Castelli
 9788809884472

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CASTELLI

CASTELLI David Macaulay

Al passato – addio.

Titolo originale: Castle Autore: © 1977, © 2005 David Macaulay Pubblicato in accordo con Houghton Mifflin Harcourt Publishing Company. Traduzione: Renato Pedio Impaginazione: Studio Link www.giunti.it © 2019 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese, 165 - 50139 Firenze - Italia Piazza Virgilio, 4 - 20123 Milano - Italia ISBN: 9788809895744 Prima edizione digitale: ottobre 2019

I

l castello di Lord Kevin è immaginario; ma nella concezione, nel processo di costruzione e nell’aspetto si basa su diversi castelli edificati, a sostegno della conquista del Galles* da parte della monarchia inglese, tra il 1277 e il 1305. In essi si riassunsero, per quanto riguarda sia il progetto che la realizzazione, oltre due secoli di risultati di architettura militare in tutta Europa e in Terra Santa. La città di Aberyvern, anch’essa immaginaria, si basa per l’impostazione e per l’aspetto sulle città fondate, congiuntamente ai castelli, nel medesimo periodo di ventott’anni. Questa combinazione tra castello e città è dovuta a un programma militare che rivela, da un lato, capacità strategiche eccezionali e, dall’altro, la lungimiranza indispensabile per mantenere una conquista.

* Per le parole segnate con asterisco vedere il dizionario in fondo al libro.

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I

l 27 marzo 1283 Re Edoardo I d’Inghilterra nominò Kevin le Strange Lord di Aberyvern: una zona ricca, ma ribelle, nel Galles nord-occidentale. Benché il titolo fosse stato concesso in segno di gratitudine per i fedeli servigi prestati, le terre che lo accompagnavano non venivano assegnate senza una ragione più interessata da parte del re. Nel tentativo di sottomettere il Galles una volta per tutte, Edoardo si era impegnato in un programma ambizioso e molto dispendioso: costruire una serie di castelli e di città in posizioni strategiche in tutto il Paese. Ogni volta che gli era possibile incoraggiava dei nobili, fedeli come Lord Kevin, a intraprendere a loro spese simili costruzioni che ben si inquadravano nel suo progetto generale. Sia il castello che la città erano concepiti come strumenti di conquista, ma ciascuno aveva una propria funzione distinta. Il castello e le mura costruite tutto intorno alla città erano, anzitutto, strutture difensive. Se mai avevano qualche funzione offensiva, questa derivava dalla loro collocazione lungo le strade importanti di riferimento e di comunicazione e, in qualche misura, dal loro aspetto minaccioso. La città, una volta impiantata e fatta prospera, protetta dal castello e dalle mura, offriva invece opportunità sociali ed economiche nuove non soltanto ai coloni, ma, alla fine, anche ai Gallesi. Eliminando gradatamente il bisogno e il desiderio stesso di misurarsi con le armi, la città contribuiva, a differenza del castello, tanto alla conquista che alla pace. Per proteggere il suo nuovo feudo, Lord Kevin iniziò immediatamente i preparativi per la costruzione sia di un castello che di una città. Assunse Giacomo di Babbington, capomastro* di grande valore, per disegnare il progetto e sorvegliarne l’esecuzione. Per suggerimento di Re Edoardo, andava scelto un luogo lungo la costa, presso la foce del fiume Yvern, collegamento vitale tra le montagnose terre dell’interno e il mare. Esaminate diverse possibilità, Mastro Giacomo e i suoi assistenti determinarono la collocazione esatta.

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Il castello sarebbe stato costruito su un forte rialzo di calcare* affiorante, che si protendeva nell’acqua. Con ciò si sfruttava il vantaggio della difesa naturale offerta dal fiume e, nello stesso tempo, data l’altezza della collina, si assicurava la visione senza ostacoli della campagna circostante. Ai piedi della collina, dove la zona del castello era accessibile via terra, fu posta la città. Sarebbe servita da barriera dalla parte di terra e, insieme al fiume, avrebbe costituito la prima linea di difesa del castello. Oltre ai suoi aiutanti, Mastro Giacomo aveva condotto con sé serratori, carpentieri, manovali e parecchie barche con carichi di legname, utensili e ferramenta.

Vennero messi subito all’opera i carpentieri, per costruire baracche e officine per sé e per i soldati che avrebbero protetto il cantiere. Essi elevarono pure un edificio ampio, ma ancora provvisorio, per alloggiarvi Mastro Giacomo e i suoi aiutanti, e anche Lord Kevin e la sua famiglia, la cui venuta era attesa per il mese seguente. Una volta fissato il perimetro approssimativo della città, gli sterratori ne cinsero l’area con un largo fossato*. Poi i carpentieri eressero un robusto recinto, detto “palizzata”, sul bordo interno del fossato, per garantire la sicurezza del cantiere finché non si fosse potuto costruire un più definitivo muro di pietra.

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cortina esterna

corte esterna cortina interna

sala grande

cucina

Postierla

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corte interna

Porta fortificata interna Pozzo

officina

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del fabbro

PIANTA DEL CASTELLO

Non appena furono in corso le opere preliminari, Mastro Giacomo e i suoi aiutanti cominciarono a pianificare l’intero complesso. Anzitutto fu progettato il castello. La cosa più importante da considerare era la capacità della costruzione di resistere a un attacco diretto e di sostenere un assedio. Quest’ultima tecnica, sempre più diffusa e spesso coronata da successo, consisteva nel bloccare da tutti i lati sia la città che il castello, tagliando ogni via di comunicazione con l’esterno. La strategia era semplicemente attendere, finché all’interno ogni cibo e bevanda non si fossero completamente esauriti, lasciando ai difensori l’alternativa tra due sorti ugualmente penose: arrendersi o morire di fame. Progettando le difese del castello, Mastro Giacomo ricorse a varie idee già sperimentate in altri castelli, alla cui costruzione aveva lavorato come aiutante del capomastro costruttore. Il castello fu impostato come una serie di anelli difensivi l’uno dentro l’altro, sempre più piccoli ma sempre più saldi. Lo spazio vuoto al centro del castello era detto “corte interna” . Era racchiuso da un alto muro chiamato “cortina interna”. La zona che cingeva l’esterno di questa cortina era la corte esterna, racchiusa a sua volta da un’altra cinta più bassa: la cortina esterna. Torri rotonde erano collocate lungo ambedue queste cerchie murarie, consentendo alle truppe di tenere sotto osservazione l’intero perimetro. In tutti i punti in cui, nell’uno o nell’altro muro di cinta, occorreva un portone di una certa ampiezza, esso era fiancheggiato da una coppia di torri a forma di U. E l’apertura stessa era fortificata, mediante un complicato sistema di ponti, saracinesche e barriere. Tutto l’insieme costituiva un unico complesso, quello della porta fortificata* . Un complesso più piccolo dello stesso genere era situato su un fianco della cortina esterna, per proteggere la porta secondaria o postierla*; questa conduceva a un camminamento fortificato che discendeva lungo il fianco della collina, tra il castello e il fiume. Oltre a essere la dimora di Lord Kevin, della sua famiglia, del suo seguito e dei suoi servi quando si trovavano nel Galles, il castello doveva servire di residenza permanente per il mastro di casa, o siniscalco*, a sua volta presente con la sua famiglia, il seguito e i servi, e per una guarnigione di soldati. Gli appartamenti del signore e del siniscalco, oltre a una cappella, vari uffici e una prigione, erano situati nelle torri della cortina interna. Il resto degli abitanti del castello alloggiava nelle costruzioni affacciate sulla corte interna. Poiché progettava in previsione della possibilità di un assedio, Mastro Giacomo protesse l’importantissimo pozzo collocandolo nella corte interna. Questo riduceva il rischio che la principale fonte di approvvigionamento d’acqua del castello potesse venire avvelenata dal nemico, fatto che avrebbe reso la presa del castello praticamente certa. Inoltre, in tutto il castello furono disposti ambienti per immagazzinarvi le provviste, molti dei quali erano mantenuti sempre pieni. 11

cortina interna

La cortina esterna, che misurava una novantina di metri su ciascuno dei quattro lati, sarebbe stata alta sei metri e spessa due e mezzo. Le mura delle torri avrebbero avuto il medesimo spessore, ma sarebbero state di tre metri più alte, per offrire una buona veduta della cortina, sia all’esterno che all’interno.

cortina esterna

La cortina interna, di una sessantina di metri di lunghezza, sarebbe stata alta dieci metri e mezzo e spessa quasi quattro; le torri avrebbero raggiunto l’altezza di oltre quindici metri. La maggiore altezza della cortina interna avrebbe consentito ai soldati appostati in cima di tirare al di sopra delle teste di quelli che difendevano la cortina esterna, rafforzandone così l’azione. Le sommità di tutte le mura e di tutte le torri delle cortine erano collegate da passaggi transitabili; e questo consentiva ai soldati di una parte delle mura di accorrere in qualsiasi altro punto potesse avvenire l’attacco. Per raggiungere questi passaggi, che si chiamavano “cammini di ronda”*, lungo la sommità della cortina esterna c’erano scale addossate al muro. Il cammino di ronda che correva lungo la sommità della cortina interna si raggiungeva invece mediante una delle scale a chiocciola costruite entro ciascuna torre. Una volta sugli spalti, i soldati erano protetti da un parapetto piuttosto stretto, detto “spalto merlato”*, costruito sul bordo esterno del muro. Sia le cortine che le torri erano perfettamente verticali, salvo che lungo il piede della facciata esterna, dove venivano avanti in obliquo, ad angolo acuto. Questa base inclinata, detta “scarpata” o “scarpa”*, aveva due funzioni. Anzitutto, rafforzava la struttura; e in secondo luogo creava una superficie dalla quale le pietre e gli altri proiettili lasciati cadere dalla sommità delle mura sarebbero rimbalzati sul nemico.

castello

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Porta

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PIANTA DELLA CITTÀ DI ABERYVERN

Venne poi disegnata la pianta della città, che era di gran lunga meno complessa. Il terreno fu semplicemente suddiviso mediante una rete di strade in diversi blocchi, a loro volta ripartiti in lotti. In un primo tempo, sarebbe stato consentito di abitare nella città solo agli Inglesi; e queste persone sarebbero state incoraggiate a farlo mediante la promessa di una pigione bassa. Poiché l’unica funzione della cinta muraria era quella di proteggere la città, il suo progetto venne determinato unicamente sulla base di considerazioni militari. La cinta sarebbe stata alta sei metri, dello spessore di poco più di un metro e mezzo, e rafforzata a lunghi intervalli di quarantacinque metri circa da torri avanzate a forma di U. Lungo la cinta era previsto un cammino di ronda, salvo nel punto in cui essa si congiungeva alla cortina esterna. Qui, lo spessore del muro si riduceva, per impedire un facile accesso al castello. I tre ingressi alla città sarebbero stati fortificati mediante porte a doppia torre. 15

Anche prima di completare il progetto, Mastro Giacomo cominciò a reclutare le maestranze necessarie. Mandò messaggi ai connestabili – magistrati con funzioni anche militari – di diverse città inglesi, indicando il numero e il tipo degli operai che gli occorrevano. La costruzione, nel pieno dei lavori, avrebbe compor-

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mastro giacomo

caVaPietre

caPomastro

carPentieri

tato l’impiego di più di tremila persone, tra le quali cavapietre, muratori, impastatori di malta, carpentieri, fabbri, idraulici, sterratori, e una gran quantità di manovali e aiuti. Ogni specializzazione sarebbe stata posta sotto la supervisione di uno o più maestri*, che a loro volta avrebbero risposto a Mastro Giacomo.

fabbro

imPastatore di malta e manoVale

sterratori

cane di mastro giacomo 17

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Piccone da caVaPietre m azza m artello

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cazzuola da muratore

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fettuccia Per misurare sega a telaio m artello da fabbro

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a scia da carPentiere

P unta sega Verticale

Oltre a organizzare questo piano di reclutamento, ordinò moltissimi utensili. La maggior parte di essi, che servivano per lavorare sia la pietra che il legno, erano in ferro e potevano venir riparati in una delle officine organizzate sul luogo. Poco dopo l’arrivo di Lord Kevin, i progetti vennero approvati. L’8 giugno 1283 Mastro Giacomo e i suoi assistenti cominciarono a segnare sul terreno con dei picchetti la posizione di tutte le principali mura e delle torri. Collocato com’era su un rialzo roccioso, il castello non esigeva fondazioni speciali e gli operai cominciarono a dare una livellata alle aree su cui sarebbe sorto l’edificio. La cinta della città, invece, non avrebbe poggiato tutta sulla roccia. Alcune parti esigevano fondazioni profonde, per ridurre il rischio di un assestamento irregolare e, di conseguenza, di spaccature. Molti sterratori vennero messi all’opera per scavare le fosse di fondazione sul lato interno del fossato della città. 19

Un altro gruppo fu messo a lavorare sul rialzo per scavare il pozzo e tagliare una trincea, o fossato, nella roccia, sul lato volto verso l’esterno. Ciò avrebbe accresciuto la sicurezza del castello, rendendo più difficile l’accesso dalla parte della città.

Mentre Mastro Giacomo sovrintendeva ai lavori sul cantiere, Lord Kevin cominciò a raccogliere il denaro per pagarli. Parte dei soldi sarebbe venuta da affitti e tasse che i contadini dei villaggi circostanti avrebbero dovuto versare. Quando a Lord Kevin era stata assegnata la terra dove essi vivevano e lavoravano, ne erano divenuti automaticamente affittuari. Per esser certi che si raccogliesse tutto il denaro dovuto, Walter di Ipswich, l’ufficiale giudiziario o balivo* del signore, venne inviato nella campagna circostante, con la squadra di soldati, per elencare la popolazione e registrarne i poderi. Il resto dei fondi sarebbe venuto o dalla vendita di bestiame e prodotti agricoli delle terre di Lord Kevin, in Inghilterra e nel Galles, oppure direttamente dai suoi averi personali. 22

Verso la metà di luglio, da una cava vicina erano giunti i primi carichi di pietra arenaria*. I lavori iniziarono simultaneamente sulla cinta della cortina esterna e sulle fondazioni delle mura della città. La malta usata per legare insieme i blocchi di pietra era un miscuglio di sabbia, calce e acqua. In primo luogo si costruivano le pareti, interna ed esterna, di ciascun muro. I blocchi di pietra venivano accuratamente disposti e legati con malta in strati orizzontali, detti “filari”. Raggiunta l’altezza di circa un metro, lo spazio tra queste due strette pareti veniva riempito completamente di calcestruzzo: un miscuglio di malta e pietrame o breccia. I mastri muratori controllavano continuamente la precisione dei muri, sia in orizzontale che in verticale, man mano che si alzavano. A intervalli, veniva posato uno strato di ardesia*, creando così un letto orizzontale più regolare, sul quale si costruiva la successiva porzione di un metro circa di altezza.

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Col crescere dell’altezza delle mura, si rendeva necessaria una struttura provvisoria di legno, detta ponteggio, per reggere sia i muratori che i materiali. I pali di sostegno verticale venivano legati insieme con lacci, e assicurati al muro mediante elementi orizzontali inseriti in appositi fori, detti “incassature”*, che erano stati appositamente lasciati tra i blocchi del muro. Queste incassature stavano sulla superficie esterna sia delle mura che delle torri ed erano disposte ad altezza crescente. Ai ponteggi inseriti in questi fori si inchiodavano assi di legno, creando così rampe sulle quali si potevano trascinare o portare i materiali pesanti. Paranchi* e pulegge* erano assicurati ai ponteggi, per sollevare i materiali e gli attrezzi. Quando una porzione delle mura del castello o della città raggiungeva il livello del cammino di ronda, se ne costruiva lo spalto merlato. Si trattava di un muretto, o parapetto, consistente di parti alte e parti basse, alternate. Le parti alte, chiamate “merli”, contenevano ciascuna una feritoia: una stretta fessura verticale attraverso la quale un soldato poteva tirare le sue frecce restando

completamente al coperto. Le parti basse, dette “vani” o anche in questo caso “feritoie”, creavano affacci dai quali si potevano gettare proiettili sul nemico. Ogni merlo era sormontato da tre punte, specie di pinnacoli verticali in pietra; immediatamente sotto ogni feritoia c’era un’incassatura* quadrata nel muro. In tempo di guerra, da questi incassi venivano fatti sporgere travicelli a sostegno di una specie di ponticello provvisorio in legno, protetto da uno steccato, dal quale era possibile lanciare con precisione proiettili e frecce verso la base delle mura.

In dicembre la costruzione fu interrotta, perché la bassa temperatura tendeva a provocare fessure nella malta. Dopo aver coperto le sommità del muro non finito con una protezione di paglia e letame, la maggior parte degli operai tornò in Inghilterra per tutto il resto dell’inverno. Le poche centinaia che rimasero lavoravano nelle baracche, preparando materiale e attrezzature per la ripresa del lavoro in primavera.

Verso la fine di marzo dell’anno seguente, la maggior parte degli operai ritornò e i lavori ripresero dal punto in cui erano rimasti. Man mano che si terminavano le fondazioni delle mura cittadine, si cominciavano le mura vere e proprie. Mastro Giacomo aveva progettato le mura come una serie di sezioni, collegate ma indipendenti. Ponti di legno, situati al livello del cammino di ronda dietro ciascuna torre, erano gli unici mezzi per passare da una sezione all’altra. Nel caso che una parte delle mura venisse attaccata, i difensori toglievano semplicemente i ponti a ciascuna estremità di quella sezione, costringendo il nemico ad affrontare la scalinata scoperta addossata alla facciata interna delle mura, o a tornarsene per dove era venuto.

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Le aperture più frequenti nelle mura del castello erano due: finestre e feritoie. Dietro ciascuna apertura si apriva un recesso entro lo spessore del muro. Quello dietro le feritoie era uno spazio tagliato in obliquo lungo le verticali, detto “strombatura”, che aveva lo scopo di consentire all’arciere ancora più flessibilità nel mirare con l’arco. Poiché l’unica fonte di luce naturale erano le finestre, i recessi o nicchie die-

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tro di esse avevano spesso la dimensione di piccole stanze e contenevano, su ciascun lato, sedili fissi di pietra. Per motivi di sicurezza le finestre poste al livello più basso delle mura e delle torri erano molto strette; mentre erano ampie quelle dei livelli superiori. Tutte le finestre erano protette da un’inferriata e potevano venire sbarrate da imposte. Nei quartieri d’abitazione le finestre erano, inoltre, schermate con vetri.

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I lavori proseguirono senza interruzione per tutta l’estate e l’autunno, e alla fine della stagione del 1284 diverse torri, e le parti adiacenti delle mura della città, avevano raggiunto l’altezza del cammino di ronda.

Il marzo seguente, con gli operai che ritornavano al cantiere, arrivò un centinaio di muratori in più, in modo da affrettare la costruzione della cortina interna e delle sue torri. Per accrescere la capacità difensiva della cortina interna, pur già massiccia, Mastro Giacomo ne aveva progettato le torri in modo che ciascuna potesse essere isolata e difesa indipendentemente dal resto delle mura. Due soli erano gli ingressi a ogni torre: il primo si trovava alla base, e si apriva sulla corte interna; il secondo era in cima, e lo si poteva raggiungere soltanto dal cammino di ronda. Nel caso che la corte interna fosse caduta, ambedue gli accessi potevano venire sbarrati da pesanti porte di legno. Ciascuna torre conteneva tre stanze, una sopra l’altra, collegate da una scala a chiocciola realizzata entro lo spessore del muro della torre. La scala a chiocciola continuava al di sopra del livello del cammino di ronda della torre, fino alla cima della torretta soprastante. 34

La stanza a livello del suolo, detto “basamento” o “piano terreno”, veniva di solito usata come magazzino, consentendo alla torre di essere autosufficiente durante un assedio. Le stanze superiori erano impiegate come ambienti di servizio o di soggiorno. Tutti i pavimenti, salvo quelli del basamento, costituiti dalla roccia stessa, erano fatti di assi di legno inchiodate a pesanti travi di quercia che valicavano l’interno di ogni torre all’altezza necessaria. Le travi erano inserite nel muro durante la costruzione, oppure erano sostenute da blocchi sporgenti detti “mensole”*. Il vuoto rimasto in cima a ciascuna torre veniva ricoperto da un tetto conico in legno. Le travi o i travicelli di legno del tetto erano inseriti entro incassature lasciate sul bordo interno del cammino di ronda della torre; poi, su di esse si estendeva la copertura, in lastre di piombo o tegole piane. Una volta che il tetto di una torre era ben chiuso, a prova di pioggia, si rifinivano le stanze sottostanti. Ognuna di quelle dei piani superiori andava riscaldata mediante un proprio camino, costruito nel muro durante l’edificazione. Condotti verticali, detti “canne fumarie”, venivano anch’essi ricavati nelle pareti, per condurre il fumo dai caminetti ai comignoli, che sorgevano sui cammini di ronda della torre. Durante il giorno l’illuminazione proveniva quasi tutta dalle finestre; di notte occorrevano lampade a olio e candele, in aggiunta alla luce proveniente dal camino. Di solito venivano applicate a mensole infisse nelle pareti, tutto intorno alla stanza. Queste pareti erano rivestite da uno spesso strato di intonaco, e poi imbiancate, o coperte da tappezzerie di stoffa dipinta, o l’una e l’altra cosa. Tutti i pavimenti, compresi quelli del piano terreno, erano coperti di canne ed erbe aromatiche, da spazzar via e sostituire ogni mese. 37

Nell’ottobre del 1285 la cortina esterna fu terminata, all’infuori delle porte fortificate, e la maggior parte delle maestranze venne posta a lavorare alle ultime due torri d’angolo della cortina interna.

Piano terreno

segreta

P rigioniero

In una delle torri, ove il livello del pavimento di roccia affiorante era un poco più basso che nel resto del cortile interno, venne scavato un ambiente, più basso del piano terreno, per servire come prigione, o segreta*. Lo si poteva raggiungere soltanto attraverso una botola nel pavimento del piano terreno. Era illuminato da una stretta feritoia tagliata nello spessore del muro. L’unica torre completamente diversa da tutto il resto era la torre della cappella. Anziché avere due stanze al di sopra del livello del piano terreno, ne conteneva una sola, alta due piani. L’abside, o zona dell’altare, della cappella era posta in un ampio recesso di finestre. L’intelaiatura delle finestre, in pietra, era accuratamente intagliata; i vuoti erano schermati da pezzi di vetro bordato di piombo e colorati. Direttamente opposto all’abside della cappella si trovava un secondo recesso, ricavato nella parete della torre, ma questa volta al livello del primo piano. Da qui Lord Kevin e la sua famiglia potevano assistere ai servizi divini, mentre il resto dei fedeli stava sul pavimento di legno al livello inferiore. 40

ritirata

Pozzo nero

Le numerose latrine del castello, dette “ritirate”, erano situate entro le pareti della cortina; si raggiungevano mediante stretti passaggi. Ciascuna di esse era illuminata da una finestrella o da una feritoia. Il sedile era una semplice lastra di pietra con un buco intagliato al centro. Lungo la cortina esterna il 42

ritirata

sedile era sostenuto da mensole, e sporgeva al di là della superficie del muro. I gabinetti della cortina interna erano raggruppati insieme su condutture verticali, ricavate entro il muro o costruite addosso al muro stesso. Esse conducevano a un pozzo nero*, ai piedi del muro, che andava periodicamente ripulito. 43

PORTA FORTIFICATA DELLA CITTÀ Infine, gli ultimi elementi importanti sia del castello che della città erano le porte fortificate. Erano anche le parti più vulnerabili delle mura, perciò vennero progettate e realizzate con grande accuratezza. Tra le due torri che fiancheggiavano ciascuna porta, una serie di archi paralleli sosteneva un ambiente sovrastante la via d’accesso. Da questo ambiente poteva esser fatta calare una pesante grata di legno, detta “saracinesca”, in modo da bloccare l’accesso stesso. La saracinesca scivolava su e giù in scanalature scavate nelle pareti su ambedue i lati. L’estremità di ciascun elemento verticale della saracinesca era, inoltre, appuntita e rivestita di ferro, per accrescerne la resistenza. Oltre la saracinesca si trovava una serie di pesanti controporte di ferro, sempre rinforzate con liste di ferro. Immediatamente dietro ciascuna porta si trovavano due fori nelle pareti, uno di fronte all’altro. Una pesante trave di legno, detta “sbarra”, veniva sollevata dal suolo e infilata in uno dei fori, poi disposta in modo da attraversare il passaggio e infine inserita nell’altro foro, in modo da rendere ancor più resistenti le porte. Le feritoie, al pianterreno delle torri, consentivano alle guardie il completo controllo della zona di accesso. Se un qualsiasi gruppo di truppe nemiche fosse stato tanto incauto da lasciarsi intrappolare nello spazio tra le due torri, sarebbe stato sommerso dai proiettili e dalle frecce scagliate dalle aperture sul pavimento in alto, chiamate “buche assassine”. 45

Per la fine del 1286 le mura della città erano quasi terminate. Man mano che aumentava la sicurezza della città, cresceva pure la popolazione. Oltre ai contadini che lavoravano la terra fuori dalle mura, molti di coloro che si erano stabiliti ad Aberyvern erano mercanti e artigiani con le loro famiglie. Costruivano le proprie case assai vicine l’una all’altra, per lasciar libera la massima

quantità possibile di terra al pascolo e alla coltivazione, all’interno delle mura. Mancando i marciapiedi, le facciate delle case si allineavano direttamente lungo le strade non pavimentate. Le prime case vennero costruite vicino al pozzo pubblico; ma alla fine si andarono espandendo lungo le vie.

Tutte le case avevano una struttura chiamata half timber*, cioè “per metà in legno”. Questo significava che la struttura principale consisteva di un’orditura di montanti e traverse di legno, di solito quercia, mentre gli spazi vuoti tra gli elementi di legno erano riempiti di pannelli intessuti di canne, i cannicci*, coperti di argilla. I tetti erano coperti con tegole piane, oppure assicelle, dette anche “scandole”, di legno. Il pavimento era in terra battuta o pressata (“costipata”), e in tutti i casi coperto da una striscia di canne. Un unico cammino forniva il calore e anche la luce della stanza, perché le aperture delle finestre di solito erano assai piccole e generalmente coperte di pelli di pecora o di capra, ammorbidite con l’olio. 48

La maggior parte degli artigiani di Aberyvern, come Tommaso, maestro calzolaio, e Oliviero, maestro sarto, fabbricava e vendeva nelle proprie case i prodotti. I laboratori e le botteghe erano collocate sulla facciata delle case, a piano terra. Durante il giorno, persiane di legno orizzontali si aprivano verso la strada. Quella di sotto serviva come banco sul quale si potevano mettere in mostra gli articoli in vendita; quella di sopra si ribaltava in alto, e funzionava a mo’ di riparo. Le botteghe per la vendita di merci quali le derrate agricole, il pesce, il vino, erano spesso collocate presso le porte della città, attraverso le quali poteva avvenire la consegna delle merci stesse all’interno. 49

Quando la popolazione di Aberyvern ebbe raggiunto le diverse centinaia di persone, la città fu insignita dello stato di parrocchia, ed ebbe un parroco. Poco dopo il suo arrivo, il parroco cominciò a sorvegliare la costruzione di una chiesa, su un terreno donato da Lord Kevin. Era l’unico edificio in pietra nella città e presto divenne un punto di richiamo, sia visivo che sociale, per tutta la comunità. La devozione della popolazione alla chiesa fu chiaramente dimostrata dal fatto che il lavoro venne prestato per la maggior parte gratuitamente, o pagato mediante generosi contributi: sacrificio non piccolo per gente che già lavorava sette giorni alla settimana.

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SEZIONE DEL CORPO DI GUARDIA ESTERNO

zaVorra

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Durante l’estate del 1287 vennero terminati i lavori sulle porte fortificate del castello. Quella interna aveva due saracinesche, due serie di battenti e due serie di sbarre. Quella esterna era parimenti bene attrezzata e presentava un’ulteriore difesa: il ponte levatoio. Questo particolare ponte era formato da una piattaforma di legno che ruotava intorno a un asse centrale, come fosse una bilancia. Un’estremità era appesantita da zavorra e quando venivano tolti dei fermi questa scendeva in una cavità scavata appositamente nel terreno. Il ponte, nel ruotare, da una parte entrava nella cavità e dall’altra saliva tagliando così il collegamento sul fossato e impedendo l’accesso al castello. 51

Il ponte levatoio collegava il castello all’estremità di una rampa in pietra alta oltre sette metri e mezzo. Chiunque intendesse penetrare nel castello doveva scalare la rampa, esposto all’offesa dei soldati che stavano sulle mura. Verso quell’epoca venne finita la postierla*, anch’essa dotata di ponte levatoio.

Terminate le porte, si cominciò a lavorare agli edifici del cortile interno, ormai sicuro. La prima delle costruzioni provvisorie da sostituire era quella che ospitava la guarnigione. Il nuovo edificio era a due piani, e presentava la solita struttura in legno e pannelli di canniccio e argilla, con un tetto di ardesia. Mentre il primo piano serviva come alloggio per i soldati, quello terreno era suddiviso tra stalle e magazzini. Uno di questi ultimi conteneva molte delle armi della guarnigione, tutte importate dall’Inghilterra. Ogni riparazione alle armi rientrava nei compiti del fabbro, la cui officina si trovava all’estremità dei baraccamenti. 54

sPada nel suo fodero

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scudo

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da guerra

Pugnale

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balestra

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Il più vasto dei nuovi edifici affacciati sulla corte doveva essere la sala grande. Sarebbe servita come luogo di riunione generale e come sala da pranzo dell’intera popolazione del castello; larga dieci metri e mezzo, avrebbe avuto una lunghezza di oltre trenta. Mastro Giacomo fissò la posizione della sala a un angolo della corte interna, in modo da aver bisogno di costruire soltanto due nuovi muri per racchiudere lo spazio. Ambedue i muri vennero realizzati in pietra e coronati di merlature. Il più lungo correva parallelo al muro di cortina posteriore, e conteneva tre ampie finestre e una porta. Il nuovo muro a chiusura della sala presentava un vasto camino e una porta sulla cucina. Due altri camini erano già stati costruiti nei muri di cortina. I muratori avevano inserito una fila di mensole nella cortina posteriore, a una distanza di circa due metri e mezzo dal suolo. La stessa cosa fu fatta anche sul più lungo dei due nuovi muri. Appena terminati i muri, i carpentieri iniziarono la costruzione del tetto. Esso doveva poggiare su una fila di strutture di legno parallele, dette “capriate”*, che avrebbero valicato l’intera larghezza della sala. Ciascuna capriata presentava una trave ad arco verso il basso, per accrescerne la solidità. 57

Anzitutto, un sostegno o piedritto* verticale in legno venne poggiato su ciascuna mensola e assicurato al muro. Poi, gli elementi di legno, accuratamente tagliati, furono montati e sollevati fino a raggiungere la posizione voluta; le estremità di ciascuna capriata poggiarono così su opposti piedritti. Vennero allora connesse l’una con l’altra le parti superiori delle capriate, e coperte con assicelle e fogli di piombo. Una volta che il tetto fu così reso impermeabile, le pareti interne della sala vennero intonacate e imbiancate, e si inserirono i vetri alle finestre.

cisterna

t ubazione

Vasca di raccolta

Presso la sala grande, nell’altro angolo sul retro della corte interna, c’era la cucina. Conteneva forni per cuocere il pane, speciali camini per cucinare e per affumicare la carne, e una vasta zona di deposito per le botti di vino e di birra. Inserita nella parete di cortina sul retro c’era un’ampia vasca di pietra che fungeva da acquaio; l’acqua discendeva direttamente, mediante un tubo, nella vasca, partendo da un recipiente in pietra, chiamato “cisterna” e situato in cima alla torre d’angolo. Il tetto spiovente sulla cucina era sostenuto da travi infilate in una serie di incassature praticate nella cortina posteriore. 59

Nuovi edifici, con struttura di legno, vennero infine costruiti lungo il perimetro di tutta la corte interna, a sostituzione delle ultime baracche e officine degli operai, fatte quasi quattro anni prima. Essi contenevano non soltanto ulteriori ambienti di residenza per Lord Kevin, Lady Caterina e il loro personale più intimo, ma anche un certo numero di camere per gli ospiti e alloggi privati per alcuni membri del seguito, tra i quali Walter, l’ufficiale giudiziario, Roberto, il cappellano, e Lionello, medico e barbiere.

Camere più piccole al piano terreno di tutti gli edifici vennero assegnate a servi e uomini di fatica, o adibite a magazzini in genere. Mastro Giovanni, cuoco del castello, viveva in un piccolo appartamento presso la cucina, con la famiglia e due assistenti. In un altro angolo del cortile vennero costruiti i canili, insieme a una spaziosa gabbia ove trovavano riparo gli uccelli da caccia di Lord Kevin. Benché si consentisse a un certo numero di cani e di gatti di aggirarsi liberamente in tutto il castello, nella speranza di controllare la popolazione dei roditori, una piccola zona della corte venne intenzionalmente recintata. Qui Lady Caterina aveva insistito affinché si stendesse un prato costituito da zolle erbose importate dall’Inghilterra, e si piantasse un giardino di fiori ed erbe medicinali.

Nell’ottobre del 1288, quando furono terminate le mura e le torri del castello, tutta la struttura venne imbiancata a calce all’esterno, il che la fece sembrare intagliata in un unico, enorme blocco di pietra, esaltando moltissimo la sua già possente immagine. La primavera seguente solo pochissimi operai ritornarono ad Aberyvern.

Poco ormai rimaneva da fare, e la manutenzione quotidiana del castello e delle mura poteva essere curata dagli operai che si erano stabiliti definitivamente nella città. A questo punto Lady Caterina considerò il castello pronto per essere occupato, e il 29 aprile vi si trasferì con le sue dame di compagnia, i bambini e i servi, raggiungendo così Lord Kevin nella loro dimora gallese.

Due anni dopo, nell’intento di incoraggiare altre persone a insediarvisi, Lord Kevin concesse uno statuto di privilegio ad Aberyvern. Esso esentava gli abitanti della città, presenti e futuri, dal pagamento di certe tasse, di cui Kevin poteva fare a meno ora che il castello era terminato. Lo statuto concedeva inoltre agli abitanti il diritto di eleggersi un sindaco e un consiglio comunale, di

avere un proprio tribunale per i reati minori, e di tenere settimanalmente un mercato lungo la via principale. Nel 1294 il castello di Lord Kevin dominava una comunità prospera, benché non ancora sovraffollata; e nel dicembre di quell’anno Re Edoardo, in viaggio verso uno dei propri castelli, vi si recò in visita. Il giorno del suo arrivo tutte le botteghe e i laboratori restarono chiusi, e l’intera popolazione si schierò lungo la riva del fiume, per salutare le navi del re.

Quella sera ci fu un banchetto al castello, a cui furono invitati il sindaco, il consiglio e diversi tra i principali mercanti della città. Alle pareti della sala grande furono appesi per l’occasione vessilli colorati, e sul pavimento venne sparsa una copertura fresca di canne ed erbe. Il re e i suoi ministri sedevano, con Lord Kevin e Lady Caterina, a una lunga tavola posta su una piattaforma rialzata in fondo alla sala, mentre gli altri invitati prendevano posto ai tavoli allineati lungo le pareti. Cibi e bevande affluivano senza interruzione dalla cucina di Mastro Giovanni, e una quantità di musicisti, acrobati e giocolieri intratteneva gli ospiti. La festa continuò fino alle prime ore del mattino, molto tempo dopo che il re si era ritirato. 67

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Re Edoardo non era però in Galles per motivi di cortesia. Era venuto a soffocare lo scoppio di rivolte guidate da parecchi principi gallesi. Prima di lasciare Aberyvern mise Lord Kevin al corrente della situazione e lo esortò a tenersi pronto a ogni evenienza. Dato che Mastro Giacomo aveva praticamente messo il castello al sicuro da un attacco militare diretto, la maggior parte dei preparativi riguardò la difesa contro un possibile assedio. Durante i mesi successivi, perciò, non ci fu edificio o stanza sia del castello che della città, non esclusa la chiesa, ove non venissero immagazzinate grandi quantità di viveri e di grano. Si forgiarono numerosissime frecce, si raccolsero pietre da gettare dall’alto delle mura e, come ulteriore precauzione, vennero installati i ponti sospesi alla sommità di tutte le torri e delle mura stesse.

A cominciare dall’11 aprile 1295 sia le difese apprestate da Mastro Giacomo, sia i preparativi fatti da tutti gli abitanti della città vennero messi alla prova. Centinaia di soldati gallesi agli ordini del principe Daffyd di Guynedd accerchiarono la città. Diverse navi vennero ancorate intorno al castello per prevenire l’arrivo di rifornimenti o la fuga via acqua. Verso la fine di giugno la maggior parte degli edifici fuori dalle mura della città, compreso un mulino, fienili e diverse fattorie, era andata distrutta, e la maggior parte del bestiame

uccisa. Le scorte in città, tuttavia, erano più che sufficienti, e nessuna delle due parti aveva compiuto alcun reale progresso. Avvertito del fatto che una forte truppa inglese stava arrivando dal nord, nel quadro di una campagna generale per schiacciare tutte le rivolte, il principe Daffyd ordinò un attacco diretto. Si raccolsero allora catapulte in gran numero, che vennero puntate sia contro la città che contro il castello. Ciascuna di queste pesanti armi, di legno, era fornita di un braccio che poteva venir tratto all’indietro con notevole pressione. Quando lo si liberava, il braccio scattava in avanti, lanciando una gran quantità di proiettili contro le mura o al di là di esse.

Oltre al bombardamento aereo, il principe Daffyd iniziò una serie di assalti più diretti alle mura. Celati dall’oscurità, i Gallesi colmarono in diversi punti il fossato intorno alla città con terra, pietre e ceppi di legno. Venne poi eretta ai piedi delle mura una tettoia prefabbricata. Era coperta di terra e di pelli di animali, per ridurre il rischio che venisse incendiata da frecce accese scoccate dall’alto. Entro questo riparo era appeso, mediante catene fissate alle travi della copertura, un pesante tronco d’albero. Era chiamato “ariete”, una delle estremità era a punta e rivestita di ferro. Questo estremo appuntito veniva diretto verso le mura e l’ariete era poi fatto oscillare, battendo contro le mura, da una squadra di soldati. 72

Nel frattempo, una seconda schiera armata aveva fatto rotolare sopra un altro punto del fossato un’alta struttura di legno, detta “torre d’assedio”, in posizione da raggiungere l’altezza dei ponti sulle mura. Dopo due ore di aspro combattimento corpo a corpo, i Gallesi ritirarono la torre, che era stata incendiata dai difensori. Per quasi una settimana venne intrapreso un tentativo dopo l’altro contro le mura. 73

Intanto, un altro gruppo di attaccanti aveva lavorato duramente. Erano chiamati “zappatori” o “genieri”, e il loro compito era di scavare una galleria, detta “mina”, sotto le mura. Una volta che la galleria si fosse estesa a sufficienza, la struttura di puntelli che la sosteneva veniva bruciata, in modo che le mura soprastanti crollassero. Gli zappatori lavoravano ventiquattr’ore su ventiquattro, protetti da una tettoia di legno addossata alle mura. Anch’essa era coperta, nel tentativo di evitarne l’incendio. Gli zappatori erano sostenuti da arcieri, appostati dietro ripari mobili di legno, che tiravano sui ponti di difesa sospesi alle mura. Quando il principe Daffyd ebbe notizia che gli Inglesi si trovavano a poche giornate di cammino, ordinò di appiccare il fuoco alla mina. Era stata riempita di legname secco e paglia, e veniva alimentata attraverso diversi condotti appositi. Il fuoco ruggì per ore, mentre dai ponti sulle mura si versava disperatamente acqua. Ma, alla fine, fu chiaro ad ambedue le parti che le mura erano troppo solide e la galleria non abbastanza ampia da riuscire a farle crollare. Vedendo dinnanzi a sé il rischio non solo della sconfitta, ma dell’annientamento, il principe ordinò ai suoi la ritirata. 74

Le difese di Mastro Giacomo avevano lavorato bene; ma, come Re Edoardo aveva ben visto fin da principio, nessuna mole di opere di architettura militare, nessuna quantità di soldati avrebbe mai conquistato il popolo del Galles. Era gente che andava convinta ad abbandonare la lotta di sua spontanea volontà. Nei mesi che seguirono la rivolta, diverse famiglie gallesi del territorio circostante, stanche dello spargimento di sangue e interessate a partecipare anch’esse agli ovvi vantaggi che Aberyvern offriva, vennero incoraggiate a stabilirsi lungo le strade, esternamente alle mura. Nei giorni di mercato e durante le fiere era loro consentito entrare in città per vendere i propri prodotti e com-

prare quelli disponibili all’interno. Col passare del tempo la popolazione fuori dalle mura crebbe, e con essa sorsero edifici di ogni sorta. Infine, tutta una rete di strade e di vicoli si sviluppò intorno alle mura, e Aberyvern divenne una città dentro una città. La “conquista” del Galles non fu completa se non quando sia gli Inglesi che i Gallesi poterono attraversare liberamente le porte di città come Aberyvern, costruendovi le proprie case e osservando, gli uni a fianco degli altri, i rispettivi costumi. E perciò la vittoria di Edoardo non venne raggiunta davvero se non quasi due secoli dopo la sua morte.

In quell’epoca, il possente castello di Mastro Giacomo era ormai parzialmente scoperchiato e in completo stato di abbandono. Serviva solo come cava di pietra per nuovi edifici e le mura cittadine, tanto imponenti un tempo, erano divenute più un impedimento che una necessità.

DIZIONARIO ARDESIA Pietra grigio scuro che, tagliata a lastre, era utilizzata per la copertura dei tetti, per la pavimentazione e il rivestimento delle pareti. CALCARE Pietra adoperata in particolare per le costruzioni. I calcari più famosi sono per esempio il marmo e il travertino. Frantumandolo e polverizzandolo si ottiene la calce. BALIVO Nell’ordinamento feudale era un funzionario, quasi sempre un nobile, nominato dal re per governare una circoscrizione territoriale. CAMMINO DI RONDA Il passaggio che correva lungo la sommità delle mura, dal quale la guarnigione difendeva la città e il castello. CANNICCIO Specie di pannello realizzato con bastoncelli e cannucce intrecciate. Il canniccio veniva ricoperto di argilla per cementarne la tessitura. CAPOMASTRO Progettista direttore dei lavori del cantiere, sovraintendeva alle varie maestranze dei carpentieri, muratori, fabbri ecc.

(“tamponati”) da pannelli formati da un canniccio intrecciato ricoperto di argilla. INCASSATURA Foro lasciato entro un muro per consentire poi di infilarvi e appoggiarvi una trave orizzontale. MASTRO o MAESTRO Artigiano molto preparato e abile nel proprio lavoro. Spesso aveva alle proprie dipendenze altri artigiani e degli apprendisti a cui trasmetteva i principi del mestiere. MENSOLA Elemento di pietra sporgente (“aggettante”) inserito in un muro all’atto della costruzione. PARANCO Macchina composta da diverse carrucole adoperata per sollevare dei pesi consistenti. PIEDRITTO Pilastro su cui poggia l’arco. PIETRA ARENARIA Un tipo di pietra facilmente lavorabile e quindi largamente usata nelle costruzioni; piuttosto frequente lungo i fiumi e nelle litoranee marine. PORTA FORTIFICATA Il complesso realizzato per proteggere l’accesso al castello o alla zona racchiusa da mura. POSTIERLA Porta laterale, e secondaria, del castello.

CAPRIATA Struttura triangolare, costituita di elementi di legno collegati, su cui poggiano le falde del tetto.

POZZO NERO La cavità ricavata in un muro, nella quale venivano a cadere i rifiuti di una o più latrine.

FONDAZIONE La parte di una struttura che affonda sotto il livello del terreno. Necessaria soprattutto in quei terreni non sufficientemente rocciosi che rischiano di cadere sotto il peso della costruzione.

PULEGGIA Una particolare carrucola dove la rotella gira intorno a un asse che ruota a sua volta su se stesso. Questi due movimenti facilitavano notevolmente il sollevamento dei carichi.

FOSSATO Trincea larga e profonda, scavata intorno a un castello per impedirne l’accesso dal terreno circostante. Poteva essere lasciato in secco o essere riempito d’acqua.

SCARPA o SCARPATA La superficie inclinata alla base delle mura delle torri, a contatto col terreno.

GALLES Regione annessa nel 1284 alla Corona inglese da parte di Edoardo I. Nel 1301 venne data in dotazione al principe ereditario che assunse così il titolo di “Principe del Galles”. Da allora tutti i principi ereditari inglesi, prima di essere incoronati re, ricevono per diritto questo titolo. HALF TIMBER Termine inglese che indica la forma più comune di struttura in legno usata nel Medioevo, e anche più tardi, nei Paesi nordici: le pareti erano costituite da una larga maglia di elementi di legno; i riquadri vuoti erano poi riempiti

SEGRETA Prigione sotterranea, situata di solito in una delle torri. SINISCALCO o MAESTRO DI CASA La persona responsabile della conduzione quotidiana di un castello in assenza del signore. SPALTO MERLATO Il muretto costituito dai merli e dalle feritoie; veniva costruito lungo il bordo esterno del cammino di ronda, per proteggere i soldati. TORRETTA Piccola torre che sorge su una delle torri principali, più alta di essa, e di solito impiegata come punto di vedetta.