Clorofillati. Rieducarsi alla natura e rigenerarsi 9788858835647

Noi “siamo” Natura. Per questo ne abbiamo così bisogno. Stare all’aperto ci fa bene perché il nostro corpo, muovendosi n

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Clorofillati. Rieducarsi alla natura e rigenerarsi
 9788858835647

Table of contents :
Indice......Page 105
Frontespizio......Page 2
Introduzione......Page 4
1. La sfida evolutiva......Page 8
La madre e la Terra......Page 10
È il momento di diventare grandi......Page 11
Cresce il deficit di Natura......Page 13
Gli antidoti: dalla biofilia all’intelligenza ecologica......Page 14
Insegnare l’identità terrestre......Page 16
Diventare davvero sapiens......Page 19
2. Natura: punto di partenza e di arrivo......Page 25
L’effetto di clima e paesaggio......Page 26
Stare nel verde fa bene......Page 28
Qualità dell’ambiente, qualità della vita......Page 31
Vitamina N per grandi e piccini......Page 33
Nidi all’aperto......Page 35
Educare alla Natura si può......Page 37
Dai nativi digitali ai nativi ambientali......Page 39
Trovare se stessi nel verde......Page 41
3. Clorofillati: vivifica il corpo......Page 46
Il sole, tutta l’energia del fuoco......Page 47
L’impalpabile oceano d’aria......Page 48
Sorella acqua......Page 50
Earthing, piedi per terra......Page 51
Gli alberi, custodi della vita......Page 53
Bagno di foresta......Page 55
Stop allo stress......Page 56
4. Green mindfulness: potenzia la psiche......Page 59
Tempo e spazio per il cambiamento......Page 60
Mente chiara, mente aperta......Page 63
Le emozioni vogliono fluire......Page 64
Che cosa vuoi davvero?......Page 66
L’attenzione può essere ricaricata......Page 69
A caccia di ispirazione......Page 70
Oltre i confini dell’ordinario......Page 72
A scuola di progettualità......Page 75
5. Natura per tutti i gusti......Page 78
Natura in solitaria......Page 79
Natura in coppia......Page 80
Natura in compagnia......Page 82
Natura in famiglia e con bambini......Page 83
Natura in città......Page 85
Natura al lavoro......Page 86
Lavoro in Natura......Page 88
Natura nella formazione......Page 92
Natura e sport......Page 94
Natura e arte......Page 96
Conclusione - Inizia ora!......Page 99
Bibliografia e letture consigliate......Page 102

Citation preview

Marcella Danon Clorofillati Ritornare alla Natura e rigenerarsi

© Giangiacomo Feltrinelli Editore Prima edizione digitale 2019 da prima edizione in “Urra Feltrinelli” gennaio 2019 ISBN ebook: 9788858835647 In copertina: © Andrea Kamal Photography/Getty Images. Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

Introduzione

Natura. È la parola d’ordine per i nostri tempi… la nostra sfida evolutiva. Solo riconnettendoci alla Natura, alle nostre radici, possiamo procedere con sicurezza e baldanza verso il futuro… come insegnano gli alberi, maestri di intrepido equilibrio. Noi siamo Natura e solo “con lei” possiamo proseguire il nostro cammino su questa splendida Terra. Ancora l’altro ieri, abitavamo nella savana. Ci vestivamo di pelli e complicati intrecci di fibre vegetali e la nostra massima aspirazione era mantenere il controllo di un promontorio ben affacciato sul paesaggio, con le spalle coperte e una fonte d’acqua vicina. Se conosciamo qualcuno che lavora in un’agenzia immobiliare, ci confermerà che queste sono le caratteristiche tuttora predilette da chi cerca casa: vista, protezione retrostante, facile reperibilità di acqua e cibo. Il ricordo delle 100.000 generazioni in cui il genere Homo ha vissuto a strettissimo contatto con l’ambiente naturale ha lasciato un profondo segno in comportamenti, preferenze e aspirazioni che caratterizzano il nostro agire quotidiano. Siamo uno dei più recenti animali apparsi sul pianeta Terra; nella Natura siamo nati e siamo cresciuti come specie, affiancati, sostenuti e temprati da innumerevoli altre creature animali e vegetali. L’ambiente naturale, con tutte le sue sfide, minacce, risorse e opportunità è stato il compagno di viaggio con cui abbiamo oltrepassato i limiti imposti dall’istinto ai nostri confratelli animali “altri”. Con questa nuova libertà da esplorare, abbiamo intrapreso un percorso nuovo nella storia della Vita: siamo diventati co-creatori del nostro stesso destino, come Homo erectus, habilis, neanderthalensis e, dopo innumerevoli tappe, sapiens. Capriccio dell’evoluzione, intenzione di Gaia o disegno divino non ci è ancora dato di sapere, ma abbiamo conquistato un ruolo sicuramente impattante nell’ecosistema terrestre.

Prima dei tempi attuali – in cui la memoria delle nostre radici si perde fra nastri di asfalto, in un habitat di cemento, acciaio e plastica – abbiamo vissuto all’aperto, al ritmo delle stagioni e degli umori del paesaggio circostante; abbiamo imparato a leggere i segni necessari per trovare luoghi giusti per la nostra sopravvivenza, percorsi verso rifugi protetti, fonti di cibo e acqua, fertili mete. Siamo stati accompagnati, oltre i nostri limiti fisici, da innumerevoli specie di… “compagni di viaggio” senza i quali non saremmo mai giunti dove siamo oggi. La nostra storia è stata un dialogo e una danza con l’ambiente naturale che ha caratterizzato ogni momento della nostra evoluzione, sino al progressivo padroneggiamento di quasi tutti quei fattori esterni di cui prima eravamo in balìa. Il cambiamento, pur costruitosi nell’arco di secoli e millenni, è stato repentino. È solo da poco più di sessant’anni – una frazione di secondo, nella storia della nostra specie – che, nel cosiddetto Primo mondo, le nostre case sono capaci di affrontare ogni estremismo climatico, gli alimenti sono sempre a portata di mano, le distanze solcabili in un batter d’occhio, le comunicazioni… immediate. Oggi, in città, quasi nessuno sa più come costruire muri di pietra, come distinguere tra una radice velenosa e una commestibile, come salire in groppa a un cavallo senza sella o come accendere un fuoco di legna, ma nella nostra memoria profonda, nell’inconscio ecologico, questi ricordi sono ancora vividi e, anche senza saperlo, cerchiamo paesaggi e situazioni che hanno caratterizzato la nostra infanzia di Homo sapiens e che ci fanno sentire bene, ci rivitalizzano, ci aiutano a sintonizzarci sulla nostra dimenticata identità profonda. Il sociologo Edgar Morin definisce “identità terrestre” questo nucleo comune a tutti i membri del nostro ecosistema, su cui è necessario sintonizzarci per indirizzare l’evoluzione verso orizzonti capaci di futuro. Dire di sì alla Natura oggi è fondamentale; non solo per la sua valenza filosofica e concettuale, ma anche per l’impatto forte che ha sul nostro benessere immediato. Prima di tutto, quello fisico. Oggi, quando vogliamo andare in un luogo naturale sufficientemente rustico da incantarci, molto probabilmente, da un certo punto in poi, dovremo raggiungerlo a piedi. Ecco che l’andare in Natura porta con sé un effetto “movimento”, che non è più parte della routine. Viviamo in una quotidianità fatta di spostamenti con i mezzi meccanici e di ore e ore di lavoro passate a una scrivania, al computer, alla guida di un’auto, ma il nostro corpo è fatto

per muoversi, spostarsi nello spazio, esercitare le sue potenzialità; sforzo e fatica, nelle giuste proporzioni, ci mantengono tonici, agili, flessibili, in salute. Fioriscono palestre in tutte le città proprio perché questo bisogno è innato e sentito da molti di coloro che oggi conducono uno stile di vita prevalentemente urbano e sedentario. La medicina forestale, nata in Giappone negli anni ottanta, ha raccolto innumerevoli dati, che vedremo in dettaglio, sui benefici dello stare all’aperto, in particolare nei boschi, in presenza di alberi. Anche dal punto di vista psicologico. Quante volte una passeggiata ci aiuta a schiarire la mente e a scaricare tensione accumulata o un’emozione prima neppure identificata, che ci stava però bloccando come un freno a mano tirato! Andare in Natura, nei tempi moderni, non è più necessariamente associato alla sopravvivenza o al lavoro, può essere fatto per il puro piacere di farlo. Diventa “paesaggire”, citando il poeta veneto Andrea Zanzotto, che così definisce l’azione di immergersi nel paesaggio, entrarvi in dialogo e tornare indietro con un rinnovato senso di compartecipazione. È una conquista notevole che apre nuovi orizzonti nella ricerca di un maggior benessere nel nostro complesso e caotico mondo moderno. Questo libro vuole invitarti a esplorare come, quanto e perché questa relazione con l’ambiente naturale, libera da ogni strumentale funzionalità, può avere un effetto benefico sul piano fisico, mentale, emotivo e, più in là, anche spirituale. Può diventare una palestra di mindfulness, una sala di meditazione a occhi aperti, in cui gli elementi naturali vengono vissuti con atteggiamento accogliente, con un pizzico di attenzione in più e con il cuore aperto a ciò che risvegliano ed evocano in noi. Questa maggior presenza, messa in campo nei momenti di immersione nel verde, fa risuonare le corde più sensibili del nostro essere, ci permette di intravedere orizzonti più ampi e di riflettere su valori e quesiti fondamentali. Clorofillati è un manuale pratico per scaricare tensioni e ricaricarti di energia in Natura e con la Natura. Può essere messo in pratica all’aperto, ma anche al chiuso, quando “Natura” diventa anche semplicemente giardino, vaso di fiori, animale da compagnia, cielo visto dalla finestra, acqua gorgheggiante dal rubinetto o foto di un bel paesaggio. Ti accompagna a ritrovare la Natura, per il tuo benessere personale, ma anche a vivere con pienezza momenti in coppia, in famiglia, con gli amici, all’aperto e non solo. Clorofillati va anche oltre, apre il sipario su una serie di nuove professionalità legate direttamente e indirettamente alla Natura, stimolando

giovani e meno giovani a prendere in considerazione alternative lavorative fino a pochi anni fa impensate. L’invito di questo libro è anche – e soprattutto – quello di riconnetterti, grazie alla Natura, con la tua identità più profonda, con la consapevolezza che tu “sei Natura” a tutti gli effetti, e di ritrovare il tuo sentirti parte del mondo, dell’intera collettività terrestre, dell’avventura della vita. Per vivere appieno, per ritrovare la dignità dell’essere umani, per vivere bene con gli altri, per vivere con gioia.

1.

La sfida evolutiva

“Affonda le radici in ciò che sei, cambia il mondo con ciò che fai.”

Riassumendo la storia del nostro pianeta Terra in ventiquattr’ore, le prime ore sono state necessarie per il consolidamento della crosta terrestre, la vita unicellulare appare verso le 3 del mattino e quella pluricellulare poco prima delle 21, conquistando la terraferma, con piante e animali… in una mezz’oretta, cioè in un centinaio di milioni di anni. Tra le 22.30 e le 23.15 dominano i dinosauri e intorno alle 23 compaiono i mammiferi. Il genere Homo appare due minuti prima delle 24 e la specie sapiens solo un secondo prima dello scoccare della mezzanotte. Tutto ciò che noi siamo, come specie e come singoli individui, raccoglie, riassume e intreccia tutto quanto la vita ha saputo elaborare finora. Il nostro corpo, nel suo processo di crescita biologica, racconta dell’evoluzione della vita: abbiamo ricevuto in dono strutture e funzioni dai pesci, dagli anfibi, dai primi mammiferi; il nostro genoma umano è incredibilmente simile a quello dei primati a noi più vicini – con il 98,5% di Dna condiviso – e contiene tracce di tutte le altre forme di vita, inclusi piante, batteri e persino virus. Siamo un libro aperto che racconta la storia della vita sul nostro pianeta. Sappiamo poco della storia delle 2500 generazioni che ci hanno preceduto con l’altisonante nome di sapiens sapiens – apparso 50.000 anni fa, in base agli studi più recenti – e ancora meno delle centinaia di migliaia di generazioni del genere Homo, le cui prime tracce risalgono a oltre due milioni di anni fa. Di una cosa possiamo però essere sicuri: la nostra storia è nata nella Natura ed è andata di pari passo, sino a poco fa, con la Natura. Siamo nati, cresciuti, evoluti a strettissimo contatto con il paesaggio, gli elementi atmosferici, la popolazione animale e vegetale del nostro ambiente. La specie sapiens è stata caratterizzata, sin dall’inizio, da una spiccata versatilità, adattabilità e intelligenza logico-matematica, che le hanno permesso di affrancarsi dagli stretti legami del bagaglio istintivo e di

conquistare a poco a poco una crescente autonomia e padronanza dell’ambiente e del proprio destino. Abbassando un pochino la cresta del nostro orgoglio antropocentrico, diventa facile riconoscere quanto la nostra specie si sia evoluta proprio grazie a tutto ciò che ci circonda. Pensiamo agli animali selvatici, prima di tutto, fonte di nutrimento e pelli; e al bestiame addomesticato, sorgente sempre accessibile di risorse. Cavalli, lama e cammelli, che ci hanno fatto solcare spazi altrimenti irraggiungibili per le nostre esili gambe; poi cani, fedeli custodi di villaggi e greggi; uccelli, fonte di compagnia, distrazione e piacere con il loro canto e di ispirazione per la loro intimità con le altezze; gatti, uno tra i pochi animali che ha “scelto” la compagnia della specie umana e che – come dicono i poeti – ci offre l’emozione di “poter accarezzare una piccola tigre”; e buoi, elefanti e asini, che hanno moltiplicato la nostra potenza muscolare. Il mondo vegetale non è stato da meno nel sostenere la nostra scalata verso l’autonomia e le stelle: cibo, prima di tutto; trovato e raccolto, inizialmente, selezionato e coltivato, poi; fonte di energia – legna da ardere, carbone, petrolio –, materiale da costruzione, strumento musicale, ornamento, elisir curativo, gioco. Dal regno minerale altre innumerevoli risorse: pietre, strumenti, cristalli, gioielli… Potremmo paragonarci al figlio più piccolo di una famiglia semplice e povera di mezzi che ha scelto di affrontare sacrifici per mandare noi, l’ultimo nato, a studiare in città. E ora che siamo cresciuti e ci siamo affrancati da molti dei limiti a cui i nostri parenti biologicamente più vicini sono ancora sottoposti… come ci relazioniamo con chi ci ha messo a disposizione tutto quello che ci è stato necessario per arrivare al punto in cui siamo ora? Ora che abbiamo studiato, affinato capacità e fatto fiorire potenzialità grazie al sostegno di tutti coloro che, nella nostra famiglia, sono nati prima di noi, come ricambiamo il sostegno ricevuto? Ora che siamo diventati ricchi e famosi… siamo capaci di ringraziare? La nostra civiltà è caratterizzata da ingratitudine, da incapacità di riconoscere quanto dobbiamo alla comunità terrestre di cui siamo parte. Potremmo utilizzare le nostre capacità al servizio del pianeta stesso in cui viviamo, per rendere questo luogo sempre più bello e adatto ad accogliere e celebrare la ricchezza e la varietà della vita che, forse come capriccio, si è sviluppata proprio qui, alla periferia della Via Lattea; e invece siamo impantanati nella presunzione di essere gli unici autori e destinatari del processo che ci ha portato a dominare il pianeta.

L’atteggiamento che stiamo mettendo in atto adesso è quello di dominio e prevaricazione; non per cattiveria, ma per mancanza di consapevolezza. Siamo ormai totalmente ignari, dimentichi, delle strette interrelazioni che ancora fanno dipendere la nostra esistenza e il nostro successo su questa Terra da una buona relazione con il resto della biosfera. Soprattutto, siamo inconsapevoli di quanto del malessere attuale, a tanti diversi livelli, dipende da questa progressiva disconnessione dalla Natura. Siamo il figlio più piccolo, l’ultimo arrivato in famiglia, che non riconosce il dono ricevuto e che, prigioniero di una limitata visione egoica, ha perso quell’atavico senso di compartecipazione con il suo ambiente.

La madre e la Terra Nelle tradizioni native attuali, custodi di memorie più antiche, la Terra è vista come madre, Pachamama, fonte di vita e nutrimento tanto quanto una madre per il suo neonato. La psicologia contemporanea attribuisce un ruolo preponderante, nella storia personale, alla figura della madre. Nei manuali di psicologia dello sviluppo leggiamo che, nella fase iniziale della sua vita, il nuovo nato si percepisce “uno” con la sua mamma. La consapevolezza di essere un individuo separato e autonomo emerge a partire dai sei mesi, inaugurando una fase indispensabile nell’evoluzione individuale. Il senso di disconnessione dalla madre biologica si consolida entro i due anni e, con l’età, aumentano indipendenza e coscienza di sé. L’apice di questo processo è nell’adolescenza, in cui il bisogno di conoscersi e affermarsi come individuo unico porta spesso a contrapporsi all’ambiente familiare. È una fase di crescita normale, caratterizzata da disperato bisogno di libertà, difficoltà nel comunicare pensieri ed emozioni e scarsa capacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni. È un’età in bilico tra la conquista di autonomia nei confronti dei genitori e dei coetanei, da una parte, e il desiderio di conformarsi alle aspettative sociali, dall’altra. Quello della crescita è un processo in evoluzione, e arriva un momento in cui il giovane essere umano trova un suo equilibrio tra queste due spinte – focus su di sé, focus su ciò che lo circonda – ed è pronto per “diventare grande”, per rientrare nell’ecosistema della società in modo attivo e propositivo. Arriva un momento in cui è pronto per fare un salto di qualità nel

suo sentire e ritrovare i legami di connessione, questa volta su un piano non più conflittuale ma paritario, con la famiglia di origine. Possiamo provare a ipotizzare che è proprio questo il punto cruciale in cui ci troviamo nella società moderna contemporanea: quello tra l’età adolescenziale e l’età adulta. Nella fase iniziale del nostro percorso di crescita, come umanità, il senso di unità con il mondo, con la madre terra, era innato; ha dovuto essere perso per permetterci di consolidare la nostra identità individuale. E ora che stiamo… “diventando grandi”, è arrivato il momento di ritrovare il dialogo con la Natura su un piano di rispetto e di collaborazione, così come succede con la propria madre, in un sano processo di crescita personale. Dopo essere stato nutrito, protetto e spronato a crescere oltre i limiti di coloro che erano nati prima di lui, il figlio più piccolo può risvegliarsi finalmente alla sua identità profonda ed elargire ai membri della sua famiglia allargata i benefici che ha ottenuto grazie ai sacrifici che questa ha fatto per lui.

È il momento di diventare grandi Quando diamo risposte inadeguate o sbagliate ai problemi della vita, si genera in noi malessere esistenziale, come segnala Jung nel suo Ricordi, sogni e riflessioni, e i nostri tempi attuali sono decisamente caratterizzati da un crescente senso di disagio psicologico, sociale e ambientale. Crescita economica che non prende in considerazione le implicazioni sul piano umano e ambientale, benessere materiale oltre ogni limite del buon senso, stile di vita che ci reclude in abitacoli di cemento, logiche produttive che ci spintonano al di là del nostro ritmo organico, completa inconsapevolezza delle implicazioni del nostro agire sul contesto planetario e, dulcis in fundo, il diffuso senso di impotenza che ci fa pensare di non poter fare nulla per cambiare le cose… si stanno rivelando risposte inadeguate all’evoluzione della specie. Stiamo vivendo un momento di crisi, di passaggio, di crescita, da un’era della nostra storia di umanità a un’altra: stiamo “diventando grandi”. Crisi ha sempre voluto dire anche opportunità, cambiamento, salto di qualità, da uno status quo ormai inadatto a uno più coerente con gli obiettivi attuali e con una rinnovata visione di sé e del mondo.

In questa particolare contingenza storico-evolutiva abbiamo un inaspettato asso nella manica da giocare, per ritrovare al contempo una maggior serenità individuale e una via d’uscita dall’impasse evolutiva: la riconnessione con la Natura. Vedremo insieme come, attraverso il contatto diretto con l’ambiente naturale, oltre all’immediato benessere fisico e psicologico, si riattivano forze ancestrali, si allargano orizzonti percettivi e mentali, ritroviamo il senso di appartenenza alla famiglia terrestre e diventiamo finalmente consapevoli di quanto siamo ora importanti e determinanti per lo stato del pianeta. Questa è la sfida evolutiva contemporanea: diventare adulti nella gestione delle nostre relazioni con la Terra. E non necessariamente per benevolenza nei confronti del pianeta, perché in quattro miliardi e mezzo di anni la Terra ha affrontato e superato ben altri cataclismi, ma per la nostra sopravvivenza come società. “Non so come si combatterà la Terza guerra mondiale,” aveva detto Albert Einstein, “ma la quarta sarà con le clave.” È la “nostra” sopravvivenza in gioco in questa sfida evolutiva, non quella del pianeta Terra. Diventare grandi, oltrepassare i limiti di un “ego incapsulato nella pelle” e della convinzione fanciullesca che tutto giri intorno a noi, è la sfida che tocca tutti, individualmente, come società e come specie. In molte culture tradizionali è rimasta una solida traccia di questo traguardo indispensabile nel processo di evoluzione personale e ci sono dei “riti di passaggio” che preparano, e allo stesso tempo sanciscono, il salto di qualità. Oggi, per crescere, non è necessario dormire una settimana soli tra i lupi o cacciare una preda a mani nude... ci pensa la vita. A volte è un evento singolo, che genera un cambiamento netto, altre volte la trasformazione si diluisce nell’arco di mesi o di anni. Il salto di qualità può avvenire in tanti modi, con una relazione affettiva, la frequentazione di un gruppo, la lettura di un libro, un’esperienza forte, una malattia, un incidente, un incontro chiave, una perdita importante, un’ispirazione giunta all’improvviso. C’è un momento, per ognuno di noi, in cui sentiamo di essere pronti ad affrontare in modo nuovo le sfide che ci aspettano. Se stiamo leggendo questo libro e se queste parole ci risuonano dentro, siamo vicini a questo salto di qualità o lo abbiamo già fatto. Scopriremo tra poco come e quanto la Natura può fare da Virgilio, da guida e ispiratrice, in questa nuova tappa della nostra vita, quella in cui scopriamo di non essere soli ma parte di un’immensa comunità, umana e non umana, con la quale è

possibile entrare in contatto, con la quale è necessario interagire, con la quale è interessante dialogare, con la quale è entusiasmante collaborare.

Cresce il deficit di Natura Fino a poche generazioni fa non avrebbe avuto senso parlare di riconnessione con la Natura, vivevamo quasi tutti a strettissimo contatto con l’ambiente naturale. Per solo il 6% della popolazione mondiale, oggi, è ancora così: i popoli indigeni sono rappresentati da 370 milioni di persone, distribuite in 70 nazioni, metà delle quali vive in contesto tribale. È una minoranza, una minoranza preziosa, che custodisce i luoghi più incontaminati della Terra e rappresenta una parte essenziale della biodiversità umana. Chi sta determinando il disegno e il destino della superficie terrestre è, invece, quella parte di umanità cresciuta e ubicata in aree urbane, nei paesi del cosiddetto Primo mondo, che hanno basato la loro economia sul concetto di dominio sulla Natura, considerandola oggetto, risorsa, cosa. Probabilmente viviamo anche noi in questo mondo e vediamo attorno a noi quanto poco spazio sia rimasto, nelle nostre città, per l’elemento naturale. I nostri figli, o i bambini che vediamo intorno a noi, crescono su cemento, linoleum, moquette, davanti a computer e televisori, sono prigionieri delle loro case, perché gli spazi per giocare liberi all’aperto sono sempre più rari o difficili da raggiungere. Quando arrivano a scuola, spesso, non hanno mai visto un asino, sono convinti che il latte venga dal frigorifero e che le galline abbiano sei zampe, perché al supermercato le cosce di pollo si trovano in confezioni da sei. Sembra una battuta di cattivo gusto, ma è purtroppo una constatazione concreta, tratta dagli studi della psicologia ambientale. Interviste, misurazioni e raccolte dati hanno dimostrato che meno Natura hanno i bambini a diposizione e maggiori probabilità ci sono che sviluppino disagi di tipo sociale, fisico e psicologico: difficoltà a relazionarsi, obesità, difficoltà di concentrazione, stress, ansia, paure immotivate, depressione. Questo complesso di sintomi è stato definito dall’educatore statunitense Richard Louv “sindrome da deficit di Natura”, un’espressione ormai adottata in molti ambiti per definire i rischi di un’educazione avulsa dal contesto naturale. Nel suo libro L’ultimo bambino nei boschi, Louv fa notare che oggi i bambini hanno dieci volte meno libertà di movimento rispetto a solo due

generazioni fa; questo vuol dire anche che hanno meno opportunità di confrontarsi con la scoperta del mondo in autonomia, tirarsi da soli fuori dai pasticci, allenare i cinque sensi, sviluppare senso di orientamento, confronto con l’inaspettato, dimestichezza con le emozioni, creazione di relazioni amicali… La Natura è scuola di vita, senza di essa vengono a mancare alcuni degli insegnamenti fondamentali che fanno parte di questo insostituibile programma di studi che ci mette a disposizione. Persino l’esercito statunitense è giunto a questa conclusione, notando come ai soldati smanettoni bravi con l’informatica e la tecnologia manca sempre un qualcosa di indefinibile; per quanto geniali sul lato tecnico, spesso si rivelano inetti sul piano relazionale o nel confrontarsi con le emergenze; le competenze ottimali sono invece riscontrate in coloro che in Natura ci sono nati e cresciuti o che la frequentano assiduamente per lavoro o per passione.1 La dimestichezza con il dinamico, cangiante e sorprendente mondo naturale allena competenze vitali nella vita delle società umane – resilienza, intelligenza emotiva, spirito di iniziativa, pensiero sistemico, azione sinergica – e quando viene a mancare lascia dei vuoti importanti. La sindrome da deficit di Natura, infatti, riguarda anche gli adulti. Anzi, affligge in realtà gran parte del mondo occidentale il cui stile di vita si è consolidato in una routine casa-ufficio con la variante di qualche puntata in palestra, centro commerciale, cinema o locali di ritrovo. Quante persone conducono un’esistenza totalmente urbana che non contempla, se non sporadicamente e quasi casualmente, un’uscita nel verde? Tante. Eppure molte di queste, quando vengono interrogate su che cosa vorrebbero come stile di vita, la Natura ce l’hanno presente, la nominano e la sognano.

Gli antidoti: dalla biofilia all’intelligenza ecologica La Natura ce l’abbiamo dentro. Non bastano, per fortuna, poche generazioni tra asfalto e cemento per cancellare una spinta interiore forte verso il ritrovamento della nostra più ampia identità. Stiamo, sì, vivendo una fase di consolidamento del nostro ego, ma la primavera avanza e ogni fiore preme per aprirsi e ritrovare il suo stare nel mondo, con il mondo, per il mondo. Ce l’abbiamo dentro, e non solo metaforicamente: è proprio una spinta che ha solo bisogno di un piccolo incoraggiamento per riemergere in tutta la

sua potenza. Si chiama biofilia, è l’innata tendenza a provare amore per la Natura, senso di connessione con l’ambiente, bisogno della vicinanza di altri esseri viventi.2 È la chiave per superare la crisi e i rischi connessi all’attuale, momentanea, disconnessione dalla Natura; è la garanzia che non dobbiamo imparare nulla di nuovo, ma solo ritrovare un anelito che è già dentro di noi e dargli spazio. Il termine è stato coniato da Erich Fromm, filosofo e psicologo, ed è stato ripreso e portato alla ribalta dal sociobiologo Edward Wilson, inaugurando di fatto un nuovo spazio interdisciplinare tra biologia e psicologia. La biofilia è considerata, da una parte, come geneticamente determinata e funzionale all’adattamento all’ambiente, dall’altra, come esperienza emotiva, soggettiva, propria della struttura psichica stessa dell’essere umano, spontaneamente sensibile alla bellezza, all’armonia, al fascino della complessità del vivente. Il valore della biofilia per i tempi attuali sta nel permetterci di riconoscere che abbiamo già la capacità di prenderci cura della vita e di costruire relazioni profonde anche con il mondo non umano. Si tratta solo di recuperare, senza per questo dover tornare a vivere in capanne, una visione propria dei popoli indigeni e presente anche nella Bibbia: noi siamo i custodi di questo pianeta, coloro che si devono prendere cura della Terra.3 Definita in termini concreti, quella della biofilia è ufficialmente un’ipotesi sempre più considerata in ambito accademico. E questo grazie a due parametri misurabili che possono essere verificati sul campo: l’attenzione e l’affiliazione. L’ipotesi è basata su ricerche e raccolte dati che confermano che, quando siamo in Natura, si rigenera l’attenzione e viene attivata l’affettività. Quella che è una considerazione empirica e intuitiva, “stare in Natura fa bene”, entra finalmente nel novero della scienza. L’Ipotesi Biofilia non è l’unica voce accademica che offre un contributo concreto per contrastare il deficit di Natura e per creare le condizioni necessarie a una riconnessione consapevole con essa. In The Voice of the Earth (“La voce della Terra”), lo storico Theodore Roszak delinea le basi dell’ecopsicologia e mette in risalto che al livello più profondo della mente umana troviamo un inconscio ecologico che è connesso intimamente con il flusso della vita, con la sua storia e con tutte le sue espressioni… dalle montagne ai fili d’erba. La salute fisica e psichica è legata alla capacità di mantenerci sintonizzati su quella parte di noi che “sa” che “siamo anche noi Natura”. Questa è la buona notizia: la saggezza ecologica, che ci ha permesso di

sopravvivere così a lungo sulla Terra, il senso di fiducia, amore, rispetto e reciprocità nei confronti del mondo, che è indispensabile ritrovare oggi, sono già in noi. La soluzione di cui abbiamo bisogno per sanare la follia dei nostri tempi… è a portata di mano. Tante diverse voci, anche se con termini differenti, esprimono la stessa idea. Lo psicologo statunitense Howard Gardner, quando ha formulato la teoria delle intelligenze multiple, presenti in ogni individuo in proporzioni e combinazioni differenti, ha tenuto un posto anche per l’intelligenza naturalistica. È presente in chi sente un forte legame con la Natura, coltiva le piante, si prende cura degli animali, e anche in chi, semplicemente, ama stare all’aria aperta e trae piacere dalla contemplazione del paesaggio. È quel tipo di intelligenza che porta a scegliere la professione di giardiniere, biologo, geologo, fiorista, operatore di pet therapy, agricoltore o anche semplicemente appassionato fruitore di tempo all’aria aperta. Potenzialmente, è in tutti noi. Un bel contributo, in questo senso, arriva anche da Daniel Goleman, famoso per aver promosso il concetto di “intelligenza emotiva”, la capacità di riconoscere, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie e altrui emozioni. In un libro uscito nel 2010, lancia un altro forte messaggio alla collettività internazionale: c’è un’“intelligenza ecologica” che fa parte del nostro bagaglio potenziale innato, un’intelligenza che muove dal presupposto che siamo parte della vita e che funzioniamo con le sue stessi leggi. Questo ci rende spontaneamente in grado di cogliere la complessità di cui siamo parte, attiva la consapevolezza dell’impatto di ogni nostra azione su ciò che ci circonda, risveglia il nostro senso di compartecipazione e di affiliazione. L’invito di Goleman, concretamente, si riassume in tre regole, per migliorare il nostro ecosistema umano: 1. Conosci il tuo impatto. 2. Cerca e favorisci il miglioramento. 3. Condividi ciò che impari. Messa in pratica, l’intelligenza ecologica si traduce in consumo consapevole, impegno sociale e capacità di gestione della complessità. I problemi ecologici attuali sono di natura tale che non possono essere affrontati da un solo individuo ma richiedono la collaborazione e l’interazione di diverse competenze, punti di vista, intelligenze.

Insegnare l’identità terrestre

Prima ancora di dedicare il resto del libro a come, concretamente, attingere a tutti i benefici fisici e psicologici che ci può dare un ritrovato contatto con l’ambiente, ecco ancora qualche considerazione filosofica che ci permette di inscrivere questa rinnovata sete di Natura in un contesto trasformativo ancora più ampio. Pensatori diversi hanno colto e trasmesso, ognuno a modo suo, lo stesso concetto di salto di qualità necessario e possibile. L’idea di essere giunti, come società umana contemporanea, a un punto di svolta nel nostro modo di sentirci nei confronti del mondo e della nostra stessa vita appare da diverse parti. Nel suo libro Terra-Patria, il sociologo Edgar Morin invita tutti a riconoscere che “ciascuno di noi viene dalla Terra, è della Terra, è sulla Terra”. Ci invita ad assumere la cittadinanza terrestre, la nostra comunità di destino. L’identità terrestre diventa così il prossimo traguardo della coscienza umana. Nel suo libro I sette saperi necessari all’educazione del futuro, quello di “Insegnare l’identità terrestre” è il quarto sapere da promuovere: “Oggi, l’obiettivo fondamentale di tutta l’educazione non è solo per la sopravvivenza dell’umanità, è per civilizzare e unificare la Terra e trasformare la specie umana in vera umanità. L’educazione del futuro dovrebbe insegnare un’etica della comprensione planetaria”. Leonardo Boff, teologo brasiliano, uno dei più importanti esponenti della teologia della liberazione, con l’espressione Coscienza planetaria, punta il dito nella stessa direzione: “Ora è arrivato il momento di prendersi cura delle cose e della Terra. Tutti dobbiamo assumerci la responsabilità del sistemavita”.4 Il suo è un invito a scienze e religioni a lavorare insieme per evitare la tragedia e trasformarla in una crisi di mutamento verso un altro paradigma civilizzatore, più amichevole nei riguardi della Natura e più rispettoso della Terra. Lo stesso concetto emerge con chiarezza da un estratto della Carta della Terra, creata a seguito del Summit della Terra di Rio de Janeiro, nel 1992, e ora adottata da migliaia di organizzazioni internazionali5: “Per la storia della Terra, l’epoca che stiamo vivendo rappresenta un momento critico in cui l’umanità dovrà scegliere il proprio futuro. A causa della crescente interdipendenza e fragilità che caratterizza il mondo odierno, il futuro porta con sé grandi rischi e insieme grandi promesse. Per andare avanti dobbiamo riconoscere che pur all’interno di una straordinaria varietà di culture e forme di vita siamo comunque un’unica famiglia umana e un’unica comunità terrestre con un destino comune”.

L’ecologo e teologo Thomas Berry parla di era ecozoica, come meta verso la quale tendere, una società basata sul rapporto di cura, rispetto e riverenza verso il dono magnificente della Terra viva. Citando il cosmologo Brian Swimme, con cui Berry ha collaborato a lungo su questo fronte: “Il futuro sarà deciso o da quelli impegnati al Tecnozoico – un futuro di crescente sfruttamento della Terra come risorsa, tutto a vantaggio degli umani – o da quelli impegnati all’Ecozoico, nuova modalità di rapportarsi con la Terra, dove il benessere della Terra e dell’intera comunità di vita terrestre è l’interesse principale”.6 L’elenco è ancora lungo, perché molti pensatori contemporanei hanno lasciato un messaggio forte in questa direzione. L’economista e sociologo Jeremy Rifkin, nel suo La civiltà dell’empatia, propone un’appassionante riscrittura della storia della civiltà umana, con la “lente” che mette a fuoco lo sviluppo dell’empatia, considerata come la nostra prossima tappa per raggiungere la “coscienza biosferica”, la consapevolezza di essere tutti parte del pianeta… in evoluzione. Peter Senge, noto in ambito universitario e imprenditoriale, condivide storie di aziende che hanno saputo basare il loro sviluppo non più sul vecchio modello industriale – impostato sulla supremazia della specie umana, sul paradigma della crescita infinita e sulla totale noncuranza di ogni possibile impatto sull’ambiente dell’attività produttiva – ma su uno nuovo, ispirato a un classico principio giuntoci dalla tradizione nativo-americana: “abbiamo la Terra in prestito dai nostri figli”. Si tratta di creare il futuro, non semplicemente di reagire al presente.7 Uno dei testi attuali di maggior impatto e diffusione sulle coscienze, con un messaggio potente in questa direzione, si è diffuso nel mondo proprio dall’Italia. Chi lo ha scritto è un autore speciale, con un nome speciale: papa Francesco. La sua enciclica “sulla cura della casa comune”, presentata ufficialmente il 18 giugno del 2015, è un testo chiaro e coraggioso, con la giusta dose di critica e preoccupazione combinate con la fiducia nel risveglio delle coscienze e con un invito urgente a rinnovare il dialogo sul “modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta”. Un gigantesco passo in avanti – realizzato, non a caso, da un gigante – per lo sviluppo di tutto quanto abbiamo visto sinora: intelligenza ecologica, coscienza planetaria, impegno collettivo per il consolidarsi di un’evoluzione dell’umanità verso una cittadinanza terrestre, verso una “cittadinanza ecologica”, come la definisce l’autore.

Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune diffonde con fiducia e speranza nel mondo considerazioni e proposte su innumerevoli temi di scottante attualità: cambiamento climatico, questione dell’acqua, biodiversità, principio del bene comune, giustizia tra le generazioni, governance degli oceani, giustizia sociale, autosufficienza locale come modello economico, ricerca di nuovi stili di vita, dialogo e trasparenza nei processi decisionali, politica ed economia per la pienezza umana, religioni in dialogo con le scienze, educazione all’alleanza tra umanità e ambiente, preghiera per la nostra Terra. È un manifesto, uno squillo di tromba per il risveglio delle coscienze, un invito a cercare nuovi modi di intendere il nostro stesso essere e divenire nel mondo, con un particolare occhio di riguardo all’ambiente, perché non possiamo considerare la Natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita: “Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati”.8

Diventare davvero sapiens Dopo aver spaziato su questi ampi orizzonti, diventa più facile cogliere come la nostra sete di Natura abbia radici più profonde del semplice bisogno di un weekend ristoratore. Abbiamo bisogno di Natura per stare bene noi in prima persona innanzitutto, e abbiamo bisogno di Natura per ritrovare le coordinate della nostra evoluzione come specie, in sinergia con quella del pianeta di cui siamo parte. Ecologia e psicologia si ritrovano così a dialogare su uno stesso, duplice, processo: una crescita personale individuale che va a impattare sulla coscienza ambientale; una ritrovata intimità con l’ambiente che va a incrementare il benessere fisico e psicologico individuale. Il mondo esteriore – la Natura – attiva il mondo interiore, sottolinea Thomas Berry.9 È al servizio di questa visione che opera l’ecopsicologia. Risvegliando la consapevolezza di una più ampia identità terrestre, riusciamo ad avvicinarci all’ambiente in un modo spontaneamente rispettoso e a sentirci parte attiva di ecosistemi via via più ampi e complessi. Del resto, ritrovando la capacità di entrare in Natura con un atteggiamento di attenzione, rispetto e presenza, si attiva anche un processo interiore, di maggior connessione con noi stessi: la visione degli eventi che ci coinvolgono nel quotidiano si fa più ampia e

distaccata e si consolida la consapevolezza del nostro margine di libertà d’azione nelle piccole e grandi sfide della vita. La riconnessione con la nostra più ampia identità terrestre va di pari passo con il rispetto della nostra peculiare identità personale; un processo di crescita della consapevolezza su due fronti, che promuove livelli più alti di capacità di operare in gruppo e attiva sinergie creative e costruttive, indispensabili per il nostro futuro di sapiens. Questo è il programma del viaggio della coscienza in cui ci siamo imbarcati, giungendo su questo pianeta. E noi, ora, dove ci troviamo? Riconoscere il punto in cui siamo diventa utile, così come ogniqualvolta consultiamo una mappa per scegliere come proseguire il percorso verso la meta che ci interessa. Quella che segue è proprio la “Mappa da Ego a Eco”, uno degli strumenti nati per favorire la riconnessione tra mondo interiore e realtà esteriore; è una presentazione di diversi livelli nel processo di risveglio dell’identità terrestre, non è un test, è un indicatore… autogestito. Ognuno potrà, in autonomia, riconoscere in quale stadio, attualmente, si trova. In nessun momento uno stadio è migliore dell’altro, è importante avere chiaro questo concetto. Ognuno ha i suoi tempi, i suoi ritmi e i suoi modi per… diventare grande. E abbiamo tutti la libertà di scegliere se e come proseguire il viaggio verso una più ampia consapevolezza. In più di vent’anni di lavoro nella crescita personale, non ho mai incontrato una persona che non volesse fare un passo in avanti in questo percorso, ho solo incontrato persone che erano ancora ferme alla consapevolezza egoica soltanto perché non sapevano neppure che si potesse procedere in una diversa direzione o non avevano ancora incontrato mappe adatte a loro. D’altro canto, qualcuno potrà riconoscersi già al livello di identità terrestre, senza mai aver sentito nominare nessuno dei filosofi o delle idee precedentemente illustrate; un fiore sboccia al suo momento giusto anche se non ha mai sentito parlare della primavera. “DA EGO A ECO” – UNA MAPPA PER L’IDENTITÀ TERRESTRE E tu, dove senti di essere? Leggi i diversi profili e ascoltati, e senti in quale di questi ti ritrovi di più, attualmente. Da lì guarda avanti e punta a quello che puoi e vuoi diventare. La spinta per proseguire è già dentro di te, tutto quello che segue, nel resto del libro, sarà qualche idea in più per favorire il processo, traendo spunto ed energia dalla Natura stessa.

Seme L’Ego incapsulato nella pelle • L’inconsapevolezza di sé e del mondo

Il seme può conservarsi com’è per anni senza cambiare nulla del suo status quo. Il seme è convinto di essere già tutto quello che può essere, non si fa illusioni su una sua possibile evoluzione di identità e si concentra solo sul quotidiano. Spesso proprio chi è allo stadio Seme soffre, del tutto inconsapevolmente, di sindrome da deficit di Natura. È ancora chiuso in se stesso, non ha attraversato la trasformazione che comporterà oltrepassare i limiti della capsula che lo rinchiude e mettere davvero radici nel mondo. Vede la realtà in termini di bianco e nero, sotto l’egida di certezze assolute… è portatore di un vuoto che sente indistintamente, senza riconoscerne l’origine, e che cerca di riempire con elementi materiali, con le ricette proposte dal sistema consumistico, col bisogno di tenere sempre tutto sotto controllo, senza però mai soddisfare l’esigenza reale: una connessione profonda con quel qualche cosa di caldo e avvolgente, di affettivamente significativo, di rispecchiante la propria natura più autentica… quello che, in uno sviluppo armonioso della personalità, potrebbe e dovrebbe essere la madre, l’iniziatrice alla vita. A volte la madre che avremmo voluto non c’è stata, ma non è il caso di bloccarci lì. “Onora il padre e la madre,” recita il quarto comandamento, e spesso non si fa caso che non obbliga ad amare, ma a onorare sì. Per quanto difficili possano essere state la nostra infanzia e la relazione con uno o entrambi i nostri genitori, non c’è nulla che ci dispensi dalla gratitudine per averci messo al mondo e dato un corpo. Possono non essere stati capaci di fornirci ciò di cui avevamo bisogno, ma se non ci fossero stati… noi non saremmo qui. Ritrovare ed esprimere questa gratitudine sblocca il processo evolutivo verso più ampi orizzonti. Il primo passo per uscire dallo stadio Seme e proseguire oltre è proprio quello di ritrovare il senso di gratitudine nei confronti della vita, coltivare la capacità di assaporare dettagli, sensazioni ed emozioni che la Natura ci permette di vivere. Questa ritrovata capacità di riconoscere e di consentirci di ricevere quello che davvero ci serve sblocca il processo e apre a nuove possibili evoluzioni.

Germoglio Il risveglio timido • L’aprire gli occhi e il cuore Una brillante intuizione offre una formula magica per uscire dal tunnel dei blocchi che provengono dal passato: “Non è mai troppo tardi per avere un’infanzia felice!”.10 Se la nostra madre biologica non ha saputo o potuto rispondere alle nostre aspettative, la Natura, nostra madre metaforica, può colmare quanto sentiamo di non aver ricevuto nella nostra infanzia permettendoci di trovare tutto ciò di cui ora abbiamo bisogno. Imparando a incontrare in modo consapevole, rispettoso e sensibile il mondo naturale, possiamo colmare i nostri vuoti interiori e lenire ferite antiche. Possiamo sbloccare quel freno a mano tirato che non ci aveva ancora permesso di entrare a pieno titolo nell’età adulta e diventare attori creativi e propositivi nella comunità terrestre. La Natura può aiutarci a riannodare tra loro frammenti del nostro vissuto per riconnettere la nostra storia individuale a quella della nostra specie e del nostro ecosistema. Un passo che diventa strumento rivoluzionario per un maggior benessere non solo individuale, ma anche sociale e planetario. Nello stadio Germoglio, ritroviamo la nostra capacità di sentire, anche se non ancora di agire. Il mondo ricomincia a sembrarci vivo, non è più fatto di cose inerti, ma di presenze, ognuna con la sua nota peculiare, che si tratti di alterità umane o non umane. La Natura ricomincia a far parte della nostra consapevolezza quotidiana, entra in casa con piante, animali, fotografie e riviste; diventa meta occasionale di uscite, gite, vacanze nel verde. Si risveglia la curiosità, la voglia di conoscere, di oltrepassare i limiti della consuetudine, di scoprire qualcosa di più della vita. In questa fase, si tratta ancora solo di desideri e vaghe intenzioni, ma è questo l’humus su cui si consoliderà la fase successiva.

Pianta Il risveglio potente • Creare le basi per la propria realizzazione

È arrivato il momento di crescere, di diventare ciò che possiamo diventare, come individui e come sapiens. Questo stadio è caratterizzato da grande curiosità, apertura e dinamicità, per esplorare, assaggiare e vivere pienamente la propria ricerca verso risposte soddisfacenti. I luoghi comuni sono stati ormai lasciati indietro, le lusinghe di uno stile di vita incasellato in copioni convenzionali hanno perso l’esclusiva sulla nostra attenzione. Sappiamo che si può vivere anche in modi altri e se siamo ancora inseriti nel sistema produttivo attuale è per scelta e non più per mancanza di scelta. Si attiva la consapevolezza di poter decidere come spendere tempo ed energia, la voglia di cercare quello che ci nutre davvero. Chi è allo stadio Pianta sente il richiamo della Natura e cerca il modo di darle spazio: weekend fuori città, cura di un animale, sport all’aperto, orto… anche se solo sul balcone, vacanze nel verde, alimentazione più naturale. Sono tanti i modi, come vedremo nel corso della lettura, per sopperire all’innato bisogno di Natura, anche quando si vive in città. Ma spesso l’ambiente urbano inizia a stare davvero stretto, si risveglia una maggior sensibilità verso i luoghi e si entra più facilmente in empatia con quello naturale. Allo stesso tempo si attiva un senso critico nei confronti del proprio pensiero e di tutte le informazioni che circolano sui media, sui social, nelle chiacchiere da bar. Nello stadio Pianta cominciamo a non essere più così facilmente manipolabili, abbiamo chiaro che ragione e torto non sono mai tutti dalla stessa parte, che quello che viene raccontato in giro non rispetta sempre l’oggettività dei fatti, che i pregiudizi sono un’abitudine perniciosa. In questo stadio, quello che viene fatto, per usare un’espressione cara a Edgar Morin, è “armare la mente nel combattimento vitale per la lucidità”.11 Ancora una volta è la Natura a dare uno spunto importante: la frequentazione di ecosistemi complessi, come l’ambiente naturale, sviluppa l’attitudine naturale della mente umana a situare tutte le informazioni in un contesto e in un insieme, a non soffermarsi, quindi, sugli eventi, ma a cogliere i processi nella loro dinamicità. L’ininterrotto flusso dei processi naturali diventa mappa e metafora per leggere e agire anche nella realtà umana.

Fiore L’attivazione • Far risplendere ciò che si è Dopo avere ragionevolmente soddisfatto i bisogni basilari dell’essere umano – sopravvivenza, affetto, autoefficacia, autostima –, si creano spontaneamente le condizioni per l’autorealizzazione, ci racconta Abraham Maslow, il padre della psicologia umanistica; si raggiunge la cima di quella che, infatti, è nota come la “Piramide di Maslow”. Dopo aver imparato a conoscere i diversi alberi del nostro mondo interiore, diventiamo consapevoli della dimensione foresta, di quell’insieme che è più della somma delle parti. Impariamo ad agire con il sostegno e la collaborazione delle molteplici sfaccettature della nostra personalità, capaci di interagire sinergicamente ed efficacemente, non più frenate da conflitti interiori. L’autorealizzazione è il culmine dell’espressione dell’io. Parliamo di “ego” quando entra in gioco una percezione solo parziale di ciò che siamo e di “io” quando invece si consolida un senso di identità integrata, ispirato al verso di Walt Whitman “Sono immenso, contengo moltitudini, mi contraddico”. Allo stadio Fiore abbiamo imparato a conoscere i diversi abitanti del nostro pianeta Io – le sfaccettature della nostra personalità – e ad assumerne pacificamente e giocosamente il coordinamento. In Natura ci sentiamo in casa, sappiamo godere del complesso intreccio di fattori che portano all’evoluzione del paesaggio o di un singolo habitat e siamo consapevoli del margine d’azione che abbiamo anche sul mondo esterno. Un anziano contadino ha passato gli ultimi anni della sua vita a piantare filari di querce su una collina di origine sedimentaria nell’Appennino parmense, tra Emilia, Toscana e Liguria, e l’ha così preservata dall’erosione, perché voleva che i suoi nipoti potessero giocare su quegli immensi prati in cui lui era cresciuto; aveva capito che, col tempo e senza nessun intervento, questi sarebbero stati sgretolati dalla combinazione di pioggia,

vento e forza di gravità; la sua iniziativa ha salvato la collina. In questo stadio, diventiamo consapevoli del nostro potere d’azione sul mondo.

Frutto La pienezza • Mettersi al servizio della vita L’ebbrezza del Fiore, in cui la bellezza è al culmine, lascia il posto alla potente presenza del Frutto, già pago di soddisfazione personale e volto verso una nuova missione. Dopo aver raggiunto la cima della piramide il percorso prosegue, con la spinta di una sete diversa. La consapevolezza dei nostri doni, le capacità consolidate, il successo personale ci sono e sono ormai acquisiti, ma non ci bastano più. È un elisir diverso quello di cui improvvisamente abbiamo un bisogno profondo, è un anelito più ampio che ci motiva: vogliamo sentire di essere utili, di avere un posto nella creazione, di poter lasciare un segno, nutrire, prima, e far nascere qualcosa di nuovo, dopo; il compito, appunto, di ogni frutto. Allo stadio Frutto siamo ormai coscienti del fatto che il nostro benessere personale è interconnesso con quello del mondo naturale e della società intorno a noi, e metterci – con ciò che sappiamo, abbiamo e siamo – al servizio di mete più ampie diventa un’esigenza profonda e inarrestabile. Amiamo il mondo naturale e sentiamo una connessione profonda con il meraviglioso complesso degli esseri viventi del quale ormai percepiamo di essere una piccola ma significativa parte. La cura delle persone e la cura della Terra diventano per noi processi interdipendenti e che si rafforzano l’uno con l’altro. Sentiamo il desiderio di impegnarci attivamente nella salvaguardia dell’ambiente o in qualche causa umanitaria, con i modi e gli strumenti più consoni alla nostra natura e ai nostri talenti… e lo facciamo. Siamo in quello stadio in cui si esprime in tutta la sua pienezza un’etica più ampia, in cui si consolida la consapevolezza che l’umano è allo stesso tempo individuo, parte di una società, parte di una specie, parte di un pianeta. Si consolida il senso di identità terrestre. 1

Richard Louv, The Nature Principle, Algonquin Books of Chapel Hill, North Carolina (Usa) 2011, p. 17. 2 Giuseppe Barbiero, Rita Berto, Introduzione alla biofilia. La relazione con la natura tra genetica e psicologia, Carocci editore, Roma 2016. 3 Tratto dall’intervista condotta dallo psicologo Jeffrey Mishlove a Rolling Thunder, il più famoso “uomo di medicina” del XX secolo: “The Unity of Man and Nature”, dal programma Thinking Allowed (https://youtu.be/-vl207W3AN0). 4 Vittorio Bonanni, “Oggi la mia lotta è per l’ambiente.” Intervista al teologo della liberazione Leonardo Boff, “Micromega”, 29 settembre 2008. 5 La Carta della Terra è stata creata da una commissione indipendente (Earth Charter Commission), convocata a seguito del Summit della Terra (Earth Summit) nel 1992 per produrre una dichiarazione di consenso globale riguardo a valori e principi per un futuro sostenibile. Il documento, in cinque parti e sedici punti, è stato realizzato in quasi dieci anni di consultazioni internazionali e ha coinvolto oltre cinquemila persone. La Carta della Terra è formalmente sostenuta e adottata da migliaia di organizzazioni, incluse l’Unesco e l’Iucn (International Union for the Conservation of Nature). Per maggiori informazioni: www.earthcharter.org. 6 Brian Swimme, Thomas Berry, The Universe Story. From the Primordial Flaring Forth to the Ecozoic Era, Harper, San Francisco (Usa) 199. 7 Peter Senge, The Necessary Revolution. How individuals and organizations are working together to create a sustainable world, Doubleday, New York (Usa) 2008, p. 51. 8 Papa Francesco, Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2015, p. 132.

9

Da un manoscritto inedito dell’ecologo e teologo, in Howard Clinebell, Ecotherapy, Fortress Press, Minneapolis (Usa) 1996, p. 34. 10 Attribuita a diversi autori, tra cui Virginia Satir e Richard Bandler. 11

Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano 2001, cap. 1: “Le cecità della conoscenza: l’errore e l’illusione”.

2.

Natura: punto di partenza e di arrivo

Si dice che il pesce non sia consapevole della presenza dell’acqua in cui vive,12 proprio come noi non siamo consapevoli della Natura in cui siamo immersi. Come succede al pesce, ci accorgiamo della sua importanza solo quando ci viene a mancare. E questo è quello che sta succedendo attualmente. È da un tempo relativamente piuttosto breve che il nostro stile di vita ci ha portato a crescere e vivere in un ambito avulso dal contesto naturale, in cui paesaggi e singoli elementi che ci circondano sono artificiali, tempi e ritmi non sono più dettati dai cicli naturali ma da esigenze meccaniche e tecnologiche. L’enorme progresso nel mondo dei sistemi di comunicazione degli ultimi venticinque anni – con l’affermarsi della telefonia mobile, la diffusione del pc in ogni casa, l’esplosione di Internet – ha facilitato immensamente scambio di informazioni, produttività, efficacia, precisione… ma tutto questo ci ha forse reso la vita più piacevole? Ognuno può rispondere per sé, siamo ancora molti i “non nativi digitali” in circolazione, che ancora ricordano il disagio di non poter avvisare chi ci aspettava alla stazione di arrivo a fronte di un ritardo del treno, l’impegno necessario con le cartine stradali per raggiungere ogni nuova destinazione, il dubbio sugli ingredienti di una ricetta o sul significato di una parola, che non era certo risolvibile in venti secondi… la nostra vita è migliore oggi? Forse lo è, per alcuni versi, ma è il nuovo ritmo che la rende difficile, siamo perennemente affannati, con mille cose da fare, sempre indietro sulla tabella di marcia. Perché quello con cui procediamo non è più un ritmo organico, dettato da esigenze e limiti fisici, ma è un ritmo meccanico, dettato dalla funzionalità della tecnologia che fa ormai parte della

nostra vita, che reagisce e risponde in tempi incredibilmente brevi, obbligandoci a fare più di quello che vorremmo e che potremmo. Un tempo se si scriveva una lettera alla settimana era già tanto; oggi, quante mail, sms, twit scriviamo… al giorno? Riusciamo a metterci anche il cuore? O la comunicazione avviene in modo troppo veloce per riflettere su ciò che stiamo scrivendo e su come arriverà il messaggio al nostro interlocutore? Non è una critica o una recriminazione, questa; abbiamo fatto un progresso splendido in un quarto di secolo e ognuna di queste conquiste è stata preziosa e mai e poi mai vorremmo o dovremmo tornare indietro. Ma è proprio se vogliamo andare avanti che dobbiamo renderci conto che non possiamo abdicare alla tecnologia e al suo modus operandi, ma che possiamo assumere nuovamente la padronanza delle nostre vite e del ritmo a cui procedere per fare sì che la tecnologia davvero diventi strumento di vita migliore e non una tirannia. E in questo processo di riprendere in mano le redini delle nostre vite e del mondo in cui vogliamo vivere, la Natura è alleata, guida e palestra, ci ricorda che a ogni fase attiva è indispensabile una fase ricettiva e in realtà il segreto di un buon vivere sta proprio nel riconoscere questa legge di Natura, ben diversa dalle leggi produttive basate sulle macchine.13 Non è più pensabile, né auspicabile, un mondo senza tecnologia, e la sfida attuale è proprio quella di sviluppare le sensibilità e le competenze necessarie per trovare un giusto equilibrio tra modernità e ancestralità, tra innalzare i rami verso l’alto e consolidare le radici verso il basso. “Più tecnologia abbiamo,” sostiene Richard Louv, educatore statunitense molto attento a questi temi, “di più Natura abbiamo bisogno.”14

L’effetto di clima e paesaggio Negli anni settanta si consolida una corrente psicologica che non si concentra più soltanto sull’interiorità della persona, ma che riconosce il forte impatto, nella quotidianità, anche dell’interazione tra individuo e ambiente circostante, sia dal punto di vista sociale che fisico. Prende il nome di psicologia ambientale e si caratterizza sin dall’inizio per il suo approccio concreto, basato su raccolta dati, interviste, osservazioni sul campo. L’interazione fra individuo e ambiente si caratterizza come un ambito

complesso che deve tener conto della dinamicità di tutti i fattori in gioco e dell’interazione reciproca. Il fatto di dover tener d’occhio anche l’ambiente comincia a inserire un fattore molto importante nello studio della psicologia, quello dei processi in continuo divenire e del potenziale di autoregolazione insito in ogni sistema vivente. In questa importante fase di raccolta dati emergono considerazioni che a prima vista sembrano ovvie ma che ora hanno l’appannaggio di studi e conferme sperimentali. Viviamo immersi in un oceano di influssi esterni, temperatura, umidità, pressione dell’aria, campi magnetici, radiazioni, suoni, colori, odori… che a loro volta stimolano il nostro sistema nervoso, la produzione ormonale, l’equilibrio fisiologico, l’immaginazione, la memoria, sino a ottenere anche conseguenze ben precise sul nostro equilibrio e benessere psicologico. Non tutti sono sensibili in ugual misura alle influenze ambientali, ma esistono effetti, facilmente riconoscibili, dati da condizioni meteorologiche, climatiche, geografiche e paesaggistiche che, una volta conosciuti, possono essere ricercati o evitati, amplificati o minimizzati. Il nostro corpo comunica ininterrottamente con l’ambiente circostante. Le condizioni meteorologiche hanno l’influenza più facilmente individuabile. Temperatura, umidità, pressione ed elettricità dell’involucro gassoso della Terra, in un dato luogo e momento, si sentono anche sullo stato d’animo. Quando c’è bassa pressione, c’è aria di temporale, nebbia, afa, o soffia lo scirocco, si crea una situazione debilitante per l’intero organismo; mentre le condizioni ottimali per un maggior benessere, su tutti i piani, si verificano con l’alta pressione, nelle giornate serene e in quelle fresche. Il clima è l’insieme delle condizioni meteorologiche che si ripetono ciclicamente nel corso dell’anno, è il “carattere del tempo” di ogni regione. Il clima marittimo ha effetto distensivo, quello continentale induce invece alla smania di agire. Il clima di montagna, con l’aria più rarefatta e la maggior irradiazione solare, predispone al benessere e all’introspezione, mentre quello dei paesi caldi induce la distensione e stimola l’emotività; ma ai tropici, a causa dell’alta percentuale di umidità, il rilassamento si tramuta in fiacca e può causare un generale abbassamento della vitalità. Il clima artico, dove non c’è il solito ritmo giorno/notte, induce facilmente depressione e stanchezza d’inverno, genera euforia ed energia d’estate. Anche il paesaggio agisce su di noi, tramite effetti che rimangono al di sotto della soglia della coscienza: i colori verdi e azzurri sono rilassanti,

quelli rossi e gialli eccitanti. Le forme strette possono risultare angosciose, quelle verticali travolgenti, evocando emozioni sublimi oppure panico; un paesaggio mosso è stimolante per qualcuno, confusivo per altri; quello piatto può suscitare malinconia, ma anche tranquillità. Quando dobbiamo decidere dove trascorrere un periodo di riposo e di ricarica, o quando non troviamo motivi apparenti per un nostro momentaneo senso di disarmonia in vacanza, ricordiamoci che l’ambiente in cui ci muoviamo esercita una serie di influenze ben precise sul nostro organismo psicofisico e possiamo anche cambiare posto… per cambiare umore.

Stare nel verde fa bene Gli effetti dell’interazione con l’ambiente non sono volubili e passeggeri e non si limitano a impercettibili variazioni sullo stato d’animo; la Natura ha un impatto enorme sulla nostra salute e qualità della vita e non mancano i dati per confermarlo. Il messaggio forte arriva dall’Oriente, dove la medicina forestale, nata negli anni ottanta in Giappone, dimostra che i parametri fisiologici di chi svolge attività fisica in Natura sono migliori di quelli del gruppo di controllo, che fa attività al chiuso. Si registrano un abbassamento e una normalizzazione dei parametri correlati al rischio di aritmie cardiache e infarto, cioè il livello di cortisolo – il cosiddetto ormone dello stress – nel sangue, la pressione sanguigna, il numero di pulsazioni cardiache, la circolazione di adrenalina e noradrenalina, e il ritmo del respiro rallenta e diventa più profondo. I risultati hanno tutti innegabilmente dimostrato che la permanenza di almeno mezz’ora in un ambiente naturale, meglio se in presenza di alberi ad alto fusto, regolarizza molte funzioni fisiologiche, inducendo in poco tempo una sensazione generale di maggior rilassamento e benessere. Le stesse conclusioni sono state raggiunte in studi realizzati nel mondo intero. Da Tokyo arriva la conferma che anziani che abitano in quartieri con aree verdi vivono più a lungo di quelli che abitano in aree prevalentemente cementificate. Dalla Svezia, la constatazione che joggers che si esercitano nel verde sono più ristorati, meno ansiosi, arrabbiati o depressi di sportivi che bruciano la stessa quantità di calorie in ambiente urbano.15 Camminare nei boschi e in ambienti naturali riduce lo stress,16 accresce la creatività e la capacità di affrontare e risolvere i problemi,17 fa sentire più vivi, attivi, vitali.

Richard Ryan, docente di psicologia dell’Università di Rochester e autore di uno degli studi sugli effetti positivi della Natura sulla mente, ha commentato: “La natura è il combustibile dell’anima. Spesso quando ci sentiamo affaticati o stanchi beviamo caffè, tuttavia la ricerca suggerisce che per ricaricare le batterie è molto più fruttuoso stare nella Natura”.18 Il sistema sanitario scozzese, nell’autunno 2018, ha inaugurato il programma “Nature Prescription” che, per patologie croniche come ansia, depressione, diabete e ipertensione, prevede che i medici – invece di prescrivere farmaci – consiglino passeggiate, trekking, raccolta di funghi. Tra le indicazioni che i medici ora danno ai loro pazienti, quella di ridurre al minimo l’uso della macchina, fare almeno un paio di chilometri al giorno a piedi, evitare le zone affollate e inquinate. Il programma è gestito dal National Health Service del Regno Unito e dalla Royal Society of the Protection of Birds, dopo una sperimentazione in 10 cliniche pubbliche dell’arcipelago scozzese delle isole Shetland.19 L’impatto è, naturalmente, molto evidente sui giovani. A Indianapolis è stato verificato che bambini che crescono nel verde hanno meno probabilità di diventare obesi di quelli che vivono in città.20 Nel convegno di design ambientale del 2002 a Filadelfia sono stati presentati i risultati di una ricerca che ha dimostrato che l’incremento di attività in Natura si traduce nei bambini in una riduzione dei sintomi della sindrome da deficit di attenzione.21 Uno studio realizzato su 101 scuole superiori pubbliche nel Michigan ha rilevato una corrispondenza tra presenza e dimensioni di finestre con vista su paesaggi naturali e risultati scolastici, in termini di migliori voti, più alta percentuale di proseguimento degli studi e minor incidenza di episodi di piccola criminalità.22 La presenza della Natura si rivela incredibilmente benefica anche in ambito sanitario, persino quando viene vista da lontano o appare solo come immagine. In Pennsylvania, in una ricerca ormai nota e sorprendente, è stato rilevato che degenti di ospedale che dalla loro finestra vedono un paesaggio verde, un giardino o un albero, hanno bisogno di meno farmaci antidolorifici e guariscono prima di coloro che, dal letto, vedono solo muri o edifici.23 Nella primavera 2018, è stato ufficialmente inaugurato dal ministero della Salute norvegese il primo rifugio immerso nella Natura a Oslo, per aiutare e accompagnare i malati e i loro parenti durante la malattia, allontanandoli, anche se per breve tempo, dagli ambienti medicalizzati. “La natura offre gioia spontanea e aiuta i pazienti a rilassarsi: stare in un ambiente naturale porta

loro una rinnovata calma che possono poi portare con sé in ospedale,” dichiara la psicologa infantile Maren Østvold Lindheim dell’Oslo University Hospital.24 Detenuti in case circondariali che nell’ora d’aria possono camminare anche solo su uno straccio di prato o ambiente naturale fanno meno ricorso all’infermeria, hanno meno sintomi associati allo stress e un tasso di suicidio più basso di coloro che sono avvolti ventiquattr’ore su ventiquattro solo dal cemento.25 Nello Iowa, una società si è specializzata nel creare negli ospedali finestre sul soffitto per far entrare la luce e il cielo nelle sale in cui i pazienti devono fare esami e per diffondere in ambienti chiusi pseudo-finestre con video di paesaggi naturali.26 Un’associazione americana, Hope in Bloom, realizza giardini e allestisce terrazzi e balconi nelle case di donne in cura per il cancro, per favorire l’aumento del livello di serotonina grazie a un contatto quotidiano con il verde.27 Il reparto di oncologia dell’ospedale Niguarda, a Milano, ha creato un’oasi verde di trecento metri quadrati a disposizione di malati, familiari, medici e infermieri, con meli, corbezzoli, nespoli, viti, fichi e ciliegi…28 Il Meyer, l’ospedale pediatrico fiorentino, nel 2019 trasferisce gran parte delle sue attività ambulatoriali e i day-hospital medici nel “Parco della salute”, una nuova struttura pensata a misura di bambino, circondata da tre ettari di vegetazione, tra boschi e uliveti; un’area verde non solo bella a vedersi, ma anche utile e preziosa per avviare attività di prevenzione e promozione del movimento.29 La sintesi di queste ricerche, insieme a innumerevoli altre, si è consolidata in una vera e propria “Teoria del recupero dallo stress”,30Stress Recovery Theory, che ha dimostrato che il modo più rapido ed efficace per neutralizzare gli effetti fisiologici dello stress è l’esposizione agli ambienti naturali, riconosciuti come più rigenerativi rispetto agli ambienti urbani e a quelli costruiti. Lo stress ha una funzione legata alla sopravvivenza; il suo scopo originario è “salvarci la vita” innescando meccanismi fisiologici che ogni volta ci danno l’energia necessaria per affrontare gli imprevisti.31 Ma la sua attivazione è spesso non necessaria, con effetti collaterali pesanti sul piano dei sistemi immunitario, endocrino, cardiocircolatorio e muscolare. Uscire dall’ambiente abituale e fare quattro passi all’aperto è un antidoto efficace e sempre a portata di… piede per smaltire la carica ormonale inutilmente in circolazione – non possiamo scappare da una mail indesiderata o prendere a pugni un computer andato in palla – e per ridurre le conseguenze di questa iperattivazione automatica. La Natura è, così, anche un rimedio eccezionale

per contrastare le conseguenze dell’eccesso di stress che caratterizza il nostro odierno stile di vita.

Qualità dell’ambiente, qualità della vita In questi anni, si è consolidata la consapevolezza della connessione tra la salute ambientale, individuale e sociale. Questo è abbastanza evidente dal punto di vista fisico: inquinamento di suolo, acque, aria, inquinamento acustico ed elettromagnetico, bizzarrie climatiche ed eventi naturali estremi hanno un’influenza diretta sulla nostra salute; e sta diventando evidente anche dal punto di vista psicologico e relazionale, con un impatto sul comportamento sociale. Ci stiamo accorgendo che la Natura non è solo uno sfondo da mantenere pulito per le nostre importantissime attività o una potenziale fonte di pericolo dalla quale doverci proteggere, e stiamo sviluppando, come cultura contemporanea, uno sguardo nuovo capace di riconoscere che abbiamo bisogno di stare in contatto con l’ambiente naturale per stare bene! Nasce una nuova attenzione all’edilizia e alla bioedilizia, all’architettura del paesaggio, alla pianificazione strutturale delle città, con proposte di progettazione delle dimensioni abitative, lavorative e del tempo libero che tengano conto delle necessità reali delle persone. Interi quartieri, negli Stati Uniti, sono stati completamente ridisegnati ampliando i marciapiedi, inserendo piste ciclabili e piantando filari di alberi – quegli stessi alberi che nelle nostre città italiane sono spesso potati malamente, quando non addirittura eliminati – e questo ha avuto un impatto sia sull’aspetto fisico di quell’area che sulla qualità di vita dei singoli cittadini e, soprattutto, ha generato conseguenze positive sul piano sociale.32 All’inizio del Novecento, l’architetto Frank Lloyd Wright aveva posto le basi per una “architettura organica”, proprio per promuovere un’armonia tra uomo e Natura, con una marcata attenzione alla qualità della vita e agli aspetti psicologici. Sulla scia di tutti gli studi sull’interazione benefica tra essere umano e ambiente naturale, assistiamo a un ampliamento di questo filone architettonico, col nuovo nome di “progettazione biofilica”, che non solo si occupa e preoccupa della scelta dei materiali da costruzione, di soluzioni tecnologiche e di una scala progettuale in piccolo, ma si pone come

proposta che riguarda il ruolo dell’umanità nella Natura e il ruolo del mondo naturale nella società umana.33 Il movimento della progettazione biofilica sta per cambiare il modo con cui valutiamo gli effetti dell’ambiente sulla nostra salute, racconta in un’intervista Nikos Angelos Salingaros, matematico e divulgatore scientifico, attento alle interazioni tra teoria della complessità, teoria urbanistica e architettonica. Le sue proposte sono in antitesi con la contemporanea idea “anti-umana” di città, costellata di edifici come sculture astratte, che non hanno nulla a che fare con la vita umana sulla Terra. Salingaros è amico di Ulrich, psicologo ambientale autore dei primi studi citati in queste pagine, e pone le basi per applicare al disegno urbano i principi strutturali sviluppati dalle scienze biologiche. Il suo focus è molto concreto e sottolinea l’importanza di una progettazione a partire da elementi che operano su piccola scala, necessari per avere strutture coerenti su grande scala: attraverso una ricostruzione delle loro geometrie, città e periferie possono essere rivitalizzate.34 Studi e inchieste che vanno in questa direzione sono ormai centinaia. L’Università di Exeter, nel Regno Unito, ha seguito per diciassette anni 10.000 adulti arrivando alla conclusione che chi sceglie di abitare in mezzo alla Natura è più felice.35 Dalla Germania arriva la conferma che vivere vicino a parchi e aree verdi migliora la qualità della vita. Ambienti urbani in cui c’è stato un recupero di spazi verdi, per iniziative spontanee o coordinate, hanno visto diminuire il disagio sociale e a volte persino la delinquenza. Stessi risultati da un ente pubblico di Boston: vivere a contatto con la Natura ha effetti benefici sulla salute mentale, sul benessere emotivo e relazionale e influisce anche sul tasso di mortalità, fino al 12% inferiore rispetto a chi vive senza frequentare spazi verdi.36 Spazi di silenzio, ambiente più pulito, ritmi più tranquilli e maggior coesione sociale si assestano come fattori benefici per l’essere umano: mettono in condizione di fronteggiare meglio lo stress, favoriscono la memoria e l’attività mentale.37 Si può ormai dire che il benessere generale degli individui aumenta significativamente quando stanno in contatto con ambienti naturali considerati di alto valore estetico, come conferma una ricerca effettuata a Siviglia dalla Universidad Autónoma de Madrid sugli effetti della contemplazione quotidiana del paesaggio sul benessere emotivo dei cittadini.38 Per rassicurare chi oggi non può fare a meno di risiedere in città… la

presenza in casa di piante e animali o la periodica frequentazione di spazi di Natura incontaminata permettono di ottenere lo stesso grandi benefici. Per cominciare, già da uno studio britannico del 2016 è risultato che semplicemente avere delle piante in ufficio aiuta a migliorare il benessere e la produttività dei dipendenti di quasi il 15%. La Natura ha un potere rigenerativo sulla psiche umana e dobbiamo prepararci a ricreare le condizioni per rendere i nostri ambienti di residenza, studio e lavoro adatti a questa constatazione. Ci sono stime che prevedono che oltre il 70% della popolazione mondiale residente in ambienti urbani, entro il 2050, potrebbe risentire gli effetti non solo fisici ma anche psicologici del distacco dell’uomo dall’ambiente naturale. Occorre preparare le nuove generazioni a prevenirli.

Vitamina N per grandi e piccini Non è solo sulla salute fisica che la Natura ha effetti benefici, essa agisce anche sul piano mentale ed emotivo. La “Teoria della rigenerazione dell’attenzione”, Attention Restoration Theory, dei coniugi Kaplan – tra i principali esponenti della psicologia ambientale – rileva che il contatto con la Natura ha un effetto rapido ed efficace sull’attività cognitiva, aumenta le capacità riflessive e riduce le distrazioni. Quando la testa è pesante per il troppo pensare, fare conti o scrivere, lo sappiamo tutti… due passi nel verde possono essere miracolosi. Il fatto stesso di muoversi e di cambiare ambiente facilita il rilassamento mentale; quando lo sguardo spazia in lontananza, va a sollecitare livelli della psiche rimasti assopiti nel tran tran quotidiano, diventiamo più sensibili e attenti a messaggi provenienti dalla nostra interiorità, lasciamo spazio alla riflessione su quanto ci è successo, all’emergere di diversi possibili punti di vista, a idee e intuizioni. L’effetto benefico è generato dalla combinazione tra meccanismi percettivi e sensoriali e l’attivazione simbolica.39 I parametri focali attraverso i quali, secondo questa teoria, tali meccanismi si traducono in rilassamento e ricarica sul piano psicologico, sono quattro: 1. Being away, il trovarsi al di fuori dell’ambito consueto; 2. Extent, il sentirsi, con uno scopo, all’interno di uno spazio che ha una sua coerenza; 3. Fascination, l’attivarsi della

meraviglia, un’attenzione involontaria e senza sforzo sul presente; 4. Compatibility, il fatto di sentirsi a proprio agio in quello specifico ambiente. Ora che questo effetto empirico, istintivamente noto già a molti, è stato misurato e codificato, è possibile finalmente inserirlo anche nella programmazione delle nostre scuole. Crescono di numero le conferme che, se messi in condizione di poter essere in contatto con spazi naturali, gli studenti rendono meglio a scuola e hanno meno problemi di deficit di attenzione.40 Completa queste considerazioni un focus non più solo sulle relazioni cognitive, ma anche su quelle affettive che gli esseri umani instaurano con il mondo vivente e non vivente. Lo studio che si occupa di questo è l’ecologia affettiva, creata e promossa dal biologo italiano Giuseppe Barbiero, ricercatore di Ecologia e co-docente del primo corso universitario italiano di ecopsicologia, all’Università della Valle d’Aosta. Proprio in Italia sono stati messi a punto e testati protocolli e percorsi pratici per creare nelle nuove generazioni il presupposto per un diverso atteggiamento nei confronti dell’ambiente: “Proteggiamo soltanto ciò che amiamo e amiamo solo ciò che conosciamo”41 e “non è possibile salvare le specie viventi e l’ambiente senza stabilire un forte legame emotivo con la Natura”.42 Giuseppe Barbiero e la psicologa ambientale Rita Berto hanno coinvolto in una sperimentazione insegnanti e allievi di una scuola primaria di Aosta per verificare e misurare l’impatto sui bambini di un contatto diretto con la Natura e di giochi ispirati alle pratiche di mindfulness. Il progetto “Silenzio attivo” – tre incontri con gli insegnanti e tre con gli allievi nell’arco di alcuni mesi – ha dimostrato che queste attività, svolte dopo una fatica mentale, hanno favorito la rigenerazione dell’attenzione diretta nei bambini e la capacità di sostenerla più a lungo nelle lezioni successive. Sono stati registrati, nei bambini, riduzione della distrazione nel resto della giornata di studio, maggior rilassamento, più marcata vigilanza rispetto alle stimolazioni ambientali e maggior capacità di autoregolazione. In quelle classi in cui i bambini hanno chiesto all’insegnante di continuare l’esperienza, gli effetti benefici si sono mantenuti nel tempo.43 Richard Louv, che ha dedicato la sua vita alla promozione dell’importanza per i bambini di un contatto diretto e costante con la Natura, chiama “Vitamina N” questo “integratore” indispensabile per un corretto sviluppo non solo fisico, ma anche cognitivo, affettivo e relazionale. Per promuovere questa consapevolezza nei genitori e negli insegnanti, Louv ha fondato il Children & Nature Network, un’organizzazione internazionale che

sostiene il collegamento di bambini, famiglie e comunità con il mondo naturale.

Nidi all’aperto Esperienze educative con questa nuova attenzione sono in crescita esponenziale anche in Italia. Si parla sempre più di outdoor education, educazione “in” Natura, educazione naturale, educazione all’aria aperta, pedagogia del bosco. L’Emilia-Romagna è in testa, seguita da Marche, Lazio, Trentino e Lombardia, per il numero di asili comunali a vocazione verde, agrinidi, asili nel bosco e asili del mare, di cui il primo in Italia è a Ostia. Due nomi di spicco, in questo ambito, sono Michela Schenetti, ricercatrice dell’Università di Bologna, che promuove percorsi di educazione ambientale e alla sostenibilità nei servizi per l’infanzia, e Laura Malavasi, pedagogista e formatrice, referente italiana per il lavoro aperto, un approccio nato a Berlino nel 2001, che promuove l’autonomia decisionale del bambino. Quando si parla di Natura al nido, prima di tutto l’attenzione va alla progettazione degli spazi esterni. Per esempio, il giardino dell’asilo comunale “Flauto Magico”, a Campogalliano, in provincia di Modena, è stato realizzato in base a un progetto cui hanno partecipato le educatrici stesse, partendo dalle esigenze di gioco dei bambini da 0 a 3 anni: i giocattoli di plastica sono ridotti al minimo, non ci sono altalene, solo uno scivolo interrato su un dosso, la sabbiera, tre tunnel tra gli arbusti, chiamati “la foresta”, tronchi d’albero in diverse posizioni, un orto e vari alberi da frutto. Sempre in Emilia, nel nido “Le Margherite” di Spilamberto una delle “offerte naturali” del giardino è un labirinto di arbusti nel quale solo i più piccoli possono entrare camminando, gli adulti… eventualmente a gattoni. A San Cesario sul Panaro, il nido “Trottolà” mette a disposizione quotidianamente un ambiente agreste sul fiume arricchito da vasche per ortaggi e piani di lavoro con materiale naturale, nonché animali da cortile e cavalli. I luoghi dell’educazione, infatti, hanno bisogno di apertura e flessibilità e devono essere progettati anche in modo da responsabilizzare il bambino e metterlo in condizione di riconoscere, rispettare e valutare i propri limiti, competenze ampiamente promosse proprio dallo stare e giocare in Natura. Per portare più Natura nell’educazione molto può essere fatto anche da singoli educatori, con le loro attività e con l’atteggiamento che mettono in

gioco nel proprio lavoro. Monica Ferrari, educatrice d’infanzia con formazione in ecopsicologia, spiega che la valenza educativa di ciò che fa va al di là del semplice intrattenimento dei bambini in un ambiente sano e stimolante: il nido può offrire suggestioni per cambiare atteggiamento nei confronti degli ambienti naturali, passando “da un valore di utilizzo a quello di appartenenza”. L’importanza dell’atteggiamento interiore, prima di tutto, e poi di quello relazionale, è stata fortemente sentita anche da Sineresi, cooperativa sociale di Lecco, esperta nella gestione di nidi comunali, che ha attivato nel 2018 un percorso di formazione professionale che ha coinvolto le educatrici dei nidi di Merate, Missaglia e Galbiate, con l’ecopsicologia come filo conduttore del processo. A partire da un training relazionale di base, improntato ad attenzione, ascolto, empatia e rispetto, sono state consolidate le basi per creare relazioni ecologiche a tutti i livelli nel team, coi bimbi, coi genitori e con l’ambiente, valorizzando al massimo il giardino del nido e promuovendo, di fatto, una prevenzione della sindrome da deficit di Natura. Tutte queste iniziative hanno radici culturali profonde in Europa. In Danimarca, negli anni cinquanta, un gruppo di mamme decide di portare i propri bambini a giocare insieme ogni giorno in un parco e da qui nasce l’idea di un vero e proprio “asilo nella Natura”. Naturborneahaven è il nome di questa prima iniziativa, che in pochi anni si diffonde in tutto il Nord Europa, diventando più nota col nome tedesco di Waldkindergarten, “centro educativo nel bosco”, per bambini in età prescolare. Oggi si parla di “ecopedagogia”, termine coniato per la prima volta nel 1992 dal pedagogista brasiliano Paulo Freire, per sostenere una visione del bambino come “attivo” nel processo di apprendimento. Il concetto è tutt’altro che nuovo nella storia della filosofia educativa europea: fanno storia JeanJacques Rousseau, filosofo e pedagogista svizzero del Settecento, Friedrich Froebel, pedagogista tedesco, Rudolf Steiner, padre dell’antroposofia e, in Italia, Maria Montessori e Giuseppina Pizzigoni, una meno nota eroina della pedagogia italiana, fondatrice della Scuola Rinnovata a Milano, che nel 1909 compì un viaggio in Svizzera e Alsazia per visitare le “Scuole del bosco”, lì già affermate. Maria Montessori, ormai famosissima all’estero e non ancora adeguatamente riconosciuta in Italia, aveva colto le immense potenzialità di un’educazione attenta alla Natura. Nel suo libro Il metodo della pedagogia scientifica applicato nelle Case dei Bambini, la cui prima edizione è stata

pubblicata nel 1909, ha dedicato un intero capitolo a “La natura nell’educazione”, considerandola uno degli elementi più importanti da utilizzare nella realtà scolastica per correre ai ripari dalla sempre più ridotta occasione di entrare in intimo contatto con essa e di averne diretta esperienza. Vale la pena soffermarsi su un passaggio del testo tristemente attuale: “Ci sono ancora troppi pregiudizi, su tale argomento, perché tutti ci siamo fatti volontariamente prigionieri, e abbiamo finito con l’amare la nostra prigione e trasmetterla ai nostri figlioli. La Natura si è a poco a poco ristretta, nella nostra concezione, ai fiorellini che vegetano, e agli animali domestici utili per la nostra nutrizione, per i nostri lavori, o per la nostra difesa. Con ciò anche l’anima nostra si è rattrappita”.44 Il bambino ha bisogno di “vivere” la Natura e non soltanto di conoscerla, studiandola o ammirandola; deve essere “liberato dai legami che lo isolano nella vita artificiale creata dalla convivenza cittadina”.45 È dunque italiana una delle precorritrici di quella che, oggi, è più genericamente definita outdoor education, o “educazione attiva all’aria aperta”, un metodo che pone l’accento sull’importanza della vita all’aria aperta nella crescita infantile.

Educare alla Natura si può “L’educazione ambientale un giorno sarà chiamata semplicemente educazione, perché è alla base del nostro saper vivere, insieme ad altri, in un ecosistema.” Ha esordito con queste parole il fisico Fritjof Capra, al terzo Congresso Week, la rete mondiale di discussione e ricerca sull’educazione ambientale, tenutosi a Torino nell’ottobre 2005. Fritjof Capra è un attivo sostenitore dell’importanza di una outdoor education, sia in teoria, sia in pratica, ed è co-fondatore insieme a Zenobia Barlow del Center for Ecoliteracy, a Berkeley, che incoraggia le scuole a insegnare pratiche sostenibili e le sostiene nell’attuazione dei programmi. Anche in Italia c’è un grande fermento in atto, oggi, nell’ambito dell’educazione ambientale, sulla scia di un processo internazionale iniziato nel 1972, con la Conferenza delle Nazioni Unite, a Stoccolma. L’educazione ambientale procede sempre di più in una direzione che coinvolge e integra tutti gli aspetti della quotidianità, con il nuovo nome di “educazione allo sviluppo sostenibile”.

Fra i tanti eventi internazionali importanti per il consolidarsi di questo nuovo modo di concepire l’ambiente e la nostra interazione con l’ecosistema bisogna conoscere: il Summit della Terra, tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992, prima conferenza mondiale dei capi di Stato sull’ambiente, con la partecipazione di 172 governi e 2.400 rappresentanti di associazioni; l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a Johannesburg nel 2002, che ha affidato all’Unesco il coordinamento di attività volte a promuovere l’educazione allo sviluppo sostenibile come “un processo permanente che interessa l’individuo lungo l’intero arco della vita”. Questi incontri hanno dato origine, a cascata, in ogni paese, a realtà e progetti volti a promuovere un processo di consapevolezza e di crescita culturale, prima di tutto, e un confronto tra comunità scientifica, società civile e mondo produttivo su temi riconosciuti come cruciali. In primo luogo, i “classici” dell’educazione ambientale: inquinamento, protezione degli animali, ecosistemi e aree protette, gestione dei rifiuti, mutamenti climatici; e poi i temi più ampi di ambiente e salute, gestione delle risorse naturali, mobilità sostenibile, valorizzazione delle risorse paesaggistiche, modelli di impresa e di consumo, scelte consapevoli nella vita quotidiana (alimentazione, turismo, uso dell’acqua e dell’energia), riscoperta del “senso del limite”, cittadinanza attiva, creazione di comunità resilienti. Mentre in Italia il tema “ambiente” era inizialmente portato avanti soprattutto da realtà della società civile – Lipu, Wwf, Gaia Education, Week Network, Legambiente e molte altre associazioni –, su questa nuova scia internazionale, per iniziativa del ministero dell’Ambiente, sono nati il programma Infea (Informazione, Formazione e Educazione Ambientale), che realizza una rete tra istituzioni e società civile per coordinare iniziative volte a promuovere l’educazione allo sviluppo sostenibile, i Crea (Centri di coordinamento regionale), che operano sul territorio regionale, e i Cea (Centri di educazione ambientale), localizzati in precisi contesti territoriali. Da approccio di tipo cognitivo alla “conoscenza” della Natura, l’educazione ambientale diventa attività coinvolgente dal punto di vista fisico, affettivo e della coscienza; una sorta di nuova educazione civica… alla cittadinanza terrestre, per tornare al concetto espresso da Edgar Morin come uno degli impegni importanti per l’educazione al futuro. E il processo continua: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite,46 sottoscritta nel settembre del 2015, è un “programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità” che vuole traghettare i

principi dell’educazione allo sviluppo sostenibile sul fronte delle azioni concrete sul territorio. Se inizialmente l’educazione ambientale è rimasta al di fuori dei programmi scolastici ed era promossa solo da singoli insegnanti o iniziative locali, c’è stato un passo importante a livello istituzionale con la Conferenza nazionale sull’educazione ambientale, tenutasi a Roma il 22 novembre 2016, promossa dal ministero dell’Ambiente e altre realtà istituzionali. In questo evento, è stata redatta una Carta che traccia un programma di impegni nel medio e lungo periodo sul fronte educativo e formativo ed è stato deciso di stanziare dei fondi dedicati alla formazione degli insegnanti sui temi della sostenibilità.

Dai nativi digitali ai nativi ambientali “L’espressione ‘nativi digitali’ ha indicato la generazione di chi è nato e cresciuto in corrispondenza con la diffusione delle nuove tecnologie informatiche,” recita la Treccani. È un termine ancora controverso che fa riferimento alle persone nate (negli Usa) dopo il 1985, cresciute con le tecnologie digitali come computer, Internet, telefoni cellulari e Mp3, e che hanno avuto accesso a un sistema educativo altamente informatizzato. È stato già confermato che i più giovani mostrano buone capacità sull’operatività del web, ma gli stessi studi hanno rilevato che essi sono invece molto carenti in consapevolezza critica, valutazione delle informazioni, capacità di prevedere le conseguenze delle pratiche online e comprensione dei meccanismi commerciali sottostanti. Un’ulteriore dimensione di fragilità digitale dei giovani è poi quella relativa alla gestione della “sovrabbondanza comunicativa”, ovvero alla capacità di gestire strategicamente le infinite opzioni comunicative che la rete offre.47 La generazione di vent’anni dopo è stata definita dei “nativi ambientali”, persone nate in anni in cui, come abbiamo appena visto, la consapevolezza della necessità di uno sviluppo integrato tra società, ambiente ed economia è ormai parte dei programmi internazionali, se non ancora della consapevolezza diffusa. “Nativi Ambientali” è stata una campagna nazionale dedicata alla tutela dell’ambiente, presentata all’Expo 2015 con l’obiettivo di stimolare i comportamenti virtuosi dei cittadini partendo da una prospettiva nuova: le generazioni future dovranno crescere in una società dove le buone pratiche ambientali – raccolta differenziata, riciclo dei rifiuti, per cominciare –

dovranno essere totalmente naturali e istintive. A un girotondo di quarantacinque bambini tra i 4 e i 10 anni è stato detto “Siete voi il futuro di questo paese”, sottolineando quanto l’amore e il rispetto per l’ambiente possono e devono diventare un atteggiamento da apprendere sin da piccoli. La sfida culturale è quindi questa: i “nativi digitali” dovranno essere anche “nativi ambientali” e saranno loro a dover portare il paese verso un futuro di sviluppo sostenibile. Per affrontare questa sfida, il mondo della scuola è fondamentale; qualcosa si sta muovendo anche sul piano istituzionale e ci sono aiuti in arrivo in questa direzione. Ma, per il momento, questi obiettivi delineati sul piano internazionale sono portati avanti da singoli insegnanti, che si sono impegnati personalmente, nel loro ambito di insegnamento, verso una promozione di sensibilità, valori e pratiche che vanno proprio in questa direzione. La consapevolezza della difficoltà di professionisti dell’educazione, che operano in questo senso a titolo personale e, spesso, senza il riconoscimento e l’appoggio dell’istituzione scolastica, ha portato alla realizzazione di un piccolo ma significativo progetto formativo rivolto a insegnanti di scuole di ogni ordine e grado (dal nido alla scuola di infanzia, dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo e secondo grado), per acquisire la qualifica di “informatori di educazione ambientale” nei contesti scolastici; da qui il nome del progetto: IdEA. Il progetto è nato dalla collaborazione fra tre parchi lombardi48 con l’obiettivo di rinnovare e valorizzare la relazione con il mondo della scuola. Realizzato nel 2013 presso il Punto Parco di Cascina Battivacco, a Milano, ha accompagnato venti insegnanti a co-progettare attività didattiche nei parchi da proporre e sperimentare nella loro scuola, facendosi così promotori delle potenzialità didattiche ed educative dell’educazione ambientale. Il progetto è stato un successo fin dall’inizio; gli insegnanti hanno subito apprezzato il fatto di poter condividere situazioni presenti e obiettivi desiderati con colleghi altrettanto sensibili, e hanno realizzato progetti, ognuno nel suo ambito, in un clima di scambio e condivisione di competenze. Quando nella scuola di un quartiere malfamato di Oakland, di fronte a San Francisco, si era deciso di creare un orto scolastico, il timore del Center for Ecoliteracy, che aveva patrocinato l’iniziativa, era che questo sarebbe stato devastato dal bullismo locale. La sorpresa è stata, invece, che i bambini sono stati a tal punto soddisfatti da questa attività da coinvolgere tutto

l’entourage familiare e amicale nella cura del loro giardino anche nei fine settimana e nei periodi di vacanza. L’orto ha fornito materiale per lezioni di biologia, scienze naturali, matematica, geometria, letteratura e ha anche posto le basi per un cambiamento nell’alimentazione, facilitando l’inserimento della verdura nel menù quotidiano… e chi conosce le abitudini alimentari medie americane può comprendere l’enormità del risultato!49 Esperienze simili sono in atto anche in Italia. Slow Food ha promosso il progetto Orto in condotta, che dal 2004 ha realizzato più di cinquecento orti in scuole di tutta Italia. E un forte stimolo in questa direzione è stato dato dal network degli Orti di Pace creato nel 2006 dalla Pia Pera. L’idea era nata dopo la pubblicazione de L’orto di un perdigiorno, come la scrittrice racconta in un’intervista50: “Gianfranco Zavalloni, dirigente scolastico, fin da che era maestro elementare si adoperava per creare orti nelle scuole – figlio di contadini, ci teneva molto – per caso vide il mio libro in una libreria di Trento, lo comprò, lo lesse e gli piacque molto. Così mi cercò e mi propose di presentarlo a un gruppo di maestre. ‘Mi piacerebbe,’ disse, ‘che le maestre facessero l’orto con i bambini nello spirito del tuo libro’”. In un convegno organizzato nel 2009 a Cesena, Pia Pera ha dato avvio a un processo oggi in grado di autosostenersi e autoreplicarsi51; a conferma che ognuno di noi può lasciare un segno significativo, quando coordina nel modo opportuno mente, cuore e braccia. Pia Pera, purtroppo, non è più qui con noi, ma “Orti di Pace è diventato presto un riferimento per tutti gli insegnanti che cominciano a pensare all’orto e al giardino come luogo di serenità e di storia, ma anche come luogo dove si apprende il sapere”.52

Trovare se stessi nel verde Clima e paesaggio, ecosistema sano e ambiente circostante percepito come portatore di bellezza hanno un forte impatto sull’organismo. Quanto più le vicende della nostra esistenza ci allontanano dalla Natura, tanto più importanti diventano le esperienze all’aria aperta. Proprio perché oggi il nostro ambiente abituale di residenza e attività non è quello naturale, questo ha su di noi un effetto potente; è la prima constatazione della “Teoria della rigenerazione dell’attenzione”, il cosiddetto being away, “essere in un luogo diverso da quelli abituali”. Gli effetti benefici sulla struttura fisica e psichica sono già stati studiati e

dimostrati. Anche se passeggiamo in un bosco parlando di frivolezze, di cinema, dei nostri crucci o dei nostri amori, l’esperienza ci farà bene comunque. Esiste, però, anche un altro modo di entrare in Natura che ci predispone a un livello di benessere più profondo, che ci mette in connessione con quel quid interiore così difficile da definire e da richiamare a piacimento che però ci fa sentire vivi e presenti. È quel centro di consapevolezza da cui possiamo scegliere, momento per momento, come rispondere agli eventi; un’esperienza nota in tutti gli ambiti di ricerca spirituale, meditazione, ma anche di sport estremi, musica, arte in generale e persino dell’amore, quando raggiunge le sue vette. Quello spazio interiore di silenzio e quiete da cui poter avere una visione più distaccata e imparziale delle cose materiali, da cui poter sentire con maggior chiarezza chi siamo, quali sono per noi le cose davvero importanti, che cosa la vita vuole da noi. Oggi possiamo usare una parola unica al posto di un intero paragrafo, definendo questo stato “mindfulness”. Chi ha contribuito con successo alla diffusione della mindfulness in Occidente è stato Jon Kabat-Zinn, biologo e docente presso la School of Medicine dell’Università del Massachusetts che, a partire dal 1979, ha sviluppato un protocollo per promuovere pratiche di consapevolezza come intervento terapeutico in contesti clinici. Estrapolando la mindfulness dal contesto spirituale, l’ha definita nei suoi termini più essenziali di “prestare attenzione in una direzione in modo peculiare: di proposito, nel momento presente e senza presunzione. […] È la valutazione del momento in atto e lo sviluppo di un rapporto intimo con esso grazie a una costante cura e discernimento”.53 Ha reso così adatte al mondo occidentale tecniche di meditazione e percorsi per il risveglio della consapevolezza.54 Il contesto naturale si presta particolarmente al raggiungimento e mantenimento di questo stato di coscienza. Questo è l’ambito peculiare dell’ecopsicologia in cui il contatto con la Natura diventa palestra di crescita personale. Si parla di “green mindfulness” per definire lo stato di maggior consapevolezza e presenza a se stessi, raggiungibile in Natura con solo qualche piccolo accorgimento in più, facile da imparare e facile da praticare, come vedremo insieme. LA TUA STORIA CON LA NATURA Ecco qualche domanda sulla tua relazione con la Natura, nel tempo. Qualche spunto di riflessione su quanto spazio le lasci oggi, nel tuo stile di vita. Un’occasione per fare, tra te e te – o con chi vorrai, come scambio e condivisione – il punto della situazione rispetto ai temi di cui stiamo

parlando insieme. Sarai tu a tirare le fila e a notare quanta Natura in più vuoi inserire nel tuo stile di vita attuale. Nel resto del libro potrai scoprire nuovi modi per poterlo fare. Usa queste domande come una traccia. Non è un test, non è un compito. Ma prenditi un tempo tutto per te per rispondere a queste domande.

Quanto spazio ha avuto la Natura nella tua infanzia e adolescenza? Quanto spazio ha oggi? Che cosa rappresenta per te e quale importanza riveste nella tua quotidianità? Ricordi un’esperienza particolarmente piacevole vissuta in Natura? Che obiettivi vuoi darti relativamente alla frequentazione della Natura? Che impegno puoi prendere con te stessa/o, fin da ora, in relazione a questi obiettivi? 12

David Foster Wallace, Questa è l’acqua, Einaudi, Torino 2009. In un racconto, lo scrittore narra di due giovani pesci che nuotano spensierati. Incontrano un pesce più anziano che, salutandoli, chiede: “Com’è l’acqua oggi?”. I due giovani pesci, stupiti, si domandano: “Acqua? Che cos’è l’acqua?”. 13 Approfondimenti in Marcella Danon, Il potere del riposo, Feltrinelli, Milano 2017. 14 15

Richard Louv, The Nature Principle, cit., retro di copertina.

Maria Bodin, Terry Hartig, Does the outdoor environment matter for psychological restoration gained through running?, “Psychology of Sport and Exercise”, 4, 2003, pp. 141-153, Elsevier, Amsterdam. 16 Emi Morita et al., Psychological effects of forest environments on healthy adults: Shinrin-yoku (forest-air bathing, walking) as a possible method of stress reduction, “Public Health”, vol. 121, Issue 1, January 2007, pp. 54-63, Elsevier, Amsterdam. 17 Ruth Ann Atchley et al., Creativity in the Wild: Improving Creative Reasoning through Immersion in Natural Settings, “PLOS Medicine”, December 12, 2012, San Francisco (Usa). 18 Spending Time in Nature Makes People Feel More Alive, Study Shows”, University of Rochester, June 3, 2010, www.rochester.edu/news/show.php?id=3639 19 Peter Dockrill, Doctors in Scotland Are Literally Prescribing Nature to Their Patients, October 9, 2018, www.sciencealert.com 20 Da una conferenza di Howard Frumkin, psicologo del lavoro e preside della School of Public Health dell’Università di Washington – un’autorità per quanto riguarda la salute pubblica in relazione ai cambiamenti portati dalla modernità –, al TEDxRainier di Seattle, 10 novembre 2012. https://youtube/UfmR0LPfBX8 21 Frances E. Kuo, PhD, Andrea Faber Taylor, PhD, A Potential Natural Treatment for AttentionDeficit/Hyperactivity Disorder: Evidence From a National Study, “American Journal of Public Health”, September 2004, Washington (Usa). 22 Rodney H. Matsuoka, High School Landscapes and Student Performance, tesi di dottorato in Architettura del paesaggio alla University of Michigan, 2008 (con Rachel e Stephen Kaplan in commissione d’esame). 23 Roger S. Ulrich, View through a window may influence recovery from surgery, “Science”, American Association for the Advancement of Science, vol. 224, April 27, 1984, New York (Usa). 24 Ilaria Bulgarelli, Lo studio norvegese Snøhetta firma rifugi immersi nei boschi per i pazienti in

terapia, 13 gennaio 2019, www.artribune.com. 25 Ernest O. Moore, A Prison Environment’s Effect on Health Care Service Demands, “Journal of Environmental Systems”, January 1981, Baywood Publishing, Amityville, New York (Usa). 26 Skyfactory è una piccola azienda familiare, a Fairfield, Iowa (Usa), che esporta soluzioni in tutto il mondo, anche in Italia. www.skyfactory.com 27 www.hopeinbloom.org 28

Il giardino dell’oncologia: www.ospedaleniguarda.it

29

Il Parco della salute: www.meyer.it

30

Roger S. Ulrich et al., Stress recovery during exposure to natural and urban environments, “Journal of Environmental Psychology”, 1991, Elsevier, Amsterdam. 31 Marcella Danon, Stop allo stress, Feltrinelli, Milano 2012, p. 8. 32

Cfr. infra, nota 20.

33

Stephen R. Kellert, Judith H. Heerwagen, Martin L. Mador, Biophilic Design: The Theory, Science and Practice of Bringing Buildings to Life, Wiley, Canada 2008. 34 Nikos A. Salingaros, Complessità e Coerenza Urbana, traduzione curata dall’arch. Antonio Caperna, Università di Roma3, Dipartimento Studi Urbani. http://zeta.math.utsa.edu/~yxk833/urbancoherence-italian.html 35 Valeria Pini, Vivere nel verde fa bene al corpo e alla mente, “la Repubblica Salute”, 23 aprile 2013. 36 Harvard T.H. Chan School of Public Health. 37

Ricerche del Max Planck Institute for Human Development di Berlino, guidate dallo psicologo Simone Kühn. 38 María Paz Galindo Galindo, José Antonio Corraliza, Estética ambiental y bienestar psicológico, “Apuntes de Psicología”, vol. 30, n. 1, 2012. 39 Rachel Kaplan, Stephen Kaplan, The experience of nature: A psychological perspective, Cambridge University Press, Cambridge (Uk) 1989. 40 C.M. Tennessen, B. Cimprich, Views to Nature: Effects on Attention, “Journal of Environmental Psychology”, vol. 15, March 1995, Elsevier, Amsterdam. 41 Elli Radinger, La saggezza dei lupi, Sperling & Kupfer, Milano 2018, cap. 2: “Uomini e lupi, un rapporto di odio e amore”, p. 52. 42 Stephen Jay Gould, Eight Little Piggies: Reflections in Natural History, W.W. Norton & Company, New York (Usa) 1993, p. 40. 43 Giuseppe Barbiero, Rita Berto, Introduzione alla biofilia, cit., cap. 8: “Il progetto di silenzio attivo”, pp. 185-196. 44 Maria Montessori, Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle case dei bambini, Maglione & Strini, Roma 1918, p. 91. 45 Ivi, p. 90. 46

L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile ingloba diciassette obiettivi per lo sviluppo sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – in un grande programma d’azione per un totale di 169 “target” o traguardi. L’avvio ufficiale degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi quindici anni: i paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030. www.un.org/sustainabledevelopment/

47

Marco Gui, A dieta di media. Comunicazione e qualità della vita, il Mulino, Bologna 2014.

48

Parco Agricolo Sud Milano, Parco Lombardo del Ticino e Parco Pineta di Appiano Gentile e Tradate. Per visionare il progetto: www.cascinabattivacco.it/1/upload/programma.pdf 49 Fritjof Capra, Ecoalfabeto, Stampa Alternativa, Viterbo 2005. 50

Francesca Caminoli, Statt’accorto. Intervista a Pia Pera, “Una Città”, n. 203/2013 maggio: www.unacitta.it/newsite/intervista.asp?id=2309 51 Rete degli Orti di Pace: www.ortidipace.org 52

A Pia. Un ricordo di Nadia Nicoletti: www.ortidipace.org

53

Jon Kabat-Zinn, Dovunque tu vada ci sei già, Corbaccio, Milano 1994, p. 16.

54

Marcella Danon, Il potere del riposo, cit.

3.

Clorofillati: vivifica il corpo

Come la clorofilla è vitale per la fotosintesi, il processo che permette alle piante di ottenere energia dalla luce del sole, così la Natura è importante per noi perché ci fornisce una ricarica energetica a tutti i livelli. Siamo qui per esplorare insieme come, quanto e perché la frequentazione della Natura può, concretamente, fare la differenza per il benessere e la vitalità del nostro organismo. Il corpo è un sistema vivente, è fatto degli stessi elementi e segue le stesse leggi che governano questa Terra; la sua fisiologia è venuta costruendosi nell’arco di centinaia di migliaia di anni per essere adatta alle condizioni di vita su questo pianeta. Il corpo è il nostro interlocutore privilegiato per comprendere il mondo di cui siamo parte, in entrambi i casi i diversi ecosistemi devono interagire tra loro in armonia per creare quella che definiamo “salute”. Imparare a far vivere bene il nostro corpo, rispettandone limiti e necessità, ci insegna a capire come mantenere in buona salute anche l’ambiente esterno, e viceversa. I primi elementi da prendere in considerazione, per capire il mondo di cui siamo parte, sono proprio quelli della tradizione alchemica occidentale, a loro volta ereditati dalla filosofia presocratica: terra, acqua, aria e fuoco. Ci faranno da guida, come una mappa, per calibrare la loro presenza nel nostro stile di vita, per cominciare a evidenziare pratiche utili al nostro benessere. Iniziamo con una semplice riflessione, da fare ognuno per sé: 1. Quanto tempo passo in spazi aperti, quanta luce “frequento” e quanto mi espongo ai raggi del sole? Con che frequenza e in quali forme ho accesso all’elemento fuoco? 2. Come respiro? Il mio respiro è solitamente lento e profondo oppure

superficiale e frettoloso? E “cosa” respiro, quale è la qualità dell’ aria con cui il mio organismo dialoga? 3. Ho occasione di andare al mare, al lago, al fiume? Oppure frequento solo l’acqua di piscina e vasca da bagno o magari neppure quella, perché a casa ho la doccia? Quanto è presente e quanto è importante, per me, l’elemento acqua? 4. E, infine, quanto sento di essere in contatto con la terra? Mi creo occasioni per camminare a piedi nudi? Metto le mani nella terra lavorando in giardino? Esploro col tatto, con avida curiosità, diversi elementi naturali del mondo che mi circonda? Ho mai piantato un albero? Le prossime pagine ci aiuteranno nell’esplorazione e valorizzazione di ogni singolo elemento nella nostra quotidianità. Potremo così crearci il nostro cocktail personalizzato di momenti dedicati ad arricchire la presenza proprio di quegli elementi di cui sentiamo la mancanza. L’obiettivo è quello di intessere la nostra vita con quanti più momenti ed esperienze all’aria aperta possibile.

Il sole, tutta l’energia del fuoco L’astro attorno al quale giriamo, insieme ad altri sette pianeti e innumerevoli piccoli corpi celesti, è il Sole, “stella madre del Sistema solare” viene chiamato. È composto principalmente da idrogeno ed elio, come magari ricordiamo dai tempi della scuola, due gas che, fondendosi nel suo nucleo, generano quell’immensa quantità di energia indispensabile al nostro pianeta. Viviamo in una speciale e piccolissima nicchia in cui la temperatura oscilla tra i 50° Celsius, la temperatura più alta in cui è ancora possibile la vita terrestre, e i meno 50° Celsius, quella più bassa a noi accessibile. Il Sole è lontanissimo, 150 milioni di chilometri; un aereo a velocità di crociera (850 chilometri orari, circa) impiegherebbe vent’anni a raggiungerlo, ma i suoi raggi arrivano a noi in otto minuti e mezzo, portando luce e calore. Curiosamente, l’estate è proprio il momento dell’anno in cui siamo leggermente più lontani dal Sole, attorno al quale la Terra gira con orbita ellittica, ma i suoi raggi ci arrivano in modo più diretto rispetto all’inverno, in cui la distanza è minore ma i raggi sono inclinati e quindi meno potenti. I processi sui quali si è organizzata la vita, così come la conosciamo, si

sono disegnati in base a questa stella, considerata divinità in tante tradizioni del passato: nell’antico Egitto, il Sole era il padre del faraone; nelle antiche civiltà inca, maia e azteca era una divinità centrale; era importante nel pantheon greco, prima Elio, poi Apollo; era protagonista dei culti solari importati a Roma, Mitra e Sol Invictus. Il Sole è l’elemento fuoco nella sua manifestazione più eclatante. Geografia e mitologia ci parlano dell’importanza di questo astro infuocato e la sua valenza non è solo simbolica ma anche fisica, strettamente connessa alla sopravvivenza e alla salute. Nonostante l’attuale intensificarsi degli appelli che invitano a proteggersi dai raggi ultravioletti − responsabili, sì, della ricercata abbronzatura, ma anche dei meno auspicabili eritemi solari e dell’invecchiamento della pelle −, è importante ricordarsi che non è l’esposizione al Sole a essere dannosa, ma la sovraesposizione. I benefici dell’esposizione solare in giusta misura superano di gran lunga i rischi di insorgenza di tumori della pelle.55 Con gli opportuni accorgimenti volti a evitare le scottature, la luce solare diretta è generalmente non solo benefica ma anche necessaria, a scopo sia curativo sia preventivo. LA VITAMINA D’ORO La vitamina D, detta anche “vitamina del Sole”, si assume a partire da molti alimenti – pesce, uova, formaggio e cereali – ma viene attivata con la luce del Sole. È stata scoperta di recente, esattamente un secolo fa, notando come bimbi affetti da rachitismo si riprendevano più rapidamente quando portati all’aperto. È importante per la fissazione del calcio e del fosforo, rende le ossa più robuste, preservandole dalle fratture, e ha importanti ripercussioni benefiche sul funzionamento di tutto l’organismo. Per fare il pieno di questa preziosa vitamina… non devi fare nulla, solo uscire di casa: la metabolizzi attraverso l’esposizione alla luce solare. In estate, per soddisfare il fabbisogno giornaliero, bastano dieci minuti al giorno, che diventano una mezz’oretta verso l’inizio dell’autunno e crescono sino a due ore d’inverno. Ma proprio d’estate puoi farne scorta per la stagione fredda allungando i tempi di esposizione ad almeno quaranta minuti al giorno. Da tenere presente che più la tua pelle è chiara più il processo di assorbimento è rapido, più è scura più è necessario aumentare il tempo di esposizione. Sette italiani su dieci hanno questo prezioso micronutriente al di sotto dei livelli minimi e sono quindi maggiormente a rischio di osteoporosi.56 Quando inserisci, periodicamente, escursioni, passeggiate e momenti di relax al sole d’estate e d’inverno, quindi, stai facendo un importante passo per la tua salute!

L’impalpabile oceano d’aria Il costante flusso e riflusso dell’aria nel nostro organismo è quello che ci

tiene in vita: un invisibile filo che ci connette all’esistenza, senza il quale non possiamo resistere per più di pochi minuti, limite superato solo di poco dai campioni di apnea. Da quando, due miliardi di anni fa, le nuove piante in evoluzione hanno cambiato la composizione dell’atmosfera della Terra, l’ossigeno è diventato elemento vincolante per la maggior parte delle forme di vita sulla Terra – pur rappresentando solo il 20% della massa gassosa attorno al pianeta – insieme all’azoto e ad altri gas in proporzioni minori: un cocktail raro nelle immensità dell’universo. È questo manto di gas, trattenuto dalla forza di gravità, che fa sembrare la Terra, vista da lontano, simile a un gioiello. L’atmosfera ci protegge sia dall’intensità delle radiazioni solari sia dal gelo notturno e ci fa da scudo difendendoci da meteoriti e altri corpi provenienti dallo spazio che, a causa dell’attrito con l’aria, si disintegrano prima di raggiungere la superficie terrestre. Per quanto impalpabile, il corpo d’aria della Terra ha però una sua densità, va pensato come un leggerissimo oceano, in cui gli uccelli volano e gli aeroplani navigano. Dal primo all’ultimo momento della nostra vita, letteralmente parlando, l’aria entra ed esce dai nostri polmoni per fare il pieno di ossigeno, eliminare anidride carbonica e favorire così la purificazione del sangue a ogni respiro. Quando l’ossigeno, attraverso le pareti permeabili dei polmoni, entra nel sangue, si combina con l’emoglobina e raggiunge ogni cellula e organo del corpo, per rinvigorirne ogni parte, rimpiazzare cellule morte e ricostruire tessuti danneggiati, in una ben nota funzione vitale. Il corretto funzionamento del processo della respirazione è collegato anche alla qualità dell’aria. Sappiamo molto bene, purtroppo, che l’aria dei nostri centri urbani è appesantita da polveri sottili e inquinata da componenti gassose, elementi di scarto del traffico automobilistico, fumi degli impianti di riscaldamento, emanazioni dai complessi industriali. Così come periodicamente sottoponiamo le nostre abitazioni alla pulizia, per eliminare scorie e polvere, allo stesso modo anche il nostro organismo ha bisogno di momenti di disintossicazione e purificazione: cambiare aria ogni tanto fa bene! Quando ci allontaniamo da un centro urbano e ci immergiamo in un ambiente naturale, ci immergiamo in spazi aperti, abbiamo la possibilità di respirare un’aria più pulita, che potrà portare via con sé, a ogni atto respiratorio, tutto quanto intasa il nostro organismo, e attiverà nel contempo un processo extra di depurazione del sangue e, di conseguenza, una maggiore

vitalità e salute. Abbiamo bisogno di aria pura per stare bene, e l’aria viene rinnovata e purificata quotidianamente proprio dalla vegetazione. Un motivo in più per rendere i “quattro passi in Natura” indispensabili, come prassi costante. RESPIRA, RESPIRA PROFONDAMENTE! Nella tradizione yogica, l’aria che respiriamo non contiene soltanto componenti chimiche ma anche energetiche. La pratica dello yoga si pone, tra i suoi obiettivi, anche quello di ottimizzare l’assunzione e l’assorbimento di quello che, in sanscrito, si chiama prana, l’energia vitale che anima tutti gli esseri viventi. Questa energia non è distribuita uniformemente in tutta l’atmosfera, ma si trova con maggior intensità nelle aree non urbanizzate e attorno ai settecento metri di altezza. Pranayama è, infatti, il nome ormai noto a molti di una serie di asana, “posizioni”, che permettono un processo respiratorio completo che deterge e tonifica i polmoni in profondità. Anche senza doverti dedicare allo yoga, puoi inserire nella tua prassi quotidiana dei momenti di particolare attenzione al respiro, per assicurarti di attivare la funzione respiratoria alla sua massima espansione, in diverse occasioni durante il giorno. Quando sei di fretta, con l’incalzare di mille impegni, la respirazione si fa veloce e superficiale. Se appoggi una mano al petto potrai notare che è solo la parte alta dei polmoni che sta lavorando. Quando ti fermi, quando il ritmo rallenta, ecco che coinvolgi anche la parte mediana dei polmoni; puoi verificarlo mettendo le mani ai lati della cassa toracica, noterai un’espansione anche laterale. Per essere completo, un respiro deve essere profondo e coinvolgere anche il diaframma; quando sei in uno stato di tranquillità e centratura, appoggiando una mano in corrispondenza dell’ombelico puoi sentire la pancia che si alza e si abbassa a ogni inspirazione ed espirazione. Ecco, questo è un respiro che porta beneficio a tutto l’organismo e che ha anche effetto tranquillizzante sul piano emotivo e mentale. Puoi abituarti a inserire, nella tua quotidianità, tanti momenti di respirazione profonda, puoi farla diventare una buona abitudine di base e anche una pratica da adottare in situazioni di necessità, quando c’è agitazione attorno a te e non vuoi farti coinvolgere, oppure vuoi fare scelte ponderate e non dettate da turbolenze esterne. La qualità della pratica respiratoria, insieme alla qualità dell’aria inspirata, può fare la differenza tra cattiva e buona salute.

Sorella acqua Se l’aria è rara, nel nostro universo, l’acqua lo è ancora di più. L’acqua esiste allo stato liquido, quello in cui la frequentiamo quotidianamente, solo tra zero gradi centigradi – temperatura al di sotto della quale diventa solida, ghiaccio – e 100 gradi centigradi, temperatura al di sopra della quale diventa gassosa, vapore acqueo. “È l’elemento più studiato al mondo ma resta ancora il più misterioso, ed è incredibilmente affascinante e sorprendente,” spiega Vittorio Elia, chimico e fisico che ha dedicato gran parte della sua vita professionale proprio allo studio dell’acqua e delle sue peculiarità.57 Il nostro stesso corpo è composto per più del 60% di acqua, indispensabile per la sopravvivenza nostra, di animali, piante e interi

ecosistemi. Non è un caso che le grandi civiltà sono tutte nate lungo il corso di fiumi: Gange, Nilo, Tigri ed Eufrate, Fiume Giallo e Fiume Azzurro; così come molte capitali europee: Londra sul Tamigi, Parigi sulla Senna, Vienna sul Danubio; e città italiane: Roma sul Tevere, Firenze sull’Arno, Torino sul Po. Acqua per bere, per coltivare, per spostarsi, per generare energia. I quattro quinti della superficie del nostro pianeta sono coperti d’acqua e il paesaggio sommerso è più esteso di quello emerso, giacché gli abissi marini arrivano a 11.000 metri di profondità, alle Fosse delle Marianne, contro gli 8.000 delle vette montane più alte del gruppo dell’Everest. Questo corpo d’acqua terrestre respira al ritmo del moto della Luna, che esercita una forte attrazione gravitazionale sulla massa liquida, generando flussi di innalzamento e riflussi di abbassamento. Sono le maree, che si alternano ogni sei ore, con differenze di ampiezza a seconda della combinazione di profondità dei fondali, conformazione delle coste ed estensione della massa d’acqua. “Ogni goccia d’acqua nell’oceano reagisce a questa forza, ogni animale marino vivente e ogni pianta nel mare sono consapevoli di questo ritmo.”58 Con apparecchiature abbastanza sensibili, l’influsso della marea è stato registrato anche in un bicchiere d’acqua, facendo riflettere sulle implicazioni che questo può avere anche per il nostro stesso organismo. L’ABBRACCIO ANTICO La vita è nata nell’acqua tra i 3 e i 4 miliardi di anni fa. Primi i procarioti, organismi unicellulari, poi le alghe azzurre… sino ad arrivare, dopo un lungo e complesso processo evolutivo, agli organismi multicellulari e ai primi animali, qualcuno dei quali ha scelto di uscire dall’acqua ed è partito alla conquista delle terre emerse. Puoi anche non essere più consapevole di questa lontana epopea, ma per certo ti è stato raccontato che i primi nove mesi della tua vita, nel ventre materno, li hai passati nell’acqua. Vivere esperienze di immersione in un ambiente liquido, al mare, in piscina, anche in vasca da bagno, porta sempre con sé un generale senso di benessere, leggerezza e rilassamento; e questo non solo per le proprietà meccaniche dovute al contatto con l’elemento liquido ma anche per un atavico richiamo a questa prima fase dell’esistenza, personale e animale. Da non sottovalutare anche la relazione con la pioggia, evento meteorologico che, affrontato e vissuto con la dovuta attrezzatura o atteggiamento, diventa un’esperienza entusiasmante e vivificante e non uno spauracchio da cui doverti difendere a priori. Il contatto con l’acqua ha un effetto potente anche metaforicamente parlando, ti riconnette alle tue emozioni, ti insegna la fluidità e la saggezza di un approccio… liquido, che aggira gli ostacoli.

Earthing, piedi per terra Un capo indiano ha predetto la rovina della razza bianca… perché usa le

scarpe! Il piede, come la mano, ha più di 24.000 sensori che attraverso il contatto diretto raccolgono informazioni, scaricano elettricità statica e ricaricano l’organismo di energia. Nel perdere l’abitudine a un contatto diretto col suolo, ci precludiamo un dialogo diretto con l’ambiente circostante, ignoriamo informazioni, perdiamo un’occasione di intimità con il suolo e con essa tanti benefici sul piano sia fisico sia simbolico. Camminare a piedi nudi sta tornando di moda: Jane Fonda, salutista convinta, camminava a piedi nudi nel parco e con lei molte star hollywoodiane; ma sono gli studi recenti59 che stanno rilanciando questa abitudine dimenticata, sottolineando i vantaggi di momenti quotidiani, anche semplicemente sui pavimenti di casa propria, senza scarpe. Perché? È un massaggio naturale, prima di tutto; attiva la circolazione, favorendo lo sgonfiarsi delle gambe; neutralizza i radicali liberi attraverso lo scambio con gli elettroni presenti sul suolo; abbassa la carica batterica che si crea nella scarpa; rafforza la muscolatura del piede, più libero di muoversi naturalmente; rende più saldi i primi passi dei bambini e più stabili quelli degli anziani; è rilassante. L’elemento terra è quello che caratterizza questa nostra esperienza… sull’omonimo pianeta, rappresenta la componente più solida del nostro stesso essere, il nostro corpo che, ben lungi dall’essere solo il somaro che porta a spasso l’anima, è un miracolo dell’evoluzione, un riassunto di quanto la vita ha imparato di meglio nel corso di milioni di anni. Avere un corpo versatile, dinamico, adattabile ci permette non solo di percepire con dovizia di particolari il mondo circostante, ma anche di interagire con esso, di combinare tra loro gli elementi naturali e di creare cose che prima non c’erano, dando una nostra impronta all’ambiente in cui viviamo. Fare amicizia con l’elemento terra vuol dire ritrovare l’attenzione e la curiosità nei confronti dei diversi ambienti e paesaggi da cui il nostro mondo è composto e riattivare la capacità di entrare in dialogo col mondo. Senza la solida roccia, la morbida sabbia, la punzecchiante ghiaia, la vitale terra su cui poggiamo i piedi… non potremmo vivere questo tipo di vita. Riprendere il contatto, con i piedi e con le mani, toccando, accarezzando, sperimentando col tatto e con tutti i sensi il nostro mondo è il punto di partenza per sentirci nuovamente a casa. LE RADICI INVISIBILI Camminare, anche solo per pochi minuti al giorno, a piedi nudi sull’erba bagnata di rugiada è il toccasana per eccellenza. Certo, non è una contingenza facile da realizzare se vivi in città, ma è

sufficiente ricordarti, nel corso di una passeggiata in montagna, al mare, nei boschi, in un parco o anche semplicemente nell’arco di una breve permanenza in un giardino, di toglierti le scarpe e magari anche le calze, se possibile, e di godere un po’ di contatto diretto con la terra, i sassi, la pietra, la sabbia, l’erba, il tappeto di aghi di pino (è morbido e non punge!), oppure con l’acqua del mare, di un lago o quella di un torrente. L’effetto rilassante e rivitalizzante è notevole, prima di tutto per l’immediata scarica di elettricità statica, che si accumula nell’organismo nel contatto con materiali artificiali, che ti isolano elettricamente – asfalto, plastica, linoleum, moquette –, soprattutto se il piede è rinchiuso in calzature a loro volta isolanti, con suola in gomma. Ma il beneficio che ne trarrai è anche sul piano simbolico: ritrovare un contatto diretto con il suolo rafforza il senso di appartenenza alla Natura, non a caso dimenticato nella frenetica vita cittadina, e ti fa prendere coscienza delle tue radici invisibili, grazie a cui poter non solo scaricare tensioni, ma anche riequilibrarti sul piano energetico. Per sentire con forza sorprendente il legame con l’elemento terra, così trascurato ai giorni nostri, prova a immaginare, in uno dei momenti che ti concederai di stare a piedi nudi sul suolo, che dai tuoi piedi si dipartano radici invisibili e impalpabili che ti permettono di attingere nutrimento, linfa e frescura dalla terra. Fallo per qualche minuto, a occhi chiusi, dopo una breve centratura in cui avrai lasciato scorrere via emozioni e pensieri. Senti l’energia della terra che sale dai piedi lungo le gambe, sino a vivificare tutto il corpo, sino alla cima della testa. Assapora la sensazione, per il tempo che ti farà piacere dedicare.

Gli alberi, custodi della vita Gli alberi sono molto più svegli e presenti di quanto abbiamo imparato a riconoscere. Benché apparentemente statici, hanno risposte molto dinamiche alle condizioni ambientali, mettono in atto con prontezza strategie di difesa e sono in grado di comunicare tra loro anche a grandi distanze. Questo vuol dire che quando incontriamo un albero non è solo un pezzo di legno, quello con cui ci stiamo interfacciando, ma è un complesso e antico essere vivente che in altri tempi ha scelto di sacrificare la sua libertà di movimento, a fronte di una completa autonomia nell’alimentazione – trae tutto ciò di cui ha bisogno dal sole e dalla terra –, e questo gli ha permesso… di conquistare questo mondo. È un quieto osservatore che accompagna il nostro agire, spesso per un periodo anche cinque e addirittura dieci volte più lungo della nostra stessa esistenza individuale. Gli alberi sono decantati da arte e poesia di tutti i tempi per il loro ruolo ispiratore e di sostegno, che incarna una regola fondamentale per vivere sulla Terra: tanto più voglio andare in su, verso l’alto, l’esterno, tanto più devo ancorarmi saldamente in profondità, verso l’interno. È in atto una grande rivalutazione del mondo vegetale nell’approccio accademico contemporaneo, ora che apparecchiature e studi recenti confermano che il mondo vegetale ha una sua sensibilità e intelligenza

intrinseca, è dotato di sensi, ha una vita sociale e ha una struttura organizzativa a rete, e non centralizzata, che gli permette di sopravvivere ad attacchi esterni. Il 98% della biomassa del nostro pianeta, cioè di tutto ciò che è vivo, è di natura vegetale; questo la dice lunga sul suo successo nel vivere sulla Terra. Tutto il mondo animale dipende da quello vegetale, le piante sono alla base della catena alimentare, sono i cosiddetti produttori, mentre gli animali sono i consumatori: consumatori primari gli erbivori e secondari i carnivori, che si nutrono di chi, a sua volta, si è nutrito di piante. Non abbiamo bisogno che siano studiosi e scienziati a dimostrarci quanto la dimensione vegetale sia importante per noi, spontaneamente cerchiamo la presenza di spazi verdi e li sentiamo come profondamente benefici e rigeneranti. C’è un inconscio ecologico in ognuno di noi, che porta con sé tutta la memoria delle generazioni che ci hanno preceduto, tutta la memoria dell’evoluzione della vita sulla Terra; quando ci riconnettiamo con questo serbatoio di memoria interiore, sappiamo senza ombra di dubbio quali ambienti davvero ci fanno bene, e gli alberi, in questa classifica, sono al primo posto. RICARICA VERDE Prova ad andare incontro a un albero, uno che ti attrae particolarmente per la sua forma, la sua fragranza, la sua maestosità. Guardalo, non più come se fosse una cosa, ma riconoscendogli la dignità di essere una presenza, un essere vivente e senziente, per quanto sia diverso dagli esponenti del mondo animale. Con il giusto impegno, potrai metterti in relazione con lui. Riconoscilo come essere unico, non solo “un albero”, e non è neppure solo “un pino”… ma un rappresentante della sua specie, con le sue specificità individuali. E, con questo atteggiamento, qualche cosa cambia. L’albero sente la tua presenza e attenzione e risponde. Se avrai fatto l’avvicinamento nel modo giusto, se hai la capacità di fargli sentire la tua presenza e profferta di amicizia, risponderà con un profumo più intenso, con una maggior secrezione di linfa, con un impercettibile messaggio elettrico diverso. Occorre attivare la sensibilità per riconoscere questi segnali, ma puoi allenarti e imparare a sentire messaggi sottili e a dialogare. Puoi cominciare appoggiando le mani sul tronco, sentendo coi polpastrelli la qualità del legno, osservando i particolari della corteccia, notando quali e quante forme di vita vivono lì, sentendone da vicino il profumo. Una volta attivata l’attenzione all’albero come interlocutore, puoi portare nuovamente l’attenzione su di te e notare che cosa ti “arriva” attraverso le mani. Ogni albero è una gigantesca presa di messa a terra, come minimo ti permette di scaricare l’elettricità statica in eccesso; ma il suo effetto non si limita a questo perché, facendo attenzione, noterai che c’è anche una ricarica in atto. Abbracciare gli alberi non è vano romanticismo, provare per credere. Un effetto interessante lo puoi sentire anche girandoti e appoggiando la schiena, soprattutto la base, al tronco. Spesso, la sensazione è quella... di mettere il caricatore del telefono nella presa. Non tutti gli alberi fanno lo stesso effetto e non tutti risuoniamo con gli stessi alberi. Non hai che da sperimentare in prima persona!

Bagno di foresta Verso la fine degli anni ottanta, su iniziativa del ministero giapponese dell’Agricoltura e delle Foreste, sono cominciati studi per approfondire gli effetti di una pratica tradizionale locale, Shinrin-yoku – bagno di foresta, il semplice stare in Natura –, che con la modernità si stava perdendo. Per millenni, nella tradizione giapponese, e non solo, un contatto diretto con gli elementi della Natura è stato considerato pratica fondamentale per l’igiene fisica, mentale e spirituale: bagno sotto una cascata, meditazione nella foresta, pellegrinaggi sulle montagne sacre possono sembrare attività esotiche alla nostra mentalità contemporanea, ma hanno contribuito a mantenere un’intera civiltà. L’attenzione è partita dalla sfera della salute fisica, dalla considerazione che i degenti di ospedali che avevano la possibilità di passeggiare nei giardini adiacenti alla casa di cura avevano una convalescenza molto più rapida di coloro che permanevano all’interno dell’edificio. Basandosi, inizialmente, su questa constatazione empirica, molte strutture sanitarie hanno attrezzato e valorizzato le aree verdi adiacenti, favorendone la frequentazione. A partire dagli anni novanta è arrivata una nuova generazione di medici che, non paghi dell’evidenza, hanno attivato un processo di misurazione e monitoraggio di tutti i parametri fisici che potevano dimostrare l’effettivo beneficio di una permanenza di un minimo di mezz’ora all’aria aperta. Sono così stati raccolti dati relativi a pressione sanguigna, velocità del battito cardiaco, livelli di cortisolo nel sangue, che hanno potuto confermare l’effetto terapeutico di attività svolte in Natura o anche semplicemente di una permanenza in ambiente naturale, soprattutto se nelle immediate vicinanze di grossi alberi. Lo scrittore, etnofotografo e bodyworker Italo Bertolasi, dopo un viaggio tra gli Ainu,60 una società nativa del Nord del Giappone, è stato il primo a portare la pratica giapponese del bagno di foresta in Italia. Questo, trent’anni prima della moda attuale che sta finalmente riconoscendo e valorizzando l’abitudine a frequentare la Natura come prassi quotidiana da vivere in famiglia, con amici o in solitaria. Sulle pendici dello Stromboli, nell’isola siciliana di Ginostra, e nel verde abbraccio della Val di Mello, in Valtellina, con anticipo sui tempi, proprio negli anni ottanta sono stati organizzati, per più di dieci anni, seminari di bagno di foresta per ricreare un contatto diretto con i grandi spazi selvaggi, come opportunità di riconnessione con una dimensione più autentica dell’essere: “Il bosco è un vortice di energie

curative. Il bosco è una ‘scuola’ e un ‘tempio’, in cui si può anche ritrovare la nostra anima selvaggia, la nostra vera natura fatta di libertà, creatività, sensualità e intelligenza sensitiva. Nel cuore dei Boschi ‘scuola’ si conservano i luoghi per un’esperienza diretta del mondo selvaggio e per una rieducazione alla selvaticità che ci permetterà di sentirci più vivi e più liberi, più istintivi e più sensuali, più veri”.61 SALUTARE IL GENIUS LOCI Per fare un bagno di foresta non occorre nulla di particolare. Anzi, meno porti con te, da tutti i punti di vista, più ti sarà facile entrare a fondo nell’esperienza. Non è una pratica sportiva, non c’è spazio per la competizione, né per la performance: implica la capacità di uscire dalle strade maestre e dagli schemi per rimetterti in diretto contatto con l’ambiente, entrandoci con predisposizione alla meraviglia e con la consapevolezza di stare entrando in casa d’altri. Nelle pratiche di ecotuning, proprio prima di incamminarsi sul sentiero che si inoltra nel bosco, viene suggerito il saluto al Genius loci, lo “spirito del luogo”, così com’era praticato anche in una tradizione nostra, quella degli antichi Romani, a sua volta acquisita da una delle culture native europee, quella celta. Salutare il luogo in cui si sta entrando, presentandosi, diventa una prassi che predispone a creare una relazione dialogica con l’ambiente: “Chiedo il permesso di entrare, garantisco di non avere cattive intenzioni e chiedo protezione sui miei passi”. Non è necessario pronunciare a voce alta le parole, è una questione di atteggiamento interiore con cui predisporti, appunto, a uscire dalla strada battuta di una fruizione consumistica del tempo passato all’aperto, preparandoti invece a un’esperienza più intima, con grande apertura di attenzione all’esterno e ai messaggi che provengono dai cinque sensi, e anche di attenzione all’interno, con una maggior ricettività nei confronti di quelle voci sottili che nel frastuono della quotidianità cittadina non riescono a farsi sentire. Ecco che “bagno di foresta” può anche voler dire semplicemente stare seduto in silenzio all’aperto e stare, guardare attorno a te, ascoltare dentro di te. Sono portali antichi, quelli che si aprono in questi momenti di presenza vigile e aperta, che ti mettono in connessione con sapienze dimenticate, allargano gli orizzonti della consapevolezza interiore e riattivano potenzialità di autoguarigione.

Stop allo stress Lo stress è un potente alleato per la sopravvivenza. Ben lungi dall’essere un nemico da combattere, è una capacità atavica e istintiva del nostro organismo di far arrivare rinforzi ogni qualvolta c’è una difficoltà o un pericolo. I rinforzi sono sul piano fisico – afflusso di sangue agli arti, superiori e inferiori – per poter lottare e/o fuggire, in concomitanza con accelerazione del respiro e del battito cardiaco, per dare all’organismo la spinta necessaria ad affrontare entrambe queste attività. È un prestito energetico a cui possiamo attingere quando necessario, che va però a scapito di altre funzioni e, in particolare, dell’afflusso di sangue al cervello e quindi della lucidità mentale. È una funzione di grande beneficio quando davvero

serve, ma fonte di un immenso dispendio di energia e di risorse di salute quando in realtà non è necessaria.62 La maggior parte delle volte in cui ci stressiamo, nei nostri tempi moderni, non è per aver incrociato una tigre dai denti a sciabola o un orso delle caverne, ma per eventi che non possono essere né affrontati né risolti con quella carica di adrenalina in più che il meccanismo automatico dello stress ci mette a disposizione. La nostra evoluzione è stata molto rapida e questo è un meccanismo di sopravvivenza che non ha ancora avuto il tempo di aggiornarsi; diventa quindi fondamentale intervenire, volta per volta, con la consapevolezza e l’attenzione vigile, per valutare quando permettere a questo meccanismo di attivarsi e quando cercare di neutralizzarlo al suo nascere. Col monitoraggio della pratica del respiro è possibile, con un po’ di allenamento, gestire lo stress. Il respiro è il primo segnale dello stato d’allarme ed è anche il canale attraverso il quale poter mandare messaggi tranquillizzanti che disattivino lo stato di emergenza. Come abbiamo visto qualche pagina fa, il rallentamento e approfondimento consapevole dell’atto respiratorio è molto efficace in questo caso. Nell’allenamento alla gestione consapevole dello stress, capita spesso di trovarsi inutilmente inondati dalla scarica adrenalinica, che non è certo di aiuto nell’affrontare problematiche burocratiche, tecniche o relazionali. Il problema, nel momento di difficoltà, diventa così… doppio: ci troviamo ad agire in una situazione di minor chiarezza mentale e dovremo smaltire questo accumulo ormonale che genera eccitazione oltre misura. Quattro passi nel verde ci possono aiutare a smaltire questi strascichi dello stress. Uno dei settori di ricerca più recenti della psicologia ambientale studia proprio l’effetto positivo della Natura sul benessere psicofisico. La “Teoria del recupero dallo stress” di Roger Ulrich, formulata nel 1981, è proprio quella che ha confermato – dopo studi, ricerche e misurazioni sul campo – che gli ambienti naturali sono più rigenerativi degli ambienti costruiti. Ulrich ha dimostrato che la Natura induce, nell’individuo, un’attivazione neurofisiologica che a sua volta aumenta la vitalità, rigenera l’attenzione, scarica la tensione, riduce la rabbia, ricarica di energia. FULL IMMERSION NELLA NATURA Immergerti negli spazi verdi, selvatici, meno addomesticati acquisisce dunque una valenza terapeutica oltre che essere, generalmente, piacevole. Anche in questo caso, non c’è nulla di particolare da “fare”, quanto, casomai, da “non fare”. Quanto più lasci da parte i pensieri, prima di incamminarti al di fuori dell’ambito urbano, tanto più sarà facile farti avvolgere e conquistare dal

fascino dell’ambiente circostante. Suoni, profumi, colori, sapori, piccoli e grandi dettagli del paesaggio intorno a te, incontri con animali sono tutti fattori ormai al di fuori dell’ordinario per chi lavora o vive in città, sono fattori che permettono a parti diverse del cervello di attivarsi, con effetto rilassante e rigenerante sulla dimensione cognitiva, mentale e razionale che è solitamente in primo piano. Per poterti ricaricare in Natura, l’invito è quello di predisporti a uno stato mentale differente, magari proprio salutando il Genius loci: un rituale che sancisce l’entrata in uno spazio diverso. Questo spazio diverso “fuori” crea le condizioni per entrare in uno spazio diverso “dentro”, come vedremo più approfonditamente nel prossimo capitolo. Le indicazioni sono semplici: scegli di lasciare momentaneamente da parte il caotico flusso dei pensieri e porta tutta la tua attenzione all’esterno, ai messaggi provenienti dai cinque sensi: lasciati avvolgere, conquistare, affascinare da tutto il circondario. Ecco che questo atteggiamento interiore, unitamente a tutti gli altri fattori già citati, produce un generale senso di benessere e di scarica dello stress che è stato così efficacemente denominato e misurato anche in ambito scientifico e accademico. Anche se, in realtà, non sono necessari studi per confermare l’effetto piacevole di una passeggiata, chiunque abbia già fatto sua questa pratica lo sa molto bene. Nonostante questo, nella frenetica vita quotidiana è facile farsi irretire da tutti gli stimoli contingenti e trascurare quella attività semplice, facilmente accessibile, che potrebbe portare un immenso beneficio. L’invito è, quindi, se ancora non hai scoperto il potere delle immersioni nel verde, di sperimentarlo e, se lo conosci bene ma spesso lo dimentichi… di prenderti appuntamenti periodici con la Natura, come prassi. 55

H. Gordon Ainsleigh, DC, Beneficial effects of sun exposure on cancer mortality, “Preventive Medicine”, vol. 22, 1993, pp. 132-140, Elsevier, Amsterdam. 56 Edoardo Stucchi, Con il sole dell’estate fare scorte di vitamina D per l’inverno, “Magazine”, 19 giugno 2018, Fondazione Umberto Veronesi, Milano. 57 Omeopatia: le ricerche chimico-fisiche delle Extremely Diluted Solutions (EDS), “Adnkronos Salute”, 6 aprile 2018. 58 Lyall Watson, SuperNatura, Rizzoli, Milano 1974, p. 31. 59

Questi sono solo alcuni studi: Karsten Hollander et al., The effects of being habitually barefoot on foot mechanics and motor performance in children and adolescents aged 6-18 years: study protocol for a multicenter cross-sectional study (Barefoot LIFE project), “Journal of Foot and Ankle Research”, September 2, 2016, BMC Part of Springer Nature, London; Ian J. Wallace et al., Heel impact forces during barefoot versus minimally shod walking among Tarahumara subsistence farmers and urban Americans, Royal Society Publishing, Chicheley Hall (Uk), March 14, 2018. 60 Italo Bertolasi, Nell’anima del mondo, Urra Feltrinelli, Milano 2010. 61

Italo Bertolasi, Fitness nella Natura, Red Edizioni, Milano 2008, p. 70.

62

Marcella Danon, Stop allo stress, cit.

4.

Green mindfulness: potenzia la psiche

Non è solo il nostro corpo ad avere bisogno di Natura e a trarre beneficio da una frequentazione più assidua di spazi verdi, ma anche la nostra dimensione psichica. Vedremo come un tempo trascorso in Natura permette alle emozioni di trovare una loro via di scarico naturale, schiarisce la mente, facilita le decisioni e attiva l’intuizione, favorendo l’emergere di nuove idee e di ispirazione… indispensabile per manager, artisti e scrittori, utilissimo per ognuno di noi. La Natura, con la varietà dei suoi spazi – cime inviolate, profondità inesplorate, immense pianure, intricate foreste, paludi brulicanti di vita, oceani sconfinati –, è una scuola di vita e ci insegna che, nella vita, il cambiamento è la regola. Frequentare e conoscere l’ambiente naturale ci rende più facile accettare il modificarsi degli eventi; ci invita a procedere con un passo più consono alle nostre reali necessità, ci riporta a un nostro ritmo organico e non più meccanico; ci ispira con le sue stagioni, rendendoci più flessibili e adattabili nei confronti dei diversi momenti della nostra vita, alcuni in apertura, altri in chiusura. Ha anche potere sul piano metaforico, ci permette di descrivere il nostro sentire con immagini naturali e di esprimere con maggior precisione le emozioni: mi sento come un mare in tempesta, sono immerso nella nebbia, vedo chiaro all’orizzonte, sono in un pantano, sono un vulcano in eruzione... Gran parte del benessere che proviamo andando in Natura non ha le sue cause solo nei processi fisici precedentemente descritti, ma è generato da un cambiamento profondo nello stato d’animo che viene indotto anche da sollecitazioni di natura psicologica, prima che fisica. In qualche modo, andare in Natura ci fa sentire a casa. È una sensazione profonda che non ha ragioni

storiche, se siamo nati in città, ma che trova una sua spiegazione nei termini, già definiti, di inconscio ecologico e di biofilia: la Natura ce l’abbiamo dentro, è inscritta nei nostri geni, è la nostra origine o, meglio ancora, noi “siamo Natura”. L’ambiente naturale stimola in noi una consapevolezza più profonda della nostra autenticità. Evoca in noi vitalità, sensualità, compartecipazione a un’esuberante gioia di vivere. Ci ricorda anche che “tutto scorre” su questa Terra e quindi ogni attimo va vissuto con intensità, perché è il continuo cambiamento la legge della vita che pulsa in ogni dove. Ci predispone all’introspezione, alla riflessione, alla presenza; ci mette anche in contatto con sensazioni, emozioni, pensieri solitamente ignorati, nel tran tran quotidiano, ci offre un contesto in cui è più facile avere una visione più chiara per valutare eventi passati e prendere decisioni per il futuro. Ma il suo beneficio non si ferma a questo, va oltre la stessa dimensione psicologica, oltre la sfera della personalità; ci fa intravedere orizzonti più ampi della nostra coscienza, potenzialità ancora poco esplorate, soprattutto nel mondo occidentale, di percezione del mondo, di noi stessi e della vita. Quando scegliamo di entrare in Natura non solo con corpo, cuore e testa, ma con la consapevolezza che c’è ancora molto da conoscere, dentro e fuori di noi… il contatto diretto con gli spazi naturali ci può far vivere quella che la psicologia transpersonale definisce “esperienza delle vette”. Possiamo arrivare a toccare con mano livelli di coscienza normalmente poco frequentati, che portano il nostro sentire oltre la quotidianità, oltre i limiti della personalità, spalancando la nostra attenzione alla percezione dell’immenso. È l’ineffabile esperienza dell’intangibile, di quella dimensione trascendente della psiche che coglie, in poche frazioni di secondo, la realtà nel suo insieme, riportandone forte emozione, sino al limite del turbamento. È lo spazio interiore, raggiungibile attraverso le pratiche di mindfulness, che la Natura sa evocare con potenza, anche senza nessun preavviso: chi non è mai stato profondamente toccato da un intenso tramonto rosseggiante, da una lucente volta stellata, da un albero maestoso o da un lago cristallino? La Natura, maestra di bellezza, quando sappiamo dove e come andare a cercarla, ci propone esperienze che nutrono non più solo il corpo e la mente, ma anche il nostro spirito.

Tempo e spazio per il cambiamento

Le leggi della Natura sono ferree, non c’è tregua nel dinamico intreccio dei processi vitali, in cui nascita, crescita, apogeo, decadimento e morte sono tappe di un ciclo di trasformazione che si ripropone in tempi e ritmi diversi a colonie di batteri, a singoli individui, a maestose montagne, a interi ecosistemi. Sono le regole di questa dimensione terrestre, soggetta a gravità, attrito, ossidazione delle cellule, degradazione delle proteine. Sono le diverse fasi della vita, in cui ogni essere ha una sua evoluzione; ha interazioni, incontri e scontri con l’ambiente circostante e con altri esseri, per poi, a un momento dato, ritirarsi dal gioco. Che si tratti della conclusione del ciclo di una singola margherita o dell’intera specie dei mammut, la vita esce sempre trionfante, perché dopo ogni tramonto c’è una nuova alba, dopo ogni morte c’è una nuova realtà che sorge. La vita racchiude in sé questi due poli, nascita e morte. La morte non è il contrario della vita, ne è – anzi – uno dei momenti fondamentali per la prosecuzione del ciclo. I boschi, che vengono troppo “puliti” dagli alberi caduti e dal sottobosco, non hanno più modo di albergare insetti che, a loro volta, diventano nutrimento di uccelli, indispensabili per aiutare le specie vegetali a propagarsi. I corpi degli animali morti, nei grandi spazi selvatici, diventano cibo per gli avvoltoi, che preservano così la regione dalle malattie che potrebbero essere causate dalla decomposizione. Le cellule stesse del nostro corpo si avvicendano in un ciclo in cui intervengono due processi complementari: la mitosi, nascita cellulare a partire dalla divisione di una cellula progenitrice, e l’apoptosi, morte cellulare “programmata”, cioè eliminazione, nel tempo e nel modo giusti, di cellule non più necessarie.63 Non c’è nulla di triste in tutto ciò, è una legge di Natura, quella che da quasi quattro miliardi di anni ha innescato il processo e sta facendo prosperare la vita sulla Terra; non c’è, quindi, che da prenderne atto e da imparare a convivere con questa ciclicità, anzi a trarne insegnamento da riportare anche in altri ambiti. Anche la nostra esistenza umana ha le sue tappe – infanzia, adolescenza, età adulta, matura, anziana – e una maggior apertura nei confronti della Natura può aiutarci a vivere serenamente ogni età. Anche un progetto, una relazione o un interesse sono soggetti a fasi simili, ognuno con il suo ritmo. Per ogni chiusura di un ciclo se ne apre un altro… utile lezione per la nostra quotidianità. Esposto pedantemente dall’oratore di turno, questo potrebbe essere un insegnamento irritante, quando siamo immersi nella sofferenza di un lutto o di un cambiamento giunto inaspettato; ma quando è la Natura stessa che, con

delicatezza e discrezione, ci ricorda che le cose funzionano così… diventa più facile accettarlo e proseguire fiduciosi verso un nuovo orizzonte, onorando, sì, il dolore di una perdita, ma senza lasciare che questa ci annienti. L’insegnamento della ciclicità ci arriva in continuazione dalla Natura e può diventare utile guida nel dare una lettura propositiva agli eventi della vita. “Ogni stagione ha i suoi pregi e scandisce il tempo con la sua peculiare energia, coprendo l’intero arco necessario a un sano equilibrio, in cui l’espandersi verso l’esterno e il ritirarsi verso l’interno, l’agire e il riposare, sono perfettamente bilanciati.”64 Anche nella nostra esistenza possono esserci diversi momenti: periodi di rinnovamento ed espansione, fasi di piena espressione e realizzazione, momenti in cui l’attività va riducendosi e c’è la raccolta dei frutti e tempi di stasi, in cui nulla sembra accadere e il fermento è solo interiore. Primavera, estate, autunno e inverno offrono una chiave di lettura alla perenne trasformazione a cui anche la nostra vita interiore è soggetta, seguendo una criticità tutta sua, naturalmente. È comunque più facile accettare serenamente una fase invernale, sapendo che prima o poi, se ci predisponiamo ad accoglierla, arriverà la primavera. IL PAESAGGIO INSEGNA Scegli la tua palestra. Deve essere un luogo in cui c’è Natura, che frequenti periodicamente: il tuo giardino, un viale alberato, un piccolo parco cittadino, o una distesa di campi, un sentiero nel bosco, una località di mare, campagna, montagna. Non importa la frequenza con cui ci vai, basta che tu ci vada in momenti diversi dell’anno, in stagioni e/o orari che non siano sempre gli stessi. Prenditi un tempo per guardarti attorno, per esplorare con attenzione l’ambiente notando i dettagli che più ti chiamano: colori, forme, profumi, suoni, atmosfera nel suo insieme. Soffermati su almeno quattro componenti del paesaggio: uno minerale (pietra, roccia, suolo), uno vegetale (fiore, pianta, albero), uno animale (insetto, uccello, rettile o mammifero) e uno meteorologico (colore del cielo, presenza di nuvole, temperatura o umidità dell’aria). Tienili a mente, o prendi qualche appunto, e magari fai anche una foto; monitorali nell’arco delle diverse frequentazioni di questo stesso luogo o itinerario. Allenati a notare come cambiano le presenze, i dettagli, le combinazioni, le condizioni generali in questo piccolo ecosistema. Fai amicizia con il cambiamento, con il processo di trasformazione continua che caratterizza la vita sulla Terra: ti sarà più facile affrontare i piccoli e grandi cambiamenti della vita e potrai farti ispirare, quando necessario, dalla resilienza degli ambienti naturali che superano ogni ostacolo rispondendo con rinnovata vitalità ed elaborando soluzioni diverse, prima impensabili. Questa considerazione è nata proprio in una gita in montagna, salendo verso il rifugio Pastore, in Valsesia. Avevo percorso il sentiero, la prima volta, verso la fine dell’inverno, pochi giorni dopo un’alluvione, e mi aveva rattristata il paesaggio sconvolto dalla furia degli elementi. Sei mesi dopo mi sono ritrovata sullo stesso tragitto e, con piacevole sorpresa, ho subito notato che la vegetazione si era completamente riappropriata del paesaggio, i segni visibili della ferita precedente erano davvero pochi e il sentiero si snodava in un originale percorso ritorto che aveva arricchito il quadro d’insieme.

Mente chiara, mente aperta Pensiamo tra i 15 e i 30 mila pensieri al giorno. È una quantità di dati immensa, in cui si frammischiano suggestioni indotte dall’esterno, giudizi automatici, divagazioni casuali, associazioni spontanee, riflessioni attive, interrogativi sul perché delle cose, ragionamenti complicati, vecchi schemi, nuove idee, alcune buone, altre pessime… La nostra mente è un’elaboratrice in continua attività; per rendersene conto, basta darsi l’intenzione di smettere di pensare anche solo per un minuto… non è facile, se non si ha ancora pratica di centratura, meditazione, mindfulness. Perché mai dovremmo smettere di pensare? Proprio perché c’è una tale quantità e varietà di produzione mentale che le perle si confondono tra le palline di polistirolo e gli scarichi della lavatrice. Non tutto ciò che pensiamo è oro colato, anzi, c’è molto sottoprodotto di attività fisica e di stati emotivi; una cattiva digestione può indurre cattivi pensieri, uno sgarbo può attivare considerazioni da tiranno crudele, un momento di vulnerabilità può trasformare un ciottolo in un masso, una notte dormita male fa di un contrattempo una tragedia… la mente ha spesso una percezione parziale e deformata della realtà, in funzione delle lenti che utilizza in quel momento: rosa, nere o di innumerevoli altri colori. È ovvio che, se non vogliamo subire passivamente tutte queste correnti di attività mentale, ma preferiamo scegliere i nostri pensieri e orientare le nostre riflessioni verso direzioni utili ed efficaci, dobbiamo prenderci dei momenti e crearci delle situazioni in cui separare il grano dal loglio.65 Ecco che basta uscire dagli ambienti abituali, dalle attività ordinarie perché, sul piano mentale, avvenga spontaneamente una sedimentazione, come l’argilla in un bicchiere d’acqua si deposita sul fondo non appena smettiamo di mescolare. Possiamo così scorgere con più chiarezza ciò che ci sta passando in quel momento per la mente e valutare, pensiero per pensiero, se corrisponde davvero a un contenuto fondato o se si tratta di un’attività mentale passeggera a cui scegliamo di non dare attenzione. Ci sono pensieri che hanno la brutta abitudine di insinuarsi nella nostra quotidianità spinti da motivazioni che ormai si sono perse nella notte dei tempi, ma che continuano a riproporsi automaticamente in direzioni che nulla hanno a che fare con ciò che davvero desideriamo o di cui abbiamo bisogno. Fanno parte di questo gruppo, in crescendo: pregiudizi, autosvalutazioni, dipendenze, compulsioni, fino all’estremo delle ossessioni. Muoversi

dinamizza anche la sfera dei pensieri: quando rischiamo di sprofondare in una palude di pensieri che agiscono su di noi negativamente, quello di alzarci fisicamente e spostarci altrove è un piccolo trucco per gestire l’emergenza. Non è una soluzione definitiva, ma permette di prendere fiato, di cambiare aria, nella nostra testa, e di spostare l’attenzione su un pensiero diverso, scelto consapevolmente. È una ginnastica interna che può facilmente essere allenata; potenzia il senso di libertà interiore dato da una conquistata padronanza dei propri pensieri. Giacché gran parte della nostra vita è attualmente ambientata in ambito urbano, fra quattro mura, o faccia a faccia con dispositivi elettronici, l’ambiente naturale rappresenta facilmente quell’altrove che permette di spalancare le finestre verso una diversa qualità di pensieri, che a loro volta porteranno con sé diversi stati d’animo, atteggiamenti, comportamenti. UNA VENTATA DI ARIA FRESCA La mente è come un giardino. Germoglieranno le piante di cui avrai seminato i semi, cresceranno quelle che proteggerai dall’influenza di altre più invadenti, che ti ricorderai di innaffiare e di esporre al sole, avendo cura che il calore non sia mai eccessivo. Le letture, le frequentazioni e le opinioni che fai tue, curate, nutrite e plasmate dalla tua attenzione, danno forma al tuo giardino interiore. L’aria è l’elemento per eccellenza che fa viaggiare i semi e anche le idee. Più le finestre della mente sono aperte, maggiori opportunità di stimolo potranno essere incluse nel tuo paesaggio mentale. Quando le finestre sono chiuse, i pensieri già presenti si attorcigliano su se stessi, si aggrovigliano e creano un’atmosfera stantia che non lascia spazio a nulla di nuovo e può diventare opprimente. Apri queste finestre! Fatti ispirare dal vento, lascia che porti via tutto quanto c’è ormai di inutile e permettigli di farti intravedere nuovi orizzonti, nuove possibilità, nuovi modi di essere, di sentire e di agire. Ecco come la Natura può operare potentemente sulla dimensione psicologica a partire da una metafora; e, quella dell’aria, è una metafora potente. Una breve passeggiata all’aperto, senza fretta, senza meta, in atteggiamento di ascolto, curiosità e apertura, può diventare uno strumento eccezionale ed efficace ogni qualvolta c’è bisogno di… cambiare aria.

Le emozioni vogliono fluire L’acqua è l’elemento che meglio si presta a rappresentare la natura mutevole, versatile e, allo stesso tempo, potente delle nostre emozioni. Nell’incontro e scontro con i piccoli e grandi eventi della vita quotidiana, le emozioni colorano il nostro sentire con un’ampia varietà di possibili sfumature. Alcune di queste sono vissute con piacere e sono considerate generalmente positive, altre, soprattutto quando sono di forte intensità, portano con sé un sentire che viene spesso etichettato come negativo. Sono, comunque, proprio le emozioni che danno brio alla nostra vita, che colorano

le nostre giornate, che fanno la differenza tra un’esistenza vissuta bene e una vissuta male. Le emozioni sono parte integrante della nostra salute psicologica. Il nostro benessere e la qualità della nostra vita dipendono non tanto dalla loro presenza o assenza e neppure dalla tipologia di ciò che proviamo, quanto dalla capacità di saperle amministrare con saggezza. Le competenze necessarie sono le stesse dei contadini di altri tempi e, oggi, di altri luoghi, che distribuiscono l’acqua nei loro campi sapendo quando aprire e quando serrare chiuse e canali per prevenire sia siccità, sia alluvioni. Anche le emozioni, come i pensieri, hanno natura impalpabile e volatile, possono essere improvvise e distruttive ma sono anche linfa vitale e carica energetica. Le emozioni, come l’acqua, possono essere canalizzate, ma la modalità con cui le gestiamo si consolida nell’arco del nostro processo di crescita abbastanza casualmente, influenzata dal temperamento di ognuno e, soprattutto, dall’esempio che abbiamo avuto in famiglia e attorno a noi. Ci sono ambiti in cui le emozioni vengono vissute ed espresse liberamente, sino all’estremo di essere sempre e comunque sparate fuori senza alcun riguardo per il sentire altrui. Ce ne sono altri, invece, in cui si cresce con l’implicito accordo che le emozioni non si esternano, non si condividono, non se ne riconosce neppure l’esistenza: vengono mantenute dentro, ed è lì che esplodono e fanno danni. Ci sono invece, per fortuna, ambiti in cui le emozioni sono permesse, sono accolte, ma sono anche imbrigliate, contenute nei tempi e nei modi adatti, ogni volta, a ogni singola circostanza. Espresse direttamente, oppure trattenute e rielaborate: come acqua che, durante il temporale, viene contenuta nella diga e, quando il tempo torna sereno, viene lasciata fuoriuscire in modo pacato. Come l’acqua, l’emozione genera forza lavoro, è ciò che dà l’energia per affrontare imprese ritenute impossibili, per superare mari, per scalare montagne; è proprio per questa sua forza potenziale dirompente che un’emozione non può essere trattenuta dentro a lungo. Per la nostra salute fisica, ma anche per la salute delle relazioni che abbiamo a cuore, le emozioni devono essere espresse, se non subito, nei giorni successivi all’evento scatenante, scegliendo accuratamente i toni, i modi, le parole. Quando c’è un “troppo pieno” che renderebbe difficile la scelta della modalità opportuna, è importante scaricarlo in territorio neutro, parlandone con una persona amica, o professionalmente competente.66 Oppure scrivendo o sfogando muscolarmente l’energia: danzando, prendendo a pugni cuscini o

camminando. Arriviamo così all’utilità che la Natura può avere, non solo in quanto metafora, ma come opportunità concreta per scaricare l’emotività in eccesso. Sarà così possibile raggiungere la calma necessaria per affrontare un chiarimento, quando possibile; o scaricarla totalmente, se non ci sono interlocutori a disposizione. Un’emozione, come l’acqua, per mantenere la salute dell’ecosistema, deve poter fluire, il ristagno è tossico, per sé prima di tutto, ma anche per gli altri perché genera un muro che blocca ogni accesso all’autenticità. IL POTERE DELL’ACQUA Stai vivendo una situazione emotivamente coinvolgente, in cui senti di star annegando senza riuscire a tornare a riva? Ciò che provi è molto intenso e non sei capace, o non hai modo, di parlarne con qualcuno per sfogarti e alleggerire il peso che senti? Chiedi aiuto alla Natura. Cerca un corso d’acqua, accanto al quale puoi sederti, prendendo del tempo tutto per te, almeno una ventina di minuti. Porta con te una penna o, meglio ancora, un pennarello sottile. Fermati, respira, ascoltati. Prendi atto di come sta il tuo corpo, apri il tuo sentire alle emozioni, cogli i pensieri che stanno occupando ora la tua mente. Non forzare nulla, non stai cercando la calma, in questo momento, al contrario, lascia spazio al ribollire del tuo sentire, allo sferzare del tuo pensare; può essere difficile al momento, ma per liberarti da questa agitazione interiore devi prima passare dal riconoscere quello che c’è. Stai. Osservati, ascolta con l’attenzione e la serietà che un buon adulto deve riservare a un bambino che si è sentito ferito e oltraggiato. Muovi il corpo, se ne emerge la necessità, dai voce o grido alle tue emozioni, se il luogo in cui ti trovi te lo consente. Dopo che il tuo sentire si sarà palesato, cerca di dare parole a quanto hai provato. Inizia con le frasi che senti martellanti, scrivile su una foglia se sei all’aperto, su un pezzettino di carta se sei in casa, dove il corso d’acqua che hai a disposizione è solo quello del lavandino, bidet o gabinetto. Quando avrai scritto tante frasi quante ne avrai sentite dentro, quando avrai dato un nome alle diverse sfumature di emozioni che provi, e anche a ognuna di loro avrai dedicato una foglia o un foglietto, riprendile in mano una per una, pronuncia a voce alta quanto hai scritto e affida queste parole alla corrente, o allo scarico del water, e guardale fluire altrove. Tutto, nei corsi d’acqua attorno al mondo, fluisce e, prima o poi, si diluisce nel mare. Questo è un linguaggio che il nostro inconscio ecologico conosce. Il senso di maggior leggerezza può sopraggiungere immediato o può avere bisogno di diverse ore o addirittura giorni, prima di essere notato.

Che cosa vuoi davvero? Entrare in Natura in silenzio, con la consapevolezza di star entrando in un ambiente altro, con l’attenzione focalizzata sull’ambiente esterno e con l’intenzione di lasciar scivolare via i pensieri senza farsi coinvolgere nel loro turbinio, può anche diventare una meditazione. Ogni pratica meditativa, orientale o occidentale, antica o moderna, usa come strategia l’ancoraggio dell’attenzione a un unico stimolo: il respiro, un mantra – cioè un suono –, il passo di una sacra scrittura, un mandala – cioè

una figura costruita attorno a un centro, come il rosone di una chiesa, per esempio –, la foto di un maestro o i messaggi provenienti da tutti e cinque i sensi, come nella meditazione camminata. Qualunque sia la pratica scelta, l’effetto è sempre quello di rafforzare i muscoli della consapevolezza. Focalizzando lo sguardo laddove noi scegliamo di farlo e risvegliando l’attenzione vigile, si acquisisce una progressiva autonomia e capacità di discernimento nei confronti dell’incessante flusso dell’attività mentale. La meditazione camminata è alla portata di tutti. Ha il vantaggio di poter essere fatta a occhi aperti, in movimento, portando tutta l’attenzione ai messaggi dei cinque sensi; è quindi relativamente facile e sicuramente molto piacevole da praticare. Per diventare più centrati, attenti sia all’interno che all’esterno, più presenti al “qui e ora”, all’inizio bastano dieci minuti; con la pratica, il cambio di stato di coscienza diventa sempre più rapido. È quello che oggi viene chiamato mindfulness, uno stato di quieta presenza che permette di ascoltare più in profondità se stessi e il mondo. In questo ambiente esterno e ambiente interno, entrambi diversi dall’ordinario, diventa più facile porsi quegli interrogativi basilari che spesso rimangono in secondo o terzo piano quando siamo coinvolti nell’agire quotidiano. “Che cosa voglio davvero?” è una domanda importantissima, alla base del libero arbitrio, è la chiave dell’azione responsabile, in cui c’è la consapevolezza di avere la libertà di agire in un modo o in un altro, in cui c’è la responsabilità di valutare le conseguenze di entrambe le possibilità e di scegliere. L’essere umano ha libertà di scelta. Questa è la grande novità sul piano dell’evoluzione rispetto ai nostri fratelli maggiori animali, molto più vincolati di quanto siamo noi alle leggi dell’istinto. Nel bene e nel male, noi siamo liberi di scegliere. È una potenzialità che ci caratterizza, ma la cui padronanza non è ancora molto diffusa. I meccanismi automatici che ci hanno sostenuto nel processo evolutivo – come quello dell’attivazione dello stress, di cui abbiamo parlato poco fa – sono ancora molto potenti in noi e occorre un impegno individuale attivo per sostituire istruzioni automatiche con gesti ponderati, in funzione degli obiettivi desiderati. Naturalmente, occorrono anche la sensibilità e l’etica necessarie per valutare le implicazioni dei propri interventi su altri e altro. Questa è la sfida evolutiva che ci attende al varco. Per procedere in questa direzione, la Natura, soprattutto quando è selvatica, ci è di grande aiuto, perché parla al nostro inconscio, ci ricorda chi

siamo, da dove veniamo. Momenti di solitudine, quiete, meditazione camminata in un ambiente naturale sono pratiche principe per riconnetterci alla nostra identità profonda e a potenzialità ancora da esplorare ed esprimere; diventano momenti fondamentali per compiere, ognuno con il suo ritmo, un percorso di crescita individuale e di specie. La domanda “Che cosa voglio davvero?” ce la possiamo porre decine e decine di volte nell’arco di una giornata. Per esempio, immaginiamo di venir interrotti con una richiesta proprio mentre siamo molto concentrati in un’altra attività; come reagiremo? Qualcuno, in automatico, darà una rispostaccia, e qualcun altro, sempre in automatico, lascerà subito ciò che sta facendo per occuparsi dell’interlocutore… questo dipende dalla storia e dal temperamento di ognuno. Il salto di qualità è avere la capacità di scegliere in quale circostanza posso permettermi di interrompere il mio lavoro, in quale altra è meglio terminare quanto sto facendo prima di dedicarmi a qualcun altro; e, anche qui, avrò la libertà di scegliere se comunicare questa necessità con gentilezza o con irritazione. Tutto dipende dall’aver chiaro “quello che voglio davvero”, in quel momento. L’ORIZZONTE COME COACH Può essere facile rispondere, nelle piccole cose, a questa fatidica domanda che ha però anche connotati più profondi, esistenziali, che richiedono un impegno maggiore per formulare una risposta. Ma, più che la risposta, è interessante la domanda: chiederti “Che cosa voglio… davvero?”, con una profondità crescente, diventa stimolo prezioso a riaggiornare, momento per momento, il senso che dai al tuo essere e al tuo agire. La domanda è più importante della risposta, la domanda promuove allenamento, apertura, esplorazione. La risposta, volta per volta, è già dentro di te, hai bisogno, però, di crearti una situazione di silenzio interiore in cui coglierla. Non siamo abituati a dare credito alla nostra intuizione… Prova invece a partire dal presupposto che “sei tu l’esperto di te stesso” e che nessuno meglio di te può indirizzarti nella direzione opportuna. Per facilitarti le cose, può esserti utile un interlocutore che si faccia portavoce delle tue intenzioni più profonde. Forse ti stupirai nel sentire che un valido coach – un promotore di successi – può essere trovato proprio nella Natura. Dopo aver lasciato le aree urbane, dopo esserti presentato al Genius loci prima di entrare nel suo territorio, dopo un tratto di meditazione camminata, in cui tutta la tua attenzione è stata dedicata al circondario, ecco che puoi chiedere qualche cosa di più a questa Natura ancora così poco conosciuta nelle sue immense potenzialità di interazione con la psiche. Cerca, tra gli elementi che ti circondano, quello che più ti attrae, che ti chiama, che sembra avere qualche cosa da dirti. Poniti accanto a lui/lei, che si tratti di un minuscolo insetto o dell’intera volta stellata, ed esponi la tua domanda. Racconta le diverse cose che vuoi per te, per gli altri, per il mondo; parla a ruota libera, c’è qualcosa in ascolto, ed è un ascolto senza giudizio. Puoi parlare a voce alta, sussurrare, solo immaginare il dialogo, scriverlo o, con la tecnologia di oggi, puoi anche registrarlo sul tuo telefono. Quando hai finito di esporre la domanda a quanto ti sta attorno, ora è il tuo turno di ascoltare e di aprirti all’alterità naturale con cui è iniziato il dialogo. Farai tu il narratore e, prestando la voce all’elemento di Natura a cui ti sei rivolto, lascia che ti arrivi una risposta, un commento, un punto di

vista. Il dialogo può anche proseguire, con botta e risposta. Quando senti che è giunto al termine, ringrazia, saluta e porta a casa il tuo tesoro. Meglio se ti prendi qualche appunto, perché queste esperienze hanno la stessa natura evanescente dei sogni; se hai ricevuto un messaggio che ritieni utile, scrivitelo subito.

L’attenzione può essere ricaricata Un contatto diretto, profondo e goduto, con l’ambiente naturale ci aiuta sicuramente a sintonizzarci sulle attività dell’emisfero destro del cervello – l’immaginazione, l’ideazione, la creatività, l’intuizione –, ma ci predispone anche a vivere meglio e con più efficacia quelle dell’emisfero sinistro: la riflessione, la logica, il calcolo, il ragionamento. Molti avranno già scoperto, per esperienza, che dopo un lavoro impegnativo di tipo mentale c’è un bisogno pressante di staccare e lasciar vagare gli occhi e la mente su qualcosa di completamente diverso. L’attenzione non può essere mantenuta per tempi prolungati con la stessa intensa focalizzazione. Insegnanti, oratori, formatori sanno bene che quaranta minuti è il margine massimo oggi ritenuto ottimale per dare o chiedere attenzione. Dopo questo tempo, la mente si distrae perché interi gruppi di neuroni vanno in sciopero, smettono di funzionare, devono riposarsi; non a caso, il riposo viene considerato attività fondamentale non solo per il benessere personale ma anche per il successo professionale, in tutti i campi.67 La Natura, a partire da studi già citati, si è rivelata un ambito particolarmente efficace per la rigenerazione dell’attenzione e questo apre nuovi campi di sperimentazione sull’importanza di inserire spazi verdi in ambito lavorativo. Pioniere in Italia di questo approccio è stato Adriano Olivetti quando ha costruito le sue fabbriche con ampie vetrate, studiate in modo tale che ogni operaio potesse guardare un albero. Abbiamo visto, nel secondo capitolo, il comprovato beneficio di questa semplice visione. L’effetto rigenerante della presenza di un elemento naturale, per potenziare l’attenzione, è dovuto prima di tutto a un aspetto meccanico: spostando l’attenzione su qualcosa di più lontano rispetto al monitor del computer, al pannello di controllo di una macchina o a un testo scritto, facciamo un leggero stretching della muscolatura oculare. Ma c’è anche un altro effetto, di tipo funzionale: spostando lo sguardo, sollecitiamo l’attivazione di altre parti del cervello e il rilassamento di quelle

precedentemente utilizzate. Una pianta poco lontana, o fuori dalla finestra, diventa così palestra di un’inconsapevole ginnastica dell’attenzione. Il salto di qualità più potente, quando parliamo di rigenerazione dell’attenzione, avviene quando non solo guardiamo qualche cosa, ma quando possiamo spostarci fisicamente all’aperto e immergerci in un ambiente completamente naturale: giardino, bosco, spiaggia, cima di una montagna, cascata, pianura, orizzonte, profondità di una grotta, acqua di lago, fiume, ruscello, mare… Questo essere “avvolti dalla Natura” ci riporta a situazioni antiche, l’attenzione non è più selettiva, ma diffusa, aperta a stimoli provenienti da diverse direzioni, come il cacciatore nella savana, che ascolta il vento per sentire l’ambiente circostante, alla ricerca di cibo, acqua, riparo o anche semplicemente alla curiosa esplorazione del mondo. ESSERE ALTROVE Affinché un ambiente naturale sia rigenerante per la sfera mentale occorre che, oltre a tutti i fattori già esplorati, ci sia anche un senso soggettivo di gradevolezza. L’ambiente in questione deve essere percepito come piacevole: non per tutti la discesa in una grotta è affascinante e la salita di una montagna è entusiasmante, qualcuno si annoierebbe a passeggiare su un lungolago o in pianura, e altri ancora si sentirebbero a disagio in un fitto bosco… Chiediti quali sono gli ambienti naturali in cui ti senti meglio, quelli che ti stimolano, rilassano, ricaricano di energia. Ogni habitat ha un suo effetto psicologico, in parte generalmente condiviso, in parte strettamente soggettivo. Ogni paesaggio ha la sua personalità e, come succede con le altre persone, con qualcuno si crea un’immediata sintonia, con qualcun altro la relazione ha bisogno di un investimento maggiore per poter andare d’accordo. Sono già tanti gli ambienti che, nell’arco della tua vita, ti trovi a frequentare anche se non ti piacciono; almeno nel tempo libero è importante chiarirti quali sono i luoghi, invece, che ti danno benessere e gioia. Sempre parlando di ricarica dell’attenzione, di ripresa dalle fatiche mentali della stagione lavorativa, l’“essere altrove” acquisisce un’importanza fondamentale, è importante staccare. “Vacanza” viene dal termine latino vacare, essere vuoto, libero da impegni, che diventa anche un andare altrove. Chiediti quali sono gli “altrove” in cui ti senti meglio. Esplora quali sono gli spazi naturali che, meglio di altri, rispondono alle tue esigenze, volta per volta, di scarica e di ricarica. Appena trovata una o più risposte, non accontentarti di quella e tieni aggiornato il tuo database interno, programmati un tempo in questo ambiente, verifica la sua efficacia. Una volta riconosciuto che ti è congeniale, fermati e goditi pienamente il suo effetto vivificante!

A caccia di ispirazione In tutti i tempi, per artisti, scienziati e ingegneri, la Natura è stata fonte inesauribile di materiale creativo. Forme, colori, suoni, strategie di sopravvivenza e di evoluzione sono fonti di ispirazione per chi è capace di fermarsi e guardare con attenzione: pittori e poeti, che hanno disegnato e

cantato paesaggi e istantanee del continuo variare e dialogare degli elementi naturali; musicisti che scelgono di uscire all’aperto con il loro strumento per dedicarsi all’improvvisazione; danzatori che si fanno guidare dal fruscio del vento; scrittori che trovano le idee proprio quando smettono di concentrarsi sul foglio e fanno spaziare lo sguardo all’orizzonte; scienziati e professionisti che guardando la Natura trovano la soluzione al problema che stavano affrontando. Leonardo da Vinci ha fatto scuola in questo senso, disegnando le sue macchine volanti facendosi ispirare dal volo degli uccelli; così come, più recentemente, l’ingegnere svizzero Georges de Mestral ha creato il velcro dopo aver esplorato le potenzialità dei fiori di bardana e l’architetto Mick Pearce ha disegnato l’Eastgate Building Centre di Harare, in Zimbabwe, con un sistema di ventilazione in cui ha applicato i principi di raffreddamento e ventilazione dei termitai. Altri hanno messo a punto superfici autopulenti con gli stessi meccanismi delle foglie di loto e adesivi strutturali copiati dal geco, che cammina con passo sicuro anche a testa in giù. In Natura la nostra creatività si attiva proprio perché entrano in gioco funzioni del cervello complementari a quelle della mente razionale; questa sinergia è quella che dà i risultati migliori. Siamo tutti potenzialmente creativi, la scintilla scatta proprio quando c’è un coinvolgimento a tutto tondo della dimensione cognitiva, attenta a quello che c’è, e di quella immaginativa, focalizzata su quello che potrebbe esserci. La creatività non è solo una prerogativa di pochi eletti, non c’è bisogno di essere artisti per avventurarsi in questa direzione. Creatività vuol dire attivare la capacità di “creare” in tutti i campi; implica osare spingersi oltre i confini del consueto ed esplorare bizzarre possibili combinazioni del reale, per inventare anche semplicemente nuove modalità di vestire, mangiare, lavorare, pensare, divertirsi, vivere e amare. Diventare consapevoli delle immense possibilità creative di cui siamo forniti ci permette di realizzare quel salto di qualità a cui siamo chiamati in quanto sapiens da quando siamo diventati autocoscienti: ci aiuta a riconoscere l’ampio potere che abbiamo a disposizione, nel decidere di fare o non fare, andare in una direzione o in un’altra, consapevoli delle implicazioni di ogni scelta. La creatività ha bisogno della precisione e coerenza del riccio e della fantasia e agilità della volpe, per citare il poeta greco Archiloco.68 La creatività è l’antidoto all’automatismo, è quella competenza che può aprire le porte all’arte, il sapiente intreccio di limiti e possibilità, di dato e indefinito,

in cui dialogano tra loro la terra e il cielo, ciò che è qui e ciò che è oltre, il materiale e lo spirituale. DRIZZARE LE ANTENNE La creatività è una competenza connaturata alla nostra specie, è una potenzialità presente in tutti e da sviluppare. È strettamente connessa al libero arbitrio, alla libertà e responsabilità di esplorare nuovi sentieri, in tutti i campi. Non è sempre un processo immediato. Hai presente la lampadina che si accende sulla testa dell’Archimede Pitagorico dei fumetti, con la scritta eureka – in greco antico: “ho trovato” – e il punto esclamativo? Sì, il lampo di genio avviene in un istante, ma solo perché c’è stata prima una preparazione, una ricerca in tutte le direzioni, e un’apertura senza pregiudizio e senza preclusioni verso possibili risultati. Quando cerchi una risposta, un’idea, una soluzione, il modo migliore di lavorarci su è quello di definire bene la domanda, il punto di arrivo desiderato e le tue motivazioni, facendoti un quadro delle possibili direzioni teoriche di ricerca e dei possibili ostacoli, ma senza soffermarti troppo su questi. Qui stai attivando il tuo emisfero sinistro, la logica, la ragione, i piedi per terra. Benissimo! Ora, lascia spaziare la fantasia, e concentrati sul punto di arrivo, immagina di averlo già raggiunto, anche se ancora non sai come, ma senti l’emozione connessa alla soddisfazione di avere già in mano il risultato desiderato. Crogiolatici dentro! E qui stai attivando le funzioni tradizionalmente connesse con il tuo emisfero destro, l’emozione, il desiderio, l’immaginazione. Ottimo! E ora? Ora, lascia da parte tutto questo, non pensarci più, per il momento, ed esci di casa. Vai fuori e cammina. Vai in Natura e goditi l’uscita. Usa quanto abbiamo visto sinora, il saluto al luogo, la meditazione camminata, il silenzio interiore conquistato a poco a poco. La tua ricerca continua in sottofondo, come il programma di un computer che elabora dati anche mentre tu stai facendo qualcos’altro sullo stesso pc; ancora per un po’, affida tutta la questione alla tua mente subconscia, mentre tu ammiri il paesaggio, i fiori, l’orizzonte. Si stanno creando i presupposti affinché i dati precedentemente esaminati trovino una loro collocazione in un nuovo quadro. Da questo punto in poi, drizza le antenne e posa la tua attenzione su qualsivoglia dettaglio ispiratore, proveniente da fuori o da dentro di te. Mantieni un atteggiamento aperto, pronto a cogliere ogni suggestione. La risposta non arriva sempre immediata, potrebbe sopraggiungere nei giorni successivi, anche facendo tutt’altro; intercettando le parole di un dialogo sentito per caso per strada, aprendo un libro su una pagina qualunque o leggendo in altro modo un messaggio pubblicitario. Il processo è attivato, stai all’erta!

Oltre i confini dell’ordinario “Come per una misteriosa risonanza, la spontaneità della Natura che abbiamo di fronte risveglia la spontaneità del nostro essere più vero,”69 scrive lo psicoterapeuta e filosofo Piero Ferrucci. Il suo testo continua con la riflessione che, proprio guardando negli abissi della Natura, ciò che prima pareva familiare diventa alieno, perché non si vede più il proprio concetto della Natura ma la Natura stessa. Allora si spalancano nuove potenzialità

della psiche: “Un’avventura inquietante nel mondo dell’ignoto forse in quello del Sublime”.70 “L’Uomo non ha un corpo distinto dalla sua anima; perché ciò che chiamiamo corpo è la parte dell’anima percepita dai cinque sensi,”71 recita William Blake; Aldous Huxley rafforza questa intuizione e definisce il cervello “valvola riducente”, sostenendo l’ipotesi di Bergson che la funzione del cervello, del sistema nervoso e degli organi di senso sia principalmente eliminativa, per proteggerci dal pericolo di essere sopraffatti e confusi dalla massa di informazioni a disposizione e per selezionare solo quelle che hanno probabilità di essere utili in pratica.72 La realtà è molto più ampia e complessa di quanto siamo in grado di recepire nello stato di coscienza ordinario, ma la Natura ha qualcosa che induce uno stato straordinario, stimola recettori potenzialmente presenti in tutti, per quanto anchilosati, che sentono che c’è molto di più di quanto abbiamo imparato a riconoscere, attorno a noi. Ognuno darà un nome e una lettura diversa a questo sentire, spesso commosso e travolgente, e alla totalità più ampia di cui ci si può sentire parte in queste circostanze speciali. Non a caso templi, santuari e monasteri di tutti i tempi e tradizioni sono spesso ubicati proprio in luoghi di spettacolare bellezza naturale; mindfulness e wilderness hanno molto da dirsi e da darsi reciprocamente. Ora anche l’ecologia sta cominciando ad abbinare la promozione di una mentalità atta alla salvaguardia della Natura con una rinnovata attenzione e apertura alla dimensione spirituale evocata dal mondo naturale. I nostri antenati non erano ingenui e superstiziosi primitivi, avevano semplicemente un sentire meno vincolato del nostro; per loro, la Terra era brulicante non solo di vita ma anche di energie a noi invisibili. Non a caso, nella maggior parte delle università in cui esiste una specializzazione in ecopsicologia, questa è abbinata alla psicologia transpersonale, che studia le esperienze e le facoltà superiori della psiche umana: ispirazione creativa, espansione della coscienza, intuizione, estasi, illuminazione. Il contributo di questa psicologia è quello di aver riconosciuto e affermato che l’accesso alla dimensione spirituale, oltre ai confini della percezione ordinaria, è una potenzialità insita nella natura umana, alla portata di tutti, non solo di santi, martiri ed eroi. Religioni, credenze, culti sono le forme con cui ognuno trova più opportuno rivestire e rendere comunicabile l’esperienza di quel qualcosa in più che dà alla nostra vita un senso più alto.

Tante sono le diverse vie per salire sulla montagna, ma la cima è una ed è la stessa per tutti. Davanti a un cielo stellato, a un mare in burrasca, a una foresta sterminata, è facile provare una profonda commozione e può succedere di sentire in sé un atteggiamento di profonda compartecipazione con tutto ciò che esiste. Un’esperienza spesso breve, improvvisa e toccante, che Maslow definisce “esperienza delle vette” paragonandola a un viaggio in elicottero sulla cima di una montagna che, per sua natura, è di breve durata e si conclude necessariamente con un ritorno a valle, lasciando una forte nostalgia per i più vasti spazi intravisti e la voglia di intraprendere con le proprie forze la scalata della montagna.73 Viviamo decine e decine di queste esperienze nell’arco della nostra vita, ma non avendo le parole per definirle, le archiviamo semplicemente come momenti particolarmente piacevoli. Sono anche qualche cosa di più, sono scossoni alla visione ordinaria e limitata con cui procediamo nella quotidianità, in cui intravediamo altri orizzonti, altre possibili letture della nostra esistenza, non più percepita come isolata e banale, ma come parte di una ben più ampia coreografia in cui la nostra identità assume importanza e centralità, come la singola perla di una collana o il nodo di un tappeto, senza i quali il quadro d’insieme non sarebbe perfetto. ESPERIENZE DELLE VETTE Ripensa all’ultima volta in cui sei rimasto estasiato davvero da qualcosa, in cui ti sei fermato ad assaporare un sentire che oltrepassava l’utilitarismo generalizzato che guida i gesti di ogni giorno. E non deve necessariamente trattarsi della contemplazione del Grand Canyon o di una delle sette cascate sacre delle Hawaii: la quotidianità offre innumerevoli piccole e grandi esperienze delle vette. Può essere l’allegro fischiettare del merlo, la primula che si apre fiduciosa nel cuore di febbraio, il sorriso di un bimbo, l’insondabile profondità dello sguardo di un gatto… se sei lì per coglierlo, la tua vita ordinaria si rivela intessuta di straordinario. E se fai una rassegna di tutte queste esperienze, noterai che la maggior parte è avvenuta in Natura o in risposta a uno stimolo proveniente dall’ambiente. Le esperienze delle vette sono visioni fugaci oltre i limiti imposti dalla nostra stessa struttura psichica: boccate di ossigeno che ci consentono di reggere la limitatezza della nostra condizione, forti della consapevolezza che, anche quando non lo vediamo… c’è il sole oltre le nuvole. Se vuoi coltivare questo sentire, se vuoi offrirti l’opportunità di andare, anche per pochi istanti, minuti, ore, oltre i confini della percezione ordinaria, cercati situazioni in Natura, Natura selvatica; spegni il telefono e assapora l’esperienza in totale apertura. La qualità e l’intensità di quello che avrai vissuto si riconosceranno dal fatto che, tornando a valle, saprai riconoscere quanto la cosiddetta vita ordinaria sia in realtà… straordinaria e il tuo agire sarà trasformato dall’aver sentito, forse anche solo per pochi istanti, che siamo davvero tutti parte di un’unica realtà, “come foglie di uno stesso albero”. Un concetto spesso associato alla tradizione orientale, questo, ma attribuito anche a Seneca, in un’incisione su pietra nel Parco Giardino Sigurtà, a Valeggio sul Mincio,

Verona: “La terra è un solo paese / siamo onde dello stesso mare / foglie dello stesso albero / fiori dello stesso giardino”.

A scuola di progettualità In Natura il ciclo di trasformazione è continuo. Gli ecosistemi sono sistemi complessi, composti da organismi, viventi e non viventi, che si relazionano tra loro, ognuno spinto dalle sue necessità e dalle sue caratteristiche. In questa interazione si creano equilibri dinamici e reti collaborative che durano per un certo periodo e poi, per effetto di innumerevoli fattori – meteorologici, geologici ed elementi esterni –, si trasformano e ricreano nuovi equilibri; questo accade, senza sosta, con cicli più o meno lunghi, dal nostro punto di vista umano. Il bosco di Ogigia a Roma è un caso facilmente osservabile, che racconta della dinamicità degli ecosistemi: con la sabbia depositata dalle piene del Tevere e i primi detriti vegetali accumulatisi lungo la riva, si sono create, nell’arco di pochi decenni, le condizioni per la nascita di un vero e proprio boschetto. Le foglie dei primi alberi arrivati, con la collaborazione di insetti e batteri, hanno creato terreno fertile per una tipologia di piante via via sempre più variegata; piccoli mammiferi, uccelli, rettili e anfibi sono venuti a popolare questo ecosistema che spontaneamente si è appropriato di un margine di città; siamo infatti a Roma, all’altezza di Lungotevere delle Navi, a due passi da piazza del Popolo. Dopo una frana, un’eruzione vulcanica o un incendio, le prime piante, cosiddette “piante pioniere”, che riescono a insediarsi sono le betulle, perché si adattano anche a suoli poco profondi e poveri di sostanze nutritive. Con la loro stessa presenza, queste piante modificano il terreno rendendolo pronto per querce e conifere, specie più esigenti che si insedieranno successivamente. Nulla rimane fisso e immutabile nell’ambiente naturale, ogni azione porta con sé conseguenze e successive trasformazioni. Complessità, interazione, flusso, ciclo, equilibrio dinamico, evoluzione continua sono concetti propri dell’ecologia che ben si adattano a descrivere anche fenomeni e processi sul piano psicologico e sociale. Diventano termini e concetti adatti per cogliere e descrivere la dimensione relazionale tra le persone e a monitorare l’efficacia di piccoli e grandi gesti della vita quotidiana, con la consapevolezza che ogni gesto e ogni parola ha un impatto… sull’ecosistema. Il giocatore di biliardo, che colpisce una palla per

farne spostare un’altra, è come il contadino che pianta il trifoglio per preparare il terreno alla coltivazione del grano l’anno successivo. Ogni nostra azione crea ponti o chiude porte, porta con sé implicazioni desiderate o evitabili con solo un pizzico di attenzione in più. La Natura non funziona per eventi, ma per processi, uno spunto utilissimo da ricordare anche nella nostra vita: tutto si trasforma, nulla è stabile all’infinito e un piccolo gesto può avere grandissime implicazioni! LA NATURA COME MAESTRA Questi processi ispirati all’ecologia possono fare da guida nell’accompagnarti a realizzare i tuoi obiettivi. È quello che fa il “green coaching”, che arricchisce le pratiche consuete della professione emergente del coaching – l’arte della valorizzazione dei punti di forza e dell’autorealizzazione – con mappe e metafore dal mondo della Natura per facilitare anche il tuo processo di crescita personale da ego a eco, da seme a frutto. Il coaching parte dal presupposto che i consigli e le risposte necessarie sono già potenzialmente dentro di te; facilita quindi l’attivazione concreta verso i tuoi obiettivi, con domande volte a risvegliare riflessioni generative di idee e spinte all’azione. Vuoi sperimentare? Pensa a un obiettivo che hai a cuore in questo momento. Non importa se grande o piccolo, deve essere un obiettivo concreto e ben definito, anche in termini temporali. Per esempio, voglio imparare almeno duecento nuove parole di inglese entro i prossimi sei mesi; voglio superare il prossimo esame all’università entro la fine dell’anno; voglio imparare a cucinare almeno tre dolci nuovi prima del mio prossimo compleanno… E deve essere un obiettivo che senti come significativo e, in base al buon senso, potenzialmente raggiungibile. Una volta definito, prova a esplorarne le implicazioni future con la Mappa Green.74 Green diventa acronimo di cinque domande, che accompagnano a una riflessione inusuale. Going to: “In quale direzione ti porta la realizzazione del tuo obiettivo? Quali nuovi orizzonti si dischiuderanno?”. Torniamo all’esempio delle duecento parole di inglese: ti permetteranno, magari, di organizzarti una vacanza in Irlanda, se era questa la tua motivazione di partenza. Reconnect: “Con quali realtà, esterne e interne, ti permette di riconnetterti?”. Il raggiungimento del tuo obiettivo ti consentirà, per esempio, di interagire con persone, anche di altri paesi, che incontrerai nel tuo viaggio. Energy: “A quali fonti di energia puoi attingere per raggiungerlo e quale energia in più avrai dopo?”. Puoi trovare la carica giusta attingendo alla simpatia che hai provato per i primi irlandesi conosciuti in Italia e avrai la soddisfazione di poter meglio interagire con chi parla inglese. Ecology: “Quale impatto ha questo successo sul tuo ambiente di appartenenza? Che cosa cambia attorno a te?”. Forse, aumenterà la considerazione nei tuoi confronti, sapendo che hai fatto un viaggio, gestito in autonomia, all’estero. New: “Che cosa sta emergendo di nuovo in te? In che modo il raggiungimento di questo tuo obiettivo facilita il tuo esprimerti pienamente nel mondo?”. Sicuramente una nuova sicurezza, una più salda autostima, entrambe utili alla tua autorealizzazione. Il green coaching è l’arte di accompagnare il pensiero oltre il presente gettando l’amo verso un futuro possibile. Con questo rinforzo, si consolida la consapevolezza del tuo potere d’azione sul mondo in un’ottica ecosistemica e diventa più facile dirigerti verso la meta desiderata: quello che tu vuoi e puoi diventare… lo vuole anche la vita. Perché, sulla Terra, c’è bisogno di te, di quello che sei e, soprattutto, di quello che puoi diventare una volta che attivi talenti e potenzialità che ti contraddistinguono: i semi non vanno tenuti nel cassetto, ma piantati e accuditi, affinché

manifestino le loro potenzialità e, nel tempo necessario, diventino piante vigorose, fiori splendidi e frutti nutrienti. 63

Giuseppe Barbiero, Ecologia affettiva, Mondadori, Milano 2017, pp. 92-96.

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Marcella Danon, Il potere del riposo, cit., cap. 4: “Cosa ne dice la natura”, p. 66.

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Il loglio, o Lolium temulentum, è una pianta spontanea e infestante nei campi di grano, con alto potere intossicante. 66 Si chiamano “professionisti della relazione di aiuto”. Può essere uno psicoterapeuta, uno psicologo, un counselor o un coach, a seconda della profondità di lavoro ricercata e dell’obiettivo desiderato. L’importante è che si tratti di una persona sentita come accogliente, comprensiva e competente nel suo specifico campo d’azione, che ci abbia confermato la sua appartenenza all’albo professionale o all’associazione di categoria relativi alla sua professione, come garanzia di serietà e preparazione. Nello scegliere un professionista con il quale fare un percorso, piccolo o grande, di crescita personale, è importante coinvolgere testa, con raccolta di informazioni e referenze; cuore, prestando attenzione a quanto ci sentiamo a nostro agio; e corpo, per aggiungere anche un “sentire di pelle” ai fattori che porteranno alla decisione di intraprendere un lavoro proprio con “quel” professionista. 67 Marcella Danon, Il potere del riposo, cit., p. 60. 68

“La volpe sa molte cose, il riccio ne sa una grande.” Un verso sibillino al quale lo scrittore Isaiah Berlin ha dato un’originale lettura, per cui i ricci fanno riferimento a un sistema coerente di pensiero e di azione e le volpi operano invece su diversi livelli contemporaneamente, vivendo una grande varietà di esperienze, senza forzarle in una visione unitaria (Isaiah Berlin, Il riccio e la volpe e altri saggi, Adelphi, Milano 1998). 69 Piero Ferrucci, Esperienze delle vette, Astrolabio, Roma 1989, p. 35. 70

Ivi, p. 39.

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“Man has no Body distinct from his Soul; for that call’d Body is a portion of Soul discern’d by the five Senses”: William Blake, The marriage of Heaven and Hell, The Trianon Press, Paris 1975, p. XVI. 72 Aldous Huxley, Le porte della percezione, Oscar Mondadori, Milano 1980. 73

Marcella Danon, Ecopsicologia. Crescita personale e coscienza ambientale, Urra-Apogeo, Milano 1996, p. 52. 74 La Mappa Green è stata elaborata da Daniela Ferdeghini, formatrice, coach ed ecotuner, nell’ambito della creazione di un percorso formativo di Ecopsiché – Scuola di Ecopsicologia, in cui coaching ed ecopsicologia si incontrano e si potenziano reciprocamente.

5.

Natura per tutti i gusti

Dopo lo straordinario, è il momento di valorizzare la magia dell’ordinario. C’è posto per la Natura in ogni singolo istante della nostra esistenza, cittadina o campagnola che sia. Possiamo intessere la nostra vita quotidiana di rimandi alla Natura: cura di animali e piante, immagini di elementi naturali nelle nostre case, interessi in ambito ecologico, impegno ambientalista, momenti di pienezza vissuti all’aperto. Il plein air75 è la nostra dimensione di origine, è quella in cui ritroviamo un piacere, sinora definito in termini di benessere fisico e psicologico, a cui si aggiunge anche la gradevole risonanza, al di sotto della soglia della coscienza, del sentirsi parte di questo ecosistema vivente. Possiamo fare il pieno di Natura anche vivendo in città. Il potere rigenerante, vitalizzante, rilassante e ispirante della Natura non richiede di vivere nel cuore di un bosco o sulla cima di una montagna per 365 giorni all’anno. Basta inserire nella quotidianità momenti all’aperto, opportunità frequenti e periodiche di evasione dall’habitat urbano, una maggior sensibilità nei confronti della tanta Natura che ci circonda anche in città e che possiamo portarci anche in casa. La Natura, per farci bene, deve prima di tutto essere portata dentro di noi, nell’idea che abbiamo di noi stessi come partecipanti e non come conquistatori del mondo. È questo cambiamento di consapevolezza che porta con sé tutta una serie di azioni virtuose dettate non più dal senso del dovere o dal solo rispetto delle leggi, ma da sincero interesse e impegno nei confronti dell’ambiente. La Natura ci aiuta a stare bene, a metterci più autenticamente in contatto con noi

stessi, e questo fa emergere la spinta ad agire per la sua – che è poi la nostra – salvaguardia. Ci sono molti modi di coinvolgere e vivere appieno questo importante e necessario contatto con la Natura. Ne vedremo insieme alcuni, tratti dagli eserciziari di ecotuning, educazione ambientale, scout, pratiche sciamaniche, mindfulness e crescita personale. Non sono gli unici, sono solo l’inizio di tutta una serie di proposte che qualcuno ha scoperto funzionare per sé e di altre, ancora da scoprire o da inventare. Non c’è fine ai modi con cui possiamo vivere, giocare e star bene in Natura… siamo qui per questo.

Natura in solitaria In Natura non siamo mai soli. Siamo circondati da piante e animali, siamo avvolti in un ecosistema vibrante di vita, che ci permette la preziosità di una profonda connessione con noi stessi, senza per questo farci sentire isolati dal resto del mondo. Il distacco che cerchiamo, e troviamo, andando in un ambiente selvatico in solitaria è infatti quello dalla quotidianità, dalle occupazioni e preoccupazioni di tutti i giorni, dal peso mentale di pensieri, riflessioni, giudizi, che finiscono col fare da filtro alla percezione piena e goduta di tutto quanto i nostri cinque sensi ci permettono di cogliere. Nel movimento e nello sforzo, che eventualmente facciamo – su un sentiero, in arrampicata, nuotata o immersione –, scarichiamo adrenalina, emozioni, tensioni. E lo facciamo a nostra misura, potendo scegliere l’intensità dell’impegno a cui vogliamo e possiamo sottoporre il nostro corpo; un’occasione importante, in uno stile di vita in cui dobbiamo spesso andare a ritmi dettati da altri o da altro. Andare in Natura in solitaria, senza la distrazione di una conversazione a parole, lascia più spazio al contatto con se stessi, permette di passare in rassegna azioni e frasi dette o ricevute, decisioni prese o da confermare, facilita una visione a tutto tondo dei problemi: la vista più ampia all’orizzonte facilita un ampliamento corrispondente anche nella dimensione interiore. Meredith Little, conduttrice per trent’anni di vision quest nel deserto della California, sottolinea gli effetti potenti di un contatto intenso con la Natura finalizzato all’introspezione: “La mia anima anela a ricordare chi sono davvero, a fare di me qualcosa di compatibile con ciò che sono venuto qui a fare, a sincronizzare ciò che sono con ciò che sarò”.76

Molti sono i vantaggi di un periodico investimento di tempo nello stare da soli nell’ambiente naturale, scegliendo, ovviamente, luoghi e percorsi graditi e adatti alla propria preparazione. Abbiamo la fortuna, qui in Italia, di poterci permettere momenti in Natura in solitaria senza dover temere per la nostra incolumità a causa di situazioni pericolose, come avviene in molti paesi martoriati da guerre e conflitti. Godiamoci quindi questo lusso, cercando di trarne il massimo beneficio possibile. RICERCA DELLA VISIONE Vision quest è un’espressione usata per definire una pratica diffusa in molte tradizioni native, soprattutto nel Nord e Sud America, sia come rito di passaggio, dall’adolescenza all’età adulta, sia per rispondere al bisogno di ispirazione necessaria in occasione di una scelta importante. Ci sono molti modi di attuare una vision quest, “ricerca della visione”, in Natura, e tu ti puoi disegnare la combinazione adatta a te. I suoi elementi di base sono: solitudine, digiuno, esposizione agli elementi e fiducia in se stessi. Il perché della solitudine, lo abbiamo appena esplorato insieme. Il digiuno ti permette di muoverti leggero, di affinare i sensi, di fare il vuoto dentro per poter accogliere qualche cosa di nuovo. Sta a te scegliere come attuarlo; può voler dire portare solo il minimo indispensabile per non avere un calo di zuccheri, scegliere di stare semplicemente leggero col cibo, o sperimentare un giorno di digiuno vero e proprio, pratica diffusa in quasi tutte le culture e sicuramente – per chi non ha patologie particolari – disintossicante e salutare. L’esposizione agli elementi vuol dire accogliere ciò che arriva, senza… imprecare per il troppo caldo, freddo, pioggia o vento; vuol dire predisporti a un atteggiamento di accettazione di ciò che accade e alla lettura simbolica degli eventi, in collegamento alla tua ricerca specifica. La fiducia in te stesso, in te stessa, è il cardine di questa pratica: il fatto che tu scelga di vivere questa esperienza rafforza il tuo senso di autoefficacia; nel dare tu un significato a quanto succede, rafforzi la consapevolezza del potere che hai nei confronti degli eventi, alleni la resilienza, risvegli e alleni la tua volontà attiva. Dedica questo momento a un tuo obiettivo specifico, chiarisciti bene che cosa vuoi trovare o capire e poi… stai in apertura, fai il vuoto e ascolta, dentro e fuori; sono queste le azioni di base di una ricerca della visione. Puoi camminare o scegliere di fermarti in un luogo che senti per te speciale; puoi scrivere, meditare o contemplare; puoi star fuori, con il tuo obiettivo ben chiaro, un’ora, mezza giornata, più giorni… Il regista dell’evento sei tu e sei tu che devi provvedere, con buon senso, all’organizzazione e all’attrezzatura necessaria per la tua ricerca: scarpe, abbigliamento, zaino, mappe… oppure no, tenda, rifugio ecc. Senza trascurare un accorgimento importante in ogni impresa in solitaria: avvisa qualcuno del percorso, indicativo, che intendi fare e del tempo che prevedi di stare fuori. E la risposta? A volte arriva subito, a volte richiede un’elaborazione più lunga e giunge in un secondo momento, in sogno, in una situazione rilassata o a un segnale apparentemente casuale dal mondo esterno, a volte, quando meno te lo aspetti. Non delude mai.

Natura in coppia C’è un fascino speciale nell’abbinare una love story a un’uscita all’aperto. Diventa un’opportunità per conoscersi meglio, per sperimentarsi in situazioni fuori dall’ordinario, per approfondire intimità e complicità. Il rigoglio della

Natura evoca la straripante estrosità di Eros, “quella potenza in noi che fa desiderare la totalità, quell’impulso… a integrare ciò che altrimenti tenderebbe a disintegrarsi”: così Rollo May, importante esponente della psicologia esistenziale, definisce questa forza unificante per eccellenza. Eros è anche sensualità, capacità di vivere pienamente e di apprezzare tutto ciò che la vita ci offre mantenendo allo stesso tempo la connessione con la dimensione più impalpabile e inafferrabile dell’esistenza, quella che alcuni definiscono spirituale. La Natura è questo, vitalità sfrenata, sessualità gioiosa, mistero avvolgente… è un bell’habitat per consolidare una relazione di coppia. Procedere insieme all’aperto può permettere di scoprire tante cose, una nuova qualità di dialogo, per esempio, un dialogo al di là delle parole, che si rinnova e si consolida… nel silenzio. Ci sono diversi tipi di silenzio. Quello di riflessione, quello di imbarazzo e quello di pienezza. L’andare in Natura insegna a coltivare il silenzio come nuova forma di comunicazione. Quando entrambi siamo immersi in uno stato di green mindfulness, di totale apertura e percezione nei confronti del circondario, basta un gesto, un sorriso, un lieve cenno degli occhi, per comunicarci una scoperta, un dettaglio curioso, senza comunque interrompere lo stato di meditazione camminata che sta avvolgendo entrambi. È un allenamento, questo, che si rivelerà utilissimo anche tra le quattro mura di casa, in cui si potrà scoprire e rafforzare la stessa connessione al di là delle parole, preziosa opportunità e ricarica per ogni relazione di coppia. Insieme, la Natura può anche offrire uno scenario adatto al gioco, per uscire dai limiti di una visione stereotipata e seriosa della coppia e ritrovare la capacità di vivere insieme momenti di coinvolgente entusiasmo e divertimento. Esploriamo insieme una di queste possibilità. RISVEGLIARE I SENSI Questa volta siete in due e volete sperimentarvi insieme in un’attività giocosa all’aperto che vi arricchisca anche come coppia. In un ambiente naturale abbastanza pianeggiante, che conoscete o che non comporta particolari rischi, potete scegliere di condurvi reciprocamente in un percorso sensoriale bendato. Gli occhi spesso monopolizzano l’attenzione, e questo è un gioco che permette di porre in primo piano segnali che solo gli altri sensi possono cogliere, stimolando così la ricettività, l’attenzione e il senso del piacere. Ci sono due ruoli, che vi scambierete nell’arco dell’attività. Uno è l’esploratore e sarà bendato, l’altro è la guida e avrà la responsabilità della sicurezza, prima di tutto, e della qualità dell’esperienza del partner. L’esploratore sceglie come vuole essere accompagnato: tenuto per mano, a braccetto, sfiorato con un dito o lasciato in autonomia. La guida, senza parlare, porta l’esploratore verso elementi naturali interessanti da toccare, annusare, assaggiare, facendo capire solo con tocco gentile la sua proposta e lasciando all’esploratore la scelta del ritmo con cui

procedere. Allo scadere del tempo convenuto – per una prima volta, dieci minuti è un tempo ottimale – i ruoli si invertono. Importante, successivamente, il momento della condivisione, in un clima di ascolto e non giudizio. È semplicemente un raccontarsi “come è stato per me, cosa mi è piaciuto di più, cosa mi ha colpito dell’esperienza”; e, anche, “come è stato per me guidare e come è stato essere guidato”. Il gioco è, infatti, allo stesso tempo, un esercizio sulla fiducia, che permette di fare il punto su quanto ognuno di voi ami procedere con una guida e quanto in autonomia. Preziose riflessioni e condivisioni che potrete poi riportare e valorizzare nell’ambito della quotidianità vissuta insieme. Naturalmente, è anche un bel gioco da fare tra amici e con i figli.

Natura in compagnia Gite in montagna, scampagnate, picnic… molte sono le occasioni da coltivare per vivere insieme momenti all’aperto e beneficiare, oltre che del piacere della compagnia, anche di quello che l’ambiente naturale induce, anche solo semplicemente frequentandolo per svago. Molti giochi tradizionali si prestano a essere svolti e gustati all’aperto e, pur nella loro ingenua semplicità, conservano sempre e comunque un gusto piacevole: nascondino, guardia e ladri, bandiera, quattro cantoni… giochi forse ancora legati a generazioni di parecchi anni fa, ma pur con nomi diversi non sono mai mancate proposte su cosa fare insieme in un prato. A quelli tradizionali si affiancano giochi nuovi, come quello dell’orienteering, che invita a decifrare una mappa topografica al fine di rintracciare “lanterne” nascoste in punti segnati sulla mappa; e come i parchi avventura, che ripropongono attività tradizionali degli scout e di tutte le generazioni cresciute liberamente a stretto contatto con gli alberi, i corsi d’acqua e gli animali. Un’attività preziosa, oggi sempre più rara da vivere, è… la notte; il confronto con il buio, con il cielo stellato, e l’ascolto dei rumori del bosco, del campo o della montagna, assaporati in una situazione tranquilla. Il cerchio attorno al fuoco, con la preparazione del cibo, una bevanda che gira, un canto in compagnia e la condivisione di racconti, rappresenta sempre una situazione di forte richiamo e fascino; è stata la nostra principale attività, a fine giornata, per decine di migliaia di anni: punto di incontro, di scambio, di relax. Un’esperienza preziosa che oggi non è sempre facile da vivere, occorre un luogo in cui sia possibile accendere un fuoco in sicurezza, ci vuole chi sappia curarlo in tutte le sue fasi e poi spegnerlo; ma vale la pena attrezzarsi per poterla vivere. Un altro invito, per godere della Natura in compagnia, arriva dal presidente Sandro Pertini, espresso in una delle sue ultime interviste in

cui gli era stato chiesto un messaggio per le giovani generazioni: “Vivete l’esperienza dell’alba!”. IL BRUCO UBRIACO Ciò che vediamo e notiamo, durante un momento vissuto all’aperto, dipende più dalle nostre abitudini e dalla nostra peculiare sensibilità, che non da quello che effettivamente ci circonda. Potrai ampliare la tua attenzione nei confronti del circondario con un semplice gioco da fare in gruppo: fate una fila indiana in cui il primo della fila, la “testa del bruco”, guida il gruppo all’esplorazione dell’ambiente, secondo la sua sensibilità. Sceglie il ritmo, il passo, le azioni, i suoni, il percorso e tutto quello che gli viene in mente di fare… e far fare, perché il resto del bruco gli viene dietro imitandolo e godendosi l’esperienza. Ogni turno dura un paio di minuti o anche di più, a scelta. Quando la guida si sente soddisfatta del suo operato, abbandona il primo posto e si mette in coda, lasciando al partecipante successivo il ruolo di “testa del bruco”. E così fino a quando ognuno avrà avuto un suo momento da guida. È un’attività leggera, allegra e giocosa che accompagna a conoscere un ambiente nuovo o a salutarlo a fine giornata. I bambini la apprezzano particolarmente, ma anche per gli adulti può essere un momento fuori dall’ordinario, in cui sperimentare e condividere sensazioni nuove in Natura.

Natura in famiglia e con bambini Oggi più che mai è importante accompagnare sin da piccoli i nostri figli a sentirsi sicuri e a proprio agio nella Natura, a prendere dimestichezza con i diversi elementi dell’ambiente, a manifestare interesse e comportarsi con rispetto nei confronti di piante e animali, sapendo anche quali poter coccolare e quali lasciar andare per la loro strada senza dare troppa confidenza. Al bando i diktat che bloccano lo spontaneo manifestarsi della biofilia: “non correre, non saltare, non sporcarti, non toccare…” sono atteggiamenti di adulti che, a loro volta, hanno scarsa dimestichezza con l’ambiente naturale e che non si rendono conto di privare così i propri figli di esperienze preziose. Così, si creano soltanto i presupposti per problematiche e disagi che emergono quando l’ambiente viene sentito come estraneo, sconosciuto, pericoloso. Giocare con la terra e con l’acqua, con la neve e anche con il fango – anche a costo di dover fare una lavatrice in più – offre un’importante fonte di apprendimento, nonché di divertimento. Quello che si impara è a non aver paura di entrare in relazione con il mondo anche quando non è tutto liscio, disinfettato e prevedibile. L’invito diventa, allora, quello di lasciarsi guidare dai figli e di accompagnarli nelle esplorazioni accettando le loro regole del gioco. Si coglierà così una buona occasione per tornare a propria volta un po’ bambini

e ritrovare quella magica capacità di meravigliarsi che permette di cogliere la vita nel suo divenire. I bambini sono “Maestri di Natura”. Emersi da poco dal mistero dell’universo, ancora ricordano il linguaggio comune a tutte le forme. Se vogliamo avvicinarli alla Natura, dobbiamo soltanto lasciare loro campo libero, offrire loro l’opportunità di stare nell’ambiente naturale senza altro vincolo o dovere che esplorare e sperimentarsi. Bastano pochi spunti e sapranno notare anche i dettagli più piccoli, dialogare con sassi e ranocchie, trovare somiglianza tra le colorate corazze degli insetti e le armature dei loro supereroi, sino a… scoprire il passaggio segreto per il regno delle fate e degli elfi. Sono questi piccoli e grandi incontri che offrono l’opportunità di consolidare quell’amore per la vita indispensabile per disegnare un futuro a misura di esseri viventi e non di macchine! GRILLI IN MONGOLFIERA Ecco una tra le innumerevoli diverse possibili attività da svolgere all’aperto con i bambini. Prendi spunto, aggiungi, togli, cambia quello che vuoi… lascia che l’attività proposta si trasformi giocosamente anche in qualcosa di diverso, con l’obiettivo primario di consolidare legami di fiducia e amore tra te e i tuoi figli, tra te e i tuoi allievi, tra te e il tuo gruppo scout… e di attivare in loro fiducia e amore nei confronti della Natura. Se ami narrare storie e creare atmosfere di suspense e aspettativa, ricama a tuo piacimento la trama: un’astronave proveniente da un altro sistema solare sta girando l’universo alla ricerca di una nuova casa per la sua pacifica tribù il cui pianeta è stato inghiottito da un buco nero. Arrivando in prossimità della Terra, una delegazione di esploratori viene inviata sul nostro pianeta per verificare se ci sono le condizioni adatte per un insediamento. Anche tu e tutti i bimbi che sono con te fate parte di questa spedizione, siete voi che, aperti i portelli dell’astronave, state scendendo verso la superficie… in mongolfiera. Siete alti pochi centimetri, le stesse dimensioni di un grillo, e scendendo dolcemente avete la visione di tutto il paesaggio circostante, come se davvero vedeste tutto da diverse centinaia di metri di altezza. Ogni ciuffo d’erba è un cespuglio di giunchi, ogni formica è grande quanto una mucca, ogni sasso diventa una montagna e ogni fessura una caverna. Procedete inizialmente insieme, in stormo, e poi ognuno cerca di individuare una possibile base di appoggio, in cui creare un primo rifugio adatto alla prima permanenza sul pianeta Terra e a mettere al riparo la mongolfiera. Il gioco procede con l’individuazione, prima, e la costruzione, poi, di questo rifugio, per, più o meno, dieciquindici minuti. Quando tutti hanno creato una base, l’équipe degli esploratori si riunisce e procede al giro di tutte le diverse soluzioni trovate e ognuno illustra le motivazioni e le peculiarità della sua base. Questo è un gioco che permette di entrare nel regno di tutte quelle piccole cose che strisciano, saltano, zampettano e volano, che potrai osservare dall’alto come se vedessi belve in un’arena grande quanto il Colosseo. Noterai, e farai notare, la bellezza e la magia delle piccole cose, aiutando a consolidare competenze di attenzione ai dettagli e anche di flessibilità percettiva, utili come base sia per la creatività che per la resilienza.

Natura in città La Natura non è solo nei parchi e in orizzonti lontani, la Natura è tutto il mondo in cui viviamo e le stesse nostre città sono soltanto sottili pellicole di cemento e asfalto sopra a territori immensi, in altezza e in profondità, in cui vivono e proliferano molte più piante e animali di quanto siamo normalmente abituati a pensare. Viali alberati, parchi, aiuole fiorite, piazze attorno ad alberi monumentali, corsi d’acqua, rive di fiumi, spiagge, ampi prati sono parte integrante di molte delle città più antiche. La maggior parte delle città europee sono costruite attorno a un fiume o hanno saputo mantenere viva la presenza vegetale nel proprio corpo cittadino. Solo le città più recenti e cosiddette moderne hanno dimenticato l’importanza della presenza della Natura per l’esistenza umana e non l’hanno prevista nella loro pianificazione se non marginalmente. La vegetazione spontanea si è imposta comunque, giacché in ogni crepa si annida facilmente un germoglio e, se gli viene permesso di crescere, ci sorprenderà pure andando in fiore. È recente il cambiamento di mentalità e direzione, nell’urbanistica contemporanea, che ridisegna gli spazi urbani inserendo sempre più elementi di Natura, sia nella dimensione verticale – si pensi al grattacielo Bosco verticale, vicino alla Stazione Garibaldi a Milano77 – sia in quella orizzontale, reinserendo aree verdi e viali alberati, riconosciuti come elementi benefici per la qualità della vita. Perché non inserire, nel proprio calendario del tempo libero, o nei trasferimenti da una parte all’altra della città, momenti di passeggiata cittadina dedicati a cogliere e sottolineare proprio la presenza della dimensione selvatica anche nella realtà urbana in cui abitualmente viviamo? I risultati di questa esplorazione potrebbero sorprenderci molto favorevolmente; se amiamo circondarci di Natura, potremmo scoprire che, anche in città, non ne siamo poi così lontani. La Natura è sempre più vicina a noi di quanto normalmente pensiamo, giacché… noi stessi ne siamo parte integrante. Essere a contatto con la Natura è uno stato di coscienza prima ancora che uno stato soltanto fisico. Se consideriamo la dimensione cittadina, simbolicamente, espressione della parte più razionale e culturale dell’essere umano, gli spazi aperti e incontaminati ne rappresentano la componente più intuitiva, emotiva e sensuale. Valorizzando ed esprimendo anche questi aspetti, nella nostra vita di ogni giorno, saremo sempre vicini alla Natura.

SELVATICITÀ CASALINGA Per mantenere un senso di intimità e interazione con la dimensione selvatica anche nella quotidianità cittadina, puoi prolungare il piacere che provi all’aperto riproponendo anche in casa tua spazi e tempi dedicati a tutto ciò che ti incanta e rigenera all’aperto; puoi creare una continuità tra l’ambiente naturale e quello casalingo arricchendo di elementi evocatori di bellezza i tuoi spazi personali. Il giardino di sassi è la forma più semplice, poco impegnativa da mantenere, per dare uno spazio in casa al mondo selvatico. Le montagne hanno centinaia di migliaia di anni e nella roccia è scolpita la storia di ere geologiche, del lento sedimentarsi di fondali marini, di improvvise eruzioni vulcaniche, di forze tremende che hanno piegato o compresso la materia sino a cambiarne la consistenza. Un sasso è molto più che “solo un sasso”, è un documento scritto in codice che racconta una lunga storia, in cui hanno un ruolo anche acqua, vento, sole e organismi viventi. Creare un angolo in casa con un vassoio o un vaso in cui trovano posto pietre raccolte in diverse occasioni – magari con un bigliettino che indica la località – diventa un modo di ricordarti e far ricordare che il mondo è vivo e parla, basta imparare ad ascoltarne le storie. Fiori e piante sono esseri viventi, che danno un tocco ancora più potente ed efficace alla memoria e alla consapevolezza ecologica. Come noi, hanno bisogno di luce, acqua e nutrimento. E anche di amore e cura, che ripagano abbondantemente dando all’ambiente casalingo un tocco di calore e vitalità e un ricambio di ossigeno che nessun altro gingillo, per quanto prezioso, potrebbe eguagliare. Se vuoi fare un passo ancora più impegnativo e, in proporzione, più gratificante e arricchente nel far entrare la Natura selvatica in casa tua, accogli nel tuo stile di vita un animale, uno dei nostri compagni di vita sin dagli albori. Gli animali sono i nostri fratelli maggiori, sono sulla Terra da più tempo di noi, ma ancora ci guardano con fiducia e ammirazione. Imparare a prenderti cura di un animale domestico vuol dire aprirti alla consapevolezza che non ci siamo soltanto noi umani sul pianeta, che esistono altre creature con altre forme, altri linguaggi, altre necessità, che sono innegabilmente dotate di sensibilità, capacità di sentire, amare e ricambiare l’affetto ricevuto. Gli animali diventano, così, maestri di rispetto della diversità, insegnano la responsabilità, la costanza, l’empatia e il valore dell’amicizia. Aprono il cuore, la mente e la coscienza alla consapevolezza di non essere soli in questa esperienza terrestre, ma di avere dei piacevoli compagni di avventura.

Natura al lavoro Chiunque ami le piante e se ne circondi in un ambiente casalingo già sa, senza bisogno di alcuna conferma scientifica, quale e quanto beneficio queste apportano al tempo trascorso fra quattro mura. Oggi gli studi sul mondo vegetale si stanno moltiplicando e permettono di intravedere nuovi orizzonti per quanto riguarda la considerazione che possiamo dare alle piante. Già sappiamo che assorbono anidride carbonica e liberano ossigeno durante il giorno, che alcune specie sono in grado di agire da filtro, neutralizzando formaldeide, benzene, ammoniaca e altre sostanze tossiche normalmente presenti nell’ambiente domestico,78 ora scopriamo che la loro presenza è meno anonima e passiva di quanto siamo abituati a pensare. Le piante

rispondono agli stimoli e interagiscono con noi anche se in modi estremamente delicati, al limite dell’impercettibile, se non si è dotati di grande sensibilità o di appositi sensori, che oggi la ricerca scientifica applica in ambito sperimentale. In Italia è nato il Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, all’interno dell’Università di Firenze, diretto dallo scienziato Stefano Mancuso, per studiare i diversi aspetti del comportamento delle piante dal punto di vista della fisiologia, elettrofisiologia e biologia. In ambito accademico si inizia a studiare la complessa realtà vegetale in modo nuovo, valorizzandone le strategie organizzative, la capacità di comunicazione intraspecifica e la complessa interattività con l’ambiente. Stiamo parlando di un intero filone evolutivo che 500 milioni di anni fa ha preferito essere autonomo nell’alimentazione – le piante si nutrono dell’energia del sole – sacrificando la libertà di movimento; a differenza del filone evolutivo da cui hanno avuto origine gli animali, che ha fatto la scelta opposta, garantendosi la possibilità di spostarsi nello spazio, ma diventando dipendente dalla necessità di un continuo approvvigionamento alimentare per vivere. Oggi sappiamo che le piante sono in grado di avvertire l’attacco da parte di una mandria di erbivori e di mettere in circolo sostanze che rendono sgradevole o addirittura tossico il sapore delle foglie, possono abortire i semi quando sono attaccate da parassiti, comunicano con i loro simili attraverso le radici per chiedere sostanze nutritive mancanti nei loro paraggi.79 Anche la loro interazione con noi è più rapida e complessa di quanto ancora generalmente noto. Le piante emettono sostanze che impattano positivamente sul nostro organismo, in modo diverso da specie a specie. In provincia di Biella, presso l’Oasi Zegna, è stato creato un percorso nel bosco che propone soste in prossimità di grandi alberi che offrono diversi benefici a seconda della loro specie: per il sistema nervoso, immunitario, cardiovascolare ecc. Le piante non danno soltanto, sono aperte a ricevere e reagiscono alla qualità di ciò che viene loro espresso e manifestato. Nell’evento “Bullizza una pianta”, realizzato da Ikea a Dubai, nel 2018, come esperimento contro la violenza, verbale e fisica, due piante da appartamento, entrambe in ottima salute, sono state posizionate nel salone di ingresso del negozio invitando i passanti a esprimersi con parole gentili e gratificanti alla prima, scortesi e ingiuriose alla seconda, senza toccarle. Dopo un mese, la seconda pianta era ridotta allo stremo, la prima era rigogliosa; le dichiarazioni di spregio o di affetto avevano operato un’azione potente.

Cominciamo a intravedere che non è la stessa cosa circondare la scrivania di scaffali, faldoni polverosi, quadri moderni, pannelli in plastica colorata oppure di piante che accompagnano, con la loro presenza, il nostro lavoro. Queste fanno parte della nostra storia, del nostro ambiente, rappresentano il 99,5% della biomassa del pianeta e il nostro organismo, consciamente o inconsciamente, reagisce positivamente alla loro presenza, sentendosi a casa. UN UFFICIO ECOLOGICO Le piante possono diventare di benefica compagnia in tutte quelle situazioni in cui è necessaria la permanenza in un ambiente chiuso, possono rendere più salubre, piacevole ed efficace la giornata lavorativa a centinaia di migliaia di persone che, in ogni città, passano le otto o più ore lavorative chiuse in un ufficio.80 La tua azienda non ci sente da questo punto di vista? Fatti pioniere di questa nuova moda. Porta una pianta nel tuo ufficio e prenditene cura. Sposta su di lei lo sguardo, dopo ogni ora di sguardo fisso al computer, di testa china sulle carte o di viavai tra riunioni interminabili e telefonate impegnative. Fermati, respira, prenditi una pausa. Racconta alla pianta ciò che ti preoccupa, non hai bisogno di farlo a voce alta, attiva un dialogo interno. Dedicale anche solo qualche minuto al giorno; nota come sta, valuta se l’acqua che riceve è giusta per lei, assicurati che la posizione che le hai trovato sia quella ottimale. Cerca chi si prenda cura di lei quando non sarai al tuo posto, in vacanza o durante una trasferta. Contagia con la tua passione, potrai creare nuove relazioni sul tuo posto di lavoro! In alternativa, se proprio questa possibilità non ce l’hai, cerca di inserire nella tua giornata qualche momento all’aperto. Cerca un parco, un viale, un’aiuola, o anche solo una margherita che cresce in una crepa dell’asfalto. Appoggia le mani o la schiena su un tronco d’albero. Togliti le scarpe per cinque minuti e tocca la terra, l’erba, la pietra, con i piedi nudi (va bene anche con le calze, meglio se in fibra naturale), se puoi. Piccole pratiche apparentemente insignificanti che ti permettono di scaricare tensione, elettricità statica, stress. Il contatto con la Natura è sempre importante e vitalizzante, ma lo è ancora di più in quelle situazioni lavorative in cui la dimensione mentale occupa un ruolo prioritario, in cui tutta la polarizzazione è sulla testa e un po’ di messa a terra può solo fare bene.

Lavoro in Natura Con il risvegliarsi dell’attenzione sulle tematiche ambientali e sulle emergenze climatiche che cominciano a far riflettere sul tema Natura e sulla nostra relazione con essa, stanno nascendo tanti lavori nuovi che hanno o come focus o come sfondo un tema green. È vero che molte iniziative sbandierate come ecologiche e ambientalmente impegnate hanno solo il superficiale obiettivo di “darsi una mano di verde”, ma se si diffonde la moda di farsi pubblicità piantando alberi o creando percorsi sensoriali nei boschi è pur sempre un buon inizio e qualcosa può nascere anche da questo. È vero che nella nostra cultura industriale, miope ed egocentrica, c’è bisogno di ben

più che qualche briciola di ecologismo di facciata per poter mettere a posto le cose, ma qualcosa si sta svegliando anche negli alti vertici. Peter Senge, guru del management internazionale, docente del Mit e creatore di Sol, Society for Organizational Learning, ha lanciato un messaggio forte e diretto col suo libro The Necessary Revolution (“La Rivoluzione necessaria”), in cui, dati alla mano, denuncia l’insostenibilità del business as usual, il “fare affari come si è sempre fatto”. Per uscire dal vicolo cieco in cui ci siamo infilati, la sfida attuale è quella di innescare un cambiamento attivando strategie trasformative per la creazione di un mondo fiorente e sostenibile. È un cambiamento di mentalità quello necessario: “La vera lotta, oggi, non è tra civiltà e culture, ma tra diverse evoluzioni del futuro possibili ora per noi e per la nostra specie. La posta in gioco è la scelta di chi siamo, cosa vogliamo diventare e dove vogliamo portare il mondo in cui vogliamo vivere. La vera domanda, quindi, è ‘Per fare cosa siamo qui?’”.81 Sono parole di Otto Scharmer, autore di Theory U e partner di Peter Senge in questa impresa di trasformazione del pensare, sentire e, soprattutto, agire di chi oggi detiene le fila di grandi imprese. Ma il cambiamento non deve arrivare solo dall’alto, c’è molto che ogni singolo individuo può fare nella sua quotidianità e con il suo impegno personale. Possiamo scegliere di portare l’amore per la Natura anche nella nostra dimensione lavorativa. GREEN JOBS Leggendo questo elenco, lasciati stupire, prima di tutto, da tante nuove professionalità che magari ancora non conoscevi e lasciati ispirare da quelle che ti risuonano più fortemente. Oggi è facile trovare informazioni su quello che ci interessa anche se abbiamo in mano solo un nome mai sentito prima. Questa è una vetrina, scegli tu cosa e come approfondire – sul web, leggendo, parlandone con chi sta attorno a te –, esplora la direzione che più fa cantare il tuo cuore. Perché no? Puoi anche dare un nuovo corso alla tua vita lavorativa.

Servizi forestali e costieri, gestire il patrimonio naturale Pianificazione paesaggistica, gestione dei parchi, coordinamento territoriale, cura dell’ecosistema forestale, costiero, marino, creazione di percorsi naturalistici, vigilanza sulle aree protette, monitoraggio e protezione della fauna, tutela della biodiversità… quante diverse attività lavorative incentrate sul tema ambiente! Tra queste ci sono lavori di ufficio, di ricerca, attività da svolgere sul campo, all’aperto. Chi vuole intraprendere una professione legata a questi servizi può chiedere informazioni al ministero dell’Ambiente, sempre più sensibilizzato nella direzione della tutela della Natura dalle direttive europee. Per diventare agente del corpo forestale dello Stato, per esempio, ci sono concorsi pubblici, e sempre nuove possibilità si stanno aprendo anche in altri organismi pubblici e privati, Ong, università e governi.

Ingegneria naturalistica, proteggere il territorio È un approccio antichissimo alla gestione del paesaggio, per proteggere ambienti a rischio di

erosione, consolidare le rive dei fiumi, drenare terreni, salvaguardare il paesaggio. Il materiale da costruzione utilizzato è quello vivo vegetale, in abbinamento con pietrame, terra, legno, acciaio e fibre vegetali o sintetiche. È disciplina che richiede una preparazione eclettica in cui si integrano topografia, geologia, idrologia, ecologia, botanica, biologia, ingegneria idraulica e selvicoltura. È coordinata anche questa dal ministero dell’Ambiente e trova applicazioni nelle amministrazioni pubbliche che si occupano di territorio e ambiente.

Biomimetica, imparare dall’ingegneria naturale Un’altra scienza nuova dal cuore antico opera nell’ambito dell’ingegneria, dell’architettura e del design. La biomimetica è un modo di creare tecnologia che trae ispirazione dalla Natura, attingendo a soluzioni già rodate nel corso dell’evoluzione: pannelli solari che si aprono e chiudono come petali di un fiore, display di lettori di libri elettronici che rifrangono la luce come le ali delle farfalle, abitazioni per ambienti desertici ispirate al sistema isolante del guscio della lumaca. Questi sono soltanto esempi che proseguono sul filone di pensiero e di azione inaugurato a suo tempo da Leonardo da Vinci. Come scienza, la biomimetica si è strutturata nell’arco degli ultimi quindici anni e i principali centri di ricerca europei si trovano in Inghilterra.

Ecologia del paesaggio, urbano e non Non mancano, oggi, studi sui benefici personali e sociali di un ambiente in cui ci sia un armonico intreccio di elementi umani e naturali, come quello che per millenni ha saputo creare la civiltà contadina, in una sapiente co-creazione con le leggi della vita. Crescono i filoni urbanistici e paesaggistici attenti alla creazione di luoghi di svago e di lavoro salubri e belli. Dalla creazione di parchi – e vale la pena citare i “Giardini in movimento” del paesaggista francese Gilles Clément82 – al recupero di aree industriali dismesse, dalla progettazione di scuole alla manutenzione di aree di interesse naturalistico, alla creazione di giardini terapeutici in ospedali o di aree verdi in spazi condominiali… C’è un campo immenso che si apre per una collaborazione tra ingegneri, architetti e giardinieri.

Bioarchitettura, una casa nella casa Come una terza pelle, dopo gli abiti, è l’ambiente costruito che ci avvolge e protegge per più di metà della nostra esistenza: casa, ufficio, scuola o luogo di incontro comunitario. Ancor di più, per chi abitualmente vive e lavora in città. Dopo l’abbuffata di cemento e di materiali sintetici del boom edilizio del dopoguerra italiano, oggi c’è chi comincia a gettare uno sguardo d’insieme alla procedura e ai materiali necessari per costruire in una nuova ottica. Viene data sempre più importanza non solo alla protezione dagli agenti atmosferici, ma anche a aerazione e traspirazione, salubrità dei materiali, campo energetico e bellezza, praticità. Questo con un impiego crescente e sapiente di elementi naturali combinati tra loro, dentro e fuori casa. In questa direzione, si muove anche una direttiva europea,83 che invita ad avviare un percorso di green renewal in ambito edilizio per ottimizzare la costruzione in un’ottica sostenibile.

Tecnologia verde, progettare eco Anche sul piano istituzionale, a livello di parlamento europeo, è ormai chiara l’importanza di uno sviluppo tecnologico connesso alle esigenze di carattere ambientale e capace di valutare le possibili ricadute dell’uso delle risorse.84 In primis, attualmente, è sentita l’esigenza di formulare strategie di contenimento delle emissioni di CO2 per far fronte ai cambiamenti climatici, e allo stesso tempo sono in atto ricerche e sperimentazioni per la creazione di nuove tecnologie e nuovi prodotti per il contenimento degli impatti ambientali su acqua, aria e terra, per l’abbassamento di inquinamento acustico e luminoso, la gestione dei rifiuti

dalla fase di raccolta al riutilizzo dei materiali di scarto, l’affrancamento da fonti energetiche non rinnovabili, la tutela della biodiversità. Un campo in crescita esponenziale.

Stile green, design e moda ecologici Dall’abbigliamento agli accessori, dalla cosmesi all’interior design, la moda dell’eco-friendly sta conquistando il mondo e, soprattutto, l’Italia. L’impatto delle scelte del pubblico in questo ambito è immenso, perché coinvolge filatori, tessitori, tintori, ma anche allevatori, agricoltori e industria chimica. Vengono alla ribalta materiali ecologici come gomma, tessuti, canapa, lino e cotone biologici, carta, seta e lana riciclata, fibre di juta e bambù, nuove fibre tessili ottenute dalle bucce di agrumi e pelli ottenute dai torsoli delle mele. L’approccio vegan e cruelty-free – che qualcuno ama definire “non una moda, ma un risveglio” – sta portando anche colossi della moda e del fast fashion a scegliere di non utilizzare più pellicce di animali e a scommettere sempre più sulla sostenibilità.85

Ecoturismo, Natura da vivere Il desiderio di viaggiare per vedere bellezze naturali è in crescita. Come, di pari passo, anche il desiderio di vivere esperienze di incontro autentico con cultura, arte, cucina locali. Al summit mondiale dell’ecoturismo del 2002 a Québec, in Canada, organizzato dalle Nazioni Unite, è stata coniata una definizione dell’ecoturismo che non si limita alla dimensione ecologica e alla soddisfazione del turista, ma include anche aspetti legati al rispetto della comunità locale e al suo sviluppo economico, minimizzando l’impatto ambientale e coinvolgendo i suoi membri come attori attivi del processo. “L’ecoturismo è un modo responsabile di viaggiare in aree naturali, conservando l’ambiente e sostenendo il benessere delle popolazioni locali,” sintetizza l’International Ecotourism Society. Le attività promosse sono innumerevoli: trekking, percorsi a cavallo, birdwatching, whalewatching, immersioni guidate in aree marine protette, itinerari archeologici, enogastronomici, a piedi, in bicicletta su tratti di interesse ecologico, culturale o religioso, come i pellegrinaggi, sempre più in auge.

Permacultura, un’evoluzione del bio Non possiamo “pensare verde” senza prendere seriamente in considerazione l’alimentazione, la qualità del cibo che mangiamo e, prima ancora, che produciamo. Il biologico è ben più che una moda, è la scommessa che un’agricoltura sana sia possibile e che molte metodologie tradizionali, anteriori all’intervento massiccio della chimica sui campi, abbiano ancora tanto da proporre e da insegnare. In uno stupendo incontro tra saggezza del passato e necessità del futuro, è nato un nuovo approccio, in Australia, che gioca sull’assonanza coltura/cultura. La permacultura è un metodo per progettare e gestire paesaggi antropizzati in modo che siano in grado di soddisfare bisogni umani – cibo, fibre, energia – e al contempo preservino la resilienza, ricchezza e stabilità degli ecosistemi naturali. Integra, nel suo corpus teorico e pratico, architettura, biologia, ecologia, selvicoltura, agricoltura e zootecnia, perché il suo obiettivo è creare un ecosistema produttivo “permanente”, un sistema agricolo, cioè, che si può sostenere per un tempo illimitato proprio perché basato su una sinergia con le leggi naturali.

Ecopsicologia, il dialogo tra Natura fuori e Natura dentro Per cambiare modo di mangiare, di coltivare, di lavorare, di vivere… occorre cambiare prima modo di pensare. L’ecologia si è accorta di avere bisogno della psicologia per poter sensibilizzare la mentalità delle persone, prima di poter proporre nuovi comportamenti. Allo stesso tempo, la psicologia si è resa conto della forte spinta al benessere individuale data da un contatto più diretto con la Natura. Queste due giovani scienze hanno iniziato a collaborare dando vita a un approccio integrato. In Natura le persone entrano più profondamente in contatto con se stesse, attingono a risorse personali prima ignorate e le riportano nella quotidianità, rafforzando attenzione interna,

senso di presenza, consapevolezza, potere decisionale. In Natura si attivano meraviglia e compartecipazione, si risveglia l’innata biofilia, che spingerà poi spontaneamente al risveglio di una coscienza ambientale. L’ecopsicologia è oggi una disciplina emergente, insegnata anche all’Università della Valle d’Aosta, con applicazione in tanti diversi ambiti, tra cui crescita personale, educazione ambientale, team building nelle organizzazioni.

Ecotuning, l’arte di facilitare la relazione con la Natura Tra le applicazioni pratiche dell’ecopsicologia, la prima è proprio quella di “sanare la disconnessione” che si è venuta a creare nei confronti dell’ambiente naturale, accompagnando a riprendere dimestichezza con gli ambienti selvatici e con gli elementi naturali. Ecotuning86 letteralmente vuol dire “sintonizzarsi sulla dimensione ambientale”. Con il crescere dell’urbanizzazione, molti adulti e bambini non hanno più occasione di entrare quotidianamente in contatto col variegato mondo animato e inanimato che fa parte del nostro pianeta: piante, animali, terra, acqua... Questa perdita di contatto sul piano esteriore si traduce in una perdita interiore corrispondente: quando dimentichiamo come entrare in intimità col mondo “fuori”, perdiamo i sensori per entrare in dialogo autentico con il mondo “dentro”. L’ecotuning organizza attività giocose e delicate all’aperto per ricreare questa connessione, per fare amicizia col mondo come presupposto per fare amicizia con se stessi e con gli altri.

Ecoterapia, curarsi al naturale Generazioni di sciamani, prima, e poi di druidi, alchimisti, guaritori, erboristi, medici hanno studiato le proprietà curative delle piante e fatto affidamento su di esse per lenire e curare i malanni e i disagi della loro comunità di appartenenza. Oggi la medicina moderna ha estrapolato quelli che chiama i principi attivi di ogni pianta e li ha rinchiusi in capsule e pillole; ma non conosciamo ancora abbastanza del mondo naturale per avere la certezza che il massimo dell’effetto benefico non dipenda soltanto da una questione chimica, quanto anche da qualcosa che coinvolge la pianta intera e il modo in cui è coltivata, raccolta, conservata e preparata. La Natura ha ancora un ruolo principe nel processo terapeutico, riprendendo pratiche millenarie. Talassoterapia, bagni termali, impacchi di fango, elioterapia, bagni di fieno sono approcci oggi riportati in auge dagli attuali centri benessere in cui, come al tempo degli antichi Romani, si affida agli elementi naturali il processo di prevenzione, cura e guarigione.

Ecopedagogia, scuole verdi Si apre un nuovo campo di specializzazione e consulenza per tutti coloro che, provenendo dal mondo dell’educazione e della pedagogia, vogliono approfondire come rendere possibile una reintegrazione della Natura nelle strutture e nei percorsi educativi a tutti i diversi livelli. Dal nido alla primaria, sino a medie e superiori, è sempre più sentita la necessità di un rinnovamento nell’attuale gestione dello spazio e del tempo del processo educativo. In un evento comunitario organizzato per raccogliere bisogni, idee e suggerimenti per il futuro dei bambini,87 un preside deluso dal poco spazio che le regole gli lasciavano per agire in questa direzione, ma fermamente deciso a utilizzare ogni più piccola opportunità tra le pieghe del sistema, ha suggerito con passione: “Non aspettate una riforma dall’alto, create piccole iniziative, piccoli eventi, date l’avvio a trasformazioni che partano da voi”. Orti didattici, animali domestici o selvatici portati in aula, piante in vaso curate dalla classe sono solo esempi di piccoli gesti attuati in autonomia che possono già lasciare un segno prezioso nei giovani studenti.

Natura nella formazione

L’azienda può e deve diventare uno spazio privilegiato per imparare convivenza, collaborazione, efficacia versus efficienza e, soprattutto, relazioni ecologiche, intese come la capacità di relazionarsi in modo maturo, rispettoso e funzionale al contesto. Più del 90% dello stress in ambito lavorativo non ha nulla a che fare con la mansione stessa, la sua causa principale va cercata proprio nei rapporti umani. Quando manca spessore relazionale ai vertici, questo si traduce – a cascata – in modalità di comunicazione e interazione insalubri a tutti i livelli, per cui ogni frustrazione subita diventa frustrazione inflitta ad altri. Non a caso si parla di “relazioni ecologiche” per indicare una situazione in cui invece ci sia la possibilità di non perdere mai di vista il rispetto reciproco, come persone, prima ancora che come colleghi, e la capacità di comunicare su un piano di parità, indipendentemente dal ruolo. Tra i fattori che aumentano lo stress in ambito lavorativo, tradizionalmente chiuso tra quattro mura, ci sono anche sedentarietà, illuminazione artificiale, aria condizionata, inquinamento da formaldeide, detergenti, vernici e lacche usati negli interni che, col calore del riscaldamento o anche semplicemente della presenza umana, rilasciano sostanze sottilmente irritanti per l’organismo. La ripetizione delle mansioni lavorative, da un lato, o la loro totale imprevedibilità, dall’altro, sono altri fattori che vanno ad aggiungersi al quadro stressogeno. Livello di resa, risultati e bilancio di ogni impresa sono strettamente connessi alla salute e al benessere dei collaboratori. Le strutture lavorative stanno iniziando a comprendere di avere tutto l’interesse a prevedere strategie di gestione dello stress per tutti. Qui entra in gioco la Natura, alleata efficace per la prevenzione, se non addirittura il risanamento, di situazioni deteriorate. La formazione in azienda ha diversi obiettivi: insegnare al personale competenze specifiche necessarie per l’attività e preparare ad affrontare cambiamenti emergenti, interni o esterni. Sempre più diffusa, nelle realtà più strategicamente efficaci, anche l’abitudine di proporre percorsi innovativi, sia di valorizzazione dei talenti, sia di attività al di fuori della routine quotidiana, come occasioni di arricchimento relazionale. La formazione è il jolly che permette a un’azienda di rimanere competitiva in un mondo ormai caratterizzato da cambiamenti continui. Sì, ma la Natura cosa c’entra? Molto. Ora vediamo come. TEAM BUILDING OUTDOOR Il focus della formazione, negli ultimi trent’anni, si è spostato da un approccio didattico, sul

piano soprattutto cognitivo, a uno più esperienziale, con un’attenzione anche alla dimensione delle emozioni. Trekking, arrampicata, barca a vela, orienteering, survival sono solo alcune delle ormai diffuse esplorazioni e sfide avventura che vengono proposte in ambito organizzativo come forme di formazione in cui i partecipanti, spesso un intero team di lavoro, vengono accompagnati a vivere esperienze significative in gruppo e all’aperto. Il successo di questo tipo di formazione trova spiegazione in diversi fattori. L’uscire dal contesto abituale, il being away già sottolineato dalla “Teoria della rigenerazione dell’attenzione”, predispone a una maggior apertura e disponibilità dei partecipanti; se il setting, l’ambiente in cui si svolgerà l’evento formativo, è stato scelto adeguatamente, entra in gioco anche l’elemento fascination. Questi due elementi sono importanti; rimangono sullo sfondo e facilitano la riuscita dell’evento. Il fulcro, naturalmente, sarà nell’abilità del conduttore di far fare un’attività in cui vengano attivate ed esplorate le competenze che si vogliono rafforzare: problem solving, pensiero laterale, collaborazione, capacità di adattamento, azione in situazioni di emergenza, resilienza. La più divertente e coinvolgente delle attività finisce col rimanere solo una bella gita fuori porta se, a questa, non segue una riflessione guidata che permetta al gruppo e ai singoli individui di dare significato a quanto fatto, emerso e appreso insieme. La finalità è quella di costruire ponti con l’attività quotidiana, concettualizzando, per poi sperimentare nella propria vita personale e professionale, quanto appreso. Gli adulti apprendono soprattutto attraverso il fare, e l’ambiente naturale, da questo punto di vista, è una palestra a cielo aperto.

Natura e sport In Italia, la pratica sportiva è in aumento vertiginoso. Dal 2013 a oggi si è registrato un incremento di più del 10% e oggi un italiano su quattro pratica regolarmente sport, quasi 15 milioni di persone. Altri venti milioni di italiani, dai 3 anni in su, dichiarano di fare saltuariamente attività fisica.88 Un risultato eccezionale, consolidato da una divulgazione sempre più insistente sui benefici dell’attività fisica per la salute, ma anche da un sano istinto che, in uno stile di vita sempre più statico e sedentario, porta a ricercare quello che è lo stato connaturato per il nostro organismo: il movimento e l’attività. Fioriscono centri sportivi e palestre, è in aumento l’offerta di attività in Natura. Una recente inchiesta condotta negli Stati Uniti per monitorare gli effetti dell’attività fisica – camminata, corsa, esercizi a terra – svolta in ambiente chiuso e all’aperto ha infatti dimostrato che, a parità di tempo di esercizio, l’attività svolta all’aperto induce notevoli benefici extra in termini di maggiore vitalità, energia, buon umore e tranquillità mentale, e minore tensione, confusione, rabbia e depressione.89 L’attività fisica in Natura, soprattutto quando è una libera scelta e non un obbligo, attiva l’innato senso di compartecipazione al dispiegarsi della vita sulla Terra, quello che abbiamo chiamato inconscio ecologico. Anche se non sappiamo il perché, anche senza complessi studi statistici che ce lo

confermino, sentiamo che stare in Natura ci fa bene, cerchiamo l’esperienza e la ricerchiamo ancora. Ma, spesso, la consapevolezza del beneficio di questa attività si limita agli effetti sul piano fisico e lo sport diventa competizione, con altri o con se stessi. Il ritmo meccanico si insinua e invade l’esperienza, il focus va sui fattori numerici: il tempo necessario a percorrere un determinato tratto, il peso sollevato, la velocità toccata, la quota raggiunta. Questo ancoraggio solo alla dimensione quantitativa, del fare, rischia di eclissare l’esperienza dell’essere e il beneficio dell’esperienza vissuta in Natura anche sul piano psicologico e spirituale. “Non sono le montagne che conquistiamo, ma noi stessi”90 è la celebre sentenza di Sir Edmund Percival Hillary, alpinista neozelandese salito per primo sulla vetta dell’Everest, insieme allo sherpa Tenzing Norgay. QUALITÀ, NON QUANTITÀ Sei anche tu un patito del traguardo da raggiungere? Tieni sempre sott’occhio l’orologio, il contachilometri, il metro? È una splendida cosa, che aggiunge fattori motivanti alla tua attività. Ora puoi scoprire che l’esperienza sportiva può darti anche qualche cosa di più. Prova una volta, prima di inoltrarti in Natura, a darti l’intenzione di vivere quello che farai momento per momento, senza focalizzarti su meta, orario o velocità da raggiungere. Scegli di procedere non da conquistatore, ma da gradito ospite e di assaporare quello che fai, godendone istante per istante. Prima di partire, per la passeggiata, corsa, salita, discesa… centrati. Porta l’attenzione su come stai, ascolta la profondità del tuo respiro, senti cosa ti dice il tuo corpo, accogli l’umore che hai, prendi nota di cosa ti sta passando per la mente. Ora che hai allertato l’attenzione interna, rivolgila verso l’esterno: tocca, annusa, assaggia, ascolta e guarda piccoli e grandi elementi di ciò che ti circonda. Concentrati sul fatto che non sei in un luogo anonimo, ogni posto ha la sua peculiarità; stai entrando in una realtà diversa da quella in cui abitualmente risiedi e lavori, ma che è casa, invece, per altri esseri, minerali, vegetali, animali. Attiva la curiosità di un bambino, rallenta ed esplora, con tutti e cinque i sensi. Non c’è un dovere da compiere, lascia spazio al piacere. Nota che cosa ti attira di più dell’ambiente che ti circonda, lascia fluire via i pensieri per conto loro e concentrati invece sui dettagli di un fiore, sul colore di un insetto, sulla forma di una nuvola, sulla consistenza del terreno o sulla sensazione delle mani appoggiate all’albero di una specie, piuttosto che di un’altra. Sei in una palestra di esperienze sensoriali, cogli l’opportunità, potrai raggiungere dimensioni più profonde di quanto immagini. Temi che non sia serio quello che stai facendo? Ti chiedi cosa diranno gli altri se non procedi con passo spedito e sguardo da duro verso la vetta? Non lasciarti bloccare da queste baggianate, ascolta invece cosa ne dice un campione in materia, il primo nel mondo a scalare le 14 vette oltre gli 8000 metri, Reinhold Messner: “Camminare per me significa entrare nella Natura. Ed è per questo che cammino lentamente, non corro quasi mai. La Natura per me non è un campo da ginnastica. Io vado per vedere, per sentire, con tutti i miei sensi. Così il mio spirito entra negli alberi, nel prato, nei fiori. Le alte montagne sono per me un sentimento”. In Tibet, quando si lascia il campo per andare in altitudine, si dice Kalipé, che vuol dire “sempre con il passo lento”, perché in montagna non c’è spazio per la fretta e non c’è nulla da conquistare, c’è solo da lasciarsi conquistare.91 Quando ti sarai sintonizzato in questo modo col paesaggio, attivati pure come sei solito fare, puntando su forza, velocità e performance, vedrai… che otterrai risultati anche migliori del solito!

Natura e arte Gli inglesi si impegnano nel ricostruire nei loro giardini quell’apparente disordine di un prato naturale, che altro non è che un ordine troppo complesso da cogliere con la mente, ma abbastanza familiare da poter essere invece assaporato in profondità. Ancora una volta, è l’inconscio ecologico che riconosce e onora il legame con il nostro mondo. Prima ancora che con la scrittura, il dialogo col mondo si è espresso attraverso immagini che descrivevano la relazione con l’ambiente esterno… e interno: animali, piante, luoghi e stati di coscienza. Nelle incisioni rupestri che ci sono rimaste, alcune risalenti a più di 10.000 anni fa, troviamo la forma più antica di arte, di rielaborazione umana dell’esperienza del vivere e percepire. Dal focus sulla Natura e sul mondo esterno – arte figurativa –, nell’arte contemporanea il sopravvento è stato preso da un focus sulla soggettività e sulla concettualità dell’esperienza. Ma il fascino di una connessione con la vita e con la Natura, nell’espressione artistica, è vivo in ognuno di noi. L’arte non è certo una professione o un’attività per pochi eletti, quanto uno stato di coscienza in cui il reale viene filtrato attraverso occhi capaci di cogliere, oltre a quello che c’è, anche quello che potrebbe esserci, e poi viene espresso con forme, musica o parole capaci di comunicare anche ad altri un’esperienza interiore. “L’arte è una funzione di vita e ha sempre accompagnato e anticipato le esigenze e le aspirazioni dell’uomo attraverso i secoli, durante la sua evoluzione sulla Terra. Oggi l’uomo sta vivendo una dimensione speciale, sempre più confinato in uno stato di crescente solitudine, man mano che si stacca dalle ideologie e ruoli dentro la famiglia e la società. Deve ancora scoprire la sua dimensione universale a partire della sua individualità per poter sperimentare la Libertà. Artista è colui che, con le sue antenne sensibilissime, percepisce per primo gli archetipi nuovi sorti nell’aria che si respira, dando a questi un’espressione materiale quale opera d’arte, facendosi così strumento per comunicare agli altri qualche cosa che neanche lui sa di conoscere.”92 Nell’ottica di un’arte attraverso la quale parla anche l’inconscio ecologico, la sorgente stessa della memoria, una corrente artistica nata negli anni sessanta chiama in campo direttamente la Natura: la Land Art. Il paesaggio diventa sfondo per la realizzazione di un’opera, i materiali sono naturali e i messaggi sono potenti. Da una parte si apre un dibattito sulla sostenibilità ambientale, dall’altra si attiva una riflessione sulla transitorietà,

giacché ogni opera si espone all’azione degli elementi meteorologici e allo scorrere del tempo. In Italia il riferimento principale per la Land Art è il museo a cielo aperto Arte Sella, in Trentino, attivo dal 1986, sul versante sud del Monte Armentera, nel comune di Borgo Valsugana. Un percorso nei boschi con una sessantina di opere: sassi trasformati in sculture di pietra, misteriosi oggetti di legno in cui si può entrare e scoprire altri punti di vista, installazioni con tronchi di albero che offrono nuove visioni del bosco, enormi nidi di legno, casette che fanno sognare i bambini, labirinti di rami e foglie. Un museo a misura di bambino, che risveglia uno sguardo attento ai piccoli e grandi dettagli del mondo naturale e che stimola sicuramente creatività e amore per la Natura. UN MANDALA NEL BOSCO Trasforma una semplice passeggiata in un momento importante, per te, per la tua famiglia, e scegli di lasciare un segno dell’apprezzamento per l’esperienza che stai o state vivendo. Con l’intenzione di esprimere così un ringraziamento al posto, al momento, alla vita, raccogli, in passeggiata, piccoli elementi che ti attraggono per la loro forma, colore, consistenza – foglie, ramoscelli, cortecce, bacche secche; se raccoglierai qualche cosa di ancora vivo, fiore, foglia o fungo… semplicemente chiedi prima il permesso alla pianta, raramente ti verrà negato. L’invito è quello di costruire un mandala in uno spazio che riterrai adatto. Mandala è un termine in sanscrito, oggi sempre più noto, che indica figure costruite attorno a un centro, come il rosone di una chiesa, i disegni nei templi buddisti fatti di sabbie colorate, la corolla di un fiore o una ciambella appena sfornata. Mandala si pronuncia con l’accento sulla terzultima sillaba, con la stessa ritmica di chi commissiona la spedizione di una rosa: “Mandala alla poetessa”. Quando hai identificato il punto adatto in cui costruirlo, inizia a distribuire gli elementi attorno a un centro, che può essere vuoto o in cui può essere collocato uno degli elementi raccolti, e lasciati assorbire dalla composizione, sino a raggiungere un risultato che ti piaccia. Dedica il tuo mandala al luogo, alla giornata, a quello che hai vissuto, a un progetto ancora da realizzare… a quello che vuoi tu. Come ogni opera di Land Art, la tua creazione sarà soggetta a trasformazione sotto l’azione del tempo e degli elementi, ma il suo valore, e il messaggio che le avrai affidato, rimarrà nella tua memoria e, se lo vorrai, anche in fotografia. 75

L’espressione francese plein air, aria aperta, è diventata sinonimo di tempo libero e vacanze vissute all’aperto, viaggi a piedi, in tenda o camper. 76 Meredith Little, counselor professionale, insieme al marito Steven Foster, ha creato in California un centro, “The School of Lost Borders”, che organizza esperienze di profondo contatto con la Natura, alla ricerca della propria natura più autentica. 77 Il Bosco verticale è un complesso di due palazzi residenziali a torre progettato da Boeri Studio. Peculiarità di queste costruzioni, inaugurate nel 2014, è la presenza di più di duemila essenze arboree, tra arbusti e alberi ad alto fusto, distribuite sui prospetti. Ha ricevuto l’International Highrise Award nel 2014 e nel 2015 si è aggiudicato il premio come “grattacielo più bello e innovativo del mondo”, secondo una classificazione del Council on Tall Buildings and Urban Habitat. 78 Stefano Zauli Sajani, Ma il cielo è sempre più blu, Edizioni Il Fiorino, Modena 2015. 79

Stefano Mancuso, Alessandra Viola, Verde brillante, Giunti, Firenze 2013.

80

Nel 2004 la Comunità europea ha sostenuto la campagna “Un po’ di sano verde sul luogo di lavoro” sugli effetti benefici delle piante indoor per migliorare gli ambienti lavorativi, le relazioni, ridurre l’assenteismo e favorire un miglior rendimento. Cfr. Marco Nieri, Bioenergetic Landscape, Esselibri, Napoli 2009. 81 “The real battle in the world today is not among civilizations or cultures but among the different evolutionary futures that are possible for us and our species right now. What is at stake is nothing less than the choice of who we are, who we want to be, and where we want to take the world we live in. The real question, then, is ‘What are we here for?’”: Otto Scharmer, Theory U, Berret-Koehler, San Francisco (Usa) 2009, p. 20. 82 Gilles Clément, Il giardino in movimento, Quodlibet, Macerata 2011. 83

Direttiva 2010/31/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010 sulla prestazione energetica nell’edilizia. 84 “La crescita verde non è un lusso, è il modo per realizzare concretamente uno sviluppo sostenibile e la sicurezza mondiale per tutti”: Organisation for Economic Co-operation and Development – Oecd, “Putting Green Growth at the Heart of Development” (2013). 85 Federico Poletti, Il green che fa tendenza, “L’Espresso”, Le inchieste, 4 novembre 2017. 86

Il termine è nato nell’ambito dell’Ies (International Ecopsychology Society), che promuove a livello internazionale questa nuova professione. 87 “Il futuro dei bambini è nel presente” è stato un percorso formativo e informativo per imparare insieme a immaginare e costruire il futuro: un percorso unificato in cui esplorare modi nuovi o rinnovati per stare al fianco dei bambini e dei ragazzi nel loro processo di crescita e apprendimento. Si è tenuto nel 2013 a Casatenovo (Mb), in una collaborazione tra il Comune e Progetto Spazio Tex. 88 “I numeri della pratica sportiva in Italia”, 23 febbraio 2017, Salone d’onore del Coni, Foro Italico, Roma. 89 Thompson Coon et al., Does participating in physical activity in outdoor natural environments have a greater effect on physical and mental wellbeing than physical activity indoors? A systematic review, PubMed – US National Library of Medicine National Institutes of Health, February 2011. 90 Edmund Hillary ha confermato, in un’intervista per il “Pittsburgh Post-Gazette”, nel 1998, la paternità di questa sua citazione ormai ampiamente diffusa. 91 Lorenzo Maria Alvaro, Reinhold Messner. La montagna raccontata a mia figlia, “Vita”, 18 luglio 2016: http://www.vita.it/it/story/2016/07/18/reinhold-messner-la-montagna-raccontata-a-miafiglia/68/ 92 Sono parole di Betty Danon, poetessa visuale, in Arte come vita, vita come arte, Inventare il mondo, Osnago 2005, p. 14.

Conclusione

Inizia ora!

Molto, moltissimo ci sarebbe ancora da dire, ma è impossibile far stare tutto in solo un centinaio di pagine. In questo accorato appello alla riconnessione con le nostre radici organiche, voglio ribadire anche le immense potenzialità vivificanti di fattorie didattiche, pellegrinaggi, parchi, sport estremi, giardinaggio casalingo, fotografia naturalistica, cura amorevole degli animali, gruppi botanici, salvataggio dei rospi che attraversano la strada nella loro stagione della riproduzione, impegno ambientalista, cura dei sentieri, vacanze in tenda, agricoltura biologica e biodinamica, e tantissime altre attività… che ci ricordano tutte di un modo di vivere nella Natura e con la Natura. Sono innumerevoli le realtà, sul piano nazionale e internazionale, che risuonano su questa lunghezza d’onda e promuovono attività per ricucire lo strappo creatosi tra noi e il mondo… che siamo. Voglio ricordare qui Joanna Macy, che da più di cinquant’anni porta in giro per il mondo The Work That Reconnects, “Il lavoro che riconnette”, autrice di manuali pratici che tanta ispirazione e forza ha dato a tutti coloro che, come me, inizialmente timide primule a febbraio, hanno sentito la chiamata in questa stessa direzione. E Joseph Cornell, Michael Cohen, Charles Cook, instancabili promotori di amicizia con la Natura, per adulti e bambini, che sono stati anche loro ispiratori e maestri. In Italia abbiamo tantissimi operatori attivamente coinvolti in questo stesso obiettivo di ampliamento della nostra visione del mondo e identità personale per includere anche la Natura: Mario Salomone con Scholé Futuro, Carlo Petrini con Slow Food e Terra Madre, papa Francesco con la preziosa enciclica Laudato si’, e dal mondo dei movimenti scout, Cai giovanile, montagnaterapia, interpretazione ambientale, e

professionisti dal mondo delle guide naturalistiche e ambientali escursionistiche e, ancora, educatrici, insegnanti, genitori, alpinisti, gruppi e singoli individui che, ognuno nel suo piccolo, stanno facendo da cassa di risonanza a questa sensibilità più ampia nei confronti della Natura, così importante oggi. Voglio anche ringraziare i miei colleghi psicologi e compagni di avventura della Ies (International Ecopsychology Society), con cui dal 2006 stiamo tessendo una struttura impalpabile ma potente in ormai quattordici nazioni e quattro continenti, per raccogliere, attivare e mettere in rete professionisti in questo campo, per operare in modo nuovo in tanti diversi ambiti: crescita personale, relazione di aiuto, attività assistite con gli animali, educazione ambientale, formazione nelle organizzazioni e green mindfulness. Ho scoperto l’ecopsicologia venticinque anni fa e ora, dal 2004, è diventata il mio lavoro e la mia vita. C’è tanto posto in questo campo, c’è un bisogno enorme di professionisti della riconnessione tra Natura dentro e Natura fuori. La chiamata è per tutti, non solo per psicologi ed educatori ambientali. Nessuno di noi è troppo piccolo per cambiare le cose, almeno nel suo ambito. E nessuno di noi è solo… siamo in tanti, ormai, con questa peculiare sensibilità che ci porta a ricercare quello che, in profondità, sentiamo farci bene e possiamo tutti diventare parte attiva di un profondo cambiamento necessario. “Prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare,” ricorda lo splendido testo di Laudato si’. “Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione.”93 Questo è quello che possiamo e dobbiamo fare ora: impegnarci, a livello individuale, di gruppo e di umanità intera, per fare un salto di qualità nel nostro evolverci sulla Terra. È arrivato il momento di “diventare grandi” e assumerci, sì, la responsabilità, ma anche la gioia, di essere qui e ora proprio dove ci troviamo: in questa famiglia, città, lavoro, compagnia. Perché è qui che possiamo dare il nostro contributo, è qui che c’è tanto da fare, è qui che la vita ci vuole. Sei seme? Affronta l’ignoto e oltrepassa barriere che, sì, ti proteggono, ma limitano le tue possibilità.

Sei germoglio? Cavalca la tua curiosità ed esplora attorno a te. Sei pianta? Dài fiducia a ciò che sei, consolida le tue basi, coltiva i tuoi talenti. Sei fiore? Effondi attorno a te la tua bellezza e il tuo profumo, sarà la vita stessa, quando sarà il momento, a farti fare il passo successivo. Sei frutto? Vivi intensamente il presente, la tua pienezza e il tuo essere nutrimento per chi ti è accanto e promessa per chi verrà dopo di te. Questa è la vita e noi siamo qui per viverla e per farci parte attiva nel processo di evoluzione. Francesco d’Assisi ci ha lasciato una breve e toccante preghiera: “Signore, fammi strumento della tua pace”; possiamo potenziarla e abbinarla a una chiamata complementare: “Signora, fammi strumento della tua gioia”. 93

Papa Francesco, Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune, cit., p. 179.

Bibliografia e letture consigliate

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Frontespizio Introduzione 1. La sfida evolutiva La madre e la Terra È il momento di diventare grandi Cresce il deficit di Natura Gli antidoti: dalla biofilia all’intelligenza ecologica Insegnare l’identità terrestre Diventare davvero sapiens 2. Natura: punto di partenza e di arrivo L’effetto di clima e paesaggio Stare nel verde fa bene Qualità dell’ambiente, qualità della vita Vitamina N per grandi e piccini Nidi all’aperto Educare alla Natura si può Dai nativi digitali ai nativi ambientali Trovare se stessi nel verde 3. Clorofillati: vivifica il corpo Il sole, tutta l’energia del fuoco L’impalpabile oceano d’aria Sorella acqua Earthing, piedi per terra Gli alberi, custodi della vita Bagno di foresta Stop allo stress 4. Green mindfulness: potenzia la psiche Tempo e spazio per il cambiamento Mente chiara, mente aperta Le emozioni vogliono fluire Che cosa vuoi davvero? L’attenzione può essere ricaricata A caccia di ispirazione Oltre i confini dell’ordinario A scuola di progettualità 5. Natura per tutti i gusti Natura in solitaria Natura in coppia Natura in compagnia Natura in famiglia e con bambini Natura in città Natura al lavoro Lavoro in Natura Natura nella formazione Natura e sport Natura e arte Conclusione - Inizia ora! Bibliografia e letture consigliate

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