C’era una volta la filosofia...
 9788843093489

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Nicola Zippel

C'era una volta la filosofia ...

Carocci editore @ Sfere e:rl~a

A Vìola e Giulio, che mi danno sempre da pensare

1' edizione, ottobre 2.018 © copyright 2.018 by Carocci editore S.p.A., Roma

Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari Impaginazione: Luca Paternoster, Urbino Finito di stampare nell'ottobre 2.018 da Eurolit, Roma

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 2.2. aprile 1941, n. 633) Siamo su: www.carocci.it www.facebook.com/caroccieditore www.twitter.com/caroccieditore

Indice

Premessa. La filosofia torna a scuola

7

I.

Dentro la classe: l'eccezione nella regola

13

2.

Le idee senza le dottrine

19

3.

Dalla storia alle storie della filosofia

25

4.

Il pensiero elementare non è semplice

31

5.

La filosofia è una cosa divertente

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6.

Insegnare è imparare

41



Le domande dei bambini

45

8.

"Ma tu sei un filosofo?"

49

9.

Disegnare i pensieri

55

IO.

Va in scena la filosofia

61

) L,~~0

II.

Giocare con l'1-Ching

71

12.

Dove vanno a finire le ore passate?

75

13.

Giovanni discute con Zhuangzi

81

s

14.

Michele se la prende con i filosofi

85

15.

Andrea fa i conti con Pitagora

91

16.

Una bambina si ricorda della caverna

97

17·

Quale sedia?

101

18.

"Caro Socrate...~ Lettere al filosofo in carcere

107

Epilogo. Paidos e basileie

n7

6

Premessa La fùosofìa torna a scuola «Bambini, ditemi, è lui il Soc!;até'di cui parlate così spesso?» 'i__ «Sì, papà, è proprio lui» Platone, Lachete, 181a

Quanto è importante per la filosofia confrontarsi con studenti di età giovanissima, iniziando già con i bambini e le bambine della scuola elementare? Molto, se non persino necessario. In tal senso, si parla di una filosofia che "torna a scuola~ perché entrare in una classe elementare, per un filosofo, significa riscoprire un ambiente dove si sono mossi i primi passi educativi e in cui si ritorna dopo diversi anni dalla fine del proprio percorso scolastico e nel pieno della propria vita professionale. La filosofia accompagna il filosofo/insegnante in questo ritorno e, come in una sorta di reminiscenza platonica trasfigurata, si ritrova a parlare di sé davanti a un pubblico di studenti che non ha mai incontrato prima, ma con cui condivide la tradizione storica e la struttura mentale. E sì: perché i bambini sono già parte, pur senza averne consapevolezza, della lunga storia della filosofia, e già ragionano, riflettono, discutono come se fossero filosofi. L'incontro tra la filosofia e i bambini, in realtà, 7

è un ritrovarsi. E questo incontro-ritrovamento è importante tanto per i bambini quanto per la filosofia, perché mentre i primi hanno la possibilità di imparare a organizzare la loro logica spontanea in una cornice teorica più definita, la seconda ha l'opportunità di presentarsi a delle menti veramente giovani, libere e spregiudicate. Ognuno di noi, quando ripensa al proprio passato scolastico, ricorda le materie che lo hanno accompagnato per tutto il percorso formativo, in cui le discipline che non si sono affrontate nei primi anni si aggiungono via via come una variazione o, se si vuole, un affinamento delle materie studiate fin dalle elementari. L'unica materia di cui non si ha nessuna notizia fino alle superiori o, per essere ancora più precisi, fino al terzo anno di determinati indirizzi scolastici,

è la.filosofia. La filosofia irrompe nella vita di uno studente come un qualcosa emerso dal nulla. Da un anno all'altro, insieme alle materie conosciute da tempo e ad altre nuove, come ad esempio fisica e chimica, ma che comunque rimandano a materie già note, lo studente si imbatte, per la prima volta nella sua carriera scolastica, con l'oggetto misterioso denominato "filosofia". Questo è uno dei tanti fattori che ne rende particolarmente difficile l'insegnamento e l' apprendimento. Il professore o la professoressa di filosofia 8

devono presentare, nel vero senso della parola, ossia mostrare, far vedere per la prima volta, agli studenti la propria disciplina di insegnamento; devono, in qualche modo, prima ancora di iniziare a parlarne, giustificare il fatto che da quel momento in poi, fino alla conclusione del loro percorso scolastico, avranno a che fare anche con questa materia. Parlo di giustificazione, perché è come se si dovesse legittimare agli occhi degli studenti l'introduzione di una nuova disciplina, considerando che, per gran parte della loro formazione, si è ritenuto che non dovessero averne conoscenza alcuna. Questa situazione ambigua ha, come tale, una duplice conseguenza sulla filosofia: da una parte, presentandosi come una novità, e non avendo dunque termini di confronto con il passato scolastico dello studente, gode di un certo credito, legato all'aspettativa che genera una disciplina di cui ancora non si sa niente (il giudizio dello studente resta sospeso e, in linea di massima, le concede qualche possibilità di futuro gradimento). Dall'altra parte, però, presentarsi per la prima volta e nella fase conclusiva della vita scolastica dello studente, priva la filosofia di qualsiasi punto di appoggio e le attribuisce comunque la fisionomia di una materia aggiunta di cui, forse, si poteva continuare a fare a meno. Che se ne considerino gli aspetti positivi o quelli negativi, rimane il fatto che la filosofia, al terzo anno di scuola superiore (liceale), fa il suo ingresso ufficiale nella

scuola, molto in ritardo rispetto al percorso formativo dello studente. Gran parte dell'insegnamento della filosofia, allora, soprattutto nella sua fase iniziale, è dedicato a colmare questo ritardo. Il compito non è dei più facili, tutt'altro. Per quanto sia vero che insegnare storia o italiano alle superiori è diverso dall'insegnarle alle scuole medie o alle elementari, lo studente ha già sperimentato, in età e in momenti diversi della sua vita scolastica, lo studio di queste materie. Si può introdurre una prospettiva differente con cui approcciarsi ad esse, si possono inserire argomenti e approfondimenti più adatti all'età evolutiva dello studente; di base, però, egli sa con che cosa ha a che fare, sa di che cosa, in linea generale, si parla, sa che cosa gli viene chiesto di imparare. Della filosofia, invece, non sa nulla: non sa cosa sia, come si studi, a cosa possa servirgli. Di nuovo; la situazione è ambivalente: la filosofia, da un lato, ha il massimo spazio d'azione, perché niente e nessuno l'ha preceduta, e quindi può muoversi liberamente, come meglio crede; dall'altro lato, in tanta libertà rischia di perdersi. Entrando in una scuola elementare, la filosofia ha l'opportunità di ridiventare bambina, ritornando a quella condizione evocata da Platone attraverso le parole di un vecchio sacerdote egizio: «voi Greci siete sempre bambini [... ] siete tutti giovani [... ] nelle anime» (Timeo, 22b); è l'occasione per trovarsi all'inizio di un'esperienza educativa e per condividere IO

questo inizio con chi si mette in ascolto, per la prima volta, del discorso filosofico. Per quanto anche con uno studente del liceo si incominci un'esperienza educativa, la grande differenza sta nel fatto che lo studente liceale, a sua volta, non è ali' inizio del proprio percorso scolastico, ma solo del tratto che riguarda la filosofia; lo studente elementare, invece, incontra la filosofia nello stesso momento in cui si approccia a tante altre materie e conoscenze e, più in generale, muove i primi, importanti passi nel mondo reale, con un grado di consapevolezza che manca, ad esempio, a un bambino di un grado scolastico ancora inferiore. Esistono, ad ogni modo, esperienze di pratiche filosofiche con bambini di età prescolare, ma, poiché chi scrive lavora esclusivamente con studenti degli ultimi tre anni di scuola elementare, la mia riflessione riguarderà questo tratto del ciclo scolastico; il quale, d'altra parte, trovandosi al principio del percorso obbligatorio di istruzione, ne costituisce la pietra miliare e, quindi, ancor più significativa per l'insegnamento della filosofia. libro si sviluppa in diciotto brevi capitoli; dopo il CAP. 9, il lettore troverà una serie di capitoli in cui vengono riportati frammenti di discussione con i bambini e testimonianze di insegnanti che hanno condiviso con me gli incontri di filosofia nelle loro classi, accompagnati da un commento che aiuta il lettore a inquadrare il tema trattato nell'ambito più

n

II

ampio del percorso laboratoriale. L'Epilogo, infine, attraverso il richiamo al pensiero eracliteo, vuol essere un ultimo accenno a quella affinità elettiva che rende ogni volta possibile l'incontro tra la filosofia e i bambini. Desidero ringraziare tutte le persone che, con le loro domande e osservazioni, mi hanno permesso di chiarire e approfondire le riflessioni che hanno portato a questo secondo, piccolo libro. Ringrazio l'editore, per l'interesse e l'entusiasmo che continua a dimostrare per il mio lavoro. Un grazie infine a mia moglie Chiara, che accompagna sempre il mio stream ofconsciousness.

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I

Dentro la classe: l'eccezione nella regola

Negli ultimi anni, la filosofia ha conosciuto una fioritura rigogliosa di eventi, festival, caffè filosofici in diverse parti di Italia, che l'ha vista riempire piazze e luoghi pubblici di città e paesi. Non solo gli addetti ai lavori, dai professori agli studenti, ma anche tante persone al di fuori del contesto degli studi filosofici hanno partecipato e ancora partecipano alle numerose iniziative in cui si parla di filosofia e si affrontano le più varie questioni con le parole e le idee dei filosofi. Tutto questo fa sicuramente bene alla salute della filosofia e le permette di tornare lì dove è nata, almeno in Occidente, duemilacinquecento anni fa: tra la gente, in mezzo alla polis. E tuttavia, a questa crescita pubblica della filosofia, non ha corrisposto un aumento parallelo dello spazio dedicato al suo insegnamento nella scuola. La sua presenza è ancora limitata agli ultimi tre anni dei licei, con un orario decrescente dal classico al linguistico, e non si è mai affacciata nei prii:ni due anni delle superiori né, tantomeno, nelle medie inferiori o alle elementari. Per quanto siano molte OJ."mai le attività filosofiche che si realizzano quotidianamente in questi due ultimi ordinamenti scolastici, ad opera di 13

associazioni o per iniziativa di singoli docenti, la filosofi.a rimane pur sempre un'esperienza esterna, eccezionale rispetto al curriculum scolastico. Si tratta di una situazione solo apparentemente paradossale: quanto più la filosofi.a si esalta nella sua eccezionalità, tanto meno si sente l'esigenza di introdurla nella quotidianità scolastica già nei primi anni del percorso formativo; quanto più la si invoca nelle piazze e nei festival, come qualcosa che può aiutarci a capire il senso della nostra esistenza e i problemi del nostro tempo, tanto meno si pensa di iniziare a confrontarci con essa fin da piccoli, nell'ambiente che per ogni bambino - e in seguito per ogni ragazzo - rappresenta l'unica, vera esperienza alternativa alla quotidianità familiare: la scuola. Il paradosso è solo apparente, perché alla base agisce una convinzione che pretende di vedere nella filosofi.a una forma di riflessione, la quale necessita di uno spazio privilegiato, separato dal contesto quotidiano, quasi incontaminato, avulso dalla trivialità del senso comune. Questa convinzione, questa doxa, si converte facilmente nel paradosso: in virtù della sua elevatezza, la filosofia non può abbassarsi a entrare nella scuola come una materia tra le altre. Ecco che la filosofi.a cade vittima della propria eccezionalità. Fa la sua apparizione solo in alcuni istituti superiori e solo negli ultimi tre anni, un tempo che, per uno studente, talvolta non è neanche sufficiente 14

per comprendere appieno di che cosa si parli quando si fa filosofi.a. E perché, d'altra parte, dovrebbe capirlo il povero studente, quando la filosofi.a stessa, ancora oggi, si interroga su quale sia la propria autentica natura? D'altra parte, se è vero che la filosofi.a, in Occidente, è nata nelle piazze della polis, si è però sviluppata nell'Accademia platonica, suo primo luogo di elezione, per poi proseguire nel Liceo aristotelico, via via fino ai chiostri medievali e oltre, senza considerare la multiforme realtà delle scuole pitagoriche o ellenistiche. In tutti questi casi, seppur alcuni così diversi tra loro, la filosofi.a è sempre stata praticata nella quotidianità del processo formativo dell'individuo e mai in totale isolamento da altre discipline pedagogiche, si trattasse di retorica, musica, ginnastica o preghiera. Tuttavia, la concezione come prima inter pares, che fin dai suoi inizi la filosofi.a si è compiaciuta di avere di sé, l'ha progressivamente distaccata dai suoi pari, per portarla ai nostri giorni ad essere una prima extra pares: avulsa da quasi tutto il percorso scolastico, fa una fugace apparizione verso la fine, per poi restare, nel migliore dei casi, un piacevole ricordo, una materia particolare, talvolta affascinante ma spesso incomprensibile, senza essere però mai veramente percepita come parte costitutiva di questo stesso percorso. Data la natura narcisista sua e, non di rado, dei suoi rappre15

sentanti, la filosofia si ritrova a contemplare la solitudine che la circonda. Quando, invece, ha l'occasione di entrare in una classe elementare durante una normale giornata scolastica, è costretta a uscire dalla propria solitudine e a condividere, prima ancora di presentarsi, la caoticità del quotidiano. Perché ciò avvenga nel migliore dei modi, è necessario che faccia il suo ingresso proprio nella classe, in mezzo ai bambini, senza che l 'ambiente cambi in maniera particolare, magari rivoluzionando la disposizione delle sedie o dei banchi o riempiendo la stanza di supporti visivi o di altro genere che stravolgano il suo assetto consueto. Certo, potrebbero esserci momenti in cui i bambini sono invitati a muoversi, a cambiare posto, a spostare le sedie e i banchi; tendenzialmente, però, non è la classe che deve adattarsi alla filosofia, ma è la filosofia che, come ospite, deve adattarsi alla classe, deve prendere le misure per entrare nella quotidianità dei bambini. Questo perché la straordinarietà della filosofia non è nel suo apparire, ma nella sua logica; non è nella veste in cui si mostra al mondo, ma nel modo in cui vede il mondo. A questa logica, a questa attitudine mentale può eventualmente seguire un modo di presentare sé stessa e le cose che la circondano. Avere uno spazio dedicato, privilegiato all'interno della scuola, riporterebbe la filosofia nella gabbia dorata dell'eccezionalità: particolare nello spazio, particolare anche nel 16

tempo; di nuovo, la filosofia si ritroverebbe ad essere un momento isolato all'interno di un percorso, e di un luogo, cui in fondo non appartiene. L'accettazione, invece, di occupare lo spazio in classe dopo una materia e prima di un'altra, fa della filosofia finalmente una materia tra le altre, un altro filo che intesse la quotidianità formativa del bambino, una compagna di strada sicuramente eccentrica, ma non più così speciale al punto da essere diversa, aliena. Immergersi in tale quotidianità non può che far bene alla filosofia, che non deve temere di perdere il suo carattere unico, perché resterà sempre un'eccezione nella regola, essendo nella sua natura oltrepassare i limiti del consueto e del senso comune. Uno dei risultati più importanti che sento di aver raggiunto nella mia esperienza di filosofia con i bambini è quando, all'ultimo anno, in quinta elementare, ormai alla fine dei nostri incontri, mi domandano con stupore e spesso con delusione e disappunto perché non si ritroveranno filosofia alle medie. È così che capisco che la filosofia ormai è entrata nelle loro vite di studenti, avendo fatto il suo ingresso nella loro polis, la scuola. Ed è davvero un peccato che la filosofia tornerà ad essere leccezione senza la regola.

17

2

Le idee senza le dottrine

Che cosa significa affermare che entrare in una classe di scuola elementare è importante per la filosofia? La filosofia ha veramente bisogno di presentarsi a bambini di 8, 9 o 10 anni? Ne ha bisogno, se la intendiamo come insieme di idee e dottrine elaborate nel corso degli ultimi due millenni di storia umana? E ne ha bisogno se la intendiamo come esperienza didattica senz'altro più giovane, ma, almeno per quel che riguarda l'Italia, già con una storia di insegnamento liceale vecchia di quasi cent'anni? Sì, ne ha bisogno sotto entrambi gli aspetti, i quali, d'altra parte, sono necessariamente intrecciati. E questo si evince in modo particolare proprio dalla realtà italiana, così peculiare nel panorama mondiale, essendo l'unico paese occidentale in cui l'insegnamento della filosofia è previsto nel curriculum scolastico, mentre nella maggioranza degli altri paesi è presente quasi esclusivamente a livello universitario. Com'è noto, al liceo l'insegnamento della filosofia avviene nelle forme dell'insegnamento della storia della filosofia, ossia delle idee e delle dottrine che, dalla Grecia di VI-V secolo a.C., si sono sviluppate fino all'età contemporanea. Altrettanto note 19

sono le ragioni di questa impostazione della didattica filosofica liceale, che affonda le sue radici nella riforma gentiliana della scuola, e soprattutto nella visione filosofica che ne è alla base, la quale individua una sostanziale identificazione tra filosofia e storia della filosofia. Negli ultimi decenni è stato ampio e proficuo, per quanto non risolutivo, il dibattito sui meriti e i demeriti di questa impostazione. Per quel che riguarda l'insegnamento della filosofia ai bambini, la tendenza generale, di matrice anglosassone ma maggioritaria anche in Italia, è di escludere la storia della filosofia al fine di concentrarsi sui problemi filosofici. Nella mia pratica filosofi.ca accolgo . ,. . . . mvece un impostazione tanto teorica quanto storica, sebbene riadattata alla peculiare situazione didattica di una classe elementare. Per quanto inscritta in una cornice storica da cui non può essere completamente avulsa, è tuttavia necessario, e utile, per la filosofia, abbandonare un particolare aspetto dell'impostazione storica, quando si trova a presentarsi agli occhi di un bambino. Mi riferisco non alle idee, di cui è formato il pensiero di un singolo filosofo, ma alle dottrine, attraverso cui quel pensiero viene solitamente spiegato. r . "essere, ""eterno, ""uno" sono Perrare un esemp10: idee di Parmenide; "monismo" o "metafisica" sono dottrine che gli vengono attribuite, ma che non appartengono al suo linguaggio. Così come "demone': 20

"giustizia" o "ignoranza" sono concetti che ritroviamo in Platone, che invece non parla mai di "teoria delle idee" o di "dualismo gnoseologico-ontologico". Intendiamoci, è del tutto corretto riferirsi alle idee di Parmenide o Platone in questi (o altri) termini, sia perché sono stati elaborati all'interno della tradizione filosofica nata dal pensiero greco, sia perché sono utili per la loro effettiva comprensione. Tuttavia, l'uso continuo di questi termini "dottrinali", che caratterizza l'insegnamento liceale della filosofia, rischia ogni volta di sovrapporre un linguaggio, elaborato per spiegare un determinato pensiero, al linguaggio in cui originariamente questo pensiero è stato espresso. Capita, cioè, che ci si riferisca a Parmenide o a Platone sempre più mediante le dottrine e sempre meno mediante le idee. In generale, questo crea un filtro tra il filosofo e chi ne sta imparando il pensiero, che si aggiunge al (tanto) tempo intercorso tra l'elaborazione originaria di quel pensiero e il momento in cui lo si sta presentando; mentre, però, il filtro temporale è inevitabile, quello linguistico può essere quantomeno temperato offrendo il più possibile le parole del filosofo nella loro forma originale. -Più nello specifico, la sovrapposizione delle dottrine alle idee svolge comunque una funzione euristica importante nel contesto di una lezione liceale, perché dà allo studente uno strumento di comprensione in più e gli permette di ancorare lo studio individuale 21

a una terminologia condivisa. D'altra parte, questa sovrapposizione non avviene solo nel caso della filosofia, ma si ritrova in altre materie, dall'italiano alla storia dell'arte, alla scienza, per cui diventa una delle componenti che aiuta la filosofia a divenire più familiare per lo studente. Tutto questo, però, non funziona con i bambini, per il semplice fatto che i bambini hanno familiarità con le idee e non con le dottrine e, quindi, la sovrapposizione sarebbe del tutto inutile. Dire a un bambino che Parmenide ha pensato l'essere come l'unica vera realtà e che ogni altra forma di vita non è altro che essere fa un certo effetto; dirgli poi che questo rende Parmenide un "monista'', non aggiungerebbe niente alla sua comprensione del pensiero del filosofo, perché il bambino non cerca categorie sotto cui etichettare quello che per lui è già una persona piuttosto interessante, considerando che se ne andava in giro a parlare con una dea... Né al bambino serve inquadrare la visione platonica in un dualismo conoscitivo ed esistenziale, se riesce a immaginare sé stesso nella caverna a guardare le ombre insieme agli altri prigionieri, o a condividere il dilemma di Socrate se fuggire o meno dal carcere. I bambini sperimentano così il momento.vivente del filosofare: il pensare un'idea prima di ogni dottrina. Ora, il fatto di dover rinunciare alla sovrapposizione delle dottrine alle idee non può che far bene 22

alla filosofia, perché significa che essa stessa, prima ancora dei bambini che la ascoltano, ritorna al proprio linguaggio originario che precede, e fonda, tutta la sua storia. Le dottrine sono state codificate nel corso dei secoli spesso ad opera di interpreti successivi, soprattutto per quel che riguarda la filosofia prearistotelica, considerando che Aristotele è stato, con il libro che apre la Metafisica, il primo autore di una storia della filosofia, ossia di una codificazione ex post dei vari pensieri che lo hanno preceduto. Le idee, invece, sono sì legate alla storia della filosofia, ma non come terminologia successiva attraverso cui viene raccontata questa storia, ma come origine stessa di questa storia, e come tali riescono a mantenere la loro vitalità ogni volta che se ne discute. In qualche modo, in una classe scolastica, si riproduce una situazione socratica in cui le idee dei singoli filosofi rivivono attraverso e oltre il filosofo che le ha pensate, non solo nella presentazione che ne fa l'insegnante, ma anche e soprattutto nelle domande dei bambini. E la situazione è "socraticà' non solo per l'atmosfera dialogica che si crea, ma pure per il costante riferimento a idee filosofiche già pensate da qualcuno, idee che già circolavano nel periodo in cui Socrate faceva filosofia e con cui egli (o meglio Platone tramite Socrate) costantemente si confrontava: basti · pensare al richiamo ad Anassagora nel Pedone (97C ss.), che apre la strada alla "seconda navigazione", o

alle citazioni letterali dal poema di Parmenide nel Sofista (237b, 244e), che preparano il terreno per il celebre "parricidio': Davanti ai bambini la filosofia torna alla sua fase infantile, quando ancora parlava il linguaggio delle idee, a tratti incerto, talvolta ancora immaturo, ma spontaneo, meno strutturato, più libero. Un linguaggio, appunto, che i bambini capiscono benissimo.

3 Dalla storia alle storie della filosofia

Il Hnguaggio che i bambini sentono più familiare è quello delle storie, dei racconti, della narrazione. A guardar bene, i bambini, più che parlare, raccontano: che si tratti della giornata passata a scuola, di una festa o di un gioco che stanno facendo, il loro linguaggio è quasi sempre narrativo. Ne è prova il fatto che usano in modo ricorrente il tempo imperfetto o il passato prossimo, ossia i tempi classici della narrazione ("c'era una volta un re che viveva in un castello..."), e utilizzano questi tempi non solo quando raccontano qualcosa che è accaduto loro, ma anche quando giocano: "facciamo che io ero uno zombie che poi tu mi vedevi e volevi uccidermi...". In qualche modo, i bambini vivono il presente sotto forma di situazione in pieno svolgimento, che, quindi, si avvolge sempre su sé stessa ed è sempre in ritardo rispetto a sé stessa. Ogni personaggio che interpretano, o di cui parlano, ha già una storia. È per questo che quando presento la filosofi.a ai bambini, attraverso il pensiero di un filosofo, fondamentalmente non faccio altro che raccontare una storia; la quale non deve essere per forza la sua biografi.a, se non quando la sua vita mostra aspetti parti-

colarmente interessanti oppure è un costante riflesso della sua filosofia, com'è il caso di Socrate o Confucio. Spesso sono gli stessi filosofi che parlano di sé raccontando una storia, in quella forma meravigliosa, purtroppo scomparsa da tempo immemore dal pensiero filosofico, ossia la forma del mito: il multiforme processo di reincarnazione dei pitagorici, il viaggio onirico di Parmenide alle soglie dell'essere sul carro guidato dalle figlie del Sole, la celebre caverna platonica, la successione dei cinque imperatori leggendari legati ai cinque elementi nel confuciano Zou Yan. Alle sue origini, la filosofia non si mostra al mondo come "storia della filosofia~ visto che era chiaramente ancora nelle fasi iniziali della sua costruzione e non era certo trascorso il tempo sufficiente per tornare su sé stessa e raccontarsi in una forma il più possibile coerente. Al principio, la filosofia si mostra come un insieme di storie, di narrazioni suggestive con sfumature oracolari, in cui la forma poetica è al servizio della struttura concettuale e laiuta a mostrarsi in immagini limpide, variopinte, dinamiche. La storia della filosofia è il risultato dell'unione di tutte queste storie, e dei pensieri che vi sono contenuti ed espressi; ma le storie possono vivere anche di vita propria, non devono essere necessariamente incastrate l'una nell'altra secondo una successione stabilita una volta per tutte, né devono essere ridotte a episodi secondari di una sola grande storia che

annulla in sé tutte le differenze. Perché ognuna di queste storie è stata pensata in un momento particolare dello sviluppo del pensiero filosofico, legato a un singolo pensatore e all'ambiente culturale e sociale in cui egli si trovava a vivere; ed è quel momento, quell'ambiente che bisogna cercare di riprodurre in classe con i bambini, bisogna cercare, cioè, di far rivivere la storia come se la si stesse raccontando per la prima volta, e non dentro un contesto già dato, ma proprio per ricreare tale contesto nel presente. Storie che non sono espresse solo nella narrazione mitologica, ma che prendono forma anche negli aneddoti e negli episodi, talvolta leggendari, in cui compaiono i filosofi e il loro pensiero: i due infatti non sono mai separati, pure quando sembrano esserlo, trattandosi fondamentalmente di vite filosofiche. Aneddoti ed episodi che si ritrovano sia nella tradizione greca, a partire dal lavoro prezioso, pur nella sua intenzionale non scientificità, di Diogene Laerzio, sia e in misura anche maggiore nella tradizione cinese, dove le idee vengono spiegate molto spesso all'interno di storie brevi e fulminanti, in particolar modo nei classici del taoismo o nella variante cinese del buddhismo. Parlare ai bambini di filosofia le permette di recuperare quella forma narrativa, ed essehzfa.lmente autonarrativa, che, da Aristotel~ ~11.poi, essa ha.pro"' gressivamente abbandonato per presentarsi sola 2.7.

sotto la forma della spiegazione/ dimostrazione. Non è un caso, d'altra parte, che tale trasformazione sia avvenuta proprio con Aristotele, "il professore di filosofia", come lo chiama Michelstaedter con malcelato sarcasmo (Fondo C. Michelstaedter III 5a, c. 22), ossia con il filosofo che per primo ha riunito le "storie della filosofià' in una "storia della filosofia", riducendo le differenze e le peculiarità di ciascuna narrazione all'unità di un percorso costruito ex post. Operazione complessa quanto preziosa quella di Aristotele, perché consente alla filosofia di raggiungere una consapevolezza di· sé che non aveva mai. avuto fino ad allora: tracciare, pur nella diversità dei modi, una via di ricerca (un méthodos) condivisa; e, tuttavia, il raggiungimento di questa fase adulta, più matura, coincide inevitabilmente con il congedo dalla fase iniziale, infantile, quella in cui la filosofia, «giovane e ai primi passi», per usare le parole dello stesso Aristotele, «balbetta come un bambino» (psellizoméne, Metafisica, A, 993a 15). Tra i balbettamenti rientrano evidentemente anche i miti e gli aneddoti, che scompaiono dal ragionamento filosofico proprio a partire da Aristotele, in cui si compie definitivamente quel passaggio dal mythos al logos, dalla narrazione alla logica, la quale non a caso rappresenta lossatura del pensiero aristotelico. Ritrovandosi tra i bambini, la filosofia ha la possibilità di balbettare di nuovo, ossia di vivere nuovamente nel passaggio tra mito e logo,

senza essere costretta a scegliere tra uno dei due, ma, al contrario, nutrendosi della loro contaminazione reciproca. Con i bambini, la filosofia non ha già una storia, ma può di nuovo costruirla attraverso il racconto delle sue prime storie, può di nuovo rivivere la propria infanzia e tornare a muovere i suoi "primi passi". Perché diventare adulti non è solo una conquista, ma anche, e soprattutto, una perdita.

4 Il pensiero elementare non è semplice

"Elemento" è il termine con cui, solitamente, si spiegano i primi principi che i cosiddetti (e maledetti, perché condannati a una costante precedenza, intesa come privazione, mancanza di qualcosa) presocratici hanno individuato quali origine e natura essenziale della realtà. Elementi naturali, come l'acqua e l'aria, percorsi talvolta da una forte tonalità metafisica, come il fuoco eracliteo, o più radicalmente me~afi.­ sici, come l'essere parmenideo o l'infinito di Anassimandro. Elemento, stoichéion, che nella lingua greca indica la "sillabà: ossia la parte che rende possibile la formazione della parola, così come l'aria o il fuoco sono quella parte irrinunciabile, e condizionante, dell'esistenza di qualcosa. Elementi si ritrovano nella filosofi.a cinese, generalmente cirtque, naturali e metafisici insieme, inseriti nel contesto armonico delle stagioni e dei punti cardinali. "Elementare", d'altra parte, era chiamata la scuola che comprendeva i primi cinque anni del percorso di istruzione obbligatorio, quello che ognuno di noi ha compiuto tra i 6 e i 10 anni. Da qualche tempo, invece, la dizione ufficiale è quella di scuola "primaria", con un calco infelice dell'anglosassone "primary''. 31

Infelice, perché nella nuova definizione si perde il riferimento alla elementarità di questo tratto del percorso scolastico, a vantaggio del suo tratto iniziale; infelice, perché con tale cambio, in apparenza meramente terminologico, non è più evidente la funzione fondamentale di questa scuola, ossia quella di essere la parte irrinunciabile e condizionante della formazione scolastica di un individuo. Questa è la ragione per cui mi ostino a definire la mia esperienza di didattica filosofica con i bambini "un laboratorio di filosofia alle elementari~ poiché l'incontro tra la filosofia e i bambini è anche un incontro tra due dimensioni elementari, ossia irrinunciabili e condizionanti, della realtà. La filosofia non può trovare un posto migliore di una classe elementare per parlare degli elementi. Non c'è posto migliore per presentarsi come un pensiero, che ha iniziato a formarsi ragionando sulla struttura elementare dell'esistenza, chiamando di volta in volta questa struttura con nomi diversi, ma intendendo, al fondo, sempre la stessa cosa. L'elemento diventa così la traccia da seguire per i bambini, una sorta di segno di identità della filosofia degli inizi, un segno a cui però la filosofia non si riduce; al contrario, esso rappresenta una soglia da cui la filosofia muove originariamente per parlare di tutto il resto. La ricchezza di significati di ogni singolo elemento, se pensato filosoficamente, permette di ampliare la riflessione 32

sull'origine in qualunque direzione, come il dolore, la morte, l'equilibrio, la relazione, la curiosità, l'immaginazione, il dubbio, l'ascolto e altro ancora, con la consapevolezza che si rimane sempre ali' interno di un'identica, per quanto articolata, riflessione. Proprio come capita ai bambini, che, alla scuola elementare, vedono crescere qualsiasi argomento in forme differenti e inaspettate, ma condividono la radice comune dell'apprendimento, ossia della conoscenza. Tanta ricchezza è possibile, nella filosofia e nei bambini, perché ciò che è elementare non è, né deve, essere mai scambiato con ciò che è semplice. Non accorgersi di questo scambio ha quale conseguenza il considerare la fase elementare, sia della filosofia sia della scuola, come preparatoria, e non come fondante, delle fasi successive, le quali si presentano come più mature e, quindi, anche più elaborate e , complesse, ossia meno semplici. Seguendo questa lettura delle cose, la fase elementare perde la sua connotazione di nucleo essenziale di qualunque pensiero filosofico e di qualunque percorso scolastico. La frammentarietà del primo pensiero greco, come quella perlopiù aneddotica e narrativa del pensiero classico dnese, non deve ingannare sulla sua profondità teoretica, la quale non si limita a preparare il terreno per successive e imponenti costruzioni filosofiche, ma continua a nutrirlo in ogni momento di queste future elaborazioni. Proprio come la varietà 33

del mondo non è una fase superiore e più matura del singolo elemento naturale, ma ne è la manifestazione più evidente e articolata, che di quell'elemento, o di quegli elementi, continua a nutrirsi. Di nuovo, è a contatto con i bambini che la filosofia può ritrovare i tratti elementari,. ossia essenziali, da cui ha preso le mosse; e non solo ritrovarli, ma anche indugiare in essi, guardarli di nuovo con attenzione, magari per scoprire qualcosa di sé che ancora non ha visto o che non ha mai considerato con la dovuta importanza. Perché questo qualcosa è spesso notato proprio dai bambini, i quali, con le loro domande e osservazioni elementari, arrivano al cuore di un problema filosofico in maniera diretta e spontanea, perché dettata da una curiosità libera e spregiudicata. Presentandosi ai bambini, la filosofia si cala di nuovo in quell'atmosfera spirituale da cui è nata nel mondo àiltico, quando non sapeva ancora bene che cosa fosse, né che cosa dovesse essere, ma sapeva, sentiva, che doveva cercare di comprendere, in un modo e in un linguaggio nuovi, la realtà che la circondava. Solo dialogando con chi sta vivendo nell'inizio, la filosofia può rivivere il proprio inizio, può ritornare alla sua elementarità e riscoprire così tutta la sua profondità.

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La filosofia è una cosa divertente

"Ma lei si diverte?!': Così mi ha detto una volta, con un certo stupore, una studentessa del liceo dove insegno, mentre stavamo ragionando insieme sul divieto parmenideo di pensare il non-essere. Qualche anno prima, una bambina di quinta elementare, nell'ultimo giorno che chiudeva i tre anni passati insieme a parlare di filosofi.a, mi aveva raccontato di aver notato, durante i nostri incontri, il fatto che: "sembrava che tu ti divertivi anche più di noi a fare filosofi.a". Ed è vero, io mi diverto a fare filosofi.a, perché la filosofi.a è una cosa divertente. Soprattutto nella sua fase bambina, quella in cui ancora balbetta e muove i primi passi, la filosofi.a risulta divertente, perché sta sperimentando, è azzardata, provocatoria, immaginifica. Come se voglia, lei per prima, sentir risuonare le proprie idee, per vedere l'effetto che fanno. Proprio come i bambini, che non si accontentano mai di pensare qualcosa, ma hanno bisogno di esprimerlo, lasciarlo uscire allo scoperto, perché loro, prima degli altri, vogliono vedere come appare nella realtà. Nell'infanzia, quella della filosofi.a e quella di un essere umano, non si è ancora stabilito l'ordine di priorità tra pensiero ed esperienza, perché ci si trova 35

in uno stato in cui il pensiero deve fare esperienza di sé stesso, deve mettersi davanti a sé stesso, in una sorta di narcisismo ingenuo quanto spontaneo. Per questo il pensiero filosofico tende a identificarsi con l'esperienza, come ad esempio il logos di Eraclito o l'essere di Parmenide (non a caso due dei filosofi con cui è più divertente fare filosofia), perché la prima esperienza che cerca è quella della propria espressione, del proprio uscire da sé. Questo è il tratto infantile che sembra essere sfuggito ad Aristotele, il quale, nel suo ordine e rigore teoretico, non era più in grado di capire quella filosofia così giovane, per quanto egli stesso ne fosse il prodotto più maturo e consapevole. L'espulsione definitiva della dimensione mitologica come via del ragionamento filosofico è forse il gesto più evidente della scelta aristotelica di rinunciare a un modo di fare filosofia, che si giudicava ormai superato. Il costante e reciproco rinvio dal mito al logos è infatti una delle caratteristiche che rendono possibile giocare con i concetti della prima filosofia greca, senza perdere il contatto con la sua radicalità, ambizione e, al fondo, la presunzione di spiegare la realtà. Si pensi; ad esempio, alle figure dell'Amicizia e della Lotta (o Amore e Discordia, secondo altre versioni), nel pensiero di Empedocle, che traducono in immagini subito familiari anche a un bambino l'eterna tensione fra gli opposti che si completano. Quella

stessa tensione complementare che Eraclito esprime in termini talvolta più duri, ma non meno poetici, e che percorre in forme ancora diverse l'universo concettuale dell' 1-Ching. È bene chiarire, a questo punto, cosa intendo per "divertente". Non semplicemente qualcosa che fa ridere, o che è poco serio, tutt'altro: mi riferisco al significato originario del termine, che indica qualcosa che fa "volgere altrove" (di-vertere) la mente, lo sguardo, l'attenzione di qualcuno. È qualcosa, quindi, che può sì sfociare in distrazione, ma anche in smarrimento, spaesamento; qualcosa che dunque destabilizza, e proprio per questo permette di ricrearsi in qualche altra parte. Guardare il mondo attraverso il processo infinito degli esseri di cui parla Anassimandro, o dell'eterna dialettica amore-odio di Empedocle o dall'interno della sfera dell'essere di Parmenide, può essere estremamente divertente, perché ci colloca in una prospettiva altra da quella che normalmente adottiamo, ci sfida a considerare la realtà abbandonando la posizione rassicurante in cui riposiamo ogni giorno. È quel movimento "innaturale" che caratterizza lo sguardo fenomenologico teorizzato da Husserl, ma i cui semi sono stati giustamente individuati già nei primi filosofi greci (e da qualcuno, altrettanto giustamente, in quelli indiani). Seguire questi pensatori significa smarrirsi, smuovere il terreno su cui quotidianamente poggiamo i 37

piedi, mettersi in discussione: e questo è divertente! Dire che "l'essere è" e "il non-essere non è" suona quasi banale; pensarlo veramente, ossia farne il criterio del nostro rapporto con il mondo, è tutt'altro che scontato, diventa un gioco di relazione tra noi e la realtà estremamente serio e, quindi, divertente, ossia spaesante e ricreativo. Immergersi nell'universo di Pitagora, dove ogni numero non è semplicemente un segno matematico, ma costituisce l'origine di un intreccio infinito di relazioni tra le cose, significa ridisegnare i contorni della nostra rappresentazione del reale. Non si pensi, però, che la filosofia, da Aristotele in poi, non sia più divertente; al contrario, con la sua maturazione, con l'ingresso nell'età adulta, essa non smette di smarrire e ricreare la mente di chi la incontra; anzi, talvolta le forme dello smarrimento e della ricreazione, dunque del divertimento, sono molto più complesse e articolate di quelle che emergono nel pensiero dei primi filosofi. Basti pensare alla vivacità intellettuale dell'età medievale o all'originalità, talvolta stravagante, di alcune idee del pensiero moderno. Tuttavia, mentre nella filosofia degli inizi, quella ancora bambina, il divertimento è spesso la forma stessa del pensiero, nella filosofia successiva, quella che si è fatta grande, il divertimento va ricercato tra le pieghe di un pensiero che tende sempre di più a farsi sistematico. Se liberato dai propri stessi

criteri organizzativi e dalle finalità ultime, il pensiero dà sfogo ai propri momenti divertenti, che coincidono, non a caso, con i suoi passaggi più delicati e critici, ossia con gli snodi fondamentali attraverso cui il sistema si sviluppa e su cui si regge. Ed è proprio lì che ci si può divertire, ossia, di nuovo, ci si può spaesare e ricreare. A titolo di esempio, si può pensare ai rapporti di anteriorità tra l'atto e la potenza in Aristotele (è davvero coerente l'idea che l'atto sia anteriore alla potenza?), alla libertà in Spinoza (siamo liberi nella necessità?), allo schematismo in Kant (è realmente possibile individuare il momento dell' incontro tra sensibilità e intelletto?), al ruolo del negativo nella dialettica hegeliana (qual è la vera natura della relazione tra essere e divenire, tra l'assoluto e la storia?) e cosl via. Questi, e ovviamente altri ancora, sono i casi in cui l'edificio sistematico, ovvero il nuovo terreno su cui si è costruito un pensiero filosofico, scricchiola, sembra cedere e quindi deve ricrearsi, e noi con lui. Sono i momenti in cui la filosofia vede riemergere, nell'età adulta, la propria infanzia, che come sua origine continua ad animarla, scuoterla, spaesarla e, dunque, a far sl che rimanga, anche da grande, una cosa divertente.

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6 Insegnare è imparare

Quando si esce dalla classe, bisogna sapere qualcosa di più rispetto a quando si è entrati: questa è la regola che credo debba seguire chiunque viva la sua quotidianità in una classe scolastica, sia lo studente, sia l'insegnante. "Sapere qualcosa di più" non riguarda solo le materie che hanno riempito le ore di una giornata, ma soprattutto sé stessi e la realtà che ci circonda. Uscire ogni volta dalla classe anche solo con una riflessione in più su un aspetto particolare della propria vita dà senso a tutto quel tempo - e non è poco - trascorso a scuola. Questo frammento supplementare di sapere è prezioso tanto per lo studente che per l'insegnante: entrambi vanno a scuola per imparare. Riguardo allo studente, tale considerazione è quasi tautologica: si studia per imparare; allo stesso modo, però, dovrebbe risuonare tautologica anche per l'insegnante: si insegna per imparare. Proseguendo lungo questo parallelismo, ne viene che se lo studente impara dall'insegnante, l'insegnante impara dallo studente; in primo luogo attraverso le sue domande, osservazioni, i suoi dubbi, ma pure, talvolta, attraverso il suo sguardo attonito, smarrito e, altre volte, distratto o annoiato. 41

Ritrovarsi a tu per tu con lo studente permette all'insegnante di comprendere la propria materia attraverso il filtro della relazione che egli stesso, con le proprie parole, riesce a intessere fra lo studente e la materia insegnata. Data la sua natura costitutivamente dialogica, la filosofia è particolarmente interessata da questo rapporto tra insegnamento e apprendimento; se, poi, le capita di presentarsi in dialogo con i bambini, allora il rapporto si fa ancora più intenso, dando la possibilità a chi la insegna di uscire dalla classe sapendo molto di più di quando è entrato. Il che significa che la filosofia sa di sé molto di più di quanto sapesse prima di rapportarsi ai bambini. È inevitabile che ciò avvenga quando si entra in contatto con i bambini, perché con loro la filosofia deve spogliarsi di tutte le protezioni che nel corso dei secoli, da una parte, le hanno permesso di strutturarsi in un modo sempre più solido e consapevole ma, dall'altra, l'hanno legata a linguaggi e definizioni che con il tempo non sono più stati messi in discussione e su cui non si è più tornati a riflettere. Si è determinato così un progressivo raffreddamento di quel flusso infuocato di pensieri che anima la filosofia non solo dai suoi inizi, ma in ogni momento in cui si fa filosofia. Esempi di questa sorta di "stabilizzazione ignifugà' sono Empedocle fisico pluralista, Eraclito filosofo del divenire, Descartes razionalista, Scho42

penhauer pessimista. Non intendo dire che in questi pensatori non emergano i tratti ·messi in evidenza da tali definizioni, né che questi non siano aspetti rilevanti del loro pensiero; farne però le caratteristiche che ne determinano il profilo teoretico in via pressoché definitiva significa impedire di imparare, ogni volta di nuovo, qualcosa di più sul loro. pensiero in particolare e sulla filosofia in generale. Dal momento, infatti, che la filosofia vive nelle forme dei filosofi che la pensano, qualunque cambiamento, novità, ripensamento rispetto alla comprensione del singolo filosofo si riflette sui concetti che articolano il pensiero di quel filosofo e, quindi, sulla filosofia tout court. Linguaggi e definizioni codificati, come si è già osservato, non fanno un grande effetto sui bambini, che capiscono le cose quando sono le cose a mostrarsi nel modo più diretto ed essenziale, elementare, ossia adeguato al loro stesso modo di relazionarsi alla realtà. Presentare ai bambini un pensiero filosofico comporta dunque la riattivazione del calore originario di quel pensiero, prima di qualunque stabilizzazione ignifuga: di nuovo, l'idea prima della dottrina (e dell'interpretazione di questa dottrina). Offerto nella sua autenticità, ossia nei suoi stessi termini, il pensiero filosofico si denuda davanti ai bambini; il suo mostrarsi è al contempo un esporsi. È qui che insegnare è imparare: il flusso della filosofia, spontaneo, imprevedibile, proteiforme, si 43

incontra con un flusso altrettanto spontaneo, imprevedibile, proteiforme, quello dei bambini. Una volta liberato il flusso del pensiero filosofico per far sì che giunga a toccare quello del pensiero del bambino, linsegnante non deve far altro che aspettare: i bambini iniziano a ripetere, ossia a riesporre il filosofo a modo loro, nei loro termini, con le loro immagini, ed è l'insegnante che a questo punto ha davanti a sé la filosofia, è lui che a questo punto riceve indietro ciò che ha donato, in una forma inedita, trasfigurata, di nuovo viva. Ascoltare che linfinito di Anassimandro e l'essere di Parmenide, alla fine, sono "amici", o che l'infinito "siamo tutti noi': o che Confucio, forse, non è riuscito a convincere i suoi contemporanei perché "diceva cose troppo giuste" e quindi difficili da seguire, significa per l'insegnante riascoltare nelle voci dei bambini l'eco della filosofia, i cui concetti si riverberano ancora una volta, e ogni volta in modo diverso, attraverso quell'immediatezza espressiva che proviene solo dal mondo dell'infanzia. Dopo un'ora trascorsa a discutere di filosofia con i bambini, ho spesso l'impressione non solo di aver trasmesso qualcosa, ma anche di aver ricevuto qualcosa e, non di rado, di aver ricevuto più di quello che ho trasmesso. Ho imparato insegnando.

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Le domande dei bambini*

"Ma Parmenide si divertiva a infiammare la testa delle persone?": la domanda di Antonio, 9 anni, arriva diretta, schietta ed essenziale. E la risposta dev'essere altrettanto diretta, schietta ed essenziale: "Voleva far riflettere le persone, e questo probabilmente lo divertiva pure". Se c'è una cosa, tra le tante, tantissime, che ho imparato insegnando filosofi.a ai bambini è quella di evitare i giri di parole o le risposte evasive. Questo è uno dei tanti punti di incontro tra la filosofi.a e i bambini che sono emersi dalla mia esperienza, ormai più che decennale, di didattica filosofi.ca nella scuola elementare. Né la filosofi.a né i bambini amano perdersi in formalismi, perché il tempo è prezioso quando si sta cercando di capire il senso delle cose. Quando entro in una classe per la prima volta, so bene che ho i minuti contati, perché lattenzione di un bambino è totale per ciò che è sconosciuto, quanto impietosa per ciò che è noioso o poco interessante. Se in quei primi minuti riesco a presentare la filosofi.a

~esto capitolo è uscito su "Robinson~ inserto domenicale della "Repubblica~ del 24 settembre 2017. Si ringrazia la gentile redazione di "Robinson" per il permesso di pubblicazione.

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per quello che già è, ossia per nulla noiosa e molto interessante, allora quell'attenzione si trasforma in curiosità e possiamo iniziare, insieme, il viaggio nella conoscenza. Per suscitare interesse non si può che cominciare con delle domande: "Sapete che cos'è la filosofia?", "L'avete mai sentita nominare, prima d'ora?': "Secondo voi, con quale delle materie che fate a scuola ha a che fare la filosofia?". "lo ho sentito una volta mamma che diceva la parola.filosofia", "Mio fratello studia filosofia al liceo", "lo una volta ho sentito in televisione che parlavano della filosofia"; "Per me la filosofia ha che fare con matematica~ "Per me con storia~ "Per me con storia e scienze". Anche solo parlarne in modo generico e irriflesso permette ai bambini di entrare in rapporto con la filosofia. I bambini dicono subito quello che pensano, dicono molte cose, ma non dicono mai tutto; anche loro, pur essendo così ricchi di immaginazione, lasciano sempre qualcosa in ombra, di impensato. "E la filosofia non può avere a che fare pure con la ginnastica?", "Sì, forse sì"; "E con il tempo l'b ~" "Nooo"; "E con 1a mensa., ~" i ero., "Ma nooo!". Ecco che si è aperto uno spiraglio di riflessione a cui molti di loro, se non tutti, non avevano ancora pensato: "E invece sì, la filosofia ha a che fare anche con il tempo libero e la mensa, così come ha a che fare con tanti altri momenti della vostra giornata fuori da scuola". Se sei riuscito a sorprenderli una volta susciti ammirazione, rispetto e, cosa ancora più im-

portante, fiducia. Quando capiscono che la filosofia non solo è un oggetto misterioso, ma anche imprevedibile - esattamente come ognuno di loro -, allora i bambini vogliono conoscerla per davvero. Quindi arriva il loro turno di fare le domande. Domande insidiose, profonde, filosofiche. Alice Amina, 9 anni, a cui ho spiegato che per Anassimandro la terra sta sospesa al centro dell'universo, così da poter reggersi da sola: "Se tanto l'universo ha la forma di un cerchio, non ha comunque una parte sotto dove la terra potrebbe poggiare?"; Luca, 8 anni, ascoltando il mito platonico della caverna: "Se i prigionieri nella caverna non hanno mai visto le cose vere, come fanno a dire che un'ombra indica una nave e un'altra un leone?"; Lucia, 10 anni, mentre parliamo della metempsicosi: "Se Pitagora pensa che l'anima dopo la morte passa a un altro corpo, quanto dura il passaggio? Magari tre secondi? E dove sta, l'anima, durante il passaggio?': Domande dettate da una logica coerente quanto spontanea, che solo un bambino può avere. Domande ultime, perché vanno al cuore del problema e risvegliano i concetti filosofici fondamentali. Ad Alice Amina rispondo che Anassimandro voleva immaginare comunque un modo per cui la terra poteva restare sospesa da sola, senza qualcosa sotto che la tenesse in piedi; a Luca rispondo che, in qualche modo, quei prigionieri avevano già quelle conoscenze dentro di sé; a Lucia rispondo che non lo 47

so quanto dura il passaggio da un corpo all'altro, né dove se ne sta l'anima durante il passaggio, e che magari Pitagora lo sapeva, ma non ce l'ha mai detto. Risposta, quest'ultima, che suscita un po' di delusione in Lucia, che credeva che i filosofi avessero tutte le risposte; ma, insieme, le dà forse anche una sensazione di piacere, perché sente che ha posto un problema a cui nessuno prima aveva pensato. Spesso si afferma che la filosofia serve ai bambini per aiutarli a sviluppare un pensiero critico. Sono d'accordo, ma fino a un certo punto, non fosse altro perché i bambini ne hanno già tanto di pensiero critico, a volte troppo. Credo che la filosofia serva ai bambini per imparare a gestire questo innato e prezioso pensiero critico, a organizzarlo, articolarlo in modo più ordinato e consapevole. Proprio come i primi greci, i bambini spesso sono già filosofi senza saperlo; conoscere la filosofia, allora, può aiutarli a conoscere meglio sé stessi e a rivolgere la loro curiosità verso di sé, come Michele, 9 anni: "Perché faccio tante domande?".

8 "Ma tu sei un filosofo?"

Capita sempre, a un certo punto del mio percorso filosofico con i bambini, che uno di loro inizia a fissarmi con sguardo indagatore e poi domanda, secco: "Ma tu sei un filosofo?': Alla mia risposta affermativa, le reazioni generalmente sono due: un lieve ammiccamento, come per dire "Ah beh, meno male, quindi dovresti sapere di cosa parli"; oppure un' alzata di spalle accompagnata da una smorfia di sufficienza, che sembra significare: "Mmhh, tutto qua?". Quando percepisco questa seconda reazione in particolare, aggiungo qualcosa come: "Che cosa vi credete, che i filosofi hanno la coda o le corna o girano mascherati? Siamo esseri umani come tutti voi...". Una volta, quando ancora ero studente all'università; stavo guardando un'intervista televisiva a uno dei più illustri filosofi italiani, docente universitario - uno di quelli davvero bravi, che nei suoi scritti ha affrontato le questioni più profonde e complesse del pensiero - quando, alla domanda di apertura dell' intervista: "Lei è un filosofo?': egli si schermì e rispose: "Beh, no, sono un professore di filosofia, filosofi sono altri", e citò a mo' di esempio qualcuno dei grandi pensatori della tradizione occidentale. 49

Quella risposta mi risuonò non solo deludente, ma in fondo anche incomprensibile e disorientante: se lui, che aveva parlato di temi quali l'eterno, il tempo, dio, che aveva indagato la struttura profonda dell'esistenza, rifiutava di essere riconosciuto come filosofo, chi, allora, poteva esserlo? Che cosa bisogna dire e scrivere per essere definiti "filosofi"? Bisogna magari essere morti, meglio se da tanti anni, e possibilmente essere inseriti in qualche manuale di filosofia? Certo, la persona in questione dimostrava una grande onestà riconoscendosi innanzitutto nella sua professione all'interno della società, ossia quella di docente universitario, ma di certo quando pensava e scriveva certe cose non era solo un professore di filosofia, ma un filosofo tout court. Perché, allora, non ammetterlo? Perché fare il filosofo, senza dirlo? Che si trattasse di falsa modestia? Ma perché, poi, definirsi un filosofo dovrebbe essere indice di immodestia? Semmai, l'immodestia è nel fare filosofia, ossia nel pretendere di parlare delle cose ultime, delle questioni fondamentali, di offrire una comprensione della realtà; dal momento, però, che questo lo si fa già, perché non darsi il nome che si merita? Immodesti di fatto e modesti a parole? E, nel caso in questione, non si trattava certo di uno storico della filosofia, che è forse l'unico che potrebbe distinguersi dal filosofo, per quanto anche qui il confine spesso si fa labile, ogni volta che lo storico indugia, com'è na-

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turale, nell'interpretazione di alcuni momenti della storia della filosofia. L'intervistato era davvero un filosofo, e pure un filosofo notevole, ma non amava definirsi tale ... Qualche tempo dopo, al mio ultimo esame universitario in storia della filosofia moderna, la professoressa, nonostante qualche mia lacuna sulle conoscenze storiografiche riguardanti il filosofo oggetto di esame, mi diede il massimo dei voti, accompagnando questa sua gentilezza con la frase: "In fondo, si vede che lei è un teoretico, e quindi non ha interesse per le questioni storiche". Non l'ho mai preso come un complimento, ma come una sorta di rivelazione su quella che era la mia natura di studente alla fine del percorso di studi: un filosofo, ovviamente un filosofo principiante. Da quel giorno, attraverso i passaggi prima formativi, laurea e dottorato, e poi professionali, all'inizio precari e poi fortunatamente stabili, dall'università alla scuola, non ho mai smesso di sentirmi un filosofo; sempre meno principiante, ma mai pienamente realizzato, e tuttavia, comunque un filosofo, ma, anche, solo un filosofo. Ecco perché, ogni volta che mi arriva quella domanda da parte di un bambino, rispondo: "Sl, sono un filosofo". E la cosa più bella non è certo la mia risposta, ma sono quelle due reazioni possibili: "Bene, almeno sai di cosa parli" e "Tutto qua?': Entrambe, infatti, aiutano il filosofo, e la filosofia a cui il filosofo si accomSI

pagna, a uscire dal guscio che ha progressivamente costruito intorno a sé, come per la paura di mostrarsi per quello che è. E, tuttavia, questa smania.di protezione nasconde, da un lato, quella falsa modestia che avevo individuato nell'intervistato, dall'altro, però, una considerazione di sé, o dell'idea del filosofo, talmente elevata da non poter mai riconoscerle la possibilità di una realizzazione empirica, di una personificazione. Dire: "Sì, sono un filosofo" significherebbe svelare l'incantesimo, il trucco che sta dietro il pensare, il dire e lo scrivere di chi è filosofo, ma non lo ammette. Filosofo è sempre qualcun altro, Platone, Aristotele, Kant, Hegel, ma non chi li studia, li analizza e, sulle loro spalle di giganti, fa la sua filosofia. È chiaro che definirsi un filosofo non significa mettersi al livello di Platone o di Hegel, così come definirsi un musicista non significa paragonarsi a Mozart e dirsi scrittore non vuol dire equipararsi a Dostoevskij. E tuttavia, la filosofia, la musica o la letteratura non vivono solo di Platone, Mozart e Dostoevskij, per quanto loro sarebbero potuti bastare per riconoscere che c'è stato qualcosa come la filosofia, la musica o la letteratura. Ma la filosofia, la musica o la letteratura rivivono ogni volta che qualcuno, in qualche parte del mondo, secondo le proprie capacità, elabora un pensiero coerente e fondato, suona una melodia o scrive un romanzo, magari con la consapevolezza che i pensieri più fondati, le note più emozionanti e le parole più profonde ci sono già stati.

Qualsiasi trucco, quando viene svelato, suscita una certa delusione ("tutto qui?"), ma dà anche la sensazione rassicurante che, alla fine, sta avvenendo quello che ci si aspettava ("Meno male, almeno sai di cosa parli"). Scoperte le carte, il gioco non finisce di certo, ma continua in maniera più riconoscibile e comprensibile per tutti, pure per chi lo conduce. "Sì, sono un filosofo" non vuol dire porsi al di sopra degli altri o inserirsi in un club esclusivo di personaggi illustri come loro pari, ma riconoscere più semplicemente che si è parte di un percorso millenario, multiforme, che ha conosciuto dei vertici irripetibili, degni ancora di essere trasmessi e, perché no, messi in discussione. "Sì, sono un filosofo" significa dire ai bambini che con Parmenide e Platone o Confucio e Zhuangzi si condivide l'amore per il sapere, il gusto della discussione, la passione per le idee, lesigenza di una coerenza concettuale, l'importanza dell'insegnamento. Significa giustificare il fatto di essere lì, in mezzo ai bambini, per trasmettere loro i pensieri più alti che l'umanità abbia mai pensato, perché definirsi filosofi vuole dire anche riconoscere un rapporto di filiazione, e non certo di equiparazione, con i grandi filosofi. Ma definirsi filosofi, e dirlo davanti a tutti, come semplice risposta a una semplice domanda, significa altresì svelare il trucco, scoprire le carte e dare un colpo forte quanto salutare all'apparente modestia della filosofia, che troppo spesso è solo l'altra 53

faccia di una supposta superiorità, così alta da essere ineffabile e irrappresentabile. È un trucco che forse può funzionare in un' intervista tra adulti, ma di certo non funziona con i bambini, che non vengono impressionati dai titoli e dai nomi, ma pretendono di sapere esattamente con chi hanno a che fare (una delle domande più immediate di un bambino a un estraneo è: "Tu chi sei, come ti chiami, che fai?"); e se qualcuno richiede la loro attenzione e il loro coinvolgimento in qualcosa, vogliono che questo qualcuno sappia di che cosa sta parlando, che egli stesso sia, in qualche modo, parte di quel qualcosa. E, come in Parmenide la persuasione tiene sempre dietro alla verità, la filosofi.a è sempre seguita da un filosofo. Perché, allora, non dirlo?

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Disegnare i pensieri

Il passaggio dalla scuola elementare alla scuola media è uno dei più importanti nel percorso di uno studente, non solo perché coincide, biologicamente, con l'inizio di grandi e irreversibili cambiamenti, ma anche perché, scolasticamente, rappresenta l' inizio di altri cambiamenti, altrettanto grandi e irreversibili. Non si è più bambini, ma non si è ancora ragazzi: si è preadolescenti, dove il prefisso tradisce l'impossibilità di una definizione, e quindi di una conoscenza precisa della condizione della persona; l'insegnante non è più il maestro, ma il professore, a cui bisogna dare del "lei"; si viene chiamati perlopiù per cognome; e, last but not least, non si disegna più (al di là, ovviamente, delle materie che lo richiedano esplicitamente). La scomparsa del disegno, inteso non come attività ricreativa, ma come mezzo per esprimere le proprie idee e quello che si è compreso di una lezione o di un argomento, passa pressoché inosservata in mezzo agli altri cambiamenti, i quali sicuramente incidono in maniera più diretta e determinante sulla quotidianità scolastica dell'ex-bambino-non-ancora-ragazzo. Non sono in grado di individuare le ragioni di questa

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scomparsa o, per essere più precisi, di questa eliminazione; è probabile che esse risiedano in considerazioni pedagogiche e didattiche che mi sfuggono e che, essendomi sconosciute, non mi permetto di giudicare. L'unico motivo che posso immaginare è che il disegno, come mezzo espressivo, viene considerato non più adatto a uno studente di scuola media, avviato ormai verso l'età, anche scolasticamente, adulta. D'altra parte, questa eliminazione dell'attività grafica non avviene solo nella scuola, ma spesso parallelamente pure nella vita privata: sia i genitori sia il preadolescente ritengono che appartenga a una fase ormai superata dell'esistenza, non più idonea a chi sta diventando "grande': Se, quindi, lo studente medio va a vedere una mostra o uno spettacolo teatrale, non gli viene chiesto di disegnare l'evento a cui ha assistito, ma di scrivere una relazione o simili; ciò che può avvenire, ovviamente, anche per lo studente elementare, ed è più che giusto, dal momento che esprimersi attraverso la scrittura è parte integrante del percorso formativo di un individuo. Tuttavia, allo stude~te elementare è spesso concesso di accompagnare il testo con un disegno oppure di esprimersi solo mediante il disegno. Ciò che non avviene, il più delle volte, per lo studente medio. Arrivato al terzo anno di liceo, lex-bambinoormai-ragazzo (l'adolescente si è liberato di quel 56

prefisso così approssimativo) incontra per la prima volta la filosofia, quando da anni il disegno non appartiene più alla sua modalità espressiva. È impensabile, perciò, chiedere a uno studente di 16 anni di disegnare l' arché di Talete o lo Sfero di Empedocle; ne deve parlare e, possibilmente, con una certa proprietà di linguaggio. Altra cosa giustissima, anche solo considerando il legame originario tra pensiero e linguaggio. E, tuttavia, altrettanto originario è il legame tra pensiero e disegno, rintracciabile tanto nell'infanzia dell'umanità che in quella dell'individuo. Senza scomodare un improbabile quanto infondato parallelismo tra filogenesi e ontogenesi, è pur vero che sia nell'umanità sia nell'individuo il disegno viene progressivamente confinato a un'area specialistica, per essere sostituito dalla parola scritta o parlata, o da diverse forme di grafico, le quali, però, non hanno nulla a che fare con la creatività e l'immediatezza di un disegno che non deve spiegare un pensiero, ma esprimerlo. Non solo ad alcun insegnante di filosofia viene in mente di far disegnare i pensieri filosofici ai propri allievi (salvo forse qualche esperienza isolata, di cui magari non sono a conoscenza), ma è lo studente stesso che spesso non si ritiene all'altezza di disegnare i pensieri di un filosofo e, quindi, i propri pensieri su quel filosofo. Quando, ogni tanto, mi capita di proporlo ai miei studenti liceali, anche solo in forma di proposta 57

semiseria, si ritraggono spaventati alla sola idea di dover esprimere mediante un disegno quello che hanno appreso. I bambini, invece, disegnano, non fanno altro che disegnare: disegnano quello che imparano, quello che provano, quello che vivono, quello che passa loro per la testa. Per i bambini, il disegno rappresenta la modalità espressiva privilegiata, perché in essa possono manifestare non solo il contenuto dei loro pensieri, ma anche le loro forme, i loro colori, le loro dimensioni. Osservare il disegno di un bambino è come leggere nella sua mente e, a differenza della forma scritta, il suo messaggio è molto più immediato, evidente, ma per questo non meno profondo. D'altra parte, gli stessi libri per bambini sono illustrati e talvolta solo illustrati. Il disegno, sia nella dimensione attiva della propria espressione, sia in quella passiva della lettura, è la lingua dei bambini. Quando la filosofia incontra i bambini ha dunque l'occasione di vedere espressi nei loro disegni i pensieri di cui è intessuta la sua storia, qualcosa che di solito non le accade con gli studenti a cui normalmente deve rivolgersi. E, come dalla parola scritta e parlata di uno studente linsegnante di filosofia può capire che cosa lo studente abbia compreso del filosofo e dell'argomento trattato, che cosa quindi sia stato in grado di insegnargli e che cosa lo studente sia in grado di esprimere da sé, cosi da un disegno 58

il maestro di filosofia può vedere con i suoi occhi la forma che, secondo il bambino, ha il pensiero di un filosofo o un concetto filosofico. L'importanza del disegno non sta solo nella sua potenza espressiva, che gli permette di mostrare tutto in una volta il messaggio che deve trasmettere; ma risiede anche nella sua inevitabile selettività, che obbliga chi disegna a scegliere quale parte del filosofo o del concetto filosofico esprimere, nonché l'aspetto da dare a quel filosofo e a quel concetto filosofico. Non è possibile disegnare tutta la filosofia di Platone né c'è un solo modo per riprodurre l'essere di Parmenide o gli atomi di Democrito; se scelgo il mito della caverna, dovrò comunque mettere in evidenza alcuni momenti del racconto e, se anche provo a raffigurarli tutti, alcuni avranno più risalto rispetto ad altri; ho l'indicazione dello stesso Parmenide riguardo alla sfericità dell'essere, ma sarà mia la scelta di farlo più o meno grande rispetto al "giovane" filosofo a cui la dea lo mostra oltre la porta della Giustizia, così sarà la mia immaginazione a decidere se e quale colore dargli; tutto è fatto di atomi, mi insegna Democrito, ma che cosa disegnare come rappresentante di questo "tutto" spetta a me: un fiore, un albero, una macchina o una persona, che il filosofo di Abdera talvolta guarderà con il suo sguardo privo di pupille, perché mi hanno raccontato che scelse di accecarsi per vedere la verità con lo sguardo della mente. 59

Come ogni forma espressiva, il disegno è la restituzione, attraverso immagini, non solo di quello che il bambino ha compreso del filosofo, ma anche di ciò che lo ha colpito e gli si è impresso nel ricordo della lezione, così come di quello che non ricorda più o, forse, non considera importante riprodurre e fissare una volta per tutte. Non è detto, infatti, che ciò che non rientra nel disegno non stia vivendo nell' interiorità del bambino in altre forme e non venga fuori in modi e tempi diversi. È certo, invece, che quello che viene disegnato merita di essere visto da tutti, donato alla condivisione dello sguardo altrui. Disegnare i pensieri non significa semplicemente ripeterli, ma dar loro una forma che prima di allora non avevano avuto e farli vedere in una luce che, talvolta, le parole non riescono ad esprimere.

60

IO

Va in scena la filosofia

Una classe di terza elementare decise una volta di mettere in scena una parte del percorso di filosofia fatto insieme durante l'anno. Coordinati dall'insegnante di teatro Cecilia Moreschi, e con la preziosa collaborazione delle maestre Daniela Bea e Fiammetta Luzi del VII Circolo Montessori di Roma, i bambini trasformarono la recita annuale, a cui assistettero tutti i genitori, in una rappresentazione dei primi passi mossi dalla filosofia greca nelle persone di Talete, Eraclito, Parmenide, intervallati da Anassimene ed Empedocle {che qui non sono riportati). Guidati dal fil rouge della discussione su quale elemento sia alla base della vita, i bambini/attori of forono una splendida narrazione di come il pensiero filosofico si sia sviluppato attraverso una felice coniugazione di osservazione empirica, riflessione metodologi-ca e slancio metafisico. Impersonare i filosofi ha significato per i bambini viverli dall'interno, immedesimarsi nei loro pensieri e nel loro ambiente sociale e culturale; come nel teatro migliore, non si etrattato di una mera ripetizione o imitazione, ma di una rivivificazione di queste straordinarie figu.re del pensiero occidentale in corpi e menti 61

di bambini di S anni. Nello spazio di una recita, i filosofi hanno ripreso vita, non solo con le loro idee, ma con i loro caratteri, che ognuno di noi puo immagi.nare a partire dalle loro idee: il curioso e instancabile Talete, sempre attento a ogni particolare e con lo sgu.ardo rivolto a tutti gli aspetti della realta, l'inquieto Anassimene, che sente il bisogno di superare il maestro, il severo Eraclito, che non vuol perdere tempo con chi ha la mente addormentata, l'immagi.nifico Empedocle, che vede in ogni elemento l'infinita dei cicli cosmici. E, da ultimo, il venerando Parmenide, che viene solo evocato, perché la potenza dell'essere parla a suo nome. Unafelice intuizione el'introduzione dellafigura del passante che incontra Talete, il quale lo lascia attonito e disorientato, a dimostrazione del!'atopiaa cui sembrano condannati ifilosofi e che Wittgenstein rende con parole ironicamente rassicuranti: «Quest'uomo non epazzo: stiamo solofacendo filosofia» {bella certezza, 467}. Per lafilosofia, questa recita estata un'ulteriore occasione di ripercorrere i suoi momenti iniziali e, come tali, fondativi, dall'osservazione di un legno galleggiante sull'acqua al riconoscimento della radice ontologi.ca di tutte le cose: con gli occhi e le parole di un bambino. Oggi vi vogliamo parlare di filosofi.a. Ne abbiamo sentite tante dai nostri fratelli maggiori: ma che dicono 'sti filosofi? Ma 'sti filosofi. so' tutti matti! Ma non c'avevano altro da fa' nella vita? Ep-

NARRATORE

pure noi, così ingenui e giovani, abbiamo scoperto la vera verità: in fin dei conti la filosofia ci parla di noi, ci ricorda di quanto sia importante la conoscenza, ma pure il dubbio, insomma di quanto sia importante usare il nostro cervello. Avete mai pensato a che vuol dire "riflettere"?, cosa che amavano tanto fare i filosofi: vuol dire che il cervello si deve piegare per il peso di tutti i pensieri, ma anche spiegare, ossia mandare fuori tutti questi pensieri. Se provate a disegnare su un foglio una bella testa, prima la piegate poi la spiegate. e così via dicendo; vi accorgerete che un cervello in azione con tanti pensieri è pieno di pieghe. Bisogna proprio preoccuparsi quando il cervello è tanto liscio! Meditate, genitori! Il primo filosofo, veramente simpatico e pure un po' buffo, è Talete che nasce aMileto, una città greca con un bel porto, pieno di movimento non solo di merci, ma anche,di pensieri: tanta gente che viene da paesi anche lontani, con abitudini diverse. Le idee così circolano. -I

Scena (Talete, Serva, Passanti)

(si aggi.ra nella sua grande casa osservando tutto cio che lo circonda) Ma come è fatta? Perché ha TALETE

questo colore?

(Gli va dietro la sua serva che è molto preoccupata, ma anche spazientita)

Oh, ma non sta mai fermo! Che gliene importerà di sapere tutte queste cose? Mi tocca stargli sempre vicino! SERVA

(va sul terrazzo e gu.arda fisso il cielo, intanto sbatte ovunque e chiede) Scusi, scusi! TALETE

SERVA

(sempre piu spazientita) Questo è proprio

matto! TALETE

(comincia a osservare intorno a sé) Vorrei

tanto sapere qual è l'elemento che fa vivere la Natura. Senza di esso la Natura non può funzionare. Voglio sapere che cos'è. Forse sarà la Terra? Oppure l'acqua? Voglio immaginare la Terra senza terra, ma che dico!? No, no. Bisogna che ci penso bene. Devo sapere, non posso stare senza risposta. Devo fare qualche conto ... 2 ••• IO••• se poi aggiungo 5 ottengo... la lunghezza è quindi...

(Talete va per strada mentre pensa a voce alta e sbatte contro una persona che sta passando) PASSANTE Insomma, ma che fa! Un po' d'attenzione ci vuole!

Scusi, scusi... (guardandolo attentamente) ... senta, mi sa dire perché oggi il cielo è così scuro? (l'altro lo guarda strano e non risponde) Allora mi può dire qual è la cosa che fa vivere la Natura? (l'altro continua a non rispondere) Insomma, lei proprio non mi vuole rispondere, non sa proprio nulla!

TALETE

(Talete se ne va brontolando) (Arriva il buio della sera)

TALETE

È arrivato il momento di andare ad osser-

vare il cielo stellato, mi saprà parlare e spiegare tante cose. (Talete sta con la testa in su e non si accorge del

pozzo, cosi ci cade dentro) (lo tira su e poi sbotta sorridendo per prenderlo in giro) Ma come si fa con voi? Volete guardare SERVA

il cielo, voi che non riuscite a vedere cosa c'è per terra?

(Il giorno dopo Talete va a fare una lunga passeggiata vicino a unfiume, si accorge di un pezzo di legno chegalleggia sull'acqua, lo osserva e lo riosserva... epoi lancia un urlo travolgente) Ma il legno galleggia! Senza acqua, sarebbe sul fondo. Cosi è il mondo: senza acqua cadrebbe giù, fino a scomparire. Finalmente ci sono, ora so qual è l'elemento che fa vivere la Natura, che pervade ogni cosa ..., è... è l'acqua. L'acqua è nella terra, è negli alberi, è nell'uomo ... è proprio l'acqua ...

(ora salta, ride, epoi si getta nell'acqua delfiume) (sempre piu sfiduciata) Ora proprio ne ho le prove: è veramente matto ... Come farò io ... (lo tira su, continuando a lamentarsi a voce alta) SERVA

111

Scena (Eraclito, Allievi)

Poco lontano da Mileto c'è Efeso dove nasce Eraclito l'Oscuro, così chiamato perché diceva delle frasi assolutamente incomprensibili. Lui parlava solo a chi era "bellosveglio~ cioè a chi era pronto a capire.

NARRATORE

65

(In una grande stanza, con un bel fuoco acceso, alla presenza di alcuni allievi, c'è Eraclito che passeggi.a) La guerra è la madre di tutte le cose... (lo ascoltano perplessi) La vita è un bambino che gioca con i pezzi di una scacchiera e decide chi vive e chi muore ... (gli allievi sono sempre piu attenti, ma alcuni sembrano non capire) Nel momento in cui si nasce ogni anima si incammina verso la morte ... ERACLITO

(Qualcuno prova a chiedere) ALLIEVO

1

Maestro, perché la guerra è...

Tu che sei un dormiente, che non hai saputo osservare con occhi attenti il fuoco che è in mezzo a noi, non hai alcun diritto ad essere qui, ti troverai meglio oltre la porta della mia casa tra coloro che trascorrono la loro vita dormendo. ERACLITO

Sarà pure molto intelligente, ma che caratteraccio che ha e poi non si capisce proprio niente di quello che dice.

ALLIEVO 1

(Altri allievi li vicino parlano tra loro) In una guerra c'è la possibilità di morire, ma anche di vivere, ecco perché il Maestro chiama la guerra Madre ...

ALLIEVO 2

I bambini giocano a caso e così è la vita che costruisce, dà origine all'esistenza, ma a un certo punto, così come capita, dà la morte, tutto distrugge... ALLIEVO 3

66

È proprio nella vita lidea della morte: se c'è la vita, c'è pure la morte ...

ALLIEVO 4

La lotta tra i contrari che è in ogni cosa, dà la vita alle cose ... ERACLITO

(A coppie di due che dicono gli opposti) Non c'è caldo senza freddo

(Altri due) Non c'è vita senza morte ...

(Altri due) Non c'è giorno senza notte ...

(Altri due) Non c'è luce senza buio ... ERACLITO

(si avvicina al fuoco) Guardate le

fiamme, fanno una danza affascinante. Il fuoco, mentre brucia e distrugge, fa calore e illumina. Altro che acqua o aria come dicevano Talete e Anassimene ! È il fuoco l'elemento più importante della Natura: è l'unico che nello stesso momento crea e distrugge. (Un altro bambino prende una candela gia accesa che

quindifa luce (vita), ma nello stesso momento la cera si scioglie (morte, distruzione)).

Finale (Musica. I ragazzi si spogliano e lentamente risalgono tutti sulpalco) Sì, va bene, ragazzi, ma allora, secondo voi, qual è lelemento che fa vivere la Natura? MARTA

Per me ha ragione Empedocle, perché senza l'aria non puoi respirare, senza la terra non puoi camminare, senza il fuoco muori assiderato, senza l'acqua non puoi bere. ,. RICCARDO

GIULIA Per me ha ragione Talete, che è l'acqua a subire tante trasformazioni, diventa aria, poi pioggia, poi fango e quindi terra. SOFIA Per me sono terra e aria, perché senza la terra non crescerebbero le piante e senza gli alberi non potremmo respirare.

E senza acqua come potrebbero crescere le piante? Non avrebbero nutrimento. MICHELA

LORENZO Secondo me, tutti gli elementi sono importanti, perché tutti fanno vivere la Natura, compreso l'essere. EMMA Ma che cos'è l'essere? Io ero assente a quella lezione e non ho capito tanto bene. SOFIA DIEGO

L'essere lo spiega bene Parmenide. L'essere è il tutto.

L'essere è. Se io dovessi dire il contrario, è come dire che due più due non fa quattro.

RICCARDO

GIULIA L'essere è in tutti gli elementi ma, mentre ogni filosofo dà importanza a un elemento diverso, l'essere è incontestabile.

È come una casa, in cui le porte, le finestre, sono i vari elementi e si potrebbero anche togliere, ma senza le fondamenta la casa crollerebbe.

LEONARDO

68

Le fondamenta sono l'essere.

GABRIELE

SOFIA Prova a disegnare una casa, al posto dell'acqua metti una finestra. MARTA

Al posto dell'aria un'altra finestra.

GIULIA

Al posto del fuoco un terrazzo. Al posto della terra un portone.

BIANCA

L'essere sono le fondamenta.

GABRIELE SOFIA

Posso cancellare finestra, terrazzo, portone.

MARTA

E la casa non crolla.

GIULIA

Se io elimino le fondamenta ... Addio alla casa.

BIANCA EMMA

Ora ho capito che cos'è l'essere!

MARIANNA

Mi è piaciuto fare filosofia, è come un

apriscatole. DIEGO

Lo dici perché ti apre il cervello ... ti fa ra-

gionare. Ti mette il cervello in funzione, discuti con gli altri, dici le tue ragioni. FABIO

A volte anche i genitori avrebbero bisogno di un bel corsetto di filosofia ... GABRIELE

II

Giocare con I'1-Ching

Ungi.orno, nelle classi di quinta elementare, abbiamo gi.ocato con l'I-Ching. il "Libro delle trasformazioni'; il testo che rappresenta una sorta di summa del pensiero cinese· in precario quanto fertile equilibrio tra divinazione, metafisica e cosmologi.a. Risalente all'x1 secolo a.C., entrato afar parte dei "Cinque Classici" nel 11 secolo a.C., questo libro si eformato nel corso di piu di dieci secoli, attraverso /'aggi.unta di interpretazioni e spiegazioni, ultimate solo tra il I e il 11 secolo d.C. Dopo aver parlato con i bambini dell'I-Ching nel piu ampio contesto della visione cosmologi.ca e metafisica dello yin e dello yang. abbiamo cercato di leggere questo antico libro gettando in terra delle monete che rappresentassero i simboli dell'alfabeto del Tao. Un alfabeto composto da linee intere e linee spezzate che, a seconda della loro combinazione, vanno aformare 64 simboli. Ogni lancio era compiuto, a turno, da una coppia di bambini che, prima di lanciare le monete, si ponevano una domanda a cui il Tao, attraverso l'I-Ching. avrebbe dato la sua risposta. Una volta individuato il simboloformato dalle monete, i bambini si sono lanciati nell'interpretazione da dare alla combinazione dei segni del Tao, cercando di metterla in rapporto alla domanda iniziale. 71

Le domande riguardano ilfuturo dei bambini, di cui svelano alcune segrete aspirazioni e curiosità. Ma il bello sta tutto nelle risposte o, per meglio dire, nelle interpretazioni suggerite dai bambini, che cercano di rintracciare un senso nel responso dato ogni volta dal Tao, confrontandosi sia con il significato sia con l'immagi.ne del simbolo. Se i simboli sono il linguaggio con cui il Tao risponde, le interpretazioni sono l'espressione del senso possibile di questo linguaggio, il quale non ee non puo essere un senso univoco, ma ee deve esserepolifonico, perché rispecchia la multiformità del divenire cosmico che, per quanto unico, ein continua trasformazione. Che la lingua del Tao risuoni nella polifonia di bambini di Io anni eun altro dei risultati sorprendenti dell'ingresso della filosofia in una scuola elementare. DOMANDA SIMBOLO

vento)

Faremo i cantanti da grandi? Il pozzo (immagine: acqua e legno +

==

--- -

"L'acqua del simbolo indica la pienezza, il vento indica l'incertezza. Questo significa che il Tao è incerto" (Simone). "Il legno indica la capacità dell'uomo di costruire. Significa che questa passione per il canto va costruita giorno per giorno" (Teresa). DOMANDA

Saremo ricchi da grandi? 72

== ---

Il germoglio (immagine: acqua e

SIMBOLO

tuono)

"Il tuono è una forza negativa, che ti dice di no a seconda del mese in cui capita. Significa che devi lottare contro la tua povertà e poi alla fine starai bene, anche se non sarai ricco" (Francesco). "L'acqua ti guida, ma può anche tradirti. Il tuono è segno di disagio: significa che non è facile diventare ricchi" (Giulia). DOMANDA

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SIMBOLO

tuono)

A che età moriremo? Il seguire

(immagine: palude e

"La palude è un po' appiccicosa: non devi farti intrappolare dalle scelte della vità' (Elena). "Secondo me vuol dire che il Tao non ci dice una risposta chiara, per non metterci a disagio. Può spaventare sapere a che età si può morire. Allora il Tao preferisce non farcelo sapere. Bisogna seguire la propria vita per scoprirlo" (Damiano). DOMANDA SIMBOLO

montagna)

Incontreremo Nicola a 30 anni?

--- -

Eccesso del piccolo (immagine: tuono e

-73

"Noi saremo diventate filosofe più brave di Nicola" (Marianna). DOMANDA

Resteremo amiche?

Avvicinarsi (immagine: terra e pa--

SIMBOLO

lude)

---

"Saremo amiche, ma poi ci allontaneremo e quindi ci sarà il riavvicinamento" (Arianna). DOMANDA

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SIMBOLO

fuoco)

Che lavoro faremo da grandi? La bellezza (immagine: montagna e

"Nel lavoro seguirò quello che mi piace, che ha fascino (la bellezza), e quando finirà la bellezza lascerò il lavoro" (Lucia). Quanti compagni di questa classe incontreremo in futuro?

DOMANDA

=

-- --

La contesa (immagine: cielo e acqua) "Ci incontreremo solo con quelli con cui abbiamo litigato" (Franti). "Ci incontreremo solo con quelli con cui non abbiamo litigato" (Sofia). "Per incontrarci, non dobbiamo litigare" (Giordano). SIMBOLO

74

12

Dove vanno a fìnire le ore passate?

In una classe di quinta elementare, come corollario delle mie lezioni, la maestra Angelica De Santis, dell'Istituto Comprensivo R S. Nitti di Roma, ha proposto ai bambini di riflettere su una domanda: dove vanno afinire le ore passate? Tutti hanno scritto la loro risposta, ognuno seguendo la propria immaginazione e capacita di intuizione. Ne ho scelte quattro, perché si distinguono per un livello particolare sia di immaginazione, che di intuizione. Immaginazione, perché le risposte sono articolate a partire da una situazione immaginata, soprattutto in Lorenzo e Margherita, che immaginano appunto di incontrare le ore passate, si immedesimano in questa condizione fantasticata, narrando il loro incontro in una sorta di mito filosofico infantile. Infantile, perché il linguaggio e l'elementarita della descrizione rispecchiano ovviamente l'eta dei bambini, e filosofico perché sia Lorenzo sia Margherita hanno reso protagoniste del racconto le ore passate, sfuggendo all'egocentrismo ancora cosi tipico della loro eta, e mettendo al centro della narrazione il problema filosofico da cui la narrazione ha preso le mosse. Meno immaginazione, ma molta intuizione, in Andrea e Alice, sebbene in modi diversi fra loro. An75

drea rinuncia a seguire le ore nel loro passare, dando per assunto che passino e che, quindi, da qualche parte vadano a finire. Non le segue perché la loro uscita di scena è come se significasse il loro ingresso in una dimensione dove, mancando l'esperienza, manca anche il linguaggi.o che puo descrivere tale esperienza. Ed ecco l'intuizione di Andrea: posso parlare solo di quello che conosco, e conosco solo quello di cui ho esperienza. Non so dove vadano le ore, e dunque non parlo di questo; ma so che passano, e allora si, di questo posso parlare, e tanto mi basta. Ed ecco la seconda, più profonda intuizione: non è importante sapere dove vadano a finire le ore passate, più importante è constatare il legame fondamentale che esiste tra ilpassare delle ore chefluiscono e la realtJ. in cui viviamo, la cui trama è intessuta dal trascorrere del tempo. Oppure, con un gesto intuitivo ulteriore, si puo congi-ungere il passare delle ore all'esperienza mentale che ne abbiamo, come fa Alice. In questo modo, il fluire delle ore non va solo aformare la trama del mondo, ma anche, e soprattutto, ilflusso di coscienza che abbiamo di questa trama. Quelli che scrivono sono bambini di IO anni, eppure si sentono riecheggi.are alcune delle più profonde idee filosofiche sutproblema del tempo, i cui nomi ho provato a suggerire a margi-ne delle riflessioni di Lorenzo, Margherita, Andrea e Alice, come loro sconosciuti, ma non estranei, compagni di viaggio.

LORENZO

"Un giorno stavo passeggiando lungo le sponde di un fiume e ho notato degli animali piccolissimi che si dirigevano dentro il fiume e così ho proseguito immergendomi con loro. Dentro l'acqua c'era un buco dove io non entravo!! Ma accanto a me c'erano delle alghe con scritto RIMPICCIOLIRSI, allora io le presi e le mangiai, erano buonissime! Subito dopo averle mangiate mi sono totalmente rimpicciolito e sono diventato di altezza giusta per entrare e così entrai. Dentro vidi tutti numeri che partivano da uno a ventiquattro, e per ogni paese, città ed erano miliardi!!!!! Alcuni uscivano e altri entravano. In quel caos ho conosciuto il capo: era un secondo!! Lui mi disse che stava per svanire l'effetto delle alghe e così corsi fuori mentre salutavo le ore e il capo. Appena fuoriuscito, ricrebbi e uscii dall'acqua. Subito corsi a casa e raccontai tutto a mamma, ma lei non ci credette e così tenni il segreto solo per me non dicendo mai ai miei compagni che le ore aspettavano il loro turno!!': «Nello stesso fiume non è possibile entrare due volte» (Eraclito, DK 2.2. B 91). «È evidente che il tempo non esisterebbe, se non esistesse l'"orà', né l'"ora" se non esistesse il tempo» (Aristotele, Fisica, IV 11, 2.19b-22oa).

MARGHERITA

"Ci sono parecchie persone che si chiedono dove vanno le ore passate. Riflettendo parecchio tempo ho capito che fine fanno. Allora: le ore dopo aver fatto fantastiche avventure, si dirigono in una riunione di ore e iniziano a raccontare: 'lo sono le n.oo e ho fatto una bella dormita'. 'lo sono le 4.30 e sono uscita da scuola'. 'lo invece sono 1'1.30 e mi sono fatto una bella scorpacciata di cibo'. Insomma stavano lì e ogni volta.che cambiava ora, erano a disposizione per affrontare nuove avventure e tornare tutte insieme alla riunione per raccontare esperienze e nuove cose che serviranno per tutta la vità: «L'io attuale compie un'operazione in cui costituisce sé stesso in quanto essente nel modo passato. L'io attuale, fluendo, è sempre presente e costituisce sé stesso come io che dura attraverso i suoi passati in un'autotemporalizzazione » (Husserl, La crisi delle scienze europee e lafenomenologia trascendentale, par. 54). ANDREA

"Dove vanno le ore? Quando non tocca a loro, vanno in vacanza e poi ritornano. Non si sa, è una mia ipotesi, ma senza ore il mondo come potrebbe essere? E chi lo sa? Potrei fare un esempio: potrebbero andare nel caos. Un'altra domanda: chi ha scoperto le ore? Uno scienziato, un filosofo o un astronomo? E quando sono state scoperte? E chi lo sa?

Quel che importa è che le ore esistano e che non stiamo nel panico". «Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere» (Wittgenstein, Tractatus logi.co-philosophicus, 7 ). «Il tempo è l'orizzonte di ogni comprensione e di ogni interpretazione dell'essere» (Heidegger, Essere e tempo, par. s). ALICE

"Buongiorno, io sono la dottoressa Alice e vi racconterò dove vanno a finire le ore passate. Secondo i miei esperimenti, le ore vanno a finire fra i ricordi nella nostra testa. Entrano attraverso un orecchio, e se la testa è di loro gradimento restano, altrimenti escono dall'altro ed è a quel punto che ci chiediamo: 'Cosa avevo fatto ieri?', o cose del genere. Per evitare questi sgradevoli inconvenienti ho inventato il 'Pulisci testa', che fa sembrare la testa più accogliente . .Ma, tornando a noi, per ogni giorno ci sono ore nuove e diverse e... mi dispiace, ma questo è tutto quello che posso dirvi, vi aggiornerò se scoprirò cose nuove': «In te, o anima mia, misuro il tempo. In te, io affermo, misuro il tempo.L'impressione lasciata in te dalle cose mentre passano e che dura anche quando esse sono passate, quella io misuro come presente, non le cose che, passando, ve la lasciarono» (Agostino, Confes-

sioni, II, XXVII).

79

13 Giovanni discute con Zhuangzi

Alla fine della lezione sulla filosofia taoista, ricordo spesso quello che diceva Zhuangzi, illustre maestro del pensiero cinese, a proposito del rapporto tra il linguaggio ela realta: «Perprendere ilpesce, serve la rete; una volta preso ilpesce, la rete non serve piu. Per prendere la lepre, serve la trappola, una volta presa la lepre, la trappola non serve piu. Per prendere la verita, servono le parole; una volta presa la verita, le parole non servono piu» (Zhuangzi, xxvi). L'esempio aiuta a spiegare la necessita di abbandonare il lingu.aggio una volta raggiunto il Tao, perché la vera comprensione del Tao non passa per il linguaggio, ma per una relazione psico-corporea non linguistica, che trova la sua espressione piu autentica nella pratica della meditazione. Solitamente, introduco questo esempio perfar capire ai bambini che non mi sara mai possibile, con le sole parole, spiegare loro che cos'è il Tao e come un individuo può entrare in un vero contatto con il Tao, perché le parole possono, al massimo, farci afferrare il senso del Tao efarci capire chefare esperienza di questo senso richiede il superamento, e quindi l'abbandono, del lingu.aggio. In questo modo, riesco, se non a convincere i bambini della genuinita della pratica taoista di filosofare, verso cui continuano a nutrire 81

qualche dubbio, almeno afarli riflettere sull'inadeguatezza della parola rispetto a tale pratica e, quindi, a invitarli a pensare a un 'esperienza diversa, come quella della meditazione che, per diverse ragi.oni, non possiamo praticare durante i nostri incontri. Un gi.orno, questa spiegazione ha suscitato la reazione di Giovanni, IO anni, il quale non si einteressato tanto del significato della frase rispetto alla logi.ca del pensiero taoista, quanto del significato della frase in sé stessa. Con un ragionamento stringente, Giovanni mi ha fatto notare che l'utilizzo dello stesso verbo, "prendere'; in contesti diversi, fa si che si parli sempre della stessa cosa e si annulli, quindi, l'effetto analogi.co della metafora, a cui mirava Zhuangzi. GIOVANNI

"Ma questo esempio non funziona, perché la rete, la trappola e le parole sono la stessa cosa, perché fanno la stessa cosa. La rete prende il pesce, la trappola prende la lepre, le parole prendono la verità. Quindi si sta parlando sempre della stessa cosa, cioè di una cosa che prende. Dunque l'esempio non funziona. Cioè, se dici la rete, è come se dici la parola: perché la rete prende e la parola prende".

Non ho cercato di far cambiare idea a Giovanni, anche perché non ho avuto la prontezza per contestare la sua argomentazione né, in quel momento, mi sembrava

la cosa piu importante da fare. Ho cercato piuttosto di gi.ustificare il senso con cui Zhuangzi ha proposto il suo esempio, spostando l'attenzione dal linguaggio a quello che il lingu.aggio vuole esprimere, aiutato in questo da altri due compagni di classe. SIMONE

"Ma no, Giovanni, dipende dal contesto': MICHELE

"Esatto. Tu non puoi prendere i pesci con le parole':

Ma Giovanni erimasto irremovibile, calcando anzi la sua riflessione sul significato univoco del verbo ''prendere" e sul suo effetto analogi.co diverso, se non contrario, alle intenzioni origi.narie di Zhuangzi. GIOVANNI

"Ma se sia la rete che le parole prendono, allora con la parola posso prendere i pesci':

A quelpunto, ho preferitofar notare a Giovanni la sua vicinanza proprio con Zhuangzi, il quale nutriva una profonda diffidenza verso il lingu.aggio. NICOLA

"Sai, Giovanni, Zhuangzi sarebbe ammirato, perché era il primo a sostenere l'insensatezza di affidarsi al . . ,, 1mguagg10 ....

Qualche giorno dopo, a casa, sono andato a rileggermi questo passo dal capitolo 2 dell'opera di Zhuangzi, dove eriportato un breve dialogo tra Zhuangzi e il suo maestro Huizi, un dialogo in cui il piccolo Giovanni avrebbe potuto ben dire la sua: «Zhuangzi e Huizi passeggiavano sull'argine del fiume Hao. Zhuangzi esclamò: "Guardate i pesci, come sguazzano a loro agio! È questo il piacere dei pesci!': Huizi replicò: "Ma voi non siete un pesce; come potete dunque sapere quale sia il piacere dei pesci?". Zhuangzi gli ribatté: "E voi non siete me; come potete dunque sapere quale sia il piacere dei pesci?". E Huizi, di rimando: "lo non sono voi, e dunque di certo non so ciò che sta in voi. Ma voi di certo non siete un pesce, ed è dunque evidente che voi non sapete quale sia il piacere dei pesci". Zhuangzi rispose: "Riprendiamo dall'inizio, se non vi dispiace. Voi mi avete chiesto come sapevo qual è il piacere dei pesci: dunque, per farmi questa domanda, sapevate che lo sapevo. Ebbene, lo so standomene qui in riva al fiume!"» (cit. in A. Cheng, Storia del pensiero cinese, Einaudi, Torino 2000, p. rns).

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Michele se la prende con i ftlosofì

I filosofi possono essere irritanti? Non come persone, s'intende, ma come pensatori? Se chiedeste a Michele, g anni, la risposta sarebbe di certo affermativa. Michele ha un grande dono, che lo rende particolarmente dotato per la filosofia: ascolta. Se ne sta sempre li, attentissimo, cerca di non perdersi un passaggio del racconto della vita e del pensiero di un filosofo, se non capisce qualcosa, domanda subito, vuole vederci chiaro, non sopporta di non capire. A questo dono, Michele aggiunge l'esigenza di sviluppare un 'empatia verso ilfilosofo di cui si parla, non vuole solo comprenderne le idee, ma anche condividerle, accoglierle nella sua visione delle cose. .

MICHELE

"I filosofi a me fanno venire il mal di testa perché pensano difficile ... invece devono stare calmi e pensare facile! Loro (i filosofi) vogliono sempre il problema... come Giacomo! (un compagno di classe, N.d.A.) Loro prendono la cosa semplice e poi la complicano... basta! Che poi viene il mal di testa e non si capisce niente!". 85

Michele ha ascoltato la lezione, ha compreso, ma non riesce ad accettarla: c'è qualcosa nell'atteggiamento intellettuale dei filosofi che lo irrita profondamente; la continua ricerca di una spiegazione sempre piu sottile e resistente alle obiezioni mostra a Michele l'aspetto piu inquieto della filosofia, che può risultare tf,ijficilmente sopportabile per chi, ogni tanto, ha bisogno di un momento di quiete teoretica. NICOLA

"Cosa ti dà fastidio dei filosofi?" MICHELE

"Che non sono tranquilli, si agitano con questi pen......" s1en NICOLA

"Io insegno filosofia e sono tranquillo... tu però ti stai . do ...." ag1tan

Questo atteggiamento lo rende molto simile ad Anassimandro, ilfilosofo che viene sempre per secondo, dopo l'inaugurazione del pensiero filosofico ad opera di Talete. È un secondo scomodo, però, perché, al pari di Michele, Anassimandro ascolta attentamente le spiegazioni di Talete, vuole comprenderle, ma le accoglie solo se rispondono a precisi criteri di coerenza logi.ca e argomentativa. 86

MICHELE

"Certo che mi agito perché lui (Anassimandro) si fa tutti 'sti problemi! Perché? E poi: ma se Anassimandro era allievo di Talete e Talete diceva che la Terra era immobile perché secondo lui non si poteva mettere la Terra in un qualunque punto dell'universo visto che era immobile? Perché per forza al centro?': NICOLA

"Ma te l'ho detto, perché il centro è alla stessa distanza da tutti i punti, e in questo modo la Terra resta sospesa in perfetto equilibrio". MICHELE

"Sì, va bene, ma se tanto è immobile resta comunque sospesa... che bisogno c'è di metterla al centro?".

Di Anassimandro parlo ali'inizio del secondo anno del mio percorso, dopo che i bambini hanno gia conosciuto non solo Talete e Anassimene, ma anche, tra gli altri, il rigoroso Parmenide, il cui divieto di pensare il nulla aveva gia suscitato, l'anno prima, le ire di Michele. MICHELE

"Come fa Parmenide a dire che non è possibile pensare il nulla? Ecco, adesso lo sto pensando". NICOLA

"Se lo stai pensando, in realtà stai pensando a qualcosa e non al nulla".

MICHELE

"Non è vero! lo non sto pensando a qualcosa, ma proprio al nulla! lo non sto pensando a niente, proprio a niente': NICOLA

"E, allora, se non stai pensando a niente, come fai a parlarne? Come è possibile parlare del niente? Se ne parli, evidentemente stai parlando di qualcosa. E per parlare di qualcosa stai pensando a qualcosa, e non al nulla".. MICHELE

"Ma che ne sa Parmenide di quello che sto-pensando . n" 10 •••

Le cose, pero, non vanno meglio quando, in quinta elementare, parliamo del concetto di "vuoto" (shunyata) nel buddhismo. . MICHELE

"Ma che vuol dire che tutta la meditazione deve portarmi in contatto con il vuoto? Come faccio a entrare in contatto con qualcosa che è vuoto?". NICOLA

"Vuoto significa che tutte le cose non fanno altro che consumarsi e quindi, in realtà, tutto quello che ci circonda è uno spazio vuoto, dove niente dura. 88

Così come noi stessi, che in ogni istante non siamo più quello che eravamo un istante prima e, perciò, viviamo consumandoci". MICHELE

"Ma io adesso sono qui, che parlo con te. lo lo so di essere Michele, tu lo sai di essere Nicola". NICOLA

"Ma questi sono solo dei nomi che attacchiamo alle cose e alle persone". MICHELE

"Non sono solo dei nomi, cioè, diamo dei nomi perché le cose esistono, dove sta tutto questo vuoto?". NICOLA

"Finché restiamo convinti che le cose esistono, cioè che durano e hanno consistenza, non coglieremo mai il vuoto. Per questo bisogna meditare, per liberarci dall'idea che la realtà ha un'esistenza nel tempo, mentre non fa altro che dissolversi in continuazione". MICHELE

"Ma io so di essere Michele, che ieri ero Michele, che sono sempre me stesso. Cambio sì, però sono sempre io. Così come so che lui è Giacomo e lui è Luca. Come faccio ad essere un vuoto?!':

NICOLA

"Prima con Parmenide volevi pensare il nulla, e ti arrabbiavi se Parmenide ti diceva che non è possibile; ora Buddha ti dice che puoi pensare solo il vuoto, e invece tu vuoi pensare l'essere ... ma non ti accontenti mai ..

.,,,

Chissa se in fondo Michele, prendendosela con i filosofi, non se la prenda in realta con quella parte di sé cosi vivace intellettualmente, che rivede, trasfigurata, in quei filosofi cosi irritanti... D'altronde, la sua non è una polemica fine a sé stessa, ma l'espressione di un autentico amore per il sapere. MICHELE

"Nicola, scusa, io ora voglio farti una domanda, voglio parlare di un problema, ma non per darti fastidio, solo per ragionare ...".

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15 Andrea fa i conti con Pitagora

Questo testo estato raccolto da Emanuela Spagn.oletti Zeuli, che lavora come insegn.ante di sostegrto presso il VII Circolo Montessori di Roma e collabora con la cattedra di Matematica e didattica della Matematica all'Universita degli Studi di Roma Tre. Emanuela ha assistito agli incontri del mio laboratorio in una classe quarta, dove seguiva Andrea, un bambino affetto da un grave disturbo dell'attenzione e disturbi evolutivi delle abilita scolastiche. Il breve dialogo tra Emanuela e Andrea verte sul pensiero di Pitagora, di cui Andrea ricorda alcune nozionifondamentali, come la centralita dei numeri o la teoria della trasmigrazione delle anime. Un esempio importante di come la vis teoretica delle ideefilosofiche riesce a raggi.ungere tutti i bambini, seppur a livelli diversi di comprensione. «Voglio raccontare l'esperienza che ho avuto nell'anno scolastico 2016-17, in qualità di insegnante di sostegno, partecipando al laboratorio di filosofia del professor Zippel, con Andrea, bambino di quarta elementare cui era riconosciuto il sostegno. Ero molto curiosa e interessata perché mi premeva capire 91

quanto arrivasse di una materia complessa e astratta come la filosofia. Durante il laboratorio non sono mai intervenuta e ho preso semplicemente appunti della lezione. Due giorni dopo ho preparato delle domande che ho posto ad Andrea verbalmente, ma lui ci ha tenuto a scrivere le risposte, nonostante le sue difficoltà di scrittura. Volevo capire se si ricordava qualcosa e che cosa.

Ti ricordi come si chiama ilfilosofo di cui abbiamo parlato questa settimana? No. Ti ricordi a quanti anni emorto? No. Ti ricordi cosa vuol dire la parola ''metempsicosi"? No. Secondo lui cosa diventiamo quando si muore? Ci reincarniamo in animali e dopo 3.000 anni ci reincarniamo negli esseri umani. Per lui la memoria eimportante? Sì. Perché? Non lo so, non mi ricordo. A lui piacciono i numeri? Sì. Perché? Non mi ricordo. Secondo lui si puo fare pipi al sole? No. 92

Perché? Perché è un'offesa per il dio sole. Secondo lui si puo sacrificare il gallo? No.

Perché? Perché era l'animale che comunica col dio sole al mattino.

Secondo lui al mattino si deve rifare il letto? Sì. Perché? Boh!

Secondo lui si doveva mettere prima la pantofola destra scendendo da letto, mentre per entrare nella vasca mettere prima il piede sinistro? Sì. Perché? Perché pensava che portava sfortuna.

Secondo lui si possono mangiare le fave? No.

Perché? Non mi ricordo.

Secondo lui quando haifinito di cucinare devi spianare la cenere? Sì. Perché? Per disegnare e studiare. Ti epiaciuta la lezione di filosofia?

Sì. 93

Perché? Mi è piaciuta la parte del gallo... Ah, mi sa che si chiamava Piramide... Ecco le sue risposte. Mi ha stupito molto perché ha recepito e compreso molto più di quel che non mi sarei aspettata da un bambino con una diagnosi come la sua, segno (come speravo e immaginavo!). che, se interessato, la sua capacità di attenzione, memoria e astrazione poteva migliorare in modo significativo».

Andrea non ricorda che cos'e la parola "metempsicosi'; ma sa che cos'e la metempsicosi; non ricorda la dottrina, ma conosce l'idea, perché non il nome, ma l'idea ha colpito la sua immaginazione: il viaggio dell'anima di corpo in corpo, di animale in animale per poi giungere ogni volta di nuovo in un uomo. La potenza suggestiva di un concetto, seppur complesso, come quello di reincarnazione oltrepassa i disturbi dell'attenzione di Andrea, che si sforza di seguire la narrazione pitagorica pure quando parla di quelle regole cosi strane che proibiscono di fare pipi rivolti al sole o stabiliscono l'ordine secondo cui bisogna indossare le pantofole efare il bagno. Lo sforzo ha successo, perché Andrea riesce a cogliere la ragione di ogni regola - il rispetto per il dio sole, la sfortuna -, ossia la logica del discorso, dimostrando che la filosofia puo parlare anche a bambini con disturbi legati alle abilita scolastiche, perché la 94

straordinarieta e insieme l'elementarita dei suoi ragionamenti sono in grado di dialogare con chi ha una diversa capacita di comprensione. Piu difficile, ma di certo non solo per Andrea, cogliere la ragione della centralita del numero, inteso non soltanto come cifra aritmetica, ma soprattutto come relazione tra le cose che esistono, ossia come espressione dell'identita con sé stessi e della differenza rispetto agli altri. Qui il ragionamento raggiunge un livello di astrazione piu elevato sia del contesto delle regole di vita sia del discorso sulla trasmigrazione delle anime. E, tuttavia, ha comunque lasciato una traccia nella memoria di Andrea, certo esile, nella forma del semplice ricordo privo di una motivazione, ma pur sempre una traccia che contribuisce a ricostruire il tessuto cognitivo del suo incontro con Pitagora (o Piramide... ?).

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16 Una bambina si ricorda della caverna

«È proprio del filosofo quello che tu provi: di essere pieno di meraviglia. Né altro inizio ha ilfilosofare che questo». È da questa celebre citazione dalTeeteto platonico (rssd) che prende il nome il mio percorso di filosofia con i bambini, L'alba della meraviglia; la stessa frase compare nel "diploma di filosofia" che consegno a ciascun bambino alla fine del secondo anno di laboratorio, come cerimonia di passaggio all'ultimo anno, in cui saluteremo i greci per immergerci nell'universo del pensiero classico cinese. E, tuttavia, per quanto sia convinto che lo sguardo filosofico affondi le sue radici nello stupore provato dinanzi al mondo, c'e un altro luogo delle riflessioni platoniche in cui si puo individuare l'inizio dell'atteggiamento filosofico, precondizione di quello sguardo cosi meravigliato. Mi riferisco a quel momento del mito della caverna, in cui il prigioniero, libero dalle catene, guarda le statuette che passano sopra il muro e capisce che, fino ad allora, lui e i suoi compagni non avevano visto altro che le ombre di quelle statuette, scambiandole per la realta {llepubblica.. srsc-d). Quando racconto il mito ai bambini, mi soffermo su questo passaggio, perfarli riflettere sulfatto che la filosofia e si la 97

tensione verso la conoscenza, ma non nasce dalla conoscenza, se non della propria ignoranza: guardando le statuette, ilprigi.oniero capisce d'un colpo di non sapere niente della realta, di essere, quindi, un ignorante. È questa la ''prima" ignoranza, che appartiene a ognuno di noi, bambini, gi.ovani, vecchi, perché ciascuno di noi non conosce moltissime cose o crede, erroneamente, di conoscere bene delle cose; ciascuno ha dentro di sé quelle ombre che, Spesso, scambia per la realta. Poi il racconto prosegue, il prigi.oniero esce dalla caverna, conosce il mondo vero e decide di ridiscendere nel buio dove stanno i suoi compagni, per rivelare loro la verita. Ma quelli, gelosi della propria ignoranza, lo aggrediscono e lo uccidono. È questo il tri~nfo della 'seconda" ignoranza, che non è un dato naturale, ma il frutto di una scelta, quella di rifiutarsi di mettere in gi.oco le proprie presunte conoscenze e permanere, cosi, nell'unica vera ignoranza, quella di cui parla Socrate, quando nell'Apologia si chiede se la peggi.or ignoranza non sia proprio quella di «credere di sapere ciò che non si sa» {2gb). È qui, spiego ai bambini, che si dividono le strade tra chi decide difare ilfilosofo - liberarsi della prima, naturale ignoranza e andare verso la conoscenza - e chi resta ancorato alle proprie ombre - la seconda, autentica ignoranza. Il maestro Alberto Roscini, che da anni segue con le sue classi il mio laboratorio nel VII Circolo Montessori di Roma, mi ha consegnato questo breve testo, in

cui racconta di come i bambini abbiano ritrovato la seconda ignoranza anche al di fuori del pensiero platonico, in un contesto apparentemente estraneo alla filosofia, quello della condizione dei desaparecidos argentini. Apparentemente estraneo, perchépure li era in gioco la relazione conoscitiva dell'uomo con la realta, dinanzi alla quale ciascuno fu chiamato a scegliere se liberarsi o meno dalle ombre cui era incatenato. Ascoltando la storia, una bambina ha rievocato il mito della caverna, dando una splendida testimonianza di come la filosofia travalichi i suoi confini, ogni volta che entra in contatto con una testa aperta alla meraviglia, perché sempre pronta a mettersi in discussione. Una testa inquieta, che non sopporta di vivere circondata da ombre. Una testa come quella di Socrate, o come quella di una bambina di f) anni. «Eravamo in classe, una quarta elementare, e, seguendo un percorso iniziato in prima legato ai diritti umani, stavamo parlando della situazione dell'Argentina alla fine degli anni Settanta, primi anni Ottanta. Abbiamo iniziato a parlare di dittatura militare, di desaparecidos e delle Abuelas de Plaza de Mayo. Alla domanda su cosa facessero queste "nonne", cercando le giuste parole, ho raccontato dei bambini "adottati" da persone vicine al potere, strappati ai genitori, che, poi, venivano fatti "scomparire", di come le madri dei desaparecidos hanno lottato per portare alla luce 99

questo dramma e di come, attraverso l'esame del DNA molti dei nipoti delle Abuelas hanno potuto scoprire chi fossero i veri genitori (e chi fossero realmente quelli creduti veri per tanti anni). Nell' analizzare questa situazione così complessa, ho detto che non tutti i ragazzi hanno voluto sapere di questa realtà devastante, non sottoponendosi ali'esame del DNA, preferendo la sicurezza di una vita già formata, a una nuova vita, sicuramente più difficile, ma "reale". Nel silenzio attento della classe, una bambina sospira e dice a mezza voce: ''Ah, la seconda ignoranza': Non sicuro di aver sentito bene, chiedo curioso alla bambina di spiegare il suo pensiero e lei risponde dicendo: "È come nel Mito della Caverna raccontato da Platone, quei ragazzi non vogliono sapere la verità da coloro che stanno cercando di svelargliela scegliendo di rimanere ignoranti... la seconda ignoranza, appunto". I compagni furono d'accordo con la sua analisi e io ebbi la certezza, in quel momento, che la filosofia, il pensiero critico, ormai faceva parte della loro vita ... ».

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17

Quale sedia?

e

Questo testo stato raccolto da Ambra Chiacchiararelli, insegrzante presso il VII Circolo Montessori di Roma, con una laurea in Filosofia. A seguito dei nostri incontri in classe, Ambra ha creato diversi momenti per ritornare a discutere di questioni filosofiche con i suoi bambini, dalla figura di Socrate al conftonto tra pensiero cinese e pensiero greco, nonché legando la filosofia a questioni storiche e matematiche. Un giorno ha avuto l'idea di far riflettere i bambini sul rapporto tra linguaggio e realta, di cui avevamo parlato durante la lezione su Gorgia e la sua difesa di Elena, tradita dal potere che le parole sono in grado di esercitare sulla mente umana. Ambra ha costruito una situazione particolarmente interessante per stimolare i bambini a servirsi del linguaggio per mettere in discussione la realta che cade sotto il dominio dei sensi: i bambini hanno di ftonte a sé una sedia e devono dimostrare che quella sedia non esiste. La maggior parte dei bambini cerca di negare l'esistenza della sedia partendo dall'assunzione che la sedia visibile a tutti, senza quindi metterne in discussione l'esperienza percettiva. In questo modo, ciascun bambino deve sforzarsi di dimostrare l'er-

e

IOI

roneita di tale esperienza, servendosi del linguaggio per indebolire la certezza individuale legata all'atto percettivo. Poi arriva Teresa, una bambina che dietro un 'aria trasognata e sorridente nasconde una notevole acutezza intellettuale, emersa piu di una volta durante i nostri incontri... «I miei alunni frequentano da tre anni Nicola Zippel perché la classe ha aderito al progetto L'alba della meraviglia. Questa frequentazione triennale ha aperto loro un orizzonte di inestimabile valore: conoscere il pensiero dei filosofi facendo filosofia. Il bambino che per tre anni ha fatto questo percorso è un bambino che ha inglobato la filosofia nel suo approccio al sapere e ha sviluppato una confidenza con il ragionamento astratto, contestualizzandolo al contempo (dono preziosissimo) nello sviluppo del pensiero di uomini realmente esistiti, le cui idee hanno influito sull'approccio al sapere e sulla società. Sulla tela di questo lavorio creativo e fecondo ho potuto innestare non solo senza limitanti difficoltà, ma raccogliendo un nuovo entusiasmo da parte dei bambini, l'approccio filosofico (ormai conosciuto dai bambini) ad alcuni concetti di Storia e Matematica. Ritengo che l'approccio filosofico ad alcuni dei concetti della scuola primaria sia profondo, quindi trasparente e chiarificatore. Profondo perché com102

prensivo dell'origine e della complessità del concetto in questione, dunque chiaro perché non tralascia importanti snodi logici né il cuore della questione nella sua totalità. Laddove questo approccio viene negato il bambino non riesce a compiere un'esperienza autentica nel sapere perché viene privato del senso di ciò che sta apprendendo. Abbiamo iniziato questa attività storico-filosofico-matematica ricordando che Socrate (lo ricordavano benissimo) perseguiva la verità nel dialogo e anche Platone nella sua Accademia promuoveva il sapere come accesso al Vero e al Bene. Per affermare l'idea che la verità non è relativa, Socrate andò contro i Sofisti, i quali non ritenevano esistente alcuna verità se non quella percepita dall'individuo e perseguita nella dialettica. È stato questo a entusiasmarci: vedere i bambini in una prova da Sofisti. Presa una sedia e posta al centro della stanza, ho detto ai bambini: "Siete Sofisti. La verità risiede nelle vostre parole, non in ciò che è vero. Dunque, convincetemi che questa sedia non esiste". GIULIA

"Allora: la vedi questa sedia? Adesso la sposto, non ., v·1sto .. c ,,e pm. ~,,

IO

"Ma no, l'hai spostata, però esiste".

FRANCESCO

"Questa sedia è una sedia di morte: se ti siedi morirai. Di' che non esiste!". IO

"Lo direi ma tu hai parlato dei suoi attributi, delle sue proprietà, quindi esiste". GIOVANNIP.

"Questa sedia è invisibile!"~ IO

"Questo non significa che non esista. L'invisibilità non è sinonimo di non esistenza': Rivolgendomi a tutti, ripeto: "Siete.Sofisti, la verità è nelle parole. Attenti alle parole che usate". GIOVANNI S.

"Se dici che non esiste ti convincerai". IO

"Ma se devo autoconvincermi significa che esiste". Prendo di nuovo la parola rivolgendomi a tutti: "Vi faccio presente che molti di voi hanno iniziato il discorso con le parole 'questa sedia'': Simone poggia un libro sulla sedia e dice: "Lo vedi il libro?". 104

IO

"Certo". SIMONE

"Ecco, produce un effetto magico: si mostra poggiato su una sedia che però non esiste". IO

"Mmmmmm ... per via di una magia, ma esiste". Si alza Teresa, viene di fronte a me, dà le spalle alla sedia e dice: "Scusa, Ambra, quale sedia?".. Io guardo a terra, sorridendo. Si sente un vociare: "Ha indovinato!". IO

"E no! Io ancora non avevo detto niente!". TERESA

"Eh, scusa, tu hai detto che nelle parole c'è la verità, poi hai detto che tutti iniziano con 'questa sedia'... all'inizio volevo dire 'questa sedia di cui tutti parlano non esiste'; poi ho pensato: meglio se faccio finta di non vederla proprio, altrimenti qualcuno mi risponde che sono pazza e che sono solo io a non vederla".. La filosofia forma e irrobustisce quelli che Bloom chiamava "i processi avanzati del pensiero": rievocare, implementare, attribuire, criticare, produrre». 105

Teresa capisce che finché la trama delle parole si dirige verso la percezione dell'oggetto, ossia l'esperienza visiva della sedia, l'oggetto, in questo caso la sedia, non viene toccato dall'eventuale confutazione della percezione che se ne ha. Dimostrare che non sto percependo la sedia, non implica che la sedia non esiste. Allora, con una virata di paradossale realismo, Teresa pensa di negare direttamente la sedia: di quale sedia stiamo parlando? Io non vedo nessuna sedia. A questo punto, l'onere della prova passa a chi sostiene di avere l'esperienza percettiva della sedia, e Teresa puo tornare a guardare la realta con il suo sguardo trasognato e sorridente.

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18 "Caro Socrate..." Lettere al fùosofo in carcere

Nell'ultima lezione sui greci parlo del mito di Ere della scelta che ogni anima - quindi ogni individuo deve compiere riguardo al suo faturo sulla terra prima di reincarnarsi in un corpo (Repubblica, 6I4b-62Id); do poi concretezza a questo immaginifico racconto trasferendo il momento della scelta di vita nella figura di Socrate, guidato dal suo demone a occuparsi quotidianamente di filosofia e a discutere con tutti, giovani, vecchi, filosofi, politici, artisti. Una scelta che lo ha portato a scontrarsi con chi non accettava questo tafano del pensiero, che proprio per le sue idee e, anzitutto, per la sua idea della filosofia si eritrovato a difendersi in un tribunale. Ma la difesa ne peggiora la condizione di accusato, e la condanna viene convertita nella pena capitale. Durante l'ultima notte trascorsa in carcere, in attesa dell'esecuzione, Socrate ha la possibilita di fuggire e mettersi in salvo, grazie all'intervento dei suoi allievi che hanno corrotto le guardie del carcere e della citta. Invitati a conftontarsi con la situazione socratica, prima di sapere quale sara la scelta delfilosofo, i bambini esprimono e motivano quella che sarebbe la loro scelta: fuggire o restare. Alla fine, dico loro che Socrate decide di rimanere in carcere, per rispetto delle leggi e del suo demone, ossia della sua coscienza, che lo ha guidato nella vita fino a quel carcere (Critone, soa ss.).

Perché, come scrive Platone in conclusione del mito di Er, ogni scelta diventa un destino. Chiedo poi ai bambini di immagi-nare che Socrate sia ancora li, in quel carcere, in attesa di bere il veleno che lo ucciderà. Ha già compiuto la scelta di non fuggi-re e trascorre le ultime ore con i suoi allievi. I bambini possono scrivergli un biglietto o una lettera, per accompagnarlo nel suo viaggio oltre la morte, e dirgli quello che pensano di lui e della sua scelta. C'e chi ammira il suo coraggio, chi gli confessa che si sarebbe comportato in maniera diversa, chi cerca di consolarlo parlando della cattiveria dei giudici che lo hanno condannato, chi gli assicura che una volta in cielo andrà "nel buco sopra'; ossia in quella parte della prateria celeste dove le anime vivono in beatitudine e serenità; c'e chi, poi, gli rivela che il suo piu grande allievo lo tradirà, mettendo per iscritto la sua filosofia, rendendolo cosi immortale. C'e chi lo ringrazia perché con la scelta di restare in carcere ha permesso alla sua filosofia di arrivare fino a noi e chi gli confessa che soffrirà per la sua scelta, come hanno sofferto i suoi allievi. Infine c'e chi gli scrive presentandosi come una "bambina qualunque'; che, conoscendo la sua storia, pensa che farse da grande farà la filosofa. "Caro Socrate, hai fatto una buona scelta, intelligente, coraggiosa e leale. Forse noi saremmo scappati... che codardi saremmo stati! Pietro e Silvio" 108

"Caro Socrate, questa lettera è per te. Vorremmo dire la nostra opinione sulla tua scelta. Secondo noi, non ha senso che ti abbiano denunciato per una cosa falsa; tu lo sapevi che ti rendevi un po' fastidioso, ma stavi semplicemente seguendo la tua passione. Avevi la scelta di morire o di continuare la tua vita in un'altra città, ma tu hai scelto di morire. Grazie allo studio della filosofia, ti abbiamo conosciuto, però siamo ancora curiose di sapere che cosa avresti fatto se fossi stato colpevole. Cordiali saluti, Laura e Beatrice P.S. Ci dispiace per la tua scelta di morire, ma, se tu sei felice, lo siamo anche noi" "Sig. Socrate, noi al suo posto avremmo pagato il sindaco, saremmo tornati a casa e non lo avremmo mai più preso in giro. Io e il mio amico vorremmo sapere perché ha fatto la scelta di morire in prigione avvelenato. Noi vorremmo aver vissuto ai suoi tempi per ascoltare le sue lezioni e i suoi miti. Secondo noi, quando lei ha deciso di morire in prigione avvelenato ha fatto una scelta filosofica. Vorremmo anche sapere perché proprio non scriveva di filosofia. 109

I suoi piccoli filosofi, Luca e Rocco"

"Caro Socrate, mi dispiace molto per te, non pensavo che fossi morto ingiustamente. Le accuse erano veramente cretine. La vendetta può causare tanti problemi. Elio"

"Carissimo Socrate, speriamo tu abbia trovato una risposta alla tua domanda. A noi piace molto la tua idea di aiutare le persone a capire il loro mestiere. A noi è piaciuto molto il mito di Er, è molto fantasioso e dà l'idea di come potrebbe essere la vita oltre la morte. Purtroppo non ce lo puoi raccontare più! Addio Socrate, da Daniel e Leonardo. P.S. A noi dispiace molto che ti abbiano accusato perché tu cercavi solo di aiutare quelle persone" "Caro Socrate! Mi chiamo Giorgia e vivo a Roma. Mi dispiace molto per come è avvenuta la tua morte, ma se fossi in te sarei scappata. D'altra parte, ogni persona fa la propria scelta. 110

Da quello che raccontavi in passato, Atene è molto bella e tu ci eri molto affezionato. Secondo me i cittadini di Atene non avevano il diritto di farti arrestare. Volevo chiederti se va tutto bene nella vita come anima. Per me sei andato nel buco sopra. Addio Socrate! Giorgia" "Carissimo Socrate! Noi non ti conosceremo mai perché sei morto, ma non importa. Noi ci chiamiamo Elias e Matteo e viviamo a Roma. Ci dispiace che tu sia morto in prigione perché sei il nostro filosofo preferito. Secondo noi, non dovevi bere il veleno. Ci dispiace tanto ma è tutta colpa di quei giudici antipatici. Ciao! Elias e Matteo P.S. Sappiamo che non ci risponderai mai. P.P.S. Ci sono piaciute tanto le tue storie e i tuoi miti" "Caro Socrate, i miti che inventi sono bellissimi, i nostri preferiti sono il mito della caverna e quello dell'amore. Ci dispiace tanto che tu sia morto, ma è stata una tua scelta. Riccardo e Anna" III

"Caro Socrate, sappiamo che sei in prigione ad Atene; anche noi avremmo fatto lo stesso, cioè, piuttosto che andare contro le leggi, saremmo rimaste. Approfittiamo di questo momento per parlarti, poiché fra poche ore morirai, bevendo la cicuta. I giudici sono stati crudeli a giudicarti. I tuoi insegnamenti sono stati molto preziosi per noi. Platone ti tradirà quando morirai, scriverà tutto di te e delle tue storie. Ecco perché noi le conosciamo. Ti ricorderemo per sempre. Speriamo che tu sappia quello che fai. D'altronde, hai 70 anni e non hai più tantissimi anni da vivere. I tuoi miti sono fantastici! Addio Socrate, resterai per sempre nei nostri cuori. Elena Sofia e Alice" "Caro Socrate, io al posto tuo sarei scappata, ma secondo me hai fatto bene a rimanere, perché è proprio così che la tua filosofia è arrivata a noi, perché se tu scappavi avresti dato la prova che quello che insegnavi non era vero, invece così la tua filosofia è arrivata fino ai nostri giorni e così tutti possono studiarla, apprenderla e tutti possono diventare filosofi saggi come te. Grazie per non essere scappato e per aver dimostrato ch:é la filosofia vale molto di più di quello che sembra. Annà' II2.

"Caro Socrate, secondo me hai fatto bene a rimanere in carcere perché nell'aldilà forse troverai altre persone con cui dialogare e potrai certificare la tua ipotesi sulle anime che si reincarnano. Anche se i tuoi allievi ti avevano proposto di scappare corrompendo i carcerieri tu dovevi rifiutare, e così hai fatto perché eri sicuro di quello che pensavi. Per te è meglio subire un'ingiustizia che commetterla. Non hai voluto andare in esilio, perché, in qualsiasi altra città, avresti trovato altre persone con cui dialogare e ti avrebbero condannato di nuovo a morte. Dopotutto la morte non è sicuro che sia una cosa brutta, invece l'esili sì, perché ti impedirebbe di rivedere la tua patria per sempre. Ma tutto questo secondo me non doveva succedere perché tu volevi soltanto dimostrare che anche le persone che pensano di dire la verità sbagliano e hai sfidato i giudici cercando di farglielo capire, ma proprio per questo ti hanno condannato a morte. Quando bevevi la cicuta non eri preoccupato e fra le tue ultime parole hai detto ai tuoi allievi di avere coraggio. Hai fatto la scelta giusta anche se, secondo me, i tuoi allievi soffriranno e anch'io, che però sono d' accordo con te per la scelta che hai fatto. Volevo ringraziarti per gli insegnamenti che ci hai lasciato: anche quando pensiamo di sapere la ve113

rità dobbiamo dialogare per verificarla; inoltre dobbiamo credere nelle nostre idee fino in fondo. Sara'' "Caro Socrate, è giusto che tu sappia quanto ti invidio e ti stimo. E sappi anche che io non avrei avuto il coraggio di restare in prigione quella notte, sì, restare è la cosa giusta ma io non posso sapere quello che penserei se fossi nelle tue condizioni. Anche perché non sono una filosofa come te, ma una bambina qualunque. Non so cos'è la morte, e non lo voglio sapere finché non sarà il momento anche se sono curiosa. Potrebbe essere un eterno sonno senza sogni o chissà se ci sarà un Paradiso, un Inferno o un Purgatorio come racconta Dante.L'idea delle buche e dell'acqua della sorgente Lete che fa dimenticare tutto mi piacerebbe. Mentre scrivo penso che vorrei esprimere un pensiero profondo, ci sto provando ma non sono molto sicura di riuscirci. Dì la verità, avevi paura in quella notte? E quando hai bevuto il veleno cosa hai provato? Oh, vorrei dirti e domandarti tante cose! Se tu fossi qui ora ti aggredirei di domande! Nicola ci ha detto di scrivere questa lettera e ci ha appassionato raccontandoci la tua storia, ora che ci penso bene forse oltre alla scrittrice, disegnatrice e astronauta vorrei fare la filosofa! 114

Credo di aver detto tutto e ora iniziamo con le domande: ti sei offeso quando ti hanno accusato ingiustamente? Cosa hai pensato in quel momento? Hai forse mentito? Se sei in grado di leggere questa lettera, allora ti prego dimmi com'è morire! Fa male? Tu credi negli dei? Ti sarebbe piaciuto continuare a vivere? Eri curioso di sapere come era la morte? Avevi paura quando sei morto? Se è vero, hai bevuto l'acqua della sorgente Lete? Ti consiglio di far finta di berla. Sono riuscita a esprimere un pensiero toccante? Vorrei raccontarti pensieri stupidi e farti domande invadenti, ma non vorrei annoiarti, una o due domande e ti lascio in pace. Cosa pensi ora, in questo momento? E cos'altro volevi dire prima di morire? Cosa hai pensato un secondo prima di morire? Mi sta venendo il mal di pancia dalla curiosità, ora ti lascio. Luisa"

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Epilogo Paidos i basiléié

Paidos e basileie, "regno di un

bambino~

è il corso

dell'esistenza secondo Eraclito (DK 22 B 52), un bambino che sposta le pedine su una scacchiera come se fosse tutto un gioco. Perché, in effetti, per i bambini tutto è un gioco e, quindi, essendo tutto un gioco, niente in realtà è un gioco e tutto va preso seriamente. La serietà dei bambini, però, non è la seriosità degli adulti, ma è espressione della loro volontà di interessarsi solo delle cose di cui vale la pena interessarsi, di donare il loro tempo a quello che merita questo dono, di ascoltare parole e racconti che siano in grado di conquistarsi questo ascolto. Quando la filosofia si presenta al bambino, entra nel suo regno, diventa una sua pedina, certo una pedina piena di personalità, spesso ingombrante quanto sfuggente, alle volte, poi, più bambina dei bambini; ma pur sempre una pedina in mano a un bambino, che a quel punto decide se e come inserirla nel suo regno, se e come giocarci. Per fortuna della filosofia, le idee e i concetti, così come i filosofi che per primi li hanno pensati e discussi, sono ben accolti nel regno giocosamente serio del bambino, un'accoglienza mai passiva né supina, ma consapevole e meditata pur 117

nella sua apparente immediatezza. Entrando in un altro regno, che non è il suo, ma con cui condivide lo sguardo meravigliato e al tempo stesso critico sul mondo, la filosofia sa che non ne diventerà mai la regina, ma può aspirare ad affiancare il giovane re come una strana e indomita consigliera. Passare del tempo con i bambini, per questa inquieta, vecchia signora di duemilacinquecento anni, significa rivivere alcuni dei momenti più belli della sua infanzia e, ogni volta, vederli sotto una luce diversa, imprevedibile, inaudita.

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