considerata, nell'ottica del disposto dell'art. 168, secondo comma, c.p.p. determinante la nullità prevista dall'art. 171, lett. f), cod. proc. pen (1140/1992, rv 191618). L'art. 171 c.p.p. contempla tra le situazioni originanti la nullità della notificazione, la violazione delle disposizioni circa la persona cui deve essere consegnata la copia dell'atto o l'incertezza assoluta circa l'autorità richiedente o circa il destinatario della notificazione,

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e non anche la violazione delle disposizioni circa l'autorità che deve provvedere a curare la notificazione stessa. Ne consegue che è valida la notificazione dell'ordinanza che rinnova il titolo di custodia a norma dell'art. 27 c.p.p., eseguita a cura del pubblico ministero anziché del giudice che ha emesso il provvedimento, così come previsto dall'art. 92 disp. att. c.p.p. per le fasi successive alla chiusura delle indagini preliminari (3214/1995, rv 201755). Qualora il decreto di citazione a giudizio di un imputato, che non risulti coniugato, venga notificato mediante consegna alla moglie convivente, come attestato dall'ufficiale giudiziario nella relata, e qualora questa non contenga l'indicazione delle generalità della persona che ha ricevuto la copia, vi è in concreto un'assoluta impossibilità di identificare il consegnatario la quale si risolve nella nullità prevista dall'art. 171 c.p.p., lett. d), da cui deriva l'omessa citazione dell'imputato e la conseguente nullità stabilita dall'art. 179, comma primo, c.p.p. (10095/1995, rv 202274). Allorquando l'imputato abbia compiuto rituale elezione di domicilio, corredata dall'indicazione delle generalità del domiciliatario, secondo quanto prescritto dall'art. 62 disp. att. c.p.p., l'omessa indicazione del domiciliatario stesso nella richiesta e nella relazione di notifica fatta dall'ufficiale giudiziario, è causa di nullità, omologabile all'ipotesi dell'incertezza assoluta del destinatario della notifica, ai sensi dell'art. 171 c.p.p., lett. b), terza ipotesi (1926/1996, rv 204843). La diversità dei procedimenti di notificazione, secondo che questa avvenga ad opera dell'ufficiale giudiziario personalmente ovvero mediante il ricorso al servizio postale, non comporta diversità di garanzie in ordine alla presunzione legale di conoscenza, da parte del destinatario, dell'atto del giudice o di altro soggetto processuale e, conseguentemente, diversità del regime di nullità dei due differenti tipi di notificazione. Ne consegue che non sono sottratte al regime di nullità proprio delle notificazioni eseguite personalmente dall'ufficiale giudiziario attività particolari dell'ufficiale postale che, pur non in tutto coincidenti con quelle dell'ufficiale giudiziario, si inquadrino nell'ambito delle medesime finalità (15/1998, rv 210540). In tema di notificazioni, la notifica del decreto di citazione a giudizio effettuata, anziché al domicilio eletto, al domicilio reale,

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ma non a mani proprie dell'imputato, realizza una nullità assoluta che, concernendo la “vocatio in iudicium” e, quindi, la rituale costituzione del rapporto giuridico processuale, è rilevabile e deducibile in ogni stato e grado del processo, sorgendo la preclusione soltanto con la formazione del giudicato (1988/1998, rv 209847). L'omessa menzione, sull'avviso di ricevimento, dell'avvenuta esecuzione di tutte le formalità prescritte dall'art. 8, comma secondo, della legge n. 890 del 1982 – deposito del piego nell'ufficio postale per mancata consegna, avviso al destinatario mediante affissione alla porta di ingresso o immissione nella cassetta della corrispondenza – e dei motivi che li hanno determinati costituisce causa di nullità e non di mera irregolarità della notificazione effettuata con il mezzo della posta (3060/1999, rv 213392). Non è sufficiente per la notificazione a mezzo posta del decreto di citazione per il giudizio l'immissione di avviso nella cassetta condominiale ed il compimento della giacenza per dieci giorni. Infatti prima ancora del decorso dei dieci giorni previsti per la giacenza occorre spedire una seconda lettera raccomandata, onde avvertire l'imputato del compimento delle formalità inerenti al primo avviso (8516/1999, rv 214225). La notifica effettuata a mani della persona offesa, anziché presso il difensore, è valida in quanto idonea a garantire la conoscenza dell'atto. Ciò in conformità alla “ratio” dell'art. 33 disp. att. c.p.p., il quale – disponendo che il domicilio della persona offesa dal reato che abbia nominato un difensore si intende eletto presso quest'ultimo – ha inteso soddisfare esigenze di speditezza e di economia processuale e non già creare un assetto di garanzie a tutela della persona offesa (che risulterebbe di più ampio spessore rispetto a quello delineato dal legislatore nei confronti dell'imputato) ed in conformità al principio generale elaborato dalla giurisprudenza, in materia di notifiche, in virtù del quale alla certezza legale è pariordinata la certezza storica (1574/2000, rv 217132). In tema di notificazioni, qualora la copia di un atto notificato(nella specie, decreto di citazione a giudizio) sia rappresentata da uno stampato privo di qualsiasi indicazione,

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diversamente dall'originale, completo in ogni parte, sussiste nullità della notificazione ex art. 171, comma 1, c.p.p., poiché la previsione dell'art. 168, comma 2 stesso codice, secondo la quale, quando vi è contraddizione tra la relazione scritta sulla copia consegnata e quella contenuta nell'originale, valgono per ciascun interessato le attestazioni contenute nella copia notificata deve intendersi valere, a maggior ragione, quando la divergenza non riguardi la relazione di notifica, ma lo stesso contenuto dell'atto notificato (5276/2000, rv 220562). È nulla la notificazione della citazione in giudizio dell'imputato effettuata ai sensi dell'art. 157, comma 8, c.p.p., qualora non sussista in atti l'avviso di ricevimento della lettera raccomandata spedita dall'ufficiale giudiziario, in quanto, da un lato, la previsione di cui all'art. 158 c.p.p. – per la quale gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata – non consente di presumere il ricevimento di quest'ultima e dall'altro l'art. 171 c.p.p., comma 1, lett. f), sancendo la nullità della notificazione ove non sia stata data la comunicazione prescritta dall'art. 157, comma 8, c.p.p. si riferisce all'intera procedura prevista da quest'ultima norma, ivi compresa quella relativa al ricevimento della raccomandata (14818/2003, rv 224765). Il ricorso alla procedura di notificazione all'imputato attraverso il deposito dell'atto nella casa comunale, accompagnato dagli ulteriori adempimenti previsti dall'art. 157, comma ottavo, c.p.p., è possibile solo dopo aver percorso in via cumulativa e non alternativa tutte le vie indicate dai precedenti commi del medesimo articolo, e in particolare la notifica mediante consegna personale ovvero a persone abilitate presso la casa di abitazione o il luogo di abituale esercizio dell'attività lavorativa. L'omissione di tali adempimenti determina la nullità della notifica a norma dell'art. 171, lett. d), c.p.p. che, inficiando il procedimento della "vocatio in ius", ha carattere assoluto ai sensi dell'art. 179 stesso codice (40204/2010). E valida la notifica all'imputato detenuto, anche per altra causa, eseguita presso il domicilio eletto dal medesimo e non presso il luogo di detenzione, avendo anche l'imputato detenuto la facoltà di dichiarare o eleggere domicilio ai sensi dell'art. 161, comma primo, cod. proc. pen. (43772/2014). Il ricorso alla procedura di notificazione all'imputato attraverso il deposito dell'atto nella casa comunale, accompagnato dagli ulteriori adempimenti previsti

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dall'art. 157, comma ottavo, cod. proc. pen., è possibile solo dopo aver percorso in via cumulativa e non alternativa tutte le vie indicate dai precedenti commi del medesimo articolo, e in particolare la notifica mediante consegna personale ovvero a persone abilitate presso la casa di abitazione o il luogo di abituale esercizio dell'attività lavorativa. L'omissione di tali adempimenti determina la nullità della notifica a norma dell'art. 171, lett. d), cod. proc. pen. che, inficiando il procedimento della “vocatio in ius”, ha carattere assoluto ai sensi dell'art. 179 stesso codice (5722/2015).

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C.p.p. art. 171 Nullità delle notificazioni COMMENTO Scopo dell'istituto della notificazione è quello di comunicare al destinatario il contenuto di un determinato atto, al fine di consentirgli il più ampio esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito all'interno della dinamica processuale. Pertanto il procedimento di notificazione può presentare dei vizi che lo rendono invalido, e dunque inidoneo al perseguimento della finalità suddetta. Il legislatore, nella norma in esame, delinea le ipotesi tassative di nullità delle notificazioni, nullità che si ripercuotono sulla validità degli atti che vengono compiuti in un momento successivo rispetto alla comunicazione dell'atto che doveva essere notificato (inefficacia derivata). In termini generali, si può parlare di nullità quando vi è stata inottemperanza nei confronti delle formalità che la legge prescrive. Il legislatore, dal canto suo, ha inteso predisporre una disciplina molto dettagliata per ridurre al minimo i casi di conoscenza “legale” su quelli di conoscenza “reale”.

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C.p.p. art. 172 Regole generali GIURISPRUDENZA L'art. 172, sesto comma, c.p.p., secondo il quale il termine per fare dichiarazioni, depositare documenti e compiere altri atti in un ufficio giudiziario si considera scaduto nel momento in cui, secondo i regolamenti, l'ufficio viene chiuso al pubblico, non attiene al momento della chiusura effettiva dell'ufficio (cancelleria), ma coincide con l'orario di chiusura stabilito dai regolamenti. La disposizione in parola, chiaramente rivolta ai soggetti estranei all'ufficio e riferibile alle parti, deve ritenersi applicabile anche nei confronti del pubblico ministero. Infatti, il vigente codice di rito ha introdotto una netta distinzione di ruoli tra giudice e pubblico ministero, equiparando questo alle parti in genere; cosicché il detto organo deve considerarsi estraneo all'ufficio ai predetti fini e, quindi, assoggettato ai limiti di accesso previsti dalla norma sopra ricordata, che attiene al compimento di attività riferite ad una parte processuale, in ordine alle quali sono imposti termini di decadenza (3966/1995, rv 200627). In materia di termini, la regola di cui all'art. 172, comma quinto, c.p.p., secondo la quale, “quando è stabilito soltanto il momento finale, le unità di tempo stabilite per il termine si computano intere e libere”, implica soltanto che vanno esclusi dal computo il “dies a quo” e il “dies ad quem”, non operando, invece, detta esclusione, con riguardo agli eventuali giorni festivi intermedi, giacché l'esistenza di una festività rileva soltanto nella diversa ipotesi di cui al comma terzo del citato art. 172 c.p.p., in base al quale il termine che scade in giorno festivo è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo (3559/1996, rv 205316). Il quarto comma dell'art. 172 c.p.p., secondo cui nel termine non si computa il giorno in cui ne è iniziata la decorrenza, è applicabile anche al termine di due giorni nel quale, ai sensi dell'art. 299 c.p.p., comma 3 bis, il pubblico ministero deve esprimere il proprio parere circa la richiesta di revoca o sostituzione delle misure coercitive o interdittive; il predetto art. 172 c.p.p., che costituisce disposizione di

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carattere generale, infatti, espressamente esclude – salvo che la legge disponga altrimenti – che possano configurarsi fattispecie derogatorie in via meramente interpretativa al di là dei casi esplicitamente contemplati dal dettato normativo (3843/1997, rv 208367). La proroga di diritto al giorno successivo non festivo dei termini che vengano a scadenza in giorno festivo, prevista dall'art. 172, comma terzo, c.p.p., per i termini stabiliti a giorni, non può ritenersi operante nel caso di termini fissati dalla legge “ad horas”, come nel caso del termine di 24 ore stabilito dall'art. 30 bis, comma terzo, dell'ordinamento penitenziario per la proposizione dei reclami avverso i provvedimenti in materia di permessi (901/1998, rv 209898). Il “dies a quo” che cada in periodo feriale comincia a decorrere dal primo giorno utile successivo alla scadenza di quel periodo (10060/2001, rv 218207). La proroga di diritto del termine stabilito a giorni, che scada in giorno festivo, non si applica ai termini dilatori, che si computano a giorni liberi, come il termine di comparizione in appello, previsto dall'art. 601 c.p.p. (12659/2001, rv 218327). In tema di computo dei termini processuali, ai fini della tempestività della proposizione dell'impugnazione – nel caso di imputato presente al dibattimento e di sentenza emessa con la sola lettura del dispositivo e riserva del deposito della motivazione nel termine ordinario di quindici giorni che inizia a decorrere dal giorno successivo a quello della lettura del dispositivo – il termine per il deposito del gravame inizia a decorrere, in virtù del principio generale stabilito dall'art. 172 c.p.p., n. 4, cui non deroga l'art. 544 c.p.p., comma 2, dal primo giorno successivo alla scadenza di quello ordinario previsto per il deposito della sentenza, con la conseguenza che complessivamente si tratta di quarantacinque giorni che iniziano a decorrere dal giorno seguente a quello della decisione (11499/2003, rv 223927). In materia di termini processuali, è prorogato per legge unicamente il termine stabilito a giorni che scade il giorno festivo, da individuarsi tra quelli menzionati dagli art. 1 e 2 l. n. 260 del 1949, come modificati dall'art. 1 l. n. 54 del 1977 e dall'art. 1 d.P.R. n. 792 del 1985. (In motivazione la Corte ha precisato che il sabato

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non è giorno festivo, non essendo applicabile, in via analogica, la disposizione dell'art. 155 c.p.c.) (34877/2010). In tema di termini per l'impugnazione, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali dei quali i motivi ulteriori devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti; ne consegue che sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali, a fondamento del “petitum” dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l'ambito del predetto “petitum”, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione (18293/2014). In materia di termini processuali, è prorogato per legge unicamente il termine stabilito a giorni che scade il giorno festivo, da individuarsi tra quelli indicati nominativamente come festivi dalla legge e tra cui non è menzionato il sabato; è, dunque, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 172 cod. proc. pen. in relazione alla diversa disciplina dettata dall’art. 155 cod. proc. civ. - in base alla quale il termine stabilito a giorni, che scade il sabato, è prorogato al primo giorno non festivo - essendo rimessa alla discrezionalità del legislatore ogni valutazione in ordine alla necessità di una disciplina processuale dei termini differenziata, in considerazione dei beni e degli interessi in rilievo nel processo penale, primo tra tutti quello della libertà personale (13505/2018). In tema di misure cautelari personali, nel computo del termine di cinque giorni per l’espletamento dell’interrogatorio di garanzia non si tiene conto del giorno in cui è iniziata l’esecuzione della custodia, trattandosi di un normale termine processuale, al quale si applica la regola generale dell’art. 172, comma 4, cod. proc. pen., che non attiene alla durata della custodia cautelare, ma all’attività del giudice (24964/2018). Nel giudizio camerale di legittimità, le memorie e le produzioni difensive depositate in violazione del rispetto dei termini di quindici e cinque giorni "liberi" prima dell’udienza, previsti dall’art. 611 c.p.p., sono tardive e, pertanto, non possono essere prese in

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considerazione, neppure ai fini della liquidazione delle spese (49392/2018). Nel procedimento di convalida del divieto di accedere a manifestazioni sportive con obbligo di presentazione all’ufficio di p.s., è ammissibile la presentazione delle richieste e delle memorie delle parti al giudice competente tramite PEC, atteso che l’art. 6, comma 2-bis, legge 13 dicembre 1989, n. 401, non prescrive che i predetti atti debbano essere necessariamente depositati in cancelleria ed essendo ciò connaturale alla particolare natura, cartolare ed informale, del procedimento ed alla ristrettezza dei termini, stabiliti "ad horas", entro cui deve concludersi il controllo di legalità di provvedimenti che limitano la libertà personale, pena l’inefficacia delle relative prescrizioni (11475/2019).

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C.p.p. art. 172 Regole generali COMMENTO La norma delinea le regole generali in materia di termini e stabilisce, preventivamente, che punto di riferimento è il calendario comune e che i termini processuali sono stabiliti a ore, giorni, mesi o anni. Talvolta può accadere che la scadenza del termine vada a collocarsi in un giorno festivo: in questo caso subentra una proroga fino al giorno successivo non festivo. Nel calcolo complessivo del termine, inoltre, non devono essere considerati il giorno e l'ora in cui la decorrenza ha inizio, mentre devono essere computati l'ultimo giorno e l'ultima ora. Il disposto normativo di cui al comma quinto implica che dal computo del termine vengano esclusi il dies a quo e il dies ad quem, mentre detta esclusione non opera con riguardo ad eventuali giorni festivi intermedi. Ai sensi del comma sesto deve distinguersi tra l'orario di servizio, che riguarda il personale degli uffici giudiziari, la cui durata è regolata contrattualmente e che non ha rilevanza esterna, dall'orario in cui l'ufficio è aperto al pubblico per “fare dichiarazioni, depositare documenti o compiere altri atti”, che è stabilito dai relativi regolamenti e dalla cui inosservanza possono derivare effetti pregiudizievoli per gli interessati. Il termine “pubblico” sta ad indicare tutte le persone estranee all'ufficio giudiziario nel quale l'atto deve essere compiuto, ed in particolare le parti che sono le dirette interessate al compimento delle attività suindicate; e non vi è dubbio che tra le parti debba essere annoverato anche il pubblico ministero: il vigente codice di rito ha introdotto, infatti, una netta distinzione di ruoli tra giudice e pubblico ministero, equiparando quest'ultimo alle parti in genere, cosicché il detto organo deve considerarsi estraneo all'ufficio ai fini del compimento delle predette attività e, quindi, assoggettato ai limiti di accesso previsti dalla disposizione di legge sopra indicata. Ne consegue che, ove la dichiarazione di trasmissione degli atti al tribunale del riesame venga fatta dal P.M. dopo la chiusura al pubblico dell'ufficio di cancelleria, gli effetti di tale dichiarazione decorrono dal giorno successivo, a nulla rilevando la presenza del personale in ufficio al momento della dichiarazione stessa (così Cassazione n. 7112 del 1998). Viceversa, come hanno avuto modo di sottolineare le Sezioni Unite nella sentenza 27 settembre 1995 (Mannino), il disposto di cui al comma 6 dell'articolo in oggetto non opera relativamente al termine per il deposito dei provvedimenti del giudice.

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C.p.p. art. 173 Termini a pena di decadenza. Abbreviazione COMMENTO 1. Si considerino i termini per la costituzione della parte civile. 2. Procedimento incidentale di costituzionalità.

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C.p.p. art. 173 Termini a pena di decadenza. Abbreviazione GIURISPRUDENZA Quando le norme processuali consentono che un determinato atto possa essere spedito per mezzo del servizio postale all'ufficio giudiziario cui è destinato, ove sia stabilito un termine di decadenza per la presentazione dell'atto stesso e non sussistano specifiche norme, deve aversi riguardo alla data di ricezione e non a quella di spedizione (2100/2000, rv 218341). L'opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, presentata oltre il termine di dieci giorni dalla notificazione dell'avviso della richiesta, non ne determina l'inammissibilità e non esonera il giudice, che nel frattempo non abbia già provveduto all'archiviazione, dalla valutazione dell'opposizione in vista dei conseguenti adempimenti. Ne consegue che, in tal caso, l'inammissibilità dell'opposizione integra una violazione del principio del contraddittorio legittimamente azionabile con ricorso per cassazione (19073/2010). Nell'ambito del diritto processuale, quando un termine perentorio è funzionalmente collegato ad un termine dilatorio, la sospensione del termine perentorio si estende anche al termine dilatorio (5106/2014). La nullità del decreto che dispone il giudizio per insufficiente enunciazione del fatto ha natura di nullità relativa e deve pertanto essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall'articolo 491 c.p.p. (16989/2014).

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C.p.p. art. 173 Termini a pena di decadenza. Abbreviazione COMMENTO I termini sono perentori e, dunque, previsti a pena di decadenza, soltanto quando vi è una disposizione di legge in tal senso (esempio n. 1). Essendo la decadenza un istituto per il quale la scadenza del termine provoca la perdita delle facoltà di poter esercitare un certo potere, i termini perentori non sono soggetti a proroga, salvo diversa disposizione di legge (esempio n. 2). I termini possono essere soggetti ad abbreviazioni, quando la parte a favore della quale sono stabiliti ne fa richiesta o vi consente.

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C.p.p. art. 174 Prolungamento dei termini di comparizione COMMENTO La norma trova ispirazione nel fondamentale diritto di difesa e prevede una disciplina tesa ad adattare i termini processuali alla realtà fattuale che, in presenza di spostamenti fisici da un luogo ad un altro, rende necessario prendere in considerazione connaturali scansioni temporali al fine di assicurare l'effettiva partecipazione degli interessati al procedimento penale. Il prolungamento dei termini nel caso di diversità del luogo di residenza da quello in cui ha sede l'autorità procedente, non trova applicazione quanto all'avviso al difensore, il quale non rientra nel novero delle persone, diverse dall'imputato, per le quali l'autorità giudiziaria procedente emette “ordine o invito” (così Cassazione n. 2202 del 1999).

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C.p.p. art. 175 Restituzione nel termine GIURISPRUDENZA Anche il termine di dieci giorni, previsto dall'art. 175, comma 3, c.p.p. per la presentazione della richiesta di restituzione nel termine, è soggetto alla sospensione dei termini nel periodo feriale (6336/1998, rv 212111). Nel valutare la richiesta di remissione in termini per proporre impugnazione, occorre tenere conto del fatto che l'interessato ha diritto a godere di tutto il tempo previsto dalla legge per presentare l'impugnazione, che, nel nuovo codice di rito prevede, oltre alla dichiarazione, l'elaborazione e la produzione dei motivi (13292/1998, rv 211641). Il mancato adempimento da parte del difensore di fiducia dell'incarico di proporre opposizione al decreto penale, dovuto ad impedimento per malattia, non concreta un'ipotesi di forza maggiore al fine di ottenere la restituzione in termini, sia perché il conferimento di procura speciale al difensore di fiducia non sottrae all'imputato l'analogo potere di proporre opposizione sia perché lo stesso difensore, ancorché ammalato, può porre in essere altra attività necessaria per il rispetto dei termini (1447/1999, rv 213820). In tema di restituzione nel termine, non è consentito all'imputato far valere, sostituendosi al difensore, un impedimento che riguardi il difensore medesimo; ed invero il codice di procedura penale – così innovando rispetto a quello precedente – prevede la legittimazione del difensore in proprio e per causa propria alla richiesta di essere reintegrato in un diritto o facoltà, né può ritenersi sussistente alcuna funzione di rappresentanza del difensore da parte dell'imputato (1763/1999, rv 214363). Perché possa legittimamente negarsi la restituzione in termine, richiesta per impugnare sentenza resa in contumacia, allorché quest'ultima sia stata notificata al difensore, non è sufficiente un semplice atteggiamento di trascuratezza e di disinteresse per la vicenda processuale da parte dell'imputato, ma occorre la prova di

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un suo comportamento intenzionalmente diretto a sottrarsi alla conoscenza degli atti (1671/2000, rv 215917). La richiesta di restituzione nel termine, ai sensi dell'art. 175, secondo comma, c.p.p., non può ritenersi implicitamente avanzata con la richiesta di incidente di esecuzione, atteso che i due istituti concernono situazioni e presupposti diversi. La questione con cui si deduca la non esecutività del provvedimento presuppone infatti patologie procedimentali che afferiscono al titolo sotto il profilo della sua mancanza o del suo non essere, per loro causa, divenuto esecutivo; la restituzione nel termine attiene invece solo alla perenzione di un termine stabilito a pena di decadenza per il quale si deduca che la sua inosservanza sia dovuta a caso fortuito o forza maggiore, sicché solo per l'accertata ricorrenza di una di queste cause, e non per patologie procedimentali, l'istante è abilitato a proporre l'atto per il quale altrimenti si sarebbe verificata la decadenza (2377/2001, rv 218477). La sospensione o la cancellazione del difensore dall'Albo professionale, non integrando ipotesi di forza maggiore o caso fortuito, non danno diritto alla restituzione in termini per impugnare, anche nel caso in cui risulti che il professionista abbia omesso di informare della circostanza il suo assistito; su quest'ultimo, infatti, incombe, comunque, l'onere di scegliere un difensore professionalmente valido e di vigilare sull'esatta osservanza dell'incarico conferitogli (10423/2001, rv 218324). In tema di restituzione nel termine, allorché la sentenza contumaciale sia stata notificata al difensore domiciliatario, non è configurabile la causa di “forza maggiore”, richiesta dall'art. 175 c.p.p. per restituire l'interessato nel termine, qualora si adduca che il difensore non sia riuscito a comunicare al suo assistito, detenuto per altra causa e trasferito in altro istituto di pena, l'avvenuta notifica della sentenza, giacché la causa di forza maggiore deve essere caratterizzata dall'assolutezza in modo da rendere del tutto impossibile il compimento dell'attività processuale (18075/2001, rv 219019). Il mancato o inesatto adempimento, da parte del difensore di fiducia, dell'incarico di partecipare al processo e di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare l'ipotesi di caso fortuito o forza maggiore che legittimano

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la restituzione in termini né, in caso di sentenza contumaciale, quella dell'assenza di colpa dell'imputato nel non avere avuto effettiva conoscenza del provvedimento ai fini della tempestiva impugnazione, atteso che incombe all'imputato l'onere di scegliere un difensore professionalmente valido e di vigilare sull'esatta osservanza dell'incarico conferito (25905/2001, rv 219106). In tema di restituzione nel termine, l'impedimento assoluto del difensore è invocabile quale causa di forza maggiore ai sensi dell'art. 175 c.p.p. laddove esso abbia inciso sulla presentazione dell'impugnazione di una sentenza, in quanto la complessità e la delicatezza delle scelte che l'imputato deve compiere in ordine alla determinazione e all'illustrazione dei motivi d'impugnazione e la gravità delle conseguenze che l'ordinamento fa discendere da motivi incompleti o mal formulati esigono che sia garantita l'effettività della difesa tecnica per la tempestiva presentazione di un'impugnazione correttamente formulata e argomentata (15187/2002, rv 221474). In tema di restituzione in termini, qualora la sentenza contumaciale sia stata ritualmente notificata, il richiedente ha l'onere di provare le ragioni che gli hanno impedito di conoscere il provvedimento da impugnare e la diversa epoca in cui ne è venuto a conoscenza, onde consentire il riscontro del rispetto del termine di dieci giorni previsto dall'art. 175 c.p.p., dovendosi, in difetto, ritenere verificata la decadenza dal termine (18652/2003, rv 224830). Oltre che al giudice dell'impugnazione, l'istanza di restituzione in termini ex art. 175 c.p.p., comma 4, può essere proposta al giudice dell'esecuzione, che venga investito da incidente inteso ad ottenere la declaratoria di non esecutività di un provvedimento giurisdizionale. Il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione dispone la remissione in termini, pur avendo dichiarato la non esecutività della sentenza, è affetto da nullità per violazione del disposto di cui all'art. 670 c.p.p., comma 3, ma una volta divenuto definitivo per mancanza di impugnazione, è suscettibile di spiegare in pieno i suoi effetti, sia per il generale principio di conservazione dell'efficacia dei provvedimenti definitivi, sia perché la decisione del giudice dell'esecuzione in merito all'istanza di restituzione preclude all'interessato la

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possibilità di riproporla al giudice dell'impugnazione (17886/2003, rv 224801). Non è legittimo il mandato di arresto europeo emesso nei confronti di cittadini italiani che hanno evaso le tasse all'estero nelle ipotesi in cui per la violazione di quel tipo di imposta l'ordinamento italiano prevede solo sanzioni amministrative (28139/2008). È da escludersi una rimessione in termini se il giudice comunica all'imputato la rinuncia all'incarico del legale di fiducia e provvede a nominare un difensore d'ufficio. Spetta al cliente dimostrare la negligenza del legale nell'informarla dell'avvenuta nomina del difensore d'ufficio (39857/2010). È affetta dal vizio di incompetenza funzionale, rilevabile anche d'ufficio nel giudizio di cassazione con conseguente annullamento senza rinvio, l'ordinanza con cui il giudice che ha emesso la sentenza decide, in luogo del giudice superiore, sulla richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione (17053/2012). La competenza a decidere sulla richiesta di restituzione in termini per proporre impugnazione avverso sentenza contumaciale di condanna – determinata ai sensi dell'art. 175, comma quarto, cod. proc. pen. – ha carattere funzionale e la sua inosservanza determina una nullità assoluta di carattere generale, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento (25070/2012). Il mancato o l'inesatto adempimento del difensore di fiducia di proporre impugnazione, ascrivibile a qualsiasi causa, non è mai riconducibile alle prescritte ipotesi di caso fortuito o forza maggiore di cui all'art. 175, comma 1, c.p.p.: esso consiste in una falsa rappresentazione e, come tale, è sempre vincibile con una normale diligenza e attenzione (28129/2013). Il condannato (extracomunitario) che presenta da solo la richiesta di restituzione in termini paga (con mille euro alla cassa delle ammende) il modo caotico in cui ha esposto le sue ragioni (7801/2014). Il giudice dell'impugnazione proposta in seguito alla restituzione nel termine concessa dal giudice dell'esecuzione, che ha respinto la richiesta di non esecutività della sentenza, non può dichiarare l'impugnazione inammissibile per tardività, non potendo sindacare la decisione del giudice dell'esecuzione, divenuta definitiva (6826/2014). La persona offesa, non essendo “parte” del processo in senso tecnico, non può chiedere ed ottenere, ai sensi dell'art. 175 cod. proc. pen., di essere restituita nel termine per la costituzione di parte civile (10111/2014).

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Nel procedimento per la restituzione in termini, il giudice competente provvede sull'istanza “de plano”, atteso che l'art. 175, comma quarto, cod. proc. pen. non opera alcun richiamo alla disciplina prevista dall'art. 127 cod. proc. pen., salvo che sia in corso un procedimento principale celebrato con rito camerale, nel qual caso la decisione sull'istanza deve avvenire con le medesime forme (4660/2015). La restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado ai sensi dell'art. 175, comma secondo, cod. proc. pen., non comporta alcuna restituzione automatica dell'imputato nel termine per richiedere uno dei riti alternativi al dibattimento (11141/2015). È illegittimo il rigetto dell'istanza di restituzione nel termine per proporre opposizione al decreto penale di condanna, nell'ipotesi in cui l'istante abbia provato di non avere avuto conoscenza del provvedimento (17175/2015). Disposta la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado, ai sensi dell’articolo 175, comma 2, Cpp., nel testo vigente prima della entrata in vigore della l. n. 67/14, applicabile ai procedimenti in corso a norma dell’articolo 15 bis della legge citata, l’imputato, il quale non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento, può chiedere al giudice di appello di essere ammesso a un rito alternativo (S.U. 52274/2016). L’istanza di restituzione nel termine per proporre opposizione al decreto penale deve essere specifica e va proposta al Giudice di merito competente, che deve pronunciarsi sulla stessa; la Cassazione adita con ricorso avverso il provvedimento di inammissibilità dell’opposizione deve dichiarare inammissibile il ricorso perché il giudice di merito non si è pronunciato sull’istanza di restituzione nel termine, che non può ritenersi implicitamente proposta con l’opposizione tardiva (4194/2017).

Il condannato contumaciale, latitante, che non abbia avuto effettiva conoscenza del processo a suo carico, ha diritto alla restituzione nel termine per l’impugnazione nonostante il difensore d’ufficio abbia tempestivamente proposto appello avverso la sentenza di condanna (14743/2018). In tema di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, grava sul richiedente l’onere di allegare il momento di effettiva conoscenza della sentenza, mentre spetta al giudice accertare - oltre che l’eventuale effettiva conoscenza del procedimento da parte del condannato e la sua volontaria rinuncia a comparire - l’eventuale diverso momento in cui è intervenuta detta conoscenza, rispetto al quale valutare la tempestività della richiesta (18084/2018). La disciplina della restituzione nel termine prevista dall’art. 175 cod. proc. pen. è inapplicabile al giudizio di legittimità già definito e introdotto da un ricorso tempestivamente proposto, istitutivo di un valido rapporto processuale (11419/2018). 3080

In tema di impugnazioni, l’istituto della restituzione nel termine presuppone che si sia formato il titolo esecutivo a seguito della rituale notifica del provvedimento avverso il quale si intende proporre impugnazione, mentre va proposta l’impugnazione tardiva qualora si adduca l’esistenza di una invalidità che ha impedito la formazione del titolo anzidetto (18198/2018). Il termine per impugnare una sentenza contumaciale di condanna decorre dalla conoscenza del provvedimento che può coincidere anche con la notifica dell’ordine di esecuzione che riporti gli estremi della sentenza in esecuzione, anche senza la relativa motivazione, considerato che, a norma dell’art. 94, comma 1-bis,d.lgs. n. 271 del 1989, il direttore o l’operatore penitenziario sono tenuti ad accertare che l’interessato abbia avuto effettiva conoscenza del provvedimento che dispone la carcerazione (46083/2018). È inammissibile l’istanza di restituzione nel termine per impugnare una sentenza contumaciale presentata per posta elettronica, trattandosi di un mezzo tecnico non previsto dalla legge che non assicura la certezza della provenienza del documento né la sua data di spedizione (320/2019).

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C.p.p. art. 175 Restituzione nel termine COMMENTO L'istituto della restituzione nel termine, ispirato alla tutela dei diritti delle parti, è uno strumento attraverso il quale i soggetti legittimati (pubblico ministero, parti private e difensori) hanno la possibilità di elidere l'effetto tipico della scadenza del termine perentorio previsto dalla legge, vale a dire la decadenza dalla possibilità di esercitare un determinato potere. L'ipotesi di cui al primo comma prevede che la restituzione nel termine (c.d. restituzione generale) può essere concessa qualora l'interessato dimostri di non aver potuto rispettare il termine stabilito per: – caso fortuito: ogni fattore causale sopravvenuto, precedente o concomitante, che rende possibile il verificarsi di un evento che, secondo la migliore scienza ed esperienza, normalmente non si sarebbe verificato; – forza maggiore: impedimento assoluto e dunque tale da rendere vano ogni sforzo umano per superarlo, derivante da cause esterne al soggetto e a lui non imputabile. La richiesta per la restituzione nel termine è presentata, a pena di decadenza, entro dieci giorni da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore. Se è stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna la restituzione nel termine (c.d. restituzione speciale) per proporre opposizione o impugnazione può essere richiesta anche dall'imputato soltanto qualora sussistano determinati presupposti e previa necessaria verifica da parte dell'autorità giudiziaria: – l'imputato abbia avuto effettiva conoscenza del provvedimento o del procedimento; – l'imputato abbia volontariamente rinunciato a comparire; – l'imputato abbia rinunciato a proporre impugnazione od opposizione. Ne deriva la soppressione – in conformità della giurisprudenza sui diritti dell'uomo – dell'onere di provare la conoscenza effettiva del provvedimento e l'assenza di colpa. La richiesta per la restituzione del termine è presentata, a pena di decadenza, nel termine di trenta giorni da quello in cui l'imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento. In caso di estradizione dall'estero, il termine per la presentazione della richiesta decorre dalla consegna del condannato. Organo competente è il giudice procedente al momento della presentazione della richiesta, che decide con ordinanza (a sua volta impugnabile con la sentenza che decide sull'impugnazione o sull'opposizione). Quanto al procedimento che deve essere seguito ai fini della decisione sull'istanza in questione, in assenza di una specifica indicazione legislativa, è controverso se debbano essere rispettate le forme del procedimento camerale di cui all'art. 127 o se, viceversa, sia sufficiente una procedura de plano priva di formalità, anche se la natura degli interessi coinvolti

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farebbe propendere per un modulo procedimentale che garantisca il contraddittorio tra le parti. La restituzione non può essere concessa più di una volta per ciascuna parte in ciascun grado del procedimento. È possibile, infine, ricorrere per Cassazione quando il giudice non concede la rimessione nel termine. La norma ha subito una sostanziale modificazione in virtù della emanazione del D.L. n. 17 del 2005 per tre ragioni fondamentali: a) la straordinaria necessità ed urgenza di garantire il diritto incondizionato alla impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna da parte delle persone condannate nei casi in cui esse non sono state informate in modo effettivo dell'esistenza di un procedimento a loro carico, così come espressamente richiesto allo Stato italiano dalla sentenza del 10 novembre 2004, pronunciata sul ricorso n. 56581/00 della Corte europea dei diritti dell'uomo; b) la necessità e l'urgenza di armonizzare l'ordinamento giuridico interno al nuovo sistema di consegna tra gli Stati dell'Unione europea che consente alle autorità giudiziarie di Stati membri di rifiutare l'esecuzione del mandato di cattura europeo emesso in base ad una sentenza di condanna in contumacia ove non sia garantita, sempre che ne ricorrano i presupposti, la possibilità di un nuovo processo; c) la necessità di adeguare il nuovo regime dell'impugnazione tardiva dei provvedimenti contumaciali al principio di ragionevole durata dei processi e, conseguentemente, di introdurre nuove disposizioni in materia di notificazione all'imputato non detenuto e di elezione di domicilio da parte della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato che abbiano nominato un difensore di fiducia [157, 161]. Parte della dottrina sostiene che la restituzione nel termine per impugnare seppur consenta, in caso di superamento della soglia di ammissibilità, di rinnovare in appello l'istruzione dibattimentale, sottragga contestualmente un grado di merito, introducendo un ingiustificabile pregiudizio in termini di disuguaglianza e, dunque, suscettibile di censura. Ciò senza dimenticare che, viceversa, nel giudizio innanzi al giudice di pace sono previsti nella medesima situazione l'annullamento della sentenza contumaciale e la restituzione, per il nuovo processo, al giudice di primo grado (art. 39, D.Lgs. n. 274 del 2000). Ricordiamo che a ridosso della novella legislativa la Cassazione si è pronunciata affermando alcuni importanti principi di diritto: a) nel pronunciare su una richiesta di restituzione nel termine per appellare proposta da un condannato dopo che il suo ricorso è stato accolto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, il giudice è tenuto a conformarsi alla decisione di detta Corte, con cui è stato riconosciuto che il processo celebrato “in absentia” è stato non equo: di talché il diritto al nuovo processo non può essere negato escludendo la violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ratificata con L. n. 848 del 1955, né invocando l'autorità del pregresso giudicato formatosi in ordine alla ritualità del giudizio contumaciale in base alla normativa del codice di rito (così Cassazione n. 32678 del 2006); b) la disciplina della restituzione nei termini per impugnare la sentenza contumaciale prevista dal comma 2, come modificato dalla L. n. 60 del 2006, è di natura speciale rispetto alle regole generali sulle impugnazioni, sicché ad essa non è

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applicabile il principio di unicità del diritto di impugnazione, per effetto del quale l'esercizio di tale diritto da parte del difensore d'ufficio preclude all'interessato, una volta scaduti i termini, di attivare il medesimo mezzo di impugnazione. Ne consegue che, una volta provata la non conoscenza del processo e dei provvedimenti, l'imputato contumace ha diritto di ottenere la restituzione nei termini per proporre appello, anche se la sentenza di primo grado sia stata appellata dal difensore d'ufficio, non potendosi sostenere che la legge abbia voluto introdurre una preclusione dipendente, non da una sua condotta, ma da quella del difensore d'ufficio che abbia agito a sua insaputa (così Cassazione n. 34468 del 2006). La Suprema Corte, con sentenza n. 19780 del 2007, ha poi confermato il prevalente orientamento giurisprudenziale in tema di legittimità del rifiuto di emissione del decreto penale di condanna, ritenendo legittimo, appunto, il diniego del g.i.p. di emissione del provvedimento quando ritenga impossibile raggiungere la prova dell'effettiva conoscenza dell'atto da parte dell'imputato. I giudici di legittimità rilevano che la mera regolarità formale della notifica al difensore d'ufficio, presso il quale il cittadino extracomunitario abbia eletto domicilio, contrasta con i principi ispiratori del nostro ordinamento che – dopo le modifiche introdotte alla disciplina della restituzione in termini – privilegiano l'effettiva conoscenza del procedimento e dei provvedimenti di condanna alla regolarità puramente formale degli atti. La stessa Corte ha avuto occasione di puntualizzare che il secondo comma dell'articolo in commento non dispone che l'istanza di restituzione in termini per proporre l'impugnazione della sentenza contumaciale di condanna debba essere formulata personalmente dall'imputato, né tantomeno da suo procuratore speciale. Ne discende che la richiesta di restituzione nel termine per proporre l'impugnazione, regolata dal citato secondo comma, può essere effettuata dal difensore di fiducia, ancorché sprovvisto di procura speciale. In questo modo la Cassazione riconosce che l'ordinanza impugnata incorre in contraddizione, quando per un verso correttamente riconosce che il più volte citato secondo comma delinea ipotesi autonoma rispetto a quella prevista dal primo comma, ed è intesa a porre riparo a tutti i casi di mancata effettiva conoscenza – salve le ipotesi di dolo – da parte dell'imputato, della sentenza pronunciata in sua contumacia, costituendo così il diritto dell'imputato condannato in contumacia a conseguire la restituzione nei termini per impugnare (cfr. Cassazione n. 41711 del 2006; n. 19363 del 2005; n. 2031 del 2005), diritto fondato su una presunzione di non conoscenza della sentenza, che può essere vinta dall'autorità giudiziaria, cui è stato posto l'onere di compiere “ogni necessaria verifica” (cfr. Cassazione n. 32678 del 2006); per l'altro frappone all'effettività della tutela ostacoli di carattere formale, desunti da inadeguata interpretazione della norma, che rendono arduo o quanto meno poco agevole l'esercizio del diritto giungendo a dichiarare l'inammissibilità della richiesta, senza delibarne il merito (così Cassazione n. 27350 del 2007). Con sentenza 7 febbraio 2008, n. 6026, le Sezioni Unite della Cassazione risolvono un contrasto giurisprudenziale creatosi in relazione all'istituto della contumacia. Quest'ultimo, come attualmente disciplinato dal codice – lo abbiamo visto – è il frutto dell'esigenza del nostro legislatore di porsi in linea con il principio del giusto processo sancito dalla Costituzione e dalla CEDU, in modo da assicurare concretamente le esigenze di garanzie partecipative.

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La giurisprudenza ha da sempre sottolineato come principio cardine in tema di contumacia sia quello secondo cui, una volta che l'impugnazione sia stata proposta da uno qualsiasi dei soggetti legittimati, vale a dire l'imputato o il suo difensore, e sia intervenuta la decisione sul merito della medesima impugnazione, il diritto “si consuma”, con l'effetto di precluderne l'esercizio da parte dell'altro soggetto legittimato. Tuttavia negli ultimi anni il principio risulta essere stato messo in crisi da un orientamento giurisprudenziale secondo cui, in seguito riforma del 2005 che ha modificato l'articolo in commento, non sarebbe precluso all'imputato contumace la restituzione nel termine nonostante l'impugnazione proposta dal suo difensore. Fondamento di tale assunto sono i lavori parlamentari che hanno contrassegnato la novella legislativa del 2005. Infatti la formula secondo cui “la restituzione nel termine era esclusa nel caso in cui l'impugnazione fosse già stata proposta dal difensore dell'imputato contumace”, inizialmente presente nel decreto legge, risultava assente nel testo definitivo di conversione. Dunque, la restituzione nel termine per l'imputato contumace sarebbe subordinata ai soli presupposti della mancata conoscenza del procedimento o del provvedimento e della assenza di rinuncia volontaria all'impugnazione. Ad avviso di tale orientamento, in definitiva il comma 2 del presente articolo avrebbe natura speciale rispetto alle regole generali sulle impugnazioni. Secondo altro orientamento, avallato dalle Sezioni Unite, tale assunto non può essere condiviso per una molteplicità di ragioni. In primo luogo se l'imputato contumace potesse porre in essere un'impugnazione alternativa rispetto a quella del suo difensore, il legislatore avrebbe dovuto regolamentarne le conseguenze e prevedere una specifica disciplina, non potendo un eventuale contrasto di giudicati essere risolto semplicemente ai sensi dell'art. 669. Infatti, una volta appurato che la disciplina ex art. 669 è informata all'esigenza di preservare l'osservanza del principio del ne bis in idem e di far fronte a situazioni del tutto patologiche nei casi in cui quel principio non sia stato per errore osservato, vi sarebbe una singolare eterogenesi dei fini perché la stessa risulterebbe piegata allo scopo di regolamentare (come strumento, per di più, “fisiologico”) ipotesi in cui si applica l'opposto paradigma del “bis in idem”. Inoltre, l'astratta configurabilità di una duplicazione di impugnazione si porrebbe in contrasto con la ragionevole durata del processo imposta dall'art. 111 Cost. e dell'art. 6 CEDU. Infine, la stessa Corte costituzionale ha sottolineato l'adeguatezza del nostro sistema in relazione al giudizio contumaciale, senza la necessità di dover ricorrere a meccanismi preventivi, quali la sospensione del processo nei confronti degli irreperibili e, quindi, l'esaurimento – da parte del difensore del contumace – di tutti i gradi di impugnazione spettanti all'imputato (e la conseguente impossibilità, per quest'ultimo, di proporre a sua volta impugnazione, attraverso l'istituto della restituzione nel termine), è stata implicitamente ritenuta, dalla Corte, una eventualità non incompatibile con la difesa “sostanziale” dello stesso contumace. In definitiva, ad avviso delle Sezioni Unite il comma 2 dell'articolo in commento non può assumere i connotati di uno diritto derogatorio rispetto alle regole generali sulle impugnazioni, con conseguente preclusione per l'imputato contumace, una volta che l'impugnazione sia già stata proposta dal suo difensore, di ottenere la restituzione nel termine per proporre a sua volta l'impugnazione.

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Ricapitolando, dunque, dopo la riforma del 2005, la Corte di cassazione aveva ritenuto in due pronunce (34468 del 2006 e 41711 del 2006) che, in base al nuovo testo dell'articolo in commento, fosse ammissibile la restituzione del contumace nel termine per impugnare anche dopo l'impugnazione del difensore. Nella seconda delle pronunce citate, la Corte di legittimità segnalava che l'art. 669 del presente codice prevede appositi rimedi per rimuovere l'eventuale contrasto tra giudicati, nell'ipotesi di una pluralità di sentenze emesse, per lo stesso fatto, a carico della medesima persona. È tuttavia intervenuta, successivamente, la sentenza delle Sezioni unite della stessa Corte di cassazione (6026 del 2008), che ha capovolto l'interpretazione precedente ed ha sviluppato una serie di argomenti, che possono essere considerati all'origine della questione di legittimità costituzionale sollevata innanzi alla Corte costituzionale e che ha indotto il Giudice delle leggi a dichiarare l'illegittimità costituzionale del comma 2, nella parte in cui non consente la restituzione dell'imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato. Le Sezioni Unite affermano, in pratica, che il codice di rito vigente è caratterizzato dal principio dell'unicità del diritto di impugnazione, collegato al principio del ne bis in idem, da ritenere fondamentale nel nostro ordinamento processuale. A ciò si aggiunge che la Corte costituzionale non avrebbe negato, in linea di principio, la validità delle misure ripristinatorie ai fini della difesa del contumace inconsapevole e che l'art. 6 CEDU non accorderebbe allo stesso una tutela maggiore di quella offerta dall'art. 111 Cost. Si deve tener conto – sempre secondo le Sezioni unite – che, con la modifica dell'art. 571 c.p.p., il legislatore ha consentito l'impugnazione senza mandato da parte del difensore, affermando così il primato della difesa tecnica su quella personale. Segue il richiamo alle sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale, dalle quali si ricaverebbe la necessità di bilanciare la difesa dell'imputato contumace ed il principio di ragionevole durata del processo, di cui l'unicità dell'impugnazione sarebbe diretta proiezione. Il duplice esercizio del diritto all'impugnazione entrerebbe in conflitto con tale principio e non potrebbe pertanto essere introdotto nell'ordinamento processuale italiano. Quanto alla modifica dell'articolo in oggetto, ed in particolare all'eliminazione dell'inciso che precludeva la restituzione in termini nel caso di gravame già proposto dal difensore, i lavori parlamentari non offrirebbero una chiave interpretativa univoca circa l'intenzione del legislatore. Non si dovrebbe trascurare, infine, la possibilità che i contumaci, in caso di ammissibilità della doppia impugnazione, rendano sempre provvisorie le sentenze emesse nei loro confronti. Dopo la suddetta sentenza delle Sezioni unite, la Corte di cassazione ha aderito, con tre pronunce – l'ultima delle quali è quella che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale – al nuovo orientamento interpretativo (l'ordinanza di rimessione è stata preceduta da sez. I, 11 novembre 2008, n. 33, e sez. I, 10 dicembre 2008, n. 8429). Non si rilevano decisioni difformi. Si può concludere quindi che sul punto si è formato un vero e proprio «diritto vivente», che ha imposto alla Corte costituzionale di incentrare le sue valutazioni sulla norma impugnata nell'interpretazione dominante, fatta propria dal giudice a quo.

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L'imputato giudicato in contumacia resta così privo, nel caso che il suo difensore abbia già promosso un giudizio impugnatorio, della possibilità di chiedere la restituzione nel termine per impugnare e, conseguentemente, dell'effettività del diritto ad essere presente nel processo che lo riguarda. L'esistenza di un diritto vivente nel senso indicato non consente di accogliere la richiesta dell'Avvocatura dello Stato di una pronuncia di inammissibilità, per non avere il rimettente considerato la possibilità di dare della disposizione censurata un'interpretazione conforme alla Costituzione, sulla falsariga delle pronunce della Corte di cassazione anteriori alla sentenza delle Sezioni unite n. 6026 del 2008. Al contrario, lo stesso giudice ha esplicitamente ritenuto di non poter giungere a interpretazione diversa da quella delle Sezioni unite, facendo uso degli ordinari strumenti ermeneutici. Identificato come sopra l'oggetto del giudizio, la valutazione della questione di legittimità costituzionale concernente il comma 2, è stata condotta in riferimento congiunto ai parametri di cui agli artt. 117, primo comma – in relazione all'art. 6 CEDU, quale interpretato dalla Corte di Strasburgo – 24 e 111, primo comma, Cost. Occorre infatti mettere in rilievo la compenetrazione delle tutele offerte da queste tre norme, ai fini di un adeguato esercizio del diritto di difesa. La Corte costituzionale aveva già chiarito che l'integrazione del parametro costituzionale rappresentato dal primo comma dell'art. 117 Cost. non deve intendersi come una sovraordinazione gerarchica delle norme CEDU – in sé e per sé e quindi a prescindere dalla loro funzione di fonti interposte – rispetto alle leggi ordinarie e, tanto meno, rispetto alla Costituzione. Con riferimento ad un diritto fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle già predisposte dall'ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa. Se si assume questo punto di partenza nella considerazione delle interrelazioni normative tra i vari livelli delle garanzie, si arriva facilmente alla conclusione che la valutazione finale circa la consistenza effettiva della tutela in singole fattispecie è frutto di una combinazione virtuosa tra l'obbligo che incombe sul legislatore nazionale di adeguarsi ai principi posti dalla CEDU – nella sua interpretazione giudiziale, istituzionalmente attribuita alla Corte europea ai sensi dell'art. 32 della Convenzione – l'obbligo che parimenti incombe sul giudice comune di dare alle norme interne una interpretazione conforme ai precetti convenzionali e l'obbligo che infine incombe sulla Corte costituzionale – nell'ipotesi di impossibilità di una interpretazione adeguatrice – di non consentire che continui ad avere efficacia nell'ordinamento giuridico italiano una norma di cui sia stato accertato il deficit di tutela riguardo ad un diritto fondamentale. Del resto, l'art. 53 della stessa Convenzione stabilisce che l'interpretazione delle disposizioni CEDU non può implicare livelli di tutela inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali. L'accertamento dell'eventuale deficit di garanzia deve quindi essere svolto in comparazione con un livello superiore già esistente e giuridicamente disponibile in base alla continua e dinamica integrazione del parametro, costituito dal vincolo al rispetto degli obblighi internazionali, di cui al primo comma dell'art. 117 Cost. È risultato evidente alla Corte di non poter consentire che si determini, per il tramite dell'art. 117, primo comma, Cost., una tutela inferiore a quella già esistente in base al diritto interno, ma neppure ammettere che una tutela superiore, che sia possibile introdurre per la stessa via, rimanga sottratta ai titolari di un diritto

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fondamentale. La conseguenza di questo ragionamento è che il confronto tra tutela convenzionale e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie, anche attraverso lo sviluppo delle potenzialità insite nelle norme costituzionali che hanno ad oggetto i medesimi diritti. Nel concetto di massima espansione delle tutele deve essere compreso, il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, cioè con altre norme costituzionali, che a loro volta garantiscano diritti fondamentali che potrebbero essere incisi dall'espansione di una singola tutela. È noto che questo bilanciamento trova nel legislatore il suo riferimento primario, ma spetta anche alla Corte costituzionale nella sua attività interpretativa delle norme costituzionali. Il richiamo al «margine di apprezzamento» nazionale – elaborato dalla stessa Corte di Strasburgo, come temperamento alla rigidità dei principi formulati in sede europea – trova la sua primaria concretizzazione nella funzione legislativa del Parlamento, ma deve essere sempre presente nelle valutazioni della Corte costituzionale, cui non sfugge che la tutela dei diritti fondamentali deve essere sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. Naturalmente, alla Corte europea spetta di decidere sul singolo caso e sul singolo diritto fondamentale, mentre appartiene alle autorità nazionali il dovere di evitare che la tutela di alcuni diritti fondamentali – compresi nella previsione generale ed unitaria dell'art. 2 Cost. – si sviluppi in modo squilibrato, con sacrificio di altri diritti ugualmente tutelati dalla Carta costituzionale e dalla stessa Convenzione europea. Il risultato complessivo dell'integrazione delle garanzie dell'ordinamento deve essere di segno positivo, nel senso che dall'incidenza della singola norma CEDU sulla legislazione italiana deve derivare un plus di tutela per tutto il sistema dei diritti fondamentali. Questa Corte non può sostituire la propria interpretazione di una disposizione della CEDU a quella della Corte di Strasburgo, con ciò uscendo dai confini delle proprie competenze, in violazione di un preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione e la ratifica, senza l'apposizione di riserve, della Convenzione (sent. n. 311 del 2009), ma può valutare come ed in qual misura il prodotto dell'interpretazione della Corte europea si inserisca nell'ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell'art. 117 Cost., da questo ripete il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto ciò che segue, in termini di interpretazione e bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni cui la Corte costituzionale è chiamata in tutti i giudizi di sua competenza. In sintesi, il «margine di apprezzamento» nazionale può essere determinato avuto riguardo soprattutto al complesso dei diritti fondamentali, la cui visione ravvicinata e integrata può essere opera del legislatore, del giudice delle leggi e del giudice comune, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze. Alla luce delle considerazioni che precedono, è stata esaminata dal Giudice delle leggi l'eventualità che – come affermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nella citata sentenza n. 6026 del 2008 – il diritto di difesa del contumace inconsapevole debba bilanciarsi con il principio di ragionevole durata del processo, di cui al secondo comma dell'art. 111 della Costituzione.

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Tale eventualità deve essere esclusa sostiene la Corte costituzionale, giacché il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie. Ciò che rileva è esclusivamente la durata del «giusto» processo, quale delineato dalla stessa norma costituzionale invocata come giustificatrice della limitazione del diritto di difesa del contumace. Una diversa soluzione introdurrebbe una contraddizione logica e giuridica all'interno dello stesso art. 111 Cost., che da una parte imporrebbe una piena tutela del principio del contraddittorio e dall'altra autorizzerebbe tutte le deroghe ritenute utili allo scopo di abbreviare la durata dei procedimenti. Un processo non «giusto», perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata. In realtà, non si tratterebbe di un vero bilanciamento, ma di un sacrificio puro e semplice, sia del diritto al contraddittorio sancito dal suddetto art. 111 Cost., sia del diritto di difesa, riconosciuto dall'art. 24, secondo comma, Cost.: diritti garantiti da norme costituzionali che entrambe risentono dell'effetto espansivo dell'art. 6 CEDU e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo. È bene chiarire in proposito che un incremento di tutela indotto dal dispiegarsi degli effetti della normativa CEDU certamente non viola gli articoli della Costituzione posti a garanzia degli stessi diritti, ma ne esplicita ed arricchisce il contenuto, innalzando il livello di sviluppo complessivo dell'ordinamento nazionale nel settore dei diritti fondamentali. La Corte costituzionale ha affermato, altresì, che a fortiori non potessero essere richiamati, per convalidare la legittimità costituzionale della norma censurata, i principi dell'unicità del diritto all'impugnazione e del divieto di bis in idem, da cui non possono essere tratte conclusioni limitative di un diritto fondamentale. Tali principi devono essere presi in considerazione, invece, sia per ricercare i rimedi ad eventuali giudicati contraddittori che già siano presenti nell'ordinamento positivo, sia per approntare, da parte del legislatore, norme tecniche di dettaglio, volte a rendere maggiormente operativo, sul piano processuale, il principio di garanzia costituito dal diritto del contumace inconsapevole a fruire di una misura ripristinatoria. Quest'ultima, per avere effettività, non può essere «consumata» dall'atto di un soggetto, il difensore (normalmente nominato d'ufficio, in tali casi, stante l'assenza e l'irreperibilità dell'imputato), che non ha ricevuto un mandato ad hoc e che agisce esclusivamente di propria iniziativa. L'esercizio di un diritto fondamentale non può essere sottratto al suo titolare, che può essere sostituito solo nei limiti strettamente necessari a sopperire alla sua impossibilità di esercitarlo e non deve trovarsi di fronte all'effetto irreparabile di una scelta altrui, non voluta e non concordata, potenzialmente dannosa per la sua persona. È appena il caso di aggiungere che la Corte costituzionale può intervenire in materia nei limiti della sua competenza e non può incidere sulla conformazione del processo contumaciale, che spetta al legislatore. Si deve soltanto sottolineare che, nell'accogliere parzialmente la questione sollevata dalla Corte rimettente, la Consulta elimina una specifica violazione al diritto di difesa ed al contraddittorio dell'imputato contumace inconsapevole, allo scopo di rendere effettiva proprio la misura

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ripristinatoria scelta dal legislatore – la rimessione nel termine per proporre impugnazione – senza profilare un nuovo modello di processo al contumace. Dopo la riforma del 2014. In materia è intervenuta la L. 28 aprile 2014, n. 67, che ha modificato in modo incisivo la disciplina del processo penale senza la presenza dell'imputato, sopprimendo l'istituto del processo in contumacia ed anche quello della restituzione dell'imputato nel termine per proporre impugnazione avverso la sentenza contumaciale. Infatti l'art. 11 comma 6 della legge citata sostituisce il comma 2 dell'articolo in commento disponendo che l'imputato condannato con decreto penale, che non abbia avuto effettiva conoscenza del provvedimento, sia previa richiesta restituito nel termine per proporre opposizione, a meno che vi abbia rinunciato. Il suddetto comma 2 rimane, così, applicabile al solo imputato condannato con decreto penale, eliminato qualunque riferimento alla sentenza contumaciale pronunciata all'esito di un procedimento di cui l'imputato non avesse avuto conoscenza e alla cui impugnazione non avesse volontariamente rinunciato. La novella legislativa, che ha modificato il processo penale celebrato in absentia e riscritto – come detto – il secondo comma della norma in oggetto ha posto dei problemi interpretativi di diritto intertemporale. La formulazione dell'art. 175, comma 2, c.p.p., previgente rispetto all'abolizione dell'istituto della contumacia ad opera della legge 67/2014 entrata in vigore il 17 maggio 2014, nella parte in cui prevedeva il rimedio della restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso le sentenze contumaciali, continua ad applicarsi nei confronti degli imputati che siano già stati dichiarati contumaci in virtù del pregresso regime normativo. Ciò trova conferma nell'art. 15 bis della citata L. 67/2014, aggiunto dall'art. 1, L. 11 agosto 2014, n. 118, secondo cui tali nuove disposizioni si applicano ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. Le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della L. 67/2014 continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima legge (17 maggio 2014) quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità. Ciò significa che le nuove garanzie, introdotte dalla L. 67/2014, non possono essere godute da chi ha già usufruito delle garanzie predisposte a favore del contumace dall'art. 175 c.p.p.. Ha infatti affermato la giurisprudenza (Cass., Sez. Un. 17 luglio 2014 n. 36848) che l'istituto della rescissione del giudicato, di cui all'art. 625 ter c.p.p., si applica solo ai procedimenti nei quali è stata dichiarata l'assenza dell'imputato a norma dell'art. 420 bis c.p.p., come modificato dalla L. 28 aprile 2014 n. 67, mentre, invece, ai procedimenti contumaciali definiti secondo la normativa antecedente alla entrata in vigore della legge indicata, continua ad applicarsi la disciplina della restituzione nel termine per proporre impugnazione dettata dall'art. 175, comma 2, c.p.p. nel testo previgente. La rimessione in termini va infatti, secondo la Cassazione, considerata attività processuale "esaurita", con la conseguente inapplicabilità della normativa sopravvenuta.

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Le nuove norme hanno abrogato l'istituto della rimessione in termini per impugnare (salvo che con riferimento al decreto penale di condanna) e quindi l'applicazione delle nuove garanzie comporterebbe la simultanea e concorrente applicazione della vecchia e della nuova disciplina, con una inammissibile commistione di istituti governati da un diverso sistema di regole, dovendosi, invece, definire quale sia il regime applicabile in ogni sua parte, considerata la intima correlazione che lega le diverse previsioni dei due regimi fondati su presupposti diversi. Qualora quindi l'imputato abbia beneficiato delle garanzie previste dalla normativa vigente al tempo, non potrà chiedere di avvalersi delle nuove e diverse garanzie introdotte da una normativa sopravvenuta, essendosi sul punto consolidate ed esaurite le risposte alla richiesta di tutela della sua posizione di imputato giudicato in absentia. Tale interpretazione non contrasta con l'art. 6 CEDU, posto che il rispetto delle garanzie dalla stessa disposizione sancite era già assicurato dall'istituto della rimessione in termini per impugnare, di cui all'art. 175 comma 2 c.p.p. nella sua vecchia formulazione. Vale infatti la pena ricordare che l'articolo in questione era stato modificato nel 2005 in seguito alle numerose decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo relative al diritto dell'imputato – ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) – ad essere presente al proprio processo che, censurando l'Italia per la violazione del diritto anzidetto, impongono altresì un obbligo di conformazione della disciplina nazionale (ex art. 46 della CEDU). La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in particolare, nella sentenza Sejdovic c. Italia (Grande Chambre del 1° marzo 2006) ha stabilito che l'obbligo di garantire all'accusato il diritto ad essere presente in udienza è uno degli elementi essenziali dell'art. 6 CEDU; ne consegue che il rifiuto di riaprire un processo che si è svolto in contumacia, in assenza di ogni indicazione che l'accusato abbia rinunciato al suo diritto a comparire, è da considerarsi come un flagrante diniego di giustizia, manifestamente contrario ai principi che ispirano il citato art. 6. In precedenza, la Corte EDU si era pronunziata nel caso Somogy c. Italia (18 maggio 2004). Entrambe le pronunce citate si erano ispirate ai principi dettati dalla Corte europea nelle più datate sentenze Colozza c. Italia del 12 febbraio 1985 e Cat Berro c. Italia del 28 agosto 1991. Successivamente e in termini analoghi la Corte EDU si era pronunziata nei casi Kollcaku c. Italia e Pititto c. Italia (8 febbraio 2007) in cui è stato osservato che la notifica delle azioni intentate nei confronti del contumace costituisce un atto giuridico di tale importanza da richiedere condizioni formali e sostanziali idonee a garantire l'esercizio effettivo dei diritti dell'accusato. Ciò non può condurre ad escludere, in linea generale, che alcuni fatti possano dimostrare inequivocabilmente la conoscenza da parte di un imputato del processo iniziato nei suoi confronti e della natura e della causa delle accuse. La Corte ha ritenuto che i ricorsi previsti dagli artt. 175 e 670 del c.p.p. italiano non potessero essere ritenuti rimedi che, con un grado sufficiente di certezza, fossero idonei ad offrire al condannato la possibilità di avere un nuovo processo nel quale esercitare il proprio diritto alla difesa.

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C.p.p. art. 176 Effetti della restituzione nel termine GIURISPRUDENZA Il provvedimento che concede la restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di primo grado non vincola o condiziona il giudice di secondo grado in ordine alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ai sensi dell'art. 603, comma 4, c.p.p., atteso che il giudice di appello deve sempre valutare, in modo autonomo, se l'appellante abbia provato che la sua mancata comparizione in primo grado fu dovuta a caso fortuito, a forza maggiore ovvero se sia stata conseguenza del fatto che egli non ebbe conoscenza del decreto di citazione. Tale valutazione costituisce accertamento di fatto, che, se adeguatamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità (11507/2000, rv 217279). Il provvedimento che concede la restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di primo grado non vincola o condiziona il giudice di secondo grado in ordine alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, dovendo egli sempre valutare, in modo autonomo, la sussistenza di ipotesi che la rendano necessaria (14916/2010).

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C.p.p. art. 176 Effetti della restituzione nel termine COMMENTO Dopo aver concesso la restituzione del termine, il giudice può, su richiesta di parte, disporre la rinnovazione degli atti ai quali la medesima aveva diritto di assistere, sempre che tale opzione procedimentale non pregiudichi i parametri della celerità e della non regressione del processo. Quando, però, la restituzione viene concessa dalla Corte di Cassazione, l'attività relativa alla rinnovazione degli atti viene materialmente eseguita dal giudice di merito, dietro disposizione della Corte stessa.

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C.p.p. art. 177 Tassatività GIURISPRUDENZA Dal mancato esame dell'istanza di ammissione all'oblazione non deriva alcuna nullità. Deve applicarsi, invero, il principio della tassatività delle nullità, stabilito dall'art. 177 c.p.p., e tale sanzione – per l'evenienza in esame – non è prevista da alcuna norma, né l'omissione in oggetto può essere inquadrata nell'ambito delle nullità di ordine generale. Il sistema delineato dall'art. 162 c.p., dall'art. 577 c.p.p. e dall'art. 141 disp. att. c.p.p. non consente una diversa conclusione, dacché la domanda di oblazione può essere proposta (e comunque riproposta in ipotesi di dispersione o mancato reperimento di esso) fino a quando non interviene la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado ed a carico di colui che la propone si pone comunque un onere di diligenza in una sequenza procedimentale ove la sua partecipazione non è limitata all'atto di impulso (quale esercizio della facoltà di richiesta di ammissione), ma trova la sua essenziale estrinsecazione nel pagamento dell'oblazione quale presupposto indefettibile per la declaratoria di estinzione del reato (8893/1995, rv 202713). L'omessa notifica dell'ordine di carcerazione è sfornito di sanzione e, pertanto, non comporta nullità dell'ordine stesso emesso dal pubblico ministero (2073/1996, rv 205878). Per il principio di tassatività fissato dall'art. 177 c.p.p., l'inosservanza delle norme contenute nel codice di rito dà luogo a nullità esclusivamente nei casi in cui la stessa sia espressamente prevista in via generale o in particolare: nessun tipo di invalidità si configura pertanto, non essendo questa in alcun modo sancita, nell'ipotesi in cui il difensore della presunta parte offesa sia stato ammesso a partecipare all'udienza camerale svoltasi dinanzi al tribunale ai sensi dell'art. 324 c.p.p., per il riesame di un provvedimento di sequestro preventivo (3148/1996, rv 206497). In tema di querela proposta dal legale rappresentante di una persona giuridica, (art. 337, terzo comma, c.p.p.), con riferimento al requisito dell'indicazione specifica delle fonti dei poteri di

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rappresentanza, deve escludersi che la mancanza di tale indicazione determini la nullità o l'inammissibilità della querela. Ciò in quanto tali sanzioni non sono previste né dall'art. 337 c.p.p., né da disposizioni di carattere generale. Va ritenuta, per contro, soltanto la necessità di accertare, nel caso di contestazione o di fondati dubbi, l'esistenza del menzionato potere di rappresentanza (4316/1996, rv 206381). La separazione dei processi prevista dall'art. 19 c.p.p. attiene all'esercizio di un potere discrezionale del giudice, che nell'interesse superiore della giustizia, previa audizione delle parti, può adottare tale provvedimento, onde consentire la rapida definizione delle posizioni di alcuni imputati (per esempio detenuti). Tuttavia, poiché per l'ordinanza che dispone la separazione dei processi non è prevista alcuna sanzione di nullità nel caso di mancata audizione delle parti, la sua impugnazione non può ritenersi consentita, atteso il principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione (5953/1996, rv 205114). In applicazione del principio di tassatività delle nullità, di cui all'art. 177 c.p.p., non dà luogo a nullità il fatto che nel corso del dibattimento e nella discussione finale abbiano preso la parola non uno ma due rappresentanti dell'ufficio del pubblico ministero su tutte le questioni oggetto di decisione (10851/1996, rv 206227). In base al principio di tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.), la mancata apposizione del sigillo su reperti che la Polizia giudiziaria sia autorizzata a trattenere per esaminarli al fine di ricavarne elementi utili per le indagini, non dà luogo ad alcuna nullità, né pregiudica di per sé la utilizzabilità della prova che dai reperti medesimi sia in seguito acquisita (2967/1997, rv 207224). In tema di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, non è sindacabile il provvedimento della Corte d'Appello che, pur riconoscendo l'incompletezza di alcuni accertamenti e la mancata assunzione di taluni testi, motivi anche implicitamente, purché in maniera logica ed accettabile, sulla non indispensabilità ai fini della decisione delle prove di cui viene prospettata l'assunzione; né può ritenersi, in forza del principio di tassatività, che dalla mancata adozione, da parte del giudice di secondo grado, dell'autonoma ordinanza di rigetto prevista dall'art. 603, quinto comma, c.p.p., possa derivare una qualche nullità, non essendo specificamente

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prevista dalla legge per tale omissione detta sanzione processuale (4467/1997, rv 207830). Non sussiste nullità, conformemente al principio di tassatività, con riferimento a verbali di udienza di convalida dell'arresto – e della consecutiva ordinanza –, redatti e sottoscritti dal solo magistrato e non dall'ausiliario che lo deve assistere e sia rimasto tuttavia assente, sicché la mancata compilazione del verbale da parte di quest'ultimo costituisce una mera irregolarità formale (3352/1998, rv 210164). Il mancato invio al pubblico ministero dei verbali di sommarie informazioni assunte dalla Polizia giudiziaria non è causa di nullità, in quanto, atteso il principio di tassatività sancito dall'art. 177 c.p.p., la stessa non è prevista da alcuna norma esplicita (345/1999, rv 212299). L'omessa indicazione dei criteri di determinazione della pena, anche nel caso che riguardi più reati unificati nella continuazione, non configura una nullità di ordine generale; neppure configura una nullità specifica, giacché il precetto di cui all'art. 533, comma secondo, c.p.p. non è assistito da alcuna specifica sanzione processuale. Per conseguenza, in ossequio al principio di tassatività delle nullità stabilito nell'art. 177 c.p.p., l'anzidetta omissione configura, non già una nullità della sentenza, bensì una mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena, che sottrae all'imputato il controllo sull'uso fatto dal giudice del suo poter discrezionale (11302/1999, rv 214634). In applicazione del principio di tassatività delle ipotesi di nullità, la mancanza della firma dell'ausiliario sul decreto di citazione a giudizio innanzi al pretore si risolve in una mera irritualità, dal momento che essa non impedisce il raggiungimento dello scopo dell'atto, purché il decreto stesso, debitamente sottoscritto dal P.M., sia stato ritualmente e tempestivamente notificato all'imputato (11949/1999, rv 214490). La mancata verbalizzazione da parte della Polizia giudiziaria di dichiarazioni da essa ricevute, in contrasto con quanto prescritto dall'art. 357 c.p.p., non integra di per sé ipotesi di nullità o di assoluta inutilizzabilità di dette dichiarazioni attesoché nessuna sanzione in tal senso è prevista dalla succitata norma. Nulla impedisce, quindi, salvi i limiti stabiliti nell'art. 350 c.p.p., commi

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sesto e settimo, che del loro contenuto venga fatta relazione all'autorità giudiziaria e che, comunque, l'ufficiale o agente di Polizia giudiziaria renda testimonianza “de relato” (855/2000, rv 216514). In base al principio di tassatività di cui all'art. 177 c.p.p. non può ravvisarsi alcuna nullità nel fatto che la lettura da parte del G.i.p. del dispositivo dell'ordinanza che dispone il rinvio a giudizio avvenga senza soluzione di continuità con la chiusura dell'udienza preliminare. Né è ravvisabile una nullità di carattere generale ai sensi dell'art. 178, lett. c), c.p.p., non assumendo – in sé – un tal comportamento del Gip alcun rilievo sull'intervento, l'assistenza o la rappresentanza dell'imputato (10547/2000, rv 218284). L'illeggibilità della sentenza, scritta a mano dall'estensore, non determina alcuna nullità, in quanto la parte interessata può richiedere in cancelleria copia conforme dattiloscritta, con la conseguenza che, ove si tratti di manoscritto effettivamente e assolutamente inintelligibile, è dal momento del rilascio della copia suddetta che decorre il termine per impugnare (4041/2001, rv 219094). Nel procedimento penale a carico di minorenni, le ipotesi nelle quali deve procedersi a pena di nullità alla notifica di atti anche in favore delle persone esercenti la potestà di genitore sono indicate tassativamente all'art. 7 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, con riguardo all'informazione di garanzia ed al decreto di fissazione di udienza, e dunque non determina invalidità alcuna l'omessa notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari (2984/2002, rv 221147). L'omessa notifica dell'ordine di carcerazione è sfornito di sanzione e pertanto non comporta nullità dell'ordine stesso emesso dal pubblico ministero (26678/2003, rv 225163). La violazione dell'ordine di intervento delle parti previsto, nel procedimento in camera di consiglio, dall'art. 127, comma terzo, c.p.p., è sfornita di sanzione processuale, in quanto non priva l'indagato nè del diritto di intervento nè del diritto all'assistenza tecnica (27595/2010). La nullità del verbale delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di indagini preliminari non può ritenersi sussistente nel caso in cui esso venga sottoscritto dalla stessa con il nome di un

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altro soggetto, qualora sia accertata la provenienza delle dichiarazioni in questione proprio dalla vittima del reato. In tema di nullità, infatti, vige il principio di tassatività di cui all'art. 177 c.p.p., dal quale deriva che, in riferimento ai verbali, essa possa riguardare solo l'incertezza sull'identità delle persone intervenute o la mancanza di sottoscrizione del pubblico ufficiale che ha redatto l'atto (21699/2013). Nel giudizio di appello il tardivo deposito della trascrizione dei verbali dibattimentali delle udienze di primo grado non determina la nullità della sentenza e non costituisce causa che possa legittimare la presentazione dell'atto di impugnazione oltre i termini previsti a pena di decadenza, in quanto le parti possono esercitare i propri diritti richiedendo copia dei nastri magnetici oppure utilizzando i verbali redatti in forma riassuntiva, con riserva di presentare al deposito delle trascrizioni motivi nuovi o aggiunti (956/2014). In tema di impugnazioni, la mancata trasmissione integrale alla corte d'appello degli atti del processo di primo grado integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, di cui la parte interessata deve fornire prova rigorosa mediante specifica allegazione documentale ovvero mediante trascrizione degli atti processuali rilevanti (7331/2015). Non sussiste la nullità della notifica dell’invito a rendere interrogatorio, a seguito dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen, effettuata, a mezzo fax, in unico esemplare al comune studio dei due difensori, in quanto la violazione delle disposizioni di cui all’art. 54 disp. att. cod. proc. pen. - per il quale il numero di copie degli atti da notificare deve essere uguale a quello dei destinatari della notificazione - non è sanzionata a pena di nullità, stante il principio di tassatività delle nullità, stabilito dall’art. 177 cod. proc. pen. (22006/2018). In tema di misure cautelari reali, la mancata esecuzione o la mancata notifica del decreto di sequestro preventivo disposto dal giudice delle indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, non determina alcuna nullità, né comporta l’inefficacia del decreto stesso, producendo soltanto l’effetto di ritardare la decorrenza del termine d’impugnazione da parte dell’interessato, poiché l’inefficacia consegue alla sola ipotesi di sequestro d’urgenza, in caso di mancata osservanza dei termini previsti dall’art. 321, comma 3-bis, c.p.p. per la trasmissione del verbale al pubblico ministero del luogo in cui il provvedimento è stato eseguito o in caso di mancata convalida del giudice nei dieci giorni dalla ricezione della richiesta, ai sensi dell’art. 321, comma 3-ter c.p.p. (4885/2019). Non è causa di nullità del decreto di citazione al giudizio di appello l’omesso avvertimento all’imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia, ancora oggi previsto dall’art. 429, comma 1, lett. f), c.p.p., atteso che l’istituto della contumacia è stato eliminato dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 e la differenza tra lo stesso e l’istituto dell’assenza, quanto al procedimento di dichiarazione ed agli effetti, non consente la "riformulazione" dell’avviso che, comunque, avrebbe semplicemente la funzione di informare l’imputato che la

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sua assenza non incolpevole non preclude l’ordinario svolgimento del processo (5017/2019). In tema di indagini preliminari, l’omessa indicazione, nel verbale di sommarie informazioni testimoniali, delle domande rivolte al dichiarante dalla polizia giudiziaria, non costituisce né causa di nullità, né causa di inutilizzabilità delle dichiarazioni contenute (11450/2019). In tema di mandato di arresto europeo, il termine di venti giorni dalla ricezione degli atti, entro cui, a norma dell’art. 22, comma 6, legge 22 aprile 2005, n. 69, deve intervenire la decisione, in caso di annullamento con rinvio della Corte di cassazione, ha natura ordinatoria, sicché la sua inosservanza non dà luogo ad alcuna invalidità (35940/2019).

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C.p.p. art. 177 Tassatività COMMENTO La materia relativa alle nullità è interamente ispirata al principio di tassatività, in virtù del quale la nullità degli atti, più grave forma di invalidità, sussiste soltanto nei casi previsti dalla legge. L'esistenza di un tale impianto normativo “chiuso” comporta una serie di corollari: – la regolamentazione in tema di vizi della volontà, a differenza di quanto accade per il diritto civile, non assume valore nel processo penale, perché i due schemi sono rispettivamente autonomi; – gli errores in iudicando non configurano ipotesi di nullità; – il giudice non può interpretare la norma analogicamente. Peraltro, la vigenza del principio di tassatività delle nullità non preclude la possibilità di qualificare un atto come abnorme, ove il medesimo risulti del tutto estraneo ed incompatibile rispetto all'ordinamento processuale vigente.

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C.p.p. art. 178 Nullità di ordine generale GIURISPRUDENZA L'inosservanza del termine a comparire di cui all'art. 555, comma terzo, c.p.p., integra una nullità di ordine generale, a norma dell'art. 178, comma primo, lett. c), c.p.p., che si verifica al momento della notificazione, perché se fra questa e la data fissata per il giudizio non intercorre il periodo stabilito di quarantacinque giorni, gli effetti complessivi della citazione non possono essere prodotti (8/1995, rv 201545). In conformità ai trattati internazionali vincolanti per l'Italia, l'art. 143, primo comma, c.p.p. riconosce all'imputato che ignora la lingua italiana il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di comprendere l'accusa e di seguire il compimento degli atti del processo al quale partecipa. A tale diritto corrisponde l'obbligo imposto all'autorità giudiziaria procedente di nominare un interprete a pena di nullità degli atti riguardanti l'indagato o imputato straniero che non conosce la lingua italiana. La nullità è di ordine generale ai sensi dell'art. 178, lett. c), c.p.p., riferendosi all'assistenza dell'imputato. Tuttavia, non riferendosi all'omessa citazione dell'imputato o all'assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza, non rientra, ai sensi dell'art. 179, primo comma, c.p.p. tra le nullità assolute e insanabili, bensì tra quelle che, pur potendo essere rilevate d'ufficio, non possono essere più eccepite dopo la deliberazione della sentenza di primo grado o, se si sono verificate nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo (cosiddette nullità a regime intermedio) (2228/1995, rv 201461). La tardiva traduzione dell'imputato nel luogo di deliberazione del dibattimento è causa di nullità assoluta ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c), per violazione dei diritti della difesa, solo qualora risulti che l'imputato stesso, per la tardività della traduzione o per altra causa, non abbia avuto in concreto il tempo indispensabile o la materiale possibilità, anche prendendo i necessari contatti con il proprio difensore, di preparare e svolgere la propria difesa, di modo

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che l'esercizio di questo diritto sia stato compromesso o, in qualche misura, compresso (9831/1995, rv 202465). L'emanazione “de plano” del provvedimento che decide una richiesta di correzione di errore materiale comporta una nullità di ordine generale, prevista dall'art. 178 c.p.p. (538/1996, rv 204782). La violazione dell'art. 70, comma sesto, dell'ordinamento penitenziario (Legge 26 luglio 1975 n. 354) – secondo cui uno dei due magistrati ordinari componenti il collegio deve essere il magistrato di sorveglianza sotto la cui giurisdizione è posto il soggetto in ordine al quale si provvede – costituisce una mera irregolarità, non essendo prevista, per tale violazione, alcuna nullità e non potendo la violazione medesima ricondursi alla previsione di cui all'art. 178 c.p.p., comma primo, lett. a). Ciò in quanto non si verte in tema di condizioni di capacità del giudice né di regolare costituzione del collegio con riferimento al numero di giudici. La predetta violazione attiene invece alla destinazione del giudice agli uffici giudiziari ed alla formazione dei collegi, disposizione espressamente dichiarata, dal secondo comma dell'art. 33 c.p.p., non attinenti alla capacità del giudice (1855/1996, rv 204690). Nell'ipotesi in cui un “non iudex” giudichi, la nullità che si determina è dovuta all'inosservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità. Ne consegue che, se quel “non iudex” ha compiuto soltanto un atto, sarà quel solo atto ad essere travolto dalla nullità, mentre, se avrà protratto la sua attività per tutta una fase – culminata in un determinato atto – tutta quella fase, ivi compreso l'atto finale, sarà stata “inutiliter data” (3973/1996, rv 204810). In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, nel corso delle indagini preliminari, il giudice non è abilitato a provvedere “de plano” ma deve fissare apposita udienza, della quale le parti devono essere rese edotte mediante notificazione o atto equipollente. In mancanza, la sentenza deve ritenersi nulla per violazione dell'art. 178 c.p.p., lett. b) e c) (2519/1997, rv 209293). Nel caso di omessa citazione della parte civile, sussiste una nullità di ordine generale ex art. 178 c.p.p., lett. c), in quanto si tratta di disposizione concernente l'intervento delle altre parti. Essa è a regime intermedio ex art. 180 c.p.p., giacché attiene ai presupposti della “vocatio in iudicium”. Verificandosi nella fase degli atti preliminari al dibattimento, formalmente e strutturalmente

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distinta dallo stesso, a norma dell'art. 180 c.p.p., deve essere dedotta prima della deliberazione della sentenza del grado successivo (3028/1997, rv 207600). Il difensore che ne abbia fatto richiesta ha diritto di assistere alle operazioni peritali. Ne segue che, nel giudizio di cognizione la sua esclusione dà luogo, indipendentemente dalla presenza, o non, dei consulenti di parte, a nullità di ordine generale attinente all'assistenza dell'imputato. Tale conclusione va estesa al patrocinio dell'interessato nei procedimenti di esecuzione e di sorveglianza, nei quali, sebbene l'espletamento della perizia non sia soggetto a particolari formalità, deve pur sempre essere garantito il rispetto del contraddittorio e l'esercizio dei connessi poteri difensivi (3643/1998, rv 211422). Sebbene l'art. 178 c.p.p. preveda a pena di nullità la citazione a giudizio della persona offesa, tuttavia, ai sensi di quanto disposto dall'art. 182 c.p.p., tale nullità può essere eccepita soltanto da quest'ultima illegittimamente pretermessa, e non dall'imputato che non ha interesse all'osservanza della disposizione violata. Ciò tanto più che l'art. 468 c.p.p. gli attribuisce la facoltà di richiederne la citazione quale teste (6443/1998, rv 210971). Non dà luogo a nullità, mancando un'espressa disposizione in tal senso e non vertendosi in ipotesi inquadrabile nelle previsioni di cui all'art. 178 c.p.p., comma primo, lett. a), il fatto che, in violazione dell'art. 623 c.p.p., comma primo, lett. c), il giudizio di rinvio si sia svolto davanti alla stessa sezione (peraltro in diversa composizione) della Corte d'Appello che aveva pronunciato la sentenza annullata (7062/1998, rv 210725). In tema di ordinanza dichiarativa della contumacia, la mancata audizione delle parti determina una nullità di ordine generale, poiché incide sull'assistenza dell'imputato: tale nullità è da inquadrare tra quelle dette a regime intermedio, che vengono sanate se non dedotte nei termini di cui agli artt. 180 e 182 c.p.p. (8537/1998, rv 211530). Qualora nell'atto che dispone il giudizio sia indicata un'aula specifica per la trattazione del processo, mentre questo è poi celebrato in aula diversa, si determina una situazione obiettivamente idonea a pregiudicare la possibilità di partecipazione dell'imputato al giudizio, che, quando la partecipazione di fatto non avvenga, dà

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luogo alla nullità del giudizio ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) (9900/1998, rv 213051). In tema di notificazioni, la procedura di cui all'art. 159 c.p.p. esige che le nuove ricerche vengano eseguite cumulativamente, e non alternativamente, in tutti i luoghi previsti dalla norma: con la conseguenza che, se le ricerche sono rimaste incomplete, il decreto d'irreperibilità e le conseguenti notificazioni eseguite mediante consegna al difensore, ove attengano alla citazione dell'imputato, integrano una nullità assoluta ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c), e dell'art. 179 c.p.p. (10405/1998, rv 211839). L'inosservanza del termine di dieci giorni prima dell'udienza di sorveglianza entro il quale deve essere notificato l'avviso dell'udienza medesima all'interessato e al suo difensore determina una nullità assoluta e insanabile ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c), – e dell'art. 179 c.p.p. (5090/1999, rv 214426). La mancata traduzione in udienza dell'imputato detenuto e regolarmente citato, in quanto attiene al diritto dello stesso a partecipare al dibattimento, determina una nullità generale ai sensi dell'art. 178 c.p.p. la quale, esulando dalle ipotesi di cui al successivo art. 179 c.p.p., non è assoluta ma a carattere cosiddetto intermedio. Ne consegue che essa non può essere rilevata né dedotta dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo (6916/1999, rv 213616). L'eventuale incompatibilità del giudice costituisce motivo di ricusazione, ma non vizio comportante la nullità del giudizio (23/2000, rv 215097). L'inosservanza dell'art. 386, comma secondo, c.p.p., per mancata comunicazione dell'arresto in flagranza al difensore d'ufficio nominato nella circostanza, non dà luogo a nullità alcuna perché nessuna norma la prevede. Né l'omissione potrebbe essere ricondotta alla previsione dell'art. 178 c.p.p., lett. c, poiché l'obbligo di informazione dell'arresto non attiene, in modo diretto, all'assistenza dell'imputato, e non incide, quindi, sul diritto di difesa, al cui esercizio è finalizzato il successivo interrogatorio da parte del giudice competente per la convalida (246/2000, rv 216513). L'anzianità di funzioni giurisdizionali inferiore a tre anni da parte del giudice monocratico che ha pronunciato le sentenza non determina l'incapacità del giudice posta a base della causa di nullità

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di cui all'art. 178, comma 1, lett. a), c.p.p., in quanto tale nullità è integrata dal difetto di capacità generica all'esercizio del potere giurisdizionale e non dalla mancanza delle condizioni specifiche di esercizio della funzione giudicante (3607/2000, rv 218182). La comunicazione al difensore del giorno e dell'ora fissati per l'interrogatorio di garanzia della persona ristretta in carcere in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare, pur non richiedendo una particolare forma (ad esempio, notifica), deve tuttavia avvenire in forma che, consenta di avere certezza della ricezione, deve riguardare entrambi i difensori (se essi sono due), non essendo sufficiente l'avviso ad uno solo, atteso che non è previsto, in capo al difensore che ha ricevuto la comunicazione, l'obbligo di avvertire il collega, e deve, infine, essere effettuata in tempo ragionevole, giacché, se è vero che il sistema impone al difensore di programmare i propri impegni professionali in modo da privilegiare quello di assistenza al cliente detenuto, è anche vero che tale considerazione vale con riferimento ad un impegno già fissato, non essendo, invece, imposto al difensore di rendersi sempre reperibile per le brevi vie al fine di ricevere l'avviso per un incombente, sol perché a tale incombente egli sa che dovrà farsi luogo entro i tempi processuali previsti; il mancato avviso al difensore, con conseguente svolgimento dell'interrogatorio in sua assenza, comporta la nullità dell'interrogatorio medesimo (nullità di ordine generale ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c, e a regime intermedio, in quanto non riferentesi ad ipotesi di presenza obbligatoria del difensore) nonché, a fortiori, la perdita di efficacia della misura cautelare (3786/2000, rv 216629). L'assistenza dell'imputato nel processo penale, per il suo carattere tecnico, presuppone l'iscrizione del difensore nell'albo professionale, da escludersi nel caso di avvocato radiato dall'albo medesimo. Pertanto, se l'imputato sia stato assistito da avvocato colpito da tale sanzione, si verifica una nullità assoluta e insanabile degli atti, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, a norma degli artt. 178, lett. c), e 179 primo comma, c.p.p. (9730/2000, rv 217664). Non integra un'ipotesi di difetto di capacità del giudice, causa di nullità assoluta e insanabile ai sensi dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. a ), il provvedimento d'urgenza del presidente del tribunale,

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adottato ai sensi dell'art. 7 bis, comma 2 quinquies, dell'ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941 n. 12) (introdotto dall'art. 57 della legge n. 479 del 1999), e con il quale, in apparente violazione del comma 2 quater di tale disposizione, aveva attribuito le funzioni di giudice monocratico del tribunale a un magistrato che difettava del requisito dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali per non meno di tre anni, atteso che la causa di nullità va ravvisata soltanto nel difetto di capacità generica all'esercizio del potere giurisdizionale e non nella mancanza delle condizioni specifiche per esercitare le funzioni giudicanti (13982/2001, rv 218732). Non è configurabile la nullità di cui all'art. 178 lett. b) c.p.p. nel caso in cui il pubblico ministero, che partecipa all'udienza camerale, non concluda su tutte le questioni, atteso che l'obbligo di partecipazione al procedimento non implica che il PM debba svolgere le sue conclusioni su tutte le questioni prospettate in relazione alle possibili statuizioni del giudice (23594/2001, rv 219716). L'assenza solo temporanea del difensore dell'imputato durante l'udienza preliminare, alle quale abbia comunque partecipato svolgendo il proprio intervento decisivo, è causa di una nullità di ordine generale, a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178 lett. C) c.p.p. con le conseguenti limitazioni, in ordine all'eccepibilità ed alla rilevabilità della relativa nullità, previste dall'art. 180 c.p.p. (30420/2001, rv 220048). Qualora sussista impedimento del difensore di fiducia dell'imputato per malattia, l'omessa notifica allo stesso difensore della data di fissazione della nuova udienza da' luogo a una nullità assoluta ed insanabile, a causa dell'assenza del medesimo al dibattimento, mentre la presenza del difensore di ufficio costituisce equipollente della notifica solo quando questo agisca da sostituto dell'altro e rappresenti il di lui impedimento, insistendo per il rinvio a nome e per conto del medesimo (32450/2001, rv 219585). In tema di capacità del giudice, non dà luogo alla nullità prevista dall'art. 178 c.p.p., lett. a) l'inosservanza delle norme riguardanti la procedura per la sostituzione del giudice astenuto, atteso che l'art. 33, comma secondo, c.p.p. stabilisce che non si considerano

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attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sull'assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici (1589/2002, rv 220385). La mancata acquisizione del parere del pubblico ministero in ordine all'istanza di revoca della misura cautelare, richiesto dall'art. 299 c.p.p., comma 3 bis, non determina la nullità del provvedimento ex art. 178 c.p.p., lettera b), a condizione che il rappresentante della pubblica accusa sia stato messo in condizione di esprimere le proprie conclusioni, ancorché in concreto non lo abbia fatto (8392/2002, rv 220958). La omissione dell'invito a rendere l'interrogatorio di garanzia prima della emissione del decreto di citazione a giudizio, in quanto concernente una facoltà di intervento dell'imputato, rientra tra le nullità a regime intermedio, la cui rilevabilità o deducibilità è prescritta fino alla deliberazione della sentenza di primo grado (19519/2003, rv 224970). Integra la nullità prevista dall'art. 178, comma 1, lett. a), c.p.p. il provvedimento di assegnazione degli affari o di sostituzione del giudice impedito, adottato in violazione di specifiche disposizioni delle leggi di ordinamento giudiziario attinenti alle condizioni di capacità del giudice, mentre, ai sensi dell'art. 33, comma 2, c.p.p., non dà luogo a nullità l'inosservanza delle disposizioni di natura amministrativa regolatrici della materia ordinamentale, quali quelle contenute nelle tabelle di organizzazione degli uffici, configurabile come mera irregolarità di rilievo disciplinare (27856/2005). L'inosservanza del termine di comparizione per l'imputato, previsto per la notifica del decreto di citazione diretta a giudizio, non comporta una nullità assoluta ex artt. 178 lett. c) e 179 n. 1 c.p.p., bensì una nullità relativa che deve ritenersi sanata qualora non venga eccepita entro i termini di cui all'art. 181 c.p.p. (Nel caso di specie, non era stato rispettato il termine dei 60 giorni della notifica del decreto di citazione diretta a giudizio all'imputato, ma poiché nella fase preliminare della prima udienza il difensore aveva rinunciato ai termini sia per sé che per l'imputato, non era più possibile dedurre in fase di appello la predetta nullità) (3417/2010). L'ingiustificato rifiuto da parte del P.M. di consegnare al difensore la trasposizione su supporto informatico delle registrazioni poste a base della misura cautelare, determina – a causa della illegittima compressione del diritto di difesa – una

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nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178 lett. c) c.p.p. soggetta alla deducibilità e alle sanatorie di cui agli art. 180, 182 e 183 c.p.p. Di conseguenza, qualora tale vizio sia stato ritualmente dedotto in sede di riesame, il tribunale non potrà utilizzare le suddette registrazioni come prova. In ogni caso, l'eventuale annullamento del provvedimento cautelare non impedisce al p.m. di reiterare la richiesta cautelare al g.i.p., il quale potrà accogliere la nuova richiesta, se corredata dal relativo supporto fonico (20300/2010). Nel giudizio camerale d'appello l'imputato, detenuto o comunque soggetto a misure limitative della libertà personale, ha diritto di richiedere al giudice competente l'autorizzazione a recarsi in udienza o di essere ivi accompagnato o tradotto e, in difetto di quest'ultima o in caso di rigetto della medesima da parte del giudice competente, a fronte della tempestiva richiesta dell'imputato di presenziarvi, v'è l'obbligo del giudice d'appello procedente, a pena di nullità assoluta, di disporne la traduzione, essendo inibita la celebrazione del giudizio in sua assenza (35399/2010). La mancata traduzione all'udienza camerale d'appello, perchè non disposta o non eseguita, dell'imputato che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire e che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza (35399/2010). In tema di notificazione a mezzo del servizio postale, l'agente postale che sia venuto a conoscenza della nuova residenza dell'imputato, posta nello stesso Comune di quella precedente, deve provvedere alla consegna dell'atto a mani proprie dell'imputato, e non al deposito del piego presso l'ufficio postale e avviso in busta chiusa a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento alla nuova residenza, perchè la sovrapposizione di questa diverse forme di notificazione determina una nullità d'ordine generale per difetto di intervento dell'imputato nel procedimento (17528/2012). Non è abnorme l'ordinanza con la quale il Tribunale rigetti l'eccezione di nullità dell'ordinanza con la quale il G.i.p. ha respinto la richiesta di giudizio abbreviato, disponendo procedersi al giudizio immediato chiesto dal P.M. (22253/2012).

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L'assenza in udienza camerale dell'imputato che ha espressamente richiesto di assistere, determina la nullità assoluta del giudizio di appello e della relativa sentenza (41463/2012). L'assunzione della prova testimoniale direttamente a cura del giudice, pur non essendo conforme alle regole che disciplinano la prova stessa, non dà luogo ad alcuna nullità, non essendo riconducibile alle previsioni di cui all'art. 178 c.p.p., né ad inutilizzabilità, trattandosi di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge bensì con modalità diverse da quelle prescritte (28247/2013). L'avviso della fissazione dell'udienza per la decisione sulla richiesta di riesame del sequestro conservativo proposta dall'imputato deve essere dato anche alla parte civile, in quanto il contraddittorio deve estendersi a tutte le parti del processo interessate alla misura in questione (25449/2013). In tema di intercettazioni telefoniche, il diritto all'ascolto dei file è una prerogativa difensiva non suscettibile di limitazione alcuna nè di apposita autorizzazione e non può essere in alcun modo surrogata dai c.d. brogliacci, stesi senza contraddittorio e senza garanzia di fedeltà dalla polizia giudiziaria. La violazione del diritto all'ascolto delle registrazione e quello legato alla copia dei file audio da luogo ad una compressione del diritto di difesa, tale da concretare una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c), perché cade direttamente sulla possibilità di vaglio critico del momento nel quale si concreta la prova (41362/2013). L'omessa notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello al difensore di fiducia dell'imputato determina una nullità d'ordine generale insanabile, a nulla rilevando che la notifica sia stata effettuata al difensore d'ufficio, non potendo l'imputato essere privato del diritto di affidare la propria difesa alla persona che riscuota la sua fiducia e che abbia avuto la possibilità di prepararsi adeguatamente nel termine stabilito per la comparizione (7968/2014). L'ordinanza con la quale il G.U.P. rigetti la richiesta difensiva di accedere ai supporti audiovisivi di una conversazione fra presenti, indicata fra gli elementi probatori a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio, è affetta da nullità assoluta, ex art. 178, comma primo, lett. c), c.p.p., per il pregiudizio arrecato al diritto di difesa

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dell'imputato a cui è sottratta la conoscenza di una prova a carico. Tale nullità è sanabile, ex art. 183, comma primo, lett. b), c.p.p., con la richiesta di giudizio abbreviato e non è comunque più deducibile, per carenza di interesse, ex art. 182 c.p.p, qualora nel corso del giudizio abbreviato il supporto sia acquisto e su di esso espletata perizia audiovisiva nel contraddittorio delle parti (4429/2014). Il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall'art. 129 cod. proc. pen. impone che nel giudizio di cassazione, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, sia data prevalenza alla prima, salvo che l'operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nel qual caso assume rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio (6338/2014). In tema di trattamento penitenziario differenziato, il criterio di automaticità della limitazione del diritto ai colloqui con il proprio difensore da parte del detenuto sottoposto al regime detentivo speciale di cui all'art. 41-bis ord. pen., dichiarato incostituzionale con sentenza n. 143 del 2013 della Corte costituzionale, non determina la nullità del provvedimento che abbia posto limiti di durata e di frequenza dei contatti con il difensore, che siano determinati dal soddisfacimento di particolari e concrete esigenze ravvisate dall'autorità (3729/2015). È illegittimo ma non abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento per la omessa rinnovazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis, cod. proc. pen., all'esito degli accertamenti espletati su sollecitazione della difesa dichiara erroneamente la nullità del decreto di citazione a giudizio, disponendo la trasmissione degli atti al P.M., trattandosi di provvedimento che, lungi dall'essere avulso dal sistema, costituisce espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento (3738/2015). La proposizione della richiesta di riesame, pur se ad opera del difensore, ha effetti sananti della nullità conseguente all'omessa traduzione dell'ordinanza cautelare personale nella lingua conosciuta dall'indagato alloglotta, anche a seguito della riformulazione dell'art. 143 cod. proc. pen., sempre che l'impugnazione non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione ovvero per formulare ulteriori questioni pregiudiziali di carattere strettamente procedurale (7056/2015). In tema di impugnazioni, la mancata trasmissione integrale alla corte d'appello degli atti del processo di primo grado integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, di cui la parte interessata deve fornire prova rigorosa mediante specifica allegazione documentale ovvero mediante trascrizione degli atti processuali rilevanti (7331/2015). Il giudice dell'esecuzione può porre a base della decisione soltanto le prove che siano state formalmente ammesse prima delle conclusioni delle parti; ne consegue che è affetta da nullità ex art. 178, comma primo, lett. b) e c), cod.

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proc. pen., per violazione del contraddittorio, la decisione assunta sulla base di documenti acquisiti fuori udienza, mediante ordinanza, successivamente alla riserva della decisione (8585/2015). La nullità della sentenza recante dispositivo e motivazione concernenti altra vicenda processuale è sanata qualora, prima della presentazione di impugnazioni avverso la stessa, venga depositato altro provvedimento con dispositivo e motivazione pertinenti, e la difesa abbia potuto tempestivamente rappresentare le proprie ragioni nei confronti del testo definitivo della decisione, atteso che, in tal caso, sussistono i presupposti della sanatoria prevista dall'art. 183, comma primo, lett. b), cod. proc. pen. (8990/2015). Il decorso del termine per il compimento delle indagini non può comportare l'invalidazione dell'atto di indagine compiuto dopo la scadenza, ma soltanto la inutilizzabilità - ad istanza di parte - della prova acquisita attraverso tale atto (9664/2015). Pronunciandosi su una vicenda in cui le difese di entrambi gli imputati si erano lamentate per non aver avuto cognizione né estrarre copia della perizia che aveva effettuato le trascrizioni delle intercettazioni prima della udienza successiva al deposito della perizia, la Corte di Cassazione, ha ritenuto non manifestamente infondato il motivo di ricorso con cui si denunciava la violazione del diritto di difesa, affermando che nessuno insegna il notorio, è in grado di leggere in modo completo 137 pagine in diciannove minuti, tempo sufficiente tutt'al più a una rapida scorsa “a volo d'uccello” che non equivale certo a una completa cognizione dell'atto (11252/2015). L'incompatibilità ex art. 34, cod. proc. pen. non attiene alla capacità del giudice e non determina, pertanto, la nullità del provvedimento ex artt. 178 e 179, cod. proc. pen., ma costituisce soltanto motivo di possibile astensione ovvero di ricusazione dello stesso giudice, che deve essere fatto valere tempestivamente con la procedura di cui all'art. 37 cod. proc. pen. (12896/2015). L'omesso avviso dell'udienza al difensore di fiducia tempestivamente nominato dall'imputato o dal condannato integra una nullità assoluta ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c) e 179, comma 1, c.p.p. (S.U. 24630/2015). La violazione delle regole per l’esame dibattimentale del testimone ed, in particolare, di quella secondo cui l’esame deve svolgersi mediante domande su fatti specifici (art. 499, comma 1, cod. proc. pen.), non dà luogo né alla sanzione di inutilizzabilità, poiché si tratta di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge, ma con modalità diverse da quelle prescritte, né ad una ipotesi di nullità, non essendo la fattispecie riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall’art. 178 cod. proc. pen. (52435/2017). In tema di difesa d’ufficio, l’irrituale sostituzione del difensore d’ufficio originariamente nominato, senza che ricorrano le condizioni previste dall’art. 97, commi 4 e 5, cod. proc. pen., determina la nullità degli atti successivi solo in presenza di una concreta lesione del diritto di difesa (1245/2017). Il mancato esercizio, da parte del giudice, della facoltà di sostituire il difensore d’ufficio per giustificato motivo, ai sensi dell’art. 97, comma 5, cod.

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proc. pen., non dà luogo, in difetto di espressa previsione, ad alcuna nullità (3659/2017). Il diritto del difensore di ascoltare le registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate e di estrarre copia dei “files” audio, dopo il deposito effettuato ai sensi dell’art. 268, comma 4, cod. proc. pen., non è suscettibile di limitazione né è subordinato ad autorizzazione, per cui ogni compressione di tale diritto dà luogo alla nullità di ordine generale a regime intermedio prevista dall’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. (57195/2017). In tema di appello, l’inosservanza del termine di comparizione dell’imputato, di cui all’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., determina una nullità di ordine generale, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen, che, in caso di contemporanea assenza del suo difensore o di un sostituto, non è soggetta ai limiti di deducibilità di cui all’art. 182 cod. proc. pen., né alla sanatoria di cui all’art. 184 cod. proc. pen., dovendosi, altresì, escludere che, in assenza di un nuovo avviso, l’eventuale provvedimento di rinvio della prima udienza, con la concessione del termine di venti giorni, equivalga ad una nuova citazione dell’imputato, atteso che l’assenza del suo difensore, o di un sostituto, alla prima udienza impediscono l’operatività dell’istituto della rappresentanza, previsto dall’art. 420-bis, comma 3, cod. proc. pen. (3366/2017). La nullità del decreto di citazione a giudizio per l’omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari al difensore di fiducia è a regime intermedio e, pertanto, deve essere eccepita prima della deliberazione della sentenza di primo grado (2382/2017). È affetta da nullità generale ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., deducibile in appello ai sensi dell’art. 180 dello stesso codice, e non da abnormità, censurabile mediante ricorso per cassazione, l’ordinanza con cui il giudice accoglie solo in parte la richiesta di integrazione probatoria posta quale condizione dell’istanza di rito abbreviato (11605/2017). È abnorme il provvedimento del tribunale che, dopo aver dichiarato la nullità del decreto penale di condanna opposto, perchè mancante dell’avviso all’ingiunto della possibilità di chiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova, e disposta la restituzione degli atti al Gip, ricevuti nuovamente gli atti da quest’ultimo che ha ritenuto abnorme tale provvedimento di restituzione, revochi la propria precedente ordinanza di nullità e rimetta in termini l’imputato per la richiesta, rifissando il processo (6748/2018). Al difensore di fiducia dell’imputato, che sia stato nominato in data successiva a quella della richiesta di riesame senza che il tribunale ne abbia avuto conoscenza, non spetta l’avviso della data fissata per l’udienza, gravando sull’indagato un onere di attivazione e diligenza per consentire al difensore di svolgere il proprio mandato (26266/2018). Nel procedimento di riesame, l’inosservanza del termine di tre giorni liberi che devono intercorrere tra la data di comunicazione o notificazione dell’avviso di udienza e quella dell’udienza stessa è causa di nullità di ordine generale a regime intermedio dell’atto che, se tempestivamente eccepita, ne impone la rinnovazione, non essendo sufficiente la concessione di un ulteriore termine ad integrazione di quello originario (26266/2018).

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In tema di atti processuali, la mancata trascrizione delle dichiarazioni fonoregistrate rese dai testimoni in sede di esame dibattimentale integra, laddove il verbale redatto in forma riassuntiva rimandi integralmente ad esse, una nullità d’ordine generale della sentenza per violazione del diritto di difesa, nel solo caso in cui la sentenza di condanna si sia fondata sul contenuto di dette dichiarazioni (17404/2018). L’omessa notifica al difensore dell’avviso di deposito dell’ordinanza cautelare prima dell’interrogatorio non determina alcuna nullità di quest’ultimo, la quale consegue esclusivamente alla mancata disponibilità, per lo stesso difensore, degli atti (ordinanza, richiesta del P.M. e documenti su cui la richiesta si fonda) nella cancelleria del giudice che ha emesso l’ordinanza (13309/2018). L’integrazione del collegio del Tribunale da parte di un giudice onorario non viola l’art. 43 bis del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, che si riferisce all’esercizio delle funzioni del tribunale in composizione monocratica, nè è causa di nullità processuale, atteso che detta previsione normativa introduce un mero criterio organizzativo di ripartizione dei procedimenti tra i giudici ordinari e quelli onorari (26834/2018). L’instaurazione del giudizio immediato per reati per i quali l’esercizio dell’azione penale deve avvenire con citazione diretta, precludendo all’imputato il diritto a ricevere la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415 bis cod. proc. pen., determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che non può, però, essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante delle nullità, ai sensi dell’art. 183 cod. proc. pen. (25938/2018). In tema di procedimento di convalida dell’arresto, la nullità di ordine generale a regime intermedio dell’interrogatorio e dell’ordinanza di convalida (nella specie, determinata dal divieto di colloquio dell’arrestato con il difensore), sebbene ritualmente eccepita in udienza, non può essere dedotta nel giudizio di riesame del provvedimento applicativo di misura cautelare, essendo rilevabile esclusivamente con l’impugnazione della decisione sulla convalida, in assenza della quale deve ritenersi sanata (5675/2019). La nullità di ordine generale, a regime intermedio, derivante dall’omessa dichiarazione, ai sensi dell’art. 42, comma 2, c.p.p., della conservazione di efficacia degli atti compiuti dal giudice poi astenutosi o ricusato, se tempestivamente eccepita dalla difesa dell’imputato che vi abbia interesse avanti al diverso giudice incaricato della prosecuzione del giudizio, può essere emendata dal compimento dell’atto omesso da parte della stessa autorità che ha deciso sulla dichiarazione di astensione o ricusazione, che sia stata investita, in tal senso, dal nuovo giudice designato secondo le regole dell’ordinamento giudiziario (6930/2019). Integra una nullità generale a regime assoluto, ai sensi degli artt. 178, lett. c) e 179 c.p.p., l’omessa notifica dell’avviso di fissazione del dibattimento in appello al difensore di ufficio nominato, fin dal giudizio di primo grado, in sostituzione del difensore di fiducia rinunciante al mandato (10593/2019). Nel procedimento di esecuzione, l’assenza del pubblico ministero all’udienza camerale è causa di nullità generale a regime intermedio, che

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invalida il provvedimento in esito adottato (12660/2019). In tema di documentazione degli atti, la mancanza sopravvenuta, per qualsiasi causa, dei nastri delle fonoregistrazioni delle deposizioni testimoniali regolarmente trascritte, non dà luogo ad alcuna causa di nullità delle stesse, sia perché non espressamente prevista sia perché la documentazione di quanto avvenuto in udienza è attestata dalle trascrizioni, costituenti parte integrante del processo verbale. (Fattispecie di intervenuto smarrimento delle fonoregistrazioni) (S.U. 12778/2020).

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C.p.p. art. 178 Nullità di ordine generale COMMENTO Il principio di tassatività, che pervade l'intera materia in oggetto e in base al quale le ipotesi di nullità sono solo quelle espressamente previste dai paradigmi legali, potrebbe lasciar spazio a delle lacune normative. Per far fronte a tale eventualità, accanto alle nullità speciali (relative, cioè, ad una determinata violazione), il legislatore ha contemplato le cosiddette nullità generali, disciplinate dalla norma in commento. In particolare è prevista la nullità nei casi di inosservanza delle disposizioni relative: – alle condizioni di capacità del giudice: la capacità del giudice, da intendersi nei termini di effettiva titolarità dei poteri giurisdizionali, deve sussistere all'atto della deliberazione del provvedimento giurisdizionale, a nulla rilevando che essa venga meno successivamente, sì da risultare mancante all'atto in cui il provvedimento stesso, ancorché tardivamente, viene depositato in cancelleria (così Cassazione n. 2974 del 1999); – al numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario; – all'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale (essa manifesta l'intenzione di perseguire un reato, né è titolare l'autorità giudiziaria e può essere esercitata soltanto a seguito dell'acquisizione della notizia di reato che deve essere comunicata all'organo competente nel più breve tempo possibile): quando l'azione viene esercitata da un organo diverso dal pubblico ministero; – alla partecipazione del pubblico ministero al procedimento: quando la presenza del pubblico ministero è prevista come necessaria, ma questi manca; – all'intervento, all'assistenza e alla rappresentanza dell'imputato e delle altre parti private, nonché alla citazione in giudizio della persona offesa dal reato o del querelante: in tema di nullità per omessa citazione di una parte, sebbene la presente norma preveda a pena di nullità la citazione in giudizio della persona offesa, tale vizio, ai sensi dell'art. 182, non può essere eccepito da chi non ha interesse all'osservanza della disposizione violata, e all'imputato certamente non può essere riconosciuto tale interesse in relazione alla persona offesa in quanto tale, essendo peraltro salva la sua facoltà di chiedere la citazione della persona offesa quale teste (così Cassazione n. 12530 del 1999). Riguardo, poi, alla posizione del destinatario degli addebiti, le Sezioni Unite, nella sentenza del 27 febbraio 2002 (Conti), hanno precisato che la nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio dell'imputato va equiparata all'omessa notificazione in quanto evidentemente preclusiva della regolare instaurazione del contraddittorio.

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C.p.p. art. 179 Nullità assolute COMMENTO a) Nel rito camerale [127] mancata audizione dell'imputato che ne abbia fatto richiesta; decreto di citazione a giudizio notificato al domicilio reale dell'imputato e non a quello da lui ritualmente eletto presso il difensore. b) L'omissione della notifica all'imputato dell'avviso per l'udienza preliminare comporta una nullità assoluta, rilevabile d'ufficio e deducibile in ogni stato e grado del procedimento, sorgendo preclusione solo con la formazione del giudicato (così Cassazione n. 35358 del 2003). c) L'omesso avviso al difensore costituisce un'ipotesi di nullità assoluta e insanabile solo nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza (così Cassazione n. 27 del 2005).

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C.p.p. art. 179 Nullità assolute GIURISPRUDENZA In tema di notificazioni, la procedura di cui all'art. 159 c.p.p. esige che le nuove ricerche vengano eseguite cumulativamente, e non alternativamente, in tutti i luoghi previsti dalla norma: con la conseguenza che, se le ricerche sono rimaste incomplete, il decreto d'irreperibilità e le conseguenti notificazioni eseguite mediante consegna al difensore, ove attengano alla citazione dell'imputato, integrano una nullità assoluta ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c), e dell'art. 179 c.p.p. (10405/1998, rv 211839). L'omessa notifica del decreto che dispone il giudizio all'imputato non presente all'udienza preliminare determina un'ipotesi di nullità assoluta ed insanabile ex art. 179 c.p.p. attinendo alla mancata costituzione del contraddittorio. In proposito non può ritenersi, quando l'imputato sia domiciliato presso il difensore e questi sia presente, che la lettura del provvedimento equivalga alla notifica per le parti presenti ex art. 424, secondo comma, c.p.p. considerata la presenza del difensore domiciliatario equivalente alla notifica all'imputato assente. Infatti, proprio il nesso tra tale disposizione e quella di cui all'ultimo comma dell'art. 429 c.p.p., che stabilisce che il decreto è notificato all'imputato che non era presente all'udienza preliminare, esclude l'estensibilità dell'art. 424 c.p.p. all'imputato assente, e ciò in quanto la notifica del decreto che dispone il giudizio attiene alla contestazione dell'accusa che richiede, a tutela del diritto di difesa, la diretta e personale conoscenza dell'imputazione contenuta nell'atto che costituisce il passaggio alla fase del giudizio (3559/1999, rv 212819). Il tribunale di sorveglianza al quale, allorché il condannato si trovi agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, il pubblico ministero, sospesa l'esecuzione dell'ordine di carcerazione, trasmette gli atti perché provveda all'applicazione della detenzione domiciliare, provvede “de plano” e senza le garanzie del contraddittorio solo ove ritenga di poter applicare la

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misura, mentre, in caso contrario, ha l'obbligo di seguire il rito previsto dall'art. 666 c.p.p. Ne consegue che l'inosservanza del terzo comma di tale articolo, concernente l'avviso all'interessato e al difensore della data dell'udienza e la mancata partecipazione del difensore prevista come necessaria dal quarto comma di tale articolo determinano una nullità di ordine generale ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c), insanabile e rilevabile di ufficio ex art. 179 c.p.p. in ogni stato e grado del procedimento (6979/2000, rv 215332). È abnorme, in quanto pronunciato nell'esercizio di un potere non spettante ad organo di giurisdizione, il provvedimento del magistrato di sorveglianza che, decidendo sul reclamo di detenuto sottoposto alle restrizioni di cui all'art. 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 avverso decisione dell'autorità penitenziaria assunta in conformità delle disposizioni limitative dei colloqui e della corrispondenza telefonica previste dagli artt. 37, comma 8, e 39, comma 2, del regolamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354), approvato con D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230, le disapplichi, ritenendole esorbitanti dai limiti della legge citata (20240/2002, rv 221447). Il legittimo impedimento a comparire del difensore non rileva anche nei procedimenti di esecuzione e di sorveglianza; non si configura la nullità ex articolo 179 c.p.p. per il caso in cui i procedimenti proseguano con la presenza di un difensore nominato in sostituzione del difensore di fiducia impedito (31461/2006). La mancata traduzione all'udienza camerale dell'imputato detenuto, che abbia richiesto di partecipare, determina, ai sensi degli art. 178 c.p.p., lett. c), e art. 179 c.p.p., una nullità assoluta e insanabile, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento (35399/2010). La notifica del decreto di citazione a giudizio effettuata presso il domicilio reale a mani di persona convivente anziché presso il domicilio eletto non può considerarsi inesistente, e quindi equipararsi a notifica omessa, ma va ritenuta affetta da nullità generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, lett. c) c.p.p., e come tale sanabile, quando sia comunque idonea, in concreto, a determinare la conoscenza dell'atto da parte dell'imputato. (Nella specie, la Corte ha ritenuto sanata la nullità della citazione a giudizio in primo grado effettuata in luogo diverso dal domicilio

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eletto, prospettata dall'imputato per la prima volta in Cassazione, laddove in appello era stata eccepita l'insussistenza del rapporto di convivenza del ricevente la notifica) (19546/2012). La mancata presenza del difensore dell'imputato all'udienza di discussione, nella quale il processo è stato deciso, allorchè sia dovuta alla comunicazione ingannevole della cancelleria, di fatto impedendo impedito l'esercizio del diritto di difesa dell'imputato, da luogo ad una nullità insanabile (16262/2013). Il ricorso alla procedura di notificazione all'imputato attraverso il deposito dell'atto nella casa comunale, accompagnato dagli ulteriori adempimenti previsti dall'art. 157, comma ottavo, c.p.p., è possibile solo dopo aver percorso in via cumulativa e non alternativa tutte le vie indicate dai precedenti commi del medesimo articolo, e in particolare la notifica mediante consegna personale ovvero a persone abilitate presso la casa di abitazione o il luogo di abituale esercizio dell'attività lavorativa. L'omissione di tali adempimenti determina la nullità della notifica a norma dell'art. 171, lett. d), c.p.c. che, inficiando il procedimento della “vocatio in ius”, ha carattere assoluto ai sensi dell'art. 179 stesso codice (24271/2013). È affetta da nullità assoluta e rilevabile d'ufficio, per violazione del principio di immutabilità del giudice, a norma degli artt. 525 e 179 c.p.p., la sentenza emessa da giudici diversi da quelli che hanno partecipato al dibattimento, in difetto della rinnovazione di questo e degli atti già compiuti, anche se le parti non ne abbiano formulato esplicita richiesta (12234/2014). Si ha la nullità assoluta ed insanabile della citazione dell'imputato, ai sensi dell'articolo 179 c.p.p. soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o, quando eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato (19454/2014). L'omessa enunciazione del fatto in relazione alla condotta tipica del reato integra un'ipotesi di nullità assoluta della richiesta di rinvio a giudizio, ai sensi dell'art. 179, comma primo, cod. proc. pen., per inosservanza delle disposizioni che concernono l'iniziativa del Pubblico Ministero nell'esercizio dell'azione penale (9659/2015). L'incompatibilità ex art. 34, cod. proc. pen. non attiene alla capacità del giudice e non determina, pertanto, la nullità del provvedimento ex artt. 178 e 179, cod. proc. pen., ma costituisce soltanto motivo di possibile astensione

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ovvero di ricusazione dello stesso giudice, che deve essere fatto valere tempestivamente con la procedura di cui all'art. 37 cod. proc. pen. (12896/2015). La nullità conseguente alla notifica all'imputato del decreto di citazione a giudizio presso lo studio del difensore di fiducia anziché presso il domicilio dichiarato, è di ordine generale a regime intermedio in quanto detta notifica, seppur irritualmente eseguita, non è inidonea a determinare la conoscenza dell'atto da parte dell'imputato, in considerazione del rapporto fiduciario che lo lega al difensore (40066/2015). L'omesso avviso dell'udienza al difensore di fiducia tempestivamente nominato dall'imputato o dal condannato integra una nullità assoluta ai sensi degli artt. 178, comma 1 lett. c) e 179, comma 1 c.p.p. (S.U. 24630/2015). L’omessa notifica all’imputato dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare configura un’ipotesi di nullità assoluta, insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, derivante dall’omessa citazione dell’imputato (S.U. 7697/2017). L’inesatta indicazione della data di comparizione contenuta nel decreto di citazione per il giudizio di appello ne comporta la nullità assoluta, ai sensi degli artt. 601, commi 3 e 6, 429 comma 1, lett. f), 178, comma 1, lett. c) e 179, comma 1, cod. proc. pen., ove determini l’assoluta incertezza sulla data effettiva dell’udienza (9464/2017). È affetto da nullità assoluta, per inidoneità dell’atto a conseguire il suo scopo, l’avviso di fissazione dell’udienza per la convalida dell’arresto eseguito nei confronti del difensore in tempi talmente ridotti (nella specie mezz’ora prima) da far ragionevolmente presumere l’oggettiva impossibilità della sua partecipazione informata all’udienza stessa (11977/2017). È abnorme il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione dichiara la nullità dell’ordine di esecuzione di una pena in ragione dell’omessa notifica all’imputato dell’avviso di udienza nel giudizio svoltosi dinanzi alla Corte di cassazione (58524/2018). L’incompleta intestazione della sentenza, con l’indicazione dei soli articoli di legge violati e l’erronea indicazione del luogo e delle date di commissione dei reati, non determina la nullità della sentenza per lesione del diritto di difesa, ove l’imputazione sia stata compiutamente riportata in calce alla sentenza stessa (3789/2019). In tema di guida in stato di ebbrezza, il giudice, investito della richiesta di applicazione concordata della pena, non può rilevare la mancanza dell’avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia prima dell’alcoltest, trattandosi di nullità sanata con la richiesta di patteggiamento (10081/2019). Integra una nullità generale a regime assoluto, ai sensi degli artt. 178, lett. c) e 179 c.p.p., l’omessa notifica dell’avviso di fissazione del dibattimento in appello al difensore di ufficio nominato, fin dal giudizio di primo grado, in sostituzione del difensore di fiducia rinunciante al mandato (10593/2019).

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C.p.p. art. 179 Nullità assolute COMMENTO Le nullità assolute (esempio) sono le forme più gravi di invalidità ed attengono ai soggetti che si presumono necessari ai fini dello svolgimento del procedimento penale. Esse presentano diversi tratti essenziali: – non sono sanabili; – sono rilevabili in ogni stato e grado del procedimento: non possono essere rilevate dopo che il procedimento si è concluso con l'emissione del provvedimento finale divenuto irrevocabile, dati gli effetti del giudicato che, a loro volta, non possono essere rimossi se non nei casi espressamente previsti dalla legge (così Cassazione n. 4216 del 1997). Sul punto occorre precisare che la definitività del provvedimento non determina alcuna sanatoria della nullità assoluta, bensì preclude la possibilità che tale patologia possa assumere un qualche rilievo per l'ordinamento processuale; – sono rilevabili ex officio. La norma, nel delineare le singole ipotesi di nullità assolute, stabilisce che sono tali: – l'inosservanza di disposizioni relative alle condizioni di capacità del giudice e al numero dei giudici necessario per costituire l'organo giudicante [178]; – le nullità relative all'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale; – quelle derivanti dall'omessa citazione dell'imputato; – quelle derivanti dall'assenza del difensore dell'imputato, quando ne è obbligatoria la presenza; – le nullità definite assolute da specifiche disposizioni di legge. La Suprema Corte a sezioni unite (sentenza n. 41280 del 2006) ha avuto modo di chiarire che la “dichiarazione” di domicilio prevale su una precedente “elezione” di domicilio, pur non espressamente revocata. Non solo, ma la nullità assoluta e insanabile prevista dall'articolo in commento, ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all'articolo 184 e comunque la decadenza dalla possibilità di farla rilevare oltre i termini previsti dall'articolo 180.

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C.p.p. art. 180 Regime delle altre nullità di ordine generale COMMENTO Inosservanza delle norme relative alla modificazione dell'imputazione nell'udienza preliminare; mancato avviso al difensore della richiesta del pubblico ministero di proroga dei termini di custodia cautelare dell'indagato.

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C.p.p. art. 180 Regime delle altre nullità di ordine generale GIURISPRUDENZA La nullità, di ordine “intermedio”, derivante dal mancato avviso di udienza ad uno dei due difensori di fiducia dai quali l'imputato sia assistito, essendo riferibile alla fase degli atti preliminari al dibattimento, da considerare funzionalmente e strutturalmente diversa da quella propriamente dibattimentale, deve essere dedotta, ai sensi di quanto previsto dall'art. 180 c.p.p., prima ipotesi, prima della deliberazione della sentenza di primo grado (529/1998, rv 209221). In tema di ordinanza dichiarativa della contumacia, la mancata audizione delle parti determina una nullità di ordine generale, poiché incide sull'assistenza dell'imputato: tale nullità è da inquadrare tra quelle dette a regime intermedio, che vengono sanate se non dedotte nei termini di cui agli artt. 180 e 182 c.p.p. (8537/1998, rv 211530). La mancata indicazione, nel decreto di citazione a giudizio, dell'ora di convocazione integra nullità relativa che, se non tempestivamente dedotta, deve ritenersi sanata (6686/1999, rv 215025). L'eventuale nullità del provvedimento con il quale sia differito l'esercizio del diritto dell'indagato detenuto di conferire con il proprio difensore non è da ricomprendere tra quelle assolute di cui all'art. 179 c.p.p., non riguardando un caso di assenza del difensore stesso in ipotesi in cui ne è obbligatoria la presenza, bensì tra quelle di ordine generale disciplinate dall'art. 180 c.p.p.: ne consegue che detta nullità, per comunicarsi al successivo interrogatorio e alla misura cautelare, deve essere eccepita nei termini di cui all'art. 182 c.p.p. e, precisamente, prima dell'espletamento dell'interrogatorio medesimo (2565/2000, rv 216493). L'assenza solo temporanea del difensore dell'imputato durante l'udienza preliminare, alle quale abbia comunque partecipato svolgendo il proprio intervento decisivo, è causa di una nullità di ordine generale, a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178 lett. C)

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c.p.p. con le conseguenti limitazioni, in ordine all'eccepibilità ed alla rilevabilità della relativa nullità, previste dall'art. 180 c.p.p. (30420/2001, rv 220048). L'ingiustificato diniego del pubblico ministero a che il difensore dell'indagato abbia accesso alle registrazioni delle comunicazioni o conversazioni intercettate, i cui risultati siano stati utilizzati per l'emissione di un provvedimento cautelare, determina un vizio del procedimento di acquisizione della prova nel giudizio cautelare, con la conseguente impossibilità di utilizzazione degli elementi acquisiti (32490/2010). Il termine ultimo di deducibilità della nullità a regime intermedio, derivante dall'omessa notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale di appello ad uno dei due difensori dell'imputato, è quello della deliberazione della sentenza nello stesso grado, anche in caso di assenza in udienza sia dell'imputato che dell'altro difensore, ritualmente avvisati (S.U. 22242/2011). Nel caso di omessa notifica dell'avviso ex articolo 601, comma 5, c.p.p. all'unico difensore di fiducia nominato, il Giudice, se detto difensore non sia più reperibile, deve procedere alla nomina di un difensore di ufficio all'imputato. Pertanto, la omessa notifica dell'avviso, o la sua notifica in termine differente rispetto a quello ex lege prescritto, agendo direttamente sulle garanzie difensive fondamentali riconosciute all'imputato, costituisce violazione di legge integrante nullità di ordine generale, deducibile nei limiti previsti dagli articoli 180 e 182 c.p.p., posto che detto termine costituisce condizione indefettibile che la legge processuale richiede per l'espletamento dell'assistenza e della difesa cui l'imputato ha diritto (10559/2013). In tema di misure cautelari, se i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche non siano allegati alla richiesta del P.M., la successiva omessa trasmissione degli stessi al Tribunale del riesame a seguito di impugnazione del provvedimento coercitivo non determina l'inutilizzabilità, né la nullità assoluta ed insanabile delle intercettazioni, salvo che la difesa dell'indagato abbia presentato specifica e tempestiva richiesta di acquisizione, e la stessa o il giudice non siano stati in condizione di effettuare un efficace controllo di legittimità (7521/2013).

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La notifica del decreto di citazione a giudizio, con modalità diverse da quelle previste, dà luogo non ad una nullità assoluta ex articolo 179 c.p.p., ma, di regola, a una nullità di ordine generale, c.d. a regime intermedio, a norma dell'articolo 180 c.p.p. (19454/2014). E affetta da nullità di ordine generale a regime intermedio ex artt. 178 lett. c) e 180 cod. proc. pen. la sentenza il cui dispositivo sia stato letto in udienza senza aver preventivamente consentito al pubblico ministero e ai difensori di discutere il processo (52608/2015). Le Sezioni Unite, risolvendo un contrasto tra le Sezioni semplici, hanno stabilito che la nullità a regime intermedio, derivante dalla violazione dell'art. 114 disp. att. c.p.p. per il mancato avvertimento al conducente di un veicolo da sottoporre ad esame alcoolimetrico della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, può essere tempestivamente dedotta fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado, ai sensi degli artt. 180 e 182, comma 2, c.p.p. In secondo luogo, è stato precisato che per “parte” sulla quale grava l'onere di eccepire la nullità di un atto nel caso in cui vi assista non può intendersi mai l'indagato o l'imputato, ma solo il difensore (o il pubblico ministero) (S.U. 5396/2015). In tema di mandato di arresto europeo, l’omesso avviso alla persona della quale è chiesta la consegna della facoltà di nominare un difensore nello Stato che ha emesso il mandato, concernendo l’assistenza dell’arrestato, determina una nullità generale a regime intermedio che deve essere eccepita non oltre l’udienza di convalida dell’arresto (51289/2017). È affetta da nullità generale ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., deducibile in appello ai sensi dell’art. 180 dello stesso codice, e non da abnormità, censurabile mediante ricorso per cassazione, l’ordinanza con cui il giudice accoglie solo in parte la richiesta di integrazione probatoria posta quale condizione dell’istanza di rito abbreviato (11605/2017). In tema di giudizio abbreviato, l’accertamento tecnico disposto dal giudice va qualificato come perizia, con la conseguenza che l’omissione della comunicazione al difensore della data di inizio delle operazioni determina una nullità a regime intermedio, a norma degli artt. 178, comma 1, lett. c) e 180 cod. proc. proc., che deve essere eccepita, a pena di decadenza, anteriormente alla definizione del giudizio di primo grado (24930/2018). In tema di procedimento per la riparazione per l’ingiusta detenzione, l’omessa notificazione della domanda, a cura della cancelleria, al competente ministero ai fini dell’art. 646, comma 2, cod. proc. pen. determina una nullità generale a regime intermedio a norma dell’art. 180 cod. proc. pen., rilevabile anche di ufficio, che deve essere eccepita prima della conclusione del procedimento in camera di consiglio, se la parte pubblica vi partecipi, ovvero, per la prima volta, mediante ricorso per cassazione (19181/2018). Il provvedimento con cui il giudice dispone la partecipazione a distanza dell’imputato al dibattimento, fuori dei casi previsti dalla legge, è affetto da nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 180 cod. proc.

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pen., in quanto relativa all’osservanza delle disposizioni concernenti l’intervento e l’assistenza dell’imputato, di cui all’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., e pertanto, quando la parte vi abbia assistito, tale nullità deve essere eccepita nei termini di cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. pen.. (22039/2018). In tema di guida in stato di ebbrezza, la violazione dell’obbligo di dare avviso al conducente da sottoporre all’esame alcolimetrico della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, determina una nullità di ordine generale, rilevabile e deducibile nei termini di cui agli artt. 180 e 182, comma 2, c.p.p., con la conseguenza che, in caso di procedimento per decreto, il momento ultimo entro il quale la nullità può essere rilevata d’ufficio va individuato nell’adozione del decreto penale di condanna e quello entro il quale invece può essere dedotta dalla parte va individuato nella presentazione dell’atto di opposizione al decreto stesso (58379/2018). L’omessa rinnovazione della prova peritale acquisita in forma dichiarativa da parte del giudice di appello che proceda, sulla base di un diverso apprezzamento della stessa, nella vigenza dell’art. 603, comma 3-bis, c.p.p., alla riforma della sentenza di assoluzione, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio della sentenza, denunciabile in sede di giudizio di legittimità a norma dell’art. 606, comma 1 lett. c), c.p.p., mentre la pronuncia di riforma adottata sulla base della rivalutazione della relazione del perito, acquisita in forma puramente cartolare, è sindacabile per vizio di motivazione ex art. 606, comma 1 lett. e), c.p.p., sempre che la prova negata, confrontata con le ragioni addotte a sostegno della decisione, sia di natura tale da potere determinare una diversa conclusione del processo (14426/2019).

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C.p.p. art. 180 Regime delle altre nullità di ordine generale COMMENTO Tali fattispecie di nullità sono normalmente denominate “nullità intermedie” (esempio), perché seguono una disciplina giuridica difforme e peculiare rispetto a quelle assolute e a quelle relative. La norma non contiene un'elencazione dettagliata, ma esse possono essere dedotte escludendo dalle ipotesi analiticamente indicate all'art. 178 quelle che configurano casi di nullità assolute [➠179]. Per maggior chiarezza, sono nullità di ordine generale quelle che attengono: – alla partecipazione del pubblico ministero al procedimento; – all'intervento, all'assistenza e alla rappresentanza dell'imputato: l'intervento attiene al diretto coinvolgimento dell'imputato o dell'indagato al procedimento; l'assistenza, invece, fa riferimento al ruolo del difensore che si costituisce come garante dei diritti dell'imputato o dell'indagato. Da tale ambito vanno ovviamente escluse le nullità assolute derivanti dall'omessa citazione dell'imputato o dall'assenza del difensore ove la sua presenza sia prefigurata dalla norma di legge come obbligatoria; – all'intervento, all'assistenza e alla rappresentanza delle altre parti private; – alla citazione a giudizio della persona offesa e del querelante: tale ipotesi è entrata a far parte delle nullità intermedie a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 132 del 1968. La regolamentazione di tali tipi di nullità presuppone che: – i vizi sono rilevabili anche ex officio; – tali nullità non possono essere rilevate o dedotte, rispettivamente dal giudice o dalle parti, dopo la pronuncia della sentenza di primo grado quando si verificano prima del giudizio; – tali nullità non possono essere rilevate o dedotte, rispettivamente dal giudice o dalle parti, dopo la pronuncia della sentenza del grado successivo al primo, quando si verificano nel giudizio; – sono sanabili. Come detto i termini di rilevabilità e di deducibilità delle nullità di ordine generale di cui all'articolo in commento e all'art. 178 sono stabiliti con riferimento alla deliberazione della sentenza di primo grado o, se le nullità sono occorse nel giudizio, con riferimento alla sentenza del grado successivo. La giurisprudenza ritiene che poiché l'articolo in esame è formulato avendo riguardo alla figura dell'imputato, il riconoscimento delle stesse garanzie al fermato e all'arrestato, in relazione alle nullità incorse nel giudizio di convalida e nel successivo riesame, deve essere attuato mediante l'estensione analogica delle norme previste per le indagini preliminari e il dibattimento. Ne consegue che le nullità verificatesi prima dell'udienza di convalida possono essere rilevate e dedotte soltanto prima dei provvedimenti adottati dal

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giudice nella stessa udienza, mentre quelle incorse nelle fasi successive possono essere rilevate e dedotte in sede di riesame (così Cassazione n. 333 del 1993).

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C.p.p. art. 181 Nullità relative COMMENTO Violazione da parte del pubblico ministero del termine per la presentazione dell'imputato al giudice per il procedimento con il rito direttissimo; rimozione e riapposizione dei sigilli inerenti al reperto contenente lo stupefacente in sequestro, effettuata dal consulente del pubblico ministero senza la presenza del magistrato.

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C.p.p. art. 181 Nullità relative GIURISPRUDENZA Qualora il giudice d'appello provveda in Camera di Consiglio al di fuori dei casi previsti dall'art. 599 c.p.p., ove nessuna delle parti abbia formulato riserve ed opposizioni a detta trasformazione, deve escludersi che la relativa nullità sia deducibile mediante ricorso per Cassazione. Infatti trattasi di nullità riconducibile nell'ambito dell'art. 181 c.p.p., che va eccepita dalle parti prima del compimento dell'atto (2368/1998, rv 210137). L'omissione dell'avvertimento relativo alla facoltà di astenersi dal deporre dà luogo ad una nullità soltanto relativa che, come tale, non è rilevabile di ufficio e può essere dedotta, a pena di decadenza, esclusivamente nei termini previsti dall'art. 181, ultimo comma, c.p.p. (4079/1998, rv 210212). In tema di giudizio di appello, l'inosservanza del termine minimo di venti giorni stabilito dall'art. 601 c.p.p., comma 5, per la notifica dell'avviso al difensore non integra una nullità assoluta ed insanabile (ex art. 178 c.p.p., lett. c, e art. 179 c.p.p.), ma una nullità relativa che deve essere dedotta nel termine previsto dall'art. 491 c.p.p. con la conseguenza che la relativa eccezione non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità (22915/2003, rv 225095). La mancata sottoscrizione della sentenza d'appello da parte del presidente del collegio non giustificata espressamente da un suo impedimento legittimo e sottoscritta dal solo estensore configura una nullità relativa che non incide né sul giudizio né sulla decisione consacrata nel dispositivo, e che, ove dedotta dalla parte nel ricorso per cassazione, comporta l'annullamento della sentenza-documento e la restituzione degli atti al giudice di appello, nella fase successiva alla deliberazione, affinché si provveda ad una nuova redazione della sentenza-documento che, sottoscritta dal presidente e dall'estensore, deve essere nuovamente depositata, con l'effetto che i termini di impugnazione decorreranno, ai sensi dell'art. 585 c.p.p.,

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dalla notificazione e comunicazione dell'avviso di deposito della stessa sentenza (S.U. 14978/2012). L’omissione dell’avvertimento relativo alla facoltà per i prossimi congiunti dell’imputato di astenersi dal deporre determina una nullità relativa, che deve essere eccepita, a pena di decadenza, dalla parte che vi assiste prima del compimento dell’esame testimoniale ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., e, comunque, ove verificatasi nel giudizio, con l’impugnazione della relativa sentenza, ai sensi dell’art. 181, comma 4, cod. proc. pen. (21374/2018). In tema di giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria, la decisione del giudice di non procedere all’acquisizione di una delle prove richieste, reputandola superflua, integra una nullità d’ordine generale che però è sanata se non eccepita prima della chiusura della fase di assunzione della prova (50194/2018). In tema di giudizio abbreviato, il rigetto della richiesta dell’imputato di rendere dichiarazioni spontanee determina una nullità relativa, e non assoluta, cosicché la stessa deve essere immediatamente eccepita ai sensi dell’art. 182, comma 2, c.p.p.. (50430/2018). Nel giudizio d’appello, l’inosservanza del termine di comparizione dell’imputato di cui dall’art. 601 c.p.p. costituisce una nullità relativa, che è sanata se non eccepita nei termini di cui all’art. 181, comma 3, c.p.p., e, precisamente, subito dopo l’accertamento della costituzione delle parti (55171/2018). In materia di reati concernenti l’immigrazione, la violazione da parte del P.M. del termine massimo di quindici giorni per la presentazione immediata dell’imputato al giudice di pace, previsto dall’art. 20-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, determina una nullità relativa, che deve essere eccepita entro il termine di cui all’art. 491, comma 1, c.p.p. (1520/2019).

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C.p.p. art. 181 Nullità relative COMMENTO Le nullità relative (esempio) sono quelle che non rientrano all'interno dello schema tipico delle nullità generali e sono previste da particolari disposizioni normative. Caratteristica peculiare, che le differenzia sostanzialmente dalle nullità intermedie e assolute, è il fatto che esse possono essere dichiarate dal giudice soltanto a seguito di un'eccezione presentata dalla parte interessata, la quale, facendo valere la relativa istanza, esercita un vero e proprio diritto potestativo suscettibile di incidere sulla validità di un atto e, più in generale, sull'andamento della dinamica processuale. Tale principio si riferisce a quelle sole situazioni giuridiche esaurite e concluse, di fronte alle quali l'unico potere del giudice sarebbe quello di dichiarare la nullità. Detto principio non vale invece in quelle situazioni in cui, per potestà originarie, sussiste ancora nel giudice la capacità di provvedere, in modo certo, alla soddisfazione di quello stesso interesse che l'atto nullo assicura in modo precario ed eventuale (così Cassazione n. 2919 del 1991). I termini di deducibilità di tali tipologie di nullità sono molto brevi: – le nullità relative agli atti di indagine, agli atti compiuti nell'incidente probatorio e agli atti dell'udienza preliminare, se questa viene celebrata, devono essere eccepite prima della conclusione dell'udienza stessa; – se non viene celebrata l'udienza preliminare, invece, devono essere dedotte dopo che sia stato effettuato per la prima volta l'accertamento dell'avvenuta costituzione delle parti in giudizio; – le nullità relative al decreto che dispone il giudizio e concernenti gli atti preliminari al dibattimento devono essere eccepite dopo il primo accertamento della costituzione delle parti in giudizio, – le nullità relative agli atti di indagine, agli atti compiuti nell'incidente probatorio e agli atti dell'udienza preliminare eccepite, ma non dichiarate dal giudice devono essere rilevate dopo il primo accertamento della costituzione delle parti in giudizio; – le nullità relative alla sentenza di non luogo a procedere devono essere riproposte con l'impugnazione. Tali tipologie di nullità, meno gravi di quelle in precedenza analizzate, sono sanabili a norma degli artt. 183 e 184.

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C.p.p. art. 182 Deducibilità delle nullità COMMENTO Ad uno dei difensori dell'imputato non viene notificato l'avviso della data fissata per l'udienza dibattimentale: la nullità è sanata quando la parte che assiste al compimento dell'atto non solleva specifica eccezione nei termini indicati dalla norma in oggetto.

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C.p.p. art. 182 Deducibilità delle nullità GIURISPRUDENZA L'art. 182, comma 2, c.p.p., nel prevedere che, quando la parte vi assiste, la nullità di un atto possa essere eccepita, al più tardi, “immediatamente dopo” il compimento dell'atto stesso, non pone affatto il detto termine in relazione alla necessaria effettuazione di un successivo atto cui intervenga la stessa parte o il difensore, ben potendo, in realtà, la formulazione dell'eccezione aver luogo anche al di fuori dell'espletamento di specifici atti, mediante lo strumento delle “memorie o richieste” che, ai sensi dell'art. 121 c.p.p., possono essere inoltrate “in ogni stato e grado del procedimento”. Ne consegue che non può essere considerata tempestiva la proposizione di una eccezione di nullità, quando detta proposizione sia intervenuta a distanza di parecchi giorni dal compimento dell'atto, in occasione del primo atto successivo del procedimento (4017/1997, rv 207858). All'ipotesi di sanatoria della nullità per mancata tempestiva eccezione ai sensi dell'art. 182, comma secondo, c.p.p., è equiparabile quella in cui neppure il difensore che abbia ricevuto regolare avviso sia comparso in udienza, e, pertanto, sia stato sostituito da un difensore d'ufficio. Su quest'ultimo incombe, pertanto, l'onere di sollevare l'eccezione di nullità relativa all'omessa notifica dell'avviso di udienza al primo difensore (11326/1997, rv 209056). La mancata o irregolare citazione della parte offesa non determina alcuna nullità ove sia solo l'imputato a dolersene, senza indicare un suo concreto e attuale interesse al riguardo, non avendo alcun valore la semplice allegazione di un pregiudizio del tutto astratto (13291/1998, rv 211870). Nell'ipotesi in cui sia dato avviso, per l'esperimento dell'interrogatorio di garanzia, a difensore iscritto all'albo dei praticanti e quindi non abilitato a partecipare all'atto, si configura una nullità generale a regime intermedio sicché è onere dell'indagato eccepire – prima che l'interrogatorio abbia inizio – la

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carenza dell'avviso ad un avvocato, verificandosi, in difetto, la sanatoria della nullità ai sensi dell'art. 182 c.p.p. (5461/1999, rv 214672). In tema di perizia, costituisce nullità relativa la violazione delle disposizioni Circa l'incompatibilità del perito nominato dal giudice, così che le relative questioni non possono essere avanzate oltre i termini fissati dall'art. 182, comma 2, c.p.p. Ne consegue che dev'essere dichiarata inammissibile la eccezione di nullità dell'atto proposta per la prima volta dal difensore in sede di impugnazione (24077/2001, rv 219535). In tema di interrogatorio di garanzia conseguente ad applicazione di custodia cautelare, la mancata presentazione da parte dell'imputato dell'eccezione relativa all'omesso avviso dovuto al suo difensore di fiducia non produce l'effetto di sanare la nullità ai sensi dell'art. 182, comma 2, c.p.p., per la presenza della parte all'assunzione dell'atto, in quanto la previsione della necessità della difesa tecnica porta a dover escludere che l'imputato abbia le conoscenze tecniche indispensabili per apprezzare le conseguenze di tale omissione (3927/2002, rv 220996). La mancata concessione di un termine a difesa, quale previsto dall'art. 108 c.p.p., nella ipotesi di nomina di nuovo difensore (conseguente a rinunzia, revoca, incompatibilità del precedente, ovvero nella ipotesi di abbandono da parte dello stesso) determina nullità generale a regime intermedio, in quanto attiene all'assistenza dell'imputato e non all'assenza del difensore. Ne consegue che detta nullità dev'essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all'art. 182, comma 2, c.p.p. e, quindi, al più tardi, immediatamente dopo il compimento dell'atto nullo, costituito, nell'ipotesi data, dal provvedimento di diniego del termine in questione (25325/2003, rv 224994). Il difensore dell'arrestato o del fermato ha diritto di esaminare ed estrarre copia degli atti su cui si fonda la richiesta di convalida del fermo o dell'arresto e di applicazione della misura cautelare. Il rigetto di tale richiesta determina una nullità di ordine generale a regime intermedio dell'interrogatorio e del provvedimento di convalida, che resta sanata a norma dell'art. 182, comma 2, c.p.p., se non viene eccepita nell'udienza di convalida (36212/2010).

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Il difensore dell'arrestato o del fermato ha diritto, nel procedimento di convalida, di esaminare ed estrarre copia degli atti su cui si fonda la richiesta di convalida e di applicazione della misura cautelare; il denegato accesso a tali atti determina una nullità di ordine generale a regime intermedio dell'interrogatorio e del provvedimento di convalida, da ritenersi sanata se non eccepita nel corso dell'udienza di convalida.(Nella specie,la Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso, non avendo il ricorrente impugnato l'ordinanza con la quale il giudice, disattendendo l'eccezione di nullità dell'interrogatorio tempestivamente sollevata in sede di udienza di convalida, aveva provveduto a convalidare il fermo) (36212/2010). Il giudice non ha l'obbligo di rilevare le nullità d'ordine generale e a regime intermedio rispetto alle quali la parte interessata sia decaduta dalla facoltà di deduzione (13402/2011). La mancata rinnovazione della citazione a giudizio all'imputato assente, che non abbia allegato alcun legittimo impedimento e del quale non sia stata dichiarata la contumacia, dà luogo ad una nullità di ordine generale e a regime intermedio che deve essere eccepita dal difensore appena possibile secondo quanto disposto dall'art. 182 comma secondo cod. proc. pen. (13283/2013). Nel giudizio di cassazione è rilevabile di ufficio, anche in caso di inammissibilità del ricorso, e di assenza di specifica doglianza, la nullità sopravvenuta della sentenza impugnata nel punto relativo al trattamento sanzionatorio in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma attinente alla determinazione della pena (12727/2014). Nel corso del giudizio abbreviato non condizionato, il riconoscimento di una circostanza aggravante oggetto di una contestazione suppletiva, effettuata in violazione del divieto di cui all'art. 441, comma primo c.p.p., determina una nullità a regime intermedio della sentenza, sanabile ex art. 182, comma secondo, c.p.p. non potendo essere dedotto dalla parte che vi ha assistito senza eccepirla (11953/2014). La parte su cui grava l'onere di eccepire, ex art. 182 comma secondo cod. proc. pen., la nullità di un atto al quale assiste è solo il difensore - ovvero il pubblico ministero -, in nessun caso l'indagato o l'imputato né altra parte privata, in quanto l'ordinamento processuale privilegia la difesa tecnica rispetto all'autodifesa, che non è mai consentita in via esclusiva, ma solo in forme che si

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affiancano all'imprescindibile apporto di un esperto di diritto abilitato alla professione legale (S.U. 5396/2015). In tema di guida in stato di ebbrezza, la violazione dell’obbligo di dare avviso al conducente da sottoporre all’esame alcolimetrico della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, determina una nullità di ordine generale, deducibile nei termini di cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. pen.; se si è proceduto a giudizio ordinario a seguito di opposizione a decreto penale, il momento entro il quale far valere la dedotta nullità va individuato nella presentazione dell’atto di opposizione al decreto penale di condanna (7686/2018). Il provvedimento con cui il giudice dispone la partecipazione a distanza dell’imputato al dibattimento, fuori dei casi previsti dalla legge, è affetto da nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 180 cod. proc. pen., in quanto relativa all’osservanza delle disposizioni concernenti l’intervento e l’assistenza dell’imputato, di cui all’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., e pertanto, quando la parte vi abbia assistito, tale nullità deve essere eccepita nei termini di cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. pen. (22039/2018). In tema di guida in stato di ebbrezza, la violazione dell’obbligo di dare avviso al conducente da sottoporre all’esame alcolimetrico della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, determina una nullità di ordine generale, rilevabile e deducibile nei termini di cui agli artt. 180 e 182, comma 2, c.p.p., con la conseguenza che, in caso di procedimento per decreto, il momento ultimo entro il quale la nullità può essere rilevata d’ufficio va individuato nell’adozione del decreto penale di condanna e quello entro il quale invece può essere dedotta dalla parte va individuato nella presentazione dell’atto di opposizione al decreto stesso (58379/2019). La mancanza, anche totale, della motivazione di un’ordinanza dibattimentale non determina l’inesistenza dell’atto, ma rende la stessa affetta da nullità relativa, che, ai sensi dell’art. 182, comma 2, c.p.p., deve essere dedotta, a pena di decadenza, subito dopo il suo verificarsi (5457/2019). In tema di procedimento di convalida dell’arresto, la nullità di ordine generale a regime intermedio dell’interrogatorio e dell’ordinanza di convalida (nella specie, determinata dal divieto di colloquio dell’arrestato con il difensore), sebbene ritualmente eccepita in udienza, non può essere dedotta nel giudizio di riesame del provvedimento applicativo di misura cautelare, essendo rilevabile esclusivamente con l’impugnazione della decisione sulla convalida, in assenza della quale deve ritenersi sanata (5675/2019).

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C.p.p. art. 182 Deducibilità delle nullità COMMENTO Il legislatore, nel disciplinare la materia relativa alle nullità degli atti, ha stabilito dei limiti di deducibilità, che producono effetti giuridicamente rilevanti soltanto nei confronti di taluni tipi di nullità, ovvero in relazione alle nullità intermedie e relative (esempio). Ne restano escluse logicamente le nullità assolute le quali, data la rilevanza degli interessi tutelati, non sono sottoposte a limitazioni di sorta. Dalla lettera della norma emerge, dunque, che le nullità non possano essere eccepite: – da chi ha provocato o ha contribuito a provocare la nullità; – da chi non ha interesse all'osservanza della norma violata. Riguardo a tale profilo è controverso, soprattutto in giurisprudenza, se la valutazione dell'interesse postulato dalla disposizione in esame debba essere fatta in astratto oppure, alla stregua di quanto accade per l'interesse ad impugnare, con specifico riguardo alla lesione che in concreto la violazione della norma abbia determinato in capo al destinatario che abbia fatto valere la nullità; – dalla parte che pur assistendo alla formazione dell'atto viziato, non ne eccepisce la nullità prima del suo compimento o immediatamente dopo. L'ultimo comma precisa, da ultimo, che i termini per rilevare o eccepire le nullità sono previsti a pena di decadenza [173]: in tema di nullità a regime intermedio, una volta verificatasi la decadenza, rimane preclusa anche la possibilità di rilevazione d'ufficio da parte del giudice, entro il termine di cui all'art. 180 (così Cassazione n. 3604 del 1995).

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C.p.p. art. 183 Sanatorie generali delle nullità COMMENTO L'omessa traduzione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari destinato all'indagato che, come risulta dagli atti, non comprende la lingua italiana, ne determina la nullità d'ordine generale ed a regime intermedio, che si riverbera sulla richiesta di rinvio a giudizio e che però è sanata, a norma della lettera a) del comma 1 dell'articolo in commento, in caso di acquiescenza prestata dall'imputato anche con la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato (così Cassazione n. 7664 del 2006).

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C.p.p. art. 183 Sanatorie generali delle nullità GIURISPRUDENZA L'omesso avviso di deposito della sentenza di primo grado non inficia la validità del giudizio di appello allorché l'impugnazione sia stata ritualmente proposta da tutti gli imputati e risulti, pertanto, dimostrata l'avvenuta piena conoscenza della sentenza stessa da parte dell'appellante ed il raggiungimento comunque della finalità cui l'atto omesso era preordinato. In presenza di queste condizioni, infatti, la nullità è sanata e trova applicazione l'art. 183 c.p.p., lett. b) (2485/1999, rv 213076). Qualora il difensore proponga l'impugnazione prima che venga notificato l'avviso di deposito o prima dello stesso deposito della sentenza gravata, così avvalendosi della facoltà cui l'avviso è preordinato, la formalità della notifica diviene superflua e nessuna invalidità consegue nel giudizio di impugnazione dal suo mancato adempimento (8518/2000, rv 216588). Pur operando la disciplina della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale anche nel processo di esecuzione, nel caso in cui venga disposto un rinvio di udienza ad una data che cade nel periodo feriale senza che il difensore opponga alcuna eccezione, tale comportamento determina una sanatoria ai sensi dell'art. 183 c.p.p., comma 1, lett. b) (23344/2003, rv 224694). L'instaurazione del giudizio immediato per tutti i reati per i quali l'esercizio dell'azione penale deve avvenire con citazione diretta, precludendo all'imputato il diritto a ricevere la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini ex articolo 415 bis c.p.p., determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che non può, però, essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante delle nullità ai sensi dell'articolo 183 c.p.p. (19454/2014). L'omesso espletamento dell'interrogatorio a seguito dell'avviso di cui all'articolo 415 bis c.p.p., benché sollecitato dall'imputato determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che non può essere dedotta a seguito della scelta del giudizio

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abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante delle nullità ai sensi dell'articolo 183 c.p.p. (19454/2014). L'omessa traduzione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari in una lingua nota all'indagato, che non comprenda la lingua italiana, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che non può essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante delle nullità ai sensi dell'articolo 183 c.p.p. (19454/2014). In tema di giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria, la decisione del giudice di non procedere all’acquisizione di una delle prove richieste, reputandola superflua, integra una nullità d’ordine generale che però è sanata se non eccepita prima della chiusura della fase di assunzione della prova (50194/2018). In tema di guida in stato di ebbrezza, il giudice, investito della richiesta di applicazione concordata della pena, non può rilevare la mancanza dell’avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia prima dell’alcoltest, trattandosi di nullità sanata con la richiesta di patteggiamento (10081/2019).articolo 183 c.p.p. (19454/2014).

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C.p.p. art. 183 Sanatorie generali delle nullità COMMENTO La sanatoria è un meccanismo mediante il quale un atto contenente un vizio produce gli stessi effetti di un atto valido grazie all'intervento di un fatto giuridico posteriormente verificatosi che elide la patologia originariamente insorta. La norma disciplina due tipologie di sanatoria: – l'acquiescenza: si configura quando la parte rinuncia espressamente ad eccepire la nullità e, di conseguenza, accetta che gli effetti dell'atto viziato si producano; l'accettazione può essere espressa o tacita: è espressa quando la volontà del soggetto viene direttamente ed esteriormente dichiarata; è tacita, invece, quando la volontà dell'interessato si desume da comportamenti suscettibili di un'unica ed inequivocabile interpretazione; – la sanatoria dovuta al perseguimento dello scopo: si presenta quando la parte esercita la facoltà a cui l'atto viziato è preordinato. Il regime delle sanatorie, come si evince dalla clausola di salvaguardia contemplata nell'incipit della disposizione in commento, non trova applicazione nei confronti di qualunque tipo di nullità; riguarda, infatti, soltanto le nullità relative ed intermedie, mentre non incide su quelle assolute, che, secondo il disposto di cui all'art. 179 risultano essere insanabili, a causa della rilevanza degli interessi che vengono tutelati.

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C.p.p. art. 184 Sanatoria delle nullità delle citazioni, degli avvisi e delle notificazioni GIURISPRUDENZA La rinuncia a comparire dell'imputato sana la nullità determinata dall'inosservanza del termine a comparire, trattandosi di nullità di ordine generale rientrante tra quelle indicate dall'art. 178 c.p.p., comma primo, lett. c), per la quale espressamente l'art. 184, comma primo, c.p.p., prevede la sanatoria in conseguenza della detta rinuncia, a nulla rilevando che il difensore abbia tempestivamente eccepito la nullità, giacché in caso di discrepanza tra comportamento processuale dell'interessato che, rinunciando a comparire, abbia sanato la nullità verificatasi, e comportamento processuale del difensore che tale nullità abbia eccepito, prevale la volontà della parte privata rispetto a quella del difensore (5593/1997, rv 208921). Il vigente sistema delle nullità prevede, accanto alle sanatorie generali che incidono sulle nullità concernenti qualsiasi atto processuale (art. 183 c.p.p.), le sanatorie speciali che operano esclusivamente riguardo a quelle nullità che attengono a determinati atti del procedimento. Una di queste è quella prevista dall'articolo 184, comma 1, c.p.p., che disciplina quelle specifiche cause di sanatoria per le nullità che inficiano i soli atti diretti a ottenere la comparizione di un soggetto processuale davanti al giudice, prevedendo, in applicazione del principio del conseguimento dello scopo sostanziale dell'atto, che la comparizione della parte interessata o la sua rinuncia a comparire vale a sanare la nullità della citazione o dell'avviso, ovvero delle relative comunicazioni e notificazioni, sul rilievo che attraverso la comparizione o la rinuncia a comparire, la parte, nonostante l'invalidità, esercita la facoltà cui l'atto invalido era preordinato, e cioè a garantire la sua presenza (26012/2003). La rinuncia dell'imputato detenuto a comparire all'udienza camerale per il riesame di una misura cautelare reale sana la nullità determinata dalla tardiva notifica allo stesso dell'avviso di

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fissazione dell'udienza medesima, a nulla rilevando che il difensore abbia tempestivamente eccepito tale nullità, atteso che in caso di discrepanza tra il comportamento processuale dell'imputato e quello del suo difensore prevale la volontà del primo (34737/2010). La proposizione della richiesta di riesame, anche se ad opera del difensore, ha effetti sananti della nullità conseguente all'omessa traduzione dell'ordinanza cautelare personale nella lingua conosciuta dall'indagato alloglotta, sempre che la richiesta di riesame non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione ovvero per formulare ulteriori questioni pregiudiziali di carattere strettamente procedurale (1475/2014). L’omessa notifica al difensore dell’indagato dell’avviso dell’udienza fissata per la discussione dell’opposizione all’archiviazione rileva unicamente in tale ambito processuale, e non determina la nullità derivata della successiva fase processuale, ai sensi dell’art. 185 c.p.p. (Cass. 24 luglio 2018, n. 35246. Il principio dell’invalidità derivata previsto dall’art. 185 c.p.p. non è applicabile con riferimento alla inutilizzabilità, sicchè la decisione che si basi su prova vietata non è di per sé invalida, potendo al più ritenersi nulla per difetto di motivazione, qualora non sussistano prove, ulteriori e diverse da quelle inutilizzabili, idonee a giustificarla (Cass. 4 febbraio 2019).

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C.p.p. art. 184 Sanatoria delle nullità delle citazioni, degli avvisi e delle notificazioni COMMENTO La sanatoria prevista dalla norma in oggetto, di carattere speciale rispetto alla fattispecie generale delineata dall'articolo che precede, rientra sostanzialmente nell'ipotesi di cui alla lettera b) dell'articolo precedente; essa, infatti, stabilisce che la nullità di taluni atti, singolarmente elencati e specificamente afferenti alla partecipazione dei soggetti interessati alla dinamica procedimentale, è sanata quando lo scopo a cui sono preordinati viene comunque raggiunto indipendentemente dall'atto invalido, dunque quando la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire. Può accadere che la parte dichiari espressamente di volersi presentare con l'unica intenzione di far rilevare la nullità dell'atto: questo non implica il non verificarsi della sanatoria, ma il legislatore ha concesso un termine per la difesa non inferiore a cinque giorni; nel caso in cui, poi, la nullità incida sulla citazione a comparire a dibattimento il termine richiamato non può essere inferiore a venti giorni. La comparizione dell'imputato in udienza sana le eventuali nullità del decreto di citazione, a condizione che sia stato conseguito lo scopo sostanziale dell'atto, cioè la conoscenza da parte dell'imputato (e del suo difensore) del capo di imputazione e del procedimento per il quale si viene citati. Pertanto in presenza di un mero ordine di traduzione, senza che questo sia assistito da una rituale citazione in giudizio, non può operare la sanatoria derivante dalla comparizione dell'imputato all'udienza, in quanto tale sanatoria è consentita in caso di nullità del decreto di citazione, ma non nell'ipotesi di sostanziale mancanza del decreto stesso. Né l'eventuale definizione del procedimento mediante “patteggiamento” dimostra in alcun modo l'acquiescenza dell'imputato e la sua rinuncia a far valere la nullità da lui stesso eccepita in limine litis (così Cassazione n. 11328 del 1993).

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C.p.p. art. 185 Effetti della dichiarazione di nullità COMMENTO È inammissibile il sequestro effettuato dalla polizia giudiziaria a seguito di una perquisizione illegittimamente compiuta.

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C.p.p. art. 185 Effetti della dichiarazione di nullità GIURISPRUDENZA L'illegittimo differimento del colloquio dell'indagato con il difensore, e quindi la violazione del diritto previsto dall'art. 104, primo e secondo comma, c.p.p., comporta violazione del diritto della difesa inquadrabile nella nullità di ordine generale prevista dall'art. 178, lett. c), c.p.p. Detta nullità, ai sensi dell'art. 185, primo comma, c.p.p., rende invalido l'interrogatorio reso dall'indagato, al quale illegittimamente è stato negato l'esercizio del diritto di previamente conferire con il difensore. Ne consegue che siffatto interrogatorio non è idoneo ad impedire la perdita di efficacia della custodia cautelare ai sensi dell'art. 302 c.p.p. (3025/1992, rv 191675). È processualmente irrilevante la nullità di un atto che non sia stato utilizzato ai fini della formazione del convincimento, qualora, cioè, il giudice di merito abbia fondato le ragioni del suo convincimento su elementi di prova diversi da quell'atto, il quale, pertanto, nell'economia del giudizio viene ad essere irrilevante sul piano probatorio (7568/1992, rv 190930). L'utilizzabilità di elementi probatori, normativamente inutilizzabili, incide unicamente sul discorso motivazionale del provvedimento e, più specificamente, sulla completezza, logicità e correttezza dello stesso, sicché essa potrà essere motivata soltanto in relazione a detto elemento essenziale del provvedimento stesso, ma non potrà, giammai, costituire “sic et simpliciter” ragione di nullità del medesimo. Ciò, oltre che conforme al sistema, si deduce chiaramente dal testo letterale dell'art. 185, quarto comma, c.p.p., che, proprio con riferimento alle nullità involgenti le prove, esclude la regressione del procedimento al fatto in cui si era verificata la nullità (11837/1992, rv 193424). La nullità dell'informazione di garanzia può determinare la nullità dell'atto a cui si riferisce, ma non quella dell'ordinanza di custodia cautelare (4287/1993, rv 192763).

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In tema di rinnovazione delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, la ritenuta “necessità” di procedere alla rinnovazione dell'atto nullo (art. 185, comma secondo, c.p.p.) e la ritenuta “indispensabilità” dei risultati delle intercettazioni acquisite in procedimento diverso (art. 270 c.p.p.), costituiscono valutazioni di fatto di competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all'art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p. (1977/1994, rv 198584). La nullità dell'interrogatorio dell'indagato, determinata dall'assenza del difensore non invalida le dichiarazioni accusatorie che, nel corso dello stesso interrogatorio, siano state rese nei confronti di altri indagati, non potendosi dire pregiudicato il diritto di difesa di questi ultimi, dal momento che i loro rispettivi difensori, a mezzo dei quali tale diritto doveva essere esplicato, non avrebbero comunque avuto titolo ad essere avvisati del detto interrogatorio, né, tanto meno, ad assistervi (3735/1994, rv 199473). Il principio fissato nell'art. 185, comma primo, c.p.p., secondo cui la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo, non trova applicazione in materia di inutilizzabilità, riguardando quest'ultima solo le prove illegittimamente acquisite e non altre la cui acquisizione sia avvenuta in modo autonomo e nelle forme consentite (7759/1994, rv 198768). L'ordinanza impositiva di una misura cautelare integra un provvedimento del tutto autonomo rispetto al procedimento in cui sia stata eventualmente inserita. Con la conseguenza che, l'eventuale nullità di quest'ultimo – mancando il presupposto della dipendenza previsto dall'art. 185 c.p. per la comunicabilità del vizio anche agli atti successivi a quello invalido – non si riflette sull'ordinanza in esame. Un principio, quello ora ricordato, che enunciato con riguardo ai rapporti fra il procedimento di convalida dell'arresto e l'ordinanza impositiva di una misura cautelare, è da ritenere applicabile, per la sua portata generale, anche al caso in cui la richiesta della misura sia stata formulata nel corso del procedimento diretto al rinvio a giudizio dell'imputato (426/1995, rv 200672). Premesso che la disposizione dell'art. 143 disp. att. c.p.p.- la quale prescrive che, negli atti preliminari al dibattimento, ove

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occorra rinnovare la citazione a giudizio o la sua notificazione, vi provvede il giudice – è applicabile anche nel procedimento davanti al pretore, va considerato che detta rinnovazione della citazione fa carico al giudice solo quando, nonostante la regolarità formale della notifica della citazione all'imputato, sia provato o appaia probabile che questi non ne abbia avuto effettiva conoscenza, mentre invece l'omissione della notifica impedisce addirittura il passaggio dalla fase delle indagini preliminari a quella del giudizio, dando luogo ad una nullità di ordine generale ex art. 178 c.p.p., lett. c), rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, ai sensi dell'art. 179, comma primo, c.p.p. Pertanto, poiché l'omessa notificazione del decreto di citazione all'imputato non consente la valida instaurazione del giudizio, deve verificarsi la regressione stabilita dall'art. 185, comma terzo, c.p.p., altrimenti la rinnovazione della citazione da parte del giudice dibattimentale risulterebbe per l'imputato ingiustificatamente penalizzante, precludendogli i percorsi alternativi previsti dalla legge (giudizio abbreviato, patteggiamento, oblazione) (3834/1996, rv 206813). Qualora l'esistenza delle cose da sequestrare, nella specie documentazione bancaria, risulti da un interrogatorio dell'indagato, poi dichiarato nullo, in applicazione dell'art. 185 c.p.p., rende invalido il provvedimento di sequestro emesso, venendo questo in concreto a difendere dall'atto nullo (7173/1996, rv 205332). Poiché, a norma dell'art. 185, comma terzo, c.p.p., “la dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito”, a seguito della dichiarazione di nullità del decreto che dispone il giudizio (nella specie, per insufficiente enunciazione del fatto oggetto di imputazione) da parte del tribunale, il procedimento deve necessariamente regredire all'udienza preliminare, non rientrando tra i poteri del giudice del dibattimento procedere alla rinnovazione del decreto in questione, e gli atti devono essere trasmessi al giudice per le indagini preliminari perché provveda a tale rinnovazione, previa fissazione dell'udienza, a norma degli artt. 418 c.p.p. e seguenti (17/1998, rv 209605). In base alla norma dell'art. 185, comma terzo, c.p.p. la nullità di un atto ha efficacia retroattiva e, ove accertata dal giudice, l'atto stesso si considera come mai venuto ad esistenza. Non è, pertanto,

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ipotizzabile una violazione del principio di cui all'art. 649 c.p.p. nel caso in cui il giudice emetta un valido provvedimento di sequestro preventivo ai sensi dell'art. 321 c.p.p., quando in precedenza era stato emesso dallo stesso giudice identico atto affetto da nullità, poi rimossa con il secondo provvedimento, se tale nullità sia stata accertata e dichiarata da parte dell'autorità giudiziaria (1747/1998, rv 211074). È nullo per violazione del diritto di difesa il decreto di sequestro preventivo non notificato e contenente un'imputazione diversa da quella indicata nell'informazione di garanzia, a sua volta peraltro nulla per mancanza di elementi essenziali all'indicazione completa del fatto, come il luogo e la data di consumazione del reato (2079/1998, rv 210994). L'annullamento del provvedimento di merito per vizio invalidante “in procedendo”, ad opera della Corte di Cassazione, comporta, per il generale principio stabilito dall'art. 185 c.p.p., il regresso della procedura allo stadio in cui si è verificata la nullità e l'invalidità degli atti consecutivi, che devono essere rinnovati, restando impregiudicato il merito della questione oggetto della decisione annullata (4313/2001, rv 218395). Nel caso di nullità della notificazione del decreto di citazione o di inosservanza del termine stabilito dall'art. 552 c.p.p., comma 3, il giudice del dibattimento deve provvedere egli stesso a rinnovare la notifica, e non può disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero con un provvedimento che, determinando una indebita regressione del processo, si configurerebbe come abnorme (9911/2003, rv 223760). È configurabile in capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con riferimento al reato di corruzione in atti giudiziari, il danno, di natura non patrimoniale, derivante dalla lesione degli interessi di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione della giustizia. (Fattispecie di falsa deposizione resa nell'ambito di un processo penale) (15208/2010). La nullità del decreto che dispone il giudizio non comporta la nullità altresì della lista testimoniale ritualmente depositata, non essendo quest'ultima in rapporto di dipendenza logico-giuridica con il decreto stesso (18681/2010).

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C.p.p. art. 185 Effetti della dichiarazione di nullità COMMENTO La nullità degli atti comporta conseguenze che possono essere sintetizzate come segue: – nullità degli atti consecutivi dipendenti dall'atto invalido (esempio): questo fenomeno prende il nome di “nullità derivata”, in virtù della quale l'atto viziato, che si costituisce come antecedente logico dell'atto successivo, trasmette a quest'ultimo l'invalidità. Tale principio non trova applicazione in materia di inutilizzabilità, riguardando quest'ultima solo le prove illegittimamente acquisite e non altre la cui acquisizione sia avvenuta in modo autonomo e nelle forme consentite. Ed, invero, deve ritenersi derivato da altro precedente quell'atto che con il primo si ponga in rapporto di dipendenza effettiva, del quale venga, cioè, a costituire la conseguenza logica e giuridica, nel senso che l'atto dichiarato nullo rappresenta l'ineliminabile premessa logica e giuridica di quello successivo, per modo che, cadendo tale premessa, restano necessariamente cadutati anche gli atti che ne conseguono (così Cassazione n. 1988 del 1998); – rinnovazione dell'atto, quando ciò è necessario e possibile: l'atto viene nuovamente formato in modo conforme al paradigma normativo di riferimento, laddove esso si palesi indispensabile nella fisiologica serie causale degli atti di cui si compone il procedimento e la sua rinnovazione non sia divenuta materialmente o giuridicamente impraticabile; – regressione del procedimento allo stato e grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, salvo che sia stabilito altrimenti: il procedimento, in deroga alle ordinarie esigenze di economia processuale, viene riportato alla fase nella quale l'atto invalido è stato formato; tale regressione non opera quando l'atto invalido è di natura probatoria, nel qual caso viene effettuata la rinnovazione dell'atto stesso. La IV sezione penale della Cassazione, con sentenza 7 novembre 2008, n. 41815, ha ribaltato un proprio precedente orientamento in merito all'interpretazione dell'articolo in commento laddove prevede che l'imputato possa “essere citato come responsabile civile per il fatto dei coimputati per il caso in cui venga prosciolto o sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere”, con riferimento ad un caso di infortunio sul lavoro del dipendente di impresa subappaltatrice. Secondo la Cassazione, l'articolo 26, D.Lgs. n. 81 del 2008 prevede, in caso di affidamento dei lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all'interno dell'azienda del committente o di una singola unità produttiva della stessa, l'obbligo dell'appaltante di verificare l'idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi, in relazione ai lavori da espletare; di fornire agli stessi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui andranno ad operare; di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione; di coordinare gli interventi, anche al fine di eliminare i pericoli dovuti alle interferenze

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tra i lavori affidati alle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva, a tal fine elaborando un unico documento di valutazione dei rischi. Orbene, la stessa esistenza di obblighi positivi di verifica, informazione, cooperazione e coordinazione in capo all'appaltante, tanto più se accompagnata dalla somministrazione di attrezzi di lavoro, vale a connotare in termini di “inadempimento” il loro omesso o insufficiente espletamento: la conseguente responsabilità per gli eventi lesivi che ne siano derivati è allora responsabilità per fatto proprio non giustiziabile col mezzo della chiamata del committente in responsabilità civile nel processo penale avente ad oggetto il fatto dell'appaltatore. Tutte le questioni relative alla fondatezza di una eventuale pretesa risarcitoria nei confronti dell'impresa appaltante, ivi comprese quelle inerenti al trasferimento o meno del rischio in ordine all'uso delle attrezzature da essa fornite, ben potranno essere svolte e trattate nella competente sede civile, la cui percorribilità non è certo preclusa dalla pronuncia del decreto di archivi azione nei confronti del direttore del cantiere. Secondo la Cassazione, la suddetta lettura dell'articolo in argomento è convalidata proprio dalla riconosciuta necessità, valorizzata dal codice di rito vigente, di scoraggiare l'esercizio dell'azione civile nel processo penale, per evitarne l'appesantimento, eventualità che sarebbe certamente frustrata da interpretazioni che estendessero la possibilità di partecipazione a soggetti che possono sì essere chiamati a rispondere, insieme con l'imputato, delle conseguenze del reato, ma in forza di una inadempienza propria e non altrui. Non è all'uopo superfluo ricordare che la Corte costituzionale, nelle pronunce con le quali ebbe a dichiarare infondati o manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità sollevati nei confronti dell'art. 83, nella parte in cui non prevede la possibilità per l'imputato, nel caso di costituzione di parte civile, di chiamare, o chiedere l'autorizzazione a chiamare nel processo, quale responsabile civile, l'esercente dell'aeromobile, a norma dell'art. 878 c.n., ovvero la gestione liquidatoria della USL, per il fatto di un suo dipendente, l'INAIL e l'INPS, per le violazioni delle norme in materia di infortuni sul lavoro e di previdenza sociale (rispettivamente, sentenza n. 75 del 2001 e ordinanza n. 300 del 2004) rimarcò il “particolare rigore con il quale – nel sistema delineato dal nuovo codice di rito del 1988 – devono essere misurate le disposizioni che regolano l'ingresso, in sede penale, di parti diverse da quelle necessarie”, a fronte “dell'accentuata tendenza, caratteristica del nuovo impianto, a circoscrivere nei limiti dell'essenzialità le forme di cumulo processuale, stante la maturata consapevolezza che l'incremento delle regiudicande – specie se, come quelle civili, estranee alle finalità tipiche del processo penale – non possa che aggravarne l'iter”.

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C.p.p. art. 186 Inosservanza di norme tributarie COMMENTO La violazione prevista dalla norma in oggetto non attiene ad una disposizione di tenore strettamente procedurale e dunque ad essa non può conseguire l'invalidità dell'atto cui l'inosservanza si riferisce. Da ciò discende che, nel caso di specie, quando, cioè, il compimento dell'atto deve essere accompagnato dal pagamento di una tassa o di un'imposta, l'inosservanza dell'adempimento non produce conseguenze sull'atto, ma comporta l'applicazione delle sanzioni finanziarie previste dalla legge.

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C.p.p. art. 187 Oggetto della prova COMMENTO 1. Marco viene perseguito per aver procurato a Vincenzo lesioni personali: bisognerà accertare che l'imputato si trovava nel luogo in cui il fatto è stato realizzato. 2. Mario commette un omicidio ai danni di Luca. Il reato non può essere punito se Mario muore prima della condanna. 3. Fatti da cui emerge che un determinato soggetto non può rivestire all'interno del processo il ruolo di testimone; esistenza del potere di rappresentanza in capo al soggetto che ha sporto querela nell'ipotesi in cui l'offeso sia una persona giuridica. 4. Fabio, proprietario di un negozio di abbigliamento, ha la licenza per vendere capi di abbigliamento di una ditta di moda molto famosa, la quale il 24 aprile 2001 consegna al cliente 33 maglioni. Fabio, dopo aver illegittimamente prodotto maglioni identici a quelli consegnatigli dalla ditta produttrice, ne mette in vendita 63. Viene denunciato e perseguito per i reati di contraffazione e ricettazione: la ditta di moda si costituisce parte civile e, tramite le fatture del 24 aprile 2001, può dimostrare che i capi forniti al cliente erano stati 33 e non 63.

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C.p.p. art. 187 Oggetto della prova GIURISPRUDENZA In tema di “fatto oggetto di prova” (art. 187 c.p.p.), le norme giuridiche, quando siano espressione diretta o mediata del potere legislativo, devono essere conosciute dal giudice, in virtù del principio “iura novit curia”. Ogni altro atto o provvedimento di natura amministrativa deve invece, al pari di qualsiasi “fatto”, costituire oggetto di prova (660/1992, rv 190779). Gli esiti dell'indagine genetica condotta sul Dna, atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, presentano natura di prova, e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'art. 192, comma 2, c.p.p. (28692/2010). In tema di valutazione delle diverse tesi prospettate dal perito e/o dai consulenti tecnici, il giudice di merito può fare legittimamente propria l'una piuttosto che l'altra tesi scientifica, purché dia congrua e motivata ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire. Entro questi limiti, non rappresenta vizio della motivazione, di per sé, l'omesso esame critico di ogni più minimo passaggio della relazione tecnica disattesa, poiché la valutazione delle emergenze processuali è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all'onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è sufficiente che enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento. Laddove il giudice abbia rispettato tali principi, il giudizio di fatto formulato è incensurabile in sede di legittimità (23146/2012). In tema di intercettazioni disposte in procedimenti diversi, l'utilizzazione dei risultati intercettativi è consentita quando sono indispensabili non solo all'accertamento del fatto reato, ma anche con riferimento all'intera imputazione, compresi i fatti relativi alla punibilità, alla determinazione della pena, alla qualificazione del

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reato in rapporto alle circostanze attenuanti o aggravanti, ed anche quando l'indispensabilità è in funzione di riscontro a dichiarazioni accusatorie. (Fattispecie in materia di estorsione, in cui le intercettazioni sono state ritenute indispensabili quale riscontro alle dichiarazioni accusatorie rese dalle persone offese) (12625/2015). In tema di intercettazioni di conversazioni telefoniche o ambientali, la prova è costituita dalle bobine e dai verbali, sicché il giudice può utilizzare il contenuto delle intercettazioni indipendentemente dalla trascrizione, che costituisce la mera trasposizione grafica del loro contenuto, procedendo direttamente al loro ascolto. Ne discende che, ai fini dell’utilizzazione delle registrazioni delle conversazioni monitorate, non è necessario disporre perizia, potendo il giudice conoscere la prova mediante il diretto ascolto: rientra, quindi, nei poteri discrezionali del giudice del dibattimento di scegliere le modalità operative dell’istruttoria e di valutare se sia necessario disporre la perizia ovvero se sia sufficiente l’ascolto delle registrazioni delle comunicazioni intercettate in dibattimento oppure in camera di consiglio, potendo le parti ascoltare dette registrazioni e farne eseguire la trasposizione su nastro magnetico, così da sottoporre al giudice le proprie osservazioni. Peraltro, costituisce regola fondante del processo (cfr. articoli 511 e seguenti e 526 del Cpp, nonché articolo 111, comma 4, della Costituzione) quella secondo cui le prove devono formarsi nel contraddittorio delle parti, salvo che non si versi in uno dei casi nei quali la formazione della prova non ha luogo nel contraddittorio “per consenso dell’imputato” (cioè in caso di accesso a un rito alternativo, quali il rito abbreviato o il patteggiamento, ovvero in caso di consenso all’acquisizione di atti a formazione unilaterale, quali gli atti di indagine). Per l’effetto, salvo ricorrano queste condizioni, il giudice non può porre a base della decisione assunta all’esito del giudizio ordinario le trascrizioni informali delle intercettazioni sulla base dei brogliacci redatti dalla polizia giudiziaria. È piuttosto onere del giudice (anche di quello di appello, laddove non vi abbia proceduto quello di primo grado) di procedere, alternativamente, all’effettuazione di una perizia di trascrizione, all’ascolto delle registrazioni in aula nel contraddittorio delle parti, ovvero all’ascolto delle registrazioni in camera di consiglio, dando comunque conto nella motivazione della sentenza

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dei dati conoscitivi acquisiti con la modalità istruttoria prescelta (24744/2018).

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C.p.p. art. 187 Oggetto della prova COMMENTO Il principio delineato nella norma in commento costituisce un fondamentale punto di riferimento per tutta la materia delle prove. Come chiaramente emerge dalla rubrica del dettato normativo, viene qui analizzato l'oggetto della prova, che non comprende qualunque tipo di accertamento, ma soltanto quello che può essere proficuamente utilizzato a fini processuali. L'oggetto della prova non poteva che essere definito in base ad uno specifico principio, ed il legislatore ha trovato ispirazione nel criterio di pertinenza della prova al thema decidendum, dove per pertinenza si intende l'inerenza della prova al fatto storico che si intende accertare. Rientrano nell'oggetto della prova: – i fatti che si riferiscono all'imputazione: dati della realtà fattuale che si riferiscono alla vicenda storica contenuta nell'imputazione (esempio n. 1); – i fatti relativi alla punibilità: la punibilità è la condizione per cui un determinato soggetto, autore di una fattispecie criminosa, può essere sottoposto all'applicazione di una sanzione penale. Da ciò discende che è necessario verificare l'eventuale presenza di cause di giustificazione, di cause di non punibilità, di cause di estinzione della pena o del reato ed, infine, lo stato di capacità di intendere o di volere del soggetto agente (esempio n. 2); – i fatti inerenti alla determinazione della pena o della misura di sicurezza: parametro di riferimento è l'art. 133 c.p., per il quale l'organo giudicante, nel determinare la sanzione da infliggere al condannato, deve tenere in considerazione la gravità del fatto criminoso commesso e la capacità a delinquere del soggetto agente; – i fatti da cui dipende l'applicazione di norme processuali (esempio n. 3): in tema di “fatto oggetto di prova”, le norme giuridiche, quando siano espressione diretta o mediata del potere legislativo, devono essere conosciute dal giudice, in virtù del principio iura novit curia. Ogni altro atto o provvedimento di natura amministrativa deve, invece, al pari di qualsiasi “fatto”, costituire oggetto di prova (così Cassazione n. 660 del 1992); – i fatti relativi alla responsabilità civile derivante dal reato, qualora vi sia costituzione di parte civile: la parte civile è la persona danneggiata dal reato che interviene nel processo penale per chiedere le restituzioni o il risarcimento dei danni procurati dal fatto criminoso per cui si procede: essa, dopo la costituzione nel processo, può compiere gli atti che si ritengono necessari al fine di provare la fondatezza delle proprie pretese e la quantificazione del danno subito (esempio n. 4).

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C.p.p. art. 188 Libertà morale della persona nell'assunzione della prova COMMENTO Ipnosi, macchine della verità, ecc.

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C.p.p. art. 188 Libertà morale della persona nell'assunzione della prova COMMENTO La norma sancisce un divieto assoluto che il legislatore ha imposto a tutela della libertà morale di ciascun consociato, inviolabile diritto della personalità. Sebbene, infatti, scopo prioritario del processo penale sia l'accertamento della verità, esso non può essere perseguito in violazione dei fondamentali valori che permeano l'intero sistema costituzionale, imperniato sulla centralità della persona e dei suoi diritti. Corollario di quanto premesso sono le limitazioni in tema di prove prefigurate dalla disposizione in esame. Non possono, infatti, essere ammesse, né assunte, prove che siano state formate attraverso il ricorso a metodologie in grado di provocare l'alterazione della libera determinazione del soggetto o della capacità di ricostruire e valutare i fatti (esempio); il tutto indipendentemente dal consenso della persona interessata, essendo la dignità umana un diritto indisponibile.

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C.p.p. art. 189 Prove non disciplinate dalla legge COMMENTO 1. Il giudice di merito può trarre il proprio convincimento da ogni elemento probatorio indiziante e, quindi, anche da ricognizioni informali e da riconoscimenti fotografici, che vanno tenuti distinti dalla ricognizione personale prevista dall'art. 213. Egli, pertanto, nell'ambito dei poteri discrezionali di valutazione che l'ordinamento gli riconosce, può attribuire concreto valore indiziante o probatorio all'identificazione dell'autore del reato mediante riconoscimento fotografico, costituente accertamento di fatto utilizzabile in virtù dei principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento, i quali consentono il ricorso non solo alle cosiddette prove legali, ma anche ad elementi di giudizio diversi, purché non acquisiti in violazione di specifici divieti (così Cassazione n. 4580 del 1996). 2. Il giudice può utilizzare come prova la copia anziché l'originale di un documento quando questa sia idonea ad acclarare i fatti di causa (così Cassazione n. 2065 del 1997). 3. Il riconoscimento fotografico cui, nel corso delle indagini, abbia proceduto la polizia giudiziaria, pur non regolato dal codice di rito, costituisce un accertamento di fatto e, come tale, è utilizzabile nel giudizio in base al principio di non tassatività dei mezzi di prova e a quello del libero convincimento del giudice. In questo caso, la certezza della prova dipende non già dal riconoscimento in sé, ma dall'attendibilità accordata alla deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia dell'imputato, si dica certo della sua identificazione; e ciò soprattutto quando questa venga confermata dal giudice (così Cassazione n. 29745 del 2006).

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C.p.p. art. 189 Prove non disciplinate dalla legge GIURISPRUDENZA L'individuazione dell'autore del reato è istituto diverso e autonomo rispetto alla ricognizione formale prevista dall'art. 213 c.p.p. e segg., e non è, quindi, soggetto alle forme stabilite per quest'ultima; in particolare esso è inquadrabile tra le prove non disciplinate dalla legge, previste dall'art. 189 c.p.p., e trova il suo paradigma nella prova testimoniale proveniente dalla parte offesa o da altri che abbiano accertato l'identità personale dell'imputato. Ne consegue che la differenza tra i due istituti è ancora più sensibile allorché l'individuazione dell'autore del reato sia avvenuta fuori dal processo, prima dell'avvio delle indagini preliminari, ad opera della parte offesa o di altri che ne riferisce in giudizio, perché tramite la testimonianza si deduce nel processo un fatto storicamente avvenuto, mentre la ricognizione tende invece ad acquisirlo (16629/2003, rv 224644). A differenza delle riprese visive in luoghi pubblici, le videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi in ambito domiciliare, siccome acquisite in violazione dell'articolo 14 della Costituzione (ex Corte cost. 135/2002), sono illegittime e processualmente inutilizzabili, né esse possono essere a tal fine qualificate come prova atipica ex art. 189 c.p.p., perché tale categoria presuppone comunque la formazione lecita della prova come necessaria condizione della sua ammissibilità (26795/2006). Le riprese di comportamenti comunicativi costituiscono una forma di captazione di messaggi tra presenti e, pertanto, devono considerarsi intercettazioni e ne ricalcano analogicamente la relativa disciplina pena la elusione di formalità stabilite a garanzia di diritti costituzionalmente garantiti (37197/2010). Le videoregistrazioni di immagini non comunicative (mere condotte) disposte dalla Polizia nel corso delle indagini in luoghi non fruenti di particolare protezione (pubblici, aperti o esposti al pubblico) devono essere qualificate come documentazione della attività investigativa, che non richiede un provvedimento della

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autorità giudiziaria, e sono utilizzabili come prove atipiche disciplinate dall'art. 189 c.p.p. (37197/2010). In tema di reati sessuali sui luoghi di lavoro, è utilizzabile come prova atipica la ripresa di immagini comunicative e non comunicative captate in un appartamento (adibito a studio professionale) dove si svolgevano manifestazioni di vita privata e che è riconducibile alla nozione di domicilio ove le riprese siano state effettuate dalla persona che era protagonista dell'episodio, verso la quale il suo interlocutore non ha lo jus excludendi, perché si trova nel suo abituale ambiente di lavoro che costituisce il suo domicilio per un periodo di tempo limitato della giornata (nell'arco del quale sono stati commessi i fatti). Con la ripresa visiva, sia pure eseguita furtivamente, la parte lesa non ha violato con interferenze indebite la intangibilità del domicilio né la necessaria riservatezza su attività che si devono mantenere nell'ambito privato essendo nel suo domicilio e riprendendo illeciti che la riguardano (37197/2010). Le videoregistrazioni effettuate in ambito domiciliare, ai fini del procedimento penale, sono prove atipiche acquisite illecitamente e sono perciò inutilizzabili. La tutela costituzionale del domicilio va tuttavia limitata ai luoghi con i quali la persona abbia un rapporto stabile, sicché, quando si tratti di tutelare solo la riservatezza, la prova atipica può essere ammessa con provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria. Non sono pertanto ammissibili riprese visive effettuate, ai fini del processo, in ambito domiciliare mentre vanno autorizzate dall'autorità giudiziaria procedente (p.m. o giudice) le riprese visive che, pur non comportando un'intrusione domiciliare, violino la riservatezza personale (nella specie, nell'ambito di un procedimento per maltrattamenti commessi ai danni di alcuni bambini da parte di una maestra, la Corte ha ritenuto valide le registrazioni effettuate nella scuola, atteso che, trattandosi di un luogo dove può entrare un numero indeterminato di persone, essa va qualificata come luogo aperto al pubblico) (33593/2012). In merito al valore del riconoscimento fotografico, allorché il testimone abbia proceduto ad un riconoscimento fotografico informale nel corso delle indagini preliminari e, nel corso dell'esame dibattimentale, abbia confermato di avere compiuto detta ricognizione informale e quindi reiterato il riconoscimento positivo, il convincimento del giudice può ben fondarsi su tale riconoscimento, seppure privo delle cautele e delle garanzie delle ricognizioni, trattandosi di accertamento di fatto liberamente apprezzabile dal giudicante in base al principio della non tassatività dei mezzi di prova. Il momento ricognitivo

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costituisce invero parte integrante della testimonianza, di tal che l'affidabilità e la valenza probatoria dell'individuazione informale discendono dall'attendibilità accordata al teste ed alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del decidente che, ove sostenuto da congrua motivazione, sfugge al sindacato di legittimità. I riconoscimenti fotografici effettuati durante le indagini di polizia giudiziaria, e i riconoscimenti informali dell'imputato operati dai testi in dibattimento, costituiscono accertamenti di fatto utilizzabili nel giudizio in base ai principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice (12501/2015). In materia di riconoscimento fotografico non rilevano le modalità di formazione dell’album, integrate dalla scelta delle immagini effettuata dalla polizia giudiziaria, su cui viene operato il riconoscimento e per le stesse non viene in considerazione una questione di legalità della prova, giacché la relativa forza probatoria non discende dalle modalità formali, bensì dal valore della dichiarazione confermativa e quindi dalla credibilità della deposizione, al pari di quella testimoniale (20267/2017).

Le videoregistrazioni effettuate dalla vittima di violenza sessuale all’interno del domicilio lavorativo dell’imputato, non rientrante nella nozione di domicilio privato, di comportamenti non aventi contenuto comunicativo, non sono affette da inutilizzabilità patologica per violazione del divieto probatorio di cui all’art. 14 Cost. Esse costituiscono prove atipiche ai sensi dell’art. 189 c.p.p., con conseguente inapplicabilità della disciplina sulle intercettazioni (4744/2017). In tema di prove, i fotogrammi scaricati dal sito internet “Google Earth” costituiscono prove documentali pienamente utilizzabili ai sensi dell’art. 234, comma 1, c.p.p. o 189 c.p.p. in quanto rappresentano fatti, persone o cose (48178/2017). In tema di prova documentale, il documento legittimamente acquisito in copia è soggetto alla libera valutazione da parte del giudice, assumendo valore probatorio, anche se privo di certificazione ufficiale di conformità e pur se l’imputato ne abbia disconosciuto il contenuto (8736/2018). All’individuazione fotografica compiuta dal privato non può attribuirsi di per sé un risultato probatorio poiché è compiuta senza garanzie processuali. (Nel caso di specie, nel processo celebrato con rito abbreviato e senza escussione di testimoni, una maestra d’asilo aveva mostrato le due foto degli zii alla bambina che aveva affermato di avere la bua dallo zio nelle parti intime) (96/2018). Le riprese audio e video eseguite presso un istituto di istruzione (procedendosi nella specie per il reato di cui all'articolo 572 del codice penale in danno di minori, in ipotesi commesso da insegnanti) sono ritualmente eseguite ove autorizzate ex articolo 266 del codice di procedura penale, senza peraltro la

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necessità del rispetto delle condizioni di cui al comma 2 del citato articolo, non trattandosi di intercettazioni da eseguire in luogo di privata dimora (14150/2019).

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C.p.p. art. 189 Prove non disciplinate dalla legge COMMENTO Il codice di procedura penale attualmente in vigore ha risentito dell'influenza prodotta dalle innumerevoli discussioni dottrinali e giurisprudenziali in ordine alla scelta tra principio di tassatività delle prove da un lato, e principio della libertà delle prove dall'altro: l'opzione conclusiva ha portato il legislatore ad accogliere un sistema nel quale le prove atipiche (cioè non disciplinate dalla legge) (esempio n. 1) non vengono escluse a priori, ma vengono ammesse previa sussistenza di determinati presupposti, legalmente predisposti, che sono: – idoneità della prova ad assicurare l'accertamento dei fatti: la prova atipica deve contribuire alla conoscenza della realtà storica oggetto dei fatti in causa (esempio n. 2); – rispetto della libertà morale della persona: la prova atipica deve, cioè, conformarsi a quanto previsto alla disposizione di cui all'art. 188 (cui si fa rinvio). Un ruolo fondamentale in tema di prove atipiche (dette anche prove innominate) è svolto dal giudice; è infatti l'organo giudicante ad ammetterle e a valutarne, nel contraddittorio fra le parti, le modalità di esecuzione (esempio n. 3).

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C.p.p. art. 190 Diritto alla prova COMMENTO 1. Testimonianza indiretta [195]; ammissione di nuove prove [507]. 2. Prova testimoniale formata dopo aver somministrato al teste il siero della verità. 3. Ammissione di 100 perizie di parti aventi lo stesso oggetto. 4. Esame su un rapporto incestuoso dell'imputato in un processo per truffa ai danni dello Stato.

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C.p.p. art. 190 Diritto alla prova GIURISPRUDENZA Il diritto alla prova riconosciuto alle parti implica la corrispondente attribuzione del potere di escludere le prove manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito che sfugge al sindacato di legittimità ove abbia formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi logici e giuridici (15208/2010). Il diritto del difensore di svolgere indagini difensive, pur esercitabile in ogni stato e grado del procedimento, deve tuttavia essere coordinato, affinché i risultati di dette indagini possano trovare ingresso nel processo, con i criteri ed i limiti specificamente previsti dal codice per la formazione della prova. (Fattispecie di richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in grado d'appello, rigettata correttamente in quanto la documentazione acquisita per mezzo delle indagini difensive e che si chiedeva fosse acquisita al giudizio non costituiva una prova nuova sopravvenuta e il processo era definibile allo stato degli atti) (35372/2010). In tema di prove testimoniali, la mancata citazione dei testimoni già ammessi dal giudice, per l'udienza fissata la loro escussione, comporta la decadenza della parte dalla prova; ne deriva che è legittimo il provvedimento di revoca dell'ammissione dei testi non citati (2324/2015). Laddove l'assunzione di una prova sia in grado di definire in concreto la sussistenza di una fattispecie penale in luogo di un'altra ipotesi delittuosa, il giudice non può ritenere la stessa come sostanzialmente irrilevante e, quindi, rifiutarne l'ingresso nel processo. Ciò soprattutto quando la rilevanza di tale prova sopravvenga in ragione di modifiche legislative, che risultino più favorevoli all'imputato, prevedendo un regime sanzionatorio più tenue (fattispecie relativa ad un'accusa di concussione ex art. 317 c.p., nella formulazione antecedente la modifica intervenuta ad opera della legge n. 190/2012, in cui l'imputato aveva chiesto in appello l'acquisizione del progetto, nella sua forma originaria, predisposto dal concusso, onde verificare se quest'ultimo avesse o meno un interesse a prestare consenso alla indebita richiesta di danaro avanzata dal pubblico ufficiale accusato) (8936/2015). Nel giudizio di appello avverso la sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato non condizionato, l’assunzione di nuove prove è possibile solo qualora queste non si riferiscano a circostanze di fatto anteriori al processo e conosciute dall’imputato, trattandosi altrimenti, di prove che avrebbero dovuto

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formare oggetto di una richiesta di giudizio abbreviato condizionato a integrazione probatoria da sottoporre al relativo vaglio di ammissibilità (19044/2017). Nel caso in cui il pubblico ministero contesti all’imputato un reato concorrente ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen. sulla base di fonti dichiarative raccolte in dibattimento, tali dichiarazioni possono essere legittimamente utilizzate dal giudice per la decisione qualora il difensore si sia limitato a prendere atto della contestazione suppletiva, senza chiedere, ai sensi dell’art. 519, commi 2 e 3, c.p.p., di effettuare un controesame delle citate fonti dichiarative in relazione all’oggetto della nuova contestazione (1234/2017). Nell'ordinamento processuale penale, pur non essendo previsto un onere probatorio a carico dell'imputato, modellato sui principi propri del processo civile, è tuttavia prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale lo stesso è tenuto a fornire le indicazioni e gli elementi necessari all'accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore, (Nella specie la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che, in relazione a una contestazione di furto di energia elettrica, aveva escluso la scriminante del consenso dell'avente diritto, non avendo l'imputato fornito specifiche indicazioni sull'identità del vicino di casa che, a suo dire, lo aveva autorizzato ad accedere al suo contatore) (12099/2018) Nel caso di assunzione d'ufficio di nuovi mezzi di prova, è riconosciuto alle parti il diritto alla prova contraria. Il giudice dell'appello dinanzi al quale sia dedotta la violazione dell'art. 495, comma 2, c.p.p. deve decidere sull'ammissibilità della prova secondo i parametri di cui all'art. 190 (15281/2019).

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C.p.p. art. 190 Diritto alla prova COMMENTO Il codice di procedura penale del 1988, a differenza di quello precedente che aveva un'impronta prettamente inquisitoria, trova ispirazione in una logica prevalentemente accusatoria, nella quale i poteri d'ufficio del giudice, in tema di prova, risultano notevolmente ridotti rispetto al passato; il tutto per garantire nel modo più rigoroso possibile l'imparzialità e la terzietà dell'organo giudicante, nonché, soprattutto, la piena operatività di quel contraddittorio indicato dall'art. 111 della Costituzione come principio caratterizzante le dinamiche cognitive del giusto processo. La norma in oggetto riconosce in capo alle parti processuali un vero e proprio diritto alla prova, che si manifesta in un duplice ordine di facoltà: – diritto delle parti di chiedere che una prova sia ammessa; – diritto delle parti all'assunzione della prova, laddove sussistano i presupposti previsti dalla legge. Ciò premesso le prove vengono ammesse al processo: – a richiesta di parte: nel vigente sistema processuale, caratterizzato dalla dialettica delle parti, alle quali è attribuito l'onere di allegare le prove a sostegno dei rispettivi petita, il giudice è tenuto a provvedere sulle relative richieste sulla base dei parametri di ammissibilità enunciati dalla norma in esame, con riguardo cioè, ai divieti probatori e alla pertinenza della prova richiesta al thema decidendum. Ogni diversa valutazione, non improntata ai suddetti criteri, in fatto e in diritto, non solo esula dal potere del giudice ma contravviene al diritto alla prova delle parti, concretizzando una violazione di legge che vizia la relativa pronuncia del giudice (così Cassazione n. 3666 del 1993); – d'ufficio dal giudice: il ricorso a tale modalità di ammissione delle prove è limitato ai casi espressamente disciplinati dalla legge (esempio n. 1). Ne consegue l'illegittimità di qualsiasi attività probatoria del giudice, sia pure integrativa, posta in essere fuori dai casi indicati nel codice di rito. Dopo la richiesta delle parti di ammissione di una prova, l'organo giudicante si deve pronunciare tempestivamente con ordinanza ed esclude: – le prove vietate dalla legge: quelle che non possono essere ammesse perché nei loro confronti sussiste un divieto espressamente stabilito (esempio n. 2); – le prove manifestamente superflue: quelle che non sono utili ai fini della formazione del convincimento del giudice in ordine al thema decidendum (esempio n. 3); – le prove irrilevanti: quelle che non sono inerenti al fatto che deve essere provato (esempio n. 4). Nel corso del procedimento penale può accadere che una prova inizialmente ammessa dal giudice divenga superflua o irrilevante in ragione degli esiti cui è

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pervenuta fino a quel momento l'istruzione dibattimentale: in casi del genere l'organo giudicante, sentite le parti, può revocare i provvedimenti emessi.

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C.p.p. art. 190 bis Requisiti della prova in casi particolari GIURISPRUDENZA La disciplina di cui all'art. 190 bis c.p.p.(il quale prevede che nei processi di criminalità organizzata e negli altri indicati dall'art. 51 c.p.p., comma 3 bis, quando è richiesto l'esame di un teste o di un soggetto indicato dall'art. 210 c.p.p. e costoro abbiano già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o in altro procedimento, l'esame è ammesso solo se il giudice lo ritiene assolutamente necessario) si applica anche nella ipotesi di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice (21730/2003, rv 225431). La disciplina di cui all'art. 190 bis c.p.p. è applicabile anche nell'ipotesi in cui debba procedersi a rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per sopravvenuto mutamento della persona del giudice (20810/2010).

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C.p.p. art. 190 bis Requisiti della prova in casi particolari COMMENTO Prima della riforma 2015 La norma in oggetto si pone, rispetto alla disciplina generale in tema di ammissione della prova, in una posizione di netta eccezionalità, tanto da far sorgere dei dubbi circa la sua ragionevolezza all'interno del nostro sistema, soprattutto dopo la stesura del nuovo testo dell'art. 111 della Costituzione. Originariamente il codice di procedura penale non conteneva affatto una disposizione di tal genere; essa è stata introdotta dal D.L. 8 giugno 1992 n. 306, convertito in L. 7 agosto 1992 n. 356, per far fronte al pericoloso clima di emergenza che il fenomeno delle stragi di mafia aveva diffuso in quel periodo. Il cosiddetto giusto processo (introdotto con la L. 1 marzo 2001 n. 63), pur considerando il contraddittorio fra le parti uno dei fondamentali principi ispiratori, non ha escluso completamente la sussistenza di una disciplina differenziata in tema di prove; ha, però, previsto una regolamentazione che sia il più possibile compatibile e il meno possibile derogatoria rispetto al suddetto principio. Procedendo ad un'analisi più dettagliata del disposto normativo, si può notare come tale articolo faccia riferimento soltanto ad alcuni tipi di procedimenti penali: quelli che hanno ad oggetto reati relativi alla criminalità organizzata, alla violenza sessuale o delitti contro la personalità dei minori. In questi casi, quando viene richiesto l'esame di un testimone (persona, estranea alle parti in causa, che dichiara o espone oralmente all'autorità giudiziaria fatti a lei noti, inerenti all'oggetto del processo) o di una persona imputata in un procedimento connesso e questi abbiano già preventivamente reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio [➠ Titolo VII] o nel corso di un dibattimento svolto nel contraddittorio con il soggetto nei confronti del quale le dichiarazioni saranno utilizzate, ovvero si tratti di dichiarazioni contenute in verbali di prove di altri procedimenti introdotti nel procedimento attraverso l'acquisizione documentale, l'esame è ammesso soltanto qualora sussistano, in via alternativa, l'uno o l'altro dei seguenti presupposti: – l'esame deve riguardare fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni; – ove l'esame attenga alle medesime circostanze già precedentemente oggetto di deposizione, esso deve essere ritenuto necessario dal giudice o da taluna delle parti sulla base di specifiche esigenze. La lettera della norma potrebbe far pensare che il legislatore abbia inteso dare alle parti e al giudice gli stessi poteri in ordine alla valutazione della necessità dell'esame. Un'impostazione di tal genere, tuttavia, contraddirebbe con la ratio della norma stessa; è, dunque, più corretto sostenere che è il giudice, in ogni caso, ad effettuare il vaglio sull'opportunità e la necessità dell'esame, perché è lui che lo autorizza. La giurisprudenza ritiene che la disciplina dettata dalla norma in esame trovi applicazione, non trattandosi di una disposizione qualificabile come eccezionale,

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anche nel caso di dichiarazioni rese nell'ambito del medesimo procedimento dinanzi a giudice al quale sia poi subentrato altro giudice, con conseguente necessità di rinnovazione del dibattimento (così Cassazione n. 31072 del 2001). Dopo la riforma del 2015 L'articolo in commento è stato modificato dall'art. 1, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI), al fine di rafforzare la tutela della vittima particolarmente vulnerabile durante la sua audizione, sia essa svolta durante le indagini, in incidente probatorio o in seno al dibattimento. In tal senso il legislatore di riforma ha esteso il limite al diritto alla prova costruito sull'ammissibilità dell'esame solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze - a tutte le persone offese che versino in condizione di particolare vulnerabilità. Tale nuova deroga va ad accomunarsi con quella, già esistente, in favore del minore di anni sedici, in pendenza di alcuni reati di violenza sessuale e pedofilia. Dopo la riforma del 2019 L’articolo 14, comma 3, L. 19 luglio 2019, n. 69, rubricato “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, ha modificato l’articolo in commento (comma 1-bis), estendendo a tutti i minori (e non solo agli infra sedicenni, come previsto prima della riforma) la disposizione che consente di ripetere l'esame probatorio solo se attinente a fatti o circostanze diversi da quelli che hanno già costituito oggetto di precedenti dichiarazioni.

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C.p.p. art. 191 Prove illegittimamente acquisite COMMENTO Testimonianza sotto ipnosi. Mancanza di motivazione nel decreto che autorizza le operazioni di intercettazione telefonica. Non è utilizzabile come prova la registrazione fonografica effettuata clandestinamente da personale della polizia giudiziaria e rappresentativa di colloqui intercorsi tra lo stesso ed i suoi confidenti o persone informate dei fatti o indagati (così Cassazione n. 36747 del 2003).

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C.p.p. art. 191 Prove illegittimamente acquisite GIURISPRUDENZA L'art. 191 c.p.p. nel prevedere l'inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita, si riferisce solamente al caso di prove assunte in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, cioè di prove in sé e per sé illegittime perché vietate, e non dell'assunzione di prove previste dalla legge (quale l'esame testimoniale) senza l'osservanza delle regole formali dettate per le modalità di acquisizione. La mancata osservanza delle formalità di acquisizione delle prove può porsi, eventualmente, sul piano della nullità della prova, sempre che tale sanzione sia prevista con riferimento alla singola violazione, in base al principio di tassatività delle nullità sancito dall'art. 177 c.p.p. (3460/1998, rv 210089). La regola dell'inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti di legge, dettata dall'art. 191 c.p.p., deve essere posta in relazione al principio di sovranità ed indipendenza degli Stati, in ragione del quale la validità degli atti processuali compiuti all'estero in base a convenzioni internazionali non può che essere apprezzata con riferimento alla legge del luogo di esecuzione, fatto salvo unicamente il limite costituzionale dell'eventuale contrasto della stessa con principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano (1173/1999, rv 212981). Sono inutilizzabili le riprese visive effettuate dalla polizia giudiziaria di sua iniziativa all'interno di un bagno sito in un locale pubblico, in assenza di autorizzazione da parte dell'A.G. (7063/2000, rv 217688). La legittimità dell'azione di contrasto che si sostanzia nel compimento di attività simulate (nella specie, si trattava di un'azione simulata prevista dall'articolo 14 della legge 3 agosto 1998, n. 269, in materia di prostituzione e pornografia minorile e turismo sessuale in danno di minori, autorizzata al fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti di cui all'articolo 600ter, commi 2 e 3, c.p.) deve essere valutata ex ante in relazione al momento in cui tale attività è disposta dall'autorità giudiziaria e non

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con riguardo all'esito delle investigazioni, con la conseguenza che, nel rispetto dell'anzidetta condizione, la scoperta di reati ulteriori o diversi da quelli per i quali l'azione di contrasto è stata autorizzata non rende inutilizzabili gli elementi probatori acquisiti durante l'operazione (da queste premesse, la Corte ha ritenuto utilizzabili gli elementi di prova emersi nel corso di un'attività simulata legittimamente autorizzata per un reato per il quale questa era consentita, che aveva portato ad apprezzare la sussistenza del diverso reato previsto dall'articolo 600 quater c. p, per il quale, all'epoca dei fatti, l'azione simulata non era consentita) (40036/2008). Il provvedimento con il quale il pubblico ministero ordina alla direzione del carcere l'esibizione della corrispondenza interessante il detenuto è illegittimo, quando è assunto in violazione delle norme dell'ordinamento penitenziario che disciplinano le forme e le garanzie per il “visto di controllo”, e da ciò deriva l'inutilizzabilità dei relativi risultati probatori, a norma dell'art. 191 comma 1 c.p.p. (47009/2009). Gli artt. 4 e 38 dello Statuto dei lavoratori implicano l'accordo sindacale a fini di riservatezza dei lavoratori nello svolgimento dell'attività lavorativa, ma non implicano il divieto dei cd. controlli difensivi del patrimonio aziendale da azioni delittuosi da chiunque provenienti. Pertanto, in tal caso, non si ravvisa inutilizzabilità ai sensi dell'art. 191 c.p.p. di prove di reato acquisite mediante riprese filmate, ancorché sia per ciò imputato un lavoratore subordinato (20722/2010). Il mancato deposito, unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio, di parte della documentazione relativa alle indagini espletate (nella specie, bobine e trascrizioni integrali delle intercettazioni), ovvero, che è lo stesso, l'impossibilità ingiustificata della parte di accedere a tale documentazione, non è causa di nullità della richiesta stessa, ma comporta soltanto l'inutilizzabilità, ai fini del rinvio, degli atti non trasmessi ovvero non tempestivamente messi a disposizione della parte (32362/2010). È inutilizzabile "erga omnes" quella parte della dichiarazione resa da soggetto, legittimamente sentito in origine come testimone o come persona informata sui fatti, dopo la confessione della propria compartecipazione al reato oggetto del giudizio (25834/2012).

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Le videoregistrazioni dell'impianto di sorveglianza apposto dalla persona offesa all'esterno del proprio negozio non possono essere considerate prove illegittimamente acquisite ai sensi dell'art. 191 c.p.p., trattandosi di prove documentali di cui il codice di rito espressamente consente l'acquisizione ai sensi dell'art. 234 c.p.p.. In tale contesto è del tutto irrilevante che le registrazioni siano state effettuate in conformità alle istruzioni del Garante per la Protezione dei dati personali, non costituendo la disciplina sulla privacy sbarramento all'esercizio dell'azione penale (6812/2013). Le prove precostituite, quali i documenti, entrano nel giudizio attraverso la produzione e nella decisione in virtù di un'operazione di semplice logica giuridica, essendo tali attività contestabili solo se svolte in contrasto con le regole, rispettivamente, processuali o di giudizio, che vi presiedono, senza che abbia rilievo una valutazione in termini di utilizzabilità, categoria propria del rito penale ed ignota al processo civile (7466/2013). Sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all'interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo a beneficio dei patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, perché le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non fanno divieto dei cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l'esistenza di un divieto probatorio (nella specie, il datore di lavoro aveva installato una telecamera nascosta nel suo negozio, dove risultavano degli ammanchi; dalle videoriprese era emerso che una dipendente, in più occasioni, si era impossessata di somme di denaro ricevute dai clienti) (2890/2015). L'ammissione di prove non tempestivamente indicate dalle parti nelle apposite liste non comporta alcuna nullità, né le prove in questione, dopo essere state assunte, possono essere considerate inutilizzabili, posto che l'art. 507 c.p.p. consente al giudice di assumere d'ufficio anche prove irregolarmente indicate dalle parti, ed in ogni caso non sussiste un divieto di assunzione che possa attivare la sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 191 c.p.p. (9379/2015). Il decorso del termine per il compimento delle indagini non può comportare l'invalidazione dell'atto di indagine compiuto dopo la scadenza, ma soltanto la inutilizzabilità - ad istanza di parte - della prova acquisita attraverso tale atto. (La Corte, nel cassare il provvedimento del giudice del riesame che aveva annullato il decreto di sequestro emesso tardivamente, ha altresì chiarito che la verifica sull'utilizzabilità è in ogni caso riservata al giudice che, sulla base delle prove acquisite in forza di detto decreto, abbia emesso un ulteriore provvedimento che la parte ritenga pregiudizievole) (9664/2015). Le dichiarazioni “sollecitate”, rese dall’indagato nell’immediatezza dei fatti ed in assenza di garanzie, a differenza di quelle “spontanee”, non sono in alcun

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modo utilizzabili, neanche a favore del dichiarante. (In motivazione, la Corte ha chiarito che resta salva l’utilizzabilità di tali dichiarazioni ai soli fini di prosecuzione delle indagini ai sensi dei commi 5 e 6 dell’art. 350 cod. proc. pen.) (3930/2017). L’annullamento del provvedimento di sequestro probatorio impedisce il mantenimento del vincolo sul bene, ma non l’utilizzabilità degli elementi acquisiti ai fini dell’emissione di un successivo decreto di sequestro preventivo, i quali non possono ritenersi prove illegittimamente acquisite ai sensi dell’art. 191 cod. proc. pen. (4887/2017). È legittima la testimonianza degli investigatori operanti “sotto copertura” su quanto hanno appreso dall’imputato nel corso dell’investigazione, posto che, nell’ambito dell’operazione svolta, sono stati soggetti partecipanti all’azione e non hanno agito come ufficiali di polizia giudiziaria con i poteri autoritativi e certificatori connessi alla qualifica. (Nel ribadire il principio, la Corte ha peraltro sottolineato che nella fattispecie, riguardante indagini per l’accertamento di reati in materia di stupefacenti, l’agente infiltrato non aveva neppure testimoniato su dichiarazioni direttamente resegli dall’imputato, limitandosi a riferire su un mero fatto storico avvenuto sotto la sua diretta percezione, quale la circostanza di aver assistito ad alcune affermazioni dell’imputato relative a possibili futuri acquisti di droga) (11572/2017). Le dichiarazioni accusatorie non verbalizzate, ma raccolte dalla polizia giudiziaria in una nota informativa, non sottoscritta dal dichiarante, devono considerarsi acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e ricomprese nell’ipotesi di inutilizzabilità di cui all’art. 191 c.p.p. Le dichiarazioni accusatorie, raccolte dalla polizia giudiziaria ma non documentate in verbale, quindi, possono essere utilizzate in fase di indagini preliminari, ma solo come indizio di reato e stimolo ed oggetto di ulteriori investigazioni, ma non sono suscettibili di utilizzazione dibattimentale. Una tale utilizzazione, pure ai limitati fini della contestazione di cui all’art. 503, comma 3, c.p.p. è possibile soltanto se le dichiarazioni siano state verbalizzate secondo quanto è richiesto dall’art. 357 c.p.p. (18285/2017). La registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita d’iniziativa della persona offesa dal reato, costituisce prova documentale ex art. 234 cod. proc. pen., utilizzabile in dibattimento, ma, nel caso in cui risulti accertato che detta registrazione presenta delle manipolazioni che rendono discontinua la conversazione, è necessaria una specifica valutazione della sua capacità probatoria, avuto riguardo alle ragioni della manipolazione medesima, e della attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, non essendo a tal fine sufficienti la mera conseguenzialità dei brani, né la loro concordanza con quanto riferito da quest’ultima (1422/2017). La scelta del giudizio abbreviato preclude all’imputato la possibilità di eccepire l’inutilizzabilità degli atti d’indagine compiuti fuori dai termini ordinari di inizio e fine delle indagini preliminari in quanto, non essendo equiparabile alla inutilizzabilità delle prove vietate dalla legge (all’art. 191 cod. proc. pen.), la stessa non è rilevabile d’ufficio ma solo su eccezione di parte, sicché essa non opera nel giudizio abbreviato. (In applicazione di tale principio

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la Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso relativo all’inutilizzabilità delle intercettazioni attivate prima dell’iscrizione del ricorrente nel registro degli indagati e proseguite dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari) (4694/2017). Non è invocabile la scriminante della giusta causa relativamente alla condotta di illecito impossessamento e successivo deposito in giudizio del contenuto della corrispondenza di proprietà della controparte, posto che tale attività non costituisce l’unico mezzo per contestare le pretese avversarie, ben potendosi utilizzare lo strumento processuale dell’ordine di esibizione diretto alla parte e al terzo (nella specie, in un giudizio di separazione uno dei due coniugi aveva prodotto la corrispondenza bancaria originariamente contenuta in busta chiusa e indirizzata esclusivamente all’altro coniuge) (952/2017). Sono inutilizzabili le dichiarazioni non verbalizzate né sottoscritte, rese dall’indagato alla polizia giudiziaria e da questa riportate in un’annotazione redatta ai sensi dell’art. 357, comma 1, c.p.p. (Fattispecie relativa ad utilizzazione delle dichiarazioni in sede cautelare in cui, in motivazione, la Corte ha precisato che anche nel caso in cui il dichiarante, non ancora raggiunto da indizi di reità, sia una persona informata sui fatti, l’omessa verbalizzazione delle sue dichiarazioni ne determina l’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 191 c.p.p., per violazione del divieto implicito stabilito dalla legge di acquisirle in assenza di formale verbalizzazione) (56995/2017). I risultati delle videoriprese effettuate per mezzo di telecamere installate dal datore di lavoro allo scopo di effettuare un controllo, all’interno del luogo di lavoro, a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei dipendenti, sono utilizzabili, ai fini probatori, nel processo penale nei confronti di un imputato che sia un dipendente dell’azienda. In tal caso, infatti, non si rientra nella fattispecie del “controllo a distanza” dell’attività dei lavoratori, vietato in assenza delle garanzie procedurali di cui all’art. 4 st. lav., ma in quella dei c.d. “controlli difensivi” finalizzati alla tutela del patrimonio aziendale, rispetto ai quali non si giustifica l’esistenza di un divieto probatorio. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la condanna per appropriazione indebita inflitta all’imputato sulla base di un quadro probatorio costituito da dichiarazioni testimoniali e videoriprese, ritenute pienamente utilizzabili dal giudice di merito, effettuate da una telecamera installata all’interno del luogo di lavoro) (4367/2017). La sanzione dell’inutilizzabilità prevista in via generale dall’art. 191 cod. proc. pen. si riferisce alle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e non a quelle la cui assunzione, pur consentita, sia avvenuta senza l’osservanza delle formalità prescritte, dovendosi applicare in tal caso la disciplina delle nullità processuali. (Fattispecie in cui è stata esclusa l’inutilizzabilità dell’esito dell’esame dell’indagato sentito inizialmente come persona informata dei fatti, nonostante fosse stato iscritto nel registro degli indagati il giorno precedente, considerata la presenza e assistenza di difensore d’ufficio e l’immediato e successivo avviso dato allo stesso della facoltà di astenersi) (9494/2018).

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In tema di giudizio abbreviato, le dichiarazioni rese nella fase di indagini preliminari da persona indagata per un procedimento connesso o collegato sono utilizzabili ai fini della decisione ancorché non precedute dall'avviso di cui all'art. 64, comma 3, lett. c), cod. proc. pen. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'inutilizzabilità derivante dall'inosservanza delle garanzie riservate all'indagato di reato connesso o collegato è limitata alle sole dichiarazioni rese nella qualità di testimone in dibattimento, presentando natura "fisiologica", non rilevabile, pertanto, a differenza di quella "patologica", in sede di giudizio abbreviato) (1914/2018). La mancata astensione dalla conduzione dell'indagine da parte del pubblico ufficiale che versa in situazione di conflitto di interessi non produce alcuna conseguenza sul piano processuale in termini di nullità degli atti o di inutilizzabilità degli elementi acquisiti, potendo incidere solo sulla attendibilità delle prove. (Fattispecie in tema di indagine relativa al Sindaco condotta dal comandante della locale Polizia Municipale, sottoposto a procedimento disciplinare) (5873/2019). Allorché i risultati di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni autorizzate con provvedimento motivato "per relationem" siano acquisiti in procedimento diverso da quello in cui furono disposte, la parte che ne eccepisce l'inutilizzabilità, per essere la relativa motivazione solo apparente, ha l'onere di produrre sia il decreto di autorizzazione sia il documento al quale esso rinvia, in modo da porre il giudice del procedimento "ad quem" in grado di verificare l'effettiva inesistenza, nel procedimento "a quo", del controllo giurisdizionale prescritto dall'art. 15 Cost. (11168/2019). L'inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini non è rilevabile d'ufficio, ma soltanto su eccezione di parte immediatamente dopo il compimento dell'atto o nella prima occasione utile, con la conseguenza che non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità (11168/2019). La trascrizione della registrazione di una deposizione testimoniale assunta nell'incidente probatorio non costituisce un mezzo di prova, né una attività di documentazione fornita di propria autonomia conoscitiva, rappresentando esclusivamente una mera operazione di trasposizione in segni grafici del contenuto della registrazione, non indispensabile ai fini della validità o della utilizzabilità della prova rappresentata. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che l'omesso o tardivo deposito di detta trascrizione, laddove depositata tempestivamente la registrazione, potesse determinare la violazione dell'art. 415-bis c.p.p., con conseguente nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio) (14726/2019). Lo smarrimento della fonoregistrazione relativa all'interrogatorio di persona in stato di detenzione non determina l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese, confluite nel verbale redatto in forma riassuntiva, non essendo tale evenienza in alcun modo equiparabile al mancato rispetto delle modalità di documentazione previste dall'art. 141-bis c.p.p. (15592/2019).

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C.p.p. art. 191 Prove illegittimamente acquisite COMMENTO Nel nostro sistema processuale il giudice non può formare il proprio convincimento sulla base di qualsiasi tipo di prova, ma può utilizzare soltanto le prove che sono state introdotte all'interno del procedimento penale nel rispetto di quanto disposto dalla legge. Da ciò discende che la violazione del principio di legalità della prova implica l'applicazione della sanzione processuale dell'inutilizzabilità (esempio), la quale opera non tanto nel momento dell'ammissione o dell'acquisizione della prova, quanto in quello della sua valutazione da parte del giudice ed è rilevabile, senza preclusioni temporali, dalle parti e dal giudice in ogni stato e grado della vicenda processuale.. L'inosservanza delle formalità prescritte dalla legge ai fini della legittima acquisizione della prova nel processo non è, di per sé, sufficiente a rendere quest'ultima inutilizzabile, per effetto di quanto disposto dal primo comma della norma in esame. Ed, invero, quest'ultima norma, se ha previsto l'inutilizzabilità come sanzione di carattere generale, applicabile alle prove acquisite in violazione ai divieti probatori, non ha, per questo, eliminato lo strumento della nullità, in quanto le categorie della nullità e della inutilizzabilità, pur operando nell'area della patologia dei mezzi istruttori, restano distinte e autonome, siccome correlate a diversi presupposti, la prima attenendo sempre e soltanto all'inosservanza di alcune formalità di assunzione della prova, vizio che non pone il procedimento formativo o acquisitivo completamente al di fuori del parametro normativo di riferimento, ma questo non rispetta in alcuni dei suoi peculiari presupposti, la seconda presupponendo, invece, la presenza di una prova “vietata” per la sua intrinseca illegittimità oggettiva, ovvero per effetto del procedimento acquisitivo, la cui manifesta illegittimità lo pone certamente al di fuori del sistema processuale (così Cassazione n. 5021 del 1996). L'orientamento giurisprudenziale prevalente sostiene, inoltre, che l'acquisizione o l'assunzione di una prova secondo procedure differenti da quelle legalmente stabilite, potrebbe anche configurare, qualora ne sussistano i presupposti, il minor vizio della irregolarità. L’art. 2, L. 14 luglio 2017, n. 110 (Introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano) ha aggiunto il comma 2-bis all’articolo in commento che prevede il principio dell'inutilizzabilità, nel processo penale, delle dichiarazioni eventualmente ottenute per effetto di tortura. La norma fa eccezione a tale principio solo nel caso in cui tali dichiarazioni vengano utilizzate contro l'autore del fatto e solo al fine di provarne la responsabilità penale.

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C.p.p. art. 192 Valutazione della prova COMMENTO Le dichiarazioni rese dai correi all'agente sotto copertura non devono essere valutate ai sensi dei commi 3 e 4 dell'articolo in commento, anche se non è precluso al giudice di merito di ricorrere a tale canone di valutazione delle propalazioni “contra alios” (così Cassazione n. 38488 del 2008).

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C.p.p. art. 192 Valutazione della prova GIURISPRUDENZA La regola enunciata dall'art. 192, comma secondo, c.p.p., in base al quale “l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi” – ancorata, sul piano razionale, all'equivocità ontologicamente propria degli indizi, che, secondo la logica corrente, ordinariamente ispirata al generalissimo principio di causalità, sul quale si fonda il procedimento conoscitivo in qualsiasi ramo dello scibile, e che fa sì che gli indizi possano essere posti in rapporto di causalità, diretta od inversa, con una molteplicità o, al limite, con una duplicità di cause o di effetti – sta a significare che l'indizio è, di per sé, isolatamente considerato, inidoneo ad assicurare l'accertamento dei fatti. Esso acquista valore di prova solo se e quando ricorra l'eccezione espressa dal legislatore nella proposizione subordinata, vale a dire quando plurimi indizi, riferibili ciascuno in sé e partitamente considerato ad una molteplicità di cause o di effetti, possano essere tutti significativamente riferiti ad una sola causa e ad un solo effetto loro comune. Nella prassi, dunque, a fronte di una pluralità di indizi, il giudice deve procedere in primo luogo all'esame parcellare di ciascuno di essi, identificandone tutti i collegamenti logici possibili ed accertandone, quindi, la gravità, che è inversamente proporzionale al numero di tali collegamenti, nonché la precisione, che è direttamente proporzionale alla nitidezza dei suoi contorni, alla chiarezza della sua rappresentazione, alla fonte diretta o indiretta di conoscenza dalla quale deriva, all'attendibilità di essa. Deve, da ultimo procedere alla sintesi finale accertando se gli indizi esaminati sono concordanti, cioè se possono essere collegati ad una sola causa o ad un solo effetto e collocati tutti, armonicamente, in unico contesto, dal quale, secondo la legge ed ancor prima, secondo la logica, è possibile desumere l'esistenza o, per converso, l'inesistenza di un fatto (736/1995, rv 201109). Poiché l'espressione “chiamata in correità” è estranea alla terminologia usata dal codice di procedura penale, che all'art. 192 c.p.p. menziona, quali autori delle dichiarazioni ivi disciplinate, il

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coimputato del medesimo reato in relazione al quale rende dichiarazione, senza distinzione tra l'ipotesi che di esso si riconosca colpevole oppure no, e la persona imputata in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 c.p.p., la differenza tra dichiarazioni accusatorie che siano al tempo stesso pienamente confessorie e dichiarazioni prive di tale seconda valenza assume rilievo solo nell'ambito della valutazione della prova, riservata alla discrezionalità del giudice di merito (1079/1995, rv 201240). In tema di processi indiziari, alla Corte di Cassazione spetta soltanto il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione degli indizi; la verifica sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per qualificare l'elemento indiziario, ma non un nuovo accertamento, nel senso della ripetizione dell'esperienza conoscitiva del giudice del merito. Ne discende che l'esame della gravità, precisione e concordanza degli indizi da parte del giudice di legittimità è semplicemente controllo sul rispetto, da parte del giudice di merito, dei criteri dettati dal legislatore in materia di valutazione delle prove dall'art. 192 c.p.p., controllo seguito con il ricorso ai consueti parametri della completezza, della correttezza e della logicità del discorso motivazionale (1343/1995, rv 200238). Se è vero che la sola chiamata di correo non è sufficiente per pervenire ad un giudizio di colpevolezza, è anche vero che il riscontro probatorio estrinseco non deve avere la consistenza di una prova sufficiente di colpevolezza, essendo necessario, invece, che chiamata di correo e riscontro estrinseco si integrino reciprocamente e, soprattutto, formino oggetto di un giudizio complessivo (1493/1995, rv 200878). Può attribuirsi piena efficacia probatoria alla testimonianza della persona offesa dal reato qualora ne sia accertata l'intrinseca coerenza logica, anche quando essa costituisca l'unica prova e manchino elementi esterni di riscontro (4147/1995, rv 201251). Il fatto notorio non richiede, pure in tema di valutazione indiziaria, la verifica del “probandum”, qualificandosi come tale ogni dato che può essere facilmente asseribile perché corrispondente a cognizioni comuni, storiche o “de rerum natura”. Ma tale non può certo qualificarsi un'intervista rilasciata ad un quotidiano locale, non potendo dirsi che detta circostanza risulti

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acquisita dalla collettività locale con grado tale di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile ed occorrendo, comunque, per essa l'accertamento in concreto della provenienza, della genuinità, della fedeltà e della completezza delle dichiarazioni rilasciate al giornalista (4401/1995, rv 200665). Le lacune narrative dei collaboratori di giustizia intorno ad un fatto non si possono colmare con supposizioni. In tal modo, infatti, non solo si trascurerebbe il fattore, che la dichiarazione esaminata è tanto incompleta da essere, di per sé stessa, insufficiente per la rappresentazione storica del fatto, – onde sarebbe impossibile attribuirgli una valenza se non certa anche solo probabile –, ma si elude il dovere di verificare l'attendibilità oggettiva del dichiarante (4413/1995, rv 202660). Il riscontro di una chiamata in correità può essere costituito anche da un'altra chiamata che risulti autonoma e convergente (4941/1995, rv 201248). In tema di valutazione della prova, gli alibi falsi o compiacenti – in quanto rivelatori della mala fede dell'imputato – costituiscono indizio, da valutare a carico dell'imputato stesso, unitamente agli altri elementi di prova (5842/1995, rv 201331). La latitanza di per sé non può costituire prova o indizio a carico dell'imputato, ma in unione ad altri elementi può essere tenuta presente quale comportamento “post delictum”, nella formazione del convincimento del giudice, dovendosi però distinguere il caso di chi si dia alla fuga prima che contro di lui sia stata mossa alcuna accusa, nel quale l'irreperibilità e la successiva latitanza acquistano un valore sintomatico, dal caso di chi si dia alla fuga sapendo che contro di lui è stato emesso un provvedimento restrittivo, nel quale alla latitanza non può darsi alcun valore probatorio, ben potendo anche un innocente darsi alla fuga per sottrarsi alla carcerazione preventiva (5890/1995, rv 201337). In tema di valutazioni probatorie, la causale (o movente) – in quanto elemento orientativo della ricerca della prova – costituisce valido elemento sussidiario in presenza di una situazione di incertezza probatoria; ne consegue che l'individuazione della causale stessa non è indispensabile quando sia stata raggiunta la prova certa della responsabilità dell'imputato (6024/1995, rv 201431).

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Una ricognizione personale soggettivamente certa ed oggettivamente attendibile è prova sufficiente per l'affermazione della responsabilità; essa può essere inficiata da dati certi idonei a contrastarla, ma non da mere supposizioni né da un alibi rimasto sfornito di prova e la cui prova sia ritenuta dubbia (10141/1995, rv 202767). Nei processi indiziari deve ritenersi rilevante, ai fini dell'accusa, l'accertamento della causale del delitto, non già quale ulteriore indizio, ma quale elemento di raccordo e di potenziamento della efficienza probatoria degli indizi; tale obbligo di accertamento della causale, per il giudice di merito, si attenua, peraltro, in misura proporzionale alla ritenuta gravità, precisione e concordanza degli indizi e, quindi, alla loro complessiva efficienza probatoria (12422/1995, rv 203348). Nell'ordinamento penale non esiste un principio di legalità della prova ma di legalità della valutazione della prova che è soddisfatta sia dal procedimento di formazione della prova critica sia da quello di verifica della chiamata di correo (2524/1996, rv 204576). L'accertata inattendibilità di un contesto ritrattatorio non vale di per sé ad attribuire alle originarie accuse di un coimputato valore probatorio a prescindere dalle regole valutative imposte dalla natura del mezzo ed in particolare dall'art. 192, comma terzo, c.p.p.; il giudice cioè, pur a fronte di un suddetto contesto, non è esonerato dall'indagine relativa all'attendibilità intrinseca ed estrinseca della primitiva dichiarazione, indagine che anzi, proprio alla luce della comunque rilevata mancanza di costanza da parte dell'accusatore, si impone come particolarmente accurata e rigorosa (5533/1996, rv 205016). La ritrattazione non costituisce elemento in grado di escludere l'attendibilità intrinseca del chiamante in correità, purché il giudice di merito, con congrua motivazione, dia conto del mutamento della posizione del dichiarante ovvero allorché risulti l'assoluta inattendibilità delle “controdichiarazioni” (7627/1996, rv 206583). La causale del delitto, rigorosamente argomentata, può costituire elemento di riscontro individualizzante ad una chiamata in correità intrinsecamente attendibile (7627/1996, rv 206586). Perché possa parlarsi di “doppia chiamata” in correità è necessaria una convergenza in ordine allo specifico fatto materiale

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oggetto del narrato (7627/1996, rv 206589). La valutazione delle dichiarazioni confessorie dell'imputato ai fini del giudizio di responsabilità a suo carico deve essere condotta e motivata in base ai criteri indicati nel primo comma dell'art. 192 c.p.p., poiché essa si distingue nettamente dalla valutazione della contestuale chiamata in correità effettuata dal medesimo imputato, per la cui valenza probatoria, secondo il disposto del terzo comma dell'art. 192 c.p.p. predetto, non basta la credibilità dell'autoincolpazione in quanto tale, ma occorrono riscontri esterni che suffraghino l'assunto accusatorio del confidente. Ne consegue che la confessione può essere posta a base del giudizio di colpevolezza nell'ipotesi in cui il giudice ne abbia favorevolmente apprezzato la veridicità, la genuinità e l'attendibilità, fornendo le ragioni per cui debba respingersi ogni intento autocalunniatorio o di intervenuta costrizione del soggetto (8724/1996, rv 205873). In tema di attendibilità intrinseca della chiamata in correità, il requisito del disinteresse costituisce uno solo dei criteri con i quali si misura l'affidabilità della chiamata, di talché, come la sua presenza non può portare automaticamente a ritenere la stessa attendibile, così la sua assenza non conduce necessariamente ad escluderla. Infatti, la presenza di un interesse nel chiamante, alimentando il sospetto che le sue dichiarazioni ne risultino influenzate, deve indurre il giudice a usare una maggiore cautela, accertando, da un lato, se e quanto quell'interesse abbia inciso sulle dichiarazioni e, dall'altro, applicando con il massimo scrupolo gli altri parametri di valutazione offerti dalla esperienza e dalla logica (7322/1997, rv 209740). La valutazione del contenuto della dichiarazione del minore – parte offesa – in materia di reati sessuali, in considerazione delle complesse implicazioni che la materia stessa comporta, deve contenere un esame: dell'attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto; della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne. Proficuo è l'uso dell'indagine psicologica, che concerne due aspetti fondamentali: l'attitudine del bambino a testimoniare, sotto il profilo intellettivo ed affettivo, e la sua credibilità. Il primo consiste nell'accertamento della sua capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione

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complessa, da considerare in relazione all'età, alle condizioni emozionali, che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari. Il secondo – da tenere distinto dall'attendibilità della prova, che rientra nei compiti esclusivi del giudice – è diretto ad esaminare il modo in cui la giovane vittima ha vissuto ed ha rielaborato la vicenda in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna. In ogni caso bisogna evitare ogni trauma ulteriore, non strettamente ed assolutamente indispensabile (8962/1997, rv 208447). Ai fini della formazione del convincimento del giudice, non è possibile considerare elemento a carico dell'imputato, e assumere così la rilevanza di indizio idoneo a sorreggere una dichiarazione indiretta priva di ulteriori riscontri, la mancata coltivazione di un alibi equiparando la mancata coltivazione alla prova positiva della sua falsità (11957/1997, rv 209649). Possono assumere rilievo probatorio in un procedimento gli elementi già considerati in altro procedimento, relativo ad un reato concorrente dal quale l'imputato è stato assolto, non sussistendo al riguardo alcuna preclusione ed anzi trattandosi di fatti certi e provati, in quanto coperti da un giudicato, e quindi utilizzabili (3241/1998, rv 210682). In tema di criminalità organizzata di tipo mafioso la qualificazione di un soggetto come “uomo d'onore”, proveniente da un appartenente ad una famiglia mafiosa, ha indubbiamente il valore di una “notitia criminis” ma, perché possa perdere la propria connotazione di generica dichiarazione verbale ed assurgere a dignità di prova alla stregua dei criteri fissati dall'art. 192 c.p.p., così da contribuire alla formazione non arbitraria del libero convincimento del giudice, deve essere assistita, al pari di ogni indizio, dall'acquisizione di altri elementi probatori, di qualunque natura (dati di fatto o concrete regole di condotta, quali la rete di rapporti interpersonali, i contatti, le cointeressenze), obiettivamente ed in maniera univoca apprezzabili come rafforzarsi dell'anzidetta “notitia criminis” ed idonei a “storicizzare” l'accusa nei confronti di ogni chiamato (5998/1998, rv 210992). In tema di rilevanza dei risultati di indagini storico-sociologiche ai fini della valutazione, in sede giudiziaria, dei fatti di criminalità di stampo mafioso, il giudice deve tener conto, con la dovuta

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cautela, anche dei predetti dati come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori, dopo averne vagliato, caso per caso, l'effettiva idoneità ad essere assunte ad attendibili massime di esperienza e, principalmente, dopo avere ricostruito, sulla base dei mezzi di prova a sua disposizione, gli specifici e concreti fatti che formano l'oggetto del processo (84/1999, rv 212579). Le dichiarazioni di un testimone, per essere positivamente utilizzate dal giudice, devono risultare credibili, oltre ad avere per oggetto fatti di diretta cognizione e specificamente indicati; sicché, contrariamente ad altre fonti di conoscenza – come le dichiarazioni rese da coimputati o da imputati di reati connessi – esse non abbisognano di riscontri esterni, l'eventuale ricorso ai quali è funzionale soltanto al vaglio di credibilità del testimone (6502/1999, rv 212459). In virtù del principio della cosiddetta “frazionabilità” delle dichiarazioni rese da chiamanti in correità, l'attendibilità della dichiarazione accusatoria, anche se negata per una parte del racconto, non ne coinvolge necessariamente quelle che reggano alla verifica del riscontro (2884/2000, rv 215505). In tema di sindacato del giudice di legittimità sulla valutazione delle chiamate di correo operata dal giudice di merito, detto sindacato non può né deve investire detta valutazione ma limitarsi alla correttezza formale del provvedimento impugnato e, quindi, al riscontro del vaglio critico operato dal giudice di merito al fine di verificarne l'attendibilità non solo per i requisiti intrinseci che rendono di per sé credibili le propalazioni accusatorie, ma anche sulla base di obiettivi riscontri esterni, assolvendosi così al dettato normativo dell'art. 192 c.p.p. (1173/2000, rv 216528). In tema di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, la prova logica costituisce il fondamento della prova dell'esistenza del vincolo associativo. Ed invero, occorre procedere all'esame delle condotte criminose, ciascuna delle quali può non essere dimostrativa del vincolo associativo: sicché solo attraverso un ragionamento logico può desumersi correttamente che le singole intese dirette alla conclusione dei vari reati costituisce espressione del programma delinquenziale, oggetto della stessa associazione (1631/2000, rv 216263).

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Sono utilizzabili in sede penale le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa, anche se costituita parte civile, atteso che, a differenza di quanto previsto nel processo civile circa l'incapacità a deporre del teste che abbia la veste di parte, il processo penale risponde all'interesse pubblicistico di accertare la responsabilità dell'imputato, e non può di conseguenza essere condizionato dall'interesse individuale rispetto ai profili privatistici (sia nella medesima sede penale, in ipotesi di costituzione di parte civile, sia nella diversa sede processuale, in ipotesi di successiva citazione a giudizio) connessi al risarcimento del danno provocato dal reato (694/2001, rv 217886). In tema di valutazione della prova, l'elemento di riscontro oggettivo ed esterno dell'attendibilità della chiamata in correità, richiesto dall'art. 192, terzo comma, c.p.p., può essere costituito anche dalla deposizione testimoniale resa dal terzo in ordine a circostanze apprese direttamente dal dichiarante, quando quest'ultima apporti autonomi elementi di prova circa l'attendibilità del chiamante diretto sul “thema probandum”, cioè sul fatto di cui all'imputazione (937/2002, rv 220384). In tema di dichiarazioni provenienti da un collaboratore di giustizia che abbia militato all'interno di un'associazione di tipo mafioso o comunque di un'associazione per delinquere fortemente strutturata, occorre tenere distinte le informazioni che lo stesso sia in grado di rendere in quanto riconducibili ad un patrimonio cognitivo comune a tutti gli associati di quel determinato sodalizio dalle ordinarie dichiarazioni de relato, che non sono utilizzabili se non attraverso la particolare procedura prevista dall'articolo 195 c.p.p.. Infatti, nel primo caso, l'impossibilità di esperire l'anzidetta procedura rende le stesse propalazioni meno affidabili e, come tali, inidonee, di per sé, a giustificare un'affermazione di colpevolezza; peraltro, tali dichiarazioni possono assumere valore probatorio a condizione che siano supportate da validi elementi di verifica in ordine al fatto che la notizia riferita costituisca, davvero, oggetto di patrimonio conoscitivo comune, derivante da un flusso circolare di informazioni attinenti a fatti di interesse comune per gli associati, in aggiunta ai normali riscontri richiesti per le propalazioni dei collaboratori di giustizia (38906/2005).

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In tema di valutazione della chiamata in correità, gli elementi di riscontro possono consistere anche in altra chiamata in correità, purché autonoma rispetto alla prima, dovendosi in proposito rilevare che l'eventuale sussistenza di “smagliature” e “discrasie”, anche di un certo peso, rilevabili all'interno di dette dichiarazioni, non implica, di per sé, il venir meno della loro affidabilità, quando, sulla base di adeguata motivazione, risulti dimostrata la complessiva convergenza di esse nei nuclei fondamentali (20371/2006). Anche dopo le modifiche introdotte dal D.L. n. 117 del 2007 (conv. nella L. n. 160 del 2007), il principio per cui lo stato di ebbrezza del conducente di un veicolo può essere affermato sulla base dei soli dati sintomatici esterni accertati dagli operatori (quali l'alito vinoso, l'alterazione della deambulazione, l'eloquio sconnesso ed altri) rimane valido, ancorché la diversa formulazione della fattispecie seguita all'intervento legislativo consenta ora di escludere la necessità di un accertamento tecnico del livello effettivo di alcol nel sangue esclusivamente con riguardo alla meno grave delle ipotesi previste dall'art. 186 cod. strad., quella di cui al comma 2 lett. a) (19486/2008). In tema di valutazione della prova, giusta il principio di cui all'art. 192 c.p.p., non può dirsi adempiuto l'onere della motivazione ove il giudice si limiti ad una mera considerazione del valore autonomo dei singoli elementi probatori, senza pervenire a quella valutazione unitaria della prova la quale assurge a rango di principio cardine del processo penale. Viola tale principio il giudice che parcellizzi la valenza significativa di ciascun elemento probatorio, analizzandolo e valutandolo separatamente e in modo atomizzato dall'intero contesto probatorio, astenendosi dalla formulazione di un giudizio logico complessivo dei dati forniti dalle risultanze processuali, che tenga conto non solo del valore intrinseco di ciascun dato, ma anche e soprattutto delle connessioni tra essi esistenti. Ciò vale in modo particolare con riferimento ad una tipologia di reato che sia contrassegnato da una condotta finalizzata alla conservazione e al rafforzamento di un'associazione criminosa, desumibile, considerata proprio la struttura della condotta stessa, da una serie di elementi che soltanto attraverso una valutazione

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complessiva possono, almeno di norma, assumere il carattere della specificità (39866/2010). In sede di legittimità è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (11189/2012). In tema di reati associativi, il "thema decidendum" riguarda la condotta di partecipazione o direzione, con stabile e volontaria compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio: ne consegue che le dichiarazioni dei collaboratori o l'elemento di riscontro individualizzante non devono necessariamente riguardare singole attività attribuite all'accusato, giacché il "fatto" da dimostrare non è il singolo comportamento dell'associato bensì la sua appartenenza al sodalizio. (Fattispecie nella quale il ricorrente, chiamato in correità da parte di un collaboratore di giustizia, lamentava che quest'ultimo non avesse fatto riferimento ad alcuno specifico reato-fine) (23387/2012). La disposizione contenuta nell'art. 192, comma 3, c.p.p. si applica esclusivamente alle dichiarazioni procedimentali non estendendosi al contenuto delle intercettazioni, non riguardando il principio enunciato nell'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, neppure nella forma elaborata dall'interpretazione convenzionalmente orientata dell'art. 512 c.p.p., la materia (31064/2012). Le regole dettate dall'art. 192 comma terzo cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (In motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia altresì costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi) (41461/2012).

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Ai fini dell'adozione della misura cautelare personale è sufficiente un qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono pertanto essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall'art. 192, comma 2, c.p.p., non richiamato dall'art. 273 comma 1 bis, c.p.p. il quale, invece, rinvia solo ai commi 3 e 4 dell'art. 192 c.p.p. (11957/2014). In tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d'esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova solo se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza più verosimile. (Nella specie - relativa ad un'ipotesi di peculato per l'emissione di assegni circolari in favore di uno degli imputati previa consegna, alla banca emittente, di assegni bancari di privati recanti il timbro "per conoscenza e garanzia" di un Comando Generale dei Carabinieri la S.C. ha annullato, per vizio di motivazione, la sentenza di condanna che aveva ricondotto l'emissione degli assegni circolari all'avvenuto esborso di danaro pubblico, osservando che non era stata superata la plausibilità logica della ricostruzione alternativa offerta dalla difesa, secondo cui la predetta emissione era avvenuta a fronte del solo rilascio degli assegni bancari e non anche del versamento di denaro pubblico) (49029/2014). Le dichiarazioni accusatorie rese da due collaboranti possono anche riscontrarsi reciprocamente, a condizione che si proceda comunque alla loro valutazione unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilità, in maniera tale che sia verificata la concordanza sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi (7643/2014). In tema di testimonianza indiretta, qualora la persona alla quale il testimone ha fatto riferimento sia stata chiamata a deporre e non abbia risposto, ovvero abbia fornito una versione contrastante, il giudice può ritenere attendibile, all'esito di una valutazione improntata a speciale cautela, la deposizione del teste "de relato" in quanto, da un lato, l'art. 195 c.p.p. non prevede alcuna gerarchia tra le dichiarazioni e, dall'altro, una diversa soluzione contrasterebbe con il principio del libero convincimento del giudice, cui compete in via esclusiva la scelta critica e motivata della versione dei fatti da privilegiare (529/2015). In tema di valutazione della prova testimoniale, l'attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di

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legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (7667/2015). In tema di intercettazioni disposte in procedimenti diversi, l'utilizzazione dei risultati intercettativi è consentita quando sono indispensabili non solo all'accertamento del fatto reato, ma anche con riferimento all'intera imputazione, compresi i fatti relativi alla punibilità, alla determinazione della pena, alla qualificazione del reato in rapporto alle circostanze attenuanti o aggravanti, ed anche quando l'indispensabilità è in funzione di riscontro a dichiarazioni accusatorie. (Fattispecie in materia di estorsione, in cui le intercettazioni sono state ritenute indispensabili quale riscontro alle dichiarazioni accusatorie rese dalle persone offese) (12625/2015). In tema di contestazioni dibattimentali, nel caso in cui il teste dichiari di non ricordare il fatto o la circostanza su cui viene esaminato, affermando, solo a seguito della contestazione, che, pur non avendone attuale ricordo, quanto dichiarato in precedenza è sicuramente vero, non si applica la disciplina in tema di utilizzabilità delle dichiarazioni acquisite a seguito di contestazioni, ma solo le regole generali in ordine alla valutazione dell'attendibilità del dichiarante (13927/2015). Le dichiarazioni della parte civile devono essere opportunamente ed attentamente vagliate, ma ciò non significa che la testimonianza in questione goda di per sé di una sfiducia tale da dover essere in qualche modo riscontrata o confermata punto per punto da prove oggettive o da altre fonti personali (17062/2016). Anche l’assenza dell’imputato al processo può essere valutata dal giudice come elemento di prova (154/2017). La chiamata in correità o in reità “de relato” asseverata dalla fonte primaria, essendo sprovvista di rilevanza probatoria autonoma rispetto a quest’ultima, può soltanto avvalorare la credibilità soggettiva (4455/2017). In tema di associazione di tipo mafioso, la mera frequentazione di soggetti affiliati al sodalizio criminale per motivi di parentela, amicizia o rapporti d’affari ovvero la presenza di occasionali o sporadici contatti in occasione di eventi pubblici e in contesti territoriali ristretti non costituiscono elementi di per sé sintomatici dell’appartenenza all’associazione, ma possono essere utilizzati come riscontri da valutare ai sensi dell’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. quando risultino qualificati da abituale o significativa reiterazione e connotati dal necessario carattere individualizzante (6272/2017). Ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. - che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi - non richiamato dall’art. 273 comma primo bis, cod. proc. pen. (6660/2017).

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Il principio di necessaria riassunzione in appello della prova dichiarativa, la cui diversa e positiva valutazione di attendibilità abbia determinato la riforma della decisione assolutoria di primo grado e la pronuncia di una sentenza di condanna, non si applica nell’ipotesi di motivazione generica della sentenza del primo giudice, che non contenga valutazioni specifiche sull’attendibilità delle dichiarazioni utilizzate, ma si limiti a riportarne il contenuto, dovendo ritenersi, in tal caso, che difetti il presupposto applicativo del principio, e cioè l’esistenza di una effettiva valutazione negativa sull’attendibilità della prova dichiarativa da parte del giudice di primo grado (12783/2017). Al giudice non è preclusa la valutazione della condotta processuale dell’imputato, unitamente ad ogni altra circostanza sintomatica, di modo che egli, nella formazione del suo libero convincimento, ben può considerare, in concorso di altre risultanze, la portata significativa di comportamenti processuali incidenti su profili probatori determinanti. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito, che avevano considerato raggiunta la prova in ordine all’individuazione dell’imputato quale coautore del fatto, sommando al dato delle sue relazioni con gli altri imputati, emerse dalle intercettazioni telefoniche, quello della sua mancata presenza al dibattimento) (16563/2017). In tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, qualora una chiamata in correità riguardi la condotta di partecipazione al sodalizio o di direzione dello stesso, un riscontro esterno individualizzante - idoneo, ai sensi dell’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. a conferire alla chiamata valore di prova -, è costituito dalla partecipazione del singolo chiamato alla consumazione dei delitti fine dell’associazione, atteso che, attraverso tale condotta, si manifesta il ruolo effettivo e dinamico del singolo nel gruppo criminale, e, quindi, la sua adesione ad esso (18940/2017). La valutazione operata dal giudice di merito sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova e la scelta compiuta sulla prevalenza da accordare ad alcuni elementi probatori piuttosto che ad altri per giungere al proprio libero convincimento, salvo che non sia caratterizzata da affermazioni apodittiche o illogiche, è insindacabile in sede di legittimità. (Nel caso di specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato avverso la sentenza della corte d’appello, che lo aveva condannato per concorso in rapina e porto abusivo di armi, considerando valida e rituale l’identificazione effettuata dalla persona offesa mediante il social network Facebook) (45090/2017). Le dichiarazioni della persona offesa, cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192 comma 3 c.p.p., non necessitano di riscontri esterni, a condizione che venga adeguatamente verificata la credibilità soggettiva della vittima del reato e l’attendibilità del suo racconto, che deve essere caratterizzato da linearità e ricchezza di contenuto. (Nel caso di specie, relativo al reato di cui all’art. 572 c.p., la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza con la quale il giudice di merito aveva ricostruito il quadro probatorio riportando in motivazione, nei loro analitici contenuti, le dichiarazioni con le quali la persona offesa aveva descritto una serie di episodi di aggressione fisica, riscontrati tra l’altro da due certificati medici) (46402/2017).

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Le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (18285/2018). In tema di valutazione dell’attendibilità della persona offesa costituita parte civile, le cui dichiarazioni possono essere poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, è richiesto un vaglio particolarmente rigoroso nel caso in cui una parte del narrato, riferita ad alcuni fatti, sia ritenuta inattendibile, e deve ritenersi illegittima la valutazione frazionata di tali dichiarazioni ove la parte ritenuta inattendibile sia imprescindibile antecedente logico dell’altra parte (21886/2018). Gli esiti delle indagini tecnico-scientifiche eseguite sul DNA hanno dignità di piena prova, e non di mero elemento indiziario ex art. 192, comma 2, c.p.p.; pertanto, sulla sola loro base bene può essere affermata la penale responsabilità dell'imputato nelle eventualità in cui la relativa traccia genetica sia stata rinvenuta in una posizione specifica e significativa, che sia tale da escludere qualsivoglia ipotesi di contaminazione casuale del mezzo di prova (52872/2018). La circostanza aggravante della premeditazione, oggetto di prova, ex art. 187 c.p.p. e, pertanto, assoggettata alle regole di valutazione stabilite nell'art. 192, comma 2, del codice di rito, può essere dimostrata anche con il ricorso alla prova logica, sulla scorta degli indizi ricavabili dalle modalità del fatto, dalle circostanze di tempo e luogo, dal concorso di più persone con ripartizione dei ruoli e dalla natura del movente; non è, invece, necessario stabilire con assoluta precisione il momento in cui è sorto il proposito criminoso o quello in cui l'accordo è stato raggiunto, essendo sufficiente che gli elementi indiziari suddetti siano gravi, precisi e concordanti e che, globalmente valutati, consentano di risalire, in termini di certezza processuale, al requisito di natura cronologica e a quello di natura ideologica, in cui si sostanzia la premeditazione (3542/2018). In tema di valutazione delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia già esaminato in altro procedimento, il giudice, pur non essendo vincolato dalle valutazioni positive espresse in precedenti sentenze irrevocabili, deve, comunque, tenerne conto fornendo una puntuale motivazione ove intenda discostarsi dal precedente giudizio (8218/2019). Ai fini della valutazione della credibilità delle dichiarazioni rese dalla vittima di violenza sessuale, il giudice non può dar rilievo al suo aspetto fisico, trattandosi di elemento del tutto irrilevante e non decisivo per vagliarne l'attendibilità. Qualora il giudice di appello riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna emessa in primo grado, pur non avendo l'obbligo, di rinnovare, l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno fornito dichiarazioni ritenute decisive, deve offrire una motivazione adeguata e

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puntuale che giustifichi in maniera razionale la difforme conclusione adottata (15683/2019).

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C.p.p. art. 192 Valutazione della prova COMMENTO Per facilitare la comprensione di una norma fondamentale come quella in esame, conviene operare dapprima una breve sintesi generale, per poi analizzarla nelle sue singole parti. Essa disciplina innanzitutto (primo comma) l'utilizzazione della “prova”, cioè di una risultanza di per sé idonea a dimostrare una situazione o una circostanza che il giudice “valuta”, riconoscendole o negandole attendibilità. Considera poi gli “indizi” (secondo comma) stabilendo che se gravi, precisi e concordanti, essi sono idonei a far “desumere” l'esistenza di un fatto e perciò assumono valore di prova. Infine regola l'utilizzazione dei peculiari “elementi di prova” costituiti dalle dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso (terzo comma) condizionandone la valenza istruttoria al riscontro esterno, cioè alla sussistenza di altri elementi di prova in grado di corroborarne l'attendibilità. In particolare, dall'espressione “altri elementi di prova” si deduce che il legislatore considera la dichiarazione del correo “elemento di prova” e che l'elemento di conferma è della stessa specie, cioè bisognoso di riscontro esterno (così Cassazione n. 7561 del 1993). Scendendo nel dettaglio, il primo comma riconosce come principio base in tema di valutazione della prova quello del libero convincimento del giudice, per il quale l'organo giudicante non è tenuto a dare una valutazione obbligata della risultanza sottoposta al suo vaglio, potendola, viceversa, liberamente apprezzare, pur dovendo specificare le ragioni delle proprie determinazioni nella motivazione. La giurisprudenza sostiene che nella valutazione della prova il giudice deve prendere in considerazione ogni singolo fatto ed il loro insieme non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, verificando se essi, ricostruiti in sé e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale, cioè la verità limitata, umanamente accertabile e umanamente accettabile del caso concreto (così Cassazione n. 8314 del 1996). Il tutto tenendo presenti soltanto le prove che sono state ammesse o acquisite al processo in modo legittimo e dunque prive del vizio della inutilizzabilità. Corollario di quanto premesso è, come sopra anticipato, l'obbligo della motivazione dei provvedimenti emessi dal giudice, il quale se può essere considerato limite al libero apprezzamento dell'organo giudicante, costituisce senza dubbio una garanzia che permette di verificare qual è stato il percorso logico seguito per dare alla decisione un determinato contenuto. Il secondo comma sancisce, invece, una deroga al principio del libero convincimento del giudice, perché stabilisce che un fatto non può essere provato

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soltanto sulla base di semplici indizi, a meno che questi non siano gravi, precisi e concordanti. L'indizio è un fatto certo dal quale, per inferenza logica basata su regole di esperienza consolidate ed affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare secondo lo schema del cosiddetto “sillogismo giudiziario”. È possibile che da un fatto accertato sia logicamente desumibile una sola conseguenza, ma di norma il fatto indiziante è significativo di una pluralità di fatti non noti ed in tal caso può pervenirsi al superamento della relativa ambiguità indicativa dei singoli indizi applicando la regola metodologica fissata dalla disposizione in commento. Peraltro l'apprezzamento unitario degli indizi per la verifica della confluenza verso un'univocità indicativa che dia la certezza logica dell'esistenza del fatto da provare, costituisce un'operazione logica che presuppone la previa valutazione di ciascuno singolarmente, onde saggiarne la valenza qualitativa individuale. Acquisita la valenza indicativa, sia pure di portata possibilistica e non univoca, di ciascun indizio deve passarsi al momento metodologico successivo dell'esame globale ed unitario, attraverso il quale l'ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio può risolversi. Infatti nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l'insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice (così Cassazione n. 6682 del 1992). Gli indizi, per avere valenza probatoria, devono essere: – gravi: non suscettibili di obiezioni e dunque verosimili e credibili; la giurisprudenza ritiene che la gravità dell'indizio sta a denotare che il fatto noto deve avere una rilevante contiguità logica con il fatto ignoto; – precisi: non generici e non suscettibili di molteplici interpretazioni; per la giurisprudenza la precisione significa che il fatto noto deve essere indiscutibile, certo, nella sua oggettività, non essendo logicamente deducibile un fatto ignoto da un fatto a sua volta ipotetico; – concordanti: non reciprocamente contraddittori e non contrastanti con elementi certi; la giurisprudenza sostiene che la concordanza sta ad indicare che gli indizi, precisi nel loro insieme, prossimi logicamente al fatto ignoto, debbono muoversi nella stessa direzione e debbono essere collegati in un unico contesto in modo armonico. In tema di prova indiziaria è rilevante sottolineare, inoltre, come un fatto ignoto possa essere desunto anche da un solo indizio, purché quest'ultimo sia dotato di una precisione che, dal punto di vista logico, sia in grado di condurre soltanto ad affermare l'esistenza di quel determinato fatto. La disciplina contenuta nel terzo e nel quarto comma, non configura tanto una limitazione al principio del libero convincimento del giudice, ma intende soprattutto predisporre dei criteri guida ai quali l'organo giudicante deve adeguarsi nel caso in cui si trovi a dover vagliare l'attendibilità di dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato (soggetto al quale è contestato lo stesso reato dell'imputato e che si trova sottoposto allo stesso processo) o da persona imputata in un procedimento connesso (soggetto al quale viene contestato un reato e che viene sottoposto ad un

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processo connesso ad un altro processo che si svolge a carico di altro soggetto) o, infine, da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede. In particolare la norma sancisce che, in ipotesi del genere, non possono essere valutate le dichiarazioni dei suddetti soggetti in quanto tali, ma devono essere apprezzate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilità; elementi di prova che possono avere qualsiasi natura, purché idonei a confermare la credibilità di quanto dichiarato. La chiamata di correo ha valore di prova diretta contro l'accusato, in presenza di tre requisiti, che devono in concreto essere accertati dal giudice di merito e che consistono: – nell'attendibilità del dichiarante, valutata in base a dati e circostanze attinenti direttamente alla sua persona, quali il carattere, il temperamento, la vita anteatta, i rapporti con l'accusato, la genesi e i motivi della chiamata stessa; – nell'attendibilità intrinseca della chiamata di correo, desunta da dati specifici e non esterni ad essa, quali la spontaneità, la verosimiglianza, la precisione, la completezza della narrazione dei fatti, la concordanza tra le dichiarazioni rese in tempi diversi, ed altri dello stesso tenore; – nell'esistenza di riscontri esterni, ovvero di elementi di prova estrinseci, da valutare congiuntamente alla chiamata di correo, per confermare l'attendibilità, al cui esame, peraltro, non si può procedere se persistono dubbi sulla credibilità del dichiarante o sull'attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni (così Cassazione n. 4888 del 2000). La Cassazione ci ricorda che il vizio di c.d. “contraddittorietà processuale”, conseguente alla mancata corrispondenza fra il risultato probatorio a base dell'argomentazione del giudice e l'atto processuale o probatorio, non soggiace più al limite di rilevabilità testuale dalla motivazione del provvedimento impugnato, potendo esso essere segnalato anche da altri atti di natura processuale o probatoria, purché specificamente indicati dal ricorrente. Il vizio di travisamento della prova, invece, sussiste soltanto quando l'errore disarticoli effettivamente l'intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio travisato, fermi restando il limite del devolutum in caso di c.d. “doppia conforme” e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (così Cassazione n. 24667 del 2007). E, ancora, in tema di violenza sessuale di gruppo, gli elementi di riscontro dell'attendibilità della vittima sono dati anche dalla linearità sostanziale del suo racconto tra la denuncia e quanto riferito in giudizio (essendo da considerare fisiologiche lievi discrasie riscontrabili ma vanamente enfatizzate nell'ottica difensiva) e dalla stessa coerenza delle descrizioni dell'autore del fatto nelle sue caratteristiche fisiche. Il giudice di legittimità, investito di un ricorso che proponga una diversa valutazione degli elementi di prova (cosiddetto travisamento del fatto), non può optare per la soluzione che ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti, valutando l'attendibilità dei testi, potendo solo verificare, negli stretti limiti della censura dedotta, se un mezzo di prova esista e se il risultato della prova sia quello indicato dal giudice di merito, sempre che questa verifica non si risolva in una valutazione della prova. (Fattispecie nella quale la Corte ha confermato la sentenza di condanna inflitta ad un uomo ritenendolo colpevole del delitto di violenza sessuale di

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gruppo (aggravata dall'uso delle armi), nonché di sequestro di persona e rapina sempre ai danni della medesima donna e nello stesso contesto, impugnata dall'imputato sulla base del rilievo che i giudici di merito avevano erroneamente ricostruito le modalità del fatto alla stregua delle dichiarazioni inattendibili della persona offesa) (così Cassazione n. 17831 del 2009).

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C.p.p. art. 193 Limiti di prova stabiliti dalle leggi civili COMMENTO 1. La prova per testimoni dell'esistenza di un contratto di compravendita non sottostà ai limiti di cui all'art. 2721 ove rilevi ai fini dell'accertamento di un reato di circonvenzione di persona incapace. 2. La filiazione legittima può essere provata nel rispetto di quanto stabilito agli artt. 236 e 243 c.c.

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C.p.p. art. 193 Limiti di prova stabiliti dalle leggi civili GIURISPRUDENZA Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale è necessaria la violazione della “par condicio creditorum” che consiste nell’alterazione dell’ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori, sicché deve essere provata l’esistenza di altri crediti insoddisfatti per effetto del pagamento eseguito al creditore in via preferenziale, ma tale prova non può essere desunta sulla base del principio civilistico di “non contestazione” (3797/2018).

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C.p.p. art. 193 Limiti di prova stabiliti dalle leggi civili COMMENTO La norma intende precisare, in conformità al principio del libero convincimento del giudice, come nel processo penale non sussistono quelle limitazioni di prova, che sono, invece, tipiche del processo civile. Il giudice, infatti, nella valutazione della prova, è libero di effettuare l'apprezzamento che ritiene più opportuno, in base agli elementi probatori che gli vengono messi a disposizione (esempio n. 1); questa differenziazione tra processo civile e processo penale trova fondamento nel fatto che scopo preminente del secondo è quello di pervenire all'accertamento della verità processuale e non tanto quello di accertare i rapporti giuridici che fanno capo ai soggetti in causa. Uniche eccezioni alla disciplina sin qui analizzata sono quei limiti che ineriscono allo stato di famiglia e di cittadinanza, limiti previsti dal legislatore in considerazione dell'importanza di queste materie (esempio n. 2).

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C.p.p. art. 194 Oggetto e limiti della testimonianza COMMENTO Natura, specie del reato, mezzi utilizzati, tempo, luogo, modalità di azione.

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C.p.p. art. 194 Oggetto e limiti della testimonianza GIURISPRUDENZA In tema di prova testimoniale, il divieto di esprimere apprezzamenti personali, posto dall'art. 194 c.p.p., non vale qualora il testimone sia una persona particolarmente qualificata per speciale preparazione professionale, che sia interrogata su fatti caduti sotto la sua percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e particolare attività, giacché in tal caso l'apprezzamento diventa inscindibile dal fatto (2322/1996, rv 204031). Il riconoscimento dell'imputato operato in udienza nel corso dell'esame testimoniale è da ritenere valido e processualmente utilizzabile. Esso va tenuto distinto dalla ricognizione vera e propria, costituendo atto di identificazione diretta, effettuata mediante dichiarazioni orali non richiedente l'osservanza delle formalità prescritte per la ricognizione (7176/1996, rv 205986). Il divieto di deporre sulle voci correnti nel pubblico, sancito dall'art. 194, comma 3, c.p.p., non trova applicazione nell'ipotesi in cui il testimone riferisca circostanze apprese da una specifica persona, ancorché non identificata con le sue generalità (3205/1999, rv 212776). L'attività del teste che accompagna la polizia giudiziaria sui luoghi dove si è consumato un reato fa parte dell'attività informativo-descrittiva propria della testimonianza, costituendo integrazione della descrizione orale, mentre, perché possa aversi esperimento giudiziale è invece necessaria la ricostruzione, nel senso di ripetizione, di un determinato fatto per verificare se esso possa essere avvenuto in un determinato modo (7430/2000, rv 216762). La deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere anche da sola assunta come fonte di prova della colpevolezza del reo, ove venga sottoposta a un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva e oggettiva di chi l'ha resa, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano

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situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità (46423/2003). In tema di testimonianza indiretta, in caso di contrasto tra le dichiarazioni rese dal teste "de relato" e quelle rese dal teste di riferimento, il giudice ben può ritenere attendibili le prime anziché le seconde, in quanto, da un lato, l'art. 195 c.p.p. non prevede alcuna gerarchia tra le dichiarazioni e, dall'altro, una diversa soluzione contrasterebbe con il principio del libero convincimento del giudice, cui compete in via esclusiva la scelta critica e motivata della versione dei fatti da privilegiare. (Nella specie, il teste di riferimento aveva, poco credibilmente, parzialmente ritrattato la sua versione originaria dei fatti) (39662/2010). I riconoscimenti fotografici effettuati durante le indagini di polizia giudiziaria, e i riconoscimenti informali dell'imputato operati dai testi in dibattimento, costituiscono accertamenti di fatto utilizzabili nel giudizio in base ai principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice. (In motivazione, la S.C. ha tra l'altro precisato che il momento ricognitivo costituisce parte integrante della testimonianza, di tal che l'affidabilità e la valenza probatoria dell'individuazione informale discendono dall'attendibilità accordata al teste ed alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del giudice che, ove sostenuto da congrua motivazione, non è sindacabile in sede di legittimità) (12501/2015). In tema di valutazione dell’attendibilità della persona offesa costituita parte civile, le cui dichiarazioni possono essere poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, è richiesto un vaglio particolarmente rigoroso nel caso in cui una parte del narrato, riferita ad alcuni fatti, sia ritenuta inattendibile, e deve ritenersi illegittima la valutazione frazionata di tali dichiarazioni ove la parte ritenuta inattendibile sia imprescindibile antecedente logico dell’altra parte (21886/2018).

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C.p.p. art. 194 Oggetto e limiti della testimonianza COMMENTO Dal punto di vista terminologico il testimone può essere definito come la persona estranea alle parti in causa, che dichiara o espone oralmente all'autorità giudiziaria fatti ad essa noti, inerenti alle circostanze di fatto oggetto del processo. La testimonianza, nel quadro dei mezzi di prova, riveste una posizione di preminente importanza, e la norma in esame, che ne identifica l'oggetto e i limiti, svolge un ruolo fondamentale, proprio in ragione di quel principio di oralità che permea di sé l'impianto cognitivo del processo accusatorio. In particolare, il legislatore ha inteso sottolineare come il testimone possa essere esaminato: – sui fatti che costituiscono oggetto di prova [➠ 187]: le domande devono essere inerenti ai fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza; – sui rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra il testimone e le parti o altri testimoni nonché alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne la credibilità: l'esame può riguardare le relazioni di parentela e di interesse che il testimone può avere con altri testimoni o con le parti e può avere ad oggetto, altresì, elementi che sono in grado di provare l'attendibilità del teste medesimo; – su fatti determinati: le domande devono riguardare fatti concreti che possono essersi verificati nella realtà storica e non valutazioni o apprezzamenti personali. Tale disposizione, oltre a delimitare l'oggetto della prova testimoniale, ne stabilisce anche i limiti: – non è ammessa la deposizione su fatti inerenti alla moralità dell'imputato, a meno che le domande non abbiano ad oggetto dei fatti determinati dai quali possano dedursi elementi utili per la qualificazione della personalità di quest'ultimo in relazione al reato (esempio) o alla pericolosità sociale (essa fa riferimento alla personalità del reo e alla probabilità che in futuro questi delinqua e che, dunque, violi l'ordine sociale precostituito); – non è ammessa la deposizione sui fatti che servano a definire la personalità della persona offesa dal reato, a meno che il fatto dell'imputato debba essere valutato in relazione al comportamento di quella persona: la ratio che sottostà a tale limitazione trova fondamento nell'esigenza di tutelare la personalità e la moralità della persona offesa dal reato; – non è ammessa la deposizione su voci correnti nel pubblico, né è ammesso esprimere apprezzamenti personali a meno che ciò sia implicito nella deposizione dei fatti stessi: il divieto di apprezzamenti personali non è riferibile ai fatti che siano stati direttamente percepiti dal teste, al quale, a causa della speciale condizione di soggetto qualificato, per le conoscenze che gli derivano dalla sua abituale e specifica attività, non può essere precluso di esprimere apprezzamenti, se questi sono inscindibili dalla deposizione sui fatti stessi (così Cassazione n. 11939 del 1998).

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Le dichiarazioni di un testimone, per essere positivamente utilizzate dal giudice, devono risultare credibili, oltre che avere ad oggetto fatti di diretta cognizione e specificamente indicati. Pertanto, contrariamente ad altre fonti di conoscenza, come le dichiarazioni rese da coimputati o imputati di reati connessi, esse non abbisognano di riscontri esterni, il ricorso eventuale ai quali è funzionale soltanto al vaglio di credibilità del testimone (così Cassazione n. 11829 del 1999).

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C.p.p. art. 195 Testimonianza indiretta GIURISPRUDENZA L'art. 195 c.p.p. disciplina le testimonianze in sede di giudizio e non trova applicazione in sede cautelare durante le indagini preliminari (6194/1996, rv 203812). Qualora dichiarazioni accusatorie fatte alla Polizia giudiziaria siano successivamente ritrattate in dibattimento dal soggetto che le rese ma vengano in quest'ultima sede confermate dai testimoni “de relato” ed acquisite al fascicolo del dibattimento, è da escludere che tra le dette dichiarazioni di opposto contenuto debba prevalere quella assunta in contraddittorio in dibattimento rispetto a quella “de relato”, posto che nella valutazione delle stesse soccorre il principio generale del libero convincimento del giudice che non può considerarsi vincolato alla fonte originaria di conoscenza ma ben può conferire attendibilità alla deposizione “de relato” anziché a quella della persona alla quale è stato fatto riferimento (6487/1996, rv 205730). In tema di mezzi di prova, in forza del disposto di cui al comma terzo dell'art. 195 c.p.p., è utilizzabile la deposizione del testimone, che riferisca fatti appresi da altre persone, quando le stesse non possano essere ascoltate per irreperibilità: in quest'ultima nozione rientra il caso dell'impossibilità sia di rintracciare il soggetto che di individuarlo e di identificarlo (7745/1996, rv 205523). La testimonianza indiretta che, pur utilizzabile, non sia stata verificata attraverso l'esame del soggetto confidente per le ragioni ostative indicate nel terzo comma dell'art. 195 c.p.p., non è idonea a costituire prova ma solo indizio che, a norma dell'art. 192, secondo comma, c.p.p. stesso, può concorrere con altri elementi a fornire la prova della colpevolezza (8610/1996, rv 205869). La testimonianza “de relato”, nei limiti di utilizzabilità stabiliti dall'art. 195 c.p.p., commi terzo e settimo, assume valenza, sul piano probatorio e storico, di rappresentazione diretta del fatto e non di semplice indizio, fermo restando l'onere del giudice di motivare adeguatamente in ordine alle ragioni che lo inducono a

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ritenere rilevanti e veridiche le affermazioni del testimone (4976/1997, rv 207843). La testimonianza indiretta può avere ad oggetto anche una avvenuta individuazione fotografica: quest'ultima, invero, costituisce pur sempre una dichiarazione resa da un teste per l'identificazione di persone e cose, sicché i risultati della stessa ben possono formare oggetto della testimonianza indiretta del personale di Polizia giudiziaria dinanzi al quale è stata compiuta la dichiarazione ricognitiva della percezione visiva (5265/1998, rv 210472). Il disposto dell'art. 195 c.p.p., che prevede l'audizione delle fonti dirette, non è applicabile nel caso che il testimone o l'imputato in procedimento connesso si riferiscano, per la conoscenza dei fatti, all'imputato del medesimo procedimento in cui vengano assunte le loro dichiarazioni (11320/1998, rv 211594). In tema di prova, l'art. 195 c.p.p. (testimonianza indiretta) commina l'inutilizzabilità delle deposizioni indirette solo se sia disattesa l'espressa richiesta di parte di audizione dei testi di riferimento (1691/1999, rv 212504). In tema di testimonianza indiretta, l'irreperibilità del testimone (che, ai sensi del terzo comma dell'art. 195 c.p.p., rende utilizzabili le dichiarazioni relative a fatti che lo stesso ha riferito aver appreso da altri) è ipotesi che ha fondamento e disciplina del tutto diversi rispetto a quelli relativi all'irreperibilità dell'imputato, in quanto, le norme che prevedono la necessità di disporre ricerche di quest'ultimo, in caso di impossibilità di notificargli atti processuali, non sono applicabili anche al teste atteso che esse rispondono all'esigenza di assicurare il diritto di difesa (in ragione del quale, in caso di ricerche infruttuose, è prevista l'emanazione del decreto di irreperibilità e la notifica degli atti al difensore); ne consegue che, di fronte all'impossibilità di notificare la citazione al testimone, è sufficiente a far ritenere la sua irreperibilità l'effettuazione di accertamenti anagrafici, che abbiano dato esito negativo (6888/2001, rv 218269). In tema di reati contro la libertà sessuale le dichiarazioni rese dal minore in sede di incontro videoregistrato presso il servizio psichiatrico alla presenza di un funzionario o agente di polizia giudiziaria possono essere oggetto di testimonianza de relato da

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parte dell'ufficiale di P.G. ai sensi dell'art. 195 c.p.p. (23423/2001, rv 219526). È viziata da inutilizzabilità ai sensi dell'art. 195 c.p.p. la testimonianza indiretta allorché il giudice abbia omesso di procedere, nonostante la richiesta della difesa, all'assunzione del testimone diretto, anche nel caso in cui quest'ultimo sia persona minore di età (1948/2002, rv 221060). L'inutilizzabilità della testimonianza indiretta, ex art. 195, commi 3 e 7, c.p.p., consegue solo alla mancata indicazione della fonte primaria e alla mancata chiamata a deporre di questa, se e quando richiesta da una delle parti, e sempre salvo, in tale ultima ipotesi, che l'esame del teste diretto non risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità. Al di là di tali casi, la testimonianza indiretta ha legittimo ingresso nel compendio probatorio processuale, e resta al giudice il potere-dovere di valutarla, in uno con le altre risultanze processuali (46556/2004). Nel giudizio abbreviato l'inutilizzabilità della testimonianza indiretta diventa operante solo se la parte ha condizionato la scelta del rito all'audizione del testimone indiretto e se, nonostante l'escussione, sia rimasta non individuata la fonte dell'informazione (11100/2008). Alla chiamata in correità o in reità “de relato” si applica l'art. 195 cod. proc. pen. anche quando la fonte diretta sia un imputato di procedimento connesso, ex art. 210 cod. proc. pen., o un teste assistito, ex art. 197 bis, cod. proc. pen. (S.U. 20804/2012). L'esame testimoniale del minore, vittima di abusi sessuali, non richiede obbligatoriamente l'assistenza di un esperto di psicologia infantile, non essendo quest'ultima imposta dalla legge (16981/2013). In tema di prova dichiarativa, non costituisce testimonianza indiretta la deposizione dell'ufficiale o agente di polizia giudiziaria che riferisca in ordine agli accertamenti compiuti attraverso dati forniti dagli organi di collaborazione internazionale risultanti dall'anagrafe tributaria. (Fattispecie relativa ad acquisti intracomunitari in cui la Corte ha affermato che chiunque accede a tale banca dati qualificata, per scopi di polizia giudiziaria, ha titolo per testimoniare circa l'esito degli accertamenti) (12026/2015). È legittima, perché riconducibile agli “altri casi” di cui all’art. 195, comma quarto, cod. proc. pen., la testimonianza indiretta dell’ufficiale o agente di polizia giudiziaria sulle dichiarazioni di contenuto narrativo ricevute dall’imputato al di fuori del procedimento, ovvero prima del formale inizio delle

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indagini, con la conseguenza che le stesse sono liberamente valutabili dal giudice di merito, assumendo la valenza di fatto storico percepito e riferito dal teste. (Fattispecie relativa a porto abusivo di arma da sparo e minaccia aggravata, in cui è stata ritenuta utilizzabile la testimonianza “de relato” di un carabiniere il quale, libero dal servizio, si era per caso imbattuto - subito dopo la commissione del fatto - in una persona che gli aveva spontaneamente riferito di aver esploso, poco prima, colpi di arma da fuoco all’indirizzo di altro soggetto e di essersi poi dato alla fuga, temendo di venire rintracciato attraverso il numero di targa della propria autovettura) (15760/2017).

In tema di testimonianza indiretta, i “fatti” cui fa riferimento l’art. 195, comma 1, cod. proc. pen., che impongono l’esame della fonte diretta a semplice richiesta di parte, senza alcun sindacato del giudice, sono solo quelli rappresentati dalla fonte diretta alla fonte de relato e non anche quelli che attengono ai rapporti tra i due soggetti e alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne la credibilità; in tali casi il nuovo esame della fonte diretta costituisce atto istruttorio che presuppone la puntuale allegazione della parte richiedente di elementi da cui desumere la necessità della verifica domandata (14730/2018). Le dichiarazioni rese dalla persona offesa del reato in merito ad un’offerta risarcitoria formulata dal difensore dell’indagato all’avvocato del dichiarante sono inutilizzabili, nel caso in cui quest’ultimo si sia astenuto dal deporre sulla questione, ciò in applicazione del principio della tutela del segreto professionale e del divieto di testimonianza indiretta imposto dall’art. 195, comma 6, c.p.p. (29495/2018). In tema di dichiarazione "de relato", qualora la persona alla quale il collaboratore di giustizia ha fatto riferimento sia stata chiamata a deporre e non abbia risposto, ovvero abbia fornito una versione contrastante, il giudice può ritenere attendibile, all'esito di una valutazione complessiva della credibilità del dichiarante diretto, la deposizione del dichiarante "de relato" in quanto, da un lato, l'art. 195 c.p.p. non prevede alcuna gerarchia tra le dichiarazioni e, dall'altro, una diversa soluzione contrasterebbe con il principio del libero convincimento del giudice, cui compete in via esclusiva la scelta critica e motivata della versione dei fatti da privilegiare (8218/2019).

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C.p.p. art. 195 Testimonianza indiretta COMMENTO La ratio di tale norma consiste non tanto nell'impedire, sempre e comunque, qualsiasi esposizione di fatti non verificatisi sotto gli occhi del dichiarante, ma semplicemente nel consentire un controllo di conoscenza. Ne consegue che non può considerarsi una forma di testimonianza indiretta la rappresentazione di fatti ai quali il teste abbia assistito solo per una parte, ma che tuttavia consenta di ricostruire per intero, sia pure in via di logica consequenzialità, i medesimi fatti nella loro totalità (così Cassazione n. 5285 del 1998). Il testimone, chiamato a rendere la propria deposizione nel processo, può venire a conoscenza dei fatti oggetto del thema probandum, in vario modo e, più in particolare: – in via diretta: il soggetto percepisce il fatto immediatamente attraverso i propri sensi; – in via indiretta: il soggetto non percepisce il fatto direttamente, ma attraverso la rappresentazione che di esso ne fa un soggetto diverso. Questa seconda modalità viene comunemente definita testimonianza de relato o de auditu ed acquista concreta rilevanza probatoria, all'interno del procedimento, laddove sussistano le condizioni di utilizzabilità previste dalla legge, che attengono sostanzialmente alla credibilità del testimone diretto e di quello indiretto. Occorre innanzitutto precisare che la testimonianza de relato è sottoposta ad un limite invalicabile, disciplinato al settimo comma, che consiste nell'impossibilità di utilizzare, a fini probatori, le dichiarazioni rese, quando la fonte di conoscenza indiretta si rifiuta o non è in grado di individuare la sorgente primaria da cui è scaturita la percezione dell'esistenza delle circostanze oggetto dell'esame. Tale assunto trova giustificazione nel fatto che, se l'identità della fonte originaria rimane sconosciuta, non si potrà procedere al vaglio di credibilità del soggetto, che si costituisce come condizione imprescindibile. Il primo comma esordisce stabilendo che quando il testimone rende delle dichiarazioni su fatti dei quali è venuto a conoscenza per il tramite di altro soggetto, il giudice, qualora sia presente la richiesta delle parti, è obbligato a chiamare a deporre le persone indicate quali fonti primarie, proprio per garantire la piena operatività del contraddittorio tra accusa e difesa. Tale regola è prevista a pena di inutilizzabilità della testimonianza indiretta, con l'unica eccezione, espressamente riconosciuta al terzo comma, per la quale il mezzo di prova in esame è utilizzabile quando l'esame diretto della fonte primaria risulta impossibile per cause di forza maggiore, quali la morte, l'infermità o l'irreperibilità. La giurisprudenza sostiene che la testimonianza de relato è sempre utilizzabile quando sia impossibile l'esame del soggetto nel quale si identifica l'originaria fonte della notizia sui fatti. Pur individuando la norma solo tre casi di impossibilità deve

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escludersi che tale elenco sia tassativo e che non possano essere individuati, nella pratica, altri casi di impossibilità oggettiva, analoghi e quelli elencati dal legislatore. Sebbene il nostro ordinamento giuridico ponga a carico delle parti il cosiddetto onere della prova, la disciplina in commento costituisce una di quelle rare ipotesi nelle quali può essere lo stesso giudice a disporre d'ufficio l'esame delle persone sopra indicate. Se i requisiti imposti dal legislatore sono presenti, il giudice può procedere alla valutazione della testimonianza de relato, utilizzandone, laddove lo ritenga opportuno, le determinazioni, ai fini della formulazione della decisione finale. Nell'apprezzamento della testimonianza indiretta, non deve tenersi conto della regola probatoria di cui all'art. 192, comma 2, relativa agli indizi, tenuto conto che l'indizio attiene alla dimostrazione di un fatto diverso da quello da provare dal quale si risale a quello oggetto di prova, laddove la testimonianza indiretta attiene sempre e soltanto al thema probandum. Sul piano normativo, inoltre, il legislatore, nel disciplinare la testimonianza de relato non ha operato alcun riferimento alla prova indiziaria dettando, invece, una regola di giudizio del tutto diversa ed autonoma (così Cassazione n. 6672 del 1995). Il quarto comma non intende vietare totalmente la deposizione degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria, ma si cura di evitare che le precedenti dichiarazioni dei testimoni siano utilizzate in un contesto più ampio rispetto alle semplici contestazioni effettuate per vagliare la credibilità del soggetto. La disciplina del giusto processo ha fatto sostanzialmente avvertire l'esigenza di riaffermare quel principio in base al quale la polizia giudiziaria non può deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite dai testimoni, qualora esse siano state introdotte in un atto contenente sommarie informazioni o in atti di denunce, querele e istanze presentate oralmente, sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, informazioni assunte, a norma dell'art. 351, perquisizioni e sequestri, operazioni e accertamenti di cui agli artt. 349, 353 e 354, atti che descrivono fatti e situazioni, eventualmente compiuti sino a che il pubblico ministero non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini. Di recente peraltro la Corte di cassazione (sent. n. 36747 del 2003) ha avuto modo di precisare che il divieto di testimonianza indiretta di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, relativamente alle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b), si riferisce tanto alle dichiarazioni che siano state ritualmente assunte e documentate in applicazione di tali norme, quanto ai casi nei quali la polizia giudiziaria non abbia provveduto alla redazione del relativo verbale, in questo modo eludendo proprio le modalità di acquisizione prescritte dalle norme stesse. Inoltre gli “altri casi” cui fa riferimento il secondo periodo del quarto comma, per il quale la prova è ammessa secondo le regole generali sulla testimonianza indiretta, si identificano con le ipotesi in cui le dichiarazioni siano state rese da terzi e percepite al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di acquisizione, in una situazione operativa eccezionale o di straordinaria urgenza e, quindi, al di fuori di un dialogo tra teste e ufficiale o agente di P.G., ciascuno nella propria qualificazione. Invero con sentenza n. 305 del 30 luglio 2008, il giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato comma 4 laddove interpretato nel senso che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono essere chiamati a deporre sul

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contenuto delle dichiarazioni rese dai testimoni soltanto se acquisite con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), e non anche nel caso in cui, pur ricorrendone le condizioni, tali modalità non siano state osservate (in pratica sulle testimonianze indirette degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria il divieto è da intendersi esteso anche ai fatti non verbalizzati). È irragionevole sostiene la Corte costituzionale e, nel contempo, indirettamente lesivo del diritto di difesa e dei principi del giusto processo ritenere che la testimonianza de relato possa essere utilizzata qualora si riferisca a dichiarazioni rese con modalità non rispettose delle disposizioni degli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), c.p.p. pur sussistendo le condizioni per la loro applicazione, mentre non lo sia qualora la dichiarazione sia stata ritualmente assunta e verbalizzata. Si finirebbe per dare rilievo processuale – anche decisivo – ad atti processuali compiuti eludendo obblighi di legge, mentre sarebbero in parte inutilizzabili quelli posti in essere rispettandoli. Il sesto comma, stabilisce, infine, che non possono essere sentiti quei soggetti che vengono a conoscenza di determinati fatti per motivi professionali e che risultano vincolati al segreto d'ufficio, a meno che questi non abbiano già preventivamente deposto o abbiano comunque divulgato le notizie.

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C.p.p. art. 196 Capacità di testimoniare COMMENTO 1. L'essere minore di età. 2. L'essere afflitto da infermità mentale. 3. Perizia, esperimento giudiziale.

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C.p.p. art. 196 Capacità di testimoniare GIURISPRUDENZA Il giudice è tenuto ad accertare, in concreto, la credibilità del testimone anche in relazione alle eventuali condizioni psichiche, ma non è obbligato a disporre accertamenti per verificare, sempre e in ogni caso, l'idoneità fisica e mentale del testimone, specie allorché nessun elemento sia emerso per giustificare la pretesa incapacità del teste (3833/1994, rv 196992). L'assunto secondo il quale i bambini piccoli non mentono consapevolmente e la loro fantasia attinge pur sempre a un patrimonio conoscitivo deve essere contemperato con la consapevolezza che gli stessi possono essere dichiarati attendibili se lasciati liberi di raccontare, ma diventano altamente malleabili in presenza di suggestioni eteroindotte per cui interrogati con domande inducenti, tendono a conformarsi alle aspettative dell'interlocutore. L'indagine personologica sulla situazione dei minori richiede specifiche cognizioni tecniche che esulano dalla scienza privata dell'inquirente e deve essere e deve essere affidate a un esperto cui competono attività strumentali allo espletamento dell'incarico, ma non investigative in quanto l'accertamento dei fatti è di esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria. Per contagio dichiarativo deve intendersi un sofisticato meccanismo psicologico che può verificarsi allorquando si pone in essere uno scambio di informazioni e dati tra individui che porta a modifiche anche radicali nelle convinzioni relative a quanto accaduto e, nella sua forma estrema, determina il formarsi di convincimenti che non corrispondono alla realtà dei fatti (37147/2007). In tema di dichiarazioni rese dal teste minore vittima di reati sessuali, mentre la verifica dell'idoneità mentale del teste, diretta ad accertare se questi sia stato nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in suo pregiudizio e sia in grado di riferire sugli stessi, senza che la sua testimonianza possa essere influenzata da eventuali alterazioni psichiche, è demandabile al perito, l'accertamento dell'attendibilità del teste, attraverso l'analisi della

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condotta dello stesso e dell'esistenza di riscontri esterni, deve formare oggetto del vaglio del giudice (24264/2010). La testimonianza del minore, da assumere secondo le linee guida delineate dalla Carta di Noto, richiede un duplice vaglio. Il giudice, in primis, dovrà valutare la capacità a testimoniare del teste minorenne, anche mediante l'ausilio del parere tecnico di un perito. In secondo luogo, il decidente dovrà accertare da solo - l'attendibilità del soggetto minore, anche alla luce di riscontri esterni alle dichiarazioni del medesimo (fattispecie relativa all'accusa rivolta nei confronti di due coniugi per aver maltrattato i due figli minori, cagionando loro lesioni gravi, nonché di averli costretti a subire e compiere atti sessuali, materialmente posti in essere dal marito e non impediti - pur essendone a conoscenza - dalla moglie) (5169/2015). In tema di reati sessuali in danno di minori di età, la valutazione giudiziale delle dichiarazioni accusatorie rese dalle vittime degli abusi, che richiede specifiche cognizioni tecniche mediante il ricorso al sapere scientifico esterno, non impone nella fase delle indagini preliminari alcun obbligo al pubblico ministero di affidare la c.d. consulenza personologica nelle forme dell’art. 360 cod. proc. pen. ovvero di richiedere al giudice per le indagini preliminari l’incidente probatorio, essendo ammissibile il ricorso alla procedura non garantita prevista dall’art. 359 cod. proc. pen., le cui risultanze sono utilizzabili nei riti speciali, ovvero nel giudizio ordinario su accordo tra le parti (8541/2017).

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C.p.p. art. 196 Capacità di testimoniare COMMENTO La regola generale, in tema di capacità a testimoniare, è quella secondo la quale qualsiasi persona è dotata dell'attitudine di poter essere sottoposta all'esame testimoniale. Tuttavia, qualora sia chiamato a deporre un soggetto che si trovi in particolari condizioni personali (esempio n. 1) o psichiche (esempio n. 2), il giudice deve eseguire i controlli necessari affinché venga operato un vaglio sulla credibilità e l'attendibilità del teste medesimo e possa essere conferita alle sue dichiarazioni rilevante valenza probatoria ai fini della decisione finale. Dal punto di vista procedurale, il suddetto controllo, che può essere disposto anche d'ufficio dal giudice, può eseguirsi attraverso i mezzi consentiti dalla legge (esempio n. 3). Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha precisato l'idoneità a rendere testimonianza è concetto diverso e di maggiore ampiezza, rispetto a quello della capacità di intendere e di volere, implicando non soltanto la necessità di determinarsi liberamente e coscientemente, ma anche quella di discernimento critico del contenuto delle domande al fine di adeguarvi coerenti risposte, di capacità di valutazione delle domande di natura suggestiva, di sufficiente capacità mnemonica in ordine ai fatti specifici oggetto della deposizione, di piena coscienza dell'impegno di riferire con verità e completezza i fatti a sua conoscenza. L'obbligo di accertamento della capacità di intendere e di volere non deriva da qualsivoglia comportamento contraddittorio, inattendibile o immemore de teste, ma sussiste soltanto in presenza di una situazione di abnorme mancanza nel testimone di ogni elemento sintomatico della sua assunzione di responsabilità comportamentale in relazione all'ufficio ricoperto (così Cassazione n. 2993 del 1997).

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C.p.p. art. 197 Incompatibilità con l'ufficio di testimone GIURISPRUDENZA Ai sensi dell'art. 197. c.p.p., lett. a) sussiste incompatibilità con l'ufficio di testimone per le persone imputate in procedimento connesso a norma dell'art. 12 c.p.p., disposizione che per quanto riguarda la cosiddetta connessione “occasionale” presuppone non solo il legame obiettivo tra le condotte ma anche l'identità soggettiva, cioè la riferibilità alla stessa persona dei reati collegati (7730/1999, rv 213689). In tema di esame testimoniale, quando in capo al soggetto le cui dichiarazioni devono essere assunte nel giudizio la condizione di imputato dello stesso reato o di reato connesso o collegato concorre con quella di persona offesa dal reato, quest'ultima, per la sua maggiore pregnanza, è destinata a prevalere, cosicché il soggetto sarà esaminato nella veste di testimone, con l'obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte (8131/2000, rv 216927). Non sussiste alcuna incompatibilità con l'ufficio di testimone nei confronti del titolare di una carica societaria che, in via esclusivamente astratta, avrebbe potuto essere coinvolto in responsabilità penale per ipotesi di reato connesse o collegate a quelle oggetto del procedimento in corso (631/2001, rv 218829). In tema di prova testimoniale, la norma di cui all'art. 197 c.p.p., lett. a ), che prevede la non compatibilità con l'ufficio di testimone per i soggetti che siano imputati di reato connesso, deve essere interpretata nel senso che tale incompatibilità va estesa anche agli imputati di reato collegato (18032/2001, rv 219159). È incompatibile sia con l'ufficio di testimone (art. 197 c.p.p., lett. d) sia con quello di consulente tecnico (art. 225 c.p.p., comma 3) l'esperto di neuropsichiatria infantile che abbia partecipato quale ausiliario all'assunzione delle sommarie informazioni rese al pubblico ministero dal minorenne offeso dal reato, atteso che lo svolgimento di tale compito implica, da parte dell'ausiliario, una valutazione sull'attendibilità della persona offesa dalla quale

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necessariamente deriva l'incapacità a testimoniare su qualsiasi tema che a detta attendibilità inerisca (22935/2003, rv 225376). Il soggetto che riveste la qualità di imputato in procedimento connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1 lett. c), c.p.p. o collegato probatoriamente, anche se persona offesa dal reato, deve essere assunto nel procedimento relativo al reato connesso o collegato con le forme previste per la testimonianza cosiddetta "assistita" (12067/2009). La disciplina limitativa della capacità testimoniale di cui all'art. 197, comma 1, lett. a) e b), all'art. 197 bis e all'art. 210 c.p.p., non è applicabile alle persone sottoposte a indagini in un procedimento connesso o relativo a reato collegato nei cui confronti sia stato emesso provvedimento di archiviazione. Infatti, l'esigenza del diritto di difesa, da cui deriva il diritto al silenzio e la conseguente disciplina limitativa della capacità di testimoniare, presuppone un'accusa dalla quale occorra difendersi o dalla quale il soggetto abbia dovuto difendersi, ciò che non può ravvisarsi nell'ipotesi in cui il soggetto sia stato iscritto nel registro degli indagati e sia stato poi fatto oggetto di archiviazione senza che l'autorità giudiziaria sia riuscita ad addivenire alla formulazione di una specifica accusa meritevole di ulteriore sviluppo, e che magari è stata il frutto di una mera iniziativa pretestuosa o, peggio, fraudolenta, di un terzo interessato. In senso contrario, non potrebbe invocarsi l'argomento della possibile riapertura delle indagini, trattandosi di una eventualità (per "esigenza di nuove investigazioni") sostanzialmente assimilabile, e anzi probabilisticamente inferiore, a quella della possibile apertura delle indagini nei confronti di qualsiasi soggetto (per notizia di reato individualmente attribuito) (12067/2009). La disciplina limitativa della capacità testimoniale di cui all'art. 197, comma 1, lettere a) e b), all'art. 197 bis e all'art. 210 c.p.p., non è applicabile alle persone sottoposte a indagini nei cui confronti sia stato emesso provvedimento di archiviazione (12067/2009). In tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici formali, come l'eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni

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stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (15208/2010). Non è consentita la simultanea assunzione della veste di difensore e testimone nell'ambito dello stesso procedimento, essendo la relativa sovrapposizione inconciliabile con la natura dialettica dell'accertamento processuale, e quindi in antitesi con il principio del contraddittorio. (V. Corte cost., 3 luglio 1997 n. 215 (26861/2010). In tema di prova dichiarativa, sono utilizzabili le dichiarazioni rese in qualità di testimone dalla persona offesa del reato di truffa che sia stata a sua volta denunciata dall'imputato per calunnia, in quanto una lettura costituzionalmente orientata della previsione contenuta nell'art. 371, comma secondo, lett. b), cod. proc. pen., impone di escluderne dall'applicazione quei reati che, seppure formalmente reciproci, siano stati commessi in contesti spaziali e temporali del tutto diversi (4128/2015). Non sussiste incompatibilità ad assumere l'ufficio di testimone per la persona offesa, già indagata in procedimento connesso ai sensi dell'art. 12, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. o per reato probatoriamente collegato, definito con provvedimento di archiviazione, in quanto la disciplina limitativa della capacità di testimoniare prevista dagli artt. 197, comma primo, lett. a) e b), 197 bis, e 210 cod. proc. pen. si applica solo all'imputato, al quale è equiparata la persona indagata nonché il soggetto già imputato, salvo che sia stato irrevocabilmente prosciolto per non aver commesso il fatto (4123/2015). Le dichiarazioni rese dalle persone che assumono l’ufficio di testimone ex art. 197-bis c.p.p. vanno valutate «unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità» … A fortiori le chiamate in correità di un soggetto affetto da disturbi mentali, vanno vagliate rigorosamente e secondo un preciso ordine logico (9953/2016).

Il collegamento occasionale che determina l’incompatibilità a testimoniare prevista dagli artt. 197, comma 1, lett. b), e 371, comma 2, lett. b), c.p.p., sussiste a condizione che ricorra un legame spazio-temporale tra i reati e l’identità soggettiva degli autori degli stessi, essendo altresì necessario che tra più reati commessi nel medesimo contesto l’uno abbia favorito, consentito, propiziato o motivato l’altro (58089/2017). In tema di prova dichiarativa, sono utilizzabili le dichiarazioni rese in qualità di testimone dalla persona offesa del reato di concussione che sia stata a sua volta denunciata dall'imputato per calunnia, in quanto l'incompatibilità non sussiste nel caso in cui i reati reciprocamente commessi si collochino in contesti spaziali e temporali diversi (6938/2019).

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C.p.p. art. 197 Incompatibilità con l'ufficio di testimone COMMENTO La disposizione in esame, che disciplina i casi di incompatibilità con l'ufficio di testimone, ha natura di norma eccezionale in quanto pone specifiche eccezioni al dovere generale di rendere testimonianza fissato dalla legge e reso imperativo dalla previsione di una specifica sanzione penale. Pertanto la sua interpretazione deve strettamente conformarsi al significato letterale dei termini utilizzati, e non consente esclusioni dell'obbligo di testimonianza che esulino dalle fattispecie espressamente codificate (così Cassazione n. 867 del 1994). L'analisi dettagliata della disposizione, per poter essere agevolmente compresa, richiede la trattazione separata delle singole componenti. In particolare può asserirsi che, nel procedimento penale, non possono assumere la qualifica di testimoni: 1) lettera a): – i coimputati del medesimo reato; – le persone imputate in un procedimento connesso: quando il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento. Tale incompatibilità a testimoniare viene meno quando, nei confronti delle suddette persone, sussiste una sentenza irrevocabile di condanna, di proscioglimento o di patteggiamento. La ragione di tale eccezione trova fondamento nel fatto che, in presenza delle pronunce definitive sopra menzionate, l'imputato non corre il pericolo di subire un secondo processo per lo stesso reato; 2) lettera b): – le persone imputate in un procedimento connesso: quando il reato per cui si procede è stato realizzato per eseguirne od occultarne altri; – le persone imputate in procedimenti collegati: quando si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza. L'ipotesi di incompatibilità qui analizzata subisce due distinte deroghe: – è ammessa la deposizione testimoniale dei suddetti soggetti quando nei loro confronti sia stata pronunciata una sentenza definitiva di proscioglimento [➠529, 530], di condanna [➠533] o di patteggiamento [➠444]: tale eccezione si giustifica in considerazione del fatto che la presenza di decisioni irrevocabili rende inutile la sussistenza del vincolo del silenzio in capo agli interessati; - è ammessa la deposizione testimoniale dei suddetti soggetti quando essi abbiano reso, durante l'interrogatorio del p.m., del G.I.P., del G.U.P. o della polizia giudiziaria, dichiarazioni su fatti che ineriscono alla responsabilità di altri. La ratio che sottostà a

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tale regola trova fondamento nel fatto che la persona sottoposta ad interrogatorio viene avvertita delle facoltà che gli spettano e delle conseguenze cui va incontro se deporrà su fatti che implicano la responsabilità altrui, per cui è come se rinunciasse implicitamente alla facoltà di non rispondere; 3) lettera c): – il responsabile civile: è la persona fisica o giuridica che, seppure estranea alla fattispecie di reato, ne risponde, secondo la legge civile, a titolo di responsabilità per fatto altrui, qualora il danneggiato faccia valere nel procedimento penale pretese restitutorie o risarcitorie; – la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, invece, è la persona fisica o giuridica sulla quale incombe un'obbligazione pecuniaria – pari alla somma che il reo è tenuto a pagare dopo la condanna alla multa o all'ammenda – che deve essere adempiuta soltanto in caso di insolvibilità da parte del condannato. Tali soggetti, pur non potendo deporre in qualità di testimoni, perché potrebbero vedersi costrette ad ammettere l'esistenza di circostanze a loro sfavorevoli, hanno diritto di rendere delle dichiarazioni come parti processuali e, in quanto tali, possono agire senza il vincolo dell'obbligo di dire la verità; 4) lettera d): – coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario: tale assunto trova giustificazione nel fatto che sussistono fondati dubbi sulla reale terzietà dei suddetti soggetti rispetto alle vicende processuali. Ciò non esprime un'ipotesi di incompatibilità assoluta a testimoniare, ma preclude soltanto che tali soggetti possano essere assunti sulle conoscenze relative a fatti e circostanze, di cui si debba acquisire la prova nel giudizio, apprese nello svolgimento della funzione di ausiliario relativamente alla redazione degli atti di cui all'art. 373 (così Cassazione n. 4616 del 1994); – il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi dell'art. 391ter: tale ipotesi di incompatibilità è stata introdotta dalla L. n. 397 del 2000, che ha disciplinato l'intera materia relativa alle indagini difensive; della disposizione va data un'interpretazione restrittiva, in base alla quale il divieto di testimoniare ricade soltanto sulla persona fisica che ha concretamente eseguito l'effettiva attività d'indagine.

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C.p.p. art. 197 bis Persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l'ufficio di testimone GIURISPRUDENZA In tema di “giusto processo” e con riferimento alla materia delle misure cautelari personali, qualora prima dell'entrata in vigore della legge 1 marzo 2001 n. 63 si sia svolto regolarmente, secondo la disciplina all'epoca vigente, il procedimento di acquisizione e valutazione del quadro indiziario e sia intervenuta la chiusura della fase delle indagini preliminari – con conseguente preclusione della possibilità per il pubblico ministero di procedere alla rinnovazione dell'esame dei soggetti indicati negli artt. 64 e 197 bis c.p.p., come previsto dalla disciplina transitoria di cui all'art. 26, comma 2, della citata legge n. 63 del 2001 – deve ammettersi che, ai soli fini del mantenimento delle misure in questione, conservino validità le dichiarazioni precedentemente rese dai medesimi soggetti, ancorché la loro assunzione sia stata effettuata senza l'osservanza delle formalità previste a pena di inutilizzabilità dalla normativa sopravvenuta (13011/2002, rv 221548). L'utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai soggetti di cui agli art. 64 e 197 bis c.p.p. prima dell'entrata in vigore della l. n. 63 del 2001 è disciplinata dalla norma transitoria dettata dall'art. 26, comma 3 della medesima legge, a mente del quale se tali dichiarazioni sono state legittimamente acquisite al fascicolo del dibattimento, devono essere oggetto di valutazione (995/2010). La disciplina limitativa della capacità testimoniale di cui all'art. 197, comma 1, lett. a) e b), all'art. 197 bis e all'art. 210 c.p.p., non è applicabile alle persone sottoposte a indagini in un procedimento connesso o relativo a reato collegato nei cui confronti sia stato emesso provvedimento di archiviazione. Infatti, l'esigenza del diritto di difesa, da cui deriva il diritto al silenzio e la conseguente disciplina limitativa della capacità di testimoniare, presuppone un'accusa dalla quale occorra difendersi o dalla quale il soggetto abbia dovuto difendersi, ciò che non può ravvisarsi nell'ipotesi in cui il soggetto sia stato iscritto nel registro degli indagati e sia stato

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poi fatto oggetto di archiviazione senza che l'autorità giudiziaria sia riuscita ad addivenire alla formulazione di una specifica accusa meritevole di ulteriore sviluppo, e che magari è stata il frutto di una mera iniziativa pretestuosa o, peggio, fraudolenta, di un terzo interessato. In senso contrario, non potrebbe invocarsi l'argomento della possibile riapertura delle indagini, trattandosi di una eventualità (per "esigenza di nuove investigazioni") sostanzialmente assimilabile, e anzi probabilisticamente inferiore, a quella della possibile apertura delle indagini nei confronti di qualsiasi soggetto (per notizia di reato individualmente attribuito) (12067/2009). L'imputato in procedimento connesso a norma dell'art. 12, lett. c), cod. proc. pen. o di un reato collegato ai sensi dell'art. 371, comma secondo, cod. proc. pen. può essere esaminato in qualità di testimone assistito ex art. 197 bis cod. proc. pen. senza che sia necessario procedere agli avvisi previsti dall'art. 64 cod. proc. pen. se la sua posizione è stata definita con decisione divenuta irrevocabile (nella specie, sentenza di patteggiamento) ed egli ha già reso in precedenza dichiarazioni sulla responsabilità di altri (17133/2013). Sono utilizzabili le dichiarazioni rese - in qualità di testimone assistito, ex art. 197 bis, comma 2, c.p.p. - in sede di esame dibattimentale, dall'imputato di reato connesso o interprobatoriamente collegato, ancorché non precedute dall'avviso, ex art. 64, comma 3, c.p.p.; in tal caso, infatti, detto avviso, non è dovuto e, comunque, anche ove ritenuto necessario, la sua omissione non determina l'inutilizzabilità delle predette dichiarazioni, trattandosi di sanzione prevista dall'art. 64, comma 3 bis, c.p.p., non richiamato nell'art. 197 bis, c.p.p. (51241/2014). In tema di prova dichiarativa, sono utilizzabili le dichiarazioni rese in qualità di testimone dalla persona offesa del reato di truffa che sia stata a sua volta denunciata dall'imputato per calunnia, in quanto una lettura costituzionalmente orientata della previsione contenuta nell'art. 371, comma secondo, lett. b), cod. proc. pen., impone di escluderne dall'applicazione quei reati che, seppure formalmente reciproci, siano stati commessi in contesti spaziali e temporali del tutto diversi (4128/2015). In tema di prova dichiarativa, sono utilizzabili le dichiarazioni rese in qualità di testimone dalla persona offesa del reato di concussione che sia stata a sua volta denunciata dall'imputato per calunnia, in quanto l'incompatibilità non sussiste nel caso in cui i reati reciprocamente commessi si collochino in contesti spaziali e temporali diversi (6938/2019).

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C.p.p. art. 197 bis Persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l'ufficio di testimone COMMENTO Tale previsione normativa è stata introdotta nel codice di procedura penale con la L. n. 63 del 2001, che ha conformato i precetti codicistici ai parametri del “giusto processo” fissati in Costituzione. L'operatore del diritto che si trova a doverla analizzare può apprezzarne i contenuti solo mediante il combinato disposto con la norma di cui all'articolo precedente, della quale costituisce una sorta di integrazione. Infatti, se l'art. 197 determina i casi di incompatibilità con l'ufficio di testimone e le ipotesi in cui le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato possono deporre, la norma in esame tratta delle modalità di escussione di tali soggetti. I primi due commi ripropongono sostanzialmente quanto sancito nella norma precedente alla quale si fa rinvio per la trattazione dettagliata. Aspetti innovativi mostra, invece, il prosieguo della disposizione. Il terzo comma sancisce, innanzitutto, che il testimone, al momento della deposizione, deve essere assistito da un difensore di fiducia o, laddove questo non sia stato nominato, da un difensore d'ufficio. Il capoverso successivo introduce altri importanti elementi di novità, che se non fanno perdere al soggetto interessato la qualità di testimone, tuttavia introducono delle limitazioni e delle deroghe alla disciplina generale in tema di testimonianza [194, 198], giustificate dalla particolare posizione sostanziale in cui viene a trovarsi la persona imputata in un procedimento connesso o collegato. Nel quarto comma è presa in considerazione la figura dell'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 o di un reato collegato quando si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza. In questo caso il testimone, nei cui confronti sia stata pronunciata una sentenza di condanna, non può essere costretto a rendere delle dichiarazioni su fatti e circostanze che hanno già formato oggetto di discussione nel procedimento dal quale è scaturita la pronuncia irrevocabile, quando l'interessato abbia negato la propria colpevolezza o non abbia dichiarato alcunché: la ratio sottostante trova giustificazione nel fatto che il legislatore non ha inteso obbligare il testimone a confessare le proprie colpe, pena l'indebita violazione del principio nemo tenetur se detergere. Per quanto concerne l'imputato in un procedimento connesso quando il reato per cui si procede è stato commesso per eseguirne o per occultarne un altro o quando il reato è collegato nei modi già sopra riportati, il testimone, che aveva accettato di

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rendere dichiarazioni attinenti alla responsabilità altrui durante l'interrogatorio, non può essere forzato a deporre su circostanze che sono inerenti alla propria responsabilità in relazione alla fattispecie criminosa per cui si procede o si è proceduto. Il quinto comma sancisce un'ipotesi di inutilizzabilità soggettiva, stabilendo che le dichiarazioni contenute nelle deposizioni dei soggetti di cui sopra non possono essere prese in considerazione, dal punto di vista probatorio, contro la persona che le ha rese: – nel procedimento che si svolge nei suoi confronti; – nel procedimento di revisione della sentenza di condanna; – in qualunque giudizio civile o amministrativo che verta sul fatto oggetto dei procedimenti o delle sentenza suddette. L'ultimo comma precisa, infine, quale valore probatorio può essere conferito alle deposizioni dei soggetti qui considerati e lo fa rinviando all'art. 192, comma 3, per cui le loro dichiarazioni dovranno essere apprezzate unitamente ad altri elementi di prova che ne attestino l'attendibilità. La Corte costituzionale, con sentenza n. 381 del 2006 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei commi 2 e 3 dell'articolo in commento nella parte in cui prevedono, rispettivamente, l'assistenza di un difensore e l'applicazione della disposizione di cui all'art. 192, comma 3, anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 della presente disposizione, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto” divenuta irrevocabile. Il ragionamento che ha portato la Corte a censurare la disposizione in commento è il seguente: l'assoggettamento delle dichiarazioni della persona – che, già coimputata o imputata di reato connesso o collegato, sia stata assolta “per non aver commesso il fatto” – alla regola legale di valutazione enunciata nell'art. 192, comma 3, vale, in realtà, a rendere perenne una compromissione del valore probatorio delle relative dichiarazioni testimoniali, la quale si appalesa in sé priva di qualsiasi giustificazione sul piano razionale: e ciò perché, nei confronti di tale persona, l'ordinamento ha già acclarato, in via definitiva, l'inesistenza di qualunque correlazione con il fatto oggetto della verifica processuale, significativa agli effetti della responsabilità penale. Invero, la circostanza che nei confronti del soggetto, originariamente coimputato o imputato di reato connesso o collegato, sia intervenuta sentenza irrevocabile di assoluzione “per non aver commesso il fatto” – attestando in modo incontrovertibile la sicura estraneità di quel soggetto rispetto alla regiudicanda – elide ogni possibile “stato di relazione” con la vicenda processuale, nel cui ambito è resa la testimonianza. Se, infatti, l'effetto preclusivo del giudicato assolutorio produce la conseguenza di dissolvere, pro futuro, qualsiasi nesso giuridicamente rilevante tra la persona ed il fatto oggetto della originaria imputazione – tale essendo lo stesso etimo che contraddistingue la absolutio dalla istanza punitiva – è postulato indefettibile di tale restituito in integrum per l'innocente, riconosciuto formalmente tale, anche il totale ripristino della sua terzietà rispetto a quel fatto. In caso contrario, l'efficacia di un giudicato di assoluzione – che pure espressamente esclude, per il dichiarante, qualsiasi legame con l'oggetto del giudizio, consolidando tale esito al punto da renderlo irreversibile – risulta sostanzialmente svilita proprio dalla perdurante limitazione del valore probatorio delle sue

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dichiarazioni. Tale deminutio, dunque, si profila viziata da manifesta irragionevolezza: sia perché appare carente di ogni giustificazione l'applicazione della regola legale di valutazione della necessaria corroboration con riscontri esterni, ai sensi dell'art. 192, comma 3, una volta intervenuto l'irrevocabile accertamento di estraneità del soggetto rispetto alla verifica processuale dell'accusa; sia perché tale limitazione, resistendo persino all'effetto preclusivo del giudicato assolutorio, appare insuscettibile di essere emendata e, dunque, paradossalmente immutabile. Ciò, non senza considerare che, nella normativa oggetto di censura, all'irrilevanza del giudicato assolutorio sul recupero della piena “capacità a testimoniare” del soggetto già coimputato, corrisponde – accanto ad una significativa degradazione del valore di garanzia proprio dell'assoluzione definitiva – anche l'irragionevole perpetuazione degli effetti del processo in quanto tale, prescindendo totalmente dal relativo epilogo. Tale aprioristica valutazione negativa del contributo probatorio offerto da un soggetto ormai immune – in forza del giudicato assolutorio – da ogni interesse all'esito del giudizio appare, per un verso, irragionevole e, per altro verso, in contrasto con il principio di eguaglianza, almeno sotto due diversi e complementari profili. Per un primo aspetto, infatti, la presunzione di minore attendibilità, scaturente dalla regola di valutazione probatoria in questione, risulta irragionevolmente discordante rispetto alle regulae iuris che presiedono, invece, alla valutazione giudiziale delle dichiarazioni rese dal teste ordinario; e ciò nonostante le tipologie di dichiaranti in comparazione risultino omogenee, in quanto connotate dalla comune peculiarità della condizione di assoluta indifferenza rispetto alla vicenda oggetto di giudizio: l'una sussistente ab origine, l'altra necessariamente sopravvenuta ed indotta dall'assoluzione divenuta irrevocabile. Sotto altro profilo, invece, la normativa censurata assimila – quanto a necessità di assistenza difensiva ed a regola di valutazione probatoria del dichiarato – le dichiarazioni rese dai dichiaranti già coimputati ed assolti per non aver commesso il fatto a quelle rese dai soggetti dichiaranti ai sensi dell'art. 210; dichiarazioni provenienti, cioè, da una tipologia di dichiaranti assolutamente distinta e non assimilabile: a tacer d'altro, perché essa contempla soggetti ancora pienamente coinvolti nel fatto oggetto di giudizio, al punto da non poter assumere l'ufficio di testimone e, soprattutto, di essere titolari della facoltà di non rispondere. D'altra parte, l'irragionevolezza che contrassegna la normativa censurata emerge anche sotto il diverso profilo della necessità dell'assistenza difensiva, che tale normativa statuisce anche per il dichiarante già coimputato o imputato di reato connesso o di reato collegato, poi assolto “per non aver commesso il fatto”. La garanzia dell'assistenza difensiva – sancita indistintamente, per le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato, dal comma 3 – trova giustificazione, anche storicamente, nelle possibili compromissioni che la deposizione potrebbe indurre rispetto alla posizione dello stesso dichiarante, rendendo effettivo il principio del nemo tenetur se detegere. Ma proprio l'esistenza di un giudicato assolutorio “per non aver commesso il fatto” attesta l'impossibilità di evocare un tale pericolo per il dichiarante, considerando altresì l'esistenza della garanzia del ne bis in idem e dovendosi escludere ogni eventualità di revisione del giudizio, in un'ipotesi – come nella specie – di assoluzione. La presenza del difensore in funzione di assistenza del dichiarante, nella

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fase di acquisizione della prova, postula, dunque, una ragione normativa che appare del tutto incompatibile con la natura e gli effetti del giudicato di assoluzione, di cui è stato già destinatario il soggetto dichiarante. Ne risulta evidente l'aporia, che, lungi dal prospettarsi quale innocua garanzia aggiuntiva, segnala, in realtà, un ulteriore profilo di disarmonia della normativa censurata. L'assistenza difensiva necessaria, infatti, oltre a non essere presidiata da alcuna giustificazione normativa apprezzabile – ed, anzi, apparendo in logico contrasto con la neutralità del dichiarante rispetto al giudizio, già affermata dal giudicato di assoluzione – configura un indubbio vulnus al principio di eguaglianza sostanziale, atteso che, proprio in forza della presenza del difensore, la categoria dei dichiaranti in esame risulta soggetta, quanto alle modalità di assunzione della prova, ad un trattamento irragionevolmente diverso rispetto alla generalità degli altri testi. Con ordinanza n. 456 del 2007 la Corte costituzionale scioglie i dubbi circa l'illegittimità costituzionale del comma 4 dell'articolo in commento, affermando e motivando la piena conformità della norma ai principi dettati dalla Carta Costituzionale. La norma in oggetto prevede che nel caso di procedimenti connessi [➠ 12] o nel caso di reati collegati [➠ 371 comma 2, lettera b] non sussiste alcun obbligo per il testimone di deporre “sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione”. La lettera della norma è chiara: tale garanzia è assicurata solo a colui nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna all'esito di un giudizio e di conseguenza dovrebbe ritenersi esclusa per il soggetto condannato con sentenza di applicazione della pena. Proprio tale limitazione del campo applicativo della norma è stata ritenuta costituzionalmente illegittima da parte del Gip del Tribunale di Imperia per due ordini di motivi. In primo luogo tale esegesi comporterebbe una violazione dell'art. 3 Cost., laddove vengono trattate in modo diverso situazioni sostanzialmente uguali. Infatti, in entrambe le ipotesi menzionate (condanna con rito ordinario e condanna ex art. 444) vi sarebbe l'irrogazione di una pena nei confronti di testimoni che in precedenti giudizi non hanno effettuato alcuna dichiarazione. In secondo luogo l'obbligo della testimonianza causerebbe una violazione dell'art. 24, comma 2, Cost.. Infatti, non solo si infrangerebbe il diritto al silenzio disciplinato dall'art. 64, ma il dichiarante sarebbe esposto al rischio di un procedimento per falsa testimonianza, salva l'applicazione dell'esimente ex art. 384 c.p. Tali censure non sono state accolte dalla Corte costituzionale. Il giudice delle leggi ha escluso l'irragionevolezza del citato comma 4 dell'articolo in oggetto partendo dalla considerazione della diversità strutturale dei due giudizi, distinzione sottolineata anche da precedente giurisprudenza ordinaria e costituzionale. In particolare, la Corte evidenzia che con il patteggiamento l'imputato conosce ed accetta ab origine non solo gli effetti premiali dallo stesso scaturenti ma anche altri effetti più scomodi quale l'assunzione della veste di testimone. Per quanto attiene poi alla presunta violazione del diritto di difesa, si afferma che il pieno rispetto dell'art. 24 Cost. è assicurato dal sistema di garanzia che il legislatore ha previsto per il dichiarante che assume la veste del testimone assistito. Per questi motivi la Corte dichiara la manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale del comma 4, in riferimento agli artt. 3 e 24, comma 2, Cost. La Corte costituzionale, con sentenza 26 gennaio 2017, n. 21, ha dichiarato:

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1) l’illegittimità costituzionale del comma 6 del presente articolo, nella parte in cui prevede l’applicazione della disposizione di cui all’art. 192, comma 3, del codice di rito anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del presente articolo, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” divenuta irrevocabile; 2) l’illegittimità costituzionale del comma 3, nella parte in cui prevede l’assistenza di un difensore anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del presente articolo, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” divenuta irrevocabile. Per quanto riguarda il primo caso la Corte aveva già esaminato, in una situazione analoga, la compatibilità dell’art. 197-bis cod. proc. pen. con l’art. 3 Cost., e ne aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui la disposizione si applica alle dichiarazioni rese dalle persone «nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto” divenuta irrevocabile» (sentenza n. 381 del 2006). Con la sentenza n. 381 del 2006 questa Corte, ribadendo peraltro quanto aveva già affermato con l’ordinanza n. 265 del 2004, ha rilevato come l’assetto normativo della prova dichiarativa, in esito alla novella del 1° marzo 2001, n. 63, di attuazione del “giusto processo”, evidenziasse una complessiva “strategia di fondo” del legislatore: precisamente, quella di «enucleare una serie di figure di dichiaranti nel processo penale in base ai diversi “stati di relazione” rispetto ai fatti oggetto del procedimento, secondo una graduazione che, partendo dalla situazione di assoluta indifferenza propria del teste ordinario, giunge fino alla forma “estrema” di coinvolgimento, rappresentata dal concorso del dichiarante nel medesimo reato». La sentenza aggiungeva che «alla molteplicità di tali “stati di relazione” corrisponde, evidentemente, una “articolata scansione normativa”, relativa non soltanto alla varietà soggettiva dei dichiaranti, ma anche alle differenti modalità di assunzione della dichiarazione e, soprattutto, ai diversi effetti del dichiarato». Muovendo da queste considerazioni e dall’esame dei diversi “stati di relazione” individuati dalle norme del codice di rito, la Corte è giunta alla conclusione che assimilare le dichiarazioni della persona imputata in un procedimento connesso o di un reato collegato, assolta “per non aver commesso il fatto”, alle altre dichiarazioni previste dal comma 1 dell’art. 197-bis cod. proc. pen. «appare per un verso irragionevole e, per altro verso, in contrasto con il principio di eguaglianza» (sentenza n. 381 del 2006). Alle medesime conclusioni non può non pervenirsi nel caso di assoluzione “perché il fatto non sussiste”, che costituisce una formula liberatoria nel merito di uguale ampiezza. Del resto non è senza significato il fatto che il codice di procedura penale del 1930, con l’art. 348, terzo comma, vietasse l’assunzione, come testimoni, degli imputati dello stesso reato o di un reato connesso, anche se erano stati prosciolti o condannati, salvo che il proscioglimento fosse stato «pronunciato in giudizio per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste». Pure in quest’ultimo caso può affermarsi che l’assoggettamento delle dichiarazioni della persona assolta alla regola legale di valutazione enunciata nell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., sì da rendere «perenne una compromissione del valore probatorio delle relative dichiarazioni testimoniali», risulta priva di giustificazione sul

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piano razionale. Per effetto di tale regola l’efficacia di un giudicato di assoluzione – che pure espressamente esclude, per il dichiarante, qualsiasi responsabilità rispetto ai fatti oggetto del giudizio, consolidando tale esito al punto da renderlo irreversibile – risulta sostanzialmente svilita proprio dalla perdurante limitazione del valore probatorio delle sue dichiarazioni (sentenza n. 381 del 2006). Riguardo anche alla violazione del principio di eguaglianza, possono estendersi al caso in esame le considerazioni già svolte dalla sentenza n. 381 del 2006. Infatti, «la presunzione di minore attendibilità, scaturente dalla regola di valutazione probatoria in questione, risulta irragionevolmente discordante rispetto alle regulae iuris che presiedono, invece, alla valutazione giudiziale delle dichiarazioni rese dal teste ordinario; e ciò nonostante le tipologie di dichiaranti in comparazione risultino omogenee, in quanto connotate dalla comune peculiarità della condizione di assoluta indifferenza rispetto alla vicenda oggetto di giudizio: l’una sussistente ab origine, l’altra necessariamente sopravvenuta ed indotta dall’assoluzione divenuta irrevocabile». È inoltre da considerare che la sentenza di illegittimità costituzionale n. 381 del 2006 ha dato luogo a un’ulteriore situazione di contrasto con l’art. 3 Cost., perché differenziando il regime e il valore probatorio delle dichiarazioni dell’imputato in un procedimento connesso o di un reato collegato, a seconda che l’assoluzione sia stata pronunciata per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, ha determinato una nuova ingiustificata disparità di trattamento, alla quale ora può porsi riparo. Per quanto riguarda il secondo caso (estensione della dichiarazione di illegittimità costituzionale, in via consequenziale, al comma 3 dell’art. 197-bis cod. proc. pen.) va detto che l’estensione si impone per evitare che la testimonianza del dichiarante, imputato in un procedimento connesso o di un reato collegato poi assolto “perché il fatto non sussiste”, resti soggetta a una modalità di assunzione della prova strettamente correlata, in un regime di testimonianza assistita, alla norma di cui viene dichiarata l’illegittimità costituzionale. Caduta l’una deve conseguentemente cadere pure l’altra, anche perché il suo mantenimento lascerebbe parzialmente in vita l’ingiustificata disparità di trattamento alla quale con la presente decisione è stato posto riparo.

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C.p.p. art. 198 Obblighi del testimone COMMENTO Il codice di rito attualmente in vigore pone a carico del testimone tre distinti obblighi, che possono essere sintetizzati come segue: – il teste deve presentarsi al giudice: esso viene citato e non può non recarsi dal giudice per effettuare la deposizione; – il teste deve attenersi alle prescrizioni impartite giudice: esso deve mostrare la più completa disponibilità nel processo, adeguandosi agli ordini imposti dall'organo giudicante; – il teste deve rispondere secondo verità: esso non può rendere dichiarazioni false e il giudice può ricordargli tale obbligo, oltre che prima dell'escussione, anche ogni volta che sussista il sospetto che le dichiarazioni siano contrarie al vero. Il secondo comma sancisce anche per il testimone la piena operatività del fondamentale principio del nemo tenetur se detergere, secondo il quale nessuno può essere costretto a deporre su fatti o circostanze che potrebbero provocare l'autoincriminazione. Di non secondaria importanza risulta essere il tenore letterale della norma, nella parte in cui utilizza il verbo “potere” e dal quale discende la chiara intenzione del legislatore di escludere l'obbligo del testimone di deporre anche quando sussiste la semplice possibilità di rendere dichiarazioni a sé sfavorevoli e non soltanto quando l'autoincriminazione appaia certa.

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C.p.p. art. 199 Facoltà di astensione dei prossimi congiunti GIURISPRUDENZA L'esercizio della facoltà di astenersi dal deporre da parte dello stretto congiunto prevista dall'art. 199 cod. proc. pen – la cui “ratio” si giustifica con la necessità di tutela del vincolo familiare – impedisce sia l'introduzione nel fascicolo del dibattimento della dichiarazione resa dallo stesso nel corso delle indagini, sia il recupero della stessa dichiarazione mediante la testimonianza resa “de relato” dal verbalizzante, che procedette all'escussione del teste. Infatti da un lato va rilevato, ai sensi del secondo comma dell'art. 500 c.p.p., che le dichiarazioni rese dal teste nel corso delle indagini preliminari possono essere inserite nel fascicolo del dibattimento mediante contestazione solo se sui fatti e sulle circostanze oggetto di contestazione il teste abbia già deposto, e dall'altro va considerato che, ai sensi dell'art. 512 c.p.p., la lettura degli atti assunti nel corso delle indagini preliminari è consentita solo nel caso che ne sia divenuta impossibile la ripetizione per fatti o circostanze imprevedibili (6294/1999, rv 213464). Poiché la facoltà di astensione prevista dall'art. 199 c.p.p. non si estende anche a quella parte della testimonianza concernente i coimputati del prossimo congiunto del testimone, le dichiarazioni rese da quest'ultimo nel corso delle indagini preliminari e riferibili a soggetti diversi dal congiunto imputato sono acquisibili nel dibattimento, in caso di rifiuto di deporre, ai sensi dell'art. 512 c.p.p., essendo imprevedibile un rifiuto di ribadire una testimonianza precedentemente resa (7258/2000, rv 216359). Il prossimo congiunto dell'imputato ha sempre la possibilità di avvalersi della facoltà di non deporre prevista dall'art. 199 c.p.p., nulla rilevando che in precedenza egli vi abbia rinunciato. Detta possibilità sussiste quindi anche nel caso in cui egli, avendo a suo tempo deposto nel corso di un giudizio all'esito del quale l'imputato suo congiunto ed altri da lui chiamati in correità erano stati condannati, sia nuovamente investito della funzione di testimone nel giudizio di revisione promosso dai chiamati e per il quale il

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chiamante sia stato citato in veste di imputato, siccome possibile beneficiario dell'eventuale effetto estensivo della revisione stessa, ai sensi dell'art. 587 c.p.p. (12081/2000, rv 217299). In tema di astensione dei prossimi congiunti dal deporre, la limitazione della relativa facoltà, nel caso del coniuge separato dell'imputato, ai fatti verificatisi o appresi durante la convivenza coniugale, deve ritenersi operante avendo riguardo, come termine finale, non a quello segnato dalla pronuncia della separazione legale ma a quello, se precedente, in cui di fatto è cessata la suddetta convivenza (9693/2003, rv 223446). L'utilizzazione degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia straniera e acquisiti nel fascicolo per il dibattimento dopo l'esame testimoniale dell'autore degli stessi, ai sensi dell'art. 78, comma 2, disp. att. c.p.p., non è condizionata all'accertamento, da parte del giudice italiano, della regolarità degli atti compiuti dall'autorità straniera, vigendo una presunzione di legittimità dell'attività svolta e spettando al giudice straniero la verifica della correttezza della procedura e l'eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarità riscontrate. (Nella specie il ricorrente aveva eccepito che la persona informata dei fatti interrogata dalla polizia tedesca non era stata avvertita della facoltà di astenersi dal deporre ex art. 199 c.p.p.) (24776/2010). Il soggetto in stato di potenziale incompatibilità a testimoniare ex art. 199 c.p.p., in quanto prossimo congiunto dell'imputato, che abbia scelto di non astenersi dalla testimonianza, assume la qualità di testimone al pari di ogni altro soggetto chiamato a testimoniare, con tutti gli obblighi connessi alla qualità di testimone (42818/2013). Il prossimo congiunto dell’imputato, che sia persona offesa dal reato commesso da quest’ultimo, non ha comunque facoltà di astenersi dal deporre, secondo quanto previsto dall’art. 199, comma 1, c.p.p., anche quando il reato offenda anche altre persone giacché l’unitarietà della condotta rende inscindibili le sue dichiarazioni, anche relative al soggetto non prossimo congiunto (13529/2017).

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C.p.p. art. 199 Facoltà di astensione dei prossimi congiunti COMMENTO È importante sottolineare le ragioni e i limiti della facoltà di non deporre nel processo penale riconosciuta dal legislatore ai prossimi congiunti dell'imputato. Si tratta di ragioni consistenti nella tutela del sentimento familiare (latamente inteso) e nel riconoscimento del conflitto che può determinarsi in colui che è chiamato a rendere testimonianza, tra il dovere di deporre e dire la verità e il desiderio, o la volontà, di non danneggiare il prossimo congiunto. Nondimeno, nel riconoscere prevalenti, e quindi nel tutelare, tali motivi di ordine affettivo, il legislatore non ha stabilito un criterio assoluto – quale sarebbe stato, ad esempio, il divieto assoluto e inderogabile di testimoniare – ma ha accordato la facoltà di astenersi dal deporre solo se, ed in quanto, l'interessato reputi di non dovere, o non potere, superare quel conflitto. La soluzione legislativa adottata implica alcuni chiari effetti: il primo è che ove il prossimo congiunto accetti di deporre, egli assume la qualità di teste al pari di qualsiasi altro soggetto, con tutti gli obblighi che a tale qualità l'art. 198 ricollega, essendo cessate, per scelta dello stesso interessato, le ragioni che giustificavano la tutela della sua particolare posizione. Ulteriore corollario è che la testimonianza così acquisita è legittimamente, e soprattutto, stabilmente, acquisita. Una volta assolto tale obbligo, ed una volta che l'interessato abbia rinunciato alla facoltà di astenersi, la dichiarazione è legittimamente assunta anche ove il dichiarante decida successivamente di astenersi dalla testimonianza dibattimentale (così Corte Costituzionale n. 179 del 1994). Il legislatore ha, dunque, previsto la possibilità di astenersi dal testimoniare per le seguenti categorie di persone: – i prossimi congiunti: l'art. 307 c.p. stabilisce che agli effetti della legge penale, s'intendono per prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole; – coloro che sono legati all'imputato da vincolo di adozione: il vincolo di adozione è un legame che dà vita ad un rapporto legale di parentela tra adottante e adottato; – chi, pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso: la facoltà di astensione dal testimoniare sussiste anche qualora la convivenza sia venuta meno; – il coniuge separato dell'imputato: la possibilità di astenersi dalla deposizione testimoniale non è esclusa quando fra i coniugi ci sia separazione consensuale o giudiziale; – la persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con l'imputato: l'astensione dalla testimonianza spetta anche all'ex coniuge non più legato all'imputato

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perché sussiste una pronuncia di annullamento del matrimonio o di divorzio o di cessazione degli effetti civili del vincolo matrimoniale dovuta ad altre cause. Negli ultimi tre casi appena analizzati la facoltà di non essere sottoposti alla prova testimoniale è limitata ai soli fatti che si sono verificati o che sono stati appresi dall'imputato nel corso della convivenza coniugale. La disposizione in esame non è suscettibile di interpretazione estensiva, avendo il legislatore provveduto ad individuare, sulla base di criteri improntati a ragionevolezza e quindi conformi ai principi costituzionali, quelle posizioni che, anche nell'ambito del rapporto familiare “di fatto”, sono state ritenute meritevoli di considerazioni in relazione alle finalità della norma (così Cassazione n. 6726 del 1995). Occorre, infine, ricordare che il giudice ha l'obbligo, previsto a pena di nullità, di chiedere ai soggetti sopra indicati se intendono avvalersi della facoltà di astenersi dalla testimonianza e che qualora essi abbiano presentato denuncia (dichiarazione, scritta od orale, attraverso la quale una persona porta a conoscenza l'autorità giudiziaria dell'avvenuta realizzazione di un reato perseguibile d'ufficio), querela (dichiarazione attraverso la quale la vittima di un reato manifesta la volontà che il pubblico ministero persegua il colpevole del reato stesso) o istanza (manifestazione di volontà discrezionale con la quale la persona offesa, che subisce le conseguenze dei reati commessi all'estero, di cui agli artt. 9 e 10, chiede al pubblico ministero di esercitare l'azione penale, perché il fatto possa essere punito), ovvero essi o un loro prossimo congiunto siano offesi dal reato, non possono sottrarsi alla deposizione, essendo venute meno le ragioni di solidarietà familiare alla base della disposizione in oggetto. L’articolo in commento è stato modificato dall’art. 2, del D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 6 recante modificazioni ed integrazioni normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettera c), della legge 20 maggio 2016, n. 76. Il suddetto comma 28 stabilisce che il Governo è delegato ad adottare (entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge), uno o più decreti legislativi in materia di unione civile tra persone dello stesso sesso nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) adeguamento alle previsioni della presente legge delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni; b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l’applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo; c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti. La novella del 2017 contiene le necessarie modifiche al fine di operare il coordinamento con il codice di rito, in relazione alla "facoltà di astensione dei prossimi congiunti" dell'imputato alla deposizione testimoniale. Si prevede l'introduzione del nuovo soggetto "parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso" per l'ipotesi di fatti verificatesi o appresi durante la convivenza "more uxorio". La stessa previsione è ricontemplata anche al comma 3 lettera c) per i fatti appresi durante la coabitazione: la parte dell'unione civile avrà facoltà di astenersi dal deporre analogamente al coniuge anche se separato.

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La necessità della modifica normativa deriva dalla natura tassativa dell'elenco circa le cause di incompatibilità che impongono l'astensione del giudice. L'art. 35 c.p.p. stabilisce che nel procedimento non possono esercitare funzioni, anche separate o diverse, giudici che sono tra loro coniugi, mentre l'art. 36 c.p.p. individua in maniera dettagliata i casi in presenza dei quali il giudice ha l'obbligo di astenersi con riguardo all'eventuale qualità di parte del coniuge o ai rapporti intrattenuti da lui o dal suo coniuge con le parti private. A seguito dell'introduzione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, le disposizioni in parola devono ragionevolmente essere lette nel senso che l'incompatibilità e l'obbligo di astensione si intendono estese in relazione al partner di un'unione civile tra persone dello stesso sesso. L'art. 1 comma 20 della legge 76/2016 di delega contiene infatti la chiara indicazione dell'applicazione delle disposizioni in esame anche alle parti dell'unione civile. Si tratta infatti di obblighi da essa derivanti, nel senso sin qui specificato, il cui adempimento è espressamente indicato dalla norma in parola quale finalità dell'equiparazione. D'altra parte, la modifica delle sole norme del codice di procedura penale non sarebbe funzionale in considerazione del fatto che la materia delle incompatibilità derivanti da rapporto di coniugio, che non si dubita essere disciplinata in via generale dal citato comma 20, è trasversale all'intero ordinamento giuridico e non riguarda il giudice penale, ma chiunque assuma o mantenga incarichi non solo pubblici ma anche privati.

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C.p.p. art. 200 Segreto professionale GIURISPRUDENZA La perquisizione e il sequestro eseguiti presso lo studio del legale che difende l'indagato in procedimento diverso da quello in cui essi sono disposti non violano il segreto professionale, che trova la sua esplicita regolamentazione solo in tema di testimonianza, mentre, in tema di perquisizione e sequestro, è solo indirettamente tutelato dalle limitazioni oggettive all'acquisizione di tali mezzi di prova con riguardo al difensore (195/1991, rv 187029). La diffusione telematica di atti processuali costituisce condizione sufficiente per determinare un'esplorazione della memoria del personal computer di un giornalista allo scopo di individuare l'autore del reato di cui all'articolo 379 bis c.p., ma tale attività investigativa deve essere condotta in modo da non compromettere il diritto del giornalista alla riservatezza della corrispondenza e delle proprie fonti. Ne consegue che, una volta opposto dal giornalista il segreto professionale ai sensi dell'articolo 200 c.p.p., si può procedere a sequestro probatorio della memoria del computer, solo una volta ritenuta l'infondatezza del rilievo e la necessità dell'acquisizione per l'indagine. (Fattispecie in cui il sequestro probatorio era stato annullato in quanto le indagini di Pg avevano già appurato che gli atti processuali erano pervenuti al giornalista da altro giornalista e non da un pubblico ufficiale, per cui il sequestro e la clonazione della memoria effettuato a scopo esplorativo era stato effettuato in violazione delle regole di pertinenzialità del bene al reato e di grave compromissione del diritto alla riservatezza del giornalista) (25755/2007). In materia di assistenza giudiziaria penale, sono utilizzabili le deposizioni testimoniali rese in sede di rogatoria all'estero da soggetti che, secondo la legge italiana, avrebbero potuto avvalersi del segreto professionale ex art. 200 c.p.p. (15208/2010). Il segreto di Stato può essere opposto solo dai pubblici ufficiali, dai pubblici impiegati e dagli incaricati di pubblico servizio; esso è posto a tutela di interessi squisitamente pubblici, correlati alla

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sicurezza, alla indipendenza, al prestigio, appunto, dello Stato. E se i fatti coperti da tale segreto non possono essere rivelati alla autorità giudiziaria, ovviamente non possono essere rivelati neanche ad giornalista. Al giornalista è consentita, nei confronti del giudice o del PM, la opposizione del solo segreto professionale; ma tale opposizione semplicemente lo legittima a non rivelare la fonte della notizia di cui egli sia venuto in possesso, ma non garantisce certamente la rispondenza al vero della notizia stessa. Se tale fonte è un (infedele) funzionario dello Stato, il giornalista può tutelarlo, opponendo il segreto professionale, ma, così facendo, assume il rischio derivante dalla impossibilità di provare la notizia che ha diffuso (10964/2013). Con riferimento ad atti di perquisizione e sequestro di computer in uso ad un giornalista, deve ritenersi violato il principio di proporzionalità ed adeguatezza, applicabile anche ai vincoli reali, nel caso di sequestro indiscriminato di un sistema informatico a fini probatori che conduca, senza che ve ne sia specifica ragione, all'apprensione dell'intero contenuto di informazioni. Infatti, le disposizioni introdotte dalla legge 48/2008 riconoscono al dato informatico, in quanto tale, la caratteristica di oggetto del sequestro, di modo che il trattenimento di copia dei dati sequestrati, con restituzione all'avente diritto del loro supporto fisico originale di memoria, non fa cessare il sequestro. Vieppiù il diritto all'anonimato sulle fonti del giornalista, quale previsto dall'art. 200 cod. proc. pen., non consente il ricorso a perquisizione e sequestro per acquisire il nominativo della fonte, salvo che non ricorrano, ex ante, le condizioni per la non operatività del diritto al segreto (24617/2015). L’attività svolta dal giornalista impone, anche ai fini della legittimità di provvedimenti di perquisizione e sequestro, il rispetto dei limiti indicati dall’articolo 200, comma 3, del Cpp in tema di prova testimoniale, e cioè l’ “indispensabilità” della rilevazione della fonte informativa ai fini della prova del reato per cui si procede, nonché l’impossibilità di accertare altrimenti la veridicità della notizia in possesso del perquisito. Inoltre, la peculiare attività del giornalista implica la necessità di valutare con particolare rigore la “proporzione” tra il contenuto del provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria e le esigenze di accertamento dei fatti: solo in tal modo, infatti, si può assicurare che l’attività investigativa sia condotta in modo da non compromettere il diritto del giornalista alla riservatezza della propria corrispondenza e delle proprie fonti, in ossequio alle indicazioni desumibili dagli articoli 200, comma 3, e 256 del Cpp, nonché 10 della Convenzione Edu. Da ciò deriva che, ai fini della legittimità di un provvedimento di ricerca della prova nei confronti di un giornalista in relazione agli atti e documenti relativi alla sua attività professionale, sono necessarie non solo l’indispensabilità della rivelazione della fonte informativa del medesimo ai fini della prova del reato per cui si procede, e l’impossibilità di accertare altrimenti la veridicità della notizia in possesso del perquisito, in linea con quanto prevede l’articolo 200,

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comma 3, del Cpp, ma occorre anche che il vincolo sia apposto esclusivamente su quanto è strettamente necessario per l’accertamento dello specifico fatto oggetto di indagine (9989/2018). La facoltà di astensione riconosciuta all'avvocato si inscrive nella tutela del diritto di difesa inteso in senso ampio proprio perché è destinata a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa, consentendo che ad un difensore tecnico possano, senza alcuna remora, essere resi noti fatti e circostanze la cui conoscenza è necessaria o utile per l'esercizio di un efficace ministero difensivo e, quindi, l'avvocato può avvalersene riguardo alle conoscenze acquisite in ogni fase dell'attività professionale, sia contenziosa che non come nel caso in esame, in cui l'attività professionale prestata era di tipo stragiudiziale, di guisa che il presupposto oggettivo connesso allo svolgimento dell'attività professionale non può ritenersi circoscritto alla sola ipotesi in cui egli abbia assunto la veste di difensore nel processo, nel qual caso - peraltro - ricorrerebbe una incompatibilità a testimoniare. Alla luce di quanto puntualizzato in ordine alla funzione assolta dall'istituto, il controllo riservato al giudice circa il corretto esercizio della facoltà di astensione va focalizzato esclusivamente sulla ricorrenza dei presupposti soggettivo ed oggettivo, senza che la scelta compiuta dall'avvocato, intimato come teste, possa ritenersi sindacabile sotto il profilo dell'interesse del soggetto che ha articolato la prova testimoniale (27703/2020).

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C.p.p. art. 200 Segreto professionale COMMENTO La disposizione in esame si pone su un piano di netta “eccezionalità” rispetto al generale obbligo di testimonianza ed, in quanto tale, contempla ipotesi non suscettibili di estensione analogica. Dal punto di vista oggettivo la norma tratta del cosiddetto segreto professionale, dove per segreto si intende una situazione giuridicamente rilevante, per la quale una determinata notizia deve essere portata a conoscenza di una sola persona o di un ristretto numero di soggetti. La segretezza che interessa nel caso di specie è quella relativa a determinate notizie apprese in ragione del proprio ministero, ufficio o professione: la professione può essere definita come ogni attività intellettuale o manuale esercitata da taluno a favore di una o più persone, in genere esercitata a scopo di lucro; l'ufficio consiste, invece, nell'esercizio di attività pubbliche e private effettuate a favore della collettività. In taluni casi, determinate categorie di persone vincolate dal segreto professionale hanno la facoltà di non deporre su fatti o circostanze che comporterebbero la divulgazione di notizie sulle quali sussiste il segreto medesimo, definito anche “qualificato”: la ratio sottostante va individuata nel fatto che viene considerata prevalente la tutela del rapporto fiduciario che lega le medesime agli individui con cui esse vengono in rapporto piuttosto che l'accertamento della verità processuale. Tale facoltà di non rispondere, tuttavia, viene meno quando sussiste, in capo al professionista, l'obbligo giuridico di comunicare il fatto all'autorità giudiziaria; in questo caso, infatti, l'interesse della Giustizia è prioritario rispetto alla constatazione e alla verifica del fatto di reato. In particolare non sono obbligati a deporre: – i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano: normalmente si fa riferimento alle notizie di cui il sacerdote viene a conoscenza nel corso del sacramento della Confessione nella religione Cattolica; – gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai: con la legge n. 397 del 2000, che ha disciplinato la materia delle indagini difensive, è stata conferita la possibilità di opporre il segreto professionale anche all'investigatore privato che sia stato espressamente autorizzato a eseguire le attività di indagine; – i medici, i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria; – gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale: tale gruppo di soggetti ha natura prettamente residuale. Il secondo comma precisa quali poteri la legge conferisce al giudice nel caso in cui il testimone, nel corso della propria deposizione, opponga il segreto professionale. L'organo giudicante, infatti, qualora ritenga dubbia la sussistenza del suddetto segreto,

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può predisporre i controlli necessari affinché venga fatta chiarezza sull'effettiva esistenza del vincolo in questione. Se l'opposizione non risulta fondata il giudice può ordinare al teste di deporre. La disciplina del segreto si estende anche alla categoria professionale dei giornalisti iscritti nell'albo professionale; essi, infatti, hanno la facoltà di tenere nascosta l'identità degli informatori, cioè delle persone dalle quali la notizia è stata percepita. Il segreto giornalistico, tuttavia, non sussiste quando i fatti riferiti sono necessari ai fini dell'accertamento del reato oggetto della vicenda processuale e la loro attendibilità e credibilità può essere verificata soltanto attraverso l'identificazione della fonte originaria della notizia, nel qual caso l'organo giudicante impone al giornalista di rivelare il nome dell'informatore.

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C.p.p. art. 201 Segreto di ufficio COMMENTO Si consideri l'obbligo di riferire la notizia di reato da parte della polizia giudiziaria.

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C.p.p. art. 201 Segreto di ufficio GIURISPRUDENZA Il giudice penale che abbia concorso, in Camera di Consiglio, alla deliberazione collegiale non può essere richiesto – trattandosi di attività coperta da segreto di ufficio – di deporre come testimone in merito al relativo procedimento di formazione (e, se richiesto, ha l'obbligo di astenersi), limitatamente alle opinioni e ai voti espressi dai singoli componenti del Collegio, salvo il sindacato del giudice che procede circa l'effettiva pertinenza della domanda formulata alle circostanze coperte da segreto. Ne consegue che la testimonianza eventualmente resa, poiché acquisita in violazione di un divieto stabilito dalla legge, è inutilizzabile (22327/2002, rv 224182).

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C.p.p. art. 201 Segreto di ufficio COMMENTO La ratio di tale disposto normativo trova fondamento nella tutela finalizzata al regolare funzionamento della pubblica amministrazione. Esso prevede l'obbligo, in capo ad alcune categorie di soggetti, di astenersi dall'effettuare la propria deposizione in relazione a fatti percepiti per ragioni d'ufficio che non devono essere divulgati (per la disciplina dettagliata del segreto si rinvia al commento sub art. 200): il contesto letterale della norma evidenzia prima facie un importante elemento di differenziazione rispetto all'articolo precedente. Mentre, infatti, nel contesto del segreto professionale i soggetti indicati hanno la facoltà di non deporre, nel caso di specie sussiste un vero e proprio obbligo di astensione dal testimoniare. L'obbligo del segreto d'ufficio, pertanto, viene meno quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio abbiano il dovere giuridico di comunicare all'autorità giudiziaria il fatto conosciuto, cioè quando l'accertamento della fattispecie criminosa risulti prioritario rispetto al regolare funzionamento dell'attività amministrativa (esempio). I soggetti indicati dalla norma, sui quali verte il segreto d'ufficio, sono: a) i pubblici ufficiali: coloro che esercitano in concreto una funzione pubblica, che può essere legislativa, giudiziaria o amministrativa. Per quanto concerne, in particolare, la definizione di funzione amministrativa, il legislatore della riforma prende in considerazione, quali parametri di riferimento, la fonte del potere e le caratteristiche peculiari della funzione stessa. Quanto al primo punto, è da intendersi pubblica funzione amministrativa quella disciplinata da: – norme di diritto pubblico: nonostante la sostanziale incertezza della dottrina e della giurisprudenza in ordine alla linea di confine di tali norme rispetto a quelle di diritto privato, si può asserire che si configurano le prime quando il trattamento sanzionatorio viene attivato d'ufficio, mentre si rientra nell'ambito delle seconde quando la reazione sanzionatoria è rimessa alla libera volontà delle parti; – atti autoritativi: provvedimenti espressione del potere amministrativo, inteso come esecuzione di attività funzionalmente orientata al soddisfacimento di un interesse pubblico. Quanto al secondo punto sono pubblici ufficiali coloro che determinano o concorrono a determinare la volontà dell'ente a cui appartengono o coloro che hanno il potere e le facoltà di manifestare all'esterno la volontà della p.a.; b) i pubblici impiegati: coloro che svolgono, in maniera continuativa e dietro pagamento di una retribuzione, la propria attività lavorativa alle dipendenze dello Stato o di un altro ente pubblico; c) gli incaricati di un pubblico servizio: coloro che prestano, a qualsiasi titolo, un servizio pubblico. Il servizio pubblico può essere definito come l'attività diretta a

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soddisfare finalità pubbliche, che sono quelle perseguite dallo Stato, anche attraverso l'iniziativa di altri enti o di soggetti privati. Il secondo comma sancisce l'applicabilità al segreto d'ufficio degli ultimi due commi della disposizione precedente, alla quale si rinvia per la trattazione particolareggiata.

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C.p.p. art. 202 Segreto di Stato COMMENTO Sono coperti dal segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all'integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, all'indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato. Le informazioni, i documenti, gli atti, le attività, le cose e i luoghi coperti da segreto di Stato sono posti a conoscenza esclusivamente dei soggetti e delle autorità chiamati a svolgere rispetto ad essi funzioni essenziali, nei limiti e nelle parti indispensabili per l'assolvimento dei rispettivi compiti e il raggiungimento dei fini rispettivamente fissati. Tutti gli atti riguardanti il segreto di Stato devono essere conservati con accorgimenti atti ad impedirne la manipolazione, la sottrazione o la distruzione. Sono coperti dal segreto di Stato le informazioni, i documenti, gli atti, le attività, le cose o i luoghi la cui conoscenza, al di fuori degli ambiti e delle sedi autorizzate, sia tale da ledere gravemente le finalità di difesa della Repubblica italiana. Il vincolo derivante dal segreto di Stato è apposto e, ove possibile, annotato, su espressa disposizione del Presidente del Consiglio dei ministri, sugli atti, documenti o cose che ne sono oggetto, anche se acquisiti all'estero. Lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri disciplina con regolamento i criteri per l'individuazione delle informazioni, dei documenti, degli atti, delle attività, delle cose e dei luoghi suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato. Col medesimo regolamento vengono individuati gli uffici competenti a svolgere, nei luoghi coperti da segreto, le funzioni di controllo ordinariamente svolte dalle aziende sanitarie locali e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Decorsi quindici anni dall'apposizione del segreto di Stato o, in mancanza di questa, dalla sua opposizione confermata ai sensi dell'articolo in commento, come sostituito dall'articolo 40 della L. n. 124 del 2007, chiunque vi abbia interesse può richiedere al Presidente del Consiglio dei ministri di avere accesso alle informazioni, ai documenti, agli atti, alle attività, alle cose e ai luoghi coperti dal segreto di Stato. Entro trenta giorni dalla richiesta, il Presidente del Consiglio dei ministri consente l'accesso ovvero, con provvedimento motivato, trasmesso senza ritardo al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, dispone una o più proroghe del vincolo. La durata complessiva del vincolo del segreto di Stato non può essere superiore a trenta anni. Il Presidente del Consiglio dei ministri, indipendentemente dal decorso dei termini sopra indicati, dispone la cessazione del vincolo quando sono venute meno le esigenze che ne determinarono l'apposizione. Quando, in base ad accordi internazionali, la sussistenza del segreto incide anche su interessi di Stati esteri o di organizzazioni internazionali, il provvedimento con cui è disposta la cessazione del vincolo, salvo che ricorrano ragioni di eccezionale gravità, e a

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condizione di reciprocità, è adottato previa intesa con le autorità estere o internazionali competenti (art. 39, L. 124/2007). In nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato notizie, documenti o cose relativi a fatti di terrorismo o eversivi dell'ordine costituzionale o a fatti costituenti i delitti di cui agli articoli 285, 416 bis, 416 ter e 422 del codice penale. Per quanto concerne la tutela del segreto di Stato, di cui si occupa precipuamente il presente articolo, il legislatore di riforma del 2007 ribadisce l'obbligo dei pubblici ufficiali, dei pubblici impiegati e degli incaricati di pubblico servizio di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato. Tale obbligo si estende anche a quanti, chiamati a testimoniare, siano legittimamente in possesso di notizie segrete. Qualora il testimone opponga il segreto l'autorità giudiziaria – non il giudice – ne informa il Capo del Governo ai fini dell'eventuale conferma. Diversamente dalla normativa previgente l'autorità giudiziaria deve ora sospendere ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto di segreto. La conferma del segreto comporta la definizione del processo con la formula di non doversi procedere, laddove risulti essenziale non tanto la prova, quanto la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato. Ciò ha comportato lo “spostamento” dall'atto processuale acquisitivo dell'informazione al contenuto di quest'ultima. In pratica, in linea con l'orientamento della Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 110 del 1998), è l'informazione, l'elemento conoscitivo in sé ad essere protetto dal segreto, sicché per raggiungerla, ovvero per utilizzarla, è bloccata qualsiasi alternativa a quella per la quale venne opposto il segreto. Per quel che concerne l'aspetto sostanziale del segreto, nel caso che il Presidente del Consiglio dei ministri non confermi il segreto entro trenta giorni (non più sessanta come in passato), l'autorità giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per l'ulteriore corso del procedimento. In ogni caso l'acquisizione della notizia per via alternativa non solleva il testimone dai suoi doveri processuali. I commi quinto, sesto, settimo e ottavo regolano i rapporti tra azione penale e segreto confermato riprendendo il consolidato orientamento della Corte costituzionale (sentenze 110/1998, 410/1998 e 487/2000) e riproponendo letteralmente i commi dal quinto all'ottavo dell'art. 270 bis cui si fa rinvio.

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C.p.p. art. 203 Informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza GIURISPRUDENZA È illegittima l'utilizzazione di dichiarazioni rese da confidente rifiutatosi di essere sentito ai sensi dell'art. 362 c.p.p., che siano state acquisite “sub specie” di intercettazione ambientale ritualmente richiesta dal P.M. e autorizzata dal giudice per le indagini preliminari, a nulla rilevando che il dichiarante sia identificato al termine dell'audizione e che le sue generalità vengano registrate, quantunque tenute segrete; e ciò in quanto, risultando tali dichiarazioni sostanzialmente anonime, è preclusa la possibilità di qualificarle come sommarie informazioni assunte da persona informata dei fatti, per le quali la disciplina applicabile è quella prevista per l'acquisizione della testimonianza (705/1999, rv 212741). Ai fini della valutazione dei sufficienti indizi per l'autorizzazione all'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche nell'ambito di un procedimento per delitti di criminalità organizzata, il divieto di utilizzazione delle notizie confidenziali riferite da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, qualora gli informatori non siano stati interrogati o assunti a sommarie informazioni durante le indagini preliminari come previsto dal comma 1 bis dell'art. 203 c.p.p. (introdotto dall'art. 7 della legge 1 marzo 2001, n. 63), espressamente richiamato dall'art. 13, comma 1, Del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 (come modificato dall'art. 23 della legge 1 marzo 2001, n. 63), non si applica ai procedimenti in cui l'intercettazione sia già stata disposta al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina, dovendosi ritenere che in base al principio “tempus regit actum”, ribadito dall'art. 26 della legge citata, il discrimine per l'applicazione della normativa processuale sopravvenuta è rappresentato dal momento dell'assunzione della prova, non della sua valutazione, poiché in quel momento si produce l'effetto di introdurre nel processo un elemento di prova utilizzabile ai fini

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della decisione, come si evince dal coordinamento degli artt. 526 e 191 c.p.p. (27877/2003, rv 224986). La segnalazione di una condotta penalmente illecita fatta attraverso il cosiddetto canale del whistleblowing è utilizzabile in sede penale, essendo estranea all’ambito di operatività dell’articolo 203 del Cpp (nella specie invocato in relazione alle disposte attività di intercettazione, di cui si assumeva l’inutilizzabilità), perché, in ogni caso, l’anonimato del denunciante può operare solo in ambito disciplinare, ma non in sede penale, dove non vi è alcuno spazio per il riserbo sulle generalità del denunciante, come confermato nella recente modifica dell’articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, operata con la legge 30 novembre 2017 n. 1279, laddove è espressamente precisato che, “nell’ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperta dal segreto [solo] nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del Cpp” (9047/2018). La denuncia di reati di corruzione da parte dell’ente pubblico basata su segnalazioni di un suo dipendente, le cui generalità sono mantenute riservate in applicazione della disciplina del c.d. “whistleblowing”, ex art. 54 bis d.leg. 165/01, non rappresentando un uso di fonti anonime, è utilizzabile ai fini della valutazione della gravità degli indizi di reato richiesta per autorizzare le intercettazioni di conversazioni (9047/2018).

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C.p.p. art. 203 Informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza COMMENTO La norma riconosce agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, nonché al personale dei servizi per le informazioni e la sicurezza militare (è il cosiddetto SISMI, che ha lo scopo funzionale di difendere, da punto di vista militare, la sicurezza dello Stato contro ogni possibile attacco o intimidazione) o democratica (è il cosiddetto SISDE, che svolge la funzione di difendere le istituzioni democratiche e costituzionali) la facoltà di mantenere nell'anonimato gli informatori segreti che, a volte, rappresentano una fondamentale fonte di acquisizione di notizie rilevanti ai fini investigativi. Dal canto suo, il giudice non può obbligare le suddette figure a rendere testimonianza. Pertanto, quando essi sono chiamati a testimoniare e, nel corso della deposizione, riportano notizie che hanno appreso in via mediata per il tramite dei confidenti, le dichiarazioni rese, in conformità a quando previsto dall'art. 195 in tema di testimonianza indiretta, non possono essere utilizzate né acquisite in virtù della mancata escussione diretta degli informatori nel contraddittorio tra i soggetti interessati. Tale inutilizzabilità non opera esclusivamente nella fase dibattimentale, se gli informatori non sono stati interrogati, né hanno reso sommarie informazioni. Le informazioni assunte da un confidente della polizia giudiziaria e da questa riferite all'autorità giudiziaria dopo la morte del medesimo possono essere legittimamente utilizzate all'interno della fase delle indagini preliminari e per l'applicazione delle misure cautelari, posto che si tratti di informazioni assunte da persona in grado di riferire sui fatti oggetto di indagine (così Cassazione n. 3952 del 1993).

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C.p.p. art. 204 Esclusione del segreto COMMENTO L'opponibilità del segreto d'ufficio, di stato o di polizia viene meno quando la prova testimoniale abbia ad oggetto fatti, notizie o documenti relativi a reati che tendono all'eversione dell'ordinamento costituzionale: ragioni di chiarezza rendono utile specificare che la finalità di eversione si identifica nell'intento conformante la condotta criminosa di sovvertire l'ordinamento costituzionale e di travolgere l'assetto pluralistico e democratico dello Stato disarticolandone le strutture, impedendone il funzionamento o deviandolo dai principi fondamentali che costituiscono l'essenza stessa dell'ordinamento costituzionale (così Cassazione n. 11382 del 1987). A seguito della modifica apportata dalla L. n. 124/2007 il segreto di Stato non è opponibile neppure all'autorità giudiziaria ordinaria quando riguardi anche i delitti di cui agli articoli 285 (devastazione, saccheggio e strage), 416 bis (associazione di tipo mafioso), 416ter (scambio elettorale politico mafioso) e 422 (strage) del codice penale. La ratio di tale precetto va individuata nell'esigenza di tutelare l'integrità delle istituzioni democratiche precostituite anche nelle fattispecie in cui risulterebbe necessario preservare la segretezza di talune informazioni. Non possono essere oggetto del segreto tutti quei fatti, quelle notizie o quei documenti inerenti le condotte poste in essere da appartenenti ai servizi di informazione per la sicurezza in violazione della disciplina concernente la speciale causa di non punibilità prevista per attività del personale dei servizi di informazione per la sicurezza. Inoltre il segreto di Stato: – non può essere opposto o confermato ad esclusiva tutela della classifica di segretezza o in ragione esclusiva della natura del documento, atto o cosa oggetto della classifica; – non è opponibile alla Corte costituzionale, che adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento. Qualora il Presidente del Consiglio dei ministri non ritenga di confermare il segreto di Stato, provvede, in qualità di Autorità nazionale per la sicurezza, a declassificare gli atti, i documenti, le cose o i luoghi oggetto di classifica di segretezza, prima che siano messi a disposizione dell'autorità giudiziaria competente. Se il testimone, nel corso della deposizione, oppone uno dei segreti sopra menzionati, spetta al giudice definire la natura della fattispecie criminosa: se risulterà che il reato appartiene a quelli che si propongono come fine ultimo quello dell'eversione dell'ordinamento costituzionale, la normativa in tema di segreti non troverà applicazione, altrimenti il caso concreto verrà disciplinato secondo i limiti previsti dalle norme precedenti. Se il giudice rigetta l'eccezione di segretezza, del provvedimento viene data comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri.

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C.p.p. art. 205 Assunzione della testimonianza del Presidente della Repubblica e di grandi ufficiali dello Stato COMMENTO La norma tratta di particolari modalità di assunzione della prova testimoniale, quando la deposizione debba essere resa dai titolari delle più alte cariche dello Stato. L'eccezionalità della disciplina, in particolare, risiede non tanto nel procedimento attraverso il quale il testimone viene escusso, quanto nel luogo nel quale i soggetti indicati possono rendere le proprie dichiarazioni. In particolare, il Presidente della Repubblica deve necessariamente essere sentito nel Palazzo del Quirinale, cioè nel luogo in cui esercita ordinariamente ed istituzionalmente le proprie funzioni; i Presidenti delle Camere, il Presidente del Consiglio dei Ministri o della Corte Costituzionale hanno la possibilità di deporre rispettivamente nel Palazzo Montecitorio, a Palazzo Madama, a Palazzo Chigi e nel Palazzo della Consulta, cioè nella sede in cui esercitano il loro ufficio: in questi ultimi tre casi, la testimonianza non deve obbligatoriamente aver luogo nella sede istituzionale, ben potendo essere eseguita nelle sedi ordinarie, quando l'organo giudicante ritiene indispensabile la presenza in aula delle persone sopra indicate nel caso in cui devono essere eseguiti i mezzi di prova della ricognizione [213], del confronto [211] o per qualsiasi altra necessità di ordine processuale.

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C.p.p. art. 206 Assunzione della testimonianza di agenti diplomatici COMMENTO La norma disciplina l'ipotesi in cui ad essere sottoposto all'esame testimoniale sia un agente diplomatico (soggetto al quale è conferita una carica istituzionale per la quale è chiamato ad occuparsi dei rapporti tra uno Stato e un Governo estero o un organismo internazionale) o l'incaricato di una missione diplomatica all'estero (soggetto che esegue missioni per conto di organizzazioni internazionali che, in conformità a quanto stabilito da trattati internazionali, perseguono determinati scopi), qualora si trovino fuori dal territorio dello Stato. In siffatti casi, le regole generali sulle procedure di escussione del teste subiscono una deroga fondamentale: la deposizione, infatti, viene assunta presso l'autorità consolare del luogo, alla quale verrà trasmessa la richiesta attraverso il ministero della giustizia. La deposizione viene resa secondo le modalità ordinarie, qualora sia indispensabile la presenza in aula dei soggetti sopra menzionati, dovendo essere eseguita una ricognizione [213], un confronto [211] o per qualsiasi altra necessità di ordine processuale. Il secondo comma (mera norma di rinvio) stabilisce, invece, che le deposizioni testimoniali dei soggetti espressamente elencati seguono una regolamentazione che prevale sulla disciplina dettata dal codice di rito e che trova radice nelle Convenzioni (accordi, di natura pattizia, attraverso i quali gli Stati disciplinano, in maniera omogenea, determinate materie dettandosi regole comuni), in particolare in quella di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961. Tali Convenzioni trovano applicazione nel territorio italiano una volta trasformate in norme interne di ratifica (dotate di potere di deroga nei confronti delle norme ordinarie: Cost. 10, 26) [696] e nelle consuetudini internazionali (fonti di grande rilevanza per l'ordinamento giuridico internazionale, che consistono in una serie di comportamenti, non positivamente riconosciuti, volti a disciplinare i rapporti tra Stati e ripetuti costantemente e uniformemente, per un determinato periodo di tempo, nella convinzione di tenere condotte giuridicamente dovute).

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C.p.p. art. 207 Testimoni sospettati di falsità o reticenza. Testimoni renitenti COMMENTO L'art. 198 pone a carico del testimone tre fondamentali obblighi, fra cui quello di rispondere alle domande secondo verità. Può accadere, tuttavia, che il presidente o il giudice abbiano ragione di dubitare dell'attendibilità e della credibilità delle dichiarazioni rese. In tal caso essi possono ricordare al teste l'obbligo di non asserire l'esistenza di fatti contrari al vero e di non tacere ciò che si sa intorno all'oggetto del thema probandum, omettendo, così, di adempiere al dovere di riferire quanto conosciuto. In particolare, la situazione sopra descritta sussiste quando: – le dichiarazioni risultano contraddittorie rispetto alle prove già acquisite: la contraddittorietà si ha quando due distinte proposizioni hanno un contenuto tale che l'una nega ciò che afferma l'altra; – le dichiarazioni risultano incomplete rispetto alle prove già acquisite: l'incompletezza sussiste quando la descrizione di un fatto non è compiuta in tutte le sue parti rispetto a quanto già emerso in sede istruttoria; – le dichiarazioni risultano contrastanti rispetto alle prove già acquisite: il contrasto è presente quando il significato di una dichiarazione si oppone a quello di un'altra dichiarazione; – il teste si rifiuta di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge: il rifiuto si configura quando il testimone omette di rendere la propria deposizione, al di fuori dei casi, legalmente riconosciuti, in cui sussiste una facoltà di astensione o la possibilità di opporre il segreto professionale, di Stato o d'ufficio. Se, dopo l'invito del giudice a rendere dichiarazioni conformi al vero, il teste continua a rifiutarsi a rispondere alle domande formulategli, l'organo giudicante trasmette, nel più breve tempo possibile, gli atti al pubblico ministero, che procede a norma di legge. A proposito appare rilevante sottolineare come, a differenza di quanto accadeva nel vigore del codice Rocco, il testimone non possa essere arrestato in udienza per reati che fanno riferimento al contenuto della deposizione. Il secondo comma stabilisce, inoltre, che nel momento della decisione conclusiva della fase processuale nella quale il teste ha deposto, il giudice, se ritiene sussistenti gli estremi del reato di falsa testimonianza, trasmette gli atti al pubblico ministero in vista del possibile esercizio dell'azione penale. In tema di valutazione della testimonianza, il sistema introdotto dal nuovo codice di procedura penale, separa nettamente la valutazione della testimonianza ai fini della decisione del processo in cui è stata resa e la persecuzione penale del testimone che abbia deposto il falso, attribuendo al giudice del primo processo il solo compito di dare al pubblico ministero notizia di reato, quando ne ravvisi gli indizi in sede di valutazione complessiva di tutto il materiale raccolto. Ne consegue che la deposizione del teste falso resta parte integrante nel processo in cui è stata resa ed è prova in

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questo utilizzabile e valutabile in relazione all'altro materiale probatorio acquisito (così Cassazione n. 16661 del 1990).

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C.p.p. art. 208 Richiesta dell' esame GIURISPRUDENZA È nulla l'ordinanza di revoca di altra, con la quale sia stato ammesso l'esame dell'imputato, qualora il pubblico ministero, che aveva aderito inizialmente alla richiesta difensiva, si opponga successivamente all'istanza contraria ed il provvedimento stesso non sia congruamente motivato (11443/1992, rv 192382).

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C.p.p. art. 208 Richiesta dell' esame COMMENTO L'esame delle parti è un mezzo di prova che persegue la stessa finalità della testimonianza, vale a dire tende ad acquisire delle dichiarazioni, rese in forma orale, che possono introdurre all'interno del procedimento penale degli elementi utili al giudice per far chiarezza sulle circostanze relative all'accertamento del fatto oggetto di imputazione e che possono incidere sulla formazione del proprio convincimento ai fini della decisione finale. Nel caso di specie, tuttavia, a differenza di quanto accade per la prova testimoniale, i soggetti che sono chiamati a rendere le proprie dichiarazioni sono parti del processo, vale a dire persone non estranee alla vicenda processuale: proprio questo coinvolgimento diretto e la conseguente presenza di interessi personali comporta che le dichiarazioni rese durante l'esame devono essere valutate insieme ad altri elementi di prova che ne confermino la credibilità. È rilevante, inoltre, sottolineare come, in virtù dell'inviolabile diritto di difesa, la sottoposizione all'esame non è obbligatoria, ed, infatti, i soggetti interessati vengono sentiti soltanto se ne fanno richiesta o accettano la richiesta proveniente da un'altra parte. Le parti processuali che possono essere esaminate sono: – l'imputato: è la persona nei confronti della quale si procede nel corso di un procedimento penale; – la parte civile: è la persona danneggiata dal reato che interviene nel processo penale per chiedere le restituzioni o il risarcimento dei danni procurati dal fatto criminoso per cui si procede. Essa, dopo la costituzione nel processo, può compiere gli atti che si ritengono necessari al fine di provare la fondatezza delle proprie pretese e la quantificazione del danno subito. La posizione di parte civile non è incompatibile con la qualità di testimone, per cui essa può sia essere chiamata a rendere una deposizione testimoniale, con conseguente applicazione dell'intera disciplina a questa relativa, sia chiedere di essere esaminata. Nel caso in cui sussista una contrapposizione tra ruolo di testimone e quello di parte da esaminare, prevale il primo, dunque la parte civile non potrà rendere dichiarazioni non conformi al vero; – il responsabile civile: è la persona fisica o giuridica che, seppure estranea alla fattispecie di reato, ne risponde, secondo la legge civile, a titolo di responsabilità per fatto altrui, qualora il danneggiato faccia valere nel procedimento penale pretese restitutorie o risarcitorie; – la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria: è la persona fisica o giuridica sulla quale incombe un'obbligazione pecuniaria – pari alla somma che il reo è tenuto a pagare dopo la condanna alla multa o all'ammenda – che deve essere adempiuta soltanto in caso di insolvibilità da parte del condannato.

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C.p.p. art. 209 Regole per l'esame COMMENTO La norma disciplina le regole generali in tema di esame delle parti processuali, regole che possono essere così schematizzate: – l'esaminato non è obbligato a rispondere secondo verità e in maniera completa; – il regime cui sottostanno le dichiarazioni è quello dell'esame incrociato [503]; – le domande devono essere inerenti ai fatti oggetto di prova [194]; – il dichiarante non può essere costretto a rendere dichiarazioni che potrebbero comportare l'autoincriminazione [198]; – le domande seguono le regole sull'esame testimoniale [499]; – trova applicazione la normativa in tema di testimonianza de relato, quando la parte processuale sottoposta all'esame non è l'imputato [195]. – la parte può rifiutarsi di rispondere a una domanda: del silenzio ne è fatta menzione nel verbale, che confluendo nel fascicolo per il dibattimento, viene conosciuto dal giudice, che potrà prendere in considerazione l'atteggiamento omissivo del dichiarante, sul piano probatorio, come strumento di persuasione.

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C.p.p. art. 210 Esame di persona imputata in un procedimento connesso GIURISPRUDENZA La disciplina prevista dall'art. 468 c.p.p. (deposito, a pena di inammissibilità, della lista dei testimoni, periti e consulenti tecnici, con l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame) non può estendersi alle persone imputate in procedimento connesso, sia per l'inequivoco tenore letterale della norma, sia perché l'esame di queste ultime è dal codice collocato non, già nella parte relativa alla testimonianza (artt. 194 c.p.p. e segg.), ma in quella relativa all'esame delle parti (artt. 208 c.p.p. e segg.), avendo il legislatore preferito omologare tale fonte processuale alle parti private, cui è naturalmente assimilabile per la posizione di soggetto portatore di un concreto interesse processuale, piuttosto che al testimone, per definizione neutrale e disinteressato. La tassatività della previsione dell'art. 468 c.p.p. e la sua inestensibilità per analogia derivano, inoltre, ex art. 14 delle preleggi, dalla sua natura di norma eccezionale in quanto costituente rilevante ostacolo all'esercizio del diritto alla prova, riconosciuto in via di principio generale dall'art. 190 c.p.p. e, ancor prima, dalla direttiva n. 69 della legge delega per l'emanazione del nuovo c.p.p. (3252/1994, rv 199175). L'art. 210, quarto comma, c.p.p. che, in relazione a persona imputata in procedimento connesso, impone al giudice di avvertirla della facoltà di non rispondere, trova applicazione anche in relazione ad imputato di reato connesso o collegato che venga chiamato ad effettuare una ricognizione (6422/1994, rv 197871). Le disposizioni di cui all'art. 210 c.p.p. nell'esame di persone imputate in un procedimento connesso o imputate di un reato collegato si applicano anche quando la persona da esaminare è sottoposta ad indagini e non è ancora imputata. L'art. 61 c.p.p. infatti estende a tale persona i diritti e le garanzie dell'imputato; d'altro conto non v'è dubbio che le somme di cui sopra sono dettate in vista di una tutela rispetto alla possibilità di autoincriminazione

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che per l'indagato vale non meno che per l'imputato (9122/1995, rv 202313). Il divieto di assumere come testimoni le persone menzionate nell'art. 210, primo comma, c.p.p. permane anche dopo che sia intervenuta nei loro confronti sentenza irrevocabile di condanna (855/1996, rv 203496). Il richiamo alle norme sulla citazione dei testimoni, contenuto nelle disposizioni che disciplinano la citazione dei soggetti di cui all'art. 210 c.p.p. (persone imputate in procedimenti connessi) – pur dopo le modifiche apportate a tale ultima norma con l'art. 2 del decreto legge 8 giugno 1992 n. 306, convertito con legge 7 agosto 1992 n. 306 – riguarda essenzialmente gli adempimenti e gli obblighi gravanti, ex art. 142 disp. att. c.p.p., sulla parte che ha chiesto l'audizione degli imputati in procedimento connesso, e non comporta la necessità di inserire, nelle liste da presentare ai sensi dell'art. 468 c.p.p., i nominativi di tali soggetti e le circostanze sulle quali gli stessi sono chiamati a deporre (7746/1996, rv 205526). Nel caso di esame di soggetto imputato in procedimento connesso, questi deve essere assistito da un difensore e deve essere avvisato della sua facoltà di non rispondere: non può essere ritenuto procedimento connesso (o collegato), e quindi in tal caso sono utilizzabili le dichiarazioni eventualmente rese pur in assenza delle suddette garanzie, quello che vede la persona sottoposta ad esame accusata di reati del tutto distinti da quelli del processo in corso, commessi in un contesto temporale e territoriale diversi, senza neppure il legame di una comunanza probatoria (3139/1998, rv 210188). Il regime di valutabilità delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni è diverso per il testimone e per l'imputato in procedimento connesso, solo le prime potendo valere, in presenza degli opportuni riscontri, come prova dei fatti in esse affermati ai sensi dell'art. 500, comma quarto, c.p.p. ed essendo invece limitate le seconde, secondo il disposto dell'art. 500, comma terzo, c.p.p. espressamente richiamato dall'art. 503, comma quarto, c.p.p. a stabilire la credibilità della persona esaminata; ciò si evince dal fatto che l'art. 210, comma quinto, c.p.p. rinvia soltanto agli artt. 194, 195, 499 e 503 c.p.p. ma non all'art. 500, comma terzo, c.p.p. e trova giustificazione nella circostanza che la persona imputata in un

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procedimento connesso può rendere dichiarazioni ispirate al solo intento di difesa che non possono essere equiparate a quelle del teste tenuto invece a rispondere secondo verità (3686/1998, rv 210685). Le dichiarazioni rese dal coimputato che, nel rispetto delle condizioni stabilite dall'art. 210 c.p.p., sia stato invitato a rispondere secondo verità, in virtù dell'art. 198 c.p.p., sono utilizzabili. Ciò in quanto l'esortazione a dire il vero, pur se non prevista con riferimento alla qualità del soggetto, non è vietata da alcuna statuizione processuale (8796/1998, rv 211672). L'esame di persona imputata in un procedimento connesso non incontra alcun divieto nel fatto che la stessa sia già stata sentita come testimone e la testimonianza sia stata dichiarata inutilizzabile, pur se le nuove dichiarazioni siano state ottenute mediante la conferma di quelle precedentemente rese (1283/1999, rv 213139). La particolare procedura di acquisizione della prova disciplinata dagli artt. 192 e 210 c.p.p. presuppone, nella persona da esaminare, la qualità di coimputato del medesimo reato ovvero di imputato in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 c.p.p. e non può essere utilizzata al di fuori delle ipotesi tassativamente previste da tali norme. Ne discende che legittimamente vengono sentiti come testimoni soggetti, indagati o imputati in altri procedimenti penali, che non siano stati raggiunti da imputazione in concorso, ovvero in connessione ai sensi dell'art. 12 c.p.p. (6510/1999, rv 213056). Le dichiarazioni contenute nel fascicolo per il dibattimento, utilizzate in primo grado per le contestazioni alle persone indicate dall'articolo 210 c.p.p., possono essere utilizzate dal giudice d'appello anche ai fini probatori, e non esclusivamente per la valutazione di attendibilità del dichiarante, in quanto il richiamo, contenuto nel comma quarto dell'articolo 503 c.p.p., al precedente articolo 500, comma terzo, c.p.p. non esclude l'applicabilità degli altri commi dello stesso articolo e le persone imputate in procedimento connesso non sono qualificabili esclusivamente come parti, non potendo obliterarsi la loro funzione testimoniale in rapporto a quei passaggi delle rispettive dichiarazioni che si riferiscono a terzi (9539/1999, rv 215134). In tema di esame testimoniale, quando in capo al soggetto le cui dichiarazioni devono essere assunte nel giudizio la condizione di

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imputato dello stesso reato o di reato connesso o collegato concorre con quella di persona offesa dal reato, quest'ultima, per la sua maggiore pregnanza, è destinata a prevalere, cosicché il soggetto sarà esaminato nella veste di testimone, con l'obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte (8131/2000, rv 216927). Le dichiarazioni di accusa rese da persona coimputata o coindagata nel medesimo procedimento, ovvero coimputata o coindagata in procedimento connesso o collegato, e che in dibattimento si sia sottratta all'esame dell'imputato e del suo difensore avvalendosi della facoltà di non rispondere, sono utilizzabili ai fini della valutazione della prova ai sensi e per gli effetti dell'art. 192 c.p.p. come riscontri alle dichiarazioni di accusa rese da altri soggetti che rivestano analoga qualifica processuale, atteso che i meccanismi di tutela, posti dal legislatore con norma costituzionale, della formazione della prova attraverso il contraddittorio tra le parti in giudizio non si estendono agli elementi che il giudice può valutare nella formazione del proprio convincimento laddove, come nella fattispecie, le dichiarazioni di accusa “principali” siano state confermate in dibattimento (11626/2000, rv 218716). Le dichiarazioni dibattimentali rese da soggetto il quale sia stato esaminato erroneamente nella qualità di imputato di reato connesso anziché in quella, a lui spettante, di testimone, non risultano per questo affette da nullità o inutilizzabilità, non essendo la prima prevista da alcuna disposizione di legge e non potendosi dire, quanto alla seconda, che l'assunzione dell'atto, pur nel mancato rispetto delle formalità prescritte, sia avvenuta in violazione di esplicito o implicito divieto normativo (468/2001, rv 217821). In tema di prova dichiarativa, allorché, in applicazione della normativa transitoria di cui all'art. 6 della legge 7 agosto 1997 n. 267, sia stata annullata una sentenza sul rilievo dell'acquisizione al fascicolo del dibattimento di dichiarazioni accusatorie non confermate in dibattimento, nel successivo giudizio di rinvio i relativi verbali devono considerarsi giuridicamente espunti dal fascicolo dibattimentale. Ne consegue che l'inutilizzabilità delle suddette dichiarazioni è sanabile solo mediante la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, a nulla rilevando che “medio

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tempore” sia entrata in vigore la nuova normativa transitoria prevista dalla legge 25 febbraio 2000 n. 35, di conversione in legge del D.L. 7 gennaio 2000 n. 2, e dalla legge 1 marzo 2001 n. 63, che ha assegnato alle dichiarazioni acquisite al fascicolo del dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio 2000, se pur nei limiti fissati dal secondo comma dell'art. 1 del D.L. predetto, una ridotta valenza probatoria, in quanto quest'ultima normativa si riferisce alle dichiarazioni legittimamente acquisite secondo la normativa vigente all'atto della loro acquisizione (12277/2002, rv 221371). In tema di “giusto processo”, la possibilità prevista dalla disciplina intertemporale di cui all'art. 26, comma 4, della legge 1 marzo 2001 n. 63, di utilizzazione delle dichiarazioni extradibattimentali già acquisite al fascicolo del dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio 2000, trova applicazione ove si tratti di dichiarazioni provenienti da chi, per libera scelta, si è “sempre” sottratto all'esame dibattimentale. Ne consegue che, al fine di accertare la persistenza della volontà del dichiarante di sottrarsi all'esame, deve esserne disposta la citazione (12277/2002, rv 221372). La disciplina limitativa della capacità testimoniale di cui all'art. 197, comma 1, lett. a) e b), all'art. 197 bis e all'art. 210 c.p.p., non è applicabile alle persone sottoposte a indagini in un procedimento connesso o relativo a reato collegato nei cui confronti sia stato emesso provvedimento di archiviazione. Infatti, l'esigenza del diritto di difesa, da cui deriva il diritto al silenzio e la conseguente disciplina limitativa della capacità di testimoniare, presuppone un'accusa dalla quale occorra difendersi o dalla quale il soggetto abbia dovuto difendersi, ciò che non può ravvisarsi nell'ipotesi in cui il soggetto sia stato iscritto nel registro degli indagati e sia stato poi fatto oggetto di archiviazione senza che l'autorità giudiziaria sia riuscita ad addivenire alla formulazione di una specifica accusa meritevole di ulteriore sviluppo, e che magari è stata il frutto di una mera iniziativa pretestuosa o, peggio, fraudolenta, di un terzo interessato. In senso contrario, non potrebbe invocarsi l'argomento della possibile riapertura delle indagini, trattandosi di una eventualità (per "esigenza di nuove investigazioni") sostanzialmente assimilabile, e anzi probabilisticamente inferiore, a quella della

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possibile apertura delle indagini nei confronti di qualsiasi soggetto (per notizia di reato individualmente attribuito) (S.U. 12067/2009). Il giudice dell'appello può procedere alla rinnovazione della prova dichiarata inutilizzabile, allorché l'inutilizzabilità non derivi dalla violazione di un divieto probatorio, ma dalla violazione di regole attinenti all'assunzione della prova. (Fattispecie relativa all'annullamento con rinvio della sentenza d'appello in seguito alla riconosciuta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese senza le garanzie di legge dalla persona offesa contestualmente imputata di reato probatoriamente collegato) (24033/2010). In tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici formali, come l'eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (S.U. 15208/2010). Non sussiste incompatibilità ad assumere l'ufficio di testimone per la persona offesa, già indagata in procedimento connesso ai sensi dell'art. 12, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. o per reato probatoriamente collegato, definito con provvedimento di archiviazione, in quanto la disciplina limitativa della capacità di testimoniare prevista dagli artt. 197, comma primo, lett. a) e b), 197 bis, e 210 cod. proc. pen. si applica solo all'imputato, al quale è equiparata la persona indagata nonché il soggetto già imputato, salvo che sia stato irrevocabilmente prosciolto per non aver commesso il fatto (4123/2015).

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C.p.p. art. 210 Esame di persona imputata in un procedimento connesso COMMENTO La Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo in esame nella parte in cui non ne è prevista l'applicazione anche all'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri, già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero. I dubbi di costituzionalità sono stati fondati, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nei termini di seguito precisati, ma vanno più propriamente risolti intervenendo sulla norma in oggetto. Mentre per l'esame dell'imputato in un procedimento connesso o collegato sono sempre previsti l'obbligo di presentarsi al giudice e l'accompagnamento coattivo, in dibattimento l'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità altrui è in tutto e per tutto assimilato all'esame sul fatto proprio. Tali regole sono conformi all'intangibilità del diritto di difesa dell'imputato esaminato sul fatto proprio: la decisione di chiedere l'esame, ovvero di consentirvi, alla stregua della valutazione dei rischi che può rispettivamente comportare il contro-esame ovvero l'esame diretto ad iniziativa della parte che lo ha chiesto, rientra tra le insindacabili scelte relative alla strategia difensiva adottata. Ma quando l'esame verte su fatti non propri, bensì concernenti la responsabilità di altri, assumono prevalenza la specificità di tale istituto rispetto all'esame su fatto proprio, la sostanziale coincidenza tra questa forma di esame e l'esame dell'imputato in procedimento connesso, che dal primo si distingue solo perché disposto in un separato procedimento, l'esigenza di non escludere a priori il diritto dell'imputato destinatario delle dichiarazioni di confrontarsi con il dichiarante in contraddittorio. Questa asimmetria si è ovviamente riflessa sulle regole dettate dall'art. 503, comma 1, in tema di lettura e di utilizzazione delle dichiarazioni rese in precedenza sul fatto altrui; il suo superamento costituisce pertanto la premessa logica e sistematica per ricondurre a legittimità costituzionale la disciplina riservata all'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri. Al riguardo, occorre tenere presente che, le censure del rimettente, significamene coincidenti con quelle sollevate nei confronti del comma 2 dell'art. 503, attengono esclusivamente all'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri. L'esame di tali censure deve pertanto muovere dalla constatazione che la figura del dichiarante erga alios sia esso imputato nel medesimo procedimento o in separato procedimento connesso, è sostanzialmente identica, in quanto l'esame sul fatto altrui viene condotto su un imputato che assume l'una piuttosto che l'altra veste per ragioni meramente processuali e occasionali. Ne deriva che le censure, benché formalmente rivolte all'art. 503, comma 1, debbono più propriamente intendersi riferite all'articolo in commento (così Corte costituzionale n. 361 del 1998).

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Procedendo all'analisi dettagliata della norma, nella formulazione risultante dalla legge n. 63 del 2001 attuativa del giusto processo, occorre precisare innanzitutto le categorie di parti processuali cui essa fa riferimento. Il primo comma prende in considerazione le persone imputate in un procedimento connesso quando il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o quando più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento; in particolare l'ambito di applicazione della disposizione normativa si restringe ulteriormente ricomprendendo soltanto gli imputati nei confronti dei quali si procede o si sia proceduto separatamente e che non possono assumere la qualità di testimone, fin quando non venga pronunciata una sentenza irrevocabile. Nonostante l'attuale tenore letterale della disposizione resta comunque valido l'intervento della Corte costituzionale che, con la sentenza sopra riportata, ha fatto in modo di estendere la disciplina anche al coimputato nel medesimo procedimento quando questi abbia già preventivamente reso all'autorità giudiziaria o alla polizia dichiarazioni relative alla responsabilità altrui. I suddetti soggetti possono essere sottoposti ad esame o perché vi è una richiesta di parte in tal senso, o perché tale mezzo di prova è disposto dal giudice ex officio, nel caso di testimonianza de relato. Dal punto di vista strutturale l'esame presenta dei tratti comuni sia all'interrogatorio, sia alla testimonianza sia, infine, all'esame in senso stretto. Le regole cui è sottoposto, di stampo evidentemente ibrido, possono essere sintetizzate come segue: – come il testimone, anche l'esaminato deve obbligatoriamente presentarsi al giudice e, qualora ometta di farlo, viene disposto l'accompagnamento coattivo; – la citazione deve essere notificata all'interessato almeno tre giorni prima dell'esame; – l'esaminato deve essere inserito, almeno sette giorni prima del dibattimento, nelle liste testimoniali e devono essere specificati i fatti sui quali verterà l'esame; – il dichiarante deve essere assistito da un difensore di fiducia e, qualora questi non sia designato, viene nominato un difensore d'ufficio; – l'esaminato ha la facoltà di non rispondere, a meno che la domanda non riguardi la sua identità personale. Se l'interessato decide di rispondere alle domande che gli vengono rivolte non è vincolato all'obbligo di rispondere secondo verità; – l'oggetto e i limiti dell'esame sono analoghi a quelli della prova testimoniale [194]; – vige il principio per cui l'esaminato non può essere obbligato a rendere dichiarazioni a sé sfavorevoli [198]; – trova applicazione la disciplina relativa alla testimonianza de relato [195]; – vige il regime previsto per la cross-examination [498]; – si applicano le regole sull'esame testimoniale in ordine al carattere delle domande [499]; – in tema di contestazioni, trova applicazione la disciplina relativa alla prova testimoniale. L'ultimo comma prende in considerazione le persone imputate in un procedimento connesso, quando dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri, e le persone imputate di un reato

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collegato quando si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza. La disciplina qui analizzata, pertanto, trova applicazione soltanto nel caso in cui i soggetti sopra indicati non abbiano reso in precedenza dichiarazioni relative alla responsabilità dell'imputato. Le dichiarazioni rese da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede, valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità, ai sensi dell'art. 192 comma 4, sono quelle rese da imputato di un reato che sia collegato a quello per cui si procede con un vero e proprio rapporto di connessione probatoria, ravvisabile quando un unico elemento di fatto proietti la sua efficacia probatoria in rapporto ad una molteplicità di illeciti penali, tutti contemporaneamente da esso dipendenti per quanto attiene alla prova della loro esistenza ed a quella della relativa responsabilità, o quando gli elementi probatori rilevanti per l'accertamento di un reato, o di una circostanza di esso, oggetto di un procedimento, spieghino una qualsiasi influenza sull'accertamento di un altro reato, o di una circostanza di esso, oggetto di un diverso procedimento (così Cassazione n. 1048 del 1992). In particolare, l'esame delle suddette figure processuali sottostà alle seguenti regole: – gli esaminati hanno la facoltà di non rispondere; – se decidono di rispondere e rendono dichiarazioni relative a circostanze che riguardano la responsabilità altrui assumono la qualità di testimoni e possono essere sentiti come tali soltanto su queste circostanze: in ipotesi del genere sono vincolati dall'obbligo di dire la verità; – trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 5, già in precedenza analizzate; – vige la disciplina relativa alle persone imputate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l'ufficio di testimone [197 bis]; – sussiste l'obbligo del giuramento [497].

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C.p.p. art. 211 Presupposti del confronto COMMENTO Il confronto è un mezzo di prova previsto dal legislatore al fine di predisporre un controllo sulla credibilità e l'attendibilità di dichiarazioni che sono già state acquisite nel corso della vicenda processuale, e che possono, in tal modo, essere meglio valutate dal giudice nella formazione del proprio convincimento, in virtù della piena operatività del contraddittorio quale metodo di accertamento della verità processuale. Affinché il confronto possa essere eseguito devono sussistere determinati presupposti: a) gli interessati devono essere stati in precedenza esaminati o interrogati. Essi possono essere: – persone informate sui fatti; – indagati (soggetti a cui carico sono in corso le indagini preliminari, ma nei confronti dei quali non è stata esercitata l'azione penale); – testimoni (persone, estranee alle parti in causa, che dichiarano o espongono oralmente all'autorità giudiziaria fatti a loro noti, inerenti all'oggetto del processo); – imputati (persone nei confronti delle quali si procede nel corso di un procedimento penale); – altre parti private; b) fra le dichiarazioni rese deve esserci discordanza su fatti e circostanze importanti. La divergenza di quanto dichiarato dalle persone che sono state sentite deve ricadere su fatti e circostanze di primaria importanza ai fini della ricostruzione degli addebiti oggetto dell'imputazione. Il giudice può non ammettere il confronto tra due soggetti se gli stessi non siano stati già esaminati in quella fase processuale, essendo l'esame delle parti o dei testimoni il primo sistema per eliminare i contrasti tra gli stessi. Inoltre, se il soggetto si è legittimamente rifiutato di sottoporsi all'esame, non può essere disposto il confronto del medesimo con altro soggetto, poiché il rifiuto di essere esaminato si estende al confronto, proprio perché questo mezzo di prova è in sostanza la prosecuzione di un atto di esame o di interrogatorio già svoltosi (così Cassazione n. 6282 del 1997).

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C.p.p. art. 212 Modalità del confronto COMMENTO Simone dice di aver visto l'assassino uccidere Silvia nel salotto. Giovanni dice di aver visto l'assassino uccidere Silvia in cucina: i due, durante il confronto potrebbero contestarsi le reciproche dichiarazioni e cercare di ricostruire la verità dei fatti.

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C.p.p. art. 212 Modalità del confronto COMMENTO Nel confronto le persone che hanno precedentemente reso le dichiarazioni il cui contenuto appare in reciproco contrasto, vengono messe l'una di fronte all'altra ed il giudice, che è l'organo deputato a condurre tale mezzo di prova, richiama agli interessati le loro dichiarazioni e gli chiede: – se quanto asserito viene confermato; – se quanto asserito viene modificato. L'organo giudicante, inoltre, qualora lo reputi opportuno, può invitare i soggetti sottoposti a confronto a contestarsi reciprocamente le dichiarazioni rese (esempio). Quanto avviene nel corso del confronto viene dettagliatamente descritto nel verbale, dove vengono riportate: – le domande rivolte dal giudice; – quanto dichiarato dai soggetti sottoposti a confronto; - qualsiasi altro fatto accaduto durante l'esecuzione del mezzo di prova.

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C.p.p. art. 213 Ricognizione di persone. Atti preliminari GIURISPRUDENZA Il riconoscimento fotografico di persone – che deve essere tenuto distinto dalla ricognizione personale prevista dall'art. 213 c.p.p. costituisce un mezzo di prova pienamente utilizzabile ai fini della formazione del convincimento del giudice se adeguatamente motivato in relazione al suo contenuto intrinseco ed alle modalità di controllo e di riscontro (1326/1995, rv 200234). La dichiarazione del teste che, nel corso dell'esame in sede dibattimentale, afferma di riconoscere l'imputato, è parificabile a tutte le altre rese dal teste e quindi ben distinto, sul piano strutturale, dalla ricognizione formale disciplinata dagli artt. 213 e 214 c.p.p., ond'essa non soggiace alle regole di questa e non può essere inficiata da patologie processuali, quali la nullità o l'inutilizzabilità, in caso di violazione di tali regole (8455/1995, rv 202358). Una ricognizione personale soggettivamente certa ed oggettivamente attendibile è prova sufficiente per l'affermazione della responsabilità; essa può essere inficiata da dati certi idonei a contrastarla, ma non da mere supposizioni né da un alibi rimasto sfornito di prova e la cui prova sia ritenuta dubbia (10141/1995, rv 202767). Gli atti di individuazione fotografica necessari per l'immediata prosecuzione delle indagini ed effettuati dal pubblico ministero o, su sua delega, dalla Polizia giudiziaria sono regolati dall'art. 361 c.p.p. e non dagli artt. 213 e 214 c.p.p. relativi invece alla ricognizione di persone; i risultati della suddetta attività d'individuazione ben possono inoltre essere posti a fondamento di un provvedimento cautelare in quanto integrano il concetto di “grave indizio” (401/1996, rv 205026). La identificazione effettuata in sede dibattimentale non obbedisce alle formalità previste per la ricognizione in senso proprio, di cui agli artt. 213 c.p.p. e segg., siccome riferibile esclusivamente al contenuto di identificazioni orali del testimone, per cui vige la disciplina degli artt. 498 c.p.p. e segg., sì che da esse

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come da ogni elemento indiziario o di prova il giudice può trarre il proprio libero convincimento (484/1997, rv 207570). È inutilizzabile l'esito di ricognizione personale eseguita, in sede di incidente probatorio, da soggetto imputato di un reato connesso senza le garanzie difensive previste dall'art. 210 c.p.p. (4315/2001, rv 218247). Qualora sussista discrasia tra l'esito della ricognizione fotografica eseguita dinanzi alla polizia giudiziaria e quello della ricognizione personale esperita nel corso del dibattimento, la possibilità di ritenere prevalente il primo sul secondo è subordinata alla ricorrenza delle condizioni indicate nell'art. 500, comma 4, c.p.p., e cioè alla sussistenza di elementi concreti per ritenere che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di danaro o di altra utilità affinchè non deponga ovvero deponga il falso (14855/2003, rv 224371). Il riconoscimento di persona operato attraverso un riconoscimento fotografico è un mezzo di prova atipico che lascia un ampio margine di valutazione discrezionale (Nel caso di specie il giudice, nonostante l'analisi fisionomica tra due fotografie avesse portato ad un giudizio di compatibilità antropometrica, in assenza di particolari segni distintivi, ha ritenuto non sussistente la prova circa l'identità della persona) (13338/2010). In tema di misure cautelari personali, l'individuazione fotografica effettuata dinanzi alla polizia giudiziaria, in assenza di profili di inattendibilità, è elemento idoneo per affermare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, indipendentemente dall'accertamento delle modalità e quindi della rispondenza alla metodologia prevista per la formale ricognizione a norma dell'art. 213 c.p.p., perché lascia fondatamente ritenere il successivo sviluppo in un atto di riconoscimento, formale o informale, o in una testimonianza che tale riconoscimento confermi (6505/2015). In merito al valore del riconoscimento fotografico, allorché il testimone abbia proceduto ad un riconoscimento fotografico informale nel corso delle indagini preliminari e, nel corso dell'esame dibattimentale, abbia confermato di avere compiuto detta ricognizione informale e quindi reiterato il riconoscimento positivo, il convincimento del giudice può ben fondarsi su tale riconoscimento, seppure privo delle cautele e delle garanzie delle ricognizioni, trattandosi di accertamento di fatto liberamente apprezzabile dal giudicante in base al principio della non tassatività dei mezzi di prova. Il momento ricognitivo costituisce invero parte integrante della testimonianza, di tal che l'affidabilità e la valenza probatoria dell'individuazione informale discendono dall'attendibilità accordata al teste ed alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del

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prudente apprezzamento del decidente che, ove sostenuto da congrua motivazione, sfugge al sindacato di legittimità (12501/2015). In tema di individuazione fotografica, deve escludersi che l’età della persona offesa, ottantenne all’epoca del fatto, ne abbia compromesso la lucidità mentale allorchè in fase di indagini sia riuscita ad individuare in fotografia entrambe le imputate senza esitazioni, assegnando anche a ciascuna di esse l’esatto ruolo tenuto nella fase esecutiva della rapina, confermando quanto aveva formato oggetto della denuncia, nella quale la vittima aveva raccontato il fatto in tutti i suoi particolari (5684/2016). Al giudice non è preclusa la valutazione della condotta processuale dell’imputato, unitamente ad ogni altra circostanza sintomatica, di modo che egli, nella formazione del suo libero convincimento, ben può considerare, in concorso di altre risultanze, la portata significativa di comportamenti processuali incidenti su profili probatori determinanti. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito, che avevano considerato raggiunta la prova in ordine all’individuazione dell’imputato quale coautore del fatto, sommando al dato delle sue relazioni con gli altri imputati, emerse dalle intercettazioni telefoniche, quello della sua mancata presenza al dibattimento) (16563/2017). L’attività di individuazione di soggetti tramite fotografia è una mera indicazione di fatto, non avente la forza probante della formale ricognizione di persona ed è quindi soggetta alla libera valutazione del giudice (17747/2017).

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C.p.p. art. 213 Ricognizione di persone. Atti preliminari COMMENTO La ricognizione è un'operazione procedimentale a struttura complessa, il cui rigore è giustificato dall'esigenza di garantire un elevato grado di attendibilità dei risultati, in considerazione del fatto che la presenza di ricordi non nitidi a causa del decorso del tempo e l'influenza di suggestioni potrebbero viziare l'integrità e la veridicità delle risultanze di tale fonte istruttoria. Quanto premesso ha spinto il legislatore a predisporre una disciplina assai analitica in relazione ad adempimenti preliminari il cui pieno rispetto è previsto a pena di nullità. Dal punto di vista terminologico la ricognizione può essere definita come quel mezzo di prova tramite il quale una persona è chiamata a riconoscerne un'altra, durante il dibattimento o un incidente probatorio, basando le proprie attestazioni su semplici ricordi. In particolare, nello svolgimento di tale atto probatorio, il giudice, che è l'organo deputato a condurre la ricognizione: – invita chi deve eseguire la ricognizione a descrivere nel modo più dettagliato possibile la persona che deve essere riconosciuta; – chiede all'interessato se in un momento antecedente ha effettuato il riconoscimento della persona nei confronti della quale viene effettuata la ricognizione; – chiede se la persona sottoposta a ricognizione ha visto, prima e dopo il fatto per cui si procede, il soggetto che deve essere riconosciuto; non è necessario che l'interessato abbia personalmente incontrato la persona da riconoscere, essendo, invece, sufficiente l'averla vista in una riproduzione fotografica o attraverso altri strumenti (disegni, riproduzioni video, ecc.); – chiede se la persona che deve essere riconosciuta gli sia stata preventivamente descritta o indicata; – chiede, infine, se sono presenti circostanze in grado di falsare l'autenticità del riconoscimento. Ai sensi del secondo comma, tutta la procedura nella quale si articola lo svolgimento della ricognizione deve essere riportata nell'apposito verbale. Se è vero che le norme generali dell'art. 217 e quello in commento prevedono una forma vincolata per la ricognizione, nel senso di un suo caratteristico allestimento formale con conseguente nullità per l'inosservanza di tali formalità, ciò non significa affatto, tuttavia, che nel dibattimento la ricognizione sia possibile solo ed esclusivamente nella suddetta forma vincolata. Deve, pertanto, ritenersi valido e processualmente utilizzabile il riconoscimento operato in udienza dalla persona offesa, nel corso dell'esame testimoniale, nei confronti dell'imputato presente. Infatti, anche nella vigenza del nuovo codice di procedura penale conserva validità il principio secondo cui siffatti riconoscimenti vanno tenuti distinti dalle ricognizioni

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vere e proprie, costituendo essi atti di identificazione diretta effettuati mediante dichiarazioni orali non richiedenti l'osservanza delle formalità prescritte per le dette ricognizioni (così Cassazione n. 1061 del 1993). Occorre infine precisare che tra l'individuazione di persone, svolta dal pubblico ministero durante le indagini preliminari, e la ricognizione non sussiste alcun rapporto di alternatività, cosicché, una volta disposta la prima, non potrebbe mai procedersi alla seconda. Ove, infatti, si seguisse una simile linea interpretativa si sovrapporrebbero surrettiziamente le nozioni di atto non rinviabile e di atto non ripetibile, risultando l'individuazione, come tale, sempre ripetibile (salvo che l'oggetto di esso sia nel frattempo venuto meno) attraverso il “mezzo di prova” rappresentato dalla ricognizione (così Cassazione n. 6422 del 1994).

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C.p.p. art. 214 Svolgimento della ricognizione COMMENTO Il riconoscimento fotografico di persone, deve essere tenuto distinto dalla ricognizione personale, tuttavia il giudice di merito può trarre il proprio convincimento da ogni elemento indiziante o di prova e, quindi, anche da ricognizioni non formali e riconoscimenti fotografici. Pertanto nell'ambito dei poteri discrezionali di valutazione che l'ordinamento gli riconosce, può attribuire concreto valore indiziante o probatorio all'identificazione dell'autore del reato mediante riconoscimento fotografico, che costituisce accertamento di fatto utilizzabile in virtù dei principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento, che consentono il ricorso non solo alle cosiddette “prove legali”, ma anche ad elementi di giudizi diversi, purché acquisiti non in violazione di specifici divieti (così Cassazione n. 1680 del 1993).

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C.p.p. art. 214 Svolgimento della ricognizione GIURISPRUDENZA La ricognizione di persona svolta in dibattimento in forma diversa da quella indicata nell'art. 214, primo comma, c.p.p. vale come testimonianza. In siffatta ipotesi non si configura nullità, in virtù del principio di tassatività, sancito dall'art. 177 c.p.p., né inutilizzabilità, dal momento che questa consegue alla violazione di precisi divieti, secondo il dettato dell'art. 191 c.p.p. (7213/1993, rv 195813). Il riconoscimento di persone, fondato com'è su un procedimento intuitivo prelogico, non consente l'esplicazione di argomenti razionali a sostegno dell'esito del medesimo a norma dell'art. 214 c.p.p. che prevede unicamente il requisito della certezza; il giudice pertanto non può operare direttamente il riconoscimento in quanto, se ciò gli fosse consentito, sarebbe impedito alla Corte di Cassazione l'esercizio del controllo sull'adeguatezza dei criteri adottati dal medesimo nella valutazione della prova (4860/1994, rv 197782). In tema di modalità di svolgimento di ricognizioni personali, l'omessa osservanza – per quanto attiene alle caratteristiche fisiche delle persone tra cui è collocato l'indagato – delle formalità previste dall'art. 214 c.p.p., finalizzate ad assicurare la partecipazione di persone il più possibile somiglianti a quella sottoposta a ricognizione per garantire la genuinità della prova, non è causa di nullità o inutilizzabilità dell'atto (5150/2002, rv 223596). Il riconoscimento dell'imputato, effettuato in sede di incidente probatorio senza l'osservanza delle formalità prescritte per la ricognizione di persona, non è affetto da nullità né da inutilizzabilità, e ben può essere utilizzato nel giudizio abbreviato, in cui rileva solo l'inutilizzabilità patologica dell'accertamento (23432/2010).

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C.p.p. art. 214 Svolgimento della ricognizione COMMENTO Sarebbe arbitrario equiparare la ricognizione alla testimonianza prescindendo dalla considerazione della qualità del soggetto attivo dell'atto; ciò perché mentre il chiamato alla testimonianza non può essere altri che un testimone (ossia una persona per definizione disinteressata ai fatti per cui si procede), soggetto attivo della ricognizione può essere tanto un testimone, quanto il coimputato (o l'imputato in un separato procedimento connesso). In tale ultimo caso l'atto dichiarativo di ricognizione, provenendo da un soggetto interessato ai fatti, è assimilabile semmai all'esame (a seconda dei casi, dell'imputato o dell'imputato in un procedimento connesso). Sebbene non esplicitato dalla norma, in dottrina non si è mai dubitato che, se il ricognitore è il coimputato (o l'imputato in un procedimento connesso) egli sia assistito dal diritto al silenzio, che è un principio cardine del nostro sistema processuale. Tale ultima impostazione trova conferma anche in ambito giurisprudenziale. Dalla natura dichiarativa dell'atto di ricognizione, osserva la Suprema Corte, discende che, nel caso in cui chiamato ad effettuare la ricognizione sia una persona imputata in un separato procedimento connesso, si renda applicabile la regola posta, per l'esame, dall'art. 210, comma 4 (avviso della facoltà di non rispondere). Più in generale dal principio nemo tenetur se detergere deriva il diritto del coimputato o dell'imputato in un separato procedimento connesso di non prestarsi alla ricognizione attiva. In conclusione, sia l'imputato intraneus o extraneus rispetto al procedimento nell'ambito del quale è chiamato a effettuare la ricognizione, l'esercizio del suo diritto al silenzio impedisce di fatto l'espletamento dell'atto. Il legislatore, per gli stessi motivi già delineati nel commento sub art. 213, ha dettagliatamente disciplinato anche le modalità di svolgimento della ricognizione, pur non imponendo una dinamica da rispettare tassativamente a pena di nullità del mezzo istruttorio. In particolare, le procedure attraverso le quali si articola la ricognizione sotto la direzione del giudice sono le seguenti: – viene disposto l'allontanamento del soggetto che deve eseguire la ricognizione; – vengono portati nel luogo in cui viene effettuata la ricognizione, oltre che la persona da riconoscere, anche altri soggetti (almeno due), che somigliano quanto più possibile a colui che deve essere riconosciuto; – viene data la possibilità alla persona da riconoscere di scegliersi la posizione rispetto agli altri soggetti presenti, e si cura che sia riprodotta una situazione il più possibile verosimile a quella nella quale la persona da riconoscere è stata vista; – viene fatta entrare la persona che deve effettuare il riconoscimento e gli viene chiesto se riconosce taluno dei presenti; in caso di risposta affermativa gli viene chiesto di indicare la persona riconosciuta e di precisare se ne è certa.

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Può accadere che la persona chiamata ad eseguire la ricognizione subisca dei condizionamenti di carattere intimidatorio se si trova personalmente di fronte al soggetto che deve essere riconosciuto: in ipotesi del genere, il giudice dispone che la ricognizione sia effettuata senza che la seconda persona veda la prima. Delle operazioni svolte ne viene fatta dettagliata descrizione nel verbale: tale adempimento è previsto a pena di nullità. Qualora il giudice lo ritenga opportuno, inoltre, può essere disposta una forma documentativa ulteriore, costituita da rilevazioni fotografiche, cinematografiche o altri meccanismi tecnologici (esempio).

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C.p.p. art. 215 Ricognizione di cose GIURISPRUDENZA In tema di utilizzabilità nel giudizio abbreviato degli atti di Polizia giudiziaria, l'identificazione di cose sequestrate oggetto del reato da parte della persona offesa, eseguita su iniziativa della Polizia giudiziaria anche al fine della restituzione delle cose stesse al titolare, costituisce valida fonte di prova, anche in mancanza di un formale atto di ricognizione (9256/1991, rv 188162). Il riconoscimento della refurtiva da parte del derubato non costituisce ricognizione e, come tale, non è soggetto a particolari formalità. Esso è un mero accertamento di fatto, e non un atto processuale formale, e può essere liberamente utilizzato dal giudice nella formazione del suo convincimento (8007/1996, rv 205832).

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C.p.p. art. 215 Ricognizione di cose COMMENTO La disciplina prevista per la ricognizione di cose ha una struttura sostanzialmente analoga a quella contemplata per la ricognizione di persone, a cui si fa rinvio per la trattazione particolareggiata. Tratto distintivo è il fatto che il presente mezzo di prova viene predisposto per ottenere il riconoscimento del corpo del reato (mezzi attraverso i quali il reato viene compiuto o cose che rappresentano il prezzo, il prodotto o il profitto dell'illecito) o di altre cose pertinenti al reato. Dal punto di vista procedimentale, innanzitutto, occorre trovare almeno due oggetti dotati di caratteristiche simili a quelle dell'oggetto da riconoscere. Dopodiché il giudice chiede alla persona sottoposta a ricognizione se ne riconosce qualcuno e, in caso di risposta affermativa, la invita ad indicare l'oggetto riconosciuto e a precisare se ne è certa. Le formalità stabilite per la ricognizione di cose non vanno necessariamente osservate per il riconoscimento della refurtiva da parte del derubato. In tal caso, infatti, il derubato, avendo avuto il possesso delle cose rubate, è in grado di identificarle direttamente, come chiunque altro ne avesse avuto per ragioni analoghe personale conoscenza, e, quindi, la relativa operazione, costituendo un mero accertamento di fatto e non un atto processuale formale, può essere liberamente utilizzata dal giudice nella formazione del suo convincimento.

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C.p.p. art. 216 Altre ricognizioni GIURISPRUDENZA La ricognizione di voce o di persona che diventa inutilizzabile, sotto il profilo probatorio, a norma dell'art. 191 c.p.p., ove compiuta in violazione del disposto degli artt. 213 c.p.p. e segg., come traspare dal tenore delle norme in questione, è solo quella disposta dall'autorità giudiziaria con atto di imperio, non già quella che è frutto di mera casualità o conseguenza dell'iniziativa assunta da parte del teste o della stessa vitti